Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio europeo e della Commissione europea sulle conclusioni della riunione del Consiglio europeo del 16 e 17 dicembre. Conformemente al trattato, il Presidente del Consiglio europeo Van Rompuy terrà una presentazione della relazione.
Herman Van Rompuy, Presidente del Consiglio europeo. – (EN) Innanzitutto, desidero farvi gli auguri di buon anno! Tutto qui: lo auguro a voi personalmente e lo auguro all’Unione, in questo periodo difficile. Dal momento che dall’ultimo Consiglio europeo è già passato un mese, desidero ricordarvi che ogni volta, poche ore dopo ogni riunione, presento alla vostra Conferenza dei presidenti un resoconto completo dei risultati del Consiglio europeo.
Durante il Consiglio europeo di dicembre, il primo giorno ci siamo concentrati su questioni economiche e il secondo sulla politica estera. Per quanto riguarda la politica economica abbiamo raggiunto importanti conclusioni. Innanzitutto, abbiamo preso una decisione sulla proposta di un emendamento limitato del trattato, necessario per istituire un meccanismo permanente a tutela della stabilità finanziaria della zona euro nel suo insieme. In seguito al nostro accordo di principio, nella riunione di ottobre, circa la necessità di tale modifica, avevo consultato i membri del Consiglio europeo per discutere della possibile formulazione e del contenuto. Sono riuscito a ottenere consenso su un testo che consiste di due frasi, da aggiungere all’articolo 136 del trattato. Le cito:
“Gli Stati membri la cui moneta è l'euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell'ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità”.
Si tratta di un passo fondamentale nei nostri sforzi volti a rendere l’Europa maggiormente a prova di crisi. È importante non solo in termini di certezza giuridica, ma anche di credibilità di mercato. Siccome questo emendamento non aumenterà le competenze dell’Unione, tutti i membri del Consiglio europeo si sono detti d’accordo sull’opportunità di ricorrere a una procedura di revisione semplificata. Ciò rende ora necessario un parere del Parlamento, nonché della Commissione europea e della Banca centrale. Speriamo di ottenere il vostro consenso. Non serve che io vi ricordi l’importanza di procedere su questo tema nel modo più celere e appropriato in un periodo in cui la volatilità dei mercati continua a essere una preoccupazione.
So che voi, e le vostre commissioni competenti, avete seguito con attenzione la questione, non da ultimo durante l’attività della task force sulla governance economica che ho presieduto e che ha dato origine a riunioni tra me e i sette presidenti delle commissioni parlamentari più coinvolte. Vorrei ringraziare il Presidente Buzek per il suo contributo in proposito durante il Consiglio europeo e per averci informato della disponibilità del Parlamento a procedere rapidamente nel considerare la questione.
Grazie al vostro parere, il Consiglio europeo sarà in grado di tradurre questo progetto di decisione in una decisione vera e propria durante la sua riunione di marzo. In seguito, l’emendamento al trattato dovrà essere approvato in ogni Stato membro con l’obiettivo che l’emendamento entri in vigore il 1° gennaio 2013 al più tardi e che il meccanismo permanente possa essere operativo nel giugno 2013.
Il Consiglio europeo ha, inoltre, esaminato quelle che potrebbero essere le caratteristiche chiave del meccanismo futuro. Già a ottobre avevamo chiesto alla Commissione di avviare le attività preparatorie, il che ha portato a una dichiarazione dei ministri delle Finanze dell’Eurogruppo il 28 novembre, sostenuta appieno durante la riunione del Consiglio europeo. La dichiarazione prevede che il futuro meccanismo europeo di stabilità venga progettato sulla base di quello esistente, previsto prevedendo dunque il coinvolgimento del FMI. L’UE continuerà ad aderire con rigore alle pratiche del FMI e agli standard internazionali. Per quanto riguarda il ruolo del settore privato, le decisioni saranno prese caso per caso: il coinvolgimento del settore privato, pertanto, non costituirà un requisito preventivo per l’assistenza nell’ambito del meccanismo di stabilità futuro.
Infine, il Consiglio europeo ha anche condotto un ottimo e approfondito scambio di pareri sui recenti sviluppi economici e sulle modalità, per tutte le economie europee, di affrontare le sfide a breve e a lungo termine. Era presente anche il presidente della Banca centrale e il Consiglio europeo ha accolto con favore una dichiarazione dei capi di Stato o governo della zona euro e delle istituzioni UE presenti. La discussione ha confermato il senso di determinazione e unità tra gli Stati membri e le istituzioni. Tutti i presenti condividevano l’analisi fondamentale. Insisto: tutti e 27 sono d’accordo, anche se l’analisi si concentra particolarmente sugli attuali 17 paesi dell’euro. Disponiamo, quindi, di una volontà comune per rendere le nostre economie più resistenti alle crisi e per incoraggiare la crescita economica strutturale in Europa.
Vorrei citare gli elementi di tale approccio congiunto, che si rispecchiano nella dichiarazione adottata. Tre punti riguardano il lavoro che spetterà ai governi nazionali: in primo luogo, la responsabilità fiscale; secondariamente, stimolare la crescita; da terzo, i due paesi che godono di programmi di sostegno stanno introducendo con vigore le misure necessarie: noi tutti accogliamo con favore gli sforzi di questi due governi, la Grecia e l’Irlanda, e popolazioni dei loro cittadini.
Due altri punti riguardano il lavoro che spetta agli Stati membri insieme alle istituzioni dell’Unione europea. Innanzitutto, il Consiglio europeo chiede alle altre istituzioni, non da ultimo al Parlamento, di garantire che gli accordi raggiunti a ottobre relativamente al patto di stabilità e alla vigilanza macroeconomica, sulla base dell’attività della task force che ho presieduto, siano attuati entro l’estate. È dovere di tutti noi ottemperare a tale richiesta. Secondariamente, abbiamo convenuto di eseguire nuovi stress test nel settore delle banche per garantire una piena trasparenza nel contesto più ampio dell’esercizio annuale dell’Unione.
La nostra determinazione è chiara. I capi di Stato e di governo della zona euro e le istituzioni dell’UE sono “pronti a fare tutto il necessario per assicurare la stabilità dell'intera zona euro”. I lavori tesi a sviluppare gli elementi di quest’approccio generale sono in corso.
Durante il secondo giorno di riunione, ci siamo concentrati sulle relazioni con i nostri partner strategici. Cathy Ashton ha presentato relazioni in itinere sul modo in cui relazionarci con i partner strategici ed io ho informato i colleghi circa l’esito positivo di tre vertici recenti, vale a dire il vertice con il Presidente Obama, nel quale abbiamo inaugurato nuove possibilità di cooperazione transatlantica in materia di crescita, occupazione e sicurezza, come la crescita verde e la cibersicurezza; il vertice con il Presidente Medvedev, durante il quale abbiamo stipulato l’accordo bilaterale sull’adesione della Russia all’OMC, una conquista di enorme portata; e il vertice con il Primo ministro indiano Singh, che ha portato a buoni progressi verso un accordo di libero scambio ambizioso ed equilibrato, spero con un risultato concreto nel primo semestre di quest’anno, e che ha anche portato a una dichiarazione congiunta sul terrorismo internazionale.
Tutte queste riunioni hanno mostrato che per i nostri partner l’Unione europea non è solo un’unione economica e un blocco commerciale, ma anche un partner geopolitico.
Il Consiglio europeo ha anche deciso di conferire al Montenegro lo status di paese candidato, sottolineando in tal modo la convinzione in seno al Consiglio europeo che i paesi dei Balcani occidentali hanno una vocazione europea.
Infine, ci siamo anche accordati sulla posizione sulla Costa d’Avorio, conformemente a quanto deciso pochi giorni prima dai ministri per gli affari esteri, mandando un chiaro segnale sulla necessità di rispettare i risultati di elezioni democratiche.
Come sapete, il 4 febbraio il Consiglio europeo si occuperà principalmente della nostra agenda per la crescita. L’innovazione e l’energia – particolarmente la sicurezza energetica – sono fondamentali in quest’ambito. A marzo si terrà il primo esercizio di ciò che chiamiamo semestre europeo. Non deve trattarsi di un processo burocratico ma di un’occasione reale per tenere una discussione approfondita sulla situazione della nostra economia e sulle azioni da adottare.
Colleghi, ovviamente sappiamo che è necessario consolidare e approfondire il coordinamento economico e la convergenza in seno alla zona euro. Lavoreremo il più possibile in un quadro di ampia portata e sono convinto che troveremo il consenso necessario.
José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, lo scorso anno, l’Unione europea si è trovata ad affrontare una serie di dure prove e il Consiglio europeo di dicembre ha mostrato tutta la nostra determinazione nel prendere qualsiasi decisione necessaria per difendere le nostre conquiste. In particolare, con il consenso per l’istituzione di un meccanismo europeo di stabilità e per la necessaria modifica al trattato, abbiamo dimostrato il nostro impegno totale a favore del sostegno della zona euro e degli Stati membri che la utilizzano, a beneficio dell’intera Unione.
La Commissione adotterà il proprio parere formale sul testo dell’emendamento al trattato prima del Consiglio europeo di primavera. Senza dubbio svolgeremo il nostro ruolo nello spiegare ai cittadini europei perché questo cambiamento limitato merita di essere sostenuto. L’accordo ci consente di imprimere un’accelerazione e la Commissione coopererà strettamente con i ministri per le finanze per delineare i dettagli del meccanismo permanente di stabilità prima del Consiglio europeo di primavera. Sebbene si tratterà di un meccanismo intergovernativo, l’unica opzione che gli Stati membri potevano prendere in considerazione, è importante che esso sia istituito in modo pienamente coerente con il trattato e che consolidi le nostre norme in materia di stabilità, conformemente ai principi e agli strumenti della vigilanza di bilancio.
Queste decisioni sono collegate con la serie di misure più generali che stiamo adottando nell’ambito del nostro approccio volto ad affrontare sia la crisi economica e le sue conseguenze che la necessità di generare crescita attraverso l’occupazione. Il Consiglio europeo l’ha riconosciuto. I capi di Stato e di governo della zona euro e le istituzioni europee in particolare hanno chiarito di essere pronti a fare tutto il necessario per assicurare la stabilità dell'intera zona euro. In particolare, i capi di Stato e di governo hanno chiesto di agire con determinazione per garantire la disponibilità di sostegno finanziario adeguato attraverso il Fondo europeo di stabilità finanziaria, nell’attesa dell’entrata in vigore del meccanismo permanente. Sono state queste le conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo.
Il Consiglio europeo ha anche invitato ad accelerare l’adozione entro giugno delle proposte della Commissione in materia di governance economica risalenti allo scorso settembre. Ha riconosciuto l’importante ruolo che la strategia Europa 2020 svolgerà nel far tornare l’Europa a una crescita sostenibile. Il semestre europeo, che abbiamo avviato la scorsa settimana con l’analisi annuale della crescita, riunisce tutte queste tendenze. Ritengo che apra nuove strade, migliorando in maniera decisiva il modo in cui a livello europeo gestiamo e coordiniamo le nostre economie interdipendenti. portando Stiamo arrivando a una vera governance economica europea. La nostra nuova governance economica è in atto; essa dovrebbe fornire una risposta esaustiva alla crisi.
La Commissione l’ha segnalato molto chiaramente nell’analisi annuale della crescita. Vorrei concentrarmi su questo aspetto perché ritengo che, sulla base anche delle importanti conclusioni del Consiglio europeo di dicembre, ora come non mai sia importante guardare ai prossimi passi. Credo stia emergendo una nuova realtà. Le politiche in materia di governance economica e coordinamento economico si sono modificate, non soltanto perché i cosiddetti federalisti lo desideravano. I mercati lo vogliono. I nostri partner internazionali lo vogliono. Si tratta di una semplice questione di buon senso, in cui stiamo avendo risultati e continueremo a farlo.
Il nuovo semestre europeo combina regole fiscali più rigorose grazie al rafforzamento del patto di stabilità e crescita con un coordinamento economico efficace. Offre un coordinamento ex-ante, il che significa che discuteremo delle politiche reciproche, sia economiche che fiscali, prima che vengano adottate. Non guardiamo più al passato per apportare correzioni, ma al futuro per fornire orientamenti.
Tale approccio ex-ante è al centro di ciò che rende questo un passo storico per l’Unione europea. In effetti, stiamo introducendo nelle politiche nazionali economiche e di bilancio una vera dimensione europea. D’ora in poi, forniremo la nostra assistenza nella definizione delle politiche fin dall’inizio, invece di valutarle e cercare di correggerle in seguito.
Le decisioni finali in materia di bilanci nazionali, ovviamente, saranno di responsabilità dei parlamenti nazionali. Ciò è corretto e opportuno, ma questa nuova forma di governance economica riflette semplicemente una risposta nazionale a una nuova realtà. Alla luce del livello di interdipendenza nella zona euro e nell’insieme dell’Unione europea, un paese dovrebbe essere in grado di prendere decisioni conoscendo le intenzioni dei propri vicini. Questa condivisione delle informazioni emancipa e rafforza i parlamenti nazionali e non ne mina l’autorità.
L’analisi annuale della crescita dà il via a questo processo, e i suoi messaggi chiave sono chiari: ripristinare la stabilità, non ritardare ulteriormente le riforme strutturali e velocizzare le misure a sostegno della crescita. In primo luogo, dobbiamo ripristinare la stabilità consolidando le finanze pubbliche. A meno che non riequilibriamo i conti, non ripristineremo la fiducia nelle economie europee. Senza fiducia rischieremo la stagnazione economica e tutte le conseguenze sociali negative che ne derivano, in particolare per l’occupazione.
Ciononostante, dobbiamo dare prova di sobrietà e ponderazione. Consolidamento fiscale non significa ridurre il debito adottando un approccio di abbattimento sfrenato delle spese. Si tratta più soprattutto di una questione di priorità e gerarchizzazione e alcuni settori – innovazione, istruzione, nuove forme d’energia – sono buoni candidati per tale trattamento prioritario.
Il secondo messaggio chiave dell’analisi annuale della crescita è di proseguire con le riforme strutturali per poter creare nuove opportunità occupazionali. La scelta è semplice: vogliamo una crescita senza occupazione o una crescita con nuovi posti di lavoro? Se propendiamo per quest’ultima opzione, allora vi saranno un paio di cose di cui ci dovremo occupare. Dobbiamo esortare gli Stati membri a concentrarsi quest’anno sulle riforme del mercato del lavoro, affinché sia possibile rimuovere gli ostacoli che ci impediscono di ottenere livelli occupazionali più elevati. Dobbiamo aiutare i cittadini a tornare sul mercato del lavoro o trovare nuovi posti rendendo il lavoro più appetibile. Dobbiamo riformare il sistema pensionistico e garantire che i disoccupati non si trovino in una situazione peggiore una volta che trovano un’occupazione.
Voglio essere piuttosto chiaro: riforme strutturali non significa ridurre il nostro livello di protezione sociale, ma far rientrare nel mercato del lavoro chi al momento ne è escluso, in particolare i giovani. I livelli di disoccupazione giovanile in alcuni Stati membri, anche in periodi positivi, sono uno scandalo. Chiunque tenga veramente all’Europa sociale sa che non è possibile continuare così. Di fronte alla concorrenza internazionale in aumento, possiamo sostenere la nostra economia sociale di mercato esclusivamente se ci adattiamo.
Il terzo messaggio chiave dell’analisi annuale della crescita è di anticipare e velocizzare le misure a sostegno della crescita. Il nostro programma Europa 2020 è fondamentale in quest’ambito. È necessario concentrarsi su misure che portino a chiari vantaggi economici nel breve e medio termine e che si prestino a un’adozione relativamente rapida, il che significa investire in aree che portano alla crescita, liberare il pieno potenziale del mercato interno, aumentare gli investimenti nell’energia, trasporti e infrastrutture informatiche – in parte attraverso finanziamenti innovativi incluse, a nostro parere, le obbligazioni europee di finanziamento di progetti – e continuare a esercitare pressioni per concludere le tornate di Doha, progredendo anche con accordi di libero scambio con i principali partner. Tutto rispecchiato ciò deve trovare riscontro nella prossima proposta di quadro finanziario pluriennale. Il prossimo bilancio dell’Europa deve alla stimolare la crescita.
Onorevoli deputati, le nostre economie incominciano a muoversi nella direzione giusta. La ripresa ha preso piede e al momento sta raggiungendo l’economia reale. Quest’anno dovremmo assistere a una crescita del PIL di circa l’1,5 per cento che dovrebbero salire al 2 per cento nel 2012. Il settore manifatturiero europeo ha registrato notevoli miglioramenti negli ultimi mesi. Dovremmo anche assistere a un costante miglioramento delle prospettive occupazionali mentre iniziamo a rilevare la diminuzione dei deficit pubblici, in primo luogo grazie alle misure di consolidamento già adottate, sostenute in alcuni casi da una ripresa della crescita. Nell’Unione europea, ci si aspetta che il deficit governativo scenda in media dal 6,8 per cento del PIL di quest’anno al 4,2 per cento nel 2012.
Ciononostante, tirare un sospiro di sollievo e riprecipitarsi nelle vecchie abitudini sarebbe un grave errore. Il mondo è cambiato. Non possiamo tornare ai modi di operare di una volta. Se non agiamo ora, di fronte alla più grande crisi dall’inizio dell’integrazione europea, quando saranno pronti gli Stati membri a compiere passi concreti verso politiche economiche coerenti con gli obiettivi che loro stessi si sono dati? Se non saremo noi a livello europeo a incoraggiarli, chi li stimolerà a prendere queste decisioni, chi lo farà? Soltanto risolvendo i nostri problemi di debito e stabilizzando le finanze potremo passare dalla gestione della crisi alla promozione della crescita – ovviamente non una crescita qualunque, ma sostenibile e inclusiva.
Tutto ciò comporta riforme strutturali, molte delle quali le chiediamo da diversi anni, riforme che mettono in discussione tutte le strutture, ma lo fanno per ridurre i prezzi e aumentare le possibilità di nuovi posti di lavoro e modi innovativi di operare. Ritengo veramente che nei confronti dei nostri cittadini abbiamo una responsabilità di scegliere un percorso di crescita e occupazione. L’analisi annuale della crescita ci indica la direzione.
Ora, impegniamoci seriamente per un coordinamento adeguato delle politiche economiche e un’effettiva governance economica europea per tutti i cittadini. Vi ringrazio per l’attenzione.
(Applausi)
Joseph Daul, a nome del gruppo PPE. – (FR) Signor Presidente, Presidente Van Rompuy, Presidente Barroso, l’ultimo Consiglio europeo ha mostrato con chiarezza che l’euro è un pilastro vitale dell’integrazione europea. È necessario fare tutto il possibile per stabilizzarlo e consolidarlo.
I nostri capi di Stato e di governo hanno confermato, da allora, il loro profondo attaccamento alla moneta europea e il fatto che l’Estonia all’inizio di quest’anno sia entrata a far parte della zona euro è un altro segnale in questa direzione; per i grandi paesi che non rispettano i criteri, ciò rappresenta un ottimo esempio di come invece sia possibile farlo.
Detto questo, nessuno sminuisce la gravità del periodo che l’Europa sta attraversando dal punto di vista economico e sociale in seno alla zona euro. Nel 2011 è necessario fare tutto il possibile per superare i problemi e rassicurare i mercati, non superficialmente ma strutturalmente, in altri termini creando le giuste condizioni per la crescita e l’occupazione a lungo termine. Credo che su questa questione parliamo la stessa lingua.
Innanzitutto, ciò significa che le finanze pubbliche nazionali vanno risanate. Spingete a fondo per questo progetto, non molliamo! In secondo luogo, significa che gli Stati membri devono far convergere maggiormente le loro politiche in materia di bilancio, ma anche quelle sociali e fiscali.
Significa, inoltre, che dobbiamo raggiungere rapidamente un accordo sul fondo di salvataggio della zona euro e che tale fondo ha un senso esclusivamente se accompagnato da un’applicazione rigorosa della bilancio normativa finanziaria. I nostri cittadini devono sapere che i paesi in difficoltà che essi sostengono gestiscono con molto rigore i conti pubblici, altrimenti non acconsentiranno più, scusate l’espressione, a scucire i soldi.
Infine, come ho affermato, è necessario creare le condizioni per la crescita e l’occupazione. Ciò implica anche il completamento del mercato interno europeo, maggiori investimenti nella ricerca e nell’innovazione, nonché nell’apprendimento permanente e nella formazione. Il mio gruppo vuole che in questi settori sia favorito l’approccio dell’Unione rispetto a quello intergovernativo, semplicemente perché è molto più efficace e sostenibile.
Presidente Van Rompuy, mi appello a lei affinché garantisca che la riforma del trattato, confermata all’ultimo Consiglio europeo, sia conclusa rapidamente quanto prima e nel modo più celere.
Il dibattito sul bilancio è appena iniziato. Il mio gruppo continuerà a insistere su un attento riesame delle finanze pubbliche europee nei prossimi anni con l’obiettivo di ricreare le condizioni per la crescita e l’occupazione in Europa.
Presidente Barroso, analizziamo ogni opzione, non abbiamo paura e, come ho già ripetuto diverse volte, prendiamo due o tre esempi di bilanci: come possiamo far uscire l’Europa dalla sua situazione attuale con, ad esempio, l’1, il 2 o il 5 per cento? Non riusciremo a farlo riducendo le risorse. Se vogliamo creare posti di lavoro, abbiamo bisogno di maggiori risorse europee, e ciò non significa che gli Stati membri devono spendere di più.
Non dobbiamo avere paura, Presidente Van Rompuy e Presidente Barroso. Presentateci queste proposte e noi, capi di Stato e di governo e Parlamento europeo, saremo obbligati a trovare la soluzione giusta, ma almeno forniteci una serie di opzioni tra le quali scegliere.
Stephen Hughes, a nome del gruppo S&D. – (EN) Signor Presidente, il Consiglio europeo di dicembre ci ha fornito quanto meno il consenso politico su un meccanismo permanente di risoluzione delle crisi ma – alla luce della reazione dei mercati dopo Natale, con nuovi timori circa la solvibilità di Portogallo, Spagna e Belgio – dobbiamo chiederci veramente se non abbiamo fatto troppo poco e troppo tardi. La stessa proposta di meccanismo europeo di stabilizzazione fa emergere nuovi quesiti sui mercati finanziari e il meccanismo di stabilità finanziaria esistente è ora considerato insufficiente. Ci siamo nuovamente lasciati sfuggire diverse opportunità.
A dicembre, il Parlamento ha inviato un chiaro segnale al Consiglio sugli Eurobond, ma non vi è stata alcuna risposta costruttiva né dalla Commissione né dal Consiglio. Sin dal 2008 continuiamo ad assistere a ripetuti episodi di esitazione e dispute interne tra gli Stati membri e le istituzioni; ogni volta dobbiamo penare per ottenere una risposta e, quando questa arriva, giunge tardi ed è al di sotto delle aspettative.
L’esemplificazione più chiara del problema è il fatto che, di fronte alle sfide economiche e monetarie odierne, non disponiamo affatto degli strumenti di cui abbiamo bisogno. Sono inadeguati o non esistenti. Il nostro processo decisionale istituzionale è complesso e carente dal punto di vista della democrazia, e la nostra strategia in materia di politica economica è frammentaria e inefficace.
I mercati finanziari non mantengono la propria pressione su di noi esclusivamente a causa degli elevati livelli di indebitamento e deficit, Presidente Barroso: lo fanno anche perché vogliono un’indennità per aver prestato denaro a un progetto che sembra incapace di raggiungere la propria maturità o di realizzare il proprio destino.
Ciò che sta tenendo insieme la zona euro di oggi non è tanto il sogno dei padri fondatori ma piuttosto, semplicemente, l’incubo dell’alternativa: il collasso totale del sistema. Il disonorevole fallimento nell’affrontare la crisi sta portando il progetto europeo allo stallo politico. Che probabilità ha oggi il trattato revisionato di far emergere un insieme di istituzioni più forte e più democratico?
Appelli intelligenti a favore di una maggiore integrazione politica, come quello della scorsa settimana da parte del governatore della banca federale tedesca, non hanno alcuna possibilità di successo. In questo contesto, sono molto turbato, Presidente Barroso, dall’attacco frontale della Commissione all’Europa sociale e dall’interferenza con i mercati del lavoro nazionali, come nel caso dell’Irlanda. L’analisi annuale della crescita costituisce senza dubbio un attacco frontale a diritti dei lavoratori affermati da tempo ed essenziali dal punto di vista sociale ed economico, e al concetto stesso di contrattazione collettiva.
Se il Consiglio europeo convaliderà tutto ciò, si tratterà, a mio parere, della peggiore strategia immaginabile nella situazione attuale. Non soltanto smascherata risulterà evidente la sua follia economica, ma sarà anche estremamente dannosa per il progetto europeo.
Le grandi idee possono fallire, signor Presidente, ed io nutro grandi timori per questo progetto europeo. Come ci insegna la storia, l’eventualità del fallimento è negata fino all’ultimo. Riconosciamo, invece, la possibilità che si possa fallire.
L’onorevole Farage annuisce. Il fallimento nell’agire, Presidente Van Rompuy, Presidente Barroso, fornisce munizioni all’onorevole Farage e ai suoi alleati. Facciamo qualcosa, per amor del cielo!
Sylvie Goulard, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signor Presidente, Presidente Van Rompuy, Presidente Barroso, vorrei condividere due commenti sulle conclusioni del Consiglio europeo dello scorso dicembre.
In primo luogo desidero rammentarvi che la crisi sta avendo un impatto particolare sull’Unione per una semplice ragione: sin dall’inizio siamo una comunità giuridica e, in una comunità giuridica, il diritto è particolarmente importante. Non si tratta di sminuire la legalità, ma nell’affrontare una crisi così grave – come ci ricorda l’analisi annuale della crescita che avete appena pubblicato, signor Presidente – è giunta l’ora di agire, non quella della stretta aderenza alla legge.
Lei ci dice che questa revisione dei trattati è essenziale per rassicurare i mercati. Innanzitutto, se mi consente di essere un po’ impertinente, mi sembra che i mercati non siano stati particolarmente rassicurati dopo la conclusione del Consiglio europeo di ottobre. State attenti se veramente volete rassicurare i mercati. Pensate a ciò che succederebbe potrebbe succedere in caso di fallimento della revisione.
Vengo da un paese che ha vissuto il trauma di un referendum negativo senza un piano B. Lei, Presidente Barroso, era già qui. Talvolta dobbiamo pensare a quello che può accadere quando diciamo ai mercati che dobbiamo modificare i trattati e che tutto dovrà essere completato entro una determinata data, e poi speriamo di farcela. Chiaramente, quindi, state scegliendo la procedura semplificata nella speranza che passi. Se così sarà, comunque, forse avrete rassicurato i mercati, ma di certo non la popolazione.
E ora la mia seconda osservazione: tanto rumore per nulla. State emendando i trattati per una questione giuridica e non per fornire ai cittadini le risposte che si attendono. Sono qui presenti i sei relatori, me compresa, che lavorano sul pacchetto di governance economica elaborato dalla Commissione senza che fosse necessario emendare i trattati. Abbiamo deciso di lavorare senza modificare i trattati e poi, in corso d’opera, abbiamo deciso di modificarli. Sembra che stiamo dicendo ai cittadini che siamo in grado di modificare i trattati, che nonostante la burocrazia giuridica ce la faremo, ma che alla fin fine il risultato sarà che la strategia 2020 non sarà presa sul serio e loro, i cittadini, non avranno né posti di lavoro né crescita.
Inoltre, il Consiglio europeo di dicembre ci chiede di velocizzare i nostri lavori. Benissimo, acceleriamo! Ma io vorrei che il Consiglio accelerasse, Presidente Van Rompuy. Il Parlamento ha già presentato le proprie relazioni. C’è un modo molto semplice per progredire più velocemente: avvicinatevi alle nostre posizioni e smettiamo di considerare la codecisione come una procedura nella quale il Consiglio decide e il Parlamento si adatta.
Rebecca Harms, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, Presidente Van Rompuy, il mio ricordo principale dell’ultima riunione del Consiglio non è stato rispecchiato nel suo resoconto, pertanto vorrei sintetizzare il vertice in modo diverso. Dalla prospettiva odierna, la cosa più importante che ricordo è che durante il vertice dei capi di Stato e di governo a Bruxelles, l’agenzia di rating Moody’s ha declassato il rating del credito dell’Irlanda.
Questo è stato il momento in cui noi tutti ci siamo resi conto della portata del nostro fallimento nella gestione della crisi, di cui dobbiamo ancora occuparci oggi. Chiunque raffronti i dati fondamentali della crisi del debito in diversi paesi non potrà far altro che sorprendersi dell’efficacia della speculazione contro l’euro. Nel frattempo, un paese che ha problemi di gran lunga maggiori di Spagna e Portogallo, vale a dire gli Stati Uniti, rimane del tutto estraneo alla guerra che gli speculatori stanno muovendo contro l’euro. Questa è la situazione attuale.
È iniziato un nuovo anno, e abbiamo nuovi problemi da affrontare. Dovremmo occuparci qui e ora dei problemi che abbiamo previsto durante la riunione, vale a dire che le nostre decisioni non sarebbero state sufficienti. Ritengo che noi tutti ormai ci siamo resi conto che molti paesi europei si trovano in difficoltà. Hanno a che fare con un indebitamento enorme, non solo privato, ma anche con un livello non più sostenibile del debito pubblico. Molti degli Stati membri dell’Unione europea non saranno in grado, autonomamente, di risolvere i loro problemi.
Quale dovrebbe essere il nostro prossimo passo? Riteniamo che ridurre semplicemente il debito nazionale, come iniziano a fare molti paesi, con l’incoraggiamento dell’Unione europea e delle sue risoluzioni congiunte, non sia di per sé sufficiente, e che tali paesi siano spinti al limite dell’accettabile. È necessario raggiungere un nuovo accordo sul modo in cui ciò può funzionare in maniera veramente accettabile. Ritengo che sviluppi come quelli verificatisi in Ungheria, ad esempio, rappresentino un campanello d’allarme circa ciò che succede quando la distribuzione della ricchezza nei paesi dell’Unione europea è ingiusta e i divari sono troppo ampi. Durante il processo di riduzione del debito pubblico, dobbiamo prestare molta più attenzione alla giustizia rispetto a quanto non si è fatto finora.
Riteniamo, inoltre, e vorrei essere estremamente chiara, che il settore bancario vada ristrutturato. Non crediamo che sia possibile giustificare un ulteriore aumento dell’indebitamento per salvare ciò che non può più essere salvato. Desidero esprimere il mio pieno sostegno nei confronti di quanto affermato dall’onorevole Goulard. Necessitiamo di un approccio che ci permetta di preparare gli europei al futuro nel contesto di un Green New Deal e di prendere decisioni nuove in questa crisi. Vorrei sottolineare nuovamente che l’Europa è un luogo fantastico in cui vivere e abbiamo molto da fare per garantire che rimanga tale.
Timothy Kirkhope, a nome del gruppo ECR. – (EN) Signor Presidente, il Consiglio europeo ha preso importanti decisioni circa la futura gestione delle crisi, ma sono d’accordo con il Presidente Barroso quando afferma che il problema alla base continua a sussistere: la necessità di tornare alla disciplina fiscale e la riluttanza di alcuni Stati membri a procedere seriamente con le riforme economiche.
Ci è stato detto che con una moneta unica gli Stati membri non sarebbero più stati in grado di svalutare per superare i problemi, e avrebbero, invece, dovuto riformare le proprie economie per renderle più competitive. Sebbene sembrasse una proposta superficialmente appetibile, molti di noi hanno fatto bene a non bersela, dal momento che si è dimostrata una prospettiva falsa. Alcuni Stati membri sono stati in grado di trovare altre soluzioni per sostenere artificialmente le proprie economie: sovrastimando il valore delle loro voci attive, grazie a tassi di interesse inopportunamente bassi e al rifiuto di adottare azioni correttive con altri mezzi; oppure iniettando fondi pubblici presi a prestito su scala insostenibile e, in alcuni casi, nascondendo la portata del deficit fiscale risultante.
Se è logicamente necessario trovare soluzioni per affrontare le conseguenze immediate di queste politiche e l’austerità di bilancio risulta fondamentale, dobbiamo altresì impegnarci nelle riforme economiche: incrementare la flessibilità del mercato del lavoro per creare occupazione, aprire i mercati, rimuovere le barriere al commercio e stimolare gli investimenti privati affinché sia possibile colmare il vuoto lasciato dalla diminuzione della spesa pubblica.
La crisi economica e finanziaria ha reso inevitabile l’intervento governativo su larga scala nell’economia ma non dobbiamo confondere il palliativo con la cura. La soluzione a lungo termine non ancora vuol dire più governo, ma significa crescita economica generata da imprese e imprenditori di successo, che operano in mercati competitivi, in grado di fornire valore ai consumatori e creare occupazione per i cittadini.
Ecco perché la strategia Europa 2020, l’atto per il mercato unico e l’Unione dell’innovazione sono così fondamentali e devono ricevere l’attenzione che meritano. La posta in gioco è considerevole. Mentre abbiamo affrontato questa crisi immediata, altri paesi del mondo – alcuni con valori politici che sembrano molto diversi dai nostri – hanno continuato a progredire. Se non usciamo dalla crisi con un percorso progressivo di riforme, saremo condannati a un inesorabile declino relativo, con le conseguenze più gravi per la promozione dei nostri valori e per il futuro del pianeta.
Joe Higgins, a nome del gruppo GUE/NGL. – (EN) Signor Presidente, il meccanismo permanente di stabilità finanziaria, in pratica, non è nient’altro che un altro strumento che tutela le principali banche europee dalle conseguenze della loro sconsiderata speculazione sui mercati finanziari. A causa di questo meccanismo i cittadini della classe lavoratrice si sobbarcheranno i costi della crisi di un sistema finanziario in pessimo stato e di un capitalismo europeo oppresso dalla crisi.
Presidente Barroso e Presidente Van Rompuy, ditemi questa mattina – perché non l’avete ancora fatto – se è morale trasferire decine di miliardi di euro di debiti privati di speculatori e banchieri che hanno giocato senza freni sul mercato immobiliare irlandese e accollare tali debiti sulle spalle del popolo irlandese, che non ha alcuna responsabilità in merito. Più che essere un salvataggio, il vostro intervento FMI-UE in Irlanda è un meccanismo che rende i contribuenti irlandesi schiavi delle banche europee. State distruggendo i nostri servizi e lo standard di vita del nostro popolo. Affermate di essere democratici, ma rendete i lavoratori europei schiavi dei mercati, dei mercati finanziari, che vi hanno in pugno.
Il vostro meccanismo di stabilità finanziaria è un’arma pericolosa imposta dai mercati e positivo innocua solo in apparenza. Noi della sinistra irlandese insisteremo affinché prima della sua approvazione si organizzi un referendum del popolo irlandese.
Nigel Farage, a nome del gruppo EFD. – (EN) Signor Presidente, qual è il termine associato a euro utilizzato con la maggiore frequenza? No, non è “fallimento”, anche se potrebbe esserlo. È “stabilità”, o mi sbaglio? Una decina di anni fa, tutti affermavano che una volta che avremmo avuto l’euro, ciò ci avrebbe portato stabilità. Beh, dieci anni più tardi, direi che ciò che ha portato è caos, discordia e povertà per milioni di persone, eppure questa mattina si è continuato a usare la parola “stabilità”. L’ha usata Il Presidente Barroso, l’ha usata il Presidente Van Rompuy: “stabilità”.
In realtà, ci congratuliamo gli uni con gli altri perché le aste di obbligazioni della scorsa settimana in Portogallo sono andate bene, mentre la realtà è che la Banca centrale europea si è servita del denaro dei contribuenti per acquistare il loro stesso debito. Le vostre rassicurazioni che tutto va bene non funzionano.
Chi ritiene di prendere in giro, Presidente Van Rompuy? La rendita delle obbligazioni in Portogallo ieri è aumentata fino a quasi il 7 per cento. L’opinione pubblica in tutta l’Unione non sostiene più la moneta, e la battaglia per la Spagna non è nemmeno cominciata. Il modello stesso sta fallendo, eppure lei vuole raddoppiare le dimensioni del fondo di salvataggio. Vuole anche ampliare la portata del fondo di salvataggio, affinché, insieme alla BCE, anche lei possa andare ad acquistare ancora più del suo stesso debito.
State utilizzando la crisi come un enorme strumento di potere per portarci a un’unione fiscale. Se ci riusciste, allora dovremmo cambiare il nome, liberandoci di “Unione europea” e chiamandola “Unione del debito”. Se ci riusciste, imprigionereste i paesi meridionali in un carcere economico, nel quale le sofferenze degli individui sarebbero incalcolabili, mentre i paesi del nord si troverebbero a dover pagare, per sempre, un conto molto salato e tassi d’interessi di gran lunga troppo alti per le loro economie. Abbiamo ormai raggiunto un punto in cui in realtà non importa più ciò che ciascuno di voi dirà. Nessuno vi crede. Il pubblico non vi sostiene. Spero e prego che i mercati si liberino di voi.
Barry Madlener (NI). – (NL) Signor Presidente, onorevoli deputati, da tutte le belle e vuote parole del Presidente Barroso, sono stato in grado di trarre un solo punto reale, vale a dire che spetta agli Stati membri ricchi pagare per quelli poveri, perché è questa la realtà della questione. Sembra che questa situazione proseguirà ancora per un bel po’. Continuiamo a sentirci dire che dobbiamo aiutare gli altri Paesi, ma nessuno ha menzionato come dobbiamo farlo in realtà. fondamentalmente Per farla breve, i cittadini dei Paesi Bassi dovranno metter mano al portafogli e pagare il conto per gli Stati membri deboli, alcuni dei quali hanno aderito all’euro con mezzi fraudolenti.
Il Presidente Barroso afferma: “Scegliete la crescita sostenibile”. Parole vuote prive di significato perché non ci ha detto come dovremmo farlo. Che cosa succede se non funziona? Perché non elaboriamo uno scenario che permetta a paesi come la Grecia di reintrodurre la propria moneta? Sembra che ciò non sia possibile e che voi non siate pronti a elaborare scenari analoghi, anche se molti economisti ritengono che in realtà essi potrebbero funzionare molto bene e che potrebbero rappresentare la nostra opzione migliore.
Passiamo poi alla creazione delle condizioni per la crescita e l’occupazione. Come dovremmo farlo? A quanto sento dire, lo si dovrebbe fare riducendo la spesa pubblica, che è proprio quanto abbiamo fatto nei Paesi Bassi. Quindi, che cosa fa l’Unione europea? Premia i Paesi Bassi spendendo ancora di più. Vi ricordate la richiesta di un aumento del bilancio dell’UE del 6 per cento? Ovviamente, erano principalmente i cittadini dei Paesi Bassi a dover pagare quel conto; anche in quest’ambito, pertanto, non godete di grande credibilità.
Per riassumere: i Paesi Bassi stanno pagando per i paesi poveri con un declino della crescita economica interna. I cittadini sono esposti a un rischio di 27 miliardi di euro, importo che sembra aumentare lievitare in continuazione. Ogni anno paghiamo 4,5 miliardi di euro netti all’UE, la maggior parte dei quali è convogliata verso gli Stati membri deboli; le spese dell’Unione sono in aumento, mentre noi dobbiamo introdurre tagli e mentre il valore dell’euro continua a scendere, con conseguente aumento dei costi per i cittadini dei Paesi Bassi. Signor Presidente, l’Unione europea non è affidabile.
Olle Schmidt (ALDE). – (Interrogazione presentata con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8, del regolamento, all’onorevole Farage) (EN) Signor Presidente, è sempre divertente ascoltare l’onorevole Farage, o per lo meno talvolta lo è, perché conosce tutte le risposte e si fa da solo tutte le domande.
Eppure, onorevole Farage, sarebbe stata preferibile l’alternativa di 16, 17 o forse addirittura 20 monete diverse, come avevamo negli anni ’90 quando la sterlina è collassata? Avrebbe migliorato l’attuale situazione in Europa? Nessun economista sarebbe d’accordo con lei su questo punto, onorevole Farage. Non può semplicemente dire che viviamo nel passato. Stiamo affrontando questioni che riguardano l’Europa di oggi. Non risponde mai alla domanda sul modo in cui affrontare la situazione attuale e quella futura. Lei è un populista, ed è troppo semplice per lei rispondere a tutte le sue domande.
Nigel Farage (EFD). – (EN) Signor Presidente, dieci anni fa ho affermato che non si potevano mettere la Grecia e la Germania insieme nella stessa unione monetaria e che ciò non avrebbe funzionato. Se ripercorriamo la storia, vediamo che quando i popoli sono riuniti in false unioni monetarie, quando i governi credono di saperla più lunga dei mercati, i governi perdono sempre.
Mi chiede qual è la mia soluzione per la situazione odierna. È assolutamente evidente. La Grecia, il Portogallo e l’Irlanda non sono compatibili con l’euro. Ciò che dovremmo fare, ciò che il Presidente Van Rompuy dovrebbe fare per avere una leadership reale, sarebbe introdurre un piano B e permettere a questi paesi di tornare alla loro moneta, permettere loro di svalutare per tornare concorrenziali e crearsi una possibilità, perché con questa politica non facciamo altro che distruggerli.
José Manuel García-Margallo y Marfil (PPE). – (ES) Signor Presidente, chiunque legga i giornali di oggi noterà due cose: ci troviamo in un momento cruciale della crisi del debito sovrano e la risposta europea è una successione di disposizioni isolate senza alcuna coerenza interna.
Proprio in questo momento abbiamo sul tavolo il semestre europeo, il pacchetto di governance economica, la strategia di salvataggio temporanea e permanente, i cosiddetti Eurobond per coprire la parte di debito sovrano considerata sicura, più un piano d’azione basato sulla Banca europea per gli investimenti e le obbligazioni per specifici progetti, che è contenuto nella proposta che la Commissione ci ha inviato in materia di mercato interno.
La prima cosa che i relatori stanno cercando di fare è combinare il tutto e creare un progetto completo, un’immagine definitiva da mostrare al pubblico. In secondo luogo, questo progetto deve essere un disegno europeo che non divida l’Europa in due – non cadiamo in un’Europa a due velocità – e che persegua con la medesima intensità due obiettivi: la disciplina di bilancio, il più necessario, e la crescita economica, per farci uscire dalla crisi in cui ci troviamo.
Ho un’osservazione sul meccanismo di salvataggio cui il Presidente del Consiglio in carica ha fatto riferimento. Nella sua prima dichiarazione, egli ha affermato che gli investitori privati parteciperebbero ai piani di salvataggio, creando scalpore e portando a una protesta del Presidente della Banca centrale europea. Fu spiegato, come ha appena fatto in questa sede il Presidente Van Rompuy, che innanzitutto si procederebbe caso per caso – ma chi prende le decisioni e sulla base di quali criteri? – e in secondo luogo che si rispetterebbero i criteri e le politiche del Fondo monetario internazionale. L’unico caso in cui il Fondo monetario internazionale ha fatto ricorso a questo tipo di piano di salvataggio è stato in Argentina nel 2003; quell’intervento fece precipitare il paese in un caos dal quale ancora non si è emerso ancora ripreso, e i detentori privati di obbligazioni non sono ancora stati risarciti.
Per quanto riguarda gli Eurobond, oggi in questa sede sono state esposte molte problematiche. Vorrei aggiungerne due: queste obbligazioni creerebbero un mercato liquido come quello degli Stati Uniti, e darebbero un impulso all’euro come moneta di riserva, permettendo alle banche centrali e ai fondi sovrani di investire qui da noi le loro riserve.
Il mio commento finale è che siffatte operazioni, per dare una risposta alla crescita, devono essere affiancate dalla Banca europea per gli investimenti e da obbligazioni specifiche.
Pervenche Berès (S&D). – (FR) Signor Presidente, Presidente Van Rompuy, lei ha consentito a presiedere definito quello che viene definito un gruppo di saggi. Tale organo si componeva di ministri delle finanze minacciati da un declassamento del loro debito sovrano. Potevano costituire un gruppo di saggi? La cacofonia che pervade il dibattito attuale fra il signor Trichet, il Presidente Barroso e il Cancelliere Merkel, proprio come le turbolenze sul mercato, ci dice che non si è trattato di un gruppo di saggi.
Vi è stato chiesto di gestire la crisi dell’euro. Dobbiamo gestire l’euro a vantaggio dei cittadini europei, non degli speculatori. Per farlo, avete convenuto una revisione del trattato per ragioni di convenienza, anche se la nostra Conferenza dei presidenti aveva sottolineato che si trattava di una revisione superflua, come confermato dal Presidente dell’Eurogruppo.
Ciononostante, signor Presidente, Presidente Van Rompuy, voi rischiate di indirizzarci su un cammino che ci potrebbe portare sulla via del “troppo poco e troppo tardi”. Effettivamente, verrà il giorno in cui avrete bisogno della saggezza del Parlamento, di una convenzione per revisionare il trattato affinché in futuro sia possibile avere armonizzazione fiscale, un tesoro a livello europeo, prestiti per la gestione reciproca del debito e per porre nuovamente l’occupazione al centro delle nostre politiche economiche.
Se non volete la revisione del trattato, prendete il toro per le corna e introducete una cooperazione rafforzata nella zona euro per gestire i problemi e le responsabilità dei suoi Stati membri, invece di lasciarla alla mercé dei mercati.
Martin Callanan (ECR). – (EN) Signor Presidente, dal momento che si tratta di una questione così importante per l’economia europea nel suo insieme, sebbene il mio paese (per fortuna) non faccia parte della zona euro, accolgo con favore per lo meno alcune delle misure convenute durante il Consiglio della zona euro, in particolare il fatto che gli stessi paesi che vi aderiscono devono essere responsabili per la risoluzione dei loro problemi.
Accolgo inoltre con favore il riconoscimento, seppur tardivo, del Consiglio secondo cui l’articolo 122 del trattato è del tutto inadeguato a sostenere il meccanismo di salvataggio. Non si tratta di catastrofi naturali né si trattava di qualcosa che esulava dal controllo degli Stati membri coinvolti. Ciononostante, nel predisporre le basi per l’entrata in vigore del meccanismo prevista forse nel 2013, non dobbiamo dimenticarci che anche adesso continuiamo a trovarci in un periodo di crisi.
La situazione è ancora estremamente disperata in diversi Stati membri: il Portogallo quasi sicuramente si troverà ad attraversare difficoltà, forse anche la Spagna e il Belgio. Tuttavia, ciò che mi preoccupa maggiormente è l’effetto sulla democrazia naturale in tali paesi. Essi, in effetti, stanno diventando dei protettorati economici guidati da Barroso, Van Rompuy e altri. Le decisioni prese dagli elettorati nazionali di questi paesi circa le priorità di spesa da adottare e le politiche economiche da perseguire hanno ora un effetto molto limitato. Sono sotto il controllo di Bruxelles e delle istituzioni finanziarie internazionali.
Una volta che avremo superato la crisi, dovremmo veramente concentrarci sul ripristino della democrazia in tali paesi e sul ripristino della volontà degli elettorati nazionali di avere il controllo delle proprie politiche economiche nazionali.
Miguel Portas (GUE/NGL). – (PT) Signor Presidente, nella politica vi sono misure ragionevoli, misure erronee e misure sconvenienti. È ragionevole che l’Europa emetta un debito pubblico europeo, anche se il Cancelliere Merkel non approva. È ragionevole che l’Europa possa mutualizzare parte del proprio debito sovrano, anche se il Cancelliere Merkel non approva. Quello che è sconveniente è la notizia, diventata di pubblico dominio, secondo la quale il meccanismo europeo di stabilità e il Fondo monetario internazionale potrebbero finire per mutualizzare parte del debito sovrano accumulato dalle banche private a un interesse del 6 o 7 per cento, nel caso del Portogallo, dopo che le stesse banche si sono finanziate con un interesse dell’1 per cento con la Banca centrale europea.
Presidente Van Rompuy, il mio quesito è il seguente: per quanto tempo ancora continueremo ad aspettarci dall’Europa che faccia miracoli nel settore del capitale finanziario? Per quanto tempo ancora continueremo a trasformare il debito privato in debito pubblico? Per quanto tempo ancora obbligheremo i contribuenti europei, i lavoratori e i pensionati a ripagare debiti generati dal settore delle banche private, le stesse che ci attaccano?
È questa la vera posta in gioco di oggi.
Mario Borghezio (EFD). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, negli Stati Uniti una legge ha imposto alla FED di dettagliare quanto, e a quali banche, sono andati i 3 300 miliardi di dollari del salvataggio.
Mi domando se sia sovversivo chiedervi di adottare questi stessi criteri di trasparenza, a meno che non lo impedisca la super lobby del potere finanziario e bancario. Riflettiamo: quale futuro per questa Unione forzata di paesi liberi, basata sulla detenzione del debito dei paesi più deboli da parte dei paesi più forti?
Tecnicamente, vogliamo riconoscere una realtà, che l'euro è una moneta in una situazione quasi fallimentare? Come pensare di far obbligo di usarla a paesi con un'economia debole? È una politica accettabile una politica monetaria accentrata, per Stati che hanno tassi di interesse così decisamente diversificati?
Lo stesso Trichet, che esorcizza il pericolo di insolvenza della BCE, ammette però che una delle motivazioni all'aumento di capitale è far fronte al rischio di credito, cioè all'insolvenza dei titoli acquisiti. È inoltre ora di nuovi stress test sulle maggiori banche, di dare maggior peso al dato degli indebitamenti bancari a rischio, come ha chiesto il ministro dell'economia.
(Il Presidente interrompe l'oratore)
Ioannis Kasoulides (PPE). – (EN) Signor Presidente, il messaggio politico delle ultime decisioni del Consiglio rivolte agli speculatori, ai mezzi di comunicazione e ai mercati è che gli Stati membri sono pronti a fare tutto il necessario per salvaguardare la zona euro e difendere l’euro. Indipendentemente dalle discussioni interne in corso, nessuno Stato membro esclude determinate idee, come ad esempio il raddoppiamento del capitale del fondo finanziario, il diritto di acquistare obbligazioni, l’inclusione del trimming nel meccanismo di stabilità finanziaria dopo il 2013 o l’ordine di vendere Eurobond. Solo le tempistiche sono oggetto di discussione: se e quando sarà necessario, e come. Non illudiamo i mezzi di comunicazione e gli analisti. L’Unione europea farà tutto il necessario, quando sarà necessario.
Per quanto riguarda il meccanismo di stabilità finanziaria, la decisione del Consiglio afferma che il meccanismo è “da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme”. In qualità di deputato proveniente da uno Stato membro di piccole dimensioni, vorrei chiedere rassicurazioni circa il fatto che membri come Malta, Cipro, l’Estonia o la Slovenia verranno inclusi perché se attraverseranno delle difficoltà potrebbero non essere indispensabili per la stabilità dell’insieme.
Anni Podimata (S&D). – (EL) Signor Presidente, è necessario riconoscere che, sebbene del tutto impreparata dal punto di vista istituzionale e politico, sin dall’inizio l’Europa ha compiuto passi seri per affrontare la crisi. Dall’applicazione del pacchetto di sostegno alla Grecia quasi un anno fa, fino alle decisioni prese dall’ultimo Consiglio europeo di istituire un meccanismo permanente di stabilità, si sono compiuti importanti passi in avanti. Ciononostante, la continua e crescente pressione dei mercati, che non viene più esercitata solo sulle economie più vulnerabili della zona euro, dimostrano che le nostre decisioni sono frammentarie e inadeguate in termini di risposta integrata alla crisi.
Necessitiamo, pertanto, di una risposta europea integrata alla crisi che non sostituirà né trascurerà la responsabilità degli Stati membri di mantenere la propria parola e ristrutturare le proprie finanze pubbliche, ma che proteggerà queste economie dagli attacchi dei mercati e contribuirà a garantire che i loro sforzi siano coronati dal successo.
Signor Presidente, alcuni giorni fa il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che invita la Commissione europea ad avviare uno studio di fattibilità sulla questione degli Eurobond senza ulteriore indugio.
(Il Presidente interrompe l'oratore)
Ilda Figueiredo (GUE/NGL). – (PT) Signor Presidente, abbiamo raggiunto la fine dell’anno europeo della lotta contro la povertà e l’esclusione sociale. Il Consiglio ha forse elaborato un bilancio dei risultati? No.
Se l’avesse fatto, avrebbe concluso che la povertà non ha mai registrato un aumento così pronunciato, che il numero di persone che vivono in povertà in questa ricca Europa ha ormai superato i 100 milioni e che le decisioni prese non faranno altro che continuare a far aumentare disoccupazione, disuguaglianza ed esclusione sociale. Ciononostante, gli utili dei gruppi economici e finanziari proliferano, come anche i profitti speculativi sul debito sovrano, sostenuti dagli orientamenti della Banca centrale europea e dalle politiche del Consiglio e della Commissione.
È questo l’obiettivo della zona euro?
I paesi con le economie più fragili continuano a essere oggetto di pressioni e minacce, e i governi, di fronte alle proteste e alle lotte dei lavoratori, fanno ricorso alla repressione e alla violenza su sindacati e lavoratori, come si è verificato ieri in Portogallo.
La ragione della nostra protesta, della nostra indignazione e della nostra ferma convinzione è che vogliamo una tipologia diversa d’Europa: un’Europa basata sul progresso sociale, che rispetti chi lavora e lotti per i loro diritti. Credetemi, saremo a fianco dei lavoratori nella loro lotta per rompere con le vostre politiche.
Tunne Kelam (PPE). – (EN) Signor Presidente, mi fa piacere poter affermare che sono passati diciannove giorni dall’adesione dell’Estonia alla zona euro, ma l’Estonia vi si preparava sin dal momento della sua adesione. Persino il disegno sulla moneta dell’euro estone era già stato deciso con un referendum sei anni fa. Ciononostante, aderire alla zona euro non è semplicemente una questione di scelta individuale ma riguarda anche la solidarietà, assumersi la responsabilità comune e contribuire attivamente alla stabilità del continente nel suo insieme.
In un periodo di crisi economica, i valori morali ed etici hanno acquisito maggiore importanza. Possiamo riscontrare che il potenziale economico di per sé non è sufficiente. L’aspetto cruciale è se un paese può godere di fiducia per quanto riguarda la propria capacità e volontà di rispettare i propri obblighi in tempo e impegnarsi in serie riforme strutturali.
Ho accolto con favore il fatto che il Consiglio sia stato in grado di accordarsi su un meccanismo europeo di stabilità, ma il modo pratico per raggiungere crescita economica e stabilità è costituito, in primo luogo, dal completamento del mercato unico, e in particolare del mercato unico europeo del digitale. Quest’ultimo va integrato nel ruolino di marcia del mercato unico europeo, nonché nell’agenda europea per il digitale.
Potrebbe essere un’opportunità reale per promuovere la competitività europea nel mondo. I cittadini europei si aspettano che noi facilitiamo gli affari nella sfera digitale, dove operazioni come i pagamenti elettronici e la e-identificazione dovrebbero essere coerenti e comprensibili. Un mercato unico del digitale necessita, inoltre, di risoluti sforzi volti a sviluppare un mercato dei servizi.
Jean-Pierre Audy (PPE). – (FR) Signor Presidente, Presidente Van Rompuy, Presidente Barroso, vorrei condividere con voi due riflessioni.
La prima riguarda la portata del meccanismo permanente di gestione della crisi. Gli Stati non membri della zona euro si suddividono, in realtà, in due categorie: Regno Unito e Svezia, che non sono obbligati ad adottare l’euro, e gli altri paesi che, insieme ai membri, rappresentano 25 Stati. Proporrei che gli Stati che utilizzano l’euro beneficino di un trattamento speciale nell’ambito del meccanismo, cosa che al momento non è prevista.
