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Resoconto integrale delle discussioni
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Lunedì 15 dicembre 2008 - Strasburgo Edizione GU
1. Ripresa della sessione
 2. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 3. Composizione del Parlamento: vedasi processo verbale
 4. Firma di atti adottati in codecisione: vedasi processo verbale
 5. Rettifiche (articolo 204 bis del regolamento): vedasi processo verbale
 6. Calendario delle tornate: vedasi processo verbale
 7. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
 8. Interrogazioni orali e dichiarazioni scritte (presentazione): vedasi processo verbale
 9. Dichiarazioni scritte decadute: vedasi processo verbale
 10. Petizioni: vedasi processo verbale
 11. Decisioni relative ad alcuni documenti: vedasi processo verbale
 12. Ordine dei lavori: vedasi processo verbale
 13. Interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica
 14. Organizzazione dell’orario di lavoro (discussione)
 15. Comitato aziendale europeo (rifusione) (discussione)
 16. Sicurezza dei giocattoli (discussione)
 17. Trasferimenti di prodotti legati alla difesa (discussione)
 18. Omologazione-tipo degli autoveicoli e dei loro motori (discussione)
 19. FESR, FSE, Fondo di coesione (progetti generatori di entrate) (discussione)
 20. Gli aspetti di sviluppo regionale dell’impatto del turismo nelle regioni costiere (breve presentazione)
 21. Alfabetizzazione mediatica nell’ambiente digitale (breve presentazione)
 22. Pratiche sleali delle società di compilazione degli annuari (breve presentazione)
 23. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
 24. Chiusura della seduta


  

PRESIDENZA DELL’ON. PÖTTERING
Presidente

(La seduta inizia alle 17.05)

 
1. Ripresa della sessione
Video degli interventi
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  Presidente. – Dichiaro ripresa la sessione del Parlamento europeo, interrotta giovedì, 4 dicembre 2008.

 

2. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
Video degli interventi

3. Composizione del Parlamento: vedasi processo verbale
Video degli interventi

4. Firma di atti adottati in codecisione: vedasi processo verbale
Video degli interventi

5. Rettifiche (articolo 204 bis del regolamento): vedasi processo verbale
Video degli interventi

6. Calendario delle tornate: vedasi processo verbale
Video degli interventi

7. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale

8. Interrogazioni orali e dichiarazioni scritte (presentazione): vedasi processo verbale

9. Dichiarazioni scritte decadute: vedasi processo verbale

10. Petizioni: vedasi processo verbale

11. Decisioni relative ad alcuni documenti: vedasi processo verbale

12. Ordine dei lavori: vedasi processo verbale
Video degli interventi

13. Interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca gli interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica.

 
  
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  Maria Petre (PPE-DE).(RO) La ringrazio, signor Presidente. Onorevoli colleghi, a nome di tutte le donne romene voglio ringraziarvi per lo straordinario onore che ci è stato riservato con l’assegnazione per due volte a donne romene del premio dell’Associazione internazionale per la promozione delle donne europee. Ringrazio in particolare l’onorevole Kratsa-Tsagaropolou, vicepresidente del Parlamento europeo.

La prima vincitrice romena è stata Maia Morgenstern, una delle nostre grandi attrici, che ha ottenuto il riconoscimento nel 2004. La seconda è la vincitrice di quest’anno, Monica Macovei, ex ministro indipendente della Giustizia del nostro paese. Monica Macovei merita pienamente questo riconoscimento per il suo eccezionale impegno mirato a portare la Romania sulla strada dell’Europa, senza marce indietro e senza ostacoli quali clausole di salvaguardia.

Il mio secondo punto riguarda la Repubblica di Moldova. A una stazione televisiva indipendente, la PRO TV, è stato negato il rinnovo della licenza. Il suo caso è solo uno di una serie di molte altre azioni volte a limitare la libertà di espressione in quel paese.

Invito pertanto sia la Commissione europea sia il Parlamento ad assumere questa volta una posizione ferma; come Parlamento dobbiamo intervenire in modo specifico e con urgenza presso le autorità di Chisinau affinché la smettano con simili abusi. Vi ringrazio.

 
  
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  Gyula Hegyi (PSE). (HU) Al momento non possiamo fare alcuna previsione precisa in merito al pacchetto sul clima, dato che la decisione sarà adottata tra qualche giorno o qualche settimana. Ma c’è una cosa che voglio sottolineare: il teleriscaldamento è stato escluso dalla cosiddetta tassa sul clima. Ritengo che ciò sia molto importante. Questa iniziativa è stata promossa da deputati ungheresi al Parlamento europeo, me compresa. Noi pensiamo che negli appartamenti muniti di teleriscaldamento abitino perlopiù persone a basso reddito che non sarebbero in grado di sostenere le spese aggiuntive. Inoltre, non va dimenticato che il teleriscaldamento è ecocompatibile, e dato che il riscaldamento individuale è in ogni caso esentato da tutte le tasse sul clima, credo che i fondi creati dovrebbero servire per ammodernare i sistemi di teleriscaldamento. Se ammoderniamo questi sistemi nei paesi dell’Europa centrale e orientale grazie ai finanziamenti europei, dopo il 2020 non saranno ovviamente più concesse esenzioni simili.

 
  
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  Jules Maaten (ALDE). (NL) Signor Presidente, alcune settimane fa si sono conclusi i procedimenti giudiziari avviati dalla giunta birmana allo scopo di mettere dietro le sbarre, dopo processi farsa, decine, anzi, almeno un centinaio di esponenti dell’opposizione, tra cui il comico Zarganar e il monaco Ashin Gambira. Sono state comminate pene draconiane e non c’è alcun segno di miglioramento della situazione dei diritti umani in quel paese. Nel 2010 vi si terranno le elezioni e l’opposizione, non a torto, ha brutti presentimenti al proposito, anche alla luce del referendum sulla costituzione del maggio 2008.

Purtroppo, però, le sanzioni e l’isolamento del regime di questi ultimi anni non hanno contribuito in alcun modo a modificare tale realtà. Penso che sia ora di cambiare rotta. Il regime non ha la più pallida idea di ciò che gli altri paesi pensano o si aspettano, e del resto le nuove generazioni dei leader politici e militari non possono apprendere nulla di nuovo perché non hanno contatti con altri paesi.

Ritengo che il Parlamento europeo dovrebbe valutare l’opportunità di recarsi in visita in Birmania, in via formale o informale, per stabilire un contatto con l’opposizione locale, e dovrebbe probabilmente esercitare nuove, maggiori pressioni sulla giunta – cosa che, purtroppo, non si può fare ricorrendo soltanto a sanzioni.

 
  
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  László Tőkés (Verts/ALE). (HU) Esattamente in questo giorno di dicembre del 1989 nacque a Temesvár (Timişoara) il movimento che, nel volgere di una settimana, portò al crollo tanto repentino quanto sorprendente della malfamata dittatura nazionalista, comunista e ateista di Ceauşescu. La mattina del 15 dicembre, membri ungheresi della Chiesa riformata opposero resistenza, con un coraggio incredibile, per difendere la loro chiesa e il loro pastore, misero in fuga gli scagnozzi della Securitate e la milizia e formarono una catena umana intorno alla chiesa. Nel giro di poche ore, centinaia di romeni, ungheresi, tedeschi, serbi, cattolici, battisti, luterani, cristiani ortodossi ed ebrei si unirono alla loro resistenza. Quando scese la sera, il movimento pacifico si era trasformato in una dimostrazione contro il comunismo e contro il regime. Nel 1989, la città transilvana di Temesvár (Timişoara) diventò la prima città libera della Romania. Per grazia divina, la fede messa all’opera aveva conquistato la libertà. Sia benedetta la memoria degli eroi, dei martiri e delle vittime! Dobbiamo continuare a cambiare il regime! La strada dalla Romania all’Europa passa per Temesvár (Timişoara).

 
  
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  Giovanni Robusti (UEN). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho rilevato che solo in Italia vengono distrutti giornalmente circa 4 milioni di kg di alimenti ancora sani e commestibili, per un valore di almeno 4 miliardi di euro - la metà circa di quanto l'Italia spende negli aiuti internazionali - e negli altri paesi dell'Unione la situazione è molto simile.

Si tratta di alimenti che vengono eliminati o ritirati dal mercato non ancora scaduti a causa delle regole del marketing, di normative europee troppo rigide e di questioni di immagine aziendale. Già il ministro del governo italiano Luca Zaia nell'ultimo Consiglio dei ministri agricoli ha sollevato il problema: definire meglio la normativa comunitaria e sostenere adeguatamente progetti come il banco alimentare o il "last minute market" potrebbe aiutare non solo quella parte della popolazione che risente della crisi e che rappresenta ormai percentuali a due cifre, ma anche eliminare uno spreco che grida comunque vendetta.

Rivolgo quindi l'invito all'attivazione di una verifica puntuale da parte delle commissioni parlamentari competenti affinché si tenti di risolvere un problema.

 
  
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  Věra Flasarová (GUE/NGL). – (CS) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, vorrei parlare della visita al castello di Praga compiuta da una delegazione del Parlamento europeo il 5 dicembre. Preferisco attribuire la mancanza di comprensione reciproca che c’è stata in tale occasione al nervosismo e all’impazienza che hanno chiaramente prevalso da entrambe le parti del tavolo negoziale, piuttosto che a cattiva volontà, la quale non può più essere giustificata nell’Europa di oggi. Vorrei, però, manifestare un timore. La pubblica opinione ceca è stata informata dei colloqui al castello dai media e da diversi esponenti della scena politica, che hanno aggiunto commenti ad uso personale. Alcuni di loro hanno attaccato il presidente della repubblica perché a loro faceva comodo così; altri hanno invocato cambiamenti dell’Unione europea al solo fine di accrescere la loro popolarità in qualsiasi modo possibile. Desidero quindi lanciare un appello alla buona educazione e a un maggiore riguardo gli uni verso gli altri. Nell’Europa centrale e orientale ci sono ancora molte ferite aperte che possono essere sfruttate a fini sbagliati. Questa vicenda potrebbe avere effetti spiacevoli tra sei mesi, quando si terranno le elezioni del Parlamento europeo.

 
  
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  Presidente. − Per evitare che la situazione si acuisca ulteriormente mi asterrò da qualsiasi commento, se non per dire che la Conferenza dei presidenti si sta occupando della questione.

 
  
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  Gerard Batten (IND/DEM). - (EN) Signor Presidente, mentre il mondo sta affrontando una crisi economica di proporzioni sconosciute, la sterlina perde valore nei confronti del dollaro e dell’euro. Ma la capacità della sterlina di adeguare il proprio corso di cambio con altre monete è un vantaggio di cui non possono godere i paesi della moneta unica europea.

In Grecia sono scoppiati scontri e disordini tra la popolazione. Lo scrittore greco Mimis Androulakis ha detto che oggi tra i giovani è diffusa una profonda insoddisfazione per la costruzione europea e che non si può abbassare il prezzo dell’euro per favorire le esportazioni.

L’appartenenza all’Unione europea e all’euro ha causato un aumento del costo della vita in Grecia e le generazioni più giovani temono un futuro di povertà. L’Unione europea è un progetto ideologico che viene imposto a forza ai popoli europei, che preferirebbero invece vivere in Stati nazione democratici. Il prezzo dell’ideologia politica è sempre la miseria umana.

 
  
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  Sergej Kozlík (NI). – (SK) In quasi tutti i paesi europei vigono norme severe contro la negazione dell’olocausto e l’apologia del fascismo.

In Ungheria, per contrastare adeguatamente le manifestazioni di neonazismo e altre forme di estremismo è necessario modificare non soltanto le leggi ma anche la costituzione. All’Ungheria, però, per un periodo ormai relativamente lungo è mancata la volontà politica di compiere un passo del genere. Il partito FIDES, che appartiene al raggruppamento dei partiti popolari europei, si è rifiutato di inasprire le norme per contrastare con maggiore efficacia il nazionalismo e il radicalismo. FIDES sta quindi sostenendo indirettamente l’estremismo in Ungheria.

E’ passato solo un mese da quando estremisti ungheresi in uniformi fasciste hanno attraversato il confine e raggiunto una pacifica città slovacca, sotto lo sguardo sgomento della popolazione locale. A nome di tutti i cittadini europei di buona volontà mi appello ai politici ungheresi affinché adottino celermente leggi efficaci per combattere le manifestazioni di fascismo ed estremismo in Ungheria.

 
  
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  Carlos José Iturgaiz Angulo (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, esattamente un anno fa i venezuelani si sono espressi con un referendum contro la proroga del mandato presidenziale di Hugo Chávez, prevista dalla costituzione di quel paese.

Ebbene, Hugo Chávez ha ignorato la decisione sovrana e democratica del popolo venezuelano e ha annunciato che cambierà la legge per poter restare al potere.

Hugo Chávez ha quindi dimostrato una volta di più di non essere un presidente democratico ma un autocrate, un dittatore militare che mira a fare dell’intero Venezuela la sua proprietà privata, continuando a minacciare, insultare e attaccare oppositori e dissidenti. E’ sua intenzione, inoltre, continuare a schiacciare la libertà di espressione tappando la bocca ai media, come ha già fatto con Radio Caracas Televisión.

Il Parlamento europeo deve condannare e respingere decisamente i trucchi e i sotterfugi che Hugo Chávez vuole mettere in atto per non mollare la presidenza del paese. Invitiamo la società venezuelana a sostenere i valori della democrazia e della libertà, che sono l’esatto contrario di ciò che Hugo Chávez fa e dice.

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi (PSE). (FR) Signor Presidente, alla fine di maggio l’Assemblea nazionale francese ha approvato una modifica della costituzione riguardante il rispetto delle lingue regionali, che – si può ben dire – rappresentano il patrimonio nazionale della Francia.

Ci si sarebbe potuto aspettare che tale decisione fosse l’inizio di una svolta cruciale nella concezione giacobina che la Francia ha delle lingue regionali e delle minoranze nazionali tradizionali. Purtroppo, l’Accademia francese delle scienze vi si è opposta e ha esercitato pressioni sul Senato, che ha infine votato contro quella positiva modifica della costituzione francese, una modifica che avrebbe avuto importanti conseguenze non solo per la Francia ma anche per l’intera Unione europea.

Non credo che fornire un’istruzione ai cittadini in lingua alsaziana, bretone o catalana, o usare queste lingue nelle sedi amministrative possa in alcun modo minare l’integrità territoriale o l’unità nazionale della nazione francese – anzi, tutto l’opposto.

Signor Presidente, auguro lunga vita al mondo francofono, lunga vita alle lingue regionali, lunga vita alla diversità linguistica!

(Applausi)

 
  
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  Marco Cappato (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, qualche giorno fa Marjory Van den Broeke, portavoce del Segretariato generale del Parlamento europeo, ha dichiarato alla stampa che noi Parlamento europeo abbiamo comprato 8 "body scanner" (scansionatori corporali) dei quali abbiamo discusso come Parlamento per settimane approvando anche una risoluzione.

Noi abbiamo comprato queste macchine e durante la discussione nessuno - il Segretariato generale, il Presidente - ci ha informato che avevamo comprato noi quelle macchine sulle quali ci ponevamo il problema che fossero autorizzate o meno negli aeroporti. Credo che questa sia stata un'incredibile scorrettezza da parte della Presidenza o del Segretario generale. Tra l'altro io per iscritto il 4 novembre avevo chiesto informazioni su questo fatto e ancora aspetto una risposta. L'ho dovuta trovare sull'EU Observer del 10 dicembre e ancora aspetto una risposta su questo fatto.

Io mi chiedo come sia possibile che abbiamo comprato noi delle macchine e che durante quel dibattito, sul quale ci siamo espressi contro l'utilizzo di quelle macchine, non ci è stato nemmeno detto che noi le avevamo già comprate, esponendoci a una figura ridicola di fronte all'opinione pubblica.

 
  
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  Presidente. – Non sono a conoscenza di questa vicenda, ma ce ne occuperemo.

 
  
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  Monica Frassoni (Verts/ALE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, come lei sa la settimana scorsa c'è stato un Consiglio europeo e ancora una volta, come succede da qualche mese a questa parte, i parlamentari europei non sono potuti entrare. Non sono potuti entrare nemmeno nel centro stampa, e credo che questa sia una situazione assolutamente ridicola sulla quale noi le abbiamo chiesto di intervenire, ma sulla quale non abbiamo ottenuto nessun risultato.

Io penso che questo sia un reale problema, non solamente una questione di vanità dei deputati che vogliono andare lì in giro, credo che noi siamo colegislatori su delle questioni e dei temi che sono discussi in quel luogo. È molto importante per l'opinione pubblica avere accesso, attraverso ovviamente i giornalisti, a quello che succede anche attraverso la voce dei parlamentari europei e questa cosa non può più continuare.

Noi le abbiamo chiesto in molte occasioni di attivarsi, speriamo che lei l'abbia fatto, ma forse dovrebbe farlo un po' meglio. E speriamo davvero di riuscire a ottenere un risultato positivo perché francamente questa è una situazione indecente.

 
  
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  Presidente. – Onorevole Frassoni, dato che mi ha chiamato direttamente in causa e, quanto meno nella versione dell’interprete, ha fatto un’insinuazione, le voglio garantire che ci siamo impegnati e stiamo facendo del nostro meglio. Tuttavia non dipende da me ottenere risultati in tale vicenda; è il Consiglio l’organo cui spetta decidere in proposito. Può comunque essere certa che i miei colleghi e io stiamo facendo del nostro meglio.

 
  
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  Mieczysław Edmund Janowski (UEN). (PL) Signor Presidente, il 10 dicembre abbiamo festeggiato il 60° anniversario della proclamazione della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, il cui articolo 2 sancisce che “ognuno può valersi di tutti i diritti e di tutte le libertà proclamate nella presente dichiarazione, senza alcuna distinzione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, d’opinione politica e di qualsiasi altra opinione...”. La dichiarazione è stata firmata anche dall’India, un paese che deve così tanto al Mahatma Ghandi, fervente sostenitore dei diritti individuali. Purtroppo, però, dall’India arrivano di continuo notizie estremamente allarmanti su persecuzioni contro i cristiani e resoconti di assassinii crudeli, assalti, stupri e incendi di case e luoghi di culto. Particolarmente grave è la situazione nello Stato di Orissa.

Signor Presidente, non siamo rimasti indifferenti ai crimini perpetrati da terroristi a Bombay; quindi, non dobbiamo restare indifferenti neppure ai cosiddetti pogrom contro i cristiani. Dobbiamo riuscire a porre fine a quelle manifestazioni di odio, che costituiscono un caso palese di violazione dei diritti umani fondamentali, cioè del diritto alla libertà di religione e del diritto alla vita.

 
  
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  Søren Bo Søndergaard (GUE/NGL). - (DA) Signor Presidente, in questi giorni viene assegnato il Premio Sacharov di quest’anno. Mi pare perciò opportuno chiederci come stiano coloro che ne sono stati insigniti in passato, per esempio la politica curdo-turca Leyla Zana, che lo ha ricevuto nel 1996. Nel 2004, Leyla Zana è stata rilasciata dopo dieci anni di carcere, ma venerdì scorso, 5 dicembre, è stata nuovamente condannata a dieci anni di prigione perché continua a impegnarsi per garantire i diritti fondamentali dei curdi in Turchia, come il diritto di parlare la loro lingua. Ciò dimostra, purtroppo, che la condizione dei diritti umani in Turchia non fa passi avanti ma indietro. Mi appello dunque a tutti i colleghi affinché esprimano la loro solidarietà con la vincitrice del Premio Sacharov Leyla Zana, e al presidente affinché ci presenti una proposta su come il Parlamento europeo può protestare presso le autorità turche.

 
  
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  Presidente. − Onorevole Søndergaard, vorrei ricordare che ho fatto visita a Leyla Zana in carcere in un’altra occasione. Continueremo a impegnarci in suo favore.

 
  
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  Georgios Georgiou (IND/DEM). - (EL) Signor Presidente, mi corre l’obbligo di attirare l’attenzione sua e dei colleghi nonché sollecitare il suo sostegno riguardo al problema della malattia di Alzheimer. Questa patologia, che colpisce le persone anziane, costringe attualmente 6 milioni di nostri concittadini europei a vivere in condizioni miserabili. Essa, però, crea condizioni miserabili di vita non soltanto per i 6 milioni di persone che ne sono afflitte ma anche per le loro famiglie, portando così a 25 milioni il numero di persone che devono lottare contro questa malattia, peraltro senza ricevere dall’Europa alcun sostegno capace di alleviare un po’ la loro condizione e di aiutarle a far fronte a un simile flagello, che sembra diffondersi sempre più.

Invito pertanto tutti i colleghi a chiedere alla Commissione e ai governi degli Stati membri di fare della malattia di Alzheimer una priorità dei programmi sanitari europei, per poter liberare 25 milioni di nostri concittadini da quella tragedia.

 
  
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  Irena Belohorská (NI). – (SK) Quando presentò domanda di adesione all’Unione europea, la Slovacchia era già membro del Consiglio d’Europa e aveva quindi già firmato e ratificato la carta dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

I requisiti fissati dal Consiglio d’Europa erano uguali e vincolanti per tutti i paesi. In caso di dubbi o di mancato adempimento, si poteva presentare domanda di accertamento al cosiddetto comitato di controllo. Il Parlamento europeo si occupa di questioni del genere solo in maniera selettiva, cioè su eventuale segnalazione dei deputati. Purtroppo, però, la situazione non è stata controllata contemporaneamente in diversi Stati. Inoltre, mi pare che nell’Unione europea o, meglio, in Europa vi sia una determinata minoranza che gode di diritti più forti e di privilegi.

In Vojvodina vive una forte minoranza slovacca che per oltre due secoli ha conservato tradizioni che molti di noi in Slovacchia hanno ormai dimenticato. Signor Presidente, ho appreso che alla minoranza ungherese in Vojvodina, che è più piccola della minoranza slovacca, sarà riconosciuto uno status speciale che le consentirà di godere dei diritti di uno Stato membro.

Chiedo quindi che l’Unione europea garantisca la parità non solo dei doveri ma anche dei diritti, di modo che gli appartenenti alla minoranza slovacca che vive in Vojvodina possano godere degli stessi diritti dei loro concittadini di nazionalità ungherese.

 
  
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  Ioannis Varvitsiotis (PPE-DE). - (EL) Signor Presidente, una pallottola sparata da un poliziotto che ha causato la morte di un quindicenne è stata all’origine dei fatti accaduti nei giorni scorsi ad Atene. La morte del ragazzo è stata senza dubbio una tragedia che ci ha colpiti tutti. Ma quell’incidente da solo non può spiegare la gravità degli eventi che sono seguiti. Temo che ci troviamo di fronte a un fenomeno che rischia di finire totalmente fuori controllo, e non soltanto in Grecia, perché le giovani generazioni vedono davanti a sé un futuro cupo, irto di ostacoli insormontabili. Fatti simili sono accaduti anche in altre capitali europee. Nessuno sottovaluta la gravità di questi fatti; tuttavia, nel caso della Grecia essa è stata fortemente esagerata, in primo luogo da coloro che nei loro articoli avevano espresso commenti negativi sull’organizzazione delle Olimpiadi di Atene, prevedendo che sarebbe stata un fallimento, e che poi, quando essa si è rivelata un successo, hanno dovuto presentare pubbliche scuse. Sono certo che tutti hanno compreso cosa sta succedendo.

 
  
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  Maria Matsouka (PSE). - (EL) Signor Presidente, da sabato, 6 dicembre, quando abbiamo cominciato a piangere l’assurda perdita di un giovane studente, la Grecia è al centro dell’attenzione dell’Europa. La pallottola fatale ha scatenato in tutto il paese dimostrazioni di giovani come non se n’erano mai viste in Grecia. I giovani si sono stufati e hanno cercato, a modo loro, di dirci che non intendono affatto vivere in una società corrotta, che si rifiutano di accettare che la conoscenza sia considerata alla stregua di una merce e che incertezza, competizione e avidità non hanno posto nella loro concezione del futuro.

Siamo onesti: ciò che i giovani stanno contestando oggi è il modello dominante di sviluppo disumano che svuota lo stato assistenziale, trasforma lo stato di diritto in uno stato di polizia, è alienante ed estraniante e porta all’annientamento reciproco. Non dobbiamo restare indifferenti e, cosa ancora più importante, non dobbiamo sottovalutare le grida strazianti che vengono dai nostri giovani. La soluzione non è la repressione; la soluzione è un cambio di atteggiamento, un cambio di politica. Lo dobbiamo alle giovani generazioni; lo dobbiamo alla memoria di Alessandro, il ragazzo vittima di questa morte senza senso.

 
  
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  Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk (UEN). – (PL) Signor Presidente, la tragica morte di un cittadino polacco, Robert Dziekoński, all’aeroporto di Vancouver l’anno scorso ha profondamente impressionato l’opinione pubblica in Polonia e in Canada. Casualmente, l’episodio è stato filmato e la registrazione prova che la morte di Robert Dziekoński è il risultato di una brutale azione della polizia canadese, che senza alcun motivo ha usato uno storditore elettrico contro una persona completamente inerme che aveva solo bisogno di aiuto. Di recente abbiamo appreso con stupore che un tribunale canadese ha deciso che i poliziotti non saranno in alcun modo ritenuti responsabili del loro comportamento.

A nome mio e del collega onorevole Wojciechowski, mi appello al presidente del Parlamento, esprimendo anche la volontà di molte persone in Polonia e in Canada, affinché inviti le autorità canadesi a fornire informazioni accurate sulle circostanze della morte del cittadino polacco, che era ovviamente anche cittadino dell’Unione europea.

 
  
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  Roberto Musacchio (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, dagli Stati Uniti arriva la notizia che si sta addirittura pensando di nazionalizzare i grandi gruppi automobilistici per far fronte alla loro crisi. Come sempre negli USA in certi momenti si dismettono gli ideologismi, anche quello liberista, e si fanno atti molto concreti.

L'Europa non può assistere passivamente alla crisi del settore auto. Certo è importante che si voti il nuovo regolamento sulle emissioni, è utile che la Commissione dica che ambiente e innovazione devono guidare i provvedimenti per la crisi e che si citi la stessa auto, ma occorre di più. Io chiedo a lei, Presidente, ma al Consiglio e alla Commissione per il loro ruolo, se non sia necessario un vero e proprio piano straordinario che intervenga subito, prima che si moltiplichino licenziamenti e casse integrazioni che in Italia, nel mio paese, sono già assai numerosi e colpiscono gruppi importanti, dalla Eaton alla stessa Fiat.

 
  
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  Hans-Peter Martin (NI).(DE) Signor Presidente, è significativo che alla sessione plenaria del Parlamento europeo non sia stata comunicata la sentenza pronunciata qualche tempo fa dal tribunale penale regionale di Vienna. Il tribunale aveva chiesto l’estradizione, cioè la sospensione dell’immunità, del deputato al Parlamento europeo, l’onorevole Swoboda. Il caso è stato reso pubblico dai media e la pena comminabile può essere di un anno al massimo; ciononostante, il Parlamento viene tenuto all’oscuro.

Nel mio caso, invece, le sono andate alquanto diversamente. Una richiesta simile era stata appena presentata nei miei confronti che lei, signor Presidente, la lesse qui di fronte a tutti, con grande esultanza di moltissimi colleghi. Ma, signor Presidente, lei non ha comunicato al Parlamento che poi non ci sono stati procedimenti giudiziari, di nessun genere, nei miei confronti; che il giudice ha archiviato il caso; che la decisione delle varie istanze è stata unanime e che la sospensione dell’immunità non era affatto appropriata.

Questa non è democrazia, onorevole Pöttering.

 
  
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  Presidente. − Onorevole Martin, visto che non perde occasione per farmi una ramanzina, vorrei segnalarle che, se dovessimo seguire il sistema d’Hondt, cioè agire con la massima equità, non le sarebbe nemmeno stata data la parola.

 
  
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  Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE). - (EL) Signor Presidente, se vogliamo presentare nella giusta luce l’importanza dell’Unione europea, che ha oltre cinquant’anni, dobbiamo sottolineare il fatto che essa ha abolito la guerra e che viviamo in tempi di pace. Possiamo tuttavia osservare che questa pace è ora messa a repentaglio da altri nemici e che uno dei nemici principali è la violenza. Pertanto dobbiamo rivolgere la nostra attenzione al problema della violenza e contrastarlo con una cultura fondata sull’amore e sulla solidarietà.

Penso che non abbiamo sottolineato abbastanza che un essere umano ha la capacità di aiutare gli altri e di indirizzarli, soprattutto i giovani, verso la prospettiva della conoscenza, dell’innovazione e della cultura. Se insegniamo ai giovani a esprimere le loro opinioni con metodi violenti, c’è motivo di temere per l’Unione europea.

 
  
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  Maria Eleni Koppa (PSE). - (EL) Signor Presidente, da questa tribuna desidero manifestare la mia indignazione e il mio dolore per l’uccisione di un ragazzo di quindici anni da parte della polizia ateniese. L’incidente è stato la causa degli eventi che hanno scosso la Grecia nei giorni scorsi. In molte città greche sono scoppiati disordini sociali generalizzati di potenza dirompente. La gente che è scesa in strada, perlopiù studenti universitari e delle scuole superiori e disoccupati, stanno gridando la loro protesta all’interno di una società che sente di non avere prospettive. Rabbia, indignazione e protesta si sono fuse in una miscela esplosiva. Di fronte a tale situazione, un debole governo uscente, il governo del partito Nuova Democrazia, ha permesso che le cose finissero fuori controllo, con il risultato che per giorni lo Stato è stato assente.

Le cause di questi eventi sono complesse e profonde: lo scoppio di disordini tra la popolazione civile è il frutto di un crescente aumento della disuguaglianza. E’ il frutto di una politica neoliberista che sta creando sempre più povertà, emarginazione ed esclusione, con il risultato che la coesione sociale è a rischio e stiamo andando verso situazioni estreme, come quelle cui assistiamo attualmente. Nel condannare la violenza, dobbiamo ascoltare con attenzione la protesta che viene dalla Grecia e alla quale dobbiamo dare risposte precise e oneste.

 
  
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  Jelko Kacin (ALDE). - (SL) Ancora una volta lo Stato italiano sta usando la mano pesante contro la minoranza slovena che vive nel suo territorio, decurtando le risorse destinate all’istruzione e alla cultura delle minoranze, che sono le condizioni essenziali per la sopravvivenza di qualsiasi minoranza.

Ma l’incidente occorso martedì scorso nella scuola slovena di Barcola, vicino a Trieste, è stato anche un tentativo di terrorizzare la direttrice, gli insegnanti, gli scolari e i loro genitori. La comparsa dei carabinieri nella scuola è un fatto intollerabile. I carabinieri non hanno alcun diritto di perquisire una scuola. E’ un gesto dal sapore fascista. Nel contempo, su centinaia di edifici di Trieste sono appese insegne e scritte cinesi, cosa che però non sembra preoccupare nessuno. Per contro, invece, i simboli sloveni su una scuola slovena preoccupano alcuni politici italiani, preoccupano le autorità italiane, che hanno persino ordinato una perquisizione e la presenza dei carabinieri.

Questo non è un comportamento tipico né degli europei né degli sloveni; è un comportamento che mira a esercitare pressione ed è un’onta intollerabile, signor Presidente.

 
  
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  László Surján (PPE-DE). (HU) Un anno fa abbiamo vissuto tutti un’esperienza meravigliosa quando l’allargamento dell’Unione europea ha completato un’altra tappa: l’eliminazione delle frontiere di Schengen su un territorio molto vasto e l’adesione di nuovi membri alla comunità di Schengen. Da allora è passato un anno e molti possono toccare con mano i vantaggi di quell’allargamento. Ma sono emersi anche svantaggi, i quali fanno ritenere che talune persone preferiscano l’isolamento. Strade che potrebbero essere percorse da automobili vengono chiuse artatamente al traffico con segnali stradali o la posa di fioriere. Signor Presidente, sarebbe bellissimo se ciascun cittadino europeo si rendesse conto del fatto che la libertà di circolazione è il nostro patrimonio comune e non deve essere limitata da alcun interesse, come sta succedendo invece, per esempio, nei pressi di Sátoraljaújhely.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (PSE).(RO) La ringrazio, signor Presidente. Mi fa molto piacere che in aula sia presente anche il commissario Špidla. L’Unione europea si fonda su quattro libertà fondamentali: la libertà di circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone.

Il 1o gennaio 2009 saranno due anni dall’adesione di Romania e Bulgaria all’Unione europea. Il trattato di adesione sottoscritto dai due paesi nel 2005 riconosce agli Stati membri la possibilità di mettere in atto, su base bilaterale, ostacoli alla libertà di circolazione dei lavoratori romeni e bulgari per un periodo minimo di due e un periodo massimo di sette anni. Alcuni Stati membri hanno abolito tali barriere già prima del 2009, mentre altri hanno annunciato che intendono conservarle per motivi di politica interna.

Credo che alla luce della crisi economica e finanziaria in atto, l’abolizione di queste barriere sia diventata una necessità urgente. Eliminare gli ostacoli frapposti alla libertà di circolazione dei lavoratori romeni e bulgari significa esprimere rispetto dei principi e dei valori europei. Ma significa rispetto anche dei trattati fondamentali dell’Unione europea. Chiedo pertanto l’abolizione delle barriere che impediscono la libertà di circolazione dei lavoratori romeni e bulgari. Grazie.

 
  
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  Jaromír Kohlíček (GUE/NGL). – (CS) Onorevoli colleghi, da qualche anno a questa parte è costume che una delegazione del Parlamento europeo si rechi in visita nel paese che assumerà la prossima presidenza. E’ un’iniziativa valida, cui va il mio plauso. Quello che, invece, non apprezzo è la mancanza di tatto dimostrata dalla delegazione quando è arrivata al castello di Praga. Sappiamo tutti che i metodi cui l’onorevole Cohn-Bendit ricorre più spesso per alzare il proprio profilo sono la provocazione e l’insolenza. Mi preoccupa che in quella circostanza, a Praga, gli si sia associato il presidente del Parlamento europeo. Lei mi ha deluso e non posso non rivedere la buona opinione che avevo di lei. Le sono mancate l’umiltà e la pazienza necessarie per ascoltare il parere di chi non la pensa come lei. Sono spesso in disaccordo con le opinioni del presidente della Repubblica ceca, ma non esprimo le mie posizioni in un tono così insolente come quello che lei ha permesso di usare a un membro della sua delegazione. Mi attendo pertanto scuse ufficiali e non la solita reazione arrogante.

 
  
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  Presidente. − Onorevoli Kohlíček, se lei fosse stato lì, non avrebbe fatto questo intervento.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, un collega italiano ha detto che la quantità di cibo che viene buttato via in Italia rappresenta un grave problema, e certamente gli scarti e le eccedenze di cibo che rientrano nella catena alimentare sono un problema che ha colpito l’Irlanda negli ultimi sette giorni e ha rivelato che, in assenza di idonei controlli su ogni aspetto della catena alimentare, non solo dal campo al piatto ma anche dal piatto al campo, possiamo ritrovarci in gravi difficoltà.

Il costo per lo Stato irlandese è di 180 milioni di euro, e siamo grati per la solidarietà dimostrata dall’Unione europea riguardo alla disponibilità di uno schema di aiuti per lo stoccaggio privato; dobbiamo tuttavia sapere con esattezza cosa non ha funzionato nella catena alimentare in Irlanda, rendendo così possibile che agli animali fosse dato da mangiare un ingrediente contenente diossina.

Siamo grati che il problema sia stato risolto; dobbiamo però sapere come esso sia potuto insorgere, per evitare che si ripeta in futuro. Se non siamo in grado di controllare quello che entra nella catena alimentare animale sotto forma di scarti o eccedenze di alimenti, dobbiamo interrompere il meccanismo. Bisogna controllare le miscele fatte in casa e utilizzare un sistema di etichettatura che indichi il paese d’origine, a garanzia della qualità della carne che mangiano i nostri consumatori.

 
  
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  Marco Pannella (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, a memoria futura, se il futuro avrà una memoria, noi stiamo assistendo ad un mutamento genetico di quel Parlamento di quella Unione europea, Presidente, che nell'85 lei ha ben conosciuto e ha contribuito in quel momento a far vivere. La patria europea contro l'illusione funesta della vecchia Europa delle patrie.

Oggi stiamo andando ogni giorno in quella direzione. Ancora ieri, due giorni fa, al Consiglio si è rievocata in fondo l'Europa dall'Atlantico agli Urali, vecchio ricordo nazionalista e non europeista. L'Europa di Coudenhove-Kalergi, di Winston Churchill, dei nostri nomi che danno nome al nostro Parlamento. Loro erano per gli Stati Uniti d'Europa, oggi noi non facciamo che parlare di partnership a tutti coloro che vogliono invece essere membership, essere Europa e credo che li stiamo consegnando tutti – guardate il Mediterraneo – ad una sorte sicuramente pericolosa e sicuramente colpendo gli europeisti e i democratici di quei paesi.

 
  
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  Ioannis Gklavakis (PPE-DE). - (EL) Signor Presidente, vorrei parlare del regolamento sui prodotti fitosanitari. Credo siamo tutti d’accordo sul fatto che l’uso indiscriminato di pesticidi è pericoloso sia per l’uomo sia per l’ambiente. Ma credo anche che possiamo tutti riconoscere che l’uso dei pesticidi ha reso possibile la produzione alimentare di massa e la disponibilità di cibo per la popolazione. Da questo punto di vista, i prodotti fitosanitari sono necessari; occorre però usarli in modo corretto.

Temo tuttavia che il nuovo regolamento dia adito a numerosi interrogativi e preoccupazioni. Gli agricoltori europei temono che la sola imposizione di restrizioni li estrometta dalla produzione e che non potranno produrre a condizioni competitive. In tal caso, i consumatori avranno tutti i motivi per essere preoccupati, perché i prodotti dei paesi terzi sono di dubbia qualità. Infine, nei paesi terzi, dove non esistono controlli dei metodi di produzione, ci saranno pesanti attacchi contro l’ambiente e massicce distruzioni dello stesso. Stando così le cose, mi auguro che dedicheremo a questo problema un’attenzione particolare, perché non è da escludere che facciamo più male che bene. Dobbiamo prendere tale questione in seria considerazione, alla luce dei dati reali.

 
  
  

PRESIDENZA DELL'ON. VIDAL-QUADRAS
Vicepresidente

 
  
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  Dariusz Maciej Grabowski (UEN). – (PL) Signor Presidente, sappiamo tutti che nei tempi andati esistevano le figure del giullare e del pagliaccio di corte che avevano il dovere e il privilegio di intrattenere il loro signore, anche se così facendo offendevano le altre persone presenti. Al giullare, però, veniva chiesto di allontanarsi se un signore voleva discutere di questioni serie.

Al nostro presidente onorevole Pöttering vorrei rivolgere la seguente domanda: intende ripristinare qui, nel Parlamento europeo, quell’antica usanza, magari modificandola un po’? Sarà concesso ai politici che una volta erano rossi e ora sono diventati verdi di insultare leader nazionali, asserendo di agire a nome di questa assemblea, e di farlo alla presenza del suo presidente? Questo è quanto è accaduto in realtà nella Repubblica ceca con il presidente Klaus. In quanto membri del Parlamento europeo dovremmo mostrare come va interpretata la democrazia; dovremmo dare un esempio di rispetto della legge e dei leader degli Stati membri dell’Unione. O vogliamo forse che i membri di questa assemblea siano rappresentati da persone che in passato tessevano le lodi della democrazia e adesso la trattano con disprezzo? Nessuno si è azzardato a rimproverarle o a zittirle.

Non possiamo permettere che questa situazione persista. Al presidente Klaus sono dovute scuse per quanto accaduto a Praga durante la visita della delegazione del Parlamento europeo. Chiedo che esse siano presentate.

 
  
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  Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL). - (EL) Signor Presidente, la società greca ripudia la violenza e proprio per questo motivo è rimasta così sconvolta dall’uccisione di un quindicenne da parte della polizia. Il fatto ha indotto la gente a scendere in strada per protestare pacificamente, perché è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso mettendo a nudo una serie di altri problemi: scandali, sperequazioni, inflazione, disoccupazione, nepotismo, corruzione e mancato rispetto dello stato di diritto. Negli scorsi anni la Corte di giustizia delle Comunità europee ha spesso condannato le autorità greche per uso eccessivo di metodi violenti e prepotenti, che sono rimasti impuniti. Signor Presidente, invito lei e tutti gli orientamenti presenti nel Parlamento a fare come il parlamento greco, che ha commemorato la giovane vittima, e il Parlamento europeo, in quanto custode della dignità umana e dei diritti umani, a osservare ora un minuto di silenzio in memoria di quel giovane ragazzo, di soli quindici anni, ucciso ad Atene una settimana fa.

 
  
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  Milan Gaľa (PPE-DE). – (SK) La settimana scorsa abbiamo festeggiato il 60° anniversario della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottata con una risoluzione dell’assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.

L’opposizione in Bielorussia ha cercato, con una serie di proteste organizzate in occasione della Giornata dei diritti umani, di attirare l’attenzione sulle violazioni dei diritti umani in quel paese. A Minsk gli attivisti hanno marciato vestiti di finte uniformi carcerarie e portando cartelli con la scritta “Sono un prigioniero politico”. In un altro luogo, gli attivisti hanno consegnato ai passanti il testo della dichiarazione, mentre nella parte occidentale del paese, nella città di Grodno, si è svolta una dimostrazione. Il regime di Lukashenko ha risposto a tutte le manifestazioni dell’opposizione arrestando gli attivisti.

E’ paradossale che la Bielorussia abbia firmato un impegno a garantire i diritti umani dei suoi cittadini. La comunità internazionale non può tollerare che un paese firmatario vieti la diffusione del testo della dichiarazione.

 
  
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  Ewa Tomaszewska (UEN). – (PL) Signor Presidente, l’idea di istituire una Casa della storia europea è stata avanzata durante una seduta della commissione per la cultura e l’istruzione qualche mese fa. In quella circostanza, però, non è stato presentato alcun documento; inoltre, non c’era abbastanza tempo per discutere di tale idea. Nondimeno, i membri della commissione si sono detti preoccupati per l’idea in quanto tale.

Ora ho di fronte a me le premesse fondamentali per l’istituzione della Casa della storia europea. Devo dire che sono rimasto sconcertato dalla cattiva qualità del lavoro: ci sono errori storici, come la datazione dell’origine del cristianesimo nel IV secolo dell’era attuale; inoltre, il testo dà ingiusto risalto a determinati eventi ma ignora completamente altri, soprattutto nel periodo della seconda guerra mondiale e degli ultimi due decenni. Sembra che si sia cercato di presentare deliberatamente in modo errato la storia dell’Europa. Il Parlamento europeo non dovrebbe imbarcarsi in questa avventura dal sapore dubbio, né dovrebbe finanziarla in alcun modo.

 
  
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  Nicodim Bulzesc (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, l’esito della riunione del Consiglio della settimana scorsa a Bruxelles e le conclusioni della Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico svoltasi a Poznań sono stati commentati favorevolmente da molti deputati al Parlamento europeo in questa sede. Se l’uomo della strada fa fatica a comprendere cosa significhi comprare o vendere quote di inquinamento da CO2 o quali siano i rischi delle emissioni di carbonio, deve tuttavia sapere che l’Europa è all’avanguardia nella lotta contro il cambiamento climatico e continuerà a esserlo anche in futuro.

La Romania e gli altri Stati membri dell’Europa orientale vedono con favore l’offerta di un maggior numero di permessi di emissioni libere di CO2 e il nuovo compromesso per aumentare la dotazione del Fondo di solidarietà. In tal modo le industrie, tra cui quelle produttrici di cemento, vetro e prodotti chimici, non saranno costrette a delocalizzare i loro impianti, i posti di lavoro e le emissioni di CO2 in altre parti del mondo. Attendo con ansia la discussione che avremo domani in plenaria sull’intero pacchetto di proposte e ringrazio tutti i relatori e i colleghi che hanno dato il loro contributo.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL).(PT) Colgo questa occasione, all’inizio della tornata del Parlamento europeo, per esprimere tutta la mia solidarietà con i lavoratori delle ferrovie che stanno subendo la repressione ad opera del consiglio di amministrazione dell’azienda ferroviaria portoghese Caminhos-de-Ferro Portugueses (CP).

Nove ferrovieri sono stati sottoposti a inaccettabili procedimenti disciplinari di licenziamento, promossi dal consiglio di amministrazione della CP, per aver partecipato a un picchetto in occasione di uno sciopero regolare. Lo stesso è accaduto ad altri tre dipendenti dell’operatore delle infrastrutture ferroviarie REFER.

Dobbiamo manifestare la nostra indignazione per simili comportamenti e chiedere l’immediata cessazione dei procedimenti e il rispetto della legalità democratica, dei diritti dei lavoratori e delle libertà sindacali.

 
  
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  Colm Burke (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, mi rallegro per l’entrata in vigore il 2 dicembre 2008 della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. La Comunità europea è cofirmataria della convenzione. La convenzione tutela 50 milioni di cittadini comunitari con disabilità, ad esempio le persone che hanno subito amputazioni.

Tuttavia l’Irlanda è uno degli Stati membri dell’Unione europea nei quali una persona che perde un arto deve finanziarsi da sé l’acquisto della protesi, a proprie spese o attraverso un’assicurazione.

Nonostante l’entrata in vigore della convenzione, il governo irlandese non ha previsto in bilancio fondi per finanziare l’acquisto di protesi. Condanno tale comportamento insensibile e indifferente nei confronti di persone con disabilità così gravi e invito la Commissione a stilare orientamenti per obbligare gli Stati membri a mettere adeguati finanziamenti a disposizione di queste persone disabili.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (UEN). – (PL) Signor Presidente, desidero sottoporre alla vostra attenzione una situazione alquanto insolita che si è venuta a creare nel mio paese, la Polonia.

Riguardo al Parlamento europeo e in particolare alla sua elezione, il diritto polacco stabilisce inequivocabilmente che qualsiasi cambiamento delle regole elettorali deve essere proposto sei mesi prima di una consultazione elettorale. Il governo polacco, però, ha proposto modifiche delle norme per l’elezione del Parlamento europeo in ritardo. Una di tali modifiche riguarda la riduzione del numero dei deputati polacchi.

Di conseguenza, le nuove norme elettorali che prevedono un numero inferiore di deputati polacchi al Parlamento europeo potrebbero essere impugnate dalla corte costituzionale. Di fatto, nel mio paese, la Polonia, la legalità delle elezioni del Parlamento europeo potrebbe essere messa in dubbio. Si tratta di una situazione eccezionale, mai verificatasi prima nella storia del Parlamento europeo. Purtroppo, la responsabilità di tale situazione è del governo polacco.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL).(PT) Il problema della disoccupazione, la maledizione dei lavori precari e mal retribuiti e il dramma degli stipendi pagati in ritardo stanno peggiorando nel Portogallo settentrionale e minacciano un numero crescente di lavoratori.

Vorrei citare due esempi: i media hanno riportato la notizia che 51 operai edili portoghesi della zona di Marco de Canavezes sono andati nella sede di un’impresa in Galizia, in Spagna, per protestare contro il mancato pagamento di due mensilità dello stipendio e dell’indennità di ferie. Non hanno ancora ricevuto nemmeno l’indennità di disoccupazione. Nel frattempo, nella fabbrica di semiconduttori Quimonda a Vila do Conde, in Portogallo, stanno crescendo i timori per il futuro dei suoi 2 000 dipendenti, dato che l’affiliata tedesca sta annunciando tagli del personale, sebbene non sia chiaro quale impresa ne sarà colpita. E’ pertanto vitale reagire urgentemente a queste situazioni e garantire che le misure comunitarie adottate di recente tengano conto delle difficoltà dei lavoratori e delle loro famiglie.

 
  
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  Roger Helmer (NI). - (EN) Signor Presidente, a quanto ho capito, la settimana scorsa c’è stato un incontro tra i presidenti dei gruppi parlamentari e il presidente della Repubblica ceca Klaus. E’ stato riportato ampiamente che, durante l’incontro, molti dei nostri colleghi e in particolare l’onorevole Cohn-Bendit si sono rivolti al presidente della Repubblica ceca con toni insolenti, offensivi e intolleranti, al punto da gettare discredito sul Parlamento europeo. Deploro vivamente che il presidente del Parlamento, presente anch’egli all’incontro, non li abbia richiamati alla moderazione e all’ordine.

