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Procedura : 2009/2183(BUD)
Ciclo di vita in Aula
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Testi presentati :

A7-0079/2009

Discussioni :

PV 14/12/2009 - 17
CRE 14/12/2009 - 17

Votazioni :

PV 16/12/2009 - 4.1
CRE 16/12/2009 - 4.1
Dichiarazioni di voto
Dichiarazioni di voto

Testi approvati :

P7_TA(2009)0107

Resoconto integrale delle discussioni
Mercoledì 16 dicembre 2009 - Strasburgo Edizione GU

5. Dichiarazioni di voto
Video degli interventi
Processo verbale
  

Dichiarazoni di voto orali

 
  
  

- Relazione Böge (A7-0079/2009)

 
  
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  Jan Březina (PPE). (CS) Ho espresso voto contrario alla relazione presentata dall’onorevole Böge sulla mobilitazione di risorse prelevate dal Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) in quanto, segnatamente nel caso della richiesta austriaca, tale provvedimento comporta un approccio niente affatto sistematico che si traduce in un sostegno pro capite di dimensioni inaudite. Se gli effetti della globalizzazione rendono davvero necessario un sostegno mirato e circoscritto nel tempo a tutela dei lavoratori in esubero, tale sostegno deve rispondere alle reali esigenze dei singoli nonché alla reale situazione economica. Non sembra però che queste condizioni si verifichino e, al contrario, la procedura volta a definire tale sostegno si è rivelata confusa e arbitraria. A mio avviso, è quindi indispensabile stabilire criteri precisi. Lungi dal risolvere il problema, un simile impiego dei fondi è piuttosto uno spreco del denaro dei contribuenti.

 
  
  

Proposte di risoluzione: Prospettive del programma di Doha per lo sviluppo a seguito della Settima Conferenza ministeriale dell’OMC (RC-B7-0188/2009)

 
  
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  Syed Kamall (ECR).(EN) Signor Presidente, ritengo che l’interesse per il commercio mostrato da molti di noi sia legato all’idea di come possiamo aiutare chi vive nei paesi più poveri a uscire dall’indigenza. Sappiamo che uno dei modi più efficaci a tal fine è quello di offrire assistenza agli imprenditori dei paesi più poveri, di conseguenza è importante sostenerli nella loro richiesta di aiuto e di apertura dei mercati.

Dobbiamo tuttavia anche guardare alle nostre frontiere per capire in che modo erigere le barriere onde facilitare il commercio con i paesi più poveri. Questi ultimi spesso considerano le norme sul commercio penalizzanti nei loro confronti e tengono conto di questioni quali la politica agricola comune, le sovvenzioni al cotone, le norme sanitarie e fitosanitarie e le tariffe sulle importazioni di valore elevato verso l’Unione europea. Occorre quindi dare prova dell’esistenza di un sistema di scambio davvero aperto e dello sforzo di aiutare i paesi più poveri a uscire dalla miseria.

 
  
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  Nirj Deva (ECR).(EN) Signor Presidente, se vogliamo alleviare la povertà nel mondo, dobbiamo incrementare il commercio mondiale. Se imbocchiamo la strada del protezionismo a motivo dell’attuale crisi finanziaria mondiale, non riusciremo a strappare milioni di persone alla povertà in tempi brevi e milioni di persone moriranno. Se non cogliamo subito questa sfida superando la crisi, lasceremo strascichi di proporzioni talmente orribili che un miliardo di persone si troverà nell’impossibilità di vivere.

La crisi alimentare, i cambiamenti climatici, il riscaldamento globale, le inondazioni, i terremoti e ogni sorta di catastrofe richiedono un atto di assistenza e l’unico modo in cui possiamo offrire il nostro sostegno è attraverso il potenziamento del commercio mondiale. A tale proposito, mi rallegro che il nuovo commissario designato al commercio mi stia ascoltando.

 
  
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  Marc Tarabella (S&D).(FR) Signor Presidente, per quanto concerne la presente risoluzione sull’OMC, e contrariamente all’opinione espressa dal precedente oratore, ritengo che non sarà il commercio internazionale a risparmiare la morte o la sofferenza per malnutrizione a meno di un miliardo di esseri umani, bensì l’agricoltura di sussistenza, che si dimostrerà molto più efficace del commercio internazionale.

Ho già avuto la possibilità di intervenire su tale questione nel corso della discussione e ho votato contro la risoluzione unicamente perché è stato respinto l’emendamento relativo ai servizi pubblici e alla necessità dei governi di poter esercitare il controllo sui servizi legati a problemi sostanziali quali l’acqua e l’energia.

 
  
  

Dichiarazioni di voto scritte

 
  
  

Relazione Böge (A7-0079/2009)

 
  
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  Andrew Henry William Brons (NI), per iscritto. (EN) Non siamo capitalisti liberisti e crediamo nell’aiuto statale ai lavoratori rimasti disoccupati per colpe altrui, ma vorremmo che quell’aiuto fosse offerto loro dagli Stati sovrani. Naturalmente non siamo neanche a favore dell’adesione all’Unione europea, tuttavia il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione esiste e dispone di stanziamenti specifici.

