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Procedura : 2006/0246(COD)
Ciclo di vita in Aula
Ciclo dei documenti :

Testi presentati :

A6-0406/2007

Discussioni :

PV 14/01/2008 - 18
CRE 14/01/2008 - 18

Votazioni :

PV 15/01/2008 - 8.5
Dichiarazioni di voto

Testi approvati :

P6_TA(2008)0005

Resoconto integrale delle discussioni
Martedì 15 gennaio 2008 - Strasburgo Edizione GU

21. Dichiarazioni di voto
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  Presidente . - L’ordine del giorno reca le dichiarazioni di voto.

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE) . – (DE) Signor Presidente, chiedo se la temperatura nell’Aula non possa essere impostata a un livello umano. Talvolta fa così freddo che siamo quasi costretti a indossare il cappotto. Chiedo all’amministrazione di assicurare una temperatura decente a cui svolgere le nostre attività. La ringrazio.

 
  
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  Presidente . - Domando al personale responsabile del riscaldamento dell’Aula di aumentare la temperatura. Potrebbe tuttavia salire nel corso di questa discussione.

Dichiarazioni di voto orali

 
  
  

- Relazione Jorgo Chatzimarkakis (A6-0494/2007)

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE-DE) . – (CS) Signor Presidente, accolgo positivamente il fatto di aver avviato il quadro moderno per ulteriori sviluppi nell’industria automobilistica in Europa. Sono lieta che abbiamo votato per obiettivi realistici, volti a prevedere l’aumento del prezzo del petrolio e a realizzare le nostre grandi ambizioni concernenti la sicurezza e la tutela dell’ambiente. Tali obiettivi non ostacolano la capacità europea di competere. Un numero crescente di requisiti per modelli di autoveicoli sempre più sicuri e per motori più efficienti che dovrebbero emettere un terzo in meno di gas a effetto serra sono tutti obiettivi che già prevedono un aumento dei prezzi e dei costi di gestione delle automobili. Siamo consapevoli che tali criteri in sé non rappresentano la principale motivazione per la classe media e per i meno abbienti di cambiare con maggiore frequenza le vetture. L’eliminazione dei vecchi autoveicoli dalle strade europee è pertanto il requisito di base se CARS 21 deve dimostrare il proprio valore. Il fattore essenziale è modificare la motivazione dei consumatori. Le tasse e le politiche fiscali, tuttavia, non rientrano nelle competenze dell’Unione europea. È quindi compito degli Stati membri definire se e quando autoveicoli più sicuri e a favore dell’ambiente sostituiranno le vecchie auto sulle nostre strade. Questo aspetto sarebbe anche una prova tangibile dell’efficacia di CARS 21.

 
  
  

Dichiarazioni di voto scritte

 
  
  

- Relazione Jacek Saryusz-Wolski (A6-0517/2007)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione del collega polacco, l’onorevole Jacek Saryusz-Wolski, che chiedeva al Parlamento di approvare l’emendamento al regolamento del Consiglio del 2004 relativo all’istituzione di partenariati nel quadro del processo di stabilizzazione e di associazione. Tale variazione implica una nuova denominazione del partenariato con l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia: anziché “partenariato europeo”, deve essere definita “partenariato per l’adesione”, al fine di conformarsi ai nomi dei partenariati con i due altri paesi candidati, la Croazia e la Turchia. Inoltre, occorre considerare l’indipendenza del Montenegro. Mentre scrivo, penso anche al Kosovo, nella speranza di trovare una soluzione pacifica e a livello europeo a questa difficile situazione.

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto. - (NL) Nel dicembre 2005 il Consiglio ha concesso lo status di paese candidato all’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, e nel giugno 2006 il Montenegro è stato riconosciuto come Stato indipendente. In una procedura d’urgenza senza discussione, ora si propone, secondo l’articolo 1 del regolamento, di concedere a Albania, Bosnia Erzegovina, Montenegro e Serbia, incluso il Kosovo, un partenariato europeo e secondo l’articolo 1, lettera a), un partenariato per l’adesione a Croazia e Macedonia. Le definizioni di queste due disposizioni sono all’incirca le stesse. Il relatore appoggia la proposta della Commissione e chiede al Consiglio di consultare nuovamente il Parlamento se intende discostarsene e mi sembra una possibilità reale. Non è precisato in quale misura debba essere preso in considerazione il riconoscimento anticipato del Kosovo in quanto Stato indipendente nelle prossime settimane.

Inoltre, non è chiaro se, di conseguenza, la Macedonia deve attendere più a lungo l’avvio dei negoziati di adesione, o se alla Serbia sia offerta la prospettiva di un’adesione come priorità. È risaputo che Paesi Bassi e Belgio si sono opposti a questa eventualità finché il criminale di guerra Ratko Mladić non sarà consegnato al Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia dell’Aia. Spero che questo punto sarà rimesso all’ordine del giorno, ma non voterò contro la relazione.

 
  
  

- Relazione Bogusław Liberadzki (A6-0506/2007)

 
  
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  Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto. - (PL) Desidero votare a favore della relazione dell’onorevole Liberadzki sulla proposta di una direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 95/50/CE per quanto riguarda le competenze di esecuzione conferite alla Commissione.

L’onorevole Liberadzki ha elaborato un’ottima relazione. Concordo con il relatore, che è a favore della proposta della Commissione, e inoltre raccomanderei di approvare tale proposta senza alcun emendamento.

La direttiva 95/50/CE stabilisce procedure per controlli effettuati dagli Stati membri relativi al trasporto su strada di merci pericolose. Allo scopo di eseguire tali controlli, è stato presentato un elenco di violazioni, in base al quale i veicoli potrebbero essere ritirati dalla circolazione e obbligati a mettersi in regola prima di proseguire il viaggio. Inoltre, è importante che ciascuno Stato membro trasmetta ogni anno di calendario una relazione sull’applicazione della presente direttiva.

 
  
  

- Relazione Paolo Costa (A6-0513/2007)

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. - (DE) I pedaggi imposti ai veicoli pesanti, introdotti presumibilmente al fine di trasferire il traffico dalla strade alla ferrovia, come previsto non sono riusciti a rendere più allettante il trasporto su rotaia, ma sono stati scaricati sulle spalle dei consumatori. Soprattutto sui percorsi a traffico più intenso e nelle vaste conurbazioni, la concentrazione sul trasporto su strada aggraverà i problemi esistenti quali ingorghi, rumore, inquinamento ambientale e concentrazioni di particolato.

Un’altra fonte di preoccupazione è la noncuranza con cui sono eseguite alcune operazioni di trasporto. Controlli saltuari settimanali mirati agli automezzi pesanti in Austria hanno fortemente migliorato la sicurezza delle operazioni di trasporto su strada e dovrebbero quindi diventare una pratica uniforme nell’UE. Se l’Unione europea s’interessa alla salute della popolazione e alla tutela dell’ambiente, non deve assolutamente perdere tempo e garantire che le principali fonti di inquinamento quali i veicoli commerciali dotati di vecchi motori diesel verranno sostituite, che i servizi di trasporto per ferrovia saranno resi attraenti dal punto di vista economico e che verrà applicata la convenzione delle Alpi.

 
  
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  Bogusław Liberadzki (PSE), per iscritto. - (PL) Il relatore, onorevole Paolo Costa, ha dimostrato in che modo abolire le discriminazioni nei prezzi e nelle condizioni di trasporto. È vero che è possibile raggiungere rapidamente benefici rilevanti, introducendo poche modifiche alla legislazione esistente.

In qualità di relatore ombra, desidero sottolineare che Consiglio, Commissione e Parlamento hanno conseguito un approccio comune.

 
  
  

- Relazione Ulrich Stockmann (A6-0497/2007)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione legislativa sulla proposta di una direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente i diritti aeroportuali, a seguito della relazione del collega tedesco Ulrich Stockmann.

In un momento in cui gli aeroporti europei, di proprietà principalmente pubblica, sono privatizzati, gli utenti non sempre apprezzano appieno il consumo di servizi, e le società si stanno sviluppando in un contesto che implica numerose variabili, era solo naturale disciplinare la determinazione di diritti aeroportuali.