Prima il presidente ha detto che se fossimo stati là avremmo sentito qualcosa di diverso. Ad ogni modo, se egli ritiene che le sue parole siano state riferite male, dovrebbe venire qui e dirci come e perché.

Chiedo al presidente del Parlamento di scrivere al presidente Klaus, a nome del Parlamento, una lettera di scuse per l’indecoroso comportamento.

 
  
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  Charles Tannock (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, in qualità di presidente della missione di osservatori del Parlamento europeo alle elezioni generali che si tengono questo mese in Bangladesh, voglio esprimere la mia gratitudine perché la nostra missione potrà aver luogo. Il presidente precedente, l’onorevole Evans, del gruppo socialista, che si era rifiutato di partecipare alla missione, ha cercato all’ultimo momento di cancellare il nostro viaggio asserendo che l’elenco dei partecipanti non era abbastanza equilibrato in base all’appartenenza politica o nazionale. Ebbene, ci sono ancora posti liberi per altri colleghi che desiderino unirsi a noi, cosa di cui sarei molto lieto.

Mi fa molto piacere che la presidenza abbia avuto il buon senso di impedire la cancellazione della missione. In caso contrario, avremmo mandato segnali sbagliati al Bangladesh e alla comunità di cittadini di quel paese che rappresento a Londra. Il Bangladesh sta cercando coraggiosamente di rafforzare la propria fragile democrazia laica dopo due anni di regime paramilitare.

Il Bangladesh è un paese la cui rilevanza strategica è vitale per quella regione instabile, sempre più esposta alle minacce del terrorismo islamico, e il presidente della delegazione del Parlamento per le relazioni con i paesi dell’Asia meridionale, l’onorevole Evans, lo sa benissimo. Il Bangladesh merita il nostro incoraggiamento nella creazione di un futuro democratico. Visto che ci vantiamo di essere democratici, dovremmo fare tutto ciò che possiamo per aiutare il Bangladesh in questo suo intento.

 
  
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  Presidente. – Onorevoli colleghi, sono le sei passate. In conformità dell’ordine del giorno, la discussione di questo punto è chiusa. Passiamo ora al prossimo punto all’ordine del giorno.

 

14. Organizzazione dell’orario di lavoro (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la raccomandazione per la seconda lettura (A6-0440/2008), presentata dall’onorevole Cercas a nome della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, relativa alla posizione comune del Consiglio in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro [10597/2/2008 – C6-0324/2008 – 2004/0209(COD)].

 
  
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  Alejandro Cercas, relatore.(ES) Signor Presidente, signor Commissario, signora Ministro, la revisione della direttiva sull’orario di lavoro ha attirato l’attenzione e le preoccupazioni di milioni di europei. A nostro parere, la proposta del Consiglio rappresenta un madornale errore politico e giuridico.

Spesso ci chiediamo perché i cittadini provino disaffezione verso le nostre istituzioni, le elezioni europee o la nostra agenda politica. Oggi abbiamo ricevuto una spiegazione chiara: basta guardare all’enorme distanza che separa le proposte del Consiglio dalle opinioni di tre milioni di medici e di tutti i sindacati d’Europa, che rappresentano 150 milioni di lavoratori.

Spero che non percepirete questa nostra posizione – l’opposizione del Parlamento – come uno smacco, ma piuttosto come un’opportunità per riprendere il contatto con i cittadini e le loro preoccupazioni, di modo che essi possano vedere che, quando parliamo della dimensione sociale dell’Europa, non ci limitiamo a pronunciare parole vuote o a fare promesse da marinaio.

La settimana lavorativa di 48 ore è un’aspirazione molto vecchia. Era stata promessa già nel trattato di Versailles ed è stata oggetto della prima convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro.

L’aspirazione di lavorare per vivere e non vivere per lavorare si è tradotta in un circolo virtuoso di aumenti di produttività in Europa, accompagnati da maggiore tempo libero per i lavoratori. Questo è un paradigma al quale non possiamo rinunciare.

Sembra che, per effetto delle paure della globalizzazione o dei tentativi di acquisire vantaggi comparativi, le istituzioni stiano cambiando opinione, dimenticando che potremo vincere la battaglia soltanto grazie all’eccellenza.

La posizione del Consiglio si colloca all’esatto opposto di quella del Parlamento. Crediamo che ci siano validi motivi per accogliere l’opinione del Parlamento.

Il primo motivo è che la clausola di dissociazione è in contrasto con lo spirito e la lettera del trattato.

Il secondo motivo è che la possibilità di dissociarsi dalla norma in questione non ne dimostra la flessibilità ma semplicemente annulla del tutto la norma, svuota di valore le convenzioni e gli standard internazionali e riporta le relazioni industriali al XIX secolo.

Il terzo motivo è che una rinuncia personale, individuale ai diritti è la ricetta infallibile per condannare le persone più deboli della nostra società alle peggiori condizioni di sfruttamento disumano.

L’ultimo motivo è che, permettendo agli Stati membri di fissare deroghe nazionali alla normativa europea, apriremo la porta al dumping sociale tra i nostri paesi.

Moltissime ricerche dimostrano quanto il ricorso alla clausola di dissociazione sia stato deleterio per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Quegli stessi studi rivelano altresì quanto la clausola penalizzi le donne nella ricerca di un posto di lavoro e nelle opportunità di carriera, oltre che nel conciliare lavoro e famiglia.

Questa proposta di direttiva è dunque peggiore della direttiva attualmente vigente. In futuro, la clausola di dissociazione non sarà un’eccezione temporanea e unica, bensì diventerà una regola generale di validità permanente e, cosa ancora peggiore, sarà sancita e approvata in nome della libertà e del progresso sociale.

L’altra grave discrepanza riguarda i diritti del personale sanitario. E’ veramente una grandissima ingiustizia che le persone che si prendono cura della salute e della sicurezza di milioni di lavoratori non possano più comprendere nel calcolo dell’orario di lavoro la durata dei servizi di guardia. A tale assurdità si aggiunge l’indebolimento del diritto a riposi compensativi dopo periodi di servizio.

Abbiamo cercato di trovare un accordo con il Consiglio per poter arrivare a questa plenaria con una soluzione di compromesso, ma non è stato possibile. Voi del Consiglio non siete disposti a negoziare e pretendete che la vostra posizione comune venga portata avanti senza cambiare nemmeno una virgola.

Spero che mercoledì il Parlamento europeo metta la parola fine a queste intenzioni del Consiglio. In tal modo dimostrerà all’intera Europa che il Parlamento è vivo e tiene fede al suo impegno di proseguire l’integrazione dell’Europa senza dimenticare la dimensione sociale e i diritti dei medici, dei lavoratori, delle donne e, in generale, dei cittadini europei.

Mi auguro altresì che, con il sostegno e i buoni uffici della Commissione, si possa poi avviare la procedura di conciliazione e predisporre un compromesso accettabile per ambedue i rami del potere legislativo. Dobbiamo garantire che il Consiglio tenga in seria considerazione la questione della flessicurezza e la conciliazione tra lavoro e famiglia.

Abbiamo un’opportunità: cogliamola e sfruttiamola appieno per colmare l’enorme distanza che ci separa dai cittadini europei.

(Applausi)

 
  
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  Valérie Létard, presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevole Cercas, onorevoli deputati, siamo qui riuniti stasera per discutere un tema che ci tiene occupati ormai da parecchi anni ed è importante per tutti i lavoratori europei, cioè la revisione della direttiva sull’orario di lavoro.

Il testo sottoposto oggi al Parlamento europeo è il frutto di un compromesso raggiunto in seno al Consiglio il 9 giugno, sotto la presidenza slovena. Il compromesso riguarda sia la direttiva sull’orario di lavoro sia la direttiva sul lavoro temporaneo. Il Consiglio l’ha adottato nel fermo convincimento che esso costituisca un passo avanti per la situazione dei lavoratori in Europa, in entrambe le sue dimensioni.

Con la direttiva sul lavoro temporaneo, da un canto, il principio della parità di trattamento dal primo giorno di lavoro sta diventando la regola in Europa. Si tratta di un progresso per i milioni di persone che lavorano in quel settore. Inoltre, il Parlamento europeo ha adottato questa direttiva in via definitiva il 22 ottobre. Plaudo a tale decisione perché essa consentirà di migliorare la situazione dei lavoratori temporanei nei 17 Stati membri nei quali il principio della parità di trattamento dal primo giorno di lavoro non è contemplato dalla legislazione nazionale.

Con il compromesso sull’orario di lavoro, dall’altro canto, introduciamo garanzie che fungono da quadro di riferimento per la clausola di dissociazione del 1993, che è stata attuata senza restrizioni e senza un limite di tempo. Ora il testo fissa un limite di 60 o 65 ore, a seconda delle circostanze, rispetto al limite di 78 ore settimanali previsto in precedenza.

Adesso diventa possibile anche sottoscrivere un accordo individuale di dissociazione nelle quattro settimane seguenti all’assunzione di un lavoratore e viene introdotto un controllo rafforzato della vigilanza sul lavoro. Vorrei aggiungere che la posizione comune del Consiglio introduce un’esplicita revisione della clausola di dissociazione. Infine, desidero sottolineare che il compromesso raggiunto sotto la presidenza slovena consente di tener conto delle circostanze specifiche dei servizi di guardia. Questo aiuterà molti paesi, soprattutto nel settore della sanità.

La revisione della direttiva sull’orario di lavoro è ovviamente un compromesso e, come avviene con tutti i compromessi, abbiamo dovuto rinunciare ad alcuni dei nostri obiettivi originari. Penso specialmente alla richiesta di abolire la clausola di dissociazione, sostenuta dalla Francia e da altri paesi, ma si trattava di una posizione di minoranza e noi non avevamo abbastanza potere per imporla al Consiglio.

In questo momento in cui votate in seconda lettura, è importante che teniate a mente quale dovrebbe essere il nostro obiettivo comune, ossia un testo accettabile per tutti, evitando, per quanto possibile, una procedura di conciliazione. C’è, naturalmente, una profonda differenza tra il parere del Parlamento in prima lettura e la posizione comune del Consiglio; ma il Parlamento deve riconoscere che alcuni Stati membri hanno l’urgente necessità di risolvere il problema del calcolo della durata dei servizi di guardia, che il compromesso sloveno comporta miglioramenti per i lavoratori e che in Consiglio non c’è la maggioranza richiesta per revocare la clausola di dissociazione senza restrizioni che è in vigore dal 1993.

In vista della prossima discussione, vorrei richiamare la vostra attenzione in particolare su due punti.

Per quanto riguarda la definizione dei servizi di guardia, l’obiettivo perseguito dal Consiglio è spesso frainteso. Il nostro scopo non è quello di mettere in dubbio i diritti acquisiti dei lavoratori, bensì di rendere possibile il mantenimento degli equilibri esistenti in certi Stati membri. La discussione del Parlamento può utilmente contribuire a una attenta valutazione delle questioni connesse con questa nuova definizione.

Il Consiglio intende fare in modo che i diritti delle persone non siano annacquati o limitati e, in tale ottica, mira a conservare gli equilibri esistenti all’interno degli Stati membri e che riguardano anche il conteggio in modo specifico della durata dei servizi di guardia, per tener conto dei tempi di inattività.

In riferimento alla revisione della clausola di dissociazione, dobbiamo arrivare a una conclusione senza che ci siano né vincitori né vinti perché, obiettivamente parlando, gli equilibri di potere in gioco non lo consentono. Il compromesso sloveno prevede una revisione della direttiva sulla base di una relazione di valutazione, tra sei anni. Quindi, tutte le strade restano aperte; lancio dunque l’appello a una tregua sulla questione della clausola di dissociazione.

Stasera il Parlamento europeo si trova in una posizione di responsabilità. Dal vostro voto dipenderà l’esito di questo fascicolo, che è in discussione dal 2004. Spero che nella discussione che sta per iniziare si rinunci a qualsiasi velleità di scontro e si tenga conto delle forti ambizioni del Consiglio, così come sono riportate nella posizione comune.

Sono convinta che, se prevarrà questo spirito, potrete spianare la strada al conseguimento di una soluzione equilibrata in tempi rapidi.

 
  
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  Vladimír Špidla, membro della Commissione. – (CS) Signor Presidente, onorevoli deputati, ho la massima comprensione per i molti timori che sono stati manifestati su questa importante e complessa questione. L’interrogativo chiave è se il Parlamento resterà fedele al parere adottato nel 2005 in prima lettura, e che è stato ribadito nella proposta del relatore, oppure se il Parlamento sta pensando di modificare la propria posizione in risposta alla posizione comune adottata dal Consiglio nel settembre dello scorso anno.

Vorrei fare una breve sintesi dei diversi punti che, a mio giudizio, sono rilevanti ai fini della discussone sull’orario di lavoro. Primo, credo fermamente che la revisione della direttiva sia un compito importante e urgente. I servizi pubblici in tutta Europa ci stanno chiedendo di chiarire la situazione giuridica dei servizi di guardia. Questo è stato un elemento decisivo a favore della revisione della direttiva. Il perdurare dell’incertezza che ha regnato negli anni scorsi ha avuto un impatto affatto sgradito sull’organizzazione degli ospedali, sui servizi di emergenza e sull’assistenza istituzionalizzata, nonché sui servizi di supporto per persone con problemi di salute. A tutti noi è stato chiesto di fare qualcosa al riguardo. Richieste simili ci sono giunte dalle autorità di governo centrali e locali, da singoli dipendenti, da privati cittadini e dal Parlamento europeo.

In secondo luogo, si tratta di una questione molto importante su cui Consiglio e Parlamento hanno posizioni diverse, soprattutto in relazione al futuro della clausola di dissociazione. Conosco bene la posizione che il Parlamento ha assunto in prima lettura. Vorrei far presente che nel 2005 la Commissione ha apportato alcuni cambiamenti sostanziali alla propria proposta legislativa e ha suggerito l’abolizione della clausola, in risposta ai pareri espressi dal Parlamento in prima lettura; successivamente ha cercato di difendere tale sua posizione durante quattro anni di acceso dibattito con il Consiglio.

Penso però che dobbiamo considerare come stanno le cose in realtà. Nel 2003 hanno fatto ricorso alla clausola di dissociazione soltanto quattro Stati membri; oggi essa è applicata in quindici paesi membri e molti altri vogliono garantirsi la possibilità di usarla in futuro. I fattori che hanno portato alla decisione del Consiglio sono chiari. La clausola di dissociazione è ora inserita nella direttiva attuale e se il Parlamento e il Consiglio non riescono ad accordarsi sulla sua revoca, essa resterà in vigore senza limiti, in conformità della formulazione attuale della norma.

Il mio interesse precipuo in riferimento alla revisione della direttiva è pertanto quello di garantire che il gran numero di lavoratori che in tutta Europa stanno esercitando il diritto di dissociazione godano di adeguate tutele occupazionali. Per questo motivo, reputo importante che ci concentriamo sulle condizioni attuali che assicurano libertà di scelta per i lavoratori che decidono di ricorrere alla clausola di dissociazione, e nel contempo tuteliamo la sicurezza e la salute dei lavoratori che utilizzano anch’essi tale clausola come limite massimo del numero medio di ore lavorate. La posizione comune prevede anche questo.

La posizione comune comprende inoltre disposizioni specifiche e ben formulate per la revisione futura della clausola di dissociazione. Molti degli Stati membri che hanno introdotto la clausola in tempi recenti lo hanno fatto principalmente per motivi legati ai servizi di guardia. Questi Stati membri potranno forse riconsiderare il ricorso alla clausola dopo aver capito l’impatto di tutti i cambiamenti che stiamo apportando alle norme sui servizi di guardia.

Concludo dicendo che sono consapevole delle differenze di opinione tra Parlamento e Consiglio sull’orario di lavoro. Non sarà facile per le due istituzioni trovare un accordo, e nella legislatura in corso non ci rimane molto tempo. A mio parere, però, si tratta di un compito di fondamentale importanza.

Penso che i cittadini europei faranno fatica a comprendere perché le istituzioni europee, che pure hanno collaborato per risolvere i problemi causati dalla crisi finanziaria, non siano riuscite a stabilire norme chiare ed equilibrate per l’orario di lavoro. Non va dimenticato che il Consiglio ha impiegato quattro anni per definire una posizione comune. Vorrei inoltre ricordarvi i collegamenti con la direttiva sul lavoro tramite agenzia interinale, adottata in ottobre in seconda lettura.

E’ facile immaginare quanto sarà difficile garantire l’accordo del Consiglio in caso di modifiche rilevanti della posizione comune. Credo che in questo momento sia importante valutare con attenzione l’equilibrio tra le questioni di contenuto e le tattiche potenziali, di modo che, dopo la discussione di oggi, ci si possa avvicinare a una base di accordo sull’orario di lavoro. La Commissione intende continuare a fungere da “onesto intermediario” durante il processo legislativo. Auguro al Parlamento una discussione proficua e spero che adotterà decisioni importanti su questo tema estremamente importante.

 
  
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  José Albino Silva Peneda, a nome del gruppo PPE-DE. – (PT) Credo che sarebbe stato possibile discutere di un accordo con il Consiglio su questa direttiva prima della seconda lettura del Parlamento. Il punto è che, a dispetto degli sforzi compiuti dalla presidenza francese, il Consiglio non le ha conferito alcun mandato di negoziare con il Parlamento. Voglio precisare che sono d’accordo sulla revisione delle posizioni adottate in prima lettura, ma che lo posso fare responsabilmente soltanto nel quadro di un compromesso, e ciò presuppone che ci sia un dialogo tra le due istituzioni. Il mio scopo è tuttora quello di giungere a un accordo con il Consiglio, cosa che non è stata possibile prima della prima lettura; confido però che ci si potrà arrivare tramite la conciliazione.

I due aspetti politicamente più importanti della direttiva sono i servizi di guardia e la clausola di dissociazione. Quanto ai primi, non vedo alcun motivo per non ottemperare alle decisioni della Corte di giustizia. La soluzione esiste e, ne sono certo, sarà adottata in sede di conciliazione. Essa risolverà le difficoltà di molti Stati membri ed è accettata dall’intero corpo medico, che è rappresentato all’unanimità nella dimostrazione che si sta svolgendo davanti all’edificio del Parlamento e vede la partecipazione di 400 medici in rappresentanza di oltre due milioni di loro colleghi di tutta Europa. Quanto alla clausola di dissociazione, secondo me si tratta di una questione che non ha nulla a che fare con la flessibilità del mercato del lavoro. A mio modo di vedere, la flessibilità è pienamente garantita fissando il periodo di riferimento a un anno. Il punto cruciale di tale questione è decidere se vogliamo o meno che i lavoratori europei possano lavorare più di 48 ore la settimana come media annuale, cioè, in altri termini, dal lunedì al sabato, otto ore al giorno, e se tale ipotesi sia in linea con le belle dichiarazioni che facciamo sempre in questa sede sull’esigenza di conciliare la vita professionale con la vita familiare.

Voglio ricordare a tutti voi che la base giuridica della direttiva è la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Concludo ringraziando di cuore i molti colleghi del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) e dei Democratici europei per il sostegno che mi hanno dato su questo fascicolo.

 
  
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  Jan Andersson , a nome del gruppo PSE. – (SV) Desidero anzitutto ringraziare l’onorevole Cercas per l’eccellente lavoro che ha compiuto. C’è veramente bisogno di una direttiva comune sull’orario di lavoro? Assolutamente sì, perché abbiamo un mercato del lavoro comune e dobbiamo avere standard minimi in materia di salute e sicurezza. E la proposta ora in discussione riguarda, per l’appunto, la salute e la sicurezza.

La nostra posizione si differenzia da quella del Consiglio in particolare su due punti. Il primo è il tempo di inattività dei servizi di guardia, e qui c’è un elemento in comune: entrambi sosteniamo, infatti, che è possibile trovare soluzioni flessibili se le parti sociali si mettono d’accordo a livello nazionale o locale. La differenza tra le nostre posizioni concerne il punto di partenza di questi negoziati: il Consiglio sostiene che non si tratta di orario di lavoro bensì di tempo libero, mentre noi crediamo invece che occorra partire dall’assunto che i tempi di inattività sono orario di lavoro. E’ del tutto evidente che si tratta di orario di lavoro, dato che i lavoratori interessati devono uscire di casa e mettersi a disposizione del proprio datore di lavoro. Non siamo tuttavia contrari a soluzioni flessibili.

In merito alla possibilità di dissociazione individuale, si tratta di stabilire se tale possibilità debba essere permanente o vada abolita gradualmente. Noi siamo per quest’ultima ipotesi. Prima di tutto, non è una scelta volontaria; consideriamo soltanto la situazione attuale del mercato del lavoro, con tanti lavoratori che concorrono per lo stesso posto: quale reale possibilità di scelta hanno quando si trovano davanti a un datore di lavoro e sperano di ottenere un posto?

Secondo: mi chiedo se non dobbiamo considerare come una sfida il fatto che, nel contesto attuale, alcune persone siano costrette a lavorare 60-65 ore e, allo stesso tempo, ci siano così tanti disoccupati. Questa è una sfida.

Terzo: la parità. Chi sono le persone che lavorano 60-65 ore la settimana? Bene, sono uomini che possono contare su una donna che manda avanti la casa e la famiglia. La lobby delle donne ha criticato aspramente la proposta del Consiglio, a ragione. E’ una questione di salute e sicurezza. Per parte nostra abbiamo cercato di avviare trattative; è stato il Consiglio a non presentarsi al tavolo negoziale. E’ nostra intenzione parlare con il Consiglio, e a questo fine abbiamo tentato e perseverato nei nostri tentativi; però abbiamo le nostre opinioni e le porteremo al tavolo negoziale.

 
  
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  Elizabeth Lynne, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, ovviamente la posizione comune del Consiglio non è l’ideale, però so bene che per arrivarci ci sono voluti molti anni di trattative tra gli Stati membri. Anche molti di noi si sono occupati di questa questione per un certo numero di anni.

Sono sempre stata favorevole al mantenimento della clausola di dissociazione, però volevo che fosse resa più rigorosa per garantirne l’effettiva volontarietà. Mi fa piacere che la clausola ora prevista dalla posizione comune non possa essere sottoscritta contestualmente alla firma del contratto di lavoro e che sia possibile dissociarsi in qualsiasi momento. Questo è un modo molto più trasparente di tutelare i diritti dei lavoratori che usare una definizione di lavoratore autonomo che è talmente vaga da poter essere applicata a chiunque, come succede in molti Stati membri, o usare contratti multipli grazie ai quali un datore di lavoro può assumere lo stesso dipendente con uno, due, tre o addirittura più contratti, come succede in altri Stati membri. Se il datore di lavoro viola la clausola di dissociazione, il lavoratore interessato può portare i contratti a un giudice del lavoro. Temo che, se questa clausola fosse abolita, costringeremmo un maggior numero di persone a lavorare nell’economia sommersa, dove non potrebbero essere tutelate dalle norme sulla protezione della salute e della sicurezza, in particolare quelle della direttiva sui macchinari pericolosi. Tutti i lavoratori assunti regolarmente sono coperti da queste direttive, sia che ricorrano alla clausola di dissociazione prevista dalla direttiva sull’orario di lavoro, sia che non lo facciano. In tempi economicamente difficili come questi, è molto importante che i lavoratori possano fare gli straordinari, se lo vogliono, e che anche i datori di lavoro godano di una certa flessibilità.

Non sono invece tanto d’accordo sul fatto che la posizione comune non consideri i servizi di guardia come orario di lavoro. Proprio per tale motivo, nella commissione per l’occupazione e gli affari sociali ho presentato un emendamento volto a sostenere che i servizi di guardia devono essere classificati come orario di lavoro. Purtroppo il mio emendamento non è stato sostenuto né dal gruppo socialista né dal Partito popolare. La relazione Cercas prevede, allo stato attuale, che i servizi di guardia debbano essere considerati orario di lavoro, ma ammette anche che contratti collettivi o norme nazionali possano stabilire diversamente. Secondo me, questo non è un grande cambiamento rispetto alla posizione comune del Consiglio; si tratta soltanto di una leggera differenza di accentuazione. Non ho ripresentato il mio emendamento perché sapevo che il gruppo socialista e il Partito popolare non avrebbero votato a favore. Sospetto, tuttavia, che dovremo avviare una procedura di conciliazione, ma sospetto altresì che il Consiglio non farà alcuna mossa. Se non si troverà un accordo, spero che il Consiglio riconsideri la propria posizione e che il settore dei servizi sanitari sia oggetto di una valutazione separata, come vado chiedendo da lungo tempo. A mio parere, la revisione della direttiva era effettivamente necessaria soltanto in relazione alle decisioni delle corti europee nei casi SIMAP e Jaeger, ed è a questo che ci saremmo dovuti limitare.

 
  
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  Elisabeth Schroedter, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, signora Presidente in carica del Consiglio, lavorare un numero eccessivo di ore è causa di malattie, perdita di concentrazione e un numero crescente di errori. Chi lavora troppo rappresenta un pericolo non solo per sé ma anche per chi lo circonda. Vi piacerebbe, ad esempio, essere curati da un medico affaticato per il troppo lavoro, o incontrarlo alla guida di un veicolo dopo che ha fatto troppe ore di servizio di guardia? Sulla base di tali considerazioni, voteremo a favore di una direttiva sull’orario di lavoro che, a differenza di quella adottata dal Consiglio, non è piena di buchi come una forma di groviera.

Una direttiva sull’orario di lavoro i cui limiti massimi sono dei semplici orientamenti, dato che è possibile concordare una clausola di dissociazione in ciascun contratto di lavoro individuale, non può raggiungere l’obiettivo di tutelare la salute sul posto di lavoro. In qualità di colegislatori abbiamo il compito di garantire che una direttiva sull’orario di lavoro contenga standard minimi compatibili con la protezione della salute. Pertanto il gruppo Verde/Alleanza libera europea voterà contro altre clausole di dissociazione.

Pensiamo sia corretto che gli Stati membri abbiano tre anni di tempo per adeguare la rispettiva legislazione nazionale. Ma non voteremo a favore del fatto che la scelta del Regno Unito di dissociarsi diventi una deroga di validità generale nell’Unione europea. Allo stesso modo, non approviamo che la Commissione consideri il tempo lavorativo trascorso a fare servizio di guardia come periodo inattivo e, quindi, periodo di riposo.

Per noi è particolarmente importante che, di regola, l’orario di lavoro sia calcolato per il singolo lavoratore, non sulla base di ciascun contratto individuale. Questo emendamento presentato dal gruppo Verde è cruciale ed è in contrasto con quanto l’onorevole Lynne ha descritto qui come un’illusione.

Respingo inoltre l’affermazione secondo cui il Parlamento europeo non avrebbe proposto un modello flessibile. Tutto il contrario: l’estensione del periodo di riferimento a dodici mesi permette una grande flessibilità, non, però, a spese dei periodi di riposo obbligatori, e questo è ciò che conta per noi.

Signor Commissario, non è vero che i lavoratori possono decidere autonomamente. Essi stessi sanno che ciò è impossibile; altrimenti, perché mai sarebbe stata annunciata per domani una manifestazione con la partecipazione di 30 000 persone, e perché altre persone starebbero già dimostrando? Ecco perché dobbiamo ribadire la posizione che abbiamo assunto in prima lettura. Solo così una direttiva sull’orario di lavoro può anche contribuire alla tutela della salute sul posto di lavoro.

 
  
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  Roberta Angelilli, a nome del gruppo UEN. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, innanzitutto voglio ringraziare il relatore per il lavoro svolto. Alla Presidenza francese, che ringrazio comunque per l'impegno, voglio però dire che non c'è stato uno sforzo adeguato per dialogare efficacemente con il Parlamento.

Quello che stiamo facendo stasera è un dibattito molto delicato, le nostre parole devono essere dettate dalla massima responsabilità, così come le politiche che ne saranno conseguenti. Dobbiamo essere ben consapevoli che ogni compromesso al ribasso si consuma sulla pelle dei lavoratori e che quindi un compromesso a tutti i costi può avere un prezzo da pagare in termini di salute, di sicurezza e di conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa.

Siamo tutti ben consci che il mondo del lavoro è cambiato e sta cambiando ulteriormente, proprio in queste settimane, in questi giorni, sotto l'onda d'urto della crisi economica. E siamo tutti convinti che c'è bisogno di più flessibilità, ma in un modo equilibrato e soprattutto evitando che in nome dell'emergenza si facciano improprie forzature sui diritti dei lavoratori. Le proposte del Consiglio pongono alcuni interrogativi molto seri, ne hanno parlato tutti gli altri relatori prima di me.

Primo: l'opt-out. Da una parte c'è consapevolezza sul fatto che questa formula è molto problematica e pertanto si prevede una clausola di revisione, ma lo si fa in modo generico, senza fissare una data certa, dall'altra viene posto una specie di velato ricatto, perché se ci fosse un fallimento sul testo della posizione comune del Consiglio rimarrebbe l'attuale direttiva con un opt-out senza limiti.

Secondo: c'è poi tutto il problema della concezione del tempo di guardia, che si tende di fatto ad assimilare a tempo di riposo. Su questo tema - l'hanno già detto tutti gli altri colleghi prima di me - non ci può essere alcun equivoco, perché ogni equivoco è del tutto inaccettabile.

Ed infine la conciliazione: la conciliazione non può essere un termine astratto affidato a formulazioni generiche o a termini cosiddetti ragionevoli, che in realtà poi si trasformano in escamotage per derogare alla contrattazione collettiva costringendo di fatto il lavoratore, e soprattutto la lavoratrice, ad accettare le condizioni imposte pur di non perdere il posto di lavoro.

Quindi mi rendo conto che una revisione della direttiva è necessaria e sarebbe assolutamente utile, ma non si può fare a tutti i costi sostituendo vuoti legislativi con inquietanti ambiguità.

 
  
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  Dimitrios Papadimoulis, a nome del gruppo GUE/NGL. (EL) Signor Presidente, il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica, che ho l’onore di rappresentare, è fermamente contrario alla posizione comune del Consiglio e la respinge. Purtroppo, essa è appoggiata anche dalla Commissione, trattandosi di una proposta reazionaria, che rende felice la lobby dei datori di lavoro e i neoliberali estremi. E’ una proposta che riporta l’orologio della storia indietro di novant’anni, al 1919, quando era garantita una settimana lavorativa di 48 al massimo. La posizione comune mantiene la clausola di dissociazione, contraria ai lavoratori e antipopolare, annulla la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee sul servizio di guardia e sostiene il calcolo dell’orario di lavoro sulla media dei dodici mesi, cancellando il requisito della contrattazione collettiva. Il gruppo confederale della Sinistra chiede che siano aboliti la clausola di dissociazione e il calcolo dell’orario di lavoro in base alla media dei dodici mesi e che la durata dei servizi di guardia sia considerata orario di lavoro.

Onorevoli esponenti del Consiglio e della Commissione, se la vostra posizione fosse realmente così favorevole ai lavoratori, domani ci sarebbe qui fuori una dimostrazione delle federazioni dei datori di lavoro, non delle organizzazioni sindacali europee, con la partecipazione di 50 000 lavoratori. La verità è che le federazioni dei datori di lavoro vi stanno applaudendo e che domani i sindacati dei lavoratori verranno a protestare contro la settimana lavorativa di almeno 65 ore.

A voi piace tanto parlare dell’Europa sociale, ma il mantenimento della clausola di dissociazione è un sotterfugio escogitato, a quanto pare, dall’ex primo ministro Thatcher molti anni fa a tutto beneficio del Regno Unito, e ora volete che questo espediente sia applicato su scala più vasta e diventi permanente. Agire così significa rifiutare l’Europa sociale, rifiutare la politica comune a favore dei lavoratori.

 
  
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  Derek Roland Clark, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, la direttiva sull’orario di lavoro è una perdita di tempo, e lo è da prima ancora che io fossi eletto al Parlamento europeo. Poco dopo la mia elezione, un ministro del dipartimento britannico per il lavoro e le pensioni mi chiese di appoggiare la posizione del governo di sua maestà a favore del mantenimento delle clausole di dissociazione, cosa che, ovviamente, feci e continuo a fare, peraltro in buona compagnia, con molti altri paesi.

Lasciatemi, quindi, ripercorrere alcune delle tappe di questa storia dagli esiti alterni. Il 18 dicembre 2007 il relatore disse che alcuni paesi non volevano la direttiva sull’orario di lavoro né l’Europa sociale; volevano il libero mercato. Egli chiamò tale richiesta la “legge della giungla” e disse che chi la sosteneva era pazzo da legare.

Bene, tante grazie! Il commercio mondiale e la libertà dalle restrizioni comunitarie in patria hanno fatto del Regno Unito il secondo maggiore contribuente dell’Unione europea, con 15 miliardi di sterline l’anno. Non penso che al relatore spiacerebbe trovarsi in quella condizione!

Nel dicembre 2007 la presidenza portoghese disse che non poteva rischiare un voto in Consiglio e lasciò pertanto la palla alla successiva presidenza slovena, e questo dopo averla introdotta alla materia con la direttiva sul lavoro interinale, tanto per darle una mano. La Slovenia propose una settimana lavorativa di 65 ore e poi di 70, ma il comportamento temporeggiatore del Consiglio mandò tutto all’aria. Poi la Corte di giustizia europea mise la parola fine alle politiche per il salario minimo.

Al termine della presidenza finlandese, il ministro del Lavoro di quel paese osservò, di fronte alla commissione per l’occupazione e gli affari sociali, che i ministri si riempivano la bocca della direttiva sull’orario di lavoro quando erano a Bruxelles, ma che una volta tornati a casa era tutta un’altra storia. Già, proprio così!

Il mese scorso, il 4 novembre, il relatore ha detto nuovamente che la direttiva sull’orario di lavoro deve venire prima di tutto, anche prima dell’economia. Ma se si mette l’economia in secondo piano, come si fa a incassare le tasse derivanti dalla direttiva sull’orario di lavoro? Se un’impresa assume lavoratori aggiuntivi per riempire i vuoti lasciati dai lavoratori a orario ridotto, registra un aumento dei costi unitari, non è più competitive e i posti di lavoro vanno perduti. Proprio per questa ragione la Francia ha abbandonato il modello della settimana lavorativa di 35 ore.

Seguiamo, dunque, l’esempio dei francesi. Seppellite una volta per tutte questa impraticabile direttiva sull’orario di lavoro.

 
  
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  Irena Belohorská (NI). – (SK) Permettetemi di associarmi ai ringraziamenti rivolti al relatore per la sua proposta di direttiva sull’organizzazione dell’orario di lavoro, che rappresenta un’appendice alla direttiva n. 88 del 2003. Ringrazio il relatore anche per la sua presentazione di oggi e per non essersi dimenticato dei lavoratori del settore sanitario, che sono probabilmente tra i più interessati da queste norme.

Dato che la Commissione europea e il Consiglio europeo hanno dedicato molta attenzione alla preparazione di questo testo, credo che esso si meriti un’ampia discussione da parte nostra. Ho ricevuto dalle organizzazioni sindacali molti studi in cui si manifesta il timore che ai datori di lavoro siano lasciate troppe possibilità di scelta, principalmente per quanto riguarda la valutazione dei periodi nei quali i lavoratori sono tenuti a stare a disposizione o di guardia.

Onorevoli colleghi, vorrei farvi presente che, se un lavoratore è di guardia, non può disporre liberamente del proprio tempo libero. Questo vale per gli operatori della sanità, che sono legioni e che per causa nostra sarebbero lasciati alla mercé dei datori di lavoro, con il rischio di essere sfruttati. Non dimentichiamo che non si tratta soltanto di degradare lo status professionale di medici e infermieri, ma anche di valorizzare i servizi di guardia in quanto tali, visto che loro eventuali restrizioni potrebbero, in ultima analisi, mettere a rischio i pazienti bisognosi di assistenza.

Inoltre, per quanto possiamo mirare, con questa direttiva, ad aiutare i lavoratori a riposarsi le forze e organizzare meglio la loro vita familiare, dubito che i datori di lavoro condividano tale nostra intenzione. Tutte le organizzazioni europee devono oggi fare i conti con la recessione, la crisi finanziaria, l’inizio di un periodo di forte disoccupazione e le possibili conseguenze della situazione attuale. Già questo fatto da solo può portare a maggiori richieste e, quindi, alimentare la paura dei dipendenti che i loro datori ricorrano, tra l’altro, alla cassa integrazione. E’ anche per tale motivo che parteciperanno in molti alla manifestazione di domani.

 
  
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  Philip Bushill-Matthews (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, desidero prima di tutto congratularmi con la Commissione per la serietà con cui ha gestito questo fascicolo. Mi complimento inoltre con la presidenza in carica del Consiglio perché, come essa ben sa, la questione è stata bloccata dalle sette presidenze precedenti e c’è voluta molta abilità per arrivare al punto in cui ci troviamo adesso. La presidenza ha dimostrato non soltanto di essersi data da fare, ma anche di aver rimesso in moto la discussione. Il compito che noi tutti in quanto deputati al Parlamento europeo dobbiamo ora affrontare è verificare se anche noi siamo pronti ad accogliere la sfida e andare avanti con la votazione di mercoledì.

Voglio dire al relatore che condivido appieno le sue osservazioni introduttive; ma prima che lei se ne rallegri troppo, mi permetta di ricordarle che in esse lei afferma che ci sono milioni di lavoratori preoccupati per la direttiva sull’orario di lavoro. Sono d’accordo con lei: i lavoratori sono preoccupati, e lo sono perché temono i politici come lei, pronti a dire loro cosa dovrebbero fare e cosa no, pronti a impedire loro di scegliersi l’orario e di lavorare liberamente.

Ho perso il conto del numero di persone che mi hanno scritto – non organizzazioni che cercano di sfruttare i lavoratori, bensì semplici lavoratori – per sapere come mai ci occupiamo di questo punto e per chiederci di non impedire loro di scegliersi liberamente l’orario di lavoro.

Sono rimasto particolarmente colpito dal caso di una famiglia pubblicato in un giornale solo tre giorni fa: il marito aveva perso il lavoro nel settore edile e la moglie era stata costretta ad accettare due lavori a tempo parziale per poter mantenere il marito, i tre figli e la casa. Deve lavorare dodici al giorno, sette giorni la settimana. Non vorrebbe farlo, ma vi è costretta per mantenere unita la famiglia. Voglio dire al relatore: la donna di cui sto parlando è sua conterranea, è spagnola. E quale aiuto lei le dà? Quale speranza può offrirle? Nessuna! Lei le direbbe semplicemente che non può lavorare così tanto e deve rinunciare a uno dei suoi lavori, rinunciare ai figli e rinunciare alla casa.

Non sono stato eletto per approvare leggi come questa; sono stato eletto per occuparmi delle persone che rappresento, e non lo dimenticherò. E’ previsto che il prossimo anno non mi ricandidi, ma fino ad allora lotterò per le persone che mi hanno eletto e le aiuterò, non creerò loro ostacoli.

Come ha detto il commissario, la proposta in esame garantirà maggiore protezione dei lavoratori sotto il profilo della salute e della sicurezza. Se la appoggiamo, questo è ciò che avremo. Se non la appoggiamo, i lavoratori non otterranno quella maggiore protezione e sapranno a chi darne la colpa.

 
  
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  Karin Jöns (PSE).(DE) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, onorevoli colleghi, mi appello nuovamente ai membri del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) e dei Democratici europei che, in particolare, sono ancora incerti se votare mercoledì compatti allo stesso modo della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, confermando così la posizione assunta in prima lettura. Dopo tutto, non è credibile impegnarsi per la tutela della salute dei lavoratori, da un lato, e, dall’altro, invocare il mantenimento della clausola di dissociazione.

Non per nulla, infatti, l’Organizzazione internazionale del lavoro ha raccomandato la settimana lavorativa di 48 ore già nel 1919. Le pressioni cui sono sottoposti i lavoratori oggi possono essere diverse da allora, ma non sono meno gravi. Per come la vedo io, è puro cinismo – e lo dico pensando al Consiglio – presentare il mantenimento della clausola di dissociazione come una conquista sociale solamente perché viene fissato un tetto di sessanta ore per la settimana lavorativa media. Il fatto che il consenso delle parti sociali sia richiesto soltanto in caso di orari di lavoro ancora più lunghi equivale a dire che si è disposti ad accettare sessanta ore settimanali come la norma, ma questo è del tutto inaccettabile! Adeguarsi alla posizione della Commissione significherebbe calpestare il diritto dei lavoratori alla salute e abbandonare il precetto di conciliare famiglia e lavoro, ossia, in pratica, tradire l’Europa sociale! Pertanto, onorevoli colleghi, vi scongiuro di riflettere ancora un po’ su tale questione.

Per quanto riguarda i servizi di guardia, voglio dire al Consiglio che essi vanno considerati, di norma, come orario di lavoro. Su questo punto non si può transigere. Lasciare che siano le parti sociali a stabilire qual è il tempo inattivo lascia sufficiente flessibilità per i medici, i vigili del fuoco e i servizi di guardia.

 
  
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  Bernard Lehideux (ALDE). – (FR) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, appoggio pienamente il relatore, che difende quella che è stata la nostra posizione in prima lettura, una posizione che i governi degli Stati membri, invece, respingono.

Si avvertiva l’urgente necessità di allineare la nostra legislazione sui servizi di guardia alla giurisprudenza della Corte di giustizia, e così è stato fatto. La relazione Cercas indica soluzioni equilibrate e garantiste per i lavoratori. L’intera durata dei servizi di guardia è conteggiata come orario di lavoro. I riposi compensativi seguono immediatamente il periodo di servizio. Si tratta di semplice buon senso; si tratta di garantire condizioni di lavoro ragionevoli, soprattutto per i lavoratori del settore sanitario.

Ma la riforma della direttiva sull’orario di lavoro ci offre anche l’opportunità di far progredire la legislazione sociale europea abolendo la clausola di dissociazione individuale. La relazione Cercas coglie questa occasione per proporre la graduale abolizione di qualsiasi possibile deroga al limite massimo fissato per legge del numero di ore lavorate. Dobbiamo prendere atto della realtà. E’ ridicolo dire che i lavoratori sono in condizioni di parità rispetto ai loro datori di lavoro e possono rifiutare le condizioni che vengono loro offerte.

Onorevoli colleghi, è evidente che dobbiamo dimostrare ai governi degli Stati membri che il testo che stanno cercando di imporci è inaccettabile. E, in mezzo al coro di lodi che sicuramente rabbonirà il governo francese a partire da domani, credo che dobbiamo prenderci a cuore, prima di tutto e soprattutto, gli interessi dei lavoratori. ai quali sarà chiesto di lavorare ancora di più e che non avranno alcuna possibilità di scelta, come nel caso dei lavoratori francesi ai quali in futuro sarà chiesto di lavorare di domenica. Voglio aggiungere che è ovviamente nell’ottica di introdurre tale opzione che il governo francese ha cambiato idea, al Consiglio, sulla clausola di dissociazione individuale.

Onorevoli colleghi, diamo ascolto ai lavoratori e cerchiamo anche di rispondere alle loro domande, se non vogliamo che al “no” dei francesi, degli olandesi e degli irlandesi si aggiungano molti altri “no” che chiamerebbero in causa un’Unione europea che dà l’impressione di non occuparsi dei problemi quotidiani della gente.

 
  
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  Jean Lambert (Verts/ALE). - (EN) Signor Presidente, voglio ritornare sull’aspetto di fondo di questa direttiva, una direttiva sulla salute e sulla sicurezza. E visto che essa si fonda, appunto, sulla salute e sulla sicurezza, non ci aspettiamo dissociazioni riguardo ad aspetti concernenti la salute e la sicurezza, né ci aspettiamo concorrenza sulle condizioni di lavoro all’interno dell’Unione europea. Si riteneva che lo scopo fosse quello di fissare norme comuni, dato che molti dei nostri lavoratori devono affrontare le stesse difficoltà.

Ma vediamo un po’ alcune delle questioni attinenti alla salute di cui si stanno occupando molti dei nostri Stati membri in questo momento: malattie cardiovascolari, diabete, stress. Lo stress è la seconda causa di assenza dal lavoro nel Regno Unito: 13 milioni di giorni di lavoro vanno perduti a causa di stress, depressione, ansia, con un costo annuo di 13 miliardi di sterline – se consideriamo l’aspetto economico della vicenda, e ad alcuni di noi qui piace considerare l’aspetto economico, onorevole Clark. Tutti questi problemi, ma anche le questioni connesse con l’obesità e il bere compulsivo, hanno a che fare con una cultura fondata sull’orario di lavoro lungo, che non è certamente l’unico fattore ma ha senz’altro la sua importanza.

Non stiamo semplicemente parlando di orario di lavoro lungo su base occasionale; la direttiva attuale e le modifiche proposte consentono una flessibilità notevole, e tali modifiche metteranno le imprese in grado di gestire improvvisi e forti aumenti del carico di lavoro, purché poi compensino le ore aggiuntive lavorate dai loro dipendenti. Il problema è piuttosto l’orario di lavoro lungo su base continua. Il rischio di un infortunio sul lavoro aumenta quando si lavora per dodici o più ore di seguito; i lavoratori stanchi sono lavoratori pericolosi. Gli esperti di sicurezza stradale ritengono che i guidatori stanchi causino più incidenti dei guidatori ubriachi. Se si chiede alla gente di fare un orario di lavoro lungo, bisogna sapere che questo è un problema; bisogna sapere che la produttività diminuisce, che la creatività diminuisce, il che non va bene per un’economia fondata sulla conoscenza. Sicuramente, l’orario di lavoro lungo non contribuisce granché, in termini qualitativi, all’equilibrio tra lavoro e famiglia, dato che, quando arrivano a casa, i genitori sono troppo stanchi per leggere le favole ai loro figli e metterli a letto. Inoltre, la maggioranza – il 66 per cento – dei lavoratori del Regno Unito che hanno l’orario di lavoro lungo non vengono pagati per le ore lavorate, perché ciò rientra in un certo tipo di cultura che induce a esprimere il proprio attaccamento al lavoro essendo presenti, non necessariamente essendo produttivi.

A chi sostiene che la clausola di dissociazione riduce la burocrazia, vorrei dire che è comunque necessario registrare le ore lavorate. Se leggete le nuove proposte, vi accorgerete che di certo non c’è alcuna riduzione della burocrazia nella proposta del Consiglio.

 
  
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  Roberto Musacchio (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, domani ci sarà a Strasburgo una grande manifestazione sindacale contro il vero e proprio golpe che il Consiglio ha operato sulla direttiva orario.

Sessantacinque ore e più di orario settimanale sono un vero e proprio assurdo, qualcosa di inaccettabile, così come lo strappo con le regole collettive e gli accordi sindacali. Lungi dal superare il sistema dell'opt-out, degli accordi individuali in deroga, questi vengono addirittura generalizzati. Si annualizza il calcolo dell'orario di lavoro determinando una flessibilità estrema e si rendono i riposi anch'essi aleatori e alla mercé delle convenzioni aziendali, così come si vuole considerare il tempo di lavoro inattivo come lavoro parziale, parzialmente riconosciuto e retribuito: inaccettabile.

La politica dello sfruttamento a dismisura del lavoro, mentre tanti lavoratori sono disoccupati, è il simbolo di una svalorizzazione del lavoro stesso che è tanta parte della crisi che attraversiamo. È bene che il Parlamento ascolti la manifestazione di domani e reagisca a questo golpe del Consiglio per riaffermare anche in questo modo la propria sovranità.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI).(DE) Signor Presidente, si dice che in tempi di crisi la gente diventi più solidale. Ma da molto tempo i cittadini europei hanno la sensazione che siano l’Unione europea e le imprese a essere diventate più solidali tra loro e si siano coalizzate contro la gente. L’orario di lavoro è stato presentato come un fattore importante per la competitività, l’orario di lavoro e la vita lavorativa sono stati allungati, le retribuzioni sono diminuite e il costo della vita è aumentato, il tutto mentre i profitti delle imprese sono saliti alle stelle e gli stipendi dei dirigenti hanno raggiunto livelli astronomici.

