Indice 
Testi approvati
Giovedì 12 maggio 2016 - Strasburgo
I tatari di Crimea
 Gambia
 Gibuti
 Scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale *
 Tracciabilità dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura nella ristorazione e nella vendita al dettaglio
 Lo status di economia di mercato della Cina
 Seguito e situazione attuale dell'Agenda 2030 e degli obiettivi di sviluppo sostenibile
 Indicazione obbligatoria del paese di origine o del luogo di provenienza di taluni alimenti
 Accordo quadro in materia di congedo parentale
 Prevenzione e repressione della tratta di esseri umani

I tatari di Crimea
PDF 173kWORD 75k
Risoluzione del Parlamento europeo del 12 maggio 2016 sui tatari di Crimea (2016/2692(RSP))
P8_TA(2016)0218RC-B8-0582/2016

Il Parlamento europeo,

–  viste le sue precedenti risoluzioni sul partenariato orientale, sull'Ucraina e sulla Federazione russa,

–  viste le relazioni della missione per la valutazione dei diritti umani in Crimea condotta dall'Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani (ODIHR) dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) e dell'Alto commissario dell'OSCE per le minoranze nazionali (ACMN),

–  visti la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, il Patto internazionale sui diritti civili e politici e la dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni (UNDRIP),

–  viste le decisioni del Consiglio europeo del 21 marzo, del 27 giugno e del 16 luglio 2014 che impongono sanzioni alla Federazione russa a seguito dell'annessione illegale della Crimea,

–  vista la risoluzione n. 68/262 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, del 27 marzo 2014, sull'integrità territoriale dell'Ucraina;

–  visto il rapporto di Freedom House sulle libertà nel mondo nel 2016 (Freedom in the World 2016), che definisce "non libero" lo status della Crimea annessa illegalmente per quanto riguarda le libertà politiche e civili,

–  vista la decisione della cosiddetta Corte suprema della Crimea, del 26 aprile 2016, che ha definito il Mejlis del popolo tartaro di Crimea un'organizzazione estremistica, vietandone le attività nella penisola di Crimea,

–  viste le dichiarazioni del portavoce del Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (VP/AR), del 14 aprile 2016, sulla sospensione delle attività del Mejlis dei tatari di Crimea, e del 26 aprile 2016 sulla decisione della "Corte suprema" della Crimea di mettere al bando le sue attività,

–  viste la dichiarazione del Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, del 26 aprile 2016, in cui sollecita la revoca della messa al bando del Mejlis, e la dichiarazione del Segretario generale del Consiglio d'Europa, del 26 aprile 2016, sul fatto che la messa al bando del Mejlis rischia di colpire la comunità tatara di Crimea nel suo insieme,

–  visti il protocollo di Minsk del 5 settembre 2014 e il memorandum di Minsk del 19 settembre 2014 sull'attuazione di un piano di pace in 12 punti,

–  visti l'articolo 135, paragrafo 5, e l'articolo 123, paragrafo 4, del suo regolamento,

A.  considerando che la Federazione russa ha annesso illegalmente la Crimea e Sebastopoli ed è pertanto uno Stato occupante che ha violato il diritto internazionale, tra cui la Carta delle Nazioni Unite, l'Atto finale di Helsinki, il Memorandum di Budapest del 1994 e il trattato di amicizia, cooperazione e partenariato tra la Federazione russa e l'Ucraina del 1997;

B.  considerando che l'Unione europea e la comunità internazionale hanno ripetutamente espresso la loro preoccupazione per la situazione dei diritti umani nei territori occupati e la sistematica persecuzione di coloro che non riconoscono le nuove autorità; che tali cosiddette autorità hanno preso di mira la comunità autoctona dei tatari di Crimea, la maggior parte dei quali è contraria all'annessione della penisola da parte della Russia e hanno boicottato il cosiddetto referendum del 16 marzo 2014; che le istituzioni e le organizzazioni dei tatari di Crimea sono tacciati in maniera crescente di "estremismo" e che diversi esponenti della comunità tatara di Crimea vengono arrestati, o rischiano di esserlo, in quanto "terroristi"; che tra le violenze perpetrate ai danni dei tatari si annoverano rapimenti, sparizioni forzate, violenze, torture ed esecuzioni extragiudiziali, che non sono stati oggetto di indagini o azioni penali da parte delle autorità de facto, cui si aggiungono i problemi giuridici sistemici riguardo ai diritti di proprietà e alla registrazione della stessa;

C.  considerando che alcuni leader dei tatari di Crimea, tra cui Mustafa Jemilev e Refat Chubarov, dopo essersi visti negare l'ingresso nel territorio della Crimea, sono attualmente autorizzati a farlo ma sotto la minaccia di arresto, lo stesso destino che è toccato a numerosi altri membri del Mejlis, nonché ad attivisti e sfollati della comunità tatara di Crimea; che, stando ai dati forniti dal governo ucraino, oltre 20 000 tatari di Crimea sono stati costretti ad abbandonare la Crimea occupata e a cercare rifugio nell'Ucraina continentale;

D.  considerando che il leader del popolo tataro di Crimea, Mustafa Jemilev, che ha trascorso in precedenza 15 anni nelle prigioni sovietiche, ha pubblicato un elenco di 14 tatari di Crimea che sono detenuti come prigionieri politici dalle cosiddette autorità russe di Crimea, tra cui Ahtem Çiygoz, primo vicepresidente del Mejlis, attualmente detenuto a Simferopol in attesa di processo; che occorre prestare particolare attenzione al suo stato di salute, sottolineando l'importanza che il suo processo sia pubblico e monitorato dal Consiglio d'Europa ed altre organizzazioni internazionali;

E.  considerando che la Federazione russa impone da tempo restrizioni all'accesso in Crimea nei confronti dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), delle Nazioni Unite e del Consiglio d'Europa, senza contare le ONG per i diritti umani e i giornalisti indipendenti; che la mancanza di accesso rende alquanto arduo il monitoraggio della situazione dei diritti umani in Crimea e riferire al riguardo;

F.  considerando che l'intera popolazione dei tatari di Crimea, uno dei popoli autoctoni della penisola, fu deportata nel 1944 in altre regioni dell'allora URSS, senza diritto di tornare in patria fino al 1989; che il 12 novembre 2015 la Verchovna Rada ucraina ha adottato una risoluzione in cui riconosce come genocidio la deportazione dei tatari di Crimea del 1944, proclamando il 18 maggio Giornata della memoria;

G.  considerando che il 26 aprile 2016 la cosiddetta Corte suprema della Crimea si è pronunciata a favore di una richiesta del cosiddetto Procuratore generale della Crimea, Natalia Poklonskaya, in cui si accusa il Mejlis – che era stato l'organo rappresentativo dei tatari di Crimea sin dalla sua fondazione nel 1991, beneficiando del pieno status giuridico dal maggio 1999 – di estremismo, terrorismo, violazioni dei diritti umani, azioni illegali e atti di sabotaggio contro le autorità;

H.  che il Mejlis è stato ormai dichiarato un'organizzazione estremistica e incluso dal ministero della Giustizia russo nel suo elenco di ONG le cui attività devono essere sospese; che le attività del Mejlis sono state pertanto messe al bando in Crimea e in Russia; che una tale messa al bando potrebbe applicarsi a oltre 2 500 membri di 250 organi rappresentativi di paesi e città della Crimea;

I.  considerando che le decisioni del cosiddetto Procuratore generale e della cosiddetta Corte suprema della Crimea sono parte integrante della politica di repressione e intimidazione da parte della Federazione russa, che punisce questa minoranza per la sua lealtà nei confronti dello Stato ucraino durante l'annessione illegale della penisola di due anni or sono;

J.  considerando che è stata commessa una chiara violazione del diritto internazionale umanitario (tra cui la Quarta convenzione dell'Aja del 1907, la Quarta convenzione di Ginevra del 1949 e il suo protocollo aggiuntivo I del 1977), ai sensi del quale una potenza occupante non può perseguire dei civili per reati commessi prima dell'occupazione e deve restare in vigore il diritto penale del territorio occupato;

1.  condanna fermamente la decisione della cosiddetta Corte suprema della Crimea di mettere al bando il Mejlis dei tatari di Crimea, e ne chiede l'immediata revoca; ritiene che tale decisione costituisca una persecuzione sistematica e mirata dei tatari di Crimea e che sia una misura a sfondo politico finalizzata a intimidire ulteriormente i rappresentanti legittimi della comunità tatara; sottolinea l'importanza di tale organo decisionale eletto democraticamente, che rappresenta la popolazione tatara in Crimea;

2.  evidenzia che il divieto imposto al Mejlis del popolo tataro di Crimea, che costituisce l'organo rappresentativo legittimo e riconosciuto della popolazione autoctona della Crimea, fornirà un terreno fertile per stigmatizzare i tatari di Crimea, realizzando ulteriori discriminazioni nei loro confronti e violandone i diritti umani e le libertà civili fondamentali, oltre a costituire un tentativo di espellerli dalla Crimea, che è la loro patria storica; teme che dichiarare il Mejlis un'organizzazione estremistica possa sfociare in ulteriori capi d'imputazione conformemente alle disposizioni del codice penale della Federazione russa;

3.  ricorda che la messa al bando del Mejlis significa che non potrà convocare riunioni, pubblicare le proprie opinioni sui mezzi di comunicazione, organizzare eventi pubblici o utilizzare conti bancari; invita l'UE a prestare sostegno finanziario alle attività del Mejlis durante il suo esilio; invita ad aumentare i finanziamenti a favore delle organizzazioni per i diritti umani che lavorano per conto della Crimea;

4.  ricorda con tristezza il secondo anniversario dell'annessione illegale della penisola di Crimea da parte della Federazione russa, avvenuta il 20 febbraio 2014; ribadisce la propria severa condanna di tale atto, il quale viola il diritto internazionale; esprime il suo fermo impegno a favore della politica di non riconoscimento dell'annessione illegale della Crimea e delle sanzioni imposte all'indomani della stessa e chiede che sia vagliata la possibilità di estendere l'elenco delle persone oggetto di sanzioni dell'UE in relazione alla messa al bando del Mejlis; invita tutti gli Stati membri ad attenersi scrupolosamente a tale elenco; deplora le visite in Crimea — organizzate senza il consenso delle autorità ucraine — di alcuni politici degli Stati membri dell'UE, tra cui deputati dei parlamenti nazionali e del Parlamento europeo, e invita i parlamentari ad astenersi da tali visite in futuro;

5.  ribadisce il suo pieno impegno a favore della sovranità, dell'indipendenza politica, dell'unità e dell'integrità territoriale dell'Ucraina all'interno dei suoi confini riconosciuti a livello internazionale, nonché della sua scelta libera e sovrana di seguire un percorso europeo; invita tutte le parti a perseguire senza indugio la reintegrazione pacifica della penisola di Crimea occupata nell'ordinamento giuridico ucraino, attraverso il dialogo politico e nel pieno rispetto del diritto internazionale; ritiene che il ripristino del controllo ucraino sulla penisola sia fondamentale per ristabilire rapporti di cooperazione con la Federazione russa, tra cui la sospensione delle sanzioni connesse alla Crimea;

6.  condanna le gravi limitazioni delle libertà di espressione, associazione e riunione pacifica, anche in occasione di eventi commemorativi tradizionali, come l'anniversario della deportazione dei tatari di Crimea da parte del regime totalitario sovietico di Stalin, e di incontri culturali dei tatari di Crimea;

7.  condanna le restrizioni alla libertà dei media in Crimea, in particolare la revoca della licenza del maggiore canale televisivo dei tatari di Crimea, l'ATR; chiede la riapertura di tale canale e del canale televisivo per bambini Lale, nonché della stazione radiofonica Meydan; ritiene che tali atti privino la popolazione tatara di Crimea di uno strumento essenziale per conservare la loro identità culturale e linguistica; constata la creazione della nuova emittente televisiva Millet e chiede che ne sia garantita la piena indipendenza editoriale;

8.  deplora fermamente le restrizioni sistematiche alla libertà di espressione con il pretesto dell'estremismo e il monitoraggio dei media sociali finalizzato a individuare gli attivisti che non riconoscono il nuovo ordine e che criticano la validità del "referendum" tenutosi il 16 marzo 2014; ricorda che un centinaio di Stati membri dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha assunto la stessa posizione con l'adozione della risoluzione n. 68/262;

9.  ricorda che la popolazione tatara autoctona di Crimea ha subito ingiustizie storiche che hanno condotto alla loro espulsione in massa da parte delle autorità sovietiche e all'espropriazione delle loro terre e risorse; deplora il fatto che le politiche discriminatorie applicate dalle cosiddette autorità impediscono la restituzione di tali beni e risorse, o sono utilizzate come uno strumento per comprare il sostegno;

10.  esorta la Federazione russa, che a norma del diritto internazionale umanitario ha la responsabilità ultima quale Stato occupante in Crimea, di rispettare l'ordinamento giuridico in Crimea e a proteggere i cittadini dalle misure e decisioni arbitrarie in ambito giudiziario o amministrativo, tenendo fede in questo modo ai propri impegni in quanto membro del Consiglio d'Europa, e a condurre indagini internazionali indipendenti sulle eventuali violazioni del diritto internazionale o dei diritti umani commesse dalle forze di occupazione e dalle cosiddette autorità locali; chiede la riattivazione del gruppo di contatto per le famiglie delle persone scomparse;

11.  chiede che le pertinenti organizzazioni internazionali per i diritti umani dispongano di un accesso permanente e senza restrizioni alla Crimea, al fine di monitorare la situazione dei diritti umani;

12.  accoglie con favore l'iniziativa dell'Ucraina di istituire un meccanismo negoziale internazionale per il ripristino della sovranità ucraina sulla Crimea nel formato "Ginevra plus", che dovrebbe includere il coinvolgimento diretto dell'UE; invita la Federazione russa ad avviare i negoziati con l'Ucraina e altri interlocutori sulla fine dell'occupazione della Crimea, a togliere l'embargo commerciale e dell'energia e a revocare lo stato di emergenza in Crimea;

13.  chiede che sia preservato il carattere multiculturale storico e tradizionale della Crimea e il pieno rispetto delle lingue ucraina e tatara, come pure di altre minoranze linguistiche e culturali; condanna le pressioni giuridiche sulle organizzazioni culturali e di istruzione dei tatari di Crimea, comprese quelle che si occupano di bambini tatari di Crimea;

14.  chiede alla Federazione russa di indagare su tutti i casi di tortura di prigionieri illegalmente arrestati in Crimea, tra cui Ahtem Çiygoz, il primo vicepresidente del Mejlis, Mustafa Degermendzhi e Ali Asanova, che sono stati arrestati in Crimea dalle cosiddette autorità locali per aver manifestato pacificamente contro l'occupazione, e a garantirne il rientro in Ucraina in condizioni di sicurezza; ribadisce il proprio invito alla liberazione di Oleg Sentsov e Aleksandr Kolchenko; esorta la Federazione russa a cessare la persecuzione politica di dissidenti e attivisti civili; condanna il loro successivo trasferimento nella Federazione russa e l'imposizione coatta della cittadinanza russa; chiede alla Federazione russa di cooperare strettamente con il Consiglio d'Europa e l'OSCE nei casi citati;

15.  invita il Servizio europeo per l'azione esterna e il Consiglio a intensificare le pressioni sulla Federazione russa per consentire l'accesso in Crimea alle organizzazioni internazionali, allo scopo di monitorare la situazione dei diritti umani in considerazione delle gravi violazioni delle libertà fondamentali e dei diritti umani in corso nella penisola, nonché a istituire meccanismi di monitoraggio internazionale permanenti e basati su convenzioni; sottolinea che una eventuale presenza internazionale in loco dovrebbe essere ben coordinata, convenuta con l'Ucraina e sostenuta dalle principali organizzazioni internazionali dei diritti umani;

16.  ribadisce la sua profonda preoccupazione per la situazione delle persone LGBTI in Crimea, che è notevolmente peggiorata dopo l'annessione russa;

17.  incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, al Consiglio, alla Commissione, ai governi e ai parlamenti degli Stati membri, al Presidente, al governo e al parlamento dell'Ucraina, al Consiglio d'Europa, all'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, al Presidente, al governo e al parlamento della Federazione russa, nonché al Mejlis del popolo tataro di Crimea.


Gambia
PDF 176kWORD 74k
Risoluzione del Parlamento europeo del 12 maggio 2016 sul Gambia (2016/2693(RSP))
P8_TA(2016)0219RC-B8-0591/2016

Il Parlamento europeo,

–  viste le sue precedenti risoluzioni sul Gambia,

–  vista la sua risoluzione del 12 marzo 2015 sulle priorità dell'UE per il Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani nel 2015(1),

–  viste le numerose interrogazioni parlamentari sulla situazione in Gambia,

–  vista la dichiarazione del 17 aprile 2016 del Servizio europeo per l'azione esterna (SEAE) sulla situazione dei diritti umani in Gambia,

–  viste le numerose dichiarazioni rese dalla delegazione dell'UE in Gambia,

–  vista la risoluzione della commissione dell'Unione africana, del 28 febbraio 2015, sulla situazione dei diritti umani nella Repubblica del Gambia,

–  vista la dichiarazione rilasciata il 17 aprile 2016 dal Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon,

–  visti la relazione del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani, elaborata dal relatore speciale sulla tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, e l'addendum: missione in Gambia, del 2 marzo 2015,

–  vista la relazione del relatore speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie in Gambia, dell'11 maggio 2015,

–  visto la relazione del gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla revisione periodica universale (UPR) sul Gambia, del 24 dicembre 2014,

–  visto l'accordo di partenariato di Cotonou firmato nel giugno 2000,

–  vista la Costituzione gambiana,

–  vista la Carta africana sulla democrazia, le elezioni e il buon governo,

–  vista la Carta africana dei diritti dell'uomo e dei popoli,

–  vista la dichiarazione delle Nazioni Unite, del 1981, sull'eliminazione di tutte le forme di intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o sul credo,

–  vista la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948,

–  visti l'articolo 135, paragrafo 5, e l'articolo 123, paragrafo 4, del suo regolamento,

A.  considerando che Yahya Jammeh ha assunto il potere in Gambia nel 1994, in seguito a un colpo di Stato; che è stato eletto presidente nel 1996 ed è stato successivamente rieletto per tre mandati in circostanze controverse;

B.  considerando che le elezioni presidenziali sono previste per il 1° dicembre 2016, mentre quelle legislative per il 6 aprile 2017; che le ultime elezioni presidenziali, tenutesi nel 2011, sono state condannate dalla Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (ECOWAS) per l'assenza di legittimità e per essere state accompagnate da repressioni e intimidazioni ai danni dei partiti dell'opposizione e dei loro elettori;

C.  considerando che una manifestazione pacifica svoltasi il 14 aprile 2016 a Serekunda, alla periferia della capitale Banjul, in favore di una riforma elettorale ha scatenato reazioni violente da parte delle forze di sicurezza gambiane e ha portato alla detenzione arbitraria dei manifestanti, tra cui numerosi membri del Partito democratico unito (UDP); che Solo Sandeng, leader dell'opposizione e membro dell'UDP, è deceduto durante la detenzione, poco dopo essere stato arrestato in circostanze sospette;

D.  considerando che i membri dell'UDP si sono radunati nuovamente il 16 aprile 2016 per chiedere giustizia per la morte di Solo Sandeng e il rilascio degli altri membri del loro partito; che la polizia ha lanciato gas lacrimogeni sui manifestanti e ha arrestato diverse persone;

E.  considerando che un altro leader dell'opposizione, Ousainou Darboe, e alti rappresentanti del partito sono stati arrestati e continuano a essere sotto la custodia dello Stato; che, secondo quanto riportato, sarebbero gravemente feriti;

F.  considerando che ad Alagie Abdoulie Ceesay, direttore della radio indipendente Teranga FM, arrestato il 2 luglio 2015 dall'Agenzia nazionale di intelligence (NIA), è stato negato per tre volte il rilascio su cauzione, nonostante le precarie condizioni di salute;

G.  considerando che nel marzo 2016 il gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria ha pubblicato un parere, adottato durante l'ultima sessione del dicembre 2015, in cui si sottolineava che Alagie Abdoulie Ceesay era stato privato della libertà in modo arbitrario e si chiedeva al Gambia di rilasciarlo e di far cadere ogni accusa contro di lui;

H.  considerando che in Gambia i difensori dei diritti umani e i giornalisti sono vittime di pratiche abusive e di una legislazione repressiva e sono costantemente oggetto di vessazioni e intimidazioni, arresti e detenzioni, sparizioni forzate, oppure sono costretti all'esilio;

I.  considerando che in Gambia la tortura e altre forme di maltrattamento sono utilizzate regolarmente; che, secondo quanto riferito, le persone subiscono continuamente brutali torture o altri maltrattamenti, finalizzati a estorcere loro "confessioni" che sono poi utilizzate nei tribunali, come emerso dalla relazione redatta dopo la visita nel 2014 in Gambia del relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti;

J.  considerando che le detenzioni arbitrarie ad opera della NIA e della polizia sono all'ordine del giorno, come nel caso dell'ex vice ministro dell'Agricoltura, Ousman Jammeh, e degli studiosi islamici Sheikh Omar Colley, Imam Ousman Sawaneh e Imam Cherno Gassama, e che le persone sono spesso detenute in assenza di accuse e oltre il limite di 72 ore entro il quale un sospettato deve essere fatto comparire dinanzi a un giudice, in violazione della Costituzione;

K.  considerando che la legislazione contro l'omosessualità in vigore in Gambia prevede lunghi periodi di detenzione e multe pesanti per "omosessualità aggravata"; che le persone LGBTI sono spesso vittime di attacchi, minacce o arresti arbitrari da parte delle forze di sicurezza e che alcune di esse sono state costrette ad abbandonare il paese per la propria incolumità;

L.  considerando che il Gambia è uno dei quindici paesi più poveri al mondo e che quasi un quarto della sua popolazione vive in condizioni di insicurezza alimentare cronica; che il paese è fortemente dipendente dagli aiuti internazionali; che, dal 2015, 14 475 gambiani hanno richiesto asilo nell'UE;

M.  considerando che la situazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto in Gambia desta reali preoccupazioni; che l'UE affronta queste questioni dalla fine del 2009 in un dialogo a norma dell'articolo 8 dell'accordo di Cotonou, seppur con limitati risultati concreti;

N.  considerando che, alla luce delle preoccupazioni sulla situazione dei diritti umani, l'UE ha drasticamente ridotto i suoi aiuti al Gambia, sebbene continui a essere il maggiore donatore per il paese, con un totale di 33 milioni di EUR stanziati per il periodo 2015-2016 del programma indicativo nazionale (PIN); che dopo la riduzione degli aiuti, nel giugno 2015 il presidente Jammeh ha immediatamente espulso l'incaricato d'affari dell'UE in Gambia, Agnes Guillard;

O.  considerando che il PIN per il periodo 2015-2016 per il Gambia prevede investimenti in agricoltura e sicurezza alimentare, come pure nel settore dei trasporti, ma nessuno stanziamento di fondi a favore dello sviluppo della società civile, della governance democratica o della promozione dei diritti umani e dello Stato di diritto;

P.  considerando che il Gambia è membro dell'ECOWAS; che nel luglio 2014 l'UE e l'ECOWAS hanno sottoscritto un accordo di partenariato economico (APE) che sarà ratificato nel 2016; che gli APE rafforzano non solo il commercio equo e solidale, ma anche i diritti umani e il conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile;

Q.  considerando che il Gambia è uno Stato membro dell'Unione africana (UA), una parte contraente della Carta africana e un firmatario della Carta africana sulla democrazia, le elezioni e il buon governo;

R.  considerando che la legge di modifica della legge elettorale del 2015 esclude i partiti di opposizione con un aumento dei costi e rende il Gambia uno dei paesi in cui è più dispendioso competere per una carica pubblica, limitando, in questo modo, i diritti dei cittadini;

1.  esprime massima preoccupazione per il rapido deterioramento della situazione della sicurezza e dei diritti umani in Gambia e deplora gli attacchi perpetrati il 14 e il 16 aprile 2016 contro i partecipanti a manifestazioni pacifiche;

2.  chiede il rilascio immediato di tutti i manifestanti arrestati nell'ambito delle proteste del 14 e del 16 aprile 2016; chiede al governo della Repubblica del Gambia di garantire un giusto processo a tutte le persone detenute perché sospettate di aver partecipato al tentativo incostituzionale di cambiamento di governo; chiede alle autorità del Gambia di garantire la loro integrità fisica e psicologica in ogni circostanza e di assicurare che chi è ferito riceva senza indugio assistenza medica; esprime preoccupazione per le testimonianze di torture e maltrattamenti di altri prigionieri;

3.  esorta le autorità gambiane a svolgere un'indagine rapida e indipendente su tali eventi ed esprime profonda preoccupazione, in particolare, per la notizia del decesso in carcere dell'attivista di opposizione Solo Sandeng;

4.  condanna fermamente le sparizioni forzate, le detenzioni arbitrarie, le torture e le altre violazioni dei diritti umani perpetrate a danno delle voci del dissenso, tra cui giornalisti, difensori dei diritti umani, oppositori e critici politici, come pure delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender, durante il governo del presidente Yahya Jammeh; chiede che tutti i prigionieri tenuti in isolamento siano sottoposti a processo o rilasciati;

5.  chiede all'UE e all'UA di collaborare con il Gambia per istituire misure di salvaguardia contro la tortura, garantire un accesso indipendente ai prigionieri e riformare tutte le norme che interferiscono con i diritti alla libertà di espressione, associazione e riunione pacifica, tra cui quelle riguardanti i reati di sedizione, diffamazione e diffusione di informazioni false, previsti dal codice penale, e l'emendamento alla legge sull'informazione e la comunicazione del 2013, che prevede la censura dell'espressione online;

6.  invita il Gambia a ratificare la convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti;

7.  invita il governo del Gambia a indagare sulle prove di violazioni dei diritti umani commesse dalla NIA, a introdurre norme volte a garantire pari diritti ai cittadini, anche in merito ai problemi relativi alle disuguaglianze, e a portare avanti i progetti per la creazione di una commissione nazionale per i diritti umani, conformemente ai principi di Parigi sulle istituzioni per i diritti umani, con l'obiettivo di monitorare i presunti casi di violazioni dei diritti umani e svolgere indagini al riguardo;

8.  esorta il governo del Gambia e le autorità regionali ad adottare tutte le misure necessarie per fermare le discriminazioni e gli attacchi a danno delle persone LGBTI e la loro criminalizzazione, nonché per garantire il loro diritto alla libertà di espressione, anche mediante la rimozione dal codice penale gambiano delle disposizioni che criminalizzano le persone LGBTI;

9.  chiede alle autorità gambiane di evitare ogni forma di discriminazione religiosa, di incoraggiare un dialogo pacifico e inclusivo tra tutte le comunità e di adoperarsi a favore di tale dialogo;

10.  invita l'ECOWAS e l'UA a portare avanti il proprio impegno per quanto concerne le violazioni dei diritti umani commesse attualmente dal regime gambiano; rammenta che la sicurezza e la stabilizzazione sono tuttora grandi sfide nella regione dell'Africa occidentale e insiste sulla necessità che l'UA e l'ECOWAS monitorino da vicino la situazione in Gambia e si impegnino in un dialogo politico permanente con le autorità gambiane sul rafforzamento della democrazia e dello Stato di diritto;

11.  esorta il governo della Repubblica del Gambia a ratificare la Carta africana sulla democrazia, le elezioni e il buon governo prima delle elezioni presidenziali previste per dicembre 2016;

12.  invita il governo del Gambia ad instaurare un dialogo autentico con tutti i partiti politici di opposizione in merito alle riforme legislative e politiche volte a garantire lo svolgimento libero ed equo delle elezioni e il rispetto della libertà di associazione e di riunione, conformemente agli obblighi internazionali del paese; rammenta che la piena partecipazione alle elezioni nazionali libere e indipendenti da parte dell'opposizione e della società civile indipendente è un fattore importante per il successo delle elezioni stesse;

13.  incoraggia la comunità internazionale, comprese le organizzazioni locali per i diritti umani e le ONG, come pure la delegazione dell'UE in Gambia e le altre istituzioni internazionali pertinenti, a monitorare attivamente il processo elettorale, prestando particolare attenzione alla garanzia del rispetto pubblico della libertà di associazione e riunione;

14.  invita il governo del Gambia ad adottare tutte le misure necessarie per garantire, in ogni circostanza, il pieno rispetto della libertà di espressione e della libertà di stampa; chiede, a tal proposito, di riformare le disposizioni della legge sull'informazione e la comunicazione in modo che la legislazione nazionale sia resa conforme alle norme internazionali;

15.  esprime preoccupazione per il fatto che il PIN 2015-2016 per il Gambia non preveda alcun sostegno o finanziamento a favore della società civile o della governance democratica, della promozione dello Stato di diritto e della tutela dei diritti umani; invita la Commissione a garantire che la governance democratica, lo Stato di diritto e la tutela dei diritti umani costituiscano i settori prioritari di qualsiasi accordo di cooperazione allo sviluppo considerato in futuro tra l'UE e il Gambia;

16.  invita la delegazione dell'UE in Gambia ad avvalersi di tutti gli strumenti di cui dispone, tra cui lo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani, per monitorare attivamente le condizioni di detenzione in Gambia e per accompagnare e monitorare le indagini sulla repressione delle proteste del 14 e del 16 aprile 2016 da parte del governo e sul trattamento dei manifestanti detenuti, come pure a intensificare gli sforzi per collaborare con gli esponenti dell'opposizione politica, i leader studenteschi, i giornalisti, i difensori dei diritti umani, i sindacalisti e i rappresentanti delle persone LGBTI;

17.  esorta l'UE e i suoi Stati membri a effettuare una consultazione pubblica a norma dell'articolo 96 dell'accordo di Cotonou e a valutare la possibilità di congelare ogni forma di assistenza non umanitaria al governo del Gambia e di imporre divieti di viaggio e altre sanzioni mirate ai funzionari responsabili di gravi violazioni dei diritti umani;

18.  incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, al vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, all'Unione africana, ai governi dei paesi membri della Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale, al governo e al Parlamento del Gambia, al Segretario generale delle Nazioni Unite, al Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani e all'Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE.

