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Resoconto integrale delle discussioni
Giovedì 24 aprile 2008 - StrasburgoEdizione GU
 ALLEGATO (Risposte scritte)
INTERROGAZIONI AL CONSIGLIO (La Presidenza in carica del Consiglio dell’Unione europea è la sola responsabile di queste risposte)
INTERROGAZIONI ALLA COMMISSIONE

INTERROGAZIONI AL CONSIGLIO (La Presidenza in carica del Consiglio dell’Unione europea è la sola responsabile di queste risposte)
Interrogazione n. 10 dell’on. Jim Higgins (H-0169/08)
 Oggetto: Sostanze stupefacenti illegali
 

Può il Consiglio illustrare la sua posizione riguardo alla necessità di adottare ulteriori misure per combattere i problemi legati al commercio di sostanze stupefacenti illegali e specificare come intende intervenire nel campo della prevenzione e della cura?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Le azioni prioritarie da intraprendere per ridurre l’offerta sono stabilite nella strategia europea in materia di droga per il periodo 2005-2012 e nel successivo piano d’azione dell’UE in materia di droga per il periodo 2005-2008. Tali azioni comprendono:

– rafforzamento della cooperazione in materia di applicazione della legge a livello di UE e tra gli Stati membri,

– prevenzione e repressione dell’importazione ed esportazione di stupefacenti, anche verso il territorio di altri Stati membri,

– rafforzamento dell’applicazione della legge, delle indagini penali e della cooperazione nel campo della scienza forense,

– intensificazione degli sforzi in materia di applicazione della legge nei confronti dei paesi terzi, specialmente i paesi produttori e le regioni situate lungo le rotte del narcotraffico.

Rivestono grande importanza anche gli sforzi compiuti dalla Presidenza dell’UE per giungere a un accordo su una risoluzione del Consiglio relativa a Europol che aumenterà i poteri e l’adattabilità di tale organo e fornirà finanziamenti comunitari.

Il Maritime Analysis and Operational Centre on Narcotics (Centro di analisi e operazioni contro il narcotraffico marittimo), comunemente noto con l’acronimo MAOC-N, istituito lo scorso autunno a Lisbona (e nel quale sono coinvolti sette Stati membri), ha già sequestrato considerevoli quantità di stupefacenti.

Per contrastare con efficacia il mercato comunitario illegale di droghe sintetiche, l’UE utilizza una nuova procedura per lo scambio di informazioni, la valutazione dei rischi e il controllo delle nuove sostanze psicoattive. L’UE ha fatto di recente ricorso a tale procedura in relazione alla nuova sostanza psicoattiva 1-benzilpiperazina (BZP), in merito alla quale nel marzo di quest’anno il Consiglio dell’UE ha adottato una decisione che istituisce meccanismi di controllo e sanzioni penali contro la nuova sostanza psicoattiva 1-benzilpiperazina (BZP) negli Stati membri dell’Unione europea.

Nel campo delle relazioni esterne è stato instaurato un rapporto di cooperazione con i paesi produttori, in particolare attraverso il piano d’azione per l’Afghanistan e il meccanismo di coordinamento e di cooperazione in materia di droghe con l’America latina e i Caraibi.

Durante la Presidenza slovena del Consiglio dell’UE si è svolta una riunione ad alto livello tra l’UE e i paesi di America latina e Caraibi nel corso della quale è stata adottata la dichiarazione di Hofburg, che stabilisce l’ulteriore prosecuzione della cooperazione dell’UE con i paesi dell’America latina e dei Caraibi.

Particolare enfasi viene posta anche sulla rotta balcanica. In questo contesto, va menzionato il piano d’azione per i Balcani occidentali. Si tratta di un importante strumento per assistere i paesi dei Balcani occidentali riguardo alle sostanze stupefacenti che nel contempo offre anche un certo grado di protezione contro il narcotraffico lungo la rotta balcanica.

L’Africa occidentale è diventata una nuova area prioritaria. In occasione della 51a sessione della Commissione delle Nazioni Unite sulle droghe e i narcotici svoltasi a Vienna, la Presidenza slovena, a seguito della stesura di un progetto di testo per il gruppo di lavoro orizzontale sulla droga, ha proposto, per conto dell’UE, l’adozione di una risoluzione sull’Africa occidentale, che renderà possibile ridurre il flusso di cocaina verso l’UE attraverso i paesi dell’Africa occidentale.

L’Unione europea e gli Stati membri sono i maggiori donatori al mondo. Nelle loro relazioni con i paesi produttori continuano in particolare a concentrare l’attenzione sullo sviluppo alternativo, lo scambio di informazioni e il rafforzamento delle istituzioni.

Riguardo alla prevenzione e alla cura, la strategia per il periodo 2005-2012 prevede un sistema di contenimento della domanda basato su quanto segue:

– prevenire l’inizio dell’assunzione di droghe,

– impedire che l’assunzione motivata dal desiderio di nuove esperienze si trasformi in uso abituale,

– intervenire tempestivamente sui modelli di comportamento a rischio,

– prevedere programmi di trattamento e programmi di riabilitazione e reinserimento sociale.

Il piano d’azione dell’UE per il periodo 2005-2008 stabilisce 20 interventi. A questo proposito, riveste fondamentale importanza l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze che ha sede a Lisbona.

Nell’ambito del piano d’azione, nel 2007 il Consiglio ha discusso argomenti quali la produzione e il traffico transfrontaliero di eroina, cocaina e cannabis e lo scambio di informazioni sulle droghe, le sostanze stupefacenti nelle carceri e in strada. Per tutto quanto sopra indicato è stato proposto un approccio integrato basato su prove.

I servizi della Commissione stanno attualmente valutando l’attuazione del piano d’azione per il periodo 2005-2008 che costituirà la base per l’elaborazione del piano d’azione per il periodo 2008-2012.

 

Interrogazione n. 11 dell’on. Mairead McGuinness (H-0171/08)
 Oggetto: Nuova posizione del presidente del Consiglio europeo
 

Può il Consiglio dichiarare come si configura la posizione del presidente del Consiglio europeo prevista dal trattato di riforma? Quale sarà il ruolo del presidente? Quali saranno i criteri di scelta della persona se e quando il trattato di riforma sarà stato ratificato da tutti i 27 Stati membri? Quali saranno i poteri del presidente?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Per quanto riguarda le domande rivolte dall’onorevole McGuinness, il Consiglio può esprimersi soltanto facendo riferimento alle pertinenti disposizioni del Trattato di Lisbona. Ad esempio, l’articolo 15 del Trattato sull’Unione europea (versione consolidata dei Trattati costitutivi), modificato dal Trattato di Lisbona stabilisce, tra gli altri, che il Presidente del Consiglio europeo presiede e anima i lavori del Consiglio europeo e assicura la preparazione e la continuità dei lavori del Consiglio europeo, in cooperazione con il Presidente della Commissione e in base ai lavori del Consiglio “Affari generali”. Il Presidente del Consiglio europeo si adopera per facilitare la coesione e il consenso in seno al Consiglio europeo e presenta al Parlamento europeo una relazione dopo ciascuna delle riunioni del Consiglio europeo. Il Presidente del Consiglio europeo assicura, al suo livello e in tale veste, la rappresentanza esterna dell’Unione per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comune, fatte salve le attribuzioni dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

 

Interrogazione n. 12 dell’on. Gay Mitchell (H-0173/08)
 Oggetto: Azione esterna dell’UE - Politica di sviluppo
 

Il Trattato di Lisbona stabilisce che il vice presidente della Commissione/Alto Rappresentante dell’Unione per la politica degli affari esteri e la sicurezza “garantisce la coerenza dell’azione esterna dell’Unione”. Il Trattato menziona esplicitamente tra gli obiettivi delle azioni esterne dell’Unione “lo sviluppo sostenibile dei paesi in via di sviluppo sul piano economico, sociale e ambientale, con l’obiettivo primo di eliminare la povertà”. Può il Consiglio riferire come ritiene debba essere garantita l’importanza della politica di sviluppo quale obiettivo chiave dell’azione esterna dell’UE?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Non è stata ancora adottata alcuna decisione sull’attuazione del Trattato di Lisbona, che non è ancora entrato in vigore. Ne consegue che il Consiglio non ha ancora adottato un parere sull’argomento.

 

Interrogazione n. 13 dell’on. Brian Crowley (H-0176/08)
 Oggetto: Sicurezza energetica
 

Può il Consiglio illustrare in dettaglio le iniziative che intende portare avanti quest’anno per garantire la sicurezza delle forniture energetiche nel territorio dell’Unione europea?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Il Consiglio concorda con il Parlamento europeo sul fatto che la sicurezza dell’approvvigionamento energetico riveste per l’Europa estrema importanza. Il Consiglio europeo lo ha confermato con chiarezza nelle sue decisioni del 2006 e del 2007. Si tratta pertanto anche di uno dei principali obiettivi della politica comunitaria interna ed esterna per salvaguardare e rafforzare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, insieme alla competitività e allo sviluppo sostenibile, come ribadito nelle decisioni del Consiglio europeo del marzo 2007. Nella riunione di marzo di quest’anno, il Consiglio europeo ha inoltre affermato l’importanza che annette al rafforzamento della sicurezza energetica dell’UE e dei suoi Stati membri. E’ importante sottolineare che gli interventi in materia di cambiamenti climatici ed energia, l’ulteriore liberalizzazione del mercato interno dell’energia e le nuove tecnologie energetiche contribuiscono in misura considerevole a questo obiettivo.

E’ tuttavia necessario continuare con determinazione a sviluppare la dimensione esterna della politica energetica per l’Europa per il periodo 2007-2009. A marzo il Consiglio europeo si è pertanto compiaciuto dei progressi compiuti in materia. I progressi di attuazione e gli ulteriori interventi necessari riguardo alla dimensione esterna della politica energetica saranno valutati in maniera più completa sulla base dell’analisi strategica della politica energetica che sarà presentata dalla Commissione europea nel novembre 2008. L’analisi strategica della politica energetica sarà incentrata in particolare sulla sicurezza dell’approvvigionamento, inclusi i dispositivi di interconnessione, e sulla politica energetica esterna. L’analisi strategica, che sarà approvata dal Consiglio europeo di primavera 2009, servirà di base per il nuovo piano d’azione in materia di energia per il periodo dal 2010 in poi.

I principali elementi della politica energetica comunitaria interna ed esterna, che contribuirà direttamente e indirettamente a rafforzare la sicurezza dell’approvvigionamento, sono quelli di seguito specificati.

– Internamente

Un maggior numero di strumenti legislativi, come le direttive sulle scorte petrolifere, la sicurezza dell’approvvigionamento di gas e la sicurezza dell’approvvigionamento di energia elettrica.

Rafforzamento della rete energetica comunitaria: gli obiettivi della politica energetica comunitaria è creare una rete energetica più forte e dotata di connessioni più adeguate, migliorare la gestione della rete e la progettazione delle infrastrutture e accelerare l’integrazione di nuove centrali nella rete elettrica; tutto questo contribuisce a rafforzare la capacità della rete di far fronte a situazioni di emergenza quali interruzioni dell’approvvigionamento, incidenti e variabilità dei flussi dalle risorse rinnovabili.

Maggior uso di risorse rinnovabili: (obiettivo vincolante del 20% del consumo energetico dell’UE entro il 2020 e del 10% di biocarburanti nei carburanti per i trasporti entro il 2020).

Maggiore efficienza energetica: una riduzione dei consumi energetici diminuirà la dipendenza da paesi terzi per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico; l’obiettivo comunitario è pertanto accrescere l’efficienza energetica attraverso gli strumenti di cui dispone, ossia normative, ricerca e sviluppo e una campagna promozionale.

In relazione alla rete transeuropea dell’energia (RTE), il Consiglio desidera richiamare l’attenzione dell’onorevole parlamentare sulla nomina, avvenuta l’anno scorso, dei coordinatori per quattro progetti prioritari di interesse europeo – fra cui il gasdotto Nabucco attraverso il quale il gas proveniente dall’Europa centrale viene fornito dalla regione del Caspio – per promuovere l’attuazione di tali progetti, che sono molto importanti per la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e per il funzionamento del mercato interno dell’energia.

– Esternamente

L’Unione europea si sta attivamente adoperando per garantire una maggiore sicurezza dell’approvvigionamento energetico attraverso la diversificazione delle risorse energetiche, dei fornitori e delle rotte di approvvigionamento; oltre ai progetti di interesse europeo relativi alla RTE menzionati in precedenza, questo obiettivo viene perseguito anche mediante quanto segue:

regolare il dialogo sull’energia e la cooperazione con i paesi e le organizzazioni produttori più importanti, quali Russia, Azerbaijan, Norvegia e OPEC, e anche con i maggiori paesi consumatori e di transito quali Stati Uniti, Brasile, Cina, India e Ucraina;

partenariati energetici, come ad esempio quello con l’Africa, instaurato nel dicembre 2007, e con l’Egitto;

stretta cooperazione con i paesi dell’Asia centrale, la regione del Caspio e del Mar Nero nell’ambito della cooperazione euromediterranea sull’energia (la quinta Conferenza ministeriale si è svolta il 17 dicembre 2007 a Cipro) e così via, e attiva partecipazione a strutture quali la Comunità dell’energia e la Carta dell’energia.

 

Interrogazione n. 15 dell’on. Seán Ó Neachtain (H-0182/08)
 Oggetto: Obiettivi di sviluppo del Millennio
 

Potrebbe il Consiglio rilasciare una dichiarazione esauriente sulle iniziative che ha intrapreso per contribuire alla lotta contro l’HIV/AIDS in Africa per l’anno in corso?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Nel 2008 esiste l’urgente necessità di accelerare i progressi nella realizzazione degli obiettivi di sviluppo del Millennio e a questo proposito la lotta contro l’HIV/AIDS resta una priorità del Consiglio. La Commissione e gli Stati membri si impegnano a fondo per attuare il “programma europeo di azione per lottare contro l’HIV/AIDS, la malaria e la tubercolosi attraverso azioni esterne”, adottato dal Consiglio e dagli Stati membri nel maggio 2005.

Nelle conclusioni sulle “questioni emerse di recente riguardo all’HIV/AIDS” del 23 aprile 2007(1) il Consiglio ha incoraggiato la Commissione e gli Stati membri ad assicurare l’attuazione degli impegni esistenti nel quadro del programma d’azione dell’UE per lottare contro l’HIV/AIDS, la malaria e la tubercolosi e ha sollecitato la Commissione e gli Stati membri a riferire in merito ai progressi, anche su questi temi emergenti in materia di HIV/AIDS, nel contesto dell’attività di sorveglianza ed elaborazione di relazioni a livello congiunto sul programma europeo di azione nel 2008 e nel 2010.

A questo proposito, il Consiglio valuterà il presente stato di attuazione del programma d’azione del 2005(2) e qualsiasi misura adottata in questo campo dalla Commissione e dagli Stati membri.

Nella relazione annuale sulla politica di sviluppo della Comunità europea e sull’esecuzione dell’assistenza esterna al Parlamento europeo e al Consiglio, la Commissione riferisce ogni anno in particolare in merito alla disponibilità di fondi comunitari per l’attuazione del programma d’azione. La relazione annuale 2007 sull’assistenza esterna della Comunità europea nel 2006(3) contiene informazioni dalle quali risulta che, riguardo alla riduzione della povertà, l’Unione europea è sempre più coinvolta nella lotta contro le malattie infettive legate alla povertà, in particolare attraverso l’attuazione del programma d’azione europeo. E’ in fase di definizione un’ampia serie di strumenti e di canali di finanziamento, soprattutto attraverso i programmi bilaterali finanziati a titolo del bilancio comunitario e attraverso il Fondo europeo di sviluppo, e l’importo destinato a tale scopo è pari a circa 245 milioni di euro all’anno escluso il sostegno al bilancio generale(4).

La Commissione e gli Stati membri sono donatori attivi del Fondo globale per la lotta all’HIV/AIDS, la tubercolosi e la malaria (GFATM) fin dalla sua istituzione nel periodo 2001-2002. L’UE svolge inoltre un ruolo determinante e visibile nella definizione di un nuovo metodo innovativo di finanziamento internazionale, che dimostra il suo fermo impegno a lottare contro queste tre malattie. L’UE e gli Stati membri insieme sono diventati i maggiori donatori del Fondo globale avendo fornito il 53 per cento dei contributi in contanti nel periodo 2003-2006. L’UE è un partner dello sviluppo estremamente importante e il suo sostegno politico è pertanto indispensabile per garantire il positivo sviluppo e l’efficace funzionamento del Fondo globale, ad esempio negli sforzi compiuti per fornire flussi finanziari prevedibili in relazione al processo di ricostituzione.

Al momento l’UE è impegnata nell’attuazione di un programma d’azione europeo per ovviare alla grave carenza di operatori sanitari nei paesi in via di sviluppo (2007-2013), in cui l’Africa è un obiettivo geografico prioritario. Si prevede che sarà presto presentata una relazione intermedia della Commissione.

In effetti, l’HIV/AIDS ha colpito molto duramente l’Africa. L’accordo di partenariato di Cotonou tra i paesi ACP e la Comunità europea si applica alla maggior parte dei paesi africani. La promozione della lotta contro l’HIV/AIDS, della protezione della salute sessuale e riproduttiva e dei diritti delle donne conformemente al programma d’azione della Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo sono tra i settori sostenuti in relazione alla strategia di cooperazione(5) nell’ambito dell’accordo di partenariato di Cotonou e le attività in questo ambito sono normalmente finanziate a titolo del FES.

Lo strumento di cooperazione allo sviluppo (DCI)(6), adottato il 18 dicembre 2006 dal Parlamento europeo e dal Consiglio, comprende la lotta contro le malattie legate alla povertà, in particolare l’HIV/AIDS, attraverso programmi geografici. Il programma dello strumento di cooperazione allo sviluppo denominato “Investire nelle persone” comprende, nella sezione “la salute per tutti”, la lotta contro le malattie legate alla povertà, combattendo le principali malattie trasmissibili, tra cui l’HIV/AIDS. Per il periodo 2007-2013 è stato stanziato un importo finanziario di riferimento di 1 060 milioni di euro. Affrontare il problema della pandemia HIV/AIDS e il suo impatto sulla società sudafricana è uno degli obiettivi dell’aiuto dell’UE per il Sudafrica in relazione allo strumento di cooperazione allo sviluppo; per il periodo 2007-2013 è stato stanziato per tale programma geografico un importo finanziario di riferimento di 980 milioni di euro.

La lotta contro l’HIV/AIDS con particolare attenzione per l’Africa è e resta la massima priorità dell’UE, sia all’interno che all’esterno. Il Consiglio lo ha espresso chiaramente nella dichiarazione dell’UE “Mantenere la promessa di arrestare l’HIV/AIDS” formulata il 1o dicembre 2007 nella giornata mondiale per la lotta all’AIDS, e lo stesso ha fatto il Consiglio europeo nelle conclusioni del 21 e 22 giugno 2007(7).

Infine, uno dei quattro obiettivi principali del partenariato strategico UE-Africa(8), approvato il 9 dicembre 2007 durante il Vertice di Lisbona, è “assicurare che tutti gli obiettivi di sviluppo del Millennio vengano soddisfatti in tutti i paesi africani entro il 2015” e l’HIV/AIDS è tra le sfide globali e le questioni di interesse comune che saranno affrontate insieme nell’ambito di questo partenariato strategico a lungo termine. A questo proposito, è prevista un’ampia serie di obiettivi, come ad esempio:

migliorare l’accesso a servizi di prevenzione, trattamento, cura e sostegno, anche per quanto riguarda l’HIV/AIDS,

rendere disponibili maggiori risorse umane e finanziarie,

migliorare l’accesso a farmaci e prodotti di prima necessità di qualità a prezzi sostenibili,

rafforzare la capacità dei paesi africani di formare e mantenere operatori sanitari qualificati.

In conclusione, il 2008 sarà un anno di adozione di misure per l’attuazione delle politiche e degli strumenti per la lotta contro l’HIV/AIDS ed è auspicabile che nel 2008 prosegua la tendenza positiva in termini di azioni e successi constatata nel 2006 e, a quanto riferito, rilevata anche nel 2007.

 
 

(1) Doc. 7227/07, paragrafo 12.
(2) Doc. 9278/05, paragrafo 14.
(3) Doc. 11141/07 + ADD 1.
(4)Principles for an EU contribution to the Global Fund to Fight HIV/AIDS, Tuberculosis and Malaria with a view to the 2006/2007 Replenishment Process; documento di lavoro dei servizi della Commissione, SEC(2005) 374, pag. 6.
(5) Articolo 25, paragrafo 1, lettera d).
(6) GU L 378 del 27.12.2006, pag. 41.
(7) Doc. 11177/1/07, paragrafo 8, punti (ii) e (iii).
(8) Doc. 16344/07, paragrafi 79 e 80.

 

Interrogazione n. 16 dell’on. Roger Helmer (H-0186/08)
 Oggetto: Governi degli Stati membri e referendum sul trattato di Lisbona
 

Può dire il Consiglio se i governi degli Stati membri sono stati coinvolti in qualche accordo politico per evitare un referendum nel maggior numero possibile di paesi?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Gli Stati membri ratificano gli accordi internazionali in base alle proprie disposizioni costituzionali.

 

Interrogazione n. 17 dell’on. Christopher Heaton-Harris (H-0187/08)
 Oggetto: Lo sport nel trattato di Lisbona
 

Può il Consiglio spiegare se l’aggiunta della parola “sport” all’articolo 165 del trattato darà all’Unione una competenza giuridica in materia di sport, e qual è stato il motivo dell’aggiunta dello sport nel trattato?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

L’articolo 165 della versione consolidata dei Trattati costitutivi, modificato dal Trattato di Lisbona, si trova nel titolo XII relativo a istruzione, formazione professionale, gioventù e sport. Si tratta di una delle politiche e azioni interne dell’Unione. L’articolo 165 stabilisce, tra gli altri, che l’Unione contribuisce alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto delle sue specificità, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale ed educativa. L’interrogazione dell’onorevole parlamentare non rientra tuttavia nell’ambito di competenza del Consiglio in quanto quest’ultimo non ha partecipato alla Conferenza intergovernativa che ha redatto il progetto di Trattato di Lisbona. Inoltre, il Trattato di Lisbona non è ancora in vigore. Quando lo sarà, i problemi di interpretazione saranno risolti dalla Corte di giustizia.

 

Interrogazione n. 18 dell’on. Sarah Ludford (H-0189/08)
 Oggetto: Decisione per l’attuazione del trattato di Prüm e sulla banca dati NDNAD del Regno Unito
 

Diversamente dalla maggior parte degli Stati membri, le banche dati della polizia nazionale del Regno Unito e dell’NDNAD contengono le impronte digitali non solo delle persone condannate, ma anche di quelle arrestate per reati minori ma mai condannate, così come di quelle rilasciate. Il progetto di decisione per l’attuazione del trattato di Prüm (documento del Consiglio n. 14611/07) non circoscrive tuttavia la tipologia e la qualità dei dati che saranno scambiati con gli altri Stati membri.

Può il Consiglio assicurare all’interrogante che l’iniziativa sarà modificata per limitare le categorie di persone interessate allo scambio dati e per comunicarne il diverso status agli altri Stati membri, nel contesto di confronti e ricerche, così come raccomandato dal Garante europeo della protezione dei dati (documento del Consiglio n. 5056/08)?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Il Consiglio ritiene che uno dei motivi fondamentali del successo e della rapida applicazione dei meccanismi di scambio di dati stabiliti nel Trattato di Prüm, come sarà indicato nella decisione del Consiglio sul potenziamento della cooperazione transfrontaliera (cfr. la decisione di Prüm)(1), e nella relativa decisione di attuazione, è il fatto che la decisione non incide sulla legislazione nazionale e sulle strutture nazionali. L’articolo 2 della decisione stabilisce con chiarezza che spetta agli Stati membri decidere in merito al trattamento dei dati archiviati nella banca dati nazionale del DNA (acido desossiribonucleico). Ciascuno Stato membro decide inoltre quali parti della propria banca dati del DNA renderà disponibili agli altri Stati membri a fini di ricerca e di confronto. Tali informazioni sono pubblicate in un manuale redatto e integrato dal Segretariato generale del Consiglio.

Non spetta pertanto al Consiglio determinare il tipo di persone i cui dati debbano o possano essere scambiati.

Le autorità del Regno Unito decidono quali dati saranno utilizzati e/o resi disponibili a fini di ricerca e di confronto nell’ambito della decisione di Prüm.

Va tuttavia sottolineato che i dati scambiati nell’ambito della decisione di Prüm sono molto limitati e le informazioni sui tipi di persone cui i dati si riferiscono, e il loro stato, possono essere scambiate soltanto se e quando viene stabilita un’esatta corrispondenza.

 
 

(1) Doc. 11896/07.

 

Interrogazione n. 19 dell’on. Jens Holm (H-0192/08)
 Oggetto: Principio della democrazia partecipativa
 

Con riferimento all’articolo 11 del trattato di Lisbona riguardante il principio di democrazia partecipativa, reputa il Consiglio che un milione di firme a favore di un referendum sul trattato di Lisbona abbiano una qualche influenza?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Il Trattato di Lisbona non è ancora entrato in vigore. In ogni caso, le procedure per la ratifica del Trattato sono stabilite nella legislazione nazionale e pertanto rientrano nella sfera di esclusiva competenza degli Stati membri. Ne consegue che il Consiglio non ha la competenza per esprimere un parere in materia.

 

Interrogazione n. 20 dell’on. Jens-Peter Bonde (H-0194/08)
 Oggetto: Trattato di Lisbona
 

Quali effetti giuridici sono riferibili alle espressioni “massimo rispetto possibile del principio di apertura” e “il più vicino possibile ai cittadini”?

La riunione a porte chiuse della Conferenza intergovernativa alla vigilia del trattato di Lisbona rappresenta una violazione della corrispondente disposizione del trattato di Nizza?

La decisione politica di non tenere referendum, concordata tra gli Stati membri, rappresenta una violazione delle norme democratiche del trattato di Nizza?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

L’interrogazione dell’onorevole parlamentare non rientra nell’ambito di competenza del Consiglio in quanto quest’ultimo non ha partecipato alla Conferenza intergovernativa che ha redatto il progetto di Trattato di Lisbona. Inoltre, il Trattato di Lisbona non è ancora in vigore. Quando entrerà in vigore, eventuali problemi di interpretazione del Trattato saranno risolti dalla Corte di giustizia europea.

 

Interrogazione n. 21 dell’on. Martin Callanan (H-0196/08)
 Oggetto: Trattato di Lisbona, azione coordinata nei forum internazionali
 

Può il Consiglio far sapere se Francia e Regno Unito debbano attenersi alle decisioni dell’UE nel quadro dei negoziati o della presa di decisioni in sedi di Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ai vertici del G8, ecc.?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

L’interrogazione dell’onorevole parlamentare non rientra nell’ambito di competenza del Consiglio in quanto quest’ultimo non ha partecipato alla Conferenza intergovernativa che ha redatto il Trattato. Inoltre, il Trattato di Lisbona non è (ancora) entrato in vigore.

 

Interrogazione n. 22 dell’on. Nirj Deva (H-0198/08)
 Oggetto: La politica spaziale nel trattato di Lisbona
 

Può il Consiglio far sapere se la ricerca e gli sviluppi tecnologici previsti dall’articolo 179 del trattato potrebbero includere l’uso militare dello spazio e se, in questo ambito, sarebbe possibile avviare le imprese comuni previste dall’articolo 187 del trattato?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

L’articolo 179 della versione consolidata dei Trattati costitutivi, modificato dal Trattato di Lisbona, è intitolato “Ricerca e sviluppo tecnologico e spazio” e stabilisce, tra gli altri, che l’Unione si propone l’obiettivo di rafforzare le sue basi scientifiche e tecnologiche con la realizzazione di uno spazio europeo della ricerca. La questione relativa a questo articolo sollevata dall’onorevole parlamentare non rientra nell’ambito di competenza del Consiglio in quanto il Trattato di Lisbona non è ancora in vigore. Quando lo sarà, eventuali problemi di interpretazione saranno risolti dalla Corte di giustizia.