Intanto che il Parlamento discute di estendere l’orario di lavoro, decurtando in tal modo diritti sociali conquistati a fatica, le imprese annunciano orari di lavoro ridotti temporanei e compensati per migliaia di dipendenti, mentre fa capolino lo spettro di licenziamenti di massa. Modelli una volta tenuti in grande considerazione, come i tanto decantati “conti delle ore di lavoro”, che si esauriscono in capo a poche settimane, rivelano tutti i limiti dell’orario di lavoro flessibile. Ancora una volta, stiamo agendo in due direzioni opposte: da un canto, facciamo grandi proclami su una migliore conciliazione tra lavoro e famiglia per incrementare il tasso di natalità, in calo ormai da anni a questa parte; dall’altro canto, lasciamo che le domeniche e le festività siano sempre più degradate a normali giorni feriali, facendo così, inevitabilmente, piazza pulita delle tradizioni e della vita familiare. Nella crisi attuale, i cittadini ordinari sono costretti ad assumersi la responsabilità degli errori della comunità finanziaria e ad aiutare le banche, anche con i loro sudati risparmi. Le loro pensioni sono a rischio e non ci vorrà molto prima che debbano persino lasciare il loro posto di lavoro, mentre quello dei dirigenti è garantito.

Uno dei criteri in base ai quali i cittadini europei giudicheranno l’Unione europea è la misura in cui essa può fornire sicurezza sociale. L’Unione europea deve pertanto decidere cosa vuole mettere al primo posto: gli interessi economici o le persone.

A tale proposito, sarebbe forse il caso di valutare per un attimo l’opportunità di bloccare l’adesione della Turchia prima che essa porti l’Unione europea al collasso finanziario. Ma se l’Unione continua sulla strada del neoliberismo avventuroso e dell’ossessione illimitata per l’allargamento, non deve poi meravigliarsi se i tassi di natalità calano o ci sono disordini sociali. Se si continua così, il sostegno dell’opinione pubblica a un’Unione europea vista come un porto sicuro – sostegno che di recente ha registrato un effimero aumento – svanirà ben presto e ci ritroveremo in difficoltà economiche molto peggiori di quelle attuali.

 
  
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  Thomas Mann (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, sono stato di guardia in ospedale nel turno di notte in due occasioni, dalle ventuno alle cinque. Chiunque abbia vissuto a stretto contatto l’esperienza del lavoro svolto dalle infermiere, dai medici neolaureati e dagli autisti delle ambulanze sa che è assolutamente irrealistico pensare che il periodo del servizio di guardia possa essere distinto in una parte attiva e una parte inattiva. Entrambe sono orario di lavoro, e la remunerazione ne deve tener conto. La Corte di giustizia delle Comunità europee ha avuto ragione anche a tale proposito.

Penso che il Consiglio sbagli nel considerare il periodo inattivo come un periodo di riposo. La conseguenza sarebbero maratone lavorative con periodi di servizio fino a 72 ore. Ma non possiamo pretendere una cosa del genere dai dipendenti, né dai pazienti, perché la salute e la sicurezza sul lavoro non devono essere ridotte. Nondimeno, non tutto il servizio di guardia è uguale, come nel caso dei servizi svolti dai corpi privati di vigili del fuoco che ho conosciuto quando ho funto da relatore, insieme con altri nove colleghi, della direttiva REACH. Di recente, ho invitato esponenti di quei corpi privati al Parlamento europeo a Bruxelles.

I vigili del fuoco privati sono impiegati nell’industria chimica e metallurgica e negli aeroporti. Il numero fortunatamente piccolo di volte in cui è richiesto il loro intervento ha reso necessaria l’introduzione di una deroga specifica al numero massimo di ore lavorative settimanali. Per inciso, la deroga è stata approvata sia dai datori di lavoro sia dai dipendenti.

Tutto ciò dimostra, comunque, che gli accordi sono una questione che va lasciata alle parti sociali. La libera contrattazione collettiva e il dialogo tra le parti sociali sono i fattori chiave dell’Europa sociale. In assenza di una contrattazione collettiva, spetta allo Stato applicare le norme. Dopo tutto, i ministri hanno concordato per l’Unione europea una settimana lavorativa massima di 48 ore.

Pertanto, in linea di principio sono favorevole alla relazione Cercas, ma sono favorevole anche alla flessibilità attraverso deroghe da concedere a determinate professioni. Se questo fascicolo sarà sottoposto alla procedura di conciliazione, essa dovrà essere finalmente condotta con calma, senza fretta. Un’Europa sociale non si può permettere reazioni affrettate né parole vuote.

 
  
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  Yannick Vaugrenard (PSE). (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero prima di tutto esprimere apprezzamento per l’eccellente lavoro compiuto dall’amico onorevole Cercas, relatore di questo testo che è stato sottoposto nuovamente al nostro vaglio, in seconda lettura, grazie a un sorprendente compromesso raggiunto al Consiglio di giugno.

Belgi, ciprioti, ungheresi e spagnoli lo hanno respinto, e hanno fatto bene, perché esso mira a una maggiore flessibilità, ma ciò è inaccettabile perché comporterebbe conseguenze per la sicurezza dei lavoratori. Credete veramente che, in un momento caratterizzato dal diffuso ricorso alla cassa integrazione e da una proliferazione di piani di licenziamento in tutto il continente europeo, ai datori di lavori si debba concedere la possibilità di imporre ai loro dipendenti una settimana lavorativa di 65 ore o anche più?

L’Unione europea non potrebbe che giovarsi di un po’ di coerenza. Attualmente finanziamo interi settori industriali per evitare licenziamenti, ed è giusto che sia così. Ma dovremmo tutelare anche i posti di lavoro che ci sono ancora nelle imprese o nelle amministrazioni. In un momento in cui i cittadini nutrono dubbi sull’Europa, come è stato detto proprio un attimo fa, il compromesso del Consiglio, se approvato dal Parlamento, lancerebbe il peggior messaggio possibile.

La direttiva deve fissare un limite massimo dell’orario di lavoro settimanale per ragioni inerenti alla salute e alla sicurezza. Non deve essere una direttiva peggiorativa sotto il profilo sociale e umano. Questa è la posizione sostenuta dal nostro relatore e dalla Confederazione europea dei sindacati, ed è anche la posizione che sosterrò personalmente al fianco del nostro relatore.

 
  
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  Siiri Oviir (ALDE). - (ET) Signor Presidente, onorevoli colleghi, per molti anni gli Stati membri e l’Unione europea hanno discusso e cercato una posizione comune sulla direttiva sull’orario di lavoro. Sono stati fatti passi avanti, ma ci sono ancora carenze. I nostri voti mostreranno quanto il Parlamento europeo sia andato vicino, in tempi recenti, alla definizione di posizioni comuni.

Potrò votare a favore della direttiva se sarà mantenuta la possibilità di fare straordinari. Gli straordinari non sono una pratica molto diffusa in Estonia, ma vorrei che le persone, i dipendenti potessero decidere liberamente se lavorare o meno ore straordinarie, per guadagnare di più, per migliorare le loro opportunità di carriera oppure per altri motivi personali.

Proibire, con questa direttiva, gli straordinari significherebbe essenzialmente che, in certi casi, i lavoratori dovrebbero comunque continuare a farli, solo che li farebbero illegalmente, cioè, in altri termini, senza un compenso supplementare o senza tutela giuridica. E nessuno di noi vuole una cosa del genere.

In secondo luogo, per un paese piccolo come l’Estonia è importante che i riposi compensativi delle ore straordinarie siano concessi un periodo di tempo ragionevole dopo che sono state lavorate le ore straordinarie, perché il requisito secondo cui i riposi compensativi devono essere concessi immediatamente può creare problemi all’organizzazione del lavoro, soprattutto nei settori con carenza di manodopera.

In terzo luogo, il servizio di guardia è orario di lavoro. Voglio esprimere la mia gratitudine alla Francia in qualità di presidente in carica dell’Unione europea per essersi occupata della direttiva e per aver contribuito a definire una posizione comune.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL).(PT) Lo scopo essenziale di questa proposta del Consiglio è svalutare il lavoro, aumentare lo sfruttamento e garantire maggiori guadagni per i datori di lavoro e maggiori profitti per i gruppi economici e finanziari grazie a una settimana lavorativa media di 60 o 65 ore e a decurtazioni degli stipendi con l’applicazione del principio dell’orario di lavoro inattivo.

Questo è uno degli esempi più clamorosi di sfruttamento capitalistico; la proposta vanifica tutto ciò che è stato detto finora sulla conciliazione tra lavoro e famiglia e rappresenta un passo indietro di quasi cento anni per i diritti faticosamente conquistati dai lavoratori, che sono persone, non macchine. Siamo perciò favorevoli a respingere questa vergognosa posizione del Consiglio e invitiamo i colleghi a votare tenendo presenti le proteste dei lavoratori, per evitare tensioni sociali più gravi, altri passi indietro e il ritorno a una sorta di schiavitù proprio adesso, nel XXI secolo.

In tempi di crisi e disoccupazione come l’attuale, dobbiamo ridurre gradualmente la settimana lavorativa senza alcuna riduzione del compenso, allo scopo di creare nuovi posti di lavoro con diritti garantiti, e dobbiamo anche rispettare la dignità di chi lavora.

 
  
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  Jim Allister (NI) . – (EN) Signor Presidente, sono decisamente contrario all’abolizione del diritto del Regno Unito di far valere una clausola di dissociazione riguardo alla direttiva sull’orario di lavoro. Invero, confuto la facoltà del Parlamento europeo di tentare di derubare il mio paese di quel diritto. Secondo i miei canoni, il controllo degli orari di lavoro è di esclusiva competenza delle autorità nazionali, non dei diktat di Bruxelles.

Che cosa può importare ai paesi con governi più orientati in senso proibizionista se ai lavoratori britannici il loro governo, che hanno eletto, permette di lavorare più di 48 ore la settimana? In tutta franchezza, non sono affari vostri. Ma la questione è di importanza vitale per le imprese britanniche, specialmente in un periodo caratterizzato dalle pressioni fortissime causate dalla crisi economica, in cui massima flessibilità e meno norme sono la chiave per la ripresa dell’economia. Massimizzare la produzione europea, vendere i nostri prodotti in patria e all’estero e facilitare la crescita delle imprese dovrebbero essere al centro dell’attenzione di noi tutti.

E invece, i nostri ideologi sono tutti intenti a imporre la loro preziosa agenda sociale a chiunque, anche a chi non la vuole. E’ veramente giunto il momento che il Parlamento fissi chiaramente le sue priorità; già che c’è, potrebbe cominciare a farlo respingendo questo tentativo di revocare il diritto di dissociazione del Regno Unito.

 
  
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  Csaba Őry (PPE-DE). (HU) Di recente abbiamo osservato che l’opinione pubblica sta seguendo questa questione con straordinario interesse, soprattutto in relazione agli aspetti di cui anche noi stiamo discutendo, cioè la clausola di dissociazione e i servizi di guardia. In merito alla clausola, vengono ripetute di continuo due argomentazioni: la prima concerne la flessibilità, la seconda la questione della libertà di scelta. Sembra che ci comportiamo come se i datori di lavoro e i dipendenti fossero su un piano di effettiva parità, il che però non è, e uno dei compiti e delle funzioni più evidenti del diritto del lavoro è appunto quello di rimediare a tale disuguaglianza. Come dice chi si occupa di politica sociale, il mendicante ha lo stesso diritto del miliardario di dormire sotto i ponti, e da quel punto di vista si può ovviamente parlare di libertà di contrattazione. In realtà, però, parliamo di una condizione iniqua che, più che favorire la flessibilità, mantiene invece questa disuguaglianza.

Ma non basta: la flessibilità è ampiamente sostenuta dalla soluzione indicata dal Parlamento in prima lettura. Per 26 settimane una persona può lavorare addirittura 72 ore per rispondere alle esigenze del mercato o far fronte a un gran numero di ordinativi o a forti carichi di lavoro. Ma ovviamente bisogna anche riposarsi, e penso che questo debba essere l’obiettivo di una direttiva sul lavoro e sulla protezione della salute.

Per quanto riguarda i servizi di guardia, se un bel mattino nessun cliente o nessun visitatore entra in una libreria o un negozio di abbigliamento, questo significa forse che il commesso è nel periodo inattivo di un servizio di guardia e che dovrebbe pertanto essere retribuito a tariffa diversa? La posizione corretta è che, se i lavoratori non possono disporre del loro tempo liberamente, a proprio piacere, ma devono invece stare sul posto di lavoro, quel periodo di tempo deve essere considerato orario di lavoro. La remunerazione del lavoro eseguito è tutt’altra cosa, è una questione che può essere negoziata tra le organizzazioni dei datori di lavoro e quelle dei lavoratori, tenendo conto della realtà specifica di ciascun paese e della competenza nazionale. Ma in ogni caso l’orario di lavoro è orario di lavoro e va considerato tale. Sono quindi d’accordo con la Corte, mentre non condivido né appoggio il compromesso del Consiglio.

 
  
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  Maria Matsouka (PSE) . – (EL) Signor Presidente, desidero iniziare complimentandomi con l’onorevole Cercas per averci presentato una relazione decorosa a fronte dell’inaccettabile posizione comune del Consiglio. Infatti, sia la proposta iniziale della Commissione sia la posizione comune del Consiglio sembrerebbero costituire una grave minaccia per la salute e la sicurezza dei lavoratori e, cosa più rilevante, per l’equilibrio tra lavoro e impegni familiari, che è quanto stiamo cercando di realizzare. Allo stesso tempo, però, c’è un aspetto ancora più deleterio, nel senso che queste particolari proposte mirano a imporre condizioni di lavoro da medioevo, in conformità dei requisiti e dei dettami del neoliberismo economico. Ed è esattamente questa strategia neoliberista che appoggia e promuove lo sviluppo diseguale e unilaterale, lo sfruttamento dei lavoratori, il riciclaggio dei disoccupati e, infine, la distruzione del movimento sindacale. Le attuali difficoltà economiche e i disordini sociali sono chiaramente riconducibili alla crisi strutturale del modello neoliberista, e proprio per tale motivo la posizione comune va ritirata e sostituita da una nuova che promuova la solidarietà, la parità politica e la giustizia sociale.

 
  
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  Marian Harkin (ALDE) . – (EN) Signor Presidente, stasera ci occupiamo di una normativa molto importante e la nostra discussione e il nostro voto come Parlamento europeo invieranno un messaggio molto chiaro ai lavoratori e alle loro famiglie in tutta l’Unione europea.

In Irlanda, quando si parla di politica sociale ci si chiede di solito: siamo più vicini a Boston o a Berlino? Bene, nel contesto della discussione di stasera, possiamo rispondere che dobbiamo essere più vicini a Berlino, purché Berlino – o, meglio, Parigi – possa apportare un effettivo miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori. Ho ascoltato l’intervento della presidente Létard, la quale ci ha chiesto di dar prova di senso di responsabilità, e credo che l’onorevole Cercas lo abbia fatto.

Nella sua riunione della settimana scorsa, durante la discussione sul trattato di Lisbona il Consiglio si è impegnato a rafforzare i diritti dei lavoratori. Consiglio e Parlamento hanno adesso l’occasione di farlo. Inoltre, quando in questa sede, e succede spesso, ricordiamo la necessità di conciliare il lavoro con la famiglia, tutti annuiscono e si dicono d’accordo. Bene, oggi ci viene nuovamente offerta l’opportunità di contribuire a creare per i cittadini europei un equilibrio tra l’attività lavorativa e la vita familiare.

Non dimenticate poi che, come osservato dall’onorevole Silva Peneda, 48 ore lavorative la settimana vogliono dire otto ore al giorno per sei giorni la settimana. L’onorevole Bushill-Matthews ha citato il caso di una donna che lavora dodici ore al giorno per sette giorni la settimana, come se ciò fosse accettabile. No, è una situazione del tutto inaccettabile e noi non dobbiamo renderci complici di questo tipo di sfruttamento.

Come ho detto prima, la nostra discussione e il nostro voto su questa relazione invieranno un chiaro segnale ai cittadini d’Europa. Dobbiamo lanciare il messaggio inequivocabile che l’Europa sociale è viva e vegeta.

 
  
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  Georgios Toussas (GUE/NGL) . – (EL) Signor Presidente, la posizione comune del Consiglio sull’organizzazione dell’orario di lavoro è una mostruosità deleteria per i lavoratori e ha giustamente scatenato una valanga di proteste da parte dei lavoratori degli Stati membri. La relazione Cercas non intacca l’essenza delle proposte reazionarie contenute nella posizione comune del Consiglio. Sancisce la suddivisione dell’orario di lavoro tra periodo attivo e periodo inattivo, dato che riconosce il principio di orario di lavoro non retribuito e inattivo. Dipendenti di supermercati, personale ospedaliero, medici e altri operatori dei servizi lavorano in condizioni penose, sono costretti a restare sul luogo di lavoro 12 o 14 ore al giorno. Con queste proposte, il periodo di tempo necessario per calcolare la media dell’orario di lavoro aumenta da quattro mesi, com’è ora, a dodici mesi; la clausola di dissociazione è mantenuta e vengono messi a rischio l’orario di lavoro giornaliero fisso, il pagamento di straordinari e giornate di reperibilità e, in generale, i contratti collettivi di lavoro. Inoltre, queste proposte assecondano il tentativo dei datori di lavoro di dare un’ancor più ampia validità generale a forme di occupazione flessibili, con gravi conseguenze e pesanti ripercussioni sui sistemi di previdenza sociale. Oggi che le possibilità di aumentare la produttività del lavoro consentono una riduzione dell’orario di lavoro e un aumento del tempo libero, proposte come queste sono inaccettabili. Pertanto, siamo radicalmente contrari alla posizione comune del Consiglio e alla proposta dell’onorevole Cercas.

 
  
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  Juan Andrés Naranjo Escobar (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, signor Commissario, inizierò citando il vostro documento di presentazione dell’agenda sociale rivista, laddove si dice che la Commissione invita, tra l’altro, tutti gli Stati membri a dare l’esempio ratificando e attuando le convenzioni dell’Organizzazione mondiale del lavoro.

Oggi, invece, siamo qui a discutere una direttiva che mira a violare quei criteri consentendo agli Stati membri di prevedere settimane lavorative fino a 60 o 65 ore calcolate mediamente su un periodo di tre mesi.

Le sembra coerente tutto ciò, signor Commissario? Possiamo legiferare in contraddizione con le nostre stesse raccomandazioni? La direttiva ha lo scopo di fissare regole di minima per proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori per mezzo di due strumenti: i periodi di riposo e un limite alla settimana lavorativa.

La direttiva prevede eccezioni in entrambi i casi, ma qui non stiamo parlando di eccezioni, signor Commissario, come lei stesso ha affermato. No, stiamo parlando puramente e semplicemente di deroghe a uno degli elementi fondamentali della direttiva.

La flessibilità non è una giustificazione. Un aumento dell’orario di lavoro non può essere confuso con la flessibilità di cui hanno bisogno tanto le imprese quanto i lavoratori. La direttiva contiene molte disposizioni per tenere conto di regimi stagionali, picchi di produzione e di determinate attività essenziali.

Una cosa che va a vantaggio di tutti, signor Commissario, è il conseguimento dell’obiettivo della flessicurezza, in altri termini riuscire a conciliare la vita personale e familiare con il lavoro. Affinché ciò avvenga, dobbiamo darci da fare per sviluppare una cultura di cooperazione e trasparenza, lasciando che la libera contrattazione collettiva svolga il suo ruolo nell’organizzazione dell’orario di lavoro.

Signor Presidente, il giorno in cui il Consiglio ha adottato la posizione comune, in settembre, è stato un brutto giorno per il dialogo sociale. Sono convinto che, se avessimo lasciato fare alla libera contrattazione collettiva, ora disporremmo di un accordo sulla definizione e sull’organizzazione dell’orario di lavoro.

Sono certo che il giorno in cui voteremo, in cui tutti ci troveremo di fronte alle nostre responsabilità, sarà un buon giorno per tutti.

Riformare va bene, ma va bene anche conservare gli elementi che ci uniscono di più e ci dividono di meno, che rafforzano l’Europa e possono mettere l’Europa sociale di uscire rafforzata dalla sfida attuale. Dobbiamo insistere nel portare avanti tanto il progresso economico quanto quello sociale, perché nessuno dei due può sopravvivere senza l’altro.

 
  
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  Pier Antonio Panzeri (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, nell'apprezzare il lavoro dell'onorevole Cercas, dico subito che non si sentiva assolutamente la necessità e il bisogno di voler cambiare questa direttiva sull'orario di lavoro e vorrei che questo dibattito servisse a confermare quanto è emerso dal voto in commissione affari sociali e occupazione del Parlamento.

Oggi i medici sono qui al Parlamento, domani avremo a Strasburgo la presenza di delegazioni di lavoratori provenienti da tutta Europa, convocati dalla Confederazione europea dei sindacati. Saranno qui per manifestare il loro proposito di dire no al compromesso raggiunto in Consiglio sulla direttiva e del resto mi chiedo come potrebbe essere altrimenti.

Noi vogliamo porci due chiari obiettivi: quello di mantenere nell'Unione europea 48 ore come orario massimo di lavoro settimanale e perciò superare la clausola dell'opt-out che rischierebbe di derogare tale orario massimo, rendendo possibile il raggiungimento fino a 60 o 65 ore settimanali di lavoro. Il secondo obiettivo riguarda il tempo di guardia che non può essere considerato come periodo di lavoro inattivo, ma deve essere considerato orario di lavoro a tutti gli effetti, così com'è giusto salvaguardare il diritto ad un periodo di riposo compensativo per il personale medico.

Questi obiettivi possono e debbono essere comuni a tutto il Parlamento perché rappresentano la strada per evitare un'alterazione dei fattori competitivi interni all'Europa, basati su dumping sociale e maggiore sfruttamento delle persone che lavorano. Mi auguro davvero che i deputati possano convergere su queste posizioni perché si affermi davvero una nuova Europa sociale.

 
  
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  Patrizia Toia (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la proposta del Consiglio che travolge il buon punto di equilibrio trovato a suo tempo - penso al gran lavoro fatto in questo senso dal collega Luigi Cocilovo - non trova la nostra condivisione perché segna un oggettivo arretramento su molti punti del lavoro, del rapporto lavoro-vita, del rapporto lavoro-garanzie ed è una scelta che indebolisce i diritti dei lavoratori, che sono poi i diritti di tutti noi, dei nostri figli, delle persone normali.

E non vorrei si scambiasse questo discorso come sindacale o corporativo perché difendo il personale sanitario. No, non è così, come politico non agisco per conto di corporazioni o di sindacati, agisco per conto dei cittadini. A loro penso quando scelgo, penso ai loro diritti sociali che per me sono fondamentali nell'Europa. Non credo dunque sia una buona Europa quella che non fa passi avanti mentre il mondo va avanti, che anzi fa vistosi errori di prospettiva, scambiando l'indebolimento delle tutele con la flessibilità e la libertà. E ciò è tanto più grave nel momento in cui l'Europa vive la sua crisi peggiore e non vede prospettive di prosperità e di crescita.

Se non capiamo, signor Presidente del Consiglio, rappresentanti del Consiglio e della Commissione, che in questo momento milioni di lavoratori sono a rischio del posto di lavoro e si sentono in uno stato di debolezza e di precarietà e non hanno certo la capacità contrattuale volontaria - altro che opt-out - allora devo dire che noi non abbiamo cognizione di ciò che sta accadendo realmente nella vita sociale e familiare degli europei.

Per questo sosterremo le proposte del relatore Cercas e ci auguriamo che tutto il Parlamento lo faccia. Devo dire che l'indisponibilità del Consiglio a negoziare in questa fase ci costringe a conquistare in sede di conciliazione una sede di confronto e di trattativa.

 
  
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  Gabriele Stauner (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, i servizi di guardia sono orario di lavoro, come ha giustamente sentenziato la Corte di giustizia europea. Ed è un dato di fatto che gli Stati membri si sono ormai ben adeguati a tale realtà, senza che per questo nessun ospedale o altre istituzioni siano finite in bancarotta.

Inoltre, i servizi di guardia di cui stiamo discutendo richiedono la presenza del lavoratore sul posto di lavoro; in tutti gli altri casi si parla di reperibilità, che è cosa affatto diversa. A mio parere, la suddivisione in periodo attivo e periodo inattivo – magari ulteriormente affinata per mezzo di un calcolo medio stimato, poco o tanto ma comunque arbitrario – è assurda. A ben guardare, e usando termini giuridici, i lavoratori sono a disposizione del datore di lavoro, devono eseguire le sue istruzioni e non possono dividere il loro tempo a proprio piacimento.

Sono contraria in linea di principio a clausole individuali di dissociazione. Sappiamo tutti, infatti, che i rapporti di lavoro sono contraddistinti non da parità di status bensì da un’opposizione tra i datori di lavoro, invariabilmente più forti sotto il profilo economico, da un lato, e, dall’altro, i lavoratori, che dipendono dalla loro capacità di lavorare. E invero, la legge sul lavoro individuale è stata pensata apposta per compensare lo squilibrio di parità di forze in questi rapporti. Se necessario, i lavoratori la cui sopravvivenza dipende dal loro posto di lavoro sono pronti a mettere a repentaglio la loro salute per sostentare sé stessi e le loro famiglie. In tempi di difficoltà economiche come quelle che stiamo vivendo proprio adesso – e che, sia detto per inciso, sono state causate da decisioni errate prese da dirigenti incompetenti – le pressioni sui lavoratori si fanno sentire più che mai. Ma gli esseri umani non sono macchine, non sono in grado di lavorare senza mai fermarsi e riposare.

A mio parere, la posizione del Consiglio su questo punto è inaccettabile. Appoggio gran parte della relazione della nostra commissione e la posizione del collega onorevole Silva Peneda. Spero che la procedura di conciliazione ci aiuti a trovare una soluzione valida e umana.

 
  
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  Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE). - (EL) Signor Presidente, l’unico buon servigio che la posizione comune del Consiglio e gli sforzi della presidenza francese ci hanno reso è il fatto che stiamo nuovamente discutendo di questo problema. Siamo prossimi al Natale ed è proprio in questo periodo che si pensa di solito a “Il Cantico di Natale”, di Charles Dickens, in cui si narra di un datore di lavoro di un certo paese europeo che non vuole concedere le ferie al suo laborioso dipendente. Vorremmo mettere la parola fine a storie come quella de “Il cantico di Natale”. Alcuni paesi, tra cui la Grecia, hanno votato con la minoranza e non hanno appoggiato il compromesso. La Grecia ha fortemente sostenuto la settimana lavorativa di 48 ore e non vuole alcun cambiamento dell’organizzazione dell’orario di lavoro senza che tra datori di lavoro e lavoratori siano intervenuti il dialogo e un accordo. Preferiremmo che domani non ci fosse alcuna dimostrazione, né di datori di lavoro né di lavoratori, come hanno affermato gli onorevoli colleghi. Noi preferiamo il ricorso al dialogo sociale e alle contrattazioni collettive.

Uno dei colleghi ha parlato di medioevo. Nel medioevo, però, si santificava la domenica; nemmeno gli schiavi lavoravano di domenica, mentre noi oggi abbiamo depennato dalla direttiva la disposizione in base alla quale la domenica deve essere considerata giornata libera per il lavoratore. Per tale motivo sono stati presentati due emendamenti che chiedo ai colleghi di appoggiare, affinché la proposta del Parlamento comprenda questo elemento di civiltà cristiana. Mi auguro che la proposta sia sostenuta da tutti gli onorevoli colleghi che, come vedo, sono in periodo inattivo e verranno pagati come se fosse normale orario di lavoro. Domani dovremo ridurre l’orario dei deputati che non sono presenti in Parlamento.

 
  
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  Richard Falbr (PSE). – (CS) In pratica, è dalla ratifica del trattato di Maastricht, che per molti ha rappresentato la vittoria delle politiche economiche neoliberiste, che assistiamo a un attacco graduale e concentrato contro il modello sociale europeo. L’abbandono del modello socio-economico corporativo di stampo keynesiano, nel quale il dialogo sociale e un forte intervento statale sono considerati normali, ci ha condotti alla situazione odierna, ossia al crollo totale del capitalismo neoliberista e alle richieste di aiuto allo Stato, che in teoria avrebbe dovuto essere ridimensionato quanto più possibile e la cui influenza avrebbe dovuto essere ridotta al minimo.

Non capisco come tutti possano appoggiare ciò che il Consiglio ci ha presentato d’intesa con la Commissione. Dovrebbe essere, forse, un ulteriore passo verso il capitalismo socialista per i ricchi e il capitalismo selvaggio per i poveri? Ritornare al XIX secolo non gioverebbe a nessuno. Dobbiamo pertanto respingere categoricamente la proposta di direttiva fintantoché non vi saranno accolti gli emendamenti proposti dal relatore onorevole Cercas.

 
  
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  Mihael Brejc (PPE-DE). - (SL) La direttiva in esame non prevede che la settimana lavorativa di 40 ore sia estesa a 60, né pretende dai lavoratori dipendenti che lavorino 60 o 65 ore la settimana, straordinari compresi. Quello che la direttiva, invece, fa è fissare termini generali e condizioni tali che rendono possibile tutto ciò. Per questo motivo, le 60 ore di cui stiamo discutendo non possono essere paragonate alle disposizioni attualmente vigenti delle legislazioni nazionali che prevedono un limite della settimana lavorativa di 40 ore o meno. Equiparazioni del genere sono inappropriate perché collocano la direttiva in una prospettiva fuorviante.

E’ tuttavia innegabile che la direttiva pone un limite all’orario di lavoro massimo ammissibile. Un aspetto che stasera non è stato ancora sollevato da nessuno è il fatto che molte persone impiegate in istituti finanziari, studi legali, società di investimenti e simili lavorano abitualmente 60, 70 o anche più ore ogni settimana senza che nessuno se ne scandalizzi. La direttiva in esame fissa un tetto che non può essere superato.

Dobbiamo anche metterci nei panni dei datori di lavoro, soprattutto degli imprenditori piccoli e medi, per i quali è indubbiamente molto difficile sopravvivere sul mercato se devono superare troppi ostacoli formali. Bisogna comprendere la loro situazione, specialmente quando, in determinati momenti, devono chiamare a raccolta tutte le loro forze per tener fede agli obblighi contrattuali e, ovviamente, devono anche far lavorare di più le persone. Ma ciò avviene con il consenso del lavoratore, a fronte di una retribuzione aggiuntiva – com’è ovvio – e non stabilmente ogni settimana.

Vorrei poi dire brevemente che anche i sistemi dei servizi di guardia sono molto diversi tra loro. Tutti hanno citato il caso dei medici, ma non dimentichiamoci, per esempio, dei campeggi, degli alberghi a conduzione familiare e di molte altre attività del terziario nelle quali le persone lavorano, sono reperibili e talvolta devono fare servizi di guardia. In conclusione, penso che il Consiglio abbia proposto una sorta di compromesso; naturalmente avvieremo la procedura di conciliazione e mi auguro che in quella fase riusciremo a trovare una soluzione ragionevole.

 
  
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  Anja Weisgerber (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, va mantenuto il principio secondo cui l’intera durata dei servizi di guardia deve essere considerata orario di lavoro; in proposito sono d’accordo con il relatore. Credo che la posizione comune debba essere emendata su questo punto. La posizione comune prospetta persino la possibilità di considerare il periodo inattivo dei servizi di guardia come periodo di riposo; la conseguenza sarebbero maratone lavorative di 72 e più ore, cosa che non deve essere ammessa in nessuno Stato membro. Sono quindi lieta che la commissione abbia accolto il mio emendamento in merito.

Vi chiedo tuttavia di tenere a mente il fatto che la direttiva sull’orario di lavoro si applica non soltanto ai medici ma anche a una vasta gamma di altri professionisti, e che i lavoratori addetti ai servizi di guardia sono occupati secondo modalità molto diverse. Nel caso dei vigili del fuoco, per esempio, essi possono dormire e persino svolgere attività ricreative mentre sono di guardia, e pertanto chiedono di poter beneficiare di una deroga all’orario settimanale massimo.

Sono perciò favorevole all’opzione di cercare soluzioni personalizzate per ciascuna situazione attraverso clausole di dissociazione collettive, non individuali. In passato le parti sociali hanno concluso a questo riguardo accordi collettivi orientati alla pratica. Esprimo il mio esplicito sostegno al rafforzamento della libera contrattazione collettiva.

Inoltre, la nuova clausola di dissociazione collettiva è decisamente più favorevole ai lavoratori delle norme vigenti. La clausola di dissociazione può essere applicata soltanto con il consenso del lavoratore interessato, e tale consenso non deve essere espresso contemporaneamente alla firma del contratto di lavoro. Se votiamo contro la possibilità di concludere accordi collettivi, corriamo il rischio che non ci sia affatto una revisione della direttiva sull’orario di lavoro e mettiamo a repentaglio anche la possibilità di concordare clausole di dissociazione favorevoli ai lavoratori.

Per queste considerazioni voterò contro gli emendamenti che mirano ad abolire la clausola di dissociazione, perché sono favorevole alla libera contrattazione collettiva e a soluzioni personalizzate per le singole circostanze.

 
  
  

PRESIDENZA DELL'ON. COCILOVO
Vicepresidente

 
  
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  Mario Mauro (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il frutto del lavoro non è appena la produzione di beni e di servizi, ma è un vero e proprio compimento di un progetto di vita, il compimento di quel desiderio che ci porta a cercare la felicità. È opportuno quindi che le decisioni su politica di lavoro vengano prese in modo ponderato avendo cuore per i propri giudizi.

Trovo saggio quindi che il Parlamento favorisca la procedura di conciliazione, sostenendo da un lato la posizione del relatore, ma soprattutto gli emendamenti del collega Peneda e devo dire in questo senso che ciò che appare evidente e va assolutamente garantito è che il tempo di guardia nelle professioni sanitarie venga riconosciuto fino in fondo come tempo di lavoro.

 
  
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  Stephen Hughes (PSE). - (EN) Signor Presidente, molte persone hanno frainteso le nostre intenzioni e temono che, se approviamo la proposta dell’onorevole Cercas, non potranno più fare un’ora di straordinario in aggiunta alle 48 ore settimanali di media. Ma, ovviamente, le cose non stanno così.

Siamo contrari alla clausola di dissociazione in linea di principio, perché questa è una norma che riguarda la salute e la sicurezza; abbiamo tuttavia proposto di calcolare la media dell’orario di lavoro su un periodo di riferimento di dodici mesi invece che di quattro, come previsto dalle norme attuali. In tal modo i singoli cittadini e le imprese potranno programmare l’orario di lavoro con grandissima flessibilità, invero, una flessibilità tale che lo stesso Consiglio ha cercato di inserire un limite fisso di 60 o 65 ore settimanali, a seconda del periodo di riferimento. Non siamo stati noi a farlo. La flessibilità garantita da questa proposta è tale da risultare molto più favorevole del ricorso alla clausola di dissociazione e da rappresentare una soluzione molto migliore sia per le imprese sia per i privati cittadini. Spero che la discussione odierna riesca a lanciare con forza questo messaggio.

 
  
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  Ewa Tomaszewska (UEN). – (PL) L’idea di fare una distinzione tra periodi attivi e periodi inattivi dell’orario di lavoro rappresenta un approccio pericoloso e disonesto alla questione. Se una parte del tempo trascorso sul luogo di lavoro e dedicato del tutto o in parte all’esecuzione di compiti a favore di un datore di lavoro non è utilizzata per svolgere attività specifiche, non può essere considerata come un periodo di riposo, perché, a ben guardare, il dipendente non può trascorrere quel periodo di tempo con la propria famiglia né può disporne per riposarsi come più gli aggrada. Quindi, quel periodo di tempo deve essere remunerato allo stesso modo del resto del tempo.

Un’altra questione in discussione interessa in particolare i medici e consiste nella possibilità di estendere la durata dei servizi di guardia senza idonea remunerazione, presumibilmente con il consenso del dipendente. Mi piacerebbe sapere se un paziente qualsiasi – o, ancora meglio, un membro del Consiglio europeo – si farebbe tranquillamente operare da un medico che è in servizio da 23 ore. Si tratterebbe non soltanto di una violazione dei diritti lavorativi del medico, ma anche di una violazione dei diritti del paziente. Gli ospedali polacchi si sono rifiutati di assumere medici che non vogliono firmare la clausola di dissociazione. Ricordo ai colleghi che il diritto alla giornata lavorativa di otto ore è stato conquistato prima della seconda guerra mondiale.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (PSE).(RO) L’Europa sociale deve garantire che ciascun cittadino europeo possa vivere decentemente del proprio stipendio. Un lavoro decente deve assicurare una vita decente.

Rispettare i dipendenti significa stabilire un periodo di tempo da dedicare al lavoro e uno da dedicare al riposo, affinché i lavoratori possano rilassarsi e avere abbastanza tempo da trascorrere con la famiglia. I figli hanno bisogno della guida e della vigilanza dei loro genitori, ma se questi ultimi hanno poco o addirittura non hanno tempo per stare con la famiglia, ci possono essere conseguenze negative sull’educazione dei figli. Nessun datore di lavoro deve poter chiedere ai propri dipendenti di lavorare più di 48 ore la settimana.

Ho l’impressione che la direttiva sull’orario di lavoro debba concentrarsi maggiormente sulla situazione specifica dei servizi di guardia svolti dal personale sanitario. Sono favorevole alla relazione dell’onorevole Cercas perché essa cerca di tutelare gli interessi dei dipendenti senza trascurare i legittimi interessi dei datori di lavoro, offrendo loro la possibilità di adeguare l’orario di lavoro alle loro esigenze. Appoggio anche gli emendamenti che sottolineano l’importanza degli accordi collettivi di lavoro.

 
  
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  Dragoş Florin David (PPE-DE).(RO) Nel contesto dell’attuale crisi economica, che ha un impatto diretto sulla vita sociale ed economica dei cittadini europei, la direttiva sull’orario di lavoro è un elemento decisivo delle politiche sociali europee.

La relazione dell’onorevole Cercas propone un approccio logico e coerente al processo di valutazione delle conclusioni sull’applicazione della direttiva negli Stati membri. La direttiva è attualmente uno strumento flessibile e fissa un livello di protezione tale che non consente l’autorizzazione di azioni deleterie per la salute e la sicurezza dei lavoratori.

 
  
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  Jan Tadeusz Masiel (UEN). – (PL) Signor Presidente, ora che la discussione si sta avviando alla conclusione vorrei aggiungere qualche parola a sostegno della relazione dell’onorevole Cercas e della posizione assunta dalla commissione per l’occupazione e gli affari sociali, che è rimasta invariata dal 2005 ed è stata confermata nella votazione del 6 novembre.

La nostra commissione ha avuto abbastanza tempo a disposizione per valutare la propria posizione, e confido che il risultato della votazione in commissione sarà ribadito dalla votazione qui in plenaria di dopodomani. Abbiamo votato nel pieno rispetto dell’acquis communautaire in campo sociale, che gli Stati membri più vecchi condividono ora con quelli nuovi, dando così il buon esempio e sostegno. Il compromesso raggiunto in giugno al Consiglio è inaccettabile.

I miei elettori e, in modo particolare, gli ambienti medici polacchi stanno seguendo i lavori del Parlamento con qualche timore. Essi sostengono, giustamente, che deve essere remunerata l’intera durata dell’orario di lavoro, non soltanto il periodo attivo dei servizi di guardia. Ed è un fatto che il compromesso del Consiglio prevede una potenziale flessibilità a livello di parti sociali e di accordi collettivi. Nondimeno i lavoratori polacchi ritengono di non avere potere negoziale nei confronti dei loro datori di lavoro e hanno bisogno di un forte appoggio da parte del Parlamento europeo.

 
  
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  Gabriela Creţu (PSE).(RO) Durante le lunghe discussioni su questa relazione è stata espressa la preoccupazione che la maggioranza ottenuta in sede di prima lettura possa non essere raggiunta nella votazione di domani perché coloro che si sono aggiunti nel frattempo avrebbero modificato i rapporti di forza all’interno del Parlamento.

E’ senz’altro vero che in Consiglio i governi di centro-destra hanno assunto la medesima posizione, indipendentemente dalla loro collocazione geografica a est o a ovest. Ma c’è un’altra questione da chiarire. I lavoratori dell’Europa orientale appoggiano con la stessa convinzione gli emendamenti proposti dal Parlamento europeo, mentre il Consiglio li respinge. I sindacati romeni, che saranno rappresentati anch’essi qui a Strasburgo nella manifestazione di domani, saranno consapevoli del fatto che i diritti che hanno conquistato non sono acquisiti una volta per tutte ma devono essere difesi continuamente. Il loro messaggio è semplice: invece che aumentando illimitatamente le ore di lavoro, i problemi esistenti si possono risolvere in maniera più efficace ponendo fine alla diffusione incontrollata di lavori scarsamente retribuiti, anche per i lavoratori dell’Europa orientale.

 
  
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  Jacek Protasiewicz (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, non dubito che il benessere dei lavoratori e la sicurezza sul lavoro siano argomenti che stanno a cuore a tutti i colleghi che hanno partecipato alla discussione.

Sappiamo bene, però, che la vigente direttiva sull’orario di lavoro ha bisogno di determinate modifiche. Gli interrogativi sollevati investono la natura e lo scopo delle modifiche. Non è facile rispondere a questi interrogativi, che per parecchi anni sono stati oggetto di discussioni infuocate sia qui sia al Consiglio. Alla fine, il Consiglio ha presentato un compromesso saggio. Attualmente non sembra probabile che i governi nazionali, la maggior parte dei quali applicano la clausola di dissociazione, possano decidere d’un tratto di rinunciarvi, soprattutto nella crisi economica in atto. Vorrei richiamare su questo punto in particolare l’attenzione dei colleghi che invocano una posizione forte sulla questione della clausola.

In Polonia, signor Presidente, c’è un detto secondo cui il meglio è nemico del bene. Vorrei sottolineare che abbiamo raggiunto un valido compromesso e dovremmo accettarlo nell’interesse del bene dei lavoratori europei.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE). - (EN) Signor Presidente, sono favorevole alla relazione Cercas. Penso che il succo di questa discussione sia che gli esseri umani sono esseri sociali, non sono macchine e non devono essere trattati come tali sul posto di lavoro. Chi chiede un posto a un datore di lavoro non può permettersi di rifiutarsi di firmare un modulo con cui rinuncia al proprio diritto all’applicazione della direttiva sull’orario di lavoro; quindi, sostenere che l’abolizione della clausola di dissociazione rappresenta in qualche modo un attacco alla libertà non è giusto: è piuttosto un attacco agli abusi compiuti nei confronti di un dipendente che deve lavorare per vivere.

A mio parere, la clausola di dissociazione attualmente in vigore in 14 Stati membri costituisce un attacco all’idea di costruire l’Europa sulla base di decenti condizioni di vita e di lavoro comuni, e non dobbiamo permettere che ciò avvenga.

 
  
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  Valérie Létard, presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevole Cercas, onorevoli deputati, la direttiva sull’orario di lavoro è, ovviamente, un testo di grande valore simbolico e solleva questioni di principio, quali la libertà di scelta dei lavoratori in contrapposizione alla tutela della loro salute e sicurezza.

E’ proprio su questo punto che ci risulta difficile trovare un accordo. Come ho già detto, per lungo tempo la Francia si è opposta alla clausola di dissociazione. Nondimeno siamo riusciti a definire una posizione comune. Come mai? Perché la direttiva non mira a indebolire i diritti dei cittadini né a causare regressione sociale.

Per quanto riguarda i servizi di guardia, l’obiettivo è quello di permettere agli Stati membri di affrontarlo in modo specifico, tenendo conto dei periodi inattivi che tali servizi comprendono. Ciascuno Stato membro aveva un suo modo specifico di regolamentare questi periodi, e il Consiglio ha l’unico scopo di mantenere lo status quo, gli equilibri che le sentenze della Corte mettono a rischio.

Il secondo motivo è perché, riguardo alla clausola di dissociazione, la posizione comune rafforza i diritti dei lavoratori interessati laddove la clausola è stata recepita. Ovviamente non sussiste alcun obbligo di ricorrere a questa deroga. La clausola di dissociazione è in vigore, senza garanzie, dal 1993. La posizione del Consiglio non introduce garanzie, come ha detto l’onorevole Lynne. Mi auguro che prevalga uno spirito pragmatico. La posizione comune non impone a nessuno di rinunciare ai propri principi o alle proprie convinzioni.

Oggi, a nome del Consiglio, la presidenza francese vi dice che la posizione comune è senza dubbio il miglior compromesso per arrivare a una direttiva rivista, considerati gli equilibri di potere tra gli Stati membri e l’urgente necessità di trovare una soluzione per i servizi di guardia. Questo, onorevoli deputati, è quanto volevo dirvi per integrare le mie osservazioni iniziali.

 
  
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  Vladimír Špidla, membro della Commissione. – (CS) Mi associo all’osservazione della presidente Létard su quanto questa discussione sia profonda e interessante. Essa riguarda questioni di estrema rilevanza e, a mio parere, adesso spetta al Parlamento prendere una decisione. In tal modo si chiarirà il contesto nel quale potranno avvenire altre discussioni. Desidero soltanto affermare – dato che alcuni dei pareri espressi durante la discussione non riflettono la realtà delle cose – che potrebbe essere utile analizzare alcuni dati di base in modo chiaro e obiettivo.

La direttiva sull’orario di lavoro è attualmente in vigore. La direttiva stabilisce che i singoli Stati membri hanno la facoltà di introdurre la clausola di dissociazione; adesso la clausola è applicata in quindici Stati membri. Non si tratta, dunque, di una novità bensì di un fatto consolidato. Il motivo per cui si è arrivati alla direttiva nuova è stata la pressione conseguente alla decisione della Corte nel procedimento SIMAP e Jaeger, perché quella decisione ha creato una situazione molto difficile per alcuni sistemi che tradizionalmente fanno ampio ricorso ai servizi di guardia.

Vorrei affermare inoltre che le conseguenze dei servizi di guardia e l’organizzazione degli stessi si ripercuotono in vario modo sui differenti sistemi esistenti nei diversi paesi membri, soprattutto in quelli più piccoli, che non hanno molte possibilità di impiegare lavoratori stranieri e possono trovarsi a fronteggiare problemi relativamente gravi. Ecco perché la discussione è così complicata: da un lato, la direttiva interferisce in una certa misura con la tutela dei lavoratori, laddove fissa le regole dell’orario di lavoro; dall’altro lato, si applica a una serie di sistemi molto delicati, come l’assistenza sanitaria o, per esempio, i servizi di emergenza, come i pompieri e simili.

Ogni decisione comporta conseguenze e penso che, in questo momento, abbiamo una grande opportunità di fare passi avanti, che saranno il frutto di una discussione portata avanti in tutte le istituzioni, il frutto sia della cooperazione che della discussione. Una delle tappe più significative su quella strada sarà la votazione del Parlamento del 17 dicembre prossimo.

 
  
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  Alejandro Cercas, relatore.(ES) In primo luogo voglio ringraziare tutti i colleghi di tutti i gruppi, perché penso che una forte maggioranza del Parlamento ritiene che gli esseri umani non siano macchine e che le persone e i loro diritti debbano stare al primo posto. Stabilito un tanto, possiamo anche parlare di altre cose, ma il punto da cui dobbiamo partire sono la salute, la sicurezza e la vita familiare delle persone.

In secondo luogo, do il benvenuto al Consiglio e alla Commissione nell’arena negoziale. E’ tardi, ma meglio tardi che mai.

State attenti alle trappole. Secondo la direttiva che deriva dalla vostra posizione comune, la clausola di dissociazione non è uguale a quella fissata nel 1993, che aveva carattere temporaneo, condizionale e decisamente individuale. Il commissario ha parlato di quindici paesi. No, ce n’era uno con una clausola di dissociazione generale e poi vari altri paesi con clausole minori. Lei, tuttavia, propone adesso che la clausola debba valere per sempre e per tutti, dividendo così l’Europa tra paesi che vogliono orari di lavoro lunghi e paesi che non li vogliono.

Noi non vogliamo che qualcosa che era temporanea e straordinaria si trasformi in qualcosa di permanente e normale, perché non è normale che la gente lavori ogni settimana dell’anno e ogni anno della propria vita senza vedere la famiglia o senza poter adempiere i propri doveri di cittadini.

Penso che alcuni fatti debbano essere accettati. Che i lavoratori e i medici siano contrari alla direttiva, onorevole Bushill-Matthews, è un fatto, non un’opinione. Non ho parlato con 160 milioni di lavoratori né con 4 milioni di medici, però ho parlato con le organizzazioni che li rappresentano. Forse qualcun altro è d’accordo con lei; le posso tuttavia garantire che la grande maggioranza è contro di lei, perché tutte le organizzazioni dei lavoratori, senza eccezione alcuna, sono contrarie a ciò che lei sostiene.