Accolgo positivamente la creazione di autorità di regolazione nazionali indipendenti volte a vigilare su questo mercato, e spero che sia rapidamente instaurato il coordinamento europeo e che, a tempo debito, si introduca una funzione di autorità di regolazione europea indipendente.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. - (SV) Le proposte della Commissione contengono un lungo elenco di norme precise su come dovrebbero essere raccolti i diritti aeroportuali. Rientra tra le funzioni della Commissione esaminare la conformità con la normativa comunitaria in materia di concorrenza. Tuttavia, le proposte in questione, denotano una burocrazia eccessiva e un regolamento dettagliato, fattori svantaggiosi per gli Stati membri che hanno scelto di deregolamentare il settore dell’aviazione.

Il Parlamento europeo ritiene che i diritti comuni sui diritti aeroportuali dovrebbero essere applicati solo agli aeroporti con un volume di oltre cinque milioni di passeggeri l’anno, o a quelli il cui traffico annuo è pari al 15% del numero di passeggeri negli Stati membri in questione. Questa posizione è preferibile alla proposta della Commissione, che inoltre include aeroporti locali più piccoli. Spesso abbiamo chiesto di decidere se sostenere le norme comuni dell’UE finalizzate a garantire pari trattamento di tutti gli interessi coinvolti nel mercato interno. In questo caso è evidente che la linea della Commissione implica una burocrazia ingiustificata.

In base a tali argomentazioni, abbiamo votato a favore della proposta del Parlamento europeo, ma contro la risoluzione legislativa nella votazione finale.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. - (PT) Benché includa alcuni aspetti che migliorano la proposta della Commissione, la relazione continua a riflettere ed è parte integrante del processo di deregolamentazione del trasporto aereo dell’UE.

Un miglioramento della trasparenza nel metodo di calcolo dei diritti aeroportuali è certamente gradito. Tuttavia, non concordiamo con una politica che cerca di deregolamentare e privatizzare un servizio pubblico strategico come il trasporto aereo, in questo caso promuovendo “un mercato aeroportuale veramente competitivo”, o l’inserimento di principi quali “chi usa paga” e la redditività di un servizio che dovrebbe essere pubblico. Peraltro, sono stati persino compiuti sforzi volti a eliminare il suo “ruolo di regolazione” dall’arena pubblica, creando allo scopo “autorità di regolazione indipendenti”.

Le privatizzazioni avvenute nel settore non hanno aggiunto valore ai servizi forniti e hanno causato la perdita di posti di lavoro e un deterioramento dei diritti dei lavoratori, e, in alcuni casi, problemi tecnici e operativi.

Ci dispiace che le nostre proposte siano state respinte. Erano finalizzate a garantire che la direttiva includesse un riconoscimento delle limitazioni cui devono far fronte le regioni danneggiate da svantaggi permanenti di carattere geografico e naturale, quali le regioni ultraperiferiche, e stabilisse quindi eccezioni appropriate per attenersi agli obblighi dei servizi pubblici universali.

 
  
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  Timothy Kirkhope (PPE-DE), per iscritto. - (EN) I conservatori britannici sono a favore di una sorveglianza supplementare degli aeroporti maggiori laddove detengono una posizione dominante sul mercato. Tuttavia, nel Regno Unito disponiamo già di un forte sistema normativo e riteniamo che questa sia un’ingerenza inutile che potrebbe provocare un effetto avverso sugli aeroporti regionali, che hanno un impatto essenziale sulle economie locali.

Abbiamo tentato di perfezionare la misura al fine di mantenere una clausola opt-out su base nazionale o almeno di innalzare la soglia in modo da escludere la maggior parte degli aeroporti regionali, e anche se questi tentativi non hanno avuto esito positivo, saranno ripresi in seconda lettura. Nel frattempo riserviamo la nostra posizione.

 
  
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  Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. - (DE) Non ho votato a favore di questa relazione sulla direttiva concernente i diritti aeroportuali, poiché ciò che è stato proposto denota una discriminazione inaccettabile contro l’aeroporto del Lussemburgo. Non è il modo di trattare un paese piccolo. L’applicazione della direttiva all’aeroporto del Lussemburgo, con i suoi 1,6 milioni di passeggeri all’anno, e il fatto che le disposizioni pertinenti non siano imposte ai diretti concorrenti dell’aeroporto, Hahn di Francoforte e Charleroi di Bruxelles, che hanno oltre tre milioni di passeggeri, è una discriminazione intollerabile in un mercato unico ed è basata soltanto sul fatto che un confine nazionale sia situato tra il Lussemburgo e questi altri aeroporti.

L’elemento principale in questa direttiva non deve essere rappresentato dai confini nazionali, ma da criteri oggettivi se tale proposta è finalizzata a garantire che nessun aeroporto approfitti della propria posizione dominante sul mercato.

Gli aeroporti più piccoli, anche se sono gli unici scali del paese, non corrono il rischio di commettere tale abuso, soprattutto nel caso del Lussemburgo, i cui aeroporti concorrenti che ho citato sono facili da raggiungere e, per di più, sono utilizzati dalle compagnie aeree a basso costo. Il Lussemburgo è talmente piccolo che si trovano tre paesi diversi a meno di mezz’ora di automobile dall’aeroporto.

Questa proposta è una violazione imposta del principio di proporzionalità che non può essere accettata nell’attuale forma. È la ragione per cui voterò contro per protesta.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. - (EN) Accolgo con favore la relazione e gli obiettivi che cerca di perseguire. Con l’introduzione di maggiore trasparenza nel metodo di calcolo dei diritti aeroportuali, ritengo che si creino condizioni paritarie e che si stimoli la concorrenza nel settore. I progetti favoriranno gli aeroporti scozzesi nella concorrenza con gli omologhi inglesi, in particolare riducendo la posizione dominante rivestita dai principali snodi aeroportuali come Londra.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. - Gentile Presidente, onorevoli colleghi, in qualità di membro della commissione per i trasporti esprimo il mio parere favorevole alla relazione Stockmann sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sui diritti aeroportuali.

Tuttavia ritengo opportuno operare alcuni distinguo, in particolare in merito alla connessione dei diritti aeroportuali con i costi dei servizi offerti. In materia, le delegazioni di Francia e Olanda, con il sostegno italiano, chiedevano un chiaro riferimento ai costi. Sul tema, si precisa che la normativa interna italiana prevede comunque una specifica relazione tra costi dei servizi erogati e tariffe applicate dal gestore. La disposizione del paragrafo 5 rende maggiormente coerente il sistema italiano con l’impianto della direttiva, consentendo di mantenere le attuali procedure, purché siano riunite nella medesima autorità l’organismo indipendente di supervisione previsto all’articolo 10, che vigila sulla corretta applicazione delle tariffe, e l’organismo che approva a livello nazionale i livelli tariffari. Va rilevato che l’indipendenza di tale organismo dovrà essere garantita sia rispetto ai gestori che alle compagnie aeree.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. - (EN) Questa relazione presenta alcune idee valide sul fatto di rendere più trasparenti i diritti aeroportuali e di inserire per la prima volta nel calcolo considerazioni ambientali, ma, come sempre, dobbiamo fare attenzione a non buttare via il bambino con l’acqua sporca. Nel mio collegio elettorale, la Scozia, abbiamo dozzine di piccoli aeroporti e viaggiare in aereo non è considerato un lusso, è una necessità a favore di comunità deboli. Pertanto ho sostenuto gli emendamenti volti a esonerare dal nuovo sistema gli aeroporti nelle regioni ultraperiferiche, e rimango in attesa dell’elaborazione di un quadro che tenga conto della natura fragile di numerose comunità.

