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Resoconto integrale delle discussioni
Mercoledì 23 aprile 2008 - Strasburgo Edizione GU

12. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni al Consiglio)
Processo verbale
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca il Tempo delle interrogazioni (B6-0019/2008).

Saranno prese in esame le interrogazioni rivolte al Consiglio.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 1 dell’onorevole Manuel Medina Ortega (H-0154/08):

Oggetto: Allargamento dello spazio Schengen

Può dire il Consiglio se ha valutato le conseguenze politiche dell’ultimo allargamento dello spazio Schengen e le sue ripercussioni sulle relazioni tra l’Unione europea e i paesi vicini cui ora si estendono le nuove frontiere di Schengen, siano essi o meno membri dell’UE?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) Sono passati quattro mesi dall’ultimo allargamento dello spazio Schengen del 21 dicembre dello scorso anno. Com’è noto, il processo di allargamento non si è effettivamente concluso fino alla fine di marzo, quando sono stati eliminati i controlli alle frontiere aeroportuali. Pertanto non vi sono state molte occasioni o il tempo necessario a valutare le conseguenze politiche generali di tale allargamento e le sue ripercussioni sulle relazioni tra gli Stati membri dell’Unione europea che applicano le norme di Schengen e i paesi vicini.

Tuttavia, alcuni gruppi di lavoro del Consiglio stanno già discutendo questioni, quali la riorganizzazione delle autorità di frontiera di alcuni Stati membri in seguito all’allargamento dello spazio Schengen, nonché i cambiamenti e le tendenze dell’immigrazione illegale che ne potrebbero costituire una conseguenza. Senza dubbio l’allargamento dello spazio Schengen ha avuto effetti molto positivi sulla politica dell’Unione europea in materia di visti, in particolar modo per i cittadini dei paesi terzi, che possono spostarsi all’interno dell’intero spazio Schengen muniti di un visto rilasciato da un nuovo Stato membro, contrariamente a quanto accadeva in precedenza.

L’Unione europea ha inoltre già concluso accordi con i paesi dell’Europa orientale e dei Balcani occidentali al fine di semplificare la procedura di rilascio del visto.

 
  
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  Manuel Medina Ortega (PSE).(ES) Signora Presidente, signor Ministro, la ringrazio molto per la sua risposta. Dato che proviene da un paese che si trova proprio in questa situazione, sono certo che la Presidenza slovena sta seguendo la questione con grande interesse.

Personalmente, mi sono preso il disturbo di visitare alcuni dei paesi che si trovano in tale situazione: da un lato mi auguro che le nostre frontiere siano garantite, ma dall’altro non desideriamo affatto che l’UE costruisca un nuovo muro, nuovi bastioni.

Quali garanzie abbiamo che l’allargamento dello spazio Schengen non creerà difficoltà, ad esempio, per i lavoratori transfrontalieri o per coloro che erano abituati a entrare senza alcun problema in paesi che ora rientrano nello spazio Schengen, soprattutto nel caso della Slovenia, che confina che un paese candidato all’adesione all’UE?

 
  
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  Janez Lenarčič. − (SL) La ringrazio, onorevole Medina Ortega, per la domanda aggiuntiva. Come è già stato accennato, il Consiglio non ne ha ancora discusso ai più alti livelli e non ha condotto una valutazione completa delle conseguenze dell’allargamento dello spazio Schengen sui singoli paesi.

Ha chiesto circa l’esperienza slovena e dirò quanto segue: la questione non riguarda certamente la costruzione di nuovi muri, ma lo spostamento delle frontiere esterne dell’Unione europea verso nuove frontiere. Significa che le frontiere esterne dello spazio Schengen si sono spostate, incorporando un numero maggiore di Stati membri dell’Unione europea. Si è trattato di un progetto impegnativo per gli Stati le cui frontiere costituiscono in parte le nuove frontiere esterne dello spazio Schengen. Tali Stati hanno passato molti anni a prepararsi. Questo progetto era molto ambizioso e l’Unione europea l’ha riconosciuto istituendo una speciale fonte di finanziamento denominata “strumento Schengen”, che ha contribuito a istituire controlli appropriati alle nuove frontiere esterne dello spazio Schengen.

Ha chiesto anche in merito alla frontiera tra Slovenia e Croazia. E’ un fatto che in passato fosse una frontiere invisibile. E’ altresì un fatto che, all’epoca in cui abbiamo ottenuto l’indipendenza, fosse una frontiera provvisoria. In collaborazione con i nostri partner nell’Unione europea, siamo effettivamente riusciti a organizzare controlli alle frontiere che non rendano più difficile il passaggio dei cittadini della Repubblica di Croazia. Siamo riusciti anche a conservare tutti gli elementi imposti dagli standard di Schengen e dalle normative per l’esecuzione di efficaci controlli alle frontiere.

 
  
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  Hubert Pirker (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, l’allargamento dello spazio Schengen nel dicembre dello scorso anno ha portato maggiore, e non minore, sicurezza, il che è confermato dalle statistiche e ne dovremmo essere lieti.

Nella prossima fase devono essere incluse nell’area Schengen la Svizzera e il Liechtenstein, ma ho sentito che vi potrebbero essere problemi, poiché alcuni Stati membri potrebbero voler introdurre una serie di riserve circa l’adesione del Liechtenstein. Ho sentito vari commenti da parte della Repubblica ceca in questo senso.

Ho pertanto una domanda da rivolgere al Consiglio: siete a conoscenza di tali possibili riserve e cosa intendete fare per evitare i problemi associati alla non adesione del Liechtenstein?

 
  
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  Avril Doyle (PPE-DE).(EN) La mia domanda riguarda le norme Schengen e il loro contributo al cambiamento climatico e all’aumento delle emissioni di diossido di carbonio. Lo scorso mercoledì ho avuto il piacere di volare da Bruxelles a Lubiana ed essere ospite del suo bellissimo paese per due giorni in quanto membro dell’Ufficio PPE-DE.

Una volta atterrati a Lubiana, siamo scesi tutti dall’aereo e siamo stati spinti su una navetta, come accade in molti aeroporti. Eravamo ammassati in un autobus. Ci sono voluti 22 minuti e poi l’autobus è partito verso quello che credevamo essere il controllo passaporti o il ritiro bagagli. La navetta ha percorso esattamente 20 metri, signor Presidente – la distanza tra me e lei – e siamo scesi per andare al gate. Non sto scherzando. Quando ho chiesto il perché di questa procedura senza senso, mi è stato garantito che era imposta dalle norme Schengen. La prego di fornirci una spiegazione, signor Ministro!