(1) Testi approvati, P8_TA(2015)0079.


Gibuti
PDF 264kWORD 79k
Risoluzione del Parlamento europeo del 12 maggio 2016 su Gibuti (2016/2694(RSP))
P8_TA(2016)0220RC-B8-0594/2016

Il Parlamento europeo,

–  viste le sue precedenti risoluzioni su Gibuti, tra cui quella del 4 luglio 2013 sulla situazione in Gibuti(1) e quella del 15 gennaio 2009 sulla situazione nel Corno d'Africa(2),

–  visto il programma indicativo nazionale per Gibuti a titolo dell'11° Fondo europeo di sviluppo del 19 giugno 2014,

–  viste le dichiarazioni del 12 aprile 2016 e del 23 dicembre 2015 del portavoce del Servizio europeo per l'azione esterna,

–  vista la dichiarazione dell'Alto rappresentante, Federica Mogherini, a nome dell’Unione europea in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa del 3 maggio 2016

–  visto il partenariato politico regionale dell'UE per la pace, la sicurezza e lo sviluppo nel Corno d'Africa,

–  visto il patto internazionale relativo ai diritti civili e politici,

–  vista la convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti,

–  vista la convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna,

–  vista la Carta africana dei diritti dell'uomo e dei popoli, che Gibuti ha ratificato,

–  viste le azioni e le comunicazioni dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO) a proposito di Gibuti,

–  viste le conclusioni preliminari del 10 aprile 2016 della missione di osservazione elettorale dell'Unione africana che ha monitorato le elezioni presidenziali,

–  visto lo statuto di Roma della Corte penale internazionale, di cui Gibuti è parte contraente dal 2003,

–  visto l'accordo quadro firmato il 30 dicembre 2014 tra l'Unione per la maggioranza presidenziale (UMP), la coalizione al governo, e l'Unione per la salvezza nazionale (USN), la coalizione all'opposizione, finalizzato a promuovere una politica nazionale pacifica e democratica,

–  visto il decreto n. 2015-3016 PR/PM del 24 novembre 2015, adottato dal Consiglio dei ministri di Gibuti, che stabilisce misure di sicurezza eccezionali in seguito agli attacchi di Parigi del 13 novembre 2015,

–  vista la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948,

–  visto il protocollo alla Carta africana per i diritti dell'uomo e dei popoli sui diritti delle donne in Africa,

–  visto l'accordo di Cotonou firmato il 23 giugno 2000 e rivisto il 22 giugno 2010,

–  vista la Costituzione della Repubblica di Gibuti del 1992, che riconosce le libertà fondamentali e i principi di base del buon governo.

–  visti gli orientamenti per le missioni di osservazione e controllo elettorale nell'Unione africana,

–  visti l'articolo 135, paragrafo 5, e l'articolo 123, paragrafo 4, del suo regolamento,

A.  considerando che Ismail Omar Guelleh è il presidente di Gibuti dal 1999 e che ha conseguito una vittoria schiacciante alle elezioni di aprile 2016 con l'87,1 % dei voti, il che è stato oggetto di critiche da parte dei partiti all'opposizione e dei gruppi per la tutela dei diritti in quanto tale risultato sarebbe stato ottenuto tramite repressione politica; che alcuni candidati dell'opposizione hanno boicottato le elezioni del 2005, del 2011 e del 2016; che nel 2010 il presidente Guelleh ha convinto l'Assemblea nazionale a modificare la costituzione, dopo aver annunciato che non si sarebbe presentato alle elezioni del 2016, rendendo così possibile la sua candidatura per un terzo mandato nel 2011; che le conseguenti proteste politiche sono state represse;

B.  considerando che la posizione privilegiata di Gibuti nel golfo di Aden lo ha reso di importanza strategica per le basi militari straniere e che il paese è considerato un polo per la lotta alla pirateria e al terrorismo;

C.  considerando che dieci donne gibutiane hanno intrapreso uno sciopero della fame a Parigi allo scopo di ottenere l'esecuzione di un'inchiesta internazionale sugli stupri commessi ai danni delle donne gibutiane e che quattro di tali donne hanno affermato di essere state esse stesse violentate, mentre un'altra donna, Fatou Ambassa, di 30 anni, ha digiunato in memoria di sua cugina, Halima, la quale sarebbe deceduta in seguito a uno stupro di gruppo nel 2003, all'età di 16 anni; che otto di queste donne hanno proseguito la loro protesta per 19 giorni, dal 25 marzo al 12 aprile 2016, e che altre dieci donne hanno seguito il loro esempio a Bruxelles; che le autorità gibutiane contestano le loro accuse; che le donne sono prese in ostaggio nell'ambito del conflitto tra l'esercito di Gibuti e FRUD-armé; che la commissione delle donne gibutiane (Comité des Femmes Djiboutiennes Contre le Viol et l’Impunité – COFEDVI), istituita nel 1993, ha registrato 246 casi di abusi commessi da militari sulla base di circa 20 denunce presentate;

D.  considerando che nessuna missione di osservazione elettorale è stata invitata a monitorare le elezioni e che l'offerta di inviare una missione di esperti elettorali da parte dell'UE è stata rifiutata dalle autorità di Gibuti; che la missione di osservazione elettorale dell'Unione africana raccomanda l'istituzione di una commissione elettorale indipendente responsabile del processo elettorale, compreso l'annuncio dei risultati provvisori;

E.  considerando che i candidati dell'opposizione, Omar Elmi Khaireh, Mohamed Moussa Ali e Djama Abdourahman, hanno contestato i risultati delle elezioni dell'aprile 2016, poiché poco trasparenti e non corrispondenti alla volontà della popolazione di Gibuti; che le organizzazioni locali per i diritti umani non hanno riconosciuto i risultati; che lo spazio politico per l'opposizione rimane molto ristretto con una limitata libertà di espressione; che le forze di polizia e i servizi di sicurezza esercitano un rigido controllo sul paese e che il sistema giudiziario è debole e vicino al governo; che i leader dell'opposizione sono costantemente vittime di arresti e intimidazioni e che sono stati segnalati casi di presunta tortura; che l'esercito avrebbe ordinato di rimuovere i rappresentanti dell'opposizione da alcuni seggi elettorali di modo che le urne potessero essere riempite con voti falsi, mentre altre circoscrizioni, come ad esempio Ali-Sabieh, sarebbero state poste sotto controllo militare; che il presidente Guelleh ha organizzato un ricevimento presumibilmente per ricompensare l'esercito per il contributo fornito alla sua elezione ancora prima che i risultati fossero resi noti; che l'Unione africana ha segnalato diverse irregolarità (l'assenza di registrazioni, la mancata pubblicazione dei risultati e il fatto che i voti non siano stati conteggiati pubblicamente);

F.  considerando che il 31 dicembre 2015, in seguito all'esclusione dei membri dell'opposizione dal parlamento, si è fatto ricorso a una legge che impone lo stato di emergenza, introdotta a novembre 2015, per limitare le libertà individuali e reprimere gli attivisti dell'opposizione, i difensori dei diritti umani, i sindacalisti e i giornalisti;

G.  considerando che il 30 dicembre 2014 la coalizione di governo, l'UMP, ha firmato un accordo quadro con la coalizione di opposizione, l'USN, che prevede una riforma della commissione elettorale nazionale indipendente (Commission Électorale Nationale Indépendante), la creazione di una commissione parlamentare condivisa e riforme a breve e medio termine; che nel febbraio 2015 è stata istituita la commissione parlamentare mista ma che non è stato presentato nessuno dei più importanti progetti di legge (quale la legge sulla creazione di una commissione elettorale congiunta indipendente e la legge sui diritti e gli obblighi dei partiti politici); che il 26 agosto 2015 le autorità di Gibuti hanno annunciato che la commissione elettorale non sarebbe stata riformata;

H.  considerando che a Gibuti non esistono stazioni radio o televisive private e che le autorità controllano attentamente i siti web d'opposizione e bloccano regolarmente i siti web e i social media delle organizzazioni per i diritti umani; che il governo è proprietario del principale quotidiano, La Nation, e dell'emittente nazionale, Radiodiffusion-Télévision de Djibouti, che pratica l'autocensura; che nel 2015 Freedom House ha classificato la stampa a Gibuti come non libera; che Gibuti si trova al 170º posto (su 180 paesi) nella classifica mondiale della libertà di stampa 2015 redatta da Reporter senza frontiere; che, durante il governo di coalizione dell'UMP, i partiti e gli attivisti dell'opposizione sono stati continuamente oggetto di repressione e che molti attivisti di partito e giornalisti, tra cui un giornalista della BBC durante la campagna per le elezioni presidenziali del 2016, sono stati soggetti a procedimenti giudiziari; che il 19 gennaio 2016 il principale quotidiano d'opposizione, l'Aurore, è stato chiuso per ordine del tribunale; che la commissione per la comunicazione nazionale, che doveva essere istituita nel 1993, non è ancora stata creata;

I.  considerando che, in particolare nel 2012, nella regione del Mablas si è registrata un'ondata di arresti arbitrari di presunti membri del FRUD-armé;

J.  considerando che, in occasione di una celebrazione culturale tenutasi il 21 dicembre 2015 a Buldugo, le autorità avrebbero ucciso almeno 27 persone, ferendone oltre 150, anche se il governo di Gibuti insiste che le vittime sarebbero solo sette; che successivamente la polizia si è introdotta nei locali in cui si stavano riunendo i leader dell'opposizione, ferendone diversi e incarcerando due influenti dirigenti dell'opposizione (Abdourahman Mohammed Guelleh, Segretario generale dell'USN e Hamoud Abdi Souldan), senza alcuna accusa formulata a loro carico; che entrambi sono stati liberati pochi giorni prima delle elezioni presidenziali e che il primo è stato accusato penalmente; che Omar Ali Ewado, dirigente sindacale e difensore dei diritti umani, è stato detenuto in isolamento dal 29 dicembre 2015 al 14 febbraio 2016 per aver pubblicato un elenco delle vittime del massacro e dei dispersi; che anche il suo avvocato è stato trattenuto presso l'aeroporto; che Said Houssein Robleh, membro dell'opposizione e Segretario generale della LDDH, è stato ferito dagli spari della polizia di Gibuti e si trova attualmente in esilio in Europa;

K.  considerando che le condizioni di detenzione in cui versano le carceri di Gibuti sono estremamente preoccupanti;

L.  considerando che, a seguito degli attacchi terroristici di Parigi del 13 novembre 2015, il Consiglio dei ministri di Gibuti ha adottato in data 24 novembre 2015 il decreto n. 2015-3016 PR/PM, vietando raduni e incontri negli spazi pubblici come misura contro il terrorismo;

M.  considerando che a Gibuti non esiste una normativa contro la violenza domestica e lo stupro da parte del coniuge; che le autorità hanno informato il Comitato delle Nazioni Unite per l'eliminazione della discriminazione contro le donne (CEDAW) di essere a conoscenza del fatto che i loro tentativi di combattere la violenza di genere sono insufficienti; che, pur essendo illegale dal 2005, il 98% delle donne a Gibuti ha subito una qualche forma di mutilazione genitale femminile;

N.  considerando che, secondo la Banca mondiale, oltre il 23% dei cittadini di Gibuti vive in condizioni di estrema povertà e che il 74% vive con meno di 3 dollari USA al giorno; che l'insicurezza alimentare a Gibuti è stata aggravata dal rincaro dei prezzi alimentari, dalla scarsità delle risorse idriche, dal cambiamento climatico e dalla riduzione dei pascoli; che Gibuti è beneficiario del pacchetto di aiuti dell'UE di 79 milioni di EUR destinato alle nazioni del Grande Corno d'Africa colpite dal fenomeno di El Niño;

O.  considerando che il rispetto dei diritti dell'uomo, dei principi democratici e dello Stato di diritto sono alla base del partenariato ACP-UE e costituiscono elementi essenziali dell'accordo di Cotonou; che l'Unione europea deve intensificare senza indugio il dialogo politico regolare con Gibuti a norma dell'articolo 8 dell'accordo di Cotonou;

P.  considerando che Gibuti riceve attualmente 105 milioni di EUR in fondi bilaterali dell'UE, principalmente per l'acqua potabile, i servizi igienico-sanitari e la sicurezza alimentare e nutrizionale, nel quadro del programma indicativo nazionale a titolo dell'11º Fondo europeo di sviluppo; che al termine del periodo 2013-2017 Gibuti avrà ricevuto 14 milioni di EUR nell'ambito dell'iniziativa dell'UE "Sostenere la resilienza del Corno d'Africa", che mira a offrire alle comunità locali i mezzi per resistere alle ricorrenti siccità;

Q.  considerando che Gibuti ospita attualmente oltre 15 000 rifugiati dalla Somalia e dall'Eritrea e circa 8 000 in più dallo Yemen; che le donne e le ragazze nei campi profughi sono a rischio di violenza di genere; che la Commissione sta fornendo assistenza, ad esempio servizi di salvataggio, e aiuti finanziari alle comunità che ospitano i campi profughi;

1.  esprime preoccupazione per lo stallo nel processo di democratizzazione a Gibuti, che è stato aggravato dal Parlamento, il quale ha modificato le disposizioni della Costituzione di Gibuti sulla limitazione dei mandati presidenziali, e per le presunte vessazioni subite dai membri dell'opposizione, che sarebbero inoltre stati esclusi da diversi seggi elettorali; sottolinea l'importanza di elezioni regolari, senza intimidazioni;

2.  chiede che sia svolta un'indagine approfondita sulla trasparenza del processo elettorale e sulle elezioni del 2016 a Gibuti; ribadisce l'invito dell'UE a pubblicare i risultati di ciascun seggio elettorale per le elezioni del 2013 e del 2016;

3.  denuncia con fermezza gli stupri presumibilmente commessi dai soldati di Gibuti contro i civili segnalati da varie ONG, come evidenziato dai casi di sciopero della fame, e invita le autorità di Gibuti a svolgere un'indagine approfondita sulle azioni dell'esercito e in particolare a porre fine all'impunità; esorta l'ONU a indagare sulla situazione dei diritti umani a Gibuti, in particolare la situazione delle donne nel paese; esprime piena solidarietà alle donne di Gibuti che attualmente stanno osservando lo sciopero della fame in Francia e in Belgio;

4.  denuncia le interferenze dell'esercito e della polizia nei processi democratici e ribadisce che è fondamentale sottoporre il processo elettorale a un'indagine approfondita e trasparente; esprime preoccupazione per l'apparente volontà del presidente di festeggiare prematuramente la vittoria riportata alle elezioni dell'aprile 2016; ricorda che Gibuti è parte contraente della Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti e che l'articolo 16 della costituzione gibutiana prevede che nessuno possa essere sottoposto a tortura o a maltrattamenti o ad atti crudeli, disumani, degradanti o umilianti; invita le autorità gibutiane a indagare approfonditamente sulle accuse di tortura e maltrattamenti e a garantire che i responsabili siano processati e, se condannati, puniti con sanzioni adeguate e che le vittime siano adeguatamente risarcite; le invita altresì a istituire un meccanismo indipendente per indagare sulle denunce di irregolarità;

5.  deplora la decisione delle autorità gibutiane non riformare la commissione elettorale nazionale, come previsto dall'accordo quadro firmato il 30 dicembre 2014, e le esorta a collaborare strettamente con l'opposizione al fine di pervenire a un processo elettorale più equo e trasparente;

6.  ricorda alle autorità di Gibuti di essersi impegnate a proteggere i giornalisti, conformemente agli orientamenti dell'Unione africana per le missioni di osservazione e controllo elettorale; condanna il trattamento inflitto ai giornalisti e ricorda alle autorità gibutiane l'importanza della libertà di stampa e il diritto a un giusto processo; chiede alle autorità gibutiane una spiegazione motivata circa il trattamento cui sono stati sottoposti i giornalisti; condanna fermamente le vessazioni e le detenzioni senza capi d'accusa avvenute nei confronti di leader dell'opposizione, giornalisti e attivisti indipendenti per i diritti umani nel periodo precedente le elezioni presidenziali; chiede alle autorità di Gibuti di porre fine alla repressione degli oppositori politici e dei giornalisti e di rilasciare tutti coloro che sono detenuti per motivi politici o per aver esercitato il diritto alla libertà dei media; chiede alle autorità di Gibuti di rivedere la legislazione sullo stato di emergenza del paese, al fine di allinearla pienamente al diritto internazionale;

7.  condanna la mancanza di una stampa indipendente nel paese e il controllo e la censura di siti web critici nei confronti del governo; deplora la pratica dell'autocensura condotta dai mezzi di comunicazione di proprietà dello Stato; chiede al governo di Gibuti di concedere la licenza di radiodiffusione in FM a qualsiasi organo di informazione indipendente che ne faccia richiesta; invita il governo a concedere ai giornalisti stranieri il libero accesso al paese per consentire loro di svolgere il proprio lavoro in modo sicuro e oggettivo; chiede al governo di Gibuti di porre in essere la commissione nazionale per la comunicazione e di autorizzare la radiodiffusione indipendente e privata;

8.  deplora le uccisioni perpetrate in occasione della cerimonia culturale del 21 dicembre 2015 e le successive detenzioni e vessazioni nei confronti di difensori dei diritti umani e membri dell'opposizione; esprime il suo cordoglio alle famiglie delle vittime e chiede un'indagine completa e indipendente al fine di individuare e consegnare alla giustizia i responsabili; ribadisce la sua condanna della detenzione arbitraria e chiede il rispetto dei diritti della difesa;

9.  chiede alle autorità gibutiane di garantire il rispetto dei diritti umani riconosciuti negli accordi nazionali e internazionali che il paese ha sottoscritto e di tutelare le libertà e i diritti civili e politici, tra cui il diritto di manifestare pacificamente e la libertà di stampa;

10.  esorta il governo a continuare ad addestrare le forze di polizia e gli altri funzionari ai fini dell'applicazione della legge sulla tratta di esseri umani, a intensificare gli sforzi volti ad assicurare alla giustizia i responsabili della tratta e a sensibilizzare al problema della tratta le autorità giudiziarie, legislative e amministrative, la società civile e le organizzazioni non governative che operano nel paese, nonché il pubblico in generale;

11.  chiede che a Gibuti le donne e gli uomini siano trattati allo stesso modo dinanzi alla legge e ricorda alle autorità gibutiane di aver sottoscritto la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna;

12.  plaude agli interventi del governo di Gibuti riguardo alla pratica diffusa della mutilazione genitale femminile, ma auspicherebbe il conseguimento di maggiori progressi;

13.  invita le autorità a concedere alle ONG l'accesso ai distretti di Obock, Tadjoural e Dikhil;

14.  chiede alle autorità civili e militari di dar prova della massima moderazione durante le operazioni di polizia e dell'esercito nel nord del paese e, in particolare, di non usare alcun tipo di violenza contro la popolazione civile né di utilizzare la popolazione come scudo attorno agli accampamenti militari;

15.  esprime la sua disponibilità a seguire attentamente l'evoluzione della situazione a Gibuti e a proporre misure restrittive in caso di violazione degli accordi di Cotonou (2000), in particolare degli articoli 8 e 9; chiede alla Commissione di seguire anch'essa da vicino la situazione;

16.  sollecita il Servizio europeo per l'azione esterna (SEAE) e la Commissione, nonché i loro partner, a collaborare con i cittadini di Gibuti per una riforma politica a lungo termine, operazione che dovrebbe essere agevolata in particolare dagli stretti rapporti già esistenti, dato che Gibuti è stata una componente fondamentale nella lotta contro il terrorismo e la pirateria nella regione, oltre a ospitare una base militare e a contribuire alla stabilità della regione;

17.  invita la Commissione a fornire ulteriore sostegno alle organizzazioni indipendenti e alla società civile, in particolare indicendo quanto prima una gara d'appalto nel quadro dello strumento europeo per la democrazia e i diritti umani;

18.  incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al governo di Gibuti, alle istituzioni dell'Unione africana, all'Autorità intergovernativa per lo sviluppo, alla Lega araba, all'Organizzazione per la Cooperazione Islamica, al vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, agli Stati membri dell'UE, nonché ai copresidenti dell'Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE.

(1) GU C 75 del 26.2.2016, pag. 160.
(2) GU C 46 E del 24.2.2010, pag. 102.


Scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale *
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Risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 12 maggio 2016 sulla proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale (COM(2016)0025 – C8-0030/2016 – 2016/0010(CNS))
P8_TA(2016)0221A8-0157/2016

(Procedura legislativa speciale – consultazione)

Il Parlamento europeo,

–  vista la proposta della Commissione al Consiglio (COM(2016)0025),

–  visti gli articoli 113 e 115 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, a norma dei quali è stato consultato dal Consiglio (C8-0030/2016),

–  visto il parere motivato inviato dal Parlamento svedese, nel quadro del protocollo n. 2 sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, in cui si dichiara la mancata conformità del progetto di atto legislativo al principio di sussidiarietà,

–  visto l'articolo 59 del suo regolamento,

–  vista la relazione della commissione per i problemi economici e monetari (A8-0157/2016),

1.  approva la proposta della Commissione quale emendata;

2.  invita la Commissione a modificare di conseguenza la sua proposta, in conformità dell'articolo 293, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea;

3.  invita il Consiglio ad informarlo qualora intenda discostarsi dal testo approvato dal Parlamento;

4.  chiede al Consiglio di consultarlo nuovamente qualora intenda modificare sostanzialmente la proposta della Commissione;

5.  incarica il suo Presidente di trasmettere la posizione del Parlamento al Consiglio e alla Commissione nonché ai parlamenti nazionali.