L’articolo 187 della versione consolidata dei Trattati costitutivi, modificato dal Trattato di Lisbona, stabilisce che l’Unione può creare imprese comuni o qualsiasi altra struttura. Tali imprese comuni o qualsiasi altra struttura consentono di eseguire con maggiore efficacia i programmi di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione dell’Unione. La questione relativa a questo articolo sollevata dall’onorevole parlamentare non rientra tuttavia nell’ambito di competenza del Consiglio in quanto il Trattato di Lisbona non è ancora in vigore. Quando lo sarà, eventuali problemi di interpretazione saranno risolti dalla Corte di giustizia.

 

Interrogazione n. 23 dell’on. Nils Lundgren (H-0200/08)
 Oggetto: Trattato di Lisbona
 

L’articolo 136 riguarda il coordinamento e la sorveglianza della disciplina di bilancio e degli orientamenti di politica economica degli Stati membri della zona euro. Ritiene il Consiglio che, sulla base di detto articolo e del trattato di Lisbona in generale, la Svezia sia tenuta ad aderire all’euro quando e se il paese soddisferà le condizioni previste? Quali misure possono essere adottate relativamente ai paesi della zona euro che non possano essere adottate in relazione ai paesi che non ne fanno parte?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

L’interrogazione dell’onorevole parlamentare non rientra nell’ambito di competenza del Consiglio in quanto quest’ultimo non ha partecipato alla Conferenza intergovernativa che ha redatto il progetto di Trattato di Lisbona. Inoltre, il Trattato di Lisbona non è ancora in vigore. Quando entrerà in vigore, eventuali problemi di interpretazione del Trattato saranno risolti dalla Corte di giustizia europea.

 

Interrogazione n. 24 dell’on. Syed Kamall (H-0203/08)
 Oggetto: Accordi internazionali nel Trattato di Lisbona
 

Il Consiglio può elencare i settori in cui, se il Trattato di Lisbona è ratificato, l’Unione europea non può concludere accordi internazionali?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

L’interrogazione riguarda l’interpretazione delle disposizioni del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea. L’onorevole parlamentare sicuramente saprà che il Trattato di Lisbona è stato presentato agli Stati membri per la ratifica.

Si tratta di una questione che non rientra nell’ambito di competenza della Presidenza in quanto il Trattato di Lisbona non è in vigore; quando entrerà in vigore, eventuali problemi relativi alla sua interpretazione saranno risolti dalla Corte di giustizia europea.

 

Interrogazione n. 25 dell’on. David Martin (H-0210/08)
 Oggetto: Indipendenza del Kosovo
 

Secondo il Consiglio, quale messaggio viene trasmesso agli altri movimenti separatisti all’interno dell’Unione dalla dichiarazione di indipendenza del Kosovo?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Il 18 febbraio 2008 il Consiglio ha adottato la seguente conclusione: “Il Consiglio ribadisce l’adesione dell’UE ai principi della Carta delle Nazioni Unite e dell’Atto finale di Helsinki, tra cui i principi della sovranità e integrità territoriale e tutte le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il Consiglio sottolinea la sua convinzione che, alla luce del conflitto degli anni ‘90 e del lungo periodo di amministrazione internazionale ai sensi della risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il Kosovo sia un caso sui generis che non rimette in questione tali principi e risoluzioni”.

Il fatto che il caso del Kosovo sia unico è sottolineato dalla risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, adottata dal Consiglio di sicurezza dell’ONU a seguito della tragedia umanitaria durante la quale quasi 800 000 abitanti del Kosovo sono stati costretti a lasciare la propria casa ed è stata compromessa la stabilità regionale. La risoluzione ha introdotto l’amministrazione provvisoria delle Nazioni Unite in Kosovo e prevede un processo politico finalizzato a determinare il futuro status del Kosovo. Sulla base di una relazione dell’Ambasciatore Kai Eide, presentata al Consiglio di sicurezza il 7 ottobre 2005, il Segretario generale delle Nazioni Unite ha raccomandato di intraprendere il processo di determinazione del futuro status del Kosovo conformemente alla risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e ha nominato un inviato speciale per svolgere tale processo, il cui scopo è ottenere l’effettiva cooperazione dei serbi kosovari e di altre nazionalità e comunità in Kosovo.

Poiché il Kosovo è un caso unico, non viene considerato un precedente per altre situazioni – comprese situazioni esistenti nell’Unione europea.

 

Interrogazione n. 26 dell’on. Frank Vanhecke (H-0213/08)
 Oggetto: Libertà di religione in Algeria
 

I vescovi cristiani di Algeria hanno recentemente denunciato al Ministero per gli affari religiosi le espulsioni e le condanne di cui sono vittime, in misura crescente, i cristiani in questo paese a seguito dell’approvazione della legge, del febbraio 2006, che disciplina lo statuto delle minoranze religiose. Diverse disposizioni di tale legge rappresentano una flagrante violazione della libertà religiosa, in quanto prevedono una pena detentiva di cinque anni e una multa di circa 10.000 euro a carico di chiunque “inciti o usi strumenti di persuasione per convertire un musulmano ad un’altra religione”.

Rappresentano le disposizioni in questione una violazione della clausola fondamentale dell’articolo 2 dell’Accordo di associazione del 22 aprile 2002? Intende il Consiglio assumere contatti con i rappresentanti della minoranza cristiana in Algeria? Quali iniziative intende esso assumere nel quadro dell’articolo 104, paragrafo 2, nel quadro del dialogo politico quale previsto dall’accordo?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Per quanto riguarda la libertà di religione e la libertà di coscienza, il Consiglio prende atto con preoccupazione che si sono verificati recenti casi di discriminazione.

Il Consiglio si rammarica del fatto che le opportunità per i membri di religioni diverse da quella musulmana sono molto limitate, e il 10 marzo ha espresso la sua preoccupazione al riguardo durante la riunione del Consiglio di associazione UE-Algeria. In tale occasione, il Consiglio ha chiesto all’Algeria di adottare tutte le misure necessarie per evitare discriminazioni e per incoraggiare la tolleranza riguardo a cultura, espressione delle convinzioni religiose e di altro tipo, minoranze e orientamenti sessuali e di rispettare i suoi obblighi internazionali.

 

Interrogazione n. 27 dell’on. Daniel Dăianu (H-0215/08)
 Oggetto: Evasione fiscale
 

La Germania, i suoi cittadini e i suoi politici onesti hanno molte ragioni di indignarsi dopo aver scoperto che uomini d’affari tedeschi di alto livello hanno defraudato le casse dello Stato utilizzando in modo illecito i paradisi fiscali europei. A quanto pare, tuttavia, tutti gli Stati membri devono affrontare, più o meno, tale comportamento riprovevole. Un modo di far fronte al problema è quello di cercare di chiudere tutte le scappatoie, e questo coinvolgerebbe lo status degli attuali paradisi fiscali. C’è tuttavia un altro aspetto più ampio in gioco, ovvero la responsabilità sociale delle persone al vertice del potere economico e, talvolta, politico. Quando si comportano così chiaramente in modo riprovevole, tali persone non solo fanno crollare la loro reputazione, ma infliggono anche un duro colpo al funzionamento delle nostre istituzioni.

Come intende il Consiglio estendere l’ambito della lotta contro l’evasione fiscale alla responsabilità morale e all’esigenza di prevenire il deterioramento della fiducia che i nostri cittadini ripongono nelle istituzioni democratiche? Possiamo chiedere ai cittadini in generale di subire sgradevoli riforme, ove necessarie, mentre alcuni di essi non rispettano nemmeno i principi fondamentali della decenza e del comportamento civico?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

La competenza in materia fiscale spetta agli Stati membri. In mancanza di armonizzazione in questo settore, gli Stati membri possono adottare misure e definire disposizioni sulla base di obiettivi e requisiti nazionali, anche se tale potere deve tuttavia essere esercitato conformemente al diritto comunitario.

L’onorevole parlamentare senza dubbio sa che il Consiglio può adottare decisioni in materia di armonizzazione soltanto in risposta a proposte della Commissione. Attualmente non esiste alcuna proposta per il tipo di misura indicata dall’onorevole parlamentare.

Spetta agli Stati membri decidere se sia o meno necessario adottare misure per conseguire gli obiettivi cui l’onorevole parlamentare fa riferimento.

 

Interrogazione n. 28 dell’on. Dimitrios Papadimoulis (H-0220/08)
 Oggetto: Prospettiva europea della Serbia
 

Nella recente comunicazione della Commissione sui Balcani occidentali: rafforzare la prospettiva europea (COM(2008)0127) si afferma che l’Unione europea si impegna a sottoscrivere l’accordo di stabilizzazione e di associazione (ASA) con la Serbia non appena saranno state prese le misure necessarie.

Può il Consiglio dire quali sono tali misure e qual è il calendario per la firma dell’accordo?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

All’inizio dei negoziati sull’accordo di stabilizzazione e di associazione (ASA) nell’ottobre 2005, il Consiglio e la Commissione hanno deciso che avrebbero concluso tale accordo dopo aver valutato congiuntamente i progressi compiuti nei tre settori di seguito specificati:

definizione di un quadro legislativo e instaurazione delle capacità amministrative necessarie per la corretta attuazione di qualsiasi ASA,

efficace attuazione della Carta costituzionale dell’Unione statale di Serbia e Montenegro,

piena cooperazione con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia.

La Commissione avrebbe dovuto riferire al Consiglio in merito all’esito della valutazione.

Il primo punto non presenta particolari difficoltà. Nell’ultima relazione periodica del novembre 2007, la Commissione ha sottolineato che erano stati compiuti progressi nella riforma della pubblica amministrazione e ha ritenuto tali riforme in linea con le norme europee nel complesso. Nel contesto dei negoziati sull’accordo di stabilizzazione e associazione, la Serbia ha dimostrato di possedere buone capacità amministrative. In considerazione delle capacità istituzionali della Serbia, nelle conclusioni della riunione di dicembre il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” ha espresso fiducia quanto al fatto che essa sarà in grado di accelerare i preparativi per l’avvicinamento all’Unione europea.

Il secondo punto non è più applicabile in quanto l’Unione statale di Serbia e Montenegro non esiste più. Riguardo al terzo punto, il Consiglio ha sottolineato varie volte nelle conclusioni adottate nel corso delle sue riunioni l’importanza della piena cooperazione della Serbia con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia (ICTY). Una risoluzione soddisfacente di tali questioni è anche una delle condizioni per la conclusione dell’accordo di stabilizzazione e di associazione. Un importante indicatore di adempimento sarà il contenuto della prossima relazione di Serge Brammertz, pubblico ministero del Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia.

 

Interrogazione n. 29 dell’on. Bill Newton Dunn (H-0222/08)
 Oggetto: Studio richiesto dal Consiglio e dal Parlamento ma rifiutato dalla Commissione
 

Il Consiglio e il Parlamento hanno chiesto congiuntamente alla Commissione uno studio “sulla fattibilità e sugli ostacoli che si frappongono alla creazione di una forza di polizia federale per l’Unione europea” nell’ambito della voce XX 01 02 11 04 del bilancio 2008. Le due istituzioni hanno votato a favore di un finanziamento di tale studio.

Qual è l’opinione del Consiglio riguardo alla resistenza da parte della Commissione, organo non eletto, alla volontà dei governi e dei deputati eletti di eseguire tale studio?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Lo studio cui l’onorevole Newton Dunn fa riferimento non è stato discusso dal Consiglio.

 

Interrogazione n. 30 dell’on. Armando França (H-0224/08)
 Oggetto: eJustice
 

Nella riunione dei ministri della giustizia e degli interni (1-2 ottobre 2007), gli Stati membri hanno convenuto che la giustizia dovrà modernizzarsi e utilizzare risorse elettroniche ai fini di rendere l’amministrazione della giustizia più celere, efficace, prossima dei cittadini e delle imprese e meno costosa. La giustizia elettronica (eJustice) figura nel programma delle Presidenze tedesca, portoghese e slovena e ha costituito una delle priorità della Presidenza portoghese, la quale ha sviluppato il prototipo di portale eJustice.

Vista l’importanza di eJustice per l’amministrazione giudiziaria e per la cooperazione in tale settore di attività dell’UE, può il Consiglio informare sullo stadio di sviluppo del prototipo di portale europeo di eJustice, precisando altresì i servizi che offrirà e la data della sua conclusione?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Il Consiglio desidera assicurare all’onorevole parlamentare che la giustizia elettronica (eJustice) è uno dei principali compiti prioritari, il cui scopo è creare una piattaforma tecnica europea nel campo dell’amministrazione della giustizia che serva a fornire accesso a tutti gli attuali e futuri sistemi elettronici nazionali, comunitari ed eventualmente anche internazionali.

Il Consiglio sta esaminando l’ambito del sistema di giustizia elettronica e il preciso contenuto del portale. A prescindere dal risultato di tale esame, il futuro portale eJustice è inteso a fornire al pubblico e ai giuristi professionisti accesso uniforme a informazioni giuridiche, autorità giudiziarie, registri, banche dati e altri servizi disponibili, facilitando quindi il loro lavoro quotidiano nei casi in cui abbia anche un nesso con questioni giuridiche europee.

Il Consiglio ha già discusso il calendario per l’apertura del portale al pubblico. La Commissione ha annunciato una comunicazione che il Consiglio prenderà in considerazione nei suoi successivi dibattiti. Va sottolineato che gli Stati membri dovranno controllare e provare il portale per porre in evidenza eventuali problemi tecnici o organizzativi e garantirne l’efficace funzionamento prima di renderlo pubblicamente accessibile. Gli Stati membri devono anche verificare che il contenuto del portale sia davvero utile per le persone nella loro vita quotidiana.

 

Interrogazione n. 31 dell’on. Zdzisław Kazimierz Chmielewski (H-0236/08)
 Oggetto: Celle a combustibile e idrogeno
 

Nel corso della mia collaborazione con esperti, sul regolamento del Consiglio che istituisce un’impresa comune “celle a combustibile e idrogeno”, sono venuto a conoscenza di un parere così sorprendente che ho pensato di doverlo portare all’attenzione del Consiglio. In tale parere, il cui autore è un’autorità riconosciuta nella fisica degli atomi, le celle a idrogeno e combustibile sono presentate con tanto entusiasmo da sembrare quasi una panacea a tutti i problemi energetici e ambientali. Occorre tuttavia ricordare che l’idrogeno è soltanto un vettore di energia. Per produrlo bisogna utilizzare altre fonti di energia con – dipende dalla tecnologia impiegata – vari gradi di efficienza: da pochi punti percentuali (elettrolisi normale a temperatura ambiente) a 80% (decomposizione dell’acqua ad alta temperatura). Se si utilizzano il metano o il gas naturale, sarà necessario o produrli oppure procurarseli da altra fonte.

Inoltre, lo stoccaggio e il trasporto costituiscono un ulteriore difficile problema che deve essere risolto per poter utilizzare tale vettore di energia.

Quali opinioni hanno in materia gli esperti della Commissione?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

L’onorevole parlamentare può stare certo che il Consiglio è ben consapevole della complessità dei problemi tecnici che devono essere affrontati in relazione all’uso su ampia scala delle celle a combustibile e idrogeno nel sistema dei trasporti europeo, come dimostra l’introduzione generale del progetto di regolamento del Consiglio che istituisce l’impresa comune “Celle a combustibile e idrogeno”, in cui il Consiglio afferma che la sfida rappresentata dalle celle a combustibile e idrogeno è molto complessa e di grande portata e che la dispersione delle competenze tecniche in tali settori è molto elevata (documento 6935/08, considerando 9 a pagina 4). Il compito degli esperti nel campo della ricerca e sviluppo è pertanto valutare il potenziale economico e tecnologico delle celle a combustibile e idrogeno, individuare gli sviluppi tecnologici teoricamente promettenti ed esaminare le sfide economiche e tecnologiche associate prima che venga adottata una decisione sul loro uso sulla base di prove scientifiche fondate e convincenti. I documenti scientifici tendono a volte a presentare le possibili applicazioni di nuove tecnologie come una panacea. In alcuni casi, tali documenti si limitano a elencare tutti i possibili usi della tecnologia in questione che richiedono ulteriore studio. I risultati di uno studio approfondito possono rivelare che poche o nessuna delle applicazioni potenzialmente molto promettenti potrebbero avere successo nella pratica. Si tratta tuttavia del modo in cui normalmente si realizza il progresso scientifico.

 

Interrogazione n. 32 dell’on. Rodi Kratsa-Tsagaropoulou (H-0238/08)
 Oggetto: Futuro delle Agenzie europee nella struttura istituzionale dell’UE
 

In occasione della recente pubblicazione della comunicazione della Commissione sul futuro delle Agenzie europee(1) quale ritiene il Consiglio essere l’importanza di questi organismi decentrati ai fini della presenza istituzionale dell’Unione europea nel territorio degli Stati membri? In base a quali criteri valuta esso che le Agenzie adempiono alla loro missione e conseguono i loro obiettivi concreti, previsti nei relativi atti istitutivi? Qual è il suo giudizio in merito alla proposta della Commissione di istituire un’Autorità europea per il mercato delle comunicazioni elettroniche, proposta questa che viene mantenuta secondo la comunicazione in questione? Ritiene la base giuridica proposta sufficiente per l’istituzione dell’Autorità?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Il Consiglio non ha ancora adottato una posizione sulla comunicazione della Commissione sul futuro delle agenzie europee cui l’onorevole parlamentare fa riferimento.

Alcuni degli strumenti giuridici che istituiscono agenzie europee stabiliscono l’obbligo di valutare i progressi e i metodi di lavoro dell’agenzia in questione o contengono una clausola di revisione. Ad esempio, in base al regolamento (CE) n. 881/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 che istituisce un’Agenzia ferroviaria europea, i risultati ottenuti dall’Agenzia e i suoi metodi di lavoro sono sottoposti alla valutazione della Commissione, che può presentare una proposta di modifica delle disposizioni del regolamento. Il regolamento che istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare prevede una revisione interna indipendente richiesta ogni sei anni dall’Autorità in collaborazione con la Commissione. Il Consiglio non è coinvolto in tale revisione salvo che ad essa faccia seguito una proposta legislativa di revisione dello strumento che istituisce l’Autorità.

Il 18 aprile 2007 il Parlamento europeo e il Consiglio, in qualità dei due rami dell’Autorità di bilancio, hanno tuttavia adottato una dichiarazione congiunta sulle agenzie comunitarie in cui hanno invitato la Commissione a:

fornire annualmente previsioni di bilancio concernenti tutte le agenzie comunitarie esistenti e future includendo informazioni di bilancio riguardanti i loro atti di base, gli indicatori chiave di bilancio e il numero di effettivi in organico, nonché il rapporto tra le spese di funzionamento e le spese amministrative;

eseguire un’analisi costi-benefici approfondita e applicare sistematicamente e promuovere la procedura prevista al punto 47 dell’accordo interistituzionale prima di istituire nuove agenzie;

valutare con regolarità le agenzie comunitarie, concentrandosi in particolare sulla questione costi-benefici;

applicare le clausole di revisione previste nella loro regolamentazione specifica.

Attualmente il Consiglio sta esaminando le proposte della Commissione sulle comunicazioni elettroniche e il quadro relativo a tali comunicazioni e non ha ancora adottato una posizione sulla proposta della Commissione di istituzione di un’Autorità europea per i mercati delle comunicazioni elettroniche.

 
 

(1) Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio “Il futuro delle Agenzie europee”, 11.3.2008, COM(2008)0135.

 

Interrogazione n. 33 dell’on. Johan Van Hecke (H-0242/08)
 Oggetto: Scarsa attenzione per la Somalia
 

Violenza, crescente inflazione e continua siccità sono le piaghe che colpiscono attualmente la Somalia. Scarseggiano gli aiuti alimentari per i profughi, che già sono centinaia di migliaia. Soltanto nel 2007 si calcola che 700.000 abitanti abbiano abbandonato la capitale Mogadiscio per sfuggire ai violenti scontri tra le milizie islamiche e le truppe filogovernative sostenute dall’Etiopia. La Somalia è già considerata il luogo più pericoloso al mondo per le attività delle organizzazioni umanitarie. Secondo alcuni funzionari dell’ONU, la situazione in Somalia è probabilmente ancora più grave che nel Darfur.

Il Consiglio ha comunicato di non aver discusso sul sequestro dei collaboratori di Médecins Sans Frontières perpetrato all’inizio del 2008 in Somalia. All’inizio di aprile sono stati sequestrati due collaboratori dell’ONU. Quanti operatori umanitari dovranno sparire ancora prima che il Consiglio si convinca della necessità di iscrivere all’ordine del giorno la Somalia? La comunità internazionale non può chiudere gli occhi dinanzi alla drammatica situazione di questo paese.

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Il Consiglio condivide il parere secondo cui la comunità internazionale non deve chiudere gli occhi dinanzi alle condizioni esistenti in Somalia. La questione somala deve pertanto continuare a occupare una posizione elevata nel programma del Consiglio.

Nel febbraio 2008 l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, Javier Solana, ha tenuto una riunione con Nur Hassan Hussein, il nuovo Primo Ministro del governo federale di transizione.

Il 25 marzo 2008 la troika dell’UE si è recata a Mogadiscio, dove è stata impegnata in colloqui con il Presidente e il Primo Ministro, con i capi del clan Hawiye, con rappresentanti della società civile e con il comandante in capo della missione dell’Unione africana in Somalia (AMISOM). Gli obiettivi della visita della troika erano:

esprimere il sostegno dell’UE al nuovo governo e al suo previsto programma di misure prioritarie,

proclamare il pieno sostegno dell’UE alla strategia di effettiva conciliazione tra il governo federale di transizione e l’opposizione a tutti i livelli allo scopo di assicurare la positiva conclusione del periodo di transizione,

esprimere l’auspicio dell’UE di un migliore coordinamento nelle strutture di comando delle istituzioni del governo federale di transizione,

mantenere il ruolo dell’UE quale soggetto che si adopera a favore di una soluzione politica duratura per la Somalia e che coordina le proprie attività con quelle della comunità internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite.

In varie occasioni il Consiglio ha sottolineato l’importanza del ruolo di guida delle Nazioni Unite nel sostegno internazionale fornito al processo politico in Somalia e della necessità di evitare iniziative con finalità contrastanti. Ha anche espresso il suo sostegno all’AMISOM, la missione dell’Unione africana in Somalia.

Il Consiglio ha inoltre dichiarato che l’UE deve attivamente sostenere misure intese a promuovere il rispetto dei diritti umani, sviluppare un senso di responsabilità e sradicare la cultura dell’illegalità in Somalia.

 

Interrogazione n. 34 dell’on. Bernd Posselt (H-0245/08)
 Oggetto: Autostrada Spielfeld - Maribor - Zagabria
 

E’ il Consiglio a conoscenza del calendario per il completamento dell’autostrada che collega la Stiria (Spielfeld-Straβ) alla Croazia attraverso la Slovenia (Maribor), e come valuta l’evoluzione di questi lavori, importanti non solo per la Baviera, l’Austria, la Slovenia e la Croazia, ma per tutta l’Europa?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Il Consiglio desidera informare l’onorevole parlamentare che la questione rientra nell’ambito di competenza nazionale e pertanto non è stata discussa dal Consiglio. Poiché la discussione in materia non rientra nel suo ambito di competenza, il Consiglio non può esprimersi al riguardo.

 

Interrogazione n. 35 dell’on. Richard Howitt (H-0248/08)
 Oggetto: Rinnovo del regolamento dello status dell’SPG + per i paesi beneficiari
 

Quando intende il Consiglio prendere una decisione sul rinnovo del regolamento (CE) n. 980/2005(1) riguardo alle concessioni commerciali dell’SPG +? Che tipo di programma e quali meccanismi userà il Consiglio per valutare se i paesi beneficiari effettivamente ratificano e applicano le convenzioni sui diritti dell’uomo e sul lavoro, necessarie per poter usufruire delle preferenze commerciali?

Quale tipo di consultazione è in atto o verrà intrapresa con la Commissione europea e con il Parlamento europeo in merito a tale questione e a quali date? Di quali prove si servirà il Consiglio, al momento di adottare le sue decisioni, per valutare l’impatto sul commercio derivante dalle preferenze commerciali? Inoltre intende il Consiglio chiedere l’effettuazione di ulteriori ricerche sulla questione nel periodo intermedio?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Il sistema di preferenze generalizzate (SPG) e il regime speciale di incentivazione per lo sviluppo sostenibile e il buon governo (SPG +) sono stati adottati sotto forma di regolamenti di attuazione pluriennali, di cui il primo, ossia il regolamento (CE) n. 980/2005 del Consiglio del 27 giugno 2005 relativo a un sistema di preferenze tariffarie, scadrà il 31 dicembre 2008.

Su richiesta della Commissione, attualmente il Consiglio sta esaminando il progetto di regolamento per il periodo dal 1o gennaio 2009 al 31 dicembre 2011. La proposta è stata presentata anche al Parlamento europeo, che ha espresso la sua posizione.

Come nel caso di qualsiasi proposta legislativa, il Consiglio seguirà le procedure previste dai Trattati nel processo di adozione del regolamento proposto, rispettando in questo modo l’equilibrio istituzionale derivante dagli stessi Trattati.

 
 

(1) GU L 169 del 30.6.2005, pag. 1.

 

Interrogazione n. 36 dell’on. Diamanto Manolakou (H-0250/08)
 Oggetto: Intimidazione di un giovane militante croato
 

Alcuni giorni fa, le autorità croate, paese candidato all’adesione all’Unione europea, hanno perpetrato atti intimidatori (perquisizione del domicilio ed interrogatorio) nei confronti di Vinko Drača, un giovane membro di “SOS - Unione della gioventù croata”, adducendo che era in possesso di poster della Carovana internazionale della solidarietà, organizzata dalla Federazione mondiale della gioventù democratica il 3-6 aprile 2008 in capitali dei Balcani, con la partecipazione di numerose organizzazioni comuniste e antimperialiste della gioventù. Per giustificare tale violazione brutale dei diritti democratici fondamentali, le autorità croate hanno invocato la visita del Presidente statunitense Bush in Croazia.

Può il Consiglio dire se condanna tale genere di atti volti a terrorizzare e ad ostacolare l’attività politica della gioventù progressista e che calpestano in modo brutale i diritti democratici fondamentali dei giovani?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Il Consiglio non è a conoscenza dei particolari e delle circostanze del caso di Vinko Drača, cui l’interrogazione fa riferimento.

Il Consiglio desidera tuttavia assicurare all’onorevole parlamentare che la posizione generale dell’UE sull’aderenza ai principi elementari della democrazia e del rispetto dei diritti umani e il suo impegno nei confronti di tali principi sono estremamente chiari. In qualità di paese impegnato nei negoziati sull’adesione all’UE, la Croazia deve soddisfare i criteri politici stabiliti durante la riunione del Consiglio europeo di Copenaghen; in altre parole, deve possedere una sufficiente stabilità istituzionale per garantire la democrazia, lo Stato di diritto, il rispetto dei diritti umani e la protezione delle minoranze.

Per quanto riguarda i requisiti stabiliti nel quadro dei negoziati di adesione, la Croazia dovrebbe anche proseguire il processo di riforme e compiere ulteriori progressi nell’applicazione dei principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani e libertà fondamentali e dello Stato di diritto sui quali l’Unione europea è fondata.

Tutti questi argomenti vengono discussi nelle riunioni del Consiglio di stabilizzazione e di associazione, la prossima delle quali si svolgerà a Lussemburgo il 28 aprile, nonché nei negoziati di adesione, nell’ambito della parte dedicata a giustizia e diritti fondamentali. Gli organi competenti del Consiglio continueranno inoltre a occuparsi di tali questioni e a verificare l’attuazione del partenariato di adesione riveduto.

Il Consiglio può pertanto assicurare all’onorevole parlamentare che continuerà a seguire da vicino la questione dei diritti fondamentali e farà sì che venga affrontata ai livelli appropriati.

 

Interrogazione n. 37 dell’on. Jean Lambert (H-0252/08)
 Oggetto: Donne di conforto: schiavitù sessuale in tempo di guerra prima e durante la Seconda Guerra Mondiale da parte dell’esercito imperiale giapponese
 

Il 13 dicembre 2007, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione P6_TA(2007)0632 che, tra l’altro, invitava il governo giapponese ad accettare formalmente la responsabilità storica e giuridica per l’asservimento e la schiavizzazione di “donne di conforto”, e a refutare pubblicamente qualsiasi pretesa che tali atrocità non abbiano mai avuto luogo. Riconoscendo e compensando crimini commessi nel passato in Giappone, si invierebbe un segnale necessario, considerando che la violenza sessuale contro le donne è ancora utilizzata come strumento di guerra in zone di conflitto.