 
  
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  Janez Lenarčič. (SL) In risposta all’onorevole Pirker: è un dato di fatto che sono già state avviate le procedure per includere la Confederazione svizzera e il Principato del Liechtenstein nello spazio Schengen. Tali procedure e le procedure di valutazione sono al momento ancora in corso. L’opinione della Presidenza è che l’ingresso di questi due paesi nello spazio di Schengen dipenda esclusivamente dai risultati di tali procedure e in particolare dai risultati della valutazione. Non siamo a conoscenza di alcuna obiezione sollevata da nessuno Stato membro in merito alle procedure previste per l’ingresso di qualsiasi singolo paese nello spazio Schengen.

In risposta all’onorevole Doyle, devo ammettere di non essere convinto che si tratti di norme Schengen, ma che riguardino più probabilmente le norme di sicurezza negli aeroporti. Non sono ad ogni modo in grado di spiegare ora le ragioni per cui la corsa di questa navetta fosse di soli 20 metri. Presumo che esistano regolamenti che coprono gli spostamenti negli aeroporti e che non rientrano nelle norme Schengen, ma che verosimilmente riguardano la sicurezza aeroportuale.

 
  
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  Presidente. − La ringrazio, signor Ministro. Forse potrà indagare questa sera durante il suo viaggio di ritorno.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 2 dell’onorevole Marie Panayotopoulos-Cassiotou (H-0159/08):

Oggetto: Mantenimento della popolazione attiva nelle regioni montane, inaccessibili ed insulari

Un’elevata percentuale di risorse umane decide frequentemente di abbandonare talune regioni dell’UE a causa della penuria di opportunità professionali, il che comporta lo spopolamento di tali regioni, in cui non risiedono più che le persone anziane.

Alle luce di tale evoluzione e tenendo presente il grave problema demografico cui è confrontata l’UE, può la presidenza dire se verranno proposte misure per trattenere la popolazione attiva nelle regioni montane, inaccessibili ed insulari al fine di permettere uno sviluppo equilibrato di tutte le regioni dell’UE e di preservare la sua competitività?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) In risposta all’onorevole Panayotopoulos-Cassiotou, desidero dire quanto segue: oltre ad altri quattro regolamenti nell’ambito della politica di coesione, nel luglio 2006 il Consiglio ha adottato il regolamento relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale. Ai sensi dell’articolo 3 di tale regolamento, gli aiuti derivanti da tali fondi erano intesi anche per talune regioni insulari e Stati membri insulari, nonché per le regioni montane.

Al contempo il Consiglio e il Parlamento europeo hanno adottato un regolamento relativo al Fondo sociale europeo. Tale regolamento fornisce la seguente definizione del ruolo del FSE: migliorare le possibilità di occupazione e di impiego, favorire un alto livello di occupazione e creare nuovi e migliori posti di lavoro. Questi due regolamenti sono armonizzati al fine di garantire sostegno a settori specifici. Conformemente a essi, gli Stati membri possono, nei loro progetti e programmi operativi, prestare particolare attenzione a stimolare lo sviluppo e l’occupazione nelle regioni menzionate dall’onorevole deputato nella sua interrogazione. Sta pertanto allo Stato membro di decidere per sé quale di questi programmi operativi e misure concrete derivanti da tali programmi soddisfano i criteri elencati nell’interrogazione. La Commissione valuta i programmi proposti, evidenzia se sono inadeguati a conseguire gli obiettivi della politica di coesione e a soddisfare le disposizioni di regolamenti specifici e, se tutte le condizioni vengono rispettate, approva tali proposte.

Quando si tratta di dare forma a qualsiasi nuova misura giuridica nell’ambito della politica di coesione, il compito della Commissione è di prendere decisioni che permettano di raggiungere gli obiettivi della politica di coesione. La prima opportunità per il periodo 2007-2013 è costituita dalla discussione della prima relazione intermedia sull’attuazione della politica di coesione. Ci aspettiamo che la Commissione presenti tale relazione a giugno.

 
  
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  Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE). – (EL) Signora Presidente, ringrazio il signor Ministro per aver ripetuto tutte le misure previste dai Fondi strutturali e dal Fondo sociale europeo. Volevo sapere se la Presidenza e il Consiglio sono consapevoli del fatto che alcune regioni europee restano disabitate. Appartengono certamente a Stati nazione, ma questo impoverisce l’UE e la espone all’arrivo di persone invitate da altre regioni. Tale argomento riguarda tutti noi, dato che non concerne unicamente ciascun singolo Stato. Ecco perché chiedo se la Presidenza intende interessarsi a tale questione in modo particolare.

 
  
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  Janez Lenarčič. − (SL) La ringrazio per questa domanda aggiuntiva, onorevole Panayotopoulos. La Presidenza è consapevole del fatto che in alcune regioni la popolazione attiva non è più presente. Desidero tuttavia ribadire che prevenire il verificarsi di tale fenomeno è compito degli Stati membri, che propongono le misure richieste. D’altro canto dobbiamo comprendere che non possiamo obbligare le persone a vivere e lavorare in regioni specifiche.

Si tratta di un problema grave che è da risolvere. Ripeto che le misure della politica sociale offrono delle soluzioni, ma che tocca agli Stati membri decidere quale di tali soluzioni proporre per determinati casi concreti.

 
  
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  Jörg Leichtfried (PSE). – (DE) Signor Ministro, desidero prendere posizione contro le sue ultime osservazioni. Certo la competenza in questo caso è degli Stati membri, ma anche l’Unione europea è responsabile dello spopolamento di tali regioni, che si sta verificando a causa di ciò che stiamo affrontando in tutta l’UE e cioè la liberalizzazione. Nelle piccole comunità vengono chiusi gli uffici postali, perché non traggono più profitto, vengono chiuse le casse di risparmio locali e vengono chiuse le piscine locali, in alcuni casi, perché vengono privatizzati i servizi pubblici. Tutto ciò rende la vita in tali comunità un po’ meno piacevole. Provengo da una regione montana e l’ho visto accadere. La mia domanda allora è se a livello di Consiglio si è mai riflettuto in merito a tale problema.

Signora Presidente, desiderò altresì esprimere un breve commento in risposta alla precedente interrogazione: anche a Graz si deve prendere la navetta per percorrere cinque metri, non siete pertanto gli unici. E’ lo stesso vecchio controsenso: si dice che è colpa di Schengen, il che è senza dubbio completamente falso.

 
  
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  Janez Lenarčič. − (SL) Credo fossero 20 metri e non cinque, ma è comunque una distanza troppo breve. Come ho detto prima, non desidero discutere del funzionamento dell’aeroporto di Lubiana, che è un’impresa indipendente che segue le sue regole di funzionamento. Desidero tuttavia ribadire che la politica di coesione dell’Unione europea dispone che gli Stati membri trattino il problema evidenziato dall’onorevole Panayotopoulos. Con quali risultati costituisce un’altra domanda che si potrebbe porre.