Testo della Commissione   Emendamento
Emendamento 1
Proposta di direttiva
Considerando 1
(1)  Di recente la sfida rappresentata dalla frode fiscale e dall’evasione fiscale ha assunto proporzioni notevoli ed è divenuta una delle preoccupazioni principali nell’Unione e nel mondo. Lo scambio automatico di informazioni rappresenta un strumento importante a tale riguardo e la Commissione, nella comunicazione del 6 dicembre 2012 relativa al piano d’azione per rafforzare la lotta alla frode fiscale e all’evasione fiscale, ha evidenziato la necessità di promuovere risolutamente lo scambio automatico di informazioni come futuro standard europeo e internazionale per la trasparenza e lo scambio di informazioni in materia fiscale. Il Consiglio europeo, nelle conclusioni del 22 maggio 2013, ha chiesto che lo scambio automatico di informazioni sia esteso a livello dell’Unione e a livello mondiale per combattere la frode fiscale, l’evasione fiscale e la pianificazione fiscale aggressiva.
(1)  Di recente la sfida rappresentata dalla frode fiscale, dall'elusione fiscale e dall’evasione fiscale ha assunto proporzioni notevoli ed è divenuta una delle preoccupazioni principali nell’Unione e nel mondo. Lo scambio automatico di informazioni rappresenta un strumento importante a tale riguardo e la Commissione, nella comunicazione del 6 dicembre 2012 relativa al piano d’azione per rafforzare la lotta alla frode fiscale e all’evasione fiscale, ha evidenziato la necessità di promuovere risolutamente lo scambio automatico di informazioni come futuro standard europeo e internazionale per la trasparenza e lo scambio di informazioni in materia fiscale. Il Consiglio europeo, nelle conclusioni del 22 maggio 2013, ha chiesto che lo scambio automatico di informazioni sia esteso a livello dell’Unione e a livello mondiale per combattere la frode fiscale, l’evasione fiscale e la pianificazione fiscale aggressiva.
Emendamento 2
Proposta di direttiva
Considerando 2
(2)  Svolgendo le proprie attività in più paesi, i gruppi di imprese multinazionali hanno la possibilità di attuare pratiche di pianificazione fiscale aggressiva che non sono alla portata delle imprese che operano su scala nazionale. Quando le imprese multinazionali attuano questo tipo di pratiche, le imprese operanti su scala nazionale, di norma piccole e medie imprese (PMI), possono subire effetti particolarmente negativi dal momento che i loro oneri fiscali sono più elevati rispetto a quelli dei gruppi di imprese multinazionali. Al contempo tutti gli Stati membri possono subire perdite di gettito fiscale, con il rischio che si instauri una concorrenza per attrarre i gruppi di imprese multinazionali offrendo loro ulteriori vantaggi fiscali. Questa situazione pone dunque un problema per quanto concerne il corretto funzionamento del mercato interno.
(2)  Svolgendo le proprie attività in più paesi, i gruppi di imprese multinazionali hanno la possibilità di attuare pratiche di pianificazione fiscale aggressiva che non sono alla portata delle imprese che operano su scala nazionale. Quando le imprese multinazionali attuano questo tipo di pratiche, le imprese operanti su scala nazionale, di norma piccole e medie imprese (PMI), possono subire effetti particolarmente negativi dal momento che solitamente versano un'aliquota d'imposta effettiva molto più prossima alle aliquote previste per legge rispetto alle imprese multinazionali, con la conseguenza di provocare distorsioni e malfunzionamenti del mercato interno nonché di falsare la concorrenza a danno delle PMI. Per evitare distorsioni della concorrenza, le imprese operanti su scala nazionale non dovrebbero subire svantaggi a causa delle loro dimensioni o dell'assenza di scambi commerciali transfrontalieri. Inoltre, tutti gli Stati membri possono subire perdite di gettito fiscale, con il rischio che si instauri una concorrenza sleale reciproca per attrarre i gruppi di imprese multinazionali offrendo loro ulteriori vantaggi fiscali. Questa situazione pone dunque un problema per quanto concerne il corretto funzionamento del mercato interno. A tale riguardo è opportuno sottolineare che è la Commissione ad essere responsabile del buon funzionamento del mercato interno.
Emendamento 3
Proposta di direttiva
Considerando 2 bis (nuovo)
(2 bis)  Per l'Unione è fondamentale che le norme fiscali siano concepite in modo da non compromettere la crescita o gli investimenti o costituire uno svantaggio competitivo per le società nell'Unione, né aumentare il rischio di doppia imposizione; è altresì essenziale che tali norme siano concepite per ridurre al minimo i costi e gli oneri amministrativi per le società.
Emendamento 4
Proposta di direttiva
Considerando 3
(3)  Le autorità fiscali dell’Unione necessitano di informazioni complete e pertinenti per quanto riguarda la struttura, la politica in materia di prezzi di trasferimento e le operazioni interne, sia nell’Unione che nei paesi extraunionali, dei gruppi di imprese multinazionali. Disporre di queste informazioni consentirà infatti alle autorità fiscali di reagire alle pratiche fiscali dannose modificando la legislazione o effettuando adeguate valutazioni dei rischi e verifiche fiscali, oltre a permettere loro di determinare se le società siano coinvolte in pratiche che provocano lo spostamento artificiale di porzioni cospicue del loro reddito in aree con una fiscalità vantaggiosa.
(3)  Le autorità fiscali degli Stati membri necessitano di informazioni complete e pertinenti per quanto riguarda la struttura, la politica in materia di prezzi di trasferimento, la liquidazione delle imposte, i crediti d'imposta e le operazioni interne, sia nell’Unione che nei paesi extraunionali, dei gruppi di imprese multinazionali. Disporre di queste informazioni consentirà infatti alle autorità fiscali di reagire alle pratiche fiscali dannose modificando la legislazione o effettuando adeguate valutazioni dei rischi e verifiche fiscali, oltre a permettere loro di determinare se le società siano coinvolte in pratiche che provocano lo spostamento artificiale di porzioni cospicue del loro reddito in aree con una fiscalità vantaggiosa. Anche la Commissione dovrebbe avere accesso alle informazioni scambiate tra le autorità fiscali degli Stati membri al fine di garantire il rispetto delle pertinenti norme in materia di concorrenza. La Commissione dovrebbe trattare in maniera riservata tali informazioni e adottare tutte le misure appropriate per proteggerle.
Emendamento 5
Proposta di direttiva
Considerando 4
(4)  Una maggiore trasparenza nei confronti delle autorità fiscali potrebbe incentivare i gruppi di imprese multinazionali ad abbandonare determinate pratiche e a pagare la giusta quota di tasse nel paese in cui realizzano gli utili. Pertanto aumentare la trasparenza per i gruppi di imprese multinazionali costituisce un elemento essenziale della lotta contro l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili.
(4)  Un adeguato livello di informazioni fornite alle autorità fiscali degli Stati membri e scambiate tra queste ultime e la Commissione potrebbe incentivare i gruppi di imprese multinazionali ad abbandonare determinate pratiche e a pagare le tasse dovute nel paese in cui il valore è creato. Inoltre, incrementerebbe la "pressione tra pari" tra gli Stati membri e focalizzerebbe l'attenzione dei mercati finanziari sulla responsabilità fiscale delle imprese multinazionali. Pertanto aumentare la trasparenza per i gruppi di imprese multinazionali, senza ostacolare la competitività dell'Unione, costituisce un elemento essenziale della lotta contro l’erosione della base imponibile e, infine, contro l’elusione fiscale.
Emendamento 6
Proposta di direttiva
Considerando 6
(6)  Nella rendicontazione paese per paese i gruppi di imprese multinazionali dovrebbero fornire ogni anno e per ogni giurisdizione fiscale in cui operano l’importo delle entrate, gli utili al lordo delle imposte sul reddito e le imposte sul reddito pagate e maturate. Dovrebbero riportare inoltre il numero di addetti, il capitale dichiarato, gli utili non distribuiti e le immobilizzazioni materiali per ciascuna giurisdizione fiscale. Infine i gruppi di imprese multinazionali dovrebbero individuare tutte le imprese del gruppo che operano in una determinata giurisdizione fiscale e fornire un’indicazione delle attività economiche che ciascuna di esse svolge.
(6)  Nella rendicontazione paese per paese i gruppi di imprese multinazionali dovrebbero fornire ogni anno e per ogni giurisdizione fiscale in cui operano l’importo delle entrate, gli utili al lordo delle imposte sul reddito e le imposte sul reddito pagate e maturate, nonché i crediti d'imposta. Dovrebbero riportare inoltre il numero di addetti, il capitale dichiarato, gli utili non distribuiti e le immobilizzazioni materiali per ciascuna giurisdizione fiscale. Infine i gruppi di imprese multinazionali dovrebbero individuare tutte le imprese del gruppo che operano in una determinata giurisdizione fiscale e fornire un’indicazione delle attività economiche che ciascuna di esse svolge.
Emendamento 7
Proposta di direttiva
Considerando 8
(8)  Per assicurare il corretto funzionamento del mercato interno l’Unione deve garantire una concorrenza leale tra i gruppi di imprese multinazionali unionali e quelli extraunionali che abbiano una o più imprese situate nell’Unione. Entrambe le tipologie di gruppo dovrebbero quindi essere soggette all’obbligo di informativa.
(8)  Per assicurare il corretto funzionamento del mercato interno l’Unione deve garantire una concorrenza leale tra i gruppi di imprese multinazionali unionali e quelli extraunionali che abbiano una o più imprese situate nell’Unione. Entrambe le tipologie di gruppo dovrebbero quindi essere soggette all’obbligo di informativa. A tale riguardo gli Stati membri dovrebbero avere la responsabilità di far rispettare l'obbligo di informativa delle imprese multinazionali, introducendo, ad esempio, misure per penalizzare le imprese multinazionali in caso di mancata comunicazione.
Emendamento 8
Proposta di direttiva
Considerando 9 bis (nuovo)
(9 bis)  Gli Stati membri dovrebbero adoperarsi per mantenere o incrementare il livello di risorse umane, tecniche e finanziarie preposto allo scambio automatico di informazioni tra le amministrazioni fiscali e al trattamento dei dati all'interno delle stesse.
Emendamento 9
Proposta di direttiva
Considerando 11
(11)  Per quanto riguarda lo scambio di informazioni tra gli Stati membri, la direttiva 2011/16/UE del Consiglio, del 15 febbraio 2011, relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale e che abroga la direttiva 77/799/CEE, prevede già lo scambio automatico obbligatorio di informazioni in un certo numero di settori. Dovrebbe quindi esserne ampliato il campo di applicazione per prevedere lo scambio automatico obbligatorio delle rendicontazioni paese per paese tra gli Stati membri.
(11)  Per quanto riguarda lo scambio di informazioni tra gli Stati membri, la direttiva 2011/16/UE del Consiglio, del 15 febbraio 2011, relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale e che abroga la direttiva 77/799/CEE, prevede già lo scambio automatico obbligatorio di informazioni in un certo numero di settori. Dovrebbe quindi esserne ampliato il campo di applicazione per prevedere lo scambio automatico obbligatorio delle rendicontazioni paese per paese tra gli Stati membri e la comunicazione di tali rendicontazioni alla Commissione. Inoltre, la Commissione dovrebbe utilizzare le rendicontazioni paese per paese per valutare la conformità degli Stati membri alle norme unionali sugli aiuti di Stato, in quanto esiste una dimensione "aiuti di Stato" anche per quanto concerne le pratiche fiscali sleali in materia di tassazione delle imprese.
Emendamento 10
Proposta di direttiva
Considerando 12
(12)  Lo scambio automatico obbligatorio delle rendicontazione paese per paese tra gli Stati membri dovrebbe in ogni caso includere la comunicazione di una serie definita di informazioni di base, a cui dovrebbero poter accedere gli Stati membri in cui, sulla base delle informazioni contenute nella rendicontazione paese per paese, una o più imprese del gruppo multinazionale sono residenti a fini fiscali o sono soggette a imposte per le attività svolte tramite una stabile organizzazione di un gruppo di imprese multinazionale.
(12)  Lo scambio automatico obbligatorio della rendicontazione paese per paese tra gli Stati membri e con la Commissione dovrebbe in ogni caso includere la comunicazione di una serie definita di informazioni di base, che dovrebbero essere basate su definizioni uniformi e a cui dovrebbero poter accedere gli Stati membri in cui, sulla base delle informazioni contenute nella rendicontazione paese per paese, una o più imprese del gruppo multinazionale sono residenti a fini fiscali o sono soggette a imposte per le attività svolte tramite una stabile organizzazione di un gruppo di imprese multinazionale.
Emendamento 11
Proposta di direttiva
Considerando 16
(16)  È necessario specificare i requisiti linguistici per lo scambio di informazioni tra gli Stati membri in materia di rendicontazione paese per paese. Dovrebbero inoltre essere adottate le modalità pratiche necessarie per il potenziamento della rete CCN. Al fine di garantire condizioni uniformi per l’attuazione dell’articolo 20, paragrafo 6, e dell’articolo 21, paragrafo 7, dovrebbero essere attribuite alla Commissione competenze di esecuzione. Tali competenze dovrebbero essere esercitate conformemente al regolamento (UE) n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio.
(16)  È necessario specificare i requisiti linguistici per lo scambio di informazioni tra gli Stati membri e per la comunicazione di tali informazioni alla Commissione in materia di rendicontazione paese per paese. Dovrebbero inoltre essere adottate le modalità pratiche necessarie per il potenziamento della rete CCN ed è necessario garantire che sia evitata la duplicazione delle norme, che provoca un aumento dei costi amministrativi per gli operatori economici. Al fine di garantire condizioni uniformi per l’attuazione dell’articolo 20, paragrafo 6, e dell’articolo 21, paragrafo 7, dovrebbero essere attribuite alla Commissione competenze di esecuzione. Tali competenze dovrebbero essere esercitate conformemente al regolamento (UE) n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio.
Emendamento 12
Proposta di direttiva
Considerando 18 bis (nuovo)
(18 bis)  Le rendicontazioni annuali presentate dagli Stati membri alla Commissione ai sensi della presente direttiva dovrebbero specificare l'entità dei fascicoli ai sensi dell'articolo 8 bis bis e del punto 1, sezione II, allegato III della presente direttiva e contenere un elenco delle giurisdizioni in cui le Entità Madri Principali di Entità costitutive con base nell'Unione sono residenti, ma in cui non sono state presentate o scambiate rendicontazioni complete.
Emendamento 13
Proposta di direttiva
Considerando 18 ter (nuovo)
(18 ter)  Dovrebbe essere possibile evitare lo scambio di informazioni in forza della presente direttiva qualora tale scambio comporti la divulgazione di un segreto commerciale, industriale o professionale oppure di un processo commerciale o di un’informazione la cui divulgazione sarebbe contraria all'ordine pubblico.
Emendamento 14
Proposta di direttiva
Considerando 18 quater (nuovo)
(18 quater)  È opportuno tenere conto della risoluzione del Parlamento europeo del 25 novembre 2015 sulle decisioni anticipate in materia fiscale (tax ruling) e altre misure analoghe per natura o effetto, della relazione della commissione giuridica del Parlamento sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2007/36/CE relativa all'incoraggiamento dell'impegno a lungo termine degli azionisti e la direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda taluni elementi della relazione sul governo societario, nonché della sua risoluzione del 16 dicembre 2015 recante raccomandazioni alla Commissione su come promuovere la trasparenza, il coordinamento e la convergenza nelle politiche sulle imposte societarie nell'Unione.
Emendamento 15
Proposta di direttiva
Considerando 20
(20)  Poiché l’obiettivo della presente direttiva, vale a dire una cooperazione amministrativa efficace tra gli Stati membri in condizioni compatibili con il corretto funzionamento del mercato interno, non può essere conseguito in misura sufficiente dagli Stati membri ma, a motivo dell’uniformità e dell’efficacia necessarie, può essere conseguito meglio a livello di Unione, quest’ultima può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato sull’Unione europea. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.
(20)  Poiché l’obiettivo della presente direttiva, vale a dire una cooperazione amministrativa efficace tra gli Stati membri e la Commissione in condizioni compatibili con il corretto funzionamento del mercato interno, non può essere conseguito in misura sufficiente dagli Stati membri ma, a motivo dell’uniformità e dell’efficacia necessarie, può essere conseguito meglio a livello di Unione, quest’ultima può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato sull’Unione europea. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.
Emendamento 16
Proposta di direttiva
Articolo 1 – punto -1 (nuovo)
Direttiva 2011/16/UE
Articolo 1 – paragrafo 1
-1)  L'articolo 1, paragrafo 1, è sostituito dal seguente:
1.  La presente direttiva stabilisce le norme e le procedure in base alle quali gli Stati membri cooperano fra loro ai fini dello scambio di informazioni prevedibilmente pertinenti per l’amministrazione e l’applicazione delle leggi nazionali degli Stati membri relative alle imposte di cui all’articolo 2.
"1. La presente direttiva stabilisce le norme e le procedure in base alle quali gli Stati membri cooperano fra loro e con la Commissione ai fini dello scambio di informazioni prevedibilmente pertinenti per l’amministrazione e l’applicazione delle leggi nazionali degli Stati membri relative alle imposte di cui all’articolo 2."
Emendamento 17
Proposta di direttiva
Articolo 1 – punto 1 – lettera -a (nuova)
Direttiva 2011/16/UE
Articolo 3 – punto 2
-a)  l'articolo 3, paragrafo 2, è sostituito dal seguente:
(2)  "ufficio centrale di collegamento": l’ufficio che è stato designato quale responsabile principale dei contatti con gli altri Stati membri nel settore della cooperazione amministrativa;
"2. "ufficio centrale di collegamento": l’ufficio che è stato designato quale responsabile principale dei contatti con gli altri Stati membri e con la Commissione nel settore della cooperazione amministrativa;"
Emendamento 18
Proposta di direttiva
Articolo 1 – punto 1 – lettera a
Direttiva 2011/16/UE
Articolo 3 – punto 9 – lettera a
a)  ai fini dell’articolo 8, paragrafo 1, e degli articoli 8 bis e 8 bis bis, la comunicazione sistematica di informazioni predeterminate a un altro Stato membro, senza richiesta preventiva, a intervalli regolari prestabiliti; ai fini dell’articolo 8, paragrafo 1, per informazioni disponibili si intendono le informazioni contenute negli archivi fiscali dello Stato membro che comunica le informazioni, consultabili in conformità delle procedure per la raccolta e il trattamento delle informazioni in tale Stato membro;
a)  ai fini dell’articolo 8, paragrafo 1, e degli articoli 8 bis e 8 bis bis, la comunicazione sistematica di informazioni predeterminate a un altro Stato membro e alla Commissione, senza richiesta preventiva, a intervalli regolari prestabiliti; ai fini dell’articolo 8, paragrafo 1, per informazioni disponibili si intendono le informazioni contenute negli archivi fiscali dello Stato membro che comunica le informazioni, consultabili in conformità delle procedure per la raccolta e il trattamento delle informazioni in tale Stato membro.
Emendamento 19
Proposta di direttiva
Articolo 1 – punto 1 bis (nuovo)
Directive 2011/16/UE
Articolo 4 – paragrafo 6
1 bis)  l'articolo 4, paragrafo 6, è sostituito dal seguente:
6.  Quando un servizio di collegamento o un funzionario competente trasmette o riceve una richiesta o una risposta ad una richiesta di cooperazione, ne informa l’ufficio centrale di collegamento del proprio Stato membro conformemente alle procedure da questo stabilite.
"6. Quando un servizio di collegamento o un funzionario competente trasmette o riceve una richiesta o una risposta ad una richiesta di cooperazione, ne informa l’ufficio centrale di collegamento del proprio Stato membro e la Commissione conformemente alle procedure da questo stabilite."
Emendamento 20
Proposta di direttiva
Articolo 1 – punto 1 ter (nuovo)
Direttiva 2011/16/UE
Articolo 6 – paragrafo 2
1 ter)  l'articolo 6, paragrafo 2, è sostituito dal seguente:
2.  La richiesta di cui all’articolo 5 può contenere una richiesta motivata relativa ad un’indagine amministrativa specifica. Se l’autorità interpellata ritiene che non siano necessarie indagini amministrative, comunica immediatamente all’autorità richiedente le ragioni di questo parere.
"2. La richiesta di cui all’articolo 5 può contenere una richiesta motivata relativa ad un’indagine amministrativa specifica. Se l’autorità interpellata ritiene che non siano necessarie indagini amministrative, comunica immediatamente all’autorità richiedente e alla Commissione le ragioni di questo parere."
Emendamento 21
Proposta di direttiva
Articolo 1 – punto 1 quater (nuovo)
Direttiva 2011/16/UE
Articolo 8 – paragrafo 1 – lettera e bis (nuova)
1 quater)  all'articolo 8, paragrafo 1, è aggiunta la lettera seguente:
"e bis) rendicontazioni paese per paese."
Emendamento 22
Proposta di direttiva
Articolo 1 – punto 2
Direttiva 2011/16/UE
Articolo 8 bis bis – paragrafo 2
2.  L’autorità competente di uno Stato membro in cui è stata ricevuta la rendicontazione paese per paese a norma del paragrafo 1 comunica, mediante scambio automatico, tale rendicontazione paese per paese a ogni altro Stato membro in cui, in base alle informazioni contenute nella rendicontazione stessa, una o più Entità costitutive del Gruppo di Imprese Multinazionale della Entità Notificante sono residenti a fini fiscali o sono soggette a imposte per le attività svolte tramite una stabile organizzazione, entro il termine di cui al paragrafo 4.
2.  L’autorità competente di uno Stato membro in cui è stata ricevuta la rendicontazione paese per paese a norma del paragrafo 1 comunica il prima possibile, mediante scambio automatico, tale rendicontazione paese per paese a ogni altro Stato membro in cui, in base alle informazioni contenute nella rendicontazione stessa, una o più Entità costitutive del Gruppo di Imprese Multinazionale della Entità Notificante sono residenti a fini fiscali o sono soggette a imposte per le attività svolte tramite una stabile organizzazione, entro il termine di cui al paragrafo 4. L'autorità competente dello Stato membro interessato comunica inoltre la rendicontazione paese per paese alla Commissione, la quale è responsabile del registro centralizzato delle rendicontazioni paese per paese che è a disposizione dei propri servizi competenti.
Emendamento 23
Proposta di direttiva
Articolo 1 – punto 2
Direttiva 2011/16/UE
Articolo 8 bis bis – paragrafo 3 – lettera a
a)  informazioni aggregate riguardanti i ricavi, gli utili (le perdite) al lordo delle imposte sul reddito, le imposte sul reddito pagate e le imposte sul reddito maturate, il capitale dichiarato, gli utili non distribuiti, il numero di addetti e le immobilizzazioni materiali diverse dalle disponibilità liquide o mezzi equivalenti per quanto riguarda ogni giurisdizione in cui opera il Gruppo di Imprese Multinazionale;
a)  informazioni aggregate riguardanti i ricavi, gli utili (le perdite) al lordo delle imposte sul reddito, le imposte sul reddito pagate e le imposte sul reddito maturate, il capitale dichiarato, gli utili non distribuiti, il numero di addetti, le immobilizzazioni materiali diverse dalle disponibilità liquide o mezzi equivalenti per quanto riguarda ogni giurisdizione in cui opera il Gruppo di Imprese Multinazionale, i contributi pubblici ricevuti, il valore delle attività e il costo annuale del mantenimento delle stesse nonché le vendite e gli acquisti effettuati dal Gruppo;
Emendamento 24
Proposta di direttiva
Articolo 1 – punto 2
Direttiva 2011/16/UE
Articolo 8 bis bis – paragrafo 3 – lettera b bis (nuova)
b bis)  il futuro codice di identificazione fiscale europeo (CIF) del Gruppo di Imprese Multinazionale di cui al piano d'azione 2012 della Commissione per rafforzare la lotta alla frode fiscale e all'evasione fiscale.
Emendamento 37
Proposta di direttiva
Articolo 1 – paragrafo 1 – punto 2
Direttiva 2011/16/UE
Articolo 8 bis bis – paragrafo 4 bis (nuovo)
4 bis.   Per aumentare la trasparenza a favore dei cittadini, la Commissione pubblica una sintesi aggregata delle rendicontazioni paese per paese sulla base delle informazioni contenute nel registro centralizzato delle rendicontazioni paese per paese. Nel fare ciò, la Commissione rispetta le disposizioni dell'articolo 23 bis in materia di riservatezza.
Emendamento 26
Proposta di direttiva
Articolo 1 – punto 2 bis (nuovo)
Direttiva 2011/16/UE
Articolo 9 – paragrafo 1 – parte introduttiva
2 bis)  la parte introduttiva dell'articolo 9, paragrafo 1, è sostituita dalla seguente:
1.  L’autorità competente di ogni Stato membro comunica le informazioni di cui all’articolo 1, paragrafo 1, all’autorità competente di ogni altro Stato membro interessato ove ricorra una delle seguenti situazioni:
"1. L’autorità competente di ogni Stato membro comunica le informazioni di cui all’articolo 1, paragrafo 1, all’autorità competente di ogni altro Stato membro interessato e alla Commissione ove ricorra una delle seguenti situazioni:"
Emendamento 27
Proposta di direttiva
Articolo 1 – punto 2 ter (nuovo)
Direttiva 2011/16/UE
Articolo 9 – paragrafo 2
2 ter)  l'articolo 9, paragrafo 2, è sostituito dal seguente:
2.  Le autorità competenti di ciascun Stato membro possono comunicare alle autorità competenti degli altri Stati membri, attraverso lo scambio spontaneo, le informazioni di cui sono a conoscenza e che possono essere loro utili.
"2. Le autorità competenti di ciascun Stato membro possono comunicare alle autorità competenti degli altri Stati membri e alla Commissione, attraverso lo scambio spontaneo, le informazioni di cui sono a conoscenza e che possono essere loro utili."
Emendamento 28
Proposta di direttiva
Articolo 1 – punto 4 bis (nuovo)
Direttiva 2011/16/UE
Articolo 23 – paragrafo 2
4 bis)  l'articolo 23, paragrafo 2, è sostituito dal seguente:
2.  Gli Stati membri comunicano alla Commissione tutte le informazioni pertinenti necessarie per valutare l’efficacia della cooperazione amministrativa in conformità della presente direttiva nella lotta all’evasione e all’elusione fiscale.
"2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione tutte le informazioni pertinenti necessarie per valutare l’efficacia della cooperazione amministrativa in conformità della presente direttiva nella lotta all’elusione fiscale, all’evasione fiscale e alla frode fiscale."
Emendamento 29
Proposta di direttiva
Articolo 1 – punto 5
Direttiva 2011/16/UE
Articolo 23 – paragrafo 3
3.  Gli Stati membri trasmettono alla Commissione una valutazione annuale dell’efficacia dello scambio automatico di informazioni di cui agli articoli 8, 8 bis e 8 bis bis e i risultati pratici ottenuti. La Commissione adotta, mediante atti di esecuzione, la forma e le modalità di comunicazione della valutazione annuale. Tali atti d’esecuzione sono adottati secondo la procedura d’esame di cui all’articolo 26, paragrafo 2.
3.  Gli Stati membri trasmettono alla Commissione una valutazione annuale dell’efficacia dello scambio automatico di informazioni di cui agli articoli 8, 8 bis e 8 bis bis e i risultati pratici ottenuti. La Commissione comunica i relativi risultati al Parlamento europeo e al Consiglio in maniera appropriata, ad esempio mediante una relazione consolidata annuale in cui sono indicati l'esito e l'entità della procedura di comunicazione. La Commissione adotta, mediante atti di esecuzione, la forma e le modalità di comunicazione della valutazione annuale. Tali atti d’esecuzione sono adottati secondo la procedura d’esame di cui all’articolo 26, paragrafo 2.
Emendamento 30
Proposta di direttiva
Articolo 1 – punto 5 bis (nuovo)
Direttiva 2011/16/UE
Articolo 23 – paragrafo 3 bis (nuovo)
5 bis)  all'articolo 23 è inserito il paragrafo seguente:
"3 bis. La Commissione presenta una relazione consolidata annuale al Parlamento europeo e al Consiglio riguardante le valutazioni annuali degli Stati membri relative all'efficacia dello scambio automatico di informazioni e ai risultati pratici ottenuti."
Emendamento 31
Proposta di direttiva
Articolo 1 – punto 5 ter (nuovo)
Direttiva 2011/16/UE
Articolo 23 – paragrafo 3 ter (nuovo)
5 ter)  all'articolo 23 è aggiunto il paragrafo seguente:
"3 ter. Nel caso in cui la valutazione d’impatto della Commissione sulle conseguenze della divulgazione al pubblico delle informazioni paese per paese accerti che non vi sono conseguenze negative per i Gruppi di Imprese Multinazionali, la Commissione propone tempestivamente atti legislativi per rendere le informazioni accessibili al pubblico."
Emendamento 32
Proposta di direttiva
Articolo 1 – punto 5 quater (nuovo)
Direttiva 2011/16/UE
Articolo 24 – paragrafo 1
5 quater)  l'articolo 24, paragrafo 1, è sostituito dal seguente:
1.  L’autorità competente di uno Stato membro che riceve da un paese terzo informazioni prevedibilmente pertinenti per l’amministrazione e l’applicazione delle leggi nazionali di detto Stato membro relative alle imposte di cui all’articolo 2 può, a condizione che ciò sia consentito ai sensi di un accordo con tale paese terzo, trasmettere tali informazioni alle autorità competenti degli Stati membri per i quali tali informazioni potrebbero essere utili e ad ogni autorità richiedente.
"1. L’autorità competente di uno Stato membro che riceve da un paese terzo informazioni prevedibilmente pertinenti per l’amministrazione e l’applicazione delle leggi nazionali di detto Stato membro relative alle imposte di cui all’articolo 2 può, a condizione che ciò sia consentito ai sensi di un accordo con tale paese terzo, trasmettere tali informazioni alle autorità competenti degli Stati membri per i quali tali informazioni potrebbero essere utili e ad ogni autorità richiedente, nonché alla Commissione."
Emendamento 33
Proposta di direttiva
Articolo 1 – punto 7 bis (nuovo)
Direttiva 2011/16/UE
Articolo 27 bis (nuovo)
7 bis)  è inserito l'articolo seguente:
"Articolo 27 bis
Riesame
La Commissione riesamina l'efficacia della presente direttiva entro ... tre anni dall'entrata in vigore della presente direttiva]."
Emendamento 34
Proposta di direttiva
Allegato – Allegato III – Sezione II – paragrafo 1 – comma 2
Qualora più Entità Costitutive dello stesso Gruppo di Imprese Multinazionali siano residenti a fini fiscali nell’Unione e ricorrano una o più delle condizioni di cui alla lettera b), il Gruppo di Imprese Multinazionali può delegare una di queste Entità Costitutive affinché presenti la rendicontazione paese per paese in conformità dell’articolo 8 bis bis, paragrafo 1, per qualsiasi periodo d’imposta di Riferimento entro la scadenza prevista all’articolo articolo 8 bis bis, paragrafo 1, e comunichi allo Stato membro che con tale presentazione essa assolve all’obbligo previsto per tutte le Entità Costitutive del Gruppo di Imprese Multinazionali residenti a fini fiscali nell’Unione. Lo Stato membro, a norma dell’articolo 8 bis bis, paragrafo 2, trasmette la rendicontazione paese per paese ricevuta a ogni altro Stato membro in cui, in base alle informazioni contenute nella rendicontazione stessa, una o più Entità Costitutive del Gruppo di Imprese Multinazionali dell’Entità Notificante sono residenti a fini fiscali o sono soggette a imposte per le attività svolte tramite una stabile organizzazione.
Qualora più Entità Costitutive dello stesso Gruppo di Imprese Multinazionali siano residenti a fini fiscali nell’Unione e ricorrano una o più delle condizioni di cui alla lettera b), il Gruppo di Imprese Multinazionali può delegare una di queste Entità Costitutive, preferibilmente quella con il fatturato più elevato, affinché presenti la rendicontazione paese per paese in conformità dell’articolo 8 bis bis, paragrafo 1, per qualsiasi periodo d’imposta di Riferimento entro la scadenza prevista all’articolo articolo 8 bis bis, paragrafo 1, e comunichi allo Stato membro che con tale presentazione essa assolve all’obbligo previsto per tutte le Entità Costitutive del Gruppo di Imprese Multinazionali residenti a fini fiscali nell’Unione. Lo Stato membro, a norma dell’articolo 8 bis bis, paragrafo 2, trasmette la rendicontazione paese per paese ricevuta a ogni altro Stato membro in cui, in base alle informazioni contenute nella rendicontazione stessa, una o più Entità Costitutive del Gruppo di Imprese Multinazionali dell’Entità Notificante sono residenti a fini fiscali o sono soggette a imposte per le attività svolte tramite una stabile organizzazione.