 
  
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  Lars Wohlin (PPE-DE), per iscritto. - (SV) Le grandi compagnie aeree hanno esercitato pressioni per una specifica disposizione dell’UE volta a disciplinare la raccolta dei diritti aeroportuali da parte degli aeroporti. Ritengono che gli aeroporti siano monopoli locali e sfruttano la loro posizione esclusiva al fine di imporre diritti insensati. L’agenzia svedese LFV per il trasporto aereo e le compagnie aeree più piccole, tuttavia, nutrono qualche dubbio in merito alla nuova normativa. Per queste società la nuova normativa e l’armonizzazione sono più di una minaccia, in quanto spesso scelgono di volare in aeroporti competitivi che applicano diritti inferiori.

Ho votato contro la direttiva per numerosi motivi. Gli aeroporti sono già disciplinati dalle autorità nazionali, e le loro attività sono limitate dalla normativa vigente nell’UE in materia di concorrenza. I paesi che scelgono un modello imprenditoriale che conduce a diritti aeroportuali più elevati derivanti, ad esempio, da un investimento o da un trasferimento di proprietà, devono essere autorizzati a farlo fino a quando i diritti non contravvengono la normativa esistente. Spetta agli Stati membri stabilire se tali diritti sono competitivi o meno.

Il Parlamento europeo ha ridotto il campo di applicazione della direttiva. Insieme ad altri colleghi, ho votato per gli emendamenti che limitano la direttiva a 67 aeroporti (rispetto ai precedenti 150). Tuttavia, non posso sostenere il regolamento sui prezzi a livello europeo.

 
  
  

- Relazione Johannes Blokland (A6-0406/2007)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Durante la procedura di codecisione in prima lettura, ho votato a favore di una risoluzione legislativa sulla proposta di un regolamento sull’esportazione ed importazione di prodotti chimici pericolosi, sulla base della relazione del collega olandese Johannes Blokland.

Sono lieto che sia stato raggiunto un compromesso, dal momento che esiste giustamente l’urgente necessità di disciplinare la situazione giuridica derivante dall’annullamento da parte della Corte di giustizia del precedente regolamento risalente al 2003, migliorando allo stesso tempo la situazione normativa al fine di prendere in considerazione gli sviluppi registrati a partire da quell’epoca.

 
  
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  Liam Aylward (UEN), per iscritto. - (EN) Ho votato a favore degli emendamenti di compromesso accolti dalla stragrande maggioranza dei gruppi politici, intesi a promuovere una responsabilità congiunta tra le parti riguardo al commercio internazionale di prodotti chimici pericolosi.

Le norme adottate a livello europeo sono essenziali per offrire un elevato livello di tutela dell’ambiente e della salute pubblica, ed è nostro obiettivo che tali norme siano estese a livello internazionale.

La conoscenza dei rischi è di primaria importanza per esportatori e importatori. I paesi, in virtù dello scambio di informazioni, della miglior prassi e del processo decisionale nazionale obbligatorio relativo all’accettabilità dei prodotti chimici, possono rafforzare questa consapevolezza affinché anche i legislatori e le parti interessate prendano coscienza dei rischi.

La normativa proposta applica la convenzione di Rotterdam, il principio di base che assiste i paesi aderenti nell’acquisire maggiori informazioni sulle caratteristiche dei prodotti chimici e dei pesticidi potenzialmente pericolosi. Ciò offre ai paesi le informazioni e gli strumenti atti a bloccare importazioni indesiderate di prodotti chimici tossici, fissando per l’esportatore/il paese esportatore il requisito e l’obbligo di conformarsi alle leggi del paese di importazione. Accolgo con molto favore e sostengo questa normativa e il pacchetto di compromesso del Parlamento europeo.

 
  
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  Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. - Saluto l’attuazione della convenzione di Rotterdam come un’importante presa di coscienza dell’Europa dei suoi impegni in materia di tutela ambientale e della salute verso i paesi terzi e, soprattutto, dei paesi in via di sviluppo. A partire da oggi non si potranno più esportare prodotti chimici pericolosi verso paesi extraeuropei senza un’autorizzazione preventiva degli Stati riceventi (detta PICprior informed consent procedure).

Dovevamo porre fine alla discrasia che si era creata secondo la quale una sostanza era rigidamente regolamentata nel mercato europeo per tutelare l’ambiente e la salute dei cittadini europei e, d’altro canto poteva essere liberamente smerciata nei paesi terzi senza precauzioni né alcun obbligo di informazione sui rischi. Una misura di civiltà e di solidarietà soprattutto verso paesi meno provvisti di mezzi di informazione e di analisi del rischio dell’Unione europea.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. - (PT) La convenzione di Rotterdam sulla procedura di previo assenso informato per taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi nel commercio internazionale è stata approvata nel settembre 1998 ed è entrata in vigore il 24 febbraio 2004. Il regolamento (CE) n. 304/2003 relativo all’esportazione e all’importazione di prodotti chimici pericolosi attua detta convenzione.

La Commissione ha ritenuto necessario intervenire contro il Consiglio e il Parlamento europeo dinanzi alla Corte di giustizia poiché non è d’accordo sul cambiamento della base giuridica (ambiente anziché politica commerciale comune). Nella sentenza del 10 gennaio 2006, la Corte di giustizia ha annullato il regolamento adducendo quale motivazione che avrebbe dovuto esserci una duplice base giuridica comprendente gli articoli 133 e 175, paragrafo 1, del Trattato, e ha statuito che gli effetti di tale regolamento sarebbero stati mantenuti fino all’adozione di un nuovo regolamento fondato su basi giuridiche adeguate.

La Commissione europea ha presentato un nuovo progetto di regolamento basato sui duplici fondamenti normativi di cui sopra. Nella votazione di oggi, in prima lettura, il Parlamento europeo ha approvato una serie di emendamenti alla proposta della Commissione europea, che ora sarà discussa con il Consiglio. Il nostro voto va quindi a favore.

 
  
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  Françoise Grossetête (PPE-DE), per iscritto. (FR) Accolgo con favore l’accordo concluso in prima lettura in merito al presente regolamento. Sul mercato si contano 75 000 prodotti chimici diversi, e ogni anno se ne aggiungono 1 500. Pertanto è difficile per i governi controllare e gestire le numerose sostanze potenzialmente pericolose che attraversano ogni giorno le nostre frontiere.

Il regolamento contribuirà ad assicurare un impiego più razionale di tali prodotti chimici pericolosi, facilitando lo scambio delle relative informazioni. I paesi importatori disporranno inoltre degli strumenti e dei dati necessari in modo da individuare le possibili minacce e respingere i prodotti chimici che non possono essere gestiti in sicurezza.

Occorre riconoscere le difficoltà che talvolta riscontrano i paesi esportatori nell’ottenere un consenso esplicito da parte dei paesi importatori. Tuttavia, le deroghe concesse ai paesi esportatori in attesa di consenso potrebbero avere una validità non superiore ai 12 mesi. Sono lieta che abbiamo adottato questa misura, volta a prevenire le importazioni incontrollate di prodotti chimici pericolosi nei paesi terzi.

Il regolamento ci consentirà di evitare la reiterazione di numerosi errori commessi in passato, che hanno causato danni all’ambiente e alla salute pubblica.

 
  
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  Bogusław Liberadzki (PSE), per iscritto. - (PL) Il relatore, l’onorevole Johannes Blokland, ha ragione nell’osservare che dovrebbero essere adottate norme adeguate a livello mondiale ed europeo al fine di fornire un grado elevato di protezione all’ambiente e alla salute pubblica.