In secondo luogo, vorrei richiamare la vostra attenzione sui parlamenti nazionali che non sono coinvolti nella procedura semplificata, ad eccezione delle procedure di ratifica. Propongo che i parlamenti nazionali vengano inclusi nel processo di consultazione su base volontaria, poiché emerge la questione di chi garantirà il controllo politico del meccanismo futuro. Lo farà il Parlamento europeo o i parlamenti nazionali? Dal momento che, però, non vi è una dimensione parlamentare nella zona euro, non sappiamo come saremo in grado di garantire un controllo politico del meccanismo. È una questione che vi sottopongo.
Roberto Gualtieri (S&D). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, Signor Presidente del Consiglio europeo, vedo due grandi problemi rispetto alla proposta modifica dell'articolo 136, uno istituzionale e uno politico.
Quello istituzionale: l'articolo 3 del trattato sul funzionamento definisce la politica monetaria dei paesi la cui moneta è l'euro una competenza esclusiva dell'Unione, ma l'articolo 2 prevede che una competenza esclusiva può essere esercitata dagli Stati membri se autorizzati dall'Unione. Risulta difficile da capire perché l'applicazione di una norma chiaramente definita dal trattato richieda invece una riforma dello stesso.
C'è poi un problema politico, invece: la scelta della procedura di una riforma del trattato, invece di utilizzare l'articolo 2 o gli articoli 352 più 136, mette l'ESM, e quindi il futuro dell'euro, nelle mani di 27 processi di ratifica.
C'è la consapevolezza che se uno solo di questi 27 processi di ratifica non andasse bene sarebbe difficile a questo punto trovare un piano B per l'euro? È consapevole il Consiglio europeo che la scelta di questa procedura mette il futuro dell'euro fortemente a rischio?
Ildikó Gáll-Pelcz (PPE). – (HU) Signor Presidente, Presidente Van Rompuy, Presidente Barroso, la stabilità dell’euro e l’istituzione di un meccanismo di gestione della crisi sono i nostri compiti operativi più importanti nell’avviare la crescita che creerà nuovi posti di lavoro e che, nel contempo, ridurrà il debito pubblico degli Stati membri; su questo concordano tutti gli Stati membri. Ciononostante, l'esecuzione di questi compiti non deve forzarci a posticipare altre problematiche e la discussione di questioni strategiche come l’innovazione, che si è già tenuta a dicembre. Il prossimo vertice a febbraio sarà il momento adeguato per prendere decisioni strategiche su questioni importanti come l’energia. La Presidenza ungherese ha iniziato i lavori preparatori per il vertice sull’energia. Le regole più importanti sono già state stabilite lo scorso anno. Il regolamento sulla sicurezza dell’approvvigionamento di gas naturale è entrato in vigore. Signor Presidente, le chiedo di rassicurarmi che le preoccupazioni relative alla stabilità della zona euro non saranno più prioritarie rispetto alle questioni del vertice sull’energia.
Nikolaos Salavrakos (EFD). – (EL) Signor Presidente, come saprà, il governo statunitense è stato obbligato, per la seconda volta durante l’attuale crisi del debito, a intervenire drasticamente per sostenere due grandi banche sull’orlo del baratro e l’organizzazione assicurativa ING. Ha, pertanto, pompato 700 miliardi di euro nel proprio sistema bancario, come aiuti finanziari. Nonostante tali misure, l’economia statunitense continuava ad aver bisogno di maggiore assistenza e, senza badare alla parsimonia, il governo ha recentemente utilizzato altri 600 miliardi di dollari per far uscire l’economia dalla recessione. Ovviamente, gli Stati Uniti d’America stanno stampando moneta.
A differenza delle imprese statunitensi, la zona euro si è attenuta al principio della disciplina di bilancio e di una politica monetaria rigorosamente controllata, lasciando così un certo margine di manovra a diverse imprese speculative che hanno potuto speculare a spese dei paesi meno resistenti alle pressioni. Signor Presidente, proporrei di considerare l’alleggerimento quantitativo nella zona euro; potrebbe dimostrarsi un uovo di Colombo.
Liisa Jaakonsaari (S&D). – (FI) Signor Presidente, non vi sono dubbi che una spada di Damocle a doppio taglio incomba sull’Europa, vale a dire la crisi economica e un aumento del nazionalismo, che hanno unito le forze.
A nome del gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, l’onorevole Hughes ha chiesto se oggi sono i sogni dei padri fondatori a tenere unita l’Europa, o piuttosto l’incubo del suo collasso. Purtroppo, l’incubo del collasso è ormai la tendenza generale. Spererei, pertanto, che la Commissione desse prova di maggiore forza per quanto concerne le questioni relative a un’Europa sociale. È molto strano che debba mostrare debolezza su tali aspetti. Non si tratta nemmeno di capire se le decisioni siano dominate dai mercati o dalla politica: la politica sta scendendo nelle strade, passa alle manifestazioni e si consegna nelle mani di diversi gruppi estremisti e dell’estrema destra. La Commissione, pertanto, dovrebbe stabilire delle priorità in ordine all’Europa sociale. Purtroppo, però, nulla di tutto ciò si sta verificando.
Seán Kelly (PPE). – (EN) Signor Presidente, a differenza di molti colleghi, vorrei fare i miei complimenti ai Presidenti Van Rompuy e Barroso per essere stati per lo meno proattivi durante l’attuale crisi e aver introdotto misure che spero in futuro abbiano successo. Se questo avverrà, al momento non lo possiamo sapere. Se avranno successo, essi saranno considerati degli eroi; altrimenti, probabilmente saranno considerati come personalità malvagie, ma diamo loro credito, dove questo è dovuto. Spero che l’architettura di vigilanza garantirà che molti dei difetti che hanno portato alla situazione attuale non si riproporranno più in futuro.
Per quanto riguarda il mio paese, purtroppo abbiamo dovuto avvalerci di un salvataggio, principalmente a causa della sconsideratezza delle nostre banche e della governance scadente. Fra pochi mesi avremo un nuovo governo, che spero porti stabilità politica, ma vorrei fare un appello ai Presidenti Van Rompuy e Barroso di cercare di ridurre l’attuale tasso d’interesse nel salvataggio, perché è troppo elevato e potrebbe paralizzare il paese.
José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, inizialmente, questa discussione ha mostrato la complessità della crisi e la complessità delle risposte. Voglio dirvi una cosa – chiaramente c’è una stragrande maggioranza che condivide gli ideali europei e necessita di una risposta europea – cioè che non dobbiamo essere divisi da alcune differenze che non sono d’importanza capitale.
Come hanno affermato alcuni di voi, oggi siamo effettivamente di fronte a una vera sfida, una minaccia, a volte, all’integrazione europea. Abbiamo visto tale minaccia nella discussione odierna. Ho ascoltato alcuni commenti, commenti nazionalistici, prevenuti, che, onestamente, non sono abituato a sentire al Parlamento europeo.
Si è trattato di una minoranza, ma sono comunque commenti che sono stati espressi, con l’obiettivo di ampliare le divisioni tra gli europei, tra i cosiddetti europei ricchi e gli europei poveri. E a coloro che hanno espresso tali commenti – che mi hanno lasciato sgomento – contro la solidarietà europea, cercando di ampliare il divario tra ricchi e poveri, io rispondo dicendo: dove eravate quando l’Europa finanziava i vostri agricoltori dopo la guerra, per poter sfamare il vostro stesso popolo? Dove eravate quando l’Europa finanziava le vostre infrastrutture per lo sviluppo e la competitività dei vostri paesi? Dove eravate quando l’Europa metteva a disposizione il mercato interno per vendere i vostri prodotti e i vostri servizi? Dove eravate quando l’Europa era la base della prosperità e della crescita dei vostri paesi dopo la guerra?
Soltanto opinioni egoiste, miopi e concentrate sul breve termine possono sostenere questo tipo di affermazioni contro l’unità europea. Ritengo si tratti di un grave problema, che molti di voi hanno sottolineato. Il mio appello a tutti coloro che condividono l’ideale europeo è che dobbiamo essere uniti nel tentativo di fornire una risposta globale a una questione che, a essere seri, richiede la creazione di consenso, dobbiamo ammetterlo. A volte ciò non è semplice in un’Unione europea a 27 Stati membri, con la zona euro che ora conta 17 Stati membri – e do il benvenuto all’Estonia, nuovo membro – e con un processo decisionale che non è sempre il più semplice anche perché si basa sul principio della democrazia. Non abbiamo soltanto le istituzioni europee, abbiamo 27 democrazie.
Il compito che ci troviamo di fronte è estremamente complicato. Ecco perché voglio fare appello a tutti coloro che condividono l’ideale europeo: non lasciamoci distrarre da quelle che possono essere alcune differenze di orientamento politico.
Onorevole Hughes, nutro un profondo rispetto per la sua preoccupazione per l’Europa sociale, ma siamo del tutto onesti su questo punto. Qual è il modo migliore per sostenere governi come quello greco, quello spagnolo, quello portoghese, che sono guidati da illustri appartenenti alla nostra famiglia politica? È forse quello di sostenere le riforme che stanno introducendo con grande coraggio, o dire semplicemente che tali riforme vanno contro i valori europei?
L’Europa necessita di riforme strutturali, anche nel settore del lavoro. È questa la realtà. Se chiediamo al Primo ministro Papandreou, al Primo ministro Zapatero, al Primo ministro Sócrates, è esattamente questo ciò che stanno facendo, e magari intendono spingersi ancora più in profondità con le riforme. Ritengo che il modo migliore per sostenere i coraggiosi sforzi che ciascuno di noi, a velocità differenti, sta compiendo in Europa sia quello di adottare il linguaggio della verità.
Nell’attuale mondo della concorrenza, messo sotto pressione da alcune economie forti e attualmente emergenti, o ci adattiamo o metteremo a rischio la nostra economia sociale di mercato. Ne abbiamo bisogno. Lo faremo, credo, senza mettere in dubbio i diritti dei lavoratori. Voglio nuovamente ribadire – le risponderò fra un minuto, non mi sono dimenticato della sua domanda – che ritengo estremamente importante rispettare i principi del dialogo sociale. L’ho affermato ieri, lo ribadisco oggi. Ciononostante, se non mettiamo mano effettivamente a questo tipo di consolidamento fiscale e di riforme sociali, non avremo fiducia, e senza fiducia non avremo crescita, e senza crescita non saremo in grado di garantire occupazione ai nostri cittadini.
All’onorevole deputato di questo Parlamento che viene dall’Irlanda e ha posto una domanda, suggerendo che i problemi dell’Irlanda sono stati creati in Europa, vorrei dire: i problemi dell’Irlanda sono stati causati da un comportamento finanziario irresponsabile da parte di alcune istituzioni irlandesi e dalla mancanza di vigilanza sul mercato irlandese. L’Europa ora fa parte della soluzione, sta cercando di sostenere l’Irlanda. Ma non è stata l’Europa ad aver creato questa situazione fiscale e questo comportamento finanziario irresponsabili.
L’Europa sta cercando di sostenere l’Irlanda perché è importante sapere di chi è la responsabilità. Ecco perché chi tra noi crede negli ideali europei – e si tratta chiaramente della maggioranza – deve essere in grado di fornire una risposta quanto più possibile comune.
Un altro punto sollevato da alcuni di voi è stato: qual è il livello di ambizione? Nuovamente, permettetemi di chiarire la posizione della Commissione. Sosteniamo la posizione più ambiziosa in termini di risposta integrata. Ecco perché la Commissione sarà pronta a sostenere alcune delle misure che alcuni di voi hanno proposto. In periodi di crisi e di instabilità di mercato quali quelli che ci troviamo ad affrontare attualmente, però, è fondamentale, a mio avviso, contribuire alla costruzione di un consenso tra gli Stati membri proprio perché vi sono state effettivamente alcune divergenze sul modo in cui affrontare la crisi.
Per quanto concerne la revisione del trattato, conoscete la posizione della Commissione. Sin dall’inizio abbiamo affermato che ritenevamo fosse possibile istituire un meccanismo permanente senza modificare il trattato. Ciononostante vi è stato quanto meno uno Stato membro dell’Unione europea – ed è necessaria l’unanimità per queste questioni – che ha insistito chiarezza molto chiaramente sulla necessità di una revisione del trattato. Dal momento che riteniamo importante disporre di un meccanismo permanente di stabilità, la Commissione ha svolto un ruolo costruttivo a sostegno di tale emendamento limitato al trattato. Ritengo, pertanto, che ora sarebbe un grave errore essere divisi in materia; poiché vogliamo rafforzare la stabilità, credo sia importante che vi sia consenso su questa limitata revisione del trattato.
Alcuni di noi vorrebbero spingersi oltre. Personalmente, vorrei spingermi oltre in termini di struttura e approfondimento dell’approccio comunitario. Dobbiamo, in ogni caso, dar prova di responsabilità in questo specifico momento che stiamo attraversando e cercare di avere il massimo comune denominatore più ambizioso, e non un minimo comune denominatore. Ecco perché desidero ribadire che alcune delle proposte avanzate sono di per sé interessanti, ma non sono in grado, al momento, di generare il consenso necessario; la Commissione deve prestare la massima attenzione al contributo che apporta alla definizione di tale consenso.
Infine, ritengo che ognuno debba apportare il proprio contributo. Non mi piacciono le divisioni tra ricchi e poveri, vecchi e nuovi, o centro e periferia. In Europa, tutti gli Stati godono esattamente della stessa dignità e le idee improntate a una discriminazione tra Stati membri sono estremamente pericolose per il progetto europeo. Come procedere dunque? Dovremmo chiedere a tutti gli Stati membri che si trovano in una posizione più vulnerabile di fare tutto il necessario per ripristinare la fiducia nelle loro economie attraverso l’opportuna stabilità macroeconomica, il consolidamento fiscale, le riforme strutturali; ciò è essenziale in questo momento. Non aiutiamo tali paesi se suggeriamo loro che è possibile eludere questo percorso; non li aiutiamo davvero.
Nel contempo, i paesi che ora godono di una situazione migliore dovrebbero dar prova di solidarietà con gli altri. Ritengo sia fondamentale avere una risposta forte per quanto concerne la stabilità della zona euro; dobbiamo dire che non siamo, come si è verificato in passato, dietro la curva ma già oltre la curva; che forniamo una risposta articolata volta a ripristinare la fiducia nella determinazione della zona euro e dell’Unione europea nel suo insieme. E dobbiamo farlo non solo con le parole ma con i fatti. Si tratta di un aspetto importante, ne va della nostra credibilità. Le dichiarazioni sono importanti ma non sufficienti; è importante agire e che noi tutti ci impegniamo per una governance più forte nella zona euro e nell’Unione europea. qualcosa Questo è quello che i mercati ci chiedono.
Vi è un problema di percezione circa il modo in cui possiamo prendere le decisioni e poi metterle in atto. Necessitiamo, pertanto, di una maggiore governance nella zona euro, di un maggiore coordinamento delle politiche economiche nell’Unione europea nel suo insieme e fondamentalmente dovremmo, tutti noi, impegnarci per i principi di solidarietà e responsabilità. Non è soltanto una questione di responsabilità; è una questione di solidarietà. Non è soltanto una questione di solidarietà; è anche una questione di responsabilità. Solo così potremmo raggiungere la stabilità, che costituisce la base per la nostra prosperità futura.
Herman Van Rompuy, Presidente del Consiglio europeo. – (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, innanzitutto comincerò con alcuni fatti positivi. Mi scuso se a volte mi mostro positivo.
In primo luogo, la crescita economica è oggi molto più forte di quanto non ritenessimo alcune settimane o mesi fa. La disoccupazione è in declino in alcuni paesi. Chi l’avrebbe immaginato nel 2008 o nel 2009? Per quanto riguarda l’Unione europea in generale, nel suo insieme, a partire dal 2010-2011 l’occupazione nuovamente riprenderà quota dopo la più grave crisi degli ultimi 70 anni. Lo ripeto: alcuni mesi fa non ce lo aspettavamo, eppure si sta verificando.
In secondo luogo, certamente c’è una crisi, ma la nostra moneta comune – la moneta comune, in ogni caso, di 17 paesi – è stabile, nella misura in cui il tasso di cambio con il dollaro statunitense è oggi a 1,30. In passato era a 0,85. All’epoca nessuno diceva che l’euro era a rischio. Rispetto ad altri continenti e altre grandi monete, abbiamo una bilancia dei pagamenti stabile e, rispetto ad altri grandi paesi, un deficit di bilancio che praticamente è la metà del loro. Ciò, pertanto, spiega perché, nonostante tutti i nostri problemi, l’euro è una moneta stabile. Volevo sottolinearlo prima di passare ad altri aspetti.
Chiaramente, siamo del tutto consapevoli della necessità di andare avanti, ma dobbiamo davvero ricordarci, come ho affermato l’ultima volta che sono stato qui, che siamo entrati in questa crisi nella zona euro – è più una crisi della zona euro che dell’euro – senza gli strumenti adeguati. Abbiamo praticamente dovuto crearli sul momento. Si tratta di una responsabilità condivisa, il che spiega anche perché non abbiamo proceduto tanto rapidamente quanto pensavamo all’inizio, o quanto richiesto dalle circostanze.
Eppure non avevamo niente. C’era un patto di stabilità e crescita che non veniva rispettato. Non c’era vigilanza macroeconomica. Non c’era alcun meccanismo di crisi, né temporaneo né permanente, né vi erano istituzioni forti che garantissero la vigilanza finanziaria. Abbiamo dovuto creare tutto ciò sul momento, nel bel mezzo della crisi, il che costituisce una responsabilità condivisa. Alcuni di voi hanno affermato che è “troppo poco, troppo tardi”. Beh, il fatto che disponevano di pochi o nessuno strumento spiega perché non ci troviamo in quella situazione ma in una situazione di progressi costanti. Si tratta di una spiegazione valida.
In secondo luogo, alcuni di voi hanno osservato che la crisi non è sotto controllo, basti guardare agli sviluppi sui mercati. Esattamente nello stesso momento, altri – a volte esattamente le stesse persone – affermano che nel prendere decisioni non ci si può lasciar condizionare dai mercati. A tutti vorrei ribadire che delle due, o è l’una o l’altra, altrimenti si pecca di coerenza.
Per quanto riguarda le misure adottate, ovviamente, vi sono riforme da introdurre negli Stati membri, non solamente in quelli che hanno problemi, ma in tutti: riforme per liberare il potenziale occupazionale e di crescita. Chiaramente, spesso le riforme sono dolorose. Chiaramente, c’è moltissimo da fare per suddividere in maniera equa quanto si chiede alle persone.
Vi ricordo, ciononostante, che alcuni grandi paesi che stanno ora uscendo dalla crisi economica con maggiore rapidità hanno adottato misure quattro, cinque o addirittura sei anni fa, misure interne molto dure che, all’epoca, si sono scontrate con una grande resistenza sociale. Eppure, sono state efficaci in termini di crescita e incremento dell’occupazione. Dobbiamo attraversare periodi difficili, ma dobbiamo lavorare maggiormente affinché il carico sia suddiviso equamente. Vi sono molti esempi nella nostra Unione che provano che questo approccio è quello giusto.
Le riforme sono necessarie a livello degli Stati membri e, ovviamente, a livello dell’Unione stessa, e della zona euro in particolare. Ecco perché è estremamente importante istituire il prima possibile la governance economica decisa dalla task force, di cui si è discusso sulla base di sei proposte presentate dalla Commissione al Parlamento, e trovare un accordo tra tutti coloro che sono coinvolti nel processo di codecisione. È estremamente urgente.
Lo si deve fare se vogliamo progredire ancora con la convergenza della crescita economica e con le politiche economiche in seno alla zona euro. Se è possibile farlo grazie ad accordi tra i paesi della zona euro, allora non dobbiamo solo pensare, ma anche agire per giungere a una conclusione nelle prossime settimane e mesi. Forse, nella zona euro dovremo addirittura spingerci più in là di quanto deciso dalla task force prevista nelle proposte della Commissione perché, in realtà, quando si dispone di una moneta comune emerge una maggiore necessità di una politica economica comune e di sviluppo economico parallelo tra tutti i membri della zona euro.
Ci siamo dimenticati della crescita economica strutturale? No! Ecco perché, proprio nel bel mezzo della crisi, a marzo, abbiamo deciso la strategia Europa 2020. Ecco perché, fra pochi giorni, durante il Consiglio di febbraio, discuteremo della politica in materia di innovazione ed energia. Tra tutti i problemi che la crisi ci costringe ad affrontare, non dobbiamo tralasciare le prospettive a lungo termine, le prospettive strutturali per la crescita e l’occupazione. Inoltre, nel brevissimo termine, stiamo preparando un approccio globale volto a migliorare gli strumenti creati nel 2010 per superare la crisi.
C’è un’agenda – un’agenda chiara. Possiamo avanzare più velocemente? Sì! Come ho detto, vi sono due ostacoli. Il primo è scaturito dal fatto che abbiamo dovuto creare tutto sul momento e il secondo– dal momento che viviamo in una democrazia – riguarda la necessità di trovare un consenso tra i nostri 27 Stati membri, le nostre 27 democrazie.
Onorevoli deputati, i sostenitori del progetto europeo rappresentano la stragrande maggioranza del Parlamento europeo. Non perdiamoci in una gara al rilancio per stabilire chi è il più europeo. Ritengo che il divario tra chi sostiene il progetto europeo e chi non lo fa si stia ampliando ma, nonostante tutti i nostri problemi, la cosa importante è mantenere la rotta, mantenere la nostra direzione e rimanere concentrati. È molto più importante del progresso fatto autonomamente. Ciò che conta è la volontà comune di lavorare verso la stessa direzione in termini di progetto europeo, com’è stato più volte ribadito durante il Consiglio europeo di dicembre.
È con questo approccio graduale, progressivo che ce la faremo. Sono convinto che ci stiamo muovendo nella direzione giusta. Sono convinto che vi sia una volontà comune. Sono convinto che alla fine ci riusciremo.
(Applausi)
Presidente. – La ringrazio per la sua relazione, Presidente. La prossima riunione del Consiglio europeo si terrà il 4 febbraio e, in seguito, il Presidente Van Rompuy terrà la prossima relazione.
La discussione è chiusa.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Bastiaan Belder (EFD), per iscritto. – (NL) Signor Presidente, il Consiglio europeo istituirà un fondo d’emergenza permanente per la zona euro che potrebbe essere necessario se vogliamo riconquistare la fiducia dei mercati finanziari nelle obbligazioni governative emesse dai paesi deboli dell’euro. Ciononostante, vengono anche sollevate questioni circa le basi della nostra unione economica e monetaria. Chi ha ricevuto il compito di istituire il fondo non sembra essere fiducioso che gli Stati membri stiano gestendo le proprie finanze in maniera prudente o rispettando le regole del patto di stabilità e crescita. Mi sarebbe piaciuto che il Consiglio avesse parlato più diffusamente delle considerevoli disparità in seno alla zona euro, incluse le diverse posizioni degli Stati membri in termini di competitività.
La diversità nell’unione monetaria è forse così marcata da impedire un tasso d’interesse uniforme? O si possono invece trovare soluzioni adeguate alle differenze in tema di competitività, di strutture sociali, economiche e di bilancio dei diversi Stati membri?
A questo fine, ogni garanzia ulteriore per il fondo d’emergenza temporaneo dovrebbe essere accompagnata da impegni concreti e da progressi nei tagli e nelle riforme strutturali dei paesi deboli della zona euro. Auguro agli Stati membri del Consiglio di disporre della saggezza necessaria per decidere della questione! Dobbiamo mirare a rispettare gli accordi e a garantire che non permetteremo nuovamente che le cose si spingano troppo in là. Pertanto, sia gli Stati membri che la Commissione europea hanno una grande responsabilità.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Signor Presidente, la natura e gli obiettivi del processo d’integrazione capitalista europea stanno diventando sempre più evidenti, mentre gli effetti della crisi del capitalismo nell’UE si intensificano, con il conseguente inasprimento della situazione economica e sociale in numerosi Stati membri e l’aggravio degli squilibri come chiaramente dimostrato dall’ultimo Consiglio europeo. Non una parola è stata spesa per la situazione sociale nell’Unione, per la disoccupazione, la povertà e l’esclusione sociale, che sono aumentati in tutto il 2010, dichiarato anno europeo della lotta contro la povertà e l’esclusione sociale. Non una parola è stata spesa sulle cause di tutto questo. Non una parola è stata spesa circa la tassazione delle transazioni finanziarie o la fine dei paradisi fiscali. Si propongono, ora, modifiche al trattato che sarebbe dovuto durare una generazione, con un processo semplificato, come chiesto dai signori dell’UE, per creare un meccanismo che ritengono essere “pienamente compatibile con le politiche [del Fondo monetario internazionale]”. In futuro vogliono stringere ancora di più la camicia di forza su paesi come il Portogallo, rendendoli il bersaglio di pressioni umilianti, ricatti e minacce sul capitale finanziario, con la complicità attiva dell’UE. Tutto ciò avviene contestualmente all’inasprimento di misure antidemocratiche e antisociali legate alla cosiddetta governance economica e alla richiesta di “riforme strutturali”.
Niki Tzavela (EFD), per iscritto. – (EL) Signor Presidente, nel suo recente libro, l’ex Primo ministro del Regno Unito, Gordon Brown, afferma che in seguito a ritardi da parte dell’UE nell’adottare decisioni sulla crisi economica in Grecia, la quantità di denaro che la Grecia ha dovuto prendere in prestito è aumentata di 90 miliardi. L’ostruzionismo tedesco in termini di velocizzazione della procedura di aumento e ristrutturazione del fondo di prestito sta avendo un effetto economico a catena sulla Grecia e l’Irlanda. Chiedo alla Commissione: come possono venire ricompensati i membri dell’Unione danneggiati da decisioni tardive da parte del Consiglio? La Commissione sosterrà la Grecia nel suo impegno volto a stabilire perché il suo debito è aumentato dal momento in cui la crisi greca è stata annunciata?
(La seduta è sospesa per alcuni minuti)
5. Programma di attività della presidenza ungherese del Consiglio (discussione)
Presidente . – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sul programma di attività della Presidenza ungherese del Consiglio.
A rotazione, un altro paese giunge ora alla Presidenza; l’Ungheria detiene la Presidenza per la prima volta nella sua storia, circostanza che rappresenta sempre un avvenimento importante per l’Unione europea. Nel corso della Presidenza belga abbiamo elaborato modalità innovative di collaborazione con la Presidenza e il Consiglio, con riunioni a livello amministrativo, di Commissione, ministeriale e presidenziale: in altre parole, tra la Presidenza e il Presidente del Parlamento europeo. Tali forme di cooperazione proseguiranno anche durante la Presidenza ungherese, come ho già stabilito d’accordo con il Primo ministro Orbán. Oggi discuteremo il programma di attività della Presidenza ungherese. Desidero dare il benvenuto al Parlamento europeo al Primo ministro Orbán; siamo lieti di poter avviare un’approfondita discussione sulle numerose questioni relative a questo semestre e alla nostra cooperazione.
Viktor Orbán, Presidente in carica del Consiglio. – (HU) Signor Presidente, onorevoli deputati, mi rallegro che la nostra presenza abbia destato un’attenzione così viva in seno al Parlamento europeo… (Il Presidente prende la parola).
Presidente . – Onorevoli colleghi, comprendiamo che si tratta di una dimostrazione e avete esposto le vostre ragioni, ma ora devo chiedervi di smettere. Dobbiamo continuare la discussione.
Viktor Orbán, Presidente in carica del Consiglio. – (HU) Signor Presidente, sono lieto di constatare che le sedute del Parlamento europeo sono altrettanto animate e vivaci di quelle del Parlamento ungherese; sento veramente aria di casa.
Vi ringrazio di cuore per l’invito. Estendo un rispettoso saluto ai deputati al Parlamento, al Presidente della Commissione Barroso e al Presidente del Parlamento europeo, mio caro amico di lunga data.
Onorevoli deputati, in primo luogo tengo a dichiarare che per me è un onore intervenire oggi in Parlamento in qualità di Presidente in carica del Consiglio. Per voi, naturalmente si tratta di una consuetudine semestrale: ogni sei mesi un Primo ministro si presenta qui per illustrare il programma della Presidenza del proprio paese. Dal nostro punto di vista invece – dal punto di vista degli ungheresi – si tratta di un avvenimento ben più significativo di una consuetudine semestrale; per noi, la nostra presenza qui oggi è un atto di giustizia storica. Vi ricordo che è stata proprio l’Ungheria il paese che, dopo la Seconda guerra mondiale, ha offerto il più alto tributo di vite umane e di sangue alla causa della libertà e della democrazia, sia nel corso della rivoluzione del 1956 che durante la repressione successiva. Siamo stati noi a vibrare il primo colpo contro il regime comunista, siamo stati noi i primi a impugnare le armi contro l’impero sovietico e a dimostrare al mondo che la dottrina comunista non è un’ideologia innocua, bensì un’insidiosa minaccia per la civiltà occidentale. Noi abbiamo tolto il primo mattone dalla muraglia del comunismo, e dalla breccia che avevamo aperto si è fatto strada il vento impetuoso che ha spazzato via l’intero sistema comunista.
Per questo motivo, onorevoli deputati, ritengo che noi ungheresi possiamo a buon diritto affermare di aver recato un notevole contributo alla riunificazione d’Europa. Per gli ungheresi è quindi una questione di giustizia storica il fatto che il Primo ministro d’Ungheria possa parlare oggi, in questa sede, in qualità di Presidente in carica del Consiglio. Vi assicuro che stiamo seguendo la strada additata dai rivoluzionari del 1956, e che intendiamo servire la causa dell’unità europea nel nome dei loro ideali e della loro fede.
Onorevoli deputati, i popoli dell’Europa centrale, compresi noi ungheresi, hanno sempre avuto a cuore l’idea dell’Europa unita, e tale convinzione permane immutata ancor oggi. Creare e conservare l’unità europea è però un compito che esige anche forza. Vent’anni fa, l’Europa è riuscita a raccogliere la forza necessaria per superare le divisioni e unificarsi: ha compreso allora di trovarsi in un momento storico che era necessario cogliere per riunificare l’Europa stessa. A questa forza fa appello il motto della Presidenza ungherese: “Un’Europa forte”.
Onorevoli deputati, oggi ci troviamo di fronte a una sfida di gravità analoga a quella di vent’anni fa, e quindi non è esagerato affermare che l’Unione europea deve affrontare il momento più critico degli ultimi vent’anni. Oggi dobbiamo superare le bufere della crisi globale e individuare la collocazione più adatta per l’Europa, in un’economia globale che subisce un radicale processo di trasformazione e ricomposizione. Ritengo che, per mantenere la propria posizione, l’Europa debba rimanere unita, e anche oggi unità significa forza. Sono convinto che tutti gli Stati membri dell’Unione europea – compreso il mio paese – possano acquisire forza e raggiungere risultati positivi solo se l’Unione europea stessa sarà forte. Un’Europa forte può rispondere alle sfide della competitività globale e a quelle che ci attendono in materia di demografia, ambiente, clima e sicurezza. L’unico interrogativo riguarda la fonte da cui l’Europa può trarre tale forza. A quest’interrogativo potremo rispondere solo formulandone un altro: qual è il fattore che oggi indebolisce l’Europa? Cosa soffoca oggi la competitività della nostra civiltà nel suo complesso? Ovviamente nessun altro continente ci minaccia, né incombe su di noi lo spettro di un’ideologia straniera. All’opposto: il nostro vero problema è di natura essenzialmente pratica. Esiste una parola breve e semplice per indicarlo, e questa parola è debito. Oggi la forza dell’Europa è fiaccata ed erosa da un debito colossale. Nella nuova concorrenza che si apre nel mondo dopo la crisi, il debito rappresenterà l’ostacolo più arduo e la minaccia più grave per il mondo occidentale, Europa compresa.
Onorevoli deputati, la Presidenza ungherese è persuasa che vi sia un solo metodo per combattere il debito: questo metodo è il lavoro. Noi ungheresi lo sappiamo anche troppo bene, poiché i mali che affliggono l’economia del nostro paese sono provocati da un tasso di occupazione che è il più basso di tutta Europa e di tutta l’Unione europea. Mi vergogno di dichiararlo ad alta voce, ma è il 55 per cento appena; e dove non c’è occupazione, dove non ci sono posti di lavoro, non c’è neppure denaro e ne derivano il debito e la necessità di contrarre prestiti. Ebbene, onorevoli deputati, la nostra risorsa più autentica per il futuro risiede nella tradizionale mentalità europea, che apprezza e valorizza il lavoro; proprio la tendenza europea a valorizzare il lavoro ha reso possibili i successi della nostra civiltà. Abbiamo un codice di condotta europeo, una delle cui basi è, da secoli, il principio della prudenza economica, per cui non possiamo spendere più di quanto siamo capaci di produrre. Un altro fondamentale valore europeo è la consapevolezza che non dobbiamo scaricare i nostri debiti su figli e nipoti. Il rispetto per il lavoro, ne sono convinto, comprende l’idea e la mentalità che possiamo acquisire un bene solo se prima abbiamo lavorato per ottenerlo. Se si riesce ad acquisire in anticipo tutto quello che avrebbe dovuto costituire il frutto di anni di lavoro, ne viene messo in questione il significato stesso del nostro lavoro; tale significato si riduce gradualmente alla necessità di ripagare un debito che si accumula senza sosta, snaturando così il nostro atteggiamento complessivo nei confronti del lavoro. È questa la crisi che abbiamo di fronte.
Onorevoli deputati, tutti concordano sulla diagnosi del debito. Per noi, per la classe politica europea impegnata in questo dibattito, è paragonabile a una malattia: tutti concordano sulla diagnosi, ma ferve un ampio dibattito in merito alla terapia. La malattia però è grave e il tempo a nostra disposizione limitato. A mio parere, dunque, non resta molto tempo per discutere, e tanto meno per chiedersi se sia opportuno respingere automaticamente alcuni rimedi insoliti o nuovi, per l’unico motivo che sono appunto insoliti o nuovi. Per superare le crisi provocate dai debiti, ai governi e ai parlamenti dei singoli Stati nazionali occorrono coraggio e apertura mentale; peraltro, sono convinto che proprio questo i cittadini europei si attendono da noi. Si attendono occupazione, crescita e sicurezza e perciò, onorevoli deputati, al centro dell’attenzione della Presidenza ungherese – la cui esatta e sistematica trascrizione potete reperire in quest’opuscolo – al centro dell’attenzione della Presidenza ungherese vi saranno i problemi economici, e ai primi posti dell’elenco delle priorità della nostra Presidenza vi saranno precisamente le questioni connesse alla crisi economica e del debito.
Onorevoli deputati, la Presidenza ungherese ritiene che la direzione indicata dal Consiglio, cioè quella della gestione della crisi, sia la direzione giusta; occorreranno però sforzi ulteriori, e siamo di conseguenza persuasi della necessità di modificare il trattato e di elaborare una base giuridica per sostituire, dal 2013 in poi, l’attuale meccanismo provvisorio di gestione della crisi con un meccanismo di stabilità permanente. La Presidenza ungherese farà ogni sforzo per realizzare tale obiettivo; inoltre, al centro delle nostre riflessioni stanno il rafforzamento del coordinamento della politica economica nonché la promozione della crescita economica, in particolare di quella sostenibile per la creazione di posti di lavoro. La nostra Presidenza si propone dunque lo scopo specifico – e al riguardo chiedo la vostra cooperazione – di varare sei provvedimenti legislativi che agevolino la realizzazione di tale progetto, ossia il coordinamento della politica economica; chiedo a tale proposito la vostra convinta collaborazione. La Presidenza ungherese adotterà un atteggiamento aperto e amichevole nei confronti del Parlamento europeo, e perciò vi chiedo di fare ogni sforzo, in cooperazione con noi, per garantire che questi sei provvedimenti si possano adottare il prima possibile.
La Presidenza ungherese è convinta che le riforme strutturali degli Stati membri vadano attuate in maniera più coerente e più coordinata di quanto sia avvenuto finora. Il semestre europeo è appena iniziato, e si tratta di un’esperienza nuova per tutti; non solo per noi ungheresi ma anche per voi, in quanto costituisce un programma dell’Unione europea completamente nuovo. Il semestre ha avuto inizio con l’analisi annuale della Commissione sulla crescita macroeconomica, e mi congratulo con il Presidente Barroso per questo eccellente documento, che è uno strumento adeguato per la prima fase e indica piste di lavoro e temi che forniranno la base alle discussioni delle varie configurazioni del Consiglio nel corso della nostra Presidenza.
Onorevoli deputati, la credibilità nazionale è naturalmente anch’essa un requisito importante per chi vuol proporre all’Europa una politica economica comune. Desidero informarvi che il mio paese – da lungo tempo additato al pubblico ludibrio dall’Unione europea a causa della procedura per deficit eccessivo avviata nei suoi confronti – ha ora la concreta possibilità di uscire da tale situazione. Nel 2011 il deficit di bilancio dell’Ungheria si collocherà al di sotto del 3 per cento e saremo anzi uno dei due Stati membri dell’Unione il cui debito nazionale diminuirà nel 2011. Sarà questo un fattore cruciale per la credibilità del programma della nostra Presidenza.
Onorevoli deputati, la Presidenza ungherese annette importanza particolare al rafforzamento del mercato unico, processo che a nostro avviso costituirà una potenziale fonte di crescita economica. Intendiamo eliminare le barriere esistenti, attuare la deregolamentazione ed estendere il mercato unico a nuovi settori, come quello digitale. Siamo desiderosi di creare un ambiente economico favorevole alle piccole e medie imprese.
Fra i temi prioritari della Presidenza ungherese figurano l’innovazione e la politica energetica, che discuteremo il 4 febbraio, in occasione di un vertice comune. Vorrei farvi presente che l’Ungheria stima essenziale eliminare qualsiasi residua barriera normativa esistente nel settore della politica energetica, nonché mettere a punto i collegamenti infrastrutturali ancora mancanti per creare finalmente in Europa un mercato dell’energia concreto e interoperativo. Per la Presidenza ungherese, un obiettivo altrettanto importante è quello di garantire all’Europa linee di approvvigionamento diversificate in campo energetico. La politica energetica europea si trova a un punto di svolta: gli Stati membri hanno firmato gli accordi – io firmerò la settimana prossima l’accordo slovacco-ungherese con il Primo ministro di Slovacchia – che consentiranno alla prima rete di distribuzione del gas da nord a sud – ossia dal Mar Baltico all’Adriatico e al Mar Nero attraverso la Romania – di cominciare a funzionare, istituendo così un interconnettore completo. Dal momento che per quarant’anni abbiamo pensato in termini di est e ovest, un collegamento nord-sud è sempre mancato, e proprio per questo motivo, a mio avviso, i trattati che ci accingiamo a firmare costituiscono un punto di svolta.
Onorevoli deputati, la strategia riguardante i rom è un tema prioritario della Presidenza ungherese, poiché un’Europa intelligente non serve a nulla se non ha un cuore; ma l’Europa potrà avere un cuore solo se riuscirà a creare opportunità di inclusione sociale per i gruppi più svantaggiati. Non è questo il momento di discutere la strategia sui rom; mi limito a far notare – nella mia qualità di leader di un paese coinvolto in questo problema – che stiamo tutti giocando col fuoco. Se non sapremo elaborare una strategia sui rom a livello europeo, le comunità rom già stabilite – e in qualche misura integrate – ritorneranno a uno stile di vita nomade in ambito europeo, e il problema si propagherà dai paesi ora interessati ad altri. Ecco i motivi per cui è opportuno fornire una risposta strategica europea alla questione dei rom, che per il resto rientra nelle competenze nazionali; personalmente sarei assai orgoglioso se insieme riuscissimo ad adottare una strategia europea comune sui rom entro la fine della Presidenza ungherese in giugno.
Onorevoli deputati, devo accennare anche al problema dell’allargamento, pur rendendomi conto benissimo anch’io che tale argomento suscita in Europa comprensibili timori. Riusciamo a malapena a far fronte ai nostri problemi interni; in tali circostanze, presentare ripetutamente nuovi progetti di allargamento è estremamente azzardato. Nondimeno, la Presidenza ungherese accoglierebbe con favore il ritorno, in Europa, a un approccio ottimistico nei confronti dell’allargamento. Saremmo lieti se l’Unione europea comprendesse che ci troviamo di fronte a un’impresa incompiuta, in quanto non tutte le nazioni europee che potrebbero integrarsi nella Comunità europea fanno attualmente parte dell’Unione. Personalmente, inoltre, giudico ingiusto che un paese come la Croazia, il quale negli ultimi anni ha fatto registrare prestazioni migliori dell’Ungheria, che è uno Stato membro dell’Unione, sia ancora escluso e non venga ammesso nel circolo degli Stati membri. La Presidenza ungherese vedrebbe perciò con grande soddisfazione i negoziati per l’adesione della Croazia giungere alla firma del trattato, cioè alla conclusione.
So bene che l’estensione dell’area di Schengen è un nodo controverso. In questo caso i paesi interessati sono Romania e Bulgaria; ma io – che conosco bene la regione e vivo in un paese che con essa confina – so con certezza che questi paesi sono pronti. So anche che la Presidenza ungherese dovrà attendersi aspre discussioni, ma per quanto mi riguarda sosterrò sempre l’ingresso della Bulgaria e della Romania nello spazio di Schengen, che dovrà avvenire senza indugio, il più presto possibile.
Onorevoli deputati, nei programmi della Presidenza ungherese rientra anche la strategia per la regione del Danubio, insieme alla convinzione che l’Unione europea debba continuare a svolgere un ruolo d’avanguardia nella lotta globale contro il cambiamento climatico; per tale motivo, saremmo felici se i risultati del Vertice che si terrà a Cancún nel dicembre 2010 potessero giungere alla fase di attuazione, in modo da continuare i negoziati per adottare decisioni giuridicamente vincolanti entro la fine del 2011.
Onorevoli deputati, poiché la durata del mio intervento sta toccando i limiti della scortesia, mi limiterò a ricordare brevemente che i temi della Presidenza ungherese comprendono pure la politica per la famiglia e la situazione demografica; sarei lieto se l’Ungheria – senza provocare dibattiti interistituzionali – potesse contribuire a elaborare una posizione netta e decisa dell’Unione europea sulla libertà di religione, nonché a un’azione contro la persecuzione dei cristiani, questione che assumerà grande importanza nei prossimi sei mesi.
Onorevoli deputati, non ignoro affatto – vorrei sottolineare questo punto – che tutti noi, presenti in quest’Aula, siamo esponenti politici. Abbiamo tutti le nostre convinzioni, i nostri principi, i nostri compagni di fede politica, anche i nostri interessi. Pur riconoscendo tutto questo, vorrei rispettosamente suggerirvi – quali che siano le vostre opinioni sulla politica interna ungherese – di non giudicare il prossimo semestre di Presidenza ungherese dell’Unione europea alla luce delle critiche e delle iniziative che potreste avanzare in merito alla politica interna ungherese. Se doveste sovrapporre le due questioni, io naturalmente sarò pronto a lottare; in tal caso, però, non sarà l’Ungheria a perdere, bensì – soprattutto – l’intera compagine dell’Unione europea. Vi chiedo perciò, per il bene dell’Unione e dei difficili compiti che ci attendono, di operare tale distinzione ogniqualvolta ciò sia possibile. L’ultimo dibattito è stato riportato sui binari della ragione e della razionalità dall’Ungheria, allorché io ho concordato con il Presidente Barroso che avremmo consentito senza difficoltà all’Unione europea di indagare sulla tanto criticata legge sui media, che avremmo partecipato alle discussioni in corso sulle osservazioni avanzate, e che se fossero state individuate e accertate carenze, saremmo stati ovviamente pronti a modificare la legge. Per noi non si tratta di una questione di prestigio, né di vanità o di una dimostrazione di forza. Per inciso, chiunque desideri battersi per la libertà di stampa in Europa può contare sul governo ungherese, che ha una grande esperienza di lotta contro il comunismo.
Onorevoli deputati, sappiamo che l’Europa deve affrontare sei mesi estremamente difficili; nutro però ottimismo, e ritengo che l’Europa sarà all’altezza del compito. Dopo la Seconda guerra mondiale, l’Europa è riuscita a costruire la cooperazione tra i popoli del continente, pure in un panorama di odio e rovine. Nel 1989 e nel 1990 è riuscita a riunificarsi, e quindi ho motivo di credere che sarà capace di raccogliere l’analoga sfida storica che incombe ora su di noi. Ciò significa che – durante e dopo la Presidenza ungherese – avremo bisogno di qualcosa di più di una ambiziosa amministrazione. Dobbiamo guardare al di là dei dossier che si accumulano sul nostro tavolo, pensando a un orizzonte più vasto di quello dei problemi che si possono risolvere nel giro di sei mesi o di un paio d’anni. La Presidenza ungherese è persuasa che una comunità possa rinsaldarsi solo nel quadro di obiettivi e valori condivisi; e obiettivi condivisi possono fondarsi solo su valori condivisi. La Presidenza ungherese svolgerà il proprio lavoro quotidiano nello spirito di questo grande obiettivo europeo di vasto respiro, avrà il dovuto rispetto per ciascuno di noi e darà prova di massima umiltà nei confronti della causa. Vi ringrazio per avermi onorato della vostra attenzione.
Presidente . – Signor Primo ministro, la ringrazio per il suo intervento e per averci presentato il programma di attività della Presidenza ungherese del Consiglio.
José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, l’inizio del 2011 è un momento storico per l’Ungheria, che per la prima volta prende il timone del Consiglio dell’Unione europea, ma è pure un momento critico per l’intera Unione. La Presidenza ungherese giunge in un periodo che esige particolare senso di responsabilità per i compiti che attendono l’Europa.
Assai opportunamente, la Presidenza ungherese ha scelto per motto “Un’Europa forte”. L’Europa raggiunge il massimo della forza e dell’efficacia quando noi rimaniamo uniti e riusciamo ad agire in maniera coordinata con l’aiuto di istituzioni robuste, quando diamo prova della volontà comune di tenere la rotta in un mare tempestoso e dimostriamo che il nostro lavoro comune può risolvere anche i problemi più gravi e urgenti.
È importante ricordare quest’aspetto, poiché per noi la nottata non è ancora finita. Non possiamo far marcia indietro, né tornare a un’attività normale. Dobbiamo attuare senza indugio le riforme ed elaborare le politiche innovative indispensabili per trasformare in realtà la visione di Europa 2020. Sono quindi ansioso di lavorare insieme al Primo ministro Orbán e alla Presidenza ungherese per giungere al successo. Consentitemi di dichiarare, qui e ora, al Primo ministro Orbán che egli può contare, a tal proposito, sul pieno sostegno della Commissione.
Allo stesso modo, la Commissione confida vivamente di poter contare sul sostegno della Presidenza ungherese. Un partenariato proficuo sarà importante soprattutto nei settori dei servizi finanziari, della governance economica, dell’attuazione della strategia Europa 2020, dell’energia e del mercato interno. Sono lieto quindi che le priorità della Presidenza riflettano pienamente questo quadro.
Anche un robusto partenariato con il Parlamento europeo è essenziale, così come, in alcuni casi, una procedura accelerata di approvazione delle proposte. Per esempio, ci occorrono al più presto nuovi strumenti per rafforzare la governance economica. Il Consiglio europeo ha indicato in merito una chiara scadenza per il giugno 2011. Il ritmo di lavoro già fissato dalla Presidenza ungherese e le osservazioni che abbiamo udito ora dal Primo Ministro sono, a tal proposito, incoraggianti.
Mentre questa Presidenza prende il via, un programma complessivo dell’Unione europea e adeguati strumenti di governance sono già a punto. Il semestre europeo, la strategia Europa 2020 con le sue iniziative faro e l’Atto per il mercato unico: tutte queste cruciali iniziative sono state discusse e approvate dalle istituzioni dell’Unione. Naturalmente, però, è necessario intensificare gli sforzi e agire con decisione per attuare un programma vasto ed esauriente.
Il semestre europeo è il nocciolo della strategia economica riformata dell’Unione; attuarlo in maniera adeguata sarà uno dei compiti più importanti dei prossimi mesi. La Commissione ha avviato il semestre la settimana scorsa, con l’adozione dell’analisi annuale della crescita. Dopo le discussioni che si terranno in diverse configurazioni del Consiglio, il processo sfocerà nel Consiglio europeo di marzo, che fornirà agli Stati membri una guida politica di base, la quale dovrà riflettersi nei programmi di stabilità e convergenza nonché nei programmi nazionali di riforma, previsti gli uni e gli altri per aprile.
Trattandosi di temi che abbiamo discusso nel dibattito precedente, non entrerò nei dettagli; naturalmente le priorità sono la stabilità macroeconomica, il consolidamento fiscale, la riforma strutturale e naturalmente l’accelerazione della crescita economica, mentre l’occupazione rimane, com’è ovvio, il tema che più ci sta a cuore.
Un accordo definitivo in merito al meccanismo europeo di gestione e soluzione delle crisi sarà un altro cruciale provvedimento da varare durante la Presidenza ungherese. Tale Presidenza svolgerà inoltre un importante ruolo di guida per la nostra opera di rilancio del mercato unico. Sulla scia della consultazione pubblica varata dalla Commissione sull’Atto per il mercato unico, chiederemo alle istituzioni dell’Unione di concordare un piano d’azione definitivo da realizzarsi entro il 2012.
L’energia, a sua volta, costituirà un settore essenziale nei prossimi mesi, e anzi già in occasione della riunione del Consiglio europeo del 4 febbraio. La Commissione ha già approntato una serie di importanti iniziative energetiche, destinate ad alimentare il Consiglio europeo di febbraio. Tra queste ricordo l’agenda energetica 2020, la nostra comunicazione sulle priorità energetiche infrastrutturali. Tra breve adotteremo l’iniziativa faro “Un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse”, in cui l’energia avrà una parte preminente.
La Commissione intende sviluppare il proprio lavoro attorno ai cinque assi seguenti: una forte politica energetica come leva di una crescita competitiva e sostenibile e della sicurezza energetica; il mercato interno dell’energia come risorsa; la costruzione della nuova infrastruttura energetica dell’Unione europea; un decisivo passo in avanti nel campo dell’efficienza energetica; e infine l’elaborazione di un nuovo approccio efficace e unitario alla politica energetica esterna.
Il sostegno della Presidenza e del Parlamento europeo sarà anch’esso cruciale per consentire di giungere a un accordo su un brevetto dell’Unione europea. Su richiesta di numerosi Stati membri, il 14 dicembre la Commissione ha adottato una proposta per rafforzare la cooperazione in questo campo. La Commissione apprezza l’impegno dell’Ungheria a proseguire, durante la sua Presidenza, il lavoro sul brevetto dell’Unione europea.
I negoziati con la Croazia sono giunti ora alla fase finale. L’obiettivo di concludere i negoziati durante la Presidenza ungherese è ambizioso, soprattutto se si considerano i requisiti che la Croazia deve ancora soddisfare; da parte della Croazia sarà dunque necessario uno sforzo ampio e possente.
Son lieto che la Presidenza ungherese ponga l’integrazione sociale ed economica dei rom fra le proprie priorità. La Commissione ha formato una task force per i rom, con il compito di analizzare le modalità di utilizzo e l’efficacia dei fondi nazionali e comunitari stanziati in tutti gli Stati membri per l’inclusione dei rom. Sulla base di questo lavoro, in aprile la Commissione presenterà il quadro dell’Unione europea per le strategie nazionali di integrazione dei rom.
La nuova Presidenza punterà anche i riflettori sulla nostra strategia per la regione del Danubio; si tratta di una regione dal potenziale ricchissimo, che però non è stato ancora adeguatamente sfruttato per la scarsa efficienza della cooperazione. L’obiettivo è quello di sviluppare un approccio maggiormente coordinato e recare in questa regione un valore aggiunto europeo. La Commissione apprezza l’impegno della Presidenza nei confronti di questa strategia, alla cui preparazione l’Ungheria ha già offerto un contributo significativo, tra l’altro con la stesura di documenti politici e l’organizzazione di una conferenza a Budapest cui ho avuto il piacere di partecipare. L’Ungheria, inoltre, avrà il compito di condurre la strategia per la regione del Danubio attraverso il Consiglio, varandone l’attuazione.
Infine, il dibattito sulla politica di coesione si intensificherà nei mesi prossimi. La Commissione accoglie con soddisfazione l’intenzione della Presidenza di discutere le proposte contenute nella quinta relazione sulla coesione. Nella prossima estate presenteremo alcune proposte legislative concernenti la futura politica di coesione, sulla scia delle proposte per il prossimo quadro finanziario. Il quinto forum sulla coesione, che si svolgerà a Bruxelles alla fine di gennaio, darà spazio a una vasta discussione tra le parti interessate, ed è un segnale incoraggiante che lo stesso Primo ministro Orbán intenda parteciparvi. L’efficacia e il valore aggiunto europeo devono costituire i principi guida della riforma; la Commissione è convinta che la politica di coesione debba innervare in maniera più decisa e robusta le priorità politiche e il calendario delle riforme di Europa 2020. Per tale opera conto sul sostegno della Presidenza; è interesse e responsabilità comune rendere più efficaci i finanziamenti, in quanto solo in tal modo potremo conservare alla politica di coesione un bilancio ambizioso.
Poiché non ignoro che la questione suscita preoccupazioni politiche, consentitemi di aggiungere un’ultima osservazione in merito alla legge ungherese sui media. Nell’Unione europea il principio della libertà di stampa è sacro: lo ho affermato a Bruxelles e anche a Budapest, quando, in quella città, ho avuto l’onore di essere ricevuto dal Primo ministro Orbán. La Commissione ha esaminato la legge e questa settimana scriverà alle autorità ungheresi per chiedere chiarimenti su alcuni aspetti che potrebbero provocare problemi giuridici e hanno suscitato determinati timori. Sulla base delle risposte fornite dalle autorità ungheresi procederemo a un’ulteriore valutazione. Il Primo ministro ha già dichiarato esplicitamente che verranno effettuati degli adattamenti qualora, dopo la valutazione giuridica, la Commissione giudichi necessario introdurre modifiche.
Il Primo ministro Orbán ha appena dichiarato di essere un uomo politico. Sono certo che il suo impegno politico è forte e sincero, e converrete, penso, che – tralasciando le questioni giuridiche, che verranno esaminate con imparziale obiettività, poiché tratteremo l’Ungheria esattamente come qualsiasi altro Stato membro –dobbiamo preoccuparci anche degli aspetti politici. L’Ungheria, come ogni Stato membro che assuma a rotazione la Presidenza, ha bisogno del pieno sostegno degli altri Stati membri e delle istituzioni europee, per condurre la Presidenza a esito positivo; mi auguro che il Primo ministro Orbán tenga presente questo aspetto.
Non ho dubbi che questa Presidenza – giungendo in un momento tanto critico per l’Unione europea – debba assolutamente giungere al successo. Lasciamo quindi che le procedure del caso seguano il loro corso, e contemporaneamente sosteniamo senza riserve l’Ungheria nel momento in cui si assume questa gravosa responsabilità. Durante la mia recente visita in Ungheria, ho ricevuto messaggi di giovani che si dicevano orgogliosi del fatto che il loro paese avesse, per la prima volta, la responsabilità di guidare il Consiglio dell’Unione europea. Cerchiamo di avvicinare l’Ungheria all’Europa e l’Europa all’Ungheria.
Il lavoro da compiere è vastissimo; nel portare avanti le proprie priorità, la Presidenza ungherese può contare sul più pieno ausilio della Commissione europea. Solo realizzando insieme questi obiettivi potremo costruire un’Europa forte, un’Europa che produca crescita e occupazione, che conservi e riaffermi i nostri valori – in particolare i sacri valori della libertà e della giustizia – e che consenta alle nostre società di prosperare in un mondo mutevole.
