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Procedura : 2007/0224(CNS)
Ciclo di vita in Aula
Ciclo del documento : A6-0183/2008

Testi presentati :

A6-0183/2008

Discussioni :

PV 04/06/2008 - 26
CRE 04/06/2008 - 26

Votazioni :

PV 05/06/2008 - 6.6
Dichiarazioni di voto

Testi approvati :

P6_TA(2008)0246

Resoconto integrale delle discussioni
Mercoledì 4 giugno 2008 - Bruxelles Edizione GU

26. Protezione degli ecosistemi marini vulnerabili (discussione)
Processo verbale
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione di Duarte Freitas, a nome della commissione per la pesca, sulla proposta di regolamento del Consiglio relativo alla protezione degli ecosistemi marini vulnerabili d’alto mare dagli effetti negativi degli attrezzi da pesca di fondo [COM(2007)0605 – C6-0453/2007 – 2007/0224(CNS)] (A6-0183/2008).

 
  
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  Joe Borg, Membro della Commissione. (EN) Signora Presidente, la relazione dell’onorevole Freitas affronta una proposta che apre la strada all’introduzione del principio di valutazione dell’impatto ambientale nel settore della pesca. Non esagero nel ribadirne l’importanza in termini di cambiamento di regime e di allineamento del regolamento sulla pesca con molte altre attività marittime.

Inoltre, questo principio risponde a un obiettivo alquanto specifico – quello di prevenire eventuali danni agli ecosistemi marini vulnerabili. La proposta incarna completamente l’approccio basato sugli ecosistemi che la Commissione si è impegnata ad attuare nell’ambito della politica comune della pesca.

Con questa proposta intendiamo rispondere all’appello lanciato nel 2006 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a intraprendere iniziative efficaci per evitare che gli ecosistemi marini vulnerabili continuino a essere distrutti o pesantemente danneggiati dalle attività di pesca praticate con attrezzi da pesca di fondo. Per quel che riguarda i pescherecci che operano in aree nelle quali non vige alcun regime internazionale di conservazione o gestione, è lo Stato di bandiera a dover regolamentare le attività dei suoi pescherecci per garantire tale protezione. Dal momento che l’Union europea detiene la competenza normativa dello Stato di bandiera conformemente al diritto internazionale, dobbiamo adottare misure adeguate a rispondere all’appello delle Nazioni Unite entro la fine di quest’anno.

Il regolamento, come proposto, sarà dunque applicabile ai pescherecci battenti bandiera UE che operino in zone d’alto mare non regolamentate da un’ORGP. Attualmente, abbiamo una flotta di dimensioni considerevoli che sta operando nell’Atlantico sud-occidentale, che è una delle suddette zone. Il testo è stato sviluppato con la finalità di stabilire obblighi in termini di risultato da parte degli Stati membri di bandiera, vale a dire di assicurare che non sia consentito assegnare permessi per le attività di pesca praticate con attrezzi da pesca di fondo a meno che una valutazione del potenziale impatto non ne dimostri chiaramente il basso rischio per gli ecosistemi marini vulnerabili. In altre parole, la Commissione non entra nei dettagli su come gli Stati membri debbano effettuare questa valutazione, ma, piuttosto, noi fissiamo gli standard minimi relativi all’informazione scientifica e lasciamo poi alla discrezione degli Stati membri come ottenere i risultati richiesti.

La nostra proposta sancisce che gli attrezzi di fondo non possono essere collocati a una profondità superiore ai 1000 metri. L’argomento secondo cui la norma proposta non ha fondamento scientifico non può essere sostenuto. Da una parte, stiamo ancora sviluppando la nostra conoscenza dei mari profondi e ci troviamo dinanzi a così tante incertezze che la completa applicazione di un approccio preventivo rappresenta una garanzia. Il limite di profondità proposto è una scelta ragionevole, e non interferisce nelle attuali attività dei pescherecci UE, che si svolgono in acque molto meno profonde. Dall’altra parte, questa norma intende assicurarci il tempo necessario per testare il funzionamento del nuovo approccio normativo prima di permettere ai nostri pescatori di inoltrarsi in acque più profonde.