Sulla base della risoluzione del Parlamento di dicembre, e di dichiarazioni d’intenti da parte sia della presidenza slovena che della prossima presidenza francese di rendere prioritari i diritti delle donne nei conflitti armati, che azioni ha finora preso il Consiglio per dar seguito alla risoluzione del Parlamento europeo? Ha il Consiglio intenzione di utilizzare il prossimo vertice UE-Giappone per chiedere pubbliche scuse del governo giapponese e un riconoscimento che quanto è successo alle “donne di conforto” costituisce un crimine in base al diritto internazionale? Di quali ulteriori piani dispone il Consiglio per far avanzare tale impegno nell’ambito di prossime rilevanti riunioni?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Il Consiglio ha esaminato la risoluzione adottata dal Parlamento europeo il 13 dicembre 2007 relativa a giustizia per le “donne di conforto” (schiave del sesso in Asia prima e durante la Seconda guerra mondiale).

L’UE attribuisce particolare importanza ai diritti delle donne e alla questione della violenza contro le donne.

Conformemente alle norme internazionali sui diritti umani e ai principi etici e costituzionali comuni a tutti gli Stati membri dell’Unione europea, l’UE chiede costantemente ai paesi non comunitari di attenersi alle risoluzioni adottate dagli organi delle Nazioni Unite e di iniziare ad applicare leggi e misure intese a garantire il massimo rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali delle donne.

In questo contesto, si sottolinea che nella dichiarazione di Vienna e nel programma d’azione adottato dalla Conferenza mondiale sui diritti umani nel 1993 si stabiliva che il godimento pieno e paritario dei diritti umani da parte delle donne era un obiettivo prioritario della comunità internazionale e che i governi e le Nazioni Unite avrebbero intensificato gli sforzi per conseguirlo.

L’UE e il Giappone discutono regolarmente delle questioni dei diritti umani nelle riunioni ministeriali della troika dell’UE e del Giappone.

La Presidenza slovena ritiene importante anche il problema della protezione delle donne coinvolte in conflitti armati.

L’Unione europea continuerà a dedicare estrema attenzione alla questione.

 

Interrogazione n. 38 dell’on. Silvia-Adriana Ţicău (H-0253/08)
 Oggetto: Stato d’avanzamento della revisione strategica della politica energetica
 

Il Consiglio europeo di marzo 2008 ha sottolineato quanto sia importante accrescere la sicurezza energetica dell’Unione europea, mentre quello di marzo 2007 aveva definito il progetto Nabucco come un progetto di interesse europeo ai fini della diversificazione delle fonti di approvvigionamento e della sicurezza energetica dell’Unione. Può il Consiglio indicare qual è lo stato di avanzamento della revisione strategica della politica energetica – annunciata nel mese di marzo in occasione del Consiglio europeo – che deve essere incentrata sulla sicurezza dell’approvvigionamento, l’interconnessione e la politica estera dell’Unione nel settore energetico?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Come affermato dall’onorevole parlamentare, nelle riunioni di marzo 2007 e marzo 2008 il Consiglio europeo ha fatto riferimento all’importanza della sicurezza energetica nell’Unione europea, che si riflette nel piano d’azione del Consiglio europeo (2007-2009) per una politica energetica per l’Europa. In base alle conclusioni adottate dal Consiglio europeo nel marzo 2008, il prossimo riesame della strategia energetica verrà effettuata nel novembre 2008. Come l’onorevole parlamentare senza dubbio sa, di tale riesame è responsabile la Commissione, la quale può quindi fornire approfondite informazioni sulla situazione attuale.

 

Interrogazione n. 39 dell’on. Pedro Guerreiro (H-0255/08)
 Oggetto: Relazioni UE-Cuba
 

Stanti le sanzioni adottate dall’UE nel 2003 – e rimaste finora inapplicate – e considerata la sua posizione comune del 1996 su Cuba, che stabilisce l’obiettivo di promuovere cambiamenti politici con un atteggiamento di aperta interferenza negli affari interni di uno Stato sovrano, si chiede al Consiglio: quali iniziative ha previsto l’UE per normalizzare i suoi rapporti con Cuba e, in particolare, per rimuovere gli ostacoli oggettivi frapposti a tali relazioni, quali le sanzioni e la predetta posizione comune?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Le misure cui l’onorevole Guerreiro fa riferimento sono state adottate dal Consiglio nel 2003. Questa iniziativa era stata intrapresa in risposta alle pene detentive imposte a 75 membri dell’opposizione pacifica che avevano condotto una campagna a favore della libertà di espressione. Cuba, dal canto suo, aveva deciso di congelare i rapporti con le autorità degli Stati membri dell’UE le cui ambasciate avevano invitato i membri dell’opposizione pacifica a partecipare a funzioni celebrative nei giorni di festività nazionali. Nel 2005 l’Unione europea ha revocato unilateralmente le misure emanate nel 2003 nel tentativo di normalizzare di nuovo i rapporti tra Unione europea e Cuba.

Come dichiarato nelle conclusioni del Consiglio europeo del giugno 2007, l’UE riconosce il diritto dei cittadini cubani di decidere essi stessi del loro futuro e resta disposta a contribuire attivamente, attraverso la cooperazione allo sviluppo e in altri modi, al futuro sviluppo di tutti i settori della società cubana.

L’UE continuerà a rammentare alle autorità cubane il loro obbligo di promuovere il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali dei cittadini cubani, tenuto anche conto del fatto che Cuba è membro del Consiglio dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite.

Il Consiglio esaminerà inoltre la possibilità di riprendere un dialogo globale e aperto con le autorità cubane, secondo quanto suggerito nelle conclusioni adottate dal Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” nel giugno 2007, sebbene a questo punto spetti a Cuba accettare l’offerta di dialogo politico e l’invito a partecipare a una riunione a Bruxelles.

 

Interrogazione n. 40 dell’on. Laima Liucija Andrikienė (H-0257/08)
 Oggetto: Strategia di prevenzione del cancro
 

La Presidenza in carica dell’Unione europea ha fatto della lotta ai tumori uno dei suoi obiettivi prioritari. Secondo gli esperti, la catastrofe di Chernobyl sopravvenuta il 26 aprile 1986 è responsabile di un sensibile aumento del numero di tumori. Le conseguenze di questa catastrofe si risentono ancora oggi non solo in Ucraina e in Bielorussia ma anche negli altri paesi della regione, che sono membri dell’Unione europea, vale a dire Polonia, Lettonia e Lituania. Gli esperti indicano che esiste una correlazione tra la catastrofe di Chernobyl e il numero crescente di tumori, malattie cardiovascolari, problemi di sterilità fra le giovani coppie, ecc..

Quali misure prevede di adottare il Consiglio per contribuire alla lotta contro i tumori, che esso considera una priorità? È previsto un piano d’azione per risolvere tali problemi nell’Unione europea? Esiste una strategia in materia di prevenzione dei tumori?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Il Consiglio ringrazia l’onorevole parlamentare per il suo interesse nei confronti di questo importante problema. La lotta contro il cancro è una delle massime priorità della Presidenza slovena nel settore della salute pubblica. A seguito della recente conferenza dal titolo “The Burden of Cancer - How Can It Be Reduced” (Come alleggerire il peso del cancro?), che si è tenuta a Brdo pri Kranju (Slovenia) il 7 e 8 febbraio 2008, la Presidenza presenterà le conclusioni del Consiglio che saranno adottate nella riunione del Consiglio del 10 giugno 2008.

La Presidenza proporrà che il Consiglio chieda alla Commissione di presentare un piano d’azione dell’UE per la lotta contro il cancro basato sui principi fondamentali e gli obiettivi strategici stabiliti nel Libro bianco intitolato “Un impegno comune per la salute: approccio strategico dell’UE per il periodo 2008-2013”(1); il piano d’azione dovrebbe considerare tutti gli aspetti di una strategia olistica e interdisciplinare per il controllo del cancro, fra cui la prevenzione, la diagnosi precoce, la diagnostica, il trattamento, la riabilitazione e le cure palliative.

La Comunità europea e gli Stati membri compiono sforzi incessanti per prevenire e controllare il cancro sulla base delle prove disponibili attraverso iniziative e misure intese a promuovere la salute pubblica e a prevenire tale malattia incoraggiando stili di vita sani. Gli sforzi si concentrano su obiettivi quali la riduzione del consumo di tabacco, la promozione di regimi alimentari sani e dell’attività fisica, la riduzione del consumo di alcolici pericoloso e dannoso, l’esecuzione di esami di diagnosi precoce, l’attenuazione degli effetti di agenti cancerogeni fisici, chimici e biologici sul luogo di lavoro e nell’ambiente e la garanzia della sicurezza dei prodotti alimentari allo scopo di ridurre al minimo il rischio di sviluppare il cancro.

La prevenzione resta la strategia a lungo termine più efficace per ridurre l’onere sempre più pesante del cancro. Un intervento coerente per la promozione della salute pubblica e della prevenzione primaria attraverso misure appropriate in vari settori legislativi e in vari ambiti di attività contribuirebbe a prevenire il cancro.

 
 

(1) COM(2007) 630 def.

 

Interrogazione n. 41 dell’on. Ryszard Czarnecki (H-0259/08)
 Oggetto: Misure repressive contro i giornalisti e i media indipendenti in Bielorussia
 

Che iniziativa intende prendere il Consiglio per reagire contro le misure repressive prese in Bielorussia nei confronti dei giornalisti e dei media indipendenti?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Il Consiglio ha seguito con profonda preoccupazione gli eventi del 27 marzo, quando forze di polizia bielorusse hanno fatto irruzione nei locali di Radio Racja, della Radio europea per la Bielorussia e dell’emittente televisiva Belsat e hanno arrestato e interrogato vari giornalisti indipendenti dell’agenzia di stampa Belapan. Il 28 marzo la Presidenza ha rilasciato una dichiarazione a nome dell’Unione europea in cui ha espresso grande disappunto riguardo agli ultimi avvenimenti verificatisi in Bielorussia, sottolineando inoltre che, a cominciare dal 27 marzo, ha avuto luogo un’altra serie allarmante di retate in tutto il paese con il conseguente arresto di giornalisti bielorussi che avevano contatti con i media stranieri.

 

Interrogazione n. 42 dell’on. Hans-Peter Martin (H-0261/08)
 Oggetto: Inquadramento delle agenzie europee di regolazione
 

Nel 2005 la Commissione ha presentato un progetto di accordo interistituzionale relativo all’inquadramento delle agenzie europee di regolazione. Dalla comunicazione della Commissione dell’11 marzo 2008 (COM(2008)0135) risulta che la proposta è stata ritirata. Quale motivazione viene tra l’altro addotto il fatto che i negoziati sul progetto “si sono sfortunatamente arenati nel 2006, poiché il Consiglio non era disposto ad occuparsi della questione ed erano stati sollevati dubbi sull’idoneità dell’accordo interistituzionale come strumento di intervento”.

Come ha giustificato il Consiglio il rifiuto di portare avanti i negoziati sull’accordo interistituzionale?

Come giudica il contenuto della comunicazione della Commissione dell’11 marzo 2008?

Secondo il Consiglio, quali condizioni andrebbero soddisfatte per poter giungere entro l’anno, riguardo all’inquadramento delle agenzie di regolazione, ad una soluzione accettabile per tutte e tre le istituzioni?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Nel 2005 il Consiglio ha iniziato l’esame del progetto di accordo interistituzionale relativo all’inquadramento delle agenzie europee di regolazione presentato dalla Commissione(1). Il dibattito si è concluso nell’aprile 2007. Con lettera del 22 giugno 2007 indirizzata al Presidente del Parlamento europeo è stato sintetizzato l’esito dei dibattiti del Consiglio per il Parlamento europeo.

La lettera riferiva che il Consiglio aveva deciso che, al momento dell’istituzione delle agenzie di regolazione, si doveva tenere conto dei principi di buon governo, miglioramento dell’attività di legiferazione, responsabilità, trasparenza, professionalità ed esame delle agenzie sulla base di analisi costi-benefici e di valutazioni d’impatto. In seno al Consiglio non è stato tuttavia raggiunto un livello di sostegno sufficiente a favore dell’adozione di uno strumento giuridicamente vincolante o di un accordo interistituzionale che istituisca un quadro normativo generale per le agenzie di regolazione.

Nella stessa lettera, il Consiglio ha anche espresso la sua disponibilità a esaminare, insieme al Parlamento e alla Commissione, i problemi relativi all’istituzione e al funzionamento delle agenzie di regolazione. Con questo si intende un esame eseguito caso per caso tenendo conto non soltanto della base giuridica appropriata, ma anche di altri strumenti giuridici esistenti, come quelli che disciplinano la procedura di bilancio, e conformemente alle decisioni del Consiglio.

Riguardo alla seconda domanda dell’onorevole parlamentare, il Consiglio esaminerà in tempo utile la comunicazione della Commissione dell’11 marzo 2008 intitolata “Il futuro delle agenzie europee”(2).

 
 

(1)Progetto di accordo interistituzionale relativo all’inquadramento delle agenzie europee di regolazione – COM(2005) 59 def. – 7032/05.
(2)COM(2008) 135 def.

 

Interrogazione n. 43 dell’on. Georgios Toussas (H-0263/08)
 Oggetto: Scudo antimissile USA in territorio polacco e ceco
 

Nel corso del vertice NATO tenutosi di recente, il 4 aprile 2008, è stato deciso di installare il sistema USA di difesa antimissile in Polonia e nella Repubblica ceca e di estendere la partecipazione ad altri Stati membri dell’UE. Questa misura precipitosa da parte degli USA e della NATO lancia una nuova corsa agli armamenti, esacerba le rivalità e gli antagonismi imperialistici nella regione e comporta rischi notevoli e conseguenze impreviste per tutta l’Europa.

Questi piani aggressivi hanno trovato un’opposizione di massa da parte della popolazione polacca e ceca e la condanna risoluta da parte del movimento europeo antimperialista per la pace.

Può il Consiglio riferire se condanna la decisione presa dalla NATO e dagli USA di mettere in atto questo progetto estremamente rischioso malgrado l’opposizione delle popolazioni polacca e ceca e di quelle europee in generale?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

Il dibattito sullo scudo antimissile è stato condotto finora a tre livelli, in particolare (1) nei negoziati bilaterali tra gli Stati Uniti e i governi dei paesi interessati (Repubblica ceca e Polonia), (2) nei negoziati bilaterali tra gli Stati Uniti e la Russia e (3) nei dibattiti svoltisi nel quadro della NATO, fra qui quelli tenuti in seno al Consiglio NATO-Russia. La NATO resta il fondamento della difesa collettiva dei suoi membri, e per questo motivo è stata la principale sede di dibattito sui piani degli Stati Uniti per uno scudo antimissile in Europa.

Per quanto riguarda l’Unione europea, la questione rientra nell’ambito di competenza degli Stati membri.

 

Interrogazione n. 44 dell’on. Athanasios Pafilis (H-0265/08)
 Oggetto: Inaccettabile messa fuori legge dell’Unione della gioventù comunista ceca (KSM)
 

La decisione presa dal governo ceco nell’ottobre 2006 di vietare le attività dell’Unione della gioventù comunista ceca (KSM) e la recente conferma di tale decisione da parte delle autorità giudiziarie del paese violano in modo flagrante i diritti fondamentali della libertà di espressione e di circolazione delle idee, come anche il diritto di costituire organismi politici. L’argomento su cui si fonda la messa fuori legge dell’Unione della gioventù comunista ceca, vale a dire che essa “si dichiara favorevole alla socializzazione dei mezzi di produzione”, è inaccettabile e pericoloso, e prova che questa inammissibile decisione si inserisce nella più generale campagna anticomunista che sta prendendo piede nell’Unione europea e che è volta a lottare contro l’ideologia comunista e l’azione antimperialista nonché a criminalizzarle.

Condanna il Consiglio le persecuzioni politiche, le interdizioni e la criminalizzazione dell’azione politica ai danni dell’Unione della gioventù comunista ceca, che hanno luogo in un periodo di intensa mobilitazione popolare e di opposizione all’installazione di un sistema antimissile statunitense in Europa?

 
  
 

Questa risposta, elaborata dalla Presidenza, e di per sé non vincolante per il Consiglio né per gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nell’aprile 2008.

L’interrogazione dell’onorevole Athanasios Pafilis riguarda una questione che rientra nell’ambito di competenza dello Stato membro cui fa riferimento. Il Consiglio non può adottare una posizione in materia.

 

INTERROGAZIONI ALLA COMMISSIONE
Interrogazione n. 51 dell’on. Sarah Ludford (H-0190/08)
 Oggetto: Uguaglianza in materia di occupazione
 

Ritiene la Commissione che le Employment Equality (Sexual Orientation) regulations del Regno Unito abbiano correttamente attuato la direttiva 2000/78/CE(1) anche per quanto concerne l’esonero per le associazioni religiose, l’adeguatezza della protezione per gli eterosessuali che denunciano discriminazioni basate sul “comportamento gay”, e l’applicazione di un “causality test” tra la presunta discriminazione e l’orientamento sessuale di una persona?

 
  
 

La Commissione sta attualmente analizzando il recepimento della direttiva 2000/78/CE(2) da parte del Regno Unito. Questo paese ha recepito la direttiva in questione in particolare attraverso la normativa “Employment Equality (Sexual Orientation)” del 2003. Pur essendo troppo presto per fornire una valutazione definitiva della conformità di tale normativa alla direttiva 2000/78/CE, la Commissione desidera formulare alcune osservazioni sugli aspetti sollevati nell’interrogazione.

In base all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2000/78/CE, è possibile giustificare una differenza di trattamento se una particolare caratteristica costituisce un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa. Questa possibilità esiste soltanto in relazione al carattere della particolare attività lavorativa interessata.

Riguardo alla normativa “Employment Equality (Sexual Orientation)” del 2003, la Commissione sottolinea che un datore di lavoro può applicare un requisito relativo all’orientamento sessuale in caso di posto di lavoro che abbia a che fare con una religione organizzata se lo scopo è rispettare quanto imposto dalla dottrina religiosa o evitare un conflitto con le rigide convinzioni religiose di un numero significativo di credenti. La Commissione è del parere che tali disposizioni possano essere ritenute compatibili con la direttiva, a condizione che esista un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa che abbia una finalità legittima e che sia applicato in maniera proporzionata.

Per quanto riguarda la protezione delle persone eterosessuali contro le discriminazioni, occorre tenere presente che il divieto di discriminazione fondata sull’orientamento sessuale si applica in maniera analoga alle persone omosessuali ed eterosessuali. Una persona eterosessuale sarebbe pertanto protetta contro possibili discriminazioni allo stesso modo di una persona omosessuale.

Il “causality test” nei casi di discriminazione è stabilito all’articolo 2 della direttiva, che definisce la discriminazione. Sussiste discriminazione diretta basata sull’orientamento sessuale quando una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia trattata un’altra in una situazione analoga a causa del suo orientamento sessuale. Sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione o una prassi neutra ha effetti sproporzionati su persone di un particolare orientamento sessuale, a meno che la finalità perseguita sia legittima e tale disposizione o prassi siano applicate in maniera proporzionata. Va anche sottolineato che l’articolo 10 della direttiva consente di invertire l’onere della prova qualora la persona che sostiene di essere vittima di discriminazione possa dimostrare una presunzione di discriminazione: in questo caso, incombe alla parte convenuta provare che non vi è stata discriminazione.

 
 

(1) GU L 303 del 2.12.2000, pag. 16.
(2) GU L 303 del 2.12.2000.

 

Interrogazione n. 52 dell’on. Martin Callanan (H-0197/08)
 Oggetto: Occupazione, affari sociali e pari opportunità
 

Vorrei chiedere alla Commissione se la Carta dei diritti fondamentali come interpretata nel trattato di Lisbona, sarà applicabile e vincolante nei riguardi delle normative del Regno Unito, e in particolare del diritto del lavoro?

 
  
 

L’articolo 6 del Trattato sull’Unione europea, modificato dal Trattato di Lisbona firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007, stabilisce che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, solennemente proclamata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, ha lo stesso valore giuridico dei Trattati.

Conformemente all’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, quest’ultima si applica alle Istituzioni, agli organi, agli uffici e alle agenzie dell’Unione come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione.

Il protocollo (n. 7) del Trattato UE, modificato dal Trattato di Lisbona, chiarisce l’applicazione della Carta in relazione alle leggi e all’azione amministrativa della Polonia e del Regno Unito e la sua azionabilità dinanzi a un organo giurisdizionale in tali Stati membri.

Il protocollo in questione stabilisce in particolare che la Carta non estende la competenza della Corte di giustizia dell’Unione europea o di qualunque altro organo giurisdizionale della Polonia o del Regno Unito a ritenere che le leggi, i regolamenti o le disposizioni, le pratiche o l’azione amministrativa di tali Stati membri non siano conformi ai diritti, alle libertà e ai principi fondamentali che essa riafferma, aggiungendo inoltre che nulla nel titolo IV (relativo alla solidarietà e ad alcuni dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori) della Carta crea diritti azionabili dinanzi a un organo giurisdizionale applicabili alla Polonia o al Regno Unito, salvo nella misura in cui la Polonia o il Regno Unito abbiano previsto tali diritti nel rispettivo diritto interno.

 

Interrogazione n. 53 dell’on. Nirj Deva (H-0199/08)
 Oggetto: Occupazione
 

Vorrei chiedere alla Commissione quali siano le definizioni giuridiche e gli effetti giuridici dei termini contenuti nel trattato di Lisbona?

 
  
 

Le espressioni “una protezione sociale adeguata” e “un livello di occupazione elevato e duraturo” si riferiscono agli obiettivi da conseguire nel contesto della politica sociale attuale, in quanto vengono menzionati all’articolo 136 del presente Trattato CE. Il Trattato di Lisbona ha confermato tali obiettivi, tenuto conto che l’articolo 136 del Trattato CE non è stato modificato. La Commissione sottolinea inoltre che l’articolo 2 del Trattato UE è stato modificato dal Trattato di Lisbona, che sostituisce “l’Unione si prefigge i seguenti obiettivi: promuovere il progresso economico e sociale e un elevato livello di occupazione” con “l’Unione … si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su … un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione”.

La Commissione desidera informare l’onorevole parlamentare che le Istituzioni comunitarie non hanno ancora formulato una definizione giuridica finale di tali obiettivi.

Per il conseguimento di questi obiettivi, tra gli altri, la Comunità sostiene e integra l’azione degli Stati membri in alcuni settori elencati all’articolo 137 del Trattato CE, quali la sicurezza sociale e la protezione sociale, nonché varie forme di protezione dei lavoratori.

 

Interrogazione n. 54 dell’on. Nils Lundgren (H-0201/08)
 Oggetto: Trattato di Lisbona
 

Ritiene la Commissione che ai sensi degli articoli da 145 a 148 del trattato di Lisbona le istituzioni possano adottare disposizioni giuridicamente vincolanti in materia di politica dell’occupazione? Quali aspetti della politica dell’occupazione adottata a livello nazionale non sono disciplinati dalle disposizioni dell’UE e non rientrano nella sfera di competenza della Corte di giustizia delle Comunità europee? Può la Commissione far sapere se formulazioni quali “miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso”, “una protezione sociale adeguata” e “un livello occupazionale elevato e duraturo”, contenute all’articolo 151, hanno effetti legali? Come definisce la Commissione il concetto di “livello occupazionale elevato e duraturo”?

 
  
 

A seguito della ratifica del Trattato di Lisbona, gli articoli da 145 a 148, cui l’onorevole parlamentare fa riferimento, saranno gli articoli relativi alla politica a favore dell’occupazione, che sarà una delle politiche da definire in base al Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Si tratta in realtà degli articoli da 125 a 128 del presente Trattato CE, che non sono stati modificati dal Trattato di Lisbona. Le Istituzioni europee non potranno pertanto adottare misure vincolanti in materia di occupazione come fanno attualmente. Ne consegue che la cooperazione europea per l’occupazione deriva dalla strategia europea per l’occupazione, che è basata sul metodo aperto di coordinamento, nell’ambito del quale il Consiglio e la Commissione decidono in merito agli orientamenti generali e agli obiettivi comuni e alla possibilità di adottare raccomandazioni specifiche.

La Commissione desidera informare l’onorevole parlamentare che l’articolo 151 del Trattato di Lisbona riprende esattamente la formulazione del presente articolo 136 del Trattato CE, nonché i suoi obiettivi. Al momento, per il conseguimento di questi obiettivi la Comunità sostiene e integra l’azione degli Stati membri in alcuni settori elencati all’articolo 137 del Trattato CE, quali la sicurezza sociale e la protezione sociale, nonché varie forme di protezione dei lavoratori.

La Commissione sottolinea tuttavia che né le Istituzioni comunitarie né la Corte di giustizia delle Comunità europee hanno formulato una definizione giuridica di “livello occupazionale elevato e duraturo”.

 

Interrogazione n. 55 dell’on. Bernd Posselt (H-0206/08)
 Oggetto: Salario educativo e demografia
 

Ha la Commissione nel frattempo approfondito, come dichiarato in una sua precedente risposta, gli effetti di un salario per l’educazione sull’evoluzione demografica nei paesi in cui detto salario esiste (per esempio Norvegia) e ha avviato contatti con ONG attive in questo campo?

 
  
 

La Commissione desidera precisare che i demografi tendono a essere molto cauti quando si tratta di attribuire fenomeni demografici, come ad esempio un cambiamento del numero di nascite, a specifiche misure di politica sociale. E’ probabile che i tassi di nascita relativamente alti in Norvegia siano dovuti a una serie di vari fattori socioeconomici e culturali. Pur non avendo effettuato valutazioni di misure specifiche, la Commissione è arrivata alla conclusione, sulla base di un’ampia serie di prove disponibili, che è più probabile che il sostegno alla famiglia che promuove una migliore conciliazione tra vita lavorativa, vita privata e vita familiare contribuisca a ridurre il divario tra il numero di figli desiderati e quello dei figli che le persone effettivamente hanno.

Il sistema di prestazioni parentali norvegese promuove la conciliazione tra lavoro e vita familiare offrendo un elevato livello di indennità (dall’80 per cento al 100 per cento dei redditi precedenti fino a un limite di circa 50 000 euro all’anno) per un breve periodo di 44 o 54 settimane (il periodo più lungo soltanto al tasso dell’80 per cento dei redditi precedenti). Sei settimane di congedo parentale retribuito sono riservate al padre e non possono essere usufruite dalla madre. Il sistema incoraggia quindi un rapido ritorno al mercato del lavoro e, in particolare offrendo una completa sostituzione dei redditi persi fino a un massimale elevato, crea condizioni in cui a prendere il congedo parentale sono i padri con redditi superiori rispetto alla madre(1).

Al fine di sostenere gli Stati membri che vogliono modernizzare le proprie politiche familiari, e soprattutto migliorare l’equilibrio tra vita lavorativa e vita familiare, la Commissione ha intrapreso una serie di iniziative, concentrandosi in particolare sull’aspetto della conciliazione e sugli stretti legami con la strategia di Lisbona e la politica di parità tra donne e uomini, fra cui quanto di seguito indicato.

Nel maggio 2007 la Commissione ha pubblicato la comunicazione “Promuovere la solidarietà tra le generazioni”(2) che contiene un quadro generale delle politiche di sostegno alla famiglia nell’Unione europea e risponde alla richiesta del Consiglio europeo di costituire un’Alleanza europea per la famiglia, una piattaforma europea per lo scambio di informazioni, buone prassi e risultati delle ricerche nel settore delle politiche familiari.

La Commissione ha avviato una consultazione delle parti sociali europee conformemente all’articolo 138, paragrafo 3, del Trattato CE sul tema della conciliazione tra vita lavorativa, familiare e privata, anche per quanto riguarda la possibile revisione della direttiva 96/34/CE(3) relativa al congedo parentale. La procedura di consultazione è giunta alla seconda fase e, in funzione del risultato finale, la Commissione potrà decidere di presentare proposte per integrare la legislazione esistente in materia di conciliazione.

Nel giugno 2007 la Commissione ha istituito un nuovo gruppo di esperti governativi sulle questioni demografiche che comprende rappresentanti di tutti i 27 Stati membri. Nel 2008 il gruppo di esperti ha deciso di concentrarsi sulla valutazione delle politiche familiari e delle politiche nel campo dell’invecchiamento attivo.