(Applausi)
Joseph Daul, a nome del gruppo PPE. – (FR) Signor Presidente, Primo ministro Orbán, Presidente Barroso, onorevoli colleghi, raramente la Presidenza del Consiglio dei ministri ha dovuto affrontare un così folto numero di sfide: la sfida dell’euro, che dobbiamo stabilizzare; la sfida dell’occupazione, che comporta una crescita più robusta e quindi un’economia più efficiente; la sfida dell’indipendenza energetica e della sicurezza alimentare, con l’allarmante lievitare dei prezzi delle materie prime. Non dubito che la Presidenza ungherese sarà capace di raccogliere tali sfide, insieme alla Commissione, al Consiglio e al Parlamento.
Primo ministro Orbán, lei si è guadagnato la fiducia dell’elettorato ungherese. Il suo partito, Fiatal Demokraták Szövetsége (FIDESZ), si basa su un’idea, su un ideale, su un valore: quello della libertà e della democrazia. Dal momento della sua elezione lei, insieme al parlamento ungherese, ha intrapreso un’ampia serie di riforme che il suo popolo ha richiesto, conferendole democraticamente una vasta maggioranza.
Oggi, una di tali riforme – quella riguardante i media – è sottoposta all’esame giuridico della Commissione europea, custode dei trattati. Lei stesso ha dichiarato la settimana scorsa – e di questo la ringrazio – nel corso dei suoi colloqui con il Presidente Barroso e in seguito, che, qualora tale legge risultasse incompatibile con il diritto europeo, lei la presenterebbe al parlamento ungherese per apportarvi le necessarie modifiche. Nutro completa fiducia nella sua parola; inoltre – come lei – nutro fiducia nella Commissione europea, che svolge la funzione di custode dei trattati, e nutro altresì fiducia che lei rispetterà la lettera e lo spirito delle norme europee.
Primo ministro Orbán, ci conosciamo da molto tempo e la considero un grande europeo. Da parte mia, non ho motivo di dubitare che lei rispetterà la parola data per quanto riguarda la legge sui media e le altre priorità della sua Presidenza.
Passo ora appunto a tali priorità, iniziando dalla prima: la stabilità dell’Europa. Forse è positivo che le due Presidenze del Consiglio che si avvicenderanno nel 2011 tocchino a paesi non appartenenti all’area dell’euro ma desiderosi di entrarvi nell’immediato futuro.
In effetti sia l’Ungheria che la Polonia hanno i titoli per aderire; hanno quindi interesse a garantire la stabilità di tale moneta. Lo ripeto: l’unico metodo efficace per porre fine agli attacchi speculativi contro l’euro e irrobustire i fondamentali dell’economia europea è quello di rimettere ordine nelle nostre finanze pubbliche. Ciò comporta un coordinamento più stretto delle politiche fiscali e sociali dei nostri paesi, aspetto del resto giustamente previsto nel nuovo periodo di bilancio per il semestre europeo; e comporta pure maggiore flessibilità del mercato del lavoro e maggiore produttività.
Come la Presidenza ungherese del Consiglio, anche il gruppo del Partito popolare europeo (democratico cristiano) è fermamente convinto che il futuro di 500 milioni di europei esiga un’Europa più forte, più unita e più coerente; esige più Europa, e non certo meno Europa.
Primo ministro Orbán, ci occorre una governance economica europea; ci occorre un metodo maggiormente comunitario, e sono certo che lei intende operare per raggiungere tale obiettivo.
Signor Presidente in carica del Consiglio, lei ha indicato nell’elaborazione di una politica energetica comune una delle vostre più importanti priorità; mi sembra giustissimo. Il nostro Presidente, l’onorevole Buzek, ha fatto anch’egli, correttamente, di questo tema uno dei punti di forza della sua Presidenza. Concordo con lei in materia, ma la invito pure a considerare le conseguenze assai inquietanti che possono derivare dall’aumento dei prezzi di tutti i tipi di materie prime, che si è fatto sentire in maniera particolarmente aspra negli ultimi mesi. Abbiamo già constatato quali ripercussioni sociali tale aumento dei prezzi dei generi alimentari di base abbia avuto in parecchi paesi mediterranei, e soprattutto in quelli più poveri. Mi auguro che l’Europa affronti questo problema con grande fermezza e usi le maniere forti con gli speculatori.
Mi auguro pure che la Presidenza ungherese – pensavo che il gruppo dei Verdi intendesse fare silenzio, ma li sento chiacchierare; non è corretto, bisognerebbe stare zitti dall’inizio alla fine – appoggi la Commissione nell’opera di assistenza alla Tunisia, paese che sta attraversando un momento cruciale e va sostenuto nel cammino verso il cambiamento.
Presidente Orbán, lei sa bene che per riuscire nel suo mandato e aiutare l’Europa a superare l’attuale periodo di difficoltà, ha bisogno della fiducia del Parlamento. In dicembre, quando ci trovavamo in una situazione difficile in seno al Consiglio, lei ha avuto il coraggio di firmare le famose lettere dirette a noi che hanno veramente spinto il Parlamento ad approvare il suo bilancio. Grazie quindi per le sue iniziative di dicembre!
Già prima di gennaio lei ha coinvolto i gruppi politici nella definizione delle priorità della Presidenza, e ha scelto Enikö Győri, nostra valorosa ex collega, quale ministro degli Affari europei. Sono tutti segnali positivi che, ne sono certo, si accompagneranno a un impeccabile equilibrio tra le riforme che lei sta avviando e i valori europei che ciascuno di noi difende in quest’Aula.
Martin Schulz, a nome del gruppo S&D. – (DE) Signor Presidente, attualmente, mi sembra, ci troviamo in una situazione grave; i tempi sono difficili.
In primo luogo, Presidente Orbán, molti europei la conoscono di fama quale oppositore del regime comunista e sostenitore della libertà nel suo paese: per questo le portiamo rispetto.
Sono lieto di aver avuto ieri pomeriggio, insieme a lei, l’opportunità di parlare di un altro uomo di cui gli ungheresi possono essere fieri: alludo all’ex Primo ministro e ministro degli Esteri del suo paese che ha aperto il confine tra Ungheria e Austria, insieme ad Alois Mock, spianando la strada all’unità della Germania. Quest’uomo è il leader del mio partito, Gyula Horn. Rendiamo omaggio a un altro grande ungherese.
(Applausi)
Primo ministro Orbán, nella sua veste di Presidente in carica del Consiglio lei ha fatto un’ammissione, rispondendo alla domanda del Presidente Barroso. Ha dichiarato che, se la legge ungherese sui media non risulterà compatibile con le norme europee, la farà modificare: ottimo proposito. Con questa dichiarazione, però, lei ha riconosciuto che non siamo di fronte a un semplice dibattuto di politica interna ungherese, bensì a un dibattito europeo. È chiaro che questa legge riguarda norme e valori fondamentali dell’Unione europea, che è una comunità basata sullo Stato di diritto.
Vorrei soffermarmi su due aspetti della legge sui media. Essa istituisce un’autorità di controllo dei media, incaricata di verificare l’imparzialità delle informazioni diffuse dai media; inoltre, la legge prevede che i media abbiano l’obbligo di adottare un approccio imparziale. Lei dispone in parlamento di una maggioranza di due terzi, del tutto legittima, ricorrendo alla quale ha istituito un’autorità di controllo formata esclusivamente da membri del suo partito, del governo o dei circoli a esso più strettamente legati. Ciò significa che un’autorità di controllo, formata da membri di una sola parte dello spettro politico, sarà responsabile di controllare l’imparzialità dell’informazione: uno stato di cose siffatto non è accettabile in una comunità europea basata sullo Stato di diritto.
(Applausi)
In una democrazia, Presidente Orbán, i media controllano il potere; l’effetto di questa legge è che il potere controllerà i media. Anche questo è inaccettabile in una democrazia e proprio per tale motivo questa legge desta preoccupazioni tanto acute nei cittadini europei.
(Applausi)
Lei ha giustamente osservato che abbiamo numerosissimi problemi da risolvere. Siamo attanagliati da una grave crisi finanziaria e afflitti da difficoltà di bilancio; per l’Unione europea, un altro problema urgente è rappresentato dal rincaro dei generi alimentari, in particolare nelle regioni a noi limitrofe, ma in un futuro prevedibile anche nella stessa Unione europea. È un problema da risolvere in fretta. Inoltre dobbiamo concentrare i nostri sforzi sulla questione dell’occupazione negli Stati membri. Nel suo programma compaiono alcuni spunti su cui possiamo collaborare. Da questo punto di vista, lei è un autentico rappresentante del PPE.
Quando il Presidente francese Sarkozy è stato Presidente in carica del Consiglio, è venuto qui in Parlamento a pronunciare un discorso di sinistra; poi è tornato a casa e ha varato politiche di destra. Gli ho fatto notare che parlava come Karl Marx in esilio. Tutto quello che lei ha detto sembra assai attraente; se poi agirà conformemente alle sue parole, potremo dirci soddisfatti.
(Interruzioni)
A mio avviso, quindi, dobbiamo valutare – e senza dubbio valuteremo – i risultati della sua Presidenza sulla base del programma che lei ci presentato in questa sede. Presidente Orbán, lei ci ha ricordato che in patria dispone di una larga maggioranza. È una cosa positiva: abbiamo avuto a che fare con un certo numero di governi – alcuni espressione del suo stesso partito – che non sono riusciti a fare altro che starsene qui e telefonare a casa per chiedere se erano ancora in carica. Non possiamo permetterci di ripetere tale esperienza. Da questo punto di vista, la maggioranza dei due terzi di cui lei gode è un elemento preziosissimo, poiché le concede tempo a volontà; la obbliga anche, però, a utilizzare la sua posizione di forza per rafforzare l’Ungheria e la stessa Unione europea.
Vorrei porle una domanda. Qual è il significato del tappeto da lei donato, che è stato sistemato nell’edificio del Consiglio a Bruxelles e che raffigura l’Ungheria nei confini del 1848? Quale messaggio intende inviare, nel codice dei gesti politici europei? Dal momento che lei sembra amare i simboli risalenti al diciannovesimo secolo, le ricorderò il monito rivolto in quell’epoca dal filosofo Friedrich Nietzsche al popolo tedesco: “Una grande vittoria è un grande pericolo. Per la natura umana è più difficile sopportare la vittoria che la sconfitta. Anzi, sembra quasi più facile ottenere una vittoria che sopportarla in maniera tale che essa non si trasformi in una grave sconfitta”.
A mio avviso lei dovrebbe riflettere sul fatto che un’ampia maggioranza offre un forte sostegno, ma impone anche un grave obbligo. Naturalmente mi rivolgo a lei nella sua qualità di Presidente in carica del Consiglio dell’Unione europea e non in quanto Primo ministro. Il Presidente in carica del Consiglio deve fare ogni sforzo per fugare qualsiasi dubbio sulla volontà, da parte della Presidenza, di difendere i fondamentali valori democratici europei; sarebbe più opportuno da parte sua non attendere i risultati dell’indagine della Commissione. Presidente Barroso, vorrei sottolineare che dopo un divieto di transito agli autocarri imposto da una provincia austriaca la Commissione, colta da una violenta crisi di identità, ha immediatamente adottato misure contro l’Austria. Quando però viene messo a repentaglio uno dei principi fondamentali della democrazia europea, restate inerti e immobili.
(Applausi)
Dovete fare in modo che il Parlamento riceva al più presto i risultati dell’indagine, poiché in caso contrario questo dibattito imporrà un grave fardello alla Presidenza ungherese. Tutti desideriamo che la Presidenza sia coronata da successo e non vogliamo che il suo cammino venga bloccato. Lei, Presidente Orbán, può contribuire a salvare la situazione. Ritiri la legge e la sostituisca con una nuova e migliore; l’Ungheria merita una legge sui media equilibrata.
(Applausi)
Guy Verhofstadt, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, mi permetta in primo luogo di dichiarare esplicitamente al Primo ministro Orbán che il mio gruppo sostiene le priorità della Presidenza ungherese. Signor Primo ministro, al pari di lei, anche noi crediamo in un euro forte, e quindi sosteniamo senza riserve le priorità che lei ha posto a questa Presidenza. A mio avviso, nei sei mesi di questa Presidenza lei avrà una priorità fondamentale, ossia quella di istituire, al più presto possibile, un’autentica governance economica nell’ambito dell’Unione europea e dell’area dell’euro. Dobbiamo essere sinceri: il 2010 non è stato un anno esaltante né per l’euro, né per l’Unione europea. Ora è necessario varare, sotto la guida sua e del Presidente della Commissione, un pacchetto globale per la governance economica, ossia un’autentica unione economica e fiscale, poiché non ha senso dotarsi di un’unione monetaria e contemporaneamente rinunciare a un’unione economica e fiscale.
Non le chiedo di inventare idee nuove, bensì semplicemente di prendere il pacchetto presentato la settimana scorsa dal Presidente della Commissione e dal Commissario Rehn e di illustrarlo, con i suoi quattro pilastri, al Consiglio e ai suoi colleghi. Primo ministro Orbán, Presidente Barroso, a questo pacchetto manca un unico elemento, un unico pilastro: in nessun angolo del mondo esiste una moneta che non sia sostenuta da un mercato obbligazionario. In Europa, invece, abbiamo 27 mercato obbligazionari, 27 speculazioni e 27 spread; nell’area dell’euro ci sono comunque 17 mercati obbligazionari, 17 spread e 17 speculazioni. Attualmente i mercati non speculano contro l’euro, bensì sulle differenze che esistono nell’ambito dell’euro. L’unico metodo per risolvere questo problema è quello di istituire in Europa un vero mercato obbligazionario, del valore di 4 000 o 5 000 miliardi di euro, paragonabile a quelli esistenti in altre parti del mondo, con particolare riguardo ai paesi che godono della tripla A.
(Applausi)
Infine, Primo ministro Orbán, voglio ricordare l’elefante nella cristalleria; l’elefante che si aggira in questa bellissima cristalleria è naturalmente la legge ungherese sui media. Non mi soffermerò sulla legge in sé; citerò piuttosto l’esempio di uno dei miei autori preferiti, il grande scrittore ungherese Sándor Márai. Se avesse dovuto fare i conti con la politica linguistica del precedente governo slovacco e con la legge sui media vigente oggi in Ungheria, Márai, temo, non sarebbe mai esistito. Perché? Ebbene, Márai viveva a Kassa, città nota oggi con il nome di Košice; scriveva in ungherese, cosa che in Slovacchia, fino a poco tempo fa, gli avrebbe procurato non pochi problemi. Altro particolare importante, era un giornalista, professione che diventerà problematica nel prossimo futuro; infatti con la nuova legge, che impone ai media di fornire informazioni decorose ed equilibrate sulla vita pubblica, non sarebbero mai esistiti, sospetto, né Márai né i suoi libri. La sua opera più alta, Confessioni di un borghese, è assolutamente indecorosa e per molti aspetti niente affatto equilibrata, ma è un capolavoro della letteratura.
A mio avviso, lo scopo della governance dei media non dev’essere quello di garantire un’informazione decorosa ed equilibrata; dev’essere invece quello di promuovere il pluralismo e garantire lo sviluppo di qualsiasi iniziativa nel settore dei media.
(Applausi)
Spero che lei userà la sua maggioranza, quella maggioranza di due terzi che è il sogno di tutti i politici…
Spero che lei userà la sua maggioranza dei due terzi per garantire tale pluralismo e cambiare la legge al più presto possibile.
Daniel Cohn-Bendit, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, mi permetta anzitutto di fare una premessa per dissipare qualsiasi ambiguità.
Il gruppo dei Verdi e io personalmente amiamo l’Ungheria. Ricordo di aver pianto nel 1954, quando l’Ungheria venne sconfitta nella finale della Coppa del mondo di calcio; ho partecipato alla mia prima dimostrazione nel 1956, tenendo per mano mio fratello, per protestare contro l’invasione sovietica di Budapest. Come ha ricordato l’onorevole Verhofstadt, numerosi intellettuali e scrittori ungheresi accompagnano da anni il nostro cammino politico e intellettuale.
Mi sono schierato a fianco del Primo ministro Orbán, quando ha lottato contro i comunisti tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta; mi sono schierato al suo fianco quando ha chiesto ai liberali europei di espellere Jörg Haider dal Partito liberale europeo. C’era una volta un Viktor Orbán che era, a mio avviso, un uomo politico degno di rispetto. Oggi, Primo ministro Orbán, lei si avvia a diventare un Chavez europeo, rappresentante di un populismo nazionalista che non comprende esattamente l’essenza e la struttura della democrazia.
Le ricordo un fatto semplicissimo, Primo ministro Orbán: un’informazione equilibrata non esiste. Crede forse che il Presidente Nixon giudicasse equilibrata l’informazione sul Watergate? Naturalmente no! O che al Presidente Bush sembrassero equilibrate le informazioni su Abu Ghraib? Naturalmente no! Si ricorda di una grande questione politica – l’affare Dreyfus in Francia – in cui il governo ha giudicato equilibrata l’informazione? Quanto poi alle indagini sulla vita e l’attività politica del Presidente del Consiglio italiano Berlusconi, pensa forse che costui stimi equilibrate le informazioni che lo riguardano? Naturalmente no! L’informazione deve disturbare la politica; disturba anche noi, e qualche volta può far male.
Ecco perché, Primo ministro Orbán, la vostra legge odierna non riflette i valori dell’Unione europea. Lei dice di volere un’Europa forte, ma un’Europa forte deve essere credibile. Se accettiamo una legge siffatta in Europa, come potremo andare a discutere con il Presidente Lukashenko? Come potremo discutere con la Cina? Tutti costoro vogliono un’informazione equilibrata.
Primo ministro Orbán, non sa che l’Europa si è formata combattendo i totalitarismi? E che la base della democrazia, la base della libertà, è appunto la libertà di espressione? Nessuna democrazia è mai morta per le troppe libertà; le democrazie sono morte quando si è cominciato a limitare le libertà, Primo ministro Orbán. Vent’anni fa lei lo sapeva benissimo; torni alla sua antica mentalità, che per di più è logica e corretta. Vede quindi che le mie osservazioni sono giuste.
Concludo toccando un ultimo punto, signor Primo ministro: se lei vuole battersi per i cristiani nel mondo, siamo al suo fianco, ma avrei pensato – e anzi ho pensato – che lei avrebbe salutato con entusiasmo la rivoluzione dei gelsomini che ha risvegliato la Tunisia. È la stessa rivoluzione di cui è stato protagonista lei, Primo Ministro Orbán: la liberazione da una dittatura. Lei però non ha speso una sola parola per i tunisini, e per questo la rimprovero.
Noi siamo al suo fianco per la causa dei cristiani nel mondo. Confido che lei sarà al nostro fianco quando si tratterà di combattere le dittature che esistono nel mondo, in Bielorussia o in Tunisia, in Algeria o in Egitto, in Cina o in Russia – dovunque si trovino. Sono questi i valori comuni dell’Europa, che noi dobbiamo difendere insieme.
(Applausi)
Lajos Bokros, a nome del gruppo ECR. – (HU) “Non so quale significato questa terra abbia per gli altri. / Per me è il luogo natale, piccola nazione stretta / tra le fiamme, il mondo dell’infanzia che sfuma lontano. / da lei sono cresciuto come il ramo tenero di un albero / e in lei spero di nuovo di sprofondare un giorno. / Qui sono a casa”. – così ha scritto Miklós Radnóti. L’Ungheria è a casa in Europa, ed è senza dubbio degna di detenere la Presidenza. Ma è di casa in Europa anche il governo ungherese? È degno della funzione che svolge? Non alludo unicamente alla legge sui media; nella cristalleria si agitano altri nove elefanti. Si lamentano costanti e grossolane violazioni del delicato sistema di controlli ed equilibri che caratterizza la democrazia.
Funzionari della pubblica amministrazione licenziati senza addurre motivi. Una crisi fiscale eccessiva e discriminante, che provoca distorsioni strutturali. Sostegno ai ricchi a danno dei poveri. Scioglimento del Consiglio di bilancio, proprio come in Venezuela. Limitazione e tra poco cancellazione dell’autonomia della banca centrale. Imposta speciale del 98 per cento sulle indennità di licenziamento, con effetto retroattivo. Nove emendamenti alla Costituzione nel giro di sette mesi. Limitazione dei poteri della Corte costituzionale. Nazionalizzazione del sistema pensionistico privato tramite un’opera di aperta estorsione, proprio come in Bolivia. Frode fiscale elevata a livello di politica di governo: distillazione della palinka. Un populismo che imperversa con la furia di chi voglia farsi strada a colpi d’ascia in un orto botanico. Distruzione del tessuto connettivo della società, della solidarietà. Ágnes Heller, János Kornai, Jenő Ranschburg – studiosi ungheresi di fama mondiale – hanno denunciato questa tendenza nei loro scritti. L’onorevole Verhofstadt ha affermato ieri che la Presidenza belga è stata coronata dal successo perché quel governo è riuscito a evitare che i problemi interni lo distraessero dalle questioni europee. Ora si profila un rischio esattamente opposto: il caos e il disastro diplomatico interno distrarranno il governo e l’opinione pubblica europea dall’Europa. Sarebbe una vera onta che io, come ungherese, mi rifiuto di accettare; non è ancora troppo tardi per cambiare direzione.
Lothar Bisky, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, Primo ministro Orbán, vorrei formulare alcune sintetiche osservazioni in merito alla legge sui media. Molti oratori se ne sono già occupati, e non ripeterò le loro argomentazioni. Mi limiterò a mettere in rilievo un punto: non si tratta di un’interferenza negli affari ungheresi. Sono persuaso – ed è una convinzione cui sono giunto solo in età matura – che i media abbiano la responsabilità di controllare il potere e l’economia. Tale situazione deve permanere immutata; di conseguenza, i media non devono essere controllati da altri organismi di livello superiore, cosa che invece un’autorità di questo tipo renderebbe possibile.
Per tale motivo, a nostro parere la composizione dell’autorità preposta ai media è tutt’altro che ideale. Lei ha esplicitamente dichiarato di essere pronto a modificarla e mi auguro che si muova effettivamente in tale direzione. A parte questo – voglio affermarlo con chiarezza – si tratta di una questione ungherese. Naturalmente, vi sono altri Stati membri la cui legislazione in materia di media si potrebbe menzionare in questo contesto; non è un problema che riguardi solo l’Ungheria.
Quanto ai suoi progetti per la Presidenza del Consiglio, in primo luogo vorrei dichiarare in maniera netta e inequivocabile la mia soddisfazione per il fatto che lei abbia posto la promozione della diversità culturale tra i suoi obiettivi principali; mi sembra un punto assai importante. Attendo con interesse le iniziative che lei prenderà per migliorare l’integrazione, compresa l’integrazione delle minoranze; lei stesso ha fatto riferimento ai rom, e una strategia europea per una più efficace integrazione dei rom è essenziale.
In secondo luogo, sono lieto di constatare che lei si è impegnato a portare avanti i negoziati per l’allargamento e la politica riguardante i nostri vicini dell’est. Immettere nell’Unione europea una dose più abbondante di cultura dell’Europa orientale, accompagnata dalle esperienze storiche e sociali di quella regione, non può essere che un fatto positivo. Per molteplici ragioni che non intendo analizzare in questa sede, l’Unione europea è ancora, essenzialmente, un’istituzione dell’Europa occidentale. Sarei felice se la sua Presidenza del Consiglio riuscisse a far sentire in maniera più marcata l’influenza dell’Europa orientale.
In terzo luogo, sarà interessante vedere come lei saprà gestire l’imminente riorganizzazione della politica agricola e di coesione, nonché la preparazione della prospettiva pluriennale di bilancio dell’Unione europea. Il mio gruppo la invita a coinvolgere fino in fondo il Parlamento in tutto questo processo; ci attendiamo che lei mantenga la promessa di sostenere le piccole e medie imprese e di promuovere la protezione ambientale, l’uso sostenibile delle risorse e la sicurezza alimentare.
Nigel Farage, a nome del gruppo EFD. – (EN) Signor Presidente, do il benvenuto al Primo ministro Orbán. Dopo la farsa semestrale della presidenza belga, è confortante vedere il Primo ministro eletto di un paese degno di questo nome. Ho vivamente apprezzato la sua denuncia dell’insidiosa ideologia comunista, e ho notato con orgoglio che lei ha sottolineato come l’Ungheria sia stata il primo paese a prendere le armi contro l’Unione sovietica.
Vent’anni dopo aver riconquistato l’indipendenza e la democrazia, voi ora fate parte di una nuova unione politica che palesa crescenti analogie con l’antica Unione Sovietica. In effetti, nei prossimi sei mesi lei incontrerà folte schiere di comunisti, compreso il capo della Commissione, il vecchio Barroso che a suo tempo fu uno sfegatato sostenitore del Presidente Mao! Vedrà controlli e pianificazione politica centralizzata, ma soprattutto constaterà la bramosia di imporre l’unione politica alle popolazioni europee senza il loro consenso.
Si svegli, Primo ministro Orbán: consideri l’arroganza con cui deve scontrarsi questa mattina. Stanno cercando di insegnarle come deve governare il suo paese; li mandi al diavolo. Scenda in campo a battersi ancora una volta per la democrazia.
Krisztina Morvai (NI) . – (HU) Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel 1956 l’Ungheria ha dimostrato al mondo che è un dovere resistere all’oppressione e alla menzogna, anche quando l’impresa sembra disperata. A quell’epoca era questa la nostra missione storica; ancor oggi è la stessa. Nel mondo odierno, menzogna e oppressione si reggono su due pilastri; il primo è costituito dalla plutocrazia globale e dalle banche che privatizzano i profitti nazionalizzando perdite e costi che scaricano su pompieri, infermiere, insegnanti e pensionati, categorie destinate a pagare un prezzo sempre più pesante in termini di sofferenze.
L’altro pilastro è costituito dall’atteggiamento di coloro – penso in questo caso soprattutto ai politici che, anziché rappresentare gli interessi dei cittadini, agiscono costantemente da rappresentanti della plutocrazia globale e delle banche, persino all’interno dell’Unione europea – i quali dipingono questa situazione come naturale, o almeno inevitabile. La Presidenza ungherese e l’Ungheria, che è la mia patria, devono dimostrare che tutto questo è falso, che il re è nudo. Dobbiamo abbandonare questa mentalità ossessionata dal profitto e dal denaro, e dimostrare che è possibile invece adottare un approccio incentrato sulla persona umana e la giustizia, in cui ci si chiede non cosa possa giovare al profitto e al denaro, ma piuttosto cosa giovi ai cittadini e alla giustizia. Auguro la miglior fortuna all’Ungheria, la mia patria amante della libertà.
(L’oratore accetta di rispondere a una domanda “cartellino blu” ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8, del regolamento)
Hannes Swoboda (S&D) . – (DE) Signora Presidente, onorevole Morvai, abbiamo avuto un breve scambio di vedute già ieri; ora vorrei porle due domande. Non sorprende che, dalle sue posizioni di estrema destra, lei sostenga la Presidenza; se poi il Primo ministro Orbán gradisca tale appoggio, è un’altra faccenda. Lei sa che la rivoluzione ungherese ha avuto il sostegno di moltissimi cittadini e non solo della destra conservatrice, come ha rilevato l’onorevole Schulz? Si è accorta, onorevole Morvai, che la legge ungherese sui media non ha suscitato solamente le critiche dei socialdemocratici, ma anche quelle di numerosissimi cittadini, come lo scrittore György Konrád, che non hanno nulla a che fare con la socialdemocrazia? Ha notato questa circostanza?
Krisztina Morvai (NI) . – (HU) Onorevole Swoboda, anche se in passato forse ho creduto che le espressioni “destra” e “sinistra” avessero un significato, i diciotto mesi che ho trascorso nell’Unione europea mi hanno fatto cambiare opinione. Voi di sinistra continuate a rappresentare gli interessi delle banche e della plutocrazia, senza alcun riguardo per le esigenze dei cittadini; avete completamente dimenticato i vostri antichi ideali. Oggi in quest’Aula è stato ricordato il vostro predecessore Karl Marx; ma ciò che egli ha detto sulla giustizia non trova più eco in questa sede. Siete voi gli oppressori più spietati dei lavoratori. Questo è un aspetto; l’altro aspetto è la legge sui media, che è una questione interna ungherese …
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Ádám Kósa (PPE) . – (HU) Signora Presidente, onorevoli colleghi, in primo luogo la ringrazio per avermi concesso l’opportunità di intervenire a nome della delegazione ungherese del Partito popolare europeo. Dal momento che sono un disabile, ho forse una sensibilità più acuta della media per le discriminazioni e la tendenza a usare due pesi e due misure; proprio per questo, ho seguito con preoccupazione la caccia alle streghe politica scatenatasi intorno alla legge ungherese, come abbiamo potuto constatare anche oggi in quest’Aula. L’unione civica ungherese Fidesz ha dimostrato in innumerevoli occasioni di operare nello spirito dei comuni valori europei, e anche la sua onorevole azione nel campo della libertà di stampa si ispira allo stesso spirito.
I valori europei recano con sé delle responsabilità: lo dimostrano anche i sei mesi della Presidenza ungherese che sta iniziando, e lo dimostrano pure i suoi obiettivi. Governance economica, politica energetica, e in effetti anche la strategia per i rom: tutte queste iniziative e strategie dimostrano l’esistenza di valori comuni, proprio come i nostri comuni obiettivi mirano a creare un’Europa forte. L’Europa in fondo non è solo una comunità di interessi, ma anche una comunità di valori, e in realtà ora voi dimostrate di disprezzare proprio questa costellazione di valori e obiettivi. Senza neppure attendere il parere della Commissione europea, formulate già dichiarazioni, accuse dettate dalla malafede e commenti infondati e poco equilibrati. Vi proponete forse in tale modo di indebolire la Presidenza ungherese? In realtà, così danneggiate l’Unione europea, l’intera Comunità europea.
Oggi dobbiamo affrontare la crisi più grave che mai abbiamo conosciuto, e voi ostentate un comportamento irresponsabile. Nella mia qualità di membro della delegazione del Partito popolare europeo, respingo tale atteggiamento. Incoraggio la Presidenza ungherese a continuare la propria opera nonostante le accuse e a proseguire con il programma “Un’Europa forte”. Apprezzo il titolo del programma; grazie all’unità, raggiungeremo traguardi ben più alti, e dobbiamo tendere costantemente al progresso.
Csaba Sándor Tabajdi (S&D) . – (HU) Signora Presidente, signor Primo ministro, onorevoli colleghi, è nell’interesse dell’Unione europea e dell’Ungheria, oltre che di tutti i patrioti ungheresi a qualunque partito appartengano, che alla Presidenza ungherese arrida il successo. La cosa è ancor più importante se si considera che oggi l’Unione europea – compresa l’area dell’euro – si trova di fronte a sfide estremamente ardue. Signor Primo ministro, lei è un uomo deciso e determinato; la esorto a mettere queste doti al servizio dell’Europa, nella sua qualità di Presidente in carica del Consiglio, per rendere l’Europa ben più dinamica ed efficiente. Contemporaneamente, però, la invito a mantenere le regole della democrazia e a proteggere i valori del modello sociale europeo.
Purtroppo, come è emerso anche da questo dibattito, gli esordi della Presidenza ungherese sono turbolenti. Non avverte, signor Primo ministro, la scarsa fiducia che il suo governo riscuote in Europa? Agli occhi dei cittadini di molti Stati membri, a qualunque partito appartengano, le misure antidemocratiche del suo governo, il suo populismo economico, la legge sui media e l’acquiescenza nei confronti dell’estrema destra sembrano contraddire norme e valori dell’Unione europea. La Presidenza dell’Unione non la esonera dalle critiche; inoltre, lei deve dare l’esempio per quanto riguarda l’adesione ai valori fondamentali dell’Unione stessa.
La famosa frase di Attila József, “la mia collera è per voi, non contro di voi” si applica a questo caso, poiché quando si formulano critiche ben argomentate l’Unione europea non è in collera con il governo ungherese, è in collera per il governo ungherese; e soprattutto, queste critiche non sono dirette contro il popolo ungherese. Signor Primo ministro, come ungherese ed europeo mi auguro di poter attraversare i sei mesi di questa Presidenza con orgoglio e a testa alta.
Alexander Graf Lambsdorff (ALDE) . – (DE) Signora Presidente, Primo ministro Orbán, in un articolo apparso ieri su un grande giornale tedesco, lei ha annoverato Otto Graf Lambsdorff tra suoi modelli ideali; ci siamo incontrati per l’ultima volta nel dicembre 2009, al suo funerale, cui lei ha partecipato privatamente – un gesto che noi abbiamo molto apprezzato. Le chiedo ora di onorare la sua memoria rispettando, seguendo e difendendo, con tutte le misure che adotterà, i principi dello Stato costituzionale liberale.
Alla critiche rivolte alla legge sui media lei ha opposto due argomenti: ha affermato che si tratterebbe di una campagna diretta contro l’Ungheria e personalmente contro di lei, e poi ha definito tale campagna vaga e non specifica. Dichiaro in maniera netta, a nome del gruppo dell’Alleanza dei democratici e dei liberali per l’Europa, che questa non è affatto una campagna; se in uno Stato membro dell’Unione europea vengono toccate e messe in questione le libertà fondamentali, allora siamo di fronte a un problema europeo.
Alla Commissione e al Presidente Barroso vorrei far rilevare che una valutazione giuridica deve essere compiuta dal Commissario, signora Kroes. La Commissione non è però un semplice ufficio notarile; è anche un organismo politico. La valutazione deve assumere forma politica e deve avvenire rapidamente.
Il suo secondo argomento riguarda il carattere vago e non specifico delle critiche. Quindi, Primo ministro Orbán, vorrei avanzare alcune osservazioni specifiche: la calunnia, la diffamazione e l’incitamento all’odio sono punti dalla legge in Germania come in altre democrazie; il diritto penale serve appunto a questo. In tali casi, quindi, lasciate che il diritto penale faccia la sua parte. Dovete migliorare la protezione giuridica all’articolo 163, modificare la composizione e i poteri dell’autorità di controllo sui media agli articoli 123 e 183, insieme a molti altri aspetti; vi sono parecchi punti specifici. Vi consiglio di rinviare l’applicazione della legge fino a quando la Commissione non avrà compiuto la sua valutazione, cosa che deve avvenire il più rapidamente possibile.
Judith Sargentini (Verts/ALE) . – (NL) Signora Presidente, il Parlamento europeo e gli Stati membri applicano due metri di giudizio differenti. Quando si tratta di paesi che desiderano aderire all’Unione europea, parliamo all’infinito di diritti civili e libertà di stampa, ma questi concetti sembrano perdere ogni valore per i membri che fanno già parte del club. I criteri di Copenaghen rappresentano un dovere sacro per tutti noi, o solo per i nuovi arrivati?
Gli Stati membri chiudono gli occhi di fronte all’operato altrui. Se io non ficco il naso nei vostri affari, allora neppure voi potrete ficcare il naso nei miei! Anche l’Ungheria chiede a tutti gli altri di non ficcare il naso nei suoi affari: singolare atteggiamento per chi detiene la Presidenza dell’Unione europea. Il suo compito, Primo ministro Orbán, è quello di guidare l’Unione europea e quindi di incoraggiare gli Stati membri a occuparsi, in qualche misura, degli affari degli altri; in questo campo non ci si può tirare indietro.
Passiamo ora al nostro Parlamento, l’Assemblea che ha il dovere di preservare l’elevato standard dei valori europei; stiamo fallendo nel nostro compito! Signora Presidente, ancora una volta è stato un piacere per me poter proclamare la verità ed esporre in questa sede il mio equilibrato parere.
Jacek Olgierd Kurski (ECR) . – (PL) Signora Presidente, è una buona notizia il fatto che un governo, il quale in patria gode di un consenso così cospicuo, assuma la Presidenza dell’Unione europea. Il governo ungherese può vantare un consenso tanto ampio, in quanto agisce nell’interesse del popolo d’Ungheria e sta ricostruendo il paese dopo la fallimentare esperienza dei governi socialisti soffocati dagli scandali. Non è invece una buona notizia il fatto che l’Ungheria abbia dovuto subire attacchi sleali e puramente ideologici proprio all’esordio della sua Presidenza. L’intera questione della legge sui media dimostra la natura ipocrita di questi attacchi. In Polonia esiste un’identica autorità per i media, dominata dal partito di governo e responsabile della cacciata dai media pubblici polacchi di dozzine di gionalisti di tendenze conservatrici; ma nessuno in Europa difende queste persone, e l’onorevole Schulz meno di tutti. Ecco i termini concreti della questione.
La bizzarra lettera pubblicata una settimana fa, che attacca gli ungheresi ed è firmata dagli ex Presidenti della Repubblica ceca e dell’Ungheria, oltre che dal direttore del quotidiano polacco Gazeta Wyborcza, svela tutta l’ipocrisia di quest’attacco. Si tratta della stessa Gazeta Wyborcza che fa confiscare le proprietà di coloro che professano opinioni differenti; in realtà, l’attacco sferrato oggi contro l’Ungheria è una pura e semplice vendetta nei confronti di chi ha attuato con successo una politica conservatrice. Primo ministro Orbán, mi auguro che la sua Presidenza dell’Unione europea abbia altrettanto successo ...
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Jaroslav Paška (EFD) . – (SK) Signora Presidente, dal 1° gennaio la Presidenza dell’Unione europea è passata al governo ungherese, che ci ha ricordato la circostanza per mezzo di quello che potremmo definire un tappeto culturale. Non mi soffermerò qui sulla mappa raffigurata nel tappeto, signor Primo ministro, ma solo sulla cultura che lei ha recato a Bruxelles.
Simboli venerati, ritratti di personaggi di cui il suo popolo è giustamente orgoglioso, giacciono sul pavimento di un luogo pubblico, calpestati e insudiciati dai cittadini di tutta Europa. Le sembra cultura questa? È forse una degna imagine della fiera Ungheria?
Non so che cosa abbia indotto i diplomatici ungheresi a svilire in tal modo i simboli della loro storia; avrebbero potuto degnamente collocarli sui pannelli e sulle pareti di questa stessa Aula. Ha notato dove sono posti in quest’Aula i simboli che veneriamo? Si trovano al posto d’onore, sul tavolo del Presidente.
Non ignoro, signor Primo ministro, che molti problemi affliggono il suo paese, ma sono fermamente convinto che il fiero popolo ungherese non meriti, da parte del suo stesso governo, una tale mancanza di rispetto nei confronti dei maggiori personaggi e simboli della nazione.
Csanád Szegedi (NI) . – (HU) Signora Presidente, signor Primo ministro, onorevoli colleghi, volevo dedicare il mio intervento essenzialmente alla Presidenza ungherese, ma gli oratori che mi hanno preceduto hanno risvegliato la mia collera, e quindi ora devo cedere in qualche misura alla provocazione e soffermarmi sulla legge ungherese sui media. In parole povere, in Ungheria il Movimento Jobbik per un’Ungheria migliore ha criticato anch’esso la legge linguistica; anche noi la disapproviamo. È stupefacente però constatare quanto sia folta la massa dei voltagabbana e degli ipocriti. Dov’erano coloro che ora si atteggiano a difensori dei diritti, dov’eravate quando la legge linguistica è stata introdotta in Slovacchia? Dov’era l’onorevole Cohn-Bendit quando gli ungheresi della Voivodina subivano il terrore degli estremisti serbi? Dov’era l’onorevole Schulz quando in Voivodina e in Transilvania si profanavano le tombe degli ungheresi? Mi sembra che qui si usino due pesi e due misure; non posso quindi accettare le critiche che vi permettete di formulare nei confronti del governo ungherese e della Presidenza ungherese.
A differenza del MSZMP o MSZP con le sue vane agitazioni, lo Jobbik ha sempre avanzato proposte concrete. Sì, dobbiamo sollevare il problema della legge linguistica in Slovacchia; e poi il problema dell’abrogazione dei decreti Beneš; e poi quello dell’autonomia territoriale dei siculi; e poi quello di arginare e stroncare la criminalità rom in Ungheria e in tutta Europa; e sarebbe anche ottima cosa se il governo ungherese potesse dedicarsi con altrettanto impegno al compito interno di applicare la volontà di milioni di elettori e spedire finalmente dietro le sbarre l’ex dittatore Ferenc Gyurcsány. I problemi reali sono questi e le auguro il miglior successo per la sua Presidenza.
Werner Langen (PPE) . – (DE) Signora Presidente, Primo ministro Orbán, due ardui compiti la attendono. Il primo è quello di rimediare a otto anni di malgoverno socialista, ridare all’Ungheria stabilità e dinamismo sul piano politico ed economico e ridurre i livelli del debito; gli elettori le hanno conferito un chiaro mandato in questo senso.
Il secondo compito è quello di guidare l’Europa, nella sua qualità di Presidente in carica del Consiglio, in questo difficile periodo, facendo ogni sforzo per risolvere la crisi economica e finanziaria. Lei potrà contare sull’attivo sostegno del Parlamento e del mio gruppo. Constatiamo con soddisfazione che lei oggi non ci ha presentato un elenco di pii desideri – come hanno fatto invece, negli ultimi anni, parecchi Presidenti in carica del Consiglio socialisti – ma ha indicato chiaramente le sue priorità.
In terzo luogo, siamo lieti che l’Ungheria appartenga all’Unione europea fin dal 2004 e che il partito al governo nel paese aderisca al gruppo del Partito popolare europeo (democratico cristiano). La campagna scatenata intorno alla nuova legge sui media – che comporta tra l’altro la richiesta di ritiro del diritto di voto ai sensi dell’articolo 7, ed è stata avviata qui in Parlamento e non da lei, bensì dai partiti che hanno perso le elezioni del 2010 e sedevano qui, e anzi sono ancora seduti proprio qui di fronte, almeno quelli che non sono andati di corsa dai giornalisti – è un’intollerabile esempio di ipocrisia. La valutazione dimostrerà che la legislazione sui media vigente in Ungheria non è diversa da quella di molti altri Stati.
Quanto all’onorevole Schulz, che ha invocato il ritiro della legge, mi limito a dire che egli evidentemente non ha letto la legge introdotta col voto della maggioranza nel Land della Renania settentrionale-Westfalia, ove è al potere un governo statale formato da socialisti e verdi. Tale legge prevede l’istituzione di un’autorità sui media, prevede sanzioni e prevede disposizioni sulla diversità di opinioni; è esattamente questo il vostro approccio. Tale atteggiamento ipocrita non deve conquistare la maggioranza nella nostra Assemblea.
(Applausi)
(L’oratore accetta di rispondere a una domanda “cartellino blu” ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8, del regolamento)
Rebecca Harms (Verts/ALE) . – (DE) Signora Presidente, onorevole Langen, la legge statale sui media della Renania settentrionale-Westfalia affida forse la responsabilità di vigilare sui media a un solo partito? L’organo di vigilanza sui media della Renania Settentrionale-Westfalia verrà forse utilizzato dal governo per nove anni? In Renania Settentrionale-Westfalia è forse un solo partito a decidere se l’informazione è equilibrata oppure no? Se le cose stanno così, allora la situazione è uguale a quella dell’Ungheria. Non credo che lei voglia questo; vorrei anche chiedere perché il Cancelliere, signora Merkel, critica la legislazione ungherese, dal momento che ella fa parte …
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Werner Langen (PPE) . – (DE) Signora Presidente, sono sicuro che mi concederà cinque minuti.
(Il Presidente interrompe l’oratore)
In primo luogo, la signora Merkel ha chiesto se la legge rispettasse le norme europee sotto ogni punto di vista e il Primo ministro Orbán ha accettato di modificare le disposizioni della legge, se necessario, conformemente alla valutazione della Commissione. Mi sembra un approccio corretto, onesto, aperto ed equo nei confronti di tutti gli interessati.
La mia seconda osservazione riguarda la legge statale sui media vigente in Renania settentrionale-Westfalia. Ai programmi radiofonici è vietato, ai sensi del paragrafo 31, presentare un’unica opinione od occuparsi di un unico partito, gruppo, lobby, denominazione religiosa o filosofia.
(Interruzioni)
La legge inoltre stabilisce che il capo di Stato della Renania settentrionale-Westfalia può impartire istruzioni all’autorità statale di controllo sui media e comminare ammende fino a 500 000 euro.
Monika Flašíková Beňová (S&D) . – (SK) Signora Presidente, vorrei rivolgermi al capo del governo ungherese: benvenuto al Parlamento europeo, Primo ministro Orbán.
L’Ungheria ha assunto la Presidenza in un momento certamente non facile, e il programma che lei ci ha presentato è certamente fitto di sfide importanti. Lei ha chiesto ripetutamente al Parlamento europeo di aiutarla a realizzare questo programma e mi creda, Primo ministro Orbán, noi siamo pronti a sostenere gli elementi validi ed europei del suo programma.
Il suo intervento conteneva anche un appello a favore di un’Europa forte, e devo confessare che non mi è del tutto chiaro dove cominci il suo europeismo e quali ne siano i limiti; non riesco infatti a spiegarmi perché il suo governo abbia dato inizio alla Presidenza con la presentazione di un’unità territoriale inesistente, invece di illustrare – in qualità di paese che detiene la Presidenza – una nuova visione dell’Europa.
Per concludere, Primo ministro Orbán, mi auguro che in lei continui a svilupparsi rigoglioso il buon europeista, e che ci sia spazio in lei per un saldo spirito ungherese.
Adina-Ioana Vălean (ALDE) . – (EN) Signora Presidente, da molto tempo ormai la nostra Unione segue il metodo di fissare un obiettivo dopo l’altro, ma nessuno si volta indietro per controllare se questi obiettivi vengono veramente raggiunti o sono attuati adeguatamente. Crescita, occupazione, un’Unione vicina ai cittadini: sembrano tutti destinati a diventare obiettivi eterni. A questo punto dovremmo veramente ammettere il fallimento almeno di alcune delle nostre politiche e di alcune delle soluzioni onnicomprensive che troppo spesso tendiamo a privilegiare.
Per stimolare la crescita economica dell’Unione dovremmo forse cominciare a pensare in maniera originale ed eterodossa, e accettare il variegato panorama di interessi e specificità dei nostri 27 Stati membri.
Con l’approvazione della Presidenza, la Commissione propone un semplice coordinamento delle nostre politiche economiche. Tale approccio potrebbe rivelarsi una trappola proprio per il tipo di crescita economica che stiamo perseguendo, basato su politiche e obiettivi di natura esclusivamente macroeconomica. Se il nostro mercato unico è sempre incompleto, la burocrazia soffoca aziende e imprenditori e il mercato del lavoro è in preda alla confusione, la crescita dell’Unione europea rischia di assomigliare a quella di una balena in una vasca piena di barracuda: perché così funziona il mercato globale nell’odierno contesto di crisi.
Per quanto riguarda gli altri obiettivi eterni indicati nel programma della Presidenza, come la realizzazione di una politica energetica comune, il nostro compito attuale deve essere quello di individuare esigenze ed interessi comuni a tutti gli Stati membri. Non sono affatto persuasa che spendere miliardi di euro in giganteschi progetti infrastrutturali sia la soluzione migliore.
Il Primo ministro Orbán ha accennato anche all’allargamento; mi auguro che egli non intenda in tal modo riferirsi all’approccio ungherese, che concede la cittadinanza a tutte le persone di etnia ungherese nei paesi vicini. L’allargamento dell’Unione europea in un contesto di euroscetticismo e crisi economica è veramente una prospettiva realistica?
Per concludere, auguro buona fortuna a tutti noi.
Peter van Dalen (ECR) . – (NL) Signora Presidente, la Presidenza ungherese è partita con il piede sbagliato. L’esempio che il governo ungherese offre all’Unione europea con la nuova legge sui media non è certo positivo. Tale legge concede poteri estesissimi a un organo di controllo sui media, e ciò getta un’ombra inquietante sugli esordi della Presidenza ungherese; la legge, però, è solo uno degli elementi di una serie di preoccupanti sviluppi che si registrano in Ungheria.
Dove domina un unico partito politico, le altre voci ammutoliscono. Rochefoucauld, scrittore francese del diciassettesimo secolo, aveva già osservato in proposito che “ben pochi sono così saggi da preferire un rimprovero utile a un’adulazione subdola e traditrice”. Suggerisco alla Presidenza – sia in quanto Presidenza dell’Unione, sia in quanto governo ungherese – di meditare seriamente sul monito di Rochefoucauld.
Mario Mauro (PPE). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, Signor Presidente Orban, benvenuto a Strasburgo dove – come ha detto il collega Cohn-Bendit – tutti amano l'Ungheria ma, lei lo avrà capito, non tutti amano il governo ungherese.
Noi, invece, amiamo l'Ungheria, stimiamo il governo ungherese e, dirò di più, spudoratamente facciamo il tifo per il suo partito. Perché facciamo il tifo per il partito Fides? Perché questo partito è stato uno dei fattori determinanti per il ritorno dell'Ungheria, dopo una lunga e terribile dittatura, alla vita democratica.
Facciamo il tifo per Fides perché in questi anni, in tutti questi anni, ha perseguito gli stessi valori di democrazia e di libertà, sia quando è stato al governo, sia quando è stato all'opposizione e facciamo il tifo per Fides perché oggi è Fides la vera alternativa alla deriva populista che sembra investire tanti paesi dell'Unione europea.
Facciamo poi il tifo per Fides perché, attraverso le priorità che lei ha indicato, Fides ci fa comprendere che la battaglia per un'Europa unita e libera non è ancora finita. Noi scommettiamo su di lei, Presidente Orban, e facciamo il tifo per lei, perché fare il tifo per Orban vuol dire fare il tifo per l'Ungheria e fare il tifo per tutta l'Europa.
Edit Herczog (S&D) . – (HU) Signora Presidente, onorevoli colleghi, sin dall’istituzione dell’Unione europea una delle questioni e delle sfide più importanti è stata quella della sicurezza energetica. Per molto tempo abbiamo nutrito la convinzione che il problema fondamentale fosse quello di ridurre la dipendenza dalle fonti energetiche. La crisi economica ha però dimostrato che la questione più importante è l’accessibilità anche economica. Quest’anno in Ungheria, per la prima volta, sono morte assiderate più persone in appartamenti non riscaldati che nelle strade. Qualche giorno fa gli abitanti di un edificio residenziale hanno chiesto che venisse spento il riscaldamento, poiché non potevano più permetterselo. Onorevoli colleghi, è essenziale da parte nostra affrontare il tema della sicurezza energetica in quanto effetto della crisi economica, inquadrandolo nel dato di fondo delle nostre obsolete infrastrutture energetiche.
Il compito più importante della Presidenza ungherese, in occasione del vertice energetico, sarà quello di gettare le basi delle nuove infrastrutture per quanto riguarda non solo il gas, ma anche le linee elettriche. Non si tratta, da parte nostra, di ammodernare le reti del passato, bensì di procurare investitori e disponibilità non incerte di capitale per le reti energetiche intelligenti del futuro. Alla Presidenza ungherese spetta il compito di convincere tutti gli Stati membri a sostenere all’unanimità l’incremento della sicurezza nello smaltimento delle scorie nucleari. Dobbiamo garantire che tutte queste operazioni si mantengano nei limiti dell’accessibilità economica. Signor Presidente, non possiamo affrontare questo nodo di problemi con scomposta indifferenza; dobbiamo piuttosto munirci di idee chiare, coscienza limpida e visione lucida. Saremo al suo fianco nel tentativo di risolvere tali questioni.
Marielle De Sarnez (ALDE) . – (FR) Signora Presidente, i popoli d’Europa stanno attraversando una crisi grave e destabilizzante. Proprio in momenti come questo, mi sembra, dobbiamo riallacciarci ai valori fondamentali su cui si basa l’Europa.
Il primo di questi valori è la lotta contro tutte le forme di nazionalismo. Mi consenta di esprimerle la mia preoccupazione per il fatto che lei, dopo aver offerto la nazionalità ungherese alle popolazioni magiare, prospetti ora la possibilità di concedere loro il diritto di voto, in violazione di tutte le convenzioni internazionali.
Il secondo valore europeo è la difesa della democrazia e delle libertà. Ora, da quando lei è entrato in carica è stata adottata una serie di misure tali da suscitare la nostra preoccupazione, e in merito alle quali ora lei può fornirci spiegazioni e risposte. I poteri della corte costituzionale sono stati limitati, l’indipendenza della banca centrale è stata compromessa – in contraddizione con il trattato di adesione – e lei si accinge ora a portare i cittadini al voto su una legge riguardante i media che – con il pretesto di recepire una direttiva europea – distrugge in realtà la libertà di stampa, come ha recentemente dimostrato l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE).
Lei sostiene che la vostra legge è simile a quelle di altri Stati membri, ma anche se in alcuni di essi – e penso in particolare al mio paese – ci sono sicuramente ancora progressi da fare, in quale altro Stato membro dell’Unione un organo d’informazione rischia un’ammenda di 700 000 euro per aver violato la morale? Il problema è ora al vaglio della Commissione europea, che dovrà manifestarci il suo parere sul nodo centrale – al di là dei meri aspetti giuridici – ossia se questa legge violi la libertà di espressione. In tal caso, la Commissione europea dispone degli strumenti per far rispettare i diritti fondamentali; è questo il segnale di fermezza che noi ora attendiamo.
Jean-Pierre Audy (PPE) . – (FR) Signora Presidente, signor Primo ministro, l’Ungheria è un paese europeo, e ama il Parlamento europeo. L’Ungheria ha scelto come Presidente della Repubblica uno dei nostri migliori ex colleghi, Pál Schmitt, e lei stesso ha avuto la saggezza di nominare tra i suoi ministri una nostra ottima collega, l’onorevole Győri, alla quale rendo omaggio.
La democrazia funziona; lei è stato eletto; benissimo! L’Europa funziona; una sua legge viene messa in discussione e lei risponde “la cambierò”. Criticato sul terreno dell’applicazione dei valori, lei ha dichiarato che, in sede di riforma della Costituzione – che è ancora l’antica Costituzione comunista – lei adotterà per intero la Carta dei diritti fondamentali; benissimo! La politica funziona; se qualcuno ne dubitava, abbiamo un’Europa politica; ecco una buona notizia!
Lei deve affrontare sfide economiche e sta riportando l’economia ungherese sulla strada giusta, Presidente Orbán; lei è probabilmente il Primo ministro di cui abbiamo bisogno in questo momento. Non è però la prima volta che compie quest’impresa; lo ha già fatto nel 1998, e anche allora era Primo ministro.
Per concludere, richiamerò la sua attenzione sulla Croazia: lei desidera l’adesione di quel paese, e anche noi siamo favorevoli. Le rammento le resistenze di alcuni settori dell’opinione pubblica europea e le suggerisco di intraprendere una vasta campagna di comunicazione, per dimostrare ai cittadini europei che la Croazia soddisfa tutti i criteri per l’adesione, in quanto abbiamo abbandonato la politica delle adesioni in blocco seguita dopo il crollo del muro di Berlino.
Juan Fernando López Aguilar (S&D) . – (ES) Signora Presidente, Primo ministro Orbán, a nome dei socialisti spagnoli saluto la Presidenza ungherese, terza del trio di Presidenze che inaugura la nuova dinamica sancita dal trattato di Lisbona. Occorre quindi coerenza rispetto al piano comune elaborato dai tre paesi – Spagna, Belgio e Ungheria – ma anche, aspetto ancor più importante, coerenza con i principi, i valori e gli obiettivi sanciti dallo stesso trattato di Lisbona, poiché la priorità assoluta è l’applicazione e il compimento del trattato.
Alcuni di questi principi e valori comuni sono sanciti nell’articolo 2 del trattato di Lisbona: rispetto per le libertà, protezione delle minoranze e pluralismo, compreso il pluralismo dell’informazione. Condivido quindi la preoccupazione, da lei manifestata, che obiettivi così importanti per la Presidenza ungherese rischino di essere distorti da peculiarità o dibattiti nazionali anziché influenzati dai fattori che ci uniscono.