La realizzazione di infrastrutture specifiche nei paesi meno sviluppati potrebbe senza dubbio contrastare l’utilizzo irresponsabile dei prodotti chimici, che altrimenti danneggerebbero le condizioni in termini di ecologia, economia e lavoro.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. - (EN) Ho votato a favore della relazione. Considero l’applicazione della convenzione di Rotterdam sulla procedura di previo assenso informato (PIC) un passo positivo in questo settore. Garantire un consenso preliminare da parte dei paesi terzi che ricevono sostanze pericolose contribuisce ad assicurare che i paesi in via di sviluppo non siano vittime dello scarico di prodotti chimici soggetti a restrizioni senza il loro permesso. Anche se questa è un’iniziativa incoraggiante nella giusta direzione, occorre che la Commissione controlli con molta attenzione l’applicazione dei provvedimenti.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. - (DE) Commercianti privi di scrupoli stanno cercando di eludere i requisiti speciali riguardanti il trasporto di prodotti chimici e di altre merci pericolose, requisiti quali una formazione specializzata dei conducenti, l’etichettatura e così via. Furgoni dei servizi pacchi trasportano acidi molto corrosivi, liquidi esplosivi o munizioni, spesso senza che il conducente ne sia a conoscenza. Se tali prodotti non sono etichettati e le bolle di accompagnamento non indicano la reale tipologia di merce, il personale potrebbe rischiare la propria vita in caso d’incidente. Un incendio provocherebbe terribili conseguenze nemmeno immaginabili, non solo sotto forma di danni permanenti alla salute, ma forse anche di contaminazione ambientale.

Ha senso semplificare i parametri per il trasporto di merci pericolose senza compromettere la sicurezza. Occorre inoltre pensare a metodi per accelerare il passaggio a petroliere a doppio scafo al fine di ridurre l’incidenza di disastri ambientali. Tuttavia, sono necessari soprattutto controlli saltuari mirati sui veicoli commerciali pesanti nell’UE, in modo che la pecora nera che è alla guida con carichi non assicurati, non etichettati o pericolosi, freni difettosi, e così via possa essere eliminata dalla strada.

 
  
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  Bogusław Sonik (PPE-DE), per iscritto. - (PL) Ho votato a favore della relazione di Johannes Blokland sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l’esportazione e l’importazione di prodotti chimici pericolosi.

La relazione tratta la questione di consentire il trasporto senza esplicita autorizzazione. Dal punto di vista economico, la situazione in essere è inadeguata per gli esportatori europei di prodotti chimici, nel caso in cui da parte dei paesi importatori non pervenga alcuna risposta sulle sostanze elencate negli allegati. In seguito a tale regolamento, gli esportatori europei di prodotti chimici, che sono severamente limitati in Europa, possono commerciare più facilmente tali sostanze al di fuori dell’Unione europea. Questo approccio più flessibile potrebbe realizzarsi, soprattutto nei paesi meno sviluppati, in Stati che non godono più di alcuna tutela contro le importazioni di prodotti chimici. Al fine di evitare l’esportazione incontrollata di sostanze pericolose in paesi terzi e di proteggere quei paesi che sono meno in grado o non sono del tutto capaci di valutare i prodotti chimici pericolosi, il periodo di tacito accordo dovrebbe essere più breve.

È importante che la proposta della Commissione si rivolga al problema di introdurre strumenti che rendano più semplice per le autorità doganali applicare le disposizioni del regolamento. Affinché i meccanismi presentati in questo nuovo regolamento funzionino in modo corretto ed efficace, è fondamentale una stretta collaborazione tra le autorità doganali e quelle nazionali selezionate. L’introduzione delle nuove normative dovrebbe essere preceduta dalla stesura di linee guida relative all’utilizzo di prodotti e documentazione informatici, e da una formazione secondo le norme europee, in particolare per i nuovi Stati membri.

 
  
  

- Relazione: Csaba Őry (A6-0515/2007)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. (FR) Nel corso della procedura di codecisione in prima lettura, ho votato a favore della risoluzione legislativa che modifica la proposta della Commissione europea recante modifica del regolamento del Consiglio (CEE) n. 1408/71 relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità, sulla base della relazione redatta dall’ottimo collega ungherese Csaba Őry, che introduce emendamenti tecnici alla proposta della Commissione europea nell’ottica di rendere il testo più chiaro o più semplice da consultare.

È accolto con favore il fatto che questo regolamento si proponga di fornire un’impressione accurata dell’evoluzione della situazione giuridica dei regimi nazionali di sicurezza sociale, e quindi garantire un appropriato coordinamento a livello comunitario.

 
  
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  Adam Bielan (UEN), per iscritto. - (PL) In riferimento al principio delle quattro libertà di base nell’integrazione economica europea, vorrei richiamare l’attenzione sul significato del regolamento n. 1408/71, che mira a promuovere la libera circolazione dei lavoratori nell’Unione europea.

Sebbene sia vero che la presente relazione tratti questioni strettamente tecniche, proprio queste ultime, utili ad aggiornare il sopraccitato regolamento facendo sì che tenga conto dei cambiamenti nelle assicurazioni sociali a livello nazionale, hanno un effetto diretto sulla vita quotidiana dei cittadini che viaggiano, lavorano o vivono in un altro Stato membro.

Concordo inoltre con il relatore sul fatto che, applicando il principio della libera circolazione in Europa, le condizioni sociali dovrebbero essere definite in maniera precisa.

Infine, desidero evidenziare quanto siano importanti le modifiche proposte e la trasparenza delle linee guida per migliaia di cittadini polacchi che vivono e lavorano al di fuori della Polonia. Questo è uno dei principali motivi per cui appoggio la relazione dell’onorevole Őry.

 
  
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  Bogusław Liberadzki (PSE), per iscritto. - (PL) L’onorevole Őry ha ragione nel riconoscere che, a livello dell’Unione europea, occorre garantire un efficace coordinamento tra gli Stati membri per quanto riguarda i pagamenti delle prestazioni.

Il presente regolamento, introducendo aggiornamenti che tengono conto delle recenti modifiche introdotte in certi Stati membri, prevede di garantire ai cittadini che viaggiano da uno Stato membro all’altro la possibilità di beneficiare dell’assicurazione sociale.

 
  
  

- Relazione Jorgo Chatzimarkakis (A6-0494/2007)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Sulla base della relazione d’iniziativa dell’amico e collega tedesco, l’onorevole Jorgo Chatzimarkakis, ho votato a favore della risoluzione su un quadro normativo competitivo nel settore automobilistico, a seguito della comunicazione della Commissione europea basata sul gruppo ad alto livello “CARS 21”.

Desidero innanzi tutto affermare che accolgo positivamente il sistema che prevede lo svolgimento di una revisione aziendale autentica con tutte le parti interessate, allo scopo di definire una politica industriale per il settore automobilistico che preveda importanti parametri quali l’impatto sul potere d’acquisto, l’occupazione, la sicurezza, la mobilità, nonché gli oneri ambientali e normativi che l’industria deve accollarsi, ma anche l’innovazione, la competitività, i problemi delle automobili di seconda mano e via dicendo, in un mercato interno tutt’altro che completo.

È fondamentale che, avendo creato il mercato interno nell’interesse dei consumatori, l’Unione europea debba prestare particolare attenzione ai costruttori, applicando loro una politica aziendale europea. Occorre offrire un sostegno al settore automobilistico, in cui vantiamo una radicata tradizione, poiché è soggetto ai grandi cambiamenti che avvengono oggi.

 
  
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  Gerard Batten (IND/DEM), per iscritto. - (EN) Se concordo sul fatto che potrebbe essere auspicabile ridurre le emissioni di CO2 in un contesto ambientale complessivo, non è compito dell’UE antidemocratica decidere tali questioni.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. - (PT) L’industria automobilistica europea, che rappresenta circa il 3% del PIL dell’UE e il 7% dei prodotti manifatturieri, è uno dei settori economici più importanti, che genera circa un terzo della produzione globale.

Si tratta inoltre di uno dei principali settori europei di esportazione, che investe il 4% del fatturato in R&S. Rappresenta una delle aree di maggiore impiego, con oltre 2 milioni di posti di lavoro diretti e 10 milioni di indiretti, ed è quindi un elemento fondamentale della vita economica, sociale e culturale d’Europa.

Tale settore deve tuttavia affrontare oggi sfide importanti. Un progresso tecnologico dinamico, associato alla feroce concorrenza internazionale, implica l’esigenza di cambiare rapidamente. Inoltre, sul comparto gravano aspettative sociali considerevoli, soprattutto in termini di ambiente e sicurezza stradale. Questa stretta interazione tra industria, ambiente, fonti di energia e trasporti fa sì che sia una delle aree dell’UE più regolamentate, coperta da circa 80 direttive e 115 regolamenti UN/ECE.