Si tratta di mantenere lo stato attuale delle nostre attività fino a che non avremo abbastanza informazioni da permetterne, in sicurezza e serenità, un’espansione. La Commissione è disponibile a ritornare su questo punto specifico nell’arco di due anni, quando sottoporremo al Consiglio e a quest’Assemblea una relazione sull’attuazione del regolamento e sulla sua efficacia. Per queste ragioni la Commissione non può accogliere l’elimianzioen di questa norma, come proposto nella relazione.

Secondo, la relazione dell’onorevole Freitas propone di emendare la disposizione in base alla quale il regolamento imporrebbe una copertura totale di osservazione sulle flotte, e prevedere, invece, un sistema di campionamento. La Commissione ha altresì difficoltà ad accogliere questo emendamento, dal momento che, in assenza di osservatori, rimarrebbe soltanto il sistema di monitoraggio delle navi mediante satellite (VMS) quale strumento di controllo per monitorare l’osservanza, da parte di ogni peschereccio, dello specifico piano di pesca approvato. Non è abbastanza, ed è probabilmente poco realistico aspettarsi che i centri nazionali di monitoraggio della pesca garantiscano un controllo individuale e in tempo reale per ogni unità della flotta. Inoltre, senza un osservatore a bordo, la tanto importante norma “move away” nel caso in cui il peschereccio si imbatta accidentalmente in un ecosistema non inquadrato perderebbe di efficacia, dal momento che il VMS non può monitorarne l’osservanza. Come nel caso precedente, questo requisito può essere rivisto in un periodo di due anni perché ne sia valutata l’efficacia.

La maggior parte dei restanti emendamenti proposti è accettabile per la Commissione, e molti tra questi, in realtà, sono già stati presentati su linee analoghe durante le discussioni in Consiglio.

Vorrei ringraziare il Parlamento per il sostegno che ha garantito alla Commissione nei nostri sforzi al fine di fornire una risposta efficace a tale questione.

 
  
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  Duarte Freitas, relatore. − (PT) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, desidero innanzi tutto congratularmi con la Commissione per aver preso l’iniziativa di presentare la proposta in oggetto, questo per due ragioni. In primo luogo, perché va di pari passo con l’iniziativa dell’Unione europea e con l’atteggiamento proattivo, in merito alla questione, dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite e, in secondo luogo, perché si basa su un principio molto importante, cioè la valutazione d’impatto delle attività di pesca perfino prima che sia data l’autorizzazione per attuarle.

Questo perché stiamo parlando di zone in cui non c’è, attualmente, nessuna organizzazione regionale di gestione della pesca. La verità è che, nelle aree costiere, l’adozione di misure per la protezione degli ecosistemi marini vulnerabili dalle attività di pesca praticate con attrezzi da pesca di fondo è responsabilità degli Stati. Nelle acque internazionali, la protezione dell’ambiente marino è tendenzialmente stabilita da convenzioni marine regionali, laddove queste esistono, mentre l’adozione di misure per la protezione e la gestione delle risorse marine viventi e per la regolamentazione dell’impatto della pesca sugli ecosistemi vulnerabili è sotto la responsabilità delle organizzazioni regionali di gestione della pesca. Tuttavia, esistono zone d’alto mare che non sono coperte da nessuna organizzazione di pesca, il che equivale a incoraggiare il perseguimento di attività distruttive di pesca.

Tenendo presente questa realtà, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, come ci si aspetterebbe, con l’UE in ruolo di guida, è pervenuta alla conclusione che sia necessario fare qualcosa per proteggere il fondo marino, dove attualmente non esiste alcun tipo di controllo.