Infine, permettetemi di ripetere quanto ho detto all’inizio. Mercoledì sarà un giorno molto importante affinché i cittadini possano cominciare a credere nuovamente nell’Europa e a rendersi conto del fatto che le sue istituzioni non sono fatte di un branco di politici senza cuore che pensano solo all’economia, o da burocrati che vivono in un mondo a sé. Noi stiamo con la gente. Noi sosteniamo i diritti dei cittadini e il 17 dicembre l’Europa diventerà più forte. Dopo negozieremo, e lo faremo su un piano di parità.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà mercoledì.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)

 
  
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  Iles Braghetto (PPE-DE) , per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa direttiva sarà un testo decisivo per la costruzione di un'Europa economica e sociale.

È convinzione comune che si debba e si possa costruire innovazione nel mercato del lavoro che rafforzi la produttività e la qualità nella flessibilità richiesta senza sfruttamento delle persone. Favorire le giuste condizioni di lavoro, diritto peraltro inalienabile per ognuno, garantisce sicurezza ed efficacia all'azione della persona che lavora. Per questo riteniamo equilibrata la proposta adottata dalla commissione occupazione e affari sociali.

In particolare va sottolineato che, per il personale medico, tutele adeguate nell'organizzazione dei turni di lavoro e nei riposi sono essenziali per garantire non soltanto condizioni eque di per sé, ma per garantire la sicurezza e la qualità delle cure per i pazienti e una riduzione del rischio clinico.

 
  
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  Ole Christensen (PSE), per iscritto.(DA) Mi fa piacere appartenere a un gruppo politico, il gruppo socialista al Parlamento europeo, che non accetta compromessi sulla salute e la sicurezza dei lavoratori.

E’ del tutto erroneo e obsoleto credere di poter aumentare la competitività facendo leva su condizioni di lavoro inadeguate e sulla concorrenza interna tra gli Stati membri per l’orario di lavoro più lungo. Non ho nulla contro il fatto che le parti sociali si mettano d’accordo su un orario di lavoro più lungo, con un periodo di riferimento di durata variabile ma non superiore a un anno e con una media massima di 48 ore di lavoro settimanali; non accetto però che i datori di lavoro abbiano la possibilità di assumere i lavoratori su base individuale e quindi di applicare varie eccezioni.

Mi chiedo quanto ancora ci vorrà prima che il Regno Unito inizi trattative serie e riduca gradualmente le clausole di dissociazione, migliorando così le condizioni di lavoro per milioni di lavoratori in quel paese.

Spero che mercoledì il Parlamento europeo dica che, in futuro, l’Europa dovrebbe lavorare meglio, non di più, per affrontare le sfide che ci attendono.

 
  
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  Corina Creţu (PSE), per iscritto.(RO) Accolgo con favore la relazione perché vi vedo confermata la visione sociale della sinistra europea, con i rappresentanti socialisti che giustamente criticano il mantenimento delle clausole di dissociazione in materia di orario di lavoro, che rappresentano una violazione del principio di non derogare alle norme sulla salute e la sicurezza dei dipendenti nel posto di lavoro.

Per quanto un orario di lavoro flessibile, corrispondente alla natura specifica del lavoro e alle capacità di ciascun lavoratore, possa dare buoni risultati, non possa fare a meno di pensare ai numerosi abusi che un simile orario può comportare per i lavoratori. Mi riferisco alla Romania, dove in molti casi gli straordinari non sono né conteggiati né pagati regolarmente. Qualsiasi attività che ecceda la giornata lavorativa normale non è il risultato di un accordo tra dipendente e datore di lavoro, bensì è dettata dalla volontà di quest’ultimo e lasciata alla sua discrezione. Per non parlare, poi, dei pericoli per la salute e la vita di chi è finito in una situazione incontrollata, dalla quale può uscire soltanto correndo il rischio di perdere il posto di lavoro.

In molte occasioni, ciò che viene presentato come un aumento della competitività del lavoro è in realtà soltanto una copertura di pratiche di sfruttamento.

Ritengo perciò che il limite di 48 ore sia l’opzione da preferire. Sul tema dei servizi di guardia, penso che sia ingiusto non considerare come orario di lavoro e, di conseguenza, non retribuire il periodo inattivo dei servizi di guardia.

 
  
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  Magda Kósáné Kovács (PSE), per iscritto.(HU) L’Unione europea dispone già di norme efficaci sull’organizzazione dell’orario di lavoro che fissano a 48 ore settimanali l’orario di lavoro medio. Ciò significa, in pratica, che un dipendente può lavorare otto ore al giorno per sei giorni la settimana calcolati come media di un periodo di quattro mesi. Credo che questo dovrebbe bastare perché, a lungo andare, lavorare di più sarebbe nocivo per l’efficienza.

Il compromesso del Consiglio, che contiene norme meno favorevoli di quelle ora vigenti, non è stato approvato, tra gli altri, da Belgio, Cipro e Spagna, né dal mio paese, l’Ungheria, ed è inaccettabile per i socialisti europei.

Un’Europa sociale non può essere uno slogan vuoto, nemmeno in tempi di difficoltà economiche. Durante la procedura di conciliazione, il relatore onorevole Cercas si è dimostrato opportunamente ricettivo e ha reso possibile, per esempio, che le 48 ore siano conteggiate come media di un periodo di riferimento di dodici mesi, nell’interesse della flessibilità. Non possiamo, invece, accettare una norma che autorizzerebbe 60-65 e, in casi estremi, addirittura 70-72 ore di lavoro settimanali. Né possiamo approvare che si assuma una posizione che rende possibile la concessione di un periodo illimitato di dissociazione dalle norme, principalmente perché il rapporto tra datore di lavoro e dipendente non può mai essere su un piano di parità.

Per quanto attiene ai servizi di guardia, reputo ipocrita chi pensa che i periodi inattivi dei servizi di guardia non debbano valere come orario di lavoro. Propongo che alla dimostrazione che si terrà di fronte al Parlamento mercoledì, il giorno in cui voteremo, chi la pensa così vada a farsi una chiacchierata con i lavoratori.

 
  
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  Roselyne Lefrançois (PSE), per iscritto. (FR) Da oltre tre anni il Consiglio e l’Unione europea sono ai ferri corti a causa di questa direttiva sull’orario di lavoro.

L’accordo raggiunto dai 27 ministri del Lavoro dell’Unione stabilisce un orario settimanale massimo di 48 ore, ma prevede anche la possibilità di deroga per aumentare le ore settimanali, in certi casi, a 65.

Una soluzione del genere è inaccettabile. In quanto socialista, è mio dovere garantire che sia dato ascolto ai timori di milioni di lavoratori e si lotti per assicurare che non soltanto non ci siano eccezioni al limite di 48 ore, ma anche che, nel conteggio dell’orario di lavoro, si tenga conto della durata dei servizi di guardia.

Per questi motivi voterò a favore della relazione Cercas, nella speranza che, ove si arrivi alla conciliazione, sia approvato un testo in grado di creare un vero equilibrio fra la tutela dei lavoratori e un’organizzazione ottimale del lavoro. Come socialisti europei, continueremo in ogni caso a difendere i lavoratori perché, ora più che mai, l’Europa ha bisogno di un modello sociale che soddisfi le esigenze dei cittadini più vulnerabili e specialmente di quelli più colpiti dalle conseguenze della crisi economica e finanziaria.

 
  
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  Lasse Lehtinen (PSE), per iscritto. (FI) Raramente la legislazione comunitaria ha interessato un numero così grande di persone. Quest’anno milioni di lavoratori dipendenti riceveranno dal Parlamento un regalo di Natale, sotto forma o di un miglioramento delle loro condizioni di lavoro o della prima direttiva europea che concretamente peggiora la qualità della vita lavorativa delle persone. La commissione per l’occupazione e gli affari sociali ha dato il buon esempio migliorando e votando a grande maggioranza la proposta della Commissione europea. Il computo dell’orario di lavoro costituisce in effetti la dimensione sociale della questione. In Europa troppi salariati lavorano 60 o 65 ore la settimana mentre milioni di altre persone restano disoccupate.

Molto spesso le settimane con l’orario di lavoro lungo sono basate su un’apparente libertà di scelta: il dipendente può scegliere tra una settimana lavorativa lunga e il licenziamento. Anche dopo i miglioramenti, la direttiva permetterebbe un numero ragionevole di deroghe, garantendo così una certa flessibilità.

La commissione ha adottato il mio emendamento per includere nella direttiva i dipendenti con ruoli dirigenziali. Anche il capo ha bisogno della tutela della legge, perché anche a lui o lei può capitare di stancarsi.

Il Consiglio e la Commissione non sono stati disposti a riconsiderare la loro posizione sulla questione dei servizi di guardia. Ma basta un po’ di buon senso per capire che il tempo trascorso sul lavoro – di guardia, svegli o addormentati – è comunque orario di lavoro.

Il mandato del Parlamento europeo viene direttamente dai cittadini. Per tale motivo, è dovere del Parlamento tenere in considerazione ciò che è meglio per loro, anche in questa materia.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Voterò a favore della cancellazione della clausola di dissociazione dalla settimana lavorativa di 48 ore. Credo fermamente che gli orari di lavoro lunghi siano nocivi per la salute delle persone, comportino il rischio di un maggior numero di incidenti sul lavoro e si ripercuotano negativamente sulla vita familiare. Nel Regno Unito si è abusato parecchio della possibilità di ricorrere alla dissociazione, al punto che molti lavoratori sono stati costretti a firmare la relativa clausola il primo giorno di lavoro.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE), per iscritto. (EN) La discussione sull’organizzazione dell’orario di lavoro è complessa, ma le questioni più difficili sono il futuro della clausola di dissociazione e il trattamento dei servizi di guardia.

Nei procedimenti SIMAP e Jaeger la Corte di giustizia europea ha interpretato la definizione di “orario di lavoro” che si trova nella direttiva originaria sull’orario di lavoro come orario comprensivo del periodo inattivo dei servizi di guardia, quando il dipendente non lavora ma riposa.

Secondo l’accordo raggiunto al Consiglio del 9-10 giugno 2008, il periodo inattivo dei servizi di guardia non è considerato orario di lavoro, a meno che normative/pratiche/accordi collettivi nazionali tra le parti sociali non prescrivano regole diverse.

In base all’accordo del Consiglio, la facoltà dei dipendenti di ricorrere alla clausola di dissociazione per quanto riguarda l’orario di lavoro settimanale medio di 48 ore, previsto dalla direttiva originaria sull’orario di lavoro, è soggetta a condizioni più rigorose, per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. A questi ultimi non si potrà chiedere di lavorare oltre 60 ore in media per settimana calcolate nell’arco di tre mesi, o 65 ore in media per settimana calcolate nell’arco di tre mesi, se il periodo inattivo dei servizi di guardia è considerato orario di lavoro.

L’Irlanda non ha mai fatto ricorso alla clausola di dissociazione; pertanto, un’attuazione più severa della clausola esistente è sia bene accetta sia necessaria.

 
  
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  Dushana Zdravkova (PPE-DE), per iscritto.(BG) Come il Parlamento sa dalle discussioni svoltesi nelle scorse settimane, il punto più dibattuto della direttiva in esame riguarda il computo come orario di lavoro dei periodi inattivi dei servizi di guardia. Questa modifica offrirà a molti lavoratori l’opportunità di essere retribuiti per il periodo di tempo che non hanno potuto utilizzare come tempo libero né trascorrere secondo le proprie necessità. La proposta può vantare molti sostenitori e molti detrattori. Entrambi i fronti sono fermamente arroccati sulle rispettive posizioni e non riescono a trovare convergenze tra i loro interessi divergenti. Invito pertanto il Parlamento a concentrare la propria attenzione sugli effetti positivi che questa modifica può comportare per la società europea.

Da qualche decennio a questa parte la popolazione dell’Unione europea sta viepiù invecchiando. Nel 2007 il tasso di crescita della popolazione è stato soltanto dello 0,12 per cento. Se non vogliamo affidarci esclusivamente all’immigrazione, dobbiamo accrescere il tasso di natalità. Un incentivo in tal senso è l’inserimento dei periodi inattivi dei servizi di guardia nel calcolo della durata complessiva dell’orario di lavoro. Questo emendamento permetterà a molte donne di conciliare più facilmente le loro aspirazioni di successo professionale con il desiderio di dedicarsi maggiormente alla cura dei figli. Avremo così la possibilità di compiere un ulteriore, importante passo nel quadro dei nostri sforzi volti a prevenire le tendenze negative che penalizzano lo sviluppo della nostra società.

 

15. Comitato aziendale europeo (rifusione) (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. − L'ordine del giorno reca la relazione di Philip Bushill-Matthews, a nome della commissione per l'occupazione e gli affari sociali, sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l'istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l'informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie (rifusione) (COM(2008)0419 - C6-0258/2008 - 2008/0141(COD)) (A6-0454/2008).

 
  
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  Philip Bushill-Matthews, relatore. − (EN) Signor Presidente, ho il sospetto che questo fascicolo sarà un po’ meno controverso di quello precedente, e sicuramente la lista degli oratori iscritti a parlare è più breve. Staremo comunque a vedere. La vita è piena di sorprese.

Vorrei iniziare ringraziando la Commissione e anche il Consiglio per averci portati al punto in cui ci troviamo oggi. A differenza del fascicolo precedente, questo è in prima lettura, ma in via provvisoria abbiamo concluso un accordo informale nell’ambito del dialogo a tre; ciò vuol dire che esiste un accordo in prima lettura, purché i colleghi lo sostengano con il loro voto di domani. I colleghi possono essere di parere diverso sul fatto se il testo uscito dal dialogo a tre rappresenti un miglioramento della relazione originaria oppure no; però almeno c’è un accordo a livello di dialogo a tre, e sarà poi la storia a giudicarlo. Ascolterò con attenzione i commenti che i colleghi vorranno fare e vi proporrò in conclusione una mia sintesi finale.

 
  
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  Vladimír Špidla, membro della Commissione. – (CS) Signor Presidente, onorevoli deputati, i comitati aziendali europei sono i pionieri dell’Europa sociale. Essi rinvigoriscono il dialogo sociale tra la dirigenza e i lavoratori in oltre 820 imprese. Grazie ad essi, quasi quindici milioni di lavoratori possono esse informati e consultati non soltanto a livello locale ma anche a livello europeo e persino globale. Grazie ad essi, è possibile collegare tra loro gli aspetti economici e sociali delle imprese che operano a livello paneuropeo. Possiamo andar fieri di ciò che abbiamo ottenuto dall’adozione della relativa direttiva, quindici anni fa. Essa, però, non è più atta all’uopo e ora, com’è comprensibile, abbiamo maggiori esigenze.

Per tale motivo, in luglio la Commissione ha proposto una profonda revisione del quadro giuridico dei comitati aziendali europei, allo scopo di aumentarne il numero e l’efficacia, di garantire maggiore certezza del diritto e di migliorare il coordinamento delle consultazioni a livello nazionale ed europeo, soprattutto nel campo della ristrutturazione. La Commissione ha proposto pertanto definizioni più chiare dei concetti di “informazione dei lavoratori” e “consultazione dei lavoratori”, nonché un chiarimento di come tali attività siano tra loro correlate a vari livelli. Ha proposto anche un riconoscimento del ruolo svolto dalle parti sociali per istituire nuovi comitati aziendali europei e permettere a quelli esistenti di adeguarsi e sopravvivere. La Commissione ha proposto una definizione più chiara delle naturali e ovvie opportunità di coordinamento e consultazione tra i consigli che sono stati istituiti. Infine, ma non meno importante, ha proposto una definizione più chiara del ruolo dei membri dei comitati aziendali europei, specialmente per quanto attiene alla comunicazione di informazioni ai lavoratori e alle opportunità di formazione.

L’estate scorsa, su sollecitazione della presidenza francese, le parti sociali europee, i datori di lavoro e le organizzazioni sindacali hanno concordato una posizione comune nella quale dichiarano di accettare la proposta della Commissione come base di discussione. Hanno avanzato una serie di emendamenti allo scopo precipuo di definire meglio i concetti di “informare” e “consultare”, nonché di fissare un periodo biennale durante il quale sarà possibile istituire nuovi comitati aziendali europei o rinnovare quelli esistenti senza dover applicare regole nuove.

La Commissione ha sempre sostenuto il dialogo tra le parti sociali e ha dunque accolto con favore questa iniziativa. Apprezza l’approccio costruttivo del Parlamento e del Consiglio, grazie al quale si è giunti a una soluzione affidabile ed equa fondata su una serie di misure definite grazie alla proposta della Commissione e alla posizione comune delle parti sociali. Nella ricerca di una soluzione, la Commissione ha collaborato attivamente con entrambe le organizzazioni. Il compromesso raggiunto dal Parlamento e dal Consiglio fissa più chiaramente i poteri sovrannazionali dei comitati aziendali europei e le sanzioni, senza introdurre un numero minimo di lavoratori aderenti. Il compromesso riprende l’essenza della proposta della Commissione, la quale può quindi esprimere il suo consenso al compromesso.

 
  
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  Valérie Létard, presidente in carica del Consiglio. − (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevole Bushill-Matthews, onorevoli deputati, siamo qui riuniti per discutere una proposta di direttiva che interessa direttamente 880 imprese europee e quindici milioni di lavoratori europei. La posta in gioco è, dunque, molto alta e dovremmo tutti partecipare a questa discussione avendo ben presenti quali sono le nostre responsabilità. Come sapete, la proposta di direttiva di cui ci occupiamo stasera rifonde la direttiva sui comitati aziendali europei del 1994.

Il testo sottoposto al Parlamento europeo è il risultato di uno sforzo collettivo che ha coinvolto tutte le parti interessate in Europa. Mi riferisco, ovviamente, alla Commissione, che ha avanzato una proposta di rifusione il 2 luglio 2008; ma mi riferisco anche alle parti sociali europee, che nell’estate del 2008 hanno avanzato otto proposte congiunte nel quadro di un parere comune; e ovviamente mi riferisco al Parlamento europeo e al relatore incaricato di stilare questo testo, l’onorevole Bushill-Matthews, che ringrazio per l’ottimo lavoro svolto. Tutti hanno collaborato con la presidenza del Consiglio per produrre in tempo un testo accettabile per tutti. Il risultato di questo sforzo collettivo è che adesso, stasera, possiamo adottare in prima lettura la proposta di rifusione della direttiva del 1994.

Per quanto ne so, è passato molto tempo dall’ultima volta in cui si è verificata una situazione del genere su temi riguardanti la sfera sociale, il che è incoraggiante per il futuro e ci stimola a continuare a lavorare insieme in uno spirito collettivo. Il testo stasera al vostro vaglio è un compromesso equilibrato che permetterà di rafforzare il dialogo sociale all’interno delle imprese europee e di dare nuove garanzie ai lavoratori dei 27 Stati membri.

Con questo documento rafforziamo le prerogative dei comitati aziendali europei adottando, in particolare, una nuova definizione, lungamente attesa, dei concetti di “consultazione” e “informazione”.

Con questo documento incoraggiamo l’istituzione di nuovi comitati aziendali europei, dato che, proprio come nel 1994, introduciamo un periodo transitorio di due anni durante il quale gli accordi conclusi derogheranno alle nuove regole della direttiva.

Infine, con questo documento garantiamo una maggiore certezza del diritto per i lavoratori e le imprese eliminando qualsiasi incertezza che possa aver causato gravi conseguenze.

Ed è anche nello spirito della certezza del diritto che il testo ora al vostro esame salvaguarda gli accordi conclusi durante il precedente periodo transitorio, tra il 1994 e il 1996, dopo l’entrata in vigore della direttiva attuale.

Oggi il compromesso raggiunto con la collaborazione di tutti i soggetti interessati viene sottoposto al voto del Parlamento europeo, ed è importante che il voto sia favorevole. E’ importante perché le condizioni della crisi in atto espongono le imprese a un maggiore rischio di ristrutturazione e, in simili circostanze, i lavoratori europei si aspettano da noi garanzie aggiuntive, tali da rassicurarli riguardo al loro futuro.

Ed è importante che sia un voto favorevole anche perché i cittadini d’Europa hanno bisogno di messaggi forti, che dimostrino loro che nel 2008 l’Europa sociale sta nuovamente decollando e non si limita a belle parole, ma è anche capace di azioni concrete che miglioreranno la loro vita quotidiana.

E’ infine importante che sia un voto favorevole perché occorre incoraggiare il dialogo sociale in Europa, e questo dipende dalla creazione di nuovi comitati aziendali e dallo sviluppo di azioni comuni intraprese dalle parti sociali europee congiuntamente, come è avvenuto in questo caso.

 
  
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  Jan Cremers, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signor Presidente, c’è un detto secondo il quale i compromessi non potranno mai vincere un concorso di bellezza. A prima vista, il detto potrebbe valere per il risultato di tutte le trattative sulla rifusione della direttiva concernente i comitati aziendali europei. Sulla base della relazione Menrad, adottata dal Parlamento sei anni fa, della giurisprudenza e delle esperienze di gestione e di funzionamento degli ultimi dodici anni, il gruppo socialista al Parlamento europeo ha sempre chiesto un’ambiziosa revisione della direttiva.

Troppi rappresentanti dei lavoratori sono tuttora privi dei diritti fondamentali all’informazione e alla consultazione perché i datori di lavoro si rifiutano di concederglieli. A nostro parere, invece, questi diritti formano parte integrante della costruzione di tutte le relazioni industriali. La posizione dei lavoratori in quanto parte interessata stabile, che rimane nell’impresa, a differenza dei dirigenti, che cambiano continuamente posto di lavoro, e della nuova generazione, piuttosto disimpegnata, di investitori finanziari, deve trovare adeguata espressione nella gestione collegiale delle nostre imprese. Grazie all’inserimento nella direttiva del parere delle parti sociali e alle modifiche aggiuntive apportate durante le nostre trattative, il gruppo socialista si augura di mettere a disposizione alcuni elementi costitutivi per dare il via a una nuova dinamica.

La procedura politica formale è alle ultime battute. Spetta ora ai dirigenti e ai lavoratori mettersi all’opera. Un tasso del 40 per cento di attuazione della direttiva è ancora decisamente troppo basso. Il gruppo socialista è del parere che questo non sia l’atto conclusivo della vicenda ma, anzi, un nuovo inizio. Le parti sociali europee hanno di fronte a sé la sfida gravosa di convincere ad attenersi alla direttiva quelle imprese che si rifiutano tuttora di farlo.

Sollecitiamo la Commissione europea a collaborare a questo compito. E’ necessaria una nuova campagna. Ricerche recenti hanno dimostrato che le imprese nelle quali l’informazione, la consultazione e la partecipazione dei lavoratori sono adeguate funzionano meglio, soprattutto in tempi difficili. La crisi economica e le ristrutturazioni che ci aspettano nel prossimo futuro rendono la partecipazione dei lavoratori al processo decisionale delle imprese più attuale che mai.

Ringrazio la mia controparte, l’onorevole Bushill-Matthews, per la professionalità con cui ha guidato le trattative, i colleghi degli altri gruppi per il sostegno politico e la presidenza francese per l’approccio raffinato. Mettiamoci al lavoro.

 
  
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  Bernard Lehideux, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, l’accordo raggiunto sui comitati aziendali europei dimostra che l’Europa sociale di cui abbiamo così tanta necessità viene ora costruita mattoncino per mattoncino. Dimostra altresì che, in questa Europa sociale emergente, il dialogo sociale ha trovato la propria strada.

Sappiamo tutti, infatti, che il testo ora al nostro esame è il frutto, prima di tutto e soprattutto, del lavoro produttivo intercorso tra i sindacati e le organizzazioni dei datori di lavoro. La direttiva vigente ha ovviamente raggiunto i propri limiti, dato che, a 14 anni dalla sua adozione, i comitati sono stati istituiti in solo un terzo delle imprese interessate, e che l’incertezza giuridica esistente ha costretto la Corte di giustizia a intervenire in varie occasioni. Ma stabilire le norme non è compito dei giudici bensì dei politici, che si devono assumere le loro responsabilità. Inoltre, la situazione attuale ci ricorda impietosamente che adesso è più necessario che mai consultare i comitati aziendali, e che nel caso delle ristrutturazioni occorre farlo in una fase quanto più precoce possibile.

Per tali motivi dobbiamo portare avanti e approvare l’accordo in prima lettura. Ringrazio il relatore per la qualità del suo lavoro e per la sua capacità di ascolto.

 
  
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  Elisabeth Schroedter, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, signora Presidente in carica del Consiglio, quando i dirigenti della finlandese Nokia hanno deciso di chiudere lo stabilimento di Bochum e di delocalizzare la produzione in Romania, i lavoratori interessati dalla misura – 2 000 persone hanno perso il lavoro – lo hanno saputo dal giornale.

Per evitare che una situazione del genere si ripeta, è urgente – e sottolineo “urgente” – dare attuazione alla direttiva emendata sui comitati aziendali europei, con la sua nuova definizione di imprese transnazionali. E’ molto triste che la Commissione abbia impiegato così tanti anni per farlo e abbia boicottato il compromesso fino ad oggi.

Ciò dimostra ancora una volta che l’Europa sociale è agli ultimi posti del programma di lavoro della Commissione. Se gli emendamenti fossero stati in vigore prima, un caso come quello della Nokia non si sarebbe potuto verificare.

Di questi emendamenti c’è urgente bisogno per compensare la passata incapacità di agire; invero, essi arrivano in ritardo se consideriamo le nuove strutture delle imprese, che superano i confini nazionali, e le azioni di tali imprese. La mia soddisfazione per il compromesso raggiunto è contenuta; in ogni caso, in qualità di membro del comitato negoziale del Parlamento, sono favorevole al compromesso, perché di questa direttiva abbiamo bisogno ora.

Mi appello nuovamente a tutti coloro che stanno cercando di mandare all’aria il compromesso. Voglio dire loro che scherzano con il fuoco. Se riuscissero nel loro intento, saremmo chiamati continuamente al tavolo negoziale e casi come quello della Nokia si ripeterebbero. E’ dunque necessario dare effettiva attuazione a questa minima affermazione di democrazia contenuta nella direttiva.

Dal punto di vista politico, la revisione della direttiva rimane ancora all’ordine del giorno. Voglio ribadire nuovamente alla Commissione che quello che abbiamo di fronte è una correzione. La revisione rimane ancora da fare, e noi riteniamo che ci sia necessità di una revisione vera e propria, la quale sola può dare ai comitati aziendali ciò di cui hanno bisogno per operare in una prospettiva di lungo termine. Quello che abbiamo davanti è una mera correzione.

 
  
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  Dimitrios Papadimoulis, a nome del gruppo GUE/NGL. – (EL) Signor Presidente, come gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica non condividiamo lo spirito celebrativo perché sappiamo benissimo che l’Europa sociale non rientra tra le priorità della Commissione né del Consiglio. Onorevoli colleghi, il compromesso raggiunto tra la Europa Spa e i sindacati sta alla base delle discussioni che abbiamo avuto qui in Parlamento nel 2001. Inoltre, la procedura di rifusione limita il ruolo del Parlamento. Presenteremo emendamenti per sostenere e promuovere le richieste avanzate dai sindacati durante le trattative, cioè informazioni migliori, tempestive e concrete, pubblicità e trasparenza degli accordi e maggiore partecipazione degli esperti di provenienza sindacale. Purtroppo stiamo perdendo un’occasione per migliorare di più e in modo sostanziale la direttiva, e con questa Realpolitik rivista approviamo molto di meno di ciò che serve ai lavoratori.

 
  
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  Jean Louis Cottigny (PSE). (FR) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, innanzi tutto mi congratulo con l’onorevole Bushill-Matthews, che ci ha dato una grande lezione di democrazia in qualità di latore del messaggio della commissione per l’occupazione e gli affari sociali durante il dialogo a tre. Oggi il dialogo a tre ha avuto luogo. Le parti hanno cercato di giungere a un accordo.

Mi congratulo anche con lei, signor Commissario, perché, a un dato momento, è riuscito a far sì che il ruolo del Parlamento in quanto colegislatore fosse in un certo senso negato; infatti, grazie a un accordo concluso tra le parti sociali, lei ci ha fatto capire che avremmo potuto discutere solamente dei punti sollevati da loro.

Ora la cosa importante è trasformare questo dialogo a tre in un successo. Il dialogo a tre c’è stato e adesso possiamo garantire che il testo sarà adottato in prima lettura. Questo però non deve significare che è preclusa la possibilità di una revisione, né che ci viene impedito di predisporre una revisione completa con il sostegno di tutte, o quasi tutte, le parti sociali.

Credo che sia in tale spirito che dobbiamo agire. Certo, domani, in prima lettura, dobbiamo ottenere una vittoria, ma è altrettanto evidente che dobbiamo anche esaminare come queste norme sono attuate e come possiamo garantire che si arrivi effettivamente a una revisione.

 
  
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  Siiri Oviir (ALDE). (ET) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, prima di tutto ringrazio il relatore per l’approccio costruttivo alla revisione della direttiva.

La formulazione della direttiva in esame ha sollevato anche alcuni interrogativi giuridici sulla nostra possibilità di agire. Sembra che ora, con l’aiuto del relatore, tali interrogativi abbiano avuto risposta.

Nondimeno, la revisione della direttiva sui comitati aziendali europei è stata a lungo un tema importante sia per le imprese che per i sindacati. E’ lodevole che le parti sociali abbiano raggiunto un accordo l’estate scorsa. Grazie all’accordo, per noi come Parlamento sarà più facile concludere con successo la disamina di questo argomento.

Senza mettere in dubbio l’esigenza di riformulare la direttiva in questo momento e in queste circostanze, credo tuttavia che in futuro sarà opportuno sottoporre alla procedura legislativa una versione rivista e aggiornata della direttiva; intendo dire, durante la prossima legislatura del Parlamento europeo.

Oggi, però, in qualità di rappresentante di un paese piccolo, non posso condividere la proposta della Commissione di subordinare l’appartenenza alla delegazione speciale al numero di dipendenti di un’impresa. In caso di approvazione di tale requisito, alcuni Stati membri non avrebbero nessuno che rappresenti i loro interessi nelle trattative.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE). (EN) Signor Presidente, sono favorevole all’accordo raggiunto in prima lettura sulla rifusione dei comitati aziendali europei. Una parte non irrilevante del merito di tale accordo va ascritta all’abilità del relatore ombra onorevole Cremers. Ci troviamo in una crisi economica sempre più grave, che è una crisi di sistema, non semplicemente una crisi nel sistema.

Non è possibile andare avanti come se nulla fosse, e tanto i datori di lavoro quanto i governi devono accettare il fatto che, in questo periodo di crisi, i lavoratori devono avere maggior voce in capitolo per quanto concerne il loro posto di lavoro. Qualsiasi altro approccio sarebbe inaccettabile.

La fiducia cieca nei mercati incontrollati e nella concorrenza è stata clamorosamente tradita e ora è giunto il momento che l’Europa definisca, con maggiore coraggio, un nuovo patto sociale tra lavoratori e imprese, e anche che gli Stati membri e l’Europa costruiscano una nuova economia sociale di mercato, come previsto dal trattato di Lisbona.

 
  
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  Harald Ettl (PSE).(DE) Signor Presidente, era dal 1999 che si attendeva una revisione della direttiva sui comitati aziendali europei. Abbiamo ottenuto una procedura di rifusione, troppo poco per un panorama industriale in rapido cambiamento. E’ ovviamente necessario migliorare l’informazione e la consultazione in quanto strumenti atti a diffondere una cultura imprenditoriale mirata a ridurre i conflitti. Ciò è di fondamentale importanza. Le decisioni transnazionali sono di competenza del gruppo consultivo del comitato aziendale europeo. L’implementazione di questa direttiva, di per sé poco incisiva, va rafforzata sotto il profilo giuridico, prevedendo quindi sanzioni volte a garantire la possibilità di attuare la direttiva. Ciò è necessario affinché le decisioni della Corte di giustizia europea non siano più semplicemente ignorate.

Anche se è stato compiuto un piccolo progresso, entro tre anni al massimo sarà necessario procedere a una revisione. Avremmo potuto e dovuto farla adesso, per tener conto in qualche misura della realtà della politica industriale e dei veloci cambiamenti in atto. Ma, e questo è l’aspetto rilevante, perlomeno qualcosa ha cominciato a muoversi.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (PSE).(RO) I comitati aziendali europei e la procedura di informazione e consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese sono strumenti di importanza vitale per tutelare i lavoratori.

I comitati aziendali devono essere estremamente attivi soprattutto nelle fasi di ristrutturazione delle imprese. Nel caso di aziende multinazionali o di gruppi di imprese, è essenziale che siano consultati e siedano al tavolo negoziale anche i lavoratori dipendenti dello Stato membro nel quale vengono attuati i licenziamenti. Nel caso di un gruppo imprenditoriale che deve prendere decisioni importanti sul futuro dell’azienda e dei suoi dipendenti, i lavoratori dello Stato membro in cui ha luogo la ristrutturazione devono essere informati, poter partecipare alle decisioni adottate e influenzarle.

Finora la Comunità europea ha fornito aiuti finanziari solo alle imprese che si ristrutturano. Credo che di tali aiuti debbano beneficiare anche i dipendenti licenziati.

 
  
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  Stephen Hughes (PSE).(EN) Signor Presidente, anzitutto ringrazio vivamente il relatore. Sebbene gli emendamenti approvati in commissione non corrispondessero alla sua volontà – in realtà, lui non voleva affatto emendamenti – nelle trattative che hanno portato all’accordo in prima lettura egli ha difeso la posizione della commissione.

Ringrazio anche l’onorevole Cremers, il nostro relatore ombra, che è stato il vero artefice del contenuto dell’accordo. Le tre aggiunte ai punti concordati dalle parti sociali nella loro nota – sulle sanzioni, sulla transnazionalità e sull’abolizione della soglia per la delegazione speciale di negoziazione – sono importanti di per sé; nondimeno, molti di noi, come è già stato detto, si sentono presi in giro da questa rifusione.

Quasi dieci anni fa ci era stata promessa una revisione completa della direttiva. E’ poi necessario affrontare altre gravi carenze e insistiamo affinché la Commissione proponga la revisione completa durante il prossimo mandato.

Un ulteriore, serio motivo di preoccupazione riguardo alla gestione di questa rifusione è stato l’incrociarsi di dialogo sociale e percorsi legislativi. Le parti sociali sono state consultate in conformità dell’articolo 139 e alla fine hanno dichiarato la propria incapacità o indisponibilità a negoziare un accordo quadro. Ma proprio mentre stavamo iniziando il nostro lavoro legislativo, esse ci hanno comunicato di essere disponibili ad avviare negoziati. Hanno poi concordato una nota che non ha alcun valore secondo i trattati ma che nondimeno ha offerto al relatore onorevole Bushill-Matthews il destro per far finta di essere conciliante accettando il contenuto di tale nota, ma nulla più.

Invece di stimolarci a darci da fare, la nota delle parti sociali si è rivelata una camicia di forza. Le procedure di cui agli articoli 139 e 138 devono essere tenute nettamente separate. E’ sbagliato se l’una mina o limita l’altra, ed è compito della Commissione assicurare tale separazione. Anche in questo momento, si permette che un simile incrocio delle procedure faccia deragliare un emendamento legislativo che abbiamo richiesto per affrontare il problema delle ferite da punture d’ago.

Ripeto: si tratta di un modo di fare pericoloso, che può soltanto alimentare risentimento e sfiducia tra le parti sociali e il Parlamento. Ad ogni modo, questo è un passo avanti sotto il profilo dei diritti di informazione e consultazione dei lavoratori e pertanto lo accolgo con favore.

 
  
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  Ewa Tomaszewska (UEN). – (PL) Signor Presidente, quando è stata attuata, la direttiva che istituisce i comitati aziendali europei ha rappresentato un rilevante passo avanti per l’accettazione del dialogo sociale nell’economia. Grazie alla direttiva, inoltre, è stato possibile incrementare la produttività mantenendo nel contempo la pace sociale.

Dopo molti decenni di esperienza, le parti sociali hanno ora individuato i modi per rifondere e rendere più specifica la direttiva. Andrebbe precisato meglio il ruolo dei membri dei comitati aziendali nel processo di informazione e consultazione dei lavoratori; sono decisamente auspicabili un’intesa tra le parti sociali e negoziati fondati sulla fiducia e su informazioni affidabili, soprattutto in tempi di crisi. Il valore del dialogo sociale, della ricerca di soluzioni attraverso discussioni e trattative e della consapevolezza di quello che è il bene e l’interesse dell’altra parte sono tutti fattori che mettono in luce la necessità di rispettare i risultati di questo dialogo. E’ quindi necessario accettare gli accordi conclusi tra le organizzazioni dei datori di lavoro e i sindacati a livello europeo.

Mi congratulo con il relatore e resto in attesa di una revisione dell’impatto della direttiva in futuro.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL).(PT) Deploro che abbiamo perso questa occasione per migliorare la direttiva sui comitati aziendali europei in modo più approfondito e significativo. Un tanto era stato peraltro previsto nel 2001, quando è stata adottata la relazione Menrad, alla quale ho dato anch’io il mio contributo. E’ questo il motivo per cui abbiamo voluto presentare e sottoporre al voto alcuni emendamenti mirati a potenziare il diritto di informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori in tutte le circostanze, compreso il diritto di veto, soprattutto nei casi di ristrutturazione e nei tentativi di delocalizzazione delle imprese, in particolare di quelle transnazionali, in cui i diritti dei lavoratori non vengono rispettati.

E’ auspicabile che questi emendamenti siano adottati perché rafforzerebbero la direttiva sui comitati aziendali europei.

 
  
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  Karin Jöns (PSE).(DE) Signor Presidente, anche il mio gruppo e io avremmo voluto vedere un risultato più consistente di quello che è stato raggiunto; penso tuttavia che abbiamo comunque ottenuto molto e fatto progredire l’intesa a livello europeo. Una cosa è certa: in futuro il consiglio aziendale europeo deve essere informato e consultato prima di qualsiasi decisione e specialmente – è questo il punto rilevante – prima di qualsiasi decisione in materia di ristrutturazione, affinché non succeda più che ne venga a conoscenza tramite i giornali.

Voglio però dire molto chiaramente alla Commissione che non si deve più verificare il caos che c’è stato quando abbiamo stabilito chi dovesse negoziare. Dobbiamo infatti distinguere in maniera netta tra dialogo sociale e Parlamento europeo. Talvolta abbiamo avuto l’impressione che i diritti del Parlamento fossero annullati. Una cosa del genere non deve più ripetersi in futuro.

 
  
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  Valérie Létard, presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, la rifusione della direttiva sui comitati aziendali europei è una buona novella.

Essa dimostra che l’Europa sociale sta andando avanti e che è possibile far progredire e migliorare il diritto dei lavoratori europei all’informazione e alla consultazione. Essa dimostra altresì quanto sia prezioso il coinvolgimento delle parti sociali, senza il quale non saremmo assolutamente riusciti a conseguire questo risultato. Infine, essa dimostra la qualità del lavoro e della collaborazione tra le tre istituzioni – Commissione, Parlamento e Consiglio – perché, se il Parlamento domani voterà in tal senso, otterremo un accordo in prima lettura, e non possiamo che rallegrarcene.

Con questo auspicio, signor Presidente, le esprimo la mia gratitudine.

 
  
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  Vladimír Špidla, membro della Commissione. – (CS) Il progresso è difficile ma non impossibile. Penso che la vicenda della proposta di direttiva sui comitati aziendali ne sia una prova. Non è stato un percorso facile; in merito, voglio esprimere particolare apprezzamento per il compito svolto dalle parti sociali, dal relatore onorevole Bushill-Matthews e dal suo collega socialdemocratico onorevole Cremers. A mio modo di vedere, la discussione ha rivelato chiaramente che la proposta è pronta per essere votata. Penso inoltre che questa sia una relazione sicuramente valida per l’Europa sociale.

 
  
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  Philip Bushill-Matthews, relatore. − (EN) Signor Presidente, come i colleghi sanno, sono profondamente convinto dell’importanza del dialogo sociale e dei comitati aziendali e mi fa piacere che abbiamo raggiunto un accordo in prima lettura, in modo da garantire a tutte le parti sociali la certezza del diritto.

Personalmente ritengo che avremmo concluso un accordo in prima lettura anche senza seguire questa particolare procedura. Visto che l’onorevole Hughes ha deciso da dare una visione alquanto distorta di come si è giunti all’accordo, vorrei raccontare come sono andate veramente le cose, affinché i posteri possano sapere in quale modo siamo arrivati al punto in cui ci troviamo. E’ senz’altro vero che le parti sociali hanno chiesto a tutti noi di non presentare emendamenti, e i sindacati mi hanno confermato che, per quanto li riguardava, gli altri gruppi avrebbero assolutamente rispettato tale richiesta. Quello che non mi aspettavo e non sapevo era che, mentre sollecitavano il nostro gruppo a non proporre emendamenti, chiedevano invece ai socialisti di farlo, con il risultato di sconvolgere gli equilibri in commissione. Se come prima cosa fossimo venuti qui in Parlamento e se tutti i colleghi avessero avuto la possibilità di discutere la questione, penso che avremmo raggiunto comunque un accordo, ma che esso sarebbe stato leggermente diverso.

Detto questo, lasciatemi tranquillizzare i colleghi: non propongo di scardinare l’accordo che abbiamo conseguito. E’ importante che un accordo ci sia, e sono fiducioso che esso domani sarà approvato. Ma è il massimo dell’ironia che, in una questione che attiene alla fiducia reciproca tra dipendenti e datori di lavoro e ai buoni rapporti e alla cooperazione tra le parti sociali, una di esse affronti la questione in modo completamente differente.

Mi auguro che si tratti di un episodio isolato, perché il dialogo sociale deve andare avanti in un clima di fiducia reciproca. Sotto tale profilo, tuttavia, in questo caso c’è stato un passo indietro, che spero non si ripeta mai più.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà martedì.

 

16. Sicurezza dei giocattoli (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. − L'ordine del giorno reca la relazione di Marianne Thyssen, a nome della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla sicurezza dei giocattoli (COM(2008)0009 - C6-0039/2008 - 2008/0018(COD)) (A6-0441/2008).

 
  
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  Marianne Thyssen, relatore. – (NL) Signor Presidente, signor Commissario, signora Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, molte volte abbiamo dimostrato di essere esplicitamente a favore di un alto livello di tutela dei consumatori nel mercato interno. Sia nel programma pluriennale sulla tutela dei consumatori sia nella risoluzione e nella discussione riguardanti il ritiro dal mercato di giocattoli non sicuri, perlopiù di fabbricazione cinese, abbiamo lanciato appelli appassionati affinché la protezione dei consumatori più piccoli e più vulnerabili, cioè i bambini, fosse messa ai primi posti della nostra agenda.

In qualità di relatrice della nuova normativa sulla sicurezza dei giocattoli, sono quindi molto lieta di poter annunciare che probabilmente potremo avere una direttiva nuova e rigorosa sulla sicurezza dei giocattoli già nei prossimi giorni, ovviamente se tutto procede come da programma.

Ringrazio la Commissione perché ha risposto alla nostra richiesta di presentare una nuova direttiva. Desidero ringraziare anche i relatori per parere, i relatori ombra, il presidente e i membri della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori per l’eccellente collaborazione, che ci ha permesso di approvare la mia relazione all’unanimità il 6 novembre. Sono inoltre debitrice nei confronti del Consiglio, della Commissione e di tutti i loro collaboratori per la costante dedizione e l’atteggiamento costruttivo, grazie ai quali abbiamo potuto portare a compimento questa importante normativa sulla tutela dei consumatori nello spazio di dieci mesi.

Onorevoli colleghi, abbiamo molte ragioni per essere orgogliosi del nostro lavoro. Abbiamo indubbiamente migliorato e inasprito i requisiti per la sicurezza dei giocattoli, e questo è quanto l’opinione pubblica si aspettava da noi. In linea di principio sarà messo al bando l’uso di sostanze cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione nei componenti permessi dei giocattoli. Inoltre, per quanto riguarda le tracce inevitabili di metalli pesanti saranno introdotte norme più severe, che stabiliscono non soltanto limiti massimi per un maggior numero di tipi di sostanze, ma anche limiti molto più severi per le tracce inevitabili di piombo, cadmio, mercurio, cromo (VI) e stagno organico.

Un altro aspetto affatto nuovo sono le disposizioni concernenti gli allergeni, che sicuramente non vogliamo che vengano a contatto con i bambini. Anche le relative norme saranno inasprite rispetto alla proposta della Commissione; alla fine, verranno messi al bando non meno di 55 allergeni, mentre altri undici potranno essere utilizzati soltanto in presenza di etichette contenenti idonee avvertenze. In merito all’etichettatura e alla conformità ad altre norme pertinenti, siamo un po’ più indulgenti nel caso dei giocattoli pedagogici olfattivi e gustativi.

Un altro aspetto importante è il miglioramento delle norme volte a prevenire il soffocamento e a chiarire i requisiti fondamentali di sicurezza, nonché – e questa è una novità assoluta – le nome concernenti i giocattoli contenuti nelle confezioni di dolciumi. Inoltre, sarà ampliato e potenziato il sistema di avvertenze, che dovranno non soltanto essere esposte in bella evidenza in una lingua comprensibile per il consumatore, ma anche essere visibili nel luogo di vendita del prodotto. Infine, in queste disposizioni diamo al principio di precauzione il rilievo che merita.

Ma le regole, ovviamente, non hanno alcun valore finché non sono messe in pratica. L’attuazione delle disposizioni è garantita grazie all’integrazione della nuova politica nel nuovo pacchetto sui prodotti e all’introduzione di requisiti più severi per la documentazione e per la tracciabilità. Ma occorre anche vigilare sull’applicazione di tutte queste norme. Pertanto, signor Commissario, a nome del Parlamento le chiedo di dedicare, in sede di valutazione della direttiva, grande attenzione al modo in cui gli Stati membri adempiono i loro compiti di sorveglianza, sia all’interno che al di fuori dei confini nazionali. E per avere la coscienza tranquilla, vorremmo che lei confermasse anche che saranno definiti standard nuovi, più severi e armonizzati per la rumorosità dei giocattoli, in relazione sia al rumore impulsivo che a quello prolungato. Inoltre, chiediamo che si faccia lo stesso per i libri costituiti soltanto di carta e cartone, per i quali attualmente non esiste alcuna certezza giuridica.

Abbiamo, infine, deciso consapevolmente di non prevedere un sistema di certificazione di terzi per i giocattoli che soddisfano gli standard. Ne abbiamo discusso a lungo, ma la maggioranza era contraria. Anche a tale proposito vorrei che la Commissione ci confermasse che, in fase di controllo, un’attenzione specifica sarà riservata a questo aspetto. Possiamo quindi attenderci che le procedure di valutazione della conformità arrivino prima o dopo sulle nostre scrivanie.

 
  
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  Valérie Létard, presidente in carica del Consiglio. (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevole Thyssen, onorevoli deputati, la presidenza del Consiglio è lieta che il Parlamento abbia attribuito così tanta importanza alla questione della sicurezza dei giocattoli, soprattutto in questo periodo di feste natalizie. Dobbiamo poterci fidare della sicurezza dei giocattoli perché si tratta di prodotti destinati ai bambini.

Per tale motivo il Consiglio ha accordato priorità speciale alla proposta della Commissione, presentata alla fine del gennaio scorso. Lo scopo della proposta è aumentare la sicurezza dei giocattoli senza tuttavia limitare la loro libertà di circolazione nel mercato interno. Il mercato dei giocattoli è particolarmente sensibile e complesso a causa della sua flessibilità, struttura e capacità di innovazione. I colegislatori hanno dovuto trovare un approccio equilibrato, che garantisca la sicurezza dei giocattoli senza maggiorazioni del prezzo e non imponga obblighi troppo onerosi ai produttori e agli importatori seri di giocattoli.

In tempi recenti, nuovi fattori si sono rivelati cruciali agli occhi dei consumatori, oltre ai prezzi e all’innovazione. Al centro del dibattito pubblico sono stati, infatti, il rispetto dell’ambiente e l’assenza di sostanze in qualche modo tossiche o tali da comportare rischi di allergizzazione. Tutto ciò è diventato palese quando determinate imprese hanno deciso di ritirare dal mercato o di richiamare prodotti che potevano non essere del tutto sicuri.