Ciò nonostante, non possiamo appoggiare tutte le proposte presentate in questa relazione. Si presta un’attenzione eccessiva alla difesa del mercato interno e della concorrenza, mentre è scarsa quella dedicata alle questioni sociali e del mondo del lavoro e al divario nello sviluppo degli Stati membri.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. (FR) Si presume che la relazione Chatzimarkakis rappresenti uno dei principali fattori che renderanno competitivo il settore automobilistico nei prossimi anni, tenendo conto dei vincoli ambientali, delle norme in materia di prodotti e sicurezza, della situazione concorrenziale internazionale e così via.

Tuttavia, tra le righe si trova la prova dell’eterna persecuzione nei confronti dei conducenti. Le restrizioni al traffico delle aree urbane o l’applicazione transfrontaliera di ammende per infrazioni del codice della strada non hanno rilevanza in tale relazione? Ora i cittadini europei, pena sanzioni o tasse più elevate, saranno obbligati ad acquistare veicoli “puliti”, dotati di costose tecnologie a favore della sicurezza, mentre in realtà, in un paese come la Francia, la vita media elevata delle automobili su strada (8 anni) riflette le difficoltà finanziarie delle persone e il basso potere d’acquisto? Perché penalizzare ancora una volta i veicoli privati, quando sono responsabili, in Francia ad esempio, solo del 13% delle emissioni di CO2, dati sicuramente inferiori ai paesi che non usano l’energia nucleare?

Esiste un paradosso di base nel tentare di avere un’industria automobilistica competitiva in Europa, quando tutte le politiche europee prevedono un aumento dei costi delle automobili e un impoverimento dei consumatori, introducendo allo stesso tempo nuove forme di persecuzione volte a dissuadere le persone ad acquistare e utilizzare gli autoveicoli.

 
  
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  Françoise Grossetête (PPE-DE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della relazione che propone un quadro normativo competitivo per il settore automobilistico.

Si tratta di una tabella di marcia definita nell’ottica di rendere le automobili più ecologiche e più sicure, nonché di semplificare il contesto giuridico per lo sviluppo di un’industria automobilistica europea.

L’impatto del trasporto su strada sulla qualità dell’aria può essere ridotto con la sostituzione graduale dei veicoli attualmente in uso.

Accolgo positivamente l’adozione della scadenza stabilita dal Parlamento, che coincide con il 2015, volta a raggiungere un unico limite alle emissioni di 125 g/km per le nuove vetture introdotte sul mercato. Questa data corrisponde a quella dell’entrata in vigore delle norme Euro VI.

A tale strategia potrebbero contribuire misure supplementari (carburanti alternativi, guida ecologica o incentivi fiscali, ad esempio), e occorrerebbe prestare particolare attenzione ai biocarburanti e all’idrogeno.

CARS 21 raccomanda un approccio integrato alla sicurezza stradale, riguardante la tecnologia dei veicoli, le infrastrutture e gli utenti della strada (tra alcune misure suggerite figurano il controllo elettronico della stabilità, i dispositivi che ricordano di allacciare la cintura di sicurezza e sistemi di frenatura di emergenza).

Il primo requisito di una normativa efficace è che deve essere realista, e le preoccupazioni ambientali sono da tempo al centro delle politiche nel settore.

 
  
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  Kartika Tamara Liotard (GUE/NGL), per iscritto. - (NL) Ho votato contro la relazione Chatzimarkakis, poiché la proposta della Commissione si mostra più rispettosa dell’ambiente. Il relatore suggerisce un obiettivo di 125 g/km di CO2 nel 2015, mentre la proposta della Commissione indica un limite massimo di emissioni di 120 g/km di CO2 nel 2012. Ho presentato un emendamento affinché fosse ritirata, ma è stato respinto. Mi domando dove il relatore abbia ottenuto una proposta meno rispettosa dell’ambiente, senza essere influenzato dalla lobby dell’industria automobilistica. Da anni sono stati raggiunti accordi spontanei tra la Commissione e il settore in questione, volti a ridurre le emissioni di CO2. L’obiettivo della Commissione non solo non proviene da nessuna parte ed è, secondo l’industria automobilistica, tecnicamente realizzabile, ma, da un punto di vista innovativo, è un prodotto da esportare. Tuttavia, tali accordi faranno temporaneamente accumulare meno profitti al fine di poter stabilizzare la propria posizione competitiva nel futuro.

È stato erroneamente sostenuto che si perderanno posti di lavoro. Sottolineo che solo il 6% dei costi di produzione di nuovi veicoli è riconducibile al personale. La scelta del risparmio nei costi del lavoro non è connessa al passaggio a 120 g/km di CO2 nel 2012. Se l’industria automobilistica decide di spostare le proprie attività in paesi con livelli retributivi bassi, lo farà in ogni caso.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. - (EN) Ho votato a favore della relazione. Credo fermamente che l’obiettivo di 120g/km di emissioni di CO2 entro il 2012 debba essere perseguito e che sia essenziale nel contrastare i cambiamenti climatici. Anche se riconosco che gli Stati membri debbano assumersi il finanziamento della ricerca e dello sviluppo per il settore automobilistico in questo ambito, ritengo tuttavia che anche la stessa industria dell’automobile dovrebbe fornire un contributo e dimostrare un ulteriore impegno finalizzato alla riduzione degli effetti dei cambiamenti climatici. Inoltre approvo la direttiva che chiede di informare e consultare i lavoratori riguardo alla questione.

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto. - (NL) Con la mia collega, l’onorevole Liotard, ho votato contro la relazione Chatzimarkakis, poiché la proposta originale della Commissione si mostra più rispettosa all’ambiente. Il relatore stabilisce un obiettivo di 125 g/km di CO2 nel 2015, laddove nella proposta della Commissione il limite massimo alle emissioni era pari a 120 g/km di CO2 nel 2012. Oggi il mio gruppo ha presentato un emendamento affinché fosse ritirata, ma è stato respinto. Mi chiedo da dove il relatore abbia ottenuto questa proposta meno rispettosa dell’ambiente, se non è stato influenzato dalla lobby dell’industria automobilistica. Da anni sono stati raggiunti accordi spontanei tra la Commissione e il settore in questione, volti a ridurre le emissioni di CO2. L’obiettivo della Commissione non solo non proviene da nessuna parte, ma, secondo l’industria automobilistica, è tecnicamente realizzabile e in grado di creare un prodotto di esportazione innovativo. Di certo le industrie automobilistiche accumuleranno temporaneamente meno profitti, cosa che considerano un’ingerenza nel rafforzamento della propria posizione competitiva.

È stato erroneamente sostenuto che si perderanno posti di lavoro. Soltanto il 6% dei costi di produzione di nuovi veicoli è riconducibile al personale. I costi del lavoro inferiori non sono connessi al passaggio a 120 g/km di CO2 nel 2012. Se l’industria automobilistica decide di spostare le proprie attività in paesi con livelli retributivi bassi, una norma meno severa non lo impedirà.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. - (PT) Il futuro della competitività del settore automobilistico europeo è molto importante. L’UE dovrebbe pertanto continuare ad adottare un approccio a lungo termine, basato sugli investimenti in ricerca e sviluppo e sul miglioramento del funzionamento del mercato interno tramite le normative necessarie e semplificando le procedure amministrative, rendendole più rapide e meno costose. La relazione suggerisce che dovrebbe essere adottato un approccio ambientale integrato, connesso a nuove tecnologie dei motori e all’utilizzo di carburanti meno inquinanti, e che occorre applicare misure aggiuntive nell’area della gestione del traffico, del comportamento alla guida e delle infrastrutture, in modo da ridurre ulteriormente le emissioni di gas a effetto serra.