E’ un’iniziativa assolutamente positiva, che dovrebbe essere valorizzata e accolta con favore, al pari della proposta della Commissione; è altresì una proposta che possiamo definire generosa, dal momento che obbligheremo le navi battenti bandiera dei nostri Stati membri a rispettare una serie di norme di cui dovremo garantire l’osservanza, attraverso canali diplomatici, anche parte di altri paesi terzi che operano nelle stesse zone di cui stiamo parlando – il fondo oceanico. Altrimenti, non ha molto senso che l’Unione europea dia l’esempio e obblighi le sue navi a condurre questi studi e a rispettare una serie di requisiti se altre navi, battenti altre bandiere, intraprendono pratiche distruttive di pesca proprio nella zona che cerchiamo di proteggere.

C’è, dunque, un ambito in questa generosa proposta per il quale dobbiamo congratularci con la Commissione, che deve avere una conseguenza in termini di sforzi diplomatici, sulla base altresì dell’accordo raggiunto con l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, affinché possiamo realmente compiere un passo avanti.

Per quel che riguarda alcune problematiche qui menzionate – la questione dei 1 000 metri – signor Commissario, nella commissione per la pesca siamo riusciti a organizzare un’audizione con esperti, e io stesso ho potuto interpellarne alcuni, ed essi sono d’accordo sul fatto che i 1 000 metri, o gli 800, o i 500, o i 1 200 non siano una misura tecnica, ma semplicemente una scelta politica. Però, se con questa proposta obblighiamo già coloro che vogliono pescare in determinate zone a studiare prima i fondali marini e i rischi che questi corrono, ritengo che questo studio comprenderà tutte le profondità da 800 a 1 100, o a 1 500 metri, e, quindi, non sarà necessario definire con precisione i 1 000 metri, dal momento che la protezione è già prevista in altro modo.

In ogni caso, stiamo ancora aspettando ulteriori giustificazioni, possibilmente di natura tecnica, che gli esperti interpellati non sono stati in grado fornire, ma penso che quello che il Commissario ha affermato finora non ci dia motivi sufficienti per supporre che i 1 000 metri proposti possano essere una misura valida. Tuttavia, aspetteremo ancora e ci auguriamo che la proposta del Parlamento europeo sia presa in considerazione a seguito del voto di domani.

 
  
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  Marios Matsakis, relatore per parere della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare. (EN) Signora Presidente, ringrazio il relatore per l’eccellente testo presentato.

Molti ecosistemi marini d’alto mare sono unici e vulnerabili e necessitano – nel modo più risoluto e opportuno possibile – di protezione dagli effetti talvolta catastrofici degli attrezzi da pesca di fondo.

Il regolamento proposto rappresenta senza dubbio un passo nella giusta direzione, ma, probabilmente, si dovrà fare molto di più in futuro a mano a mano che verranno raccolte informazioni ed esperienze sulla biologia marina delle acque profonde. L’applicazione del principio di precauzione quale base per la formulazione di alcuni parametri di questo regolamento è ritenuta sia necessaria che sensata. Come sempre, il successo di ogni normativa dipende in larga misura da quanto viene attuata in modo corretto, e la presenza a bordo di osservatori sarebbe di aiuto in questo senso.

Si nutre la forte speranza che, nonostante alcune inevitabili debolezze intrinseche a tale riguardo, il regolamento si rivelerà un successo sia in teoria che in pratica.

 
  
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  Carmen Fraga Estévez, a nome del gruppo PPE-DE. – (ES) Signora Presidente, siamo chiaramente tutti favorevoli alla protezione degli ecosistemi marini vulnerabili dalle pratiche di pesca distruttive.

Infatti, sono talmente favorevole a questa iniziativa che, anzi, chiederei perfino la protezione di questi ecosistemi da tutte le pratiche distruttive, comprese quelle non inerenti alla pesca. Sappiamo però che, in ultima analisi, in questi casi sta al settore della pesca aprire la strada e dare un esempio.