Tracciabilità dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura nella ristorazione e nella vendita al dettaglio
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Risoluzione del Parlamento europeo del 12 maggio 2016 sulla tracciabilità dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura nella ristorazione e nella vendita al dettaglio (2016/2532(RSP))
P8_TA(2016)0222B8-0581/2016

Il Parlamento europeo,

–  visto il regolamento (UE) n. 1379/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2013, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura, recante modifica dei regolamenti (CE) n. 1184/2006 e (CE) n. 1224/2009 del Consiglio e che abroga il regolamento (CE) n. 104/2000 del Consiglio(1),

–  visto il regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare(2),

–  visto il regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento (CE) n. 608/2004 della Commissione(3),

–  visto il regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali(4),

–  visto il regolamento (CE) n. 1224/2009 del Consiglio, del 20 novembre 2009, che istituisce un regime di controllo comunitario per garantire il rispetto delle norme della politica comune della pesca, che modifica i regolamenti (CE) n. 847/96, (CE) n. 2371/2002, (CE) n. 811/2004, (CE) n. 768/2005, (CE) n. 2115/2005, (CE) n. 2166/2005, (CE) n. 388/2006, (CE) n. 509/2007, (CE) n. 676/2007, (CE) n. 1098/2007, (CE) n. 1300/2008, (CE) n. 1342/2008 e che abroga i regolamenti (CEE) n. 2847/93, (CE) n. 1627/94 e (CE) n. 1966/2006(5),

–  vista la sua risoluzione del 14 gennaio 2014 sulla crisi alimentare, le frodi nella catena alimentare e il loro controllo(6),

–  vista la proposta di risoluzione della commissione per la pesca,

–  vista l'interrogazione alla Commissione sulla tracciabilità dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura nella ristorazione e nella vendita al dettaglio (O-000052/2016 – B8-0365/2016),

–  visti l'articolo 128, paragrafo 5, e l'articolo 123, paragrafo 2, del suo regolamento,

A.  considerando che l'UE costituisce il più grande mercato di prodotti ittici al mondo, alimentato sia dal settore della pesca dell'Unione che dalle importazioni in provenienza dai paesi terzi;

B.  considerando che i consumatori hanno il diritto di essere informati in maniera comprensibile, anche per quanto riguarda le informazioni costiere e geografiche sulle zone di cattura, e dovrebbero poter fare pieno affidamento sull'intera filiera fornitrice di prodotti della pesca nel mercato dell'UE; che l'UE e gli Stati membri hanno il dovere di tutelare i cittadini dell'Unione da atti fraudolenti; che tutti i prodotti importati devono essere conformi alle norme e agli standard dell'UE;

C.  considerando che la Commissione sta preparando un inventario dettagliato ed esauriente delle informazioni volontarie relative ai prodotti della pesca e dell'acquacoltura che sono commercializzati nell'UE; che i risultati della Commissione potrebbero portare alla creazione di una struttura esterna che certifichi informazioni volontarie per prodotti della pesca e dell'acquacoltura sul mercato dell'Unione;

D.  considerando che dal piano di controllo 2015 della Commissione(7), che valuta la frequenza sul mercato di pesce bianco etichettato scorrettamente rispetto alla specie dichiarata, è emerso che le specie dichiarate sono state confermate nel 94 % dei campioni prelevati; che, tuttavia, i livelli di non conformità erano molto elevati per talune specie e che il tasso del 6 % è considerato relativamente basso rispetto a quello di altri studi, più circoscritti, condotti negli Stati membri;

E.  considerando che, in virtù dell'articolo 36 del regolamento (UE) n. 1379/2013, la Commissione era tenuta a presentare al Parlamento europeo e al Consiglio, entro il 1º gennaio 2015, una relazione di fattibilità concernente le opzioni per un sistema di certificazione ecologica per i prodotti della pesca e dell'acquacoltura;

F.  considerando che l'organizzazione comune dei mercati (OCM) dovrebbe garantire ai produttori una concorrenza leale e un reddito equo per i prodotti della pesca venduti o acquistati nell'UE;

1.  esprime seria preoccupazione e insoddisfazione per i risultati dei vari studi che evidenziano livelli significativi di etichettatura scorretta dei prodotti ittici venduti sul mercato dell'Unione, compreso nei ristoranti delle istituzioni dell'UE; ribadisce che la scorretta etichettatura intenzionale e fraudolenta delle specie ittiche rappresenta una violazione dei regolamenti dell'UE nonché delle norme della politica comune della pesca e può costituire, conformemente al diritto nazionale, un reato;

2.  invita gli Stati membri a rafforzare i controlli nazionali, anche dei prodotti ittici non trasformati destinati al settore della gastronomia e della ristorazione, nell'ottica di contrastare le frodi e individuare la fase, all'interno della catena di approvvigionamento, in cui il pesce è oggetto di etichettatura erronea; è preoccupato per la sostituzione delle specie di alta qualità con specie analoghe di qualità inferiore; invita la Commissione e gli Stati membri a esaminare quali misure potrebbero essere messe in atto per migliorare la tracciabilità dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura; sostiene la creazione di un gruppo di lavoro incaricato di armonizzare l'applicazione della tracciabilità in tutti gli Stati membri e l’istituzione di una struttura esterna che consenta la certificazione delle informazioni volontarie per prodotti della pesca e dell'acquacoltura sul mercato dell'UE;

3.  è favorevole a un sistema solido di tracciabilità, dallo sbarco al consumo, che infonda fiducia ai consumatori e, al contempo, riduca la dipendenza degli scambi commerciali dalle importazioni di prodotti della pesca e dell'acquacoltura, rafforzando in tal modo il mercato dell'UE; invita la Commissione, ai fini di una migliore tracciabilità, a sfruttare appieno il potenziale del codice a barre del DNA, che potrebbe contribuire a identificare una specie grazie al sequenziamento del DNA;

4.  accoglie con favore il nuovo quadro dell'OCM ed esorta la Commissione, conformemente all'articolo 36 del regolamento (UE) n. 1379/2013, a presentare una relazione di fattibilità concernente le opzioni per un sistema di etichettatura ecologica per i prodotti della pesca e dell'acquacoltura; sottolinea la necessità di definire norme minime in materia di etichettatura ecologica; ritiene che gli elementi chiave del sistema di etichettatura debbano garantire la trasparenza, l'indipendenza e la credibilità del processo di certificazione; chiede un'analisi approfondita sui vantaggi della creazione di un’etichettatura a livello di UE;

5.  invita la Commissione a monitorare a intervalli regolari la misura in cui le informazioni richieste figurano sulle etichette; sottolinea che l'etichettatura deve fornire informazioni comprensibili, verificabili e precise; incoraggia gli Stati membri, nel quadro di un'etichettatura facoltativa, a indicare tutte le informazioni disponibili che permettano al consumatore di compiere una scelta informata; esorta la Commissione e gli Stati membri a intensificare le campagne di sensibilizzazione relative ai requisiti per l'etichettatura dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura;

6.  sottolinea che una solida politica europea in materia di etichettatura nel settore della pesca costituirebbe un elemento fondamentale per dare slancio allo sviluppo economico delle comunità costiere, riconoscere le migliori pratiche dei pescatori e mettere in evidenza la qualità dei prodotti che forniscono ai consumatori;

7.  chiede alla Commissione, nell'ottica di garantire il diritto dei consumatori ad un'informazione corretta, affidabile e comprensibile, di adottare misure intese a correggere la confusione causata dall'attuale obbligo di indicare sull'etichetta le zone e sotto-zone definite dall'Organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO), che si rivela particolarmente problematico nel caso delle catture in talune sotto-zone della zona 27 dove, tra l'altro, la Galizia e il Golfo di Cadice sono etichettati come "Acque portoghesi", il Galles come "Mare d'Irlanda" e la Bretagna come "Golfo di Biscaglia";

8.  richiama l'attenzione sulla necessità di indicare le informazioni sull'origine dei prodotti della pesca in maniera chiara e trasparente;

9.  sottolinea la necessità di garantire che tutte le future etichettature ecologiche a livello dell'Unione e tutti i sistemi di etichettatura e di certificazione ecologica dei prodotti ittici di paesi terzi siano in linea con gli orientamenti della FAO per l'assegnazione di marchi di qualità ecologica per i pesci e i prodotti della pesca provenienti da attività di cattura in mare;

10.  ritiene che una eco-etichetta unionale per i prodotti della pesca e dell'acquacoltura, i cui criteri dovrebbero essere ulteriormente discussi a livello di UE, potrebbe contribuire a rafforzare la tracciabilità e la messa a disposizione di informazioni trasparenti ai consumatori; ritiene che tale etichetta potrebbe essere finanziata a mezzo del Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP);

11.  rileva che alcune attuali denominazioni commerciali di pesci variano da uno Stato membro all'altro in ragione delle prassi nazionali, il che potrebbe determinare una certa confusione; si compiace del lavoro svolto dalla Commissione in vista del lancio di un progetto pilota, quale approvato dal Parlamento europeo, volto a istituire una banca dati pubblica che fornirà informazioni sulle denominazioni commerciali in tutte le lingue ufficiali dell'UE;

12.  incoraggia la Commissione a pubblicizzare in maniera più efficace presso i cittadini la sua azione di tutela delle risorse marine e lotta contro la pesca illegale;

13.  incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione alla Commissione.

(1) GU L 354 del 28.12.2013, pag. 1.
(2) GU L 31 dell'1.2.2002, pag. 1.
(3) GU L 304 del 22.11.2011, pag. 18.
(4) GU L 165 del 30.4.2004, pag. 1.
(5) GU L 343 del 22.12.2009, pag. 1.
(6) Testi approvati, P7_TA(2014)0011.
(7). http://ec.europa.eu/food/safety/official_controls/food_fraud/fish_substitution/index_en.htm?subweb=343&lang=en


Lo status di economia di mercato della Cina
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Risoluzione del Parlamento europeo del 12 maggio 2016 sullo status di economia di mercato della Cina (2016/2667(RSP))
P8_TA(2016)0223RC-B8-0607/2016

Il Parlamento europeo,

–  vista la normativa antidumping dell'UE (regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea(1)),

–  visto il protocollo di adesione della Cina all'Organizzazione mondiale del commercio (OMC),

–  viste le sue precedenti risoluzioni sulle relazioni commerciali tra l'Unione europea e la Cina,

–  visto l'articolo 123, paragrafi 2 e 4, del suo regolamento,

A.  considerando che l'Unione europea e la Cina sono due dei maggiori operatori commerciali al mondo e che la Cina è il secondo partner commerciale dell'UE, mentre l'UE è il primo partner commerciale della Cina, con un interscambio commerciale giornaliero fra i due paesi di ben oltre 1 miliardo di EUR;

B.  considerando che nel 2015 gli investimenti cinesi nell'UE hanno per la prima volta superato gli investimenti dell'UE in Cina; che il mercato cinese è stato il principale motore di redditività per una serie di industrie e marchi dell'UE;

C.  considerando che, quando la Cina ha aderito all'OMC, una disposizione concordata per la sua adesione ha autorizzato una metodologia specifica per il calcolo del dumping, che è stata inserita nella sezione 15 del protocollo di adesione della Cina e serve da base per il trattamento differenziato delle importazioni cinesi;

D.  considerando che qualsiasi decisione circa il trattamento da riservare alle importazioni dalla Cina dopo il dicembre 2016 deve garantire la conformità del diritto dell'UE alle norme dell'OMC;

E.  considerando che le disposizioni della sezione 15 del protocollo di adesione della Cina all'OMC che rimarranno in vigore dopo il 2016 costituiscono una base per l'applicazione di una metodologia non standard alle importazioni dalla Cina dopo il 2016;

F.  considerando che, dato l'attuale livello di influenza dello Stato sull'economia cinese, le decisioni delle imprese in materia di prezzi, costi, produzione e fattori di produzione non rispondono a segnali di mercato che rispecchiano l'offerta e la domanda;

G.  considerando che, nel suo protocollo di adesione, la Cina si è impegnata fra l'altro a consentire che tutti i suoi prezzi siano determinati dalle forze di mercato, e che l'UE deve vigilare affinché la Cina rispetti pienamente i suoi obblighi in ambito OMC;

H.  considerando che la sovraccapacità della Cina sta già avendo pesanti conseguenze sociali, economiche e ambientali nell'UE, come dimostrato dalle recenti ripercussioni negative sul settore siderurgico dell'UE e in particolare del Regno Unito, e che la concessione dello status di economia di mercato (SEM) alla Cina potrebbe avere un impatto sociale considerevole sull'occupazione nell'UE;

I.  considerando che alle importazioni cinesi si applicano 56 delle 73 misure antidumping attualmente in vigore nell'UE;

J.  considerando che la consultazione pubblica conclusasi di recente sulla possibile concessione del SEM alla Cina potrebbe fornire ulteriori informazioni potenzialmente utili per affrontare la questione;

K.  considerando che la comunicazione della Commissione del 10 ottobre 2012 dal titolo "Un'industria europea più forte per la crescita e la ripresa economica"(COM(2012)0582) fissa l'obiettivo di portare al 20%, entro il 2020, la quota dell'industria nel PIL dell'Unione europea;

1.  ribadisce l'importanza del partenariato tra l'UE e la Cina, nel cui ambito il commercio libero ed equo e gli investimenti hanno un ruolo rilevante;

2.  sottolinea che la Cina non è un'economia di mercato e che ancora non soddisfa i cinque criteri stabiliti dall'UE per definire le economie di mercato;

3.  esorta la Commissione a coordinarsi con i principali partner commerciali dell'UE, anche nel contesto dei prossimi vertici del G7 e del G20, circa il modo migliore per garantire che tutte le disposizioni della sezione 15 del protocollo di adesione della Cina all'OMC che rimarranno in vigore dopo il 2016 abbiano pieno valore giuridico nelle rispettive procedure nazionali, nonché a opporsi a qualsiasi concessione unilaterale alla Cina dello status di economia di mercato;

4.  sottolinea che le tematiche connesse allo status di economia di mercato dovrebbero essere discusse in occasione del prossimo vertice UE-Cina;

5.  invita la Commissione a tenere debitamente conto dei timori espressi dall'industria europea, dai sindacati e da altri soggetti interessati in merito alle conseguenze per l'occupazione, l'ambiente, gli standard e la crescita economica sostenibile nell'UE in tutti i settori manifatturieri interessati, così come per l'intero comparto industriale dell'UE, e a garantire in questo contesto la difesa dell'occupazione nell'Unione europea;

6.  è convinto che, finché la Cina non soddisferà tutti e cinque i criteri UE richiesti per essere considerata un'economia di mercato, l'UE dovrebbe utilizzare, nelle inchieste antidumping e antisovvenzione sulle importazioni cinesi, una metodologia non standard per determinare la comparabilità dei prezzi, conformandosi e dando pieno effetto alle parti della sezione 15 del protocollo di adesione della Cina che offrono un margine per l'applicazione di una metodologia non standard; invita la Commissione a presentare una proposta in linea con tale principio;

7.  sottolinea, parallelamente, la necessità imminente di una riforma generale degli strumenti di difesa commerciale dell'Unione europea per garantire all'industria dell'UE condizioni di parità con la Cina e con gli altri partner commerciali, in assoluta conformità con le norme dell'OMC; invita il Consiglio a trovare rapidamente un accordo con il Parlamento sulla modernizzazione degli strumenti di difesa commerciale dell'Unione europea;

8.  incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio e alla Commissione nonché ai governi e ai parlamenti degli Stati membri.

(1) GU L 343 del 22.12.2009, pag. 51.


Seguito e situazione attuale dell'Agenda 2030 e degli obiettivi di sviluppo sostenibile
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Risoluzione del Parlamento europeo del 12 maggio 2016 sul seguito e sul riesame dell'Agenda 2030 (2016/2696(RSP))
P8_TA(2016)0224B8-0583/2016

Il Parlamento europeo,

–  visto il documento dal titolo "Trasformare il nostro mondo. L'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile", adottato in occasione del vertice ONU sullo sviluppo sostenibile tenutosi il 25 settembre 2015 a New York,

–  vista la terza Conferenza internazionale sul finanziamento allo sviluppo, tenutasi dal 13 al 16 luglio 2015 ad Addis Abeba,

–  vista la relazione a cura del gruppo interagenzie di esperti sugli indicatori per gli obiettivi di sviluppo sostenibile (IAEG-SDG), pubblicata il 17 dicembre 2015 e adottata durante la 47a sessione della Commissione di statistica dell'ONU nel marzo 2016,

–  visto il segmento ad alto livello del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) che si terrà dal 18 al 22 luglio 2016 all'insegna del tema "Attuazione dell'agenda per lo sviluppo post-2015: tradurre gli impegni in risultati",

–  vista la sua risoluzione del 19 maggio 2015 sul finanziamento dello sviluppo(1),

–   vista la sua risoluzione del 25 novembre 2014 sull'UE e sul quadro di sviluppo globale post 2015(2),

–  visto l'accordo di Parigi adottato in occasione della 21a Conferenza delle Parti (COP21) svoltasi il 12 dicembre 2015 a Parigi,

–  visto l'articolo 7 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), che ribadisce che "l'Unione assicura la coerenza tra le sue varie politiche e azioni, tenendo conto dell'insieme dei suoi obiettivi",

–  vista l'elaborazione attualmente in corso della strategia globale dell'UE in materia di politica estera e di sicurezza, la quale orienterà le azioni globali dell'Unione europea,

–  vista la sua risoluzione del 24 novembre 2015 sul ruolo dell'Unione europea nell'ambito delle Nazioni Unite – come meglio raggiungere gli obiettivi di politica estera dell'Unione(3),

–  viste le conclusioni del Consiglio del 26 ottobre 2015 sulla coerenza delle politiche per lo sviluppo,

–  vista la revisione della strategia Europa 2020 – "Il nuovo approccio oltre il 2020",

–  visti la dichiarazione di Parigi sull'efficacia degli aiuti, il programma d'azione di Accra e la dichiarazione e il piano d'azione adottati in occasione del Forum ad alto livello sull'efficacia degli aiuti, tenutosi nel dicembre 2011 a Busan,

–  visti il consenso europeo in materia di sviluppo e la sua imminente revisione,

–  visto l'articolo 208 TFUE, che impone di tenere conto del principio della coerenza delle politiche per lo sviluppo in tutte le politiche esterne dell'Unione europea,

–  visto l'esito del vertice umanitario mondiale che si svolgerà il 23 e 24 maggio 2016 a Istanbul, in Turchia,

–  vista la lettera in data 29 marzo 2016 della sua commissione per lo sviluppo al commissario per la cooperazione internazionale e lo sviluppo concernente la questione relativa al seguito e al riesame degli obiettivi di sviluppo sostenibile,

–  visto l'articolo 123, paragrafo 2, del suo regolamento,

A.  considerando che la risoluzione 70/1 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite chiede di dare seguito agli obiettivi e ai traguardi e di riesaminarli ricorrendo a una serie di indicatori globali; che il Segretario generale delle Nazioni Unite è stato incaricato di presentare una relazione annuale sullo stato di avanzamento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) al fine di fornire supporto per il seguito e il riesame in seno al Forum politico di alto livello sullo sviluppo sostenibile; che la relazione sullo stato di avanzamento degli OSS deve basarsi sui dati prodotti dai sistemi statistici nazionali e sulle informazioni raccolte a diversi livelli;

B.  considerando che la Commissione di statistica ha approvato durante la 46a sessione (dal 3 al 6 marzo 2015) la tabella di marcia per lo sviluppo e l'attuazione di un quadro globale di indicatori;

C.  considerando che il gruppo interagenzie di esperti sugli indicatori per gli OSS (IAEG-SDG), incaricato di elaborare integralmente una proposta per il quadro di indicatori ai fini del monitoraggio degli obiettivi e dei traguardi dell'agenda per lo sviluppo post 2015, ha proposto indicatori per il riesame dell'Agenda 2030, i quali sono stati approvati nel corso della 47a sessione della Commissione di statistica dell'ONU tenutasi nel marzo 2016;

D.  considerando che la serie proposta di 230 indicatori per gli obiettivi di sviluppo sostenibile rappresenta un buon punto di partenza e offre un solido quadro per il seguito e il riesame dei progressi compiuti nella realizzazione dei 17 OSS;

E.  considerando che molti indicatori non sono ancora stati messi a punto e che, nel contempo, gli Stati membri firmatari dovranno elaborare i propri indicatori nazionali conformemente agli indicatori globali, adattandoli alla situazione nazionale;

F.  considerando che il quadro globale di indicatori dovrebbe essere approvato dal Consiglio economico e sociale (ECOSOC) nel luglio 2016 e dall'Assemblea generale nel settembre 2016;

G.  considerando che il Consiglio "Affari esteri", nell'ambito della sua componente di sviluppo, si riunirà il 12 maggio 2016 e dovrebbe preparare la posizione dell'UE per il Forum politico ad alto livello di luglio 2016 e determinare il contesto in cui si svolgerà una discussione tematica sul commercio e sullo sviluppo, con particolare riferimento al contributo dell'UE al settore privato in sede di attuazione dell'Agenda 2030;

H.  considerando che la pianificazione strategica, l'attuazione e la rendicontazione a livello dell'intero sistema sono elementi necessari per garantire un sostegno coerente e integrato alla messa in pratica della nuova Agenda da parte del sistema delle Nazioni Unite per lo sviluppo;

I.  considerando che il nuovo quadro universale per lo sviluppo sostenibile esige una maggiore coerenza tra i diversi ambiti di intervento e gli attori dell'UE, il che richiede ulteriori attività di coordinamento, dialogo e collaborazione a tutti i livelli in seno alle istituzioni dell'UE e tra le stesse, in modo da garantire l'integrazione dei tre pilastri dello sviluppo sostenibile (ambientale, economico e sociale) nelle politiche interne ed esterne dell'Unione;

J.  considerando che il Forum politico ad alto livello di luglio 2016 prevederà, tra le altre cose, riesami volontari per 22 paesi, di cui quattro europei – Estonia, Finlandia, Francia e Germania – nonché riesami tematici dei progressi compiuti nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, ivi incluse tematiche trasversali, con l'ausilio dei riesami delle commissioni funzionali dell'ECOSOC e di altri organismi e consessi intergovernativi;

1.  invita il Consiglio "Affari esteri", nell'ambito della sua componente di sviluppo, ad adottare una posizione comune e coerente dell'UE prima della riunione di luglio 2016 del Forum politico ad alto livello, tenendo conto della posizione del Parlamento europeo espressa nella presente risoluzione; ritiene che per la credibilità e la leadership dell'UE sia fondamentale presentare una posizione comune; esprime preoccupazione per il fatto che la Commissione non abbia pubblicato, in previsione della riunione del Forum politico ad alto livello e come richiesto dai membri della commissione per lo sviluppo, una comunicazione sul seguito e sul riesame dell'Agenda 2030, che potrebbe costituire la base per la posizione comune dell'UE;

2.  accoglie con favore la relazione del gruppo interagenzie di esperti sugli indicatori per gli OSS; ritiene che essa costituisca un notevole progresso nonché una buona base per i negoziati, dal momento che gli indicatori proposti richiamano l'attenzione su una serie ben più variegata di rischi strutturali;

3.  si compiace del capitolo a parte sulla disaggregazione dei dati e dell'importanza attribuita al rafforzamento delle capacità statistiche nazionali;

4.  prende atto del ruolo fondamentale del Forum politico ad alto livello nel riesame dell'attuazione degli OSS; sottolinea che tale organismo deve garantire una valutazione coordinata ed efficiente delle esigenze così come l'adozione di tabelle di marcia necessarie per l'attuazione efficace dell'Agenda 2030;

5.  sottolinea che l'Agenda 2030 e gli obiettivi di sviluppo sostenibile costituiscono un impegno internazionale rinnovato teso a eliminare la povertà, a ridefinire e modernizzare le strategie di sviluppo per i prossimi 15 anni e a garantire il conseguimento di risultati;

6.  invita la Commissione a presentare una proposta per una strategia globale per lo sviluppo sostenibile che comprenda tutti i pertinenti settori di intervento interni ed esterni, con una tabella di marcia dettagliata fino al 2030, una revisione intermedia e una procedura specifica che garantisca la piena partecipazione del Parlamento, compreso un piano di attuazione concreto volto a coordinare il conseguimento dei 17 obiettivi, dei 169 traguardi e dei 230 indicatori globali, e che garantisca la coerenza con gli obiettivi dell'accordo di Parigi così come la realizzazione di questi ultimi; sottolinea l'importanza del carattere universale degli obiettivi e il fatto che l'UE e i suoi Stati membri hanno assunto l'impegno di attuare pienamente tutti gli obiettivi e i traguardi, nella pratica e nello spirito;

7.  insiste che la nuova strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile e le relative politiche di attuazione dovrebbero essere oggetto di un'ampia consultazione di tutte le parti interessate, compresi i parlamenti nazionali, le autorità locali e la società civile, mediante un processo inclusivo;

8.  chiede alla Commissione di presentare una comunicazione sul seguito e sul riesame dell'Agenda 2030 che contenga informazioni chiare sulla struttura di attuazione dell'Agenda a livello dell'UE e degli Stati membri; sottolinea che tutte le pertinenti direzioni generali della Commissione e il Servizio europeo per l'azione esterna (SEAE) dovrebbero adoperarsi al massimo per integrare l'Agenda 2030 nell'imminente riesame della strategia Europa 2020 e nella futura strategia globale dell'UE in materia di politica estera e di sicurezza, garantendo una solida coerenza strategica per lo sviluppo sostenibile;

9.  sottolinea che il riesame del consenso europeo in materia di sviluppo deve rispecchiare integralmente la nuova Agenda 2030, che comprende un cambiamento di paradigma e una vera e propria trasformazione della politica di sviluppo dell'UE; ricorda che una programmazione degli aiuti adeguata e mirata nel quadro della cooperazione allo sviluppo, nel rispetto dei principi dell'efficacia degli aiuti, è fondamentale per il conseguimento degli obiettivi e dei traguardi associati;

10.  sottolinea che l'UE deve sfruttare appieno la prossima revisione intermedia del quadro finanziario pluriennale (QFP) al fine di garantire che i meccanismi di finanziamento e le linee di bilancio rispecchino tutti gli impegni assunti a titolo dell'Agenda 2030 e concordati dall'UE; invita l'UE e i suoi Stati membri a rinnovare senza indugio l'impegno per l'obiettivo dello 0,7% del RNL all'APS e a presentare un calendario per l'aumento graduale dell'APS fino al raggiungimento dello 0,7%;

11.  invita a procedere a un dialogo costante tra il Forum e la Commissione sui progressi compiuti, tenendo regolarmente informato il Parlamento, conformemente ai principi di trasparenza e responsabilità reciproca; insiste sulla necessità di un dialogo rafforzato tra la Commissione e il Parlamento sull'attuazione dell'Agenda 2030, in particolare per quanto riguarda la politica di sviluppo e la coerenza delle politiche per lo sviluppo;

12.  invita la Commissione e il SEAE, in stretta consultazione con gli altri partner, a presentare proposte concrete su come integrare con maggiore efficacia la coerenza delle politiche per lo sviluppo nell'attuazione dell'Agenda 2030 e chiede che questo nuovo approccio sia integrato in tutte le istituzioni dell'UE al fine di garantire una cooperazione efficace e superare l'approccio a "compartimenti stagni";

13.  sottolinea che è importante includere il concetto di coerenza delle politiche per lo sviluppo; invita la Commissione e il SEAE, in stretta consultazione con gli altri partner, a presentare proposte concrete su come integrare con maggiore efficacia la CPS nell'approccio dell'UE per l'attuazione dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e chiede che questo nuovo approccio sia integrato in tutte le istituzioni dell'UE;

14.  esorta la Commissione a sviluppare efficaci meccanismi di monitoraggio, riesame e responsabilità per l'attuazione dell'Agenda 2030 e a riferire periodicamente al Parlamento; ricorda, a tal proposito, la necessità di rafforzare il controllo democratico da parte del Parlamento, eventualmente attraverso un accordo interistituzionale vincolante a norma dell'articolo 295 TFUE;

15.  invita la Commissione e le agenzie, i fondi e i programmi specializzati delle Nazioni Unite a intavolare un dialogo ad alto livello sul conseguimento degli OSS, al fine di coordinare le politiche, i programmi e le attività dell'UE, delle Nazioni Unite e di altri donatori; sottolinea l'importanza di dati disaggregati e accessibili per monitorare i progressi e valutare i risultati;

16.  invita le agenzie e gli organismi delle Nazioni Unite a rafforzare la coerenza delle politiche per lo sviluppo all'interno delle strutture di lavoro dell'ONU, al fine di integrare in maniera efficace tutte le dimensioni dello sviluppo sostenibile;

17.  incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, al vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e al Segretario generale delle Nazioni Unite.