Gli Stati membri non accolgono con favore il suddetto Fondo quale surrogato di tale aiuto. Se si avanzasse la proposta di aiutare i lavoratori britannici grazie a questo Fondo, naturalmente la difenderei. Mio malgrado non posso quindi oppormi a che i lavoratori svedesi, olandesi e austriaci ne traggano beneficio. In caso di voto contrario il denaro non verrebbe restituito al contribuente, bensì trattenuto dall’Unione e forse speso per una causa molto meno meritevole.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è stato istituito per fornire sostegno supplementare ai lavoratori che risentono delle conseguenze dei grandi cambiamenti strutturali nei flussi commerciali internazionali. Portogallo, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Svezia, Irlanda e Austria hanno già richiesto assistenza, a dimostrazione che il problema riguarda gli Stati membri in diverse zone geografiche e con diversi modelli e traiettorie economiche.

Tali situazioni, che si stanno verificando a un ritmo allarmante, impongono alle istanze decisionali un’attenta valutazione sia del modello socio-economico europeo che della sua futura sostenibilità, oltre a indicare l’impellente necessità di promuovere nuove strategie per la creazione di posti di lavoro di qualità. A tal fine, occorre fornire sostegno, eliminare gli oneri e abolire le formalità burocratiche ingiustificate a beneficio di chi, malgrado le difficoltà, è ancora disposto ad assumersi il rischio di avviare una nuova attività e intraprendere progetti innovativi.

A prescindere da quanta assistenza venga accordata ai lavoratori, essa resterà priva di valore se le aziende continueranno a chiudere i battenti una dopo l’altra e se non saremo in grado di imprimere un andamento contrario alla carenza di investimenti in Europa.

I casi in questione, che sottoscrivo, interessano Svezia, Austria e Paesi Bassi e hanno goduto di ampio appoggio in seno alle commissioni parlamentari interessate sia per la presentazione della proposta di risoluzione che per la formulazione di un parere.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Pur mantenendo un atteggiamento critico nei confronti del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, dovuto alla nostra convinzione che in primo luogo sarebbe stato più importante adottare misure preventive contro la disoccupazione, abbiamo votato a favore della mobilitazione del suddetto Fondo al fine di fornire sostegno supplementare ai lavoratori che risentono delle conseguenze delle ristrutturazioni societarie o della liberalizzazione del mercato internazionale.

La proposta riguarda la mobilitazione di circa 16 milioni di euro a favore di Svezia, Austria e Paesi Bassi al fine di coprire l’assistenza ai lavoratori licenziati per esubero nel settore automobilistico e dell’edilizia.

Quella di cui trattasi è la quinta mobilitazione del 2009, per un importo complessivo di 53 milioni di euro utilizzati rispetto al massimale stabilito di 500 milioni. E’ quantomeno sintomatico che poco più del 10 per cento dell’ammontare previsto abbia trovato impiego durante un periodo di grave crisi sociale, fatto che da solo basta a dimostrare la necessità di un riesame dei regolamenti che disciplinano il Fondo.

 
  
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  Françoise Grossetête (PPE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Böge sulla mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, teso a salvaguardare i posti di lavoro e a facilitare il reinserimento nel mercato del lavoro a chi è stato licenziato per esubero a seguito dei cambiamenti strutturali dei flussi commerciali internazionali e della crisi economico-finanziaria mondiale.

A tre anni dalla sua istituzione nel 2006, e nell’attuale contesto della crisi economico-finanziaria mondiale, era indispensabile agevolare le condizioni di utilizzo di questo Fondo. Oggetto di tali misure rapide ed efficaci sono al momento Svezia, Austria e Paesi Bassi, ma auspico che tutti gli Stati membri dell’Unione godano di una maggiore accessibilità a questo strumento di finanziamento. In base al quadro finanziario per il 2007-2013, il Fondo non può superare l’importo massimo di 500 euro, benché sia fondamentale che tali risorse trovino piena attuazione, cosa che oggi non succede.

L’Unione europea deve avvalersi di tutti i mezzi a disposizione per fare fronte alle conseguenze della crisi economica.

 
  
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  Jörg Leichtfried (S&D), per iscritto. – (DE) Voto a favore della relazione sull’accantonamento di 15,9 milioni di euro a titolo di assistenza ad Austria, Svezia e Paesi Bassi. A seguito della crisi economica mondiale soltanto nella Stiria sono stati licenziati per esubero 744 lavoratori del settore automobilistico. La lecita richiesta presentata dall’Austria al Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione di un contributo pari a 5 705 365 di euro è stata approvata dall’Unione.