Vari progetti finanziati nell’ambito dei programmi quadro di ricerca dell’UE e studi su argomenti legati alla famiglia contribuiranno ad accrescere la conoscenza delle politiche demografiche e familiari. La Commissione sostiene inoltre l’OCSE al fine di accelerare la creazione della sua nuova banca dati di indicatori familiari.

La Commissione proseguirà la serie di forum e relazioni biennali sulla demografia. Il prossimo forum sulla demografia dovrebbe svolgersi a Bruxelles il 24 e 25 novembre 2008 e la seconda relazione sulla demografia dovrebbe essere pubblicata in tempo utile per il forum. Sia il forum che la relazione rivolgeranno l’attenzione alle politiche intese a conciliare lavoro e vita familiare.

La Commissione è in contatto con un’ampia serie di organizzazioni non governative (ONG) su questioni inerenti alla famiglia. In particolare, si svolgono riunioni e seminari, cui sono invitati i rappresentanti delle ONG, in relazione alle riunioni del gruppo di esperti governativi sulle questioni demografiche. Uno di tali seminari, tenuto nel novembre 2007, era incentrato sulla custodia dei bambini e un altro seminario sulle politiche familiari è previsto per giugno 2008. Il portale web dell’Alleanza europea per la famiglia offrirà una sede per l’instaurazione di contatti e lo scambio di informazioni tra le organizzazioni competenti.

 
 

(1) Per ulteriori informazioni su questo sistema di prestazioni parentali e sui regimi esistenti in altri paesi europei: cfr. MISSOC (tabelle comparative sulla protezione sociale) all’indirizzo http://ec.europa.eu/employment_social/spsi/missoc_en.htm".
(2) COM(2007) 244.
(3) Direttiva 96/34/CE del Consiglio del 3 giugno 1996 concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, GU L 145 del 19.6.1996.

 

Interrogazione n. 56 dell’on. Glenis Willmott (H-0209/08)
 Oggetto: Violenza imputabile a terzi (da parte dei cittadini)
 

Uno studio recente dell’Union of Shop, Distributive and Allied Workers del Regno Unito (USDAW) sull’esperienza da parte dei negozianti di violenze e abusi correlati al lavoro, espone dettagliatamente e suscitando scandalo i terribili abusi, le minacce, le molestie e le violenze subite dai negozianti, proprio da parte dei clienti che cercavano di servire(1).

In aggiunta, il British Crime Survey ha rivelato che su un periodo di 12 mesi si sono registrate circa 339.000 minacce di violenza e 317.000 aggressioni fisiche da parte dei cittadini nei confronti dei lavoratori britannici.

In veste di relatore al Parlamento europeo sulla Strategia recentemente adottata per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro (P6_TA(2008)0009), questa questione è stata sollevata con l’interrogante da numerosi gruppi. L’interrogante è consapevole che l’accordo quadro europeo sulle molestie e la violenza sul luogo di lavoro, sottoscritto il 26 aprile 2007, si riferisce alle violenze imputabili a terzi, quali clienti, pazienti e scolari. Tuttavia, la questione non rientra nelle relative disposizioni.

La Commissione sta attivamente appoggiando il raggiungimento di un accordo multi-settoriale su questa questione ed è pronta ad avanzare proposte nel caso in cui questo accordo non possa essere concluso?

 
  
 

A seguito della consultazione avviata dalla Commissione nel 2005 ai sensi dell’articolo 138 del Trattato CE, il 26 aprile 2007 le parti sociali hanno concluso un accordo indipendente sulle molestie e le violenze sul luogo di lavoro. La Commissione invita l’onorevole parlamentare a far riferimento alla risposta all’interrogazione scritta E-1130/08 dell’onorevole De Rossa, che descrive lo scopo e il contenuto dell’accordo.

In particolare, l’introduzione dell’accordo riconosce tutte le possibili forme di molestie e violenza che possono verificarsi sul luogo di lavoro. L’accordo comprende fra i suoi argomenti la violenza imputabile a “terzi” quali clienti, pazienti, scolari e così via, facendovi espressamente riferimento, ma non sono previste disposizioni specifiche in materia.

La Commissione condivide le preoccupazioni dell’onorevole parlamentare riguardo alla necessità di tenere conto di tutte le forme di violenza, fra cui la violenza imputabile a terzi. Tale forma di violenza spesso richiede una risposta diversa che potrebbe essere al di fuori dell’ambito dell’impresa. Su richiesta di varie organizzazioni delle parti sociali di alcuni settori colpiti dai problemi legati alla violenza imputabile a terzi sul luogo di lavoro, quali la sicurezza privata, gli ospedali e il commercio, il 14 marzo 2008 la Commissione ha tenuto a Bruxelles un seminario multisettoriale sulla violenza imputabile a terzi sul luogo di lavoro. Le parti sociali di tali settori hanno congiuntamente espresso l’intenzione di considerare la possibilità di integrare l’accordo interprofessionale per renderlo più specifico, settoriale e/o multisettoriale. Il seminario rappresenta la prima fase di questo processo, che potrebbe comportare l’apertura di negoziati multisettoriali.

La Commissione ritiene che l’accordo indipendente sulle molestie e le violenze sul luogo di lavoro costituisca un contributo molto positivo alla prevenzione di tutte le forme di violenza e molestie sul luogo di lavoro e che sarebbe opportuno attendere i risultati della sua attuazione e di qualsiasi integrazione settoriale prima di valutare la necessità di altre iniziative comunitarie in questo ambito.

 
 

(1) htttp://www.usdaw.org.uk/getactive/resource_library/files/RLFFrontinesurvey/Lifeonthefrontlinesurvey.pdf.

 

Interrogazione n. 57 dell’on. Stephen Hughes (H-0217/08)
 Oggetto: Silicio cristallino
 

Il silicio cristallino è un componente fondamentale del suolo, della sabbia, del granito e di molti altri minerali. Il quarzo è la forma più comune di silicio cristallino. Esso causa la silicosi, una lenta e progressiva malattia invalidante. Provoca inoltre il cancro ai polmoni ed è comprovata causa di una patologia polmonare cronica ostruttiva.

L’OMS ha già classificato il silicio cristallino come cancerogeno di 1ª classe al quale sono esposti 3,2 milioni di lavoratori per oltre il 75% dell’orario di lavoro. In aggiunta a questo, oltre 2,7% di decessi per il cancro ai bronchi o ai polmoni sono causati dal silicio cristallino. (Fonte: Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro).

L’interrogante chiede una revisione della direttiva sulle sostanze cancerogene nella quale sia inserito anche il silicio cristallino e alla SCOEL (Comitato scientifico per i limiti di esposizione professionale) chiede di stabilire quanto prima un limite vincolante di esposizione.

Condivide la Commissione la proposta dell’interrogante? In caso affermativo, potrebbe esporre la tempistica dell’intervento? In caso negativo, in che modo intende la Commissione garantire che i 3,2 milioni di lavoratori summenzionati possano essere adeguatamente protetti?

 
  
 

L’effetto principale negli esseri umani dell’inalazione di polvere di silicio è la silicosi. Da studi epidemiologici risulta inoltre un’associazione tra l’esposizione al silicio cristallino e un aumento della probabilità di sviluppare il cancro ai polmoni. Il silicio cristallino è stato pertanto classificato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, che fa parte dell’Organizzazione mondiale della sanità, come cancerogeno del gruppo 1 per gli esseri umani. L’Unione europea non ha ancora classificato il silicio cristallino come sostanza cancerogena.

Esistono sufficienti informazioni scientifiche per concludere che il relativo rischio di cancro ai polmoni è maggiore nelle persone con silicosi, ma a quanto pare non nei lavoratori senza silicosi esposti alla polvere di silicio nelle cave e nell’industria della ceramica. Il primo passo per ridurre i rischi di cancro consiste pertanto nel prevenire la silicosi. La piena attuazione e applicazione della strategia di prevenzione stabilita nella direttiva 98/24/CE(1) sarà efficace nella prevenzione dell’insorgere della silicosi e pertanto contribuirà anche a ridurre il rischio di cancro e a garantire la protezione dei 3,2 milioni di lavoratori esposti al silicio cristallino.

Il Comitato scientifico per i limiti d’esposizione professionale ha discusso in maniera approfondita la questione del silicio cristallino respirabile e ha emesso una raccomandazione alla Commissione(2). Il Comitato conclude che, sebbene non possa essere identificata una soglia chiara per lo sviluppo della silicosi, il limite di esposizione professionale deve essere inferiore a 0,05 mg/m3 di polvere di silicio respirabile.

La Commissione concorda sul fatto che il lavoratori esposti al silicio cristallino respirabile debbano essere adeguatamente protetti e valuterà gli effetti dell’applicazione pratica della direttiva 98/24/CE in termini di riduzione dei livelli di esposizione alla polvere di silicio cristallino e, in particolare, i risultati raggiunti a seguito dell’attuazione dell’accordo di dialogo sociale multisettoriale sulla protezione della salute dei lavoratori attraverso la corretta manipolazione ed utilizzo della silice cristallina e dei prodotti che la contengono(3). Se risulterà necessario, la Commissione non esiterà a presentare ulteriori iniziative, fra cui la fissazione di un limite di esposizione vincolante, per rafforzare la protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al silicio cristallino respirabile.

 
 

(1) Direttiva 98/24/CE del Consiglio del 7 aprile 1998 sulla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici durante il lavoro (quattordicesima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE) (GU L 131 del 5.5.1998, pag. 11).
(2) SCOEL/SUM/94 def.
(3) GU C 279 del 17.11.2006, pag. 2.

 

Interrogazione n. 58 dell’on. Stavros Arnaoutakis (H-0225/08)
 Oggetto: Misure per far fronte in modo efficace alla povertà dei lavoratori (“working poor”) in Europa
 

Secondo quanto riportato nella “Relazione congiunta sulla protezione e l’inclusione sociale 2008” del Consiglio (7274/08 SOC 151), l’8% dei cittadini dell’Unione europea, nonostante svolga un’attività lavorativa, è minacciato dalla povertà. Ciò dimostra che l’occupazione non è sempre una garanzia contro la povertà o l’esclusione sociale. Considerato che gli sforzi che si compiono attualmente sulla base della Strategia di Lisbona si concentrano sulla crescita e l’occupazione, può dire la Commissione quali misure intende prendere per far fronte in modo efficace al fenomeno dei lavoratori poveri (“work poverty”), che interessa una percentuale considerevole di lavoratori? Può dire inoltre qual è la percentuale di lavoratori poveri in ciascuno Stato membro?

 
  
 

Gli sforzi compiuti a livello comunitario per lottare contro la povertà e l’esclusione sociale si inseriscono principalmente nell’ambito del metodo aperto di coordinamento. Ogni anno la relazione congiunta sulla protezione e l’inclusione sociale informa il Consiglio europeo di primavera riguardo agli sviluppi nella lotta contro la povertà e l’esclusione(1). Il Consiglio ha da poco adottato la relazione congiunta del 2008.

Dall’analisi contenuta in tale relazione congiunta emergono indicazioni preoccupanti di una persistente disoccupazione nelle famiglie nell’UE: circa il 10 per cento di bambini e la stessa percentuale di adulti di età compresa tra i 18 e i 59 anni (esclusi gli studenti) vivono in famiglie nelle quali nessuno lavora. Questo tasso non è migliorato negli ultimi sei anni. Un altro fattore significativo è la “povertà dei lavoratori”: l’8 per cento della popolazione in età lavorativa rientra in questa categoria e una persona povera su quattro ha un’occupazione (dati Eurostat, anno di percezione di reddito 2005).

Migliorare la situazione delle persone ai margini del mercato del lavoro, compresi i lavoratori poveri, affrontando le loro esigenze specifiche costituisce pertanto una sfida fondamentale per l’Europa. I periodi di crescita economica che stimolano la creazione di posti di lavoro offrono in linea di principio a molte persone ai margini del mercato del lavoro un’opportunità di trovare un posto di lavoro (migliore). Devono tuttavia esistere le condizioni adeguate per assicurare che tale opportunità possa essere effettivamente sfruttata.

La strategia di Lisbona, sostenuta dagli orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione (e in particolare l’orientamento 19), fornisce un quadro per gli Stati membri per definire politiche a favore dell’occupazione che affrontino in modo specifico le esigenze delle persone ai margini del mercato del lavoro. Nel 2006 la Commissione ha condotto una consultazione pubblica sull’ambito dell’azione europea in materia di inclusione attiva e reddito minimo. Il concetto di inclusione attiva è basato su tre pilastri politici: un legame con il mercato del lavoro attraverso le opportunità di lavoro o la formazione professionale, il sostegno al reddito a un livello sufficiente per vivere in maniera dignitosa e un accesso più adeguato ai servizi di base.

Sulla base di un’analisi delle risposte alla consultazione(2), la Commissione ha deciso di avviare la seconda fase di consultazione in cui ha annunciato l’intenzione di emettere una raccomandazione sui principi comuni per l’attuazione del coinvolgimento attivo.

Il tasso di lavoratori poveri varia dal 3 per cento al 14 per cento nell’UE, come di seguito specificato:

- 3 per cento nella Repubblica ceca;

- 4 per cento in Finlandia e Belgio;

- 5 per cento in Svezia, Danimarca, Germania, Slovenia e Malta;

- 6 per cento in Francia, Irlanda e Paesi Bassi;

- 7 per cento in Cipro, Estonia e Austria;

- 8 per cento nel Regno Unito;

- 9 per cento in Slovacchia, Lettonia, Lussemburgo e Italia;

- 10 per cento in Ungheria, Lituania e Spagna;

- 13 per cento in Grecia;

- 14 per cento in Portogallo e Polonia.

 
 

(1) Gli obiettivi del metodo aperto di coordinamento, le relazioni nazionali e le relazioni congiunte finora pubblicate sono disponibili all’indirizzo http://ec.europa.eu/employment_social/social_inclusion".
(2) Disponibile all’indirizzo http://ec.europa.eu/employment_social/social_inclusion/active_inclusion_en.htm".

 

Interrogazione n. 59 dell’on. Justas Vincas Paleckis (H-0228/08)
 Oggetto: Turismo sanitario nell’UE
 

Nel 2006 l’Unione europea si è occupata di una questione che nel linguaggio informale viene chiamata “turismo medico” (o “sanitario”) nell’UE. La discussione verteva su come assicurare che un cittadino dell’UE che non riceve nel suo paese il trattamento necessario possa sottoporsi ad esso in un altro Stato membro. Si proponeva che in casi del genere il costo del trattamento sia a carico del sistema sanitario dello Stato membro di cui il paziente ha la cittadinanza. Purtroppo nel dicembre 2007 l’approvazione dei progetti in materia di turismo sanitario nell’UE è stata rinviata a tempo indeterminato.

Quali misure prenderà la Commissione, alla luce dell’aumento del flusso di viaggiatori legato all’allargamento dello spazio Schengen, per accelerare l’esame dei progetti relativi al turismo sanitario nell’UE e la definizione di una procedura chiara che consenta di sottoporsi ad un trattamento all’estero?

 
  
 

La questione sollevata dall’onorevole parlamentare riguarda l’assistenza sanitaria transfrontaliera. In merito al pagamento delle spese per l’assistenza sanitaria di cui si usufruisce in un altro Stato membro, in base al diritto comunitario i pazienti possono già ottenere il rimborso per i trattamenti ricevuti in un altro Stato membro.

In base al regolamento (CEE) n. 1408/71 relativo al coordinamento dei regimi di sicurezza sociale, la persona assicurata utilizza la propria assicurazione sanitaria e il trattamento viene pagato ai tassi dello Stato in cui il trattamento viene fornito, con, se necessario, un’integrazione differenziale se il tasso di rimborso per il trattamento è più favorevole nel proprio Stato membro che in quello in cui si riceve il trattamento. La nazionalità della persona è irrilevante. Tale sistema riguarda i trattamenti richiesti durante un soggiorno, facendo ricorso alla carta europea di assicurazione contro le malattie, e i trattamenti non urgenti per i quali le autorità competenti hanno autorizzato il paziente a sottoporsi a cure in un altro Stato membro. La Corte ha chiarito le condizioni in cui tale autorizzazione non può essere rifiutata. Le norme sono spiegate sul sito web della Commissione in tutte le lingue ufficiali.

La Corte di giustizia europea ha stabilito che, applicando i principi della libera circolazione ai servizi sanitari, i pazienti possono essere rimborsati per l’assistenza sanitaria ricevuta in un altro Stato membro. Nel caso di cure non ospedaliere, i pazienti possono ottenere un rimborso senza previa autorizzazione. In tali casi, il rimborso è basato sui costi dello Stato al cui sistema sanitario appartiene il paziente. Riguardo alle cure ospedaliere, la Corte ha stabilito che gli Stati membri possono continuare a richiedere l’autorizzazione preventiva nell’interesse della sanità pubblica, per consentire di pianificare i servizi a livello nazionale. In tale circostanza, la Corte ha stabilito che qualsiasi autorizzazione concessa in base al regolamento (CEE) n. 1408/71 per il trattamento in un altro Stato membro richiederebbe l’applicazione dei meccanismi di coordinamento previsti dallo stesso regolamento.

I diritti messi in luce dalle sentenze pronunciate dalla Corte di giustizia in varie cause sono chiari, tuttavia i pazienti ne devono essere maggiormente consapevoli. Come confermato dalla consultazione pubblica organizzata dalla Commissione nel 2006, è necessario chiarire la posizione riguardo ai meccanismi che garantiscono i diritti al rimborso dei costi sostenuti per l’assistenza sanitaria fornita in un altro Stato membro, nonché l’efficienza e la sicurezza dell’assistenza sanitaria transfrontaliera.

Allo scopo di conseguire questi obiettivi, la Commissione presenterà per l’adozione nel giugno 2008 una proposta di direttiva concernente l’esercizio dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera.

 

Interrogazione n. 60 dell’on. Rodi Kratsa-Tsagaropoulou (H-0239/08)
 Oggetto: Riforma dei sistemi di sicurezza sociale in Europa
 

In Grecia è stato di recente approvato il progetto di legge di riforma del sistema di sicurezza sociale. In occasione di questa e di analoghe riforme avviate in altri Stati membri, ha la Commissione raccolto elementi e studi comparativi al riguardo? Quali risultati ha ottenuto la loro attuazione alla data odierna e può essa trarne conclusioni che potrebbero essere utili per altri paesi che hanno in programma analoghe riforme? Ritiene appropriato indicare le migliori pratiche desumibili dall’esperienza di questo tipo di riforme? Qual è il suo giudizio in merito all’innalzamento dei limiti d’età per il pensionamento di uomini e donne? Come giudica la direzione e le scelte operate dalla recente riforma della sicurezza sociale greca? Quali misure aggiuntive di ordine sociale, soprattutto in tema di conciliazione della vita familiare e professionale, ritiene necessarie per far sì che tali riforme abbiano successo?

 
  
 

La Commissione invita l’onorevole parlamentare a far riferimento alla risposta fornita all’interrogazione H-0160/08 dell’onorevole Panayotopoulos-Cassiotou.

Per quanto riguarda la questione delle differenze tra donne e uomini, la Commissione non ha ricevuto notifica del progetto di legge di riforma del sistema di sicurezza sociale greco e pertanto non può fornire una valutazione delle età di pensionamento o del problema della conciliazione tra vita professionale e vita familiare.

E’ tuttavia in corso una procedura di infrazione contro la Grecia, e il 27 giugno 2007 la Commissione ha deferito alla Corte di giustizia europea la questione della differenza dell’età di pensionamento prevista per uomini e donne nel settore pubblico.

In merito all’ultimo punto sollevato nell’interrogazione, dalla valutazione della Commissione contenuta nella relazione di attuazione annuale risulta che la Grecia ha intrapreso iniziative per promuovere l’occupabilità delle donne e la conciliazione tra vita professionale e vita familiare, fra cui iniziative mirate di formazione e consulenza; la situazione delle donne anziane resta tuttavia difficile, e indica la necessità di concentrare nuovamente l’attenzione su questo problema. Inoltre, i divari dei livelli di occupazione e disoccupazione tra uomini e donne restano considerevoli, ponendo in evidenza la necessità di intensificare gli sforzi al riguardo.

 

Interrogazione n. 61 dell’on. Richard Howitt (H-0240/08)
 Oggetto: Convenzione ONU sui diritti dei disabili
 

Quando la Commissione europea intende pubblicare la sua proposta concernente la decisione di aderire alla Convenzione ONU sui diritti dei disabili?

La Commissione europea quali consultazioni ha effettuato e intende effettuare con i disabili e con le loro organizzazioni rappresentative, come il “European Disability Forum”, prima di pubblicare la sua proposta?

Può la Commissione europea confermare che raccomanderà la firma e la ratifica del Protocollo facoltativo della Convenzione ONU sui diritti dei disabili?

Può la Commissione europea confermare che ha effettuato o intende effettuare un esercizio di verifica sull’attuale legislazione UE allo scopo di identificare quali sono i necessari cambiamenti allo scopo di conformarsi alla Convenzione ONU e i tempi in cui si aspetta di completare tale esercizio?

Quali disposizioni prevede di adottare la Commissione in merito al controllo del rispetto della Convenzione da parte della stessa Unione europea?

 
  
 

La Commissione è attualmente impegnata a elaborare un progetto di proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione, da parte della Comunità europea, della Convenzione delle Nazioni Unite (ONU) sui diritti delle persone con disabilità e del suo protocollo facoltativo. La Commissione dovrebbe adottare la proposta nel maggio 2008.

La Commissione consulta regolarmente gli Stati membri e le organizzazioni rappresentative dei disabili, come il European Disability Forum, attraverso il gruppo ad alto livello sulla disabilità. Nella sua ultima riunione, ad esempio, sono state esaminate le risposte a un esauriente questionario sui progressi compiuti nella ratifica/conclusione e attuazione della Convenzione dell’ONU. Tali consultazioni proseguiranno.

Il 27 febbraio 2007 la Commissione ha presentato una proposta di decisione del Consiglio in merito alla firma, a nome della Comunità europea, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità e del suo protocollo opzionale (COM(2007)77). Il 20 marzo 2007 il Consiglio ha adottato una decisione che autorizza la Comunità a firmare la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità e ha formulato una dichiarazione sul protocollo facoltativo (allegato II della decisione) secondo cui il Consiglio avrebbe riesaminato il più presto possibile la questione della firma da parte della Comunità europea del protocollo facoltativo della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. La Commissione ritiene che a questo punto il Consiglio sia in grado di adottare una decisione finale su come procedere riguardo al protocollo facoltativo.

Come previsto dall’articolo 44, paragrafo 1, della Convenzione dell’ONU e dall’articolo 12 del protocollo facoltativo, all’atto della conferma formale la Comunità europea deve dichiarare l’estensione delle proprie competenze nell’ambito disciplinato dalla Convenzione. Nel frattempo è stata effettuata un’ampia analisi della legislazione comunitaria.

La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità contiene disposizioni che rientrano nella sfera di competenza comunitaria e in quella degli Stati membri. La Comunità e gli Stati membri devono definire congiuntamente i precisi meccanismi di controllo della conformità alla Convezione nei settori di competenza condivisa. Il carattere di tali meccanismi sarà definito nella proposta della Commissione di decisione del Consiglio relativa alla conclusione della Convenzione.

 

Interrogazione n. 69 dell’on. Zdzisław Kazimierz Chmielewski (H-0244/08)
 Oggetto: Pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata
 

Gli sforzi compiuti attualmente per elaborare una base legislativa razionale che elimini (riduca) la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata richiedono il coinvolgimento di tutte le parti interessate. L’ultima proposta della Commissione sulla standardizzazione delle pene per la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata sta scatenando le polemiche dei pescatori.

Non sarebbe opportuno esaminare la possibilità di adattare il sistema di sanzioni alla capacità di pesca dell’imbarcazione in questione, dal momento che il reddito dell’armatore dipende chiaramente da tale fattore?

 
  
 

La Commissione è convinta che sia necessario armonizzare le sanzioni amministrative per lottare con efficacia contro la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (INN).

La proposta ha lo scopo di (i) rafforzare la capacità degli Stati membri di garantire che, in un mercato unico, gli operatori non traggano vantaggio dai diversi sistemi di sanzioni a livello nazionale a scapito della politica comune e di (ii) intraprendere un’azione provvisoria per evitare la prosecuzione delle attività di pesca INN individuate.

Spetta a ciascuno Stato membro assicurare la corretta applicazione del diritto comunitario e gli Stati membri possono disciplinare il proprio sistema di sanzioni nel modo che ritengono più opportuno a condizione che le sanzioni abbiano un effetto deterrente conformemente alla proposta.

La proposta relativa alla pesca INN armonizzerà i livelli delle sanzioni amministrative che gli Stati membri devono applicare in caso di grave violazione da parte degli operatori che praticano attività di pesca INN.

La Commissione ritiene che i livelli delle sanzioni debbano essere armonizzati al fine di garantire che qualsiasi vantaggio economico sia più che vanificato dalle sanzioni imposte. Gli operatori cesseranno di praticare la pesca INN una volta che le sanzioni amministrative raggiungeranno un livello non più ritenuto come rientrante nei normali costi di esercizio.

 

Interrogazione n. 74 dell’on. Colm Burke (H-0168/08)
 Oggetto: Tracciabilità degli alimenti
 

La tracciabilità degli alimenti è uno degli assi portanti della politica per la sicurezza alimentare dell’UE e i consumatori dell’Unione si aspettano informazioni chiare in materia.

L’interrogante è venuto a sapere che nel suo Stato membro vi sono stati casi di alimenti commercializzati fornendo indicazioni ingannevoli circa l’origine degli ingredienti.

Può la Commissione precisare se è a conoscenza di tali preoccupanti casi e se sono previste eventuali misure volte a migliorare la tracciabilità degli alimenti?

 
  
 

La tracciabilità degli alimenti e le informazioni alimentari sono strumenti distinti con obiettivi diversi.

Per quanto riguarda la tracciabilità, si tratta di uno strumento di gestione dei rischi da usare per contribuire a contenere un problema di sicurezza alimentare, consentendo alle autorità di controllo di rintracciare un alimento ritenuto non sicuro nella catena alimentare. Le informazioni alimentari destinate ai consumatori hanno lo scopo di consentire all’acquirente di compiere una scelta informata e di non essere tratto in inganno riguardo alle caratteristiche dell’alimento.

L’indicazione dell’origine, della provenienza o della fonte di un alimento sull’etichetta non rientra pertanto nel contesto della tracciabilità. La legislazione comunitaria in materia di etichettatura stabilisce che tali informazioni sono obbligatorie soltanto nei casi in cui la loro omissione potrebbe trarre in inganno l’acquirente.

La proposta della Commissione di regolamento relativo alla fornitura di informazioni alimentari ai consumatori adottata di recente stabilisce specifiche condizioni da soddisfare in caso vengano fornite tali informazioni, per garantire che i consumatori non possano essere tratti in inganno. La proposta è attualmente in fase di esame da parte del Parlamento e del Consiglio.

 

Interrogazione n. 75 dell’on. Mairead McGuinness (H-0172/08)
 Oggetto: Norme sulla produzione alimentare nell’UE
 

L’UE si vanta dell’importanza che attribuisce ai temi della sicurezza alimentare e del fatto di offrire ai consumatori un regime che consente la completa tracciabilità della produzione alimentare all’interno del suo territorio.

Tuttavia, benché tale sistema sia prevalente nell’Unione, vi sono gravi problemi legati alle norme che disciplinano la produzione degli alimenti importati - un aspetto venuto alla luce in riferimento alle importazioni di carne bovina dal Brasile.

Inoltre, molte delle prassi che saranno vietate nell’UE, tra cui i sistemi di produzione di uova in batteria entro il 2012, continueranno ad essere consentite in paesi non appartenenti all’Unione da cui provengono alcune importazioni comunitarie.

Può la Commissione esprimersi su tale importante questione e specificare come intende affrontare le incongruenze esistenti tra le sue politiche e le norme in vigore?