Ha accennato ai servizi postali ed è un punto molto interessante. Devo tuttavia sottolineare che la direttiva riguardante i servizi postali, che quest’anno è stata adottata anche dal Parlamento europeo, affronta anche questo problema. Un elemento importante di tale direttiva è la garanzia che i servizi postali saranno universali anche dopo l’apertura di questo mercato. Tale direttiva ha pertanto affrontato adeguatamente il problema a cui ha accennato.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 3 dell’onorevole Hélène Goudin (H-0161/08):

Oggetto: Trattato di Lisbona

All’articolo 1, punto 24, relativo al capo 1, articolo 10 A, paragrafo 2, lettera f) (Principi e obiettivi), si legge che l’Unione deve “contribuire all’elaborazione di misure internazionali volte a preservare e migliorare la qualità dell’ambiente e la gestione sostenibile delle risorse naturali mondiali, al fine di assicurare lo sviluppo sostenibile”.

Ritiene il Consiglio che tale disposizione comporti che un divieto da parte dell’UE di un impegno ambientale speciale, che vada al di là di un livello pienamente armonizzato, possa essere considerato in violazione del trattato?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) L’interrogazione dell’onorevole Goudin non è coperta dalle competenze del Consiglio. Il Consiglio in quanto tale, al contrario dei governi degli Stati membri, non ha partecipato alla conferenza intergovernativa che ha elaborato il progetto del Trattato di Lisbona. Com’è noto, inoltre, il Trattato di Lisbona non è ancora entrato in vigore. Quando lo sarà, e ci auguriamo che accada presto ed entro la scadenza anticipata, sarà la Corte a essere competente riguardo alla spiegazione delle sue disposizioni – credo che sia quello che l’onorevole Goudin stesse chiedendo.

 
  
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  Christopher Heaton-Harris (PPE-DE). – (EN) Signor Ministro, in quest’Aula ci sono state presentate molte stime riguardo a quanto siano simili la vecchia Costituzione e il nuovo Trattato di Lisbona proposto. Può fornirci la sua opinione riguardo all’effettiva somiglianza di questi due documenti?

 
  
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  Nils Lundgren (IND/DEM). – (SV) Signora Presidente, ritengo che dovremmo essere ragionevolmente in grado di porre domande in merito a come dobbiamo interpretare il Trattato, che viene ora presentato con un nome diverso ma che è lo stesso, e che il Consiglio debba quindi essere in grado di rispondere all’interrogazione. Ora, la mia domanda supplementare all’interrogazione n. 3 è: con la dicitura riportata si intende che l’UE deciderà non solo gli obiettivi della politica ambientale globale, ma anche i mezzi, i mezzi che gli Stati membri dovranno utilizzare per raggiungere l’obiettivo?

 
  
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  Janez Lenarčič. − (SL) La questione relativa a quanto sia simile o diverso il Trattato di Lisbona rispetto a o dal Trattato costituzionale dipende innanzi tutto dalle impressioni personali. Si tratta di un trattato diverso da quello costituzionale, ma che offre alcune soluzioni simili o persino identiche. Mi limiterò ai seguenti fatti.

E’ diverso in quanto non è il genere di trattato che sostituisce tutti i trattati precedenti. Si tratta di un metodo classico per adattare i trattati fondamentali dell’Unione europea. E’ diverso nel senso che è stato abbandonato il concetto di costituzione e non si parla più di Costituzione dell’Unione europea, ma di un trattato classico.

Le similitudini o le equivalenze vanno trovate in diverse soluzioni, tra cui quelle istituzionali, funzionali e del settore della semplificazione, dell’adozione delle decisioni e del ruolo potenziato dei parlamenti nazionali e del Parlamento europeo. Il trattato è pertanto diverso rispetto al precedente Trattato costituzionale, ma offre alcune soluzioni simili o persino identiche.

In merito alla seconda domanda: ho prestato particolare attenzione alle parole dell’interrogazione dell’onorevole Goudin e desidero sottolineare che tale disposizione riguarda il sostegno dell’Unione a dare forma a misure internazionali volte a preservare e migliorare la qualità dell’ambiente, lo sviluppo sostenibile e così via. In altre parole, l’Unione non impone od ordina, bensì aiuta. Credo che queste parole parlino da sole.

 
  
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  Presidente. − Intendo consentire un’altra domanda supplementare in merito a tale questione specifica. Abbiamo ricevuto un’intera serie di indicazioni, ma tengo conto dell’equilibrio politico e di chi ha già posto una domanda.

 
  
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  Jens Holm (GUE/NGL). – (SV) La formula citata dall’onorevole Goudin è apprezzabile ed è meraviglioso che vogliamo proteggere e migliorare l’ambiente, si tratta di una formula apprezzabile contenuta nel Trattato di Lisbona. L’eterno problema della politica ambientale dell’UE si ha quando le misure ambientali entrano in conflitto con il mercato interno. Recentemente il Commissario Verheugen ha dichiarato che nel corso degli ultimi cinque anni la Commissione ha portato gli Stati membri dinanzi alla Corte europea di giustizia per un totale di 19 volte per casi in cui gli Stati membri hanno legiferato a tutela dell’ambiente. In tutti i 19 casi la Corte si è pronunciata a favore del mercato interno e contro l’ambiente. Mi domando se ciò rafforzi in qualche modo le garanzie ambientali. Con tale dicitura possiamo intendere che l’ambiente ha la precedenza sulle richieste del mercato? Può cortesemente formulare una dichiarazione in proposito?

 
  
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  Janez Lenarčič. − (SL) Sì, desidero dire all’onorevole Holm che sono pienamente d’accordo con lui. Può assolutamente capitare che le norme giuridiche siano in contrasto tra loro in diversi settori, anche quando si tratta della natura della norma giuridica. Quella norma o quella disposizione del Trattato di Lisbona, che, ripeto, non è ancora entrato in vigore, riguarda il sostegno dell’Unione europea. La natura della norma giuridica è diversa da un ordine o da un divieto, la maggior parte dei quali si può in effetti trovare nel mercato comune.