Ciò trova piena giustificazione nella particolare congiuntura attraversata da questo paese a causa del crollo delle esportazioni che, nel caso di veicoli stradali e macchine, ad esempio, hanno subito una flessione rispettivamente del 51,3 per cento e del 59,4 per cento. Data la stretta correlazione tra le aziende del settore automobilistico e il basso grado di diversificazione di molti fornitori, la crisi si è fatta sentire in tutto il suddetto settore.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) I lavoratori svedesi, austriaci e olandesi sono vittime sacrificali della globalizzazione. Ribadiamo la nostra ferma opposizione alla filosofia sottesa al Fondo, che rende i lavoratori europei mere “variabili di aggiustamento”, consentendo il buon funzionamento di una forma di globalizzazione neoliberale che non viene mai messa in discussione. Gli interessi di giganti quali l’americana Ford, attuale proprietaria di Volvo Cars, che ha guadagnato utili per almeno 1 miliardo di dollari nel terzo trimestre del 2009, o Aviva, Axa e BlackRock, principali azionisti di Heijmans NV, oggi soppiantano l’interesse generale dei cittadini europei. Il Fondo sta contribuendo a tale saccheggio.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) L’Unione europea è uno spazio solidale e in tale spirito si inserisce il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, che fornisce il sostegno indispensabile ai disoccupati e alle vittime delle delocalizzazioni in un contesto globalizzato. Tanto più quando sappiamo che un numero sempre maggiore di aziende delocalizza, approfittando della riduzione dei costi di manodopera in vari paesi, segnatamente Cina e India, spesso con il risultato di accrescere il dumping sociale, ambientale e lavorativo.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Ancora una volta bisogna mitigare le conseguenze della globalizzazione attraverso la mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG). Questa volta, purtroppo, anche la Stiria è stata duramente colpita. Negli ultimi mesi hanno perso il lavoro 744 persone provenienti da nove aziende diverse e per questo la provincia della Stiria ha chiesto aiuto all’Unione. Come per gli altri casi, la richiesta è stata esaminata nel dettaglio e mi rallegra che i lavoratori della Stiria soddisfino tutti i criteri. E’ soprattutto durante l’attuale crisi economico-finanziaria che ci vengono ricordati gli effetti negativi della globalizzazione.

Con tutto ciò presente, risulta ancora più incomprensibile che il Parlamento oggi abbia adottato una risoluzione volta a promuovere ulteriormente la liberalizzazione e l’abbattimento delle barriere commerciali, e quindi una maggiore globalizzazione. Finché non cambierà la mentalità dell’Unione europea, possiamo soltanto impegnarci a contenere i danni causati dalla globalizzazione nei paesi interessati. Ho quindi votato senza riserve a favore dell’aiuto del Fondo.

 
  
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  Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. (PL) Ho appoggiato la mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione perché l’attuale situazione dei mercati del lavoro esige da parte nostra un’azione per conto dei lavoratori. Le crisi precedenti interessavano regioni specifiche e si concentravano in un unico luogo, quindi i lavoratori disoccupati o con problemi finanziari erano in grado di andare all’estero a cercare un’occupazione o potevano avere diversi impieghi. Oggi, dato il carattere mondiale della crisi finanziaria, questa non è un’alternativa attuabile.

La situazione in cui versano attualmente i mercati finanziari richiede misure di assistenza a favore dei milioni di cittadini rimasti disoccupati nel corso dell’anno passato. Naturalmente non mi riferisco soltanto all’assistenza nella ricerca di un impiego, ma anche al fatto di rendere elastico il mercato del lavoro, aiutare i lavoratori a ottenere nuove qualifiche e organizzare una formazione adeguata, ad esempio in materia di uso del computer o di orientamento professionale. Gran parte del FEG dovrebbe essere destinato alla promozione dell’imprenditoria e al sostegno al lavoro autonomo perché, quando le persone perdono il lavoro, avviare un’attività e generare un reddito per proprio conto rappresenta un’opportunità di stabilità finanziaria e di crescita.

Ritengo che programmi quali il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione siano necessari come risposta a una situazione particolare e sostegno diretto alle persone più colpite dagli effetti della crisi.

 
  
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  Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi congratulo per l’eccellente lavoro svolto dal relatore. Il Fondo di adeguamento alla globalizzazione è divenuto ormai uno strumento sempre più utilizzato dal Parlamento europeo a causa della difficile fase di convergenza economica che sta attraversando il nostro continente.

Ciò dimostra che di fronte alla crisi il Parlamento europeo mediante una sinergia di intenti trasversale dal punto di vista politico ha saputo adottare degli strumenti politici messi al servizio dei cittadini che noi rappresentiamo. Per tale ragione ho inteso esprimere il mio voto favorevole a questo Fondo, certo che questo costituisca uno strumento fondamentale di integrazione professionale e quindi sociale per i lavoratori che hanno perso il proprio impiego.

 
  
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  Marit Paulsen, Olle Schmidt and Cecilia Wikström (ALDE), per iscritto. (SV) La richiesta di assistenza della Svezia al Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione riguarda gli esuberi nel settore automobilistico svedese.

E’ nostra convinzione che il libero scambio e l’economia di mercato arrechino beneficio allo sviluppo economico e, in linea di massima, siamo quindi contrari all’assistenza finanziaria a paesi o regioni. La crisi economica è stata tuttavia più profonda di qualsiasi altra crisi l’Europa abbia conosciuto dagli anni trenta e ha colpito duramente i produttori di autoveicoli in Svezia, segnatamente la Volvo Cars.

La Commissione ritiene che i licenziamenti presso la Volvo Cars abbiano un “notevole impatto negativo sull’economia locale e regionale” nella Svezia occidentale. La Volvo Cars è un importantissimo datore di lavoro in questa zona. Se il Parlamento europeo non interviene, i lavoratori della Volvo Cars e i suoi fornitori ne resteranno gravemente danneggiati. Il rischio di emarginazione sociale ed esclusione permanente è molto elevato e noi liberali non possiamo accettarlo. Esprimiamo piena solidarietà alle persone rimaste senza impiego, con l’auspicio che venga resa loro disponibile qualche azione di formazione.

La Svezia è un contribuente netto dell’Unione europea ed è quindi importante che anche i lavoratori delle aziende svedesi ricevano assistenza dall’Unione qualora si trovino in difficoltà a causa della crisi economica.