Come ho già affermato in riferimento alla relazione dell’onorevole Miguélez sugli stock ittici di acque profonde, ritengo che la nostra principale preoccupazione dovrebbe essere la protezione di tutti gli ecosistemi vulnerabili individuati come tali, ovunque si trovino, e non soltanto di quelli che sono così fortunati da trovarsi a una profondità maggiore di 1 000 metri.

Come ha affermato l’onorevole Freitas, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) ha eliminato il criterio della profondità in quanto arbitrario e non scientifico, e le organizzazioni regionali di gestione della pesca (ORGP), tra cui l’Organizzazione della pesca nell’Atlantico nordoccidentale (NAFO), hanno eliminato la regola dei 2 000 metri, senza nemmeno considerare il limite di 1 000 metri, dal momento che a loro avviso il limite non aveva nessuna utilità, e lo hanno dunque soppresso.

Tuttavia, signor Commissario, la mia domanda è la seguente: lei ha affermato che la proposta verrà applicata alle flotte che pescano sulla piattaforma della Patagonia. Recentemente, rappresentanti dell’Istituto oceanografico sono stati qui a presentare studi di valutazione in cui non hanno individuato ecosistemi marini vulnerabili in quella zona. Vorrei dunque chiederle se ha intenzione di continuare a insistere sull’applicazione di questa proposta alla flotta comunitaria attiva in quella zona.

Infine, vorrei discutere la questione degli osservatori, argomento rispetto al quale penso che la relazione dell’onorevole Freitas sia alquanto sensata. Ritengo, e sono convengo con la relazione, che sia importante avere osservatori che sono scienziati, dal momento che devono valutare gli ecosistemi marini vulnerabili, compito che non può essere espletato da qualsiasi osservatore.

Come è stato affermato dagli stessi scienziati, però, pare assurdo assegnarne uno per nave, perché, insieme allo svuotamento dei nostri istituti oceanografici, non ci sarebbe ragione di tale attribusione dal momento che è molto più rilevante costituire programmi di campionamento pianificati e organizzati che siano mantenuti per un periodo di tempo, che ci fornirebbe una buona visione d’insieme su queste attività di pesca.

Le sarei dunque grata, signor Commissario, se potesse rispondere alle mie domande, e chiedo di sostenere la relazione dell’onorevole Freitas.

 
  
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  Paulo Casaca, a nome del gruppo PSE. – (PT) Signora Presidente, vorrei innanzi tutto congratularmi con il nostro relatore per questo eccellente testo e ribadire che ciò di cui ci stiamo occupando è la protezione dei fondali oceanici, tra cui le barriere coralline di acque profonde, le montagne sottomarine, i camini idrotermali e le spugne di acque profonde, che costituiscono tesori inestimabili dei nostri ecosistemi.

Voglio anche ricordare che la protezione di questi ecosistemi era garantita da molto tempo dalla regione autonoma delle Azzorre, e soltanto nel 2003 è stata messa a repentaglio dalle Istituzioni europee, quando hanno deciso di aprire la regione alla pesca in maniera indiscriminata, senza considerazione alcuna per la necessità di proteggerne gli ecosistemi.

Soprattutto, credo che la questione più importante, per noi, sia avere una normativa assolutamente coerente, e il problema riguardo ai 1 000 metri è che non ha alcun senso affermare che non si può pescare al di sotto dei 1 000 metri al di fuori di acque europee, mentre si può pescare oltre i 1 000 metri in acque europee – ciò non ha alcun senso dal punto di vista della validità ambientale della normativa. L’aspetto che più mi preoccupa è che questa risoluzione delle Nazioni Unite – la risoluzione chiave 61/105 dell’8 dicembre 2006 – tratta varie altre misure, per esempio quelle relative alla protezione della tartarughe marine che vivono in superficie, e che, purtroppo, la Commissione europea, anziché optare per un recepimento totale della decisione, ha preferito farlo punto per punto, settore per settore, molti anni dopo. Non mi sembra che questo sia il migliore modus operandi normativo. Sarebbe più opportuno se l’intera decisione delle Nazioni Unite fosse trasposta a livello comunitario; questo semplificherebbe enormemente le cose e renderebbe la decisione molto più oeprativa sia all’interno che all’esterno delle acque comunitarie.