Riguardo al divieto dei sistemi di produzione di uova in batteria, quali misure intende adottare per evitare la rilocalizzazione di tale produzione intensiva dall’UE al di fuori dei suoi confini dopo il 2012? In tale probabile scenario, le produzioni vietate all’interno dell’UE saranno trasferite al di fuori dell’Unione, che si ritroverà ad importare grandi quantità di prodotti (come le uova essiccate) destinati al settore della trasformazione alimentare e ottenuti da sistemi di produzione in batteria, senza che i consumatori ne siano più informati di prima.

 
  
 

Riguardo alle questioni relative al benessere degli animali e ad aspetti commerciali, non esistono accordi multilaterali vincolanti che affrontino direttamente il problema e il benessere degli animali in particolare non è esplicitamente trattato nell’accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie concluso nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC).

Si tratta di uno dei principali motivi di preoccupazione per la Commissione. Nel 2002 la Commissione ha pertanto definito una specifica strategia per far fronte alle implicazioni concorrenziali derivanti per i produttori comunitari dai sistemi di garanzia del benessere degli animali per i volatili da gabbia. Sono già state intraprese varie iniziative per promuovere il benessere degli animali quale vantaggio concorrenziale, come indicato nel programma d’azione comunitario per la protezione e il benessere degli animali 2006-2010.

Accordi bilaterali con Cile e Canada includono già un capitolo sul benessere degli animali. Nel 2007 è stato inoltre concluso un accordo di cooperazione con la Nuova Zelanda. Un numero crescente di partner commerciali segue attualmente con interesse gli sviluppi in materia e sta valutando in quale modo sia possibile cooperare con l’UE riguardo a una questione che sta diventando sempre più importante soprattutto nei paesi in via di sviluppo.

Secondo un sondaggio di Eurobarometro del 2006, l’89 per cento dei consumatori ritiene che i prodotti importati devono essere realizzati in condizioni di benessere degli animali identiche a quelle previste per i prodotti provenienti dall’UE. Al momento la Commissione sta pertanto valutando la possibilità di creare un sistema di etichettatura che tenga conto dell’esigenza di garantire il benessere degli animali e intende presentare nel 2009 una relazione in materia al Parlamento europeo e al Consiglio. Tale sistema sarebbe compatibile con le regole dell’OMC e consentirebbe ai produttori comunitari di porre in evidenza le norme elevate in materia di benessere degli animali applicate nella Comunità allo scopo di informarne i consumatori, che a loro volta insistono sempre più su tali norme elevate nelle loro decisioni di acquisto.

Nel 1999 il Consiglio ha adottato il divieto dei sistemi delle “gabbie non modificate”(1), che proibisce nuovi impianti a partire dal 2003 e concede più di 10 anni al settore del pollame europeo per convertirsi a sistemi alternativi. Alcuni produttori comunitari sono già passati a sistemi di produzione alternativi(2). La Commissione ritiene che spetti a ciascun produttore compiere la propria scelta a questo riguardo e agli Stati membri far applicare la direttiva.

Dalle informazioni disponibili emerge che i consumatori sono sempre più interessati agli aspetti etici e sostenibili della produzione alimentare in Europa, e questo vale anche per i prodotti alimentari trasformati, anche se in generale non sono a conoscenza delle norme attuali e dei requisiti effettivi applicabili all’agricoltura. La Commissione continuerà a valutare le migliori opzioni possibili in modo da sostenere i produttori che soddisfano tali aspettative.

 
 

(1) Direttiva 1999/74/CE del Consiglio del 19 luglio 1999 che stabilisce le norme minime per la protezione delle galline ovaiole (GU L 203 del 3.8.1999).
(2) Secondo recenti studi della DG Agricoltura, nel 2006 nei seguenti Stati membri sono state registrate le seguenti percentuali di produzione di uova con sistemi alternativi: Germania 32,4 per cento, Paesi Bassi 52,6 per cento, Regno Unito 36,2 per cento, Irlanda 34,1 per cento, Francia 18,8 per cento e Italia 12 per cento.

 

Interrogazione n. 76 dell’on. Gay Mitchell (H-0174/08)
 Oggetto: Salute mentale e prevenzione dei suicidi
 

Può la Commissione indicare quali sono i suoi obiettivi in relazione alla conferenza ad alto livello sulla salute mentale del giugno 2008? Nella fase attuale può la Commissione descrivere a grandi linee le strategie che intende adottare per integrare le politiche degli Stati membri in materia di salute mentale e in particolare di suicidi, tenuto conto del fatto che i tassi di suicidio sono ad un livello allarmante e che in Irlanda, ad esempio, il suicidio è una delle cause più comuni di morte tra gli uomini sotto i 35 anni.

 
  
 

La Conferenza ad alto livello sulla salute mentale del 13 giugno 2008 porrà in evidenza che il benessere mentale della popolazione è un fattore positivo per la sanità pubblica nell’UE e contribuisce anche alla buona riuscita nell’apprendimento e nel lavoro e alla coesione sociale.

I disturbi mentali sono tuttavia tra le malattie più gravi e prevalenti in Europa. In casi estremi possono portare al suicidio.

Negli ultimi anni i livelli di suicidi sono leggermente diminuiti da 11,9 casi su 100 000 nella popolazione nel 2000 a 10,6 casi nel 2006.

La situazione resta tuttavia insoddisfacente, tenuto conto che l’UE si adopera per garantire un elevato livello di protezione della salute umana nelle politiche e nelle attività comunitarie:

- il suicidio continua a causare nell’UE più morti degli incidenti stradali;

- l’allargamento ha aumentato le disparità tra gli Stati membri; in molti di questi ultimi, i tassi di suicidi sono tra i più alti al mondo.

Il Consiglio europeo di giugno 2006 ha ribadito la necessità di un’azione al riguardo, stabilendo tra gli obiettivi della nuova strategia dell’UE in materia di sviluppo “migliorare la salute psichica e intervenire per affrontare i rischi di suicidio”.

La Conferenza ad alto livello inviterà pertanto i governi a impegnarsi in uno scambio per individuare il modo più efficace per ridurre i livelli di suicidi e la depressione, che è uno dei principali fattori di rischio. Lo scopo è adottare un patto per la salute mentale che possa servire quale base per azioni future nella promozione di una buona salute mentale, nella prevenzione dei problemi di salute mentale nei giovani, negli anziani e nelle minoranze e nella lotta contro l’esclusione sociale e la discriminazione nei confronti delle persone con problemi di salute mentale.

Le parti interessate nel settore sanitario, in regioni e comunità, nelle scuole e nei luoghi di lavoro saranno invitate a unirsi agli sforzi compiuti al riguardo.

Come risultato, in una fase successiva una conferenza tematica potrebbe stabilire principi approvati di comune accordo e un piano d’azione per prevenire suicidio e depressione.

 

Interrogazione n. 77 dell’on. Syed Kamall (H-0204/08)
 Oggetto: La sanità nel Trattato di Lisbona
 

La Commissione può comunicare se essa stessa o i governi degli Stati membri, per quanto riguarda i riferimenti alla sanità nel Trattato di Lisbona, intendono compilare un elenco sistematico dei vari rami del settore della sanità e specificare per ognuno di essi l’ampiezza della competenza UE precisando se è disciplinata dal Trattato e se è soggetta al controllo della Corte di giustizia?

 
  
 

Il Trattato di Lisbona conferma il crescente interesse manifestato nei confronti delle questioni sanitarie nel mondo odierno. Mantiene le competenze attuali in materia di sanità e non estende i poteri legislativi dell’UE, rafforzando nel contempo i margini di sostegno degli interventi a favore della salute pubblica a livello comunitario.

La Commissione desidera sottolineare alcune novità che il Trattato di Lisbona introdurrà per i cittadini dell’UE nel settore della sanità.

- Il “benessere” dei popoli dell’UE viene aggiunto quale obiettivo generale dell’Unione.

- La Carta dei diritti fondamentali assume una forza giuridica vincolante, anche per quanto riguarda il diritto all’assistenza sanitaria.

- Viene introdotta una base rafforzata per misure di incentivazione relative a controlli, allarme rapido e lotta contro serie minacce transfrontaliere per la salute, fra cui misure relative al tabacco e all’abuso di alcolici.

La Commissione intende continuare a definire la politica in materia di sanità dell’UE tenendo conto delle novità del Trattato di Lisbona. La nuova strategia in materia di salute per il periodo 2008-2013 delinea i settori e fornisce una metodologia per i casi in cui la Commissione ritenga necessario un ampio intervento dell’UE per conseguire progressi per la salute.

Il testo della strategia in materia di salute è disponibile sul sito web della Direzione generale per la salute e i consumatori al seguente indirizzo:

http://ec.europa.eu/health/ph_overview/strategy/health_strategy_en.htm"

 

Interrogazione n. 78 dell’on. Linda McAvan (H-0208/08)
 Oggetto: Trasporto di cavalli destinati alla macellazione
 

Sono stati riportati casi di cavalli destinati alla macellazione trasportati in condizioni penose attraverso l’Europa; rinchiusi in spazi sovraffollati per lungo tempo.

In che modo intende la Commissione assicurare che tutti gli Stati membri attuino il regolamento (CE) n. 1/2005(1) sulla protezione degli animali durante il trasporto e le operazioni correlate? Quando la Commissione intende avanzare delle proposte concernenti la durata dei viaggi e le densità di carico?

 
  
 

La Commissione è a conoscenza dei problemi riguardanti il trasporto di animali destinati alla macellazione segnalati da organizzazioni che si occupano di benessere degli animali.

La corretta applicazione del regolamento sulla protezione degli animali durante il trasporto è una delle massime priorità per la Commissione.

Gli Stati membri sono i principali responsabili dell’applicazione della legislazione comunitaria in materia.

Dall’entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1/2005, gli esperti della Commissione hanno effettuato missioni negli Stati membri per verificare che le autorità competenti abbiano adottato le misure adeguate per applicare la legislazione comunitaria.

In particolare, nel 2007 sono state condotte missioni specifiche sul trasporto di cavalli in paesi quali Romania, Polonia, Lituania e Italia in cui si svolge un intenso commercio di cavalli e missioni di verifica sono previste per il 2008.

La Commissione ha anche intrapreso azioni contro gli Stati membri che non hanno attuato le misure necessarie per applicare le norme comunitarie.

Nel 2007 il nuovo regolamento ha inoltre introdotto diversi nuovi strumenti per migliorare l’applicazione delle norme quali l’uso di un sistema di navigazione per lunghi viaggi.

Questo strumento consentirà di migliorare i controlli e renderà possibili azioni mirate. A tale scopo, nel dicembre 2007 la Commissione ha presentato al Comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali un progetto di regolamento che stabilisce norme armonizzate per i sistemi di navigazione. La Commissione prevede che le norme verranno adottate prima dell’estate 2008.

La Commissione sta preparando una valutazione d’impatto per esaminare la possibilità di presentare entro la fine del presente mandato una proposta sulla durata dei viaggi e sullo spazio disponibile che tenga conto delle conoscenze scientifiche disponibili.

 
 

(1)GU L 3 del 5.1.2005, pag. 1.

 

Interrogazione n. 79 dell’on. Silvia-Adriana Ţicău (H-0254/08)
 Oggetto: Studi epidemiologici sulle radiazioni emesse dalle stazioni di telefonia mobile
 

Lo sviluppo e l’uso su larga scala della telefonia mobile ha determinato un aumento del numero delle stazioni di base, che in alcuni casi sorgono nei pressi delle abitazioni. In molti Stati membri l’esposizione alle radiazioni emesse dalle stazioni di telefonia mobile solleva serie preoccupazioni, dopo che alcuni studi hanno ipotizzato che tali radiazioni potrebbero avere effetti nocivi per la salute. Degli studi epidemiologici eseguiti su base regolare potrebbero contribuire a placare in modo significativo i timori di una parte della popolazione relativi alle conseguenze per la salute delle antenne di telefonia mobile nonché favorire l’adozione di norme intese a ridurre tali conseguenze. Può la Commissione far sapere se intende realizzare studi di questo tipo?

 
  
 

La Commissione è ben consapevole delle preoccupazioni nutrite dall’opinione pubblica riguardo all’esposizione ai campi elettromagnetici (CEM) creati dalle stazioni di telefonia mobile, in particolare le stazioni di base (“tralicci”). In generale è tuttavia scientificamente riconosciuto che l’esposizione dei cittadini alle radiazioni legate alla telefonia mobile è dovuta in gran parte all’uso degli apparecchi mobili e non alle stazioni di base.

La Commissione ha già sostenuto la ricerca sui CEM dovuti alla telefonia mobile nell’ambito dei programmi quadro di ricerca e continua a farlo. Uno studio epidemiologico che vale la pena menzionare è il progetto INTERPHONE, di cui si prevede che si potranno conoscere i risultati finali entro pochi mesi.

In mancanza di una competenza dell’UE a legiferare in materia, nel 1999 il Consiglio ha adottato la raccomandazione 1999/519/CE relativa alla limitazione dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz, basata sulle migliori conoscenze scientifiche disponibili. Da allora la Commissione ha controllato regolarmente la sua attuazione e ha consultato varie volte i propri Comitati scientifici per valutare se doveva essere adattata tenuto conto di nuovi sviluppi scientifici.

Nel 2007 il Comitato Scientifico dei rischi sanitari emergenti recentemente identificati (CSRSERI) ha confermato che, per quanto riguarda le radiofrequenze (RF), finora non sono stati costantemente dimostrati effetti sulla salute a livelli di esposizione inferiori ai limiti stabiliti dalla Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti (ICNIRP - International Commission on Non Ionizing Radiation Protection) e proposti nella raccomandazione del Consiglio.

Attraverso il sesto programma quadro la Commissione finanzia inoltre un gruppo di esperti ad alto livello nell’ambito del progetto EMF-NET. Tale gruppo ha valutato tutte le prove note fino al 2006 sui possibili rischi per la salute legati ai tralicci. Le principali conclusioni cui è giunto sono che le prove nel complesso disponibili indicano che non esiste un rischio generale per la salute dovuto all’esposizione a radiofrequenze e microonde (ossia le frequenze operative dei piloni di antenne radio).

Per rafforzare i futuri pareri, il Comitato Scientifico dei rischi sanitari emergenti recentemente identificati ha raccomandato le seguenti attività di ricerca per la gamma delle radiofrequenze:

- uno studio di coorte prospettico a lungo termine per superare le limitazioni rilevate negli studi epidemiologici esistenti;

- uno studio specifico sugli effetti sulla salute che l’esposizione alle radiofrequenze può avere nei bambini;

- uno studio della distribuzione dell’esposizione nella popolazione ora reso possibile dall’avvento dei dosimetri personali;

- l’applicazione di vari studi sperimentali avvalendosi della dosimetria di alta qualità.

La Commissione continua a promuovere la ricerca in questo settore. L’ultimo invito a presentare proposte nell’ambito del tema “Ambiente” del settimo programma quadro contiene un argomento relativo agli effetti sulla salute dell’esposizione alle radiofrequenze nei bambini e negli adolescenti.

 

Interrogazione n. 80 dell’on. Ryszard Czarnecki (H-0260/08)
 Oggetto: Patologia della mucca pazza
 

Contestualmente al decesso di due persone in Spagna, causato dalla patologia della mucca pazza, può la Commissione far sapere quali ritiene siano le probabilità che la patologia si diffonda in Spagna e in altri Stati membri e quali misure intende adottare al riguardo?

 
  
 

La Commissione condivide la preoccupazione dell’onorevole parlamentare riguardo ai due casi letali della variante del morbo di Creutzfeldt-Jakob individuati in Spagna.

Anche se si tratta di casi tragici e sfortunati, attualmente non esiste alcuna necessità di adottare altre misure di gestione dei rischi oltre a quelle già in vigore che sono molto rigorose.

Riguardo all’encefalopatia spongiforme bovina, in Spagna è stata rilevata una diminuzione dei casi positivi e non vi sono elementi che indichino che la situazione non è sotto controllo.

Sono state seguite le disposizioni dell’attuale legislazione comunitaria, e i due casi sono stati prontamente comunicati alle autorità responsabili del sistema di allarme rapido e reazione degli Stati membri e alla Commissione.

La Commissione continua a controllare le tendenze epidemiologiche della variante del morbo di Creutzfeldt-Jakob (CJD) attraverso il progetto EUROCJD, finanziato a titolo del programma comunitario di sanità pubblica, in collaborazione con il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie.

A tutto aprile 2008 è stato segnalato da 7 Stati membri un numero totale di 201 casi di variante del morbo di Creutzfeldt-Jakob.

Dall’inizio dell’epidemia, il Regno Unito ha segnalato 166 casi, inclusi i 3 casi di contrazione del morbo tramite trasfusione di sangue, la Francia 23, l’Irlanda 4, l’Italia 1, i Paesi Bassi 2, il Portogallo 2 e la Spagna 3. Le tendenze nel tempo confermano che il numero di casi è diminuito dal 1999.

Tre casi di variante del morbo di Creutzfeldt-Jakob sono stati associati a trasfusione di sangue. Questo legame è stato escluso nei due casi spagnoli, tuttavia la questione delle trasfusioni di sangue deve restare in futuro al centro dell’attenzione.

Le due direttive relative al sangue, ai tessuti e alle cellule prevedono l’esclusione dalle donazioni di qualsiasi persona che possa essere un potenziale vettore di trasmissione della variante del morbo di Creutzfeldt-Jakob.

 

Interrogazione n. 81 dell’on. Georgios Papastamkos (H-0156/08)
 Oggetto: Legislazione europea sui cosmetici e protezione della salute pubblica
 

Quali sono le ragioni che portano a frequenti modifiche della legislazione europea sui cosmetici? Quali modifiche sono state finora portate a termine? Il quadro regolamentare europeo rispecchia chiarezza e sicurezza del diritto? Quali norme impone la legislazione comunitaria in termini di sicurezza della produzione di cosmetici e di protezione della salute?

 
  
 

Si devono distinguere due tipi di modifica delle direttive sui cosmetici. Emendamenti del corpo della direttiva sui cosmetici, che hanno lo scopo di modificare articoli o di introdurne di nuovi nella direttiva, e adattamenti degli allegati della direttiva, che sono basati sui progressi tecnici e su nuove conoscenze scientifiche. Fino all’inizio del 2008 la direttiva sui cosmetici, adottata nel 1976, era già stata modificata sette volte e adattata quarantotto volte. I frequenti adattamenti sono la conseguenza di decisioni di gestione intese a modificare gli allegati per attuare i pareri del Comitato scientifico dei prodotti di consumo.

La direttiva sui cosmetici è basata sul principio che la persona che immette un prodotto cosmetico sul mercato comunitario è responsabile della sicurezza del prodotto. A tale scopo, la persona in questione deve tenere a disposizione delle autorità competenti, tramite una “documentazione informativa sul prodotto”, informazioni che dimostrino la sicurezza del prodotto. In particolare, nella “documentazione informativa sul prodotto”, che viene controllata su una base ad hoc dalle autorità competenti, deve essere disponibile la valutazione della sicurezza per la salute umana del prodotto finito, tenendo in considerazione il profilo tossicologico generale degli ingredienti, la loro struttura chimica e il loro livello di esposizione.

Il principio della responsabilità del produttore è integrato da una precisa regolamentazione di singoli ingredienti selezionati dei cosmetici. La direttiva sui cosmetici riporta infatti un elenco di sostanze che non possono essere incluse nella composizione dei prodotti cosmetici (allegato II) e un elenco di sostanze che i prodotti cosmetici non possono contenere, salvo in determinati limiti e condizioni (allegato III). La direttiva contiene anche “elenchi positivi” per i coloranti (allegato IV), i conservanti (allegato VI) e i filtri UV (allegato VII). Per quanto riguarda questi gruppi di ingredienti, sono consentite per l’uso nei cosmetici nell’UE soltanto le sostanze elencate nel rispettivo allegato. Gli adattamenti degli allegati richiedono la preventiva consultazione del Comitato scientifico dei prodotti di consumo per garantire che la normativa tenga conto dello stato attuale delle conoscenze scientifiche.

Le modifiche apportate in un periodo di tempo di più di 30 anni hanno comportato una mancanza di uniformità di terminologia e norme che sembrano essere inserite nel contesto errato. Ciò è stato aggravato dal fatto che la direttiva sui cosmetici non contiene elenchi di definizioni e non è mai stata codificata, ossia tutte le modifiche non sono mai state formalmente incorporate in un unico testo giuridico. E’ stato necessario in particolare un chiarimento riguardo alla nozione di “persona responsabile dell’immissione del prodotto cosmetico sul mercato”. Infine, le parti interessate hanno sottolineato la necessità di una maggiore coerenza dei termini contenuti negli allegati, che implica un’operazione in larga misura di carattere scientifico e tecnico.

Per questi motivi e con l’obiettivo di semplificare in misura considerevole la legislazione comunitaria in materia di cosmetici, il 5 febbraio 2008 la Commissione ha adottato una proposta di rifusione della normativa sui prodotti cosmetici. La proposta adatta inoltre la legislazione tenuto conto di innovazioni e sviluppi per garantire la sicurezza dei prodotti cosmetici. La relazione di valutazione d’impatto che accompagna la proposta contiene spiegazioni più approfondite del sistema attuale e del contesto della rifusione(1).

 
 

(1) SEC(2008)117.

 

Interrogazione n. 82 dell’on. Emmanouil Angelakas (H-0158/08)
 Oggetto: Farmaci da banco senza obbligo di prescrizione medica e politica europea in materia di farmaci
 

Il regime dei farmaci da banco varia tra gli Stati membri dell’UE. I criteri di classificazione di vari prodotti farmaceutici in tale categoria sono diversi, il che fa sì che non esista un sistema unico di tipizzazione dei farmaci quali farmaci da banco.

I farmaci da banco sono utilizzati da un gran numero di cittadini europei, la loro pubblicità è autorizzata nella stampa scritta ed elettronica e contribuiscono a contenere le spese farmaceutiche dal momento che non è previsto un rimborso da parte dei sistemi di sicurezza sociale.

Può la Commissione dire se viene effettuato qualche studio sull’elaborazione di una lista unica di farmaci da banco, applicabile in tutti gli Stati membri, in modo da evitare la confusione causata ai cittadini dalla moltitudine di liste di farmaci da banco?

È nelle intenzioni della Commissione lanciare una campagna di informazione europea sull’uso corretto dei farmaci da banco dato che, in numerosi Stati membri, tali prodotti sono disponibili anche al di fuori delle farmacie, senza che siano fornite informazioni responsabili dal farmacista sul loro uso corretto, il che può implicare rischi per la salute del consumatore?

 
  
 

I criteri per la classificazione dei medicinali come prodotti con o senza obbligo di prescrizione medica sono armonizzati nella legislazione comunitaria. La direttiva 2001/83/CE specifica le situazioni in cui i medicinali sono soggetti a prescrizione medica. A questo proposito, è previsto che un medicinale è soggetto a prescrizione medica se, nel caso in cui sia usato senza controllo medico, è utilizzato spesso, e in larghissima misura, in condizioni anormali di utilizzazione o se, anche in condizioni normali di utilizzazione, può presentare un pericolo, direttamente o indirettamente, per la salute umana. La direttiva consente inoltre, a livello di Stati membri, di prevedere determinate sottocategorie di medicinali soggetti a prescrizione medica speciale.

Per i medicinali autorizzati dalla Commissione, lo stato della fornitura viene determinato nell’autorizzazione e si applica in tutta l’Unione. Per i medicinali autorizzati a livello nazionale, spetta alle autorità competenti di ciascuno Stato membro classificare i medicinali quando concedono un’autorizzazione all’immissione in commercio in base ai criteri del diritto comunitario esistenti. Le decisioni riguardo all’obbligo di prescrizione medica possono variare da uno Stato membro all’altro. La proposta della Commissione di armonizzare lo stato della fornitura di medicinali autorizzati a livello nazionale non è stata presa in considerazione dal legislatore durante l’ultima revisione della direttiva 2001/83/CE.

Poiché le autorità nazionali sono le uniche ad avere una conoscenza approfondita dei medicinali autorizzati nel rispettivo Stato membro, la Commissione non dispone delle informazioni necessarie per compilare un unico elenco armonizzato dei medicinali da banco. In base all’articolo 55 del regolamento (CE) n. 726/2004, l’Agenzia europea per i medicinali sta tuttavia creando una banca dati sui medicinali accessibile al pubblico in generale(1). Come previsto nel regolamento, viene attribuita la priorità ai medicinali autorizzati dalla Comunità, tuttavia in seguito la banca dati sarà estesa a tutti i medicinali immessi sul mercato nella Comunità.

La distribuzione al dettaglio di medicinali non è disciplinata dal diritto comunitario. Il fatto che spetti a ciascuno Stato membro decidere dove sono disponibili medicinali in vendita libera ha determinato la creazione di sistemi di vendita al dettaglio diversi, come l’onorevole parlamentare giustamente osserva. Il diritto comunitario prevede tuttavia l’obbligo di foglietti illustrativi per tutti i medicinali per garantire una completa informazione del paziente a prescindere dal sistema di vendita al dettaglio. Il foglietto illustrativo deve riflettere i risultati delle consultazioni con i gruppi di pazienti destinatari per garantire che sia leggibile, chiaro e facile da usare. Per i medicinali senza obbligo di prescrizione medica, le istruzioni per l’uso devono inoltre essere riportate anche sull’etichetta. La Commissione ritiene che questo quadro funzioni efficacemente e pertanto non sembra opportuna una campagna a livello europeo. Se l’onorevole parlamentare dispone di informazioni più precise, la Commissione sarebbe lieta di esaminarle per valutare insieme agli Stati membri se sono necessarie ulteriori azioni.

 
 

(1)http://eudrapharm.eu/eudrapharm/selectLanguage.do?NOCOOKIE=NOCOOKIE&NEW_SESSION=true"

 

Interrogazione n. 83 dell’on. Hélène Goudin (H-0162/08)
 Oggetto: Trattato di Lisbona
 

All’articolo 1, punto 24), relativo al capitolo 1, articolo 10 A, paragrafo 2 (Base e obiettivi), si legge che l’Unione deve: “d) favorire lo sviluppo sostenibile dei paesi in via di sviluppo sul piano economico, sociale e ambientale, con l’obiettivo primo di eliminare la povertà”.

Ritiene la Commissione che tale disposizione sia rilevante per valutare la legalità delle misure contro le importazioni dai paesi in via di sviluppo, degli accordi di partenariato iniqui con i paesi in via di sviluppo (accordi APE) e degli accordi di pesca dell’UE con i paesi in via di sviluppo?

 
  
 

Mentre il paragrafo 2 dell’articolo 10 A del Trattato sull’Unione europea fa riferimento agli obiettivi, fra i quali è compresa per la prima volta l’eliminazione della povertà come uno degli scopi primari, il paragrafo 3 specifica che tali obiettivi sono perseguiti nell’attuazione dell’azione esterna dell’Unione nei vari settori e che l’Unione assicura la coerenza tra i vari settori dell’azione esterna e tra questi e le altre politiche. Il Trattato di Lisbona, se e quando ratificato, fornirà quindi una solida base giuridica per la coerenza delle politiche per lo sviluppo, un principio che è già un obbligo giuridico in base all’attuale Trattato che istituisce la Comunità europea (titolo XX relativo alla cooperazione allo sviluppo).

Attraverso il concetto della coerenza delle politiche per lo sviluppo l’UE si propone di realizzare sinergie tra le pertinenti politiche interne e esterne e gli obiettivi di sviluppo. Nel 2005 l’UE si è assunta impegni in materia di coerenza delle politiche per lo sviluppo in 12 settori di politica(1). Tali impegni sono stati confermati ai massimi livelli politici nel consenso europeo in materia di sviluppo(2). L’UE presta considerevole attenzione all’esigenza di aumentare la coerenza delle proprie politiche con gli obiettivi di sviluppo anche nei settori della pesca e degli scambi commerciali.

Con la politica commerciale l’UE ha istituito un regime di accesso ai mercati molto favorevole per i paesi in via di sviluppo. L’aliquota media dei dazi della nazione più favorita è pari nel complesso al 6,9 per cento (4 per cento per i prodotti non agricoli e 18,6 per cento per i prodotti agricoli)(3). Nel contesto del sistema di preferenze generalizzate dell’UE (SPG) i prodotti esportati dai paesi in via di sviluppo usufruiscono di un’aliquota di dazio pari a zero o ricevono uno sconto di 3,5 punti percentuali sull’aliquota (cfr. la parte relativa all’SPG di seguito riportata). I prodotti provenienti dai paesi meno sviluppati (PMS) e dalla grande maggioranza dei paesi ACP godono di un accesso non contingentato e non subordinato a tariffe al mercato dell’UE nell’ambito dell’iniziativa “tutto fuorché le armi”, o in base ad accordi di partenariato economico provvisori e completi che contribuiscono anche a migliorare le norme relative all’origine.