 
  
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  Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), per iscritto. (FR) Mi sono astenuta dal voto sull’ulteriore mobilitazione del Fondo di adeguamento alla globalizzazione.

Fra le altre cose il voto riguarda due stanziamenti di pagamento di quasi 24 milioni di euro al settore automobilistico in Svezia e Austria. Un’altra richiesta interessa un’azienda nel settore dell’edilizia nei Paesi Bassi.

Il settore automobilistico è il principale beneficiario del Fondo, malgrado continui a chiudere fabbriche, delocalizzi la produzione, licenzi una parte ingente di manodopera e lasci i subappaltatori in una posizione di vulnerabilità. Ha inoltre ricevuto altri tipi di aiuto finanziario da parte degli Stati membri nell’ambito dei piani di ripresa economica, nonché sostegno supplementare concesso specificamente in relazione alle politiche di contrasto ai cambiamenti climatici.

Detti fondi, destinati alla formazione dei disoccupati – misura necessaria per trovare un nuovo impiego – non vengono assegnati in cambio dell’impegno da parte del settore automobilistico europeo a non licenziare altri lavoratori.

Appoggio senza dubbio alcuno questa politica di delocalizzazione.

 
  
  

- Relazione Haug (A7-0081/2009)

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Da questo bilancio rettificativo emergono chiaramente le contraddizioni intrinseche nei bilanci comunitari. Da un lato, i valori globali sono bassi rispetto alle esigenze delle politiche in materia di coesione economica e sociale, dall’altro i fondi non sono stati spesi perché i paesi maggiormente bisognosi hanno avuto difficoltà a preventivare il necessario cofinanziamento.

Ciononostante, hanno respinto le nostre proposte volte a semplificare i requisiti di cofinanziamento, segnatamente in un momento di crisi. Tali contraddizioni e irrazionalità della politica comunitaria favoriscono i paesi più ricchi e sviluppati, finendo per esacerbare le disparità sociali e regionali. Per tale motivo abbiamo espresso voto contrario.

La stessa relazione giustifica la nostra posizione quando sottolinea che “l’apparente rallentamento dei pagamenti rispetto al ritmo previsto ha motivazioni diverse a seconda dello Stato membro interessato. In primo luogo, la situazione economica attuale ha in alcuni casi ostacolato l’apporto del cofinanziamento nazionale. In secondo luogo, il fatto che l’esecuzione dello sviluppo rurale nel 2009 mostri un profilo meno dinamico rispetto all’anno corrispondente del periodo di programmazione precedente, è dovuto all’approvazione tardiva di alcuni programmi e talvolta, nel caso di Romania e Bulgaria, alla scarsa esperienza nell’attuazione di programmi di sviluppo rurale”.

 
  
  

- Proposte di risoluzione: Prospettive per il programma di Doha a seguito della Settima Conferenza ministeriale dell’OMC (RC-B7-0188/2009)

 
  
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  Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) Ho votato contro la proposta perché promuove in generale la liberalizzazione dei mercati e un sistema commerciale che va a danno esclusivo dei paesi poveri e in via di sviluppo, trascurando le esigenze ambientali del pianeta. Ritengo sia opportuno respingere la liberalizzazione del commercio e i suoi risultati catastrofici, corresponsabili dell’attuale crisi alimentare, climatica, economica e finanziaria, oltre che della perdita di occupazione, della povertà e della deindustrializzazione. Il mio voto contrario si deve altresì al fatto che la proposta non garantisce il pieno rispetto del diritto dei governi di tutelare la loro facoltà di disciplinare e offrire servizi essenziali, segnatamente nell’ambito di beni e servizi pubblici quali la salute, l’istruzione, la cultura, le comunicazioni, i trasporti, l’acqua e l’energia.

Purtroppo gli emendamenti proposti dal gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica sono stati respinti. Lotteremo tuttavia per una vera riforma del sistema commerciale internazionale, tesa a introdurre una normativa sul commercio equo ottemperante alle norme internazionali in materia di giustizia sociale, rispetto per l’ambiente, sicurezza e sovranità alimentare, agricoltura sostenibile, crescita praticabile e diversità culturale.

 
  
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  Anne Delvaux (PPE), per iscritto. (FR) Ho votato contro la proposta di risoluzione sulle prospettive del programma di Doha per lo sviluppo a seguito della Settima Conferenza ministeriale dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) per il fatto che, in una prospettiva generale, essa difetta chiaramente di lungimiranza nella promozione della crescita e del rispetto per i paesi in via di sviluppo, ma, più precisamente, perché se da un lato la conclusione positiva del round di Doha è fondamentale, dall’altro non si può conseguire a qualsiasi prezzo. Il commercio internazionale deve tenere conto della lunga tradizione dell’Europa nella cooperazione con i paesi più poveri. Per quanto concerne l’agricoltura e la liberalizzazione dei servizi, non condivido l’approccio consigliato dalla risoluzione, tanto più che non tutti gli emendamenti finalizzati al riequilibrio del testo sono stati accolti. E’ fuori discussione, ad esempio, accettare di intensificare i negoziati nel settore dei servizi (ai fini di una maggiore liberalizzazione).