Questi aspetti sono essenziali, e gli investimenti richiesti dovrebbero essere ampiamente reperiti attraverso partenariati pubblici e privati quale nuovo strumento per la ricerca industriale e lo sviluppo tecnologico. Infine, le proporzioni internazionali evidenziano l’esigenza di provvedimenti urgenti volti a migliorare l’accesso ai mercati, soprattutto in Asia, grazie a negoziati multilaterali e accordi commerciali bilaterali.

Ho quindi votato a favore della relazione sull’iniziativa CARS 21.

 
  
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  Brian Simpson (PSE), per iscritto. - (EN) Voterò a favore della relazione dell’onorevole Chatzimarkakis, anche se ritengo che l’industria dell’automobile debba fare di più al fine di ridurre le emissioni dei veicoli che produce.

Da un lato è molto semplice additare l’automobile come la principale colpevole di tutto ciò che riguarda l’ambiente, e certamente i veicoli di cui disponiamo al momento non smentiscono tale convinzione. Ma occorre collaborare con l’industria ed educarla verso la necessità di produrre automobili più ecologiche.

L’industria automobilistica è un grande datore di lavoro che impiega molti addetti e contribuisce in modo considerevole alle economie locali, regionali e nazionali. Pertanto non deve essere trattata con sufficienza, come credono alcuni membri di quest’Assemblea.

Un ambito di questa relazione che mi preoccupa è la netta visione che le misure fiscali, e l’armonizzazione in materia, dovrebbero essere utilizzate come metodo volto a promuovere il concetto CARS 21.

A mio avviso, questa è una mossa troppo audace e non posso assecondare tale proposta. Tuttavia, accolgo con favore e sostengo questa relazione poiché adotta nel complesso un approccio equilibrato e concreto.

 
  
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  Renate Sommer (PPE-DE), per iscritto. - (DE) La relazione dal titolo “CARS 21: Un quadro normativo competitivo nel settore automobilistico” ha il mio pieno appoggio, poiché può contribuire a rafforzare la competitività dell’industria automobilistica.

Oltre all’imposizione di nuovi obblighi all’industria in forma di requisiti ambientali, abbiamo anche bisogno di fornire procedure semplificate, volte a ridurre la burocrazia e ad applicare i principi tesi a legiferare meglio. Inoltre, il settore automobilistico deve beneficiare di maggiori finanziamenti per le attività di ricerca e sviluppo.

Per quanto riguarda il conseguimento dell’obiettivo dei valori di CO2, è importante basare le riduzioni programmate sul parametro del peso del veicolo, anziché sulla “impronta di carbonio”. L’unica correlazione fisica esistente è tra il peso di un veicolo e le sue emissioni di CO2. L’impronta di carbonio non offre questo tipo di correlazione, e il suo impiego servirebbe solo a danneggiare l’industria automobilistica tedesca dal punto di vista competitivo.

Ci siamo schierati con forza a favore di una strategia integrata che consideri tutti gli strumenti possibili per ridurre le emissioni di CO2. Occorrono elementi quali il comportamento individuale alla guida, l’introduzione di vari incentivi a guidare automobili pulite dal punto di vista ambientale, l’utilizzo di biocarburanti e la promozione di nuove forme di tecnologia dei veicoli volte a contribuire alla riduzione dei livelli di emissione. Si tratta di una sfida, non solo per i costruttori, ma anche per tutte le parti interessate.

 
  
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  Søren Bo Søndergaard (GUE/NGL), per iscritto. - (EN) Ho votato contro la relazione Chatzimarkakis poiché la proposta della Commissione è più rispettosa dell’ambiente. Il relatore fissa un obiettivo per il 2015 di 125 grammi di CO2 per chilometro. La proposta della Commissione suggerisce un obiettivo massimo di emissioni di CO2 pari a 120 grammi per il 2012, ripresentato come un emendamento. Tale emendamento è stato purtroppo respinto. Mi chiedo da dove il relatore abbia tratto la proposta, che si rivela inadeguata dal punto di vista ambientale e tecnico, senza essere influenzato dalla lobby dell’industria automobilistica. Da anni ci sono accordi volontari tra la Commissione e l’industria dell’automobile al fine di limitare le emissioni di CO2. L’obiettivo della Commissione non compare dal nulla e, secondo l’industria automobilistica, è attuabile a livello tecnico ed è un prodotto esportabile dal punto di vista dell’innovazione. Tuttavia, comporterà temporaneamente un minore profitto nell’ottica di stabilizzare la posizione concorrenziale nel futuro.

Si utilizza in maniera ingiustificata la questione della perdita di occupabilità. Sottolineo il fatto che soltanto il 6% del costo di produzione di nuovi autoveicoli è rappresentato dal costo del personale. La scelta di tagliare i costi sulla manodopera non è collegata all’iniziativa dei 120 grammi di CO2 per chilometro per il 2012. Se l’industria dell’automobile dovesse decidere di trasferirsi in paesi che prevedono retribuzioni inferiori, lo farebbe comunque.

 
  
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  Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. - (NL) Il settore dei trasporti è responsabile di un quinto dei gas a effetto serra. Automobili sostenibili, efficienti e pulite possono veramente contribuire alla lotta contro i cambiamenti climatici. Gli sforzi finalizzati a questo scopo possono rendere l’industria automobilistica molto più forte in futuro. Purtroppo, non c’è traccia di questo messaggio nella risposta al documento su CARS 21 da parte della Commissione e del Parlamento.

Nei nostri emendamenti, abbiamo cercato di richiamare l’attenzione su alcuni punti cruciali. La mobilità individuale e l’industria automobilistica richiedono di essere considerate nell’ampio contesto della mobilità sostenibile. Sottolineiamo che la crescente richiesta a livello mondiale di carburanti per il trasporto può condurre allo sfruttamento delle risorse petrolifere con gravi effetti nocivi sull’ambiente, quali sabbie bituminose e gas da carbone sintetico. Occorrono progressi anche nel migliorare l’efficienza dei carburanti nel settore. La scelta dei biocarburanti può essere sviluppata solo se la Commissione stabilisce un sistema di certificazione vincolante completo che preveda rigorosi criteri sociali e ambientali.

Infine, vorremmo cancellare, primo, i paragrafi secondo cui gli sport motoristici e le corse di Formula 1 possano probabilmente contribuire a tecnologie più rispettose all’ambiente e, secondo, i paragrafi che consentono ai costruttori di produrre veicoli che generano CO2 aggiuntiva se tali emissioni rientrano in misure giuridicamente vincolanti a livello dell’UE.

La maggior parte degli emendamenti è stata respinta, pertanto voto contro la presente relazione.

 
  
  

- Relazione Piia-Noora Kauppi (A6-0481/2007)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo sul trattamento fiscale delle perdite in situazioni transfrontaliere, basata sulla relazione della mia ottima collega, l’onorevole Piia-Noora Kauppi, come risposta alla comunicazione della Commissione europea in materia. Sono molto preoccupato per le ripercussioni negative del vasto numero di regimi applicati dagli Stati membri alle perdite transfrontaliere sulle attività del mercato interno.

Nel quadro della recente sentenza della Corte di giustizia europea nella causa Marks&Spencer, questo si rivela un momento particolarmente opportuno, poiché, in assenza di detrazione transfrontaliera delle perdite, un rimborso in merito è in genere limitato ai profitti realizzati nello Stato membro in cui è stato effettuato l’investimento. Questo aspetto altera le decisioni di impresa nel mercato interno. Sembrerebbe fondamentale esortare a un coordinamento diretto dei sistemi fiscali degli Stati membri nel mercato interno.

Ciononostante, questa deve essere una soluzione temporanea, poiché a lungo termine occorre adottare una base comune consolidata per la tassazione delle società, che costituisce una risoluzione complessiva ed elimina gli ostacoli alle tasse presenti nel rimborso transfrontaliero delle perdite e dei profitti.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto. - (EN) Ho votato a favore della relazione Kauppi poiché c’è la necessità di un costante dibattito dettagliato sulle varie questioni controverse sollevate in questa relazione. Occorre garantire che i differenti regimi fiscali delle imprese non consentano alle aziende di sottrarsi alle proprie responsabilità di sostenere la società con una quota dei profitti tramite un regime fiscale equo.