E’ un dato di fatto che esiste la possibilità che contrastino, ma è altrettanto un dato di fatto che è nella natura delle cose che tali contrasti vengano risolti dalla Corte conformemente al diritto comunitario in vigore. Esiste un modo per eliminare tale rischio nella formulazione delle norme giuridiche, ma è una questione che riguarda la Commissione europea, che è l’unica ad avere il potere di iniziativa legislativa. Sono convinto che quando prende l’iniziativa è attenta a evitare i potenziali contrasti.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 4 dell’onorevole Marian Harkin (H-0163/08):

Oggetto: Il Trattato di Lisbona

E’ soddisfatto il Consiglio che i quesiti sottoposti dalla Presidenza slovena agli Stati membri, comprendenti i trentatré punti sul Trattato di Lisbona che necessitavano di chiarimenti, abbiano avuto un’adeguata risposta?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) L’onorevole Harkin ha chiesto circa i punti sollevati dalla Presidenza slovena. E’ una questione di lavoro tecnico, che è necessario per prepararsi all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, lavoro che deve essere eseguito in anticipo se vogliamo dare piena attuazione al Trattato. Tale lavoro è stato avviato a gennaio, conformemente al mandato che il Consiglio europeo ha conferito alla Presidenza slovena nel dicembre dello scorso anno.

Mi sento in dovere di sottolineare che tali attività sono di natura puramente preliminare, perché, com’è noto, il Trattato entrerà in vigore solo dopo essere stato ratificato da tutti i 27 Stati membri. Ciononostante il Consiglio invia regolarmente relazioni riguardanti tale lavoro preparatorio preliminare, o lavoro tecnico, all’Ufficio di Presidenza del Parlamento europeo, in particolare quando riguardano questioni che coinvolgono il Parlamento europeo stesso.

 
  
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  Marian Harkin (ALDE). – (EN) Sono lieta che la Presidenza slovena stia facendo buoni progressi. Desidero sollevare, per il signor Ministro, una o due questioni che al momento sono causa di controversia in Irlanda. Vorrei dei chiarimenti da parte della Presidenza slovena in merito a tali questioni.

Innanzi tutto, riguardo all’introduzione di una base imponibile comune consolidata e riguardo, certo, all’armonizzazione fiscale, può chiarire che ogni paese ha potere di veto su tali questioni?

In secondo luogo, desidero chiederle circa il protocollo sul Trattato Euratom allegato al Trattato di Lisbona. Vorrei che chiarisse per me, se tale protocollo emenda o modifica in qualche modo la sostanza o le procedure del Trattato Euratom e se vi sono modifiche alla base giuridica o implicazioni, in particolare in merito all’energia nucleare.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio(EN) Farò un’eccezione e parlerò in inglese, onorevole Harking, al fine di evitare ulteriori dibattiti e di essere il più chiaro possibile in merito alle questioni che ha sollevato.

Primo, tassazione: al momento ogni Stato membro ha il diritto di veto sulle questioni relative alla tassazione, che si tratti di base imponibile comune per le società, di armonizzazione fiscale o di qualsiasi altra questione relativa alla tassazione, e sarà così anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Il Trattato di Lisbona non introduce cambiamenti. Nell’ambito della tassazione, il metodo decisionale resta invariato: le decisioni possono essere prese solo per consenso di tutti gli Stati membri, tra cui, certamente, l’Irlanda.

Riguardo alla sua seconda domanda, vale lo stesso: il mix energetico, la scelta delle fonti di energia sono, e resteranno, oggetto delle decisioni sovrane degli Stati membri. Ciascuno Stato membro è libero di scegliere l’energia nucleare, di inserirla nel suo mix energetico e ciascuno Stato membro è libero di non sceglierla, il che resterà invariato anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.

 
  
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  Syed Kamall (PPE-DE). – (EN) Dato che gli Stati membri hanno chiesto chiarimenti in merito a taluni punti del Trattato di Lisbona, mi domando se posso chiedere un chiarimento sulla clausola “passerella” in particolare. Vi sono molti settori in cui l’UE cerca di avere competenza, ma per i quali non dispone della base giuridica e ciò è stato oggetto di molte critiche e di controlli nel corso degli anni. Ma lei non teme che, con la clausola “passerella”, l’UE possa acquisire nuove competenze senza la necessità di consultare i parlamenti nazionali? Non teme che ciò possa effettivamente mettere in pericolo i parlamenti nazionali e la democrazia in tutta l’Unione europea?

 
  
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  Jim Allister (NI). – (EN) Può il signor Ministro formulare un commento sul perché si è ritenuto necessario introdurre una moratoria nel corso del referendum irlandese sulle cattive notizie e su qualsiasi nuovo proposta controversa provenienti da Bruxelles?

E’ il timore della gente così grande che il Consiglio e la Commissione ritengono che sia meglio tenerla all’oscuro? Può dirci quali proposte sono oggetto di tale moratoria e, in particolare, se riguardano in qualche modo l’armonizzazione del calcolo dell’imponibile per le società e, se sì, perché?

 
  
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  Janez Lenarčič. − (SL) In merito all’interrogazione dell’onorevole Kamall, desidero sottolineare quanto segue: la clausola “passerella” permette agli Stati membri di concordare di prendere una decisione che consente una certa attività a livello dell’Unione. Ritengo sia erroneo considerare ciò come qualcosa che potrebbe accadere senza l’accordo dei parlamenti nazionali. Qualora qualcuno agisca senza l’accordo del parlamento nazionale, l’azione non verrebbe appoggiata in patria.

Desidero altresì spiegare che il Trattato di Lisbona potenzierà il ruolo dei parlamenti nazionali, coinvolgendoli in modo più diretto nei meccanismi dell’Unione europea. Anche la clausola “passerella” è soggetta a questo ruolo di maggior peso dei parlamenti nazionali.

In risposta all’onorevole Allister, devo dire che non ho familiarità con alcuna moratoria. Nessuno ha preso alcuna decisione, né il Consiglio né la Presidenza, in merito a una moratoria sulle cattive notizie o sui temi delicati.

La domanda che ha posto come richiesta di chiarimento, riguardante una base imponibile consolidata per le società, non è nuova. Questa questione è già stata discussa qualche volta, per anni a dir il vero, e non vi è ancora alcun accordo. Senza un accordo, non ci possono essere progressi. Ecco perché, come ho già spiegato in risposta a una precedente domanda, le questioni in materia di tassazione rientrano nella categoria di argomenti su cui l’Unione europea prende decisioni esclusivamente mediante accordo. Nulla è cambiato e non cambierà, neppure in seguito al referendum irlandese o successivamente.

 
  
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  Presidente. − Passiamo ora a due interrogazioni, alle quali verrà fornita una risposta congiunta, riguardanti i diritti umani in Cina, la prima dell’onorevole Doyle e la seconda dell’onorevole Evans.