Da ultimo mi rincresce che la risoluzione abbia favorito il rafforzamento degli accordi bilaterali di libero scambio, dato che spesso penalizzano i paesi in via di sviluppo. Dovendo affrontare l’Unione da soli, essi si trovano in una posizione negoziale molto più debole e tendono a finire con le spalle al muro.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) A mio avviso il round di Doha svolge un ruolo fondamentale per il commercio internazionale e può offrire un aiuto significativo ai fini della riduzione della povertà nei paesi in via di sviluppo e di una più equa distribuzione dei benefici derivanti dalla globalizzazione. E’ quindi importante che il programma di Doha per lo sviluppo ne prenda atto e contribuisca in modo concreto al conseguimento degli obiettivi del Millennio.

E’ indispensabile che i membri dell’OMC continuino a evitare l’adozione di misure protezionistiche, che potrebbero avere un impatto estremamente gravoso sull’economia mondiale. Sono convinto che senza misure protezionistiche la ripresa dalla crisi economica attualmente in atto sia stata migliore, seppure lenta.

Occorre pertanto che i membri dell’OMC lottino contro il protezionismo nelle loro relazioni bilaterali e multilaterali e nei futuri accordi.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Sono favorevole al ruolo guida dell’Unione europea nei negoziati dell’OMC in corso onde concludere il round di Doha senza perdere di vista le nuove sfide globali quali il cambiamento climatico, la sicurezza e la sovranità alimentare. Mi auguro che si pervenga a nuove opportunità di accesso al mercato e a un rafforzamento delle norme commerciali multilaterali, così da mettere gli scambi al servizio dello sviluppo sostenibile. L’OMC può garantire una migliore gestione della globalizzazione, tuttavia riconosco che nell’ambito della crisi economica attuale le norme e gli impegni assunti hanno impedito in larga misura il ricorso da parte dei suoi membri a misure commerciali restrittive, consentendo a un tempo l’adozione di misure di ripresa economica.

I membri dell’OMC devono rimanere impegnati nei confronti di una lotta attiva contro il protezionismo. Auspico una maggiore cooperazione tra l’OMC e altre organizzazioni e organismi internazionali quali l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), il Programma ambientale delle Nazioni Unite (UNEP), il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) e la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (UNCTAD). Ho quindi espresso voto favorevole.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La presente risoluzione sottolinea la posizione neoliberale del Parlamento sul round di Doha, lanciato nel 2001, malgrado il riferimento occasionale alle questioni sociali e agli obiettivi di sviluppo del Millennio.

L’orientamento di base persegue tuttavia la liberalizzazione totale del mercato mondiale, non avendo riconosciuto che è arrivato il momento di cambiare le priorità nel commercio internazionale e ripudiare il libero scambio a motivo del contributo negativo dato alla crisi sociale, alimentare, economica e finanziaria in atto, con un aumento della disoccupazione e della povertà. Il libero scambio tutela soltanto gli interessi dei paesi più ricchi e dei principali gruppi economico-finanziari.

Respingendo gli emendamenti da noi proposti, si rifiuta un’inversione di rotta nei negoziati che avrebbe accordato la priorità allo sviluppo e al progresso sociale, alla creazione di un’occupazione fondata sui diritti e alla lotta contro la fame e la povertà. E’ deplorevole che in cima alla lista di priorità non figurino l’abolizione dei paradisi fiscali, la promozione della sicurezza e della sovranità alimentare, il sostegno ai servizi pubblici di qualità e il rispetto del diritto dei governi a salvaguardare le loro economie e i loro servizi pubblici, segnatamente in materia di salute, istruzione, acqua, cultura, comunicazioni ed energia.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. (FR) No, il libero scambio mondiale non è la soluzione alla crisi attuale, bensì una delle sue cause primarie. I negoziati del round di Doha hanno zoppicato sin dall’inizio, arenandosi per un anno a causa di un problema fondamentale: il sistema ha raggiunto i limiti tollerabili per tutti, che si tratti di paesi sviluppati, emergenti o meno sviluppati, ovvero, nel gergo internazionale, tutti i paesi colpiti dalla povertà e obbligati a integrarsi in un mercato globale estremamente competitivo che li divora. In Europa viviamo secondo il paradosso perpetuato da pseudo-élite che ci governano e ci vogliono ricchi e poveri a un tempo: poveri perché dobbiamo essere sottopagati per competere nella guerra commerciale che ci oppone a paesi con salari bassi, ricchi perché così possiamo consumare le importazioni a basso prezzo e spesso di scarsa qualità che stanno invadendo i nostri mercati.

Qualche decina di anni fa un francese premio Nobel per l’Economia ha proposto la soluzione logica: il libero scambio è possibile e auspicabile soltanto fra paesi o territori con lo stesso livello di sviluppo. In questo modo diventa reciprocamente vantaggioso per le parti interessate. Quanto al resto, il commercio va regolamentato, piaccia o no ai profeti dell’ultraliberalismo.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. (FR) Auspico che il round di Doha per lo sviluppo ci porti a instaurare relazioni commerciali giuste ed eque. Per tale ragione ho appoggiato gli emendamenti presentati dal mio gruppo politico, intesi a migliorare la presente risoluzione al fine di rafforzare le esigenze in materia di sviluppo, chiedere che i servizi pubblici non siano messi in discussione nei negoziati sui servizi e che venga riconosciuta, nel quadro delle tariffe industriali, la necessità di tenere conto del livello di sviluppo di ciascun paese e di non aprire all’improvviso tali settori alla concorrenza e, da ultimo, tutelare quel trattamento speciale e differenziale per certi tipi di produzione nel settore agricolo.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) I vari squilibri del sistema commerciale internazionale concorrono ad accentuare ingiustamente le asimmetrie fra i continenti. A tale riguardo, qualsiasi misura volta a correggere gli squilibri attuali giova a tutti e di sicuro contribuisce alla creazione di un sistema multilaterale basato su norme più giuste ed eque dal quale si svilupperà un sistema di scambio vantaggioso. Questo è lo spirito del programma di Doha per lo sviluppo.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto.(ES) Dopo trent’anni di fondamentalismo del libero mercato, l’economia mondiale si trova ad affrontare la crisi peggiore dai tempi della grande depressione degli anni Trenta. Il programma neoliberale dell’OMC in materia di deregolamentazione, liberalizzazione e privatizzazione dei servizi ha aumentato la povertà fra la maggior parte della popolazione mondiale, sia nei paesi sviluppati che in quelli industrializzati. Il mio gruppo ha sempre respinto la liberalizzazione del commercio e i suoi effetti devastanti, corresponsabili della crisi finanziaria, economica, climatica e alimentare in atto.