Tuttavia, occorre fare attenzione all’impatto negativo che una CCCTB potrebbe avere sui piccoli paesi come l’Irlanda, i cui livelli di sviluppo e occupazione dipendono in larga misura dalla propria capacità di attrarre investimenti esteri.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. - (PT) Purtroppo gli emendamenti presentati dal nostro gruppo sono stati respinti, in particolare certe posizioni opposte a quelle che alla fine sono state approvate.

Fra queste figurava il parere sulla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee nella causa Marks&Spencer, che rappresenta un’ingerenza eccessiva nel diritto degli Stati membri di non ritrovarsi con sistemi fiscali indeboliti. In situazioni transfrontaliere, la competenza fiscale deve essere equamente distribuita tra gli Stati membri interessati, evitando il doppio rimborso delle perdite e il rischio di evasione delle tasse.

Occorre inoltre considerare l’eventualità che, consentendo il rimborso per perdite transfrontaliere, le società non tendano ad assicurare che i propri profitti siano tassati in paesi con bassi livelli di imposizione rispetto a quelli con livelli elevati. La possibilità di compensare perdite transfrontaliere può quindi essere giustificata solo quando parti della stessa impresa sono davvero collegate, o, in altre parole, quando tali parti sono integrate dal punto di vista economico e organizzativo.

Occorre soprattutto garantire le condizioni per un trattamento fiscale appropriato e paritario, che evita l’evasione delle tasse e garantisce inoltre che i servizi pubblici funzionino e che i redditi siano ripartiti e distribuiti più equamente.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. - (SV) Il mercato interno è il più importante contributo dell’UE alla democrazia e alla prosperità in Europa.

L’intento di questa relazione è far sì che il mercato interno funzioni meglio determinando l’armonizzazione delle basi fiscali, in questo caso dei modi in cui considerare le perdite delle imprese qualora siano interessati più paesi. Tuttavia, la relazione deriva da un presupposto che non è ancora stato valutato a fondo. L’armonizzazione delle basi fiscali ha conseguenze molto diverse nei vari paesi a seconda delle differenze nella struttura dei settori. In alcuni paesi, prevale l’industria pesante con grandi investimenti a lungo termine, mentre in altri predominano i servizi e l’ingegneria leggera.

Riteniamo pertanto che, prima della discussione in Parlamento di una relazione come questa, dovrebbe essere esaminato in modo approfondito il problema dell’armonizzazione delle basi fiscali.

 
  
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  Małgorzata Handzlik (PPE-DE), per iscritto. - (PL) Onorevoli deputati, le imposte devono essere uno degli argomenti dell’UE più sensibili. Ogni volta che avvengono dibattiti in materia in incontri internazionali, sorge un coro di voci critiche, soprattutto perché gli Stati membri difendono gelosamente il proprio diritto a fissare le tasse.

Durante le discussioni concernenti la relazione dell’onorevole Kauppi sul trattamento fiscale delle perdite in situazioni transfrontaliere, la questione delle imposte è stata analizzata in modo esauriente. Il documento richiama l’attenzione sui principali problemi associati a settori di imprese che beneficiano di sistemi fiscali diversi, spesso appartenenti alla struttura di un’unica azienda, ma in paesi diversi.

Non c’è dubbio che l’Unione europea abbia bisogno di una normativa fiscale competitiva. Non significa necessariamente armonizzata, ma competitiva, vale a dire norme che non generino oneri eccessivi, ma che, al contrario, offrano un incentivo per l’avvio di un’attività.

Ritengo che l’Unione europea non dovrebbe più considerare l’armonizzazione delle imposte sulle persone giuridiche, ma coordinarle a livello europeo, in modo da produrre benefici reali in seguito alla competitività fiscale. Sono lieta che la relatrice proponga lo stesso punto di vista nella relazione presentata.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. - (EN) Dal mio punto di vista, l’analisi degli apparenti ostacoli nel commercio transfrontaliero non si riscontrano nell’armonizzazione della tassazione, che dovrebbe rientrare nell’ambito delle singole legislature nazionali. Pertanto mi sono astenuto dal voto sulla questione.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. - (EN) Signor Presidente, talvolta mi domando se gli sforzi compiuti in quest’Aula per le relazioni abbiano un valore. La politica fiscale deve rimanere una competenza degli Stati membri e qualsiasi intervento volto a estendere la competenza comunitaria in materia incontrerà l’opposizione dei nostri elettori, dei governi nazionali e delle imprese. Di conseguenza, non denigro il duro lavoro evidentemente realizzato, ma non sono comunque d’accordo su tale relazione e ne metto persino in discussione la necessità.

 
  
  

- Relazione Glenis Willmott (A6-0518/2007)

 
  
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  Jan Andersson, Göran Färm, Anna Hedh e Inger Segelström (PSE), per iscritto. - (SV) Noi del gruppo socialdemocratico svedese accogliamo positivamente la strategia comunitaria sulla salute e la sicurezza sul luogo di lavoro, e abbiamo quindi votato a favore della relazione. Ora è importante stabilire gli obiettivi per il numero di ispettori del lavoro in Europa. Secondo le raccomandazioni dell’OIL, questo numero dovrebbe essere pari a un ispettore ogni 10 000 dipendenti. Tuttavia, è deplorevole che i successivi tagli imposti dal governo svedese non soddisfino più i parametri proposti dall’OIL, e adesso dal Parlamento europeo. Dopo il risparmio del governo, la Svezia disporrà soltanto di 0,7 ispettori ogni 10 000 dipendenti. Se si opera un confronto con la Danimarca, ad esempio, i dati sono pari almeno al doppio.

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Sulla base alla relazione della collega inglese Glenis Willmott, ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo sulla strategia comunitaria 2007-2012 per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro, in risposta alla comunicazione della Commissione europea in materia.

Ogni anno, almeno 500 000 persone muoiono o sono affette da disabilità permanente per ragioni connesse al lavoro, e dobbiamo complimentarci con la Commissione europea per l’obiettivo di ottenere una riduzione media del 25% degli infortuni sul lavoro nell’UE. Appoggio l’idea di aumentare l’attività dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro di Bilbao (Spagna).

In merito a tale questione e, più genericamente, allo sviluppo di un’Europa sociale, mi spiace che né la relazione, né tanto meno la comunicazione della Commissione europea, rilevino che sia fondamentale sostenere le parti sociali; dobbiamo sempre ricordarci che, conformemente ai Trattati esistenti, con gli articoli 137 e seguenti. del Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE), e ciò è stato confermato dal Trattato di Lisbona in fase di ratifica, gli strumenti legislativi sono disponibili a quest’ultimo al fine di facilitare lo sviluppo del diritto sociale europeo.

 
  
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  Philip Bushill-Matthews (PPE-DE), per iscritto. - (EN) Questa è una relazione di carattere non legislativo che è stata oggetto di una considerevole revisione nella commissione come risultato diretto del nostro contributo. Di conseguenza, non dovrebbe esserci alcuna esigenza automatica di effettuare una ripartizione in linee di partiti politici, anche se abbiamo presentato alcuni emendamenti aggiuntivi per la sessione plenaria.

Nella sua forma originale, richiedeva una normativa europea più prescrittiva in numerosi settori. Ora accoglie la maggiore attenzione attribuita dalla Commissione alla semplificazione del contesto normativo e alla riduzione degli oneri amministrativi, e il marcato accento sul sostegno alle PMI. Riconosce il ruolo primario degli Stati membri nella promozione dell’agenda in materia di salute e sicurezza. Siamo orgogliosi del ruolo svolto nell’attenuare in modo significativo l’approccio originale per rendere accettabile la relazione. Salvaguardare la salute e la sicurezza dei lavoratori è un interesse comune.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. - (PT) La relazione approvata dalla commissione per l’occupazione e gli affari sociali prevede aspetti significativi della lotta per migliori condizioni di vita e di lavoro, con una maggiore tutela della salute e della sicurezza. Purtroppo, tuttavia, su iniziativa del PPE, sono state modificate numerose proposte, e il paragrafo 59, che sottolineava l’importanza dell’occupazione permanente in quanto fattore che contribuisce alla salute e alla sicurezza sul luogo di lavoro, è stato respinto. Per questo motivo ci asterremo dal voto.

