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Procedura : 2010/2965(RSP)
Ciclo di vita in Aula
Ciclo dei documenti :

Testi presentati :

RC-B7-0637/2010

Discussioni :

PV 25/11/2010 - 12.2
CRE 25/11/2010 - 12.2

Votazioni :

PV 25/11/2010 - 13.2

Testi approvati :

P7_TA(2010)0449

Resoconto integrale delle discussioni
Giovedì 25 novembre 2010 - Strasburgo Edizione GU

12.2. Tibet - piani per l'introduzione del cinese quale principale lingua di insegnamento
Video degli interventi
Processo verbale
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione su sei proposte di risoluzione sul Tibet – piani per l’introduzione del cinese quale principale lingua di insegnamento(1).

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg, autore.(PL) Signora Presidente, in ottobre, abbiamo assistito alle proteste pacifiche di migliaia di tibetani contro i piani delle autorità cinesi tesi a modificare la politica in materia di istruzione. L’attuale modello di bilinguismo, che consente alle minoranze etniche di studiare nella propria lingua nazionale, oltre che in cinese, sarà sostituito da un modello in virtù del quale il cinese diventerà la principale lingua di insegnamento.

Il segretario del partito comunista cinese della provincia di Qingai, Qiang Wei, in un articolo recentemente pubblicato ha dichiarato che, entro il 2015, il cinese mandarino standard diventerà la principale lingua di insegnamento nelle scuole primarie. I tibetani e i rappresentanti di altri gruppi etnici devono ovviamente poter essere efficacemente impiegati sul mercato del lavoro cinese e studiare quindi il cinese senza dovere per questo rinunciare alla possibilità di fruire di un’adeguata istruzione nella propria lingua madre.

Va ricordato che i diritti per quali combattono i tibetani sono sanciti dall’articolo 4 della costituzione della Repubblica popolare cinese e dall’articolo 10 della legge sull’autonomia regionale. I tibetani chiedono che il rispetto di diritti che sono già stati riconosciuti e il Parlamento deve sostenerli con convinzione nel loro impegno per tutelare la propria cultura, di cui la lingua è un elemento fondamentale. Credo che tutti condividiamo le parole di Dokru Choedaka, attivista impegnato per la difesa della lingua tibetana, quando dice che le scuole e la lingua costituiscono il tessuto dell’identità nazionale.

 
  
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  Marietje Schaake, autore.(EN) Signora Presidente, la cultura e le espressioni culturali sono il fondamento dei nostri valori e della nostra identità. Per riprendere le parole di Aristotele, non si tratta dell’aspetto esterno, ma del senso interno.

La cultura, quando è utilizzata come strumento per imporre valori e per eliminare la diversità e la libertà di espressione, si trasforma in un’arma. L’introduzione del cinese mandarino quale lingua principale dell’istruzione e dei documenti ufficiali per i tibetani è allarmante: se la Cina pensa di spazzare via in questo modo la cultura tibetana, contraddice nei fatti il suo stesso auspicio di istituire relazioni etniche armoniose tra le innumerevoli culture, etnie ed identità presenti nel paese. Le autorità cinesi devono garantire l’accesso dei media stranieri in Tibet senza che siano necessari permessi speciali e consentire comunicazioni libere da censura e libero accesso all’informazione – anche su Internet – in tutto il paese.

La diversità culturale e il rispetto dei diritti umani contribuiscono alla ricchezza al pari dello sviluppo economico. L’Unione europea, nelle sue relazioni con la Cina, deve privilegiare coerentemente la difesa dei diritti umani, soprattutto per le minoranze etniche e culturali.

 
  
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  Ryszard Czarnecki, autore.(PL) Signora Presidente, i grandi paesi europei dedicano davvero molta attenzione al miglioramento dei rapporti economici, commerciali e degli investimenti con la Cina. Questo significa che al Parlamento spetta un ruolo ancora più importante quando si tratta di parlare apertamente di diritti umani e delle loro violazioni. Credo che oggi il Parlamento debba porre forte enfasi sul diritto delle persone che vivono in Tibet ad utilizzare la propria lingua, ad intrattenere contatti liberi con il mondo esterno attraverso Internet – dopo tutto viviamo nel XXI secolo – e a parlare con i giornalisti stranieri: è deprecabile che viga il divieto per i corrispondenti esteri di entrare nella regione. Vorrei infine aggiungere che trovo estremamente preoccupante l’imposizione della lingua di Stato al Tibet.