(1) Testi approvati, P8_TA(2015)0196.
(2) Testi approvati, P8_TA(2014)0059.
(3) Testi approvati, P8_TA(2015)0403.


Indicazione obbligatoria del paese di origine o del luogo di provenienza di taluni alimenti
PDF 181kWORD 79k
Risoluzione del Parlamento europeo del 12 maggio 2016 sull'indicazione obbligatoria del paese d'origine o del luogo di provenienza di taluni alimenti (2016/2583(RSP))
P8_TA(2016)0225B8-0545/2016

Il Parlamento europeo,

–  visto il regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento (CE) n. 608/2004 della Commissione(1) ("il regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori"), e in particolare l'articolo 26, paragrafi 5 e 7,

–  viste la relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, del 20 maggio 2015, relativa all'indicazione obbligatoria del paese di origine o del luogo di provenienza per il latte, il latte utilizzato quale ingrediente di prodotti lattiero-caseari e i tipi di carni diverse dalle carni della specie bovina, suina, ovina, caprina e dalle carni di volatili (COM(2015)0205) e la relazione della Commissione al Parlamento e al Consiglio, anch'essa del 20 maggio 2015, sull'indicazione obbligatoria del paese d'origine o del luogo di provenienza degli alimenti non trasformati, dei prodotti a base di un unico ingrediente e degli ingredienti che rappresentano più del 50% di un alimento (COM(2015)0204),

–  visti la relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, del 17 dicembre 2013, sull'indicazione obbligatoria del paese d'origine o del luogo di provenienza per le carni utilizzate come ingrediente (COM(2013)0755) e il documento di lavoro dei servizi della Commissione che l'accompagna, anch'esso del 17 dicembre 2013, sull'etichettatura di origine delle carni utilizzate come ingrediente, sulla fattibilità di possibili scenari relativi a tale etichettatura e sui relativi impatti (SWD(2013)0437),

–  viste la sua risoluzione dell'11 febbraio 2015 sull'indicazione del paese di origine delle carni sull'etichetta dei prodotti alimentari trasformati(2), e la risposta formale della Commissione adottata il 6 maggio 2015,

–  visto il regolamento di esecuzione (UE) n. 1337/2013 della Commissione, del 13 dicembre 2013, che fissa le modalità di applicazione del regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l'indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza delle carni fresche, refrigerate o congelate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili(3),

–  vista la sua risoluzione del 6 febbraio 2014(4) sul suddetto regolamento di esecuzione (UE) n. 1337/2013 della Commissione del 13 dicembre 2013,

–  vista la sua risoluzione del 14 gennaio 2014 sulla crisi alimentare, le frodi nella catena alimentare e il loro controllo(5),

–  vista l'interrogazione alla Commissione sull'indicazione obbligatoria del paese d'origine o del luogo di provenienza di taluni alimenti (O-000031/2016 – B8-0363/2016),

–  vista la proposta di risoluzione della commissione per l'ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare,

–  visti l'articolo 128, paragrafo 5, e l'articolo 123, paragrafo 2, del suo regolamento,,

A.  considerando che l'articolo 26, paragrafo 5, del regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori prevede che la Commissione presenti al Parlamento europeo e al Consiglio, entro il 13 dicembre 2014, relazioni sull'indicazione obbligatoria del paese d'origine o del luogo di provenienza per i tipi di carni diverse dalle carni della specie bovina, suina, ovina, caprina e delle carni di volatili, per il latte, il latte usato quale ingrediente di prodotti lattiero-caseari, gli alimenti non trasformati, i prodotti a base di un unico ingrediente e gli ingredienti che rappresentano più del 50 % di un alimento;

B.  considerando che l'articolo 26, paragrafo 8, del regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori impone alla Commissione di adottare, entro il 13 dicembre 2013, atti di esecuzione relativi all'applicazione del paragrafo 3 dello stesso articolo;

C.  considerando che le norme in materia di etichettatura d'origine sono già in vigore ed operano in modo efficace per molti altri prodotti alimentari, tra cui carne non trasformata, uova, frutta e verdura, pesce, miele, olio extravergine di oliva, olio vergine di oliva, vino e bevande alcoliche;

D.  considerando che, in conformità dell'articolo 26, paragrafo 7, del regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, le relazioni devono, tra l'altro, prendere in considerazione l'esigenza del consumatore di essere informato, la fattibilità della fornitura dell'indicazione obbligatoria del paese d'origine o del luogo di provenienza e un'analisi dei relativi costi e benefici; che, secondo il disposto di tale articolo, le relazioni possono altresì essere corredate di proposte di modifica delle pertinenti disposizioni dell'Unione;

E.  considerando che l'articolo 26, paragrafo 2, del regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, sottolinea che l'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatoria nel caso in cui l'omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d'origine o al luogo di provenienza reali dell'alimento, in particolare se le informazioni che accompagnano l'alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l'alimento abbia un differente paese d'origine o luogo di provenienza;

F.  considerando che il 20 maggio 2015 la Commissione ha pubblicato una relazione relativa all'indicazione obbligatoria del paese di origine o del luogo di provenienza per il latte, il latte utilizzato quale ingrediente di prodotti lattiero-caseari e i tipi di carni diverse dalle carni della specie bovina, suina, ovina, caprina e dalle carni di volatili ("relazione sul latte e altre carni") e una relazione sull'indicazione obbligatoria del paese d'origine o del luogo di provenienza degli alimenti non trasformati, dei prodotti a base di un unico ingrediente e degli ingredienti che rappresentano più del 50% di un alimento;

G.  considerando che, secondo la relazione della Commissione COM(2013)0755, quanto più complesse sono le fasi di sezionamento e trasformazione e quanto più alto è il livello di trasformazione, tanto più diventa complessa la rintracciabilità ai fini dell'etichettatura d'origine;

H.  considerando che la filiera alimentare è spesso lunga e complessa e che coinvolge molti operatori del settore alimentare e altre parti; che i consumatori sono sempre meno consapevoli delle modalità di produzione degli alimenti e che i singoli operatori delle imprese alimentari non sempre dispongono di una visione d'insieme dell'intera catena di produzione;

I.  considerando che la disponibilità globale dei consumatori a pagare ("willingness to pay", WTP) per le informazioni sull'origine sembra essere modesta sebbene, da taluni studi sulla WTP condotti presso i consumatori(6), risulti che questi sono ampiamente disposti a pagare di più per avere informazioni sull'origine;

J.  considerando che, nella sua risoluzione dell'11 febbraio 2015, il Parlamento esorta la Commissione a far seguire alla sua relazione del 17 dicembre 2013 proposte legislative che rendano obbligatoria l'indicazione dell'origine delle carni presenti negli alimenti trasformati, onde assicurare maggiore trasparenza lungo la filiera alimentare e informare meglio i consumatori europei, tenendo conto nel contempo delle sue valutazioni di impatto ed evitando costi e oneri amministrativi eccessivi; che la Commissione deve ancora presentare proposte legislative di follow-up;

K.  considerando che prescrizioni rigorose esistono solo per i regimi di qualità facoltativi, quali la denominazione d´origine protetta (DOP), l´indicazione geografica protetta (IGP) o le specialità tradizionali garantite (STG), mentre i criteri utilizzati nei regimi di etichettatura volontaria degli alimenti coperti dal Regolamento (UE) n. 1169/2011 possono variare considerevolmente;

Latte per il consumo diretto e latte utilizzato quale ingrediente di prodotti lattiero-caseari

1.  evidenzia che il considerando 32 del regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori indica che il latte è uno dei prodotti per i quali un'indicazione di origine è ritenuta di particolare interesse;

2.  sottolinea che, come risulta da un sondaggio Eurobarometro del 2013, l'84% dei cittadini dell'Unione europea ritiene necessaria l'indicazione dell'origine del latte, venduto come tale o utilizzato quale ingrediente di prodotti lattiero-caseari; osserva che questo è uno dei molteplici fattori suscettibili di influenzare il comportamento dei consumatori;

3.  sottolinea che l'indicazione obbligatoria dell'origine del latte, venduto come tale o utilizzato quale ingrediente di prodotti lattiero-caseari, rappresenta una misura utile per tutelare la qualità dei prodotti lattiero-caseari e tutelare l'occupazione in un settore che registra una forte crisi;

4.  osserva altresì che, in base allo studio che accompagna la relazione della Commissione sul latte e altre carni, i costi dell'etichettatura d'origine obbligatoria per il latte utilizzato quale ingrediente di prodotti lattiero-caseari aumentano di pari passo con la complessità del processo di produzione; rileva che lo stesso studio suggerisce che le imprese di taluni Stati membri devono avere esagerato l'impatto dell'etichettatura d'origine obbligatoria sulla loro posizione competitiva, dal momento che non si è potuta trovare alcuna spiegazione chiara per le elevate previsioni di spesa da esse fornite, e che ciò potrebbe essere di per sé indice di una forte opposizione all'etichettatura d'origine;

5.  chiede l'istituzione di un gruppo di lavoro della Commissione per valutare ulteriormente la relazione della Commissione, pubblicata il 20 maggio 2015, al fine di stabilire quali costi possano essere ridotti ad un livello accettabile qualora ulteriori proposte in materia di indicazione obbligatoria del paese di origine sull'etichetta vengano limitate ai prodotti lattiero-caseari e ai prodotti lattiero-caseari leggermente trasformati;

6.  valuta positivamente l'analisi costi-benefici dell'introduzione di un'etichettatura d'origine obbligatoria per il latte e il latte utilizzato quale ingrediente effettuata nel quadro dello studio, ma ritiene che la Commissione non tenga sufficientemente conto, nelle sue conclusioni, degli aspetti positivi dell'indicazione del paese d'origine per detti prodotti, ad esempio una maggiore informazione dei consumatori; osserva che i consumatori possono sentirsi fuorviati nei casi in cui non siano disponibili informazioni sull'etichettatura d'origine obbligatoria e vengano invece utilizzate altre etichettature alimentari, come le bandiere nazionali;

7.  pone l'accento sull'importanza delle piccole e medie imprese nell'ambito della catena di trasformazione;

8.  è del parere che la Commissione debba tenere in considerazione e analizzare le incidenze economiche dell'obbligo di indicazione dell'origine per le PMI interessate dei settori agricolo e alimentare;

9.  è del parere che, per quanto riguarda il latte e il latte utilizzato quale ingrediente, le conclusioni della Commissione sovrastimino i costi dell'indicazione del paese d'origine per le imprese, in quanto prendono in considerazione l'insieme dei prodotti lattiero-caseari;

10.  osserva che la Commissione conclude che il costo dell'indicazione del paese d'origine nel caso del latte sarebbe modesto;

Altri tipi di carni

11.  sottolinea che, come risulta dal sondaggio Eurobarometro del 2013, l'88% dei cittadini dell'Unione europea ritiene necessaria l'indicazione dell'origine delle carni diverse dalle carni della specie bovina, suina, ovina, caprina e dalle carni di volatili;

12.  rileva che lo scandalo relativo alla carne equina ha dimostrato la necessità di garantire una maggiore trasparenza nella catena di approvvigionamento di tale tipo di carne;

13.  rileva che, secondo la relazione della Commissione, i costi operativi dell'indicazione obbligatoria del paese di origine sull'etichetta per le carni contemplate dallo studio sarebbero relativamente ridotti;

Carni trasformate

14.  evidenzia che la relazione della Commissione del 17 dicembre 2013 sull'indicazione obbligatoria del paese d'origine o del luogo di provenienza per le carni utilizzate come ingrediente riconosce che oltre il 90% dei consumatori che hanno risposto ritiene importante che l'origine delle carni figuri sull'etichetta dei prodotti alimentari trasformati;

15.  ritiene che i consumatori, così come molti professionisti, siano favorevoli all'etichettatura d'origine obbligatoria per la carne contenuta nei prodotti trasformati e che tale misura consentirebbe di mantenere la fiducia dei consumatori nei prodotti alimentari introducendo una maggiore trasparenza nella catena di approvvigionamento;

16.  sottolinea che l'introduzione di un'etichettatura obbligatoria dell'origine di tutti i prodotti alimentari è nell'interesse dei consumatori europei;

17.  osserva che l'etichettatura non costituisce di per sé una garanzia contro le frodi, e sottolinea la necessità di un sistema di controllo efficiente in termini di costi per garantire la fiducia dei consumatori;

18.  rammenta che i regimi di etichettatura facoltativi, ove adeguatamente attuati in vari Stati membri, hanno dato risultati positivi sia per l'informazione dei consumatori sia per i produttori;

19.  ritiene che la mancata adozione di atti esecutivi da norma dell'articolo 26, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 1169/2011 non permetta la corretta applicazione dell'articolo;

20.  rileva che per molti prodotti a base di carne e prodotti lattiero-caseari trasformati (ad esempio prosciutto e formaggio) esistono già denominazioni d'origine protetta in base alle quali l'origine della carne utilizzata è stabilita nei criteri di produzione e viene applicata una maggiore tracciabilità; invita pertanto la Commissione a promuovere lo sviluppo di prodotti caratterizzati da "denominazione d'origine protetta" (DOP) o "indicazione geografica protetta" (IGP) o registrati come "specialità tradizionale garantita" (STG) a norma del regolamento (UE) n. 1151/2012(7) assicurando in tal modo ai consumatori l'accesso a prodotti di elevata qualità con provenienza sicura;

21.  invita la Commissione a garantire che i negoziati commerciali in corso, come quelli relativi al TTIP, non indeboliscano nessuna delle disposizioni dell'UE esistenti in materia di indicazione del paese d'origine sull'etichetta e che non pregiudichino il diritto di proporre in futuro ulteriori disposizioni in materia per altri prodotti alimentari;

Conclusioni

22.  invita la Commissione a dare applicazione all'indicazione obbligatoria del paese d'origine o del luogo di provenienza per tutti i tipi di latte destinati al consumo diretto nonché ai prodotti lattiero-caseari e ai prodotti a base di carne, e a valutare la possibilità di estendere l'indicazione obbligatoria del paese di origine o del luogo di provenienza ad altri prodotti alimentari mono-ingrediente o con un ingrediente prevalente, elaborando proposte legislative in questi settori;

23.  esorta la Commissione a presentare proposte legislative che rendano obbligatoria l'indicazione dell'origine delle carni presenti negli alimenti trasformati al fine di garantire una maggiore trasparenza in tutta la catena alimentare e informare meglio i consumatori europei, sulla scia dello scandalo della carne equina e di altri casi di frodi alimentari; sottolinea altresì che i requisiti obbligatori in materia di etichettatura dovrebbero tener conto del principio di proporzionalità e degli oneri amministrativi per gli operatori del settore alimentare e per le autorità incaricate di far applicare la legislazione;

24.  ritiene che l'obiettivo di un'etichettatura d'origine obbligatoria degli alimenti sia quello di ripristinare la fiducia dei consumatori nei prodotti alimentari; invita la Commissione a presentare una proposta in tal senso, tenendo conto della trasparenza delle informazioni e della loro leggibilità per i consumatori, nonché della sostenibilità economica delle imprese europee e del potere d'acquisto dei consumatori;

25.  sottolinea l'importanza della parità di condizioni nel mercato interno ed esorta la Commissione a tener conto di tale aspetto al momento di discutere le norme in materia di etichettatura d'origine obbligatoria;

26.  invita la Commissione a sostenere programmi di etichettatura relativi al benessere degli animali durante la coltivazione, il trasporto e la macellazione;

27.  si rammarica che la Commissione non abbia ancora adottato misure per inserire le uova e gli ovoprodotti nell'elenco di prodotti alimentari per i quali l'indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza è obbligatoria, anche se gli ovoprodotti a buon mercato composti di uova liquide o essiccate, utilizzati principalmente negli alimenti trasformati, sono importati nel mercato dell'UE da paesi terzi ed eludono chiaramente il divieto dell'UE di allevamento in gabbie; ritiene pertanto che, in tale contesto, l'obbligo di etichettatura degli ovoprodotti e degli alimenti contenenti uova per indicarne l'origine e il metodo di allevamento potrebbe migliorare la trasparenza e la protezione, e invita la Commissione a presentare un'analisi di mercato e, se del caso, a elaborare adeguate proposte legislative;

28.  ritiene che l'indicazione del paese d'origine per il latte destinato al consumo diretto e i prodotti lattiero-caseari leggermente trasformati (ad esempio formaggi e panna), come anche per i prodotti a base di carne e leggermente trasformati (ad esempio il bacon e gli insaccati) abbia costi associati fortemente ridotti, e che tale etichettatura vada esplorata in via prioritaria;

29.  ritiene che l'etichettatura d'origine in quanto tale non impedisce le frodi; invoca, a tale riguardo, l'adozione di una linea risoluta per rafforzare il monitoraggio, migliorare l'applicazione della legislazione vigente e imporre sanzioni più severe;

30.  invita la Commissione ad adottare le misure necessarie per lottare contro la frode in relazione alle norme sull'indicazione volontaria dell'origine dei prodotti alimentari;

31.  invita la Commissione a sostenere gli attuali regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari oggetto del regolamento (UE) n. 1151/2012, e chiede di intensificare le campagne europee di promozione relative a tali prodotti;

32.  rinnova l'invito alla Commissione ad adempiere all'obbligo giuridico di adottare, entro il 13 dicembre 2013, gli atti di esecuzione necessari alla corretta applicazione dell'articolo 26, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 1169/2011 affinché le autorità nazionali possano comminare le corrispondenti sanzioni;

o
o   o

33.  incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione nonché ai governi e ai parlamenti degli Stati membri.

(1) GU L 304 del 22.11.2011, pag. 18.
(2) Testi approvati, P8_TA(2015)0034.
(3) GU L 335 del 14.12.2013, pag. 19.
(4) Testi approvati, P7_TA(2014)0096.
(5) Testi approvati, P7_TA(2014)0011.
(6) http://ec.europa.eu/food/safety/docs/labelling_legislation_ final_report_ew_02_15_284_en.pdf, pag. 50.
(7) GU L 343 del 14.12.2012, pag. 1.


Accordo quadro in materia di congedo parentale
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Risoluzione del Parlamento europeo del 12 maggio 2016 sull'applicazione della direttiva 2010/18/UE del Consiglio, dell'8 marzo 2010, che attua l'accordo quadro riveduto in materia di congedo parentale concluso da BUSINESSEUROPE, UEAPME, CEEP e CES e abroga la direttiva 96/34/CE (2015/2097(INI))
P8_TA(2016)0226A8-0076/2016

Il Parlamento europeo,

–  visti l'articolo 2, l'articolo 3, paragrafo 3, e l'articolo 5 del trattato sull'Unione europea,

–  visti gli articoli 8 e 10, l'articolo 153, paragrafo 1, lettera i), e l'articolo 157 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea,

–  visti gli articoli 7, 9, 23, 24 e 33 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea,

–  vista la direttiva 2010/18/UE del Consiglio, dell'8 marzo 2010, che attua l'accordo quadro riveduto in materia di congedo parentale concluso da BUSINESSEUROPE, UEAPME, CEEP e CES e abroga la direttiva 96/34/CE,

–  vista la direttiva 2013/62/UE del Consiglio, del 17 dicembre 2013, che modifica la direttiva 2010/18/UE che attua l'accordo quadro riveduto in materia di congedo parentale concluso da BUSINESSEUROPE, UEAPME, CEEP e CES in conseguenza della modifica dello status, nei confronti dell'Unione europea, di Mayotte,

–  viste le conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo tenutosi a Bruxelles il 23 e 24 marzo 2006 (777751/1/06 REV 1),

–  vista la comunicazione della Commissione dal titolo "Un miglior equilibrio tra lavoro e vita privata: sostenere maggiormente gli sforzi tesi a conciliare la vita professionale, privata e familiare" (COM(2008)0635),

–  vista la raccomandazione della Commissione del 20 febbraio 2013 dal titolo "Investire nell'infanzia per spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale" (C(2013)0778),

–  vista la sua risoluzione dell'11 marzo 2015 sul semestre europeo per il coordinamento delle politiche economiche: aspetti occupazionali e sociali nell'analisi annuale della crescita 2015(1),

–  vista la sua risoluzione del 9 giugno 2015 sulla strategia dell'Unione europea per la parità tra donne e uomini dopo il 2015(2),

–  vista la sua risoluzione del 20 maggio 2015 sul congedo di maternità(3),

–  vista la sua risoluzione dell'8 ottobre 2015 sull'applicazione della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego(4),

–  visto lo studio del Servizio Ricerca del Parlamento europeo, del maggio 2015, dal titolo "Gender Equality in Employment and Occupation – Directive 2006/54/CE: European Implementation Assessment" (uguaglianza di genere nell'occupazione e nella professione – direttiva 2006/54/CE, valutazione dell'applicazione europea),

–  visto lo studio della Direzione generale delle Politiche interne dell'Unione del Parlamento europeo, del febbraio 2015, dal titolo: "Maternity, Paternity and Parental Leave: Data related to Duration and Compensation Rates in the European Union" (congedo di maternità, di paternità e congedo parentale: dati relativi alla durata e ai tassi di compensazione nell'Unione europea),

–  visto lo studio della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound) dal titolo "Promoting parental and paternity leave among fathers" (promuovere il congedo parentale e di paternità tra i padri),

–  vista la relazione di Eurofound dal titolo "Maternity leave provisions in the EU Member States: Duration and allowances" (disposizioni in materia di congedo di maternità negli Stati membri dell'UE: durata e compensazione) (Eurofound, 2015),

–  vista la relazione 2015 di Eurofound "Promoting uptake of parental and paternity leave among fathers in the European Union" (promuovere il ricorso al congedo parentale e di paternità tra i padri),

–  visto lo studio della Commissione, del febbraio 2015, dal titolo "The Implementation of Parental Leave Directive 2010/18 in 33 European Countries" (l'attuazione della direttiva 2010/18 sul congedo parentale in 33 paesi europei),

–  visto l'articolo 52 del suo regolamento,

–  visti la relazione della commissione per l'occupazione e gli affari sociali e il parere della commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere (A8-0076/2016),

A.  considerando che è molto improbabile che l'obiettivo di un tasso di occupazione del 75 % previsto dalla strategia Europa 2020 possa essere raggiunto per le donne (attualmente è del 63,5 %) entro il 2020; considerando inoltre che sono necessarie politiche proattive intese ad aiutare le donne a entrare e a rimanere nel mercato del lavoro, nonché a tutelare e a supportare la loro reintegrazione in tale mercato una volta che sono madri, con l'obiettivo di un lavoro stabile e dignitoso e a parità di condizioni rispetto agli uomini, in particolare politiche che favoriscano un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata per tutti i genitori;

B.  considerando che il lavoro che i genitori svolgono in ambito familiare e per l'accudimento dei figli rappresenta un contributo quantificabile all'economia, che riveste per di più grande importanza in considerazione dell'evoluzione demografica in Europa;

C.  considerando che la direttiva 96/34/CE riconosce che la conciliazione della vita professionale con quella familiare è un soggetto a parte, mentre la direttiva 2010/18/UE stabilisce che tutti i lavoratori hanno diritto a un congedo parentale non retribuito di quattro mesi, di cui un mese accordato in forma non trasferibile; che il principio dell'uguaglianza di genere nell'occupazione è ormai sancito dalla legislazione dell'UE; che la parità di carriera fra donne e uomini, anche tramite lo strumento del congedo parentale, contribuirebbe a realizzare l'obiettivo di un tasso di occupazione del 75 % previsto dalla strategia Europa 2020 e a risolvere il problema della maggiore vulnerabilità delle donne dinanzi all'impoverimento, oltre a rappresentare un contributo quantificabile all'economia, cosa che per di più riveste grande importanza in considerazione dell'evoluzione demografica in Europa;

D.  considerando che i dati disponibili confermano che il congedo per motivi familiari non retribuito o sottopagato si traduce in tassi di partecipazione ridotti, e che i padri si avvalgono solo marginalmente del loro diritto al congedo parentale; che il congedo parentale, integralmente o parzialmente non trasferibile, retribuito adeguatamente, è utilizzato in modo più equilibrato da entrambi i genitori e contribuisce a ridurre la discriminazione nei confronti delle donne sul mercato del lavoro;

E.  considerando che un modello misto composto di un congedo di maternità e di paternità e di un congedo comune, vale a dire parentale, consente a entrambi i genitori di decidere insieme adeguatamente del modo in cui possono gestire il loro diritto al congedo, nell'interesse superiore dei figli e tenendo conto delle peculiarità delle rispettive professioni;

F.  considerando che il congedo parentale comporta benefici di lungo termine per lo sviluppo dei bambini; che, nel quadro delle politiche pubbliche in vigore in materia, il tasso di utilizzo del congedo parentale relativo ai padri negli Stati membri dell'UE, seppure in aumento, resta basso, con solo il 10 % dei padri che si avvale di almeno un giorno di congedo parentale; che, per contro, il 97 % delle donne utilizza il congedo parentale che è disponibile per entrambi i genitori;

G.  considerando che gli studi di Eurofound hanno indicato i fattori che influenzano il tasso di utilizzo del congedo parentale da parte dei padri, fra cui figurano il livello di compensazione, la flessibilità del sistema dei congedi, la disponibilità delle informazioni, la disponibilità e la flessibilità delle strutture per l'infanzia e la misura in cui i lavoratori temono l'isolamento dal mercato del lavoro quando prendono un congedo; che, secondo numerosi ricercatori(5) , i padri che si avvalgono del congedo parentale costruiscono un rapporto migliore con i figli ed è più probabile che svolgano un ruolo attivo nei futuri compiti che attengono alla loro custodia; che tali aspetti devono pertanto essere affrontati;

H.  considerando che l'UE nel suo complesso è chiamata a raccogliere una grave sfida demografica, dal momento che nella maggior parte degli Stati membri i tassi di natalità sono in diminuzione, e che politiche familiari eque per uomini e donne dovrebbero migliorare le prospettive delle donne nel mercato del lavoro nonché l'equilibrio tra lavoro e vita privata, ridurre i divari di genere per quanto attiene alle retribuzioni, alle pensioni e al reddito maturato nell'arco della vita, e influenzare positivamente i processi demografici;