 
  
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  Josu Ortuondo Larrea, a nome del gruppo ALDE. – (ES) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, siamo tutti d’accordo che ci sia bisogno di adottare misure per vietare le pratiche distruttive della pesca che minacciano gli ecosistemi marini vulnerabili.

Date queste premesse, concordiamo con l’idea che i pescherecci dell’Unione che operano in zone d’alto mare che non sono soggette ad alcuna organizzazione o accordo regionale di pesca dovrebbero rientrare nel campo di applicazione di regolamenti comunitari che stabiliscano le condizioni essenziali per ottenere i permessi speciali pertinenti a queste profondità, specifichino di conseguenza la condotta da rispettare, le informazioni da fornire, e così via.

Non siamo tuttavia d’accordo riguardo alle restrizioni proposte dalla Commissione nell’articolo 6, che stabilisce quale ragionevole opzione una profondità massima di 1 000 metri per il posizionamento degli strumenti da pesca di fondo, nella convinzione che questo limite offra un livello di protezione adeguata, in quanto non sussiste alcun dato reale a sostegno di tale concetto. Non esistono studi scientifici che dimostrino se gli ecosistemi vulnerabili sono al di sotto o al di sopra del livello di 1 000 metri.

Pensiamo che occorra far progredire e documentare meglio la situazione dei fondali oceanici in ogni zona, individuando dove sono le vulnerabilità prima di indicare una profondità massima per l’impiego degli attrezzi. Riteniamo che potrebbe essere una buona idea obbligare un peschereccio che si imbatta in un possibile ecosistema marino vulnerabile a interrompere la pesca e a informare le autorità competenti. Sulla base di ciò, concordiamo riguardo alla proposta che un campione rappresentativo dei pescherecci cui ciascuno Stato membro ha rilasciato un permesso di pesca speciale prenda a bordo un osservatore scientifico, assicurando un’idonea rotazione tra tutti i pescherecci nelle successive campagne di pesca.

Infine, siamo altresì d’accordo che, in caso di problema tecnico al dispositivo satellitare di posizionamento che ogni peschereccio è obbligato ad avere a bordo, il capitano debba comunicare la posizione geografica della nave a intervalli di due ore e che, quando rientra in porto, non possa tornare in mare fino a che non venga effettuata una verifica del corretto funzionamento del sistema di posizionamento.

Tutto questo viene proposto non solo con l’obiettivo di garantire una maggiore sostenibilità dell’ambiente marino, ma anche per salvaguardare le attività di pesca che sono necessarie a fornirci alimenti.

 
  
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  Seán Ó Neachtain, a nome del gruppo UEN.(GA) Signor Presidente, desidero congratularmi con l’onorevole Freitas per la sua eccellente relazione. Un elemento chiave per la gestione del mare è la protezione degli ecosistemi vulnerabili. Nel corso degli ultimi anni sono stati compiuti sforzi significativi in questa direzione. Sono lieto che l’Unione europea stia intraprendendo quest’opera pionieristica per la protezione dell’ambiente – sarà a beneficio di tutti noi.

La politica in materia di ecosistemi è accettata a livello internazionale e ora sta a noi metterla in atto nella maniera più ampia possibile. Un sistema che avanza a piccoli passi è adatto all’attuazione di questa politica. Possiamo imparare da ogni piccolo passo prima di procedere a quello seguente – l’evoluzione, e non la rivoluzione, è la chiave.

La protezione degli ecosistemi è complicata. Ne abbiamo un esempio splendido in Irlanda. Si trovano coralli di acqua profonda poco al largo della costa occidentale del paese. NATURA 2000 ha stabilito che questa regione costiera ha quattro siti ecologici e vi ha imposto un limite sulla pesca per proteggere il corallo di acqua profonda.