 
  
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  Heidi Hautala, autore.(FI) Signora Presidente, l’articolo 4 della costituzione della Repubblica popolare cinese garantisce a tutti cittadini e di tutte le nazionalità la libertà di impiegare e sviluppare la propria lingua e scrittura. Alla luce di questo, abbiamo validi motivi di preoccupazione alla luce delle recenti notizie secondo cui lo status della lingua tibetana quale lingua di insegnamento potrebbe essere indebolito. So che in questo vastissimo paese sono in atto proteste contro la simile scomparsa delle varianti della lingua cinese parlate a Shanghai e a Canton e anche questo è fonte di pari preoccupazione.

È importante che la Repubblica popolare cinese riconosca che la conservazione della cultura tibetana dipende in larghissima misura dalla sua lingua, che deve rimanere la prima lingua di insegnamento ed essere usata anche nelle università. Certamente un autentico bilinguismo è un obiettivo importante; è ragionevole che i tibetani studino anche il cinese, ma l’introduzione del cinese come prima lingua dell’istruzione non mancherà di portare con sé gravi problemi, infliggendo un duro colpo alla cultura tibetana.

È altresì importante che la Cina ratifichi finalmente il Patto internazionale sui diritti civili e politici che ha firmato anni fa. È un gesto che darebbe un forte contributo alla protezione delle minoranze etniche e religiose e alla conservazione delle loro lingue e culture.

 
  
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  Thomas Mann, autore.(DE) Signora Presidente, quando interveniamo al Parlamento europeo, possiamo utilizzare la nostra lingua madre; iIl governo cinese intende privare i tibetani di questo diritto fondamentale, con il rischio di una perdita di identità. Migliaia di tibetani hanno manifestato contro l’annunciata fine della politica del bilinguismo, organizzando proteste pacifiche presso scuole e università. Il 27 ottobre, di fronte all’edificio del Parlamento europeo a Bruxelles un gruppo di scolari tibetani mi ha consegnato una petizione, chiedendo la nostra solidarietà. L’ambasciatore cinese, Zhe Song, ieri ha sottolineato che l’insegnamento bilingue in Tibet costituisce una misura importante per il sostegno alla cultura tibetana: ho ascoltato quanto aveva da dirci, ma non sono certo di potergli credere. Dopo tutto, non ha smentito i numerosi resoconti della stampa secondo cui il cinese mandarino è destinato a diventare la lingua principale negli istituti scolastici nella regione di Qingai. Anche il cantonese e lo shanghainese saranno sostituiti dal mandarino in tutto il sistema dell’istruzione e alla radio, nonostante il governo sostenga che il cinese mandarino sia parlato solo da metà della popolazione cinese. L’articolo 4 della costituzione cinese e l’articolo 10 della legge sull’autonomia regionale sottolineano la libertà per tutti i gruppi etnici di sviluppare la propria lingua e scrittura. Commissario Lewandowski, la esorto a fare in modo che, nel dialogo tra Unione europea e Cina, si discuta di quest’allarmante evoluzione; la invito a mandare un gruppo di esperti nella regione, organizzando una missione di inchiesta, per cercare di capire dove si situi la minaccia al sistema del bilinguismo. La lingua tibetana può essere integrata dal cinese, ma sicuramente non sostituita.

 
  
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  Róża Gräfin von Thun und Hohenstein, a nome del gruppo PPE.(PL) Signora Presidente, nessuno oggi può lamentare una mancanza di informazioni su quanto sta avvenendo in Tibet; ciononostante, non facciamo ancora praticamente nulla per impedire ai cinesi di distruggere i tibetani in quanto individui e in quanto nazione, insieme alla loro splendida cultura e alla loro profonda e autentica religiosità.