 
  
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  Presidente. − Poiché vertono sullo stesso argomento, annuncio l’

interrogazione n. 5 dell’onorevole Avril Doyle (H-0165/08):

Oggetto: Diritti umani in Cina

Il 17 gennaio il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione (P6_TA(2008)0021) con cui sollecita la Cina “a non usare i Giochi Olimpici del 2008 come pretesto per arrestare, [...] e imprigionare illegalmente i dissidenti, i giornalisti e gli attivisti per i diritti umani che diffondono notizie o manifestano contro gli abusi dei diritti umani”.

Quali misure ha adottato il Consiglio in risposta alla risoluzione del Parlamento? Quali reazioni, se ve ne sono state, ha riscontrato da parte delle autorità cinesi? Ritiene che queste ultime stiano facendo sforzi sufficienti per onorare i principi sanciti dalla Carta olimpica?

e l’

interrogazione n. 6 dell’onorevole Robert Evans (H-0184/08):

Oggetto: Diritti umani in Cina

All’inizio del 2007 l’attivista per i diritti umani Yang Chunlin, raccoglieva le firme in Cina per una petizione denominata “Vogliamo i diritti umani, non le Olimpiadi”. Nel luglio dello stesso anno è stato arrestato “per incitamento alla sovversione dello Stato” ed è tuttora detenuto in una prigione a Jiamusi.

Il Consiglio condivide la profonda preoccupazione dell’interrogante per il prolungarsi della detenzione e per il trattamento di Yang Chunlin? Riconosce il Consiglio che la prigionia dell’attivista per i diritti umani è in contraddizione con le promesse fatte da numerosi funzionari cinesi alla vigilia dei Giochi olimpici di Pechino?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) Al pari dei membri al PE che hanno posto le due interrogazioni, anche il Consiglio è preoccupato per la persecuzione degli attivisti dei diritti umani in Cina. Riguardo agli impegni cinesi per le Olimpiadi, è una questione che interessa il comitato olimpico internazionale. Possiamo tuttavia affermare che le recenti azioni repressive contro i sostenitori dei diritti umani e gli altri attivisti stanno mettendo in dubbio l’impegno della Cina a rispettare le sue promesse sulla base delle norme internazionali sui diritti dell’uomo, il che implica la tutela del diritto legittimo dell’individuo alla libertà di espressione.

Siamo altresì preoccupati per gli sfratti e le persecuzioni, tra cui quelli connessi alle costruzioni olimpiche. Conformemente alle linee guida riguardanti i sostenitori dei diritti umani, i leader delle missioni degli Stati membri dell’Unione europea in Cina stanno seguendo con attenzione la situazione degli individui come Yang Chunlin e Hu Jia. Il Consiglio dell’Unione europea sta costantemente, e in diversi modi, mettendo in guardia le autorità cinesi circa i casi che sono motivo di preoccupazione.

Dopo l’arresto di Hu Jia a dicembre, il Consiglio ha parlato diverse volte di questo caso, ma senza ricevere una risposta soddisfacente. Il Consiglio seguirà questi due casi da vicino e cercherà di agire in proposito.

Ciononostante dobbiamo tuttavia menzionare alcuni casi positivi, ad esempio il rapido rilascio dei giornalisti cinesi, tra cui Yu Huafeng e Ching Cheong. Accogliamo con favore anche i cambiamenti alle normative dei mezzi d’informazione, e cioè il fatto che si è verificato un rilassamento temporaneo delle restrizioni imposte ai giornalisti stranieri nel periodo precedente alle Olimpiadi.

Nell’ultimo ciclo di colloqui in materia di diritti umani tra l’Unione europea e la Cina, tenutosi nell’ottobre 2007, la troika dell’Unione europea ha esortato la Cina a conservare le normative riguardanti i giornalisti stranieri anche dopo che le Olimpiadi saranno finite. La delegazione cinese ha garantito che ai giornalisti sarà consentito di lavorare più agevolmente dopo l’ottobre di quest’anno. Senza dubbio il Consiglio discuterà ancora la questione con le autorità cinesi.

Sarete probabilmente a conoscenza del fatto che il Consiglio si sta preparando per il prossimo ciclo di colloqui sui diritti umani tra l’Unione europea e la Cina, che si svolgeranno a Lubiana in data 15 maggio. La troika UE intende discutere le questioni che al momento preoccupano di più, in particolare la libertà di espressione, il controllo di Internet, la questione delle normative che coprono i giornalisti stranieri, il diritto alla libertà di riunione pacifica e il ruolo della società civile. L’UE dedicherà particolare attenzione al problema dei diritti dei sostenitori dei diritti umani. Posso garantirvi che la troika UE farà del suo meglio nel dibattito su tali temi e mostrerà inequivocabilmente la sua preoccupazione ai rappresentanti del governo cinese.

 
  
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  Avril Doyle (PPE-DE).(EN) “L’obiettivo della filosofia olimpica è mettere lo sport al servizio dello sviluppo armonioso dell’uomo, e […] qualsiasi forma di discriminazione nei confronti di un paese o di una persona in basse a razza, religione, convinzioni politiche, genere o altro è incompatibile con l’appartenenza al movimento olimpico” – due principi fondamentali della Carta olimpica sottoscritta dai cinesi. Se da un lato desidero che le Olimpiadi siano un enorme successo – e ritengo che non dovremmo boicottare i Giochi – dall’altro non dobbiamo temere di ricordare alle autorità cinesi che devono compiere maggiori sforzi al fine di preservare la dignità umana attraverso un sistema giudiziario equo e libero, mezzi d’informazione indipendenti, un migliore trattamento dei tibetani e delle altre minoranze etniche, un migliore benessere degli animali e così via. Dobbiamo altresì riconoscere le enormi sfide demografiche, ambientali e di ammodernamento che la Cina si trova ad affrontare. Concorderà tuttavia il Consiglio che, come parte di tale processo, la Cina deve essere in grado di accettare critiche legittime quando non riesce a essere all’altezza degli impegni che ha sottoscritto, quali i principi fondamentali della Carta olimpica?

 
  
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  Robert Evans (PSE).(EN) Il signor Ministro ha affermato di non aver ancora ricevuto risposte soddisfacenti dalle autorità cinesi. Nel corso delle settimane e dei mesi a venire, il signor Ministro porterà avanti con determinazione ciò che ha già chiesto e a cui non ha ricevuto risposte? Sarà consapevole del fatto che nel periodo antecedente l’offerta olimpica, la Cina ha dato molte garanzie circa il miglioramento della situazione dei diritti umani, promesse che ad oggi, come sappiamo, non sono ancora state rispettate.

E’ il momento opportuno di agire, nel periodo preolimpico, perché dopo sarà troppo tardi. Il 15 maggio, quando si terranno tali discussioni, verranno effettivamente dibattuti i passi concreti da poter compiere al fine di esercitare pressione sulla Cina riguardo a libertà di parola, diritti dei giornalisti, diritto alla libertà di manifestazione e così via?