 
  
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  Pedro Guerreiro, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) Appoggiamo ampiamente le proposte della relazione volte a proteggere gli ecosistemi marini vulnerabili d’alto mare, ma vorremmo sottolineare che le misure adottate in questo campo devono essere prese sulla base di ricerca scientifica sulla pesca e in modo appropriato, vale a dire alla luce della diversità delle situazioni esistenti.

Questa necessità emerge subito in tutta chiarezza per quel che riguarda la definizione di ecosistema marino vulnerabile, che, di fatto, è quanto sottolinea la relazione evidenziando la necessità di trovare una definizione sulla base della più migliore informazione scientifica disponibile. Parimenti, occorre distinguere tra i diversi effetti causati dall’utilizzo di attrezzi differenti, valutandone i potenziali impatti sulle risorse marine e sui fondali oceanici attraverso la ricerca scientifica sulla pesca. Per ultimo, ribadiamo ancora una volta che riteniamo che le questioni relative alle ispezioni e alle omissioni di osservazione ricada nella competenza di ciascuno Stato membro.

 
  
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  Avril Doyle (PPE-DE). - (EN) Signora Presidente, gli scienziati nel settore della pesca ora sanno che le acque profonde d’alto mare pullulano di vita, di cui la maggior parte è ancora da scoprire. Infatti, circa il 50 per cento della flora o della fauna raccolta da zone a profondità superiore ai 3 000 metri costituisce una nuova specie. Gli scienziati ritengono che 10 milioni di specie abitino il mare profondo, una biodiversità paragonabile alle più ricche foreste tropicali del mondo. Stanno scoprendo lentamente ecosistemi che sono straordinari in natura, che sono spesso habitat di specie introvabili altrove nel pianeta.

Accolgo dunque con favore le proposte della Commissione di far sì che le attività di pesca condotte con attrezzi da pesca di fondo in zone d’alto mare sia soggette al rilascio di un permesso, e che sia l’autorità competente a stabilire che non sussistono significativi impatti negativi sugli ecosistemi nelle zone d’alto mare prima di emettere tali permessi. Da tempo occorreva un’iniziativa in questo settore, e ringrazio l’onorevole Duarte Freitas per la sua relazione.

La pesca a strascico sta causando danni senza precedenti al corallo d’acqua fredda e alle comunità delle spugne. L’attrezzatura della pesca di fondo non regolamentata può altresì raggiungere montagne sommerse o sottomarine, demolendone il percorso sulla piattaforma oceanica e distruggendo tutte le forme di vita incontrate sul cammino. Alcune specie corrono il rischio di estinguersi perfino prima che che gli scienziati abbiano la possibilità di scoprirle.

Purtroppo, l’Unione europea è l’epicentro della pesca a strascico. Nel 2001, gli Stati membri, compresi i nostri nuovi Stati baltici, costituivano circa il 60 per cento delle catture con reti a strascico in alto mare, e lo stesso anno la sola Spagna arrivava a circa due terzi delle catture UE registrate e al 40 per cento delle catture globali riprotate nelle attività di pesca a strascico.

Sono d’accordo con il relatore: la Commissione deve ricorrere alle sue competenze al di là del settore della pesca per promuovere azioni integrate per la protezione degli ecosistemi vulnerabili, e la nostra azione deve essere guidata da due principi chiave: l’approccio basato sulla precauzione, che prevede il nostro intervento quando mancano informazioni scientifiche o c’è incertezza, e, soprattutto, la gestione basata sugli ecosistemi.

Signor Commissario, il dato di 1 000 metri è un dato arbitrario? Ritengo che si tratti di capire se gli ecosistemi vulnerabili esistono al di sopra e non solo al di sotto di questo limite, interrogativo già sollevato da alcuni colleghi.