Oggi stiamo parlando della distruzione della lingua tibetana e della sua sostituzione con il cinese mandarino. Molti di noi in quest’Aula e molti dei nostri antenati hanno spesso pagato un prezzo estremamente alto nella lotta in difesa della propria lingua nazionale contro la volontà di un invasore o di un dittatore, perché sapevamo che perdere la nostra lingua poteva significare perdere l’ultima speranza di vivere un giorno la nostra identità nel nostro paese. Alla luce di queste esperienze, che hanno segnato il destino di molti europei, dobbiamo chiedere a chi negozia con la Cina a nostro nome, discutendo di sviluppo tecnologico, di investimenti, di commercio, eccetera, di non trascurare il tema delle frequenti violazioni dei diritti umani. Nei negoziati con il governo cinese sui diritti umani, e qui mi associo a quanti prima di me hanno già lanciato un appello, chiedo che proprio il tema dei diritti umani non sia relegato sullo sfondo, indipendentemente dal fatto che ci sia o meno la crisi economica.

 
  
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  Kristiina Ojuland, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signora Presidente,da sempre in Estonia abbiamo lottato per conservare la lingua delle popolazioni indigene. Dopo aver riconquistato la nostra indipendenza nel 1991, abbiamo finalmente potuto godere della libertà di parlare la nostra lingua e di coltivare la nostra cultura e la nostra identità. Mi fa male assistere alla repressione del popolo tibetano e constatare che la sua identità, la sua cultura e la sua religione siano condannate all’estinzione.

Per emarginare i tibetani, la Repubblica popolare cinese si sta servendo degli stessi metodi utilizzati dall’Unione sovietica nei confronti degli estoni. La sinicizzazione del Tibet, cosi come la russificazione dell’Estonia durante l’occupazione sovietica, viene condotta ricollocando popolazioni non indigene nei territori tradizionali delle popolazioni indigene.

Fino a quando la popolazione cinese di etnia Han che vive in Tibet crescerà, i tibetani avranno tutte le ragioni di sentirsi minacciati. L’intenzione delle autorità cinesi di introdurre il cinese mandarino quale lingua principale dell’istruzione viola i diritti della popolazione indigena del Tibet. Vorrei che il problema di queste violazioni fosse sollevato e risolto con urgenza nell’ambito della politica dell’Unione europea nei confronti della Repubblica popolare cinese.

 
  
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  Reinhard Bütikofer, a nome del gruppo Verts/ALE.(DE) Signora Presidente, sono contrario a questa risoluzione. Il mio gruppo mi ha consentito di esprimere voto contrario, nonostante la maggior parte dei miei colleghi non condivida la mia opinione.

Come è stato rilevato, l’ambasciatore cinese ha reagito alle critiche espresse. È possibile che la sua lettera non risponda a tutte le domande, ma come mai ci preme di più approvare una risoluzione che cercare il dialogo? Possiamo davvero prenderci sul serio se prima adottiamo una risoluzione, come ha affermato anche l’oratore precedente, e poi diciamo: ora mandiamo sul posto una missione di inchiesta per capire in che modo il bilinguismo viene minacciato?

Non credo che sia plausibile parlare della morte della lingua tibetana; non spetta a questo Parlamento decidere quanto ungherese debba essere insegnato nelle scuole in Slovacchia o in Romania. Ciò non toglie che il Parlamento si senta comunque autorizzato a stabilire se la matematica debba essere insegnata in tibetano o in un’altra lingua. Non so se questa procedura sia ragionevole.

Ritengo sia sbagliato mettere in relazione la questione della politica linguistica e il Dalai Lama, trattandosi di due problematiche distinte. Non credo sia questo il modo per evitare che qualcuno sia privato del diritto di usare la propria lingua.

