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Resoconto integrale delle discussioni
Giovedì 4 settembre 2003 - Strasburgo Edizione GU

Birmania
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  Boudjenah (GUE/NGL).(FR) Sono ormai trascorsi tre mesi, da quando Aung San Suu Kyi, vincitrice del Premio Nobel per la pace e del Premio Sacharov, è stata, per dirla chiaramente, rapita dalla giunta birmana, che da allora la tiene segregata, impedendo agli emissari delle Nazioni Unite e ai rappresentanti della Croce Rossa di farle visita regolarmente. L’ultimo contatto della donna con il mondo esterno risale al mese di luglio, quando una delegazione del comitato internazionale della Croce Rossa ha avuto modo di incontrarla. Da allora nessuno l’ha più vista.

Allo stesso modo in cui hanno negato di trattenere segretamente la giovane donna, le autorità birmane smentiscono oggi che essa ha avviato uno sciopero della fame, notizia resa pubblica dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti il 31 agosto. L’arresto e la detenzione, nel mese di maggio, di militanti della Lega nazionale per la democrazia hanno prodotto giustamente grande preoccupazione nel mondo. Gli Stati Uniti hanno risposto inasprendo le sanzioni economiche contro il regime di Rangoon.

In questo momento, il fine senz’altro demagogico di questa decisione da parte degli Stati Uniti non deve, tuttavia, nascondere la gravità degli atti del regime birmano, né l’ipocrisia con cui esso ha promesso un programma ufficiale mirato al ripristino della democrazia. Tale programma, che include, cito letteralmente, “elezioni libere e eque e una nuova Costituzione”, non fissa alcuna scadenza e non dice una sola parola sulla liberazione della maggiore esponente dell’opposizione. Tutto ciò è accaduto dopo che la giunta ha dimostrato di non volere rispettare nessuna delle richieste di democrazia che vengono dalla popolazione e questo è certo un pessimo auspicio. Le forze armate, infatti, non hanno riconosciuto i risultati delle elezioni del 1990 che, è il caso di ricordare, hanno registrato la schiacciante vittoria del partito di Aung San Suu Kyi.

L’Associazione delle nazioni dell’Asia sudorientale, il gruppo ASEAN, minaccia ora di espellere la Birmania dal proprio consesso. Essa aveva auspicato che il regime liberasse Aung San Suu Kyi prima dell’inizio del Vertice di Bali, in programma per il mese di ottobre. Quanto all’Unione europea, essa dovrebbe fare tutto il possibile per costringere la giunta militare a liberare la vincitrice del Premio Nobel. In collaborazione con le Nazioni Unite, il Consiglio e la Commissione devono ora dimostrare, adottando sanzioni severe, la propria determinazione ad agire concretamente a favore del processo di democratizzazione della Birmania e a rafforzare la pressione a livello politico. Oppresso da uno dei più feroci dittatori e in balia di un capo di governo che per quarant’anni ha diretto i servizi di informazione militari, il popolo birmano ha bisogno di tutta la nostra solidarietà. Tutte le preoccupazioni espresse per Aung San Suu Kyi sono certamente sincere. Dobbiamo dare credito all’opposizione, la quale ha appena comunicato che lo sciopero della fame avviato dalla donna è una sorta di dichiarazione per far sapere che i generali birmani la stanno lentamente ma sicuramente avvelenando.

 
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