Considerato che il numero di infortuni e di patologie sul luogo di lavoro non sta diminuendo in maniera uniforme, poiché la loro incidenza è maggiore rispetto alla media europea in particolari categorie di lavoratori (ad esempio migranti, persone con contratti precari, donne, giovani e anziani) e Stati membri, il Parlamento europeo esorta la Commissione ad attribuire priorità ad attività e/o a settori che prevedono rischi specifici.

Tuttavia, accogliamo positivamente l’approvazione del paragrafo che considera gli orari di lavoro eccessivi e i periodi di riposo insufficienti, un fattore determinante nell’aumento degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, e che chiede un corretto equilibrio fra vita lavorativa e familiare.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. - (SV) Il Junilistan ritiene che le questioni in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro siano essenzialmente un problema nazionale. È naturale che sia importante eliminare gradualmente l’amianto sul posto di lavoro e tutelare la salute dei lavoratori che utilizzano strumenti pericolosi, ma siamo fiduciosi che gli Stati membri siano in grado di realizzare idonee strategie nazionali per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro. Vorremmo quindi chiedere quale effettivo valore aggiunto possano offrire progetti europei in questo settore. In base alle discussioni condotte in precedenza, abbiamo votato a favore dell’emendamento volto a limitare la strategia per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro e contro la relazione nel corso della votazione finale.

 
  
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  Monica Maria Iacob-Ridzi (PPE-DE), per iscritto. - (RO) Sono a favore della relazione e appoggio la proposta di utilizzare i Fondi strutturali finalizzati a investire nelle infrastrutture minerarie al fine di prevenire i numerosi infortuni professionali che si verificano in questo settore.

L’Unione europea non può disporre di una strategia credibile per la tutela del lavoro senza fornire un sostegno finanziario agli Stati membri. L’industria mineraria è il settore più duramente colpito della Romania, con il maggior numero di infortuni professionali, ma per migliorare le condizioni lavorative le risorse nazionali disponibili non sono sufficienti. L’Unione europea è in grado di rimediare alla situazione fornendo finanziamenti agli Stati membri.

Desidero proporre che parte degli stanziamenti europei disponibili secondo il programma di gestione delle risorse umane venga impiegata per la formazione e l’allestimento di servizi d’ispezione. È fondamentale che tutti gli Stati membri raggiungano il livello minimo definito dall’Organizzazione internazionale del lavoro, ovvero di almeno un ispettore del lavoro ogni 10 000 lavoratori.

 
  
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  Carl Lang (NI), per iscritto. – (FR) Gli obiettivi della strategia comunitaria 2007-2012 per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro, senza dubbio lodevoli in sé, è improbabile che siano conseguiti, esattamente come è difficile che entro il 2010 venga realizzata la strategia di Lisbona. Inoltre, il grado di disparità in Europa nella legislazione in materia è talmente elevato da renderne difficile la gestione a livello comunitario, e il grosso rischio è che le norme su salute e sicurezza siano uniformate verso il comune denominatore inferiore.

Anziché rendere noti i benefici e i vantaggi che offre, l’Europa dovrebbe agire in modo concreto e combattere i fattori che effettivamente mettono a rischio le persone, vale a dire insicurezza, disoccupazione e povertà. Una volta che ci si sarà occupati di ciò, allora, di certo, i problemi in materia di salute e sicurezza potranno essere risolti nel corso del processo di definizione di normative comuni.

I leader europei si sbagliano: incoraggiare l’immigrazione non è il metodo per ridurre i livelli di povertà o la sua diffusione, o promuovere la crescita. Ciò è evidente dal fatto che gli ultimi 10 anni, con un grado d’immigrazione senza precedenti, hanno registrato i minori tassi di sviluppo di sempre rispetto al resto del mondo. La strategia comunitaria per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro non ha preso in considerazione tali parametri. Pertanto intendiamo votare contro la relazione.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. - (EN) Ritengo che la relazione abbia rappresentato un passo in avanti molto incoraggiante volto a garantire un posto di lavoro più sicuro. La necessità di maggiori finanziamenti per assicurare che siano osservate le misure in materia di salute e sicurezza in settori quali l’industria mineraria, dell’acciaio e della costruzione di navi è fondamentale, soprattutto in questi ambiti ad alto rischio. La richiesta di tutelare i lavoratori sanitari da infezioni trasmissibili per via ematica e di introdurre una nuova normativa sulle malattie professionali, prende in considerazione i profondi mutamenti avvenuti nei pericoli che i lavoratori affrontano attualmente nelle loro professione quotidiana. Ho pertanto votato a favore della relazione.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. - (EN) Signor Presidente, sono lieto di congratularmi con la nostra relatrice per un testo equilibrato che tiene conto di un’importante strategia, dal momento che l’UE è stata funzionale nell’innalzare le norme relative a salute e sicurezza sul luogo di lavoro nell’UE e la strategia comunitaria per il 2012 sembra voler proseguire su questa scia. Tuttavia, occorre sempre ricordare che giunge il momento in cui le norme sono sufficientemente adeguate e l’attenzione deve rivolgersi all’applicazione, non a una nuova legislazione o carichi normativi. Dobbiamo controllare questo settore al fine di garantire che sia raggiunto un idoneo equilibrio, e questa relazione ci conduce verso tale direzione.

 
  
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  Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. - (NL) La salute e la sicurezza sul luogo di lavoro rivestono un ruolo fondamentale nell’agenda europea e nella strategia di Lisbona. Investimenti nel settore aumentano la produttività e riducono i costi della sicurezza sociale. Il precedente piano d’azione, ad esempio, ha già diminuito in modo rilevante il numero di infortuni sul posto di lavoro. Per il nuovo periodo (fino al 2012), si compieranno ulteriori sforzi finalizzati a ottenere una riduzione del 25%, e la Commissione s’impegna ad assistere le PMI nell’attuazione del quadro normativo esistente.

La relazione Willmott perfeziona notevolmente la proposta della Commissione. Mira a una combinazione attuabile di ispezioni del lavoro più severe e accurate, prevenzione efficace, incentivi adeguati e sanzioni, insieme a una condivisione della migliore prassi e incremento della partecipazione dei lavoratori. Grazie a pochi “semplici” emendamenti quali maggiore attenzione al gruppo del personale interinale di agenzia (donne, lavoratori migranti), dei lavoratori temporanei e con poca formazione, alle cause alla base dei disturbi mentali e alla salute mentale, alla dipendenza e ai rischi psicologici sul luogo di lavoro, come stress, molestie, intimidazioni e violenza, sostengo appieno questa relazione.

 
  
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  Georgios Toussas (GUE/NGL), per iscritto. (EL) ) La strategia comunitaria 2007-2012 per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro non affronta le cause effettive degli infortuni e nasconde l’irresponsabilità del capitale. Le misure proposte sono frammentate e limitate alla gestione dell’attuale realtà criminosa a danno della classe lavoratrice e dei dipendenti in genere.

Gli infortuni sul luogo di lavoro rappresentano il caro prezzo che la popolazione attiva deve pagare, nell’ambito della crudele diffusione del capitalismo, tutto con l’obiettivo del profitto.

Ogni anno gli infortuni sul luogo di lavoro aumentano costantemente in Grecia e negli altri Stati membri dell’UE, con la conseguenza che migliaia di lavoratori perdono la loro vita e altri sono vittime di problemi insormontabili.

L’Unione europea, fedele alla strategia contro il mondo del lavoro di Lisbona, sta facendo ricadere il peso della responsabilità sui lavoratori, e rafforzando la privatizzazione nel settore della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro, proponendo l’accesso ad agenzie esterne private, ridimensionando il ruolo dei meccanismo pubblici di controllo e restando in silenzio rispetto alle responsabilità delle imprese.

 
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