 
  
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  Joanna Katarzyna Skrzydlewska (PPE).(PL) Signora Presidente, la lingua è la caratteristica più importante dell’identità e il principale strumento della comunicazione sociale. La discussione odierna sui tentativi del governo della Repubblica popolare cinese di introdurre il cinese quale unica lingua obbligatoria nel sistema scolastico in Tibet costituisce un attacco alla cultura di questa nazione. Finora, il tibetano è stata la lingua ufficiale in Tibet e nelle regioni della Cina in cui i tibetani rappresentano il principale gruppo etnico. Per loro, la possibilità di impiegare e sviluppare la propria lingua costituisce un importante strumento per esercitare de facto la propria autonomia. È evidente che chi va a cercare lavoro fuori dal Tibet abbia la necessità di comprendere anche il cinese, ma una soluzione adeguata e opportuna potrebbe essere l’introduzione del cinese come materia curricolare e non in sostituzione del tibetano come lingua di insegnamento.

Per questo motivo, dobbiamo opporci al tentativo di privare i tibetani del loro principale strumento di comunicazione. Togliendo ai tibetani la possibilità di imparare la propria lingua, i cinesi stanno lentamente ma inesorabilmente compromettendo l’autonomia del Tibet, provocando di conseguenza la perdita del suo patrimonio culturale.

 
  
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  Cristian Dan Preda (PPE) (rivolgendo all’onorevole Bütikofer un’interrogazione presentata con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8).(RO) Signora Presidente, vorrei rivolgere una domanda al nostro collega, se me lo consente: perché, in questo contesto, la posizione dell’ambasciatore cinese è più importante del nostro desiderio di parlare di quanto accade in Tibet? Se ho ben capito, il collega ritiene che dobbiamo dare più ascolto alle parole dell’ambasciata cinese che a quanto ci dicono le nostre convinzioni.

 
  
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  Reinhard Bütikofer (Verts/ALE).(L’oratore accetta di rispondere all’interrogazione presentata dall’onorevole Preda con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8).

(DE) Signora Presidente, sono grato al collega per avermi rivolto questa domanda, in quando mi dà l’opportunità di ribadire quanto ho già affermato: non ho detto che dovremmo credere all’ambasciatore cinese, ma ho detto invece che faremmo bene a prendere sul serio il nostro lavoro e a cercare il dialogo prima di discutere la risoluzione.

Non ha senso proporre di approvare una risoluzione ora e poi mandare gli esperti in Cina con il compito di accertare se, e dove precisamente, il bilinguismo è minacciato. Credo che se vogliamo davvero fare qualcosa per il rispetto dei diritti umani, non dobbiamo limitarci a formulare pii desideri, ma dobbiamo impegnarci evitando di peggiorare una situazione già complessa.

 
  
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  Csaba Sógor (PPE). (HU) Signora Presidente, mi fa piacere poter appoggiare la proposta di risoluzione comune, poiché esprime chiaramente principi che io, in quanto rappresentante di una minoranza etnica indigena, condivido al 100 per cento. Sostengo pertanto il principio secondo cui a) l’oppressione di lingue minoritarie viola gravemente le libertà dei cittadini appartenenti a una minoranza; b) l’istruzione nella lingua madre è la più idonea all’apprendimento; e c) occorre attribuire alle autorità e alle comunità locali la competenza decisionale in materia di lingua per l’insegnamento.

Desidero attirare l’attenzione dei colleghi che sostengono la proposta sul fatto che, purtroppo, questi principi non sono sempre rispettati nemmeno in alcuni Stati membri dell’Unione europea, come dimostrato dalla legge sulla lingua e dalla legge sull’istruzione attualmente in vigore rispettivamente in Slovacchia e in Romania, che ammettono l’insegnamento di certe materie solo nella lingua dello Stato. Potrei citare anche qualche altro Stato membro dell’Unione europea, ma per ora non lo farò. Sono assolutamente convinto della necessità di monitorare le violazioni dei diritti all’esterno dell’Unione europea, ma allo stesso tempo, ritengo sia importante non passare sotto silenzio pratiche che possono ledere i diritti delle minoranze etniche all’interno del territorio dell’Unione europea.