Per favorire una maggiore integrazione dei paesi in via di sviluppo nell’economia mondiale, è tuttavia importante non solo ridurre gli ostacoli all’accesso ai mercati, ma anche affrontare una serie di altri fattori, fra cui quelli relativi alla competitività e alla capacità sul versante dell’offerta di singoli paesi in via di sviluppo.

La politica commerciale dell’UE è multidimensionale – multilaterale, regionale/bilaterale e autonoma. Nell’ambito di ciascuna di queste dimensioni, include elementi che rispondono alle esigenze particolari dei paesi in via di sviluppo e ne sostengono l’ulteriore sviluppo e la positiva integrazione nel sistema commerciale globale, anche attraverso il conseguimento di risultati migliori sul mercato dell’UE.

L’UE è anche impegnata molto attivamente a fornire aiuti al commercio ai paesi in via di sviluppo per sostenerli negli sforzi compiuti per far fronte alle sfide dell’integrazione a livello sia regionale che globale. In questo contesto, l’integrazione regionale costituisce un modo importante per migliorare la posizione dei paesi in via di sviluppo e rafforzarne la capacità di competere nei mercati internazionali, creando mercati regionali più ampi e migliorando il contesto generale in cui operano le imprese.

Gli accordi di partenariato economico (APE) in corso di negoziato con i paesi ACP sono concepiti come partenariati a lungo termine basati su una strategia globale per lo sviluppo. Sono uno strumento di sostegno dell’integrazione regionale e dello sviluppo sostenibile e contribuiranno pertanto a rafforzare la coerenza delle politiche. Gli accordi regionali completi che saranno negoziati sulla base di accordi provvisori terranno conto delle situazioni e degli interessi specifici delle regioni. L’APE globale concluso con i Caraibi è l’esempio di un accordo equilibrato e favorevole allo sviluppo. Le sue disposizioni relative agli scambi commerciali sfruttano pienamente, a vantaggio dei paesi caraibici, l’asimmetria e la flessibilità offerte dal diritto commerciale internazionale. L’aspetto ancora più importante è che tali disposizioni si inseriscono in un più ampio quadro per lo sviluppo che comprende consistenti capitoli sulle questioni sociali e ambientali e precise disposizioni sulla cooperazione allo sviluppo.

Dalla riforma della politica della pesca del 2002, l’UE si è proposta di sostituire entro il 2008 tutti gli accordi di pesca esistenti con una nuova generazione di accordi di partenariato nel settore della pesca. L’obiettivo di questa nuova generazione di accordi non è più soltanto garantire l’accesso a risorse ittiche per la flotta europea, ma anche sostenere la politica della pesca dei paesi partner allo scopo di introdurre una pesca responsabile e sostenibile. Una percentuale del contributo finanziario legato agli accordi viene accantonata a tale scopo.

 
 

(1) Conclusioni sugli obiettivi di sviluppo del Millennio del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” (GAERC) di maggio 2005 (doc. 9266/05).
(2) Dichiarazione comune del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio, del Parlamento europeo e della Commissione sulla politica di sviluppo dell’Unione europea: “Il consenso europeo”, dicembre 2005 (GU C 46 del 24.2.2006, pag. 1).
(3) Esame delle politiche commerciali delle Comunità europee condotto dall’OMC nel 2007.

 

Interrogazione n. 84 dell’on. Jim Higgins (H-0170/08)
 Oggetto: Alimentazione sana nelle scuole
 

Può la Commissione specificare quali programmi sostiene per promuovere un’alimentazione sana nelle scuole sia elementari che superiori?

 
  
 

Negli ultimi mesi varie parti interessate e gli organi di informazione hanno rivolto particolare attenzione all’esigenza di un’alimentazione sana nelle scuole. La Commissione è lieta di cogliere questa opportunità per informare l’onorevole parlamentare riguardo all’attuale programma comunitario applicato negli istituti di istruzione e a possibili programmi futuri.

Il regime di distribuzione di latte nelle scuole

Questo regime ha lo scopo di fornire prodotti lattiero-caseari sani ai bambini negli asili e nelle scuole elementari (oltre che nelle scuole secondarie se gli Stati membri lo vogliono) a un prezzo ridotto rispetto ai normali prezzi commerciali. La riduzione si ottiene grazie a una sovvenzione concessa dalla Comunità. Nel 2007 la sovvenzione è stata aumentata a 18,15 euro per ogni 100 kg di latte, a prescindere dal contenuto di materia grassa.

Il regime di distribuzione di latte nelle scuole ha un ruolo importante da svolgere tenuto conto del suo carattere sociale e sanitario. Fornendo prodotti di qualità che contengono importanti vitamine e minerali, il regime incoraggia un tipo di alimentazione sana garantendo al contempo un’adeguata educazione alimentare e determinando un effetto positivo a lungo termine sul consumo di prodotti agricoli.

La Commissione è consapevole che, per aumentare il tasso di riuscita del regime di distribuzione di latte nelle scuole, le disposizioni di attuazione devono essere quanto più semplici possibile.

Attualmente i servizi della Commissione stanno riesaminando il regime di distribuzione di latte nelle scuole allo scopo di semplificarne la gestione e di ampliare l’elenco dei beneficiari e dei prodotti ammissibili. Le proposte di modifiche del sistema saranno presto presentate al Comitato di gestione interessato allo scopo, una volta adottate, di applicarle dall’inizio del nuovo anno scolastico.

Il possibile regime di distribuzione di frutta nelle scuole

All’atto dell’approvazione della riforma dell’organizzazione comune dei mercati nel settore degli ortofrutticoli, il Consiglio ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Considerato l’impressionante aumento dell’obesità tra i ragazzi in età scolastica, evidenziato nel Libro bianco recentemente pubblicato dalla Commissione, il Consiglio invita la Commissione a presentare quanto prima una proposta volta a introdurre un programma di distribuzione di frutta nelle scuole, sulla base di una valutazione d’impatto dei benefici, della fattibilità e dei costi amministrativi insiti”.

Conformemente all’impegno della Commissione a legiferare meglio, la presentazione di una proposta di “regime di distribuzione di frutta nelle scuole” sarà subordinata alle conclusioni di una valutazione d’impatto che ne dimostri il valore aggiunto a livello europeo e che analizzi vantaggi e svantaggi delle varie opzioni. Per poter riunire le competenze necessarie per tale valutazione e facilitare la preparazione della proposta, questo compito è stato affidato a un gruppo interservizi costituito da rappresentanti della Commissione.

Finora il gruppo interservizi ha elaborato quattro opzioni per un “regime di distribuzione di frutta nelle scuole” europeo, che sono state oggetto di una consultazione pubblica dal 18 dicembre 2007 al 29 febbraio 2008. La Commissione attualmente continua a lavorare alla relazione di valutazione d’impatto, che includerà e integrerà i risultati della consultazione pubblica. La Commissione dovrebbe adottare una proposta nel luglio 2008.

 

Interrogazione n. 85 dell’on. Liam Aylward (H-0181/08)
 Oggetto: Periodo di 12 giorni di deroga per gli operatori turistici che organizzano viaggi in autobus in Europa
 

L’abolizione del periodo di 12 giorni di deroga nel settore dei viaggi internazionali in autobus in Europa, avvenuta nell’aprile 2006, ha comportato una crisi significativa nel mercato del turismo in bus in Europa.

Da allora, gli operatori turistici del settore hanno rilevato un drastico aumento (20-25%) dei costi a causa dell’abolizione della deroga nonché effetti negativi sulle condizioni economiche dei conducenti.

Cosa intende fare la Commissione per reintrodurre il periodo di 12 giorni di deroga nel settore degli autobus che operano all’interno dell’Unione europea, conformemente a quanto previsto dal regolamento (CE) n. 561/2006(1)?

 
  
 

Le nuove disposizioni previste dal regolamento (CE) n. 561/2006(2) relativo alla legislazione in materia sociale nel settore dei trasporti su strada, concordate dal Parlamento e dal Consiglio a seguito della procedura di conciliazione, sono intese a garantire condizioni di parità, accrescere la sicurezza stradale, migliorare le condizioni di lavoro per i conducenti e rendere quanto più efficaci e uniformi possibile i controlli in tutta la Comunità. L’abolizione del periodo di 12 giorni di deroga per gli operatori turistici del settore dei viaggi in autobus deve essere vista in questo contesto generale.

Detto questo, la Commissione segue la situazione del mercato del trasporto di passeggeri su strada, anche per quanto riguarda gli effetti sulla sicurezza stradale del regolamento (CE) n. 561/2006, del settore del turismo in autobus, delle condizioni sociali dei conducenti e altri sviluppi importanti attraverso varie fonti di informazione, fra cui relazioni degli Stati membri, contatti con rappresentanti del settore e dei lavoratori, e studi. In particolare, la Commissione ha avviato uno studio sui trasporti internazionali occasionali, che prenderà in esame anche gli effetti dell’abolizione della norma dei 12 giorni sul settore. I risultati dello studio dovrebbero essere disponibili verso la fine del 2008.

La Commissione ha preso atto delle modifiche introdotte dalla commissione parlamentare per i trasporti e il turismo nella relazione Ticău sulla proposta della Commissione di rifusione della direttiva che stabilisce norme comuni sulle condizioni da osservare per esercitare l’attività di trasportatore su strada(3). La Commissione continuerà a seguire con attenzione l’iter legislativo e il dialogo sociale avviato in materia.

 
 

(1) GU L 102 dell’11.4.2006, pag. 1.
(2) Regolamento (CE) n. 561/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 marzo 2006 relativo all’armonizzazione di alcune disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada e che modifica i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 3821/85 e (CE) n. 2135/98 e abroga il regolamento (CEE) n. 3820/85 del Consiglio (Testo rilevante ai fini del SEE) – Dichiarazione, GU L 102 dell’11.4.2006.
(3) COM(2007)0263.

 

Interrogazione n. 86 dell’on. Christopher Heaton-Harris (H-0188/08)
 Oggetto: Pari opportunità
 

Può dire la Commissione se ritiene che ai cittadini europei siano state negate pari opportunità in relazione al trattato di Lisbona? I cittadini irlandesi avranno la possibilità di votare in un referendum sul trattato, ma questa opportunità non sarà ugualmente concessa ai cittadini di altri Stati membri, quale il Regno Unito.

Ritiene la Commissione che anche ai cittadini di altri Stati membri debba essere garantita la pari opportunità di esercitare il proprio diritto democratico di votare per il trattato?

 
  
 

La Commissione rammenta all’onorevole parlamentare che, in base all’articolo 48 del Trattato sull’Unione europea, la ratifica del Trattato di Lisbona è di competenza degli Stati membri, e deve essere completata conformemente alle rispettive norme costituzionali. La Commissione non ha i poteri per intervenire nella scelta della procedura di ratifica e riguardo ai conseguenti sviluppi negli Stati membri né intende farlo.

 

Interrogazione n. 87 dell’on. Jens Holm (H-0193/08)
 Oggetto: Obiettivi e misure nel campo della protezione dei consumatori
 

In relazione all’articolo 169 del Trattato di Lisbona sugli obiettivi e le misure in materia di protezione dei consumatori, può la Commissione chiarire che cosa significa “livello elevato di protezione dei consumatori”? Significa il livello più elevato in un determinato paese, un livello nel quartile più elevato oppure un livello al di sopra della media? La protezione dei consumatori dovrebbe essere considerata una questione fondamentale, che ha la priorità rispetto ad altre disposizioni?

 
  
 

L’articolo 169 del Trattato di Lisbona non è diverso dall’articolo 153 del Trattato CE attuale.

Sia l’articolo 153 del Trattato CE attuale che l’articolo 169 del Trattato di Lisbona prevedono un livello elevato di protezione dei consumatori in tutta l’Unione europea.

La posizione della Commissione sul significato di un “livello elevato di protezione dei consumatori “ è precisata nella strategia per la politica dei consumatori per il periodo 2007-2013 adottata il 13 marzo 2007(1).

Risulta pertanto con chiarezza che il livello di protezione dei consumatori non viene definito in modo meccanico (quartili, paesi, medie), ma alla luce di ciò che è opportuno per garantire un corretto funzionamento del mercato interno per i consumatori e per le imprese. I principali obiettivi della strategia sono pertanto i seguenti:

dare maggiori poteri ai consumatori dell’UE,

promuovere il benessere dei consumatori dell’UE in termini di prezzi, scelta, qualità, diversità, accessibilità e sicurezza,

proteggere efficacemente i consumatori da seri rischi e minacce che non possono essere affrontati dai singoli.

Per conseguire questi obiettivi la strategia individua cinque priorità:

monitoraggio migliore dei mercati dei consumatori e delle politiche nazionali a favore dei consumatori,

migliore regolamentazione della protezione dei consumatori,

maggiore rispetto delle norme e ricorsi,

migliore informazione e più corretta educazione dei consumatori,

mettere i consumatori al centro delle altre politiche e normative dell’UE.

Nel quadro dei Trattati la protezione dei consumatori non costituisce una questione principale che ha la precedenza su altre questioni. La dimensione della protezione dei consumatori deve tuttavia essere adeguatamente integrata nelle politiche e nella attività comunitarie pertinenti.

 
 

(1) COM (2007) 99 def.

 

Interrogazione n. 88 dell’on. Jens-Peter Bonde (H-0195/08)
 Oggetto: Trattato di Lisbona
 

Quali effetti giuridici sono riferibili alle espressioni “massimo rispetto possibile del principio di apertura” e “il più vicino possibile ai cittadini”?

La riunione a porte chiuse della Conferenza intergovernativa alla vigilia del trattato di Lisbona rappresenta una violazione della corrispondente disposizione del trattato di Nizza?

La decisione politica di non tenere referendum, concordata tra gli Stati membri, rappresenta una violazione delle norme democratiche del trattato di Nizza?

 
  
 

L’articolo 1 dell’attuale Trattato sull’Unione europea stabilisce già che “le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini”. Gli effetti di tale principio assumono varie forme, fra cui consultazioni con le parti interessate prima dell’adozione di proposte della Commissione, studi ex ante degli effetti delle proposte, ruolo del Parlamento in qualità di colegislatore nel processo decisionale europeo e applicazione del principio di sussidiarietà.

I Trattati esistenti sono stati riveduti dal Trattato di Lisbona conformemente alla procedura a tale scopo stabilita all’articolo 48 del Trattato sull’Unione europea.

Sempre conformemente all’articolo 48 del Trattato sull’Unione europea, gli Stati membri hanno la competenza esclusiva di decidere in merito all’organizzazione del processo di ratifica negli Stati membri.

 

Interrogazione n. 89 dell’on. Koenraad Dillen (H-0207/08)
 Oggetto: Libertà di stampa in Sudafrica
 

Nel dicembre 2007 l’ANC ha presentato al suo congresso di partito una risoluzione sull’istituzione di un tribunale per i mezzi di informazione. Il cosiddetto tribunale d’appello per i mezzi di informazione vi è concepito quale organo dello Stato responsabile unicamente dinanzi al Parlamento.

Molti giornalisti indipendenti temono che tale organo venga a minare il sistema di autoregolazione interno dei mezzi di informazione, uno dei più importanti criteri per stabilire se un paese è veramente democratico. Tale principio viene anche appoggiato dalla commissione per i diritti umani dell’Organizzazione per l’unità africana. In altre parole, la libertà di stampa è minacciata in un paese in cui un organo statale detiene il controllo su quello che scrivono i giornalisti.

Qual è la posizione della Commissione al riguardo? Intende essa affrontare tale questione e ricordare al Sudafrica i suoi obblighi in materia di diritti umani e principi democratici?

 
  
 

La Commissione segue attivamente la questione della libertà di espressione in Sudafrica e nutre preoccupazioni riguardo a eventi verificatisi di recente quali l’indagine condotta riguardo al redattore del Sunday Times Makhanya, il caso dell’inserimento in una lista nera di alcuni giornalisti e analisti politici da parte dall’emittente radiotelevisiva sudafricana, la proposta di modifica della legge sulla cinematografia e le pubblicazioni e, più di recente, il tentativo di acquisizione dell’impresa del settore dei mezzi di informazione Johncom da parte di Koni Media Holdings.

La Commissione è anche a conoscenza della risoluzione adottata lo scorso dicembre durante la 52a Conferenza nazionale del Congresso nazionale africano, e in particolare della raccomandazione che si indaghi in merito all’istituzione del tribunale d’appello per i mezzi di informazione. Poiché si tratta della raccomandazione del partito in questione di esaminare l’istituzione di tale organo, la Commissione non ritiene che esista alcun motivo per intervenire in questa fase.

Nel complesso, la Commissione è del parere che la situazione dei mezzi di informazione in Sudafrica continui a essere soddisfacente. La stampa e i mezzi radiotelevisivi operano in un contesto di libertà e il sistema giudiziario difende attivamente la libertà di espressione.

L’accordo tra la Comunità e il Sudafrica sugli scambi commerciali, lo sviluppo e la cooperazione definisce il rispetto dei principi democratici e dei diritti umani fondamentali un elemento essenziale dell’accordo (articolo 2) e un argomento per il dialogo politico (articolo 4). Il dialogo politico si svolge attualmente due volte all’anno a livello ministeriale o di vertice. La Commissione non esiterà a sollevare la questione della libertà di espressione ogni volta che lo riterrà necessario.

 

Interrogazione n. 90 dell’on. David Martin (H-0211/08)
 Oggetto: Prodotti a denominazione di origine protetta (DOP)
 

In base all’allegato II del regolamento (CE) n. 510/2006(1), la lana può recare il marchio DOP. Può la Commissione chiarire se un marchio DOP può essere concesso solo alla lana nella sua forma naturale o se può allo stesso modo riferirsi anche a un tipo di lana trattato o prodotto industrialmente come ad esempio un materiale tessile? Inoltre, potrebbe la Commissione confermare se ci sono al momento dei prodotti di lana riconosciuti DOP o se ci sono state recenti domande di attribuzione del marchio DOP per prodotti di lana?

 
  
 

Come menzionato dall’onorevole parlamentare, la lana è oggetto del regolamento (CE) n. 510/2006 relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari.

La Commissione desidera chiarire che, in questo contesto, per lana si intende soltanto la fibra naturale prodotta da pecore o agnelli non cardata né pettinata. Sono pertanto esclusi le forme di lana trattate o prodotte industrialmente e i materiali tessili.

A nessuna denominazione di un prodotto di lana è stata finora concessa protezione quale denominazione di origine controllata o indicazione geografica protetta, per il motivo che finora alla Commissione non è stata presentata alcuna richiesta di registrazione.

 
 

(1) GU L 93 del 31.3.2006, pag. 12.

 

Interrogazione n. 91 dell’on. Ari Vatanen (H-0212/08)
 Oggetto: Procedimento della Commissione contro la Finlandia (causa C-10/08) sulla base dell’effetto discriminatorio del cosiddetto prelievo “non IVA” e della violazione della 6ª direttiva IVA
 

La Commissione ha avviato un procedimento contro la Finlandia (causa C-10/08) sulla base dell’effetto discriminatorio del cosiddetto prelievo non-IVA nell’importazione di veicoli da parte di privati e della violazione della 6ª direttiva IVA (77/388/CEE(1)) a seguito della deducibilità di un’imposta non-IVA, che costituisce una sovrattassa sul veicolo.

Dall’esito del procedimento avviato dalla Commissione dinanzi alla Corte di giustizia europea dipendono migliaia di ricorsi ai tribunali nazionali finlandesi. In questa interminabile saga, i tribunali nazionali hanno respinto i ricorsi dei contribuenti analoghi a quelli della Commissione, e non hanno voluto presentare una richiesta di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia europea. Il ministro finlandese delle Finanze ha recentemente annunciato di voler cominciare a considerare la possibilità di negoziare con la Commissione in modo da trovare una soluzione extragiudiziale della controversia. Sembra che la Finlandia abbia intenzione di chiedere alla Corte di giustizia europea di limitare gli effetti della sua sentenza nel tempo, cercando evidentemente in questo modo di ignorare le circa 18.000 cause pendenti dinanzi ai tribunali finlandesi.

Tenuto conto della situazione in Finlandia, diversa da quella della Svezia, ove la legislazione comunitaria in questo ambito è rispettata e considerato che la libera circolazione di merci è tra i principi fondamentali dell’UE, può la Commissione precisare in che modo intenda garantire una parità di trattamento per i cittadini dell’UE e por termine ad un’applicazione arbitraria della legislazione comunitaria ai finlandesi che acquistano un veicolo?

 
  
 

In qualità di custode dei Trattati, la Commissione verifica la corretta applicazione del diritto comunitario e dei principi generali del Trattato CE. A questo proposito, la Commissione ha avviato una procedura di infrazione contro la Finlandia, in particolare riguardo all’imposta sui veicoli fuori uso applicata dalla Finlandia per compensare il fatto di non poter applicare l’IVA sulle acquisizioni intracomunitarie da parte di soggetti esenti da imposta di veicoli usati di più di sei mesi o con almeno 6 000 chilometri percorsi. Il caso è attualmente all’esame della Corte di giustizia e ad esso è stato assegnato il numero di causa C-10/08.

La Commissione è in attesa della sentenza della Corte.

 
 

(1) GU L 145 del 13.6.1977, pag. 1.

 

Interrogazione n. 92 dell’on. Michl Ebner (H-0214/08)
 Oggetto: La problematica dei cormorani
 

La considerazione dell’ecosistema nella sua globalità è uno dei principi fondamentali più importanti per la conservazione della natura e dell’ambiente e per una politica della pesca competitiva. Entrambe sono attualmente compromesse dal problema dei cormorani. I cormorani sono uccelli acquatici che, a seguito delle rigide misure di protezione dell’Unione europea, in pochi decenni hanno registrato uno sviluppo straordinariamente massiccio nell’Europa centrale. Dal 1970 in poi il loro numero è aumentato di ben 75 volte, arrecando pesanti danni alla pesca. La predazione a scapito di specie ittiche già estremamente a rischio e i danni al settore europeo della pesca hanno raggiunto dimensioni ormai inaccettabili.

Può la Commissione far sapere se è al corrente della situazione e quali misure intende adottare, in particolare per quanto riguarda le aziende ittiche e le acque da pesca?

 
  
 

Al pari di tutte le specie di uccelli selvatici presenti nel territorio europeo degli Stati membri, i cormorani (Phalacrocorax carbo) rientrano nel programma di protezione generale della direttiva 79/409/CEE del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici(1) e gli Stati membri possono consentire di ucciderli o catturarli deliberatamente, di disturbarli deliberatamente, di distruggerne deliberatamente i nidi e raccoglierne le uova soltanto conformemente al sistema di deroga della direttiva.

La Commissione è consapevole dei conflitti esistenti in alcune parti della Comunità tra gli interessi della pesca e i cormorani e ha incoraggiato gli Stati membri a fare pieno uso delle disposizioni di deroga della direttiva “uccelli”, nei casi in cui sia giustificato in mancanza di soluzioni alternative, al fine di prevenire gravi danni alla pesca. Il sistema di deroghe in questione è utilizzato in vari Stati membri.

Possono anche esservi situazioni in cui i cormorani costituiscono un grave rischio per specie di pesci minacciate di estinzione, tuttavia il sistema di deroghe è applicabile allo stesso modo in questo contesto in quanto la direttiva “uccelli” contiene una disposizione esplicita relativa all’uso delle deroghe “per la protezione della flora e della fauna”.

Spetta a ciascuno Stato membro adottare le misure ritenute necessarie per gestire le popolazioni e qualsiasi conflitto che possa sorgere in relazione agli interessi della pesca. La Commissione incoraggia tuttavia la cooperazione tra gli Stati membri in materia e in varie occasioni ha avviato discussioni sull’argomento con il Comitato per l’adeguamento al progresso scientifico e tecnico, istituito ai sensi dell’articolo 16 della direttiva (il cosiddetto Comitato ORNIS).

La Comunità ha anche sostenuto progetti di ricerca cooperativa multinazionali intesi a ridurre il conflitto tra i cormorani e la pesca su scala paneuropea. Il progetto REDCAFE(2) già completato pone in evidenza il carattere dinamico e complesso della questione da un punto di vista non soltanto ecologico, ma anche economico, sociale e culturale. Una delle conclusioni cui è giunto il progetto è che le richieste di una “soluzione” comune generale ai “problemi” dei cormorani e della pesca sono forse premature e, in definitiva, possono anche essere inopportune. L’attività avviata nell’ambito di REDCAFE viene proseguita nel quadro di un progetto più recente denominato INTERCAFE(3). La Commissione ha incoraggiato i pescatori sportivi e i pescatori professionali a dare il loro pieno contributo al forum multidisciplinare in modo che si possa tenere pienamente conto della loro competenza e delle loro opinioni e preoccupazioni nel contesto di qualsiasi raccomandazione o conclusione scientifica che possa emergere da tale forum.

 
 

(1) Direttiva 79/409/CE del Consiglio, GU L 103 del 25.4.1979, pag. 1.
(2) REDCAFE (“Reducing the conflict between Cormorants and fisheries on a pan-European scale”) http://ec.europa.eu/research/quality-of-life/ka5/en/projects/qlrt_1999_31387_en.htm".
(3) INTERCAFE (“Interdisciplinary Initiative to Reduce pan-European Cormorant-Fisheries Conflicts”) http://www.intercafeproject.net.

 

Interrogazione n. 93 dell’on. Daniel Dăianu (H-0216/08)
 Oggetto: PAC e il territorio come risorsa strategica
 

L’ambiente economico internazionale è oppresso da una crisi finanziaria sempre più profonda, da conati di protezionismo e da una sempre maggiore preoccupazione riguardo all’impatto del cambiamento climatico e della formidabile ascesa industriale dell’Asia (Cina e India in particolare) sui prezzi dei generi di prima necessità. La lotta alla scarsità delle risorse comporterebbe la crescente necessità di terreni fertili come presupposto alla produzione alimentare. In realtà, i terreni destinati all’agricoltura si stanno trasformando in una risorsa strategica, al pari delle fonti di energia non rinnovabili utilizzate da altri paesi. Non si sta forse già verificando, in effetti, una situazione di inquietante equilibrio tra i prezzi degli alimenti e quelli dell’energia non prodotta dai cereali? Alla luce di queste premesse geoeconomiche e politiche in che modo valuta la Commissione la Politica agricola comune (PAC) a lungo termine? È possibile che considerazioni assai limitate sul rapporto costi/benefici e il rischio di un’eccessiva dipendenza da fonti di approvvigionamento alimentare non sicure possano essere sottese a una riforma della PAC?

 
  
 

I prezzi agricoli sono aumentati nel 2006 e nel 2007 e la maggior parte degli analisti condivide il parere secondo cui il mercato resterà stabile nel medio termine. A livello globale, si registra un ampio consenso sui motivi per cui attualmente la domanda supera di gran lunga l’offerta – perturbazioni della produzione, aumento della domanda di prodotti di prima necessità, cambiamenti delle abitudini alimentari, elevati tassi di crescita globali e sbocchi su nuovi mercati come ad esempio quello dei biocarburanti.

Ciò è in contrasto con la nostra esperienza nel passato, in cui il problema era costituito da un’offerta eccessiva e da prezzi troppo bassi, e spiega l’introduzione di misure di controllo dell’offerta quali i contingenti e il ritiro dalla produzione di terreni agricoli e il tenore generale della riforma della politica agricola comune (PAC), dal 1992, per rafforzare la competitività e aumentare l’orientamento al mercato abbandonando una politica di sostegno ai prezzi e alla produzione per passare al sostegno diretto ai produttori.

Grazie alla riforma della PAC del 2003, i segnali positivi dei mercati in molti settori possono essere trasmessi in maniera più adeguata agli agricoltori comunitari e si può prevedere che possano determinare una corrispondete risposta produttiva. D’altro canto, nella prossima verifica dello “stato di salute” della PAC, la Commissione è del parere che i vari adeguamenti presi in considerazione, e in particolare l’abolizione del ritiro dalla produzione dei terreni agricoli e la graduale estinzione del regime delle quote di latte, consentiranno di ottenere la disponibilità di ulteriori terreni e le possibilità di offerta necessarie per far fronte all’attuale aumento della domanda.