Di conseguenza, negli anni ’80 l’Unione europea ha assunto un approccio mirato all’armonizzazione tecnica, al fine di salvaguardare la libera circolazione delle merci nel mercato interno e, allo stesso tempo, di imporre livelli di sicurezza tali da garantire che nel mercato possano circolare soltanto prodotti conformi alle norme. Tale conformità è garantita dall’etichetta CE.

Al pari dell’80 per cento delle merci che circolano nell’Unione, anche i giocattoli sono soggetti a questo approccio mirato all’armonizzazione tecnica che viene realizzato secondo un’architettura ben nota: la legislazione comunitaria – in questo caso, la proposta di nuove direttive – fissa i requisiti di sicurezza fondamentali, che vengono poi tradotti e affinati tecnicamente in forma di standard. Anche la Commissione, insieme con gli Stati membri, elabora documenti che forniscono orientamenti per l’implementazione del diritto comunitario.

E’ questa architettura complessiva che verrebbe rafforzata dall’adozione della proposta nella versione emendata dai colegislatori. La rivalutazione della sicurezza dei giocattoli in conformità dei nuovi standard legislativi esprime l’impegno dei colegislatori di dare priorità a questo settore, trattandosi della prima applicazione settoriale di tali disposizioni orizzontali.

In effetti, nel testo negoziato dalle istituzioni – che può essere accolto dal Consiglio essendo stato approvato da una grande maggioranza degli Stati membri – si mettono in rilievo non soltanto questioni quali la vigilanza del mercato ma anche una serie di requisiti di sicurezza essenziali, comprese le proposte tese a ridurre i rischi chimici potenzialmente insiti nei giocattoli.

Le disposizioni concernenti le sostanze cancerogene e tossiche sono state ulteriormente inasprite nel corso dei negoziati tra i colegislatori, nell’ottica di ridurre quanto più possibile o eliminare completamente tali sostanze, specialmente da tutte le parti accessibili dei giocattoli, e anche di aumentare le precauzioni riguardo a possibili reazioni nel caso in cui i giocattoli siano messi in bocca, cosa che, considerati gli utilizzatori di questi prodotti, appare inevitabile.

Inoltre, sono state precisate e rafforzate le disposizioni tese a eliminare il rischio che i giocattoli e le loro parti possano causare asfissia da strangolamento o soffocamento.

Similmente, per garantire che i genitori possano operare scelte adeguate, sono state migliorate anche le avvertenze sui potenziali rischi connessi con i giocattoli e sui limiti di età minimi o massimi dei destinatari; tali indicazioni devono essere disponibili prima dell’acquisto a tutti coloro che gestiscono gli acquisti, anche online.

Per quanto riguarda la conformità dei prodotti ai requisiti di sicurezza fondamentali, viene mantenuta l’architettura del sistema comunitario, nel senso che, laddove esiste uno standard europeo, i produttori possono dichiarare personalmente che i loro giocattoli sono conformi e possono applicare l’etichetta CE. Ovviamente, se tale dichiarazione è erronea, tutti gli operatori economici devono adempiere gli obblighi previsti nel loro ambito di competenza all’interno della catena commerciale, mentre le autorità responsabili del controllo dei mercati degli Stati membri devono accertare la conformità o punire l’eventuale non conformità.

In assenza di standard europei, si ricorre alla certificazione da parte di terzi, garantendo così un grado elevato di sicurezza. La nostra architettura non è immune dal rischio di abusi dell’etichetta CE, ma il rischio sarà ridotto grazie ai controlli delle autorità di vigilanza del mercato e alla maggiore collaborazione tra loro a livello europeo.

Infine, la direttiva prevede l’applicazione del principio di precauzione e la capacità di adeguamento a nuovi rischi, ove siano individuati in quanto tali. La presidenza francese è quindi molto lieta della collaborazione costruttiva con il Parlamento europeo durante tutti i negoziati su questa importante materia e, a nome del Consiglio, ringrazia tutti coloro che, all’interno delle tre istituzioni, hanno contribuito a questo risultato positivo, che ci dovrebbe consentire di trovare un accordo in prima lettura.

 
  
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  Günter Verheugen, vicepresidente della Commissione. – (DE) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, onorevoli deputati, nella seconda metà del 2007 grandi produttori di giocattoli hanno volontariamente provveduto ad azioni di richiamo per ritirare dal mercato loro prodotti difettosi. Tali azioni, tuttavia, hanno creato un clima di incertezza.

Sappiamo bene che nessuno può fornire la garanzia assoluta della sicurezza di prodotti che maneggiamo ogni giorno; nondimeno i cittadini si attendono giustamente non solo che i loro figli possano giocare in tranquillità ma anche che i loro giocattoli siano sicuri.

Nella risoluzione del 26 settembre 2007 sulla sicurezza dei giocattoli, il Parlamento europeo invitava la Commissione a procedere immediatamente alla revisione della direttiva sulla sicurezza dei giocattoli, che conteneva requisiti efficienti, efficaci e dettagliati sulla sicurezza dei prodotti.

Nel gennaio 2008 la Commissione ha presentato la sua proposta e sono molto lieto che oggi – dopo soltanto undici mesi e, di fatto, in tempo per Natale – abbiamo una nuova normativa comunitaria che migliora considerevolmente la sicurezza dei giocattoli. Desidero esprimere la mia sincera gratitudine alla relatrice onorevole Thyssen per l’ottimo lavoro che ha svolto e anche all’onorevole McCarthy per il grande impegno di cui ha dato prova nelle consultazioni con la presidenza e la Commissione. Ringrazio altresì la presidenza francese per la grande energia con cui ha fatto progredire ulteriormente questo dossier in seno al Consiglio.

La nuova direttiva europea sulla sicurezza dei giocattoli rende i giocattoli europei più sicuri. Essa si fonda sull’idea che la responsabilità della sicurezza dei giocattoli spetti congiuntamente a tutte le parti interessate, ma secondo punti di vista diversi.

Il primo e più rilevante obbligo ricade sulle spalle degli operatori economici, ossia i produttori, gli importatori e i commercianti. Allo stesso tempo, però, la proposta contiene disposizioni esaustive sulle autorità di controllo, sia quelle operanti ai confini esterni dell’Unione sia quelle operanti nei mercati degli Stati membri. Naturalmente, la direttiva non esenta dalle loro responsabilità i tutori dei bambini, perché spetta anche a loro garantire che i bambini possano giocare in sicurezza.

Le nuove norme sui requisiti di sicurezza per i giocattoli sono severe, soprattutto riguardo all’uso di sostanze chimiche nei giocattoli; in merito la direttiva fissa standard di sicurezza affatto nuovi. Questa direttiva è l’unica disposizione di legge in tutto il mondo che mette esplicitamente al bando l’utilizzo di sostanze cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione. Esse possono essere impiegate solo se la loro sicurezza è stata dimostrata senz’ombra di dubbio per mezzo di strumenti scientifici.

La nuova direttiva, inoltre, prevede il limite più basso, rispetto a tutte le altre norme vigenti a livello mondiale, per i quantitativi di sostanze tossiche quali piombo e mercurio. E’ sostanzialmente proibito anche l’uso di allergeni. In proposito, la direttiva è ancora più severa delle disposizioni sui cosmetici.

In aggiunta al capitolo sulle sostanze chimiche, la direttiva contiene una serie di requisiti di sicurezza aggiuntivi, più severi, per il design e la produzione, mirati in particolare a evitare il rischio di soffocamento a seguito di ingestione di piccole parti dei giocattoli; si tratta di un rischio grave per i bambini e sarà ora contrastato in maniera più efficace. Per la prima volta abbiano inserito nella direttiva anche disposizioni sulle sostanze alimentari presenti nei giocattoli.

In futuro i produttori di giocattoli avranno una maggiore responsabilità per la valutazione di conformità. Dovranno eseguire una esauriente valutazione di tutti i rischi che possono essere insiti in un giocattolo, a prescindere dal luogo di produzione dello stesso. Questa analisi dovrà essere accuratamente documentata e messa a disposizione delle autorità di sorveglianza del mercato, su loro richiesta. Sono stati poi inaspriti gli obblighi degli importatori di giocattoli; ciò è particolarmente importante perché gran parte dei giocattoli presenti nell’Unione europea sono importati. Gli importatori devono controllare se i produttori hanno eseguito correttamente la valutazione di conformità e, ove opportuno, devono anche svolgere essi stessi controlli casuali. La direttiva prescrive obbligatoriamente l’esecuzione di un test da parte di un organismo terzo soltanto in caso di mancanza di standard europei armonizzati. Abbiamo discusso in dettaglio della certificazione da parte di un organismo terzo, prendendone in considerazione i vantaggi e gli svantaggi.

Non è possibile sottoporre a test ogni giocattolo che viene commercializzato in Europa; i test casuali sono, ovviamente, possibili, ma anche costosi. La Commissione è del parere che l’esecuzione di test da parte di un organismo privato di certificazione comporterebbe costi non giustificati dalla maggiore sicurezza così acquisita. Tale considerazione vale specialmente per le piccole e medie imprese. In sede di revisione dell’attuazione della direttiva, la Commissione riserverà un’attenzione particolare alle norme sulle analisi di conformità, tenendo conto a tale riguardo delle esperienze fatte dagli Stati membri nel campo della sorveglianza del mercato, e presenterà poi un rapporto al Parlamento. Rilascerà inoltre al Consiglio una dichiarazione in proposito, da mettere agli atti.

In aggiunta ai maggiori obblighi imposti agli operatori economici, la direttiva contiene anche norme molto dettagliate su come gli Stati membri devono eseguire la sorveglianza del mercato in conformità del pacchetto di regole sul mercato interno del luglio scorso. La sorveglianza comprende sia idonei controlli alle frontiere esterne sia ispezioni all’interno degli Stati membri. Una sorveglianza ben funzionante dei mercati rappresenta un elemento molto importante della direttiva. Il concetto complessivo della sicurezza dei giocattoli in Europa può diventare realtà soltanto se ci saranno adeguati controlli da parte di organismi pubblici indipendenti sul rispetto dei severi requisiti per il design e la produzione.

Il testo in discussione è la prova che le istituzioni comunitarie sono in grado di approvare in breve tempo norme europee buone, esaustive, uniche nel loro genere a livello mondiale. Credo che con questa direttiva abbiamo gettato solide basi per garantire la sicurezza dei giocattoli in Europa.

 
  
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  Anne Ferreira, relatore per parere della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, signora Ministro, due fattori cruciali hanno indotto il Parlamento europeo a rivedere le sue norme sulla sicurezza dei giocattoli: il numero rilevante di giocattoli che un anno fa sono stati richiamati dal mercato per motivi di sicurezza e gli studi che dimostrano gli effetti di sostanze chimiche sulla salute dei bambini.

Purtroppo la normativa che ci è stato chiesto di adottare oggi non dà risposta alle questioni sollevate e pertanto non condivido l’entusiasmo manifestato dagli oratori precedenti.

Deploro, infatti, che abbiamo rinunciato a essere più esigenti su diversi punti e, soprattutto, sulla presenza di sostanze chimiche e allergeni. Ribadisco che i bambini sono tra i soggetti più vulnerabili della società e i loro organismi in rapido sviluppo sono delicati.

I diversi standard previsti per le sostanze chimiche non tengono conto di tali aspetti. Perché le sostanze chimiche CMR sono state vietate solo in parte? Perché non sono state messe al bando anche le sostanze perturbatrici del sistema endocrino? Perché sono state accolte così tante deroghe?

Deploro altresì la reintroduzione dei metalli pesanti. Non capisco come cadmio e piombo possano essere vietati in determinati prodotti ma siano permessi nei giocattoli, pur sapendo quale uso ne facciano i bambini.

Il secondo punto che volevo sollevare riguarda il controllo dei mercati. Il principio di precauzione, così come viene inserito nella direttiva, vale per gli Stati membri; ma qual è il suo vero ambito di applicazione per i produttori?

Un altro problema è che le informazioni destinate ai consumatori devono essere scritte in una lingua o in lingue facilmente comprensibili; non sappiamo tuttavia se i consumatori potranno avere informazioni nella loro madrelingua o nella lingua del loro paese. Perché la direttiva rimane così vaga sulla questione delle misure di restituzione e richiamo e prevede disposizioni non idonee per affrontare situazioni di emergenza? Perché respingere l’idea di una terza parte indipendente che certifichi i produttori?

La commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare ha votato a favore degli emendamenti che tengono in maggiore considerazione la salute e la sicurezza dei bambini. Deploro che il sostegno a tali disposizioni non sia stato più forte.

 
  
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  David Hammerstein, relatore per parere della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia.(ES) E’ vero che sono stati compiuti alcuni progressi verso giocattoli più sicuri; riteniamo nondimeno che tali progressi avrebbero potuto essere molto più consistenti. Non capiamo perché sostanze quali piombo, mercurio o cadmio siano tuttora ammesse nei giocattoli. Abbiamo perso un’occasione per vietare quelle sostanze, che quindi continueranno ad accumularsi nei corpicini dei bambini europei e a provocare molti problemi di salute.

Vorremmo inoltre richiamare l’attenzione su un altro problema connesso con questa direttiva, cioè la mancanza di limiti in decibel per la rumorosità dei giocattoli. Il rumore è una fonte di inquinamento importante che colpisce sia i bambini sia gli adulti, e molti giocattoli sono troppo rumorosi.

Invito la Commissione e il Consiglio a prendere posizione su questo tema e ad accordarsi per sottoporre al Parlamento quanto prima possibile proposte per limitare il rumore, perché esso ha effetti anche sui corpi dei nostri bambini.

 
  
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  Andreas Schwab, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, Commissario Verheugen, onorevoli colleghi, prima di tutto voglio rivolgere un grandissimo e sincero ringraziamento alla nostra relatrice del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) e dei Democratici europei, l’onorevole Thyssen. Negli ultimi mesi ella si è dedicata molto intensamente a un fascicolo estremamente complesso e anche politicamente controverso e ha sostenuto con grande successo la posizione del Parlamento europeo nelle trattative con la Commissione e con il Consiglio.

Commissario Verheugen, non possiamo che ribadire quello che lei ha appena descritto come l’essenza della direttiva sulla sicurezza dei giocattoli, nonché le osservazioni dell’onorevole Thyssen. Per effetto della nuova direttiva sulla sicurezza dei giocattoli, nell’Unione europea i giocattoli saranno più sicuri. Ma nessuna direttiva potrà mai essere così sicura da escludere qualsiasi possibilità di abuso. Dobbiamo renderci conto del fatto che i giocattoli costituiscono solo il 14 per cento delle cose con cui i bambini di oggi giocano; il restante 86 per cento è formato da oggetti che i bambini usano esattamente allo stesso modo dei giocattoli ma che non rientrano nell’ambito di applicazione di questa direttiva. Pertanto, dobbiamo mettere in guardia da un falso senso di sicurezza e valutare accuratamente se, per esempio, non sia il caso di bandire in futuro le batterie dai giocattoli e se, alla fin fine, avere soltanto prodotti conformi a determinati requisiti soddisfi le finalità educative dei giocattoli. Nessun dubbio: la sicurezza dei giocattoli viene prima di tutto anche per il gruppo del Partito popolare europeo.

Dato che numerosi aspetti sono già stati citati, vorrei rispondere a un punto in particolare. Ci sono alcuni Stati membri dell’Unione europea nei quali i libri forniscono un contributo notevole all’educazione dei bambini. I libri, specialmente quelli per i bambini piccoli, incontreranno grosse difficoltà se la direttiva entrerà in vigore nella sua versione attuale, e ciò non a causa della direttiva in sé quanto a causa dei requisiti tecnici basati sulla direttiva. Per tale motivo, signor Commissario, le sarei molto grato se potesse chiedere quanto prima possibile al CEN o alle imprese interessate di formulare gli standard concernenti i vari test dei libri per bambini e della resistenza del cartone di cui sono fatti questi libri in maniera tale che le scorte esistenti di libri per bambini possano essere mantenute anche in futuro.

Ringrazio la relatrice e ascolterò con interesse il prosieguo della discussione.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ONESTA
Vicepresidente

 
  
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  Anna Hedh, a nome del gruppo PSE.(SV) Ringrazio l’onorevole Thyssen, i colleghi, il Consiglio e la Commissione per la loro collaborazione estremamente costruttiva. Come l’onorevole Thyssen e molti altri oratori hanno già detto in questa sede, abbiamo migliorato la direttiva in una serie di ambiti. Per noi socialdemocratici, un livello molto elevato di sicurezza rappresenta l’obiettivo prioritario. Penso che abbiamo ottenuto un alto grado di sicurezza senza imporre all’industria condizioni irragionevoli. Avremmo, ovviamente, preferito se in alcune aree ci fossimo spinti un po’ più in là, ma penso che il compromesso raggiunto si sia tradotto in un testo largamente costruttivo.

Il nostro gruppo voleva la certificazione di un organismo terzo per determinati giocattoli, ma questa nostra richiesta non ha avuto alcun sostegno né dagli altri gruppi in commissione né dal Consiglio o dalla Commissione europea. Ne siamo, naturalmente, delusi; riteniamo tuttavia che la nuova direttiva rappresenti, d’altronde, un miglioramento rispetto a quella vigente e pertanto la sosterremo in plenaria. Mi fa molto piacere che siano previste norme più severe sull’uso di sostanze cancerogene, mutagene e tossiche per la riproduzione, un punto sul quale il gruppo socialista al Parlamento europeo non era disposto a scendere a compromessi.

Rispetto alla proposta del Consiglio, quella che abbiamo davanti ora è una base di valutazione molto migliore. Abbiamo depennato le deroghe al principio di sostituzione, e quindi vi sarà un minore utilizzo di queste sostanze. Riguardo ai metalli pesanti più pericolosi, abbiamo dimezzato i limiti di migrazione e proibito l’uso in tutte le parti con cui i bambini possono venire a contatto.

Anche il principio di precauzione è stato uno dei progressi più importanti. Esso è ora sancito nell’articolo, e ciò vuol dire che le autorità competenti per la sorveglianza del mercato potranno richiamarsi a esso qualora vi sia motivo di ritenere che un giocattolo è pericoloso ma manchino prove scientifiche in grado di dimostrarlo.

Abbiamo elaborato una definizione migliore dei requisiti per il design dei giocattoli, per evitare che possano causare soffocamento. Il soffocamento è una delle cause più frequenti di morte correlate ai giocattoli, e riteniamo che sia un progresso importante l’aver stabilito regole chiare a tale riguardo. Ci fa piacere che la nuova direttiva prescriva che i giocattoli non devono essere dannosi per l’udito. La Commissione ha promesso di preparare un nuovo standard, e mi auguro che mantenga la promessa. Avremmo voluto una normativa più severa sugli elementi allergizzanti, per vietare l’uso di tutti gli allergeni, tranne in alcuni casi molto specifici. Il Parlamento ne ha comunque ristretto l’utilizzo più di quanto prevedesse la proposta della Commissione, e speriamo che l’elenco sarà tenuto aggiornato qualora si comincino a usare nei giocattoli altri allergeni.

Accogliamo inoltre con favore le regole più chiare che sono ora previste per gli avvertimenti nonché l’estensione a un maggior numero di tipi di giocattoli dell’obbligo di applicare le etichette di avvertimento direttamente sul giocattolo stesso, perché altrimenti potrebbe facilmente accadere che l’avvertimento venga dimenticato dopo che l’imballaggio del giocattolo è stato eliminato. Gli avvertimenti che sono importanti al momento dell’acquisto perché da essi dipende la scelta o meno del giocattolo devono essere visibili anche al compratore, a prescindere dal fatto che l’acquisto avvenga in un negozio o via Internet.

Spero che con la votazione di questa settimana potremo chiudere questo fascicolo e avere la certezza che, in futuro, sotto l’albero di Natale potremo mettere giocattoli più sicuri. Vi ringrazio.

 
  
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  Karin Riis-Jørgensen, a nome del gruppo ALDE. (DA) Signor Presidente, innanzi tutto rivolgo alla nostra relatrice per la direttiva sulla sicurezza dei giocattoli, l’onorevole Thyssen, la mia sincera gratitudine. Marianne, hai preparato un documento molto efficiente, professionale ed efficace. Ringrazio altresì il Consiglio e la rappresentante della presidenza del Consiglio: complimenti! Sono grata anche alla Commissione per la sua flessibilità, che ci ha permesso di trovare molto rapidamente un terreno comune per il testo che è oggi al nostro esame.

L’intero processo di preparazione della direttiva sulla sicurezza dei giocattoli è stato illuminante, sia per me che per i colleghi presenti qui stasera. Da una posizione incentrata sulla volontà di vietare tutte le sostanze chimiche e le fragranze, abbiamo sicuramente imparato tutti che il mondo non è in bianco e nero. Personalmente ho acquisito maggiore consapevolezza di ciò che è possibile e ciò che, per converso, rende impossibile la produzione di giocattoli. Quindi, nell’affrontare questa direttiva sono partita dalla necessità di essere severi ma allo stesso tempo, ovviamente, di essere onesti. Penso che la proposta di cui stiamo discutendo sia assolutamente ragionevole. Contiene importanti miglioramenti delle norme vigenti sui giocattoli, sebbene esse risalgano al 1988. Penso che abbiamo raggiunto compromessi con il Consiglio e con la Commissione, il che significa che possiamo essere soddisfatti e, cosa ancora più rilevante, che i bambini possono continuare a giocare e i produttori possono continuare a costruire giocattoli, purché siano giocattoli sicuri.

Tra i miglioramenti più significativi presenti nella nuova proposta vorrei segnalare il fatto che adesso abbiamo norme chiare per l’uso di sostanze chimiche e fragranze. E’ importante aver chiarito quali sostanze possono essere utilizzate, perché potrebbe trattarsi di sostanze perturbatrici del sistema endocrino, cancerogene o allergizzanti. Non dobbiamo però proibire l’uso di tutte le sostanze se ciò non è necessario ai fini della tutela della salute, perché in quel modo renderemmo impossibile, ad esempio, la produzione delle biciclette per bambini. Sì, avete capito bene! Se vietassimo l’uso di tutte le sostanze chimiche, non potremmo più montare le ruote sulle biciclette dei bambini, e noi di certo non vogliamo che accada una cosa del genere, nonostante tutto. E quindi ripeto: dobbiamo essere severi, ma anche giusti.

Vorrei parlare anche delle trattative che abbiamo avuto nell’ambito del dialogo a tre, durante le quali non siamo riusciti a trovare un accordo sulla base giuridica per il rumore, i libri e la certificazione di un organismo terzo. Mi aspetto quindi veramente, signor Commissario, che le dichiarazioni così chiare della Commissione su questi punti abbiano un seguito, e noi come Parlamento faremo la nostra parte. Spero che giovedì l’assemblea si esprima al riguardo con una netta maggioranza. Attendo con interesse l’esito della votazione.

 
  
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  Heide Rühle, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, anch’io desidero ringraziare la relatrice e i colleghi. Tuttavia, come gruppo deploriamo di aver dovuto compiere questo lavoro entro tempi così stretti e pressanti. In particolare, lamentiamo che non ci sia stata una vera e propria prima lettura qui in Parlamento durante la quale anche le altre commissioni che si sono occupate della direttiva, come la commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare e la commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, avrebbero potuto far sentire la loro voce. Per come sono andate le cose, quelle commissioni sono state praticamente escluse dalla decisione. Ritengo che un simile comportamento sia rivelatore di un deficit democratico, cui il Parlamento deve ovviare. Dobbiamo definire più chiaramente gli orientamenti riguardo all’accordo di prima lettura che abbiamo ora.

Quando guardo alle cose positive che siamo riusciti a ottenere, devo dire che, in linea di massima, i miglioramenti apportati sono notevoli: abbiamo nuovamente migliorato la relazione della Commissione e i risultati che abbiamo conseguito in prima lettura sono in molti casi buoni. Ma anche per questo motivo avremmo potuto seguire una procedura vera e propria.

Ci sono carenze specialmente in tre aree, che ora illustrerò. La prima carenza riguarda la questione della certificazione da parte di un organismo indipendente. Saremmo stati pienamente favorevoli a un compromesso ancora più ampio su questo punto, ad esempio fissando l’obbligo per le imprese notificate più volte su RAPEX di sottoporsi a una certificazione speciale. Su questo punto saremmo stati disponibili a compiere indagini e valutazioni più approfondite, e anche a un compromesso, ma con la Commissione e con il Consiglio non è stato assolutamente possibile discuterne. Trovo che ciò sia estremamente deplorevole perché un eventuale accordo sulla certificazione di un organismo terzo – quanto meno per determinati giocattoli – sarebbe andato, a mio parere, a tutto beneficio della sicurezza dei giocattoli.

Un altro problema, già sollevato dall’onorevole Schwab, è il fatto che, su altre questioni, siamo invece troppo prudenti. Non conosco alcun caso in cui un bambino sia rimasto soffocato o abbia subito altri traumi a causa dei libri illustrati di cartone. Non riesco perciò a capire perché i libri illustrati di cartone siano considerati alla stregua di giocattoli e perché il CEN preveda per essi procedure particolari. Tutto ciò è incomprensibile. Avremmo fatto bene a decidere di escludere questi libri dall’ambito di applicazione della direttiva, cosa cui, sia detto per inciso, l’intera commissione era favorevole. Sarebbe stata questa la decisione giusta.

Penso che, a causa della fretta, la formulazione riguardante le sostanze CMR, che comprendono anche quelle cancerogene, in certi punti non sia abbastanza chiara. Anche qui presenteremo un emendamento per precisare, una volta di più, in quale direzione dobbiamo andare.

Ribadisco: avremmo potuto stilare un testo migliore se avessimo avuto più tempo a disposizione e se le altre commissioni avessero potuto essere coinvolte.

 
  
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  Seán Ó Neachtain, a nome del gruppo UEN. – (GA) Signor Presidente, il periodo natalizio è quello più impegnativo per i commercianti e i produttori di giocattoli. E’ strano che proprio i bambini, i soggetti più vulnerabili della nostra società, siano spesso esposti ai rischi derivanti da prodotti non conformi agli standard. Questi prodotti vengono da paesi molto lontani e spesso non sappiamo come siano stati realizzati né cosa contengano.

In tutto il mondo, negli ultimi cinque anni sono stati restituiti oltre 22 milioni di giocattoli. Solo nel mio paese, l’Irlanda, in quel periodo di tempo sono stati restituiti 120 000 giocattoli.

E’ preoccupante che i giocattoli venduti in Irlanda vengano da paesi lontani e che non sussista alcuna certezza quanto alla loro qualità. Bisogna porre fine a questa situazione. La direttiva in esame rappresenta un passo avanti, ma è solo un inizio. Dobbiamo continuare su questa strada e garantire la sicurezza di tali prodotti.

 
  
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  Eva-Britt Svensson, a nome del gruppo GUE/NGL.(SV) Capita ripetutamente di sentire di prodotti richiamati dal mercato in quanto pericolosi per i nostri figli. Per scoprire qual è la situazione sul mercato svedese dei giocattoli, il collega del Partito svedese di sinistra e io abbiamo acquistato a Stoccolma 17 giocattoli diversi, scelti a caso, e poi abbiamo chiesto a un laboratorio di sottoporli ad analisi. Uno dei giocattoli conteneva una quantità di piombo superiore a quella permessa, mentre altri cinque contenevano ritardanti di fiamma brominati. Questo è, ovviamente, del tutto inaccettabile e dimostra quanto sia necessaria una legislazione migliore, oltre che controlli migliori. I giocattoli nuovi dovrebbero essere sottoposti ad analisi indipendenti obbligatorie.

I bambini, come si sa, hanno fantasia e immaginazione e non usano i giocattoli soltanto nel modo pensato dal produttore. E’ difficile, per non dire impossibile, sapere in anticipo come un bambino utilizzerà un particolare giocattolo. Pertanto la legislazione deve valere anche per i giocattoli rotti, perché è in quel caso che vengono rilasciate alcune sostanze pericolose. La sicurezza e la protezione dei bambini non sono negoziabili. Su queste materie, il compromesso non è un’opzione. Accolgo con favore la direttiva, ma il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica avrebbe preferito se essa si fosse spinta più avanti, in particolare introducendo un divieto completo per le sostanze allergizzanti, cancerogene, mutagene e tossiche per la riproduzione. La sicurezza dei bambini è più importante del profitto immediato. Vi ringrazio.

 
  
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  Hélène Goudin, a nome del gruppo IND/DEM.(SV) Per me e per molti altri presenti qui stasera è evidente che i giocattoli dovrebbero essere sicuri, perché i bambini piccoli non sanno leggere le etichette con le avvertenze né valutare i possibili rischi. Questi prodotti non dovrebbero neppure contenere sostanze chimiche potenzialmente nocive per la salute. La Lista di giugno è pertanto dell’opinione che l’aggiornamento della legislazione vigente in questa materia sia un fatto positivo; allo stesso tempo, però, vorrei mettere in guardia da un malcelato protezionismo. Deve essere possibile importare e vendere nell’Unione europea giocattoli che soddisfano i requisiti di sicurezza, indipendentemente dal fatto che siano stati prodotti nell’Unione o in Asia. Vi ringrazio.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE). – (SK) Onorevoli colleghi, questa discussione avviene nel periodo prenatalizio, quando i giocattoli la fanno da padrone tra i regali di Natale.

Genitori ed educatori devono essere certi che i giocattoli in vendita sul mercato europeo soddisfano severi requisiti di sicurezza, mentre i bambini, essendo i consumatori più inermi, devono essere i più protetti. I problemi del principale produttore di giocattoli, la Mattel, hanno richiamato l’attenzione pubblica sull’importanza dei temi all’esame della commissione per il mercato interno e la tutela dei consumatori. E’ passato oltre un anno da quando il Parlamento europeo ha adottato una dichiarazione sulla sicurezza dei prodotti, soprattutto dei giocattoli, che ha dato il via alla preparazione del pacchetto sulla sicurezza dei prodotti approvato nel marzo 2008.

Sono grata alla relatrice per aver rispettato il compromesso raggiunto sul pacchetto concernente la sicurezza dei prodotti immessi sul mercato, al quale ho collaborato in qualità di corelatrice per il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) e dei Democratici europei. La direttiva riflette i progressi scientifici compiuti negli ultimi vent’anni e vieta l’utilizzo di materiali pericolosi nei giocattoli. I produttori dovranno anche individuare chiaramente gli allergeni che possono essere nocivi per i bambini di età inferiore a tre anni. Sono infatti tenuti ad applicare sui giocattoli avvertimenti ben visibili e adeguati, scritti in una lingua comprensibile ai consumatori. La direttiva prevede norme sull’apposizione del marchio CE, che rappresenta un risultato visibile dell’intero processo di incorporazione delle valutazioni di conformità nel senso più ampio del termine.

Mettendo un marchio CE su un giocattolo, il produttore attesta la conformità del giocattolo a tutti i requisiti vigenti e se ne assume la piena responsabilità. La stessa responsabilità vale anche per l’intera catena distributiva, e le autorità competenti per la vigilanza del mercato eseguiranno controlli di qualità e garantiranno che i prodotti in vendita rispettino appieno gli elevati standard di sicurezza.

Vorrei spendere una parola di lode per il lavoro compiuto dall’onorevole Thyssen, che è riuscita a concludere un accordo in prima lettura. Credo fermamente che il compromesso raggiunto garantisca più elevati livelli di sicurezza per i giocattoli senza limitare, allo stesso tempo, l’attività delle fabbriche di giocattoli, che sono prevalentemente di piccole e medie dimensioni.

 
  
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  Evelyne Gebhardt (PSE).(DE) Signor Presidente, sostanze chimiche cancerogene nei sonagli per bambini? Piombo nelle macchinine? Giocattoli morbidi che provocano allergie? I genitori hanno motivo di preoccuparsi quando è in ballo la sicurezza dei giocattoli dei loro figli.

Era senz’altro cruciale sostituire la direttiva precedente, vecchia di oltre vent’anni, con una aggiornata che tenesse conto delle scoperte più recenti – era necessario per la salute e la sicurezza dei bambini. Abbiamo raggiunto parecchio, e ne sono molto lieta, perché adesso avremo una maggiore protezione grazie alle norme più severe per le sostanze potenzialmente cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione. Avvertimenti ben visibili e formulati in maniera inequivocabile segnalano ai genitori le circostanze nelle quali un giocattolo potrebbe essere pericoloso. Inoltre, abbiamo vinto la sfida di vietare l’uso nei giocattoli di molte fragranze responsabili della diffusione di allergie. Questi sono tutti successi che abbiamo ottenuto come Parlamento europeo insieme con le altre istituzioni, Consiglio e Commissione.

Resta, tuttavia, ancora un punto irrisolto: volevamo la certificazione dei giocattoli da parte di organismi d’indagine indipendenti, per avere la certezza assoluta della sicurezza. Non basta che il giocattolo stia sullo scaffale del negozio e che vengano eseguiti controlli casuali. No, quello che serve è un comportamento molto più coerente, e dunque avremmo dovuto fare lo stesso che con le automobili: così come non è permesso che il produttore autocertifichi che le sue automobili possono circolare in sicurezza, allo stesso modo dovremmo prevedere anche per giocattoli un istituto indipendente – penso al TÜV – che accerti la conformità, e questo deve essere altrettanto ovvio e naturale quanto lo è per le automobili.

Ma la Commissione europea non lo voleva, né lo volevano il Consiglio dei ministri e la maggioranza dei conservatori e dei liberali. Trovo assolutamente deplorevole che non siamo ancora riusciti ad attuare un tale sistema; ma giovedì abbiamo la possibilità di votare un emendamento che potrebbe permetterci, nonostante tutto, di riuscire a ottenere qualche risultato a questo riguardo.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE-DE). – (CS) Nel settembre dell’anno scorso avevo messo in guardia, su YouTube e in altri modi, contro la crescente diffusione di giocattoli pericolosi e avevo promesso che avremmo adottato misure per garantire che, a Natale, il mercato dei giocattoli sarebbe stato più sicuro. Molti giornalisti hanno reagito in termini derisori; altri, invece, si sono resi conto dell’importanza della questione. Ne è seguita un’ondata di controlli talmente forte che nel periodo natalizio milioni di giocattoli pericolosi erano stati ritirati dal mercato, addirittura prima di Natale. Apprezzo la pronta risposta della Commissione europea alla nostra richiesta e la presentazione da parte sua di una direttiva nuova e più severa. Apprezzo molto anche l’efficiente lavoro svolto dall’onorevole Thyssen, né dimentico, ovviamente, la flessibilità dimostrata dalla presidenza francese.

La direttiva risponde ai nuovi sviluppi nel campo dei materiali artificiali e anche alle scoperte riguardanti i danni fisici ai bambini, eccetera. Pertanto, è più rigida nei confronti dei produttori, ma allo stesso tempo mette uno strumento più forte a disposizione degli organismi di controllo. Reputo estremamente importante che essa, tra l’altro, aumenti, anzi, trasferisca la responsabilità giuridica agli importatori. Dopo tutto, il problema principale non riguarda i produttori europei bensì le importazioni. L’80 per cento dei casi concerne i giocattoli prodotti in Cina. Sono convinta, inoltre, che entro l’anno prossimo, cioè già prima che la direttiva entri in vigore, gli importatori cominceranno a scegliere con grande attenzione le fabbriche – siano esse cinesi o di altri paesi – dalle quali importare giocattoli in Europa. E sceglieranno soltanto quei produttori che soddisfano gli standard europei. Sarebbe bello se si riuscisse a fare lo stesso anche per altri prodotti!

Oggi pomeriggio ho partecipato a una riunione con i produttori di giocattoli della Repubblica ceca e devo dire che essi hanno accolto con grande favore la direttiva e gli standard di armonizzazione. Naturalmente vorrebbero che aumentassimo la responsabilità giuridica degli istituti di analisi accreditati, perché talvolta succede che gli ispettori riscontrino la presenza nei giocattoli di determinati difetti, nonostante le analisi effettuate, peraltro a pagamento, e per i piccoli produttori questi costi non irrilevanti possono significare uno spreco totale di denaro.

Vorrei richiamare la vostra attenzione anche sul fatto che la direttiva viene aggirata, non solo quella vigente ma probabilmente anche quella nuova che approveremo questa settimana. Sebbene non sia concretamente possibile mettere un’etichetta con la scritta “questo non è un giocattolo” su prodotti che sembrano giocattoli, i produttori etichetteranno i propri giocattoli, purtroppo, come “decorazioni”. Pertanto, questa direttiva è solo un primo passo, perché resta ancora molto lavoro da fare.

 
  
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  Arlene McCarthy (PSE).(EN) Signor Presidente, è chiaro che, dopo i timori dell’anno scorso per la sicurezza dei giocattoli e i ritiri dal mercato nel periodo prenatalizio, la legislazione europea vigente in materia di sicurezza dei giocattoli, risalente al 1988, non è in grado di affrontare i nuovi rischi e le minacce per la sicurezza dei bambini. A distanza di vent’anni, l’80 per cento dei giocattoli venduti nell’Unione europea e il 95 per cento di quelli venduti nel mio paese sono importati da paesi terzi, prevalentemente dalla Cina. A distanza di vent’anni, abbiamo maggiori conoscenze sui rischi e i pericoli di determinate sostanze chimiche e d’altro tipo. A distanza di vent’anni, il design dei giocattoli è cambiato: oggi i giocattoli contengono magneti potenti e una maggiore quantità di componenti elettroniche, usano il laser ed emettono rumori più forti. Ecco perché le paure per la sicurezza dei giocattoli e i ritiri dal mercato si sono tradotti in un appello all’Europa affinché rivedesse radicalmente, aggiornasse e rafforzasse gli standard delle nostre norme sulla sicurezza dei giocattoli.

La nuova normativa va incontro al bisogno di rassicurazione dei genitori garantendo una maggiore sicurezza dei giocattoli in vendita nei nostri paesi: non sicurezza, bensì maggiore sicurezza. Gli importatori, e non soltanto i produttori, avranno la responsabilità di garantire che i giocattoli che immettono sul mercato europeo soddisfano i nostri nuovi e severi standard. Ai produttori è vietato usare nei giocattoli sostanze pericolose quali piombo, sostanze CMR e fragranze che possono provocare o scatenare allergie nei bambini.

Abbiamo inasprito le regole sui rischi di soffocamento; abbiamo introdotto avvertimenti chiari e più efficaci da applicare sui giocattoli. Ma le norme avere effetto soltanto se saranno applicate, ed è quindi positivo che la nuova legge attribuisca maggiori poteri agli organismi dei 27 Stati membri responsabili dell’attuazione della legge, i quali potranno ora chiedere tutte le informazioni necessarie di cui hanno bisogno riguardo a ciascun operatore della catena distributiva e, se del caso, potranno anche compiere ispezioni nei luoghi di produzione. Inoltre, tutti questi organismi dell’Unione europea sono tenuti per legge a collaborare tra loro e a condividere le informazioni per affrontare il rischio di giocattoli non sicuri.

Mi congratulo, pertanto, con l’onorevole Thyssen. Grazie alla buona collaborazione con la Commissione e la presidenza francese siamo riusciti a fare tre cose: abbiamo rispettato la scadenza prevista dalla risoluzione adottata dal Parlamento europeo l’anno scorso che ci impegnava a votare una nuova normativa sulla sicurezza dei giocattoli entro il Natale 2008. Credo che queste norme non possano migliorare col tempo. Oggi possiamo dare ai genitori la certezza che i giocattoli in vendita nell’Unione europea saranno più sicuri in futuro; inoltre, lanciamo anche un forte messaggio ai produttori, ai titolari di marchi e agli importatori, ai quali diciamo che, se non si atterranno ai nostri elevati standard di sicurezza, non ci sarà più posto per i loro prodotti sugli scaffali dei nostri negozi.

Votando a favore di queste norme, diciamo chiaramente che non siamo disposti a tollerare la presenza in Europa di giocattoli tossici o pericolosi.

 
  
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  Emmanouil Angelakas (PPE-DE). - (EL) Signor Presidente, signor Commissario, anzitutto mi voglio complimentare con la relatrice per l’eccezionale lavoro che ha svolto su una questione così difficile e delicata come la sicurezza dei giocattoli. L’onorevole Thyssen ha lavorato molto metodicamente nel corso delle discussioni con il Consiglio e la presidenza francese e nella commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori. Ha accolto numerosi compromessi al fine di arrivare a un testo finale in grado di migliorare la sicurezza dei giocattoli e allo stesso tempo di trovare un punto di equilibrio tra la protezione dei consumatori e una situazione sostenibile per i produttori di giocattoli. La direttiva del 1988 ha probabilmente soddisfatto le aspettative e garantito un alto grado di sicurezza dei giocattoli per vent’anni, ma adesso ha urgente necessità di revisione e aggiornamento perché oggidì ci sono sul mercato giocattoli di tipo nuovo, materiali nuovi e anche nuove fabbriche di giocattoli in paesi non appartenenti all’Unione europea.

Lo scopo principale era quello di assicurare la miglior protezione possibile per i bambini, migliori garanzie per i genitori sulla conformità dei giocattoli che acquistano per i loro figli a elevati standard di sicurezza, nonché sanzioni più severe per i produttori inadempienti sui requisiti previsti. Credo che abbiamo compiuto progressi su molti aspetti, come il divieto dell’uso nei giocattoli di sostanze chimiche cancerogene, che rappresentano un rischio per la salute dei bambini, la graduale riduzione dei metalli pesanti impiegati nella produzione dei giocattoli, quali cadmio e piombo, la riduzione del numero di sostanze aromatiche e allergizzanti, l’etichettatura separata per i giocattoli contenuti in alimenti e norme di sicurezza più severe per tutti i produttori di giocattoli.

Concludo facendo presente che la responsabilità assume forme diverse nel settore della sicurezza dei giocattoli, ed è per tale motivo che gli importatori e i distributori dovrebbero assicurare il rispetto delle regole. Credo che tutte le parti interessate, soprattutto le associazioni dei consumatori, ricorreranno ai meccanismi di controllo a loro disposizione per vigilare attentamente sull’applicazione della nuova direttiva. Oggi facciamo un grande passo avanti, e altri seguiranno certamente in futuro.

 
  
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  Christel Schaldemose (PSE). - (DA) Signor Presidente, allo stato attuale, la proposta di direttiva sulla sicurezza dei giocattoli comporterà che, tra due-quattro anni, i bambini europei potranno giocare con giocattoli molto più sicuri di quelli odierni. Questo va benissimo, oltre ad essere una necessità, e pertanto appoggio pienamente la proposta. Era doveroso migliorare la sicurezza rispetto ai livelli attuali, ed è un bene che l’abbiamo fatto. Ciò detto, ritengo anche, però, che stiamo di fatto perdendo un’occasione per rendere i giocattoli dei nostri figli non solo sicuri ma molto sicuri. In tanti sono già intervenuti sui problemi legati a questa proposta, e quindi mi concentrerò su un aspetto soltanto, quello delle fragranze.

La presenza nei giocattoli di aromi o fragranze costituisce senz’altro un problema, io credo. So bene che il lavoro che è stato fatto ci ha permesso di allungare l’elenco delle fragranze proibite, ma non credo che basti aggiungere voci a una lista; penso che dovremmo imporre un vero e proprio divieto. Se si è allergici alle nocciole, si può evitare di mangiarle; se si è allergici al nichel, si può evitare di usare prodotti che lo contengono. Ma se si diventa allergici ad aromi o fragranze, sarà difficile andare in luoghi pubblici perché non si può impedire ad altre persone di usarli. Penso quindi, molto semplicemente, che su questo punto avremmo dovuto essere più rigorosi e imporre un divieto assoluto sull’uso di fragranze, dimostrando così considerazione per i nostri figli. Le fragranze non hanno alcun effetto positivo sui bambini né sui giocattoli, e per imparare qual è il profumo di un fiore o di un frutto è meglio ricorrere al fiore o al frutto veri.

Detto ciò, è vero, ovviamente, che la proposta rappresenta un significativo miglioramento della situazione attuale, ed è molto positivo che abbiamo anche inasprito le norme sulla sorveglianza dei mercati e sulla responsabilità degli Stati membri. Credo pertanto che quello che mandiamo oggi agli Stati membri dovrebbe essere un segnale molto chiaro. Non finiremo mai di ricordare che sono proprio loro ad avere la responsabilità, che è a loro che spetta il compito di vigilare sul mercato meglio di quanto stanno facendo ora. Dobbiamo insistere affinché stanzino più soldi e più risorse per il controllo del mercato; in tal modo, inoltre, le norme nuove e più severe potranno espletare pienamente il loro effetto.

 
  
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  Colm Burke (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, accolgo con favore l’esito delle trattative nell’ambito del dialogo a tre e credo che il testo che voteremo costituisca un risultato equilibrato e positivo per tutti.

La sicurezza dei giocattoli è della massima importanza sia adesso che in tutti gli altri periodi dell’anno, perché sono in gioco la salute e la sicurezza dei nostri figli. Mi compiaccio che le norme previste dalla proposta in esame siano così severe e, tra l’altro, vietino l’uso di sostanze CMR e di fragranze allergizzanti.

Plaudo altresì al carattere equilibrato della proposta. Nell’Unione europea ci sono oltre 2 000 produttori di giocattoli. La grande maggioranza di essi sono molto attenti alla sicurezza dei giocattoli che immettono nel mercato e non dovrebbero esserci conseguenze a causa dei bassi livelli di sicurezza adottati da una piccola minoranza o dei bassi standard applicati da alcuni importatori e distributori.

Ciò che recenti episodi inquietanti ci hanno insegnato è che non dobbiamo reagire in maniera eccessiva e vietare taluni giocattoli in blocco, ma dobbiamo invece rafforzare l’attuazione delle norme già in vigore. Credo che questo testo sia equilibrato e pertanto desidero encomiare l’onorevole Thyssen e tutti coloro che si sono adoperati affinché la proposta di direttiva possa avere successo.

 
  
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  Hiltrud Breyer (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, i giocattoli tossici non devono finire nelle mani dei bambini e nessuno di noi vuole mettere sotto l’albero di Natale giocattoli tossici. Ma la Commissione si è occupata della direttiva sulla sicurezza dei giocattoli con scarsa convinzione e, purtroppo, la proposta non è stata migliorata da questo compromesso.

Non dobbiamo illuderci sulla sicurezza delle sostanze chimiche pericolose perché, nonostante il compromesso, permangono alcune lacune, e la prima di esse è la mancanza di un divieto chiaro sull’uso di metalli pesanti. Non si capisce perché sia ancora permesso usare cadmio e piombo nei giocattoli, e lo stesso vale per cromo, mercurio e zinco organico. Queste sostanze non devono venire a contatto con i bambini, neppure in quantità piccolissime. Quindi, Commissario Verheugen, lei non è stato sincero quando, in occasione dell’ultima azione di ritiro di giocattoli dal mercato, ha affermato che è vietato usare il piombo nei giocattoli.

Il compromesso introduce limiti aggiuntivi per sostanze ad alto rischio, anche se essi sono pari soltanto alla metà di quelli proposti dalla Commissione. Solo un netto divieto potrà garantire la sicurezza. Purtroppo, l’Unione europea si è sottratta alla sua responsabilità riguardo a questa forma evidente di protezione dei bambini.

Lo stesso discorso vale per le fragranze allergizzanti. In quel caso, non siamo riusciti a proibirle tutte, come avevamo proposto nella commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare. Anche i limiti previsti per il rumore sono deludenti, perché in merito non è stato concordato alcun obiettivo preciso.

 
  
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  Jacques Toubon (PPE-DE). (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, voglio soltanto sottolineare la capacità delle istituzioni comunitarie di reagire, in questo settore, per risolvere con efficacia i problemi dei nostri concittadini.

Nell’estate del 2007 si sono verificati diversi episodi che hanno creato scandalo. Il Parlamento invocò l’adozione di misure. La Commissione si è data da fare e oggi possiamo adottare questa direttiva sulla sicurezza dei giocattoli che costituisce un progresso importante.

Naturalmente il merito principale – bisogna riconoscerlo – va innanzi tutto e soprattutto alla nostra relatrice, al lavoro compiuto per conciliare quelle che, all’inizio, erano posizioni conflittuali. Oggi abbiamo davanti a noi un testo efficace ed equilibrato, il quale, per esempio, consentirà di riesaminare – e la Commissione si è testé impegnata in tal senso – gli standard da applicare ai libri per bambini e affronta con grande equilibrio la questione delle fragranze presenti in molti giocattoli.

Questa proposta è un esempio perfetto di legislazione fatta dagli europei per gli europei; non dobbiamo dimenticare il ruolo fondamentale svolto dalla nostra assemblea a tale riguardo.