 
  
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  Zuzana Brzobohatá (S&D). (CS) Signora Presidente, nel mio intervento, vorrei ricordare che la Repubblica popolare cinese ha espresso il desiderio di istituire relazioni armoniche tra tutte e 56 le minoranze etniche che vivono sul suo territorio. A questo riguardo, credo fermamente sia necessario promuovere la conservazione del tibetano, una delle quattro lingue asiatiche più antiche e più originali, che rappresenta una delle radici fondamentali dell’identità, della cultura e della religione tibetane e che, assieme alla cultura tibetana nel suo complesso, costituisce una parte insostituibile del patrimonio culturale mondiale, in quanto testimonianza di una civiltà ricca di storia. Sono certa che la Cina applicherà coerentemente l’articolo 4 della costituzione e l’articolo 10 della legge sull’autonomia regionale, che garantiscono la libertà di tutte le nazionalità di impiegare e sviluppare la propria lingua e scrittura.

Sono assolutamente convinta che ogni minoranza etnica abbia il diritto di conservare la propria lingua e la propria letteratura. Un sistema di istruzione bilingue giusto contribuirà a una migliore cooperazione e comprensione, soprattutto se permetterà ai tibetani di imparare il cinese, incoraggiando allo stesso tempo i cinesi di etnia Han che vivono nelle regioni tibetane ad imparare il tibetano. Dato che la proposta di risoluzione comune presentata include tutti i punti che ho citato, ho deciso di appoggiarla.

 
  
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  Jaroslav Paška (EFD). (SK) Signora Presidente, la Cina è una grande potenza in termini economici e militari e, attraverso il comportamento che ha adottato nei confronti dei suoi cittadini, l’amministrazione cinese lascia intendere da tempo che i principi culturali, sociali e democratici riconosciuti in tutto il mondo saranno applicati in Cina in maniera selettiva e solo nella misura in cui convengono all’amministrazione in termini di controllo del paese.

Non credo che la nostra indignazione possa minimamente modificare la volontà del governo cinese di attuare la propria politica in materia di istruzione. Ciononostante, ritengo sia necessario ammonire ai nostri partner cinesi, ricordando loro che il popolo tibetano ha il diritto di mantenere la propria identità e la propria lingua e che la lingua madre svolge un ruolo insostituibile nell’istruzione dei giovani.

In relazione al Tibet, la Cino dovrebbe agire seguendo l’esempio della Slovacchia con la sua minoranza ungherese, consentendo ai ragazzi che ne fanno parte di studiare in ungherese dalla scuola materna, alla scuola primaria, fino alla scuola secondaria. Vorrei inoltre ricordare all’onorevole Sógor che gli studenti slovacchi in Ungheria seguono gli insegnamenti in ungherese e studiano lo slovacco solo come lingua straniera per tutto il loro ciclo di studi.

 
  
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  Csanád Szegedi (NI). (HU) Signora Presidente, in quanto rappresentante di Jobbik, il movimento per un’Ungheria migliore, accolgo con favore e sostengo la proposta di risoluzione del Parlamento europeo contro l’intenzione della Repubblica popolare cinese di rendere il cinese lingua ufficiale nelle scuole tibetane. Sebbene gli occupanti cinesi abbiano garantito l’autonomia del Tibet, stanno ora progressivamente escludendo la lingua tibetana dall’istruzione, vietandone l’uso nelle occasioni ufficiali. La pessima reputazione della Cina in materia di diritti umani accresce il rischio che si sviluppino conflitti in Tibet a causa dell’introduzione forzata della lingua cinese. È necessario garantire ai tibetani il diritto di studiare nella loro lingua madre e di impiegarla nelle occasioni ufficiali. Occorre garantire i loro diritti umani fondamentali, compreso il diritto di riunione e il diritto civile di manifestare.

Purtroppo non serve andare molto lontano per trovare esempi analoghi, dato che i rudi tentativi di assimilazione rappresentano un problema frequente e concreto anche in Europa, basti pensare al modo in cui la Romania tratta gli ungheresi della Transilvania o gli ungheresi Csángó o alla legge slovacca sulla lingua, causa di esclusione e discriminazione.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI).(DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, credo che i tibetani debbano vedere garantito il loro diritto di parlare la propria lingua madre, il tibetano; in caso contrario perderanno la loro identità culturale. È un diritto di cui tutti godiamo. Vista la situazione del Tibet, credo che il bilinguismo, ossia la possibilità di studiare il tibetano e il cinese, costituisca la soluzione più idonea.