Nel più lungo periodo, l’approvvigionamento alimentare e l’uso dei terreni sono sempre stati tra i principali argomenti delle discussioni dell’Unione sulla PAC e si può prevedere che continuino a restare tali nelle discussioni sul futuro della PAC, che si stanno svolgendo nel contesto della revisione del bilancio comunitario.

 

Interrogazione n. 94 dell’on. Dimitrios Papadimoulis (H-0219/08)
 Oggetto: Protezione giuridica delle relazioni tra persone dello stesso sesso nell’Unione europea
 

Il ministero della Giustizia greco sta varando un progetto di legge che introduce un “patto di libera convivenza” per le coppie eterosessuali, senza garantire tale diritto alle coppie formate da individui dello stesso sesso. Il progetto di legge prevede che le coppie eterosessuali possano formalizzare la loro relazione con un accordo scritto che riconosce alle due parti quasi tutti i diritti conferiti dal matrimonio e cui si può porre termine ipso jure mediante atto notarile. L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha criticato tale progetto di legge e ha annunciato un’audizione pubblica sul riconoscimento giuridico delle relazioni di coppie omosessuali.

Considerati l’articolo 13 del trattato che istituisce la Comunità europea e l’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che vietano espressamente qualsiasi forma di discriminazione fondata sulle tendenze sessuali, può dire la Commissione in quali Stati membri le relazioni omosessuali sono protette giuridicamente o attraverso il matrimonio o attraverso unioni di fatto? Ritiene la Commissione che il progetto di legge promosso dal ministero della Giustizia sia coerente con l’articolo 13 del trattato, che incoraggia l’eliminazione delle discriminazioni fondate sulle tendenze sessuali?

 
  
 

La Commissione non ha poteri per intervenire sulla questione relativa a questa particolare proposta legislativa greca, che rientra nell’ambito di competenza dello Stato membro interessato.

 

Interrogazione n. 95 dell’on. Bill Newton Dunn (H-0223/08)
 Oggetto: Lotta contro la crescita esponenziale dei crimini transfrontalieri
 

La Commissione, organo non eletto, ha rifiutato di dar seguito alla proposta comune del Consiglio e del Parlamento di effettuare uno studio per il quale era stato stanziato un finanziamento nel bilancio 2008 della Commissione stessa.

Nella risposta scritta H-0135/08 dell’11.3.2008 la Commissione cerca di difendersi affermando che la sua politica è volta a migliorare la cooperazione tra le forze di polizia degli Stati membri.

Tralasciando il problema dell’evidente chiusura all’esame di nuove idee, quali sono i cambiamenti che rendono la Commissione fiduciosa nel fatto che tale cooperazione, fino ad ora pessima nell’affrontare la crescita esponenziale dei crimini transfrontalieri, possa migliorare?

Se la cooperazione non migliora, quanto tempo aspetterà la Commissione prima di riconoscere che la lotta ai crimini transfrontalieri richiede l’entrata in vigore di poteri transfrontalieri?

 
  
 

La Commissione ritiene che la cooperazione tra le forze di polizia nell’Unione europea stia già dando risultati incoraggianti, anche se, com’è ovvio, esiste ancora un margine di miglioramento. Europol, l’Ufficio europeo di polizia, svolge pertanto un ruolo importante nella lotta contro la criminalità organizzata, com’è stato dimostrato di recente dal successo dell’operazione Koala contro una rete internazionale di pedofilia e dallo smantellamento di attività di stampa illegale finalizzate alla realizzazione di euro contraffatti.

Il suo futuro quadro normativo dovrebbe consentire un ulteriore miglioramento della qualità del sostegno che fornisce agli Stati membri e un più stretto controllo democratico delle sue attività con il finanziamento comunitario dell’Ufficio europeo di polizia.

Anche Eurojust, l’Unità di cooperazione giudiziaria dell’Unione europea, svolge un ruolo di primo piano coordinando le indagini e i procedimenti penali relativi alla criminalità organizzata transfrontaliera a livello europeo. A questo proposito, va anche menzionata l’attuazione della decisione quadro relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (2002/584/GAI).

L’incorporamento delle disposizioni del Trattato di Prüm nel diritto europeo faciliterà inoltre lo scambio di informazioni, in particolare sui dati del DNA. I risultati iniziali del Trattato sono molto positivi; vari casi penali sono stati risolti attraverso il confronto di archivi di dati nazionali e, poiché si sta rafforzando, il sistema dovrebbe diventare presto più efficiente.

La Commissione non ritiene che sia necessario effettuare uno studio, come avviene per i progetti pilota e le azioni preparatorie. In questo caso, la Commissione non ritiene opportuno condurre uno studio su ciò che l’onorevole parlamentare definisce una “forza di polizia europea federale”. Tale forza di polizia non è al momento fattibile, in quanto gli Stati membri cooperano bilateralmente per affrontare la criminalità transfrontaliera nel modo più pragmatico possibile. Questo è il ruolo principale dei centri di cooperazione di polizia e doganale istituiti da vari Stati membri lungo le loro frontiere comuni.

 

Interrogazione n. 96 dell’on. Nickolay Mladenov (H-0226/08)
 Oggetto: Pedaggi per attraversare il ponte Russe-Giurgiu tra la Bulgaria e la Romania
 

Dopo l’adesione della Bulgaria e della Romania all’UE (1o gennaio 2007) la frontiera tra i due paesi è diventata una frontiera interna all’UE e svolge un’importante funzione per garantire la libera circolazione delle persone, delle merci e dei servizi tra i due Stati membri.

Purtroppo lungo i 350 chilometri di frontiera fluviale tra la Bulgaria e la Romania esiste un unico ponte (Russe-Giurgiu) e tale fatto ostacola notevolmente i contatti tra i cittadini delle due rive del Danubio.

Nello stesso tempo entrambi i paesi continuano a riscuotere pedaggi da ogni veicolo che attraversa il ponte e ciò complica la libera circolazione tra i due nuovi Stati membri. In molte delle sue sentenze la Corte europea di giustizia si è espressa a favore dell’esenzione da tributi idonei ad avere effetti negativi sul mercato interno.

È la Commissione al corrente che per attraversare il ponte Russe-Giurgiu sul Danubio bisogna ancora pagare simili tributi?

Quali misure intende la Commissione definire per eliminare questo ostacolo al regolare funzionamento del mercato interno e quando intende applicarle?

 
  
 

La Commissione è a conoscenza dell’applicazione di pedaggi sul ponte sul Danubio tra Russe e Giurgiu.

Il principio di esigere un corrispettivo per l’uso di infrastrutture non è in contrasto con i principi della libera circolazione nella Comunità. In effetti, la direttiva 1999/62/CE relativa alla tassazione a carico di autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada per l’uso di alcune infrastrutture(1) (la cosiddetta direttiva “eurobollo”) consente agli Stati membri di introdurre pedaggi a condizione che la loro imposizione non sia discriminatoria e che siano basati sul principio del recupero dei soli costi delle infrastrutture. La direttiva stabilisce che l’applicazione e la riscossione dei pedaggi devono essere effettuati in modo da intralciare il meno possibile la fluidità del traffico, evitando controlli o verifiche obbligatori alle frontiere interne della Comunità e qualsiasi discriminazione tra gli utenti delle infrastrutture. Gli Stati membri hanno l’obbligo di prevedere attrezzature adeguate ai punti di pagamento dei pedaggi. Agli Stati membri che applicano diritti d’utenza temporali (“contrassegni”) per l’uso delle infrastrutture, come Romania e Bulgaria, è esplicitamente consentito applicare pedaggi in relazione a ponti, gallerie e passi montani.

 
 

(1) Direttiva 1999/62/CE relativa alla tassazione a carico di autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada per l’uso di alcune infrastrutture (GU L 187 del 20.7.1999, pag. 42) modificata dalla direttiva 2006/38/CE, GU L 157 del 9.6.2006, pag. 8.

 

Interrogazione n. 97 dell’on. Struan Stevenson (H-0227/08)
 Oggetto: Relazioni UE con l’Iran
 

Può la Commissione confermare qual è l’importo dei finanziamenti assegnati alle autorità iraniane per la “riduzione della povertà”? Può essa indicare quali ne sono i beneficiari e in che modo ne viene controllato il corretto utilizzo?

Può la Commissione comunicare quanti studenti iraniani studiano attualmente in università dell’Unione europea attraverso il programma Erasmus Mundus, quali università dell’Unione ne fanno parte e quali sono i corsi frequentati da questi studenti?

 
  
 

Attualmente la Commissione non fornisce assistenza diretta alle autorità iraniane, tuttavia, nell’ambito delle linee di bilancio tematiche, vengono attuate alcune azioni a sostegno dei diritti umani e dello sviluppo della società civile in Iran. Tali azioni sono realizzate attraverso ONG e agenzie dell’ONU. Infine, l’Iran è uno dei beneficiari del programma Erasmus Mundus.

Per quanto riguarda il programma Erasmus Mundus, per l’anno accademico 2007-2008, vi sono 33 studenti iraniani iscritti a 28 corsi master Erasmus Mundus in cui sono coinvolte 127 università europee di 19 Stati membri dell’UE.

Inoltre, nell’ambito del primo invito a presentare proposte nell’ambito del programma “Finestra di cooperazione esterna” Erasmus Mundus finanziato a titolo degli strumenti finanziari di aiuto esterno della Commissione, gli studenti iraniani selezionati nell’anno accademico 2007-2008 sono 51.

Le università degli Stati membri dell’Unione europea coinvolte nel partenariato selezionato sono: Freie Universität Berlin (DE), Universidad de Deusto (ES), Université Bordeaux 1 (FR), Erasmus University Rotterdam (NL), Uniwersytet Warszawski (PL), Universidade do Algarve (PT), Lunds Universitet (SE), University of Southhampton (UK).

Non è disponibile un’esatta descrizione dei corsi offerti dalle università a tali studenti in quanto dipende dalla corrispondenza tra la scelta individuale degli studenti e la disponibilità di discipline e corsi offerti dal partenariato durante l’anno accademico.

 

Interrogazione n. 98 dell’on. Olle Schmidt (H-0229/08)
 Oggetto:Diritti umani a Cuba
 

Nel 2003 l’Unione europea ha imposto sanzioni a Cuba a seguito di violazioni dei diritti umani. Nel 2005 tali sanzioni sono state in parte revocate dopo che l’UE ha deciso di cercare un dialogo con Cuba sui diritti umani.

L’arrivo al potere di Raúl Castro ha comportato cambiamenti. In febbraio Cuba ha firmato due convenzioni ONU relative ai diritti umani. L’interrogante pertanto concorda con la Commissione nel ritenere possibile un’evoluzione positiva, ma è dell’avviso che le sanzioni vadano mantenute finché Cuba non avrà ottemperato pienamente ai propri impegni in materia di diritti umani.

Quali misure intende adottare ora la Commissione per migliorare la situazione dei diritti umani a Cuba?

 
  
 

E’ innanzitutto importante chiarire che l’UE non ha mai introdotto sanzioni contro Cuba, ma misure diplomatiche che sono state tutte sospese nel gennaio 2005(1).

La Commissione segue da vicino la situazione dei diritti umani a Cuba. Di norma, la delegazione della Commissione all’Avana coordina nella pratica la sua azione con gli Stati membri dell’UE, in particolare nel contesto delle attività del gruppo di lavoro dell’UE sui diritti umani. Poiché la cooperazione con la Commissione e la maggior parte degli Stati membri è stata sospesa nel 2003 dalle autorità cubane (a seguito delle misure diplomatiche del 2003), la capacità di intervento della Commissione in questo settore, come in qualsiasi altro settore a Cuba, è al momento molto limitata nella pratica.

Durante i contatti tra la Commissione e le autorità cubane, a Bruxelles e all’Avana, viene discussa un’ampia serie di questioni tra cui quelle relative ai diritti umani. La Commissione è del parere che tali questioni potrebbero essere affrontate in maniera più adeguata nel quadro d un dialogo politico formale tra Unione europea e Cuba. Nel 2007 Cuba ha intrapreso un dialogo bilaterale sui diritti umani con la Spagna, ma ha fatto della revoca delle misure diplomatiche una condizione cui subordinare la possibilità di stabilire un dialogo sui diritti umani con l’UE e di riprendere la cooperazione allo sviluppo tra UE e Cuba.

 
 

(1) Invito ai dissidenti a partecipare alle celebrazioni della festa nazionale, limitazione delle visite ad alto livello a Cuba, riduzione del livello di rappresentanza diplomatica in eventi culturali in loco.

 

Interrogazione n. 99 dell’on. Frank Vanhecke (H-0230/08)
 Oggetto: Integrazione della Turchia nella politica estera comune
 

Nella relazione 2007 relativa ai progressi compiuti dalla Turchia la Commissione afferma che il paese appoggia pienamente il processo di pace in Medio Oriente e che, in linea generale, la Turchia si allinea fedelmente alla politica estera e di sicurezza comune, uno dei criteri dell’acquis comunitario.

La questione palestinese è uno dei temi più importanti trattati al vertice dell’Organizzazione della Conferenza islamica (OIC) tenutosi a Dakar a metà del marzo 2008. In tale occasione il Segretario generale della OIC, Ekmeleddin Ihsanagul, di nazionalità turca, ha formulato accuse unilaterali nei confronti di Israele e, in particolare, ha affermato che a suo avviso Israele è l’unico responsabile dell’indebolimento del processo di pace. Egli ritiene inoltre necessario documentare i “crimini commessi da Israele” e far giudicare i responsabili da un tribunale penale internazionale.

Alla luce di queste dichiarazioni, come giustifica la Commissione le conclusioni della propria relazione?

 
  
 

Il professor Ekmeleddin Ihsanagul ha assunto l’incarico di Segretario generale dell’Organizzazione della Conferenza islamica nel gennaio 2005 ed è stato rieletto per un nuovo mandato nel marzo 2008. Il professor Ihsanagul è un funzionario internazionale e le sue opinioni non rappresentano la posizione ufficiale della Turchia.

La Turchia conduce una politica costruttiva nei confronti del Medio Oriente. La Turchia ha buoni rapporti con Israele e con la parte palestinese. Nel novembre 2007 la Turchia ha ospitato il Presidente israeliano Peres e il Presidente palestinese Abbas, che sono entrambi intervenuti, uno dopo l’altro, dinanzi alla Grande assemblea nazionale turca.

 

Interrogazione n. 100 dell’on. Yiannakis Matsis (H-0231/08)
 Oggetto: Visita illegale di Buyukanit nella parte di Cipro occupata
 

Il capo delle Forze armate turche Yasar Buyukanit sta effettuando dal 26 al 29 marzo una visita illegale nella parte settentrionale della Repubblica di Cipro occupata dalla Turchia che è uno Stato membro dell’Unione europea.

In che modo intende la Commissione reagirvi inteso che è inconcepibile che uno Stato candidato a diventare membro dell’Unione europea continui a tenere sotto occupazione parte di un altro Stato membro dell’Unione europea? Condanna essa la visita illegale di Buyukanit? Come sostiene praticamente la Repubblica di Cipro nel quadro dei principi dell’UE e della sua politica di solidarietà?

 
  
 

La posizione ben nota della Comunità europea e degli Stati membri è che, ad eccezione delle zone di sovranità del Regno Unito, l’intero territorio dell’isola di Cipro fa parte della Repubblica di Cipro. Gli Stati membri dell’UE non riconoscono la cosiddetta “Repubblica turca di Cipro del Nord”.

La Commissione è lieta di constatare non soltanto la disponibilità di tutte le parti a superare le difficoltà del passato, ma anche l’esistenza di un accordo riguardo alla necessità di iniziare un nuovo processo di negoziato per una soluzione globale al problema di Cipro.

La riunificazione dell’isola e la fine di un conflitto quarantennale sul suolo europeo sono nel nostro interesse comune. La divisione di Cipro è inaccettabile nell’Unione europea.

Le questioni della sicurezza e della presenza di truppe straniere sull’isola sollevate dall’onorevole parlamentare sottolineano l’urgente necessità di una rapida soluzione al problema di Cipro.

L’UE e la Commissione appoggiano fermamente un rinnovato processo delle Nazioni Unite e sosterranno pienamente entrambe le comunità sull’isola al fine di consentire loro di raggiungere i difficili compromessi necessari.

Noi tutti sappiamo che non sarà facile giungere a una soluzione. Saranno necessari molto impegno e disponibilità al compromesso, tuttavia la Commissione è convinta che alla fine, con la guida dell’ONU e il sostegno dell’UE, sarà possibile conseguire tale obiettivo.

La Commissione è anche fiduciosa che la Turchia eserciterà tutta la sua influenza per arrivare a una soluzione.

La Commissione esprime inoltre la forte convinzione che quest’anno offre un’opportunità che non si ripeterà – e non deve essere sprecata.

 

Interrogazione n. 101 dell’on. Carl Schlyter (H-0232/08)
 Oggetto: Sostegno al pascolo
 

Le proposte di modifica riguardanti l’articolo 8, paragrafo 1, e l’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 794/2004(1) possono comportare conseguenze gravi per i terreni da pascolo svedesi e per la loro biodiversità, dal momento che il proposto conteggio degli alberi siti in tali terreni non tiene conto della tradizione svedese caratterizzata dalla presenza di alberi nei pascoli. I terreni da pascolo possono e devono avere caratteristiche diverse all’interno dell’UE: un’armonizzazione troppo spinta delle norme, in particolare l’imposizione della norma che fissa a cinquanta il numero massimo di alberi per ettaro, rischia di ridurre la diversità e di aumentare il numero di pascoli inutilizzati e abbandonati, in quanto sempre meno terreni possono essere definiti pascoli. Secondo i media la Commissione starebbe valutando l’opzione di chiedere la restituzione di 70 milioni di euro, il che infierirebbe un colpo mortale all’ambizione della Svezia di conservare il suo paesaggio culturale.

Gli aiuti comunitari intendono sostenere il paesaggio culturale. Ritiene la Commissione che tali aiuti debbano sostenere una monocultura europea oppure che possano essere accettate divergenze dettate dalla diversa tradizione svedese?

Cosa ha fatto la Commissione per trovare una soluzione a tale problematica?

Come deve essere forgiata la normativa affinché la diversità dei terreni da pascolo nell’Unione sia accettata e mantenuta?

 
  
 

Contrariamente all’informazione di cui l’onorevole parlamentare dispone, non esistono proposte di modifica riguardanti l’articolo 2, paragrafo 2 e dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 796/2004. La definizione di terreni da pascolo in vigore è invariata da molti anni.

Nell’ambito della politica agricola comune (PAC), i pagamenti diretti agli agricoltori effettuati sotto forma del regime di pagamento unico sono basati sul terreno agricolo disponibile in un’azienda agricola.

Al fine di salvaguardare l’interesse finanziario dell’Unione europea, la Commissione ha stabilito norme che consentono di determinare il terreno agricolo ammissibile e di escludere le zone non ammissibili.

La legislazione cui si fa riferimento stabilisce i tipi di terreni ammissibili a ricevere i pagamenti della PAC e in particolare i terreni foraggeri/da pascolo in cui è presente una vegetazione mista e che sono usati per un’attività agricola.

Per definire se un terreno con alberi rientra in questa categoria di terreni o deve essere considerato una “foresta”, e quindi non ammissibile agli aiuti, nel 2003 la Commissione ha già realizzato e messo a disposizione di tutti gli Stati membri un documento (AGRI/60363/2003) in cui si afferma che le zone di alberi all’interno di una parcella agricola con una densità superiore a 50 alberi per ettaro devono essere considerate, come regola generale, ammissibili. Possono essere previste eccezioni per classi di alberi di colture miste quali i frutteti e per motivi ecologici/ambientali. Le eccezioni devono essere definite in anticipo dagli Stati membri. La norma pertanto non è nuova.

Come l’onorevole parlamentare può constatare, la Commissione non stabilisce una regola assoluta per tutta la Comunità. Ne consegue che la Svezia in futuro può, per motivi ecologici/ambientali, definire un limite diverso per particolari tipi di terreni da pascolo, se è dimostrato che il numero più elevato di alberi per ettaro non rende i terreni inadatti per le attività agricole, e quindi inammissibili agli aiuti.

Il fatto che i terreni riconosciuti in questo modo siano effettivamente conformi alla legislazione comunitaria applicabile e quindi ammissibili agli aiuti sarà valutato nel contesto delle verifiche effettuate nel quadro della procedura di liquidazione dei conti.

In merito alla restituzione di 70 milioni di euro cui l’onorevole parlamentare fa riferimento, questa cifra non è rintracciabile in alcuna decisione della Commissione e pertanto la Commissione non è in grado di fornire informazioni al riguardo.

 
 

(1) GU L 140 del 30.4.2004, pag. 1.

 

Interrogazione n. 102 dell’on. Irena Belohorská (H-0235/08)
 Oggetto: Mancato adeguamento della Commissione europea alla sentenza del Tribunale di primo grado nella causa T-58/05
 

Potrebbe la Commissione spiegare perché non ha rispettato la sentenza del Tribunale di primo grado nella causa T-58/05 di Centeno contro la Commissione emessa l’11 luglio 2007, che ingiungeva alla Commissione di sostenere i propri costi e di pagare la metà dei costi del ricorrente?

Potrebbe la Commissione spiegare su quale base giuridica sta cercando di “negoziare” con il ricorrente nel caso in oggetto e rifiuta di pagarne i costi legali di 23 000 euro, richiesti dal ricorrente?

 
  
 

Contrariamente a quanto indicato dall’onorevole parlamentare, la Commissione rispetta pienamente la sentenza emessa dal Tribunale di primo grado nella causa T-58/05 e riconosce il proprio obbligo di pagare la metà dei costi del ricorrente. Come tutte le altre sentenze dei tribunali comunitari emesse in azioni dirette, la sentenza in questione stabilisce tuttavia soltanto il principio di chi deve sostenere i costi senza fissare gli importi da pagare. L’articolo 92 del regolamento del Tribunale di primo grado stabilisce una procedura in base alla quale il Tribunale può fissare l’importo dei costi se le parti non riescono a trovare un accordo al riguardo. Soltanto se esiste tale ordinanza vi è l’obbligo di pagare un particolare importo. Nella fattispecie tale condizione non si è verificata.

Nel presente caso, esiste una controversia tra le parti riguardo a ciò che può essere considerato un importo ragionevole dei costi. La Commissione non è d’accordo sull’importo rivendicato dai ricorrenti che sembra essere molto superiore a quello che potrebbe essere giustificato alla luce della giurisprudenza sui costi recuperabili nei tribunali comunitari. La Commissione ritiene che una sana gestione finanziaria le imponga di attenersi al principio di tale giurisprudenza.

La Commissione non vuole tuttavia costringere il Tribunale di primo grado a decidere in questa causa in base all’articolo 92 del regolamento, se è possibile evitarlo. Ha fatto pertanto quella che ritiene un’offerta ragionevole al legale dei ricorrenti, tenendo conto dei principi stabiliti nella giurisprudenza, e anche delle particolari caratteristiche del presente caso. E’ ovvio che i ricorrenti restano liberi di far ricorso all’articolo 92 del regolamento del Tribunale di primo grado e di chiedere al Tribunale di fissare l’importo.

 

Interrogazione n. 103 dell’on. Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk (H-0237/08)
 Oggetto: Sostegno della Commissione alla costruzione di un gasdotto nordeuropeo, nonostante un notevole incremento nei costi
 

Alla fine di marzo, la compagnia russa Gazprom ha annunciato che il costo stimato di un gasdotto nordeuropeo tra Russia e Germania è di 7,4 miliardi di euro. Nel 2005, quando il progetto iniziò, il costo stimato era di 4 miliardi di euro, mentre sei mesi fa era di 6 miliardi di euro. Il costo finale del progetto sarà certamente ancora più alto.

È il consumatore europeo che in futuro sosterrà il costo degli approvvigionamenti da un gasdotto estremamente costoso, tenendo conto del monopolio virtuale di cui gode la proprietà di maggioranza del gasdotto, la compagnia russa Gazprom.

Perché dunque la Commissione sostiene tale progetto carissimo e perché non è interessata in gasdotti esterni quali Jamel II e Amber, che costano la metà?

 
  
 

La Commissione sostiene il progetto Nord Stream nell’interesse di tutta l’Unione. Si tratta di un grande progetto (55 miliardi di metri cubi di gas all’anno), che renderà possibile soddisfare la crescente domanda delle industrie e dei cittadini dell’Unione (entro il 2015 saranno necessari 100 miliardi di metri cubi aggiuntivi). Il progetto è stato dichiarato di interesse europeo negli ultimi orientamenti per le reti transeuropee nel settore dell’energia adottate dal Consiglio e dal Parlamento nel settembre 2006(1).

La Commissione non ha tuttavia stanziato alcun sostegno finanziario per investimenti nel progetto Nord Stream, che è finanziato esclusivamente da parti interessate del settore privato e tramite prestiti. Spetta soltanto a tali parti interessate decidere se il progetto è troppo costoso e se costituisce quindi per loro un rischio finanziario.

Non è vero affermare che la Commissione non è interessata ad altri progetti di gasdotti. Negli orientamenti per le reti transeuropee adottati nel 2006, Yamal II ha lo stesso livello di priorità di Nord Stream e anche Amber è considerato un progetto di interesse comune.

La Commissione ha deciso di cofinanziare uno studio di fattibilità per Yamal II e Amber presentato dall’impresa polacca del settore del gas PGNiG nel 2005 (per l’importo di 950 000 euro). Purtroppo non è stato possibile completare lo studio a causa della mancanza di interesse da parte delle imprese del settore del gas in alcuni dei paesi interessati.

 
 

(1) Decisione n. 1364/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 settembre 2006 che stabilisce orientamenti per le reti transeuropee nel settore dell’energia e abroga la decisione 96/391/CE e la decisione n. 1229/2003/CE, GU L 262 del 22.9.2006.

 

Interrogazione n. 104 dell’on. Ivo Belet (H-0241/08)
 Oggetto: Lo sport, strumento di inclusione sociale
 

Nel Libro bianco sullo sport la Commissione si dice convinta della possibilità di sfruttare meglio, nelle politiche, nelle azioni e nei programmi dell’Unione europea e degli Stati membri, il potenziale offerto dallo sport ai fini dell’inclusione sociale.

La Commissione indica che proporrà agli Stati membri che, nel quadro del programma Progresso (nonché dei programmi per l’apprendimento permanente, Gioventù in azione ed Europa dei cittadini), vengano sostenute azioni di promozione dell’inclusione sociale attraverso lo sport e di lotta contro la discriminazione in ambito sportivo.

Quali proposte ha formulato la Commissione in tal senso?

Ci si possono attendere conseguenze concrete per gli inviti a presentare proposte lanciati dalla Commissione? Può far sapere la Commissione se in passato è stato dato un sostegno ad azioni che possono servire oggi di esempio?

In che modo conta la Commissione di tenere fede all’impegno assunto di incoraggiare gli Stati membri a promuovere azioni nel quadro del Fondo europeo per l’integrazione?

 
  
 

Il piano d’azione “Pierre de Coubertin”, che è allegato al Libro bianco sullo sport e guiderà le attività della Commissione connesse allo sport nei prossimi anni, sottolinea nelle azioni proposte nel capitolo A.5 la necessità di fare miglior uso delle opportunità offerte dallo sport per promuovere l’inclusione sociale in ambito sportivo e attraverso lo sport.

Per garantire l’efficace attuazione del Libro bianco, la Commissione si affiderà al miglioramento del dialogo strutturato con il movimento sportivo e al rafforzamento della cooperazione politica con gli Stati membri dell’UE.

Nel quadro del metodo aperto di coordinamento in materia di protezione e inclusione sociale, l’aspetto relativo all’inclusione sociale pone in evidenza, attraverso le relazioni strategiche nazionali del periodo 2006-2008 presentate dagli Stati membri, l’importanza di partecipare ad attività sportive quale mezzo per prevenire e affrontare l’esclusione sociale dei bambini, da un lato, e quale strumento per promuovere l’inclusione sociale di immigrati e minoranze etniche, dall’altro lato. Occorre anche tenere presente che, nel contesto del metodo aperto di coordinamento, sono stati previsti alcuni indicatori del benessere dei bambini e che la partecipazione ad attività sportive è inclusa negli elementi da prendere in considerazione. Il metodo aperto di coordinamento continuerà pertanto a includere lo sport quale strumento e indicatore, senza creare nuove strutture o nuovi metodi di lavoro.