Il signor Ministro eserciterà pressione anche in merito alla pena capitale di cui fanno uso? Dato che qualsiasi statistica esistente mostra che al momento la Cina condanna a morte più persone del resto del mondo messo assieme. I Giochi olimpici non si possono svolgere in tale paese senza inviare tale messaggio alle autorità cinesi con quanta più determinazione possibile.

 
  
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  Janez Lenarčič. (SL) In risposta all’onorevole Doyle: come ho affermato nella mia prima risposta, la Carta olimpica è un questione che riguarda il comitato olimpico internazionale. Tale organo è competente ad agire qualora giudichi che vi sia stata una violazione della Carta olimpica.

In risposta all’onorevole Evans, l’Unione europea veglia sulla situazione dei diritti umani. Ho già detto che i colloqui in materia di diritti umani tra l’UE e la Cina si terranno il 15 maggio e comprenderanno le questioni relative a libertà di espressione, controllo di Internet, normative riguardanti i giornalisti stranieri, diritto alla libertà di riunione pacifica e ruolo della società civile. Non si tratta di un elenco completo ed esclusivo; potrebbero essere discussi anche altri aspetti. Per quanto concerne la pena capitale, la posizione dell’Unione europea è chiara e l’UE è coerente nel difenderla e nel farla rispettare in tutti i fora bilaterali e multilaterali.

 
  
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  Vincas Justas Paleckis (PSE).(LT) Signor Ministro, ha accennato al fatto che vi sarebbero tentativi di influenzare il governo cinese, il che corrisponde assolutamente al vero. Tuttavia i disagi provocati alla staffetta della torcia olimpica offrono un quadro della possibilità che nel corso dei Giochi olimpici la televisione cinese trasmetterà servizi relativi non solo alle competizioni atletiche, ma anche a diversi disordini nelle strade e nelle piazze con l’intervento della polizia che coinvolgono sia i cittadini cinesi che i turisti. Tenuto conto di tale situazione, ritiene sia più fattibile esercitare pressione sulla Cina o scegliere la strada delle negoziazioni diplomatiche?

 
  
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  Gay Mitchell (PPE-DE).(EN) Si dice che se si vuole un trapianto di organi, in Cina rispondono che avranno l’organo molto presto e c’è il sospetto che in effetti uccidano le persone, per così dire, su ordinazione. Le persone condannate alla pena di morte, vengono giustiziate per soddisfare tali richieste.

Ieri in Aula ho sostenuto con un altro Commissario che la diplomazia del megafono non funziona nel caso della Cina. Possiamo pertanto dedurre che il Consiglio perseguirà altre forme di diplomazia con la Cina, dato che questa non funziona? In particolare solleverete tali preoccupazioni, che sono state documentate ed esposte in passato al Consiglio e alla Commissione?

 
  
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  Janez Lenarčič. (SL) Alla domanda dell’onorevole Paleckis: ritengo che la risposta sia molto semplice. Non dobbiamo mai abbandonare la diplomazia come mezzo di discussione, persuasione e conseguimento di risultati. La risposta è pertanto semplice. Come abbiamo detto, il Consiglio sta conducendo un dialogo molto avanzato tra l’Unione europea e la Cina. Si tratta di un dialogo in corso e il mese prossimo verrà presentato un nuovo capitolo. Desideriamo continuare con tale dialogo, di cui i diritti umani costituiscono, e continueranno a costituire, un elemento importante.

Non posso commentare la domanda dell’onorevole Mitchell, dato che il Consiglio non ha discusso in merito a tale fenomeno e non ha un’opinione in proposito. Onorevole Mitchell, probabilmente concorderà che non posso pronunciarmi su informazioni e dati apparsi sui mezzi di informazione o altrove.

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente in carica, ha giustamente affermato che nella pratica il dialogo può contribuire a risolvere i conflitti. La mia domanda è questa: pensa di creare nuovi forum con la Cina, che siano essi sull’educazione o sulla ricerca? E’ fondamentale che l’apprendimento dagli altri e la comprensione reciproca siano al centro dell’attenzione. Dopotutto, a livello internazionale, non c’è solo lo sport, la musica e gli affari; ci sono anche le relazioni umane e a tal proposito necessitiamo di nuovi forum.

 
  
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  Syed Kamall (PPE-DE).(EN) Desidero solo approfondire la domanda posta dal mio collega, l’onorevole Evans. Se i cinesi non affrontano le questioni evidenziate dal mio collega in modo soddisfacente, quale azione ritiene che il Consiglio e gli Stati membri debbano intraprendere?

Qualora ritenga di non poter rispondere al momento, quali azioni suggerirebbe che il Consiglio prendesse? O staremo semplicemente seduti con le mani in mano, accettando docilmente qualsiasi cosa ci diranno i cinesi e attendendo semplicemente le Olimpiadi? Quali azioni dobbiamo intraprendere?

 
  
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  Janez Lenarčič. (SL) In un certo senso le domande dell’onorevole Rübig e dell’onorevole Kamall sono correlate. La domanda è: cosa può essere fatto se non riceviamo una risposta soddisfacente e una delle possibilità è certamente ribadire la richiesta. E’ stato chiesto in merito a nuove piattaforme per il dialogo con la Cina – sì, certo, se emergerà la necessità e se il Consiglio e la delegazione cinese sono d’accordo in merito a tale ampliamento del dialogo. Ritengo tuttavia che sia essenziale che il dialogo prosegua e considero la presente come una risposta congiunta a entrambi gli onorevoli deputati. Il Consiglio è determinato a proseguire il dialogo e ad affrontare la questione dei diritti umani.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 7 dell’onorevole Koenraad Dillen (H-0233/08):

Oggetto: Tibet

L’UE aveva vivamente reagito alla violenta repressione dei disordini scoppiati in Myanmar, adottando sanzioni economiche e designando un inviato speciale dell’UE in questo paese.

Nel caso della Cina, il Consiglio si esprime in maniera molto più moderata. La portavoce dell’Alto rappresentante dell’UE per la PESC, Javier Solana, ha fatto recentemente sapere che “le relazioni tra l’UE e la Cina sono completamente diverse da quelle tra l’UE e Myanmar”.

Ritiene il Consiglio che esista una differenza tra Myanmar e la Cina per quanto concerne le massicce violazioni dei diritti dell’uomo e le violenze perpetrate dalle autorità? Può dire il Consiglio quali miglioramenti ha apportato il dialogo politico per quanto attiene al rispetto dei diritti dell’uomo e alla situazione della lingua e della cultura tibetane? Qual è la posizione del Consiglio nei confronti della proposta di Amnesty International di inviare in Tibet degli osservatori internazionali al fine di consentire l’avvio di un’indagine?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) Come il Parlamento europeo, anche il Consiglio è preoccupato circa i recenti avvenimenti e violazioni dei diritti umani in Tibet.