Sappiamo che il bilinguismo favorisce lo sviluppo dei bambini da molteplici punti di vista e dobbiamo sicuramente promuoverlo.

 
  
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  Bogusław Sonik (PPE).(PL) Signora Presidente, la lingua tibetana è parte integrante della lunga storia di una nazione che lotta da anni per conservare la propria cultura ed è un forte collante per la comunità. Per questo motivo, l’unica soluzione, e anche la migliore, è mantenere e conservare il bilinguismo nelle scuole di ogni ordine e grado in Tibet. Il governo cinese è uno dei firmatari della dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni, in virtù della quale si è impegnato a rispettare i diritti fondamentali delle minoranze etniche sul proprio territorio. La comunità internazionale deve condannare qualsiasi azione della Cina tesa a vietare l’uso del tibetano nelle scuole. Credo si debbano adottare iniziative in grado di garantire un controllo più efficace del rispetto dei diritti fondamentali dei tibetani in Cina.

 
  
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  Sergio Paolo Francesco Silvestris (PPE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'abrogazione del sistema bilingue in Tibet è un atto illiberale che va contro il rispetto dell'identità culturale di una minoranza e contro il rispetto dei diritti umani.

Accordi commerciali o contratti d'affari con la Cina non possono essere per l'Europa merce di scambio con cui evitare di vedere la grave discriminazione che persiste a danno del popolo tibetano.

I tibetani hanno diritto di continuare a essere e sentirsi almeno un popolo e per farlo devono essere liberi di coltivare le proprie tradizioni, la storia e la lingua, insomma di conservare la propria identità, di cui l'appartenenza linguistica è tratto essenziale.

Quel piano di eradicazione della cultura tibetana, che sotto il simbolo della falce e martello non è ancora riuscito a essere portato a termine, pure in decenni di persecuzioni contro i monaci e il popolo tibetani, non può essere oggi furbescamente perfezionato eliminando la lingua tibetana e imponendo quella cinese.

 
  
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  Janusz Lewandowski, membro della Commissione.(EN) Signora Presidente, stiamo discutendo di un problema presente in quasi tutti i paesi in cui vivono delle minoranze: la conservazione di una lingua, di una cultura e la parità di accesso all’istruzione. Stiamo discutendo della riaffermazione dei nostri valori, onorevole Bütikofer.

Prima di affrontare il problema del Tibet, mi sia consentito di esprimere alcune brevi osservazioni sulle nostre relazioni bilaterali con la Cina. Il nostro partenariato strategico è forte e questo ci permette di affrontare tutte le problematiche, anche quelle più delicate. Abbiamo costruito un eccezionale quadro fatto di interazioni ad alto livello, nell’ambito del quale ci occupiamo costantemente delle sfide globali che devono affrontare i nostri cittadini, senza per questo trascurare i temi in cui le nostre opinioni possono essere divergenti. La situazione generale in Tibet è proprio uno di questi.

I tentativi di introdurre il cinese quale lingua principale di insegnamento nelle regioni tibetane solleva una serie di problemi complessi e delicati. La Cina deve trovare il giusto equilibrio in modo da permettere l’insegnamento e la conservazione della lingua tibetana come lingua viva (mantenendo l’insegnamento in lingua tibetana) e come lingua madre nelle zone tibetane, insegnando al contempo il cinese in modo da garantire agli studenti tibetani adeguate opportunità occupazionali in futuro. L’estrema perifericità delle regioni tibetane non agevola sicuramente questo difficile compito.