Per questo ho votato contro la risoluzione del Parlamento sulla conferenza ministeriale dell’OMC e il mio gruppo ha proposto di chiedere un nuovo mandato negoziale per l’Organizzazione che si conformi alla situazione in cui versa attualmente il mondo. I suoi obiettivi devono essere il conseguimento di una riforma vera del sistema commerciale internazionale e l’adozione di normative sul commercio equo ottemperanti agli accordi internazionali e ai regolamenti nazionali nei settori della giustizia sociale, dell’ambiente, della sovranità alimentare e dell’agricoltura sostenibile.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) La proposta di risoluzione comune presentata dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano), dai Conservatori e Riformisti europei e dal gruppo dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa sul programma di Doha per lo sviluppo e sull’OMC conferma la tendenza alla liberalizzazione globale in tutti i settori economici. E’ indubbio che la caduta delle barriere commerciali e l’aumento del commercio in taluni ambiti coincidano con una maggiore prosperità, e inoltre si sono dimostrati i benefici del libero scambio tra paesi aventi un grado di sviluppo simile.

Se tuttavia il grado di sviluppo dei partner commerciali differisce eccessivamente, in molti casi ne derivano ripercussioni negative per entrambe le parti. L’apertura totale dei mercati dei paesi sviluppati alle esportazioni provenienti dai paesi industrializzati ha talora portato alla distruzione della struttura economica locale, a un aumento del livello di povertà della popolazione e a un conseguente desiderio di migrazione verso i paesi occidentali. D’altra parte, l’Europa è stata inondata da beni a basso costo provenienti dall’Estremo Oriente, la cui produzione è spesso legata allo sfruttamento dei lavoratori. La delocalizzazione e l’arresto della produzione nazionale si sono tradotti in disoccupazione per l’Europa, pertanto ha senso erigere barriere quali quelle per il mantenimento della sovranità alimentare in Europa. Non va dimenticato che la liberalizzazione dei servizi relativi ai mercati finanziari ha assunto un peso enorme nell’attuale crisi economico-finanziaria. Ciononostante, la proposta di risoluzione resta favorevole a continuare il processo di liberalizzazione e ad accordare all’OMC un ruolo più incisivo nella politica per un nuovo ordine mondiale; in ragione di ciò ho espresso voto contrario.

 
  
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  Evelyn Regner (S&D), per iscritto. (DE) Oggi ho votato contro la risoluzione sul programma di Doha per lo sviluppo perché mi oppongo a qualsiasi forma di liberalizzazione dei servizi pubblici. Penso soprattutto alla liberalizzazione dell’acqua, dei servizi sanitari e dei servizi nel settore dell’energia. Ai fini della coesione sociale i servizi pubblici devono essere erogati a tutti i cittadini secondo standard qualitativi elevati, nel rispetto del principio dell’universalità, e soprattutto con prezzi accessibili. Alle autorità nazionali va quindi accordato un grande potere discrezionale, nonché ampie opportunità per adeguare i loro servizi.

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. (FR) In questa epoca segnata dalla globalizzazione è più importante che mai creare un sistema efficace di regolamentazione del commercio e tale compito spetta all’OMC, sorta nel 1995 dalle ceneri del GATT. Come sottolineato nella proposta di risoluzione comune presentata dalla destra del Parlamento, e per la quale ho votato stamattina, l’OMC svolge un ruolo fondamentale nell’assicurare una gestione migliore della globalizzazione e una più equa distribuzione dei benefici. E’ chiaro che i sostenitori del protezionismo, e quindi della chiusura, stanno scegliendo il bersaglio sbagliato quando fanno dell’OMC l’arma letale della liberalizzazione sregolata. E’ stato il direttore generale in carica di questo organismo delle Nazioni Unite, Pascal Lamy, a indicare la strada da seguire nel 1999, che, per converso, è quella della globalizzazione regolata.