Il 19 marzo, solo pochi giorni dopo tali avvenimenti, il Consiglio ha fatto una dichiarazione a nome dell’Unione europea, in cui invitava alla moderazione. Ha esortato il governo cinese a rispondere all’ansia dei tibetani in merito al rispetto dei diritti umani. Ha fatto appello al governo cinese e al Dalai Lama affinché venga avviato un dialogo concreto e costruttivo, che porterebbe a una soluzione duratura accettabile per tutti e completamente rispettosa della cultura, della religione e dell’identità tibetane. La Presidenza slovena ha inviato una dichiarazione simile a nome dell’Unione europea nel corso della sessione del Consiglio per i diritti umani che si è tenuto a Ginevra il 25 marzo.

Siamo a conoscenza delle richieste di un’indagine ONU della risposta cinese agli avvenimenti in Tibet. Il Consiglio ha chiesto al governo cinese di revocare le restrizioni sull’accesso alla regione, il che contribuirebbe a una valutazione indipendente della situazione. I dialoghi tra l’Unione europea e la Cina in materia di diritti umani, che oggi sono stati menzionati diverse volte e che si terranno nella capitale slovena, Lubiana, il 15 maggio, costituiranno un’altra occasione per discutere la situazione in Tibet e altre questioni urgenti, quali la condizione dei sostenitori dei diritti umani. La troika UE insisterà affinché le autorità cinesi permettano ai giornalisti stranieri di accedere al Tibet nel rispetto delle normative adottate nel periodo antecedente ai Giochi olimpici.

L’Unione europea e la Cina parleranno a Lubiana in sulla censura di Internet e di conseguenza proseguiranno la discussione avviata nell’ottobre dello scorso anno nel corso dell’ultimo ciclo del dialogo.

E’ importante valutare il dialogo in materia di diritti umani nel contesto di un più ampio dialogo tra l’UE e la Cina in materia di diritti umani, riforme e progressi politici e sociali. Le questioni alla base dei disordini di cui siamo stati testimoni in Tibet vengono regolarmente discussi in quanto parte del dialogo con la Cina in materia di diritti umani. Tali questioni sono libertà di credo religioso, diritti delle minoranze e diritti culturali. Nel corso dell’ultimo ciclo dei dialoghi dell’ottobre dello scorso anno, la troika UE ha tenuto una discussione molto aperta con le autorità cinesi in merito alla restrizione della libertà religiosa.

Tra i recenti cambiamenti positivi nell’ambito dei diritti umani in Cina vi è anche il fatto che quest’anno è entrata in vigore la nuova normativa sul diritto del lavoro e che la competenza di rivedere le sentenze di morte è tornata nelle mani della Corte suprema del popolo. Il numero delle esecuzioni è pertanto calato drasticamente.

Desidero infine sottolineare che l’Unione europea sta seguendo da vicino la situazione in Birmania proprio come quella in Tibet. Riguardo a quest’ultima, l’Unione europea sta appoggiando attivamente gli sforzi delle Nazioni Unite volti ad accelerare il passaggio a democrazia, riconciliazione e sviluppo del paese ed è coinvolta nelle consultazioni con i partner asiatici.

 
  
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  Koenraad Dillen (NI).(NL) Ringrazio il signor Ministro per la risposta, che è stata abbastanza dettagliata, ma che purtroppo non è arrivata al cuore della questione. In quest’Assemblea siamo tutti d’accordo sul fatto che ci dobbiamo preoccupare della situazione dei diritti umani in Birmania e in Cina. Mi azzardo a dubitare che sia in arrivo un cambiamento concreto. Desidero sottolineare che, solo qualche settimana fa, il giornale francese Libération ha pubblicato in prima pagina le foto delle apparecchiature utilizzate in Cina per torturare un prigioniero tibetano, pertanto dubito che vi sia stato alcun cambiamento positivo.

Desidero comunque porre la mia domanda in termini più specifici. Perché l’Unione europea ricorre a criteri diversi, dato che, ad esempio, è stata intrapresa un’azione molto dura contro la Birmania, con sanzioni economiche, mentre non è accaduto lo stesso in Cina? Può essere che, quando sono coinvolti importanti interessi economici, piuttosto che i diritti umani, siamo un po’ meno di principio?

 
  
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  Janez Lenarčič. (SL) Non posso trovarmi d’accordo con lei, onorevole Dillen, nel dire che vi siano criteri diversi. Ritengo che l’Unione europea non ricorra a criteri diversi. Se fosse stato così, la Presidenza slovena non avrebbe parlato a nome dell’Unione europea alla sessione del Consiglio per i diritti umani dell’ONU, che si è tenuto a Ginevra il 25 marzo, in merito al tema che ha menzionato.

Quando si tratta di diritti umani, l’Unione europea si sforza di ricorrere agli stessi criteri per tutti i paesi terzi. La questione è quale mezzo utilizzare. Questo varia da caso a caso. Quando si decide quali leve o quali misure introdurre, è essenziale considerare la probabilità di raggiungere il risultato desiderato.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 8 dell’onorevole Colm Burke (H-0167/08):

Oggetto: Diritti umani in Ciad

Può il Consiglio specificare esattamente in che modo intende aumentare la pressione diplomatica per il cessate il fuoco in Ciad al fine di proteggere i civili assediati e incrementare gli sforzi diplomatici per garantire la pace?

Due politici dell’opposizione, che il governo del Ciad afferma di non aver trattenuto, sono stati in effetti fermati il 3 febbraio dalle forze di pubblica sicurezza. Dopo il tentativo di colpo di Stato all’inizio di febbraio, in che modo il Consiglio pensa di garantire la libertà all’opposizione politica, in seguito agli arresti che si inseriscono nel quadro della repressione contro gli oppositori politici nella capitale N’Djamena?

Il 14 febbraio il Presidente Déby ha dichiarato lo stato di emergenza, assicurando al suo governo poteri eccezionali, per poter censurare i media, cercare persone e proprietà e controllare rigidamente ogni movimento in Ciad. In quale maniera il Consiglio intende assicurare che l’amministrazione Déby non stia infrangendo i diritti umani dei cittadini del Ciad con i poteri più ampi recentemente acquisiti?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) Il Consiglio segue da vicino la situazione dei diritti civili in Ciad, in particolare da quando le autorità ciadiane hanno dichiarato lo stato di emergenza, che, com’è noto, è stato revocato il 16 marzo. Il Consiglio ha esortato il Presidente Déby a rispettare i diritti e le libertà fondamentali, a esercitare moderazione e a rilasciare immediatamente i detenuti. Al momento risulta ancora scomparsa solo una persona.