Speriamo sinceramente che la Cina garantirà l’impiego del tibetano come principale lingua di insegnamento nelle scuole delle zone tibetane, tutelando anche le lingue minoritarie nelle altre regioni. Per perseguire questi obiettivi occorre chiedere il parere di esperti ed evitare la discriminazione e l’influenza dell’ideologia. L’Unione europea è disposta a condividere la propria esperienza e competenza, nel caso in cui la Cina lo chiedesse. Speriamo – ed ecco la mia risposta diretta – di poter avere una discussione franca con le autorità cinesi proprio su questo tema in occasione della prossima tornata del dialogo sui diritti umani tra Unione europea e Cina. È fondamentale che la Cina avvii una consultazione pubblica trasparente per consentire a quanti sono in qualche modo interessati da modifiche alla politica in materia linguistica di esprimere liberamente le proprie opinioni di cui si dovrebbe poi tenere conto.

Abbiamo seguito con forte apprensione le notizie relative alla detenzione di numerosi studenti e insegnanti tibetani che avevano manifestato pacificamente contro il piano di riforma dell’istruzione introdotto del governo. Esortiamo la Cina a rilasciarli e ad avviare discussioni con la società civile tibetana sui meriti della riforma proposta.

Come ultima osservazione, vorrei ricordare la posizione che da tempo ha assunto l’Unione europea rispetto al Tibet. La conservazione della cultura, della lingua, della religione e delle tradizioni uniche del Tibet e la necessità di realizzare un valido sistema di autonomia per il Tibet, nel quadro della costituzione cinese, rimangono tra le priorità fondamentali dell’Unione europea. Sono temi che stiamo costantemente cercando di affrontare nel contesto del nostro dialogo politico con la Cina.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà tra breve.

Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)

 
  
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  Roberta Angelilli (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, nonostante il costante interessamento ed impegno da parte di molti leader mondiali, istituzioni ed ONG nel chiedere alle autorità cinesi di evitare il ricorso alla violenza nei confronti della popolazione tibetana, purtroppo sembra che queste richieste vengano del tutto ignorate compromettendo le relazioni internazionali. Il PE dimostra da anni il suo sostegno e la sua solidarietà nei confronti del Tibet, un Paese che lotta da sempre contro la politica oppressiva e discriminatoria delle autorità cinesi, le quali minacciano da anni l'autonomia territoriale e culturale del popolo tibetano. Ultimo atto di repressione è stata la decisione di Pechino di introdurre obbligatoriamente il cinese come lingua ufficiale in Tibet, nonostante la gente parli il tibetano e consideri il mandarino una lingua straniera. È in atto un genocidio culturale, perché questa decisione esprime la lampante intenzione di voler annullare questo popolo, non solo geograficamente ma anche culturalmente, impedendo alle giovani generazioni di apprendere la propria cultura e in primis il patrimonio linguistico. A fronte dell'immutabile e rigido atteggiamento della Cina nei confronti del Tibet, vorrei esortare il Parlamento europeo a mantenere una posizione di intransigenza verso le gravi violazioni dei diritti umani e dei diritti delle minoranze perpetrati dalle autorità cinesi e ribadire la nostra vicinanza e il nostro aiuto al popolo tibetano.

 
  
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  Catherine Soullie (PPE), per iscritto.(FR) Approvando questa risoluzione, il Parlamento europeo, la voce dei cittadini e della democrazia europea, lancia un messaggio molto chiaro alle autorità cinesi: sradicare e soggiogare una cultura a vantaggio di un’altra è un atto indegno di qualsiasi paese veramente grande e moderno. Il popolo tibetano ha una richiesta del tutto legittima: chiede che sia rispettata la sua storia e la sua cultura. La cultura tibetana non è l’unica a essere minacciata da questa decisione irragionevole, ma anche il cantonese e altre lingue saranno vittime della politica di standardizzazione. Dato che la costituzione cinese riconosce in maniera specifica il diritto di ogni cittadino di esprimersi nella lingua che preferisce, come possono le autorità politiche giustificare questo voltafaccia giuridico? Il motto dell’Unione europea riassume chiaramente il messaggio che abbiamo il dovere di trasmettere alle autorità cinesi attraverso questa risoluzione: uniti nella diversità.

 
  

(1)Cfr. Processo verbale

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