 
  
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  Günter Verheugen, vicepresidente della Commissione. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei esaminare alcuni dei problemi che hanno caratterizzato questa discussione.

In primo luogo, riguardo alle sostanze chimiche, le norme previste dalla proposta in esame non possono essere inasprite ulteriormente. Non è possibile vietare completamente l’uso di sostanze chimiche perché esse esistono in quantità residuali in natura. Onorevole Breyer, non posso ovviare alla sua ignoranza delle regole della natura, ma con le sue parole lei non ha fatto altro che scatenare irresponsabilmente il panico: voglio dirlo con estrema chiarezza. Lei sta dando l’impressione che i legislatori europei mettano nelle mani dei bambini giocattoli avvelenati, mentre è vero esattamente il contrario. Respingo con fermezza l’insinuazione insita nel suo intervento.

Quello che abbiamo fatto con questa proposta non era mai stato fatto prima. Di solito, qui nel Parlamento europeo come altrove, la regola è che una sostanza è vietata se è stato dimostrato che è nociva. In questo caso, è successo il contrario: le sostanze sono vietate e possono essere autorizzate soltanto se si dimostra con certezza che sono sicure. Vorrei sapere cos’altro avremmo dovuto fare. Non possiamo fare nulla di più di quello che abbiamo fatto, e chiunque dia l’impressione che ciò che abbiamo fatto non assicuri una tutela adeguata dei bambini fuorvia – mi spiace dirlo – deliberatamente l’opinione pubblica europea. E non so spiegarmene il perché.

Le vostre osservazioni sul rumore – è ovvio che i giocattoli non devono causare danni all’udito – sono alquanto corrette: è per questo motivo che la direttiva contiene norme in proposito. I limiti di rumorosità, cioè i valori in decibel, sono stabiliti come avviene abitualmente nella legislazione europea; da questo punto di vista, la direttiva sulla sicurezza dei giocattoli non rappresenta alcuna eccezione. Le disposizioni di carattere tecnico fanno parte del processo di standardizzazione, e così avviene anche in questo caso. I limiti dei decibel saranno pertanto fissati nel corso del processo di standardizzazione, e la direttiva fornisce la base giuridica perché ciò possa avvenire.

Sulla questione dei libri, sono rimasto molto sorpreso quando essa è stata sollevata nei giorni scorsi. La parola “libri” non compare nemmeno una volta nel testo che abbiamo davanti. Non cambia nulla rispetto alla situazione attuale. Sembra che uno dei produttori tedeschi abbia lanciato una campagna di stampa su questo tema e abbia praticato un’intensa attività di lobbying qui nel Parlamento europeo. Non una sola parola corrisponde a verità: non cambia nulla rispetto alla situazione attuale. La Commissione vuole tuttavia garantire – perché è questa la cosa giusta da fare, come desidera il Parlamento – che gli standard applicabili siano migliorati e aggiornati. La Commissione pubblicherà istruzioni a tale riguardo.

Sulla certificazione da parte di un organismo terzo – e mi rivolgo ora a chi chiede l’istituzione di un TÜV per i giocattoli – l’idea che un giocattolo, o qualsiasi altro prodotto, possa essere reso più sicuro in Europa solo facendolo certificare da un ente terzo, indipendente, è purtroppo infondata. La Commissione dispone adesso dei risultati di studi condotti per molti anni sulla sicurezza dei prodotti e nulla – assolutamente nulla – suggerisce che la certificazione di un organismo terzo renda i prodotti più sicuri. Una certificazione del genere è richiesta nei casi in cui il prodotto sia estremamente complesso, e questo è un principio della legislazione europea cui il Parlamento europeo si è attenuto per moltissimo anni.

Mia cara onorevole Gebhardt, lo voglio dire nuovamente: esiste una certa differenza in termini di complessità tra un prodotto ad alta tecnologia come un’automobile moderna e un orsacchiotto di pezza. Penso proprio che un simile confronto sia parecchio azzardato.

Come al solito, questa direttiva richiede la certificazione di un ente terzo nei casi in cui non esistano standard di riferimento. Vi sollecito vivamente a non credere che tutto ciò che dovete fare per avere un giocattolo sicuro sia affidarvi alla certificazione di un organismo terzo. Non è possibile sventare i pericoli che si verificano nella realtà soltanto per mezzo della certificazione. Basta guardare ai casi che sono stati citati proprio in quest’aula: i problemi non hanno riguardato il prototipo di un prodotto sottoposto all’esame di un organismo terzo di certificazione, bensì la catena di distribuzione, i produttori erano inaffidabili. Solo chi costruisce un prodotto è in grado di garantire affidabilità e sicurezza assolute della catena di distribuzione. Vi sollecito vivamente a mettere da parte questo principio e a dare ai produttori la piena responsabilità della sicurezza dei loro prodotti. Non è vero che basta che i produttori dicano “Il mio prodotto è sicuro” o “Il mio giocattolo è sicuro”, perché devono essere in grado, su richiesta delle autorità responsabili della sorveglianza del mercato, di documentare le loro dichiarazioni in qualsiasi momento, pienamente e senza lacune. Quindi, ci saranno, e ci devono essere, dei controlli, e lo stesso vale per gli importatori.

A mio parere, alcune regole non possono essere inasprite ulteriormente perché assicurano già il massimo livello possibile di efficacia. Concordo tuttavia con chi ha detto che molto dipende dagli Stati membri, dalla loro disponibilità a prendere realmente sul serio i controlli del mercato e ad aumentare le possibilità di eseguirli.

Per quanto concerne le fragranze, anche qui non condivido appieno la logica delle argomentazioni proposte. Mi sorprende molto che si chieda di vietare l’uso nei giocattoli di fragranze che possono essere impiegate in cosmetici destinati ai bambini e che vengono applicati direttamente sulla loro pelle. Autorizzare l’utilizzo di fragranze nei cosmetici e vietarlo nei giocattoli, semplicemente perché non abbiano un odore così forte, è del tutto assurdo. Nondimeno, questa direttiva si spinge più avanti rispetto alla direttiva sui cosmetici laddove vieta l’uso di fragranze per le quali la direttiva sui cosmetici prevede soltanto l’obbligo di indicazione in etichetta. Anche a questo riguardo, perciò, non capisco cos’altro avremmo potuto fare.

Voglio concludere dicendo quanto segue: sono stati proposti emendamenti, e il Parlamento europeo è ovviamente libero di adottarli o respingerli. Devo tuttavia segnalare che questo testo rappresenta un compromesso complessivo tra Consiglio, Parlamento e Commissione e che, per esempio, l’emendamento dell’onorevole Gebhardt sulla certificazione di un organismo terzo impedirà tale compromesso. In altri termini, se il Parlamento europeo approva l’emendamento citato, la proposta di direttiva decadrà e non potrà essere adottata.

Non si può avere sempre tutto quello che si vuole. Questo è – ribadisco – un compromesso complessivo. E’ anche un compromesso equilibrato, che garantisce un livello di sicurezza dei giocattoli fattibile e necessario. Vi invito con forza ad approvare questo compromesso complessivo.

(EN)

Dichiarazioni della Commissione europea sull’adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla sicurezza dei giocattoli (relazione Thyssen)

Dichiarazione della Commissione europea sulla vigilanza degli aspetti della sicurezza (articolo 47)

Dopo l’entrata in vigore della direttiva rivista sulla sicurezza dei giocattoli, la Commissione seguirà da vicino tutti gli sviluppi correlati con la sua attuazione, per poter valutare se essa assicuri un adeguato livello di sicurezza dei giocattoli, con particolare attenzione all’applicazione delle procedure di accertamento della conformità previste dal capitolo IV.

La direttiva rivista sulla sicurezza dei giocattoli istituisce un obbligo di rendicontazione a carico degli Stati membri sulla sicurezza dei giocattoli, l’efficacia della direttiva e l’attività di sorveglianza del mercato svolta dagli Stati membri.

La valutazione da parte della Commissione sarà fondata, tra l’altro, sulle relazioni degli Stati membri che dovranno essere presentate tre anni dopo la data di applicazione della direttiva e dovranno riguardare in particolare la sorveglianza del mercato nell’Unione europea e ai suoi confini esterni.

La Commissione riferirà al Parlamento europeo al massimo entro un anno dalla presentazione delle relazioni degli Stati membri.

Dichiarazione della Commissione europea sui requisiti concernenti i giocattoli destinati a produrre un suono (allegato II, parte I, punto 10)

Alla luce del nuovo requisito fondamentale della sicurezza dei giocattoli destinati a produrre un suono, previsto dalla direttiva sulla sicurezza dei giocattoli, la Commissione incaricherà il CEN di fissare uno standard rivisto che limiti i picchi sia del rumore impulsivo che del rumore prolungato emesso dai giocattoli, al fine di tutelare adeguatamente i bambini dal rischio di danni all’udito.

Dichiarazione della Commissione europea sulla classificazione dei libri (allegato I, punto 17)

Tenendo conto delle difficoltà correlate ai test rilevanti prescritti dagli standard armonizzati dei giocattoli EN 71:1 per i libri fatti di cartone e carta, la Commissione incaricherà il CEN di fissare uno standard rivisto che preveda idonei test sui libri per bambini.

 
  
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  Marianne Thyssen, relatore. − (NL) Signor Presidente, signor Presidente della Commissione, signora Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, ringrazio tutti gli intervenuti per i loro contributi ed esprimo la mia soddisfazione per l’atteggiamento assunto dalle altre istituzioni politiche rispetto a questo fascicolo.

Vorrei segnalare, tuttavia, che non abbiamo a che fare con un compromesso nel quale il Parlamento europeo ha dovuto rinunciare a molte delle sue posizioni; è vero piuttosto il contrario. Abbiamo praticamente fatto piazza pulita degli elementi essenziali. Siamo riusciti a concludere buoni accordi con la Commissione e il Consiglio. Su molti punti, siamo riusciti a convincere le altre istituzioni ad accettare le nostre proposte molto severe e a spingersi un po’ più avanti di quanto previsto originariamente nella proposta della Commissione. Come relatrice posso pertanto dirmi molto soddisfatta, pensando all’accordo che abbiamo raggiunto.

Signor Commissario, ho ascoltato anche le sue dichiarazioni. Lei ha detto di tenere in grande considerazione la sorveglianza del mercato, e presumo che, durante la procedura di controllo, la Commissione valuterà con particolare attenzione il modo in cui gli Stati membri adempiranno il loro compito di vigilare sui mercati. Lei ha inoltre illustrato nuovamente la sua posizione sulle procedure di valutazione della conformità. Va da sé che nel processo di controllo possiamo inserire tutto quello che deve essere incluso. Tuttavia è vero che la certificazione di un organismo terzo non dà tanta sicurezza in più e che i problemi non sono legati al prototipo dal quale dipende la successiva catena di produzione, bensì stanno altrove.

Signor Commissario, lei ha detto anche di auspicare un’ulteriore regolamentazione degli standard del rumore, da fissare mediante un processo di standardizzazione, e lo stesso vale per i libri, che sono anch’essi disciplinati da standard, e ci ha invitati a pensare a un modo per garantire maggiore certezza del diritto a tale proposito. Penso che come Parlamento possiamo dirci soddisfatti di aver avuto contatti così positivi con le altre istituzioni. Credo che da essi verrà probabilmente uno splendido regalo di Natale per le famiglie europee, che d’ora in avanti potranno contare su giocattoli sicuri – anzi, più sicuri.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì, 18 dicembre 2008.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)

 
  
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  Adam Bielan (UEN), per iscritto. – (PL) Tutti noi vogliamo garantire che i giocattoli disponibili sul mercato non mettano in pericolo la sicurezza dei nostri figli. Anch’io sono convinto che i genitori devono avere la certezza che, quando acquistano un giocattolo, esso non comporti rischi per la salute dei loro figli. Ritengo nondimeno che l’imposizione di requisiti aggiuntivi di certificazione da parte di un organismo terzo, totalmente indipendente dal produttore, non possa migliorare in maniera significativa le garanzie di sicurezza dei giocattoli, mentre è certo che aumenterà i costi di produzione, con effetti negativi sul settore della produzione dei giocattoli in molti Stati membri.

In Polonia, per esempio, ci sono molte imprese che fabbricano giocattoli di ottima qualità in legno o sostanze sintetiche. La grande maggioranza di esse sono piccole e medie imprese con meno di dieci addetti. Norme più severe comporterebbero un notevole aumento del prezzo dei giocattoli muniti di questo tipo di certificazione, e la conseguenza sarebbe la chiusura di molte PMI e la perdita di migliaia di posti di lavoro.

Il requisito della valutazione indipendente del prodotto non ci garantisce che i nostri figli avranno giocattoli più sicuri, perché in ogni caso i consumatori sceglieranno il prodotto meno costoso. Credo perciò che il compromesso raggiunto con il Consiglio sia valido e meriti il nostro sostegno così come ci è stato proposto dalla relatrice.

 
  
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  Šarūnas Birutis (ALDE), per iscritto. – (LT) La direttiva in esame non muta, sostanzialmente, il sistema di regolamentazione vigente, ma lo migliora e lo inasprisce. Sono pienamente d’accordo con la relatrice sul fatto che la discussione di questo testo era incentrata soprattutto sui punti seguenti:

l’utilizzo nei giocattoli di sostanze cancerogene e chimiche e di fragranze,

le procedure di valutazione della sicurezza dei giocattoli e i requisiti di avvertimenti speciali,

l’ambito di applicazione della direttiva, la sua flessibilità e i suoi rapporti con altri testi legislativi comunitari.

Il divieto assoluto di usare sostanze cancerogene, mutagene, tossiche e allergizzanti e fragranze dovrebbe essere valutato dal punto di vista dell’applicazione pratica della direttiva. Può essere difficile o molto costoso eliminare i residui naturali di determinate sostanze dannose presenti in altri materiali e, di conseguenza, l’applicazione pratica ne risulterebbe complicata. Dall’altro canto, non sarà facile attuare forme di divieto categorico dell’uso di tutte le sostanze cancerogene, allergizzanti, eccetera per il semplice motivo che un elenco definitivo di tali sostanze non esiste né può esistere, ed è molto difficile effettuare una separazione netta tra le sostanze nocive e quelle non nocive.

La messa al bando di tutte le fragranze sarebbe una misura sproporzionata, con potenziali effetti negativi su determinati produttori di giocattoli.

Mi fa piacere che, durante la votazione, la commissione per l’industria, la ricerca e l’energia abbia dato prova di comprensione e non abbia usato la mano pesante nel rendere più severi i requisiti della direttiva, perché né le imprese né i consumatori ne avrebbero tratto beneficio. Quando i requisiti sono irragionevolmente rigidi, aumenta la tentazione di non osservarli, e quando vengono rispettati, ci sono effetti secondari negativi. Non dimentichiamo che, alla fine, a pagare per tutto è di solito il consumatore.

 
  
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  Małgorzata Handzlik (PPE-DE), per iscritto. – (PL) La discussione di oggi è particolarmente importante nel periodo prenatalizio. Nella corsa ai regali, non sempre ci fermiamo a riflettere sugli standard di sicurezza dei giocattoli che compriamo per i nostri amici e parenti più piccoli. Purtroppo, sul mercato europeo sono tuttora disponibili giocattoli non del tutto sicuri per i bambini.

I cambiamenti proposti nella direttiva hanno lo scopo di migliorare la situazione aumentando la sicurezza dei giocattoli in commercio e, cosa più importante, eliminando i pericoli inutili che i giocattoli possono rappresentare per i bambini che li utilizzano. Apprezzo in particolare le norme che sono state negoziate riguardo alle sostanze chimiche e al periodo transitorio.

La direttiva stabilisce standard molto più elevati di quelli attualmente vigenti, soprattutto in riferimento alla presenza nei giocattoli di sostanze chimiche, comprese le sostanze CMR, fragranze e allergeni. Credo che l’accordo concluso dalla relatrice su questo punto sia il miglior accordo possibile e ci consenta di garantire che i bambini potranno avere giocattoli assolutamente sicuri.

Oltre a ciò, la direttiva non introduce ostacoli e costi irragionevoli, soprattutto per le piccole e medie imprese. Le PMI rappresentano la grande maggioranza dei produttori di giocattoli. Negli incontri che abbiamo avuto con i loro rappresentanti, essi hanno insistito ripetutamente sulle difficoltà che potrebbero incontrare. Il breve periodo previsto per l’adeguamento ai nuovi requisiti è stato uno dei problemi citati a tale riguardo. Il periodo è stato ora prolungato per consentire alle imprese di adottare i necessari cambiamenti.

 
  
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  Katrin Saks (PSE), per iscritto. – (ET) Sono veramente molto soddisfatta che siamo riusciti ad adottare la direttiva sulla sicurezza dei giocattoli. E’ urgente e necessario aggiornare le norme vigenti. La vecchia direttiva, infatti, è ormai obsoleta e superata e non garantisce una protezione sufficiente. Ringrazio la relatrice e i suoi colleghi socialdemocratici per il duro lavoro che hanno svolto al fine di garantire un ambiente sicuro per i nostri figli.

E’ della massima importanza che gli alimenti e i giocattoli siano tenuti separati, per evitare il rischio che i bambini possano inavvertitamente mettere qualcosa in bocca e restare soffocati. Dobbiamo compiere ogni sforzo per prevenire incidenti evitabili, che nondimeno continuano ad accadere di tanto in tanto.

E’ ovviamente essenziale che i giocattoli non contengano sostanze cancerogene. Ciò è del tutto ovvio. Credo che abbiamo lavorato efficacemente per eliminare questo pericolo.

Poiché non sempre la pericolosità di un prodotto dipende dal suo design, e dato che i giocattoli possono diventare pericolosi a causa di difetti nel processo produttivo, è importante eseguire controlli nelle fabbriche e operazioni di ispezione sui mercati e negli uffici doganali, dove i giocattoli arrivano dai partner commerciali dell’Unione europea. Personalmente mi auguro che le ispezioni siano intensificate proprio adesso, prima di Natale.

Visto che la maggioranza dei giocattoli venduti sui mercati dell’Unione europea provengono dalla Cina, la cooperazione con i paesi terzi, e con la Cina in particolare, è d’importanza decisiva. Al riguardo voglio esprimere apprezzamento per gli sforzi compiuti di recente in questo campo e per il memorandum d’intesa concluso tra la Commissione europea e funzionari cinesi. Migliorando lo scambio di informazioni e la cooperazione, possiamo rendere più sicuri i giocattoli in vendita nei nostri negozi.

 
  
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  Richard Seeber (PPE-DE), per iscritto. – (DE) La crescente interconnessione dei mercati globali si è tradotta in innovazioni e rapidi cambiamenti dei prodotti, e i giocattoli per bambini non fanno eccezione. La direttiva sulla sicurezza dei giocattoli (88/378/CEE), però, risale al 1988 e quindi non è più aggiornata rispetto alle sfide odierne. La revisione di queste norme è pertanto un passo avanti molto opportuno. In particolare, le parti componenti i giocattoli devono essere valutate sulla base delle conoscenze più recenti e vanno assoggettate alla normativa comunitaria sulle sostanze chimiche. Ciò significa anche, ovviamente, che deve essere vietato l’uso nei giocattoli delle sostanze CMR 1 e CMR 2. Molto opportunamente, il testo in esame tiene conto anche della crescente diffusione delle allergie tra i bambini laddove inasprisce le norme sulle fragranze che possono essere utilizzate nei giocattoli. Un aspetto essenziale della sorveglianza sarà il ricorso ad avvertimenti ed etichette chiari: è infatti particolarmente importante che i giocattoli venduti insieme con alimenti siano provvisti di informazioni non ambigue. Per tale motivo, avvertimenti di facile lettura e comprensione vanno preferiti a un eccesso di informazioni di secondaria importanza.

 
  
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  Marian Zlotea (PPE-DE), per iscritto.(RO) La normativa che è ora al nostro vaglio è in vigore dal 1988 e non è più aggiornata, dato che i giocattoli oggi contengono componenti elettroniche e fanno rumore. La sicurezza dei nostri figli è la nostra priorità numero uno. La nuova direttiva ribadirà questa impostazione perché rappresenta un significativo miglioramento rispetto alla direttiva precedente. Dobbiamo vietare le sostanze pericolose per evitare di esporre i nostri figli a rischi inutili. I bambini non sono in grado di leggere le etichette e non hanno consapevolezza dei rischi cui sono esposti.

Credo che i miglioramenti apportati alla direttiva dopo le trattative non costituiscano oneri eccessivi neppure per l’industria. Gli importatori devono garantire che i giocattoli importati da paesi terzi siano sicuri e non mettano in pericolo la salute dei nostri figli. Basta che gli importatori scelgano giocattoli conformi agli standard europei. Le autorità devono eseguire controlli rigorosi sul mercato. Abbiamo bisogno di norme aggiornate per proteggere il benessere dei nostri figli.

 

17. Trasferimenti di prodotti legati alla difesa (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0410/2008), presentata dall’onorevole Rühle a nome della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la semplificazione delle modalità e delle condizioni dei trasferimenti all’interno della Comunità di prodotti destinati alla difesa [COM(2007)0765 – C6-0468/2007 – 2007/0279(COD)].

 
  
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  Heide Rühle, relatore. – (DE) Signor Presidente, purtroppo questo è un altro accordo in prima lettura, ma prevedo che ne parlerà più tardi l’onorevole Weiler.

Dobbiamo cogliere l’occasione di concludere un compromesso durante la presidenza francese. Attualmente, agli armamenti non si applicano le norme vigenti nel mercato interno, il che significa che tutti questi prodotti devono avere una licenza individuale: dai prodotti più semplici, come le viti o parti di uniformi, fino alle armi altamente complesse, per tutti è richiesta una licenza individuale. Tali licenze sono rilasciate da 27 sistemi nazionali diversi, e noi ora stiamo cercando di semplificare e armonizzare questa materia per fare maggiore chiarezza, affinché il lavoro vero – cioè le ispezioni – si possa concentrare sui sistemi complessi: in altri termini, affinché ci possiamo concentrare veramente sulle cose essenziali, invece di dover controllare tutto allo stesso modo per mezzo di licenze individuali.

Nondimeno è alquanto evidente che qualsiasi semplificazione di questo tipo non deve ridurre la responsabilità degli Stati membri per le esportazioni di armi e il loro controllo: assolutamente no. Questa responsabilità attiene principalmente alla procedura di rilascio delle licenze. Le licenze prevedono restrizioni dell’uso e dell’uso finale, che sono una componente fissa del prodotto e della sua fornitura e che il destinatario del prodotto è tenuto a rispettare. Un regolamento europeo deve rafforzare questa responsabilità degli Stati membri e imporre a tutti loro di applicare la stessa procedura.

La semplificazione in un settore così delicato come questo deve assolutamente tenere conto del fatto che nell’Unione europea le restrizioni sulle esportazioni nei paesi terzi vengono violate ripetutamente. Armi provenienti dall’Unione europea sono utilizzate in paesi noti per le violazioni dei diritti umani che vi vengono commesse; un esempio sono gli 82 veicoli militari corazzati che, nel settembre 2006, sono stati esportati in Ciad attraverso la Francia e il Belgio, in contrasto con la legislazione comunitaria. In precedenza, sebbene gli Stati membri avessero potuto, in teoria, chiedere al destinatario dei prodotti di adempiere le clausole sull’utilizzo finale, nella pratica non esisteva alcun modo di perseguire un destinatario in un altro Stato membro che riesportasse i prodotti, in violazione delle restrizioni.

Ad esempio, l’ONG Saferworld ha rilevato con rammarico che la Romania non ha sanzioni efficaci contro le violazioni del sistema nazionale di trasferimento delle armi. Con questa direttiva, noi vogliamo cambiare tale stato di cose; con questa direttiva, abbiamo aumentato le responsabilità degli Stati membri. Va tuttavia precisato che la direttiva si fonda sulla legislazione concernente il mercato interno, sull’articolo 95 del trattato CE, ossia il primo pilastro del trattato, e per tale motivo non è stato purtroppo possibile includere gli accordi di politica estera direttamente nel secondo pilastro, come nel caso del codice di condotta europeo sulle esportazioni di armi. Anche così, possiamo comunque richiamarci a un considerando nel quale si afferma esplicitamente che sono gli Stati membri ad avere la responsabilità in questo campo.

La mia preoccupazione principale in qualità di relatrice del Parlamento europeo era quella di aumentare la trasparenza e i controlli democratici, per prevenire violazioni e punirle, qualora siano commesse. Le premesse per facilitare i trasferimenti di armi sono una maggiore responsabilità di tutte le parti interessate e una maggiore fiducia reciproca.

In particolare, abbiamo rafforzato due procedure per il rilascio di licenze, cioè, primo, l’autorizzazione globale e, secondo, l’autorizzazione generale, e in tal modo abbiamo previsto obblighi chiari per le imprese che chiedono un’autorizzazione generale. In futuro quelle imprese dovranno essere certificate, perché questo sarà l’unico modo per ottenere autorizzazioni generali. La certificazione sarà concessa soltanto a fronte di una totale affidabilità dell’impresa, fino ai più alti livelli manageriali, sotto il profilo del rispetto delle restrizioni sulle esportazioni. Gli Stati membri devono non soltanto revocare le certificazioni alle imprese che non ottemperano a queste restrizioni, ma devono anche punirle. In futuro sarà reso pubblico un elenco delle imprese munite di autorizzazioni generali attraverso registri pubblicamente accessibili; l’opinione pubblica avrà così maggiori possibilità di controllo in un clima di maggiore trasparenza. Anche le autorizzazioni generali dovranno essere pubblicate, con tutti gli obblighi che ne conseguono.

Tutti gli Stati membri devono applicare gli stessi criteri di certificazione delle imprese, e questo è un punto particolarmente importante. La direttiva, quindi, aumenterà la pressione sugli Stati membri che finora hanno autorizzato e gestito le esportazioni di armi senza alcuna trasparenza. Ciò significa che un settore particolarmente incline alla corruzione – stando a quanto afferma Transparency International – per la prima volta diventerà, com’è giusto, trasparente.

 
  
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  Günter Verheugen, vicepresidente della Commissione. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, oggi facciamo un grande passo avanti in direzione di un mercato interno dei prodotti destinati alla difesa. Nel contempo, però, non neghiamo agli Stati membri il diritto di decidere autonomamente delle loro rispettive politiche di esportazione in questo delicato settore. Questa è l’unica soluzione possibile per una questione molto difficile. Ringrazio specificamente la relatrice onorevole Rühle per il suo impegno forte ed efficace. Ringrazio anche i relatori ombra, cui va una parte notevole del merito del successo.

Desidero esprimere la mia gratitudine anche alle presidenze francese e slovena, grazie alle quali è stato possibile compiere progressi molto rapidi nei negoziati con il Consiglio. E’ decisamente notevole che siamo riusciti ad adottare una proposta così difficile in meno di un anno, già oggi.

Chi avrebbe pensato dieci anni fa, quando la Commissione avanzò per la prima volta l’idea di un mercato interno dei prodotti destinati alla difesa, che ce l’avrebbe fatta? Non credo che molti ci credessero, ma la nostra perseveranza è stata premiata. Oggi siamo alla vigilia di un evento importante: gli Stati membri non considereranno più gli altri Stati membri come paesi terzi in riferimento alle esportazioni di armi, bensì come partner, e ciò rappresenterà una dichiarazione chiara e politicamente importante sull’integrazione europea.

Né va sottovalutata l’importanza economica di questo fatto. In futuro i soldi dei contribuenti saranno usati in modo più efficiente, perché la specializzazione si sostituirà all’attuale pratica della duplicazione del lavoro, che è più costosa. La nostra industria diventerà più concorrenziale a livello internazionale, soprattutto nel caso delle piccole e medie imprese, per le quali sarà più facile accedere al mercato grazie a norme più chiare e più prevedibili.

Infine, le forze armate degli Stati membri potranno contare su maggiore certezza dei rifornimenti e maggiore scelta nella qualità dei loro armamenti, e, visto che potranno comprarli all’interno dell’Unione europea, è molto probabile che le nuove norme finiscano per costituire un incentivo ad acquistare prodotti europei invece che di altri paesi.

Infine, da queste norme mi attendo anche maggiore sicurezza per tutti. Esse ci permetteranno veramente di risparmiare sui controlli intracomunitari, lasciando così agli Stati membri più fondi disponibili per incrementare i controlli sulle esportazioni in paesi terzi. Ribadisco quanto testé detto dall’onorevole Rühle sulle pratiche correnti, e sono pienamente d’accordo con lei sulla necessità di maggiori controlli. Molte persone hanno lavorato sodo per conseguire questo risultato, e oggi lo abbiamo raggiunto insieme. Ne sono molto grato a voi tutti.

 
  
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  Hannes Swoboda, relatore per parere della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevole Rühle, desidero esprimere sincera gratitudine all’onorevole Rühle. Al pari del commissario, credo anch’io – e con me la commissione per l’industria, la ricerca e l’energia – che dobbiamo migliorare le condizioni iniziali per l’industria degli armamenti. Vista la forte concorrenza, soprattutto da parte degli Stati Uniti d’America, occorre creare e garantire parità di condizioni per la concorrenza.

Ciò non significa, come è già stato osservato, che non ci sarà più bisogno che i singoli Stati membri abbiano propri principi riguardo alle esportazioni di armi; nondimeno dobbiamo prevedere procedure semplificate laddove ciò è necessario e possibile, se non altro per ridurre la burocrazia.

Vale la pena ribadire che c’è bisogno di trasparenza. Una maggiore trasparenza porterà con sé un più forte senso di sicurezza, semplificherà le procedure e renderà più facile scoprire eventuali abusi nelle circostanze attuali.

E’ evidente che ci dovranno essere controlli regolari, per garantire il rispetto delle regole e dei principi stabiliti, e se ne dovrà ovviamente tenere nota nei vari documenti commerciali.

Voglio infine sottolineare che non possiamo rinunciare alle sanzioni, non perché vogliamo assolutamente imporle, ma perché dobbiamo dire in modo chiaro e netto che, se vogliamo norme semplificate che vadano bene per l’industria, ci deve essere in cambio maggiore pressione per garantire il rispetto di quelle stesse regole. Sotto questo profilo, penso che la relazione sia ottima e che stiamo effettivamente compiendo un passo importante verso un mercato interno dei prodotti destinati alla difesa.

 
  
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  Jacques Toubon, a nome del gruppo PPE-DE. – (FR) Signor Presidente, sono molto lieto che possiamo adottare questa proposta di direttiva perché è la prima volta che uno strumento comunitario semplificherà i trasferimenti tra gli Stati membri in un campo molto delicato, quello dei prodotti destinati alla difesa.

Si tratta di un vero progresso per il mercato interno delle forniture per la difesa, un progresso che dobbiamo sia al lavoro svolto dal Parlamento, e in modo particolare dalla nostra relatrice onorevole Rühle, sia agli sforzi compiuti dal Consiglio e dalla Commissione dopo le nostre discussioni di un mese fa e dopo il voto nella commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori.

Il testo persegue un duplice obiettivo: uno di politica industriale – il che è eccellente per le industrie europee degli armamenti – e uno correlato alla politica per il mercato interno, che consiste nel facilitare la circolazione di questi prodotti tenendo conto delle loro caratteristiche specifiche.

Siamo in effetti riusciti a trovare un punto di equilibrio che ci permette di tutelare gli interessi degli Stati membri nel campo della sicurezza, dato che nel testo si fa continuo riferimento agli articoli 30 e 296 del trattato, e di mettere gli Stati membri in condizione di portare avanti la cooperazione intergovernativa, fondata su lettere d’intenti, che è già in atto. Prevedendo la certificazione e licenze generali e globali, il testo offre un rilevante contributo a una maggiore fiducia reciproca tra gli Stati membri riguardo ai trasferimenti. Le esportazioni nei paesi terzi sono escluse molto chiaramente da queste norme, le quali operano anche una netta distinzione tra il primo pilastro, riguardante il mercato interno, e il secondo pilastro.

Credo veramente che questa direttiva dovrebbe essere accolta con favore, soprattutto perché la settimana scorsa, l’8 dicembre, il Consiglio ha adottato nel contempo la posizione comune sul codice di condotta, rendendolo vincolante, dopo che per tre anni la questione era rimasta in stallo. Questa era una richiesta del Parlamento, che oggi viene soddisfatta.

Allo stesso modo, il testo fa parte di una rinascita della politica europea di sicurezza e di difesa che il Consiglio europeo ha deciso venerdì scorso. In tale contesto, riusciremo a raggiungere il noto obiettivo di 60 000 uomini in 60 giorni. E’ chiaro che stiamo facendo sia buoni risparmi sia una buona politica estera.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. BIELAN
Vicepresidente

 
  
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  Manuel Medina Ortega, a nome del gruppo PSE.(ES) Mi pare che la relatrice e gli oratori che mi hanno preceduto abbiamo illustrato gli elementi principali di questa proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio.

Con la proposta si riconosce che anche le armi e le munizioni fanno parte nel mercato interno, sia pure, ovviamente, con una serie di restrizioni. Non si tratta di merci normali – non sono né caramelle né giocattoli – bensì oggetti che vanno sottoposti a controlli accurati.

Ovviamente il trattato prevede restrizioni al riguardo, negli articoli 30 e 296, che attribuiscono agli Stati membri notevoli responsabilità in questo settore. Il fatto che ci sia un mercato interno non esonera gli Stati membri dal loro obbligo di rispettare gli standard di sicurezza e non li priva del loro diritto di applicarli quando la loro sicurezza sia minacciata.

Il lavoro che è stato compiuto dalla commissione giuridica e dalle commissioni che hanno collaborato con propri pareri, d’intesa con il Consiglio e sotto l’esperta guida della relatrice onorevole Rühle, è stato estremamente proficuo.

A mio parere, il testo che stiamo esaminando è ben equilibrato. In sostanza, anche se sono stati presentati molti emendamenti, oggi ci limitiamo a discuterne uno soltanto, il n. 63, perché esso sintetizza lo spirito del compromesso. Il contenuto e la formulazione dell’emendamento sono coerenti e permetteranno a questo intero mercato di funzionare in maniera efficace.

L’onorevole Toubon ha osservato che questo testo si collega ad altri documenti di validità internazionale, tra cui la convenzione di Oslo sulla messa al bando delle munizioni a grappolo, che sarà adottata, o, meglio, firmata questo mese, la convenzione sulla limitazione dell’uso di mine antiuomo e tutta una serie di accordi internazionali, tra cui le norme comunitarie, che mirano a restringere l’uso delle armi. Credo che il nostro modello non sia quello di favorire la libera circolazione delle armi in ogni momento, bensì di regolamentare un mercato controllato sia dagli Stati membri sia, d’ora in avanti, dalle stesse istituzioni europee.

 
  
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  Leopold Józef Rutowicz, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, il parere della commissione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla semplificazione delle modalità e delle condizioni dei trasferimenti all’interno della Comunità dei prodotti destinati alla difesa è sicuramente un documento necessario. Ringrazio l’onorevole Rühle per il lavoro e l’impegno che ha dedicato alla preparazione del documento.

La direttiva semplifica il funzionamento del mercato interno; inoltre, lo rende più competitivo senza tuttavia limitare le disposizioni legate alla specifica realtà di un determinato paese. La direttiva tutela gli impegni internazionali dell’Unione europea e dei suoi Stati membri in relazione al commercio di prodotti destinati alla difesa. Le norme adottate possono ostacolare le attività delle piccole e medie imprese, a causa dei requisiti formali che sono previsti, e questo è un aspetto di cui va tenuto conto in sede di revisione dell’attuazione della direttiva. Alla luce degli importanti progressi tecnici compiuti e dell’assunzione di nuovi impegni, ad esempio in riferimento alle mine antiuomo e alle munizioni a grappolo, è necessario tenere costantemente aggiornato l’elenco comune delle attrezzature militari dell’Unione europea.

Gli emendamenti presentati sono validi. E’ bene evitare ripetizioni. Noi appoggiamo questa direttiva.

 
  
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  Tobias Pflüger, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, lo scopo principale di questa proposta di direttiva della Commissione è “un corretto funzionamento del mercato interno”. L’obiettivo è quello di semplificare le esportazioni di armi intraeuropee, il che ha ovviamente ripercussioni anche sulle esportazioni di armi al di fuori dell’Unione. In buona sostanza, tutto ciò comporterà un aumento delle esportazioni di armi, e la relazione dell’onorevole Rühle non fa nulla per cambiare tale orientamento di fondo della direttiva. Sono stati presentati alcuni emendamenti che vanno nella giusta direzione, ad esempio quelli che prevedono l’esclusione delle mine antiuomo e delle munizioni a grappolo. La direttiva mira chiaramente – e lo si afferma anche nel comunicato stampa del Parlamento europeo – a rafforzare l’industria europea degli armamenti di fronte alla concorrenza esterna. In tal modo si incoraggiano le tendenze oligopolistiche nell’industria degli armamenti dell’Unione europea, dato che soltanto sei dei suoi Stati membri dispongono di un’industria militare importante: Germania, Francia, Regno Unito, Svezia, Italia e Spagna. Ma soprattutto, la direttiva mira a dare a quei paesi aiuti alle esportazioni. Le esportazioni intracomunitarie di armi comportano anche esportazioni di armi a paesi in guerra, come nel caso del Regno Unito, impegnato in Iraq, e della Germania, impegnata in Afghanistan.

Leggendo il considerando 24 della direttiva si scopre che persino il codice di condotta, che per fortuna è diventato giuridicamente vincolante, è lasciato alla discrezione degli Stati membri. Secondo il considerando, dato che la decisione di autorizzare o vietare un’esportazione è e dovrebbe restare di competenza degli Stati membri, la cooperazione dovrebbe fondarsi soltanto su un coordinamento volontario delle politiche di esportazione. Non abbiamo bisogno di aiuti per il mercato delle armi e dei prodotti militari; abbiamo bisogno di una direttiva sul disarmo e sulla riconversione delle armi.

 
  
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  Nils Lundgren, a nome del gruppo IND/DEM.(SV) Signor Presidente, sono un convinto sostenitore del mercato interno dell’Unione europea, ma i prodotti destinati alla difesa non sono come tutti gli altri beni e servizi. Quando un paese esporta prodotti destinati alla difesa, prende una posizione ben precisa sulle questioni di politica estera e di sicurezza, e deve anche essere in grado di assumere le relative responsabilità. Le giustificazioni addotte riguardo alla proposta della Commissione di un nuovo sistema per i trasferimenti di prodotti destinati alla difesa sono l’efficienza e la sicurezza delle forniture, e la relatrice onorevole Rühle appoggia nel complesso la proposta della Commissione. Ma questa argomentazione è fuorviante. Se il trattato di Lisbona viene portato a compimento dalla potente elite europea in violazione delle regole della democrazia – e tale ipotesi appare probabile -, la proposta ora in discussione rappresenterà un passo importante verso l’unione militare. Non dobbiamo permettere che ciò accada. Le soluzioni intergovernative in questo campo sono un modo di procedere compatibile con una politica estera e di sicurezza nazionale indipendente. Sono soluzioni valide. I paesi nordici stanno avviando negoziati su questi temi. La ringrazio per avermi dato l’opportunità di parlare.

 
  
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  Malcolm Harbour (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, in qualità di coordinatore della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori accolgo con favore questa proposta e ringrazio gli onorevoli Toubon e Rühle, che, in particolare sotto la guida dell’onorevole Rühle, hanno rappresentato gli interessi del nostro gruppo con estrema efficacia.

Come molti di voi sanno, sono molto sensibile alla questione del mercato interno, ma lo sono altrettanto riguardo alla necessità che gli Stati membri detengano il controllo totale sulla difesa e sulle forniture di equipaggiamenti destinati alla difesa, nel loro stesso interesse nazionale. Il vantaggio della proposta è che abbiamo abilmente combinato queste due cose. Ringrazio la relatrice e anche il Consiglio per aver accolto emendamenti che danno maggiori garanzie in merito al fatto che gli Stati membri continueranno ad avere il pieno controllo sulle condizioni per il rilascio delle licenze, sui prodotti interessati, sull’uso dei prodotti e sulla loro destinazione.

Dall’altro canto, essendo un fervente sostenitore del mercato interno e, soprattutto, il rappresentante di un settore in cui operano tante piccole imprese molto attive nel comparto della difesa – e l’industria britannica di produzione di beni destinati alla difesa è la più grande nell’Unione europea – devo dire che di questa proposta beneficeranno molto le imprese che ricevono commesse grandi e complesse. Non ci sarà bisogno di quel tipo di burocrazia che la Commissione ha giustamente individuato. Secondo le statistiche della Commissione, citate poco fa, attualmente vengono rilasciate ogni anno circa 11 000 licenze e dal 2003 nessuna licenza è stata negata. In effetti, quello che stiamo facendo è semplificare il processo per affrontare la questione di un controllo corretto, invece di rilasciare pezzi di carta che in realtà non comportano la ben che minima differenza per le PMI interessate. Quindi, nello stesso momento in cui approviamo la norma sulle piccole imprese, cerchiamo di far progredire il mercato interno e di migliorare le basi industriali.

Questa è una proposta molto valida e sono certo che domani il Parlamento la sosterrà.

 
  
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  Jan Cremers (PSE).(NL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, anch’io ringrazio la relatrice onorevole Rühle. Per il gruppo socialista al Parlamento europeo era prioritario, durante le trattative, che la direttiva non si limitasse a creare condizioni di maggiore parità per la concorrenza tra le industrie, ma garantisse anche più trasparenza, più controllo e più rispetto delle norme.

Per il mio gruppo è, inoltre, decisivo che, nel semplificare le condizioni per i trasferimenti all’interno della Comunità dei prodotti destinati alla difesa, si considerino in maniera adeguata le eventuali implicazioni di tale semplificazione per i paesi terzi, tenendo conto di possibili trasferimenti di armi a paesi in via di sviluppo.

E’ per tale motivo che, durante le trattative sul nuovo sistema di concessione di licenze per prodotti destinati alla difesa, ci siamo espressi a favore del miglioramento dei controlli lungo i confini esterni dell’Europa e di un sistema che non ostacoli in alcun modo la collaborazione tra gli Stati membri nel quadro del codice di condotta sulle esportazioni di armi.

Durante le trattative, il Consiglio ha condiviso la posizione del Parlamento sulla necessità di fare maggiore chiarezza su chi compra e vende prodotti destinati alla difesa, sui termini e le condizioni che tali soggetti devono rispettare, nonché sulla necessità di irrogare sanzioni chiare – compresa l’espulsione dal mercato – alle imprese che non si attengono agli accordi.

Nella precedente sessione plenaria a Bruxelles ho dichiarato di essere favorevole alla trasformazione del codice di condotta volontario in uno strumento giuridicamente vincolante. Mi ha fatto piacere scoprire che, la settimana scorsa, il Consiglio ha deciso in tal senso, oltre ad approvare regole più severe per le esportazioni di componenti di armi. A questo ritmo, l’Europa sarà presto in grado di dare l’esempio nel campo dei trasferimenti di prodotti destinati alla difesa, e di un simile esempio c’è disperato bisogno.

 
  
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  Charlotte Cederschiöld (PPE-DE).(SV) Migliorando il mercato – ché è proprio questo ciò che la direttiva farà – aumenteremo anche le opportunità per l’industria della difesa sul mercato europeo. Abbiamo appreso che i precedenti sistemi di rilascio delle licenze erano complicati e onerosi dal punto di vista amministrativo e hanno inoltre ostacolato la distinzione tra i partner leali con cui collaboriamo nei paesi confinanti e i nuovi soggetti dei paesi terzi. Questa situazione sta cambiando per effetto della riduzione dei limiti sui trasferimenti e dell’armonizzazione e semplificazione delle norme, cosa di cui beneficeranno, ovviamente, i paesi leader del mercato.

Il mio paese ha un’industria della difesa altamente competitiva e sul piano internazionale godiamo di buona credibilità per quanto riguarda le operazioni di mantenimento della pace e le azioni di promozione della democrazia. Per tale motivo, è stato straordinariamente importante per noi, per me come per il mio governo, conservare il controllo totale del nostro paese sulle esportazioni nei paesi terzi. Non possiamo in alcun modo accettare una situazione in cui gli Stati con un atteggiamento più tollerante verso i paesi non democratici e belligeranti acquistano armi dalla Svezia per esportarle poi in altri paesi, al di fuori del nostro controllo.

Vogliamo garanzie quanto al fatto che i prodotti destinati alla difesa che vendiamo non finiscano nelle mani sbagliate, e l’introduzione dei documenti noti come “certificati del destinatario finale” ci danno tali garanzie. Sono pertanto favorevole al compromesso che è stato presentato in plenaria, nel quale nutro grande fiducia, e ringrazio tutti coloro che hanno collaborato a questo testo per il loro eccellente lavoro.

 
  
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  Barbara Weiler (PSE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, apprezzo molto l’impegno profuso dall’onorevole Rühle e domani probabilmente voterò a favore della sua relazione, ma ho ancora qualche dubbio di carattere sostanziale e procedurale.

Il mercato interno dei prodotti destinati alla difesa e la promozione della concorrenza non sono, a mio parere, obiettivi fini a sé stessi. Come gruppo socialista al Parlamento europeo non vogliamo una nuova militarizzazione dell’Unione europea; invero, con queste norme cerchiamo di ottenere qualcosa di diverso. Vogliamo maggiore trasparenza, e l’avremo. Vogliamo una cooperazione più efficiente tra gli Stati membri, che porti anche a una riduzione delle spese dei bilanci nazionali della difesa. Né va sottovalutato – e qui mi rivolgo in particolare a questa parte dell’emiciclo – che tali norme vincolati contribuiranno infine a prevenire la corruzione. Sappiamo tutti quanto questo settore possa essere incline alla corruzione.

Un altro risultato positivo delle trattative è che non sono state intaccate le più severe restrizioni sulle esportazioni di alcuni paesi, come Svezia e Germania.

Ma ci sono ancora due motivi di amarezza: la mia proposta di attuare il controllo democratico, per la prima volta, attraverso la vigilanza parlamentare è stata purtroppo respinta dalla commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori; il secondo motivo di amarezza è che non abbiamo potuto ripresentare questa proposta perché non c’era stata una vera e propria discussione parlamentare. Qui non stiamo parlando di scarpe da tennis, stiamo parlando di prodotti pericolosi, dannosi, e credo quindi che il dialogo a tre informale – come viene innocuamente chiamato, che si tratti del pacchetto sul cambiamento climatico, di giocattoli o di altre norme – non debba avere spazio in un parlamento moderno.

 
  
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  Marian Zlotea (PPE-DE) . – (RO) Desidero innanzi tutto congratularmi con la relatrice onorevole Rühle e con il relatore ombra del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) e dei Democratici europei onorevole Toubon per l’eccellente lavoro che hanno compiuto, considerato anche il carattere tecnico della relazione.

Signor Presidente, attualmente ci sono 27 mercati nazionali per i prodotti destinati alla difesa; in altri termini, abbiamo a che fare con un uso inefficiente delle risorse. Un voto a favore di questa proposta di direttiva costituirebbe un passo importante per gli Stati membri sotto il profilo delle questioni connesse con la difesa e darebbe attuazione a un nuovo sistema di licenze standardizzate per i prodotti destinati alla difesa.

Gli Stati membri devono decidere di fissare i termini e le condizioni per ciascun tipo di licenza, compresi i prodotti disciplinati da ciascuna di esse, a seconda delle imprese che le utilizzano. Se un’impresa desidera acquistare un prodotto per il quale esiste una licenza in un altro paese membro, c’è bisogno della certificazione da parte dello Stato membro in cui si trova l’impresa interessata. Creare tipi diversi di licenza per i trasferimenti all’interno dell’Unione europea dei prodotti e servizi destinati alla difesa permetterebbe di abbassare le barriere che attualmente impediscono la libera circolazione e lo scambio di prodotti destinati alla difesa nel mercato interno, oltre a eliminare una parte delle distorsioni della concorrenza.

Dare attuazione a queste misure è solo una parte di un’iniziativa enorme tesa ad aumentare il numero e la frequenza dei progetti futuri correlati alla sicurezza e alla difesa che vengono assegnati mediante appalti pubblici, ovviamente in conformità delle convenzioni internazionali.

Concludo esprimendo fiducia quanto alla possibilità che gli emendamenti di compromesso che sono stati concordati dopo le trattative rappresentino il giusto mezzo vantaggioso per tutti. Vi ringrazio.