Al fine di seguire tale strada, il Parlamento europeo propone alcune soluzioni concrete: accesso al mercato completamente esente da dazi e contingenti almeno per i paesi sviluppati, un esito positivo del round di Doha per i paesi in via di sviluppo, requisiti in materia di standard ambientali e sociali e un mandato controllato dalla Commissione sulle questioni agricole. Attraverso queste soluzioni poniamo a un tempo l’accento sul fatto che l’Unione europea debba accordare priorità ai suoi obiettivi politici oltre che commerciali.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. (PL) E’ con piacere che accolgo la risoluzione sull’OMC, essendo un problema di enorme rilevanza al momento. La crisi presenta una dimensione mondiale e uscirne in tempi brevi è nell’interesse di tutti, quindi ritengo che l’espansione del commercio mondiale costituisca un modo efficace per arginarla. Limitare la riforma economica a un ambito regionale o nazionale sarebbe più facile, ma alla lunga non servirebbe a contrastare una crisi di portata globale che richiede l’utilizzo si strumenti comuni su scala mondiale. Occorre pertanto impegnarsi ad accelerare i negoziati nel quadro dell’OMC ai fini di un’ulteriore liberalizzazione del mercato, adottando a un tempo validi principi di competitività basati sugli standard di qualità dei prodotti e sulle condizioni di produzione, finanche nel contesto della lotta ai cambiamenti climatici e alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Beni particolarmente sensibili quali i prodotti alimentari e agricoli necessitano di un approccio oltremodo efficace. In futuro sarà opportuno considerare l’eventuale introduzione a livello mondiale della standardizzazione di alcuni elementi di politica agricola accanto alla liberalizzazione globale del commercio in materia di beni agricoli nel quadro dell’OMC. Occorre tenere conto della particolare natura del settore agricolo, della sua dipendenza dalle condizioni climatiche, dalle questioni inerenti alla qualità della sicurezza alimentare, dalle condizioni di produzione e dal problema della tutela dell’approvvigionamento alimentare mondiale. Nei negoziati dell’OMC è indispensabile dare prova di maggiore benevolenza e comprensione nei confronti dell’altro.

 
  
  

Misure restrittive riguardanti i diritti degli individui a seguito dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona (B7-0242/2009)

 
  
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  Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) Ho votato contro la proposta perché fondata interamente sulla dottrina e sulla politica della “guerra al terrorismo”, strumento ancora in uso per giustificare le restrizioni sui diritti e sulle libertà e per legalizzare l’intervento militare e le azioni messe in atto dal trattato di Lisbona. Alla fine il Parlamento europeo è stato escluso dalla colegislazione, dall’esame e dal controllo delle misure relative ai diritti individuali e alle politiche anti-terrorismo, con il conseguente indebolimento del suo ruolo su questioni fondamentali. In ultima analisi vorrei sottolineare che, a parte ogni altra considerazione, purtroppo è stato approvato un emendamento che ha snaturato il ruolo delle organizzazioni non governative, trasformandole in fornitori di informazioni nonché in un veicolo dei vari servizi di sicurezza “anti-terroristici”, invece che in prestatori di aiuto per le società in cui operano.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) L’accesso pubblico ai documenti è un elemento indispensabile di garanzia del controllo democratico delle istituzioni e del loro corretto funzionamento che si traduce in un accrescimento della fiducia dei cittadini. Nell’ambito del programma di Stoccolma, il Consiglio ha ribadito l’importanza della trasparenza, invitando la Commissione a esaminare il modo più adeguato per garantire detta trasparenza nel processo decisionale, nell’accesso ai documenti e nel buon governo, alla luce delle nuove opportunità offerte dal trattato di Lisbona. Sono convinto che la base giuridica del regolamento applicabile all’accesso ai documenti debba essere modificata insieme al contesto giuridico nel quale si colloca, segnatamente per quanto concerne le relazioni tra le istituzioni dell’Unione e i suoi cittadini.

Sono altresì necessari interventi migliorativi di carattere sostanziale, ad esempio in un ambito che ritengo fondamentale, ovvero la facoltà del Parlamento di esercitare il proprio diritto di controllo democratico mediante l’accesso ai documenti sensibili. La trasparenza, sia in ambito pubblico che interistituzionale, è un principio basilare dell’Unione europea. Le azioni e le decisioni adottate dall’insieme di istituzioni, organismi, servizi e agenzie comunitari devono essere guidate nella misura più ampia possibile dal rispetto del principio di trasparenza.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) La questione in esame concerne il trattato di Lisbona e, segnatamente, la conciliazione degli articoli 75 e 215 relativi alla competenza del Parlamento nella procedura di adozione di misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità.

Se da un lato l’articolo 215 esclude il Parlamento dal processo decisionale, dall’altro l’articolo 75 stabilisce la procedura legislativa ordinaria e la conseguente partecipazione di questa Assemblea alla definizione e all’adozione di misure volte a prevenire il terrorismo e le attività connesse.

Dato che la ratio alla base delle misure restrittive di cui all’articolo 215 spesso riguarda proprio la lotta al terrorismo, è importante stabilire se ciò rappresenti una deroga all’articolo 75 e, in tal caso, se sia accettabile che il Parlamento venga sistematicamente escluso dalla procedura di adozione di queste misure.

E’ chiaro che il legislatore intendeva affidare tale procedura alla competenza esclusiva del Consiglio e che una simile iniziativa può rispondere a motivi di rapidità e unità del processo decisionale. Ritengo tuttavia che in qualunque situazione non urgente sarebbe utile consultare il Parlamento in vista dell’adozione di dette misure.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La lotta al terrorismo funge ancora una volta da scusa per contemplare misure e sanzioni restrittive contro governi di paesi terzi, persone fisiche o giuridiche, gruppi o entità non statali. Questo è inaccettabile, dato che la stessa relazione riconosce la difficoltà pratica di distinguere tra vari tipi di minacce, malgrado i tentativi in questo senso.

