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Resoconto integrale delle discussioni
Lunedì 17 novembre 2008 - Strasburgo Edizione GU

Bilancio di un decennio di unione economica e monetaria e sfide future (discussione)
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  Manuel António dos Santos (PSE).(PT) Devo anzitutto congratularmi con i relatori per l’ottimo testo. Solo i pochi immemori o i tanti totalmente privi di comprensione possono pensare che l’euro e la relativa politica monetaria non siano stati un enorme successo per l’umanità e un grande successo per l’economia europea. Basta pensare al gran numero di posti di lavoro che sono stati creati in Europa sotto il regno dell’euro per comprenderne l’importanza. Né si può negare l’importanza del fatto che, in una situazione di crisi nella quale l’economia europea, grazie ai suoi strumenti, sta reagendo meglio di altre economie regionali, coloro che ancora poco tempo fa erano scettici nei riguardi della politica monetaria comune e dell’euro adesso stanno ansiosamente chiedendo di potervi partecipare e persino di entrare nella zona euro.

Ma questo non è tutto e non significa che io sia soddisfatto di come l’Unione europea ha affrontato le questioni del consolidamento finanziario e della stabilità finanziaria. In quest’aula ho già avuto modo di dire in numerose occasioni che sono favorevole alla stabilità finanziaria e al patto di stabilità e di crescita, ma ritengo che esso non sia stato sempre vantaggioso per l’economia reale. Né il patto né la politica monetaria sono stati veramente vantaggiosi per l’economia reale. Non di rado l’economia reale ha sofferto di gravissimi problemi a causa di un’applicazione troppo convenzionale delle regole del patto.

Non ho mai incontrato un economista né letto un manuale di economia che sostenessero che due, tre e sessanta, cioè i numeri magici del patto di stabilità e di crescita per inflazione, deficit e tasso d’indebitamento, sono stati comprovati scientificamente. Non ho mai conosciuto nessuno né, in particolare, un economista o uno studioso di teorie economiche che abbia detto una volta che è esiziale accanirsi a mantenere questo tipo di configurazione. La Commissione e gli ambienti più conservatori d’Europa sono fermamente convinti della necessità di avere bilanci in equilibrio o pari a zero. Si tratta di un’idea del tutto assurda. Con qualsiasi tasso di crescita, un bilancio in pari significa la cancellazione totale del debito in futuro, il che non è equo né dal punto di vista sociale né in termini intergenerazionali e non trova alcuna giustificazione né nella realtà né nell’economia reale.

 
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