 
  
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  Marios Matsakis. − (EN) Signora Presidente, molti oratori hanno affermato che non c’è prova scientifica – o non c’è prova alcuna – a sostegno della scelta del limite di profondità di 1 000 metri. Non è così. Infatti, per darvi un esempio, c’è l’evidenza scientifica fornita da operazioni di pesca a 840 e a 1 300 metri nell’Irlanda occidentale. La datazione al carbonio 14 ha svelato che la matrice del corallo d’acqua fredda, pescato come cattura accessoria, aveva almeno 4550 anni.

Ci sono, dunque, ecosistemi vulnerabili a quella profondità – come dimostrato dall’evidenza scientifica. Oltre ad adottare il principio di precauzione, ritengo sia saggio scegliere di porsi un tale limite.

 
  
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  Zdzisław Kazimierz Chmielewski (PPE-DE).(PL) Signora Presidente, l’Unione europea partecipa attivamente alla ricerca di soluzioni globali alla questione dell’utilizzo di attrezzi per la pesca a strascico. Anziché introdurre il divieto assoluto riguardo al loro utilizzo, è a favore dell’imposizione di severe restrizioni alla loro applicazione.

Il regolamento in discussione è una sorta di modus vivendi. Gli effetti legislativi ottenuti non sono però sempre basati su un provvedimento chiaro e convincente. Gli ambienti di pesca più piccoli, privati della possibilità di studi dettagliati e regolari, sono semplicemente preoccupati di non essere nella posizione di soddisfare i requisiti per stilare un piano di pesca corrispondente insieme al requisito di specificare la profondità alla quale possano essere usati gli attrezzi da pesca di fondo, o la configurazione del fondale marino – cosa che suscita particolare proccupazione nelle aree più povere.

 
  
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  Joe Borg, Membro della Commissione. (EN) Signora Presidente, accolgo con favore i vari punti e commenti che sono stati sollevati, che sottolineano l’importanza attribuita alla questione delle pratiche di pesca distruttive.

Come ho affermato in precedenza, la nostra proposta risponde a un appello lanciato dalla comunità internazionale, e dobbiamo dimostrare la nostra determinazione a soddisfare tale richiesta.

Riguardo alla questione del limite proposto di 1 000 metri, è fondamentale che adottiamo un approccio basato sulla precauzione, e il limite scelto è stato definito in modo da garantirci di non trovarci di fronte a un improvviso sviluppo della pesca in un’area specifica. Nel contempo, il limite di 1 000 metri non ha, a questo punto, un impatto sulle attuali attività di pesca, e, se è così, non capisco perché ci sia tanta riluttanza ad adottarlo. Ma indagherò ulteriormente la questione e spero che possa essere risolta in maniera soddisfacente durante il Consiglio di giugno.

Voglio però dire che non sono d’accordo sul fatto che dovremmo permettere la pesca di fondo illimitata fino a che non avremo individuato gli ecosistemi vulnerabili, perché, una volta che il danno è fatto, è fatto, e poi è troppo tardi. Per questo insistiamo sull’approccio basato sul principio di precauzione.

La questione degli osservatori è un punto fondamentale se vogliamo dimostrare che siamo seriamente intenzionati a proteggere gli ambienti marini vulnerabili d’alto mare. Avere totale copertura è un punto chiave per la Commissione. Sono fiducioso che possiamo trovare una soluzione anche a questo problema nel Consiglio di giugno senza abbandonare il principio della copertura totale degli osservatori.

 
  
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  Duarte Freitas, relatore. − (PT) E’ con rammarico che affermerò innanzi tutto che il Commissario non ha dato ascolto a quanto espresso da quasi tutti i deputati e a quello che la relazione indica in merito ai 1 000 metri.