Riguardo alle implicazioni pratiche del Libro bianco per programmi comunitari specifici e per gli inviti a presentare proposte o le gare d’appalto ad essi associati, la Commissione sosterrà l’inclusione sociale in ambito sportivo e attraverso lo sport e azioni inerenti all’attività fisica facendo ricorso ad alcuni strumenti disponibili a livello di UE.

Progresso è il programma comunitario per l’occupazione e la solidarietà sociale avviato nel 2007 e che durerà fino al 2013 e che comprende azioni contro la discriminazione e a favore della parità tra uomini e donne e misure per l’occupazione e la lotta contro l’esclusione sociale. Nell’ambito di questo programma è necessario trovare il modo di affrontare la questione dell’accessibilità alle attività sportive e la situazione e le esigenze specifiche dei gruppi vulnerabili, nonché tenere conto del ruolo particolare che lo sport può svolgere per le persone disabili e dell’esigenza di garantire la parità tra uomini e donne nello sport. Un altro aspetto da esaminare nell’ambito del programma in questione è la necessità di usare in modo più adeguato il potenziale dello sport quale strumento di inclusione sociale in quanto costituisce anche un fattore di creazione di posti di lavoro, in particolare nelle zone svantaggiate.

L’invito generale a presentare proposte per il periodo 2008-2010 nell’ambito del programma per l’apprendimento permanente ha incluso l’educazione fisica e lo sport tra le proprie priorità, offrendo nuove opportunità di finanziamento per i progetti relativi allo sport e all’attività fisica da sostenere. Promuovere la partecipazione alle opportunità di istruzione attraverso lo sport costituisce pertanto un nuovo argomento prioritario per i partenariati scolastici sostenuti a titolo del programma Comenius e per le reti tematiche e la mobilità nel campo dell’istruzione superiore sostenute a titolo del programma Erasmus.

Il programma “Gioventù in azione” riconosce il ruolo fondamentale che lo sport svolge nello sviluppo fisico e sociale dei giovani, come risulta dal fatto che nel programma si pone l’accento sul duplice aspetto dello sport quale mezzo per promuovere stili di vita sani, da un lato, e l’inclusione sociale e la cittadinanza attiva, dall’altro lato. Dall’adozione del Libro bianco sullo sport, l’integrazione di entrambe le dimensioni è stata rafforzata con l’aggiunta di specifiche priorità annuali nella guida del programma “Gioventù in azione”, che ha lo stato di invito a presentare proposte permanente e rappresenta il principale strumento di attuazione del programma. Ne consegue che nel 2008 sarà attribuita la priorità a progetti per i giovani che pongano in evidenza il ruolo dello sport quale strumento per promuovere la cittadinanza attiva e l’inclusione sociale o stili di vita sani attraverso attività fisiche tra i giovani.

Il programma “Europa per i cittadini” è aperto a un’ampia varietà di organizzazioni della società civile, fra cui quelle attive nel settore dello sport amatoriale. Dall’adozione del Libro bianco sullo sport, è stata aggiunta una specifica priorità annuale relativa allo sport e alla cittadinanza attiva. Nel 2008 sarà pertanto attribuita la priorità a richieste riguardanti il ruolo dello sport quale strumento per promuovere la cittadinanza attiva e l’inclusione sociale.

A questo proposito, ha rilevanza anche il Fondo europeo per l’integrazione, il cui scopo principale è sostenere gli sforzi compiuti dagli Stati membri per consentire ai cittadini di paesi terzi di varia estrazione economica, sociale, religiosa, etnica e linguistica di soddisfare le condizioni di residenza e per favorirne l’integrazione nella società europea. Il Fondo per l’integrazione si propone in particolare di mettere in pratica i principi fondamentali comuni approvati a livello di UE in materia di integrazione. Uno dei principi fondamentali comuni afferma che “l’inclusione delle politiche e misure di integrazione in tutti i pertinenti portafogli politici e a tutti i livelli di governo è una considerazione importante nella formulazione e nell’attuazione della politica pubblica” e che “l’integrazione degli immigrati avviene in tutti gli ambiti della vita pubblica e di quella privata e molti attori non statali ne influenzano il processo e possono avere un valore aggiunto. Ne sono un esempio i sindacati, le imprese, le organizzazioni di datori di lavoro, i partiti politici, i media, le associazioni sportive e le organizzazioni culturali, sociali e religiose. La cooperazione, il coordinamento e la comunicazione tra tutti questi attori sono importanti ai fini di un’efficace politica di integrazione. E’ altresì necessario il coinvolgimento sia degli immigrati sia del resto della popolazione che compone la società ospite”. Nel quadro delle azioni preparatorie (programma INTI) per l’istituzione di questo Fondo, nel 2005 la Commissione ha cofinanziato un progetto denominato “Integration at sports” coordinato da Zeitbild, un’organizzazione tedesca, in partenariato con altre cinque organizzazioni di Austria, Belgio, Germania, Paesi Bassi e Regno Unito. Maggiori informazioni sul progetto sono reperibili sul seguente sito web: http://www.united-by-sports.net/en

 

Interrogazione n. 105 dell’on. Alexander Alvaro (H-0246/08)
 Oggetto: Fondi UE per l’operatore satellitare egiziano Nilesat, nonostante la trasmissione di Al-Manar
 

Secondo il sito Internet della politica europea di prossimità l’Unione europea metterà a disposizione dell’Egitto, paese di prossimità, 558 milioni di euro nell’arco dei prossimi quattro anni.

E’ noto alla Commissione se con tali fondi sono finanziati anche progetti che - indirettamente o direttamente - sono legati all’operatore satellitare egiziano Nilesat? In caso affermativo, ritiene giustificato tale finanziamento, tenuto conto della trasmissione, da parte di Nilesat, del canale televisivo islamico radicale Al-Manar, il quale, secondo Viviane Reding, Commissario per la Società dell’informazione e i media, viola la direttiva europea in materia televisiva “Televisione senza frontiere” (97/36/CE(1)) (Risposta del 17.5.2005 alla interrogazione scritta E-0909/05)?

 
  
 

La Commissione desidera ringraziare l’onorevole parlamentare per l’interrogazione in cui esprime la sua preoccupazione che i progetti finanziati dall’UE possano essere legati all’operatore satellitare egiziano Nilesat che trasmette il canale televisivo Al-Manar in Europa.

La cooperazione nel settore audiovisivo prevista nel piano d’azione nel quadro della politica europea di vicinato (PEV) riguarda sostanzialmente l’aggiornamento del quadro normativo e pertanto non si può ritenere che sostenga direttamente o indirettamente contenuti discutibili.

Attualmente non esistono progetti finanziati dalla Commissione nel settore audiovisivo in Egitto. L’assistenza finanziaria dell’UE è intesa a sostenere le priorità stabilite nel piano d’azione nel quadro della politica europea di vicinato, come risulta con chiarezza nel programma indicativo nazionale (PIN) che prevede un importo di 558 milioni di euro per il periodo 2007-2010 per aiutare l’Egitto a far fronte ad alcune sfide del suo programma di riforma politica, economica e sociale e per incoraggiare ulteriori iniziative di riforma.

Sia il programma indicativo nazionale che i programmi d’azione annuali che definiscono i programmi specifici su base annuale sono elaborati secondo norme e procedure rigorose, devono ricevere il parere positivo degli Stati membri dell’UE e sono esaminati dal Parlamento europeo nell’ambito di una procedura di controllo.

La Commissione è consapevole che il canale televisivo Al-Manar può essere ricevuto in Europa tramite l’operatore satellitare egiziano Nilesat. La Commissione condivide tutte le preoccupazioni sollevate riguardo al fatto che la trasmissione di programmi da parte di questo canale potrebbe equivalere a un incitamento all’odio.

Nel piano d’azione congiunto nel quadro della politica europea di vicinato l’UE e l’Egitto hanno concordato di cooperare nella lotta contro l’intolleranza, la discriminazione, il razzismo e la xenofobia e nella promozione del rispetto delle religioni e delle culture.

In questo contesto, un’altra importante priorità di intervento è rafforzare il ruolo dei media nella lotta contro la xenofobia e la discriminazione fondata sulle convinzioni religiose o la cultura e incoraggiare i media ad assumersi le proprie responsabilità al riguardo.

Il meccanismo appropriato per sollevare le questioni relative alla lotta contro il razzismo e la xenofobia con l’Egitto è il sottocomitato per le questioni politiche, fra cui i diritti umani, che auspichiamo venga convocato per la prima volta nel prossimo futuro.

Il dialogo è per definizione un processo bidirezionale e consentirà di discutere questioni di reciproco interesse nell’UE e nel paese partner.

 
 

(1) GU L 202 del 30.7.1997, pag. 60.

 

Interrogazione n. 106 dell’on. Costas Botopoulos (H-0247/08)
 Oggetto: Fondo assicurativo di solidarietà tra generazioni
 

L’articolo 149 della legge greca 3655/2008 (Gazzetta ufficiale della Repubblica ellenica 58 A’ del 3.4.2008) relativa alla “Riforma amministrativa e organizzativa del regime di sicurezza sociale e altre disposizioni previdenziali” prevede la creazione di una riserva per far fronte a futuri problemi del sistema previdenziale, denominata “Fondo assicurativo di solidarietà tra generazioni”, che sarà utilizzata dopo il 2019. Le sue risorse saranno costituite dal 10% delle entrate annuali totali provenienti dalle privatizzazioni di imprese e di organismi pubblici, dal 4% delle entrate annuali totali provenienti dall’IVA e dal 10% delle somme riscosse dagli organismi di sicurezza sociale.

Nelle sue stime relative all’ammontare del deficit di bilancio greco, terrà la Commissione conto, e in base a quale metodologia, delle somme che si accumuleranno gradualmente in tale fondo, tenendo presente che la sua entrata principale e più regolare saranno le entrate provenienti dall’IVA?

È la Commissione a conoscenza del modo in cui il governo greco intende coprire il deficit di entrate di bilancio derivante dall’utilizzazione del 4% delle entrate provenienti dall’IVA e dall’impegno del 10% delle entrate globali annuali delle privatizzazioni per finanziare tale nuovo Fondo?

 
  
 

In base alle norme contabili del SEC 95(1), il Fondo assicurativo di solidarietà tra generazioni sarà classificato nel sottosettore enti di previdenza e assistenza sociale nell’ambito del settore amministrazioni pubbliche. Questa classificazione implica che il disavanzo/l’eccedenza annuali del fondo contribuiranno al disavanzo/all’eccedenza generali delle amministrazioni pubbliche. Inoltre, poiché le operazioni tra il fondo e altre amministrazioni pubbliche (ad esempio, trasferimenti di imposta sul valore aggiunto, contributi sociali) saranno consolidate, non avranno alcun effetto sul disavanzo pubblico. La logica di queste norme è che in sostanza i trasferimenti di entrate appaiono come adeguamenti interni del bilancio dell’amministrazione pubblica, senza alcun cambiamento per quanto riguarda la ricchezza, né il flusso di reddito.

Il modo in cui il Fondo assicurativo per la solidarietà tra generazioni investirà i propri fondi potrà tuttavia avere effetti sulle passività del settore amministrazioni pubbliche(2), dopo il 2009. Se gli investimenti sono principalmente destinati ad attivi diversi dalle obbligazioni di Stato, le passività consolidate del settore amministrazioni pubbliche possono aumentare di un importo pari a quello di tali investimenti, rispetto a una situazione in cui gli investimenti sono destinati esclusivamente alle obbligazioni di Stato.

 
 

(1) Sistema europeo dei conti – Regolamento (CE) n. 2223/96 del Consiglio, modificato.
(2) La definizione di passività del settore amministrazioni pubbliche è fornita dall’articolo 1, paragrafo 5, del regolamento (CE) n. 3605/93 del Consiglio, modificato.

 

Interrogazione n. 107 dell’on. Anne E. Jensen (H-0249/08)
 Oggetto: Gestione da parte dell’AESA degli atterraggi di emergenza del Dash 8 Q400
 

Gli incidenti all’aereo Dash 8 Q400 sono avvenuti nell’autunno del 2007 a Aalborg, Vilnius e Copenhagen. Una successiva indagine da parte della società proprietaria degli aerei ha rilevato che 16 dei suoi 18 Dash 8 Q400 avevano lo stesso errore di progettazione dell’aereo che ha effettuato l’atterraggio di emergenza a Copenhagen. D’altro lato, anche la società Austrian Airlines, tra le altre, ha avuto problemi con il meccanismo di atterraggio di questo tipo di aereo. In seguito all’interrogazione H-0051/08(1), si chiede alla Commissione di rispondere alle seguenti domande:

Visto che l’AESA ha il potere di emanare direttive sull’abilitazione al volo in caso di errori e difetti di progettazione, non dovrebbe ordinare un’indagine su tutti gli aerei Dash 8 Q400 nel suo settore di competenza?

L’AESA ha una visione generale delle procedure di manutenzione (ispezione e, se necessario, sostituzione di filtri) applicate dalle società aeree nel suo settore di competenza?

L’AESA dispone degli strumenti necessari per garantire la sicurezza aerea in Europa oppure in questo campo si trova in conflitto con le autorità nazionali?

 
  
 

Come la Commissione ha detto all’onorevole parlamentare nella risposta all’interrogazione orale H-0051/08, l’Agenzia europea per la sicurezza aerea (AESA) ha pubblicato direttive di navigabilità che prescrivono misure correttive.

In particolare, nell’ottobre 2007 una direttiva di navigabilità richiedeva l’ispezione di tutti gli aerei del tipo Dash 8 Q400 registrati negli Stati membri dell’Unione europea. Se dalle analisi dei risultati di tali ispezioni fosse emerso che erano necessarie altre misure, l’AESA avrebbe adottato le iniziative del caso.

L’AESA ha riesaminato le procedure di manutenzione in relazione agli aerei Dash 8 Q400 e le ritiene soddisfacenti. Occorre tuttavia tenere presente che l’approvazione dei programmi di manutenzione di ogni singolo operatore è un compito che spetta alle autorità nazionali che sono esse stesse sottoposte alle ispezioni di normalizzazione dell’AESA.

Per poter svolgere pienamente il proprio ruolo, l’AESA deve poter disporre di tutte le informazioni pertinenti in relazione alla sicurezza, in particolare le informazioni provenienti dai resoconti dei casi verificatisi e dai rapporti d’indagine. La Commissione promuove l’instaurazione di una stretta collaborazione tra l’AESA e le autorità nazionali competenti e intende formalizzare tale collaborazione in occasione della revisione delle pertinenti direttive. Questo tipo di collaborazione è importante soprattutto per il fatto che non tutti i compiti in materia di sicurezza sono ancora stati interamente trasferiti all’AESA e le responsabilità sono quindi condivise tra l’AESA e gli Stati membri.

 
 

(1) Risposta orale del 19.2.2008.

 

Interrogazione n. 108 dell’on. Diamanto Manolakou (H-0251/08)
 Oggetto: Installazione di aerogeneratori nell’isola di Skyros
 

Il governo greco progetta l’installazione di 111 aerogeneratori pari a una potenza totale di 333 MW nell’isola di Skyros della prefettura dell’Eubea, nell’area centrosettentrionale del Mar Egeo, creando così uno dei maggiori parchi di aerogeneratori del mondo. Tale misura avrà ripercussioni particolarmente negative sull’economia dell’isola, in particolare per quanto riguarda l’allevamento di bestiame, l’apicoltura e il turismo. Inoltre, comporterà la distruzione del paesaggio insulare e la scomparsa del cavallo di Skyros, una razza unica protetta conformemente al regolamento (CEE) n. 2078/92(1) e che vive nella zona in cui si progetta l’installazione del parco, che è anche considerata zona di protezione speciale per l’avifauna (ZPSGR 115). Tutte le associazioni dell’isola hanno espresso la loro forte opposizione, rispondendo così anche alla petizione scritta della grande maggioranza degli abitanti che chiedono al governo greco di annullare le sue decisioni.

È la Commissione a conoscenza dei progetti di installazione degli aerogeneratori, sono essi corredati di studi ambientali e quali misure intende adottare per impedire l’installazione degli aerogeneratori nell’isola?

 
  
 

La legislazione comunitaria in materia ambientale non vieta la costruzione di aerogeneratori su un sito Natura 2000. L’articolo 6, paragrafi 3 e 4, della direttiva 92/43/CEE(2) relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche stabilisce una serie di misure formali e sostanziali che riguardano progetti che possono avere incidenze significative su un sito protetto, allo scopo di conservare il sito e di garantire l’integrità della rete.

Nel caso di Skyros, tali disposizioni sono applicabili al sito “Skyros: Oros Kochylas” (GR2420006) designato dalla Grecia per la rete Natura 2000 in base alla direttiva 92/43/CEE e alla direttiva 79/409/CEE(3) concernente la conservazione degli uccelli selvatici.

Secondo le informazioni disponibili, che sono state anche inviate alla Commissione da associazioni locali, la procedura di valutazione e di autorizzazione ambientale per il progetto, conformemente alle norme nazionali di recepimento delle direttive 85/337/CEE(4) e 92/43/CEE, è in corso, ma il suo esito non sembra essere positivo. Il fatto che la comunità locale abbia potuto esprimere le proprie opinioni dimostra che l’obbligo di informare e consultare i cittadini è stato rispettato. L’opinione pubblica non è tuttavia vincolante.

Alla luce di quanto esposto, non è possibile stabilire che siano state violate la direttiva 85/337/CEE o la direttiva 92/43/CEE. La Commissione continuerà a seguire da vicino la situazione.

 
 

(1) GU L 215 del 30.7.1992, pag. 85.
(2) GU L 206 del 22.7.1992.
(3) GU L 103 del 25.4.1979.
(4) GU L 175 del 5.7.1985.

 

Interrogazione n. 109 dell’on. Pedro Guerreiro (H-0256/08)
 Oggetto: Punto della situazione degli attuali negoziati nell’ambito dell’OMC
 

Tenendo conto delle proposte riviste sull’agricoltura e l’accesso al mercato di prodotti non agricoli nel quadro dei negoziati dell’OMC qual è secondo la Commissione il punto della situazione attuale dei negoziati? Quali sono le proposte riviste che presenta per i negoziati in tale ambito in particolare in materia di agricoltura, prodotti non agricoli (compreso il tessile e l’abbigliamento) e i servizi?

 
  
 

A metà febbraio le presidenze dei rispettivi gruppi di negoziato sull’agricoltura e sui prodotti agricoli (“NAMA”) hanno emesso nuove versioni dei loro testi di negoziato. Nel frattempo si sono svolti ulteriori negoziati, e le presidenze possono decidere di tenere conto dei progressi compiuti emettendo altri testi riveduti. I membri dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) dovranno quindi decidere se esiste una base solida per passare a un negoziato ministeriale. Tali negoziati cercheranno di giungere a un accordo sulle cosiddette “modalità” per la parte finale dei negoziati. E’ probabile che la riunione ministeriale possa essere convocata nei prossimi mesi.

Nel settore dell’agricoltura, la Commissione ha cercato di impegnarsi con i paesi terzi allo scopo di trovare soluzioni stabilite di comune accordo. In questo contesto, la Commissione agisce rigorosamente entro i limiti del mandato attribuito dal Consiglio sulla base della riforma della politica agricola comune del 2003. Anche se sembra esservi una crescente convergenza tra le parti coinvolte nei negoziati sul trattamento dei prodotti sensibili, restano ancora in sospeso alcune questioni difficili e delicate dal punto di vista politico che riguardano in gran parte l’accesso ai mercati e che non sono ancora mature per un coinvolgimento ministeriale.

Il testo di negoziato sul NAMA di febbraio non è chiaro riguardo al contributo delle economie emergenti. La posizione dell’UE è che le economie emergenti devono contribuire a creare nuove opportunità commerciali effettive per i prodotti industriali, come specificato nel mandato relativo all’agenda di Doha per lo sviluppo. Questa posizione è stata espressa con chiarezza ad altri membri dell’OMC. Riguardo a settori specifici, l’UE ha presentato una proposta di accordo settoriale sui prodotti tessili (che prevede l’ulteriore liberalizzazione del commercio di prodotti tessili) e continuerà a impegnarsi in merito ai picchi tariffari nei paesi in via di sviluppo e nelle economie emergenti.

Nel settore dei servizi, sarà essenziale che qualsiasi riunione ministeriale dell’OMC concordi sulla necessità di un risultato ambizioso in questo settore. Ai margini della riunione ministeriale dell’OMC, si terrà una riunione speciale con le principali economie emergenti e industriali, in cui i paesi interessati segnaleranno in quali settori possono fare offerte di ulteriore liberalizzazione (“conferenza multilaterale di segnalazione”). Dei risultati di tale conferenza si terrà pertanto conto nella valutazione globale della CE dell’equilibrio che potrebbe essere raggiunto nei negoziati nel complesso.

Qualsiasi risultato dei negoziati che possa emergere nelle prossime settimane deve essere globale e riguardare questioni di chiaro interesse per l’UE. L’ambizione nel settore dell’agricoltura deve trovare piena corrispondenza in altri settori dei negoziati, fra cui NAMA, servizi e regole, indicazioni geografiche. La Commissione non accetterà compromessi al riguardo: un risultato globale non equilibrato sarebbe inaccettabile.

 

Interrogazione n. 110 dell’on. Laima Liucija Andrikienė (H-0258/08)
 Oggetto: Lotta agli effetti sulla salute umana della catastrofe di Chernobyl
 

La catastrofe di Chernobyl, avvenuta il 26 aprile 1986, ha causato danni incommensurabili all’ambiente e alla salute umana, in particolare a causa del tentativo criminoso del potere sovietico dell’epoca di dissimulare la realtà dell’incidente. Attualmente le conseguenze di questa catastrofe si fanno ancora sentire non solo in Ucraina e in Bielorussia, ma anche in altri paesi della regione, che sono membri dell’Unione europea, cioè in Polonia, Lettonia e Lituania. Gli esperti vedono una correlazione tra la catastrofe di Chernobyl e il crescente numero di tumori e malattie cardiovascolari, i problemi di sterilità di giovani coppie, ecc.

La Commissione ha elaborato un piano d’azione per risolvere questi problemi nell’Unione europea? E’ stata attuata una strategia di prevenzione per determinare i fattori ambientali e per valutare le conseguenze della catastrofe di Chernobyl sull’ambiente e sulla salute umana? La Commissione prevede di aiutare l’Ucraina e la Bielorussia in questo settore?

 
  
 

L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha pubblicato una relazione esaustiva sulle conseguenze sulla salute dell’incidente di Chernobyl, fra cui la mortalità tra gli operatori del soccorso, l’aumento dell’incidenza del cancro alla tiroide e la possibile incidenza prevista di altre forme di cancro e della leucemia(1).

La relazione è giunta alla conclusione che non esistono prove scientifiche da cui risulti che possa esservi una riduzione della fertilità nella popolazione in generale quale conseguenza diretta dell’incidente di Chernobyl. Per quanto riguarda le malattie cardiovascolari dovute alle radiazioni, la relazione in questione, pur non suffragando del tutto un aumento, non ha potuto tuttavia escludere un minimo effetto. Per cercare di fare chiarezza in proposito, la Commissione ha deciso di organizzare nel novembre 2008 un seminario scientifico sulle malattie circolatorie dovute all’esposizione a radiazioni.

Il livello di radiazioni cui la popolazione dell’UE è stata esposta a seguito dell’incidente di Chernobyl ha rappresentato un piccolo aumento rispetto a quello delle radiazioni provenienti dal fondo naturale. Dal punto di vista statistico, si può presumere che tale esposizione possa comportare un aumento dell’incidenza del cancro nella popolazione, tuttavia qualsiasi aumento (se si verificasse) sarebbe limitato in relazione a quello che si presume possa derivare dalle radiazioni naturali. Qualsiasi aumento sarebbe inoltre statisticamente impercettibile rispetto all’incidenza relativamente alta del cancro nella popolazione dovuta ad altre cause.

Le dosi per la popolazione europea sono state stimate e i livelli di radioattività nell’ambiente sono tenuti sotto esame sulla base delle informazioni fornite dagli Stati membri ai sensi dell’articolo 36 del Trattato Euratom.

Dal 1990 la Commissione sostiene nell’ambito dei propri programmi quadro (principalmente Euratom) un importante progetto di ricerca (circa 40 milioni di euro) sulle conseguenze sulla salute e sull’ambiente dell’incidente di Chernobyl. La maggior parte dell’attività di ricerca è stata condotta nella prima metà degli anni ‘90 in collaborazione con Bielorussia, Federazione russa e Ucraina. Attualmente la ricerca è limitata ad alcune questioni fondamentali, in particolare l’aumento dell’incidenza del cancro alla tiroide nei tre paesi menzionati. Più in generale, i rischi derivanti dall’esposizione a radiazioni a basse dosi sono stati e continuano ad essere l’oggetto principale della ricerca in materia di radioprotezione nei programmi quadro di ricerca Euratom passati e presenti.

In termini di assistenza, la Commissione ha fornito finora un contributo di 250 milioni di euro al Shelter Implementation Plan (programma di realizzazione della struttura di protezione). La Commissione ha anche fornito un contributo di 92 milioni di euro a progetti per il trattamento e la gestione dei rifiuti radioattivi e un importo di 96 milioni di euro per sostenere le autorità di regolamentazione in Ucraina per garantire la creazione di un quadro adeguato in materia nucleare.

La Commissione ha avviato più di 100 progetti per affrontare le conseguenze ambientali, sanitarie e socioeconomiche, con un contributo totale di 60 milioni di euro. Tra tali progetti sono inclusi studi medici degli effetti sulle malattie dovute a radiazioni, studi sugli ecosistemi, centri di informazione di emergenza, sovvenzioni per creare fonti di occupazione nella zona colpita, istruzione in materia radiologica, attività agricole, miglioramento dell’assistenza sanitaria professionale, e il programma CORE in Bielorussia, che sostiene un approccio integrato alle questioni della riabilitazione socioeconomica in un contesto di contaminazione radiologica.

I progetti attualmente in fase di realizzazione includono un progetto socioeconomico, un progetto medico per migliorare la diagnostica e le cure prenatali nelle province ucraine colpite dall’incidente, un progetto con l’UNICEF per migliorare l’assistenza sanitaria per i bambini e le madri, e un contributo di 2,7 milioni di euro per il progetto del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo il cui scopo è lottare contro gli effetti negativi del disastro di Chernobyl in Bielorussia.

 
 

(1) “Relazione del forum dell’ONU su Chernobyl, Health Effects of the Chernobyl Accident and Special Healthcare Programmes”, Ginevra, 2006 (disponibile sul sito http://www.who.int).

 

Interrogazione n. 111 dell’on. Hans-Peter Martin (H-0262/08)
 Oggetto: Costi e benefici della campagna di immagine per le agenzie comunitarie
 

La Commissione ha organizzato una campagna avente come motto: “Whatever you do, we work for you” (Qualsiasi cosa facciate, lavoriamo per voi), al fine di migliorare l’immagine delle agenzie comunitarie.

A quanto ammontava il costo totale di questa campagna e per quanto tempo si è protratta? Quali agenzie hanno partecipato, con quale contributo sul costo complessivo e in cosa consisteva la campagna? Esiste un’analisi dei risultati della campagna e, in caso affermativo, quali conclusioni ha raggiunto?

 
  
 

La Commissione desidera rammentare che le agenzie di regolazione sono organi indipendenti dalla Commissione con una propria personalità giuridica. In quanto tali, ciascuna agenzia conduce la propria politica di comunicazione. La campagna di comunicazione cui l’onorevole parlamentare fa riferimento è stata intrapresa esclusivamente dalle agenzie ed è un esempio di politica di comunicazione coordinata, che rappresenta una linea di azione favorita dalla Commissione.

Per quanto riguarda le informazioni concrete richieste dall’onorevole parlamentare – costo totale, contributo finanziario delle agenzie, livello di partecipazione, durata e analisi dei risultati – ad essere nella posizione migliore per rispondere è l’agenzia che ha coordinato la campagna. La Commissione ha pertanto richiesto alla Fondazione europea per la formazione di fornire le informazioni necessarie. La Commissione presenterà all’onorevole parlamentare i dati concreti appena possibile.

 
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