I.  osserva che, in base ai dati Eurostat, su un totale di 3 518 600 persone che nel 2010 hanno fruito di un congedo parentale, gli uomini sono stati solo 94 800, ossia il 2,7 %; che, in base a una ricerca Eurofound (6) , il divario di genere nella partecipazione all'occupazione comporta per le economie europee gravi perdite che nel 2013 sono ammontate a circa 370 miliardi di EUR;

J.  considerando che la Commissione dovrebbe varare, unitamente agli Stati membri, iniziative concrete a favore di una nuova organizzazione del lavoro, attraverso modelli più flessibili che consentano ai genitori, tramite strumenti per la conciliazione vita-lavoro, l'effettivo esercizio del diritto alla genitorialità; che tali iniziative potrebbero contribuire a ridurre la discriminazione nei confronti delle donne e aiutarle ad entrare, a rimanere e a fare ritorno nel mercato del lavoro senza pressioni economiche e sociali;

K.  considerando che, oltre ad assicurare l'uguaglianza di genere e l'accesso delle donne all'occupazione, il congedo parentale dovrebbe consentire ai genitori di rispondere in maniera ottimale alle loro responsabilità nei confronti dei figli;

L.  considerando che è fondamentale garantire alle donne il diritto di conciliare un lavoro con diritti e il diritto alla maternità senza essere per questo penalizzate, dal momento che le donne sono a tutt'oggi i soggetti più svantaggiati e discriminati; che tra gli esempi di questa discriminazione figura la pressione esercitata sulle donne dai datori di lavoro in occasione dei colloqui di lavoro, durante i quali viene chiesto loro se hanno figli e di che età, con lo scopo di influenzare le loro decisioni e scegliere lavoratori senza figli che garantiscono una "maggiore disponibilità", senza contare le crescenti pressioni economiche e professionali esercitate sulle lavoratrici affinché non si avvalgano del congedo di maternità;

M.  considerando che uno dei limiti all'ingresso e alla permanenza delle donne nel mercato del lavoro è costituito dalle responsabilità di cura nei confronti dei figli disabili, che non sono autosufficienti e sono quindi in una condizione di dipendenza e/o appartenenti a categorie e gruppi svantaggiati;

N.  considerando che, qualora manchino disposizioni che disciplinano il congedo, o qualora le disposizioni esistenti siano considerate insufficienti, le parti sociali possono, per il tramite di accordi collettivi, svolgere un ruolo di rilievo nella definizione di nuove disposizioni o nell'aggiornamento di quelle esistenti in materia di congedo di maternità, di paternità o di congedo parentale;

O.  considerando che il bilanciamento tra vita familiare e vita lavorativa è un diritto fondamentale che dovrebbe essere pienamente garantito in ogni testo dell'UE suscettibile di avere un impatto sull'ambito in esame; che, più in generale, dovrebbe essere evidenziata l'importanza di ambienti lavorativi "family-friendly";

P.  considerando che la maggior parte degli Stati membri dell'UE rispetta già i requisiti minimi della direttiva 2010/18/UE sul congedo parentale e che in numerosi Stati membri le disposizioni nazionali vanno al di là di tali requisiti;

Q.  considerando che gli Stati membri dovrebbero promuovere, sia nel settore pubblico che in quello privato, modelli di welfare aziendale che rendano esigibile il diritto alla conciliazione vita-lavoro;

R.  considerando che la diversa incidenza che il congedo di maternità, il congedo di paternità o il congedo parentale hanno per le donne e gli uomini configura una chiara discriminazione di genere per quanto riguarda la cura dell'infanzia e la partecipazione delle donne al mercato del lavoro; che le misure adottate in molti Stati membri per incoraggiare gli uomini ad accettare un'equa ripartizione delle responsabilità familiari non hanno dato risultati apprezzabili;

S.  considerando che un congedo parentale adeguato, individuale e retribuito è di fondamentale importanza perché le coppie di genitori dello stesso sesso possano conciliare lavoro e vita privata;

T.  considerando che le donne che esercitano il loro diritto di conciliare vita professionale e vita privata avvalendosi del congedo parentale sono stigmatizzate quando rientrano nel mercato del lavoro, cosa che si traduce in condizioni lavorative meno favorevoli e in contratti precari;

Recepimento della direttiva

1.  sottolinea che le disposizioni necessarie per il recepimento della direttiva 2010/18/UE assumono forme diverse a seconda degli Stati membri; ritiene che il recepimento dovrebbe quindi avvenire nel pieno rispetto della legislazione vigente in materia di contrattazione collettiva tra le parti sociali;

2.  ritiene che, non avendo tutti gli Stati membri seguito l'approccio distinto o sequenziale dell'UE in materia di congedi di maternità e parentale, sia difficile classificare i diversi tipi di congedo a livello dell'UE;

3.  rammenta che la sovraregolamentazione da parte degli Stati membri può aumentare la complessità della normativa e ridurne, in realtà, il rispetto; invita gli Stati membri a evitare di aggiungere oneri amministrativi quando recepiscono la legislazione dell'UE;

4.  incoraggia gli Stati membri che non l'abbiano ancora fatto a mettere a disposizione della Commissione, in tempi ragionevoli, le tavole di concordanza tra le disposizioni della direttiva e le misure di recepimento; reputa fondamentale che gli Stati membri garantiscano la messa a disposizione delle risorse ispettive necessarie per verificare il rispetto della legislazione che tutela i diritti dei genitori; sollecita la Commissione a monitorare attentamente lo stato di attuazione della direttiva negli Stati membri, onde garantire che non si abusi della flessibilità che essa offre; considera il principio della condivisione delle buone pratiche come uno dei validi strumenti a disposizione per il raggiungimento di tali obiettivi;

5.  si rammarica del fatto che esistano disparità tra le misure di recepimento della direttiva per quanto riguarda il campo di applicazione, il che determina regimi più o meno favorevoli ai lavoratori in funzione, ad esempio, del settore di impiego (in tutta l'UE il settore pubblico offre maggiore protezione del settore privato, svolgendo così in questo campo un ruolo di pioniere) e della durata del contratto; raccomanda, a tal fine, di prendere ogni misura possibile per far sì che la direttiva sia attuata correttamente e uniformemente, nel settore pubblico come in quello privato; sottolinea che il diritto al congedo parentale dovrebbe essere garantito a tutti senza discriminazione, indipendentemente dal genere, a prescindere dal settore di impiego e dal tipo di contratto di lavoro dei padri e delle madri;

6.  si compiace del fatto che alcuni Stati membri abbiano recepito le disposizioni della direttiva al di là del suo campo di applicazione minimo, facendo così beneficiare di queste disposizioni i lavoratori autonomi, gli apprendisti, le coppie dello stesso sesso e i genitori di bambini adottati;

7.  è fermamente convinto che l'erogazione delle prestazioni socio-assistenziali è di competenza degli Stati membri;

8.  auspica l'adozione da parte degli Stati membri di politiche sociali collegate alla famiglia, che prevedano l'applicazione di tutti i benefici previsti dalla direttiva in caso di prolungata permanenza all'estero dei genitori per completare una procedura di adozione internazionale;

9.  osserva che, a più di dieci anni dal recepimento della direttiva 96/34/CE da parte degli Stati membri, permane uno squilibrio di genere nella fruizione del congedo parentale; rileva altresì le grandi disparità esistenti tra Stati membri relativamente alla durata massima e alla configurazione giuridica del congedo parentale nonché ai regimi retributivi durante il periodo di congedo; ritiene che il tema della retribuzione nel periodo di congedo sia fondamentale per far sì che i genitori a basso reddito e i genitori soli beneficino di tale congedo su un piede di parità con tutti gli altri genitori; si compiace delle varie misure adottate per incoraggiare i padri a utilizzare il congedo parentale; riconosce il valore dell'Unione per focalizzare l'attenzione degli Stati membri sulla necessità di intervenire e per promuovere scambi di consulenza e assistenza a favore degli Stati membri che ne hanno bisogno, in particolare nel campo dei diritti alle prestazioni sociali; ritiene che la Commissione dovrebbe proporre misure volte a incoraggiare i padri ad avvalersi del congedo parentale e che gli Stati membri dovrebbero favorire una più efficace condivisione delle migliori prassi in proposito;

10.  prende atto della decisione di alcuni Stati membri di riconoscere i diritti alla sicurezza sociale solo per un periodo inferiore alla durata massima del congedo parentale, il riduce il numero di genitori che si avvalgono effettivamente di tale congedo per la sua durata massima;

11.  invita gli Stati membri, unitamente alla Commissione, a garantire che i diritti relativi alla famiglia riconosciuti dalle politiche pubbliche, incluso il congedo parentale, siano identici sotto il profilo dei diritti individuali e che di essi si possano avvalere in eguale misura entrambi i genitori, in modo da incoraggiarli a conseguire un migliore equilibrio tra vita privata e vita professionale, nell'interesse superiore dei figli; sottolinea che tali diritti dovrebbero essere per quanto possibile individualizzati, per contribuire a raggiungere l'obiettivo di un tasso di occupazione del 75% per donne e uomini fissato dalla strategia Europa 2020 e promuovere l'uguaglianza di genere; ritiene che sarebbe opportuno dare ai genitori una certa flessibilità nell'utilizzo del congedo parentale, e che quest'ultimo non dovrebbe in alcun caso costituire un ostacolo per il raggiungimento dell'obiettivo di un tasso di occupazione del 75% per donne e uomini fissato dalla strategia Europa 2020; reputa che il sistema adottato dalle parti sociali dovrebbe promuovere una soluzione nell'ambito della quale una parte significativa del congedo continui a essere non trasferibile; sottolinea che entrambi i genitori devono ricevere lo stesso trattamento in termini di diritto al reddito e durata del congedo parentale;

12.  sottolinea che le famiglie con figli in cui i genitori interrompono l'attività lavorativa per allevarli non subiscono solo una perdita di reddito, ma devono anche far fronte a spese aggiuntive e vedono riconosciuto in misura davvero insufficiente il ruolo genitoriale;

13.  prende atto della flessibilità che la direttiva concede agli Stati membri nel definire le forme di congedo parentale – a tempo parziale o a tempo pieno –, i periodi di lavoro e i termini di preavviso posti come condizioni per la concessione del congedo parentale; osserva che, in alcuni Stati membri, i lavoratori con contratti atipici, come i contratti a tempo determinato(7) e a zero ore(8) non sono sempre inclusi nelle misure in esame e si dichiara preoccupato per l'abuso di questi tipi di contratti di lavoro; prende atto delle iniziative introdotte dagli Stati membri per riconoscere ai lavoratori la massima flessibilità possibile in questo ambito, al fine di assicurare che il congedo parentale corrisponda al loro contesto professionale e privato, ma ritiene che l'obiettivo di qualsiasi regolamentazione dovrebbe essere quello di rafforzare la fruizione del congedo parentale;

14.  osserva che la ripresa del lavoro dopo un periodo di congedo parentale può costituire una situazione difficile e stressante sia per il genitore sia per il figlio; invita gli Stati membri ad adottare politiche familiari volte a favorire un ritorno agevole e graduale al lavoro e una conciliazione globale vita-lavoro ottimale, prendendo nel contempo in considerazione la promozione del telelavoro, del lavoro a domicilio e dello smart working, facendo sì che tali politiche non comportino aggravi per i dipendenti;

15.  invita gli Stati membri, in sede di regolamentazione, a garantire certezza alle imprese nella loro pianificazione, con particolare attenzione per le esigenze delle microimprese e delle piccole e medie imprese;

16.  invita a migliorare e rafforzare le disposizioni della direttiva 2010/18/UE in tema di condizioni di accesso e modalità̀ di applicazione del congedo parentale ai genitori di figli con disabilità o malattie gravi o a lungo decorso in tema di disabilità, anche tenendo conto dei migliori esempi provenienti dagli Stati membri (estensione del limite di età del figlio ai fini del ricorso al congedo parentale o di cura, accesso facilitato al part-time al ritorno sul posto di lavoro, estensione della durata del congedo);

17.  sottolinea la necessità di garantire condizioni favorevoli per la ripresa dell'attività lavorativa da parte di chi ha beneficiato del congedo parentale, in particolare per quanto concerne il ritorno al medesimo posto di lavoro, o a lavoro equivalente o analogo corrispondente al contratto o al rapporto di lavoro, le modifiche dell'orario di lavoro e/o dell'organizzazione della vita professionale al momento della ripresa dell'attività professionale (inclusa la necessità per il datore di lavoro di giustificare eventuali rifiuti), la possibilità di beneficiare di periodi di formazione, la protezione contro il licenziamento o contro trattamenti meno favorevoli conseguenti alla richiesta o fruizione del congedo parentale e il riconoscimento di un periodo di protezione contro il licenziamento affinché i lavoratori possano riadattarsi al loro posto di lavoro;

Per una direttiva efficace che risponda alle sfide dell'equilibrio tra lavoro e vita privata

18.  rileva che la Commissione ha ritirato la proposta di revisione della direttiva sul congedo di maternità e che, nel contesto della tabella di marcia "Nuovo inizio per affrontare le sfide dell'equilibrio tra vita professionale e vita privata incontrate dalle famiglie che lavorano", la Commissione non prevede al momento di pubblicare una relazione finale sull'attuazione della direttiva sul congedo parentale; invita la Commissione, nel rispetto del principio di sussidiarietà, a presentare una proposta ambiziosa che consenta veramente di migliorare la conciliazione tra vita professionale e vita privata;

19.  ritiene che il dibattito politico debba vertere anche su una serie di iniziative non legislative, in vista di un'azione comune con gli Stati membri e la società civile per sottolineare il ruolo dei genitori e promuovere la conciliazione famiglia-lavoro;

20.  ritiene che si debba anche valutare la possibilità di una più ampia iniziativa non legislativa per promuovere la conciliazione famiglia-lavoro negli Stati membri;

21.  ritiene che, tenuto conto delle sovrapposizioni tra i diversi tipi di congedi familiari, sia necessario garantire coerenza tra i vari testi a livello di Unione, coinvolgendo le parti sociali, affinché le famiglie dispongano di formule di congedo rispondenti alle varie fasi della vita per promuovere una ripartizione più equa delle responsabilità di cura tra donne e uomini; esorta la Commissione a valutare la possibilità di attivare a tale fine la clausola di riesame contenuta nella legislazione UE sul congedo parentale; ritiene che sia necessaria una normativa formulata in modo più chiaro, che elimini la complessità, sia più facile da rispettare e tuteli i lavoratori;

22.  chiede che le parti sociali, sulla base della relazione della Commissione pubblicata nel febbraio 2015, affrontino le lacune della direttiva sul congedo parentale con riguardo al pieno conseguimento dei relativi obiettivi in termini di conciliazione vita-lavoro, partecipazione femminile al mercato del lavoro, sfide demografiche e partecipazione degli uomini alle mansioni domestiche, compresa la cura dei figli e di altre persone a carico; ritiene che occorrerebbe adottare misure più efficaci per incoraggiare una più equa ripartizione delle responsabilità familiari tra uomini e donne;

23.  evidenzia che un ricorso soddisfacente al congedo parentale è strettamente legato a un adeguato livello di compensazione dello stesso; osserva che, ove mancano disposizioni che disciplinano il congedo, o qualora le disposizioni esistenti siano considerate insufficienti, le parti sociali possono, per il tramite di accordi collettivi, svolgere un ruolo di rilievo nella definizione di nuove disposizioni o nell'aggiornamento di quelle esistenti in materia di congedo di maternità e paternità o di congedo parentale; invita gli Stati membri, d'intesa con le parti sociali, a riesaminare il loro sistema di compensazione finanziaria del congedo parentale al fine di raggiungere un livello che funga da incentivo per un reddito sostitutivo adeguato e decoroso e che incoraggi altresì gli uomini ad avvalersi del congedo parentale al di là del periodo minimo garantito dalla direttiva;

24.  ritiene che la promozione dell'individualizzazione del diritto al congedo e di azioni positive intese a promuovere il ruolo dei padri sia essenziale per contribuire a una conciliazione tra lavoro e vita privata equilibrata dal punto di vista di genere;

25.  invita la Commissione e le parti sociali a valutare la possibilità di estendere adeguatamente la durata minima del congedo parentale da quattro mesi a sei mesi almeno per garantire una migliore conciliazione vita-lavoro;

26.  sottolinea che i miglioramenti in termini di coordinamento, coerenza e accessibilità dei sistemi di congedo (di maternità, di paternità o parentale) degli Stati membri aumentano i tassi di partecipazione e l'efficienza globale; sottolinea che, a tale proposito, è essenziale e urgente una direttiva europea su un congedo di paternità minimo di due settimane;

27.  sottolinea la necessità di estendere il periodo nel corso del quale i due genitori possono far valere il loro diritto alla fruizione del congedo parentale; invita la Commissione e le parti sociali a innalzare l'età del bambino per il quale è possibile usufruire del congedo parentale e a tener altresì conto del fatto che, nel caso dei genitori di bambini con disabilità o malattie di lunga durata, sarebbe opportuno estendere la possibilità di usufruire del congedo parentale al di là dell'età dei figli fissata nella direttiva;

28.  invita gli Stati membri e le parti sociali ad affrontare i numerosi ostacoli che rendono difficoltoso il ritorno al lavoro dopo un lungo periodo di congedo parentale, onde evitare che tale congedo diventi una trappola di esclusione dal mercato del lavoro; ricorda in tale contesto che la parità tra uomini e donne può essere conseguita solo mediante un'equa redistribuzione del lavoro retribuito e non retribuito nonché delle responsabilità lavorative, familiari e di cura;

29.  invita gli Stati membri e le parti sociali a continuare a impegnarsi per una maggiore convergenza relativamente allo scambio delle migliori prassi nel campo della conciliazione vita-lavoro, prestando particolare attenzione a politiche che favoriscono l'accesso delle madri al mercato del lavoro e la loro permanenza e reintegrazione in tale mercato, nonché la partecipazione dei padri alla vita familiare, e che aumentano la fruizione del congedo parentale da parte dei padri; incoraggia la Commissione, unitamente agli Stati membri, a monitorare e promuovere tali iniziative;

30.  ritiene che, al fine di raggiungere gli obiettivi di Barcellona, in via complementare alle misure legislative volte a migliorare l'equilibrio vita-lavoro, gli Stati membri, sostenuti finanziariamente dai vari strumenti dell'Unione, dovrebbero concentrarsi sulla creazione di servizi per l'infanzia – pubblici o privati – di qualità, inclusivi, a prezzi ragionevoli e accessibili, che siano disponibili fin dal momento in cui un genitore rientra nel mercato del lavoro, con un'attenzione particolare per le famiglie indigenti e a rischio di esclusione sociale;

31.  invita gli Stati membri a sensibilizzare i genitori in merito ai vantaggi, sia per i loro figli sia per loro stessi, della partecipazione a programmi di educazione e cura della prima infanzia; invita gli Stati membri ad adattare l'impostazione di servizi educativi e di cura per la prima infanzia che siano inclusivi e di qualità e i relativi criteri di ammissione alla sempre maggiore diversificazione dei modelli lavorativi, aiutando in questo modo i genitori a rispettare i loro obblighi professionali o a trovare un lavoro, mantenendo nel contempo un forte accento sull'interesse superiore dei minori;

32.  ritiene che un approccio integrato alla parità di genere – incluse politiche finalizzate al superamento di ruoli di genere stereotipati – e alla conciliazione vita-lavoro in tutte le future iniziative dell'UE conferirebbe coerenza e trasparenza al processo e contribuirebbe a garantire la promozione di una conciliazione vita-lavoro equilibrata sotto il profilo di genere; invita la Commissione e gli Stati membri a sensibilizzare la società sui diritti e le possibilità di ricorso in materia di conciliazione vita-lavoro;

33.  invita la Commissione, a misurare l'impatto positivo delle iniziative sul miglioramento della conciliazione vita-lavoro ai fini di una ridistribuzione delle responsabilità familiari, domestiche e di cura, nonché per estendere le particolari responsabilità di cura dei genitori che hanno figli disabili, in condizione di dipendenza e/o appartenenti a categorie e gruppi svantaggiati;

o
o   o

34.  incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio e alla Commissione.

(1) Testi approvati, P8_TA(2015)0068.
(2) Testi approvati, P8_TA(2015)0218.
(3) Testi approvati, P8_TA(2015)0207.
(4) Testi approvati, P8_TA(2015)0351.
(5) http://www.oecd.org/gender/parental-leave-where-are-the-fathers.pdf
(6) https://www.eurofound.europa.eu/news/news-articles/social-policies/international-womens-day-2016-the-campaign-for-equality-continues
(7) Peter Moss in the 10th International Review of Leave Policies and Related Research 2014, giugno 2014, pag. 39.
(8) https://www.cipd.co.uk/binaries/zero-hours-contracts_2013-myth-reality.pdf


Prevenzione e repressione della tratta di esseri umani
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Risoluzione del Parlamento europeo del 12 maggio 2016 sull'attuazione della direttiva 2011/36/UE del 5 aprile 2011 concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime da una prospettiva di genere (2015/2118(INI))
P8_TA(2016)0227A8-0144/2016

Il Parlamento europeo,

–  visti l'articolo 2 e l'articolo 3, paragrafo 3, secondo comma, del trattato sull'Unione europea (TUE) e gli articoli 8, 79 e 83 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE),

–  visti gli articoli 3, 5 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea,

–  vista la Convenzione delle Nazioni Unite sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) del 1979, in particolare l'articolo 6, volto a reprimere tutte le forme di tratta delle donne e sfruttamento della prostituzione,

–  vista la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU),

–  vista la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948,

–  vista la Convenzione delle Nazioni Unite del 1949 per la repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione,

–  visti la dichiarazione e la piattaforma d'azione di Pechino, adottate alla quarta Conferenza mondiale sulle donne il 15 settembre 1995, e i successivi documenti finali adottati in occasione delle sessioni speciali delle Nazioni Unite di Pechino +5 (2000), Pechino +10 (2005) e Pechino +15 (2010) e della conferenza di revisione di Pechino +20,

–  visto il protocollo del 2000 per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini, soprattutto la definizione concordata a livello internazionale di tratta di esseri umani ivi contenuta, allegato alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale,

–  visti la Convenzione delle Nazioni Unite del 1989 sui diritti del fanciullo e il protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti del fanciullo sulla vendita di bambini, la prostituzione dei bambini e la pornografia rappresentante bambini e la risoluzione del Parlamento europeo del 27 novembre 2014 sul 25° anniversario della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia(1),

–  vista la Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina,

–  vista la Convenzione dell'Aia in materia di adozione,

–  visto il commento congiunto delle Nazioni Unite sulla direttiva dell'UE sulla prevenzione e la repressione della tratta degli esseri umani e la protezione delle vittime, che esige che sia fornita protezione internazionale alle vittime della tratta di esseri umani in modo attento alla dimensione di genere,

–  vista la Convenzione n. 29 dell'OIL sul lavoro forzato e obbligatorio, il cui articolo 2 definisce il lavoro forzato,

–  viste la Convenzione del Consiglio d'Europa sull'azione contro la tratta degli esseri umani e le raccomandazioni del Consiglio d'Europa in tale ambito,

–  vista la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (convenzione di Istanbul),

–  visto il regolamento (UE) 2015/2219 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, sull'Agenzia dell'Unione europea per la formazione delle autorità di contrasto (CEPOL) e che sostituisce e abroga la decisione 2005/681/GAI del Consiglio(2),

–  vista la direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI(3),

–  vista la direttiva 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, e che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI(4),

–  vista la direttiva 2009/52/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009, che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare(5),

–  vista la direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare(6),

–  vista la direttiva 2004/81/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un'azione di favoreggiamento dell'immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti(7),

–  vista la comunicazione della Commissione dal titolo "Strategia dell'UE per l'eradicazione della tratta degli esseri umani (2012-2016)" (COM(2012)0286),

–  visto il documento di lavoro dei servizi della Commissione dal titolo "Mid-term report on the implementation of the EU Strategy towards the Eradication of Trafficking in Human Beings" (Relazione intermedia sull'attuazione della strategia dell'UE per l'eradicazione della tratta degli esseri umani) (SWD(2014)0318),

–  vista la comunicazione della Commissione intitolata "Agenda europea sulla sicurezza" (COM(2015)0185),

–  visto il documento di lavoro dei servizi della Commissione dal titolo "Strategic engagement for gender equality 2016-2019" (Impegno strategico per l'uguaglianza di genere 2016-2019) (SWD(2015)0278),

–  vista la relazione sulla situazione elaborata da Europol: "Trafficking in human beings in the EU" (La tratta di esseri umani nell'UE) (febbraio 2016)

–  vista la relazione di Eurostat sulla tratta di esseri umani, edizione del 2015,

–  vista la valutazione europea sull'attuazione della direttiva 2011/36/UE elaborata dalla Direzione generale dei servizi di ricerca parlamentare (EPRS),

–  visto lo studio sulla dimensione di genere della tratta di esseri umani, richiesto dalla Commissione nel 2016,

–  vista la sua risoluzione del 25 febbraio 2014 recante raccomandazioni alla Commissione sulla lotta alla violenza contro le donne(8),

–  vista la sua risoluzione del 26 febbraio 2014 su sfruttamento sessuale e prostituzione, e sulle loro conseguenze per la parità di genere(9),

–  vista la sua risoluzione del 9 giugno 2015 sulla strategia dell'Unione europea per la parità tra donne e uomini dopo il 2015(10),

–  visto l'articolo 52 del suo regolamento,

–  visti la relazione della commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere e il parere della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (A8-0144/2016),

A.  considerando che la tratta di esseri umani costituisce una gravissima violazione dei diritti fondamentali, come sancito all'articolo 5, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nonché una violazione della dignità umana e dell'integrità fisica e psicologica delle vittime che provoca loro gravi danni spesso per il resto della loro vita e rappresenta altresì una grave forma di criminalità, spesso organizzata, che è alimentata da una forte domanda e profitti elevati, stimati a circa 150 miliardi di dollari all'anno(11), e indebolisce lo Stato di diritto; considerando che le differenze tra le legislazioni degli Stati membri agevolano notevolmente le attività dei gruppi appartenenti alla criminalità organizzata, che il rischio di essere perseguiti penalmente è ancora troppo basso e che le sanzioni comminate per prevenire il reato sono inadeguate rispetto ai potenziali profitti elevati;

B.  considerando che la tratta di esseri umani è definita all'articolo 2 della direttiva 2011/36/UE come il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l'alloggio o l'accoglienza di persone, compreso il passaggio o il trasferimento del controllo su queste persone, con la minaccia dell'uso o con l'uso stesso della forza o di altre forme di coercizione, con il rapimento, la frode, l'inganno, l'abuso di potere o della posizione di vulnerabilità o con l'offerta o l'accettazione di somme di denaro o di vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un'altra, a fini di sfruttamento; che lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro o servizi forzati, compreso l'accattonaggio, la schiavitù o pratiche simili alla schiavitù, la servitù, lo sfruttamento di attività illecite o il prelievo di organi;

C.  considerando che la tratta di esseri umani assume forme diverse e che le vittime di tale fenomeno sono presenti in numerose attività legali e illegali, tra cui, in particolare, l'agricoltura, la trasformazione alimentare, l'industria del sesso, il lavoro domestico, la produzione, l'assistenza, la pulizia, altri settori (in particolare nel settore dei servizi), l'accattonaggio, la criminalità, il matrimonio forzato, lo sfruttamento sessuale di minori online, le adozioni illegali e il traffico di organi umani;

D.  considerando che, come affermato nel commento congiunto delle Nazioni Unite sulla direttiva dell'Unione europea – Un approccio basato sui diritti umani (2011), diverse agenzie delle Nazioni Unite hanno ricordato la necessità di riconoscere la tratta sia degli uomini che delle donne e di affrontare le somiglianze e le differenze tra le esperienze delle donne e quelle degli uomini in relazione alle vulnerabilità e alle violenze;