 
  
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  Geoffrey Van Orden (PPE-DE). (EN) Signor Presidente, sebbene molti elementi di un mercato interno efficiente possano essere benvenuti, la difesa e quindi, per estensione, l’industria ad essa correlata sono un caso molto particolare perché rivestono un’importanza strategica vitale per il loro paese.

Come già osservato da altri oratori, sei dei 27 Stati membri dell’Unione europea assorbono oltre l’80 per cento delle spese per la difesa e il 98 per cento di quelle per la ricerca e lo sviluppo. Questi sei paesi stanno già predisponendo regole comuni per il rilascio di licenze su base volontaria. Chiedo quindi alla Commissione perché reputi così importante avere una direttiva di questo tipo.

Devo ammettere che essa sembra innocua. Per quanto riesca a capire, la proposta di direttiva non istituisce una competenza comunitaria nel campo del commercio di prodotti destinati alla difesa. Gli ambienti dell’industria della difesa con i quali ho parlato sembrano alquanto tranquilli in proposito, ma l’onorevole Rühle pensa che la cosa più importante siano le sanzioni e i controlli sulle esportazioni, e il commissario Verheugen ha sottoscritto questa posizione, mentre l’onorevole Toubon rileva che le esportazioni non sono comprese nel testo.

Ho notato che la Commissione avrà il compito di rivedere l’applicazione della direttiva e ne valuterà l’impatto sullo sviluppo di un mercato europeo dei prodotti destinati alla difesa e di una base tecnologica e industriale europea nel campo della difesa. Sarebbe strano se la Commissione dedicasse così tanto tempo a un progetto del genere avendo soltanto l’intenzione di semplificare le regole e le procedure.

Trovo curioso che, mentre il Regno Unito ha la più grande industria della difesa di tutti i paesi dell’Unione europea, nella direttiva vi siano ben pochi vantaggi per il Regno Unito. A dire il vero, c’è un aumento della burocrazia e si dovrà introdurre un nuovo concetto delle imprese certificate. Non sono certo che per giustificare l’adozione di una direttiva basti il fatto che essa possa essere considerata semplicemente come abbastanza innocua.

Questa direttiva rappresenta senza dubbio un passo verso un maggiore coinvolgimento dell’Unione europea nel settore della difesa. Avremmo bisogno di rassicurazioni sul fatto che i vantaggi commerciali e industriali saranno tali da giustificare queste norme e che, mentre si abbassano le barriere al commercio intracomunitario, non vi siano ulteriori ostacoli occulti al commercio di prodotti destinati alla difesa con paesi non appartenenti all’Unione. In merito vorrei avere conferme dal Consiglio e dalla Commissione.

 
  
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  Ioan Mircea Paşcu (PSE). - (EN) Signor Presidente, accolgo con favore la direttiva in esame perché essa costituisce un passo importante verso la semplificazione della burocrazia dei sistemi nazionali per quanto riguarda i trasferimenti all’interno della Comunità dei prodotti destinati alla difesa.

Apprezzo che la direttiva conseguirà il proprio obiettivo, cioè creare maggiore certezza sulla circolazione di questo genere di prodotti in tutta la Comunità, lasciando tuttavia la competenza decisionale al livello nazionale.

La direttiva contribuirà inoltre, sia pure non direttamente, all’uniformizzazione e standardizzazione di un mercato molto vario e dunque, in ultima analisi, all’integrazione nel campo della difesa, della sicurezza e della politica estera all’interno dell’Unione. Il problema sarà la sua applicazione pratica, nel senso che gli standard ora introdotti non dovrebbero essere vanificati da esenzioni, le quali, d’altro canto, non si possono eliminare del tutto, vista la delicatezza della materia.

Concludo dicendo che la direttiva in discussione, o, meglio, il suoi miglioramenti futuri, costituiranno anche un utile indicatore dei limiti di un’ulteriore integrazione nel settore della difesa e della sicurezza secondo modalità accettabili per gli Stati membri in un determinato momento.

 
  
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  Bogusław Liberadzki (PSE). – (PL) Signor Presidente, non condivido l’approccio dell’onorevole Van Orden e ora spiegherò perché. Stiamo esaminando la normativa che disciplina un settore particolare dell’economia, l’armonizzazione, la semplificazione delle procedure, norme coerenti per le imprese e anche regole procedurali sui mercati esterni. Si tratta dunque di un settore importante dal punto di vista delle economie dei singoli Stati membri. Garantire maggiore libertà ai paesi significa metterli in condizione di sfruttare queste potenzialità. Tutto ciò è importante, poi, anche dal punto di vista della nostra posizione sui mercati internazionali. Vorrei sottolineare che né il Parlamento europeo, di cui facciamo parte, né l’Unione europea in quanto tale sono insensibili alla situazione generale del mondo e delle sue diverse regioni. Non siamo insensibili nemmeno alle questioni connesse con la pace e i conflitti.

 
  
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  Günter Verheugen, vicepresidente della Commissione. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei fare due brevi osservazioni.

Le questioni riguardanti il controllo delle esportazioni di armi nei paesi non appartenenti all’Unione europea, il disarmo e il controllo sugli armamenti in generale non possono essere affrontate all’interno di una direttiva sul mercato interno. Potrebbero essere affrontate soltanto se nell’Unione europea avessimo non semplicemente una politica comune ma una politica estera e di sicurezza della Comunità – il che non è. Per tale motivo dobbiamo limitarci a quello che possiamo fare – e questa era la mia seconda osservazione.

Finché gli Stati membri dell’Unione europea continueranno a considerare necessarie le forze armate, finché continueremo a credere che possiamo garantire la nostra sicurezza soltanto mantenendo – forse dovremmo dire “anche” mantenendo – le forze armate, i contribuenti europei avranno il diritto di attendersi un servizio quanto più efficiente possibile in cambio dei loro soldi. Il mercato europeo dei prodotti destinati alla difesa è, molto semplicemente, inefficiente: spreca una quantità incredibile di denaro, che potrebbe essere utilizzato meglio, per acquistare armi più moderne e tecnologicamente più avanzate per le forze armate, denaro che potrebbe essere speso meglio per aumentare la sicurezza europea. Se vi domandate com’è possibile che la difesa europea costi, complessivamente, quasi il 40 per cento del bilancio americano della difesa, ma che l’efficienza e il rendimento delle forze armate europee corrispondano a meno del 10 per cento di quelli delle forze armate americane, comprenderete dove sta il problema. Fra l’altro, il problema sta anche in questo sistema inutilmente complesso e costoso di rilascio di licenze per il mercato intracomunitario delle armi.

Solo eliminando le licenze che abbiamo attualmente, potremmo risparmiare ogni anno 450 milioni di euro – solo eliminando le licenze. Gli Stati membri ai quali faceva riferimento l’onorevole Van Orden, che in futuro potrebbero destinare una parte considerevole dei loro risparmi al bilancio della difesa, hanno comunque ritenuto che questo fosse un motivo sufficiente per appoggiare la proposta della Commissione. Dobbiamo richiamare l’attenzione sulla prestazione del mercato europeo dei prodotti destinati alla difesa, cioè, in altri termini, su un aumento di efficienza della nostra difesa e della nostra sicurezza – perché è questo che conta, in realtà – e sulla riduzione della nostra dipendenza dalle armi di paesi extra europei. Esiste una direttiva parallela a questa, la direttiva sugli appalti pubblici, che deve ancora essere discussa dal Parlamento. La Commissione ha deliberatamente presentato queste due direttive come un pacchetto unico, perché esse potranno essere pienamente efficaci solo se sarà approvata la seconda parte. Pertanto concludo chiedendovi di adottare non soltanto la proposta ora al vostro esame ma anche quella che vi sarà sottoposta prossimamente sugli appalti europei per la difesa.

 
  
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  Heide Rühle, relatore. – (DE) Signor Presidente, anch’io voglio ribadire che questa è una direttiva concernente il mercato interno, non una direttiva sulla politica estera, e credo che tale precisazione sia molto importante. Nel campo della politica estera non avremmo nemmeno la possibilità di adottare una direttiva, perché lì il Parlamento viene semplicemente consultato e non può partecipare secondo la procedura di codecisione. Invece, sulle direttive riguardanti il mercato interno abbiamo pieni poteri di codecisione e pertanto abbiamo potuto rendere più trasparente un settore che in passato era stato troppo avvolto nelle nebbie.

All’onorevole Pflüger, che ha parlato del rischio che si formi un oligopolio, replico chiedendogli: perché, adesso cosa abbiamo? Abbiamo l’ILO, nel cui ambito i paesi più grandi stanno già collaborando e hanno semplificato i trasferimenti tra di loro. Quello che stiamo facendo è aprire l’intero mercato interno secondo le regole della trasparenza, imponendo obblighi per gli Stati membri e le imprese, e in tal modo contrastiamo proprio questa oligopolizzazione. Quindi, il suo ragionamento non è fondato.

Per rispondere anche a un’altra domanda, cioè cosa stiamo facendo per assicurare l’applicazione di questa direttiva, ossia la sua messa in pratica, e cosa faremo riguardo alle deroghe, posso dire che la Commissione relazionerà al Parlamento con regolarità sull’applicazione, perché è chiaro a tutti che qui stiamo navigando in acque sconosciute e che questo nuovo corso deve essere sostenuto anche da controlli regolari e da un clima di fiducia tra gli Stati membri.

Tutti questi aspetti sono contemplati dalla direttiva. Per quanto attiene agli emendamenti, come commissione abbiamo insistito – e credo che ciò sia molto importante – sul fatto che essi possono essere presentati soltanto previo consenso della Commissione europea e del Parlamento, affinché tutte le eventuali deroghe siano approvate dal Parlamento. Si crea così una procedura di regolamentazione con controlli, e penso che anche questo sia un importante passo avanti perché rispecchia esattamente i nostri obiettivi, ossia standardizzazione del settore, norme chiare e trasparenti, comprensibilità e controlli migliori.

Crediamo che possiamo realizzare tutto questo sulla base del mercato interno e che non avremmo potuto farlo su basi diverse; in tale ottica, non comprendo affatto l’atteggiamento negativo dell’onorevole Pflüger.

 
  
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  Presidente. La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà martedì, 16 dicembre 2008.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)

 
  
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  Bogdan Golik (PSE), per iscritto. – (PL) Desidero esprimere il mio sostegno alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente le modalità e le condizioni dei trasferimenti all’interno della Comunità dei prodotti destinati alla difesa [COM (2007) 0765].

Va rilevato che gli Stati membri dell’Unione europea hanno coerentemente escluso dal processo di integrazione europea i trasferimenti di prodotti destinati alla difesa, motivando tale esclusione con la diversità delle legislazioni nazionali. Di conseguenza, i mercati dei prodotti per la difesa non sono stati aperti e ciò ha avuto ripercussioni negative su tutti gli Stati membri dell’Unione. Ma l’efficacia della politica europea di sicurezza e di difesa non può che uscire rafforzata da una maggiore integrazione e da processi di riforma nel settore degli armamenti.

Le disposizioni della direttiva sulla semplificazione delle condizioni per i trasferimenti di prodotti destinati alla difesa produrranno effetti positivi perché aumenteranno la trasparenza delle procedure introducendo principi unificati e più semplici per i trasferimenti all’interno della Comunità di questi prodotti. Ciò comporterà maggiore sicurezza e affidabilità delle forniture, maggiore competitività dell’industria europea della difesa e maggiore fiducia tra gli Stati membri dell’Unione europea.

Per essere convincente, una politica deve disporre di risorse adeguate. Dai punti di vista finanziario e operativo è auspicabile il consolidamento dei principi su cui si fondano i trasferimenti dei prodotti destinati alla difesa, in quanto parte del processo di semplificazione delle condizioni di concessione delle autorizzazioni. Sono favorevole alla proposta di direttiva che armonizza le norme nazionali in materia. Essa è un passo nella giusta direzione e contribuirà ad aprire i mercati degli Stati membri, a rafforzare le relazioni commerciali tra l’Unione europea e i paesi terzi e anche a mettere le PMI in grado di collaborare sul mercato interno della Comunità.

 
  
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  Daniel Strož (GUE/NGL), per iscritto. – (CS) Una delle ragioni principali per cui la grande maggioranza dei cittadini comunitari sono contrari al cosiddetto trattato di Lisbona è il fatto che esso sancisce e allo stesso tempo rafforza la militarizzazione dell’Unione europea, invece di permettere all’Unione di svilupparsi come un progetto meramente pacifico. E’ soprattutto la sinistra europea a essersi opposta con fermezza alla militarizzazione dell’UE. La relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la semplificazione delle modalità e delle condizioni dei trasferimenti all’interno della Comunità di prodotti destinati alla difesa (A6-0410/2008) è un classico esempio di militarizzazione dell’Unione. Usando artatamente concetti vaghi e fuorvianti, quali “equipaggiamento per la difesa” o “industria europea della difesa”, la proposta di direttiva mira a semplificare radicalmente e rafforzare il commercio e la produzione di armi all’interno dell’Unione europea, facendo apparire tutto ciò come se fosse un vantaggio economico per le piccole e medie imprese. Simili argomentazioni sono inaccettabili in un settore serio e delicato come questo. La militarizzazione dell’Unione, compresa la produzione di armi, è una strada che l’Unione dovrebbe assolutamente evitare di percorrere.

 

18. Omologazione-tipo degli autoveicoli e dei loro motori (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0329/2008), presentata dall’onorevole Groote a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'omologazione-tipo degli autoveicoli e dei loro motori riguardo alle emissioni dei veicoli pesanti (Euro VI) e all'accesso alle informazioni necessarie alla riparazione e alla manutenzione del veicolo [COM(2007)0851 – C6-0007/2008 – 2007/0295(COD)].

 
  
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  Matthias Groote, relatore. – (DE) Signor Presidente, Commissario Verheugen, onorevoli colleghi, prima di tutto desidero ringraziare i relatori ombra per l’eccellente e costruttiva collaborazione durante l’intero processo legislativo. Ringrazio altresì la presidenza francese per il suo significativo contributo al raggiungimento del compromesso che oggi ci consente di portare a compimento questo processo legislativo.

Domani il Parlamento europeo voterà il pacchetto di compromesso sugli standard delle emissioni dei veicoli pesanti (Euro 6). I nuovi standard riguardano una riduzione delle sostanze inquinanti, non dei gas a effetto serra; spesso questi due tipi di sostanze vengono confusi tra loro.

Euro 6 è uno strumento importante per migliorare la qualità dell’aria in Europa. In particolare, Euro 6 riduce il particolato fine e gli ossidi di azoto; il solo particolato fine è responsabile di oltre 348 000 decessi prematuri in Europa, e per tale motivo avrei personalmente preferito che fosse fissato un limite più ambizioso per queste sostanze, come confermano anche studi scientifici. Comunque sia, la votazione di domani e l’intero pacchetto rappresentano, come dicevo, un buon compromesso. Rispetto all’attuale standard 6 per le emissioni, in vigore dal 1o ottobre 2008, si otterrà una riduzione del 66 per cento del particolato fine e dell’80 per cento degli ossidi di azoto. Questi ossidi sono nocivi specialmente per i neonati, i bambini e gli anziani perché portano alla formazione di ozono in prossimità del suolo.

Colgo l’occasione anche per accennare alla data di introduzione. Siamo riusciti ad anticiparla, cosicché l’Euro 6 arriverà prima e comincerà prima a migliorare la qualità dell’aria. A grandi linee, abbiamo raggiunto un compromesso soddisfacente su uno strumento che senza dubbio migliorerà la qualità sia dell’aria sia della vita.

Quasi esattamente due anni fa, in questa stessa aula abbiamo discusso e adottato i limiti delle emissioni Euro 5 e Euro 6 delle autovetture private. Durante la redazione delle misure di esecuzione è emerso che ci sono stati ritardi. Devo lanciare nuovamente un appello affinché ciò non avvenga in questo processo legislativo, perché i produttori devono poter disporre in tempo di tutte le informazioni necessarie. Sono quindi molto lieto che la Commissione rilasci tra poco una dichiarazione per dire che le misure di attuazione saranno senz’altro disponibili al massimo entro la fine di marzo 2010, cioè il 1o aprile 2010.

Nell’ultima sessione plenaria abbiamo parlato con il commissario Verheugen della crisi dell’industria automobilistica. In quella occasione abbiamo osservato che c’era stata una drastica riduzione del numero di vetture vendute nel settore dei veicoli commerciali. Mi fa pertanto molto piacere che siamo riusciti, con questo testo che abbiamo davanti, a creare uno strumento che permetterà agli Stati membri di concedere incentivi fiscali per una pronta introduzione degli standard delle emissioni Euro 6, dando così sicuramente nuovo slancio all’economia e contribuendo a migliorare la qualità dell’aria, la qualità della vita e la salute di tutti.

Ringrazio di nuovo tutti coloro che hanno collaborato. Ascolterò con attenzione quella che si preannuncia come una discussione interessante.

 
  
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  Günter Verheugen, vicepresidente della Commissione. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, desidero prima di tutto esprimere la mia più sincera gratitudine al relatore onorevole Groote per la sua coscienziosa collaborazione su questa proposta.

Ci stiamo occupando di un regolamento importante che rappresenta un passo decisivo verso l’introduzione di norme armonizzate a livello globale per le emissioni di inquinanti da parte di veicoli pesanti e corriere. Vorrei riprendere un punto cui ha accennato l’onorevole Groote, cioè che stiamo facendo tutto questo nel momento in cui si registra una contrazione fortissima del mercato comunitario dei veicoli commerciali, che è stato colpito molto più pesantemente di quello delle autovetture private. Di questo fatto l’opinione pubblica non è molto consapevole perché la maggior parte delle persone non acquistano veicoli pesanti. Nondimeno tale situazione ha un impatto economico molto forte ed è motivo di grave preoccupazione per la Commissione. Anche alla luce di ciò, è importante dare ai produttori certezze giuridiche e un quadro normativo chiaro, affinché possano sapere cosa ci si attende da loro. Per tale motivo gli standard Euro 6 vengono fissati già adesso, cioè quando gli standard Euro 5, in pratica, sono appena entrati in vigore.

Questa proposta per Euro 6 è stata elaborata in linea con il programma “Aria pulita per l’Europa” (CAFE) e con la strategia tematica sull’inquinamento atmosferico. Nel contesto di tale strategia, l’Unione europea dovrà ridurre ulteriormente le emissioni di inquinanti nel settore del traffico stradale in generale e anche in altri ambiti, per poter conseguire i propri obiettivi di miglioramento della qualità dell’aria. Vogliamo limitare quanto più possibile gli effetti negativi sulla salute della popolazione e proteggere meglio l’ambiente in senso ampio.

I limiti previsti dagli standard Euro 6, che rientrano in questa strategia complessiva, riducono ulteriormente e in misura consistente le emissioni di particelle di fuliggine e ossidi di azoto rispetto alla fase Euro 5, entrata in vigore il 1o ottobre di quest’anno. Una novità assoluta è l’introduzione di un valore limite per la quantità di particolato emesso, il che comporta quindi il controllo delle emissioni delle polveri ultrafini dai motori. La nuova normativa introduce inoltre disposizioni aggiuntive sul monitoraggio delle emissioni dei veicoli commerciali pesanti in condizioni di guida reali e sull’accesso a informazioni necessarie alla riparazione e manutenzione dei veicoli, in conformità degli accordi già conclusi nell’ambito delle norme relative ai veicoli commerciali leggeri.

L’adozione di questa proposta è importante anche perché essa darà attuazione a numerose raccomandazioni rilevanti previste dal processo Cars 21. Prima di tutto, va considerato il principio di “legiferare meglio“, e quindi la proposta tiene conto delle posizioni delle persone interessate, individuate mediante pubblica consultazione su Internet. Inoltre, le norme tecniche si fondano su un’analisi costi-benefici che tiene conto di una valutazione dell’impatto ambientale eseguita correttamente. C’è, poi, una notevole semplificazione della normativa applicabile. Dato che la proposta si applica a tutti i veicoli nuovi, saranno abrogati sei testi giuridici precedenti. In terzo luogo, viene introdotta l’armonizzazione globale per mezzo di un metodo di analisi e di calcolo che è stato elaborato dall’UNECE di Ginevra, mentre i valori limite del particolato e degli ossidi di azoto saranno uguali a quelli in vigore negli Stati Uniti.

La stretta collaborazione tra Parlamento, Consiglio e Commissione è stata un fattore decisivo ai fini del successo del processo negoziale e ha funzionato ottimamente. Sono particolarmente grato al relatore. La Commissione è lieta di poter accogliere tutti gli emendamenti di compromesso presentati dal relatore. E sono lieto anche di poter rilasciare la dichiarazione richiesta dal relatore; a dire il vero, farò anche un po’ di più di quanto lui abbia chiesto.

(EN)“La Commissione dichiara che le misure tecniche di esecuzione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull’omologazione-tipo degli autoveicoli e dei loro motori riguardo alle emissioni dei veicoli pesanti (Euro VI) e all'accesso alle informazioni necessarie alla riparazione e manutenzione del veicolo saranno trasmesse al Parlamento europeo e al Consiglio secondo la procedura di regolamentazione con controllo entro il 31 dicembre 2009”.

 
  
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  Anja Weisgerber, relatore per parere della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, anzitutto desidero esprimere i miei più calorosi ringraziamenti al relatore onorevole Groote e ai relatori ombra per la loro costruttiva collaborazione. Grazie al loro aiuto è stato possibile trovare un accordo su un fascicolo molto tecnico già in prima lettura.

In qualità di relatrice ombra del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) e dei Democratici europei, è ancora ben viva nella mia memoria la nostra votazione sulla revisione della direttiva concernente il particolato fine. Anche allora ero relatrice ombra. In quella circostanza siamo riusciti a convincere la Commissione a firmare una dichiarazione nella quale assumeva l’impegno di proporre misure di contrasto del particolato fine nel luogo stesso in cui esso viene prodotto. Il nuovo regolamento Euro 6 per i veicoli pesanti e le corriere è una delle misure che abbiamo richiesto. Il regolamento contrasta il particolato fine direttamente nel punto di emissione, alla sorgente, potremmo dire, ossia dove esso viene effettivamente prodotto. I nuovi standard Euro 6 ridurranno quindi le emissioni del particolato fine dei veicoli pesanti e delle corriere con motori diesel del 66 per cento rispetto agli standard Euro 5, mentre le emissioni di azoto (NOx) dei veicoli a benzina saranno ridotte di un altro 80 per cento.

Per poter conseguire realmente questi obiettivi relativi ai nuovi e ambiziosi standard di emissione, è necessario rendere di pubblico dominio con grande anticipo le misure di esecuzione, che fissano nei dettagli le specifiche tecniche precise. Anche per questo motivo accolgo ovviamente con grande piacere la dichiarazione testé fatta dal commissario Verheugen, con la quale la Commissione si impegna a sottoporre al Parlamento le misure di esecuzione entro tempi molto brevi, prima di quanto previsto originariamente.

Un altro punto che reputo importante è l’accesso alle informazioni necessarie alla riparazione e manutenzione da parte di operatori indipendenti operanti sul mercato. Per “operatori indipendenti” si intendono officine indipendenti, associazioni automobilistiche e servizi di soccorso stradale. Se vogliamo garantire un’effettiva concorrenza nel campo delle riparazioni, dobbiamo garantire l’accesso a tali informazioni, e in questo regolamento siamo riusciti a farlo, a tutto vantaggio della concorrenza, dei prezzi delle riparazioni, della sicurezza stradale e dei consumatori.

 
  
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  Johannes Blokland, relatore per parere della commissione per i trasporti e il turismo. − (NL) Signor Presidente, quest’anno ho stilato un parere sull’Euro 6 a nome della commissione per i trasporti e il turismo. Il trasporto di merci per mezzo di veicoli pesanti è un settore che è già stato costretto a ridurre le proprie emissioni di sostanze nocive, compresi gli ossidi di azoto e il particolato fine, più di una volta nel corso degli ultimi anni. La standardizzazione Euro 6 fa bene a imporre ulteriori requisiti per i motori.

Di per sé, questo regolamento contribuisce in misura rilevante a migliorare la qualità dell’aria e, di conseguenza, la salute pubblica. E’ di enorme importanza che i nuovi requisiti per le emissioni entrino in vigore molto presto. E’ evidente che l’industria avrà bisogno di tempo per adeguarsi, e le dovrebbe essere concesso tutto il tempo necessario.

Durante le discussioni parlamentari su questo fascicolo è successa una cosa impensabile: la commissione per i trasporti e il turismo ha votato in senso più ambientalista della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare sulla questione, per esempio, della raccolta di dati. Fortunatamente, grazie ai negoziati la normativa potrà entrare in vigore presto.

Ringrazio l’onorevole Groote per il suo impegno nel raggiungere questo risultato e il commissario per la sua dichiarazione.

 
  
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  Richard Seeber, a nome del gruppo PPE-DE.(DE) Signor Presidente, anch’io desidero congratularmi con l’onorevole Groote per la relazione che ci ha presentato. Il suo approccio alla redazione di questo testo è stato molto collaborativo. A ben guardare, non è necessario sacrificare la tutela ambientale sull’altare della crisi economica, ed è positivo che la relazione al nostro esame miri decisamente al futuro e contenga obiettivi molto ambiziosi, quali una riduzione del 66 per cento del PM10 e dell’80 per cento dell’NOx.

Detto ciò, vorrei ricordare al Parlamento che il traffico stradale sta diventando un problema sempre più grave in Europa. E’ il settore che cresce costantemente e più rapidamente di tutti. Basti pensare al problema delle emissioni di CO2, di cui domani avremo modo di discutere più ampiamente. Sappiamo che sono in aumento tutti i tipi di traffico; credo quindi che sia giunto il momento che la Commissione non si limiti a fissare obiettivi peraltro ambiziosi in fascicoli individuali, ma affronti anche la questione generale del traffico nel mondo moderno.

Anche se d’ora in avanti avremo veicoli pesanti puliti, del tutto idonei a produrre meno emissioni che in passato, ci sono tuttora, molto semplicemente, limiti inerenti alle infrastrutture. Pensiamo soltanto alle nostre autostrade: in molti Stati membri esse sono così trafficate che, in futuro, anche i veicoli pesanti Euro 6 meno inquinanti non potranno più passare, per non parlare del gran numero di autovetture private che restano spesso bloccate in file lunghissime.

Occorre dunque saper pensare in grande, e credo anche che il trasporto in generale abbia bisogno di una revisione di fondo. Di questa relazione apprezzo che, primo, persegua obiettivi ambiziosi e, secondo, che la Commissione proporrà anche metodi di misurazione realistici. In Tirolo abbiamo scoperto che i metodi di misurazione attualmente in uso in realtà non funzionano e che, nella pratica, la differenza tra un veicolo pesante Euro 0 e uno Euro 3 o Euro 4 era molto piccola.

Penso anche che l’accesso alle informazioni necessarie alla riparazione sia, in linea di principio, garantito. Credo che questo sia una ragione molto valida per approvare la proposta in esame, specialmente dal punto di vista dei cittadini, perché permetterà loro di scegliere liberamente le officine di riparazione di cui servirsi.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău, a nome del gruppo PSE.(RO) Mi congratulo con il relatore onorevole Groote. La Commissione ha proposto una riduzione del 60 per cento delle emissioni di particolato e dell’80 per cento delle emissioni di ossidi di azoto dei motori compressi a iniezione. Per raggiungere questi obiettivi dobbiamo utilizzare filtri per motori diesel oppure riciclare i gas di scarico, nonché dispositivi di riduzione e selezione catalitica.

La proposta della Commissione si riferisce anche ai motori a iniezione positiva e introduce requisiti per l’adozione di un metodo comune di prova e misurazione delle emissioni, nonché sistemi diagnostici di bordo armonizzati a livello globale. Tali sistemi sono importanti per il controllo delle emissioni durante l’utilizzo dei veicoli. La possibilità di fissare anticipatamente limiti per le emissioni di ossidi di azoto offre ai costruttori di automobili la garanzia di una programmazione a lungo termine a livello europeo.

Valuto positivamente il fatto che gli Stati membri potranno concedere incentivi finanziari per il lancio sul mercato di veicoli nuovi conformi alle disposizioni di questo regolamento. In particolare, vista nel contesto del cambiamento climatico e della crisi economica, la concessione di tali incentivi stimolerà la produzione di automobili più ecocompatibili e più efficienti sotto il profilo del risparmi energetico. Vi ringrazio.

 
  
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  Holger Krahmer, a nome del gruppo ALDE. – (DE) Signor Presidente, se domani adotteremo gli standard Euro 6 per i veicoli pesanti, lo faremo nel solco di un’ottima tradizione. Non molto tempo fa, durante questa legislatura, abbiamo votato gli standard Euro 5 ed Euro 6 per le autovetture private, proseguendo così l’esperienza positiva degli standard per i gas di scarico dei veicoli – nel caso odierno, dei veicoli pesanti – in Europa. A questo punto desidero rivolgere un ringraziamento speciale al relatore onorevole Groote, con il quale ho potuto nuovamente collaborare in modo proficuo. Ancora una volta stiamo approvando, in prima lettura, norme valide che garantiranno la continuità di programmazione dell’industria e, naturalmente, una efficace protezione dell’ambiente.

L’accordo concluso con il Consiglio e la Commissione ha prodotto una normativa attuabile. I valori degli inquinanti contenuti nei gas di scarico dei veicoli pesanti sono fissati in modo ambizioso e i tempi sono più serrati. I nuovi valori limite entreranno in vigore prima di quanto previsto originariamente dalla Commissione. In tal modo, daremo un contributo positivo alla tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini europei senza penalizzare indebitamente i produttori. L’entrata in vigore di questo regolamento è stata anticipata di quasi un anno rispetto alla proposta della Commissione, tenendo conto dei cicli di produzione e delle scadenze di programmazione dell’industria.

Mi fa piacere che la Commissione abbia imparato dagli errori del passato e accettato una scadenza per la comitatologia e la presentazione delle misure di esecuzione. Spero che in questo modo potremo evitare il ritardo che si è verificato in occasione dell’introduzione dell’Euro 5 per i veicoli per passeggeri.

La proposta indica cifre impressionanti per la riduzione delle emissioni: 66 per cento in meno di fuliggine, 80 per cento in meno di ossidi di azoto. Riguardo alla riduzione delle emissioni di inquinanti, i produttori stanno lavorando proprio al limite di quanto è tecnicamente realizzabile. Certo, è sempre possibile massimizzare ciò che è tecnicamente realizzabile, e ho piena fiducia nella creatività e inventiva dei produttori europei; ma quanto più ci si avvicina al livello zero, tanto più la tecnica diventa costosa. Alla luce di ciò, è sempre più importante rinnovare il parco macchine che circola sulle nostre strade. I vecchi macinini superinquinanti che già da lungo tempo non soddisfano più i requisiti devono essere tolti dalla circolazione. Questo servirà a migliorare il bilancio delle emissioni in modo più facile e rapido rispetto alla costosa regolazione dei motori.

 
  
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  Leopold Józef Rutowicz, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, la relazione dell’onorevole Groote sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull’omologazione-tipo degli autoveicoli e dei loro motori mira a ridurre l’inquinamento dei veicoli pesanti ed è molto importante sotto il profilo sia della tutela ambientale sia della salute dei cittadini.

La relazione contiene l’impegno di ridurre le emissioni a un livello prossimo a Euro 6 per i veicoli e i motori già in uso. Ciò significa che le officine devono poter accedere alle informazioni tecniche e ai regolamenti sull’equipaggiamento dei motori. Devono disporre degli strumenti necessari per valutare il funzionamento di un motore acceso. Ai fini dell’attuazione della direttiva è richiesto un sistema di controllo indipendente in grado di garantire che i veicoli siano adattati per soddisfare i requisiti fissati. Per poter istituire un simile sistema c’è bisogno di tempo e di risorse, che saranno difficili da reperire nell’attuale situazione di crisi.

Sono favorevole agli emendamenti presentati per modificare la proposta della Commissione. Ringrazio il relatore per l’impegno profuso nella preparazione di questo documento, che noi appoggiamo.

 
  
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  Urszula Krupa, a nome del gruppo IND/DEM . – (PL) Signor Presidente, la proposta di regolamento sull’omologazione-tipo degli autoveicoli e dei loro motori riguardo alle emissioni dei veicoli pesanti mira a stabilire principi comuni per la costruzione dei motori in modo tale da assicurare un grado elevato di protezione ambientale. Di fatto, gli standard comunitari proposti estrometteranno dal mercato europeo le piccole e medie imprese che costruiscono motori; inoltre, i motori nuovi saranno alimentati con carburanti alternativi e i costruttori saranno quindi obbligati a modificare di conseguenza tutti i veicoli venduti, registrati o messi sul mercato. Dovranno essere modificati anche tutti gli strumenti utilizzati per misurare le emissioni di inquinanti. Solo i trasportatori e le organizzazioni di grandi dimensioni potranno soddisfare requisiti organizzativi e di ricerca di simile portata.

Per quanto riguarda i veicoli nuovi che non soddisfano le disposizioni di questo regolamento, gli organismi nazionali non accetteranno più certificati di conformità a partire dal 1o ottobre 2014. E’ assai probabile che, per la Polonia questo fatto comporti, molto semplicemente, la scomparsa di tante imprese di trasporti e aziende costruttrici di motori, come Andoria. L’idea che la legislazione comunitaria produca gli stessi effetti in tutti gli Stati membri e sia al servizio dei loro interessi si sta rivelando un mito. La scomparsa delle imprese più deboli e più povere andrà, com’è ovvio, a vantaggio delle imprese più grandi, che nella maggior parte dei casi sono tedesche.

E’ evidente già ora che la maggior parte dei documenti dell’intero pacchetto sull’energia e il cambiamento climatico potranno effettivamente garantire coesione e sviluppo economico secondo i principi dello sviluppo sostenibile nei paesi e nelle imprese grandi e ricchi. Studiosi polacchi stimano, tuttavia, che il pacchetto verrà a costare almeno 500 miliardi di zloty e provocherà il collasso economico e un enorme aumento dei costi e dei prezzi dei generi alimentari a causa dell’esigenza di sostituire i veicoli. Di conseguenza, la popolazione diventerà più povera.

 
  
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  Bogusław Liberadzki (PSE). – (PL) Signor Presidente, in questa legislatura stiamo per approvare un altro regolamento che sostanzialmente completa il ciclo di regolamenti sul trasporto e sui mezzi di trasporto dal punto di vista del loro impatto ambientale e della tutela della qualità dell’aria. E’ stato un compito assai impegnativo, che ora si conclude con questo testo.

Chiamiamo le cose con il loro nome: l’Europa prende sul serio la protezione della natura e dell’ambiente, ma dovrà pagare un prezzo. C’è infatti bisogno di un grande sforzo di tipo economico, anche se, forse, non così grande come suggerito dall’oratrice precedente. Ai proprietari di veicoli viene indubbiamente chiesto di fare un grande sforzo economico proprio in questo momento in cui il settore dei trasporti è colpito da una drammatica crisi finanziaria. Comperare meno automobili potrebbe essere una soluzione, la quale però penalizzerebbe i produttori a causa del calo della domanda. Dobbiamo ricorrere a incentivi finanziari se vogliamo che il nostro regolamento possa conseguire l’obiettivo fissato e adempiere un compito: quello di rendere possibile l’acquisto e la vendita di nuove generazioni di veicoli. Penso che questo aspetto sarà un elemento essenziale del testo ora al nostro esame.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE-DE). – (CS) E’ evidente che non solo le autovetture private ma anche i veicoli pesanti devono essere dotati di sistemi moderni in grado di garantire una riduzione dell’80 per cento delle emissioni di monossido di carbonio e ossido di azoto, nonché una riduzione delle emissioni di particolato fino al 60 per cento. Considerato che il ritmo di rimpiazzo di questi veicoli in Europa è di circa dieci anni, invito la Commissione a proporre disposizioni che consentano di munire anche veicoli più vecchi di sistemi moderni di controllo delle emissioni, perché, in caso contrario, l’Euro 6 non potrà fornire un contributo significativo al miglioramento della qualità dell’aria.

Appoggio pienamente la richiesta alla Commissione di promuovere un’armonizzazione internazionale – cioè, non soltanto europea – delle leggi sui veicoli a motore in generale, non solo sui veicoli pesanti. E’ una questione che riguarda, oltre che la qualità dell’aria sul nostro pianeta, anche – ovviamente – la competitività dell’Europa. Per questo motivo vorrei segnalare altresì la necessità di lasciare inalterati gli standard di emissione per almeno i prossimi cinque anni.

 
  
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  Malcolm Harbour (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, ringrazio l’onorevole Groote e più in particolare la mia collega di gruppo onorevole Weisgerber, che è stata relatrice per parere della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori.

Una cosa che non è stata citata stasera, e che intendo fermamente mettere in evidenza, è il fatto che i produttori europei hanno un ruolo dominante sul mercato mondiale dei veicoli commerciali pesanti. Questa proposta è assolutamente cruciale perché prepara la strada a uno standard mondiale per le emissioni dei motori di veicoli pesanti. Questo è importante perché, a differenza delle automobili, i veicoli commerciali pesanti sono prodotti in quantità ridotte e sono molto complessi.

I produttori che operano sul mercato globale possono mobilitare risorse e orientare gli sviluppi in modo tale da progettare un motore universale per camion. Di recente ho visitato una di queste imprese e vi posso dire che essa prevede di investire un miliardo di euro nella produzione di motori universali per camion.

Il contesto normativo che proponiamo deve incoraggiare tale iniziativa; chiediamo inoltre alla Commissione di garantire che questo testo diventi il regolamento generale, all’interno del pacchetto oggi in discussione.

 
  
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  Matthias Groote, relatore. – (DE) Signor Presidente, ringrazio tutti i colleghi per la discussione così impegnata. Anzitutto voglio ringraziare la Commissione, nella persona del commissario Verheugen, per la dichiarazione sulle misure di esecuzione che ha rilasciato prima. In effetti, questa materia ci ha procurato qualche grattacapo ed è stata motivo di preoccupazione. E’ positivo che sia stata affrontata di nuovo pubblicamente in questa sede.

Molti colleghi hanno parlato di come gli standard ambientali potrebbero far crescere, o faranno realmente crescere, le vendite in un momento in cui questo settore specifico dell’industria è in crisi. Secondo l’onorevole Krupa, il pacchetto sul clima e sull’energia, in aggiunta a questo regolamento, metteranno i piccoli produttori fuori mercato e finiranno per distruggerli. Non credo che ciò accadrà perché lo standard Euro e lo standard Euro per i gas di scarico hanno dato buoni risultati e, del resto, le innovazioni tecniche hanno sempre stimolato il mercato e convinto i consumatori ad acquistare veicoli nuovi.

L’onorevole Roithová ha parlato dei retrofit. I retrofit vanno bene, però per la loro applicazione c’è bisogno di un processo armonizzato; pertanto, sollecito nuovamente la Commissione a darsi da fare in tal senso. Se montiamo sui veicoli diesel i filtri antiparticolato, quei motori produrranno poi una maggiore quantità di ossido di azoto; quindi, tenendo a mente ciò, dobbiamo trovare una combinazione ragionevole di questi due fattori e una regolamentazione uniforme per i retrofit.

Nei prossimi anni sarà molto importante ottenere risultati e fissare uno standard uniforme anche in questo settore, di modo che le nuove tecnologie particolarmente ecocompatibili non siano disponibili soltanto sulle automobili nuove ma ci sia una procedura uniforme, standardizzata anche per i veicoli usati.

Rinnovo i miei ringraziamenti a tutti coloro che hanno collaborato e partecipato alle discussioni. Senza il vostro aiuto non saremmo riusciti nell’impresa di concludere questo processo legislativo – in tutta probabilità – già domani, in prima lettura, e di dare all’industria ma anche ai cittadini europei la certezza necessaria per programmare le loro attività e per sapere cosa li aspetta. Per tutto questo, vi ringrazio ancora sinceramente!

 
  
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  Presidente. La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà martedì, 16 dicembre 2008.

 

19. FESR, FSE, Fondo di coesione (progetti generatori di entrate) (discussione)
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  Presidente. L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0477/2008), presentata dall’onorevole Arnaoutakis a nome della commissione per lo sviluppo regionale, sulla proposta di regolamento del Consiglio (CE) che modifica il regolamento (CE) n. 1083/2006 sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione, per quanto riguarda alcuni progetti generatori di entrate [13874/2008 – C6-0387/2008 – 2008/0186(AVC)].

 
  
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  Stavros Arnaoutakis, relatore. (EL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, le nuove norme di gestione finanziaria previste dal regolamento generale (CE) n. 1083/2006 comprendono disposizioni sui contributi finanziari a carico dei fondi e, in particolare all’articolo 55, sui progetti generatori di entrate, i quali, essendoci il rischio evidente di un loro finanziamento eccessivo, devono godere di un trattamento particolare per tener conto delle entrate quando si calcola la percentuale massima del finanziamento comunitario. E’ quindi necessario stabilire un metodo di calcolo delle entrate generate da tali progetti. Nel periodo di programmazione precedente, 2000-2006, questo principio è stato messo in pratica in base a un metodo fondato su un’aliquota fissa. Per il nuovo periodo di programmazione la proposta della Commissione, approvata dal Consiglio, prevede un metodo più preciso e rigoroso per il calcolo dei finanziamenti comunitari a favore di progetti generatori di entrate. Questo nuovo metodo si basa sul calcolo delle spese massime ammissibili, invece che sulla riduzione a tasso fisso della percentuale di cofinanziamento. Ai sensi dell’articolo 55, nel periodo 2007-2013 per “progetto generatore di entrate” si intende qualsiasi operazione che comporti un investimento in infrastrutture il cui utilizzo sia soggetto al pagamento di oneri sostenuti direttamente dagli utenti, oppure qualsiasi operazione che comporti la vendita o l’affitto di terreni o fabbricati oppure la fornitura di servizi dietro compenso. Una differenza importante è che nel nuovo periodo di programmazione, secondo la definizione del paragrafo [...], le disposizioni dell’articolo 55 si applicano a un’ampia gamma di progetti che possono essere considerati progetti generatori di entrate, e non soltanto a progetti di investimento in infrastrutture che generano entrate, come nel periodo 2000-2006.

In base all’esito della consultazione informale degli Stati membri da parte della Commissione europea, le disposizioni dell’articolo 55 sono chiaramente inapplicabili a progetti cofinanziati dal Fondo sociale europeo, che sostiene principalmente operazioni non tangibili, più che progetti relativi a infrastrutture. Lo stesso vale per i progetti minori attuati grazie al cofinanziamento del Fondo europeo di sviluppo regionale e del Fondo di coesione. Nel caso di questi progetti, le norme da rispettare in materia di controllo, ad esempio il requisito secondo cui le entrate possono essere prese in considerazione per tre anni dopo la conclusione del programma operativo, comportano oneri amministrativi sproporzionati rispetto agli importi anticipati e costituiscono un grave rischio in sede di esecuzione del programma. Ecco perché, dopo aver consultato gli Stati membri, la Commissione ha reputato necessario ottenere l’approvazione di un emendamento al regolamento (CE) n. 1083/2006 che riguarda soltanto l’articolo 55, paragrafo 5, e prevede due soli punti: l’esenzione dall’applicazione delle disposizioni dell’articolo 55 per le operazioni cofinanziate dal Fondo sociale europeo e la fissazione di un limite, pari a un milione di euro, al di sotto del quale i progetti finanziati dal FESR o dal Fondo di coesione sono esentati dall’applicazione delle disposizioni dell’articolo 55 per quanto attiene al calcolo delle spese massime ammissibili e il controllo. Le restanti disposizioni dell’articolo 55 non sono state modificate.

Inoltre, considerata l’importanza di salvaguardare l’imposizione di norme di attuazione comuni per i progetti durante l’intero periodo di programmazione, è stata inserita anche una clausola a validità retroattiva, affinché la disposizione emendata sia valida dal 1o agosto 2006. Questo emendamento tecnico semplificherà, ove possibile, la gestione dei progetti generatori di entrate limitando gli oneri amministrativi in conformità del principio di proporzionalità.

 
  
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  Vladimír Špidla, membro della Commissione. – (CS) Signor Presidente, onorevoli deputati, il 15 novembre la Commissione ha adottato la proposta di revisione dell’articolo 55 del regolamento generale sui Fondi strutturali che si applica alle condizioni per la valutazione dei progetti generatori di entrate nel quadro del programma della politica di coesione. Il motivo della modifica era la volontà di semplificare le procedure amministrative. La prima operazione eseguita effettivamente in conformità dell’articolo 55 ha messo in luce l’esistenza di gravi difficoltà connesse con l’attuazione pratica delle norme. Tali difficoltà, come riportato dagli Stati membri, hanno palesato l’esistenza di una sproporzione sia nell’applicazione delle procedure volte a fissare l’importo massimo ammissibile del cosiddetto “divario di finanziamento” sia nei progetti di monitoraggio.

L’emendamento in questione mira a esentare tutte le operazioni cofinanziate dal Fondo sociale europeo e anche i progetti di piccole dimensioni di costo complessivo inferiore a un milione di euro cofinanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale e dal Fondo di coesione in forza dell’articolo 55. La decisione di fissare un tetto di un milione di euro è stata presa sulla base di studi preliminari e tendeva a preservare il carattere generale dell’articolo 55.

Ci auguriamo che questa semplificazione, che costituisce una sorta di clausola de minimis, ci consenta di accelerare la gestione dei fondi negli Stati membri e nelle loro regioni, con particolare attenzione per le operazioni più innovative in settori quali la ricerca e gli aiuti per fonti energetiche rinnovabili e altro ancora.

Era nondimeno importante evitare che si determinasse una situazione incerta dal punto di vista giuridico, che avrebbe ingiustamente ritardato il processo di pagamento e potuto indurre i responsabili dei progetti a interrompere l’esecuzione dei programmi operativi, cosa che andava evitata ad ogni costo.

Alla luce di ciò, la Commissione ha deciso di proporre una sola modifica di natura tecnica. Tale decisione ha dato buoni risultati, visto che abbiamo completato il processo di revisione in soli tre mesi grazie al lavoro del Consiglio e delle commissioni parlamentari per lo sviluppo regionale e per l’occupazione. A nome della Commissione esprimo al vostro relatore onorevole Arnaoutakis la nostra sincera gratitudine. Mi auguro che la nostra produttiva collaborazione ci assicuri l’approvazione del Parlamento europeo, rendendo così possibile il completamento della revisione entro la fine dell’anno. Ciò permetterebbe alle autorità responsabili della gestione di continuare il loro lavoro, che è un aspetto rilevante della semplificazione.

La revisione dell’articolo 55 ha dimostrato inoltre la qualità del lavoro intrapreso in collaborazione con la Direzione generale per la politica regionale e la Direzione generale per l’occupazione, che promuove la coesione politica. Tale cooperazione non si è mai allentata, come dimostra il fatto che, all’interno del piano europeo di ripresa economica, abbiamo unito le forze con il commissario Hübner su una proposta relativa a tre nuovi e fondamentali emendamenti dei regolamenti sul Fondo strutturale. Anche questi emendamenti saranno oggetto di discussione.

 
  
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  Jan Olbrycht, a nome del gruppo PPE-DE . – (PL) Signor Presidente, abbiamo davanti a noi essenzialmente un regolamento molto breve e succinto ma nondimeno di grande significato, un significato che deriva dal cambiamento.

In primo luogo, con questo cambiamento le istituzioni europee dimostrano di essere in grado di rispondere in modo flessibile alle difficoltà legate all’attuazione di una determinata politica. La capacità di semplificare e facilitare realmente le procedure per i beneficiari rivela che la Commissione europea, d’intesa con il Parlamento europeo e il Consiglio, è effettivamente in grado di adeguare le norme alle circostanze prevalenti.

In secondo luogo, questo regolamento è importante anche nella misura in cui comporta la modifica di un regolamento durante il periodo di programmazione, e ciò è particolarmente rilevante perché non si tratta della modifica finale. Inoltre, le modalità della discussione sulla modifica del regolamento saranno molto significative nel contesto della preparazione di un pacchetto di modifiche collegato alla crisi.

In terzo luogo, la Commissione europea è stata ripetutamente criticata per il modo in cui vigila sull’attribuzione delle risorse. Le critiche della Corte dei conti sono rivolte perlopiù alle procedure eccessivamente complicate.

Il regolamento oggi in discussione testimonia la necessità di un’azione audace e decisa per migliorare l’efficacia e dimostrare che è possibile stanziare i fondi europei in maniera rapida, efficiente ed efficace.