Il 13 agosto dello scorso anno è stato raggiunto un accordo con quasi tutti i partiti politici dell’opposizione. Il Consiglio esorta ancora i firmatari di tale accordo politico a continuarne l’attuazione, indipendentemente dalla sospensione che si è verificata a causa dei violenti scontri con i gruppi di ribelli. Il proseguimento dell’attuazione dell’accordo si applica anche alle disposizioni per la promozione delle libertà democratiche e della libertà di parola. Il Consiglio si sta unendo agli sforzi internazionali volti a promuovere tale processo e in particolare a conquistare la fiducia dei partiti politici dell’opposizione e della società civile.

La pressione esercitata dall’Unione europea ha portato alla formazione di una commissione d’inchiesta, in cui l’Unione europea e l’Organizzazione internazionale della francofonia cooperano nel ruolo di osservatori internazionali. Uno dei compiti di tale commissione è la ricerca dei casi di violazione dei diritti umani durante gli scontri e stabilire le circostanze in cui sono scomparsi alcuni leader dell’opposizione. La commissione dovrebbe completare i suoi compiti entro tre mesi.

 
  
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  Colm Burke (PPE-DE).(EN) Mi trovavo effettivamente in Ciad tra il 24 e il 30 marzo e ho incontrato il ministro degli Affari esteri e il presidente dell’assemblea nazionale. Non sono soddisfatto delle risposte che ho ricevuto relativamente a Ibni Umar Mahamet Saleh, che risulta scomparso, e alla commissione d’inchiesta.

Desidero solo chiedere quanto segue: le persone di tutto il mondo incaricate dell’inchiesta e i rappresentanti dell’UE si trovano in Ciad in qualità di osservatori? La mia impressione è che si trovino in Ciad solo in qualità di osservatori e, se questa è la situazione, non sono soddisfatto. Non credo che otterremo una relazione veritiera e accurata se al posto di osservatori, non sono coinvolti nell’inchiesta rappresentanti internazionali.

 
  
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  Janez Lenarčič. (SL) Ha ragione, onorevole Burke. I rappresentanti dell’UE e dell’Organizzazione internazionale della francofonia partecipano a tale inchiesta in qualità di osservatori internazionali. A mio avviso, tale ruolo è sufficiente a valutare la relazione che ci aspettiamo venga presentata dalla Commissione fra tre mesi.

 
  
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  Presidente. − Non vi sono altre domande su questo tema e la prossima interrogazione sarà l’ultima.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 9 dell’onorevole Liam Aylward (H-0180/08):

Oggetto: Missione di pace in Ciad

Può il Consiglio rilasciare una dichiarazione dettagliata sull’attuale situazione della missione di pace dell’UE in Ciad?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. - (SL) In seguito agli attacchi che a gennaio hanno colpito la capitale, N’Djamena, condotti dai ribelli dal Sudan, l’ufficiale in comando, il generale Nash, il 31 gennaio ha deciso di interrompere temporaneamente lo spiegamento.

Tale decisione è stata accettata per due ragioni. Innanzi tutto per permettere la valutazione della nuova situazione politica e di sicurezza e in secondo luogo per evacuare senza ostacoli gli europei e i cittadini di altri paesi. Il dispiegamento è stato ripreso dopo 12 giorni, pausa che non ha influito sul programma generale dell’operazione. La capacità operativa iniziale è stata raggiunta il 15 marzo e, secondo i piani, si dovrebbe raggiungere la piena capacità entro la fine di giugno.

Indipendentemente da questa breve interruzione temporanea, il Consiglio ha chiaramente dichiarato di essere ancora impegnato nell’attuazione del mandato conformemente alla risoluzione pertinente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, in particolare il mandato umanitario.

Gli scontri dell’inizio di febbraio erano stati previsti come uno scenario possibile di cui si è tenuto conto sin dall’inizio quando l’operazione è stata pianificata. Purtroppo tali previsioni si sono avverate, dando ulteriore urgenza al dispiegamento della missione EUFOR e della missione delle Nazioni Unite in Ciad e nella Repubblica dell’Africa centrale.

Il Consiglio è dell’avviso che sia nell’interesse della comunità internazionale e dell’Unione europea il miglioramento della stabilità e della sicurezza della regione. La presenza delle strutture multidimensionali menzionate contribuirà alla stabilizzazione della situazione politica e umanitaria e impedirà che la crisi si diffonda nelle regioni e nei paesi vicini.

Quanto all’incidente sulla frontiera sudanese, quando è rimasto ucciso un militare EUFOR, il comandante dell’operazione ha fatto le sue scuse per aver attraversato involontariamente il confine e per l’infelice azione che è risultata in tale fatalità. Il comandante ha confermato che l’EUFOR avrebbe condotto il suo mandato conformemente alla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, vale a dire con imparzialità e conseguente rispetto delle frontiere sudanesi.

Desidero aggiungere che l’inchiesta relativa a tale incidente è in corso. Il dispiegamento delle truppe procede secondo i piani. Al momento ci sono 1 800 soldati EUFOR in Ciad e nella Repubblica dell’Africa centrale. Quando la missione sarà pienamente operativa, disporrà di 3 700soldati provenienti da 14 Stati membri. Al momento sono in corso negoziati con paesi terzi in merito a un loro possibile contributo.

 
  
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  Liam Aylward (UEN).(EN) Signora Presidente, desidero chiedere al signor Ministro se è soddisfatto che sia disponibile un adeguato supporto logistico per permettere il pieno dispiegamento della missione di pace nel corso delle settimane e dei mesi a venire.

Concorda inoltre il signor Ministro che la missione di pace dell’UE in Ciad invii un messaggio molto forte al governo sudanese, dato che molti dei 300 000 rifugiati ammassati nei campi del Ciad orientale si trovano lì per sfuggire dalla regione del Darfur e dal genocidio ?

 
  
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  Janez Lenarčič. (SL) La risposta alla prima parte della domanda dell’onorevole Aylward è senza dubbio sì. La risposta alla seconda parte è sì, a patto che sia osservato il mandato per l’operazione, che non comprende il Darfur.

 
  
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  Presidente. − Le interrogazioni che, per mancanza di tempo, non hanno ricevuto risposta, la riceveranno per iscritto (vedasi allegato).

 
  
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  Presidente. – Con questo si conclude il Tempo delle interrogazioni.

(La seduta, sospesa alle 19.10, riprende alle 21.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MARTINE ROURE
Vicepresidente

 
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