E.  considerando che l'attuale crisi dei rifugiati ha evidenziato la mancanza di strumenti adeguati a livello europeo per contrastare congiuntamente la tratta di esseri umani, in particolare quando l'obiettivo è lo sfruttamento sessuale di donne e minori;

F.  considerando che un'unica strategia "valida per tutti" non è efficiente e che le diverse forme di tratta, quali la tratta a fini di sfruttamento sessuale, di sfruttamento della manodopera e la tratta di minori, devono essere contrastate adottando provvedimenti strategici specifici e mirati;

G.  considerando che la direttiva 2011/36/UE (in appresso "la direttiva") va apprezzata per il suo approccio incentrato sui diritti umani e i diritti delle vittime, dal momento che le vittime della tratta di esseri umani godono di determinati diritti e servizi a norma del diritto internazionale, indipendentemente dalla loro capacità o volontà di collaborare alle indagini penali (ai sensi dell'articolo 11, paragrafo 3, della direttiva);

H.  considerando che tutti i servizi di sostegno alle vittime della tratta devono essere resi effettivamente incondizionati e garantire che non vi sia un'ulteriore vittimizzazione;

I.  considerando che la tratta di esseri umani è, da un lato, il risultato di disuguaglianze economiche e sociali e, dall'altro, è aggravata dalle disparità economiche, sociali, educative e formative tra le donne e gli uomini;

J.  considerando che le recenti statistiche mostrano che la maggior parte delle vittime della tratta di esseri umani sono donne; considerando che il genere non crea di per sé vulnerabilità ma che esistono numerosi fattori che contribuiscono a creare una situazione di vulnerabilità, tra cui la povertà, l'esclusione sociale, il sessismo e la discriminazione;

K.  considerando che l'80% delle vittime accertate della tratta di esseri umani(12) è costituito da donne e ragazze, il che può essere in parte attribuito alla violenza e alla discriminazione strutturali nei loro confronti;

L.  considerando che la domanda di donne, ragazze, uomini e ragazzi nei settori della prostituzione rappresenta un fattore di attrazione determinante per la tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale; che la domanda di manodopera a buon mercato e l'incapacità di sostenere i diritti dei lavoratori costituiscono fattori di attrazione per la tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento del lavoro;

M.  considerando che la tolleranza sociale nei confronti delle disuguaglianze di genere e della violenza contro le donne e le ragazze, nonché la scarsa consapevolezza da parte dell'opinione pubblica sulle questioni relative alla tratta di esseri umani favoriscono un clima propizio alla tratta;

N.  considerando che i tipi di prostituzione in cui è più probabile riscontrare vittime della tratta di esseri umani, quali la prostituzione di strada, sono diminuiti nei paesi che hanno configurato come reato l'acquisto di servizi sessuali e le attività che traggono profitto dalla prostituzione altrui;

O.  considerando che la tratta di donne e ragazze, uomini e ragazzi a fini di sfruttamento sessuale è diminuita nei paesi in cui la domanda è diventata perseguibile, compresi lo sfruttamento della prostituzione e l'acquisto di servizi sessuali;

P.  considerando che i gruppi minoritari e immigrati, quali i Rom, rappresentano un numero sproporzionato di vittime della tratta di esseri umani per il fatto di essere socialmente ed economicamente emarginati;

Q.  considerando che le aspettative e la discriminazione di genere danneggiano tutti, e che gli uomini sono meno propensi ad ammettere di essere stati vittime di sfruttamento;

R.  considerando che l'emancipazione economica e sociale delle donne e delle minoranze le renderebbe meno vulnerabili a diventare vittime della tratta di esseri umani;

S.  considerando che l'individuazione delle vittime continua a costituire una sfida e che, per aiutare le vittime della tratta e perseguire e condannare i trafficanti, occorre rafforzare il sostegno alle vittime e la loro protezione, compreso il diritto della vittima di risiedere e lavorare legalmente nello Stato membro dove è stata illegalmente introdotta, migliorando al contempo il loro accesso alla giustizia e al risarcimento;

T.  considerando che i minori rappresentano circa il 16 %(13) delle vittime accertate della tratta di esseri umani e le ragazze fino al 13%(14) di tale tratta, e che si tratta di categorie particolarmente vulnerabili, dato che i minori vittime di tale tratta riportano danni fisici, psicologici ed emotivi gravi e duraturi;

U.  considerando che il 70 % delle vittime identificate e il 70% degli indagati per tratta di esseri umani nell'UE è costituito da cittadini dell'UE e che le vittime di sfruttamento sessuale, nella maggior parte dei casi denunciati, sono cittadine dell'UE provenienti dall'Europa centrale e orientale(15); che tale aspetto deve essere tenuto in considerazione al momento di mettere a punto di sistemi di identificazione ai fini di un migliore riconoscimento di tutte le vittime della tratta di esseri umani;

V.  considerando che la maggioranza delle vittime accertate sono donne e ragazze vittime di tratta a fini di sfruttamento sessuale, che assieme rappresentano il 95 % delle vittime della tratta ai fini di sfruttamento sessuale(16); che la tratta costituisce una forma di violenza contro le donne e le ragazze;

W.  considerando che la tratta di esseri umani è un fenomeno complesso e transnazionale che può essere affrontato efficacemente solo se le istituzioni dell'UE e gli Stati membri collaborano in modo coordinato per evitare la "ricerca del foro più vantaggioso" da parte dei gruppi criminali e degli individui e se ci si concentra sull'identificazione e la protezione delle vittime, potenziali e reali, con una prospettiva intersettoriale integrata; considerando che vi è una chiara distinzione tra tratta di esseri umani e traffico di esseri umani, ma che occorre prestare una particolare attenzione ai richiedenti asilo, ai rifugiati, ai migranti e ad altri gruppi vulnerabili, in particolare i bambini, i minori non accompagnati e le donne in quanto sono esposti a molteplici rischi e sono particolarmente vulnerabili allo sfruttamento e all'ulteriore vittimizzazione;

X.  considerando che la tratta di esseri umani è spesso percepita come condotta esclusivamente da gruppi criminali organizzati, sebbene, in realtà, possa anche essere praticata da familiari, amici, parenti, partner e ordinari datori di lavoro della vittima;

Y.  considerando che la maggior parte (il 70 %) dei trafficanti sospettati, perseguiti e condannati è rappresentata da uomini, anche se le donne costituiscono una ragguardevole minoranza (29 %) e possono svolgere un ruolo chiave nel processo della tratta di esseri umani(17), in particolare nel caso della tratta di minori;

Z.  considerando che, per essere efficace, qualsiasi legislazione volta a combattere la tratta deve essere accompagnata da una netta transizione culturale da una cultura di impunità a una cultura di totale intransigenza nei confronti dei trafficanti;

AA.  considerando che spesso le vittime non dispongono di informazioni sui loro diritti e su come esercitarli efficacemente;

AB.  considerando che il concetto di tratta di esseri umani è diverso dalla schiavitù e dalle più ampie discussioni in materia di sfruttamento; che non tutti i tipi di sfruttamento possono essere considerati come tratta di esseri umani;

Valutazione generale delle misure adottate in relazione alla dimensione di genere della tratta di esseri umani nell'attuazione della direttiva

1.  prende atto che la direttiva 2011/36/UE doveva essere recepita nelle legislazioni nazionali degli Stati membri entro il 6 aprile 2013 e che tutti gli Stati membri tranne uno hanno notificato alla Commissione l'avvenuto recepimento di tale direttiva nel diritto nazionale;

2.  invita gli Stati membri ad accelerare la piena e corretta attuazione della direttiva 2011/36/UE concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime;

3.  sottolinea che il quadro giuridico e politico dell'UE riconosce che la tratta è un fenomeno specifico di genere e invita gli Stati membri ad adottare misure specifiche di genere(18); ricorda che l'articolo 1 della direttiva sottolinea la necessità di adottare un approccio sensibile alla dimensione di genere in relazione alla tratta di esseri umani; sottolinea che le donne e gli uomini, le bambine e i bambini, sono vulnerabili in modi diversi e spesso sono vittime della tratta per fini diversi e pertanto la prevenzione, l'assistenza e le misure di sostegno devono essere legate al genere; rileva, inoltre, che la strategia dell'UE classifica la violenza contro le donne e le disuguaglianze di genere fra le principali cause della tratta e stabilisce una serie di misure volte ad affrontare la dimensione di genere di tale fenomeno;

4.  rileva che la Commissione è tenuta a pubblicare una serie di relazioni concernenti i diversi aspetti dell'attuazione della direttiva; esprime grave rammarico per il fatto che tali relazioni saranno pubblicate in ritardo, dato che ciò getta una luce preoccupante sulle sue priorità in materia di esecuzione; invita la Commissione a rispettare gli obblighi di relazione e il calendario quali stabiliti nella direttiva;

5.  ricorda che, in base all'articolo 23, paragrafo 1, della direttiva 2011/36/UE, la Commissione ha l'obbligo di presentare entro aprile 2015 una relazione al Parlamento e al Consiglio in cui valuta in che misura gli Stati membri abbiano adottato le misure necessarie per conformarsi alla direttiva; rammenta che tale compito non è stato completato nei tempi previsti;

6.  evidenzia che la dimensione di genere deve essere oggetto di un monitoraggio costante nell'attuazione della legislazione anti-tratta dell'UE e sollecita la Commissione a continuare a monitorare questo aspetto nella sua valutazione dell'osservanza e dell'attuazione della direttiva da parte degli Stati membri;

7.  elogia il buon lavoro svolto dal coordinatore anti-tratta dell'UE nello sviluppo di conoscenze e dati sui diversi aspetti della tratta di esseri umani, inclusa la ricerca relativa alla dimensione di genere e, in particolare, la vulnerabilità dei minori; ritiene tuttavia che, per accelerare la risposta dell'UE alla tratta di esseri umani, il mandato del coordinatore anti-tratta dell'UE potrebbe essere ampliato;

8.  si rammarica che le capacità di Europol non siano sfruttate appieno tra le autorità di contrasto degli Stati membri al fine di promuovere lo scambio di informazioni con Europol, affinché si possano stabilire connessioni tra le indagini nei diversi Stati membri e si possa delineare un quadro di intelligence più completo delle reti della criminalità organizzata più pericolose attive nell'Unione europea;

9.  si compiace della creazione, da parte della Commissione, di una pagina Internet contro la tratta, che contiene una banca dati dei progetti finanziati dall'UE all'interno dell'UE stessa e in altri paesi, informazioni aggiornate sugli strumenti giuridici e politici dell'UE, sulle misure adottate dagli Stati membri contro la tratta di persone, sulle opportunità di finanziamento e le iniziative dell'UE;

10.  sottolinea l'importanza di disporre di informazioni chiare e coerenti per le vittime e gli operatori in prima linea che possono entrare in contatto con loro, le forze di pubblica sicurezza, le autorità giudiziarie, la polizia e i servizi sociali, il che include informazioni sui diritti relativi all'assistenza di emergenza, all'assistenza sanitaria e alle cure mediche, sui permessi di soggiorno, sui diritti del lavoro, sull'accesso alla giustizia e all'assistenza legale, sulle possibilità di chiedere un indennizzo, sui diritti specifici dei minori, ecc.;

11.  osserva che è altresì importante prestare maggiore attenzione agli intermediari del mercato del lavoro, agli appaltatori, ai subappaltatori e alle agenzie di collocamento, in particolare nei settori ad alto rischio, al fine di prevenire la tratta di esseri umani, soprattutto finalizzata allo sfruttamento della manodopera, ma anche allo sfruttamento sessuale che si nasconde dietro presunti contratti di servizio nel settore della ristorazione e dei servizi alla persona;

12.  sottolinea che nel quadro politico e giuridico dell'UE sulla tratta degli esseri umani coesistono la dimensione interna e quella esterna, riconoscendo che la lotta alla tratta di esseri umani, che costituisce una grave violazione dei diritti umani, rappresenta un chiaro obiettivo dell'azione esterna dell'UE; evidenzia inoltre che i paesi al di fuori dell'UE sono spesso i paesi di origine e di transito per la tratta all'interno dell'UE e che la lotta contro la tratta, in quanto attività illegale transfrontaliera, è un settore importante nel quale cooperare con i paesi terzi; si compiace, a tale riguardo, che su richiesta del Consiglio, la Commissione e il Servizio europeo per l'azione esterna (SEAE) abbiano elaborato un pacchetto di informazioni sulle attività svolte nelle regioni e nei paesi prioritari ai fini della lotta alla tratta di esseri umani, nonché un elenco degli strumenti a disposizione dell'UE e degli Stati membri, comprese le politiche esterne che affrontano la tratta di esseri umani e i progetti finanziati dall'UE e dagli Stati membri in questo settore; invita gli Stati membri a cooperare con la Commissione e il SEAE nella lotta alla tratta di esseri umani;

13.  ritiene che i richiedenti asilo, i rifugiati e i migranti siano particolarmente vulnerabili alla tratta e che occorra prestare una particolare attenzione alla tratta di donne, bambini e altri gruppi vulnerabili; invita l'UE e gli Stati membri a esaminare il legame esistente tra il numero crescente di rifugiati che arrivano e la tratta di esseri umani; invita gli Stati membri a intensificare la cooperazione, anche nei punti di crisi, per identificare le potenziali vittime e impiegare tutti i mezzi necessari per contrastare i trafficanti e i passatori, anche migliorando la raccolta di dati e garantendo la conformità con le norme di protezione esistenti; ricorda il ruolo delle reti e delle agenzie dell'UE nell'identificazione precoce delle vittime alle frontiere dell'Unione e nella lotta contro la tratta di esseri umani e, in tale contesto, sottolinea la necessità di una maggiore cooperazione tra Europol, Eurojust, le autorità nazionali e i paesi terzi anche attraverso l'utilizzo della banca dati ECRIS; chiede che siano destinate maggiori risorse alle agenzie che si occupano di giustizia e affari interni (GAI) per consentire la nomina di funzionari che abbiano ricevuto una formazione sulle questioni di genere, in particolare negli Stati membri che si trovano costretti ad affrontare flussi migratori misti più consistenti; sottolinea che il nuovo approccio basato sui punti di crisi ("hotspot") non dovrebbe limitarsi a una rapida elaborazione e assorbimento degli arretrati, quanto includere una proporzionata componente anti-tratta orientata verso un'efficace segnalazione delle potenziali vittime;

14.  invita gli Stati membri a valutare in modo critico la registrazione dei rifugiati e i relativi servizi e le strutture di assistenza, in quanto questo gruppo, in particolare i minori non accompagnati, è estremamente vulnerabile allo sfruttamento da parte di bande criminali e alla successiva tratta di esseri umani;

15.  ritiene che occorra rivolgere maggiore attenzione alla situazione delle vittime transgender, che spesso subiscono discriminazione, stigmatizzazione e minacce di violenza per la propria identità di genere; è dell'avviso che le persone transgender debbano essere considerate come un gruppo vulnerabile, in quanto sono particolarmente esposte al rischio di cadere nelle mani dei trafficanti; ritiene che questo fattore di vulnerabilità debba essere tenuto in considerazione in sede di valutazione individuale del rischio da parte degli Stati membri, onde garantire che le vittime della tratta ricevano la protezione e le cure necessarie; invita gli Stati membri a fornire ai funzionari suscettibili di entrare in contatto con vittime effettive o potenziali della tratta di esseri umani una formazione adeguata sulle specificità delle vittime transgender, affinché siano in grado di individuare tali vittime in modo più proattivo e adattare i servizi di assistenza alle loro esigenze;

Prospettiva di genere nella prevenzione della tratta di esseri umani

16.  sottolinea che, ai sensi dell'articolo 11 della direttiva, gli Stati membri hanno l'obbligo di istituire meccanismi atti a garantire l'identificazione precoce, l'assistenza e il sostegno delle vittime, in cooperazione con le pertinenti organizzazioni di sostegno; sottolinea la necessità di una strategia strutturata su quattro dimensioni fondamentali: prevenzione, azione penale, protezione delle vittime e un partenariato a più livelli;

17.  invita gli Stati membri a combattere l'impunità, a configurare la tratta come reato e a garantire che i responsabili siano consegnati alla giustizia e che le sanzioni siano inasprite; esorta pertanto gli Stati membri a ratificare ogni strumento, accordo o atto giuridico internazionale pertinente che renderà gli sforzi volti a contrastare la tratta di esseri umani più efficaci, coordinati e coerenti, ivi compresa la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani;

18.  invita ad adottare un approccio coerente per perseguire i reati relativi alla tratta di esseri umani ed esorta gli Stati membri a intensificare le indagini e i procedimenti giudiziari; chiede, a tale scopo, agli Stati membri di accrescere la cooperazione e la collaborazione transfrontaliera con le pertinenti agenzie dell'Unione;

19.  ricorda che le donne e i minori potrebbero essere costretti a offrire sesso in cambio di protezione per sopravvivere, proseguire il percorso migratorio e garantirsi la sussistenza; che le donne e i minori che ricorrono al sesso di sopravvivenza non sono considerati vittime della tratta e, pertanto, non possono ricevere l'assistenza necessaria;

20.  sottolinea che, per prevenire la tratta di esseri umani e il traffico di persone è importante creare canali per l'immigrazione legale e sicura per donne e bambini (ad esempio mediante visti umanitari); rileva che è altresì importante che i paesi di destinazione si assicurino che le donne migranti cui è stato concesso il permesso di soggiorno legale nei paesi di destinazione abbiano accesso a corsi di lingua e ad altri mezzi di integrazione sociale, istruzione e formazione, in particolare al fine di esercitare i loro diritti di cittadine;

21.  invita gli Stati membri a predisporre colloqui ben strutturati con le vittime, che aiutino la ricostruzione precisa dei fatti, senza mettere, allo stesso tempo, sotto pressione psicologica la vittima, la quale si trova già in uno stato di paura e di confusione;

22.  ricorda che tutti gli sforzi volti a contrastare la tratta devono conciliare l'azione penale con la responsabilità di proteggere le vittime; ricorda che il sostegno a favore delle vittime svolge un ruolo importante nella prevenzione della tratta di esseri umani, dato che le vittime che beneficiano di un valido sostegno sono maggiormente in grado di riprendersi dal trauma della propria esperienza, contribuire ai procedimenti penali contro i responsabili, all'elaborazione di programmi di prevenzione e di politiche informate ed evitare di essere nuovamente vittime della tratta di esseri umani;

23.  pone l'accento sul fatto che Internet svolge un ruolo chiave nel facilitare la tratta di esseri umani il che aggrava i problemi con cui occorre misurarsi nella lotta contro questa grave forma di criminalità organizzata; denuncia il fatto che Internet è sempre più utilizzata nel reclutare le vittime, sia all'interno che al di fuori dell'UE, attraverso false offerte di lavoro, pubblicizzando i servizi prestati dalle vittime sfruttate e nello scambio di informazioni fra le reti criminali; invita gli Stati membri a garantire che le proprie rispettive politiche anti-tratta tengano conto di tale aspetto e che gli sforzi in materia di applicazione della legge concernente le tecnologie informatiche dispongano delle conoscenze necessarie in materia di genere per prevenire e contrastare efficacemente tutte le forme di tale reato, in particolare per quanto riguarda la tratta di esseri umani ai fini di sfruttamento sessuale; evidenzia che le nuove tecnologie, i media sociali e Internet dovrebbero essere utilizzati anche per sensibilizzare e mettere in guardia le potenziali vittime contro i rischi della tratta; chiede, in tale contesto, alla Commissione di studiare in modo più approfondito il ruolo di Internet nella tratta di esseri umani e di tenere il Parlamento debitamente informato;

24.  si rammarica che l'identificazione delle vittime rimanga uno degli aspetti più difficili e incompleti dell'attuazione della normativa, ma sottolinea che ciò non sminuisce la responsabilità degli Stati membri di proteggere tali persone vulnerabili; sottolinea che, a causa della natura coercitiva ed ingannevole di tale reato, le vittime possono non essere in grado di riconoscere la loro stessa vulnerabilità; sottolinea che gli atti che le vittime della tratta di esseri umani sono costrette a compiere sono considerati reati in alcuni Stati membri, cosa che pregiudica la fiducia tra le vittime e le autorità; osserva che la direttiva 2011/36/UE vieta la penalizzazione delle vittime del traffico di esseri umani; invita gli Stati membri a dare attuazione agli articoli da 11 a 17 della direttiva sulla protezione e il sostegno delle vittime, adottando un approccio attento alla prospettiva di genere (in particolare aumentando il numero di rifugi per le vittime e rafforzando i programmi di reinserimento delle stesse nella società), nonché ad attuare pienamente la direttiva 2012/29/UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, per garantire un sostegno e un'assistenza adeguati alle vittime della tratta di esseri umani, anche per quanto riguarda il diritto di risiedere nello Stato membro dove la vittima è stata illegalmente introdotta e avere accesso al mercato del lavoro di tale Stato membro; sottolinea che tali disposizioni non dovrebbero essere subordinate alla denuncia o alla collaborazione delle vittime nell'indagine penale; invita la Commissione a potenziare lo scambio di migliori prassi in materia di protezione delle vittime;

25.  sottolinea che le organizzazioni non governative (ONG) e gli individui che si adoperano per proteggere e aiutare le vittime della tratta di esseri umani non dovrebbero essere ritenuti responsabili di alcun reato;

26.  critica con fermezza il fatto che il ricorso ai servizi di persone vittime della tratta in tutti gli Stati membri non costituisca ancora un reato, ma prende atto della difficoltà di dimostrare tale consapevolezza in un contesto giuridico e ritiene che si tratterebbe di un importante passo in avanti nel riconoscere la gravità di tale reato, garantendo un reale quadro per la prevenzione della tratta di esseri umani e per porre fine alla cultura dell'impunità;

27.  invita gli Stati membri a introdurre sanzioni penali severe per i reati della tratta di esseri umani, della schiavitù moderna e dello sfruttamento, nonché a configurare come reato l'atto di avvalersi consapevolmente di servizi prestati da vittime della tratta di esseri umani, incluse le vittime del traffico a fini di prostituzione, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro o i servizi forzati, compreso l’accattonaggio, la schiavitù o pratiche simili alla schiavitù, la servitù, lo sfruttamento di attività criminali o il prelievo di organi. rileva il numero esiguo di azioni penali e condanne riguardanti il reato di tratta a livello nazionale;

28.  rileva che la fonte principale di informazione per la registrazione delle vittime è costituita dalla polizia e sottolinea la necessità di una formazione mirata e specialistica per le autorità di contrasto e un maggiore equilibrio di genere negli organici; sottolinea che la registrazione delle vittime della tratta di esseri umani attraverso penitenziari e centri di detenzione in taluni Stati membri mostra le lacune del sistema e nelle conoscenze dei professionisti interessati; insiste sul fatto che gli Stati membri dell'UE devono applicare efficacemente le leggi contro la tratta di esseri umani e sottolinea, nel contempo, che, per migliorare l'identificazione delle vittime e l'identificazione dei subdoli mezzi utilizzati nella tratta di esseri umani, il sistema giudiziario penale dovrebbe concentrarsi maggiormente sulle dinamiche dello sfruttamento e sull'applicazione della legge; rileva a tale proposito che, conformemente al regolamento (UE) 2015/2219, CEPOL dovrebbe promuovere il rispetto e la comprensione comuni dei diritti fondamentali nell'ambito delle autorità di contrasto, compresi i diritti, l'assistenza e la protezione delle vittime;

29.  invita Europol e le forze di polizia nazionali a dare maggiore priorità e fornire risorse più cospicue per perseguire coloro che favoriscono la tratta di esseri umani, prestando particolare attenzione alla sensibilizzazione delle forze di polizia e della popolazione rispetto alle nuove forme di tratta di esseri umani;

30.  invita Europol e gli Stati membri a intensificare gli sforzi volti a contrastare i reclutatori mediante l'adozione di un approccio proattivo o sulla base della testimonianza della vittima, conformemente all'articolo 9 della direttiva 2011/36/UE; sottolinea che i reclutatori impiegano diversi canali, tra cui i social network e i siti Internet (agenzie di reclutamento online); invita la Commissione ad estendere il mandato dell'unità UE addetta alle segnalazioni su Internet (IRU) di Europol alla lotta contro la tratta di esseri umani;

31.  invita la Commissione a valutare l'efficacia della cooperazione tra gli Stati membri ed Europol nel contesto della lotta contro la tratta di esseri umani; sottolinea l'importanza dello scambio sistematico di dati e dell'alimentazione da parte di tutti gli Stati membri delle banche dati europee utilizzate a tal proposito, tra cui le banche dati di Europol "Focal Point Phoenix" e "Focal Point Twins"; sottolinea la necessità di assicurare che le guardie di frontiera e le guardie costiere abbiano accesso alle banche dati di Europol;

32.  osserva che le vittime vivono lo sfruttamento in modo diverso e che un metodo di identificazione basato su una "lista di controllo" di indicatori può ostacolare l'identificazione formale e avere pertanto un impatto sull'accesso delle vittime ai servizi, agli aiuti e alla protezione;

33.  sottolinea che, per incoraggiare le vittime della tratta a rivolgersi alle autorità e denunciare la propria situazione, migliorandone così l'identificazione precoce, occorre modificare la legislazione affinché riconosca le vittime della tratta di esseri umani come titolari di diritti agli occhi della legge; evidenzia che le vittime della tratta di esseri umani devono avere diritto a misure di assistenza e protezione; osserva che, per determinare che cosa sia la tratta di esseri umani e chi debba essere assistito e tutelato dalla legge, occorre dare più potere agli assistenti sociali, agli operatori sanitari e ai servizi per l'immigrazione;

34.  sollecita una migliore attuazione e un migliore monitoraggio dell'articolo 8 della direttiva 2011/36/UE, in modo da assicurare che non siano avviate azioni penali e non siano applicate pene o sanzioni penali alle vittime della tratta di esseri umani, e sottolinea che ciò include il mancato esercizio dell'azione penale nei confronti delle persone che praticano la prostituzione e la mancata applicazione di pene o sanzioni penali per l'ingresso o il soggiorno irregolari nei paesi di transito e di destinazione;

35.  rileva con preoccupazione le testimonianze di alcune vittime della tratta di esseri umani che sono arrestate ed espulse anziché essere accolte e aiutate per esercitare i loro diritti in quanto vittime e accedere agli aiuti necessari, come stabilito dalla direttiva 2004/81/CE;

36.  invita la Commissione a elaborare orientamenti basati sulle migliori prassi per sviluppare e integrare le competenze in materia di genere nelle attività delle autorità incaricate dell'applicazione della legge in tutta l'UE;

37.  invita gli Stati membri a cooperare nell'elaborazione di orientamenti più adeguati in materia di identificazione delle vittime della tratta di esseri umani, che potrebbero aiutare i servizi consolari e le guardie di frontiera nell'adempimento di tale compito;

38.  evidenzia l'importanza di "seguire il percorso del denaro" come strategia chiave per sottoporre a indagine e perseguire le reti della criminalità organizzata che traggono beneficio dalla tratta di esseri umani, e invita Europol ed Eurojust a rafforzare le loro capacità nel settore della lotta alla tratta; invita gli Stati membri a operare a stretto contatto con Europol e fra di loro per indagare sugli aspetti finanziari e il riciclaggio del denaro nei casi di tratta di esseri umani; sottolinea che gli Stati membri dovrebbero rafforzare la cooperazione ai fini della confisca e del congelamento dei beni delle persone implicate nella tratta, in quanto ciò potrebbe costituire un mezzo efficace per promuovere il passaggio della tratta di esseri umani da una attività a "basso rischio e ad alto profitto" a una ad "alto rischio e basso profitto"; invita gli Stati membri, in questo contesto, a utilizzare in modo più efficiente tutti gli strumenti esistenti, quali il riconoscimento reciproco delle sentenze giudiziarie, le squadre investigative comuni e l'ordine europeo d'indagine; ritiene che i beni confiscati alle persone condannate per reati connessi alla tratta dovrebbero essere usati per sostenere e risarcire le vittime della tratta; rileva inoltre che con gli ingenti fondi raccolti dalla tratta di esseri umani e dallo sfruttamento vengono finanziate altre forme gravi di criminalità;