La legge ungherese sui media non si può e non si deve assolutamente interpretare come una questione di mercato interno, nel quadro del recepimento nazionale della direttiva sui servizi audiovisivi. Si tratta di un dibattito che non riguarda solo il mercato interno o l’Ungheria, ma si riflette sui diritti fondamentali e sull’intera Unione; mi annovero perciò tra coloro i quali ritengono che l’unica via d’uscita da questa crisi sia un’integrazione più stretta, non la concorrenza tra nazionalismi.
La Presidenza verrà giudicata sulla base della sua volontà di porsi all’avanguardia nella realizzazione dei valori e degli obiettivi del trattato di Lisbona, mantenendosi fedele agli impegni presi nell’aderire all’Unione europea.
(L’oratore accetta di rispondere a una domanda “cartellino blu” ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8, del regolamento)
Alejo Vidal-Quadras (PPE) . – (ES) Signora Presidente, ho seguito con grande attenzione l’intervento dell’onorevole López Aguilar, e vorrei ricordargli che il governo spagnolo – guidato dal suo stesso partito – sta attualmente preparando l’istituzione di un consiglio di Stato sui media e una legge sulle disparità di trattamento e sulla discriminazione, destinata a incombere su qualsiasi possibile avversario politico come una spada di Damocle, che potrebbe incidere sul contenuto dell’informazione.
Quindi, onorevole López Aguilar, prima di criticare gli altri – non intendo entrare nei dettagli della legge ungherese – rifletta che non è corretto usare due pesi e due misure; non dimentichi di essere stato ministro della Giustizia.
Juan Fernando López Aguilar (S&D) . – (ES) Signora Presidente, non è la prima volta che sentiamo formulare, in quest’Aula, paragoni del tutto fuori luogo tra una legge che ha destato preoccupazioni nell’Unione europea e anche tra alcuni eminenti rappresentanti della sua stessa tendenza politica, onorevole Vidal-Quadras, e altre leggi che rispettano il diritto alla libertà di espressione, alla libera formazione dell’opinione pubblica in una società pluralistica e, naturalmente, al pluralismo nei media. Queste ultime leggi istituiscono consigli sui servizi audiovisivi che non hanno in alcun modo la funzione di interferire con il pluralismo dei media, né, assolutamente, quella di predeterminare i contenuti dei media.
È il caso della Spagna e di parecchi altri esempi additati in quest’Aula, che non hanno nulla a che vedere con il tema che tanta inquietudine ha destato nel corso della discussione odierna.
Jacek Saryusz-Wolski (PPE) . – (EN) Signora Presidente, alla Presidenza ungherese si offre un’occasione unica per tradurre in realtà la sicurezza energetica in Europa. Vi saranno due Presidenze consecutive – quella polacca e quella ungherese – dotate della forte volontà politica di sfruttare tutte le opportunità disponibili. I problemi cui ci siamo trovati di fronte sinora sono un consolidamento o un monopolio dell’approvvigionamento e del transito, l’assenza di un mercato unico interconnesso e una particolare vulnerabilità del fianco orientale dell’Unione.
Ci attendiamo che la Presidenza ungherese utilizzi la geometria dell’Unione per dare vita a un triangolo: un asse o corridoio nord-sud dal Baltico all’Adriatico, con porti energetici in Polonia e Croazia, integrato dal gasdotto del Mar Caspio destinato a rifornire direttamente l’Unione europea, in modo separato e indipendente, a partire da Azerbaigian e Turkmenistan. Il corridoio meridionale dovrebbe ovviamente includere il progetto Nabucco.
Quindi una nuova fonte di sicurezza energetica per l’Europa rappresenta la sfida finale per la Presidenza ungherese. Tre sono gli obiettivi essenziali: costruire interconnettori, garantire finanziamenti adeguati e promuovere la dimensione esterna della politica energetica dell’Unione europea. L’energia rappresenta infatti un bene pubblico per l’Unione ed è necessario europeizzarla; la politica deve fondarsi sulla solidarietà e la nostra volontà politica deve garantirne l’attuazione.
Glenis Willmott (S&D) . – (EN) Signora Presidente, in un momento come questo dovremmo occuparci di governance economica, diritti del lavoro e ambiente – tutti temi ai primi posti della nostra agenda; dovremmo celebrare il meraviglioso traguardo raggiunto dall’Ungheria che, per la prima volta, ha l’onore di detenere la Presidenza. Mi amareggia quindi constatare che il popolo ungherese – che ha combattuto l’oppressione ed è stato protagonista di una lunga lotta per la democrazia – veda ora quella stessa democrazia messa a repentaglio dalla nuova legge sui media e dalle politiche protezionistiche utilizzate per attaccare le imprese straniere. Tutto questo getta un’oscura ombra su un periodo che dovrebbe essere fonte di legittimo orgoglio per il popolo ungherese.
È un momento critico per i cittadini e dobbiamo portare avanti il nostro programma di riforme; ma contemporaneamente dobbiamo vigilare affinché l’Europa non sprofondi nuovamente nei giorni più bui del suo passato. Dobbiamo continuare a smascherare e combattere qualsiasi forma di censura di Stato e di politica protezionistica; dobbiamo tendere la mano al popolo ungherese, ma non possiamo compromettere la nostra futura democrazia.
Lívia Járóka (PPE) . – (HU) Signora Presidente, signor Primo ministro, onorevoli colleghi, il varo di una strategia europea per i rom è stato proposto dal Parlamento europeo per la prima volta all’inizio del 2008, e nei tre anni trascorsi da allora una folta serie di azioni e documenti dell’Unione europea ha dimostrato l’importanza della lotta contro la segregazione e la povertà che attanagliano i 12 milioni di rom che vivono in Europa. Nella mia qualità di militante di Fidesz e unica deputata rom al Parlamento europeo, sono orgogliosa che il nuovo governo ungherese sia stato la prima presidenza del Consiglio ad assumersi senza riserve l’impegno e la missione di trovare una soluzione a livello europeo.
L’inclusione sociale dei rom è una delle sfide più ardue che si pongono all’Europa di oggi, e insieme una delle opportunità più promettenti per le nostre società minacciate dall’invecchiamento. In effetti, l’integrazione dei rom non è solo un dovere dal punto di vista dei diritti umani, ma anche una necessità economica. In qualità di relatrice del Parlamento europeo su questo tema, mi auguro di cuore che, sulla base della relazione del Parlamento e dell’imminente comunicazione della Commissione, la Presidenza ungherese riesca a elaborare una strategia dallo spirito veramente comunitario, che definisca il gruppo di destinazione sulla base di criteri economici piuttosto che etnici, porti avanti l’attuazione delle direttive sulle pari opportunità, tenga conto della natura territoriale della segregazione e mitighi gli svantaggi dei cittadini che vivono in microregioni.
Signor Primo ministro, questo processo riguarda temi ben più vasti della strategia europea per i rom: sono in gioco la fiducia reciproca e la capacità dell’Europa di costruire una comunità di valori e superare le sfide che ci attendono. Le auguro la miglior fortuna in queste difficilissime imprese. Taves bahtalo!
Jörg Leichtfried (S&D) . – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, in Europa la stampa non ha affatto l’obbligo di adottare un approccio equilibrato; in Europa vige la libertà di stampa. Se in Europa viene istituito un organismo incaricato di introdurre un cosiddetto equilibrio comminando sanzioni inapplicabili, eliminando la protezione delle fonti e diffondendo un’atmosfera di paura, mi attendo che la Commissione, nella sua qualità di custode del diritto europeo, reagisca. Non deve però reagire in maniera esitante, indecisa e difensiva; deve intraprendere un’azione rapida, convinta ed efficace. Finora non lo ha fatto.
Primo ministro Orbán, le argomentazioni aggressive e irragionevoli con cui i suoi alleati sono insorti in sua difesa non mi convincono affatto. Noi la giudicavamo un liberale. Posso immaginare che talvolta si tratti di una posizione scomoda; ma vorrei chiederle se si sente a suo agio, ora che la sua immagine è quella di un leader che allontana il suo paese dalla democrazia per condurlo verso il totalitarismo.
(Interruzioni)
Che effetto le fa sentirsi difendere da quei signori seduti lì, Primo ministro Orbán? Questo vorrei chiederle.
Paulo Rangel (PPE) . – (PT) Signora Presidente, vorrei in primo luogo osservare che oggi, nel dibattito sulla Presidenza ungherese – senza nulla togliere alla nostra facoltà di discutere tutti gli argomenti previsti – il Parlamento dovrebbe concentrarsi sui problemi dell’Unione europea, cosa che non stiamo facendo. Inoltre, per concentrarsi sui problemi dell’Unione è necessaria un’attenta lettura per verificare l’eventuale accordo con le priorità della Presidenza ungherese; non è il caso di discutere nodi o problemi interni dell’Ungheria, che si possono semmai risolvere nel quadro di un sano e normale rapporto tra la Commissione e il governo e il parlamento ungheresi.
A parte l’ovvia priorità che la Presidenza ungherese intende attribuire alle questioni economiche e finanziarie più urgenti, esprimo la mia soddisfazione per la natura lucida e ambiziosa del piano ungherese rivolto al prossimo semestre. Esso infatti privilegia tre punti che si riveleranno essenziali per il futuro dell’Europa: la produzione alimentare, che sta scivolando in una fase di grave crisi globale; l’energia, elemento cruciale di sicurezza e sostenibilità economica; e l’acqua, cui raramente si è accennato in questa sede, ma che in realtà costituisce la prossima sfida che gli europei dovranno affrontare, dopo quella dell’alimentazione.
Le auguro di riuscire a realizzare i suoi obiettivi.
Kristian Vigenin (S&D) . – (BG) Signora Presidente, signor Primo ministro, nel 2011, per la prima volta, l’Unione europea verrà guidata da due paesi dell’Europa centrale e orientale, l’Ungheria e la Polonia. Questi due paesi hanno recato un contributo notevolissimo allo sviluppo della democrazia, all’integrazione dell’Europa, e a mio avviso i meriti che si sono conquistati non dovrebbero andare sprecati come sta avvenendo oggi.
Primo ministro Orbán, la scongiuro di liberarsi dall’ombra che grava sulla sua Presidenza; in tal caso, alla fine del semestre, potremo concludere che lei avrà realizzato le sue priorità. Vorrei che concentrassimo la nostra attenzione appunto su tali priorità, e non su risoluzioni e iniziative del parlamento ungherese che non rispettano i principi fondamentali della democrazia.
Lei potrà contare sul pieno appoggio dei socialdemocratici, per portare a compimento i negoziati con la Croazia nel corso della sua Presidenza.
Nel suo intervento non ho udito alcun accenno a una revisione della politica di vicinato. Mi auguro che lei dia prova del necessario spirito d’iniziativa e che in questo periodo riesca a ricondurre la Bielorussia sulla strada dello sviluppo democratico.
Mi permetto di dissentire dall’onorevole Cohn-Bendit. Non credo affatto che il Primo ministro Orbán si possa paragonare al Presidente Chávez; in Europa ci sono altri capi di governo assai più adatti a tale ruolo.
Ernst Strasser (PPE) . – (DE) Signora Presidente, Primo ministro Orbán, è vero che il suo paese ha patito gravi sofferenze e che l’Ungheria, lei stesso e il suo partito avete recato un contributo decisivo alla causa della pace e dell’unità europea. Da buon vicino e da austriaco, desidero dichiararlo esplicitamente, con autentico rispetto, in questo momento per voi storico.
Creare occupazione, promuovere la crescita e migliorare la sicurezza: ecco le priorità della sua Presidenza, che noi siamo felici di sostenere. Tra le altre priorità ricordiamo il rafforzamento del mercato interno, lo sviluppo della politica energetica, la strategia per la regione del Danubio e la conclusione dei negoziati con la Croazia; in tutti questi settori siamo fermamente intenzionati a sostenerla.
Desidero rivolgerle un ringraziamento particolare per aver difeso la libertà di religione. Il cristianesimo è una delle fondamenta del pensiero e dell’azione europei, e noi rispettiamo profondamente il fatto che lei abbia riformato la legislazione ungherese sui media, introdotta dai comunisti ancora nel 1986; è stata un’iniziativa importante e assai saggia. A nostro avviso molte delle opinioni formulate in tale contesto, anche in questa stessa Aula, sono completamente errate. Spesso queste voci sembrano riecheggiare le ingiuste sanzioni inflitte al governo austriaco nel 2000. Mi sembra che oggi lei debba sopportare lo stesso iniquo trattamento che il governo austriaco dovette subire allora.
La ringrazio per l’opera che ha svolto finora e auguro il miglior successo alla Presidenza ungherese.
(Applausi)
Victor Boştinaru (S&D) . – (RO) Signora Presidente, signor Primo ministro, da cittadino europeo e da socialista sono veramente lieto che lei si sia impegnato ad attuare una strategia per la regione del Danubio e una strategia per i rom a livello europeo; da cittadino romeno, apprezzo il sostegno che la sua Presidenza intende offrire al mio paese e alla Bulgaria per l’adesione allo spazio di Schengen.
L’esordio della Presidenza ungherese è stato però oscurato dagli infuocati dibattiti su una legge vergognosa che intacca i valori fondamentali dell’Unione. Questa legge sembra scritta sotto l’influenza politica di Horthy o Kádár, di Antonescu o Ceauşescu; essa macchia la credibilità e il prestigio dell’Ungheria in quanto Stato membro dell’Unione europea e costituisce un’umiliazione per il popolo ungherese, universalmente ammirato per il suo attaccamento alla libertà. Questa legge è stata aspramente criticata dai due principali governi dell’Unione europea, quello tedesco e quello francese, che appartengono entrambi alla sua famiglia politica. L’hanno criticata pure alcuni colleghi del gruppo PPE, che non mi sembra rischino l’espulsione dal gruppo.
Non possiamo accettare che questa tendenza continui.
Wim van de Camp (PPE) . – (NL) Signora Presidente, grazie al dibattito sulla legge ungherese sui medi, ora in Europa tutti sanno chi detiene in questo momento la Presidenza dell’Unione europea; in passato non sempre è stato così. Mi sembra uno sviluppo positivo il fatto che il Primo ministro abbia sottoposto la legge alla Commissione europea; attendiamo ora con fiducia il parere della Commissione.
Passiamo alle quattro priorità della Presidenza ungherese. Crescita e posti di lavoro. In primo luogo, gli oneri amministrativi che gravano sulle piccole e medie imprese; quale azione specifica intende avviare in proposito? L’agenda digitale: la Cina non starà ad aspettare che l’Europa annulli le distanze. La seconda priorità è un’Europa più forte. Attualmente in Europa abbiamo l’acqua alla gola, e non parlo dell’innalzamento del livello del mare, bensì del livello dei fiumi: il Reno, il Po e la Mosella. Le sarò grato se vorrà considerare con attenzione anche questo problema.
Ancora, un’Europa vicina ai cittadini: quali iniziative prenderemo su Schengen, la Romania e la Bulgaria, e l’adesione della Croazia?
Infine, signora Presidente, l’Ungheria ha imposto una imposta d’emergenza sulle imprese degli altri paesi. Questa imposta è incompatibile con il mercato interno; quando verrà abolita?
PRESIDENZA DELL’ON. BUZEK Presidente
László Tőkés (PPE) . – (HU) Signor Presidente, per quanto riguarda la legge sui media mi permetta di tracciare il seguente parallelo: nel 1956, la maggioranza dei partiti comunisti occidentali, insieme a un vasto numero di intellettuali della sinistra liberale occidentale, condannò i rivoluzionari ungheresi, difendendo contro di loro i bolscevichi sovietici. Mutatis mutandis, anche oggi sta accadendo qualcosa di simile. Molti dei nostri colleghi occidentali, socialisti e liberali, si schierano con un partito di ex comunisti e pseudoliberali contro la vera forza che ha promosso il cambiamento di regime, i seguaci dello scomparso József Antall, i combattenti per la libertà di Viktor Orbán. Ciò emerge chiaramente nel contesto della legge sui media. Onorevoli colleghi, evitiamo di confondere gli antichi paladini ed eredi del passato, gli ex comunisti, con una sinistra vera e credibile; le due cose non coincidono affatto. Ai suoi tempi, anche Albert Camus dovette riconoscere l’autentica natura dello stalinismo sovietico, e si schierò dalla parte della rivoluzione ungherese.
Hannes Swoboda (S&D) . – (DE) Signor Presidente, primo ministro Orbán, concordo con lei su tre punti. Il primo è la questione della Croazia; noi adottiamo l’identico approccio e speriamo di riuscire a individuare una soluzione insieme al suo ministro degli Esteri. Il secondo concerne l’importanza dell’integrazione dei rom, e il terzo riguarda il significato europeo della rivoluzione ungherese.
Io sono austriaco, e sono nato nei pressi del confine con l’Ungheria. Allora mi rendevo conto di quel che stava avvenendo, anche se mi trovavo, evidentemente, dalla parte migliore della frontiera; fui incaricato di insegnare il tedesco a due compagni di classe. Conosco benissimo il significato della rivoluzione; ma si trattò di una rivoluzione contro la smania di potere, contro il monopolio del potere; era una rivoluzione che voleva portare la libertà, compresa la libertà di stampa.
Primo ministro Orbán, la prego, rifletta ancora e si chieda se questa legge rispetta veramente il significato, lo spirito e gli obiettivi della rivoluzione ungherese. Se la paragona a quegli obiettivi, riuscirà a redigere una legge migliore. La invito perciò ancora una volta a meditare la possibilità di redigere una legge migliore, conforme alla rivoluzione ungherese e allo spirito di quella rivoluzione.
(Applausi)
Ivo Vajgl (ALDE) . – (SL) Signor Presidente, vorrei rivolgere qualche parola di incoraggiamento e sostegno alla Presidenza ungherese e all’Ungheria, paese che ha ottimi rapporti di vicinato con la Slovenia e con il quale abbiamo molte cose in comune. Vorrei inoltre sostenere le principali priorità della sua Presidenza come lei ce le ha esposte oggi, Primo ministro Orbán.
L’Ungheria può contribuire in misura notevole a consolidare ulteriormente la stabilità della regione in cui tutti viviamo, e in particolare a far sì che la regione intera aderisca a valori moderni e guardi al futuro.
Proprio per questo vorrei darle un suggerimento che lei forse non gradirà: a mio avviso sarebbe opportuno, da parte sua, lasciare che il trattato del Trianon resti relegato nel passato. Non lo usi come pretesto per molestare i vicini o riaprire vecchie ferite; ognuno deve imparare a convivere con la propria storia.
Emilie Turunen (Verts/ALE) . – (DA) Signor Presidente, vorrei soffermarmi su una questione cui questa mattina la nostra Assemblea ha già dedicato grande attenzione: la legge ungherese sui media. Questo tema, Primo ministro Orbán, non riguarda l’Ungheria o la politica interna ungherese; stiamo parlando invece dei diritti fondamentali dell’Unione europea e della nostra credibilità agli occhi del resto del mondo. La libertà di stampa sarà a rischio in tutta l’Unione, se l’Ungheria istituisce un’autorità per i media di nomina politica che avrà il potere di infliggere multe pesantissime.
Primo ministro Orbán, io appartengo a una generazione di giovani europei che forse ha dato per scontata la libertà di stampa, ma oggi devo constatare che essa non è un dato acquisito. Sono lieta che lei abbia promesso di rivedere la legge, qualora essa contrasti con la legislazione e i trattati dell’Unione europea; sono convinta che, anche in questa fase, lei possa tornare in patria per compiere le modifiche in questione. È un suo dovere nei confronti di coloro che si sono battuti per i diritti fondamentali e la libertà di stampa; ed è un dovere che lei ha anche nei confronti della mia generazione, che non ha mai conosciuto realtà differenti. Sono convinta che il nostro dovere sia quello di costruire la democrazia in Europa, non di distruggerla.
Othmar Karas (PPE) . – (DE) Signor Presidente, rafforzare l’Europa significa anche rafforzare la Commissione ed estendere la rete di sicurezza, sia dal punto di vista finanziario, sia da quello dei contenuti; significa rafforzare la democrazia europea, ossia l’Europa comunitaria. Il processo di rafforzamento dell’Europa comincia a casa; ci aiuti a europeizzare la politica interna e a scongiurare che l’Europa venga indebolita dal nazionalismo.
Se desideriamo rafforzare l’Europa, Primo ministro Orbán, dobbiamo irrobustire i nostri tratti comuni e ridurre i punti deboli. I nostri punti di forza comprendono lo stesso sistema giuridico, gli stessi valori, le stesse libertà, il metodo comunitario, il mercato interno con le quattro libertà e la moneta unica. I partiti sono unicamente uno strumento della democrazia e non il contrario. I nostri punti deboli sono invece il nazionalismo, l’egoismo, la polarizzazione e il protezionismo. Sfruttiamo questi sei mesi per rafforzare l’Europa e l’Europa comunitaria.
Maroš Šefčovič, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, desidero in primo luogo ringraziare il Primo ministro Orbán che ci ha presentato un programma assai ambizioso. Ringrazio anche gli onorevoli deputati per l’avvincente dibattito e per l’intenso scambio di vedute.
A mio avviso il dibattito democratico è il metodo migliore per trovare le soluzioni più adatte all’Europa. C’è però una condizione: gli interlocutori devono avere un obiettivo comune. A mio avviso abbiamo un obbiettivo siffatto, poiché la maggioranza di noi, in quest’Aula, auspica un’Europa più forte. Il motto scelto dalla Presidenza ungherese è quindi assai valido e opportuno. A nome della Commissione desidero perciò sottolineare che dobbiamo sostenere gli obiettivi della Presidenza ungherese.
Come è chiaramente emerso dal dibattito, questo semestre dovrà affrontare una serie di ardui compiti. Dobbiamo introdurre la governance economica, individuare soluzioni per la crisi del debito sovrano e applicare assai più rapidamente la strategia Europa 2020; per ricordare solo alcuni degli obiettivi in campo economico. Apprezziamo vivamente, in ogni caso, l’attenzione che la Presidenza ungherese intende dedicare alla ricerca di una soluzione migliore per l’integrazione dei rom e alla strategia per la regione del Danubio.
Vorrei soffermarmi sulla questione di un’integrazione più efficace dei rom nell’Unione europea. Come sapete, abbiamo avviato un vastissimo programma di sensibilizzazione e promozione del dialogo coordinato, negli Stati membri, sulle opportunità offerte dai fondi dell’Unione europea. Dopo l’Ungheria nel 2009 e la Romania nel 2010, quest’anno al centro del programma saranno Slovacchia e Bulgaria. Spero che, insieme a lei e alla Presidenza ungherese, ad aprile saremo in grado di presentare il nuovo quadro dell’Unione europea per le strategie nazionali di integrazione dei rom.
Vorrei soffermarmi sulle osservazioni dell’onorevole Cohn-Bendit, perché stimo importantissimo, in questo momento, dimostrare esplicitamente che l’Unione europea è schierata dalla parte della Tunisia e del suo popolo. In particolare, desidero rendere omaggio all’intrepida abnegazione di cui i tutti i tunisini hanno dato prova negli ultimi giorni. Sono certo che l’Unione sosterrà la volontà di pace e democrazia del popolo tunisino.
Il nuovo governo unitario dovrà veramente rappresentare le aspirazioni della società tunisina; dovrà condurre il paese in un processo di transizione pacifica e democratica e organizzare nuove elezioni. Assicuro al Parlamento che siamo pronti a fornire immediata assistenza per preparare e organizzare il processo elettorale e coadiuvare costantemente un’autentica transizione democratica. In caso di richiesta, siamo pronti anche a offrire alle autorità tunisine l’assistenza indispensabile in caso di necessità urgenti.
Per rispondere a chi chiede alla Commissione di agire immediatamente in merito alla legge sui media, informo gli onorevoli deputati che le nostre discussioni a livello politico e di esperti con le autorità ungheresi continuano intense. La Commissione questa settimana invierà una lettera di chiarimenti a Budapest per chiedere ulteriori spiegazioni. Ribadisco che stiamo agendo con rapidità estrema, considerata la complessità della questione. Devo poi ripetere quanto ha già osservato il Presidente Barroso: giudichiamo assai incoraggiante l’impegno politico del Primo ministro Orbán a correggere la legge, se necessario.
Nutriamo piena fiducia che l’Ungheria adotterà tutte le misure necessarie a garantire che l’applicazione della nuova legge sui media avvenga nel pieno rispetto dei valori europei in materia di libertà dei media e della pertinente legislazione dell’Unione europea, oltre che della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. A tale proposito la Commissione agirà in piena conformità del proprio ruolo di custode dei trattati.
Concludo affermando la nostra piena fiducia nell’entusiastico impegno della Presidenza ungherese. Abbiamo constatato la serietà con cui le autorità ungheresi si sono preparate al loro compito, per svolgere con grande energia il lavoro della Presidenza in questo importante semestre. Insieme, ne siamo convinti, potremo portare avanti il progetto europeo; e sono certo che il Parlamento europeo sosterrà tale opera, svolgendo il suo ruolo in uno spirito di leale cooperazione. Nel corso di questo semestre sarà ovviamente necessario compiere progressi decisivi nelle nostre priorità principali.
Auguro ogni successo alla Presidenza per i prossimi sei mesi. Siamo ansiosi di lavorare insieme per il bene dell’Europa.
(Applausi)
Viktor Orbán, Presidente in carica del Consiglio. – (HU) Signor Presidente, in primo luogo desidero ringraziare i deputati che ci hanno onorato dei loro interventi nel corso del prezioso e stimolante dibattito odierno; un dibattito troppo denso di spunti per rispondere alle argomentazioni proposte in una breve replica di un minuto. Rispetterò il limite di tempo, ma non posso rinunciare a rispondere ad alcune domande.
Per prima cosa indosserò le vesti di Primo ministro ungherese. Permettetemi di esprimere sorpresa per la circostanza che un così gran numero di persone serie e rispettabili, come quanti sono intervenuti, abbiano commesso errori di fatto. Sarebbe inopportuno e imbarazzante, non solo per voi ma anche per me, se io dovessi fare l’elenco completo di tutti gli errori di fatto che gli intervenuti – a cominciare dall’onorevole Schulz – hanno commesso riferendosi alla legge ungherese sui media e alla democrazia nel nostro paese. Solo per dare un’dea chiara dell’entità dei vostri errori di fatto, permettetemi un unico esempio: la legge ungherese sui media non può punire l’informazione poco equilibrata, né infliggere per questo sanzioni pecuniarie. Quindi, contro che cosa protestate? E l’elenco potrebbe continuare a lungo. Esprimo quindi il mio rammarico nel vedervi così malamente ingannati e fuorviati; mi rendo conto ora che, nel corso di questa discussione, non potrò neppure sperare in un trattamento equo, e dovrò invece confidare che il Parlamento europeo sia in grado di formarsi un’opinione imparziale e obiettiva, che peraltro personalmente sarò lieto di accettare; proseguirò poi conformemente alla procedura stabilita.
Vi faccio presente, nondimeno, che giudico validissima l’osservazione formulata dall’onorevole Schulz: la Presidenza ungherese sarà giudicata non sulla base del programma presentato, ma su quella dei risultati ottenuti. Mi limito a suggerirvi di applicare lo stesso criterio alla legge ungherese sui media, che ora è in vigore da qualche settimana. Sarò lieto di inviarvi estratti in tedesco dei quotidiani ungheresi, e potrete constatare che gli infuocati discorsi dell’onorevole Cohn-Bendit sono solo un innocente cinguettare di bimbi, rispetto a ciò che viene pubblicando la stampa ungherese. Questo per quanto riguarda la correttezza dei dati di fatto.
D’altra parte, vorrei ricordare ai critici della legge sui media che ormai viviamo nel ventunesimo secolo. Come potete pensare che in Ungheria – o in qualsiasi altro paese europeo – sia possibile sopprimere la libertà di opinione nell’era di Internet? Nel corso della campagna elettorale in Ungheria, abbiamo vinto le elezioni in gran parte grazie a Internet e Facebook, che sono privi di controlli di sorta. Come potete pensare che, nel ventunesimo secolo, sia possibile limitare il libero flusso delle opinioni? Constato con sconcerto che vivete ancora, in larga misura, immersi nel passato.
Analogamente, vorrei mettere in rilievo un altro punto di qualche interesse: la legge sui media che voi criticate ha abrogato la legge sulla stampa adottata nel 1986, durante il regime comunista, la quale – fino all’entrata in vigore della nuova legge – consentiva di far chiudere un giornale semplicemente eliminandolo dal registro. Nel corso degli ultimi vent’anni nessuno si è mai lamentato di questa disposizione, che pure era estremamente antidemocratica. Suggerisco quindi di continuare questo dibattito nello spirito della ragione e di argomentazioni razionali.
Inoltre, onorevoli deputati, vorrei comunicarvi che, contrariamente all’opinione espressa da alcuni in questa sede, l’Ungheria si accinge a ricostruire lo Stato di diritto. Vi faccio notare – anche se questo tema, all’epoca, non è mai stato al centro dei vostri dibattiti – che negli anni passati i servizi segreti ungheresi sono stati utilizzati a scopi politici; su queste vicende sono in corso procedimenti giudiziari. In Ungheria, la polizia ha avuto l’ordine di usare la violenza contro pacifiche dimostrazioni di massa; su queste vicende sono in corso procedimenti penali. In Ungheria, l’informazione di interesse pubblico è stata falsificata; da questo deriva l’attuale condizione della nostra economia. Oggi in Ungheria lo Stato di diritto viene ripristinato, dopo una politica che lo stava smantellando ma che, per qualche motivo, non ha mai suscitato le vostre critiche. Seguendo il dibattito dedicato alla legge sui media, ho dovuto, purtroppo, concludere che le vostre obiezioni non riguardano tanto questa legge, quanto piuttosto il fatto che, con una manifestazione di solidarietà senza precedenti in Europa, il popolo ungherese ha concesso una maggioranza dei due terzi a una forza politica del paese. Si tratta, senza dubbio, di un fenomeno stimolante e interessante che, ne sono convinto, si potrà utilizzare a vantaggio di tutta Europa.
Dal momento che l’onorevole Lambsdorff ha formulato anch’egli un’osservazione di carattere personale, consentitemi di rispondere anche a lui. Onorevole Lambsdorff, le parlo da europeo a europeo, da ungherese a tedesco: la vostra legge sui media non è minimamente più democratica della corrispondente legge ungherese, e se lei contesta tale affermazione, lo faccia per favore in un dibattito obiettivo. E non accetterò che nessuno – tedesco o di altra nazionalità – metta in dubbio l’impegno democratico del popolo ungherese solo perché abbiamo vissuto per quarant’anni in un regime dittatoriale.
Naturalmente la legge sui media si può e si deve criticare – lo accetto come un dato naturale – ma non si può insultare una nazione. Affermo nettamente che mettere in dubbio l’impegno democratico del popolo ungherese e del governo ungherese significa insultare il popolo ungherese… (interruzioni, applausi). Permettetemi di ricordare l’affermazione che accusava l’Ungheria di avviarsi a diventare una dittatura; ero presente e l’ho sentito con le mie orecchie. Contro che cosa protestate? Ero presente e l’ho sentito con le mie orecchie! Mi avete minacciato, accusando l’Ungheria di avviarsi sulla strada della dittatura. Cosa sono queste parole se non un insulto al popolo ungherese? Io – devo dirlo chiaramente – sarò sempre pronto a levarmi in difesa della mia patria, l’Ungheria. Qui non si tratta di leggi sui media!
Passando ora ai problemi europei, indosserò, se me lo consentite, le mie altre vesti. Giudico assai importante il tema del mercato obbligazionario, cui ha fatto riferimento l’onorevole Verhofstadt, e aggiungo che la Presidenza ungherese ritiene necessaria e inevitabile, nel lungo periodo, la formazione di un mercato obbligazionario. Sosteniamo quindi le politiche europee che conducono in questa direzione l’Ungheria, gli Stati membri dell’UE che fanno parte dell’area dell’euro e l’intera Unione europea. Sottolineo comunque un particolare: dobbiamo convincere i nostri governi, i governi nazionali, che non devono utilizzare la formazione di un mercato obbligazionario europeo come pretesto per lesinare sulle riforme strutturali. Dobbiamo perciò dapprima intraprendere le necessarie riforme strutturali, e in seguito, a mio avviso, sarà possibile introdurre il mercato obbligazionario.
Per quanto riguarda il problema della Tunisia, sottolineo che siamo in costante consultazione con l’Alto rappresentante per la politica estera; sosteniamo tutte le spinte e i movimenti democratici anche al di fuori d’Europa, e insieme con l’Alto rappresentante lo dimostreremo in maniera adeguatamente decisa. Non dobbiamo però contrapporre tale questione alle tendenze globali di persecuzione dei cristiani; in realtà occorre affrontare entrambi i problemi.
Infine, onorevoli deputati, molti oratori hanno manifestato preoccupazione per il turbolento esordio della Presidenza ungherese, che potrebbe nuocere alla nostra Presidenza dell’Unione europea. Consentitemi di farvi notare che tutto questo dipende interamente da voi. Da parte nostra siamo pronti – e io personalmente sono pronto – a seguire e incoraggiare entrambi i fili conduttori di questo dibattito nel corso della Presidenza ungherese. Se quindi nel corso della nostra Presidenza riterrete opportuno discutere sia le politiche ungheresi che quelle comunitarie, dichiaro subito che siamo pronti ad affrontare tale dibattito, e che la situazione non ci imbarazza affatto. Ovviamente non ci entusiasma neppure; non ci entusiasma che le critiche rivolte all’Ungheria si mescolino alle questioni di politica europea, ma la cosa non ci sembra innaturale. Anche l’Europa è governata democraticamente, e noi partecipiamo a dibattiti democratici.
Non ho mai pensato che la Presidenza ungherese potesse assumere l’aspetto di una marcia trionfale, o di un concorso di bellezza in cui le modelle sfilano in passerella e il pubblico applaude. Non ho mai nutrito tale illusione! So benissimo che ci attendono ardue discussioni politiche. Vi sono preparato, qualunque sia il tema, e vi posso garantire che l’Ungheria e la Presidenza ungherese hanno forza sufficiente per condurre in porto la discussione sui temi ungheresi e su quelli europei con serietà ed energia adeguate; nessun attacco in materia di politica interna o affari ungheresi ci distoglierà dal perseguire priorità e programmi europei, e dal condurre al successo la Presidenza. Il mio obiettivo è quello di trasformare questo semestre, che si presenta come uno dei più difficili finora vissuti dall’Unione europea, in uno dei suoi più lusinghieri successi. Vi ringrazio per avermi onorato della vostra attenzione.
Presidente . – Ai sensi del regolamento, gli interventi per fatto personale si possono effettuare alla fine della discussione. L’onorevole Schulz ha chiesto di poter intervenire in tal senso.
(Mormorii di dissenso)
Onorevoli colleghi, stiamo seguendo il regolamento che abbiamo adottato insieme.
Martin Schulz (S&D) . – (DE) Signor Presidente, Primo ministro Orbán, lei mi ha chiamato in causa personalmente, e si è rivolto direttamente anche ad alcuni altri deputati di quest’Assemblea. Vorrei condividere con lei alcune riflessioni, che la potranno accompagnare nei prossimi sei mesi, relative ai commenti sul popolo ungherese e a lei stesso come rappresentante del popolo ungherese. L’onorevole Cohn-Bendit ha descritto nella sua biografia il rapporto che lo lega al popolo ungherese. Il mio gruppo annovera alcuni deputati al Parlamento europeo che sono stati rinchiusi nelle carceri comuniste; nel mio gruppo c’è anche un deputato, l’onorevole Martínez Martínez, che in Spagna ha subito torture per la sua opposizione al regime franchista. Abbiamo tutti un dovere – lei e tutti noi che sediamo in quest’Aula – cioè quello di difendere la democrazia, per esempio anche contro coloro che oggi stanno rumoreggiando.
Chi critica una legge non insulta certo il popolo ungherese. Di una cosa può essere sicuro: i deputati della sinistra di quest’Assemblea, e il mio gruppo in particolare, le garantiscono che valori come libertà, democrazia e giustizia sono i nostri valori comuni. Se riteniamo che una legge non rispetti tali valori, allora critichiamo la legge, ma ciò non significa affatto che stiamo criticando il popolo ungherese.
(Applausi)
Se facciamo tesoro di questa esperienza, primo ministro Orbán, riusciremo a ottenere un risultato che è indispensabile per noi e per lei. Non possiamo portare l’Europa al successo se la smembriamo. Il progetto europeo avrà successo solo se gli Stati membri, nella loro sovranità, e l’Unione, nella sua dimensione comunitaria, sapranno collaborare. Non contrapponga i due elementi. Nei prossimi sei mesi lei ricoprirà il ruolo di Presidente in carica del Consiglio; vogliamo che lei si unisca a noi nella difesa dei valori europei, non che contrapponga l’Ungheria all’Unione europea.
(Applausi)
Presidente . – La ringrazio, onorevole Schulz. Signor Primo ministro, grazie per il suo intervento e la sua partecipazione. Onorevole Cohn-Bendit, desidera anche lei intervenire per fatto personale?
Daniel Cohn-Bendit (Verts/ALE) . – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, nella storia vi sono momenti – posso dirvelo in qualsiasi lingua – in cui certi limiti non si possono proprio superare.
Primo ministro Orbán, lei è giustamente orgoglioso del popolo ungherese, ma la democrazia ci rivolge un monito, da Tocqueville a tutti i teorici della democrazia: “la verità non è sempre dalla parte della maggioranza”.
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Presidente . – Onorevole Cohn-Bendit, deve trattarsi di un intervento per fatto personale.
Daniel Cohn-Bendit (Verts/ALE) . – (FR) Volete fare silenzio lassù? Quando il Primo ministro Orbán afferma in Aula …
(Rumori in Aula)
State mobilitando l’estrema destra? Fate bene.
Quando egli afferma in Aula che noi avremmo offeso il popolo ungherese, il suo è populismo nazionalistico; ossia vuole evitare di discutere il contenuto degli interventi, ma preferisce contrapporre gli interlocutori. Ciò è indegno dell’Unione europea, Primo ministro Orbán. Lei ci ha invitato a cena; ma ora ho perso l’appetito e non verrò a cena con lei. Il suo comportamento è stato indegno!
Gerard Batten (EFD) . – (EN) Signor Presidente, prendo la parola ai sensi del medesimo articolo, qualunque sia, appena utilizzato dall’onorevole Cohn-Bendit. Vorrei qualche spiegazione, e lei è assai più esperto di me per quanto riguarda il regolamento. L’unico articolo che, a quanto mi risulta, riguarda gli interventi per fatto personale è il 151, il quale stabilisce che gli oratori devono limitarsi a respingere affermazioni fatte nel corso della discussione con riferimento alla loro persona. In base a quale articolo è stato concesso all’onorevole Schulz di intervenire? E in base a quale articolo è stato concesso all’onorevole Cohn-Bendit di intervenire in queste circostanze? I deputati al Parlamento europeo sono tutti uguali, o alcuni sono più uguali degli altri?
(Applausi)
Presidente . – Onorevoli colleghi, il Primo ministro Orbán, in effetti, si è rivolto direttamente all’onorevole Schulz – sono questi i fatti – per lamentare una possibile offesa alla nazione ungherese. Sono state queste le sue parole.
I temi sollevati in Aula sono stati chiariti; manteniamo la dignità. La Presidenza ungherese ci ha offerto un’importante presentazione; abbiamo adottato il programma della Presidenza ungherese, lo abbiamo approvato e abbiamo ascoltato alcuni interventi assai concreti sulle iniziative che l’Ungheria si appresta a svolgere nel corso dei prossimi sei mesi. È stata una seduta estremamente importante per tutti noi; dimostriamo la nostra approvazione ancora una volta, e separiamoci con calma per attendere alle nostre rispettive occupazioni dopo il dibattito, poiché si è trattato di un dibattito di austera importanza. Ai sensi del regolamento, ho dato la parola ai colleghi che hanno chiesto di parlare per fatto personale. Ringrazio il Primo ministro Orbán per il suo discorso, per aver partecipato alla seduta e per aver presentato il programma della Presidenza ungherese.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Dominique Baudis (PPE), per iscritto. – (FR) Per i prossimi sei mesi lei terrà la Presidenza del Consiglio, e numerose sfide la attendono. Lei ha indicato come massima priorità l’uscita dalla crisi. Sono convinto che, nel corso della sua Presidenza, istituzioni e Stati membri continueranno una proficua collaborazione. Abbiamo il dovere di rendere permanenti i meccanismi di solidarietà e stabilizzazione che hanno già dato buona prova.
Per realizzare i nostri obiettivi, dovremo dedicarci anche alla riforma del sistema finanziario internazionale. In Europa siamo stati i precursori della regolamentazione e della vigilanza dei mercati finanziari. La presidenza francese del G20 è un’opportunità che non dobbiamo lasciarci sfuggire; l’Europa unita deve dare l’esempio ai suoi partner stranieri.
La politica europea di vicinato è uno strumento essenziale della politica estera dell’Unione, che ci consente di mantenere relazioni stabili con i nostri vicini. Il partenariato orientale, che costituisce una delle nostre priorità, non va comunque promosso a spese del partenariato mediterraneo; l’Unione per il Mediterraneo, il cui impeto si va indebolendo, è altrettanto meritevole della nostra attenzione, e l’Europa continua a sostenerla con decisione. Quali iniziative intende prendere per rinvigorirla?
Ivo Belet (PPE), per iscritto. – (NL) È un segno positivo il fatto che il Primo ministro ungherese si sia inequivocabilmente dichiarato disposto a rettificare la nuova legge sui media, se l’Unione europea dovesse richiederlo. La Commissione europea va ora posta in grado di operare in completa indipendenza; è l’unico modo per non lasciarsi invischiare nelle schermaglie tra partiti politici. Il pluralismo dei media e la libertà di stampa sono fondamentali valori europei; tutti gli Stati membri dell’Unione europea, non solo l’Ungheria, si sono formalmente impegnati a rispettarli. Tale principio è sancito dal trattato dell’Unione europea e il Consiglio d’Europa prevede in merito accordi formali. Confidiamo che il governo ungherese non lascerà spazio, in proposito, alla minima ambiguità.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Invio il mio saluto all’Ungheria, che ha appena iniziato la sua prima Presidenza dell’Unione europea. L’Ungheria, che prende il timone della Presidenza succedendo al Belgio, antico Stato membro, inizia questo compito in un momento alquanto burrascoso, poiché non tutti gli Stati membri stanno sperimentando una ripresa economica altrettanto positiva dalla crisi economica e finanziaria. Inoltre, per superare la crisi sarà necessario uno sforzo ancor più intenso, e quindi approvo le priorità indicate dall’Ungheria in materia di stabilizzazione economica europea, allargamento dell’Unione europea, energia e integrazione dei rom. Vorrei richiamare l’attenzione sulla necessità di rivedere urgentemente la direttiva sul congedo parentale, respinta dagli Stati membri, senza parlare poi delle incerte prospettive della direttiva antidiscriminazione, ancora bloccata in seno al Consiglio. Si tratta di leggi assai importanti per i cittadini europei, il cui futuro è quindi necessario decidere al più presto. Ancora, esorto il paese che detiene la Presidenza a prestare maggiore attenzione alla modernizzazione dell’istruzione superiore, che ha ripercussioni sull’occupazione giovanile. Mi rallegro che l’Ungheria abbia inserito la lotta alla povertà infantile tra le priorità del suo programma, ma esorto il paese che detiene la Presidenza ad adottare misure concrete in questo settore, e a cooperare con la Commissione europea per avviare una strategia o un intervento legislativo sulla povertà infantile. Auguro quindi all’Ungheria, per i sei mesi della Presidenza, un successo che comporti il miglioramento della situazione dei cittadini europei e ne tuteli diritti e libertà.
Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. – (EN) La legge sui media adottata dal parlamento ungherese contrasta palesemente con l’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che garantisce la libertà di espressione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni. L’organismo di vigilanza istituito da questa legge ungherese ha il compito di garantire che l’informazione giornalistica sia “equilibrata”; ciò potrebbe gravemente ostacolare la libertà di stampa e aprire la strada a sentenze arbitrarie. Inoltre, l’organismo di vigilanza è composto da membri eletti dell’unico partito al governo. Tale composizione non assicura certo l’obiettività delle decisioni dell’organismo, né la sua indipendenza, come autorità, dal governo ungherese. Esorto la Commissione europea a effettuare immediatamente un esame giuridico della legge in questione e, se necessario, ad agire per far sì che l’Ungheria modifichi la legge, conformandola ai valori fondamentali su cui si basa l’Unione europea.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Purtroppo, il Primo ministro Orbán ha avviato questo dibattito nel peggior modo possibile: ha iniziato il suo intervento con una filippica anticomunista, ha cercato di distogliere l’attenzione dalle sue gravi responsabilità per il peggioramento della situazione economica ungherese e per lo spaventoso aumento della disoccupazione e della povertà che attualmente colpisce il paese; d’altra parte, si è ben guardato dall’ammettere le violazioni della democrazia, della libertà di espressione, dei diritti sindacali e degli altri diritti sociali e del lavoro, insieme alle violazioni della libertà di stampa e dei diritti umani fondamentali.
Osserviamo con grande preoccupazione l’attuale evoluzione dell’Unione europea. La Presidenza ungherese non ha offerto alcuna risposta credibile a questi problemi, che affliggono anche altri paesi dell’Unione. Al contrario, il Presidente Orbán ha riaffermato posizioni autoritarie, insistendo sulla liberalizzazione dei mercati finanziari e sulle riforme strutturali necessarie per realizzare pienamente gli obiettivi del capitalismo al cui servizio opera la stessa Unione europea.
Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (S&D), per iscritto. – (PL) Nel 2011 lavoreremo a molti temi importanti, tra cui la direttiva sui diritti dei consumatori, la legislazione nel settore dei servizi finanziari e della proprietà intellettuale e i preparativi per la futura prospettiva finanziaria 2014-2020. Alla luce di tale situazione, mi auguro che la Presidenza ungherese e quella polacca, che la seguirà immediatamente, contribuiscano alla realizzazione di questi progetti specifici, trasformando la nostra antica amicizia in una proficua cooperazione nel quadro dell’Unione europea.
Malauguratamente, l’esordio della Presidenza ungherese è stato pesantemente guastato e oscurato dalla controversa legge sui media recentemente adottata nel paese. Dopo la lettera inviata a Bruxelles da una folta schiera di intellettuali europei, le istituzioni europee non potevano ignorare la questione. In base alle informazioni attualmente disponibili, sembra che alcuni articoli della legge ungherese – per esempio quelli riguardanti le procedure di nomina e scioglimento dell’Autorità nazionale sui media e le telecomunicazioni, ma anche quelli concernenti la sfera di competenze dell’organismo – siano tali da sollevare dubbi sull’indipendenza dei media del paese.
L’energica reazione del mio gruppo politico, il gruppo dell’Alleanza progressista dei socialisti e democratici al Parlamento europeo, non va peraltro intesa come una critica diretta alla nazione ungherese, bensì allo Stato che detiene la Presidenza dell’Unione europea. Il problema è urgente; è interesse dell’Ungheria e dell’intera Unione europea risolverlo senza indugio, per concentrarci immediatamente sui gravi e urgenti problemi con cui tutta l’Unione deve confrontarsi.
Robert Goebbels (S&D), per iscritto. – (FR) Il Primo ministro Orbán si proclama democratico; un democratico degno di rispetto deve accettare le critiche dirette al suo operato politico. Quando il Primo ministro ungherese interpreta qualsiasi critica alla sua politica come un attacco al popolo ungherese, commette un grave errore. Questo tentativo, pregno di nazionalismo, di sequestrare il dibattito, dimostra che le sue credenziali di democratico sono sospette.
Kinga Göncz (S&D), per iscritto. – (HU) Non si può negare che l’esordio della Presidenza ungherese sia stato turbolento. Mi auguravo che un convincente intervento introduttivo del Primo ministro ungherese a Strasburgo servisse a dissipare i timori; devo constatare con rammarico che non è stato affatto così. Il Primo ministro Orbán non si è presentato ai gruppi del nostro Parlamento come un leader politico europeo intenzionato a coagulare il consenso e a cercare un compromesso, bensì come un “combattente”, che riecheggiando motivi di nazionalismo populista si è vantato di “proteggere il popolo ungherese” da “attacchi”. In realtà, i deputati al Parlamento europeo non hanno insultato né il popolo né il Parlamento ungheresi; molte voci di aspra critica si sono invece levate contro le inquietanti misure adottate da Fidesz, tra le quali la legge sui media. Sono stati per lo più gli oratori euroscettici e di estrema destra a ricorrere a toni offensivi, scagliandosi, in una significativa alleanza, contro coloro che hanno criticato il governo ungherese. Noto con rammarico che gli attacchi sferrati dal governo in materia di Stato di diritto possono mettere a repentaglio l’attuazione del programma della Presidenza ungherese. Il corso che prenderanno gli eventi dopo un esordio così tempestoso non dipenderà – contrariamente al monito del Primo ministro Orbán – dal Parlamento europeo, bensì dalla volontà e dalla capacità di Fidesz e del suo leader di elaborare una politica rispettosa dei valori europei sia all’interno che sulla scena europea. In realtà il Primo ministro non può alternare due vesti – quella casalinga di capo del governo, e quella da indossare in Europa, come Presidente in carica del Consiglio – ma deve averne una sola: quella del politico che tiene costantemente presenti i principi e i valori da noi condivisi, ovunque si trovi.
Zita Gurmai (S&D), per iscritto. – (EN) Sono orgogliosa che il mio paese detenga attualmente la Presidenza del Consiglio. Il punto su cui vorrei soffermarmi non è lo scarso impegno democratico del governo Orbán, ma invece la totale assenza delle tematiche di genere dalle priorità della Presidenza.
C’è un solo riferimento degno di nota al problema; in un momento in cui le donne europee sono minacciate dai contraccolpi di una crisi economica devastante, la disoccupazione femminile cresce a ritmi vertiginosi e i governi conservatori tagliano i servizi sociali introducendo sistemi fiscali svantaggiosi, non è davvero molto. L’inclusione sociale, le sfide demografiche, eccetera: tutti argomenti importanti, ma le donne hanno bisogno di una valutazione separata perché hanno esigenze e problemi diversi da quelli degli uomini, nel mercato del lavoro, per quanto riguarda i sistemi pensionistici, sanitari e fiscali, e così via.
Chiedo all’Ungheria di non aver paura di usare l’influenza della Presidenza del Consiglio a rotazione a favore delle donne. Occorre far sì che il Consiglio adotti la direttiva sul congedo parentale così come il Parlamento l’ha votata; promuovere i diritti connessi alla salute sessuale e riproduttiva (a cominciare naturalmente dall’Ungheria); lavorare a un’attuazione della strategia Europa 2020 che tenga conto delle tematiche di genere; e svolgere opera di lobby per un bilancio dell’Unione europea sensibile alle tematiche di genere.
Ivailo Kalfin (S&D), per iscritto. – (BG) Mi congratulo con il Primo ministro Orbán per l’inizio della Presidenza ungherese dell’Unione europea. Le auguriamo tutti il miglior successo per la Presidenza; è comprensibile che tale desiderio sia particolarmente acuto nei nuovi Stati membri. Una delle priorità dichiarate della Presidenza ungherese è l’allargamento dello spazio di Schengen; questo tema riveste eccezionale importanza per i socialisti bulgari e per tutti i cittadini bulgari. Sin dal giorno dell’adesione all’Unione europea, il 1° gennaio 2007, le autorità bulgare si sono battute per rendere la Bulgaria affidabile come frontiera esterna dell’Unione europea; ora, all’inizio del 2011, tale missione è stata assolta quasi completamente. Mi attendo che la Presidenza ungherese faccia approvare una risoluzione del Consiglio europeo a favore dell’ingresso di Bulgaria e Romania nello spazio di Schengen entro la metà del 2011. Quando gli ultimi requisiti tecnici ancora in gioco saranno stati soddisfatti – cosa che avverrà nel giro di qualche settimana – il Consiglio europeo dovrà decidere di ammettere Bulgaria e Romania nello spazio di Schengen senza imporre ulteriori condizioni politiche.
Tunne Kelam (PPE), per iscritto. – (EN) Esorto la Presidenza ungherese a esaminare i problemi della libertà di circolazione nel settore dell’istruzione e del mercato del lavoro. Oggi il riconoscimento reciproco delle qualifiche ottenute negli istituti d’istruzione dei diversi Stati membri, così come delle esperienze maturate nei differenti mercati del lavoro, deve scontrarsi con numerosi ostacoli.
La situazione attuale: mentre la Commissione sta valutando i progressi nel campo dell’istruzione, invito la Presidenza ungherese ad assicurarsi che il problema venga affrontato seriamente anche in sede di Consiglio. Occorre convincere gli Stati membri ad accettare procedure semplificate per il riconoscimento dei titoli di studio, indipendentemente dal paese in cui sono stati ottenuti.
Mi rallegro per la volontà della Presidenza ungherese di stimolare la formazione di un sistema integrato di gasdotti europei che ponga fine all’isolamento di alcuni Stati membri, tra cui l’Estonia, la Lettonia e la Lituania.
Vorrei ricordare alla nuova Presidenza che il Parlamento europeo ha adottato due importanti documenti sulla sicurezza e la solidarietà energetica, che ora il Consiglio dovrà applicare. Spero che il Consiglio europeo di febbraio si accordi su una nuova strategia energetica europea, in cui dovrebbe rientrare anche un piano per la rete di connessioni energetiche del Mar Baltico.
Krzysztof Lisek (PPE), per iscritto. – (PL) sostengo senza riserve le priorità della Presidenza ungherese per il loro carattere europeo, che riflette gli interessi dell’intera Unione. Rappresento il paese che subentrerà nella Presidenza all’Ungheria, e vorrei dichiarare esplicitamente che siamo pronti a cooperare strettamente con la Presidenza ungherese. Una cooperazione valida agevolerà fluidi avvicendamenti della Presidenza nell’ambito del trio polacco-cipriota-danese.
Sono particolarmente lieto che l’Ungheria abbia dichiarato il proprio impegno a favore dello sviluppo del partenariato orientale e della politica europea di vicinato. Analogamente, esprimo la mia soddisfazione nel constatare che l’allargamento dell’Unione costituisce una delle priorità della Presidenza ungherese. Il fatto che Ungheria e Polonia sostengano posizioni tanto simili in materia di allargamento dell’Unione europea dovrebbe rappresentare un elemento di continuità, nel corso della Presidenza polacca, per quanto riguarda questo problema. Mi auguro che il Vertice del partenariato orientale previsto per maggio non si limiti a riassumere l’attuazione di queste iniziative nei due anni di esistenza del partenariato, ma produca risultati tangibili nei settori del commercio, dell’energia e dell’esenzione dal visto.
Analogamente alla Presidenza ungherese, anche la Polonia stima necessario elaborare un approccio comune in tema di libertà e giustizia, rendendo più rigorosa la protezione dei dati personali e promuovendo i diritti civili e i valori comuni in tutta l’Unione europea. Tra le priorità figura l’uso sostenibile delle risorse: questo tema si riallaccia agli obiettivi delle precedenti Presidenze spagnola e belga, e riflette altresì l’esteso impegno della Commissione in questo settore. È essenziale che le misure previste tengano conto della diversità di condizioni e potenziali che si registra negli Stati membri.
Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. – (RO) Mi congratulo con l’Ungheria per il suo programma che privilegia la crescita economica e la posizione dell’Europa a livello globale. Uno dei temi principali che figurano nel programma della Presidenza riguarda l’allargamento dello spazio di Schengen, con l’ammissione di Romania e Bulgaria. L’adesione allo spazio di Schengen è un impegno che la Romania si è assunta con pieno senso di responsabilità. Abbiamo compiuto un notevole sforzo per rendere sicura la frontiera esterna dell’Unione europea e – come confermano le relazioni sull’adesione del mio paese allo spazio di Schengen – la Romania è pronta ad applicare l’acquis di Schengen; essa va quindi valutata in maniera equa, seguendo gli stessi criteri utilizzati per gli Stati ammessi nello spazio di Schengen prima di noi. Su questo punto confido nel sostegno della Presidenza ungherese.
Marian-Jean Marinescu (PPE), per iscritto. – (RO) La ringrazio per essersi dichiarato favorevole all’allargamento dello spazio di Schengen a Bulgaria e Romania. Le sue osservazioni sui notevolissimi sforzi compiuti sono esatte; la Romania ha dato prova di grande impegno, sia in termini finanziari che dal punto di vista umano. I sistemi messi a punto con l’ausilio del gruppo franco-tedesco EADS sono i più avanzati dell’intera Unione europea. Sono fermamente convinto, per esempio, che la frontiera marittima della Romania sia protetta assai meglio delle frontiere analoghe di altri Stati membri dello spazio di Schengen.
Tutte le relazioni di valutazione sulla Romania sono positive; il paese ha soddisfatto tutti i requisiti dell’acquis di Schengen. È normale attendersi una risposta conforme alle normative dell’Unione, e in questo processo è necessario il sostegno della Presidenza ungherese.
Un altro punto importante del programma della Presidenza riguarda la promozione della strategia per la regione del Danubio. Questa strategia è un progetto comune all’interno del quale tutti i partner devono rispettare gli impegni assunti per garantirne il funzionamento e riuscire a realizzare gli obiettivi previsti. Occorre varare un programma per l’applicazione delle priorità strategiche che non implichi incrementi delle assegnazioni di fondi dalle linee di bilancio. Le risorse stanziate si devono integrare sia con il contributo degli Stati interessati, sia con la possibilità di ridistribuire fondi inutilizzati provenienti da altri segmenti.
Cristian Dan Preda (PPE), per iscritto. – (RO) Mi compiaccio che la Presidenza ungherese del Consiglio dell’Unione europea abbia inserito nel suo programma semestrale il sostegno all’ingresso di Romania e Bulgaria nello spazio di Schengen, in quanto concreto risultato di integrazione europea per i cittadini dell’Unione. Secondo il documento presentato dal Primo ministro Orbán, la Presidenza ungherese afferma: “desideriamo ammettere questi due Stati membri nello spazio di Schengen non appena essi avranno soddisfatto tutte le condizioni necessarie”. Tale dichiarazione giunge nel momento in cui le discussioni sull’ingresso nello spazio di Schengen dei due paesi – che hanno aderito all’Unione europea nel 2007 – sembra spostarsi dal piano strettamente tecnico a quello politico. Si parla di rinviare tale ingresso, benché i requisiti tecnici siano stati pienamente soddisfatti; per tale motivo, giudico necessario compiere uno sforzo per ricostruire un clima di fiducia. Il dialogo rimane quindi uno strumento indispensabile, in assenza del quale i cittadini europei della Bulgaria e della Romania continueranno a sentirsi esclusi e discriminati. Vogliamo veramente creare cittadini di seconda classe?
Joanna Senyszyn (S&D), per iscritto. – (PL) Lo sport è una delle priorità della Presidenza ungherese: ecco una notizia molto importante per il mondo dello sport e, soprattutto, per i milioni di europei che praticano sport e attività fisiche ricreative a livello di base. Nonostante il nuovo quadro giuridico, si sono registrati scarsi progressi verso il miglioramento delle condizioni di finanziamento per le iniziative sportive in Europa. Lo sport amatoriale viene trascurato nel dibattito pubblico e nella ricerca sociale, e il suo ruolo di prevenzione delle malattie e miglioramento delle condizioni e della qualità della vita dei cittadini europei è sottovalutato. Un regolare esercizio fisico è benefico da quattro punti di vista: vi sono benefici per la salute, benefici sociali, benefici economici e benefici politici. Lo sport amatoriale consente di realizzare numerosi obiettivi politici, tra cui la promozione della salute e della cultura, l’integrazione sociale, la lotta alla discriminazione, la riduzione della criminalità e la lotta alla tossicodipendenza. Lo sport contribuisce anche ridurre i costi dell’assistenza sanitaria.
Richiamo perciò l’attenzione della Presidenza ungherese sulla dichiarazione scritta del Parlamento europeo 0062/2010 su un maggiore sostegno dell’Unione europea a favore degli sport di base, di cui sono coautrice. Tale dichiarazione testimonia del nostro impegno a favore dello sport e del miglioramento della qualità della vita dei cittadini europei. In essa, invitiamo a dedicare la necessaria attenzione agli sport di base nella prossima comunicazione sullo sport e a garantire un finanziamento sufficiente del programma dell’Unione europea per lo sport. Un maggiore sostegno comunitario allo sport amatoriale incoraggerà altresì milioni di cittadini europei a condurre uno stile di vita più sano.
Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. – (PL) Il motto centrale della Presidenza nel suo complesso è “Un’Europa forte”. La crisi, e le decisioni prese finora a livello di Stati membri, hanno dimostrato che per superare le sfide che oggi ci attendono occorre più Europa, non meno Europa. Combattere la crisi, risolvere il problema del debito pubblico degli Stati membri e dare continuità alle misure miranti a garantire la stabilità dell’area dell’euro e rafforzare la governance economica: ecco le priorità che si impongono. La Presidenza ungherese conta sul “tocco umano”, e soprattutto sulla crescita dei livelli di occupazione. L’Europa vuol raggiungere la crescita sostenibile, che si può ottenere con gli strumenti della creazione di posti di lavoro e dell’inclusione sociale. Pensando alla necessità di migliorare la sicurezza degli approvvigionamenti di gas, dovremmo muoverci al più presto verso la creazione di una politica energetica comune. È quindi da apprezzare l’aspetto regionale che è dato scorgere nel programma di attività. Rientrano in questo quadro, tra l’altro, la strategia per la regione del Danubio, la strategia sui rom e i temi relativi al partenariato orientale. Vi sono poi i progetti per l’allargamento dello spazio di Schengen con l’inclusione di Romania e Bulgaria; si tratta di una questione di vitale importanza, poiché tutti gli Stati membri dovrebbero godere dei medesimi diritti. Si discute della possibile conclusione dei negoziati per l’adesione della Croazia durante la Presidenza ungherese. Una politica di allargamento responsabile deve recare stabilità, pace e coesione al continente europeo. Il lavoro intrapreso dalla Presidenza belga ha avuto come punto di riferimento l’Europa, nel senso più pieno del termine. Ciò non significa che l’approccio nazionale – che probabilmente verrà scelto dall’Ungheria – non possa armonizzarsi o debba addirittura contrastare con l’approccio comunitario.
Csaba Sógor (PPE), per iscritto. – (HU) A proposito della Presidenza ungherese, molti hanno criticato il tappeto che è stato usato come immagine della Presidenza, specialmente nella parte che raffigura una mappa degli eventi del 1848. La mappa riproduce gli eventi del 1848, e tra l’altro vuol simboleggiare il fatto che, già nel 1848, l’Ungheria si batteva per la libertà dei popoli europei (compresa la libertà di stampa). Come ungherese originario della Transilvania, oggi io sono cittadino romeno, e da cittadino di questo paese vorrei formulare alcuni commenti sul processo di allargamento dello spazio di Schengen. I dodici Stati membri più recenti hanno partecipato alla costruzione di un’Europa comune nella speranza di guadagnare gli stessi diritti e doveri degli Stati membri più antichi. Anche la Romania era convinta – dopo aver soddisfatto i criteri tecnici relativi – di poter entrare a far parte dello spazio di Schengen, che è un’area priva di confini interni, alla data prevista. Ora però corre voce che alcuni Stati membri intendano imporre ulteriori condizioni alla Romania, in aggiunta ai criteri già previsti. Chiedo alla Presidenza ungherese di fare ogni sforzo per garantire il rispetto delle norme comuni, e di ricordare a coloro che esprimono disaccordo le incalcolabili conseguenze negative di una tale decisione, poiché conservare la credibilità dell’Unione europea è nell’interesse di noi tutti, di tutti i 27 governi. Infine, una riflessione finale sul tappeto: il tappeto è un oggetto utile che ci rende un servizio, utile anche per pulirsi i piedi. Ciò significa che il motto della Presidenza ungherese, “Un’Europa forte”, rappresenta un servizio. Noi, le minoranze della Romania, della Slovacchia e dell’Europa, saremo partner in questo servizio.
Michèle Striffler (PPE), per iscritto. – (FR) La Presidenza ungherese giunge in un momento cruciale per l’Europa, mentre alcuni Stati membri sono ancora alle prese con una grave crisi economica e sociale. La stabilità dell’euro deve costituire una delle priorità della Presidenza ungherese, e non dubito che il Consiglio farà ogni sforzo per combattere la speculazione monetaria e compirà notevoli progressi nella governance economica europea.
In secondo luogo, mi auguro che la Presidenza ungherese si impegni al massimo per definire – insieme alle altre istituzioni europee – un’autentica strategia europea per l’inclusione dei rom. L’applicazione di una strategia di tal genere mi sta particolarmente a cuore, e mi auguro che la Presidenza ungherese affronti il problema.
Esprimo infine solidarietà al governo ungherese per la controversia che ha infiammato i primi giorni della sua Presidenza, e in particolare per la legge sui media. Nessuno dubita che l’Ungheria sia una democrazia, e il Primo ministro Orbán si è dichiarato pronto a modificare la legge, se la Commissione dovesse registrare qualsiasi incompatibilità con il diritto europeo. Invito tutti a comportarsi in maniera responsabile e a porre fine a questa inutile polemica.
Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. – (PT) Mentre l’Ungheria assume la Presidenza dell’Unione europea, la crisi economica e finanziaria non accenna a placarsi. I temi fondamentali del programma dell’ultimo paese del trio di Presidenze, di cui hanno fatto parte anche Spagna e Belgio, sono la ripresa economica, l’integrazione dei rom, una strategia energetica, il processo di allargamento e il coinvolgimento dell’opinione pubblica nel progetto europeo. Dal punto di vista della ripresa economica, il programma giudica essenziali l’istituzionalizzazione del meccanismo di stabilizzazione finanziaria nonché il semestre europeo. A mio avviso il rafforzamento della cooperazione e del coordinamento a livello economico è uno strumento importantissimo per promuovere la competitività e l’innovazione europee, e quindi per prevenire e/o prevedere le crisi future. Sarà adottata la nuova strategia per i trasporti 2011-2020, insieme alle modifiche alla direttiva sulla rete dei trasporti che si renderanno necessarie per garantire il mercato interno e la coesione sociale, economica e territoriale. Si discuteranno anche altri argomenti, come il trasporto su strada, la navigazione sui fiumi dell’Unione europea e l’applicazione del sistema Galileo. Ancora una volta, la politica regionale appare il perno dell’intera strategia ungherese, in grado di fornire risposte integrate alla crisi economica e agli squilibri regionali. La distribuzione del quadro finanziario pluriennale per il periodo successivo al 2014 sembra essere, per la Presidenza ungherese, il tema centrale del dibattito.
Silvia-Adriana Ţicău (S&D), per iscritto. – (RO) La Presidenza ungherese del Consiglio dell’Unione europea si è posta come obiettivo di fondo il rafforzamento degli aspetti istituzionali, economici, sociali e politici dell’Unione europea. La Presidenza ungherese del Consiglio si è impegnata pure ad adottare e applicare la strategia dell’Unione per la regione del Danubio; quest’elemento sarà particolarmente importante per tutti gli Stati che si affacciano sul Danubio e contribuirà a consolidare il processo di integrazione europea nella regione dei Balcani occidentali.
Attendiamo con interesse la pubblicazione del “Libro bianco sulla politica europea dei trasporti per il 2011-2020”, un settore fondamentale per lo sviluppo economico e la coesione sociale ed economica dell’Unione.
Dal momento che sono già iniziati i dibattiti sulla futura prospettiva finanziaria, invitiamo la Presidenza ungherese ad affrettare le discussioni in sede di Consiglio relative a tale documento, in modo che il processo di revisione delle reti di trasporto transeuropee possa tenere conto del risultato di tali discussioni.
Dato che, tra gli abitanti dell’Unione europea, una persona su sei è esposta al rischio di povertà, invitiamo il Consiglio ad annoverare la riduzione della povertà tra le priorità principali, adottando in tal senso misure specifiche.
Apprezzo pure l’intenzione della Presidenza ungherese di elaborare un accordo politico sull’istituzione di un quadro europeo per l’integrazione dei rom, nonché l’intenzione della Presidenza di attuare la strategia europea sulla disabilità.
Rafał Trzaskowski (PPE), per iscritto. – (PL) Un’Europa forte, l’istituzione di un’efficace governance economica nell’Unione europea, il riavvicinamento con i paesi limitrofi all’Unione: sosteniamo la Presidenza ungherese nel suo lavoro in vista di tali priorità. Per noi, è altrettanto importante che la Presidenza ungherese intenda collaborare da vicino con il Parlamento europeo. Vorrei mettere in luce anche un altro punto, da deputato che si occupa di questioni istituzionali e insieme da rappresentante del paese che prenderà il timone dell’Unione europea avvicendandosi all’Ungheria. La Presidenza ungherese è estremamente importante, non solo per le sue priorità, che coincidono con quelle della Polonia, ma anche perché è ancora una Presidenza di transizione. Il trattato di Lisbona ha indebolito il ruolo della Presidenza, ma tale ruolo non è stato ancora pienamente delineato; questa è l’ultima occasione per farlo. La gamma di strumenti di cui in seguito potranno disporre i polacchi dipenderà dal posto che la Presidenza ungherese riuscirà a ritagliarsi in quel rompicapo istituzionale che è l’Unione europea. Per questa ragione, seguirò con interesse ancor più vivo il lavoro di questa Presidenza.
Angelika Werthmann (NI), per iscritto. – (DE) L’Ungheria prende il posto del Belgio alla Presidenza del Consiglio. Questi due Stati membri non potrebbero essere più differenti: l’uno è la sintesi del tradizionale Stato europeo, l’altro è un paese che sta cercando ancora di trovare un posto in Europa. Mi auguro che la Presidenza ungherese segua la rotta tracciata dal Belgio, fermamente indirizzata verso gli interessi generali dell’Europa. La Presidenza ungherese ha presentato un’articolata ed esauriente lista di priorità; come mezzo per avvicinare l’Europa ai cittadini, l’Ungheria si è prefissa l’obiettivo di dare attuazione alla Carta dei diritti fondamentali. Circostanza interessante, se si considera che attualmente l’Ungheria è sotto il fuoco delle critiche internazionali per la sua nuova legge sui media, che contrasta palesemente con l’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Come membro a pieno titolo della Commissione per i bilanci, sono particolarmente interessata agli sviluppi che riguardano l’irrigidimento della vigilanza finanziaria e il meccanismo permanente di gestione delle crisi. Il Belgio ha dato il buon esempio, dedicando un’attenzione particolare ai temi sociali; speriamo che l’Ungheria ne segua le tracce.
6.8. Accordo di stabilizzazione e di associazione tra la CE e la Serbia (B7-0021/2011) (votazione)
– Prima della votazione sull’emendamento n. 4:
Ulrike Lunacek (Verts/ALE). – (EN) Signora Presidente, vorrei presentare un emendamento orale a questo emendamento n. 4, a nome mio e dell’onorevole Brantner, cassando l’ultima parte. La dicitura sarebbe: “Invita la Serbia ad avviare un dialogo con il Kosovo astenendosi da ulteriori riferimenti a nuovi negoziati sullo status di quest’ultimo”.
Spero di poter contare sul vostro sostegno in merito.
Bernd Posselt (PPE). – (DE) Signora Presidente, in questo contesto vorrei segnalare che voteremo a favore di questo punto.
(L’emendamento orale è accolto)
– Prima della votazione sull’emendamento n. 8:
Jelko Kacin (ALDE). – (EN) Signora Presidente, data l’importanza dei diritti umani, vorrei che si tenesse una votazione per appello nominale sull’emendamento n. 8, che riguarda la decisione sorprendente e infausta del governo serbo di non partecipare alla cerimonia di consegna del Premio Nobel per la pace a Oslo. Al tempo stesso, l’emendamento elogia la decisione del mediatore serbo di presenziare alla cerimonia in rappresentanza del popolo serbo. Il messaggio è rivolto alla Serbia e a tutti i paesi candidati futuri: sui diritti umani non si accettano negoziazioni.
Al fine di ottenere un più ampio sostegno a questo emendamento, vorrei anche sottoporre un emendamento orale brevissimo – principalmente di compromesso – preparato in origine dall’onorevole Koppa. Vorrei aggiungere il termine “iniziale” tra “la decisione” e “del governo”, in modo che la dicitura sia “deplora la decisione iniziale del governo di non partecipare alla cerimonia di consegna del Premio Nobel per la pace a Oslo, il 10 dicembre, pur elogiando l’iniziativa del mediatore di presenziare alla cerimonia, essendo questa una decisione responsabile e lodevole”.
Esorto tutti i miei colleghi a sostenere questo emendamento.
(L’emendamento orale non è accolto)
(Il Presidente accoglie la richiesta di votazione per appello nominale)
6.9. Accordo di stabilizzazione e associazione CE-Serbia (A7-0362/2010, Jelko Kacin) (votazione)
6.10. Iniziativa europea sulla malattia di Alzheimer e le altre forme di demenza (A7-0366/2010, Marisa Matias) (votazione)
6.11. Inalatori per l'asma (votazione)
6.12. Situazione a Haiti un anno dopo il terremoto: aiuto umanitario e ricostruzione (B7-0023/2011) (votazione)
6.13. Violazione della libertà di espressione e discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale in Lituania (votazione)
Presidente. – Con questo si conclude il turno di votazioni.
Presidente. – Passiamo adesso alle dichiarazioni di voto.
Dichiarazioni di voto orali
Raccomandazione per la seconda lettura: relazione Grossetête (A7-0307/2010)
Jens Rohde (ALDE). – (DA) Signora Presidente, abbiamo raggiunto oggi un compromesso epocale con questa direttiva sui diritti dei pazienti. Da quando siedo in Parlamento, questo è l’accordo più rilevante che abbiamo concluso. È stato siglato un compromesso storico tra due parti che, per troppo tempo, sono state estremamente distanti: il Parlamento, da una parte, e il Consiglio, dall’altra. Grazie al nostro alacre lavoro, siamo riusciti a sancire un accordo che va a beneficio dei pazienti, che li preserva da tempi d’attesa irragionevolmente lunghi e, al tempo stesso, abbiamo trovato un equilibrio in grado di garantire il controllo della situazione da parte degli Stati membri, sia da un punto di vista medico, che da un punto di vista finanziario.
L’esito raggiunto oggi è ottimo e recherà beneficio ai pazienti e agli Stati membri. Credo di potermi congratulare innanzi tutto con i negoziatori e poi, aspetto ancor più saliente, di potermi felicitare, naturalmente, con i cittadini europei per il testo approvato oggi.
Clemente Mastella (PPE). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, sino ad oggi troppe sono state le incertezze o le questioni relative all’accessibilità delle cure e dei rimborsi in materia di assistenza sanitaria transfrontaliera. La direttiva da noi oggi approvata permetterà finalmente a tutti i pazienti di poter beneficiare, sull'intero territorio europeo, di un certo numero di diritti e di prestazioni sanitarie.
Non si tratta affatto di incoraggiare le cure transfrontaliere in quanto tali, ma di renderle possibili, sicure e di elevata qualità nei casi in cui esse si rivelino utili o necessarie. Abbiamo infatti bisogno di migliori informazioni e di maggiore chiarezza sul contenuto delle disposizioni applicabili alle cure prestate in uno Stato membro diverso da quello di affiliazione.
La situazione attuale non è soddisfacente: questa direttiva sarà una preziosa opportunità per tutti i pazienti europei, un’opportunità basata sulla necessità e non sulle possibilità economiche, sulla scelta informata e non sull’obbligo.
Andres Perello Rodriguez (S&D). – (ES) Signora Presidente, la delegazione spagnola del gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo ha votato a favore del testo, come il resto del gruppo, ma non vorrei abbandonare l’Aula prima di aver esplicitato la mia preoccupazione relativa all’introduzione, nella direttiva, del tema del trapianto di organi. Questo argomento è stato inserito, contro il parere della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, in seguito all’ostinata determinazione del Consiglio, che ha voluto includere i trapianti in questa direttiva.
Spero che questa integrazione non comprometta l’efficacia della solida legislazione adottata da quest’Aula, ovvero la direttiva sui trapianti o il piano d’azione adottato recentemente e quasi all’unanimità. Vorrei precisare che vigileremo per garantire che l’inclusione del tema dei trapianti non pregiudichi l’eccellente opera condotta da organismi di successo, come l’organizzazione nazionale dei trapianti spagnola, e naturalmente non mini l’aspirazione a salvare 20 000 vite, oggetto sia della direttiva sui trapianti sia del piano d’azione che, ripeto, abbiamo adottato in questa sede.
Vorrei pertanto precisare questo punto e ribadire che continueremo a garantire che si ottemperi alla direttiva in materia.
Morten Messerschmidt (EFD). – (DA) Signora Presidente, siamo di nuovo qui, oggi, a discutere di un tema sottoposto alla nostra approvazione da istituzioni non elette, ovvero la Corte europea di giustizia che, con una serie di sentenze, ha esercitato pressioni sulle istituzioni elette, affinché formulassero la direttiva oggetto della votazione odierna.
Migliorare le opportunità di ricevere cure mediche adeguate è allettante per i cittadini europei, ma i problemi che questa direttiva genererà evidentemente superano i benefici in essa contenuti. Come ci comporteremo ad esempio se il sistema sanitario di un determinato paese sarà così sotto pressione da non riuscire a gestire le proprie liste d’attesa? Come agiremo se i medici inizieranno a inviare i pazienti in massa verso un particolare paese, certamente previa autorizzazione, ma comunque, come ci comporteremo? Potrebbe essere la Danimarca, il mio paese di provenienza, la Germania, i Paesi Bassi o un altro Stato dell’Unione europea con un sistema sanitario notoriamente di alto livello. dire Questo significa che i cittadini del paese in questione si troveranno in fondo alla lista, mentre non devono essere sfavoriti, avendo contribuito con le loro tasse alla creazione di un sistema sanitario di tutto rispetto.
Vorrei pertanto ribadire che gli inconvenienti e i potenziali effetti nefasti che può causare questa direttiva nei sistemi sanitari nazionali superano palesemente i benefici menzionati dagli onorevoli colleghi.
Jim Higgins (PPE). – (EN) Signora Presidente, l’onorevole Messerschmidt ha ragione: la Corte di giustizia ha rimandato la questione al Parlamento, ma ne sono lieto e voglio congratularmi con l’onorevole Grossetête per l’eccellente relazione presentata, poiché questa direttiva permetterà ai pazienti di ricevere informazioni complete e trasparenti quando si rivolgono all’estero per fruire di cure sanitarie. Questo aspetto emerge molto chiaramente.
I pazienti con una malattia rara potranno beneficiare delle diagnosi e delle competenze presenti in altri paesi, nel caso in cui un trattamento non sia disponibile nel loro Stato membro. La direttiva si propone di offrire ai malati la possibilità di scegliere secondo le proprie necessità e non in virtù dei propri mezzi, affinché tale scelta si compia dopo aver ottenuto le dovute informazioni e senza alcuna costrizione. La direttiva è estremamente proficua, oltre che foriera di forme di cooperazione tra Stati membri.
Sono lieta che venga così bandito completamente il turismo sanitario, di cui si potrebbe fare un uso errato. A mio avviso, si tratta di un altro progresso nella giusta direzione, verso il rafforzamento della cooperazione tra Stati membri che genererà una maggiore coesione nell’Unione. Penso che oggi sia una bella giornata per i pazienti d’Europa.
Constance Le Grip (PPE). – (FR) Signora Presidente, voterò a favore della relazione della mia collega, onorevole Grossetête, sulla direttiva in materia di accesso all’assistenza sanitaria transfrontaliera.
In effetti, sono lieta del passo in avanti rappresentato da questo testo per la mobilità dei malati in Europa. Dopo molti anni di incertezze, segnatamente di incertezze giuridiche, e un lavoro considerevole da parte del Parlamento europeo, questo testo costituisce una semplificazione, un chiarimento e una regolamentazione delle condizioni per godere dell’assistenza sanitaria in uno Stato europeo diverso dal proprio paese di residenza per i cittadini europei, sia in termini di accesso alle cure, sia in termini di rimborsi. Penso, in particolare, a tutti i pazienti che soffrono di una malattia rara e che potranno avere finalmente accesso a trattamenti specifici adeguati, adatti alle loro necessità.
Questa direttiva è un provvedimento europeo concreto nella direzione dell’Europa dei cittadini, in grado di garantire nuovi diritti al cittadino europeo e, in tal senso, si tratta di una misura cruciale per la mobilità degli individui all’interno dell’Unione.
Adam Bielan (ECR). – (PL) Signora Presidente, ho votato a favore della direttiva presentata dall’onorevole Grossetête, affinché il principio di assistenza sanitaria transfrontaliera nell’Unione europea sia finalmente messo in pratica dopo tanti anni di negoziati. La formulazione attuale della direttiva è un buon compromesso, basato principalmente sulla tutela dei diritti dei pazienti, ma anche della spesa sanitaria degli Stati membri.
Per i cittadini di paesi quali la Polonia, l’opportunità di ricevere assistenza sanitaria all’estero significa godere di pari opportunità in materia di accesso a cure sanitarie moderne. I pazienti sono spesso privati dell’accesso a cure mediche rapide e appropriate a causa del sovraffollamento degli ospedali e delle lunghe liste d’attesa per alcune procedure sanitarie fondamentali, ma in alcuni casi tempo è un fattore decisivo. La direttiva permetterà ai cittadini di decidere da soli se aspettare mesi per ottenere un determinato trattamento nel proprio paese o se scegliere di riceverlo altrove. Sarà più agevole decidere quale cura scegliere, con la consapevolezza del fatto che, se si sceglie un altro paese dell’Unione europea, i costi della procedura saranno rimborsati in parte o in toto.
La semplificazione delle norme che regolamentano i trattamenti all’estero può anche essere considerata, ovviamente, come uno stimolo del mercato, in termini di accesso generale ai servizi sanitari. Queste soluzioni contribuiranno ad aumentare la competitività dei servizi sanitari e, di conseguenza, avranno un impatto significativo su un rapido miglioramento di tali servizi.
Mairead McGuinness (PPE). – (EN) Signora Presidente, mi compiaccio di questa direttiva sull’assistenza sanitaria, ma sono prudente, poiché il diavolo sta nei dettagli.
È molto importante che i nostri cittadini sappiano che questa direttiva non entrerà in vigore prima di 30 mesi. Nel frattempo, i cittadini possono comunque attraversare la frontiera per fruire dell’assistenza sanitaria in un altro Stato membro e ottenere un rimborso delle spese relative alle cure ricevute. È fuor di dubbio, quindi, che già oggi, i cittadini stanno attraversando i confini per curarsi: è un aspetto di fondamentale importanza.
A quanti desiderano conoscere i dettagli di questa complessa direttiva, comunico che ho stilato una pagina di domande e risposte, disponibile sul mio sito web. Esorto i cittadini interessati a leggerla, navigando in Internet o cercandola altrove: se non ho posto le domande opportune, li invito a suggerirmene altre, perché dobbiamo diffondere informazioni circa questo provvedimento tanto efficace verso un’assistenza sanitaria transfrontaliera per tutti.
Jarosław Kalinowski (PPE). – (PL) Signora Presidente, la società europea sta diventando sempre più mobile. Studiamo, lavoriamo, ci divertiamo e viaggiamo oltre i confini del nostro paese. I cittadini che vivono nell’Unione europea devono godere del diritto di beneficiare di cure sanitarie d’urgenza gratuite in qualsiasi luogo dell’Unione europea. È ovvio che si deve mettere in atto una serie misure per prevenire il cosiddetto turismo sanitario e, al tempo stesso, agevolare i pazienti che hanno maggiormente bisogno, affinché possano beneficiare di queste nuove opportunità. Penso principalmente alla cura di malattie rare e poco diffuse presso centri specializzati, spesso situati oltre i confini del paese di residenza del paziente. Non possiamo però interferire con le politiche sanitarie degli Stati membri: si tratta di una competenza nazionale e gli Stati membri sono liberi di decidere in materia. Questa direttiva muove un primo passo in questa direzione e, naturalmente, ho espresso voto favorevole.
Anneli Jäätteenmäki (ALDE). – (FI) Signora Presidente, è giunto il momento di stabilire regole comuni europee per proteggere i nostri cittadini e i nostri pazienti. La redazione di una direttiva distinta sull’argomento, senza inserire questo tema nella direttiva Servizi, è un’eccellente iniziativa: durante l’elaborazione della direttiva sull’assistenza sanitaria, ci siamo accorti di quanti aspetti fossero stati completamente trascurati o non definiti al momento dell’adozione della direttiva Servizi.
Il diritto dei pazienti a ricevere assistenza sanitaria transfrontaliera obbligherà gli Stati membri dell’Unione europea a garantire che non ci siano liste d’attesa nel proprio paese.
È necessario un sistema di autorizzazione preventiva senza il quale molti Stati membri potrebbero incontrare difficoltà nel controllo della spesa sanitaria, nella pianificazione e nella stima dei dati futuri, con il rischio che il fattore decisivo diventi la ricchezza, anziché bisogno effettivo.
Non sono comunque tantissimi i cittadini europei coinvolti da questa direttiva; la maggior parte desidera ricevere assistenza sanitaria vicino casa e nella propria lingua. Abbiamo comunque bisogno di un sistema organizzato in questo modo: se c’è una lista d’attesa, sarà possibile farsi curare in un altro paese.
Marian Harkin (ALDE). – (EN) Signora Presidente, anche io sono molto contenta dell’accordo raggiunto oggi che, penso, garantirà ai pazienti un accesso equo e adeguato a cure mediche transfrontaliere.
Come è già stato affermato da molti oratori, l’attuale proposta è stata presentata proprio perché una cittadina del vostro stesso paese, del sud dell’Inghilterra, ha sfidato il sistema e la Corte di giustizia le ha dato ragione.
Quanto cerchiamo di fare oggi e che abbiamo fatto insieme al Consiglio, è garantire il rispetto dei diritti delle persone, contemplandoli nella normativa assieme alle necessità dei cittadini: è sicuramente questo l’aspetto che sta a cuore a questo Parlamento.
Vi sono ancora alcune questioni da dirimere. Ritengo fondamentale il riconoscimento reciproco, tra Stati membri, delle prescrizioni, poiché non si tratta soltanto di prestare cure sanitarie, ma anche di regolamentare il periodo successivo al trattamento del paziente; abbiamo comunque ancora del tempo per definire questo dettaglio.
Vorrei concludere affermando che, con l’attuale crisi finanziaria, molti cittadini si chiedono: l’Europa funziona? Opera a vantaggio dei cittadini? È una domanda aperta, ma ritengo che oggi possiamo affermare con ragionevole certezza che l’Europa sta funzionando.
Gerard Batten (EFD). – (EN) Signora Presidente, ho votato contro questo provvedimento sui diritti dei pazienti all’assistenza sanitaria transfrontaliera, poiché non farebbe altro che gravare i contribuenti britannici e il servizio sanitario nazionale di un altro imponente fardello.
Il sistema sanitario nazionale viene già sfruttato come fosse internazionale ed è soggetto a un uso smodato e diffuso da parte di cittadini non britannici, con un costo di centinaia di milioni, se non miliardi, di sterline ogni anno. Il fardello grava principalmente sui miei elettori di Londra. Questo provvedimento porterà al servizio sanitario nazionale un ulteriore carico di lavoro per prestare cure a cittadini europei che non hanno mai pagato le tasse nel Regno Unito e si riveleranno inapplicabili le supposte modalità di recupero retroattivo dei costi dallo Stato membro del paziente.
È giusto che, nel Regno Unito, un cittadino straniero riceva cure urgenti, se necessarie, ma i cittadini stranieri non dovrebbero essere accettati nel Regno Unito, se sprovvisti di un’adeguata assicurazione sanitaria e di viaggio. Una simile politica è corretta e giustificata, ma è inapplicabile, finché il Regno Unito sarà membro dell’Unione europea. È questa un’ulteriore motivazione, se ancora ce ne fosse bisogno, per uscire dall’Unione europea.
Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signora Presidente, questo compromesso storico tra il Parlamento e il Consiglio è un eccellente risultato. Questa normativa sull’assistenza sanitaria transfrontaliera potrebbe eliminare le liste d’attesa che si sono create in molti Stati membri ed essere un’opportunità per lo scambio delle buone prassi. A tal proposito, è importante garantire la definizione degli interessi o i diritti dei pazienti. È altrettanto cruciale ricordare la centralità della sicurezza dei pazienti quando ci occupiamo di cooperazione transfrontaliera, e la necessità di assicurare, al tempo stesso, adeguati standard di assistenza e cure sanitarie ovunque.
Accolgo con entusiasmo la relazione dell’onorevole Grossetête: spero che promuova la sanità pubblica in Europa e che, di conseguenza, si possano salvare molte vite, accelerando la guarigione dei malati.
Paul Rübig (PPE). – (DE) Signora Presidente, credo sia importante non approfittare dei sistemi fiscali nazionali per remare contro il mercato interno. Questo aspetto è particolarmente saliente nel caso dei servizi transfrontalieri, laddove è necessario un equo trattamento. Attualmente, l’Ungheria offre un esempio negativo in materia, poiché si applicano limiti di prezzo con effetto retroattivo come forma di tassazione contro la crisi. Questa misura non è accettabile e avrà un gravi ripercussioni sui settori finanziario, assicurativo, imprenditoriale ed energetico. Spero che, nell’ambito dei servizi sanitari, non si verifichi un fenomeno simile in futuro.
Vorrei chiedere all’onorevole Orbán di riesaminare queste norme, perché sono in netta contrapposizione con l’idea di mercato interno.
Syed Kamall (ECR). – (EN) Signora Presidente, buon anno nuovo. È un piacere averla alla Presidenza di quest’Aula.
Uno degli aspetti su cui concordiamo in generale, in questo Parlamento – benché ci siano eccezioni degne di nota – è la nostra fede in un mercato unico che funzioni.
Quando i miei elettori mi scrivono: “ Non viene erogato un servizio di qualità nella mia circoscrizione e vorrei andare in un altro Stato membro dell’Unione europea per ottenere un servizio sanitario migliore”, non hanno certezze sul loro status giuridico. Per questo motivo io e tanti altri colleghi siamo lieti della votazione odierna sul diritto dei pazienti all’assistenza sanitaria transfrontaliera. Spero che i pazienti di quei territori con un servizio sanitario è di scarsa qualità, in virtù dei propri diritti e grazie a questa direttiva, lascino il loro paese e vadano in un altro Stato membro, esercitando così pressioni sui sistemi sanitari affinché migliorino i servizi erogati, rispondendo alle necessità dei pazienti.
Dobbiamo tuttavia garantire che venga semplificata la procedura mediante la quale gli Stati membri possono recuperare la spesa relativa alla fruizione di servizi all’estero da parte di cittadini comunitari. Una volta risolti questi problemi, questa dovrebbe essere una direttiva di cui potremo andare fieri.
Joe Higgins (GUE/NGL). – (GA) Signora Presidente, mi sono espresso a favore della risoluzione relativa alla conclusione di un accordo volontario di partenariato tra l’Unione europea e rispettivamente la Repubblica del Camerun e Repubblica del Congo sull’applicazione delle normative nel settore forestale, sulla governance e sul commercio del legname e dei suoi derivati importati nell’Unione europea. Per mantenere l’equilibrio dei nostri ecosistemi è fondamentale proteggere le foreste tropicali e tutelare le popolazioni indigene, che attualmente soffrono a causa dello sfruttamento industriale dell’ambiente da parte delle grandi multinazionali, nonché dell’abbattimento delle foreste dalle quali dipende il loro sostentamento.
Per questo motivo propongo un emendamento che stabilisca che le foreste e l’industria forestale divengano patrimonio pubblico e siano gestite democraticamente dalla forza lavoro dell’industria e dalle popolazioni indigene che abitano le foreste.
Morten Messerschmidt (EFD). – (DA) Signora Presidente, il libero scambio è davvero l’unico modo per ottenere la prosperità. Lo ha dimostrato il mercato unico di cui fanno parte gli Stati membri dell’Unione europea e questo vale indubbiamente anche per i paesi in via di sviluppo. Si tratta dell’unica iniziativa di sviluppo che possiamo e dobbiamo diffondere nel mondo.
Uno sguardo a come le altre grandi regioni agiscono, concludendo accordi ed instaurando partenariati strategici, è sufficiente per capire che si stanno muovendo sempre più rapidamente. Disponiamo di ampi spazi di libero scambio, tra America settentrionale ed America meridionale, tra i paesi ASEAN, l’Asia e il Mercosur, solo per citarne alcuni. L’Unione europea, in questo senso, è l’unica ad essere rimasta indietro e a trovarsi quasi paralizzata di fronte alle sfide della globalizzazione.
Sebbene sia favorevole alla relazione oggetto della votazione odierna, desidero precisare che un accordo di partenariato economico interinale con le Isole Figi e la Papua Nuova Guinea è un risultato tutt’altro che eccezionale, considerando le aspettative createsi a seguito dei lunghi negoziati che l’hanno preceduto. Che ne è della Cina? O degli Stati Uniti, o dell’India, o di quanti ci stanno attualmente portando via il lavoro? Siamo forse di fronte ad una nuova sconfitta dell’Unione europea che si ripercuoterà sui suoi lavoratori?
Syed Kamall (ECR). – (EN) Affermare che le società più prospere sono le più libere e le società più libere sono le più prospere è un’ovvietà che ci obbliga a riconoscere l’importanza del libero scambio. Sfortunatamente il dibattito multilaterale ed internazionale sul libero scambio si è arenato a Doha, spingendo l’Unione europea a seguire l’esempio degli Stati Uniti e di altri paesi che concludono sempre più accordi bilaterali.
È possibile estendere i vantaggi del libero scambio a molti cittadini dei paesi più poveri, senza per questo ignorare i problemi che si troveranno ad affrontare durante la transizione, in particolare nell’adattarsi alla maggiore concorrenza. In ultima analisi che dovremmo concentrarci sul consumatore e non sugli interessi del produttore. Molti consumatori nei paesi in via di sviluppo mi chiedono perché, rispetto all’Occidente, non godono dello stesso accesso a beni e servizi. Un modo per aiutarli è indubbiamente il libero scambio, che emancipa il consumatore, offrendogli una maggiore possibilità di scelta. Mi auguro che si continui su questa strada.
Nirj Deva (ECR). – (EN) Signora Presidente, a lungo il Pacifico è stato la Cenerentola delle iniziative per lo sviluppo dell’Unione europea oltreoceano. Accolgo dunque con favore le iniziative intraprese dalle Isole Figi e dalla Papua Nuova Guinea per la creazione di un accordo di partenariato economico, che non soltanto permetterà all’Unione di commerciare più liberamente con questi Stati, ma promuoverà anche la conclusione di accordi commerciali intra-regionali tra questi paesi.
Uno dei benefici del presente accordo deriva dalle norme di origine per il settore della pesca, che creano le condizioni necessarie affinché i cittadini dell’area del Pacifico possano finalmente produrre un reale valore aggiunto nell’ambito dell’industria ittica nazionale. Attualmente, infatti, alcuni di questi paesi importano prodotti ittici pur disponendo di acque ricche di pesce; grazie al risultato conseguito potranno invece trasformare il proprio pescato, aggiungervi valore ed esportarlo nell’Unione europea. È questa la strada che porta allo sviluppo e alla riduzione della povertà.
Barbara Matera (PPE). - Signora Presidente, oggi ho espresso il mio voto a favore dell'interrogazione orale sull'adozione internazionale nell'Unione europea.
L'adozione internazionale risulta essere la procedura più consona ad offrire l'opportunità di dare una famiglia permanente a quei bambini per i quali non può essere trovata una famiglia idonea nel loro Stato di origine. La cooperazione fra le autorità competenti negli Stati membri in materia di adozioni internazionali risulta importante per garantire che l'adozione si svolga nell'interesse del minore, nel rispetto dei suoi diritti fondamentali e che siano evitate la vendita e la tratta dei minori.
Occorre inoltre provvedere alla semplificazione della procedura di adozione internazionale, troppo spesso vi è un eccesso di burocrazia che disincentiva le famiglie a ricorrere all'adozione. Suscita preoccupazione, infine, il caso della Romania, unico paese dell'Unione europea ad aver impedito per legge le adozioni internazionali. Ad oggi vi sono circa 70 000 orfani nel paese, di cui 40 000 in orfanotrofio e 30 000 ospiti di assistenti maternali.
La Commissione europea dovrebbe far luce sul caso della Romania, in modo tale che questi bambini abbandonati possano essere accolti in nuclei familiari tramite l'adozione internazionale.
Andrea Češková (ECR). – (CS) Signora Presidente, dovendo assolvere i miei impegni genitoriali, non mi è stato possibile prendere parte alla discussione tenutasi lunedì, evidentemente molto interessante. Desidero pertanto dichiarare all’Assemblea il mio appoggio, che riflette il mio voto. Mi auguro che in seguito alla presente risoluzione si arrivi alla riduzione delle procedure burocratiche relative all’adozione internazionale. È auspicabile che la presente risoluzione si traduca anche in un monitoraggio più efficace del percorso di adozione, nonché in un contributo alla lotta alla tratta dei minori.
Mairead McGuinness (PPE). – (EN) Signora Presidente, è possibile che molti tra i deputati non siano al corrente del conflitto verbale, tanto dannoso quanto indesiderato, attualmente in corso in ambito di adozione. Se davvero la nostra priorità sono i diritti del minore, come peraltro è stato dichiarato in quest’Aula e nella risoluzione, allora stiamo facendo la cosa giusta per tutti i bambini, a prescindere dallo Stato membro di provenienza.
È fondamentale non accanirsi contro uno Stato in particolare, riconoscendo invece che in ogni paese vi sono bambini abbandonati o trascurati dal tradizionale nucleo familiare di appartenenza e che necessitano quindi di altre forme di cura. Sì, vi sono molte famiglie pronte ad accogliere i bambini con amore, ma, pur riconoscendo la necessità di snellire le procedure burocratiche, non si può per questo ridurre anche i controlli.
Desidero concludere sottolineando che spesso i genitori che vengono considerati idonei per l’adozione sono sottoposti a controlli di gran lunga più rigorosi rispetto alle coppie che danno alla luce un figlio naturale.
Licia Ronzulli (PPE). – Signora Presidente, il mio pensiero in questo momento va alle migliaia di coppie che in tutto il mondo quotidianamente affrontano le difficoltà necessarie ad ottenere l'affidamento di un bambino.
L'adozione è un valore, è una vera e propria manifestazione d'amore che apre le porte ad una nuova famiglia per un bambino che, purtroppo, non può più contare sull'affetto dei suoi cari. Chi porta dentro di sé la ferita dell'abbandono ha diritto a crescere in un ambiente felice, insieme a persone in grado di offrirgli una nuova vita.
È quindi nostro dovere aiutare gli orfani, affinché un futuro sereno non sia più un'utopia. Oggi, con l'adozione di questa risoluzione comune, deve partire un segnale forte e immediato. È necessario promuovere politiche comunitarie volte a superare le situazioni di difficoltà familiare. La lentezza burocratica e le lungaggini legislative non possono e non devono fermare il sogno e il desiderio di un bambino di avere una famiglia e un futuro felice.
Diane Dodds (NI). – (EN) Signora Presidente, accolgo con favore la proposta di risoluzione relativa all’adozione internazionale oggetto della votazione odierna. Nella mia circoscrizione elettorale molti hanno affrontato o stanno affrontando il processo di adozione, ed è sempre un piacere vedere la gioia dipinta sui volti di genitori e bambini alla conclusione di tale percorso, che tuttavia è spesso molto lungo e può durare anche anni. Come si osserva nella proposta, si tratta di un processo caratterizzato da un’eccessiva burocrazia ed è giusto che il Parlamento si attivi per consentire lo snellimento delle procedure.
È fondamentale porre sempre l’accento sulla sicurezza e sulle necessità dei minori, spesso in condizioni di grave difficoltà. Bisogna senza dubbio adottare ogni misura necessaria affinché il minore non si trovi in una situazione di vulnerabilità, ma spesso le difficoltà che i genitori adottivi, pronti ad accogliere amorevolmente il bambino, devono affrontare sono davvero eccessive e li spingono persino ad abbandonare il processo di adozione, a discapito proprio e del minore.
Cristiana Muscardini (PPE). – Signora Presidente, in Europa, da molti anni affrontiamo il problema dell'adozione internazionale, e finalmente la risoluzione odierna viene a cercare di dare uno spiraglio in una situazione sempre più complessa e difficile.
L'arrivo di nuovi paesi, invece di incentivare l'adozione internazionale, ha reso sempre più difficile da parte di molte coppie il poter accedere ad avere presso di sé bambini a cui ridare una famiglia dopo tante sofferenze e privazioni nel loro paese.
E mentre da un lato sempre più burocrazia impedisce l'adozione di bambini, dall'altro aumentano i traffici di organi e la prostituzione minorile. Per questo noi siamo favorevoli a questa proposta di risoluzione e crediamo che sia necessario dare un'accelerazione alle pratiche di adozione internazionale e fare sì che ci sia, finalmente, una adozione europea per dare futuro a tanti bambini bisognosi.
Julie Girling (ECR). – (EN) Signora Presidente, desidero esprimerle tutta l’approvazione e la gratitudine di questa parte dell’Aula, per aver presieduto la seduta odierna in modo tanto efficiente.
Ci troviamo di fronte ad una questione di grande rilevanza. Naturalmente l’adozione internazionale è molto importante ed è fondamentale affrontare la questione nel modo corretto. Accolgo con favore la presente risoluzione, formulata in modo intelligente e chiaro, come molte altre risoluzioni oggetto delle nostre votazioni in Parlamento. Desidero tuttavia sottolineare che, in base alla mia esperienza di contatto e assistenza agli elettori – tutt’ora in corso – non è sufficiente esprimere tutto questo in una risoluzione.
Il Parlamento europeo non si può certo definire una punta di eccellenza quando si tratta di semplificare le cose o di garantire un corretto funzionamento delle organizzazioni con cui interagiscono i cittadini. Mi appello affinché le parole della presente risoluzione si traducano in azioni concrete, volte ad una reale semplificazione, ad uno snellimento delle procedure e ad un effettivo miglioramento. In caso contrario si tratterebbe di uno sforzo inutile, che potrebbe perfino sortire l’effetto contrario.
Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signora Presidente, desidero unirmi agli onorevoli colleghi nell’esprimere la mia soddisfazione circa la presente risoluzione. Ho avuto occasione di seguire personalmente da vicino alcuni casi di adozione internazionale ed ho notato che le procedure burocratiche sono effettivamente eccessive; è pertanto giusto snellirle, rendendo così l’intero processo più rapido e trasparente.
È nell’interesse di tutti che l’adozione escluda qualsiasi pratica contraria all’etica o legata alla tratta di minori e di esseri umani in generale. È fondamentale garantire che il minore non diventi un mezzo per perseguire scopi illeciti e che l’adozione sia invece il modo per trovare una famiglia amorevole e una casa, dove sarà trattato come un individuo unico e prezioso. Ogni bambino ha diritto ad un padre ed una madre e per questo qualsiasi decisione in ambito di adozione deve considerare la situazione della famiglia nella sua totalità.
Si tratta di questioni estremamente delicate. Alcuni studi hanno dimostrato che il genotipo culturale di ciascuno di noi si trova nel nostro DNA, ma è necessario garantire al bambino una famiglia amorevole ed un ambiente culturale in cui possa crescere e diventare una persona equilibrata ed un buon cittadino.
Morten Messerschmidt (EFD). – (DA) Signora Presidente, la Serbia è forse il paese europeo che più volte è stato occupato nel millennio appena trascorso, prima dalla Turchia, poi dalla Germania e infine dalla Russia. Abbiamo ora l’opportunità di trasformare quei giorni bui del passato, remoto e recente, in un radioso futuro.
Indubbiamente, visti da Belgrado, né la NATO con il massacro compiuto nella capitale, né l’Unione europea che ha appoggiato la lacerazione del paese con la conseguente separazione di una sua regione chiave, il Kosovo, rappresentano una prospettiva di alleanza allettante. Cionondimeno sono alleati e amici e tutti ne sono perfettamente consapevoli. È quindi fondamentale instaurare una relazione basata sulla razionalità, così da lasciare il passato alle spalle e guardare al futuro. Per questo motivo il mio partito è favorevole alla prosecuzione del dialogo.
Miroslav Mikolášik (PPE). – (SK) Signora Presidente, l’accordo di stabilizzazione e associazione tra le Comunità europee e la Serbia pone le fondamenta per una relazione salda e duratura, basata sulla reciprocità e gli interessi comuni. Contribuisce altresì alla stabilizzazione politica, economica ed istituzionale della Serbia e dei Balcani in generale.
L’accordo rappresenta una nuova opportunità di trasformazione per la Serbia, che potrà così prosperare attraverso l’intero processo di ristrutturazione e modernizzazione economica. Ritengo tuttavia che la Serbia debba continuare a rafforzare democrazia e stato di diritto, moltiplicando gli sforzi per riformare l’amministrazione pubblica e i tribunali, applicando i principi di giustizia ed operando al contempo un consolidamento strutturale a livello giuridico e amministrativo.
Requisito fondamentale per la piena integrazione della Serbia nell’Unione europea è, a mio avviso, la risoluzione dei gravi casi di violazione dei diritti umani, nonché la questione della collaborazione con il tribunale penale internazionale per la ex - Jugoslavia.
Daniel Hannan (ECR). – (EN) Signora Presidente, desidero ringraziare il suo staff e gli interpreti per la pazienza dimostrata durante questa sessione insolitamente lunga.
Di fronte alla scelta tra democrazia e sovranazionalismo, l’Unione europea opta sempre per quest’ultimo E la politica adottata per i Balcani occidentali ne è un esempio lampante. Stiamo mantenendo protettorati a tutti gli effetti in Bosnia, Kosovo e perfino in Macedonia, all’unico scopo di prevenire la formazione di confini etnografici là dove la popolazione locale li riterrebbe opportuni.
Se gli elementi che accomunano la popolazione locale non sono sufficienti perché al suo interno si accettino scelte di governo di un gruppo etnico o di un altro, difficilmente si raggiungerà una democrazia effettiva. Affinché si realizzi un governo per il popolo e del popolo, è necessario che il popolo sia un’entità in cui tutti si riconoscono, in termini di identità e di alleanza.
In altre parole, la democrazia richiede la presenza di un “demos”, un’unità con cui identificarsi quando si usa il termine “noi”. Certo, non è facile. La lealtà può essere molteplice e le popolazioni possono essere frammentate, ma di fronte ad una sostanziale equità dovremmo sempre propendere per l’autodeterminazione nazionale. Senza “demos” la democrazia si riduce a “kratos”, il potere di un sistema che, per legge, deve attenersi a ciò che non osa chiedere in nome del patriottismo civico.
Nirj Deva (ECR). – (EN) Signora Presidente, questa è davvero una bella notizia. Se si pensa a quanto la Serbia sia stata lontana dallo stato di diritto e dalle norme internazionali, o a cosa fosse il paese vent’anni fa, ritengo doveroso riconoscere e apprezzare gli sforzi dell’amministrazione serba e i progressi compiuti nel renderla un paese soggetto allo stato di diritto, che ora sembra essere alla base perfino dei rapporti con il Kosovo e con la Corte penale internazionale.
Le riforme della giustizia si basano sui precedenti e sulle migliori pratiche a livello internazionale. Il servizio civile indipendente che si sta costituendo è di ottima qualità e ci si aspetta lo stesso livello di efficienza anche dal suo futuro operato. Vige inoltre il totale rispetto dei criteri di Copenhagen. Per tutti questi aspetti, un paese che ha attraversato un conflitto così terribile sta ora emergendo come una nazione perfettamente idonea a divenire un partner affidabile per gli altri Stati membri dell’Unione europea. Desidero quindi estendere le mie congratulazioni alla Serbia.
Adam Bielan (ECR). – (PL) Signora Presidente, desidero aggiungere una cosa circa la questione della Serbia. L’accordo dell’Unione europea con questo paese oggetto della votazione odierna è una pietra miliare sulla via che conduce all’adesione paese della Serbia all’Unione. Dodici Stati membri hanno già ratificato il trattato che mira a spalancare le porte dell’Unione alla Serbia; approvo pienamente l’accordo e mi appello ai restanti Stati membri, affinché lo ratifichino al più presto. Naturalmente l’integrazione della Serbia nelle strutture europee richiede la sua piena collaborazione con il tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia e segnatamente per quanto riguarda le responsabilità dei crimini di guerra. È necessario mantenere un dialogo continuo con il Kosovo e adottare ogni misura possibile al fine di prevenire qualsiasi forma di discriminazione nei confronti dei rom. Desidero in ultima istanza esprimere la mia soddisfazione ed il mio appoggio per tutte le misure che mirano a rafforzare democrazia e protezione dei diritti dell’uomo in Serbia, in altre parole, le misure volte a portare stabilità nel paese a livello politico, economico e sociale.
Clemente Mastella (PPE). – Signora Presidente, ho votato a favore di questa relazione perché ritengo che la comunicazione alla Commissione relativa a un'iniziativa europea sulla malattia di Alzheimer e le altre forme di demenza rappresenti – e lo dico per esperienza, perché mio papà era malato di Alzheimer e mia nonna anche, spero di terminare il filone genetico – un passo in avanti in vista di una necessaria integrazione tra le diverse politiche sanitarie esistenti in Europa al fine di contrastare le citate malattie.
Intendiamo rinnovare, quindi, tutto il nostro impegno a combattere la frammentazione degli interventi, le divergenze tra le risposte esistenti nello spazio europeo e la disparità imperante nelle condizioni di accesso e di trattamento. Intendiamo invece promuovere la diagnosi precoce e la qualità della vita, migliorare la conoscenza epidemiologica della patologia e coordinare le ricerche in corso, favorendo la solidarietà tra Stati membri attraverso la condivisione di buone prassi.
Con la presente relazione chiediamo infine un miglior coordinamento tra gli Stati membri ed una risposta più efficace e solidale in vista della prevenzione e del trattamento delle varie forme di demenza, in particolare l'Alzheimer, a tutto vantaggio dei pazienti e di coloro che li circondano, siano essi professionisti del settore sanitario, fornitori di servizi o familiari.
Un'eventuale strategia europea in tal senso potrà funzionare soltanto a condizione – e termino – che i singoli paesi attribuiscano carattere prioritario alla definizione di piani d'azione nazionali.
Seán Kelly (PPE). – (GA) Signora Presidente, mi sono espresso a favore della presente relazione e sono lieto che sia stata approvata quasi all’unanimità. Ammetto di non avere avuto la possibilità di intervenire al riguardo, pur avendo seguito l’intera discussione in Parlamento. Desidero pertanto utilizzare il minuto a mia disposizione per sollevare alcune questioni.
La più importante è la pressante necessità di scoprire la causa di questa malattia attraverso la ricerca scientifica. Quanto vi contribuiscono le abitudini alimentari, lo stress quotidiano, il patrimonio genetico? E per quale motivo la popolazione femminile è doppiamente più colpita dal morbo di Alzheimer rispetto a quella maschile?
