• EN - English
  • IT - italiano
Interrogazione parlamentare - E-4836/2010(ASW)Interrogazione parlamentare
E-4836/2010(ASW)

Risposta data da Viviane Reding a nome della Commissione

La Commissione sottolinea che il procedimento di infrazione a cui fa riferimento l’onorevole parlamentare riguarda esclusivamente l’articolo 53, paragrafo 1 del D.L. 151/2001[1] che vieta che si adibiscano donne incinte o puerpere ad attività lavorative tra le ore 24.00 e le 6.00 dal momento in cui si è accertata la gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino.

La Commissione ritiene che tale disposizione costituisca una violazione della normativa comunitaria, in quanto contrario all’articolo 7, paragrafo 1 della direttiva 92/85/CEE[2], che stabilisce che gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure necessarie affinché «[le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento] non siano obbligate a svolgere un lavoro notturno durante la gravidanza o nel periodo successivo al parto». Un divieto automatico e generale del lavoro notturno, che non prenda in considerazione le condizioni di salute della donna né la natura del suo lavoro va, pertanto, al di là della protezione garantita dalla direttiva 92/85/CEE. Dato, inoltre, che ciò costituisce un trattamento meno favorevole nei confronti delle donne per ragioni legate alla gravidanza, esso può essere considerato una discriminazione, proibita dall’articolo 2, paragrafo 2, lettera c) e dall’articolo 28, paragrafo 1 della direttiva 2006/54/CEE[3].

Tanto più che l’articolo 53, paragrafo 2 del D.L. 151/2001 prevede che la lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre convivente con la stessa oppure la lavoratrice o il lavoratore che sia l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni non sono obbligati a prestare lavoro notturno. Secondo quanto previsto dall’articolo 53, paragrafo 3 non sono altresì obbligati a prestare lavoro notturno la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile. Tali proibizioni non sono incompatibili con la legislazione UE sulla parità uomo-donna.

Infine, la Commissione sottolinea che la direttiva 2006/54/CE è stata recepita nella legislazione italiana, ivi comprese le procedute a tutela delle vittime della discriminazione basata sul sesso. È, inoltre, di competenza dei tribunali nazionali tenere in considerazione tutti gli aspetti del caso specifico, al fine di determinare se è in atto una discriminazione ai sensi della direttiva. Da parte sua, la Commissione è responsabile per la corretta attuazione della normativa europea negli Stati membri, mentre l’attuazione dell’ordinamento giuridico nazionale degli Stati membri non rientra nella sfera delle sue competenze.

GU C 191 E del 01/07/2011