Non c’è nessuna, ripeto, nessuna evidenza scientifica che dimostri che il dato di 1 000 metri sia appropriato. Perché 1 000? Perchè non 800 o 1 200? Non c’è evidenza scientifica e abbiamo già tenuto un’audizione con gli esperti e abbiamo avuto la possibilità di avere con noi il direttore del dipartimento di oceanografia e pesca delle Azzorre, che ha portato a termine parecchi validi studi, internazionalmente riconosciuti, sui fondali oceanici, insieme ad altre persone con cui ho parlato, altri esperti tecnici: non c’è alcuna evidenza scientifica che il dato di 1 000 metri sia ragionevole.

Di fatto, questi 1 000 metri possono essere stati dedotti dalle discussioni sul Mediterraneo, ma non ci stiamo occupando della stessa zona, anzi, stiamo trattando aree del tutto diverse! Aspettiamo dunque e vediamo, amici miei: se, giustamente, stiamo obbligando l’Unione europea ad assumere un ruolo di guida nei processi di protezione dei fondali oceanici profondi, che è positivo, e, mi auguro, stiamo coinvolgendo in ciò altri, abbiamo, è vero, questa responsabilità ambientale, ma dobbiamo altresì essere un po’ obiettivi e ragionevoli. Se chiediamo alle flotte di presentare studi scientifici per poter pescare nelle zone di cui stiamo parlando, studi per i quali la Commissione non è stata in grado di stabilire un dato relativo ai costi, né di dirci se gli Stati membri sono nella posizione di poter procedere a una valutazione della qualità e di dare risposta a questi studi scientifici, se però chiediamo alle flotte di presentare questi studi per verificare se il fondale oceanico sia vulnerabile o meno, siamo noi a dover essere ragionevoli allora! Non parliamo dunque di 1 000 metri.

Se esistono ecosistemi vulnerabili d’alto mare, questi possono essere a 800 o a 1 000 metri, ma gli studi che stiamo chiedendo alle flotte di presentare per ottenere le licenze di pesca lo dimostreranno: è semplicemente così, e credo dunque che si tratti di essere ragionevoli sulla questione.

Per concludere, soltanto un ultimo riferimento all’importanza di questo tema: si dice che sappiamo di più sulla superficie della luna che sui fondali oceanici profondi, e, per questa ragione, qui, in quest’Aula, dovremmo sforzarci, in quanto individui, a contirbuire affinché si scopra di più sui fondali oceanici profondi.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 5 giugno 2008.

Dichiarazione scritte (articolo 142)

 
  
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  Daciana Octavia Sârbu (PSE), per iscritto.(RO) I punti di forza del regolamento proposto sono l’introduzione del principio di precausione e il rilascio di un permesso di pesca, con l’applicazione di una valutazione per certificare che le attività in questione non abbiano effetti negativi sugli ecosistemi marini. In qualità di relatore ombra, ho ritenuto necessario che queste valutazioni fossero basate su criteri omogenei a livello della Comunità, che fossero rivisti dalla Commissione per fornire una valutazione uniforme da parte di tutti gli Stati membri.

Inoltre, ho proposto la creazione di un sistema di mappatura elettronica nell’ottica di creare una banca dati degli ecosistemi marini vulnerabili, che riduca i costi e gli sforzi relativi alla valutazione e al rilascio dei permessi di pesca. In altre parole, gli elementi proposti sono stati introdotti al fine di migliorare l’efficienza del sistema e di garantire la protezione ottimale della biodiversità marina.

E’ altresì fondamentale che, entro la fine del 2008, la Commissione stili un elenco delle zone che devono essere chiuse alla pesca, indicando i siti in cui la presenza di ecosistemi marini vulnerabili è confemata, nonché quelli nei quali è probabile. Non dobbiamo però dimenticare il ruolo degli Stati membri per quel che riguarda la protezione della fauna marina tramite l’attuazione degli obblighi derivanti dalla direttiva “Habitat” e la definizione degli ecosistemi marini nella legislazione nazionale della rete NATURA 2000.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. RODI KRATSA-TSAGAROPOULOU
Vicepresidente

 
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