Sono interrogativi importanti, che non possono trovare risposta senza l’apporto della ricerca. Mi appello alla Commissione affinché affidi ad un centro medico illustre il compito di condurre tale ricerca e trovare le risposte che cerchiamo.
Jarosław Kalinowski (PPE). – (PL) Signora Presidente, il morbo di Alzheimer è una malattia per cui il genere umano non ha ancora trovato una cura. La ricerca ha registrato un preoccupante aumento del numero di casi di Alzheimer ed il progressivo invecchiamento della popolazione europea si ripercuoterà drasticamente su questi dati nel prossimo futuro. La demenza diventa un pesante fardello non soltanto per chi è affetto dal morbo, ma anche per i familiari e gli amici del malato, spesso costretti a dedicare la propria vita esclusivamente alla cura dei propri cari. Abbiamo un forte bisogno di relazioni come questa, che sottolineano il problema e avanzano proposte di iniziative volte al miglioramento della qualità della nostra salute e della nostra vita. È evidente che un’azione congiunta da parte degli Stati membri, nonché la creazione di programmi di prevenzione e l’assistenza alle famiglie colpite siano progetti che meritano il nostro pieno sostegno. Abbiamo il dovere di fare tutto il possibile per aiutare quanti soffrono e, guardando al futuro, ridurre al minimo il numero degli individui che contraggono la malattia.
Jim Higgins (PPE). – (EN) Signora Presidente, apprezzo particolarmente l’ampia prospettiva con cui la relazione affronta la problematica in questione. La molteplicità di aspetti è senz’altro la principale caratteristica del morbo di Alzheimer.; si è parlato infatti di prevenzione, diagnosi, terapia e cura. La realtà è che, tra le malattie, le più temute sono cancro e Alzheimer. Abbiamo compiuto enormi passi avanti in termini di diagnosi delle cause, prevenzione e gestione delle cure per il cancro e i risultati conseguiti sono innegabili.
Sebbene il morbo di Alzheimer sia stato scoperto nel 1906, si è verificata una circostanza particolare in tutte le forme di demenza: non ne conosciamo ancora la causa, né sappiamo curarla. La presente relazione è comunque apprezzabile. Siamo di fronte ad una serie di sfide, prima fra tutte la ricerca delle cause scatenanti di tali patologie per individuare un metodo di prevenzione, nonché l’introduzione di una cura definitiva.
Syed Kamall (ECR). – (EN) Signora Presidente, quanti tra noi hanno visitato Haiti o hanno assistito alla terribile devastazione che si è abbattuta sull’isola non potranno che convenire sull’opportunità della decisione delle ONG e della comunità internazionale di intervenire congiuntamente e affrontare il disastro in loco, con ricoveri, derrate alimentari, coperte e così via.
Vi invito ora a considerare la situazione attuale ad un anno dalla catastrofe. La relazione enumera alcuni problemi, tra cui il fatto che per evacuare tonnellate di macerie gli Haitiani dispongono unicamente di pale, picconi e carriole, strumenti chiaramente inadeguati rispetto alla portata del disastro. La risoluzione denuncia inoltre la grave crisi di alloggi ad Haiti e sottolinea la mancanza di un sistema fondiario, facendo appello alla Commissione, affinché si compia uno sforzo significativo per risolvere il problema, nello spirito del consenso europeo sull'aiuto umanitario e in collaborazione con le autorità haitiane.
Il grande assente tra gli argomenti trattati è il ruolo del settore privato. Se riusciremo a risolvere alcuni dei problemi esistenti nel lungo termine, accanto all’azione immediata di ONG e organizzazioni umanitarie, è necessario ripensare ad un ruolo delle imprese, perché possano attivarsi, appunto, nel lungo termine.
Nirj Deva (ECR). – (EN) Signora Presidente, ad un anno dal terremoto che ha colpito Haiti solo il 5 per cento delle macerie è stato rimosso, si contano un milione di senzatetto, 230 000 morti, 300 000 feriti e soltanto il 15 per cento delle ricollocazioni in aree potenzialmente abitabili è stato portato a termine.
Perché? Perché soltanto il 5 per cento delle macerie è stato rimosso? Durante un terremoto crollano intere muri. Chi sarebbe in grado di sollevarli? Le ONG con i loro badili, forse? I Commissari europei armati di secchi? Certo che no! Soltanto con macchinari e attrezzature adeguate è possibile farlo e questi macchinari possono essere messi a disposizione solo da aeronautica, marina ed esercito. Ma quando questi corpi hanno offerto il loro aiuto, le sinistre di questo Parlamento e del mondo intero hanno intimato loro di andarsene. E l’hanno fatto! E così nell’arco di un anno nulla è cambiato.
È politicamente sconvolgente che ci si rifiuti di assumersi la responsabilità della situazione attuale, ma io punto fermamente il dito contro la sinistra di questo Parlamento e della comunità internazionale.
Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signora Presidente, desidero intervenire brevemente sulla situazione di Haiti. È importante riconoscere che il grado di coordinamento è stato insufficiente, anche in base ai rilievi di aggiornamento tuttora in atto. È necessario migliorare quest’aspetto, come dimostra l’estrema lentezza dei progressi.
È vero che la situazione si è gradualmente politicizzata, come ha sottolineato l’onorevole Deva e questo non va a beneficio di nessuno. Oggi più che un anno fa Haiti ha bisogno di aiuto e di assistenza primaria. Gli aiuti devono assolutamente arrivare alla giusta destinazione.
Se si guarda allo specifico, le organizzazioni umanitarie hanno sicuramente svolto un buon lavoro. Dal punto di vista del contributo europeo, molte organizzazioni umanitarie cristiane hanno fatto moltissimo per quanto riguarda i bisogni essenziali, aiutando la popolazione di Haiti a sopravvivere. Dobbiamo riconoscere questi sforzi e sostenerli per ciò che sono, ma la crisi ad Haiti richiede un intervento di più ampia portata e un maggiore coordinamento, da parte dell’Europa e naturalmente da parte delle Nazioni Unite.
Peter van Dalen (ECR). – (NL) Signora Presidente, la Lituania è uno Stato sovrano. Il parlamento nazionale ha discusso nuove proposte circa le espressioni di sessualità nei media o in pubblico. La democrazia lituana è in fermento: il capo dello Stato ha già posto il veto a iniziative simili in altre due occasioni, mentre è iniziato un dibattito politico la cui conclusione, allo stato attuale, non può essere prevista.
Eppure la maggioranza del Parlamento europeo non ha esitato a entrare nel merito. A quanto sembra, i membri di quest’Assemblea sono, per la maggior parte, dotati di un senso illuminato della moralità, che conferisce loro una facoltà superiore di distinguere tra accettabile e inaccettabile. Risulta chiaro fin d’ora se la legge verrà approvata e quale configurazione assumerà: l’onniveggenza degli alti sacerdoti di questo Parlamento è interamente concentrata sulla Lituania. Non posso sostenere nella maniera più assoluta una simile arroganza.
Miroslav Mikolášik (PPE). – (SK) Signora Presidente, il diritto di legiferare spetta al legislatore di ciascun paese e, essendo proprio di uno Stato sovrano, non può essere sottoposto a interferenze esterne, un principio applicabile anche alla Lituania.
Per quanto riguarda l’Unione europea, va anche precisato che la definizione di matrimonio e di famiglia afferisce al diritto familiare dei singoli Stati membri, che non può essere oggetto di intromissioni da parte dell’UE. Pertanto, la tutela di un’istituzione come la famiglia, deputata a crescere le nuove generazioni e prepararle alla vita, non può essere condannata o considerata discriminante.
Quanto alla protezione dei minori dagli effetti nocivi dell’informazione pubblica, lo stesso Parlamento europeo ha stabilito di recente che i vari tipi di pubblicità diffusisi attraverso i nuovi mezzi di comunicazione negli ultimi anni sono diventati un fenomeno sociale; tra i suoi effetti si annoverano la trasmissione di informazioni deliberatamente ingannevoli e fuorvianti nonché il rischio di un abuso di potere, per cui lo Stato deve trovare una risposta adeguata.
Gli studi condotti dimostrano che i minori necessitano di una particolare tutela da certe informazioni, che possono incidere profondamente sullo sviluppo dell’individuo. Lo dico in quanto medico.
Vytautas Landsbergis (PPE). – (EN) Signora Presidente, ecco le mie considerazioni sulla risoluzione di condanna della Lituania: non è accaduto nulla e nel testo approvato manca il punto di vista più importante. Avevo proposto, senza risultati, il seguente emendamento orale al preambolo: “considerando che l’intervento del Parlamento europeo su iter dei parlamenti nazionali al primo stadio dei lavori, in merito a una qualunque proposta di legge, è contrario ai principi fondamentali di sovranità e sussidiarietà degli Stati membri e, pertanto, rivela il legame sempre più stretto del Parlamento europeo con pratiche di epoca sovietica”.
A fornire il pretesto per questa risoluzione è stata soltanto una bozza di emendamento, sottoposta da un deputato del parlamento nazionale; sottolineo una bozza di emendamento. Ciononostante, il testo appena approvato usa insistentemente e irragionevolmente il plurale, riferendosi per ben sei volte alla presunta inclusione di diversi emendamenti deprecabili.
Anche il titolo della risoluzione contiene un’assurdità: l’espressione “sulla violazione”. Non vi è stata nessuna violazione, ma soltanto la proposta di un deputato; il parlamento non ha assunto nessuna decisione tacciabile di violazione. Affermazioni di questo genere rispecchiano un pessimo lavoro di stesura dei testi, per non parlare dell’irresponsabilità dei colleghi che hanno redatto e sottoposto all’Assemblea questo documento, per cui sarebbe stata necessaria almeno una formulazione più intelligente, se non l’archiviazione tout court. Ho dunque votato contro l’intera proposta.
Daniel Hannan (ECR). – (EN) Signora Presidente, gli Stati membri dell’Unione europea hanno intrapreso, ormai da decenni, un percorso ampio e positivo verso l’affermazione dei principi di parità di fronte alla legge, privacy e libertà individuale. Spero dunque che nessuno degli Stati membri si abbandoni a tendenze retrograde sul tema dell’uguaglianza indipendentemente dall’orientamento sessuale. Non credo che ciò accadrà. Come ci hanno ricordato l’onorevole Landsbergis e, prima ancora, l’onorevole van Dalen, questa discussione ha perso di vista un punto: parliamo di una proposta, non di una risoluzione legislativa.
Come ricorderete, l’argomento è stato oggetto di discussioni nel Regno Unito. Abbiamo avuto i nostri scontri sulla “Section 28” e, all’epoca, ero tra i pochi del mio partito a essere contrario. Osteggiavo la proposta fin dalla sua prima versione, quando era nota come “Section 27”, perché mi sembrava del tutto infelice trasformare la legge in un mezzo per esprimere approvazione o contrarietà. Con questa iniziativa abbiamo dotato lo Stato di uno strumento straordinariamente potente, che è stato poi utilizzato per vietare l’uso delle armi, la caccia eccetera.
Ad ogni modo, il punto è che non faccio parte degli organi legislativi lituani. I membri di quest’Assemblea possono nutrire le opinioni più contrastanti sulla legge in materia di aborto in Polonia o sulle disposizioni relative all’eutanasia nei Paesi Bassi. Si tratta di questioni delicate per i nostri elettori, che dovrebbero essere disciplinate adeguatamente attraverso i meccanismi nazionali di ciascuno Stato membro. Dovremmo avere l’umiltà di riconoscere il diritto alla democrazia e alla sovranità parlamentare di tutti i 27 Stati membri.
Dichiarazioni di voto scritte
Raccomandazione per la seconda lettura: relazione Grossetête (A7-0307/2010)
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore del testo, che rafforza i diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera. Va ricordato che vi sono oggigiorno troppe incertezze su questioni quali l’accessibilità delle cure, i rimborsi nonché la responsabilità per l’osservazione clinica post-trattamento nel settore delle cure transfrontaliere. La direttiva in esame dovrà permettere a tutti i pazienti, e non soltanto ai più informati o ai più fortunati, di beneficiare di un certo numero di diritti già riconosciuti dalla Corte di giustizia dell’Unione europea in materia di assistenza sanitaria. Occorre inoltre sottolineare che non si tratta affatto di incoraggiare le cure transfrontaliere in quanto tali, ma di renderle possibili, sicure e di elevata qualità nei casi in cui si rivelino utili o necessarie. I cittadini dell’Unione europea devono godere di migliori informazioni e maggiore chiarezza sul contenuto delle disposizioni applicabili alle cure prestate in uno Stato membro diverso da quello di affiliazione. Inoltre, pur convenendo sulla necessità di contrastare il “turismo sanitario”, credo che la tutela dei diritti dei pazienti presupponga la creazione di un sistema di autorizzazione preventiva, che risulti flessibile dal punto di vista dei pazienti ma che, al contempo, dal lato dei responsabili della gestione sanitaria, preveda un meccanismo di preavviso per i costi derivanti dai trasferimenti verso istituzioni sanitarie di altri Stati membri.
Antonello Antinoro (PPE), per iscritto. − Questa raccomandazione al Consiglio era fondamentale per assicurare ai pazienti un livello di certezza giuridica il più elevato possibile per esercitare i diritti in termini concreti, come indicato dalla Corte di giustizia europea.
Questo orientamento, comunque, non interferisce con le competenze esclusive degli Stati membri nella gestione dei sistemi sanitari interni e nelle scelte di politica sanitaria nazionale come disposto dal trattato. I punti principali, infatti, sono stati: le malattie rare; gli standard qualitativi e le norme di sicurezza; le procedure di rimborso e di autorizzazione preventiva e i pagamenti anticipati; il ruolo dei punti di contatto come "sportello unico"; l'esclusiva competenza degli Stati Membri in materia di "paniere dei servizi sanitari" e di scelte di natura etica in campo sanitario; e-health e cooperazione tra Stati membri.
Inoltre si sono chiariti i diritti dei pazienti enunciati dalla Corte di giustizia europea ed il miglioramento della certezza giuridica globale in materia di assistenza sanitaria transfrontaliera, agevolare l’accesso all’assistenza sanitaria transfrontaliera e il suo rimborso, secondo criteri sicuri e di qualità, promuovere la cooperazione in materia di assistenza sanitaria tra gli Stati membri.
Liam Aylward (ALDE), per iscritto. – (GA) Ho espresso voto favorevole perché concordo sul fatto che oggigiorno vi siano troppe incertezze su questioni quali l’accessibilità delle cure, i rimborsi nonché la responsabilità per l’osservazione clinica post-trattamento nel settore delle cure transfrontaliere.
Sebbene sia fondamentale non accrescere la pressione sui sistemi sanitari nazionali o non aggravare le disuguaglianze al loro interno, i pazienti devono avere la facoltà e la libertà di ricorrere a cure mediche transfrontaliere, ricevendo tutte le informazioni circa i relativi diritti. Occorre eliminare l’incertezza giuridica che circonda l’ammissibilità all’assistenza sanitaria e i rimborsi, fornendo ai pazienti indicazioni chiare e precise sui tempi e sulle condizioni di copertura delle cure ricevute in un altro Stato membro.
Accolgo con favore la proposta, avanzata nella relazione, di istituire punti di contatto nazionali in tutti gli Stati membri, affinché i pazienti siano informati dei trattamenti disponibili nonché delle modalità di presentazione di una richiesta di cure transfrontaliere, di un reclamo o di un ricorso.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questo importante documento. I cittadini dell’Unione europea si attendono che gli Stati membri garantiscano servizi sanitari sicuri, qualitativamente elevati ed efficienti. Poiché la competenza in materia di assistenza sanitaria spetta agli Stati stessi, i livelli di accessibilità e qualità potrebbero variare leggermente. Non sempre i pazienti possono ottenere cure adeguate nel proprio paese, in chiara violazione delle libertà sancite dal trattato sull’Unione europea. Resta inoltre irrisolto il problema del riconoscimento delle prescrizioni all’interno dell’UE europea, che pone gravi difficoltà ai viaggiatori. Non credo che la libera circolazione dei pazienti e il diritto di essere curati in un altro Stato membro favoriscano il turismo sanitario. Ritengo anzi che tali disposizioni possano inviare un segnale positivo agli Stati membri affinché predispongano riforme appropriate nel settore della sanità, assicurando che i servizi offerti siano quanto più diversificati e validi possibile e che, pertanto, i pazienti possano essere curati in un altro Stato membro se necessario.
Regina Bastos (PPE), per iscritto. – (PT) La direttiva concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera rappresenta un progresso fondamentale verso la mobilità dei pazienti all’interno dell’Unione europea. Il documento si prefigge di semplificare e sostenere l’accesso a servizi sanitari transfrontalieri di elevata qualità, nonché il diritto dei pazienti a essere rimborsati dallo Stato membro di appartenenza, promuovendo così anche la cooperazione tra paesi. Vengono altresì introdotti chiari vantaggi per i pazienti (soprattutto nel caso di patologie rare e complesse), che avranno la possibilità di ricevere diagnosi e cure nello Stato membro più adatto alle rispettive esigenze. Tale mobilità consentirà inoltre ai pazienti di evitare le liste di attesa nazionali nel rispetto della legge, ricorrendo ai servizi sanitari offerti in altri paesi dell’UE. La direttiva in esame permetterà a tutti i pazienti di beneficiare di un certo numero di diritti già riconosciuti dalla Corte di giustizia dell’Unione europea in materia di assistenza sanitaria. Si tratta indubbiamente di un passo avanti nel processo di integrazione europea e nel consolidamento della solidarietà, nel contesto di un’Europa incentrata sui cittadini. Per tutti questi motivi, ho espresso voto favorevole.
George Becali (NI), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della relazione, e desidero ringraziare la relatrice per il lavoro svolto e le proposte avanzate. Condivido l’idea che i pazienti debbano compiere una scelta basata sulla necessità e non sulle possibilità economiche, sulla scelta informata e non sull’obbligo. La facoltà di ricorrere alla mobilità dei pazienti, aggirando le liste di attesa nazionali, è una questione della massima urgenza per i cittadini europei, con particolare riguardo a quelli provenienti dai nuovi Stati membri, fra cui la Romania. Sono altresì favorevole alla proposta di istituire un sistema di autorizzazione preventiva che risulti flessibile dal punto di vista dei pazienti.
Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. – (FR) Sebbene un numero sempre più elevato di cittadini europei ricorra all’assistenza sanitaria prestata in uno Stato membro diverso dal proprio, spesso manca loro la consapevolezza dei diritti riconosciuti in questo settore. I pazienti devono seguire un iter lungo e macchinoso per ottenere il rimborso delle cure ricevute all’estero, oltre a incontrare difficoltà nel reperire le informazioni necessarie.
In questa prima tornata del 2011 abbiamo adottato una direttiva intesa a chiarire i diritti dei pazienti europei che ricorrono a servizi sanitari esteri. Il testo, approvato ad ampia maggioranza, stabilisce che i cittadini saranno rimborsati per le cure ricevute in un altro Stato membro. Si tratta di una notizia positiva per i pazienti che si trovano in lunga lista di attesa e faticano a ottenere i trattamenti necessari nel proprio paese.
Favorire la mobilità al fine di migliorare i servizi sanitari per i pazienti europei: è questo il nostro obiettivo! Verrà inoltre inaugurata una stretta collaborazione sulle patologie rare, allo scopo di migliorare le cure per i pazienti bisognosi di assistenza sanitaria specializzata.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della relazione perché la proposta di direttiva in esame intende conferire a tutti i pazienti il diritto e l’opportunità di ottenere, con la massima rapidità, cure mediche essenziali in un altro Stato membro. Inoltre, il documento enuncia chiaramente i casi in cui il ricorso a tale assistenza è ammesso, mentre allo stato attuale le regole concernenti il rimborso delle cure non sono sempre chiare e comprensibili. Desidero sottolineare che la direttiva deve riguardare tutti i pazienti, non soltanto i più informati o i più fortunati, e garantirne la sicurezza. Il Parlamento aveva espresso parere positivo già in prima lettura, ma purtroppo il Consiglio non ha tenuto conto di tutti gli emendamenti proposti dall’Assemblea, tralasciando ad esempio la questione fondamentale del trattamento di patologie rare. Malgrado il suo atteggiamento, i 25 milioni di europei che soffrono di malattie rare dovrebbero avere la possibilità di ricevere cure mediche in un altro Stato membro. Condivido peraltro la seguente proposta del Parlamento: onde evitare discriminazioni contro i cittadini con un reddito modesto, il ricovero nello Stato membro in cui l’assistenza è fornita dovrebbe essere a carico dello Stato membro di origine, eliminando l’obbligo preliminare di apertura di un conto, oppure tutti i costi sostenuti dal paziente dovrebbero, perlomeno, essere rimborsati immediatamente. È altresì essenziale che ciascuno Stato membro istituisca punti di contatto nazionali per fornire ai pazienti tutte le informazioni necessarie circa la disponibilità dell’assistenza sanitaria, le procedure e la documentazione richiesta.
Jan Březina (PPE), per iscritto. – (CS) Ho votato a favore della relazione Grossetête perché elimina l’incertezza, che persiste da molti anni, circa il rimborso dei costi e il relativo problema dell’accessibilità dell’assistenza sanitaria transfrontaliera. Mentre finora i vantaggi delle cure mediche transfrontaliere erano una prerogativa dei pazienti meglio informati o più motivati, adesso questa possibilità è aperta a tutti. Convengo sulla necessità di subordinare il rimborso dei costi al rilascio di un’autorizzazione preventiva nei casi precisamente descritti e giustificati, qualora le cure richiedano un ricovero di almeno una notte o apparecchiature altamente specializzate e dispendiose, oppure quando sussista un rischio particolare per i pazienti o la popolazione. Ritengo che, nei suddetti casi, l’autorizzazione preventiva contribuisca a prevenire un turismo sanitario eccessivo.
L’espansione di tale fenomeno si ripercuote negativamente su diversi sistemi sanitari europei. Tuttavia, se un paziente si trova ad attendere tempi irragionevolmente lunghi nel proprio paese, non sorprende che voglia recarsi in uno Stato dove potrebbe ricevere cure più tempestive e, forse, valide; d’altro canto, nei paesi che maggiormente accolgono cittadini stranieri bisognosi di cure mediche o interventi, esiste il rischio che questi ultimi scavalchino i pazienti nazionali.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) La direttiva in esame definisce norme volte ad agevolare l’accesso a un’assistenza sanitaria transfrontaliera sicura e di qualità, promuovendo una migliore cooperazione in ambito sanitario tra Stati membri, nel pieno rispetto delle giurisdizioni nazionali. Il testo contempla valori comuni fondamentali come l’universalità, l’accessibilità di servizi sanitari di buon livello, la parità e la solidarietà. Ne derivano chiari vantaggi per i pazienti, soprattutto quelli che soffrono di patologie croniche e rare, poiché potranno rivolgersi a centri di eccellenza nel settore che li riguarda. Questa direttiva costituisce un altro esempio dei modi in cui l’Unione può mettersi al servizio dei cittadini, consentendo loro di scegliere l’istituzione sanitaria più adatta indipendentemente dallo Stato membro in cui ha sede.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) Gli Stati membri hanno il dovere di offrire ai propri cittadini i servizi sanitari sicuri, qualitativamente elevati ed efficienti di cui hanno bisogno. La direttiva in esame non può, pertanto, minare la libertà dello Stato membro di scegliere la forma di assistenza sanitaria che reputa più adeguata. Viviamo in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, all’interno del quale i cittadini europei possono circolare liberamente. È dunque essenziale definire norme chiare nel settore dell’assistenza sanitaria transfrontaliera, con particolare riguardo ai costi delle cure ricevute in un altro Stato membro. In conformità alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, la direttiva garantisce maggiore sicurezza ai cittadini dell’UE, consentendo loro di sottoporsi ai trattamenti necessari in un altro Stato membro e di essere rimborsati entro il massimale previsto dai rispettivi sistemi sanitari. È altresì indispensabile creare un sistema di autorizzazione preventiva per l’assistenza ospedaliera che sia flessibile e permetta ai pazienti di accedere a cure sicure e di qualità. L’atto rappresenta un primo, fondamentale passo verso la mobilità dei pazienti nell’UE: la presenza di norme minime comuni è, difatti, preferibile alle singole pronunce in sede giudiziale.
Lara Comi (PPE), per iscritto. − Valuto positivamente l'adozione della Direttiva volta a introdurre nuove regole in materia di assistenza sanitaria transfrontaliera. Con la nuova normativa, l'Europa compie un passo importante, non solo nel senso di un'agevolazione dell'assistenza sanitaria, specie nelle regioni di confine, e di un ampliamento delle opportunità di cura per i cittadini dell'UE, ma anche di un generale avanzamento nel settore sanitario, grazie agli incentivi alla ricerca provenienti dalla cooperazione tra gli Stati. In particolare, approvo l'introduzione di norme volte a rafforzare la cooperazione in materia di patologie rare, così da consentire a coloro che ne soffrono di poter beneficiare dei vantaggi derivanti da una più stretta collaborazione sanitaria tra gli Stati membri. Inoltre, la norma che vincola il rimborso alla condizione che il trattamento e i costi siano coperti dai rispettivi sistemi sanitari, nonché la previsione di un'autorizzazione preventiva per i trattamenti che comportano un ricovero, rappresentano clausole di salvaguardia, volte ad assicurare la stabilità dei sistemi sanitari nazionali. La Direttiva consente pertanto di procedere in maniera significativa lungo la via del miglioramento dei servizi sanitari, realizzando il giusto compromesso tra le esigenze degli Stati che dell'erogazione di tali servizi sono responsabili e quelle dei cittadini che ne sono i principali beneficiari.
Corina Creţu (S&D), per iscritto. – (RO) Il progetto di risoluzione legislativa sulla posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell’adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera rappresenta un documento importante, e la sua approvazione costituirà un progresso significativo sul piano sociale. La possibilità di ricevere cure mediche in qualunque Stato membro dell’UE costringerà i paesi in cui il sistema sanitario versa in condizioni precarie a rivedere le rispettive priorità e dedicare a questo settore l’attenzione che merita.
Allo stesso modo, si presenta l’opportunità di innescare una concorrenza diretta tra i vari sistemi, spingendoli ad evolversi e a prestare la dovuta attenzione alle aspettative ed esigenze dei pazienti.
Nel contempo, la direttiva incoraggerà la creazione di centri di eccellenza medica a livello transfrontaliero, che diventeranno anche luoghi di istruzione e formazione specializzata per studenti e medici.
Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. – (RO) Ritengo utile che la direttiva concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera introduca l’obbligo di redigere un elenco di condizioni e criteri specifici in base al quale un’autorità nazionale dovrà giustificare l’eventuale rifiuto di autorizzare il trattamento di un paziente in una struttura estera. Tali condizioni devono altresì tener conto del potenziale rischio per il paziente stesso o il pubblico, qualora vengano presentate diverse richieste dello stesso tipo. Mi auguro che la direttiva ottenga anche l’approvazione del Consiglio ed entri in vigore quanto prima, nell’interesse dei pazienti.
Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. – (EN) Sono favorevole a questa proposta circa l’assistenza sanitaria transfrontaliera. Le cure mediche non dovrebbero mai essere considerate alla stregua di un servizio commerciale. Questa iniziativa mira ad assicurare che non vi siano ostacoli superflui all’ottenimento di cure mediche in uno Stato membro diverso dal proprio; intende altresì attuare gli orientamenti che la Corte di giustizia dell’Unione europea ha espresso nelle proprie sentenze, proponendosi di fare maggiore chiarezza sul diritto del paziente a essere rimborsato dallo Stato di origine. È importare non solo garantire servizi sanitari transfrontalieri sicuri, qualitativamente elevati, accessibili ed efficienti, ma anche assicurare il giusto equilibrio tra il diritto dei pazienti dell’UE a rivolgersi a istituzioni sanitarie estere, da un lato, e le capacità dei sistemi sanitari nazionali nonché le relative priorità, dall’altro. La direttiva farà luce sul rimborso dei costi per le cure ricevute in un altro Stato membro, garantendo il buon funzionamento e l’equilibrio finanziario dei sistemi sanitari di ciascun paese. È essenziale che gli Stati membri dispongano l’istituzione di un sistema di autorizzazione preventiva ben definito per la copertura dei costi derivanti da trattamenti ospedalieri o specializzati.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) Proponendo un sistema che assegna priorità alle esigenze dei pazienti, inviamo un segnale forte ai nostri concittadini. Il Parlamento europeo ha mantenuto una posizione compatta e ferma su questo atto di riconoscimento dei bisogni dei pazienti europei, che rappresenta un primo passo verso il rafforzamento del diritto ad accedere a un’assistenza sanitaria di qualità nel nostro continente. Secondo le nuove norme, i cittadini europei potranno essere rimborsati per le cure ricevute in un altro Stato membro a condizione che lo stesso trattamento sia normalmente rimborsabile, per tipologia e per costi, nel paese di origine del paziente. Le autorità potranno invitare i pazienti a richiedere un’autorizzazione preventiva qualora il trattamento preveda un ricovero di almeno una notte o cure specializzate; qualunque rifiuto dovrà essere motivato con chiarezza. Il ricorso all’assistenza sanitaria transfrontaliera potrebbe giovare, in particolar modo, ai pazienti costretti ad affrontare lunghe liste di attesa o impossibilitati a ottenere cure specializzate. Adesso occorre garantire che l’attuazione della direttiva venga seguita adeguatamente e produca risultati concreti sull’assistenza sanitaria, nell’interesse dei pazienti europei.
Anne Delvaux (PPE), per iscritto. – (FR) Il tema dell’assistenza sanitaria transfrontaliera è da tempo al centro di negoziati. La questione ha scatenato un’ondata di proteste quando, in una precedente versione del testo, si profilò il rischio di un’assistenza sanitaria a due velocità, intesa a promuovere il turismo sanitario per i pazienti con maggiori possibilità economiche e a danneggiare gli Stati membri che non avrebbero potuto pianificare i propri servizi sanitari sulla base di una domanda correlata alla qualità offerta. Il testo adottato lo scorso mercoledì è più consensuale e consente ai pazienti europei di ricevere cure che non sono disponibili nei rispettivi paesi o per cui le liste di attesa sono molto lunghe. I costi derivanti dalle cure in un altro Stato membro saranno rimborsati nel paese in cui il paziente risiede, ma non potranno superare l’importo richiesto per un trattamento analogo. I pazienti dovranno inoltre richiedere un’autorizzazione preventiva per talune cure specializzate o per ricoveri di almeno una notte; ogni rifiuto dovrà essere motivato. Si tratta di un ulteriore progresso verso la realizzazione di un’Europa della sanità, e non possiamo che esserne soddisfatti.
Robert Dušek (S&D), per iscritto. – (CS) Il tema dell’accessibilità all’assistenza sanitaria transfrontaliera è caratterizzato da una disinformazione generalizzata e da un atteggiamento di rifiuto a priori. Nel quadro delle libertà fondamentali sancite dall’UE, ogni cittadino dovrebbe avere la possibilità, in via di principio, di ricorrere ai servizi di sanitari di un altro Stato membro qualora la terapia o le cure siano di qualità più elevata o più rapide e laddove il cittadino stesso si faccia carico dei relativi costi. Consentire ai pazienti di accedere ai servizi sanitari di un altro Stato membro è pertanto una priorità. Questa discussione si protrae da anni senza compiere progressi significativi: è ammesso ricevere cure mediche in un altro paese dell’UE solo in casi di emergenza, il che rende impossibile la pianificazione dei trattamenti.
Permane l’obbligo di iscrizione al regime nazionale di assicurazione malattia, che può essere richiesta, ovviamente, soltanto dai cittadini dell’Unione europea con residenza permanente nello Stato in questione. Questa disposizione è semplicemente assurda, visto che i cittadini possono avere soltanto un recapito permanente, che sarà nel paese in cui risiedono, e non possono pertanto aderire al regime di due o più paesi dell’UE. Con questo provvedimento di legge impediamo dunque ai cittadini dell’UE di investire ancor più nella propria salute e nelle cure necessarie, qualora lo desiderino. Tuttavia, la raccomandazione costituisce perlomeno un piccolo passo nella giusta direzione; ho dunque espresso voto favorevole.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) La proposta in esame chiarisce e semplifica l’accesso all’assistenza sanitaria transfrontaliera nonché l’esercizio del diritto di rimborso nei confronti dello Stato membro di affiliazione, consentendo così a tutti i pazienti dell’UE di beneficiare dei servizi sanitari offerti in un altro Stato membro. In realtà, tali diritti sono già riconosciuti dalla Corte di giustizia dell’Unione europea; questo atto rappresenta un passo avanti nel processo di integrazione europea e verso il consolidamento della solidarietà, nella misura in cui si riducono le liste di attesa, migliora la qualità dell’assistenza sanitaria e si impartisce uno slancio alla ricerca scientifica. Le patologie rare sono una priorità, e adesso è possibile effettuare la diagnosi e ricevere le cure necessarie nello Stato membro più adatto allo scopo. Questa direttiva si rivolge a tutti i cittadini europei che necessitano di assistenza sanitaria. Sbaglia dunque il Ministro della sanità portoghese quando afferma che queste disposizioni giovano soltanto ai cittadini con un grado di istruzione più elevato o con maggiori possibilità economiche: questa è la situazione che si crea attualmente, in assenza della direttiva. Il Portogallo, dotato di un eccellente sistema sanitario, non può restare ai margini di un progetto tanto importante; il paese deve cogliere l’opportunità offerta dalla direttiva per attuare altri interventi di modernizzazione e fornire un’assistenza sanitaria competitiva ai cittadini europei interessati.
Carlo Fidanza (PPE), per iscritto. − Accolgo con favore la nuova normativa che regola il diritto dei pazienti alle cure mediche in un altro paese dell'UE. Il lavoro del PPE, in stretta collaborazione con gli altri gruppi politici, è stato ancora una volta fondamentale: l'approvazione della relazione della collega francese Grossetête arriva dopo lunghi negoziati con il Consiglio e consente di compiere un passo in avanti significativo in un settore in cui le normative vigenti non erano sufficienti. Le nuove norme, che riguardano solo coloro i quali scelgono di farsi curare all'estero, stabiliscono che i cittadini dell'UE possono essere rimborsati per l'assistenza medica che ricevono in un altro Stato membro, a condizione che fosse prevista nel loro paese di appartenenza la copertura del trattamento e dei relativi costi. Tutto ciò assume particolare valenza se si pensa al fatto che la ricerca di cure sanitarie all'estero potrebbe avvantaggiare soprattutto i pazienti inseriti in lunghe liste d'attesa, o quelli che non sono in grado di trovare cure specialistiche.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Abbiamo votato contro la direttiva concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera, malgrado gli emendamenti al testo iniziale. La versione finale, frutto di un compromesso con la maggioranza del Consiglio, prevede un periodo di trenta mesi per il recepimento da parte degli Stati membri.
Il nostro voto contrario è dovuto all’applicazione del principio della libera circolazione ai servizi sanitari, che non tiene conto delle loro specificità né della necessità di garantire un servizio sanitario pubblico teso a rispondere innanzi tutto alle esigenze dei cittadini del paese.
Dovremmo tener presente che questa proposta della Commissione è stata presentata in seguito ai fatti del 2007. All’epoca il Parlamento europeo si oppose all’inclusione dei servizi sanitari nella sfera di applicazione della direttiva sui servizi nel mercato interno in seguito all’opposizione dei lavoratori e del pubblico, che consentì di stralciare il provvedimento da quella infelice versione della direttiva Bolkestein.
Ciononostante, la decisione finale del Parlamento, che abbiamo sempre osteggiato, comprende una serie di concessioni che permettono agli Stati membri di utilizzare, se lo desiderano, determinati meccanismi per proteggere i propri servizi pubblici.
Pertanto, anche se questo potrebbe complicare l’accesso ai servizi sanitari, in particolare per i cittadini che non possono ricorrere alla sanità privata o sostenere i costi di un soggiorno all’estero, le conseguenze pratiche della sua attuazione continueranno a dipendere dalle disposizioni del parlamento e del governo portoghesi.
Lorenzo Fontana (EFD), per iscritto. − Il diritto all'assistenza sanitaria per i cittadini che si trovano all'estero deve necessariamente compiere dei progressi rispetto alla situazione attuale. Auspico che non si materializzi il timore di una eccessiva ingerenza della legislazione comunitaria rispetto a quella degli Stati membri, tuttavia ritengo positivo che i cittadini possano acquisire il diritto alle cure mediche in uno Stato membro ed essere rimborsati fino al massimale previsto dal regime nazionale. Per queste ragioni, ritengo di appoggiare la raccomandazione della collega.
Pat the Cope Gallagher (ALDE), per iscritto. – (GA) Sostengo il diritto dei pazienti a ricorrere, ove necessario, ai servizi sanitari di un paese dell’UE diverso da quello di provenienza. Ogni cittadino irlandese, anzi ogni cittadino europeo, ha il diritto di recarsi in un altro Stato dell’Unione per ricevere le cure mediche necessarie. Non sono favorevole al “turismo sanitario”, bensì a un sistema che aiuti i pensionati residenti all’estero e i cittadini affetti da patologie rare.
Elisabetta Gardini (PPE), per iscritto. − Durante le discussioni precedenti, in sede di commissione parlamentare, più volte è stato ribadito che la presente direttiva non vuole incoraggiare il "turismo sanitario", ma solo stabilire regole chiare sull’assistenza sanitaria transfrontaliera.
È importante che il ricorso a cure mediche in un altro Stato membro diverso da quello di appartenenza sia vincolato a una necessità comprovata e oggettiva in modo tale da evitare che i sistemi sanitari nazionali siano sovraccaricati di oneri finanziari eccessivi che ne comprometterebbero necessariamente l’efficienza. Un passo in avanti è stato fatto per quanto riguarda le malattie rare: i pazienti avranno un accesso più agevole a cure altamente specializzate e la possibilità di richiedere una consultazione specialistica in un altro Stato membro.
Ritengo in tal senso rilevante che vengano istituiti dei punti di contatto nazionali per garantire ai pazienti informazioni esaustive sui trattamenti disponibili in altri Paesi e sulle modalità di accesso e rimborso delle cure transfrontaliere. Mi preme infine sottolineare che in nessun caso deve essere messa in discussione l’esclusiva competenza degli Stati in materia di "paniere delle cure" e di scelte etiche in campo sanitario.
Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (S&D), per iscritto. – (PL) La direttiva concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera costituisce un nuovo, indispensabile strumento normativo, che può migliorare in misura significativa la situazione dei pazienti nell’Unione europea. Oggigiorno i pazienti che desiderino ricorrere ai servizi medici di un paese diverso dal proprio incontrano numerosi ostacoli amministrativi e finanziari, al punto che soltanto i più abbienti possono permettersi il lusso di essere curati all’estero. In risposta a questi problemi, la proposta di direttiva consente di snellire al massimo le procedure amministrative, ad esempio limitando l’obbligo di autorizzazione preventiva del trattamento da parte dell’istituzione sanitaria nazionale e assicurando un migliore scambio di informazioni sui servizi medici offerti in altri paesi attraverso l’istituzione di punti di contatto nazionali. Ciò non equivale a promuovere il “turismo sanitario”, come affermano alcuni, bensì a garantire il diritto a un’assistenza affidabile e di qualità ove necessario. Credo inoltre che, nel lungo periodo, la direttiva possa contribuire a ravvicinare il livello dei servizi medici offerti nei singoli Stati membri.
Il bene dei pazienti dovrebbe essere il primo dei nostri pensieri nell’esaminare questo progetto di direttiva. Al legislatore spetta il compito di ridurre al minimo le formalità collegate all’accesso ai servizi sanitari e offrire ai cittadini che lo richiedano un’ampia scelta di cure mediche. Appoggio dunque caldamente la proposta di direttiva concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera; auspico inoltre che i negoziati, in corso da ormai sette anni, conducano a un’intesa con il Consiglio.
Robert Goebbels (S&D), per iscritto. – (FR) Ho infine deciso di votare per la direttiva sull’assistenza sanitaria transfrontaliera. Il compromesso tra il Parlamento e il Consiglio è accettabile, soprattutto perché riconosce il diritto degli Stati ad adottare misure volte a preservare l’equilibrio finanziario dei propri sistemi previdenziali, anche grazie al sistema di autorizzazione preventiva per il rimborso delle cure ospedaliere ricevute in un altro Stato membro. Si eviterà così ogni forma di turismo sanitario.
La precedente Commissione sbagliava a considerare l’assistenza sanitaria alla stregua di un qualunque servizio commerciale, così come alcuni membri di quest’Assemblea commettono un errore quando annunciano la creazione di un’Europa della sanità. Le cure migliori non saranno mai accessibili al cittadino comune, ma dipenderanno dai contatti e, in particolare, da un portafoglio rigonfio: purtroppo la realtà dei fatti è questa, e la direttiva non può eluderla.
Louis Grech (S&D), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore la relazione dell’onorevole Grossetête sull’adozione della direttiva concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera. La votazione odierna rappresenta un altro passo verso la codificazione dei diritti dei pazienti nella legislazione dell’UE. È indispensabile che, dopo l’entrata in vigore della direttiva, i pazienti non siano lasciati da soli a sostenere gli oneri economici di cure mediche transfrontaliere e che i rimborsi vengano effettuati tempestivamente e senza intoppi. Qualità, parità, solidarietà e universalità dell’assistenza sanitaria devono restare i principi guida durante le fasi di recepimento e attuazione negli Stati membri; i governi dovrebbero altresì stabilire scadenze pubbliche ed elaborare piani di azione per seguire e garantire l’attuazione.
Infine, per conferire piena efficacia alla direttiva, la Commissione deve osservare e controllare il coordinamento tra lo Stato membro di affiliazione e quello dove si effettua il trattamento, assicurando che si eviti qualunque disuguaglianza e disparità nell’accesso dei pazienti ai servizi sanitari transfrontalieri.
Nathalie Griesbeck (ALDE), per iscritto. – (FR) Il fatto che io provenga dalla sola regione francese confinante con tre Stati membri dell’UE e che rappresenti dunque una circoscrizione elettorale particolarmente interessata dalle questioni transfrontaliere mi rende molto sensibile a tali problematiche. In effetti, i confini rappresentano fin troppo spesso un ostacolo nella vita quotidiana dei cittadini. L’Europa si fonda sul principio della libera circolazione delle persone, che deve applicarsi anche ai pazienti; il tema dell’assistenza sanitaria transfrontaliera assume, in questa prospettiva, un’importanza fondamentale. Ho dunque votato a favore della relazione sui diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera, un testo che consentirà ai cittadini di ricorrere più agevolmente ai servizi sanitari di un altro Stato membro. Esso chiarisce soprattutto le norme applicabili; inoltre, i pazienti potranno beneficeranno di una maggiore informazione (in particolare attraverso i punti di contatto) circa i loro diritti e il rimborso delle cure. Si tratta pertanto di un passo determinante e molto concreto, che conferirà un effettivo valore aggiunto alla costruzione di un’Europa sociale e di una vera Europa della sanità.
Mathieu Grosch (PPE), per iscritto. – (DE) Accolgo con favore la direttiva concernente i diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera. L’offerta di servizi sanitari caratterizzati dalla massima tempestività e da un chiaro orientamento al paziente, che siano accessibili anche ai cittadini di altri Stati membri, costituisce un presupposto fondamentale per ravvicinare ancor più l’Europa. L’assistenza sanitaria transfrontaliera è all’ordine del giorno in zone di confine come quella da cui provengo; guardo dunque con soddisfazione alla maggiore accessibilità di servizi sanitari affidabili e qualitativamente elevati nonché alla semplificazione del rimborso dei costi. In particolare, condivido l’idea di creare un valore aggiunto per i pazienti in lista di attesa. Le nuove disposizioni consentiranno loro di essere curati più rapidamente in un altro Stato membro, anziché attendere tempi molto lunghi nel proprio. Da un lato, è vero che l’introduzione di norme sul rifiuto dell’autorizzazione preventiva è una scelta ragionevole e contribuisce a una maggiore chiarezza. Dall’altro, alcuni problemi legati alla sanità transfrontaliera restano irrisolti; mi riferisco in particolare ai pendolari abituali tra paesi, che dopo il pensionamento si vedranno negato o limitato l’accesso a servizi per loro importanti nel paese in cui lavoravano.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Ho espresso parere favorevole al testo, grazie al quale si evita che l’assistenza sanitaria diventi l’ennesimo bene commerciale. Desidero inoltre ringraziare la Presidenza spagnola per questa iniziativa e per il sostegno offerto alla reistituzione del sistema di autorizzazione preventiva per le cure specializzate a livello transfrontaliero.
Se è vero che l’Unione europea promuove la mobilità dei cittadini e ha il dovere di legiferare sui servizi sanitari, occorre comunque assicurare che la sanità resti un bene pubblico, accessibile a tutti in condizioni ottimali, evitando che si trasformi in una fonte di reddito e un ambito di concorrenza tra i sistemi sanitari e previdenziali nazionali.
Małgorzata Handzlik (PPE), per iscritto. – (PL) La direttiva concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera rappresenta un passo indispensabile verso l’abolizione delle barriere che i pazienti hanno finora incontrato negli Stati membri dell’Unione europea. Il suo obiettivo principale è semplificare l’accesso dei pazienti al sistema sanitario di altri paesi dell’UE e, in particolare, ai servizi che non sono rapidamente disponibili nei rispettivi Stati. È una novità positiva soprattutto per i cittadini che abitano in zone di confine e, ancora di più, per quanti soffrono di patologie rare e necessitano di cure specializzate non disponibili nel proprio paese. Guardo altresì con favore alle disposizioni che conferiscono determinati vantaggi ai pazienti, come il reciproco riconoscimento delle prescrizioni, l’abolizione dell’obbligo di iscrizione al regime di assicurazione malattia estero e l’accesso alle cartelle cliniche. Ugualmente essenziale è la proposta di istituire punti di contatto nazionali, che avranno il compito di informare i pazienti in merito ai loro diritti.
I pazienti dovrebbero ricevere informazioni esaustive sulle procedure per l’accesso ai servizi sanitari esteri, nonché sull’iter per ottenere il rimborso delle relative spese, che varierà a seconda dei costi nel paese in cui il paziente stesso è assicurato. Credo che le soluzioni proposte agevoleranno l’accesso a servizi sanitari sicuri e qualitativamente elevati in tutta l’Unione europea.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Alcuni anni fa votai per l’esclusione dell’assistenza sanitaria dall’ambito di applicazione della direttiva sui servizi; inoltre, mi sono pronunciato a sfavore della direttiva sull’assistenza sanitaria transfrontaliera in prima lettura. All’epoca esisteva l’evidente tendenza, in seno alla Commissione, a trattare i servizi sanitari come un bene commerciale. Questo approccio non rispecchia la mia idea di sanità, perché i pazienti non possono essere considerati alla stregua di consumatori paganti. Il Consiglio ha tuttavia apportato profondi miglioramenti al progetto di direttiva, conferendogli una base giuridica diversa dalla mera disciplina del mercato interno. Ho dunque votato a favore della relazione, nell’auspicio che rafforzi i diritti dei pazienti in tutta Europa.
Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. – (LT) Ho espresso voto favorevole alla relazione, che intende rafforzare i diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera. È deprecabile che vi siano oggigiorno troppe incertezze su questioni quali l’accessibilità delle cure, i rimborsi nonché la responsabilità per l’osservazione clinica post-trattamento nel settore delle cure transfrontaliere. La direttiva in esame dovrà permettere a tutti i pazienti, e non soltanto ai più informati o ai più fortunati, di beneficiare di un certo numero di diritti già riconosciuti dalla Corte di giustizia dell’Unione europea in materia di assistenza sanitaria. Non si tratta affatto di incoraggiare le cure transfrontaliere in quanto tali ma di renderle possibili, sicure e di elevata qualità nei casi in cui si rivelino utili o necessarie. La direttiva deve essere un’opportunità per i pazienti, un’opportunità basata sulla necessità e non sulle possibilità economiche, sulla scelta informata e non sull’obbligo. Condivido peraltro la seguente proposta del Parlamento: onde evitare discriminazioni contro i cittadini con un reddito più modesto, il ricovero nello Stato membro in cui l’assistenza è fornita dovrebbe essere a carico dello Stato membro di origine, eliminando l’obbligo preliminare di apertura di un conto da parte del cittadino, oppure tutti i costi sostenuti dal paziente dovrebbero, perlomeno, essere rimborsati immediatamente. È altresì essenziale che ciascuno Stato membro istituisca punti di contatto nazionali per fornire ai pazienti tutte le informazioni necessarie circa la disponibilità dell’assistenza sanitaria, le procedure e la documentazione richiesta.
Filip Kaczmarek (PPE), per iscritto. – (PL) Ho espresso parere favorevole all’adozione della relazione Grossetête per una serie di ragioni fondamentali. La direttiva concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria contiene molti elementi positivi: elimina gli ostacoli alla prestazione di cure mediche, assicura pari accesso a tutti i servizi sanitari all’interno dell’UE, pone fine alle discriminazioni contro i pazienti e introduce il reciproco riconoscimento delle prescrizioni, oltre a ridurre i tempi di attesa per una visita medica e ad abolire l’obbligo di iscrizione all’assicurazione malattia estera. Altri pregi di questo documento sono l’accesso a un’ampia scelta di servizi sanitari per i cittadini affetti da patologie rare nonché l’aumento della percentuale rimborsabile per i disabili.
La direttiva contribuisce inoltre a prevenire il turismo sanitario, stabilendo che i costi del trattamento saranno rimborsati entro il livello garantito nel paese che offre la copertura assicurativa; qualora le spese sostenute siano inferiori a tale cifra, verrà rimborsato l’intero importo.
La questione dell’autorizzazione ha dato luogo a un intenso dibattito; il consenso preventivo dell’assicurazione malattia nazionale sarà necessario soltanto in caso di cure ospedaliere o procedure mediche particolarmente dispendiose, e non per un qualunque trattamento, posto che quest’ultimo rientri nel novero dei servizi garantiti. Se uno Stato membro non ha autorizzato l’effettuazione di cure specializzate su un paziente a livello nazionale, la direttiva non sancisce il diritto del paziente a ricevere tale trattamento all’estero oppure a ottenerne il rimborso; un’importante eccezione è rappresentata dai cittadini affetti da patologie rare.
Sandra Kalniete (PPE) , per iscritto. – (LV) La direttiva concernente il diritto dei cittadini dell’Unione europea a ricevere cure mediche in uno dei 27 Stati membri rappresenta un significativo miglioramento dell’assistenza sanitaria nell’UE. La sua adozione giunge in un momento particolarmente opportuno, considerando la notevole mobilità dei lavoratori all’interno dell’Unione. Quando la direttiva entrerà in vigore, i pazienti potranno ottenere informazioni esaustive sulle nuove norme, imparando così a conoscere le opportunità loro offerte e a sfruttarle appieno. I cittadini potranno ricevere le prime cure in un qualunque Stato membro, mentre ai medici non è consentito rifiutarsi di intervenire. Il testo stabilisce inoltre che, in futuro, i pazienti potranno scegliere lo Stato membro in cui desiderano essere sottoposti a trattamenti pianificati.
I pazienti dovranno però ottenere un’autorizzazione preventiva da parte del proprio Stato di origine, poiché il rimborso verrà determinato secondo i costi correnti nel paese di residenza. Ad ogni modo, si tratta di un passo nella giusta direzione, che promuoverà la disponibilità di servizi sanitari. Va ricordato che i cittadini hanno diritto a ricevere cure mediche in uno Stato membro qualora tali cure non siano offerte nel rispettivo paese di residenza, una possibilità che assume particolare importanza nel caso delle patologie rare. Io e il mio gruppo siamo dunque favorevoli alla direttiva, che costituisce un’iniziativa essenziale del Parlamento e avrà effetti positivi sulla vita dei cittadini europei.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Egregio Presidente, cari colleghi, ho sostenuto la raccomandazione della collega Grossetête perché si tratta di una proposta di direttiva a favore dei cittadini europei. La nuova regolamentazione in tema di cure mediche stabilisce, infatti, che i cittadini possono essere rimborsati per l'assistenza medica ricevuta in un altro Stato membro, a condizione che il trattamento e i costi sarebbero stati normalmente coperti nel loro paese. Si tratta di un risultato raggiunto a vantaggio dei pazienti e che accorcerà notevolmente i tempi di attesa, talvolta eccessivamente lunghi. La nostra società è sempre più mobile, e credo sia giusto favorire, più di ieri, la mobilità dei cittadini nell'Unione Europea, anche in un settore di vitale importanza, quale quello dell'assistenza sanitaria. Ritengo, inoltre, importante sottolineare le nuove norme in tema di lotta alle malattie rare, che puntano ad un rafforzamento delle misure di cooperazione tra i vari Stati membri, al fine di garantire pienamente ai pazienti europei il loro diritto ad essere curati.
Elżbieta Katarzyna Łukacijewska (PPE), per iscritto. – (PL) Considero un successo la direttiva concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera, e ho dunque espresso parere favorevole. Poiché la salute è uno dei beni più preziosi a noi concessi, vorrei che gli europei godessero di servizi sanitari di massimo livello. La direttiva offre opportunità e speranze ai pazienti, spingendo altresì i sistemi sanitari nazionali ad attuare nuove riforme e aprendo gli ospedali e le cliniche d’Europa anche ai pazienti polacchi. Il testo corrobora l’idea che l’Europa sia davvero un progetto in fase di realizzazione e che la nostra priorità stia nel migliorare e promuovere la cooperazione degli Stati membri nel settore della tutela sanitaria.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della relazione perché è stato precisato che, all’estero, i pazienti britannici potranno ricevere soltanto le cure mediche pubbliche alle quali avrebbero diritto in patria. Mi compiaccio che siano stati respinti gli emendamenti con cui si cercava di rendere idonei al rimborso anche tutti i metodi di trattamento sufficientemente testati dalla medicina internazionale o ugualmente efficaci. Un uso incontrollato dell’assistenza sanitaria transfrontaliera avrebbe imposto oneri enormi al sistema britannico.
Jiří Maštálka (GUE/NGL), per iscritto. – (CS) Il documento in esame si ricollega a una discussione che impegnò il Parlamento europeo nella precedente legislatura. La proposta originaria della Commissione conteneva pecche e rischi che avrebbero potuto ripercuotersi negativamente sulla tutela dei consumatori, e dunque dei cittadini. Accolgo con favore il compromesso introdotto dall’emendamento n. 107, principalmente perché rafforza le garanzie per i pazienti nel settore dell’assistenza sanitaria transfrontaliera, sottolineando altresì la tendenza virtuosa verso una maggiore informazione del paziente. Il mio ultimo apprezzamento (ma non per questo meno importante) riguarda la responsabilità degli Stati membri nell’offerta di servizi sanitari sicuri, qualitativamente elevati, efficienti ed accessibili sul proprio territorio, responsabilità che viene rimarcata nell’emendamento. Ritengo inoltre essenziale che si definiscano le condizioni alle quali uno Stato membro può rifiutare l’autorizzazione preventiva. L’emendamento compie inoltre progressi soddisfacenti sul tema dell’interoperabilità, sostenendo la cooperazione nei settori della prevenzione e della diagnostica.