Occorre quindi un altro ambito di conformità al diritto internazionale. Contestiamo la politica dei due pesi e due misure in relazione a governi di paesi terzi, a persone fisiche o giuridiche e a gruppi o entità non statali, valutata in base agli interessi degli Stati Uniti o delle principali potenze europee. Non mancano esempi in proposito. Solo per citarne alcuni, possiamo ricordare i casi di occupazione illegale del Sahara occidentale, gli arresti di Aminatou Haidar e di altri sahraui in Marocco e gli atti di ostilità turchi contro i curdi e Cipro.

Abbiamo pertanto votato contro questa relazione, pur condividendone i paragrafi sulla richiesta di chiarimenti alla Commissione.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. (FR) Questa risoluzione del Parlamento oscilla in continuazione fra la necessità di adottare determinate misure contro le organizzazioni terroristiche e gli stati che le sostengono, come ad esempio il congelamento dei capitali o l’imposizione di sanzioni diplomatiche ed economiche, e il rispetto dei diritti dei singoli e delle organizzazioni a difendersi da simili accuse e sanzioni.

E’ evidente che questo Parlamento ha scelto di dare priorità ai diritti delle persone sospette piuttosto che alla difesa delle nazioni. Se tuttavia le democrazie non sono in grado di combattere il terrorismo negando i loro stessi valori, allora non possono neanche permettersi di dare l’impressione di lassismo o debolezza. Invece temo che questa sia esattamente l’impressione che la risoluzione stia dando. A ciò si deve, tralasciando gli aspetti istituzionali, il nostro voto contrario.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. (FR) Ho votato a favore di questa risoluzione perché è importante che noi deputati esercitiamo il controllo parlamentare sulle decisioni in merito all’imposizione di sanzioni contro le persone associate ad al-Qaeda e ai talebani, nonché le persone che minacciano lo Stato di diritto nello Zimbabwe e in Somalia. La base giuridica scelta è inammissibile, quindi chiediamo di essere consultati secondo la procedura legislativa ordinaria e di essere tenuti al corrente degli sviluppi dell’operato del comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite. Da ultimo, a tale proposito, mi rincresce l’approccio eccessivamente amministrativo cui il Consiglio si sta attenendo, benché si tratti di misure riguardanti i diritti individuali.

 
  
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  Timothy Kirkhope (ECR), per iscritto. (EN) Il gruppo ECR sostiene con forza le misure contro i terroristi nell’Unione europea e crede fermamente nello sforzo congiunto dei governi nazionali europei diretto a contrastare la minaccia costante del terrorismo. Il gruppo ECR ha tuttavia deciso di astenersi dal voto su questa risoluzione per due motivi precisi: il primo è la nostra opposizione a qualsiasi legislazione che propenda nel senso di una politica estera e di sicurezza comune europea; il secondo è piuttosto l’auspicio che si migliori e si rafforzi il coordinamento e la cooperazione tra l’Unione europea e i governi nazionali, e siamo molto delusi che la risoluzione non rispecchi a sufficienza tale aspetto.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Il buon senso alla base delle interrogazioni poste va oltre una semplice valutazione della dottrina e della coerenza tra le intenzioni dichiarate e la loro interpretazione. Vi è altresì una conseguenza pratica, ispirata al vecchio detto secondo il quale chi può fare di più può fare anche di meno, in merito al seguente punto: che senso ha escludere a priori un organismo competente in materia penale nonché di prevenzione e lotta contro gli attacchi terroristici, in virtù della procedura di codecisione, quando vi sono altre misure in questione che per il fatto di interessare i diritti dei cittadini possono rivelarsi ancora più importanti in questo ambito?

E’ fondamentale che l’interpretazione del trattato di Lisbona nella legislazione corrisponda nella realtà al rafforzamento dichiarato delle facoltà e delle competenze del Parlamento. In taluni casi, come sollevato nell’interrogazione, quando ne va dei diritti dei cittadini e le politiche anti-terrorismo sono minacciate, dovrebbe essere quantomeno possibile una duplice base giuridica. Negli altri casi, quali lo Zimbabwe e la Somalia, sarebbe opportuno contemplare una consultazione facoltativa come sancito dalla dichiarazione sull’Unione europea formulata a Stoccarda, cui si riferisce l’interrogazione.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Negli ultimi anni sempre più libertà sono state ridotte in nome della lotta al terrorismo. Con l’accordo SWIFT e il programma di Stoccolma, in particolare, la “persona trasparente” sta diventando una realtà concreta. In un’epoca segnata dalla moderna tecnologia, dalla globalizzazione e da un’Europa senza frontiere è sicuramente importante che le autorità collaborino e si attrezzino allo scopo. Lo Stato non deve tuttavia abbassarsi al livello dei terroristi. Basti pensare al ruolo discutibile svolto dall’Unione europea e dai singoli Stati membri in relazione ai sorvoli della CIA e alle prigioni segrete americane.

Il controllo della legalità è una contromisura fondamentale per garantire a un accusato i diritti minimi previsti da una democrazia moderna. La relazione in oggetto è alquanto vaga in merito all’approccio adottato e troppo sintetica riguardo ai fallimenti passati e alle questioni legate alla tutela dei dati. Ho pertanto espresso un voto di astensione.

 
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