39.  invita le agenzie che si occupano di giustizia e affari interni (GAI), quali Eurojust, Europol, FRA, Frontex, CEPOL ed EASO, a mettere a punto un programma duraturo per migliorare l'equilibrio di genere nel processo decisionale in materia di tratta; chiede di rendere note le cifre sulla composizione dei loro consigli di amministrazione e del loro personale, e di tenere discussioni con gli Stati membri sui benefici dell'equa assunzione e promozione nei servizi incaricati dell'applicazione della legge e in quelli preposti ai controlli di frontiera; chiede parimenti la maggiore diffusione di programmi quali "Female Factor" di Europol a tutte le agenzie che si occupano di giustizia e affari interni (GAI) a dominanza maschile, su base periodica, piuttosto che una tantum;

40.  ricorda che la formazione dei funzionari e degli operatori rappresenta un aspetto cruciale per individuare tempestivamente le potenziali vittime e prevenire i reati; invita pertanto gli Stati membri ad applicare pienamente l'articolo 18, paragrafo 3, della direttiva 2011/36/UE e condividere le migliori prassi, in particolare, in fase di elaborazione di programmi di formazione sensibili alla dimensione di genere per le persone che, svolgendo una funzione ufficiale, entrano in contatto con le vittime della tratta di esseri umani, tra cui agenti di polizia e altre forze di sicurezza, agenti di frontiera, giudici, magistrati, avvocati e altre autorità giudiziarie, personale medico in prima linea, assistenti sociali e psicologi; sottolinea che la formazione dovrebbe includere lo sviluppo delle conoscenze sulla violenza di genere e lo sfruttamento, l'individuazione delle vittime, una procedura di identificazione formale e un'assistenza adeguata e specifica per il genere in favore delle vittime;

41.  chiede uno sviluppo e una diffusione più ampi delle pubblicazioni di sensibilizzazione intese a migliorare la conoscenza in seno alle professioni, quali il manuale destinato al personale consolare e diplomatico dal titolo "Handbook for consular and diplomatic staff on how to assist and protect victims of human trafficking"(19);

42.  riconosce l'importanza di sviluppare relazioni a lungo termine tra organismi incaricati dell'applicazione della legge, prestatori di servizi, varie parti interessate e vittime, al fine di costruire la fiducia e rispondere in modo sensibile alle esigenze di queste ultime; sottolinea che le organizzazioni di sostegno necessitano di fondi adeguati per i progetti ed esprime preoccupazione per il fatto che molte di esse, in particolare le organizzazioni di donne, incontrano difficoltà a causa dei tagli ai finanziamenti;

43.  evidenzia che i finanziamenti della Commissione e degli Stati membri dovrebbero essere destinati al prestatore di servizi più idoneo, sulla base delle esigenze delle vittime, inclusi i requisiti specifici di genere e quelli specifici per i minori, la competenza del prestatore e l'entità del suo impegno a fornire servizi di assistenza e cura di vasta portata e lunga durata;

44.  invita gli Stati membri a includere attivamente le parti sociali, il settore privato, i sindacati e la società civile, in particolare le ONG che operano per contrastare la tratta e offrono assistenza alle vittime, nelle loro iniziative volte a prevenire la tratta di esseri umani, in particolare nel settore dello sfruttamento sul lavoro, anche per quanto riguarda l'identificazione delle vittime e le attività di sensibilizzazione;

45.  osserva che, sebbene lo sfruttamento sessuale sia illegale in tutti gli Stati membri, ciò non impedisce la tratta a fini di sfruttamento sessuale; invita gli Stati membri a dare piena attuazione alla direttiva 2011/92/UE relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia infantile, e ad intensificare la loro cooperazione giudiziaria e di polizia per prevenire e combattere lo sfruttamento sessuale dei bambini; invita la Commissione, in collaborazione con gli Stati membri, a esaminare in che modo la domanda di servizi sessuali veicoli la tratta di esseri umani, compresa la tratta di minori, e le modalità più efficaci per ridurre tale domanda; ribadisce, in questo contesto, l'obbligo degli Stati membri di rivolgere particolare attenzione ai minori vittime della tratta di esseri umani, compresi quelli non accompagnati provenienti da paesi terzi, nonché di garantire una protezione speciale ai minori coinvolti nei procedimenti penali, assicurando che l'interesse superiore del minore resti in ogni caso la considerazione preminente;

46.  rileva che la raccolta di dati sulla tratta di minori si dovrebbe basare su una definizione comune di tale fenomeno criminale; osserva parimenti che alcuni Stati membri considerano la tratta di minori una forma autonoma di sfruttamento e altri assimilano le vittime minorenni agli adulti, ostacolando la possibilità di creare un quadro globale di intelligence e definire le migliori risposte investigative a livello dell'UE;

47.  sottolinea l'obbligo della Commissione, a norma dell'articolo 23, paragrafo 2, della direttiva, di presentare entro il 2016 una relazione che valuti l'impatto delle leggi nazionali in vigore sulla configurazione come reato dell'utilizzo consapevole dei servizi di una vittima della tratta di esseri umani e la necessità di un'ulteriore azione in tal senso; evidenzia che la Commissione non dovrebbe affidarsi esclusivamente alle relazioni di uno Stato membro, bensì valutare anche la conformità tramite l'impegno con la società civile e con gli altri organismi che operano nel settore, quali GRETA, e mediante le relazioni stilate dal rappresentante speciale dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) sulla tratta di esseri umani e dal relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tratta di esseri umani e sulle forme contemporanee di schiavitù;

48.  nota la mancanza di una visione comune tra gli Stati membri sul concetto di domanda di sfruttamento, e invita la Commissione e gli Stati membri a proporre orientamenti sulla punizione del cliente basati sul modello nordico, sensibilizzando nel contempo l'opinione pubblica su tutte le forme di tratta di esseri umani, in particolare lo sfruttamento sessuale, e rendendo note altre forme di sfruttamento, come la servitù domestica;

49.  rileva che la maggiore vulnerabilità di determinati gruppi di persone espone queste ultime a un maggiore rischio di diventare vittime della tratta; condanna tuttavia il fatto che la tratta di esseri umani esiste perché vi è una domanda elevata di prodotti e servizi che sono il risultato dello sfruttamento di esseri umani, il che costituisce un tipo di criminalità organizzata estremamente redditizio;

50.  evidenzia i dati che confermano l'effetto deterrente generato in Svezia dalla configurazione come reato dell'acquisto di servizi sessuali; sottolinea la portata normativa di questo modello di regolamentazione e il suo potenziale nel modificare gli atteggiamenti sociali, al fine di ridurre la domanda complessiva di servizi delle vittime della tratta di esseri umani;

51.  invita gli Stati membri ad applicare pienamente l'articolo 18, paragrafo 4, della direttiva e a sviluppare strategie specifiche per ridurre la domanda di tratta di esseri umani a fini di sfruttamento sessuale, come programmi e piani di uscita per rafforzare e proteggere i diritti delle persone che si prostituiscono e ridurre la loro vulnerabilità allo sfruttamento, nonché campagne per scoraggiare la domanda di servizi sessuali da parte di persone oggetto di tratta, notando nel contempo che la regolamentazione della prostituzione è di competenza degli Stati membri; invita la Commissione ad esaminare ulteriormente qualsiasi connessione tra la domanda di servizi sessuali e la tratta di esseri umani; ritiene che la riduzione della domanda possa essere conseguita mediante disposizioni legislative che trasferiscano l'onere penale su coloro che acquistano le prestazioni sessuali delle persone oggetto di tratta, piuttosto che su chi le vende;

52.  invita l'Unione a prestare attenzione e a rendere visibili le nuove forme di tratta e di sfruttamento degli esseri umani, compresi lo sfruttamento riproduttivo e la tratta di neonati;

53.  osserva con preoccupazione che pochissimi Stati membri hanno definito con chiarezza programmi di riduzione della domanda e che, in linea generale, questi si sono concentrarti sul traffico a fini di sfruttamento sessuale; chiede agli Stati membri di sviluppare programmi di riduzione della domanda per tutti i tipi di tratta di esseri umani;

54.  rileva che i matrimoni fittizi possono configurarsi come tratta di esseri umani in determinate circostanze, qualora sussista una componente forzata o di sfruttamento, e che le donne e le ragazze sono maggiormente suscettibili di diventare vittime;

55.  sottolinea che gli sforzi intesi a migliorare la parità di genere contribuiscono alla prevenzione della tratta di esseri umani e dovrebbero includere strategie per lo sviluppo di programmi di istruzione ed emancipazione delle donne e delle ragazze, al fine di rafforzare la loro posizione nella società e renderle meno vulnerabili alla tratta; invita gli Stati membri ad adottare misure di prevenzione proattive, come ad esempio campagne informative e di sensibilizzazione, formazione rivolta principalmente agli uomini, seminari specifici con i gruppi vulnerabili e attività educative nelle scuole, tra cui promozione dell'uguaglianza, lotta agli stereotipi sessisti e alla violenza basata sul genere, dal momento che la parità di trattamento dovrebbe essere un obiettivo dell'intera società;

56.  sottolinea l'efficacia dei programmi di sensibilizzazione nell'educare i consumatori a selezionare i prodotti delle imprese che garantiscono una catena di approvvigionamento in cui non sia praticata la schiavitù, ma nota che tale misura di per sé non è sufficiente a ridurre la domanda relativa alla tratta di esseri umani;

57.  osserva che la direttiva 2009/52/CE vieta già ai datori di lavoro di ricorrere al lavoro o ai servizi di cittadini di paesi terzi sprovvisti di uno status legale di residenza nell'UE sapendo che sono vittime della tratta di esseri umani; prende atto del fatto che i cittadini dell'UE che sono vittime della tratta non sono inclusi in tale normativa; invita gli Stati membri a garantire che nelle loro legislazioni nazionali i cittadini dell'UE vittime della tratta siano protetti dallo sfruttamento della manodopera e che siano stabilite sanzioni adeguate;

58.  ricorda che, secondo Europol, circa 10 000 minori non accompagnati sono scomparsi dopo il loro arrivo nell'Unione nel 2015, e che potrebbero essere vittime della tratta ed esposti a qualsiasi forma di sfruttamento e abuso; invita gli Stati membri ad attuare appieno il pacchetto asilo e a registrare i minori al loro arrivo, al fine di assicurare il loro inserimento nei sistemi di protezione dei minori; esorta gli Stati membri ad aumentare lo scambio di informazioni al fine di garantire una migliore protezione dei minori migranti in Europa;

59.  esprime preoccupazione per la mancanza di dati riguardanti le donne e i minori rom a rischio di tratta ai fini del lavoro o dei servizi forzati, che comprendono l'accattonaggio; invita la Commissione a fornire dati relativi alle donne e ai minori rom riconosciuti come vittime della tratta, a quanti hanno ricevuto assistenza alle vittime e in quali paesi;

60.  sottolinea che il matrimonio forzato può essere interpretato come una forma di tratta di esseri umani qualora contenga un elemento di sfruttamento della vittima, e invita tutti gli Stati membri a contemplare tale dimensione; sottolinea che lo sfruttamento può essere di natura sessuale (stupro da parte del coniuge, prostituzione forzata o pornografia) oppure economica (lavoro domestico o accattonaggio forzato), e che il matrimonio forzato può essere l'obiettivo finale della tratta (vendere una vittima come sposa oppure contrarre matrimonio sotto coercizione); sottolinea che è arduo per le autorità identificare questa tipologia di tratta poiché attiene alla sfera privata; invita gli Stati membri a predisporre servizi atti ad accogliere tali vittime; invita la Commissione a potenziare lo scambio di buone prassi a tal riguardo;

61.  esprime preoccupazione in merito al crescente fenomeno dei "loverboy"; ricorda che le vittime vivono spesso in una condizione di dipendenza emotiva che rende il lavoro investigativo più arduo, poiché tali soggetti sono difficilmente identificabili come vittime della tratta di esseri umani e spesso si rifiutano di testimoniare contro il proprio "loverboy"; invita la Commissione a potenziare lo scambio di buone prassi a tal riguardo; invita gli Stati membri a predisporre un'accoglienza specifica per queste vittime e a garantire che le autorità giudiziarie e di contrasto ne riconoscano lo status di vittime, in particolare in caso di minori, onde evitare che siano stigmatizzate per "comportamenti devianti";

La dimensione di genere dell'assistenza, del sostegno e della protezione delle vittime

62.  è preoccupato per il fatto che non tutte le vittime sono in grado di accedere ai servizi o non ne sono a conoscenza; sottolinea che non vi devono essere discriminazioni nell'accesso ai servizi;

63.  osserva che le vittime della tratta di esseri umani necessitano di servizi specializzati, incluso l'accesso a un alloggio sicuro a breve e a lungo termine, programmi di protezione dei testimoni, servizi sanitari e di consulenza, servizi di traduzione e interpretazione, accesso alla giustizia, risarcimento, accesso all'istruzione e alla formazione, tra cui l'apprendimento della lingua del paese in cui risiedono, collocamento, (re)inserimento, mediazione familiare e assistenza al reinsediamento, e che tali servizi dovrebbero essere ulteriormente personalizzati caso per caso, prestando particolare attenzione alla questione del genere;

64.  sottolinea che la dimensione di genere della tratta di esseri umani fa sì che gli Stati membri siano tenuti a considerarla come una forma di violenza contro le donne e le ragazze; evidenzia che si deve prestare maggiore attenzione alla dinamica dello sfruttamento e ai danni emotivi e psicologici a lungo termine ad esso associati; chiede alla Commissione di presentare una strategia europea contro la violenza di genere nella quale figuri una proposta legislativa sulla violenza contro le donne che includa la tratta di esseri umani;

65.  pone l'accento sul lavoro positivo svolto dai diversi servizi governativi e dalla società civile nell'identificare le vittime della tratta di esseri umani e nel fornire loro assistenza e sostegno, anche se tale lavoro non è svolto con coerenza in tutti gli Stati membri o nel rispetto dei diversi tipi di tratta di esseri umani;

66.  sottolinea che occorre garantire fondi adeguati per le ONG indipendenti e i rifugi basati sul genere, onde soddisfare le necessità della vittima in qualsiasi punto del tragitto nei paesi di destinazione, e adoperarsi preventivamente nei paesi interessati di origine, di transito e di destinazione;

67.  invita gli Stati membri a istituire linee dirette a cui le vittime della tratta di esseri umani e dello sfruttamento possano rivolgersi per ricevere consigli e assistenza; evidenzia che tali linee dirette si sono rivelate vincenti in altri campi, quali la radicalizzazione e la sottrazione di minori;

68.  esorta gli Stati membri a garantire la fornitura di servizi basati sul genere alle vittime della tratta di esseri umani, che siano adeguati alle loro esigenze, riconoscendo qualsiasi necessità specifica per la forma di tratta che hanno subito; sottolinea che, benché la maggior parte delle vittime siano donne e ragazze, dovrebbero essere offerti servizi specializzati per le vittime di tutti i generi;

69.  sottolinea che numerose vittime di sfruttamento sessuale vengono drogate al fine di mantenerle in uno stato di dipendenza fisica e psicologica; invita, pertanto, gli Stati membri a predisporre programmi di accompagnamento specializzati per queste vittime e a riconoscere il suddetto elemento quale circostanza aggravante nella risposta di giustizia penale alla tratta di esseri umani;

70.  sottolinea che l'effetto cumulativo di diversi tipi di discriminazione fondata sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere rende le persone LGBTI particolarmente vulnerabili alla tratta di esseri umani; invita gli Stati membri a rispondere alle esigenze specifiche delle persone LGBTI; chiede alla Commissione di promuovere lo scambio di buone prassi a tal riguardo;

71.  evidenzia l'importanza che tutti gli Stati membri riconoscano sistematicamente il diritto delle vittime di sesso femminile della tratta di esseri umani, che si trovano in stato di gravidanza in conseguenza dello sfruttamento, di accedere a servizi sicuri per abortire;

72.  ritiene che l'articolo 11, paragrafo 5, della direttiva 2011/36/UE dovrebbe essere ampliato per introdurre gli aiuti destinati a una futura integrazione (apprendimento della lingua, familiarizzazione con la cultura e la comunità ecc.) se la vittima, per la sua situazione, può beneficiare del permesso di soggiorno;

73.  invita gli Stati membri a garantire che i cittadini dell'UE e dei paesi terzi vittime della tratta abbiano diritto di ricevere permessi di soggiorno;

74.  nota che una situazione irregolare per quanto riguarda la residenza legale non preclude dall'essere vittima della tratta di esseri umani e che tali vittime dovrebbero pertanto godere degli stessi diritti delle altre; invita gli Stati membri a non confondere le questioni della migrazione e della tratta di esseri umani, sottolineando il principio del carattere incondizionato dell'assistenza sancito dalla direttiva;

75.  invita gli Stati membri a garantire in modo efficace i diritti delle vittime e chiede l'analisi dell'attuazione della direttiva 2011/36/UE alla luce delle disposizioni di cui alla direttiva 2012/29/UE; invita gli Stati membri a fornire a titolo gratuito assistenza giuridica, compresa l'assistenza e la rappresentanza legale, psicologica e medica, come pure informazioni sul diritto al sostegno e all'assistenza sanitaria, compreso il diritto all'aborto per le vittime di sfruttamento sessuale, a tutti coloro che si autocertificano o rispettano un numero adeguato di criteri di identificazione in qualità di vittime della tratta di esseri umani, al fine di aiutarli a fruire dei loro diritti, del risarcimento e/o dell'accesso alla giustizia; evidenzia che l'autocertificazione non dovrebbe mai essere l'unico requisito per accedere ai diritti e ai servizi a favore delle vittime;

76.  invita gli Stati membri a rendere l'assistenza legale disponibile per le vittime della tratta non solo nei procedimenti penali, ma anche nelle procedure civili, di lavoro o di immigrazione/asilo in cui sono coinvolte;

77.  invita gli Stati membri a riconoscere, nel definire i limiti al sostegno a favore delle vittime, che i tempi di recupero dai danni causati dalla tratta a fini di sfruttamento sessuale sono più lunghi rispetto ai tempi necessari per riprendersi da altre forme di tratta di esseri umani; chiede che le misure di protezione a favore delle vittime di tratta a fini di sfruttamento sessuale siano estese, onde ridurre al minimo i danni, impedire una ripresa della tratta o una vittimizzazione secondaria e rispondere in ogni circostanza alle esigenze individuali;

Valutazione di altre misure sensibili alla dimensione di genere adottate nell'attuazione della direttiva

78.  sottolinea che qualsiasi obbligo per le vittime di partecipare ai procedimenti penali a carico dei trafficanti può essere dannoso; nota che, nel quadro di un approccio basato sui diritti umani, tale obbligo non dovrebbe costituire una condizione per accedere ai servizi;

79.  ritiene che tutte le vittime della tratta di esseri umani dovrebbero essere sistematicamente informate in merito alla possibilità di beneficiare di un periodo di recupero e riflessione, e dovrebbero effettivamente usufruire di tale periodo; si rammarica che in alcuni Stati membri tali diritti siano stati recepiti esclusivamente nelle legislazioni in materia di migrazione e, pertanto, non si applichino a tutte le vittime della tratta di esseri umani, ma solo a chi si trova in una situazione irregolare; rammenta che tali diritti devono essere garantiti a tutte le vittime della tratta di esseri umani;

80.  ricorda che, secondo la direttiva 2004/81/CE, gli Stati membri sono obbligati a concedere un periodo di recupero e riflessione alle vittime della tratta di esseri umani; invita gli Stati membri a prendere in considerazione l'articolo 13 della convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani nel determinare la durata di tale periodo e a estendere il periodo minimo di recupero e riflessione di 30 giorni contemplato in tale convenzione per le vittime di tratta a fini di sfruttamento sessuale, alla luce dei danni significativi e ripetuti provocati da tale forma di violenza;

81.  nota che l'attuale strategia dell'UE per l'eliminazione della tratta di esseri umani giunge a termine nel 2016 e invita la Commissione a valutare la strategia attuale e ad introdurne una nuova che segua un approccio basato sui diritti umani e sia incentrata sulle vittime, includa una chiara dimensione di genere e preveda azioni concrete al riguardo, affronti la prevenzione in modo adeguato ed efficace e continui a scoraggiare la domanda che favorisce qualsiasi tipo di tratta di esseri umani; chiede che tale strategia sia integrata e resa coerente con altri settori strategici, al fine di garantire un'attuazione efficace delle misure anti-tratta, inclusi, ma non solo, la sicurezza, l'uguaglianza di genere, la migrazione, la sicurezza informatica e l'applicazione della legge;

82.  si congratula con gli Stati membri che hanno istituito efficaci meccanismi nazionali di informazione e relatori nazionali, e li invita a garantire che tali misure dispongano di risorse adeguate e siano indipendenti, onde poter assolvere ai loro compiti nel miglior modo possibile;

83.  invita gli Stati membri a designare, al fine di valutare le strategie e le attività intraprese e migliorare gli sforzi compiuti nella lotta contro la tratta, un relatore nazionale indipendente che possa, per legge, comparire direttamente dinanzi al parlamento nazionale e formulare raccomandazioni per migliorare la lotta contro la tratta di esseri umani;

84.  invita gli Stati membri a raccogliere dati più dettagliati e aggiornati, compilando informazioni statistiche affidabili raccolte da tutti i principali attori, garantendo che i dati siano disaggregati per genere, età, tipo di sfruttamento (nell'ambito dei sottoinsiemi dei tipi di tratta di esseri umani), paese di origine e di destinazione, e includendo le persone vittime di tratta interna, al fine di identificare meglio le potenziali vittime e prevenire i reati; invita gli Stati membri ad intensificare lo scambio di dati per valutare meglio la dimensione di genere e le recenti evoluzioni nella tratta di esseri umani e contrastare tale fenomeno in modo più efficace; invita gli Stati membri a garantire che i relatori nazionali svolgano un ruolo maggiormente significativo nel coordinamento delle iniziative di raccolta dei dati, in stretta cooperazione con le pertinenti organizzazioni della società civile attive in tale settore;

85.  osserva che, nonostante la chiara definizione di tratta di esseri umani fornita nella direttiva, gli Stati membri hanno adottato una serie di definizioni diverse nelle loro legislazioni nazionali; invita la Commissione a condurre una ricerca in proposito e a riferire in merito alle ripercussioni pratiche di tali differenze di definizione ai fini dell'applicazione della direttiva; evidenzia l'importanza della chiarezza concettuale per evitare la sovrapposizione con altri aspetti connessi ma separati;

86.  nota che, in genere, le parti interessate confermano che la maggioranza delle vittime della tratta di esseri umani non viene individuata; riconosce che la tratta di determinati gruppi vulnerabili, quali i giovani (senzatetto), i minori, le persone con disabilità e LGBTI, è stata in una certa misura trascurata; evidenzia l'importanza di migliorare la raccolta dei dati al fine di potenziare gli sforzi per identificare le vittime in relazione a questi gruppi e sviluppare le migliori pratiche nell'affrontare le esigenze specifiche di tali vittime:

87.  sottolinea che, per migliorare gli sforzi contro il traffico di esseri umani nell'Unione europea, occorre che le istituzioni dell'UE valutino attentamente l'attuazione della legislazione dell'Unione negli Stati membri e, se del caso, adottino misure legislative supplementari o misure di altro tipo;

88.  invita la Commissione a sviluppare orientamenti standardizzati, compresa la protezione dei dati, ai fini della raccolta dei dati per gli organismi pertinenti, quali i servizi di applicazione della legge, i servizi di frontiera e di immigrazione, i servizi sociali, le autorità locali, le carceri, le ONG ed altri contribuenti;

89.  invita la Commissione ad accordare la massima priorità alla lotta contro la tratta nell'agenda europea sulla migrazione (COM(2015)0240), al fine di agevolare il coinvolgimento delle vittime nei procedimenti penali a carico dei trafficanti;

90.  invita la Commissione ad affrontare l'abuso del lavoro autonomo nell'impiego della manodopera migrante in alcuni Stati membri dell'UE per eludere le locali norme sul lavoro e gli obblighi in materia di impiego, riconoscendo che il falso lavoro autonomo è spesso utilizzato nell'ambito della manodopera migrante, la quale è maggiormente esposta alla tratta;

91.  invita l'Unione europea e gli Stati membri a potenziare la cooperazione regionale in materia di tratta di esseri umani lungo le rotte di traffico conosciute, ad esempio dall'Est verso l'Unione europea, utilizzando lo strumento per la stabilità e facendo appello alle continue responsabilità dei paesi candidati;

92.  invita l'UE a fornire, tramite Eurostat, stime sul numero delle vittime, registrate o meno, della tratta di esseri umani, seguendo lo schema generale di organizzazioni quali l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), l'Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC) e l'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL);

93.  invita gli Stati membri a includere il principio di non respingimento nelle rispettive direttive contro la tratta di esseri umani, seguendo l'esempio del Protocollo ONU sulla tratta degli esseri umani e della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, e in linea con gli obblighi degli Stati a norma del diritto internazionale in materia di rifugiati e del diritto internazionale in materia di diritti umani;

94.  incoraggia l'Unione e gli Stati membri a esaminare le ultime tendenze e forme della tratta di esseri umani, compresa l'influenza che l'attuale crisi migratoria potrebbe avere sul fenomeno, in modo da affrontare i nuovi sviluppi con una risposta adeguata e mirata;

95.  chiede alla Commissione di produrre, nella prossima relazione sull'attuazione della direttiva 2011/36/UE, un'analisi dei legami tra i diversi tipi di traffico e le vie di collegamento tra di essi, poiché le vittime sono spesso sfruttate simultaneamente in diversi modi o passano da una forma di traffico ad un'altra; chiede altresì alla Commissione di promuovere ulteriormente la ricerca sulle cause principali della tratta di esseri umani e sul loro impatto sulla parità di genere;

96.  invita la Commissione europea a valutare la necessità di rivedere il mandato della futura Procura europea affinché, in seguito alla sua istituzione, tra le sue competenze sia inserita anche la lotta contro la tratta di esseri umani;

97.  esorta la Commissione europea a promuovere la ratifica della convenzione di Istanbul da parte degli Stati membri, tenendo presente che essa rappresenta uno strumento efficace per prevenire e contrastare la violenza contro le donne, compresa la tratta, nonché per proteggere e fornire assistenza alle vittime;

o
o   o

98.  incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio e alla Commissione nonché ai governi degli Stati membri.

(1) Testi approvati, P8_TA(2014)0070.
(2) GU L 319 del 4.12.2015, pag. 1.
(3) GU L 315 del 14.11.2012, pag. 57.
(4) GU L 101 del 15.4.2011, pag. 1.
(5) GU L 168 del 30.6.2009, pag. 24.
(6) GU L 348 del 24.12.2008, pag. 98.
(7) GU L 261 del 6.8.2004, pag. 19.
(8) Testi approvati, P7_TA(2014)0126.
(9) Testi approvati, P7_TA(2014)0162.
(10) Testi approvati, P8_TA(2015)0218.
(11) Stime dell'ILO, 2014, Profits and poverty the economics of forced labour.
(12) Relazione Eurostat sulla tratta di esseri umani, edizione del 2015.
(13) Ibid., relazione Eurostat.
(14) Ibid., relazione Eurostat.
(15)3 Europol, relazione sulla situazione: la tratta di essere umani nell'UE (febbraio 2016).
(16) Ibid., relazione Eurostat.
(17) Relazione Eurostat 2015.
(18) "Mid-term report on the implementation of the EU strategy towards the eradication of trafficking in human beings" [Relazione intermedia sull'attuazione della strategia dell'UE per l'eliminazione della tratta di esseri umani] SWD(2014)0318 final, pag. 9.
(19) https://ec.europa.eu/anti-trafficking/publications/handbook-consular-and-diplomatic-staff-how-assist-and-protect-victims-human-trafficking_en.

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