Véronique Mathieu (PPE), per iscritto. – (FR) Come possiamo garantire il diritto fondamentale di tutti i cittadini europei a circolare liberamente nell’Unione senza offrire loro l’opportunità di essere curati agevolmente in uno Stato membro diverso dal proprio? L’adozione di questo progetto di direttiva consentirà finalmente l’inclusione in un testo di legge della mobilità dei pazienti, uno degli aspetti intrinseci nella mobilità dei cittadini. Desidero congratularmi con la nostra relatrice per aver raggiunto un accordo con il Consiglio su un testo così importante, la cui adozione è stata rimandata troppo a lungo. Mi auguro che, nel lungo periodo, il recepimento nelle legislazioni nazionali permetterà ai cittadini europei di accedere realmente a servizi sanitari di qualità a livello transfrontaliero.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Oggigiorno questioni come l’accessibilità dell’assistenza sanitaria, i rimborsi nonché la responsabilità per l’osservazione clinica post-trattamento in relazione alle cure transfrontaliere sono oggetto di incertezza per la maggior parte dei cittadini europei. L’obiettivo della direttiva in esame è permettere a tutti i pazienti, e non soltanto ai più informati o ai più fortunati, di beneficiare di un certo numero di diritti già riconosciuti dalla Corte di giustizia dell’Unione europea in materia di assistenza sanitaria. Il testo non sottrae però competenze di sanità agli Stati membri né interviene sulla libera circolazione dei prestatori di servizi, concentrandosi solo sui pazienti e sulla loro mobilità all’interno dell’Unione.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Se le liste di attesa per un intervento chirurgico sono sature nel paese del paziente, questi sarà enormemente sollevato dalla prospettiva che i costi di un eventuale trattamento all’estero siano rimborsati dall’assicurazione malattia nazionale. Le nuove norme consentiranno ai cittadini affetti da patologie croniche di muoversi all’interno dell’Unione europea, ma saranno utili soltanto se riusciranno anche a prevenire il turismo sanitario; tale fenomeno eserciterebbe infatti una pressione ancora maggiore sui regimi di assicurazione malattia, che versano già in condizioni difficili. Oltre al rischio di sovraccarico per alcuni settori medici nei paesi con elevati standard sanitari, potrebbero insorgere costi spropositati per gli Stati membri dell’UE più poveri, che hanno investito risorse inferiori nella sanità. Non va dunque dimenticato che il meccanismo per cui i sistemi previdenziali dei paesi dell’UE dovrebbero rimborsarsi fra loro non funziona e che negli anni si sono accumulati debiti per milioni di euro. In teoria, gli Stati membri possono escludere determinati trattamenti se esiste il timore che l’afflusso di pazienti stranieri comprometta il funzionamento del sistema sanitario nazionale; in realtà, questa ipotesi è di difficile realizzazione. Non siamo neppure riusciti a risolvere i problemi esistenti riguardo ai rimborsi, mentre è poco probabile che le misure di prevenzione del turismo sanitario si rivelino efficaci. Ho votato contro la proposta di risoluzione per evitare un’impennata dei costi connessi alla previdenza sociale.
Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. – (RO) Ho espresso parere favorevole alla relazione presentata dall’onorevole Grossetête; permettere l’accesso all’assistenza sanitaria transfrontaliera è infatti un chiaro progresso per tutti i cittadini europei. Molti non dispongono di cure adeguate alla propria patologia nello Stato membro di residenza: occorre dunque offrire loro l’opportunità di ricevere tali cure in un qualunque paese dell’Unione europea, ottenendo il rimborso dei relativi costi.
Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. – (PL) Il 19 gennaio 2011 il Parlamento europeo ha adottato la direttiva concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera, che intende snellire le norme sulle cure ricevute all’estero. Sono lieto di constatare il ruolo essenziale svolto dal Parlamento, nella sua qualità di colegislatore, affinché le disposizioni fossero chiare e agevolassero i pazienti, fra le altre cose, nel rimborso dei costi sostenuti per i servizi sanitari di un altro paese. La normativa sull’assistenza sanitaria transfrontaliera riveste un’importanza ancora più fondamentale per il suo impatto su ogni singolo cittadino dell’Unione europea. La direttiva garantisce il reciproco riconoscimento delle prescrizioni e un accesso più agevole alle informazioni sulle cure offerte all’estero; essa accresce inoltre le opportunità di trattamento per i cittadini affetti da patologie rare, potenziando il diritto delle persone con disabilità a ottenere rimborsi più consistenti per i costi sostenuti. Il Parlamento europeo ha altresì contribuito all’istituzione di punti di contatto nazionali in ciascuno Stato membro, che forniranno informazioni su tutti gli aspetti dei servizi sanitari esteri e agiranno in stretta collaborazione fra loro. Vorrei infine ricordare l’urgenza di questa direttiva: la legislazione in vigore in materia di assistenza sanitaria transfrontaliera è confusa ed eccessivamente complessa, e necessita dunque di uno snellimento nell’interesse di tutti gli Stati membri dell’UE.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Ho votato a favore della raccomandazione in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento e del Consiglio sull'applicazione dei diritti dei pazienti relativi all'assistenza sanitaria transfrontaliera perché ritengo indispensabile dover garantire in tutta l'Unione un'assistenza sanitaria adeguata ad alti criteri di qualità e sicurezza della salute dei cittadini. Con l'approvazione della direttiva il paziente dovrà richiedere un'autorizzazione preventiva per beneficiare dell'assistenza sanitaria di un altro Stato membro, questo per garantire la qualità e la sicurezza delle cure e dei servizi sanitari, potrà richiedere un rimborso delle cure sulla base della spesa prevista per la stessa cura nel suo paese d'origine e sarà inoltre tutelato, assistito e rimborsato per tutti i casi inerenti malattie rare, le cui cure verranno favorite dalla cooperazione nella ricerca tra gli Stati.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Ogni Stato membro ha il compito di garantire ai propri cittadini l’assistenza sanitaria. La presente direttiva stabilisce norme volte ad agevolare l’accesso a un’assistenza sanitaria transfrontaliera sicura e di qualità e promuove la cooperazione tra gli Stati membri in materia di assistenza sanitaria, nel pieno rispetto delle giurisdizioni nazionali.
L’assistenza sanitaria altamente specializzata si è evoluta in modo asimmetrico, nella misura in cui sono sorti centri di eccellenza per patologie rare o croniche in paesi in determinati paesi non perché tali patologie vi siano comuni, ma perché richiedono un elevato grado di specializzazione. La correzione di tale squilibrio è indubbiamente uno dei presupposti per promuovere la libera circolazione nel settore.
La direttiva in esame è un altro esempio di come l’Europa possa mettersi al servizio dei suoi cittadini: promuove infatti la solidarietà fra popoli e crea vantaggi per i pazienti, in particolare quanti soffrono di patologie rare o croniche e trarrebbero beneficio dall’essere curati presso centri specializzati.
Per tutte le suddette ragioni ho votato a favore della relazione.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − La direttiva consentirà a tutti i pazienti di beneficiare di diritti già riconosciuti dalla Corte di giustizia europea, lasciando i regimi previdenziali nella piena competenza degli Stati membri (riguarda i pazienti e la loro mobilità all'interno dell'UE e non la libera circolazione di chi presta servizio).
Sono favorevole al superamento dell'attuale quadro poco soddisfacente in materia sanitaria, determinato dalla divisione fra giurisprudenza e regimi nazionali. Voglio ricordare che il Parlamento europeo, in prima e in seconda lettura, si è espresso in questo senso, codificando la giurisprudenza della Corte pro cure transfrontaliere (un cittadino europeo ha diritto ad essere curato in un altro paese come se fosse nel proprio) e condividendo con il Consiglio la volontà di lottare contro il "turismo sanitario".
La proposta prevede un'apposita clausola di salvaguardia e un sistema di autorizzazione preventiva che risulti flessibile dal punto di vista dei pazienti ma che, al contempo, preveda la segnalazione di eventuali costi eccezionali. Intende poi rafforzare i diritti del paziente attraverso l'informazione e la cooperazione fra gli Stati membri.
Lo Stato membro di affiliazione deve fare in modo che i propri cittadini abbiano accesso alle informazioni. La proposta di seconda lettura va oltre, anticipando fin d’ora le possibilità della sanità elettronica.
Rovana Plumb (S&D), per iscritto. – (RO) Ho espresso voto favorevole alla relazione, che offre sostegno ai cittadini europei definendo norme chiare sui diritti dei pazienti relativi all’assistenza transfrontaliera e assicurando loro l’opportunità di prendere decisioni basate sulla necessita e non sulle possibilità economiche, sulla scelta informata e non sull’obbligo. La direttiva enuncia i seguenti principi: i cittadini potranno ricevere in un altro Stato membro, senza preventiva autorizzazione, tutte le cure non ospedaliere cui hanno diritto nel proprio Stato membro, ed essere rimborsati fino al massimale di rimborso previsto dal proprio regime. Anche l’informazione rappresenta un elemento chiave e ogni Stato membro sarà tenuto a istituire centri informativi (punti di contatto nazionali) presso cui il paziente potrà prendere conoscenza delle cure disponibili, degli adempimenti da assolvere e delle procedure di reclamo e di ricorso.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) Facendo seguito ai pronunciamenti della Corte di giustizia dell’Unione europea, la direttiva in esame intende chiarire e rafforzare il diritto dei pazienti a servizi sanitari transfrontalieri sicuri e qualitativamente elevati, promuovendo la mobilità dei pazienti all’interno dell’Unione e potenziando la collaborazione e la solidarietà fra Stati membri in questo settore. Il testo rappresenta dunque un significativo passo in avanti nel processo di integrazione europea, e ho pertanto espresso voto favorevole.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Le norme oggi adottate rappresentano un importante progresso nel campo dei diritti dei pazienti nell’UE. I verdi ritengono che il compromesso finale approvato in questa sede raggiunga il giusto equilibrio tra la garanzia dei diritti relativi all’assistenza transfrontaliera e la qualità dei servizi sanitari offerti a livello nazionale. I pazienti potranno ricevere cure ospedaliere in un altro Stato membro ottenendo un rimborso pari a quello che spetterebbe loro nel rispettivo Stato di provenienza. Tale diritto non deve tuttavia compromettere il corretto funzionamento dei sistemi sanitari nazionali. I verdi credono che il compromesso finale consenta agli Stati membri di creare un sistema di autorizzazione preventiva ragionevole per il rimborso dei costi derivanti dalle cure; questo Parlamento è inoltre riuscito a limitare l’elenco dei casi in cui è ammesso il rifiuto della richiesta di assistenza sanitaria transfrontaliera. Va rilevato che gli Stati membri non potranno più negare il rimborso dei corsi se è stata concessa un’autorizzazione preventiva, un aspetto che ci stava molto a cuore.
Marie-Thérèse Sanchez-Schmid (PPE), per iscritto. – (FR) La direttiva concernente l’assistenza sanitaria transfrontaliera su cui voteremo domani rappresenta una rivoluzione, che accolgo con grande favore. La competenza dell’Unione europea in materia di sanità è una questione molto delicata. È senz’altro giusto che ciascuno Stato membro definisca il proprio sistema previdenziale e sanitario secondo le rispettive peculiarità culturali. Tuttavia, perché dovremmo promuovere l’integrazione europea e garantire la libera circolazione se non vi aggiungiamo l’opportunità di accedere ai servizi sanitari ovunque nell’UE? Il Parlamento lotta da ormai tre anni per creare certezza giuridica sul tema dell’assistenza sanitaria transfrontaliera e chiarire le condizioni di rimborso. Stiamo per compiere un passo fondamentale, e ringrazio la collega, onorevole Grossetête, per il lavoro svolto. Questo è un momento storico: stiamo costruendo l’Europa della sanità, un’Europa in cui l’assistenza sanitaria transfrontaliera non sarà più un rischio ma un’opportunità. Facciamo in modo che tali obiettivi diventino una realtà, affinché tutti i cittadini europei possano usufruire di servizi sanitari qualitativamente elevati. È questo il prezzo da pagare per la sanità.
Daciana Octavia Sârbu (S&D), per iscritto. – (EN) Oggi ho votato a favore della chiarezza giuridica e della mobilità dei pazienti laddove sia necessario ricorrere ai servizi sanitari di un altro paese. Nella migliore delle ipotesi, nessun paziente dovrebbe trovarsi costretto a lasciare il proprio paese per essere curato; se necessario, occorre però informare gli interessati dei servizi e dei rimborsi a cui hanno diritto. È altresì fondamentale che i servizi sanitari degli Stati membri conoscano i propri obblighi, riservandosi il diritto di operare scelte e gestire la propria offerta come ritengono più appropriato.
La relazione affronta questi due punti fondamentali, insieme con una serie di altre questioni essenziali, fra cui il trattamento di patologie rare e le reti di riferimento europee per lo scambio delle migliori prassi. Il tema dell’assistenza sanitaria transfrontaliera si è talvolta rivelato spinoso, e porgo i miei ringraziamenti alla relatrice e ai relatori ombra per l’impegno profuso su questo fronte.
Peter Skinner (S&D), per iscritto. – (EN) Sono favorevole alla relazione, che affronta alcuni dei problemi ignorati dai governi. La direttiva in esame non prescrive le modalità di gestione del sistema sanitario da parte degli Stati membri, come sostengono alcuni. La relazione ha il sostegno del Regno Unito, principalmente perché pone rimedio a molti dei problemi connessi a documenti precedenti. La direttiva concernete i diritti dei pazienti consentirà di rafforzare prerogative che sono già state riconosciute; in particolare, i pazienti impossibilitati a ricevere cure adeguate nel Regno Unito potranno adesso recarsi in un altro paese dell’UE, conformemente a disposizioni che già esistono. Il fatto che, con ogni probabilità, continueranno a essere in pochi a esercitare tale diritto dipende dal tipo di assistenza, perlopiù familiare, prestata ai malati; la vicinanza svolge dunque un ruolo essenziale.
Il Regno Unito dovrebbe sostenere i costi laddove sussistano motivazioni fondate per il ricorso a servizi sanitari esteri. Non si spicca dunque un assegno in bianco per il turismo sanitario, ma si affermano diritti già esistenti nel Regno Unito nell’interesse dei cittadini.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) La direttiva concernente l’assistenza sanitaria transfrontaliera conferisce al paziente un inequivocabile diritto a ricevere cure mediche all’estero, ottenendo un rimborso corrispondente ai costi nel rispettivo paese di provenienza. Si crea così maggiore certezza giuridica per i cittadini che abitano nelle zone di confine, per i viaggiatori in visita in un altro paese, per i pazienti affetti da patologie rare o costretti ad affrontare lunghe liste di attesa. Al fine di preservare la qualità dei servizi e garantire un equo accesso all’assistenza sanitaria, gli Stati membri possono tuttavia esigere che i pazienti ottengano un’autorizzazione preventiva per la cura richiesta; tale autorizzazione sarà un presupposto necessario in caso di ricoveri e trattamenti molto dispendiosi o rischiosi.
Sarà inoltre possibile rifiutare il rimborso dei costi in un numero preciso e molto limitato di circostanze, ad esempio qualora una cura equivalente sia disponibile anche nel paese di provenienza del paziente; gli Stati membri potranno inoltre intervenire laddove si riscontri un ricorso eccessivo a tale possibilità. La direttiva mantiene dunque il giusto equilibrio tra il diritto dei pazienti a un’assistenza sanitaria di qualità, da un lato, e la prerogativa degli Stati membri di finanziare il proprio sistema previdenziale e gestire la propria sanità. Spero inoltre che il desiderio dei pazienti di ricevere cure mediche all’estero non accresca inutilmente la pressione sui servizi di un determinato Stato che, per la qualità offerta, sono già la scelta preferita dalla maggioranza dei cittadini del paese.
Michèle Striffler (PPE), per iscritto. – (FR) Anche i pazienti hanno il diritto di beneficiare della libera circolazione: proprio per questo motivo ho votato a favore della relazione concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria. In Alsazia, come in altre regioni di confine, il tema dell’assistenza sanitaria transfrontaliera riveste un’importanza fondamentale laddove, ad esempio, i servizi offerti all’estero siano più vicini all’abitazione del paziente di quelli garantiti nello Stato membro di residenza.
La presente relazione consentirà a tutti i cittadini europei di ottenere informazioni sull’assistenza sanitaria transfrontaliera nonché sui loro diritti in materia, attraverso i punti di contatto nazionali che saranno istituiti in ogni Stato membro. L’adozione di questo testo rappresenta il punto di partenza verso un’autentica Europa della sanità, nell'interesse di 500 milioni di cittadini.
Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. – (PT) Per raggiungere l’obiettivo di un mercato interno basato sulla libera circolazione tra gli Stati membri è necessario adottare determinate misure. La libera circolazione di persone e servizi fa emergere la questione delle cure mediche che il cittadino di uno Stato membro può ricevere in un altro. La Corte di giustizia ha riconosciuto i diritti dei pazienti, soprattutto in relazione all’accessibilità dell’assistenza sanitaria, stabilendo che tale assistenza deve essere sicura e di qualità e che i cittadini dovrebbero essere rimborsati. La necessità di una maggiore certezza giuridica in questo settore richiede anche l’impegno degli Stati membri a collaborare fra loro, in particolare riconoscendo le prescrizioni mediche rilasciate in un altro Stato membro e garantendo un servizio di qualità sul proprio territorio. Desidero sottolineare che la Commissione è tenuta ad adottare tutte le misure necessarie affinché le prescrizioni e i foglietti informativi dei medicinali risultino di più immediata comprensione, con una chiara indicazione del principio attivo e del dosaggio; i pazienti ne trarranno evidenti benefici. Data la specificità della materia, occorre una direttiva distinta da quella sui servizi. Ho espresso voto favorevole alla relazione dell’onorevole Grossetête, mia collega in seno al gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano), perché giudico essenziale il diritto all’assistenza sanitaria transfrontaliera.
Róża Gräfin von Thun und Hohenstein (PPE), per iscritto. – (PL) La direttiva concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza transfrontaliera costituisce un documento fondamentale per i cittadini dell’UE; ho dunque seguito con grande attenzione il lavoro svolto in proposito. Noto con piacere che la direttiva riconosce ai pazienti il diritto di scegliere il luogo in cui ricevere le cure necessarie. In questo modo si rafforza il mercato comune, il tema di cui più mi occupo in seno al Parlamento europeo, e si introducono aggiustamenti che tengono conto della libertà di viaggiare e lavorare in qualunque Stato membro. Il testo in esame, che potrebbe definirsi lo Schengen della sanità, disciplina aspetti quale il reciproco riconoscimento delle prescrizioni, il superamento della discriminazione dei pazienti sulla base del paese d’origine e l’eliminazione dell’obbligo di aderire al regime di assicurazione malattia estero.
I farmaci e i prodotti medicinali contraffatti pongono un altro problema essenziale sul fronte del mercato comune. La direttiva mette in risalto la gravità del fenomeno, soprattutto in relazione all’assistenza sanitaria transfrontaliera, e lo stesso può dirsi del turismo sanitario. Il testo affronta il problema disponendo che i costi delle cure vengano rimborsati entro il massimale garantito nel paese di origine oppure, laddove i costi del trattamento o della procedura siano inferiori, che vengano rimborsati le spese effettivamente sostenute. Le soluzioni introdotte contribuiranno a migliorare la situazione dei pazienti nell’Unione europea e rafforzeranno il mercato unico; ho pertanto votato a favore della direttiva.
Thomas Ulmer (PPE), per iscritto. – (DE) È con grande soddisfazione che esprimo voto favorevole alla relazione. A seguito dell’accordo in seconda lettura con il Consiglio, questo documento potenzierà in misura significativa la libera circolazione dei pazienti all’interno dell’Unione. Attualmente le cure ambulatoriali non pongono problemi ai cittadini dell’UE, mentre è diventato molto più semplice ottenere un ricovero ospedaliero. È proprio in ambiti come questo che l’Europa può generare un consistente valore aggiunto, favorendo la graduale trasformazione del settore sanitario da un insieme di servizi isolati in un’unica entità.
Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. – (LT) È indispensabile che i nostri cittadini possano beneficiare di servizi sanitari qualitativamente elevati sia nel rispettivo paese di origine sia all’estero. Noto con piacere che la relazione fa riferimento anche alla mobilità dei pazienti nell’Unione europea. I cittadini lituani che vivono e lavorano in un altro paese devono avere la possibilità di ricorrere ai servizi sanitari locali, ove necessario, senza pagare somme stratosferiche o restare per mesi in una situazione di incertezza. L’informazione svolge un ruolo fondamentale. Condivido la proposta della relatrice secondo cui tutti gli Stati membri dovrebbero istituire punti di contatto nazionali allo scopo di fornire indicazioni sulla disponibilità delle cure e sulle procedure amministrative. Può tuttavia accadere che un paese non offra l’assistenza richiesta per una certa patologia; in quel caso il paziente deve dunque ricorrere alle cure offerte in un altro Stato. Occorre vigilare affinché i servi sanitari transfrontalieri o il cosiddetto “turismo sanitario” (come osserva la relatrice in questo caso) non indeboliscano i sistemi sanitari nazionali, ma si raggiunga un perfetto equilibrio. Grazie ai costi contenuti e alla buona raggiungibilità, la Lituania sta diventando una meta particolarmente interessante per i cittadini di altri paesi dell’UE che desiderino ricevere cure mediche o sottoporsi a interventi chirurgici per cifre più contenute. Se non verrà controllato rigorosamente, il “turismo sanitario” potrebbe provocare un esubero di servizi o costi logistici superflui, soprattutto nei nuovi Stati membri come la Lituania.
Derek Vaughan (S&D), per iscritto. – (EN) L’impostazione dei servizi sanitari differisce profondamente da uno Stato membro dell’UE all’altro; appoggio dunque la direttiva in esame, che delinea un approccio coerente al finanziamento dell’assistenza sanitaria transfrontaliera.
Sebbene tale tipo di assistenza riguardi solo una percentuale trascurabile dei cittadini dell’Unione, chiarendo i diritti riconosciuti ai pazienti in questo ambito attraverso un solo atto legislativo si assicura un’adeguata tutela finanziaria a quanti desiderino ricorrere ai servizi sanitari di un altro Stato membro. È indispensabile che le persone provenienti da una regione di confine o i cittadini di uno Stato membro più piccolo affetti da patologie rare godano di un sostegno finanziario qualora debbano rivolgersi ai servizi sanitari di un altro paese dell’UE.
Le disposizioni in esame consentiranno ai pazienti di essere rimborsati per le cure che ricevono entro il massimale previsto dal rispettivo sistema sanitario nazionale per un trattamento analogo. La direttiva concernente l’assistenza sanitaria transfrontaliera dispone inoltre l’istituzione di punti di contatto nazionali, allo scopo di fornire informazioni sufficienti ai cittadini che vogliano recarsi all’estero per essere curati.
Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Il 19 gennaio il Parlamento europeo ha adottato la direttiva concernente i diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera.
Non posso che sostenere l’accessibilità dei servizi sanitari per tutti i cittadini dell’Unione, indipendentemente dallo Stato di residenza. Tuttavia, non è questo il principale obiettivo della relazione, che si prefigge anzitutto il consolidamento del mercato interno, prima ancora dell’accessibilità universale dell’assistenza sanitaria.
Il testo afferma che il ricorso ai servizi sanitari di un altro paese potrebbe giovare, in particolar modo, ai pazienti costretti ad affrontare lunghe liste di attesa o impossibilitati a ottenere cure specializzate.
Il primo diritto del paziente è quello di essere curato in maniera tempestiva e appropriata, senza alcun ostacolo, nel suo luogo di residenza. È ignobile che venga presentata come un diritto la necessità di intraprendere un viaggio all’estero, affrontandone i costi, per ricevere un trattamento adeguato.
Anziché sostenere i sistemi sanitari pubblici per garantire pari accesso a un’assistenza sanitaria di qualità, si invitano i pazienti a scegliere il trattamento che preferiscono su scala europea, come si fa con una qualunque merce soggetta alla libera circolazione nell’UE.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Sono favorevole alla risoluzione relativa ai progetti di accordo volontario di partenariato con la Repubblica del Camerun e la Repubblica del Congo sull’applicazione delle normative nel settore forestale, sulla governance e sul commercio del legname e dei suoi derivati importati nell'Unione europea. Va sottolineato che questi accordi volontari sul commercio di legname non possono indebolire l’obiettivo generale dell’Unione europea in materia di lotta contro i cambiamenti climatici e devono assicurare un uso sostenibile delle foreste. Mi auguro che le partnership in oggetto possano agevolare, piuttosto che ostacolare, l’idea di arrestare congiuntamente il commercio di legname tagliato illegalmente e possano contribuire a fermare la deforestazione e il degrado delle foreste, le relative emissioni di carbonio e la perdita di biodiversità a livello globale.
Sostengo quindi l’idea di invitare la Commissione a verificare che la politica europea sia coerente, a prestare la massima attenzione per garantire che gli accordi volontari di partenariato non favoriscano l’espansione delle attività industriali di disboscamento in ambienti forestali intatti e a collaborare, in futuro, con tutti i governi firmatari degli accordi per monitorare la situazione ed intervenire al fine di eliminare le ripercussioni negative sulla flora e sulla fauna, sia dirette che indirette, del disboscamento effettuato a fini commerciali.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) Accolgo con favore gli accordi volontari di partenariato per ciò che essi rappresentano in termini di lotta contro il commercio illegale di legname nell’Unione europea. Desidero sottolineare la loro importanza nel combattere la deforestazione e il degrado delle foreste, le relative emissioni di carbonio e la perdita di biodiversità a livello globale. Le relazioni in oggetto promuovono contemporaneamente la crescita economica, lo sviluppo umano e le fonti alimentari sostenibili. Invito la Commissione ad assicurarsi che la politica europea sia coerente e possa quindi dare un contributo efficace agli impegni internazionali che si sono assunte tutte le parti firmatarie degli accordi.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) Secondo le Nazioni Unite dal 20 al 40 per cento della produzione mondiale di legname proviene da disboscamenti illegali. Inoltre la deforestazione aumenta al ritmo di 13 milioni di ettari all’anno ed è responsabile del 20 per cento circa delle emissioni globali di CO2. Gli accordi volontari di partenariato che il Parlamento ha appena adottato contribuiranno a combattere il commercio di legname tagliato illegalmente migliorando la tracciabilità del prodotto proveniente dalla Repubblica del Congo e dal Camerun grazie all’introduzione di procedure di revisione contabile indipendenti e di buone politiche di governance nel settore forestale. Più in generale questi accordi ricordano quali sono le responsabilità che gravano sull’Unione europea nella negoziazione di convenzioni commerciali. La Commissione europea deve portare avanti una politica commerciale coerente e garantire che gli accordi commerciali non conducano alla deforestazione su vasta scala e soddisfino nel contempo le richieste in materia di libero commercio di legname e di produzione di biocarburanti. Per questo motivo il Parlamento insiste sulla necessità che la Commissione europea presenti una relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni degli accordi.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della proposta di risoluzione relativa agli accordi volontari di partenariato sull’applicazione delle normative nel settore forestale, sulla governance e sul commercio del legname dato che la negoziazione di queste partnership ci consentirà di definire buone prassi per i negoziati futuri con i paesi fornitori di legno perseguendo l’obiettivo di porre fine al disboscamento illegale e assicurando al contempo la tutela e l’uso sostenibile delle risorse forestali a livello mondiale.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Il disboscamento illegale non è altro che il saccheggio delle risorse naturali dei paesi fornitori di legno, di solito paesi in via di sviluppo, e rappresenta un chiaro attacco alla biodiversità, alla qualità della vita e alle prospettive future della popolazione. Se gli accordi come quelli raggiunti con la Repubblica del Congo e la Repubblica del Camerun si riveleranno efficaci nella lotta contro questo flagello essi potrebbero rappresentare una buona base per altre partnership analoghe in futuro. Sono lieto che l’Europa si preoccupi di tutelare le risorse naturali di altri paesi ma desidero sottolineare che, a prescindere dal quadro normativo previsto dagli accordi, qualsiasi passo avanti nella lotta contro il commercio illegale di legname dipende in larga misura dai governi e dalle istituzioni dei paesi produttori di legname senza il cui coinvolgimento e impegno reale qualsiasi strumento con essi concordato sarà inutile. Questo modello comporta quindi anche un invito alle controparti comunitarie di tali paesi ad assumersi le proprie responsabilità e a comprendere che è necessario tutelare gli interessi delle loro generazioni future e agire nell’interesse di tutti, evitando di inseguire guadagni immediati.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) L’Unione europea sta cercando di combattere il disboscamento illegale e, al contempo, di preservare le risorse forestali promuovendone l’uso sostenibile a livello globale.
Accolgo quindi favorevolmente la firma delle partnership con il Camerun e la Repubblica del Congo volte a migliorare la governance delle foreste e a riformare, se necessario, le normative esistenti per garantire che le attività del settore forestale siano trasparenti e i diritti della popolazione locale vengano rispettati senza ripercussioni negative sull’ambiente.
Gli accordi in oggetto sono essenziali per eliminare il fenomeno del disboscamento illegale ponendo fine alla deforestazione e al degrado delle foreste, alle relative emissioni di carbonio e alla perdita di biodiversità a livello globale. A tal fine vorrei sottolineare l’importanza della richiesta alla Commissione di elaborare e presentare regolarmente al Parlamento europeo una relazione sullo stato di attuazione delle varie disposizioni di tutti gli accordi attuali e futuri.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La risoluzione sottolinea giustamente che lo sfruttamento industriale su vasta scala delle foreste tropicali è insostenibile in quanto provoca il degrado e la distruzione di ecosistemi molto importanti sia dal punto di vista funzionale che in termini dei beni naturali da tutelare. Crediamo inoltre che sia giusto e opportuno che la risoluzione sottolinei i limiti e le contraddizioni degli accordi volontari di partenariato sull’applicazione delle normative nel settore forestale, sulla governance e sul commercio del legname anche se ciò non sarà sufficiente ad affrontare le cause del problema del disboscamento illegale e non sostenibile. In particolare è importante ricordare che il problema è riconducibile anche all’estrema debolezza delle economie di questi paesi e all’elevato livello di povertà delle popolazioni e che a volte questa attività costituisce l’unica fonte di reddito per molte famiglie. Tutto ciò porta inevitabilmente alla conclusione riportata nell’emendamento da noi proposto e purtroppo respinto in base alla quale si potrebbe porre fine al fenomeno del disboscamento illegale e non sostenibile solamente affrontando la terribile situazione sociale ed economica di questi paesi ed invertendo il modello economico attuale basato sulla forte dipendenza dallo sfruttamento e dall’esportazione di un numero limitato di materie prime verso i paesi industrializzati. Questo modello favorisce rapporti di dipendenza neocoloniale e promuove il saccheggio delle risorse dai paesi in via di sviluppo e la loro sottomissione.
Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto. – (PL) Desidero intervenire ancora una volta al cospetto del Parlamento europeo per ricordare a tutti l’importanza delle foreste per il clima, per la gestione delle risorse idriche, per l’agricoltura e per la cultura del paese o della regione in questione, specialmente nelle aree rurali. Il valore di mercato dei prodotti di legno è notevole e dobbiamo pertanto essere assolutamente certi che il legname proveniente dal Camerun, dalla Repubblica del Congo o da qualsiasi altro paese terzo sia stato abbattuto, trasportato e immesso sul mercato legalmente, nel rispetto delle esigenze delle comunità locali e delle normative in materia di gestione forestale. Avviare una collaborazione con questi paesi si tradurrà in una migliore gestione delle foreste e in una maggiore credibilità e competitività per i paesi che esportano a livello internazionale.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore questa risoluzione che accompagna le procedure di autorizzazione degli accordi volontari di partenariato con il Camerun e il Congo in materia di diritto forestale e di commercio di legname. La risoluzione sottolinea giustamente l’importanza vitale di assicurare finanziamenti sufficienti, un adeguato monitoraggio e il coinvolgimento delle organizzazioni non governative e della società civile affinché gli accordi volontari di partenariato possano raggiungere i loro obiettivi.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Nella lotta contro il saccheggio della biodiversità la questione della distruzione delle foreste ha un posto di tutto rilievo dato che il fenomeno deriva essenzialmente dalla logica produttivistica della globalizzazione odierna ed è quindi ancora perfettamente legale. L’applicazione di accordi volontari di partenariato bilaterale per combattere lo sfruttamento illegale delle foreste è un passo avanti molto limitato verso l’istituzione del meccanismo necessario a penalizzare tutti i reati ecologici. Questi accordi, ancora molto rudimentali, meritano tuttavia di essere incoraggiati e soprattutto migliorati.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Il disboscamento dei paesi africani, spesso illegale, ha un forte impatto sulla tutela delle risorse naturali dei paesi produttori e rappresenta un attacco alla biodiversità, alla qualità di vita e alle prospettive future della popolazione.
La firma di questo tipo di accordo con la Repubblica del Congo e con il Camerun potrebbe contribuire a invertire questa tendenza se gli accordi saranno efficaci e riusciranno a porre fine al disboscamento illegale nei paesi africani in oggetto. È lodevole che l’Unione europea utilizzi questo tipo di convenzione per tutelare le risorse naturali di altri paesi; tuttavia, affinché tali iniziative abbiano successo, è molto importante che anche i governi e le istituzioni degli Stati produttori contribuiscano a questa battaglia.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Non possiamo aspettarci che gli accordi di partenariato per l’utilizzo sostenibile a livello mondiale delle risorse forestali facciano miracoli. Sarà possibile opporsi efficacemente al disboscamento illegale solamente rendendo i sistemi locali più resistenti alla corruzione, chiudendo le porte di servizio attualmente utilizzate per aggirare i regolamenti esistenti ed infine imponendo sanzioni elevate per il mancato rispetto dei regolamenti. Quanto ai danni ambientali causati dalle attività svolte nel settore forestale è importante non dimenticare quelli causati dal trasporto. Anche se non ci si può attendere miracoli dall’accordo, esso rappresenta un passo nella direzione giusta, motivo per cui ho votato a favore della relazione in oggetto.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della proposta di risoluzione relativa agli accordi volontari di partenariato sull’applicazione delle normative nel settore forestale, sulla governance e sul commercio del legname e dei suoi derivati importati nell’Unione europea e l’ho fatto poiché ritengo che la negoziazione di queste partnership ci consentirà di ottenere le linee guida sulle migliori prassi che potrebbero costituire un precedente per i negoziati in corso di altri accordi di partenariato con i paesi produttori di legname.
In questo contesto sono lieta che l’Unione europea abbia ammesso la propria parte di responsabilità nell’eliminazione del fenomeno del disboscamento illegale e del relativo commercio e abbia intensificato gli sforzi volti alla tutela e all’uso sostenibile delle risorse forestali a livello mondiale. Mi rallegro del fatto che gli impegni assunti dalle parti in causa, volti a migliorare la governance delle foreste, siano trasparenti e rispettino i diritti delle popolazioni locali tenendo conto, al contempo, della necessità di salvaguardare la biodiversità delle foreste, il clima e lo sviluppo umano sostenibile.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa proposta di risoluzione sugli accordi volontari di partenariato con il Camerun e la Repubblica del Congo. Mi preme sottolineare che, nel negoziare accordi futuri di questo tipo, occorrerà prevedere misure che salvaguardino gli obiettivi di eliminare il fenomeno del disboscamento illegale, di assicurare la tutela e l’uso sostenibile delle risorse forestali e di rispettare i diritti delle popolazioni locali.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) A seguito di un esame approfondito effettuato assieme a diverse organizzazioni non governative abbiamo deciso di sostenere la firma dei due accordi volontari di partenariato. In commissione le raccomandazioni dei Verdi sono state adottate all’unanimità ma ciononostante nella motivazione abbiamo chiesto alla Commissione di fornire qualche spiegazione più approfondita su taluni aspetti. Per dar voce alle nostre ulteriori preoccupazioni abbiamo quindi presentato un’interrogazione orale con discussione sostenuta da tutti i gruppi politici. Tale interrogazione sottolinea la necessità che la Commissione si accerti che vengano rispettati alcuni criteri non soltanto durante la fase di firma ma anche durante quella – più importante – di attuazione degli accordi. Chiediamo, per esempio, alla Commissione di presentare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore di ogni accordo volontario di partenariato, una relazione sulle misure adottate per garantire che il dialogo tra le parti interessate e la società civile, comprese le popolazioni locali e indigene, continui e si protragga durante la fase di esecuzione. Il testo sottolinea anche il rischio di uno sfruttamento su vasta scala delle foreste e l’impatto diretto e indiretto del taglio di legname a fini commerciali sulla fauna e sulla flora, sulla biodiversità, sulla deforestazione, sul degrado delle foreste e sulle popolazioni locali e indigene. Abbiamo anche cercato di evidenziare che sarà fondamentale garantire la libertà di espressione e il rispetto dei diritti umani in modo da consentire ai paesi firmatari degli accordi volontari di partenariato di essere ascoltati qualora presentino reclami.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. − Gli accordi volontari di partenariato FLEGT rappresentano il modello europeo, in fase di assestamento, volto a combattere l’illegalità nel commercio internazionale di legname.
Nelle partnership approvate con la Repubblica del Camerun e del Congo sono presenti orientamenti per buone prassi, che possono rappresentare un importante precedente per altri negoziati in corso con i paesi produttori di legname. Alla base del testo approvato rimane centrale l’idea di arrestare congiuntamente il commercio del legname tagliato illegalmente e dei prodotti da esso derivati, contribuendo attivamente a bloccare la deforestazione e il degrado delle foreste, le relative emissioni di carbonio e la perdita di biodiversità a livello globale. Questo, al contempo, promuoverebbe una crescita economica ed uno sviluppo umano sostenibile, nel pieno rispetto delle popolazioni indigene e locali.
Per quanto gli Stati godano della sovranità sulle foreste che si trovano nel loro territorio, l’ambiente è un patrimonio comune dell’umanità e deve essere protetto, salvaguardato e, ove possibile, ripristinato al fine ultimo di mantenere la biodiversità globale e le funzioni dell’ecosistema, proteggendo il sistema climatico mondiale dai cambiamenti in atto.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Nell’ambito del progetto sull’applicazione delle normative nel settore forestale, sulla governance e sul commercio del legname, i paesi esportatori di legno tropicale hanno cominciato a stringere accordi volontari di partenariato con l’Unione europea al fine di garantire la tracciabilità e la legalità del legname. Gli accordi prevedono procedure di verifica indipendenti che consentiranno ai paesi di definire lo standard per la gestione e lo sfruttamento delle foreste. Non posso che rallegrarmi del fatto che la Commissione abbia stretto una convenzione con il Camerun e con la Repubblica del Congo in quanto ciò costituisce una buona base per avviare eventuali partenariati volontari in futuro, per esempio con alcuni paesi asiatici e con la Repubblica democratica del Congo.
Un altro aspetto importante per il gruppo dei Verdi/Alleanza libera europea è l’impegno assunto dalla Commissione di presentare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore di ogni partnership, una relazione sulle misure adottate per attivare e mantenere un dialogo costante tra le parti interessate e le comunità civili, comprese le popolazioni locali e indigene. Lo sfruttamento eccessivo delle foreste minaccia non soltanto la popolazione locale ma anche la fauna, la flora e la biodiversità; gli accordi ridurranno il fenomeno della deforestazione su vasta scala che comporta ad un aumento del riscaldamento globale.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Condivido l’obiettivo di fornire un quadro legislativo per individuare e assicurare la tracciabilità dei prodotti del legno stabilendo procedure di verifica governativa indipendenti che certifichino che tutti i prodotti del legno esportati dalla Repubblica del Camerun ai mercati europei sono stati ottenuti, raccolti, trasportati ed esportati legalmente, in modo da porre le basi di una gestione e un utilizzo legale di questo prodotto da parte dell’industria del settore in Camerun e da rafforzare l’applicazione delle normative e della governance nel settore forestale. Credo inoltre che questo accordo sia della massima importanza in quanto il paese è il principale esportatore africano di legname in Europa ed ha gravi problemi a diversi livelli di governance quali il degrado ambientale e la corruzione. Bisognerà inoltre assicurarsi che gli impegni internazionali assunti dall’Unione europea e dal Camerun siano rispettati in termini di ambiente, di adozione di un sistema di vigilanza da parte della società civile e di un maggior coinvolgimento delle comunità locali ed indigene tale da consentire a queste ultime di godere dei diritti fondamentali.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa raccomandazione. Il Camerun, un paese dove il 40 per cento del territorio è coperto da boschi, è il maggior esportatore africano di legno duro in Europa e vende all’Unione europea l’80 per cento del legname tagliato. Il settore presenta tuttavia gravi problemi di governance che causano degrado ambientale, disuguaglianze, povertà e corruzione. Alcune indagini condotte da organizzazioni non governative hanno dimostrato che, ad oggi, il 20 per cento del legname congolese importato sul mercato europeo è di origine illegale sia per quanto concerne la produzione che la vendita, la trasformazione e l’esportazione. Il presente accordo volontario di partenariato tra l’Unione europea e il Camerun è un buon esempio di come l’acquisto responsabile di legname possa influire positivamente sulla qualità dell’ambiente di paesi terzi e del mondo in generale, contenendo l’inquinamento e combattendo i cambiamenti climatici, la povertà e la corruzione. Credo che il principio di acquisto responsabile possa contribuire a ridurre sostanzialmente il volume del commercio scorretto e illegale e a tutelare le foreste e la biodiversità.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) Accolgo con favore gli impegni assunti dall’Unione europea e dalla Repubblica del Camerun volti a migliorare la governance delle foreste e ad avviare, se necessario, una riforma della normativa esistente in modo da garantire che le attività del settore forestale siano trasparenti, rispettino i diritti delle popolazioni locali e non abbiano ripercussioni negative sull’ambiente.
Le foreste costituiscono un patrimonio comune dell’umanità mondiale e devono essere protette, salvaguardate e, ove possibile, ripristinate al fine ultimo di mantenere la biodiversità globale e le funzioni dell’ecosistema proteggendo il sistema climatico. È inoltre essenziale che i governi partner africani e quelli dei paesi terzi elaborino piani per la gestione delle risorse e per l’uso del territorio individuando al contempo gli aiuti da richiedere ai partner esteri e alle organizzazioni internazionali per il poter perseguire questi obiettivi.
George Sabin Cutaş (S&D), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della stipula di un accordo volontario di partenariato tra l’Unione europea e la Repubblica del Camerun sull’applicazione delle normative nel settore forestale in quanto ritengo che la convenzione in oggetto possa fornire un quadro giuridico per una gestione legale dello sfruttamento del legname in Camerun e della sua esportazione nell’Unione europea. L’accordo è finalizzato ad eliminare la corruzione generata dal commercio illegale di questo prodotto e a sviluppare un insieme di pratiche di buona governance nel settore.
Il coinvolgimento della società civile nella conclusione dell’accordo rappresenta un aspetto positivo da salvaguardare per garantire un controllo esterno sui progressi del processo di eliminazione delle frodi e di sviluppo di un commercio sostenibile.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della raccomandazione sull’accordo volontario di partenariato tra l’Unione europea e la Repubblica del Camerun poiché esso introduce politiche e riforme legislative che consentiranno al settore del legno in Camerun di incoraggiare pratiche di buona governance e trasparenza al fine di combattere le frodi e il commercio illegale di legname.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) La stipula di un accordo volontario di partenariato tra l’Unione europea e la Repubblica del Camerun sull’applicazione delle normative nel settore forestale sulla governance e sul commercio relativa ai prodotti del legno importati nell’Unione europea (FLEGT) è di fondamentale importanza date le ripercussioni negative per l’ambiente che necessariamente accompagnano il commercio illegale di questo prodotto. La convenzione dovrebbe consentire di individuare la provenienza del legname e incoraggiare l’introduzione di procedure di verifica indipendenti che possano dimostrarla. Mi auguro che l’impegno assunto del Camerun nei confronti del FLEGT possa ridurre realmente le risorse del traffico illegale portando quindi all’istituzione di un sistema efficace e trasparente di verifica della legalità del legname.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) L’Unione europea sta cercando di combattere il disboscamento illegale e al contempo di preservare le risorse forestali promuovendone l’uso sostenibile a livello globale.
Accolgo quindi favorevolmente la firma degli accordi volontari di partenariato con il Camerun e con la Repubblica del Congo volti a migliorare la governance delle foreste e a riformare, se necessario, le normative esistenti per garantire che le attività del settore forestale siano trasparenti e i diritti della popolazione locale vengano rispettati senza ripercussioni negative sull’ambiente.
Gli accordi in oggetto sono essenziali per sradicare il fenomeno del disboscamento illegale e porre fine alla deforestazione, al degrado delle foreste, alle emissioni di carbonio e alla perdita di biodiversità a livello globale. A tal fine vorrei sottolineare l’importanza della richiesta alla Commissione di elaborare e presentare regolarmente al Parlamento europeo una relazione sullo stato di attuazione delle varie disposizioni per tutti gli accordi attuali e futuri.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Anche se gli obiettivi fissati nel presente accordo, finalizzato alla tracciabilità e alla certificazione dei prodotti del legno provenienti dalla Repubblica del Camerun, sono apparentemente lodevoli, la misura non fornisce a nostro avviso una risposta adeguata al problema della distruzione delle foreste e alla minaccia all’integrità di risorse di immenso valore sotto il profilo ecologico e quello della tutela ambientale che sono vitali per l’esistenza e lo stile di vita delle comunità locali e delle popolazioni indigene. Il relatore stesso si è reso conto della debolezza dell’accordo e ha formulato una lunga lista di aspetti che lo preoccupano e che l’accordo non affronta in modo esplicito. Più in particolare la convenzione non esclude la possibilità che il disboscamento industriale su vasta scala aumenti il degrado delle foreste e la deforestazione, anche in relazione alla foresta vergine che ancora presenta alti livelli di biodiversità. Il relatore riconosce che l’accordo agevolerà l’importazione del legname proveniente dal Camerun nell’Unione europea e che tale aspetto potrebbe entrare in conflitto con l’obiettivo dell’Unione in materia di lotta contro i cambiamenti climatici. È un dato di fatto che le comunità locali e le popolazioni indigene non siano state coinvolte direttamente nella discussione sull’accordo e anche che manchino i finanziamenti mirati, il supporto tecnico e le risorse umane necessarie all’attuazione dell’accordo. Questi sono alcuni dei motivi per i quali ci siamo astenuti.
Lorenzo Fontana (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli Colleghi, il fatto che il Camerun rappresenti il maggiore esportatore africano di legname duro destinato all’Europa implica la necessità di regolamentare il flusso delle merci attraverso l’accordo di partenariato che votiamo in data odierna. La corruzione e l’illegalità che attanagliano il commercio del paese africano devono essere per forza fronteggiate attraverso l’elaborazione di un sistema di accertamento della legalità e verifiche indipendenti del sistema intero. Sebbene permangano le perplessità circa l’effettiva efficacia di questo accordo, ritengo sia giusto appoggiare la raccomandazione del collega Jadot.
Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. – (LT) Ho accordato il mio sostegno al documento perché l’obiettivo dell’accordo volontario di partenariato tra l’Unione europea e il Camerun è quello di fornire un quadro normativo entro il quale individuare e garantire la tracciabilità del legname e di introdurre procedure di verifica governative e indipendenti per certificare che tutto il legname esportato dal Camerun e diretto ai mercati europei sia stato ottenuto, abbattuto, trasportato ed esportato legalmente in modo da fornire una base giuridica per la gestione e lo sfruttamento delle foreste camerunesi e rafforzare l’applicazione delle norme forestali e di governance. A mio parere, dobbiamo porre fine al commercio illegale di legname e alla corruzione istituendo un sistema efficace e trasparente di vigilanza sulla legalità di questo prodotto e dei suoi derivati. L’accordo volontario di partenariato tra il Camerun e l’Unione europea, stipulato in base alle norme dell’Organizzazione mondiale del commercio, prevede una serie di riforme politiche e di regolamentazione che garantiranno all’industria del legno di quel paese una buona governance e una maggiore trasparenza. La convenzione introduce una procedura innovativa per combattere le frodi e le pratiche illegali nel commercio del legno e fornisce una definizione di commercio legale di tale prodotto, un meccanismo di controllo della legalità e verifiche indipendenti del sistema nel suo complesso finalizzate ad assicurare un commercio più sostenibile del legname. Va sottolineato che questi accordi volontari in materia di commercio di questo prodotto non devono ostacolare l’obiettivo generale dell’Unione europea in termini di lotta ai cambiamenti climatici ma garantire un utilizzo sostenibile delle risorse forestali, porre fine alla deforestazione, al degrado forestale, alle relative emissioni di carbonio e alla perdita di biodiversità a livello globale.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Egregio Presidente, cari colleghi, il progetto di risoluzione in questione prevede l’importante accordo di partenariato tra l’Unione europea e la Repubblica del Camerun. Scopo precipuo di questa collaborazione è quello di definire un quadro giuridico finalizzato ad assicurare la tracciabilità del legname, ad istituire procedure che certifichino le quantità di legname esportato dal Camerun nei Paesi europei e a controllare che tali passaggi avvengano nel rispetto delle norme giuridiche e, soprattutto, nel rispetto dell’ambiente. Il Camerun è il maggiore esportatore africano di legname destinato al mercato europeo, difatti quest’ultimo acquista dal Camerun l’80% della sua produzione. Tale circostanza deve farci riflettere sulla necessità di adottare in questo settore di mercato sistemi e procedure di controllo, onde evitare che le attività dello stesso vengano svolte secondo il ricorso a procedure illegali. Ho deciso di sostenere questa raccomandazione poiché sono convinto della necessità di sviluppare accordi con paesi terzi all’Europa, sottolineando però che tali cooperazioni devono essere rispettose delle normative poste a tutelare dell’ambiente ed essere sottoposte a stringenti controlli, al fine di permettere a tali attività di divenire vero motivo di sviluppo e crescita.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Nella lotta contro il saccheggio della biodiversità la questione della distruzione delle foreste ha un posto di tutto rilievo dato che il fenomeno deriva essenzialmente dalla logica produttivistica della globalizzazione odierna ed è quindi ancora perfettamente legale. L’applicazione dell’accordo volontario di partenariato bilaterale tra l’UE e il Camerun volto a combattere lo sfruttamento illegale delle foreste è un passo avanti molto limitato verso l’istituzione del meccanismo necessario a penalizzare tutti i reati ecologici.
L’indipendenza delle decisioni relative alla concessione e alla verifica delle licenze di esportazione dovrebbe essere garantita da servizi pubblici e la promozione del commercio del legno, nonché dello sviluppo delle industrie forestali, dovrebbe essere limitata a ciò che è ecologicamente sostenibile. L’assenza di tali misure è particolarmente deplorevole. Andrebbero inoltre espresse forti riserve sull’affidabilità del sistema di controllo in quanto le autorità del Camerun non ottemperano ai propri doveri.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Il disboscamento dei paesi africani, spesso illegale, ha un forte impatto sulla tutela delle risorse naturali dei paesi produttori e rappresenta un attacco alla biodiversità, alla qualità di vita e alle prospettive future della popolazione.
Mi auguro che l’accordo negoziato con il Camerun serva a combattere realmente tale fenomeno illegale nel paese, contribuendo così a migliorare le condizioni della popolazione, il cui sostentamento si basa su questo settore economico oltre a migliorare la situazione della biodiversità e a proteggere le risorse naturali del Camerun.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Anche se l’accordo di partenariato con il Camerun nel settore forestale è lodevole e che, essendo stato introdotto durante l’Anno internazionale delle foreste, costituisce anche un modo molto conveniente per l’Unione europea di migliorare la propria immagine, dubito che esso valga la carta su cui è scritto. La corruzione è una realtà di fatto in Camerun: nella classifica mondiale di Transparency International il paese, nel 2010, copriva la centoquarantaseiesima posizione. Le organizzazioni ambientaliste sostengono che il governo del Camerun è a conoscenza delle violazioni ambientali commesse dall’industria forestale ma la corruzione impedisce il monitoraggio e l’incriminazione delle società responsabili. Sembra che società straniere controllino più del 60 per cento delle attività di estrazione e lavorazione del legno e tre quarti delle esportazioni di legname. Anche se non ci si può attendere miracoli dall’accordo, esso rappresenta un passo nella direzione giusta, motivo per cui ho votato a favore della relazione in oggetto.
Franz Obermayr (NI), per iscritto. – (DE) Il quaranta per cento della superficie del Camerun è coperta da boschi, almeno per il momento dato che il Camerun è il maggiore esportatore africano di legno tropicale e in nessun altro paese è in atto un disboscamento così esteso. Secondo le stime degli esperti se il disboscamento dovesse continuare ai ritmi attuali puntando al massimo rendimento, tra 10 o 15 anni le specie arboree più importanti dal punto di vista ecologico scomparirebbero dal bacino del Congo mettendo a repentaglio, in ultima analisi, il polmone verde dell’Africa, di vitale importanza per il clima mondiale, oltre alla flora e alla fauna del Camerun. Al fine di salvaguardare le foreste tropicali del paese è essenziale combattere la corruzione e le tangenti (a livello di funzionari e anche delle comunità che affittano le foreste demaniali), introdurre efficaci azioni penali, avere una silvicoltura sostenibile che preveda la corrispondenza tra quantitativo abbattuto e ricrescita e introdurre migliori corsi di formazione al fine di evitare che il terreno venga danneggiato durante il taglio. Ma soprattutto occorre che le imprese europee si assumano le proprie responsabilità, dato che circa l’80 per cento del legname tagliato è destinato all’Europa e che l’Unione europea intervenga in questo senso, adottando misure dirette e decisive. Ho pertanto votato a favore di questa relazione che si sta muovendo nella direzione giusta.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Voto a favore della firma dell’accordo volontario di partenariato tra l’Unione europea e la Repubblica del Camerun volto a rafforzare la governance delle foreste, la promozione dei prodotti del legno del Camerun e l’aumento della competitività del paese sul mercato internazionale.
Queste finalità devono rispettare gli obiettivi e gli impegni dell’accordo sull’applicazione delle normative nel settore forestale, sulla governance e sul commercio del legname rafforzando i diritti di proprietà fondiaria e accesso comuni, garantendo la partecipazione effettiva della società civile, e in particolare delle popolazioni indigene, nel processo decisionale in materia di gestione forestale, aumentando la trasparenza e riducendo la corruzione. Tali obiettivi non verranno raggiunti senza il coinvolgimento reale ed efficace delle autorità della Repubblica del Camerun.
Sono d’accordo con il relatore quando sottolinea che il Parlamento europeo, in virtù delle nuove competenze conferitegli dal trattato di Lisbona, dovrà monitorare le varie fasi di negoziazione e di attuazione dei partenariati volontari e quindi chiede alla Commissione di fornire al Parlamento, tra gli altri documenti, anche un’indagine sull’impatto sociale, economico e ambientale degli accordi in modo da consentirgli di valutarne l’attuazione.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − L’accordo volontario di partenariato tra l’Unione europea e la Repubblica del Camerun (“AVP Camerun–UE” concluso il 6 maggio 2010) ha l’obiettivo di definire un quadro legislativo mirato a stabilire e assicurare la tracciabilità del legname, istituire procedure di verifica governative e indipendenti atte a certificare che tutte le quantità di legname esportato dal Camerun ai mercati europei abbiano seguito un iter legale, nonché rafforzare l’applicazione delle normative forestali e della governance.
Nella maggior parte dei casi, i criteri derivanti dalle definizioni degli AVP sono stati osservati. Il Camerun è, per il 40 per cento, coperto di foreste, è il maggiore esportatore africano di legname duro destinato all’Europa (80 per cento del legname segato all’UE). Tuttavia accusa seri problemi di governance (corruzione), con conseguente degrado dell’ambiente.
Risulta pertanto urgente istituire procedure per combattere il commercio fraudolento del legname onde poter analizzare e monitorare meglio i flussi commerciali. L’accordo volontario di partenariato UE–Camerun prevede una serie di riforme politiche e regolamentari e sarà effettivo non appena saranno attuate le modifiche legislative promesse e sarà istituito il sistema di verifica della legalità.