 
  
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  Jean Marie Beaupuy, a nome del gruppo ALDE. (FR) Signor Presidente, signor Commissario, come ha testé osservato l’onorevole Olbrycht, questa è in prima istanza una semplificazione, almeno, così speriamo. Indubbiamente è il periodo prenatalizio a ispirarci in tal senso, a fare questo regalo agli europei.

Ma, come ha rilevato l’onorevole Olbrycht poco fa, la cosa più importante è che questo regalo non è l’unico del genere; inoltre, il prossimo marzo saremo chiamati a esprimere il nostro giudizio sul piano di ripresa. Quindi, nel contesto della crisi finanziaria possiamo contare su una pluralità di iniziative produttive che ci consentono di guardare a una ripresa in tutta l’Europa.

Siamo certi che, tra le proposte che dovremo votare in marzo, la Commissione ci proporrà anche nuovi strumenti di semplificazione riguardanti, in particolare, i nostri “attori di piccole dimensioni”, cioè le piccole e medie imprese. E questo è assolutamente fondamentale se vogliamo che le politiche di cui discutiamo e che abbiamo elaborato per mesi e anni siano realmente efficaci; quindi, questa volontà, questa dinamica che auspichiamo non deve essere messa a repentaglio da complicazioni di tipo amministrativo.

Signor Commissario, un attimo fa lei ha lodato l’ottimo lavoro che è stato compiuto in particolare dalla commissione per lo sviluppo regionale. Lei sa che noi, gli altri membri di quest’assemblea, siamo molto desiderosi di collaborare con la Commissione. Vorrei perciò sottolineare ancora una volta che speriamo di compiere progressi molto rilevanti verso nuove semplificazioni nel corso del prossimo anno.

Ma, a parte il lavoro che stiamo facendo, è nostro desiderio che, a livello europeo e, per il suo tramite, specialmente in seno alla Commissione, gli Stati membri si assumano la loro parte di responsabilità. Sappiamo tutti che, nel contesto del Fondo europeo di sviluppo regionale, del Fondo sociale europeo, del Fondo per la politica agricola comune e via dicendo, sono gli Stati membri ad aggiungere ulteriori difficoltà alle complicazioni amministrative europee.

Con la nostra azione e con la nostra discussione di stasera speriamo non soltanto che l’iniziativa dell’Unione europea sia attuata a livello comunitario, ma anche che gli Stati membri prestino ascolto alle nostre parole e si impegnino anch’essi con decisione a favore della semplificazione.

 
  
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  Mieczysław Edmund Janowski, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, in buona sostanza, la risoluzione del Parlamento europeo di cui stiamo discutendo è di natura tecnica e formale. Nondimeno riguarda questioni importanti relative all’utilizzo dei finanziamenti comunitari. Il regolamento proposto concerne l’articolo 55 del regolamento del Consiglio, che prevede disposizioni di carattere generale per il Fondo europeo di sviluppo regionale, il Fondo sociale europeo e il Fondo di coesione. La formulazione attuale del paragrafo 5, dove si cita un importo di 200 000 euro come costo massimo della procedura di controllo, è sostituita da un testo secondo il quale le disposizioni relative ai progetti generatori di entrate potranno essere applicate alle operazioni finanziate con il Fondo europeo di sviluppo regionale o il Fondo di coesione soltanto se il loro costo non è superiore a un milione di euro.

Alla luce di ciò, vorrei porre la seguente domanda: l’importo citato è adeguato? Non è troppo alto o troppo basso? Sono convinto che questo può essere un modo per evitare inutili oneri burocratici in un gran numero di operazioni minori e per arrivare a una migliore gestione operativa di progetti che spesso coinvolgono autorità locali e riguardano, per esempio, la tutela dell’ambiente, l’innovazione e l’energia. A titolo d’esempio posso dire che in Polonia ci sono più di un centinaio di tipi diversi di istituzioni che amministrano i fondi europei. Un impiego efficace degli aiuti dipende da una gestione efficiente da parte di quelle istituzioni.

Sono inoltre fiducioso che l’adozione di questa iniziativa porterà a un’ulteriore semplificazione in futuro, come il commissario è stato così gentile da segnalare. A nome del gruppo Unione per l'Europa delle nazioni voglio esprimere il nostro apprezzamento per l’approccio creativo alle disposizioni, grazie al quale potremo usare le risorse europee nel modo più razionale possibile.

 
  
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  Lambert van Nistelrooij (PPE-DE).(NL) Signor Presidente, signor Commissario, la proposta dell’onorevole Arnaoutakis illustra chiaramente che la semplificazione è possibile, cosa che il Parlamento ha chiesto in più occasioni. In alcuni casi, inoltre, nei paesi membri ci vuole molto tempo perché i progetti siano conclusi. Per il gruppo dei Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) e dei Democratici europei questo è un buon esempio di semplificazione efficiente.

Questa volta, il desiderio di cambiamento è venuto dagli Stati membri e dalla Commissione, ma si può fare ancora di più. So che in seno al Comitato delle regioni è stato istituito un gruppo di lavoro delle regioni e delle città che ha il compito di individuare e risolvere le strozzature esistenti e lo scopo di avanzare proposte a tal fine. Dovremmo infatti mettere a frutto proprio queste esperienze per attuare ulteriori cambiamenti nel 2009.

La Commissione ha inoltre presentato l’intero pacchetto, compreso il piano di ripresa economica, al cui interno, tra l’altro, i fondi possono essere spesi più velocemente. Questa settimana il Parlamento si occuperà della relazione Haug nel contesto del bilancio; nella relazione si esprime l’auspicio di poter continuare a lavorare su questa linea e di accelerare l’esame di altri aspetti connessi con il controllo e l’amministrazione.

Vorrei infine sollevare un punto che è stato affrontato anche dall’onorevole Beaupuy: gli Stati membri possono fare tantissimo, ad esempio, rilasciando la dichiarazione di gestione finanziaria o assumendo la responsabilità politica per l’utilizzo dei fondi. Di conseguenza, nelle nostre risoluzioni potremmo semplificare ancora di più le procedure. La richiesta di cambiamento che viene dagli operatori sul campo è notevole. In vista delle elezioni del prossimo anno, dovremmo sicuramente essere in grado di dire che l’Europa fa qualcosa di buono, ma anche che lo dovrebbe fare nel modo giusto. Le dichiarazioni degli Stati membri sono un passo in quella direzione.

 
  
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  Gábor Harangozó (PSE). (HU) Lo scopo dei regolamenti che disciplinano l’utilizzo dei fondi comunitari è quello di garantire che tali risorse saranno usate nel modo migliore possibile e destinate all’uso più adeguato. In altre parole, i fondi devono non soltanto essere spesi, ma anche essere spesi per investimenti reali e generatori di entrate. Spesso, però, a questo scopo creiamo un sistema burocratico di regolamenti che è più che altro di ostacolo a un uso efficiente delle risorse e rappresenta un onere inutile sia per le imprese che per l’amministrazione.

L’ottimizzazione dei regolamenti sui progetti generatori di entrate comporta un doppio beneficio: un maggior numero di piccole e medie imprese può avere accesso in maniera più diretta ai fondi comunitari di stimolo all’economia, mentre l’amministrazione è in grado di accertare più velocemente e semplicemente se le risorse sono impiegate in modo corretto. Dobbiamo avere fiducia nei nostri imprenditori, in coloro che mandano avanti l’economia; possiamo uscire da questa crisi soltanto se uniamo le forze e ci aiutiamo a vicenda. Appoggio la proposta e nel contempo chiedo alla Commissione di continuare su questa stessa strada, rimuovendo dal programma di aiuto gli ostacoli amministrativi inutili. Mi auguro sinceramente che a questo programma iniziale seguano altre iniziative altrettanto valide.

 
  
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  Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk (UEN). – (PL) Signor Presidente, in questa discussione sulle modifiche dei regolamenti del Consiglio concernenti i Fondi strutturali vorrei attirare la vostra attenzione su quattro punti.

Primo punto: le disposizioni di legge vigenti in materia di utilizzo degli aiuti previsti dal Fondo europeo di sviluppo regionale, dal Fondo di coesione e dal Fondo sociale europeo sono spesso così complicate che scoraggiano i potenziali beneficiari dal fare domanda per ottenere gli aiuti. Tali disposizioni, inoltre, possono ostacolare l’attuazione dei progetti e la contabilità.

Secondo punto: appare quindi del tutto opportuno che la Commissione europea abbia presentato una proposta di emendamento dell’articolo 55 del regolamento. Uno degli effetti di tale emendamento sarebbe l’esclusione dall’ambito di applicazione dell’articolo 55 dei progetti generatori di entrate finanziati dal Fondo di coesione. Tale modifica dovrebbe facilitare l’esecuzione di azioni quali progetti mirati, per esempio, all’inserimento sociale o alla fornitura di servizi di assistenza.

Terzo punto: l’ambito di applicazione dell’articolo 5 sarebbe limitato anche per quanto riguarda il calcolo dell’importo massimo di spesa ammissibile e il controllo dei piccoli progetti cofinanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale e dal Fondo di coesione. Inoltre, tutte queste misure avrebbero validità retroattiva dal 1o agosto 2006.

Quarto punto: tutte queste proposte sono un buon esempio di come le disposizioni riguardanti i Fondi strutturali possano essere semplificate in maniera concreta, consentendo così un loro utilizzo più efficiente. A mio parere, ciò è nell’interesse non soltanto dei beneficiari ma anche di tutti i cittadini dell’Unione europea.

 
  
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  Jan Březina (PPE-DE). – (CS) La proposta in discussione affronta il problema dei progetti generatori di entrate, un problema che tocca direttamente molte persone che chiedono di beneficiare degli aiuti del Fondo europeo di sviluppo regionale e del Fondo sociale europeo. Le norme vigenti hanno imposto considerevoli oneri amministrativi e hanno anche creato una situazione di incertezza giuridica, dato che consentono di tenere in considerazione le entrate derivanti da un progetto anche nei tre anni successivi alla sua conclusione. Se le entrate eccedono un determinato livello minimo, esiste il rischio che i beneficiari e, da ultimo, anche lo Stato debbano restituire gli aiuti.

Credo fermamente che un approccio così rigido sia fuori luogo, soprattutto nel caso dei progetti piccoli e di quelli finanziati dal Fondo sociale europeo. Riguardo, poi, in particolare al secondo gruppo di progetti, non ci sono entrate di natura commerciale ma soltanto entrate delle autorità locali e di organizzazioni senza fini di lucro, che sono incamerate sotto forma di diritti amministrativi o d’altro tipo. Poiché queste entrate servono per attuare progetti di interesse pubblico, non ha senso restituirle all’Unione europea.

Secondo me, il nostro compito consiste nel semplificare il meccanismo per ottenere gli aiuti previsti dai Fondi strutturali e nel contempo, ovviamente, mantenere i controlli, che sono essenziali per vigilare su una gestione trasparente delle risorse comunitarie. Accolgo dunque con favore la decisione di escludere dal meccanismo di controllo delle entrate i progetti finanziati con il Fondo sociale europeo, nonché la decisione di innalzare il limite dei costi da 200 000 euro a un milione di euro nel caso dei progetti finanziati con il Fondo europeo di sviluppo regionale e il Fondo di coesione. In tal modo, sarà sicuramente possibile semplificare la gestione e rendere più efficiente l’esecuzione di questi progetti.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (PSE).(RO) Il Fondo europeo di sviluppo regionale, il Fondo sociale europeo e il Fondo di coesione sono strumenti messi a disposizione degli Stati membri per incentivare lo sviluppo economico di varie regioni europee. Tuttavia, è diffusa l’impressione che l’utilizzo di tali strumenti finanziari sia legato a notevoli oneri burocratici.

Per il periodo di programmazione 2007-2013 è previsto un approccio fondato sul calcolo della spesa massima ammissibile, invece che su una riduzione obbligatoria del tasso di cofinanziamento. Lo scopo della proposta di modifica del regolamento è di sostituire il sistema fondato sulla proporzionalità per le operazioni di controllo di valore inferiore a 200 000 euro con la non applicazione delle disposizioni dell’articolo 55, le operazioni cofinanziate dal Fondo sociale europeo e quelle cofinanziate dal Fondo europeo di sviluppo regionale o dal Fondo di coesione di costo totale inferiore a un milione di euro. L’applicazione retroattiva di questo emendamento semplifica la gestione delle operazioni di cofinanziamento dei Fondi strutturali per quanto riguarda sia il calcolo delle spese massime ammissibili sia il controllo.

Della riduzione degli sproporzionati oneri amministrativi beneficeranno in particolare le PMI che gestiscono progetti nei settori dell’ambiente, dell’inserimento sociale, della ricerca, dell’innovazione e dell’energia. Vi ringrazio.

 
  
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  Andrzej Jan Szejna (PSE). – (PL) Signor Presidente, per i piccoli progetti cofinanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale e dal Fondo di coesione, nonché per le operazioni cofinanziate dal Fondo sociale europeo, gli attuali meccanismi di controllo rappresentano senza dubbio sia un indebito onere amministrativo, sproporzionato rispetto alle somme erogate, sia un rilevante fattore di rischio per l’attuazione di tali programmi. In base ai meccanismi di controllo, le entrate possono essere prese in considerazione per ben tre anni dopo la conclusione del programma.

La Commissione ha pertanto riconosciuto, molto giustamente, che è necessario e importante modificare l’articolo 55, paragrafo 5, del regolamento n. 1083/2006. Queste modifiche hanno lo scopo di semplificare realmente le disposizioni vigenti in materia di Fondi strutturali, nell’interesse dei cittadini e a loro vantaggio. Le modifiche riguarderanno settori importanti, come l’ambiente naturale, l’inserimento sociale, la ricerca, la competitività e l’energia.

Vorrei dire che, nel contesto dell’attuale crisi finanziaria ed economica, in Polonia si stanno compiendo grandi sforzi per garantire che i Fondi strutturali possano essere utilizzati alla prima occasione utile, allo scopo di consentire uno stanziamento quanto più rapido possibile delle risorse. Soprattutto per i nuovi Stati membri, questo è potenzialmente un modo per contrastare la crisi economica. I Fondi strutturali devono essere usati con rapidità ed efficacia.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE-DE). – (CS) Io e molti piccoli imprenditori vorremmo esprimere il nostro apprezzamento per il modo in cui la Commissione europea ha reagito, con velocità, vigore e immediatezza inaspettati, ai suggerimenti venuti tanto dagli Stati membri quanto dai deputati al Parlamento europeo proponendo questa clausola aggiuntiva al regolamento n. 1083. La semplificazione delle norme, insieme con l’applicazione retroattiva, è, più di tutto, una buona notizia per la grande maggioranza delle piccole imprese che gestiscono progetti di valore inferiore a un milione di euro e che possono apportare un significativo valore aggiunto in termini di capacità concorrenziale dell’Europa e specialmente in termini di occupazione. Considero l’approccio flessibile adottato dalla Commissione europea come un segno precursore di ulteriori buone notizie sulla sburocratizzazione dei complessi processi di controllo dei piccoli progetti.

 
  
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  Vladimír Špidla, membro della Commissione. – (CS) Vi ringrazio per la discussione. Penso che le argomentazioni a favore della proposta siano venute da molte parti. Non ho nulla da aggiungere in merito. E’ stata, tuttavia, posta una domanda sul metodo di calcolo dell’importo di un milione di euro. Consentitemi, quindi, di parlare di questo aspetto, sia pure molto brevemente. In primo luogo, abbiamo visto l’esperienza dei periodi di programmazione precedenti e, in secondo luogo, c’è stato lo sforzo alquanto impegnativo di semplificare il sistema senza sconvolgerne l’equilibrio complessivo. Si è quindi proposto di stabilire un limite specifico; nel contempo, la Commissione ha eseguito uno studio su questi punti. Alla luce di tali suggerimenti e anche delle raccomandazioni formulate il 3 luglio 2008 dal gruppo di lavoro sulle attività strutturali, la Commissione ha specificato nella sua proposta un importo che, come è emerso dalla discussione, è generalmente considerato accettabile.

 
  
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  Stavros Arnaoutakis, relatore. (EL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, in questa grave crisi finanziaria è estremamente importante semplificare le procedure e garantire meccanismi flessibili. La politica di coesione ha un ruolo rilevante da svolgere. La modifica dell’articolo 55 è un buon esempio di eccellente collaborazione tra le istituzioni dell’Unione europea. Per tale motivo voglio rivolgere uno speciale ringraziamento al commissario Hübner e al presidente del Parlamento europeo perché hanno adottato la proposta, rendendo così possibile la sua votazione entro la fine dell’anno. Come ha detto un collega, questa decisione è un regalo di Natale.

La semplificazione avrà effetti positivi sui cittadini europei; inoltre, stasera mandiamo il messaggio che è possibile emendare alcuni regolamenti a beneficio dei cittadini europei. Questo metodo di emendamento diretto dovrà essere applicato nuovamente in futuro, visto che ha dimostrato che le procedure burocratiche ostacolano l’esecuzione dei progetti. Sono certo che le nuove disposizioni contribuiranno a migliorare l’attuazione delle priorità della politica di coesione.

 
  
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  Presidente. La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà martedì, 16 dicembre 2008.

 

20. Gli aspetti di sviluppo regionale dell’impatto del turismo nelle regioni costiere (breve presentazione)
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  Presidente. L’ordine del giorno reca una breve presentazione della relazione (A6-0442/2008), presentata dall’onorevole Madeira a nome della commissione per lo sviluppo regionale, sugli aspetti di sviluppo regionale dell’impatto del turismo nelle regioni costiere [2008/2132(INI)].

 
  
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  Jamila Madeira , relatore. – (PT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono molto lieta di potervi illustrare il lavoro svolto da tutti su questa relazione d’iniziativa. A mio parere, e a parere anche di tutti coloro che hanno contribuito alla preparazione della relazione, è chiaro che abbiamo fatto il nostro dovere. Devo ringraziare tutti, specialmente i relatori ombra dei diversi gruppi politici, che si sono impegnati tantissimo per raggiungere compromessi sostenibili; il personale responsabile dello sviluppo regionale, sempre molto sollecito, tra cui il signor Tell Cremades e la signora Daffarra; i collaboratori del gruppo socialista al Parlamento europeo Lila e Petrus; infine, la Commissione europea, che, rappresentata come sempre dalle diverse direzioni generali interessate da una relazione di così ampia portata come questa, ha costantemente seguito da vicino il nostro lavoro e compiuto un grande sforzo per garantire un esito positivo. La mia sincera gratitudine va anche a tutti i membri del mio ufficio, in particolare alla signora Benzinho, nell’ottica di uno sviluppo più armonioso e strutturato delle regioni costiere e del turismo nell’Unione europea.

I 27 Stati membri dell’Unione europea hanno oltre 89 000 chilometri di coste, con un’ampia varietà di caratteristiche altamente specifiche che, a seconda del luogo, consistono in un carattere cosmopolita, come nel caso delle città di Lisbona, Copenaghen e Stoccolma, o nelle difficoltà connesse con una collocazione periferica o ultraperiferica, come nel caso dell’Algarve, della Liguria, delle Isole Canarie e di Madeira, che lottano per conservare un collegamento con le città principali o soffrono per la crescente desertificazione. Come che sia, tutte queste aree si identificano nel concetto di costa e regione costiera e vivono quotidianamente i vantaggi e gli svantaggi legati a tali concetti.

Stando ai dati disponibili, entro il 2010 circa il 75 per cento della popolazione mondiale vivrà in regioni costiere. Sulla base dei legami e dei rapporti reciproci, per “regioni costiere” si intendono i primi 50 chilometri in linea retta dalla linea di costa verso l’entroterra. Queste sono regioni, non strisce marittime. Sono prive della visione integrata di cui hanno estremo bisogno e che è stata sperimentata anche dai nostri antenati. Da queste regioni discende un’intera popolazione che qui ha cercato opportunità e sinergie economiche, in molti casi con il turismo come unica aspettativa. Da tali considerazioni deriva la nostra consapevolezza, che è stata il motore del nostro lavoro, della necessità di elaborare una visione pragmatica e integrata dell’impatto del turismo sulle regioni costiere.

Nell’attuale crisi finanziaria, i cui effetti sull’economia reale sono sempre più difficile da contrastare, il turismo sembra essere un settore con grandi potenzialità che sarà colpito gravemente, in modo diretto o indiretto. Nelle regioni il cui sviluppo dipende del tutto o in gran parte dal turismo, le imprese sono minacciate e guardano al futuro con incertezza, soprattutto perché il turismo non è, al momento, tra le competenze dell’Unione europea. Ma si possono e si devono adottare misure integrate, e lo spirito che anima il trattato di Lisbona riflette tale idea. Se, però, decidessimo di aspettare l’entrata in vigore del trattato prima di agire, sprecheremmo tempo che potrebbe invece essere impiegato utilmente.

Il turismo nella sua situazione attuale e le fragili condizioni delle regioni che da esso dipendono ci impongono di agire con urgenza ed efficacia. La dipendenza strutturale di queste regioni dal turismo in quanto creatore di posti di lavoro – sia pure, spesso, stagionali – e datore di lavoro intensivo è un dato di fatto che non si può dimenticare nel quadro della pressione sulle aree urbane e della disoccupazione. Questa relazione che sottoponiamo ora alla vostra attenzione era decisamente opportuna e urgente già quando la commissione per lo sviluppo regionale decise di prepararla. Adesso è diventata una vera e propria priorità per la Commissione europea e per il Consiglio europeo. Dobbiamo dare priorità alle innumerevoli iniziative previste dalla relazione, insieme con quelle già elaborate da altre istituzioni, cui va il mio esplicito sostegno, in linea con le misure previste dal piano di emergenza della Commissione. Tra tali misure voglio ricordare la revisione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, che ha il compito di affrontare chiaramente le questioni collegate a questo settore e le ripercussioni che esso sta subendo.

E’ essenziale garantire nelle regioni costiere lo sviluppo di nuovi comparti dell’economia, garantendone così la sostenibilità sociale e ambientale e promuovendo una reale integrazione fra le diverse politiche settoriali, quali quelle per il settore marittimo, i trasporti, l’energia, gli strumenti di coesione già in atto, la nuova politica per la qualità dei prodotti prevista dalla revisione della politica agricola comune – come annunciato nella relazione sullo stato di salute della PAC – e nuovi prodotti turistici nelle regioni costiere, senza trascurare il loro fondamentale contributo all’economia europea. L’adozione di un idoneo approccio olistico a questa politica deve essere tradotta in realtà quanto prima possibile nell’Unione europea.

Concludo, signor Presidente, dicendo che solo una precisa integrazione di questi strumenti e un’azione rapida ed efficace, che coinvolga tutti i soggetti interessati sul campo, può garantire un settore turistico sostenibile nelle regioni costiere, con reali prospettive di sviluppo futuro, nell’Unione europea.

 
  
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  Vladimír Špidla, membro della Commissione. – (CS) Signor Presidente, onorevoli deputati, ringrazio la relatrice onorevole Madeira per la sua relazione e le porgo le mie congratulazioni per la qualità e l’importanza del suo lavoro. Le regioni costiere sono molto importanti per l’Unione europea perché in esse si concentra una parte considerevole dell’attività economica.

La relazione propone altresì un approccio olistico al turismo nelle regioni costiere poiché affronta tra l’altro questioni quali gli ambienti marini e costieri, il trasporto marittimo, l’occupazione nelle regioni costiere, il sostegno alle piccole e medie imprese e aiuti per la pesca. La relazione conferma, poi, la necessità di una politica marittima forte e integrata per l’Unione europea, alla quale la Commissione europea sta lavorando dal 2005 e che evidenzia le connessioni tra politica regionale, politica territoriale e politica marittima.

Per dare a tale politica una forma concreta, nell’ottobre 2007 la Commissione ha adottato il piano d’azione per una politica marittima integrata che è in fase di graduale attuazione. Alcuni dei passi che la Commissione sta compiendo adesso sono una risposta diretta ai problemi e alle domande formulati nella relazione e sono, in particolare, i seguenti.

Primo: a seguito delle richieste di massima trasparenza in merito ai finanziamenti a favore delle regioni costiere, entro l’autunno del 2009 sarà istituita una banca dati dei progetti finanziati dai vari Fondi comunitari. In proposito vorrei ricordare che la qualità e la completezza di questa banca dati dipenderanno dalla disponibilità delle regioni a fornire informazioni.

Secondo: sarà rafforzata la cooperazione interregionale nel settore del turismo nelle regioni costiere. Il programma INTERREG IVC consente la creazione di una rete di regioni in relazione ai trenta temi prioritari, due dei quali riguardano questioni marittime, turismo compreso. Per vostra informazione, voglio dirvi che è stato pubblicato un secondo invito a presentare proposte nel quadro del programma IVC entro la metà di gennaio 2009. Invito pertanto le regioni costiere a sottoporre progetti per la creazione di reti volte a garantire la presentazione e l’attuazione di procedure consolidate nel quadro delle regioni costiere.

Sono molto lieto di poter affermare che la relazione riconosce anche l’impatto favorevole della politica di coesione dell’Unione europea sullo sviluppo delle regioni costiere. Il periodo di programmazione 2007-2013 offre a queste regioni numerose opportunità concrete e crea un quadro per il sostegno tecnico e finanziario dell’Unione ai loro piani di sviluppo. Grazie alla definizione vigente della politica di coesione, le regioni costiere possono investire nello sviluppo delle loro linee costiere e delle loro isole, perché la politica di coesione dà la priorità agli investimenti a favore dei porti, della ricerca marittima, dell’energia ricavata da fonti costiere, del patrimonio marittimo e, ovviamente, del turismo costiero. Tranne che nei periodi di alta stagione, il turismo può contribuire in particolare a compensare le riduzioni locali dei livelli di pesca, dell’attività agricola e dell’industria pesante, nonché dei trasporti.

Vorrei tuttavia segnalare che spetta alle regioni costiere selezionare i progetti migliori per rendere più competitive le loro economie e promuovere il turismo sostenibile a livello locale. Desidero dirvi che la Commissione sta compiendo passi molto concreti mirati a limitare il carattere stagionale delle attività turistiche, ad esempio con il progetto pilota Destinazioni europee di eccellenza (EDEN). Uno degli scopi di tale iniziativa è quello di contribuire a creare un flusso turistico più regolare e di indirizzare i turisti verso destinazioni non tradizionali, al fine di sostenere tutti i paesi e le regioni europei.

In conclusione, mi sia consentito ringraziare la relatrice per il buon lavoro che ha compiuto preparando questo testo, nonché osservare che il turismo ha un effetto positivo sulle regioni costiere purché sia controllato adeguatamente sotto il profilo della sostenibilità.

In tale contesto ho il piacere di comunicarvi che, alla luce dell’interesse manifestato nella relazione dell’onorevole Madeira, la Commissione organizzerà discussioni su argomenti connessi con il turismo nelle aree costiere nel quadro della conferenza che si terrà per celebrare la Giornata marittima europea, il 19 e 20 maggio 2009. Permettetemi di cogliere questa occasione per invitare gli onorevoli deputati al Parlamento europeo a partecipare al decentramento delle attività legate alla Giornata marittima europea del 2009, che la Commissione sostiene pienamente.

 
  
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  Presidente. La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà martedì, 16 dicembre 2008.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)

 
  
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  John Attard-Montalto (PSE), per iscritto. (EN) Una parte rilevante della popolazione europea vive in regioni costiere. La maggior parte delle persone non si rendono conto del fatto che le coste del continente europeo hanno un’estensione di quasi 90 000 chilometri. Va incoraggiato lo sviluppo di un turismo sostenibile, in contrapposizione al turismo stagionale, e questo obiettivo potrà essere conseguito solo diversificando i prodotti e proponendo forme alternative di turismo, come il turismo legato a viaggi di affari e il turismo congressuale, culturale, medico, sportivo, agricolo, linguistico e marittimo.

Promuovere il turismo costiero tradizionale rimane tuttavia una priorità. Nel mio paese siamo impegnati ad aumentare le dimensioni e la quantità delle spiagge, ma finora, sfortunatamente, si è seguito un approccio amatoriale. Gettare sabbia sulle spiagge esistenti o crearne di nuove senza compiere i necessari lavori infrastrutturali è soltanto uno spreco di risorse. Sono anni che in molti altri paesi e territori si stanno ampliando o creando spiagge, con la differenza che lì si è cominciato eseguendo dapprima i necessari lavori di tipo strutturale, per raccogliere la sabbia in maniera naturale e prevenirne l’erosione. In tale contesto, un altro, importante aspetto che sembra mancare nelle attuali proposte per la realizzazione della spiaggia più grande di Malta, l-Ghadira, è il rispetto e l’attenzione per l’ambiente immediatamente circostante.

 
  
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  Rumiana Jeleva (PPE-DE), per iscritto. (EN) E’ notorio che in molte regioni costiere dell’Unione europea l’economia è molto dipendente dal turismo. Dobbiamo però darci da fare se vogliamo che anche le prossime generazioni possano godere delle nostre belle spiagge e del paesaggio costiero. La sostenibilità e il futuro delle nostre aree costiere non sono di per sé ovvii; il degrado ambientale e una pianificazione errata provocano gravi danni alle regioni costiere. Dobbiamo evitare l’eccessiva costruzione di case e alberghi e assicurare che qualsiasi attività di edificazione sia accompagnata da un miglioramento delle infrastrutture, con particolare attenzione ai sistemi fognari e di smaltimento dei rifiuti. In parole semplici, dobbiamo fare del nostro meglio per preservare e proteggere le regioni costiere. Un’opzione in tal senso è quella di promuovere programmi mirati all’ecoturismo e di diffondere un migliore sistema di buone pratiche tra le regioni costiere. E’ del tutto evidente che occorre evitare qualsiasi forma di inquinamento ambientale; mi preoccupano in particolare gli impianti petroliferi e strutture del genere, che comportano gravi rischi per le nostre regioni costiere. Invito pertanto tutti gli Stati membri a garantire che tali impianti siano conformi alle tecnologie più avanzate disponibili e non comportino alcun pericolo ambientale per i fragili ecosistemi delle nostre regioni costiere.

 
  
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  Maria Petre (PPE-DE), per iscritto.(RO) L’impatto del turismo sulle regioni costiere è importante dal punto di vista della coesione territoriale, economica e sociale, e la revisione intermedia del bilancio 2007-2013 dovrà tenerne conto.

La Romania ha un’area costiera di estensione non indifferente lungo il Mar Nero, al pari di Bulgaria, Ucraina e Turchia.

Partendo da questa realtà, cui si aggiunge la necessità di tener conto anche degli estuari e dei delta dei fiumi che sfociano nel mare, bisogna elaborare un piano turistico nazionale integrato che sia specifico per quella regione e abbia come obiettivi sia un turismo sostenibile sia una migliore qualità della vita a livello locale.

Le autorità nazionali romene, insieme con quelle regionali e locali, daranno priorità all’utilizzo dei Fondi strutturali per lo sviluppo di un turismo sostenibile nella regione costiera del Mar Nero. La cooperazione e le sinergie in ambito regionale sono assolutamente vitali in tale ottica, e la cooperazione deve comprendere l’attuazione degli strumenti politici europei.

C’è bisogno di un approccio integrato come parte delle politiche comunitarie nel campo della coesione, dei trasporti, dell’energia, del benessere sociale, della salute, dell’agricoltura, del mare e della pesca, ma soprattutto nel settore ambientale, allo scopo di creare sinergie ed evitare misure tra loro contrastanti.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (PSE), per iscritto.(RO) Il turismo offre un potenziale significativo per lo sviluppo sociale ed economico, come pure per la coesione sociale e territoriale. Non dobbiamo dimenticare quali sono le specifiche caratteristiche geografiche delle regioni costiere. Il loro sviluppo dipende in gran parte dalle entrate generate dalle attività connesse con la vicinanza al mare, a estuari o delta di fiumi, nonché dal turismo, dalla pesca e dai trasporti.

In linea generale, le regioni costiere sono accessibili solo in presenza di una moderna ed efficiente infrastruttura di trasporti. Credo sia importante che gli Stati membri predispongano strategie specifiche e attuino azioni concrete per sviluppare il turismo nelle regioni costiere, tenendo conto della natura peculiare dell’ambiente circostante e nell’ottica di tutelarla.

Gli Stati membri devono diversificare i loro servizi turistici in conformità delle caratteristiche specifiche di ciascuna regione (cultura, sport, stazione balneare, storia) al fine di ridurre l’impatto negativo del turismo stagionale.

Esorto gli Stati membri a utilizzare i Fondi strutturali non soltanto per potenziare il turismo in un’ottica di sviluppo regionale, ma anche per promuovere la competitività economica e il rinnovamento.

 

21. Alfabetizzazione mediatica nell’ambiente digitale (breve presentazione)
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  Presidente. L’ordine del giorno reca una breve presentazione della relazione (A6-0461/2008), presentata dall’onorevole Prets a nome della commissione per la cultura e l’istruzione, sull’alfabetizzazione mediatica nell’ambiente digitale [2008/2129(INI)].

 
  
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  Christa Prets, relatore. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, a quest’ora tarda i media non sono più presenti, ma l’alfabetizzazione mediatica rimane comunque necessaria!

Cos’è l’alfabetizzazione mediatica e perché è tanto importante prestarle maggiore attenzione? Lo sviluppo digitale, le nuove tecnologie e le tecnologie dell’informazione sono così avanzate che ci hanno già sorpassati e, di fatto, il modo in cui le gestiamo, il modo in cui le insegniamo e apprendiamo è arretrato rispetto al loro grado di sviluppo. Alfabetizzazione mediatica significa possedere la capacità di gestire queste tecnologie e il modo in cui le insegniamo e apprendiamo. Alfabetizzazione mediatica significa possedere la capacità di usare i media, di comprendere e valutare criticamente i loro diversi aspetti e i loro contenuti, nonché di comunicare in vari contesti.

In aggiunta a questi aspetti educativi, un ruolo decisamente fondamentale è svolto dalle attrezzature e dall’accesso alle nuove tecnologie, e a tale proposito ci sono molte discrepanze, ad esempio, tra i diversi Stati membri dell’Unione europea e tra le aree urbane e quelle rurali. Occorre fare ancora molti investimenti nelle infrastrutture in questo campo. Per tale motivo, l’alfabetizzazione mediatica può essere interpretata anche nel senso più ampio di accesso alle nuove tecnologie dell’informazione e della gestione critica dei contenuti forniti da tali tecnologie. Tutti gli utenti dei media sono gruppi obiettivo, si tratti di giovani o di persone anziane. Lo scopo è quello di garantire il possesso delle competenze necessarie per compiere analisi critiche. In tale contesto stiamo definendo tre obiettivi: garanzia di accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione; analisi e gestione critica dei contenuti e della cultura mediatici; una riflessione indipendente, la produzione di testi per i media e un’interazione sicura con le tecnologie.

L’alfabetizzazione mediatica deve diventare una competenza decisiva, cioè deve far parte sia della formazione degli insegnanti sia dell’istruzione scolastica. L’alfabetizzazione mediatica dovrebbe rientrare nella formazione dei docenti affinché essi la possano imparare e poi la possano insegnare. Al riguardo raccomandiamo l’aggiornamento costante dei moduli di insegnamento, per garantire un’istruzione continua in questo settore.

Nelle scuole, l’alfabetizzazione mediatica deve costituire parte integrante dell’orario a tutti i livelli. Ora siamo al punto in cui la maggior parte dei bambini si insegnano a vicenda come utilizzare i media e le nuove tecnologie; purtroppo, però, non sono ancora abbastanza diffusi o conosciuti né un utilizzo consapevole né, soprattutto, le conseguenze dell’uso dei media.

Occorre pensare anche alle persone anziane, nel senso che l’alfabetizzazione mediatica deve diventare parte integrante dell’istruzione permanente, perché è importante che specialmente gli anziani possano tenere il passo di questa tecnologia per restare autonomi e continuare a partecipare alla vita della comunità per un periodo di tempo più lungo.

Ma queste tecnologie – come tutto, del resto, nella vita – oltre a comportare progressi hanno, ovviamente, anche effetti secondari. Per tale motivo ritengo che proprio adesso sussistano anche rischi non ancora individuati, soprattutto per quanto attiene alle conseguenze di questa nuova modalità di comunicazione tra i bambini e altre persone, attraverso i blog o cose del genere. Quando usano questi metodi di comunicazione, i bambini, allo stesso modo degli adulti, devono essere consapevoli del fatto che su Internet possono essere rintracciati in ogni momento. Quando metto i miei dati personali in Internet, li rendo accessibili a chiunque, e ciò significa che qualsiasi persona che naviga in Internet può usare i miei dati o quelli di un altro utente per creare un’immagine della mia personalità che può essere inserita in curriculum vitae o in domande d’impiego, con conseguenze assolutamente decisive per la mia futura vita professionale.

La situazione che dovremmo avere e alla quale miriamo è una situazione in cui siamo in grado di utilizzare i media in maniera competente, ma senza essere sfruttati. Dobbiamo darci da fare per raggiungere questo obiettivo.

 
  
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  Vladimír Špidla, membro della Commissione. (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, la Commissione accoglie molto favorevolmente la relazione del Parlamento europeo sull’alfabetizzazione mediatica nell’ambiente digitale.

Consentitemi anzitutto di congratularmi con la relatrice onorevole Prets e con la commissione per la cultura e l’istruzione per il lavoro che hanno compiuto.

La Commissione europea è convinta che l’alfabetizzazione mediatica rappresenti un elemento importante della partecipazione attiva degli europei alla società odierna dell’innovazione e dell’informazione.

Un più alto livello di istruzione mediatica può fornire un contributo significativo al conseguimento degli obiettivi di Lisbona.

Anche il Consiglio è di questo parere, e lo ha manifestato in occasione del Consiglio dei ministri dell’Audiovisivo, tenutosi il 21 maggio 2008, adottando le conclusioni sulle competenze in campo digitale.

La relazione del Parlamento sottolinea a ragione l’importanza dell’alfabetizzazione mediatica nel contesto della mobilizzazione e della partecipazione democratica degli europei, ma anche ai fini della promozione del dialogo interculturale e nel campo della protezione dei consumatori.

La Commissione concorda con il Parlamento sul fatto che l’alfabetizzazione mediatica debba valere per tutti i media, compresi i programmi televisivi e radiofonici, i film, la musica registrata, la stampa scritta, Internet e tutte le nuove tecnologie digitali della comunicazione.

L’alfabetizzazione mediatica è una competenza di base che deve essere acquisita dai giovani ma anche dai loro genitori, dagli insegnanti, dai professionisti dei media e dagli anziani.

Nel 2009 la Commissione continuerà a promuovere lo scambio delle migliori pratiche sostenendo, tra l’altro, le attività in corso, come MEDIA 2007, l’azione preparatoria MEDIA International e la direttiva sull’esercizio delle attività televisive, ossia la direttiva AVMS. Con particolare riferimento agli obblighi di rendicontazione previsti da quest’ultima direttiva, è stato avviato uno studio per definire i criteri di valutazione dei vari livelli di alfabetizzazione mediatica. Gli Stati membri saranno informati dello stato di avanzamento di questo studio domani, durante la riunione del comitato di contatto della direttiva AVMS. La relazione finale uscirà nel luglio 2009.

Per concludere, sono molto lieto che la Commissione e il Parlamento riconoscano la necessità di adottare una raccomandazione sull’alfabetizzazione mediatica nel corso del 2009.

 
  
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  Presidente. La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà martedì, 16 dicembre 2008.

 

22. Pratiche sleali delle società di compilazione degli annuari (breve presentazione)
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  Presidente. L’ordine del giorno reca una breve presentazione della relazione (A6-0446/2008), presentata dall’onorevole Busuttil a nome della commissione per le petizioni, sulla relazione inerente alle pratiche sleali delle società di compilazione degli annuari (petizioni 0045/2006, 1476/2006, 0079/2003, 0819/2003, 1010/2005, 0052/2007, 0306/2007, 0444/2007, 0562/2007 e altre) [2008/2126(INI)].

 
  
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  Simon Busuttil, relatore. − (MT) Questa relazione è stata stilata perché il Parlamento europeo ha ricevuto oltre 400 petizioni dai suoi cittadini, in specie da piccole imprese che sono rimaste vittima di pubblicità ingannevole dopo essere state inserite, senza averlo richiesto, in annuari commerciali. Le vittime ricevevano un modulo come questo, con la richiesta di compilarlo, ed erano anche indotte a pensare che in tal modo chiedevano l’inserimento gratuito in un annuario. Successivamente, però, ricevevano una lettera dalla quale apprendevano che, senza saperlo, avevano sottoscritto un contratto che le obbligava al pagamento di un migliaio di euro per tre anni. Ecco cosa è successo alle vittime di queste pratiche, che noi riteniamo siano fraudolente. Vorrei aggiungere che la società proprietaria dell’annuario European City Guide è quella citata più spesso nelle petizioni. Vale la pena osservare che detta società ha anche esercitato notevoli pressioni sui deputati al Parlamento europeo per cercare di bloccare o contrastare l’approvazione delle relazioni di cui ci stiamo occupando. Per fortuna, però, non c’è riuscita, nonostante non ci abbia sempre fornito informazioni corrette. Quali sono stati i risultati della relazione? Abbiamo scoperto che esiste un problema molto concreto, che è diffuso e riscontrabile in tutta l’Unione europea. E’ emerso inoltre che questo problema riguarda numerose piccole imprese nonché professionisti e altre persone che non necessariamente possiedono una società. Abbiamo accertato che esso investe società a livello transnazionale e che ha non soltanto un forte impatto finanziario ma anche pesanti conseguenze psicologiche sulle vittime di questi raggiri, le quali, dopo essere state imbrogliate e convinte a firmare questo modulo, vengono perseguitate dalla società autrice della truffa affinché paghino. Cosa proponiamo con la relazione? Primo, abbiamo elencato una serie di misure per innalzare il livello di consapevolezza e quindi ridurre il numero delle persone che finiscono in questa trappola. Secondo, dobbiamo assicurare che la legislazione europea vigente sia applicata in maniera debita. In merito va rilevato che ogni volta che la questione è stata posta all’attenzione della Commissione, questa ha risposto dicendo che spetta agli Stati membri decidere, a loro discrezione, se dare esecuzione a livello nazionale alle norme comunitarie. Siamo consapevoli di tale potere discrezionale; vorrei tuttavia ricordare alla Commissione che è compito della Commissione europea garantire che la normativa comunitaria sia attuata efficacemente negli Stati membri. Proponiamo altresì di emendare le disposizioni europee per poter affrontare meglio questo particolare problema. Abbiamo scoperto, per esempio, che il modello austriaco è esemplare perché l’Austria ha modificato le proprie norme nazionali in modo che possano essere applicate specificamente in casi come questo, di annuari commerciali fraudolenti. La mia ultima osservazione riguarda la necessità di aiutare le vittime consigliando loro di non effettuare pagamenti alle società che pubblicano annuari commerciali prima di essersi informate adeguatamente. In conclusione vorrei ringraziare la commissione per le petizioni, che ha approvato la relazione all’unanimità, e tutti i miei collaboratori. Il mio caloroso ringraziamento va altresì al segretario della commissione, signor Lowe. Adottando la relazione potremo lanciare due messaggi chiari: innanzi tutto alle vittime, perché dimostreremo loro che comprendiamo la situazione in cui si trovano e le sosteniamo pienamente; in secondo luogo, alle società truffaldine che compilano annuari commerciali, alle quali faremo sapere che le teniamo sotto stretta osservazione e manderemo l’avvertimento di porre fine immediatamente ai loro imbrogli.

 
  
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  Vladimír Špidla, membro della Commissione. (FR) Signor Presidente, la Commissione apprezza gli sforzi profusi dal Parlamento europeo per stilare questa relazione, di cui esaminerà con attenzione le conclusioni.

Vorrei sottolineare, come segnala chiaramente la relazione stessa, che, nella misura in cui il problema in esame concerne le relazioni tra imprese, non è possibile applicare gran parte della legislazione comunitaria sulla protezione dei consumatori, compresi la direttiva 2005/29 relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori e il regolamento (CE) n. 2006/2004 sulla cooperazione nel campo della tutela dei consumatori.

Una certa forma di tutela è tuttavia garantita dalla direttiva 2006/114/CE sulla pubblicità comparativa e fuorviante. In conformità di queste direttive, spetta alle pubbliche autorità responsabili della vigilanza sull’esecuzione della normativa e/o ai tribunali competenti degli Stati membri dai quali tali imprese svolgono le loro attività stabilire, su base individuale, se una comunicazione commerciale sia fuorviante, nonché adottare idonee azioni coercitive.

Desidero sottolineare che, per esempio, diverse autorità e diversi tribunali competenti della Spagna e del Belgio hanno già adottato misure coercitive contro simili pratiche, ottenendo una serie di risultati positivi.

La direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali non copre le operazioni commerciali tra imprese perché mancano argomenti a sostegno di una completa armonizzazione delle norme nazionali sulla concorrenza sleale. Una direttiva completamente armonizzata sulle pratiche sleali tra imprese e consumatori era già di per sé una proposta molto ambiziosa e sarebbe fallita se il suo ambito di applicazione fosse stato ampliato alle pratiche di concorrenza sleale tra imprese.

La consultazione che sta alla base della proposta e il lavoro svolto all’interno del Consiglio hanno rivelato che mancava quasi del tutto il sostegno a un’estensione dell’ambito di applicazione della direttiva alle pratiche commerciali sleali tra imprese. Mentre alcuni Stati membri erano favorevoli all’estensione dell’ambito di applicazione della direttiva alla concorrenza sleale, altri si sono espressi a favore della protezione dei consumatori ma contro l’introduzione a livello comunitario di un sistema armonizzato aggiuntivo di norme sulla concorrenza sleale.

Sebbene la Commissione non possa agire contro le imprese coinvolte in queste pratiche, è riuscita a rendere sensibilizzare le potenziali vittime su tale problema portandolo all’attenzione di varie organizzazioni professionali europee. Esso è stato sollevato nello specifico all’interno della Business Support Network; allo stesso tempo, la direttiva sulle piccole imprese chiama gli Stati membri a tutelare le loro piccole e medie imprese da pratiche inique. La Commissione continuerà a valutare altri modi per sensibilizzare ancora di più le imprese, ove lo reputi opportuno.

Inoltre, la Commissione ha contattato le competenti autorità degli Stati membri interessati – Spagna, Austria e Germania – invitandole a occuparsi della situazione in atto e chiedendo loro ulteriori informazioni. Le risposte ricevute hanno dimostrato con chiarezza che le autorità nazionali sono al corrente del problema e dispongono di norme idonee ad affrontarlo; laddove necessario, hanno già attuato le misure previste.

 
  
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  Presidente. La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà martedì, 16 dicembre 2008.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)

 
  
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  Richard Corbett (PSE), per iscritto. (EN) Avendo condotto per anni una campagna contro queste organizzazioni truffaldine, sono molto lieto di dare il mio appoggio alla relazione.

Si tratta di un problema di portata transfrontaliera. Ogni anno, migliaia di imprese, associazioni benefiche e gruppi di volontariato in tutta Europa vengono indotti con l’imbroglio a firmare ciò che sembra una richiesta del tutto innocente di registrazione in un annuario. In realtà, si tratta di un raggiro a causa del quale diventano loro malgrado parte firmataria di un contratto complesso e subiscono poi aggressive sollecitazioni di pagamento, senza alcuna possibilità di disdire il contratto.

E’ essenziale colmare le lacune giuridiche che consentono a quelle imprese di compiere le loro fraudolente attività. In particolare, invito la Commissione a seguire la raccomandazione principale formulata nella relazione e a proporre al Parlamento un ampliamento dell’ambito di applicazione della direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali, al fine di vietare specificamente le registrazioni a fini pubblicitari in questi annuari, a meno che il relativo annuncio non informi chiaramente i potenziali clienti che quello che viene loro offerto è un contratto a pagamento.

Tali raccomandazioni sono ovvie dal punto di vista giuridico, e l’Austria ha già aggiornato la sua trasposizione della direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali per includere proprio queste disposizioni; nondimeno, la loro formulazione esplicita garantirebbe una maggiore tutela delle imprese e di altre organizzazioni che finiscono vittima di simili raggiri e farebbe capire chiaramente a chi li compie che ha i giorni contati.

 

23. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
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24. Chiusura della seduta
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(La seduta termina alle 23.35)

 
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