Per tutti questi motivi mi esprimo a favore della proposta consentendo al Parlamento di seguire la posizione del Consiglio.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) L’accordo volontario di partenariato tra il Camerun e l’Unione europea prevede una serie di riforme politiche e legislative che consentiranno al settore del legname in Camerun di avviare prassi di buona governance e di assicurare una maggiore trasparenza. È importante garantire che il legname e i suoi derivati provenienti da questo paese vengano immessi sui mercati nella più completa legalità e che le riforme attuate assicurino il rispetto dei diritti delle comunità locali e indigene e abbiano un reale impatto a livello di lotta contro la corruzione e di rafforzamento del ruolo della società civile locale. Ho pertanto votato a favore della firma della convenzione in oggetto e mi auguro che gli impegni e gli obiettivi dell’accordo sull’applicazione delle normative nel settore forestale, sulla governance e sul commercio del legname vengano pienamente rispettati nel corso della sua attuazione.
Csanád Szegedi (NI), per iscritto. – (HU) Ho ritenuto che la relazione relativa alla stipula di un accordo volontario di partenariato tra il Camerun e l’Unione europea dovesse essere sostenuta nella votazione. Credo infatti che sia molto importante che il Camerun, il più grande esportatore africano di legno in Europa, applichi norme rigorose sulle attività di questo settore. Non dobbiamo permettere che proseguano gli abusi e la distruzione dell’ambiente: occorre invece mettere in atto un sistema di controllo efficace e trasparente. Sono convinto che i politici europei siano tenuti a prestare particolare attenzione alla tutela ambientale e a sostenere tutti gli sforzi volti ad assistere e a tutelare il benessere del nostro ambiente; ritengo inoltre che debbano farlo non solo in Europa ma su scala globale.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Concordo con l’obiettivo di definire un quadro legislativo volto a stabilire e ad assicurare la tracciabilità del legname, ad istituire procedure di verifica governative indipendenti atte a certificare che tutte le quantità di legname esportato dal Camerun nei mercati europei siano state ottenute, abbattute, trasportate ed esportate legalmente onde garantire uno sfruttamento legale delle foreste del paese nonché a rafforzare l’applicazione delle normative forestali e della governance Questo accordo è fondamentale dato che il paese esporta legname e prodotti derivati per un valore di oltre 250 milioni di euro l’anno e più di metà di tale legname è destinato all’Unione europea. Mi trovo d’accordo anche sulla necessità di garantire che gli impegni internazionali che la Repubblica del Congo si è assunta in termini di diritti umani e ambientali siano rispettati.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) Mi rallegro degli impegni assunti dall’Unione europea e dalla Repubblica del Congo con l’accordo volontario di partenariato volto a migliorare la governance delle foreste e a riformare la normativa esistente in materia. È necessario garantire che le attività del settore forestale siano trasparenti, rispettino i diritti della popolazione e non si ripercuotano negativamente sull’ambiente. Desidero sottolineare il ruolo delle organizzazioni indipendenti nazionali della società civile e degli osservatori indipendenti esterni nel monitoraggio della corretta applicazione delle partnership da parte di tutte le parti in causa.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della raccomandazione sull’accordo volontario di partenariato tra l’Unione europea e la Repubblica del Congo poiché esso introduce politiche e riforme legislative che consentiranno al settore del legno congolese di incoraggiare pratiche di buona governance e trasparenza al fine di combattere la frode e il commercio illegale di legname.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Il commercio illegale di legname è un problema che si ripercuote gravemente sui paesi produttori, compresa la Repubblica del Congo, e mette in pericolo gli ecosistemi, lo stile di vita e le stesse economie dei paesi in via di sviluppo. Purtroppo l’Unione europea continua a importare legame illegale e quindi le misure volte a ostacolare il suo ingresso nell’UE vanno accolte favorevolmente. In questo senso un accordo di collaborazione volto a individuare la provenienza e la legalità del legname che raggiungere i paesi dell’Unione è chiaramente una misura positiva. Come avviene per altri beni, il consumatore dovrebbe poter risalire alla provenienza del legname e assicurarsi che il prodotto soddisfi i requisiti di legge ad esso applicabili.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) L’Unione europea sta lottando contro il disboscamento illegale e cercando nel contempo di preservare le risorse forestali promuovendone l’uso sostenibile a livello globale.
Accolgo quindi favorevolmente la firma dell’accordo volontario di partenariato con la Repubblica del Congo volto a migliorare la governance delle foreste e a rivedere, se necessario, le normative esistenti per garantire che le attività del settore forestale siano trasparenti e i diritti della popolazione locale vengano rispettati senza ripercussioni negative sull’ambiente.
Tali accordi sono essenziali per sradicare il fenomeno del disboscamento illegale ponendo fine alla deforestazione, al degrado delle foreste, alle relative emissioni di carbonio e alla perdita di biodiversità a livello globale. A tal fine vorrei sottolineare l’importanza della richiesta posta alla Commissione di elaborare e presentare regolarmente al Parlamento europeo una relazione sullo stato di attuazione delle varie disposizioni di tutti gli accordi attuali e futuri.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’accordo in oggetto mira a garantire la tracciabilità e la certificazione dei prodotti del legno provenienti dalla Repubblica del Congo, obiettivi apparentemente lodevoli ma che non rappresentano a nostro avviso una risposta adeguata al problema della distruzione delle foreste e alla minaccia all’integrità di risorse di immenso valore sotto il profilo ecologico e quello della tutela ambientale che sono vitali per l’esistenza e lo stile di vita delle comunità locali e delle popolazioni indigene. Le preoccupazioni espresse dal relatore stesso servono a dimostrare la debolezza della convenzione e giustificano la nostra astensione. In particolare, l’accordo non è di per sé sufficiente a garantire che la deforestazione e il degrado su vasta scala di foreste intatte saranno combattuti, anzi potrebbe addirittura favorirli in assenza di misure supplementari o complementari in quanto volto a incoraggiare l’importazione di prodotti del legno dalla Repubblica del Congo all’Unione europea. La misura potrebbe entrare in chiaro conflitto con gli obiettivi dichiarati dall’UE in materia di lotta ai cambiamenti climatici e di tutela della biodiversità. Va inoltre sottolineata, come ha fatto il relatore, la mancanza di finanziamenti mirati, del supporto tecnico e delle risorse umane necessarie per attuare l’accordo.
Lorenzo Fontana (EFD), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli Colleghi, analogamente a quanto stabilito per il Camerun, e con il rammarico che il Trattato di Lisbona non conferisca al Parlamento Europeo il potere di modifica, ma ne richieda soltanto il consenso, ritengo di appoggiare la raccomandazione del collega Jadot. Il Congo esporta oltre 250 milioni annuali di legnami e derivati, la metà finiscono nel mercato comunitario. Sebbene, come nella situazione del Camerun, permangano dubbi sull’effettiva applicazione dell’accordo che votiamo, ritengo di appoggiarla, in quanto rappresenta un primo passo verso la lotta alla frode e all’illegalità nel commercio del legno.
Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. – (LT) Ho appoggiato questo documento poiché l’obiettivo dell’accordo volontario di partenariato tra l’Unione europea e il Congo è quello di fornire un quadro normativo entro il quale individuare e garantire la tracciabilità del legname e di mettere a punto procedure di verifica governative e indipendenti per certificare che tutto il legame esportato dal Congo ai mercati europei sia stato ottenuto, abbattuto, trasportato ed esportato legalmente. Ritengo si debba porre fine al commercio illegale di legname e alla corruzione e istituire un sistema efficace e trasparente per il monitoraggio della legalità di questo prodotto e dei suoi derivati. Il Congo esporta più di 250 milioni di euro di legname e prodotti derivati, metà dei quali diretti all’Unione europea. Attualmente il 20 per cento del legname congolese importato sul mercato europeo è di origine illegale, sia a livello di produzione che di vendita, trasformazione ed esportazione. Le guerre che si sono succedute tra il 1993 e il 1999 non hanno migliorato la situazione e hanno aperto le porte alla piaga della corruzione. Vi era quindi l’urgente necessità di stabilire procedure per combattere il commercio illegale di legname analizzandone e sorvegliandone in modo più efficace i modelli commerciali spesso complessi. Va sottolineato che questi accordi volontari sul commercio di legname non devono essere in contrasto con l’obiettivo generale dell’Unione europea in termini di lotta ai cambiamenti climatici ma garantire un utilizzo sostenibile delle risorse forestali, porre fine alla deforestazione, al degrado forestale, alle relative emissioni di carbonio e alla perdita di biodiversità a livello globale.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Egregio Presidente, cari colleghi, come ben sappiamo gran parte del legname utilizzato dall'Unione europea proviene dalla Repubblica del Congo. In questo Paese, secondo quanto si apprende dagli studi effettuati dalle ONG che lavorano sul territorio, almeno il 20% del legname è di origine illegale. La missione di questa raccomandazione sul progetto di decisione relativo all’applicazione delle normative nel settore forestale, è quella di far sì che anche nel Congo, così come già richiesto per il Camerun, l'Unione europea possa agire in modo da evitare che il mercato del legname subisca ingerenze illegali e, in quanto tali, inaccettabili. Ciò può avvenire, così come proposto dalla stessa raccomandazione, attraverso l'adozione di misure che consentano all'UE di assicurarsi che le riforme politiche, avviate attraverso gli accordi di partenariato, contribuiscano effettivamente ad una economia pulita, sia dal punto di vista giuridico che ambientale, al fine di salvaguardare il Paese dalla criminalità e dal cattivo uso delle risorse di cui beneficia.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della relazione in oggetto. Il Congo esporta più di 250 milioni di euro di legname e prodotti derivati, metà dei quali diretti all’Unione europea; alcune indagini condotte da organizzazioni non governative hanno dimostrato che, ad oggi, il 20 per cento del legname congolese importato sul mercato europeo è di origine illegale, sia a livello di produzione che di vendita, trasformazione ed esportazione. Le guerre che si sono succedute tra 1993 e il 1999 non hanno migliorato la situazione e hanno aperto le porte alla piaga della corruzione. Vi era quindi l’urgente necessità di stabilire procedure per combattere il commercio illegale di legname analizzandone e sorvegliandone in modo più efficace i modelli commerciali spesso complessi. Il presente accordo volontario di partenariato dovrebbe contribuire a fronteggiare la corruzione e a ridurre significativamente il commercio illegale di legname.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Nella lotta contro il saccheggio della biodiversità la questione della distruzione delle foreste ha un posto di tutto rilievo dato che il fenomeno deriva essenzialmente dalla logica produttivistica della globalizzazione odierna ed è quindi ancora perfettamente legale. L’applicazione dell’accordo volontario di partenariato bilaterale tra l’UE e il Congo per combattere lo sfruttamento illegale delle foreste è un passo avanti molto limitato verso l’istituzione del meccanismo necessario a penalizzare tutti i reati ecologici. L’indipendenza delle decisioni relative alla concessione e alla verifica delle licenze di esportazione dovrebbe essere garantita da servizi pubblici e bisognerebbe fornire aiuti per combattere lo sfruttamento legalizzato improprio delle foreste. L’assenza di tali misure è particolarmente deplorevole.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Il disboscamento dei paesi africani, spesso illegale, ha un forte impatto sulla tutela delle risorse naturali dei paesi produttori e rappresenta un attacco alla biodiversità, alla qualità di vita e alle prospettive future della popolazione. Mi auguro che l’accordo negoziato con la Repubblica del Congo serva a combattere realmente tale fenomeno illegale nel paese, contribuendo così a migliorare le condizioni delle popolazioni il cui sostentamento si basa su questo settore economico oltre a migliorare la situazione della biodiversità e a proteggere le risorse naturali congolesi.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Questo tipo di accordo avrà significato solo quando potremo essere certi che le società straniere non sfrutteranno più quelle locali, prive di competenze in materia forestale e ambientale, e quando la Repubblica del Congo porrà un freno alla corruzione. L’obiettivo deve essere quello di istituire un settore forestale che agisca responsabilmente e pianifichi per le generazioni future. Finché la popolazione locale continuerà a non essere consapevole di questi problemi qualsiasi misura continuerà ad essere fittizia.
Fino a quando il mancato rispetto delle norme sul taglio non verrà sanzionato concretamente l’accordo dell’Unione europea rimarrà del tutto inefficace. Anche in caso di “abbattimento selettivo” è importante ricordare quanti alberi verranno persi durante il processo di trasporto, per esempio, per la costruzione strade di uscita dalle foreste. Anche se non ci si può attendere miracoli dall’accordo, esso rappresenta un passo nella direzione giusta, motivo per cui ho votato a favore della relazione in oggetto.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato favorevolmente anche sull’accordo volontario di partenariato tra l’Unione europea e la Repubblica del Congo relativo all’applicazione delle normative nel settore forestale, sulla governance e sul commercio del legname e dei suoi derivati importati nell’Unione europea. Accolgo con favore l’obiettivo di creare un quadro legislativo che renda possibile, tra l’altro, identificare i prodotti del legno, garantirne la tracciabilità, stabilire procedure di verifica governativa indipendenti attestanti che tutti i prodotti del legno esportati dalla Repubblica del Congo ai mercati europei siano stati ottenuti, abbattuti, trasportati ed esportati legalmente in modo da gettare le basi di una gestione e uno sfruttamento legale nel settore del legname congolese, e rafforzare l’applicazione della normativa forestale e della governance.
In relazione all’accordo volontario di partenariato tra l’UE e il Congo stipulato il 9 maggio 2009 desidero sottolineare l’osservanza dei criteri derivanti dalle definizioni di tale partnership, compresi quelli applicabili al processo di negoziato che ha portato a un accordo innovativo volto a combattere efficacemente le pratiche di cattiva governance all’origine del commercio illegale di legname e della corruzione e a ad istituire un sistema efficace e trasparente di vigilanza sulla legalità di questo prodotto e dei suoi derivati.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − L’accordo volontario di partenariato tra l’Unione europea e la Repubblica del Congo (“AVP Congo-UE”) ha l’obiettivo di definire un quadro legislativo mirato ad assicurare la tracciabilità del legname, istituire procedure di verifica governative e indipendenti atte a certificare che tutte le quantità di legname esportato dal Congo ai mercati europei sono state commercializzate in modo legale, onde rafforzare l’applicazione delle normative forestali e della governance.
Le inchieste delle ONG hanno evidenziato che il 20 per cento del legname congolese importato sul mercato europeo è di origine illegale, nelle diverse fasi. Cari colleghi, è per questi motivi che risulta urgente istituire procedure atte a combattere il commercio fraudolento del legname.
L’accordo volontario di partenariato tra UE–Congo prevede una serie di riforme politiche e regolamentari che consentiranno al settore forestale del Congo di attuare una governance corretta e maggiore trasparenza. Occorre provvedere a che le riforme politiche e legislative avviate contribuiscano a ridurre la povertà e a migliorare in modo tangibile le condizioni di vita delle popolazioni.
L’accordo sarà effettivo non appena saranno attuate le modifiche legislative promesse e sarà istituito il sistema di verifica della legalità. Per tutti gli aspetti esposti mi attengo alla proposta del relatore di seguire la posizione del Consiglio.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) L’accordo volontario di partenariato tra l’UE e il Congo prevede una serie di riforme politiche e legislative che consentiranno al settore del legname della Repubblica del Congo di istituire pratiche di buona governance e una maggiore trasparenza. È importante assicurare che tutto il legname e i suoi derivati provenienti dalla Repubblica del Congo entrino nei mercati europei nella completa legalità e che tutte le riforme applicate garantiscano il rispetto dei diritti delle comunità indigene e locali, contribuiscano a migliorare le condizioni di vita della popolazione e a tutelare l’ambiente e siano efficaci a livello di lotta contro la corruzione e di rafforzamento delle capacità della società civile locale.
Ho pertanto votato a favore della firma di questo accordo e mi auguro che gli impegni e gli obiettivi della convenzione sull’applicazione delle normative nel settore forestale, sulla governance e sul commercio del legname e dei suoi derivati vengano rispettati completamente nel corso della sua applicazione.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. − Mi schiero a favore di questa risoluzione perché ritengo sia necessario cercare di risolvere il grave problema della deforestazione e del degrado, rimanendo una priorità il mantenimento dell’integrità delle foreste.
La Commissione e il Consiglio devono impegnarsi per aumentare gli sforzi a favore del rispetto dei diritti umani nella Repubblica Democratica del Congo. Un altro fenomeno su cui bisogna intervenire preventivamente è quello della corruzione, che deve essere ridotto in maniera rilevante. Infatti, per garantire un contenimento di quest’ultima, bisogna sostenere le misure volte a garantire l’indipendenza del sistema giudiziario locale e la creazione di nuove procedure giuridiche.
È vitale poi aggiornare i testi di legge allo scopo di migliorare la giustizia sociale e il rispetto dei diritti delle comunità locali e autoctone. Vorrei terminare affermando che bisogna sostenere l’istituzione di un sistema di verifica sulla legalità del legname attraverso risorse tecniche e finanziarie.
Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. – (DE) Il consenso del Parlamento europeo sugli accordi volontari di partenariato tra l’Unione europea e la Repubblica del Camerun e quella del Congo rappresenta un passo importante nella lotta contro il disboscamento e il commercio illegale di legname. Un sistema di certificazione che assicuri una chiara tracciabilità porterà beneficio non solo all’economia e, in particolare, all’industria del legno europea ma anche all’economia e all’industria del settore in Camerun e in Congo. Sono quindi decisamente favorevole a questi due accordi.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Nel contesto della convenzione sull’applicazione delle normative nel settore forestale, sulla governance e sul commercio (FLEGT) i paesi esportatori di legno duro tropicale hanno iniziato a firmare accordi volontari di partenariato con l’Unione europea finalizzati a garantire la tracciabilità e la legittimità del legname e delle procedure di verifica. L’obiettivo dei due accordi volontari di partenariato FLEGT con la Repubblica del Congo e il Camerun è quello di fornire un quadro legislativo volto a individuare e a garantire la tracciabilità del legname, a mettere in atto procedure di verifica indipendente per la certificazione di tutte le esportazioni di questo prodotto dal paese partner al mercato europeo in modo da fornire le basi per la gestione e lo sfruttamento legale delle foreste congolesi e camerunesi e a rafforzare l’applicazione delle norme forestali e della governance. Un accordo analogo era già stato firmato tra l’UE e il Ghana nel 2009. A seguito dell’introduzione del trattato di Lisbona il Parlamento europeo ha assunto potere di codecisione e deve quindi accordare il proprio consenso formale ai due accordi volontari con il Camerun e la Repubblica del Congo. Nell’immediato futuro è prevista la stipula di altri accordi con alcuni paesi asiatici e anche con la Repubblica democratica del Congo.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. − Ho votato a favore di queste risoluzioni perché ritengo sia importante preservare le foreste naturali, il cui sfruttamento ne favorisce il degrado e la deforestazione, nonché la distruzione dell’ambiente su scala mondiale.
È quindi necessaria una riforma del quadro forestale per ottenere un accordo volontario di partenariato, conforme agli obiettivi del piano d’azione FLEGT ed assicurandosi che i criteri sociali ed ambientali vengano applicati. Bisogna aggiornare i testi giuridici per migliorare la giustizia sociale, al fine di rispettare i diritti delle comunità locali e autoctone, assicurando così alla comunità i principi di partecipazione diretta all’elaborazione dei nuovi testi regolamentari e alla fase di applicazione dell’accordo di trasparenza.
La Commissione deve interessarsi al rispetto dei diritti delle comunità locali, le quali sono le prime vittime delle alterazioni climatiche e ambientali.
Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Il Parlamento europeo ha votato a favore di diversi accordi per combattere il commercio illegale di legname tra Unione europea e Congo e Unione europea e Camerun.
Tali accordi internazionali sono volti a garantire la tracciabilità del legname esportato nell’UE al fine di lottare contro la deforestazione e preservare la biodiversità salvaguardando al contempo i diritti delle popolazioni indigene.
Il relatore, l’onorevole Jadot del gruppo dei Verdi/Alleanza libera europea, ha incluso una serie di emendamenti presentati dal gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica.
Queste relazioni devono ancora essere applicate e occorrerà accertarsi che la Commissione tenga realmente conto del punto di vista del Parlamento europeo.
Esse tuttavia potranno fornire sostegno a tutti coloro che cercano di avere un rapporto di tipo diverso con i paesi del sud e specialmente con quelli dell’Africa subsahariana.
Angelika Werthmann (NI), per iscritto. – (DE) Ho votato a favore della firma degli accordi volontari di partenariato tra l’Unione europea e la Repubblica del Camerun e quella del Congo. Quest’anno, il 2011, è l’Anno internazionale delle foreste e avere foreste sane è essenziale per mantenere la biodiversità locale in quanto esse contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi climatici che ci siamo prefissati poiché fungono da fonti naturali di CO2. La vegetazione e i boschi vengono distrutti in tutto il mondo, anche nell’Africa centrale: alcune immagini satellitari dimostrano che negli ultimi 30 anni sono andati persi circa 25 000 km² di foreste e di vegetazione africane. Questi nuovi accordi di partenariato promuoveranno la gestione responsabile del settore forestale in questi due paesi della quale l’Unione europea è indirettamente responsabile in virtù del legname che importa. L’UE ora si assume questa responsabilità e l’introduzione di sistemi di tracciabilità e di verifica della legalità per i prodotti del legno servirà anche a garantire la necessaria trasparenza.
John Attard-Montalto (S&D), per iscritto. – (EN) La risoluzione in oggetto riguarda i visti di lavoro anche se è molto improbabile che i cittadini degli Stati del Pacifico scelgano Malta, invece del resto dell’Unione europea, per cercarvi un impiego. Per questo motivo ho votato a favore del testo originale proposto.
Alain Cadec (PPE), per iscritto. – (FR) La risoluzione illustra le perplessità del Parlamento circa l’accordo di partenariato economico interinale mettendo in risalto gli obiettivi della convenzione (sviluppo, rafforzamento dei legami commerciali tra l’UE e il Pacifico) e sottolineando i problemi sollevati dalla deroga alle norme d’origine per i prodotti della pesca trasformati. Ciononostante, in linea con il mio rifiuto ad accettare l’accordo, ho votato contro la risoluzione che non mi sembra evidenzi a sufficienza i problemi sollevati dalla deroga alle norme d’origine per i prodotti della pesca trasformati, con particolare riferimento al tonno.
Attendo con ansia che la Commissione europea ci fornisca la valutazione d’impatto prevista per l’accordo con un’analisi delle conseguenze del medesimo sull’occupazione dell’Unione europea e del Pacifico, nonché sul settore europeo della pesca e della trasformazione dei prodotti ittici. È impossibile verificare la provenienza del tonno trasformato immesso sul mercato europeo. Seguirò i negoziati sull’accordo definitivo di partenariato tra l’UE e gli Stati del Pacifico e mi assicurerò che non contenga alcuna deroga alle norme d’origine per i prodotti della pesca trasformati che provengono dalla Papua Nuova Guinea.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) Accolgo favorevolmente gli sforzi compiuti per approfondire le relazioni commerciali tra il Pacifico e l’Unione europea aventi l’obiettivo di sostenere l’integrazione regionale e promuovere il progressivo inserimento delle economie dei paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) nell’economia mondiale.
L’Unione ha un ruolo importante nel promuovere lo sviluppo sostenibile, sociale ed economico dei paesi ACP e nel cercare di perseguire l’obiettivo generale di eliminare la povertà in tali paesi. Le relazioni commerciali tra questa regione e l’Unione europea deve, pertanto, incoraggiare e incrementare gli scambi, lo sviluppo sostenibile e l’integrazione regionale, contribuendo al contempo a diversificare l’economia e a ridurre la povertà.
La politica commerciale sta divenendo più importante che mai per i paesi in via di sviluppo nel contesto dell’attuale crisi economica e finanziaria; chiedo quindi che si avviino prima possibile i negoziati con tutti e 14 i paesi ACP del Pacifico per un ampio accordo di partenariato economico.
Ole Christensen, Dan Jørgensen, Christel Schaldemose e Britta Thomsen (S&D), per iscritto. – (DA) In riferimento all’emendamento n. 6, paragrafo 23, comma 3, riteniamo che spetti sempre al singolo Stato membro decidere se rilasciare un visto a un cittadino proveniente da un paese terzo. Nel caso di un visto di lavoro, l’attività lavorativa dovrebbe essere svolta alle medesime condizioni previste per un cittadino comunitario dello Stato membro in questione. Vorremmo anche una definizione più precisa dei termini “badanti o professioni analoghe”.
Corina Creţu (S&D), per iscritto. – (RO) L’attuale crisi economica e finanziaria evidenzia che la politica commerciale è più importante che mai per i paesi in via di sviluppo. È la specificità della regione, legata alla pesca e alle industrie del settore, a fornire un buon potenziale per la futura crescita delle esportazioni, sempre che le attività di pesca siano condotte in modo ecologicamente sostenibile.
Quanto all’Aiuto al commercio, l’obiettivo è quello di migliorare la capacità di capitalizzazione delle nuove opportunità commerciali da parte dei paesi in via di sviluppo.
George Sabin Cutaş (S&D), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della risoluzione sull’accordo di partenariato interinale tra la Comunità europea e gli Stati del Pacifico in considerazione del fatto che essa rappresenta un passo avanti verso la negoziazione di una nuova e più ampia partnership.
La Commissione europea deve tuttavia tenere presente che l’accordo futuro dovrà essere negoziato con un numero maggiore di Stati per evitare di diventare una fonte di divisione all’interno della regione. La convenzione, inoltre, non dovrebbe consentire alle imprese di paesi terzi di godere dei benefici di un’esenzione dai dazi doganali dell’UE a discapito delle industrie, dei lavoratori e dei redditi locali.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della risoluzione perché credo che l’accordo di partenariato sosterrà l’integrazione regionale e promuoverà il progressivo inserimento delle economie dei paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico nell’economia globale rafforzando nel contempo la sostenibilità sociale e lo sviluppo economico di questi paesi e contribuendo in tal modo all’eliminazione della povertà.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Credo che l’accordo di partenariato economico interinale con l’Unione europea, sebbene sia stato firmato solamente dalla Papua Nuova Guinea e dalla Repubblica di Figi, meriti il 舃nostro sostegno perché permette l’apertura dei mercati europei ai prodotti locali e la contemporanea apertura dei mercati di quei paesi ai prodotti europei. Mi auguro che le relazioni commerciali tra gli Stati del Pacifico e l’Unione europea cresca e si rafforzi pur nel rispetto delle specificità delle diverse aree e tenendo conto delle particolari esigenze dei meno abbienti. Questo meccanismo commerciale dovrebbe quindi essere utilizzato tenendo conto delle esigenze di sviluppo dei paesi che hanno firmato l’accordo e andrebbe utilizzato come uno strumento atto a promuovere tali esigenze. L’eventuale accordo generale non dovrebbe trascurare le questioni chiave elencate nella risoluzione: mi riferisco ai negoziati sui diritti di proprietà intellettuale, alla trasparenza degli appalti pubblici e alla concessione di visti di lavoro.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) La mia risoluzione, che accompagna il consenso all’accordo di partenariato interinale tra l’Unione europea e gli Stati del Pacifico, sottolinea che il Parlamento, pur accogliendo favorevolmente la convenzione che riguarda solo le isole Figi e la Papua Nuova Guinea, è convinto che qualsiasi iniziativa volta a concludere un accordo globale dovrà essere allargata a tutti e 14 gli Stati insulari del Pacifico poiché ciò sarebbe importante per la solidarietà, la coesione e l’integrazione della regione.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) L’obiettivo degli accordi di partenariato economico tra l’UE e gli Stati del Pacifico deve essere quello di incrementare il commercio, lo sviluppo sostenibile e l’integrazione regionale, promuovendo nel contempo la diversificazione economica e riducendo la povertà. L’accordo, anche se attualmente firmato solo dalla Papua Nuova Guinea e dalla Repubblica di Figi, costituisce un passo importante per lo sviluppo economico futuro di questa regione, formata da 14 paesi, ed è fondamentale per l’espansione del commercio internazionale.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) La convinzione diffusa che la promozione delle relazioni commerciali tra questa regione e l’UE dovrebbe incoraggiare e incrementare gli scambi, lo sviluppo sostenibile e l’integrazione regionale promuovendo contemporaneamente la diversificazione economica e la riduzione della povertà è un elemento particolarmente importante di questa risoluzione del Parlamento europeo sul partenariato interinale tra l’Unione e gli Stati del Pacifico. Gli obiettivi di sviluppo del Millennio saranno raggiunti tramite l’accordo in oggetto.
Questo aspetto, assieme alla creazione di un vero mercato regionale, sarà alla base del successo di questa partnership economica così come di qualsiasi altro accordo più ampio in futuro. L’integrazione regionale e la cooperazione sono essenziali per lo sviluppo sociale ed economico degli Stati del Pacifico.
Ho votato a favore poiché ritengo che l’accordo in oggetto possa contribuire allo sviluppo economico di queste regioni e condivido la convinzione espressa nella risoluzione che tale sviluppo dovrebbe essere accompagnato da politiche in materia di sostenibilità ambientale e di inclusione. Spetta al Parlamento europeo monitorare l’applicazione del presente accordo nell’ambito delle competenze che gli ha attribuito il trattato di Lisbona.
Maurice Ponga (PPE), per iscritto. – (FR) Accolgo con favore la decisione del Parlamento europeo di approvare l’accordo interinale tra l’Unione europea e gli Stati del Pacifico. Tale accordo riflette l’impegno assunto dall’Unione europea in questa parte del mondo e manda un forte segnale politico agli Stati della regione cosa di cui sono lieto. La risoluzione politica che accompagna la decisione di approvare la convenzione fornisce l’opportunità di sottolineare le nostre richieste. Vogliamo stabilire un rapporto equilibrato e leale con gli Stati del Pacifico, un rapporto che permetta lo sviluppo di questi paesi insulari pur tutelando gli interessi dei nostri cittadini. Anche se l’accordo interinale contiene disposizioni specifiche in materia di norme d’origine per i prodotti della pesca è stato importante gestire la deroga. Di fatto, al fine di assicurare che tale deroga, che dovrebbe consentire di creare posti di lavoro e ricchezza, comporti un beneficio reale per le popolazioni locali e non danneggi le industrie europee per la trasformazione e l’inscatolamento dei prodotti della pesca si è dovuta condurre rapidamente una valutazione del suo impatto e prevederne la sospensione, se necessario. Ora abbiamo la garanzia che l’accordo sarà equo e che sarà possibile adottare eventuali misure a tutela dei nostri interessi.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della risoluzione sul partenariato interinale tra l’Unione europea gli Stati del Pacifico nella speranza che questo accordo – attualmente limitato a due paesi, la Papua Nuova Guinea e la Repubblica di Figi – possa preparare il terreno per una partnership più ampia contribuendo a promuovere lo sviluppo sociale ed economico sostenibile della regione del Pacifico, a ridurre la povertà e a rafforzare l’integrazione regionale e la cooperazione, in linea con gli obiettivi di sviluppo del Millennio.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. − L’accordo di partenariato interinale fra Papua Nuova Guinea, Isole Fiji e la Comunità europea è stato siglato il 14 dicembre 2007.
Questi sono stati gli unici paesi della regione del Pacifico a siglare l’accordo, in quanto i più attivi nell’intrattenere rapporti commerciali con l’UE, ma soprattutto interessati a proteggere le proprie produzioni di zucchero e della pesca del tonno. L’accordo inoltre dovrebbe garantire guadagni supplementari a questi paesi grazie ad una nuova regolamentazione della franchigia e dei dazi doganali.
Da un migliore accesso al mercato europeo questi paesi godranno inoltre di nuove opportunità d’investimenti, con ricadute positive anche nell’occupazione. L’accordo di partenariato economico prevede in un secondo momento l’istituzione di una commissione ad hoc per monitorare la sua attuazione e verificare ad intervalli regolari i suoi effetti sulla società e sull’economia locali.
Tokia Saïfi (PPE), per iscritto. – (FR) La risoluzione illustra i dubbi del Parlamento circa l’accordo di partenariato economico interinale mettendo in risalto gli obiettivi della convenzione (sviluppo, rafforzamento dei legami commerciali tra l’UE e il Pacifico) e sottolineando i problemi sollevati dalla deroga alle norme d’origine per i prodotti della pesca trasformati. Ecco perché ho votato a favore di questa risoluzione e ho sostenuto gli emendamenti presentati dai Verdi, del tutto in linea con le nostre preoccupazioni. Attendo con ansia che la Commissione europea ci fornisca la valutazione d’impatto prevista per l’accordo e seguirò da vicino i negoziati per il partenariato definitivo.
Derek Vaughan (S&D), per iscritto. – (EN) Ho sostenuto l’accordo di partenariato economico con la Papua Nuova Guinea e le Figi poiché ritengo importante sviluppare forti legami con i paesi esportatori della regione del Pacifico. Nonostante le preoccupazioni espresse da alcuni deputati credo sia necessario avviare una cooperazione più stretta con questi paesi in quanto ciò consentirebbe all’Unione europea di monitorare le catture di tonno e di altri pesci inscatolati in Papua Nuova Guinea. Questa industria ha creato centinaia di posti di lavoro per la popolazione locale di questo paese povero.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Ho espresso voto favorevole alla presente risoluzione poiché ritengo che aiuti a stabilire con la Repubblica delle Isole Figi e con la Papua Nuova Guinea nuovi accordi commerciali che siano compatibili con le norme dell’Organizzazione mondiale del commercio. Gli accordi di partenariato economico interinali (APE) sono accordi sul commercio di beni volti a prevenire la sospensione dell’attività commerciale tra gli Stati ACP e l’Europa. Sebbene gli accordi interinali si possano considerare come un primo passo del processo, in termini giuridici, rappresentano accordi internazionali totalmente indipendenti che non implicano necessariamente la stesura di APE completi. Accolgo con favore le raccomandazioni in merito alla firma di accordi definitivi, alla creazione di fondi europei non derivanti dal Fondo europeo di sviluppo per il finanziamento di tali accordi, alla necessità di stabilire una commissione parlamentare che controlli l’applicazione dell’accordo e una clausola di revisione che preveda una valutazione d’impatto globale dopo tre o cinque anni.
Bastiaan Belder (EFD), per iscritto. – (NL) Gli accordi di partenariato economico devono promuovere l’attività commerciale tra l’Unione europea e la Papua Nuova Guinea e le Figi, nonché contribuire al commercio, allo sviluppo, alla crescita sostenibile e alla riduzione della povertà. L’integrazione regionale è fondamentale per lo sviluppo di questi paesi; la Commissione dovrebbe pertanto spiegare come tali accordi interinali vi contribuiscano. È importante firmare un accordo finale con i paesi della regione. L’allentamento delle norme di origine offre alla Papua Nuova Guinea notevoli opportunità per promuovere l’economia locale.
È importante, tuttavia, assicurarsi che i paesi più poveri non siano utilizzati come paesi di transito per prodotti provenienti da paesi non qualificati al regime di accesso speciale. Gli interessi dell’economia locale sono fondamentali. La Commissione deve controllare l’attuazione degli accordi e prendere i dovuti provvedimenti qualora gli studi di settore rivelassero gravi alterazioni nel mercato.
Alain Cadec (PPE), per iscritto. – (FR) Il presente accordo offre condizioni preferenziali di accesso al mercato europeo ai beni provenienti dalla regione del Pacifico. Sono favorevole allo sviluppo della regione, ma ritengo inaccettabile la deroga alle norme di origine per i prodotti della pesca trasformati, che genera una concorrenza sleale per l’industria conserviera europea e che in realtà non porta benefici alle popolazioni locali.
Le importazioni di tonno dalla Papua Nuova Guinea sono raddoppiate negli ultimi due anni e temiamo che questa tendenza aumenterà in futuro. In qualità di vicepresidente della commissione per la pesca, ho deciso di votare contro l’accordo poiché non tiene in considerazione il parere adottato da questa commissione per abolire la deroga alle norme di origine per i prodotti della pesca trasformati, alla fine dei negoziati sull’accordo di partenariato interinale.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Sebbene solo un numero limitato di paesi abbia accettato l’accordo di partenariato economico interinale (APE), questo accordo dimostra l’impegno dell’Europa a sostenere lo sviluppo dei paesi del Pacifico attraverso un meccanismo che va oltre i procedimenti relativi agli aiuti, nel tentativo di mobilizzare le economie locali e nella speranza di creare nuove attività e posti di lavoro e incentivare la circolazione di persone e beni. In linea di principio concordo con questo strumento, ma non posso ignorare i miei dubbi sull’impatto che l’APE potrebbe avere sull’industria della pesca. Vorrei che la Commissione trattasse con particolare attenzione questo tema e ritengo giustificata, come richiesto dal relatore, la presentazione al Parlamento da parte della Commissione di una relazione sulla pesca nel Pacifico e sulla gestione degli stock ittici.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Concordo con la proposta di decisione del Consiglio sulla conclusione di un accordo di partenariato economico interinale tra la Comunità europea e due Stati del Pacifico (la Papua Nuova Guinea e la Repubblica delle Isole Figi) per i seguenti motivi: 1. i due paesi rappresentano le maggiori economie della regione e in passato hanno firmato accordi di partenariato economico con l’Unione europea; 2. nonostante i benefici potenziali che l’espansione del partenariato ad altri paesi della regione comporterebbe, sinora non è stato possibile farlo; 3. se intendiamo convertire l’accordo interinale in questione in un accordo completo, l’Assemblea deve rivalutarlo; 4. le Isole Figi si sono impegnate nei confronti dell’Unione europea in materia di diritti dell’uomo, principi democratici e stato di diritto; 5. nonostante le critiche pronunciate da alcuni membri della società civile e da alcuni politici nella regione, il partenariato può comunque contribuire allo sviluppo strategico dei due paesi.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Abbiamo a lungo criticato la sottoscrizione degli accordi di partenariato con i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP). Indipendentemente dall’obiettivo e dal modo in cui sono stati presentati, gli accordi mirano al raggiungimento del libero mercato, con tutte le conseguenze negative che questo comporta. Recentemente, durante l’ultima Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE che ha avuto luogo nel dicembre del 2010, il Consiglio dei paesi ACP ha espresso preoccupazioni sul mancato rispetto da parte della Commissione europea delle obiezioni relative alla tutela delle economie di questi paesi. È sorta anche una contraddizione tra la tanto celebrata flessibilità della Commissione e la posizione inflessibile mantenuta nel corso dei negoziati tecnici. Durante l’accordo di partenariato economico interinale con le Isole Figi e la Papua Nuova Guinea, l’Unione europea è stata oggetto di forti critiche da parte dei membri della società civile e dei politici della regione del Pacifico a causa delle pressioni esercitate su questi due paesi per spingerli a firmare l’accordo, sotto la minaccia di perdere il l’accesso preferenziale ai mercati europei. I critici sostengono inoltre che la solidarietà tra gli Stati del Pacifico è notevolmente diminuita dalla firma dell’accordo, che ha condotto alla disgregazione dei singoli gruppi regionali a causa delle pressioni esercitate per spingerli a firmare gli accordi interinali.
Pat the Cope Gallagher (ALDE), per iscritto. – (GA) Niente è più importante della salute dei bambini e della tutela dei loro diritti e del loro benessere. I bambini devono avere il diritto a una vita in famiglia e dobbiamo assicurarci che non debbano passare periodi troppo lunghi negli orfanotrofi.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) L’accordo tra Unione europea e Stati del Pacifico garantisce alla Papua Nuova Guinea una deroga generale alle norme di origine per i prodotti della pesca, in particolare per il tonno. Questa clausola implica che i beni provenienti dal paese siano considerati papuani e, di conseguenza, esenti da qualsiasi dazio o quota doganale, anche se il pescatore, le zone di pesca e le fabbriche di trasformazione del pesce non sono papuane.
Ora, chi trae profitto da una situazione del genere sono i cinesi, gli australiani, i tailandesi e qualsiasi flotta di pescherecci che scarica il proprio pescato nei porti della Papua Nuova Guinea. Si tratta delle imprese conserviere originarie dei paesi sopraccitati e che si sono stabilite in Papua Nuova Guinea, ma che offrono impiego a cittadini stranieri a condizioni discutibili. È chiaramente il settore europeo dell’industria e in particolare quello francese, a sentire il peso di tale concorrenza sleale e illecita.
All’interno dell’Unione europea, le importazioni di tonno dalla Papua Nuova Guinea sono aumentate del 76 per cento tra il 2008 e il 2009; nello stesso periodo solo in Francia, sono aumentate del 1 500 per cento. I perversi effetti economici e sociali della deroga sono ben noti e i timori per gli stock ittici della regione sono fondati. Per questo ho espresso voto contrario all’accordo.
Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto. – (PL) Gli Stati del Pacifico formano una zona unica, costituita principalmente da isole che sono, in prevalenza, etnicamente diverse, con una cultura che differisce notevolmente da quella europea e con diverse priorità politiche ed economiche. Concludere un accordo con questi Stati manifesta la nostra intenzione di facilitare la libera circolazione di beni e servizi che dovrebbero apportare vantaggi commerciali per entrambe le parti. Nella lotta per la liberalizzazione del mercato, dobbiamo comunque assicurarci di non venire considerati come intrusi che puntano solo all’accesso alle risorse, indebolendo la solidarietà regionale, come vogliono farci credere i critici. Concludiamo accordi, apriamo i mercati e promuoviamo la competitività, ma dobbiamo fare in modo che le nostre azioni siano sempre guidate dal buon senso e dai benefici reciproci, in particolare, quando corriamo in aiuto di regioni quali gli Stati del Pacifico, spesso colpite da catastrofi naturali.
Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. – (DE) L’accordo di partenariato interinale tra la Comunità europea e due paesi ACP, ovvero la Papua Nuova Guinea e le Figi, deve essere visto come un passo verso un accordo completo. L’accordo di partenariato interinale riguarda tutti i temi importanti di un accordo commerciale, ma dovrebbe anche affrontare i diritti di proprietà intellettuale e gli sviluppi nel settore degli appalti pubblici. Sostengo l’accordo, ma al contempo sono consapevole del suo possibile impatto sul settore della pesca. A questo proposito, mi aspetto che la Commissione svolga un’inchiesta, come richiesto nel paragrafo 15 della risoluzione adottata dal Parlamento.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Egregio Presidente, cari colleghi, l’iniziativa oggi approvata da questo Parlamento ha creato un accordo che alimenterà sicuramente il commercio tra l’Unione Europea e alcuni Stati della regione del Pacifico. Nello specifico, l’accordo di partenariato interinale è stato concluso con la Papua Nuova Guinea e la Repubblica delle Isole Figi, che cercano di raggiungere l’obiettivo di proteggere le loro industrie dello zucchero e del tonno. Si tratta, a mio avviso, di un passo in avanti in tema di sviluppo e di prosperità, capace di fornire un vero valore aggiunto - grazie anche alle norme di origine - all’attività di pesca e alle esportazioni di queste regioni. Mi preme sottolineare, inoltre, che l’accordo potrebbe avere importanti ripercussioni sulle relazioni con altri Stati della regione del Pacifico, tra cui l’Australia e la Nuova Zelanda.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Sono lieto che il Parlamento abbia espresso il suo pieno sostegno alla raccomandazione da me presentata per la conclusione dell’APE interinale UE-Pacifico. L’accordo interinale fra la Papua Nuova Guinea, la Repubblica delle Isole Figi e la Comunità europea è stato siglato il 14 dicembre 2007. Questi due paesi sono stati gli unici membri della regione del Pacifico a siglare l’accordo, poiché gli altri membri del gruppo regionale del Pacifico, avendo volumi più scarsi di scambi commerciali con l'UE, hanno scelto di non siglare un accordo.. Le Isole Figi e la Papua Nuova Guinea hanno concluso l’accordo soprattutto nella speranza di proteggere le loro industrie dello zucchero e del tonno, che nell’ambito del sistema di preferenze generalizzate sarebbero state seriamente compromesse. L'accordo interinale riguarda le norme d'origine e i problemi di accesso al mercato. In merito alle norme di origine, l'accordo riguarda le norme di origine nel settore della pesca, del tessile e dell'agricoltura, determinando opportunità in materia di investimenti e occupazione. Per quanto riguarda l'accesso al mercato, verrebbe garantito un accesso in franchigia di dazi doganali e di contingenti che offrirebbe opportunità di investimento e di occupazione. Le questioni relative al commercio e allo sviluppo devono essere trattate in un più ampio quadro regionale.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) L’accordo di partenariato interinale firmato da Unione europea, Papua Nuova Guinea e Isole Figi è il risultato di una vergognosa pressione. Tale accordo prevede, per la Papua Nuova Guinea e le Isole Figi, la graduale abolizione dei dazi doganali a livelli insostenibili per i due Stati, il divieto di qualsiasi restrizione quantitativa all’esportazione e all’importazione e l’abolizione di tutti i sussidi per l’esportazione di prodotti agricoli verso gli Stati del Pacifico. Contiene una clausola di revisione a tempo per concludere positivamente i negoziati attualmente in corso per un accordo di partenariato economico completo (APE). Tali accordi sono un’ulteriore riprova del neocolonialismo dell’Unione europea. Ho per questo espresso voto contrario.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Gli obiettivi degli accordi di partenariato economico tra l’Unione europea e gli Stati del Pacifico devono essere l’aumento del commercio, lo sviluppo sostenibile, l’integrazione regionale, la promozione della diversificazione economica e la riduzione della povertà. Sebbene attualmente solo la Papua Nuova Guinea e la Repubblica delle Isole Figi lo abbiano firmato, l’accordo costituisce comunque un passo avanti significativo verso il futuro sviluppo economico della regione, composta da 14 Stati, ed è fondamentale per lo sviluppo del commercio internazionale. Rappresenta il primo passo verso l’estensione dell’accordo ad altri paesi della regione, che darebbe una spinta significativa alle loro economie e al benessere delle loro popolazioni.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Ho votato a favore dell’accordo di partenariato interinale tra UE e Stati del Pacifico perché ritengo importante che l’Europa abbia accordi di partenariato commerciale con i paesi terzi in grado di esportare prodotti di difficile accesso per i paesi europei. Lo sviluppo del commercio internazionale è seguito logicamente da accordi che facilitino gli scambi e rendano la rete commerciale sempre più accessibile. I negoziati per i nuovi accordi di partenariato economico (APE) sono stati avviati nel 2002 con l’intento di istituire e rafforzare i processi di integrazione regionale nell’ambito degli Stati ACP. L’accordo in questione riguarda le norme d’origine nel settore della pesca, del tessile e dell’agricoltura, determinando opportunità in materia di investimenti e occupazione, e riguarda l’accesso al mercato, con una franchigia di dazi doganali che offrirebbero opportunità di investimento e di occupazione. L’accordo interinale ha inoltre determinato una riduzione del margine di manovra politica dei governi in termini di competenze normative.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della raccomandazione sulla conclusione dell’accordo di partenariato interinale tra la comunità europea e gli Stati del Pacifico per i seguenti motivi. Le Isole Figi e la Papua Nuova Guinea hanno concluso l’accordo soprattutto nella speranza di proteggere le loro industrie dello zucchero e del tonno. L’accordo interinale riguarda le norme di origine nel settore della pesca, del tessile e dell’agricoltura, stabilendo deroghe che potrebbero minacciare la competitività di alcune industrie dell’Unione europea. In merito al settore delle conserve di tonno, la deroga accordata ha fatto sì che questo paese divenisse un autentico "centro di distribuzione" per la trasformazione di enormi quantità di tonno di qualsiasi origine (Filippine, Thailandia, Cina, Stati Uniti, Australia ecc.) sbarcato nei suoi porti per esservi trasformato in stabilimenti installati in tutta fretta da operatori dei paesi interessati, al solo fine di beneficiare dell'esenzione totale dai dazi doganali accordata dall'UE ai sensi del predetto accordo provvisorio. Questa pratica ha arrecoto danno al settore delle conserve di tonno europeo che si lamenta ora della concorrenza sleale.
Mi unisco quindi al relatore nella sua richiesta di presentare al Parlamento una relazione sugli aspetti specifici del settore della pesca negli Stati del Pacifico per valutare l’impatto reale che queste misure potrebbero avere sul mercato dell’Unione europea.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. – Nel 2002 sono stati avviati negoziati per nuovi accordi di partenariato economico (APE) tra Stati ACP ed UE in sostituzione del precedente regime unilaterale di preferenze commerciali in favore degli ACP.
Considerato che le questioni di interesse specifico sono state oggetto di singola negoziazione nazionale e appurata l’impossibilità di concludere nell’immediato accordi di partenariato, si è stabilito di concludere entro la fine del 2007 accordi interinali che si concentrassero sullo scambio di merci (mirano ad evitare l’interruzione degli scambi commerciali e possono anche non rappresentare necessariamente il preludio a un APE completo).
Nell’ambito del Pacifico tali accordi sono stati siglati solo dalle Isole Figi e Papua Nuova Guinea. L’accordo riguarda le norme d’origine nel settore della pesca, nel settore tessile e dell’agricoltura, determinando opportunità in materia di investimento e occupazione. La Commissione europea spera di concludere un accordo di partenariato economico globale con il gruppo regionale del Pacifico, tant’è che le trattative sono in corso.
Ho ritenuto opportuno attenermi alla posizione del Consiglio in favore dell’accordo di partenariato interinale, perché ritengo prioritario garantirsi l’approvvigionamento di risorse, vista soprattutto la loro scarsità ed il deperimento ambientale. È inoltre essenziale tenere ancora in vita, anche se sotto altra forma, i decennali accordi con i paesi ACP.
Maurice Ponga (PPE), per iscritto. – (FR) Accolgo con favore la decisione del Parlamento europeo di approvare l’accordo interinale tra la Comunità europea e gli Stati del Pacifico, che rispecchia l’impegno dell’Unione europea nei confronti di questa regione del mondo e lancia un forte segnale politico agli Stati che vi appartengono. Ne sono lieto. La risoluzione politica che accompagna la decisione di approvare l’accordo ci offre l’opportunità di esporre le nostre richieste. Vogliamo stabilire una relazione equilibrata e giusta con gli Stati del Pacifico, che permetta lo sviluppo degli Stati insulari, ma che al contempo tuteli gli interessi dei nostri cittadini. Se l’accordo interinale prevede disposizioni specifiche sulle norme di origine dei prodotti della pesca, è importante amministrare la deroga.
Per assicurarci che la deroga, che dovrebbe creare occupazione e ricchezza, porti benefici alle popolazioni locali senza danneggiare le industrie europee di trasformazione e conservazione dei prodotti della pesca, è fondamentale fornire quanto prima una valutazione del suo impatto e prevedere, qualora necessario, una sua sospensione. Le garanzie esistono per assicurare che l’accordo sia equo e che, se necessarie, saranno prese le adeguate misure per proteggere i nostri interessi.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) Ho espresso voto favorevole alla relazione poiché ritengo che la promozione di relazioni commerciali tra gli Stati del Pacifico e l’Unione europea può promuovere lo sviluppo sociale ed economico della regione, ridurre la povertà e rafforzare l’integrazione e la cooperazione regionali, in conformità con gli obiettivi di sviluppo del Millennio. Condivido, comunque, le preoccupazioni espresse dal relatore sulle deroghe alle norme di origine e sul loro impatto negativo, che deve essere propriamente valutato dalla Commissione, sulle industrie europee di trasformazione e conservazione del pesce.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) I verdi sono sempre stati e continuano a essere contrari agli accordi di partenariato economico (APE) con qualsiasi paese ACP. Non leggiamo quindi il valore aggiunto dell’accordo di partenariato economico interinale con questi due Stati del Pacifico.
In questo caso specifico, noi verdi temiamo un’ulteriore dis-integrazione di questa ampia regione, di per sé già ampiamente distribuita su tutto l’Oceano Pacifico, come conseguenza dei regimi commerciali preferenziali con l’Unione europea stabiliti nell’APE interinale. Inoltre, il prevedibile e illimitato aumento delle esportazioni tradizionali, ovvero di materie prime come rame, zucchero, copra, pesce e olio di palma (biocarburanti), è totalmente in conflitto con lo sviluppo sostenibile. Noi verdi abbiamo quindi sostenuto la richiesta (vana) dei ministri per il Commercio nel Pacifico di riesaminare i punti critici dell’APE interinale, ovvero, la definizione di “praticamente tutti gli scambi”, il divieto di applicare dazi sull’esportazione e fragili salvaguardie per l’industria nascente e la clausola della nazione più favorita (NPF).
Per quanto riguarda l’approvvigionamento su scala mondiale, una soluzione alternativa poteva essere quella di limitare la disposizione al pescato entro le 200 miglia della zona economica esclusiva (ZEE), anziché in tutte le acque. Da ultimo, ma non per importanza, le Figi non possiedono un regime democratico. A questo proposito, il nostro relatore ombra, l’onorevole Bové, ha presentato 11 emendamenti.
Tokia Saïfi (PPE), per iscritto. – (FR) L’accordo di partenariato economico interinale tra la Comunità europea e gli Stati del Pacifico fornisce ai beni provenienti dalla regione del Pacifico condizioni preferenziali di accesso al mercato europeo. Sono favorevole allo sviluppo della regione, ma ritengo inaccettabile la deroga alle norme di origine per i prodotti trasformati della pesca, in quanto permette che i prodotti lavorati in stabilimenti situati nel territorio di detto Stato a partire da materie prime non originarie siano esenti da dazi doganali. Tale deroga si sta rivelando un incentivo per la pesca nell’area tropicale senza alcun riguardo per la gestione degli stock ittici. Le preferenze commerciali non riguardano solo le zone di pesca della Papua Nuova Guinea ed è quindi difficile controllare l’origine del pescato, in netto contrasto con l’impegno assunto dall’Unione europea di fermare la pesca illegale, non dichiarata e irregolare. Mi preoccupa anche la tracciabilità dei prodotti da importare in Europa dalla zona in questione. Con il mio voto contrario, ho voluto manifestare la mia disapprovazione per questa clausola che, a mio parere, non dovrebbe più figurare in nessun futuro accordo commerciale.
Proposta di risoluzione (RC-B7-0029/2010)
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa risoluzione sull’adozione internazionale nell’Unione europea, che si impegna per il benessere di tutti i bambini e riconosce il diritto dei minori orfani o abbandonati di avere una famiglia e di ricevere protezione. Appoggio gli inviti a esaminare la possibilità di coordinare una strategia con misure relative all’adozione internazionale, conformemente alle convenzioni internazionali, pur sottolineando che, tenendo a mente gli interessi del bambino e ove possibile, occorre dare priorità all’adozione di un minore nel suo paese di origine.
È molto importante sviluppare un quadro per garantire la trasparenza e coordinare le azioni, in modo da prevenire la tratta dei minori a fini di adozione illegale. Al contempo, dobbiamo migliorare, semplificare e agevolare le adozioni internazionali ed eliminare gli inutili intralci burocratici, pur salvaguardando i diritti dei minori provenienti da paesi terzi.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) La protezione dei diritti dei minori sancita nel trattato di Lisbona è uno degli obiettivi dell’Unione europea cui si dovrà dedicare maggiore attenzione dopo l’entrata in vigore della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La politica dell’Unione deve essere finalizzata a garantire e dare attuazione ai diritti dei minori alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Ho espresso voto favorevole a questa risoluzione nella convinzione che esista la necessità di migliorare la politica di protezione dei diritti dei minori. Il numero di bambini abbandonati e in istituto, molto elevato in alcuni Stati membri, è fonte di preoccupazione; inoltre, le violazioni dei diritti dei bambini, le violenze, la tratta dei minori, l’induzione alla prostituzione, il lavoro illegale e altre attività illecite restano un grande problema nell’Unione europea. Concordo sulla necessità di esaminare il funzionamento dei sistemi nazionali a livello europeo, in modo da chiarire le questioni riguardanti la tutela dei diritti dei minori e, se necessario, adottare misure volte a garantire una maggiore efficacia nella protezione dei bambini abbandonati dando loro la possibilità di avere una famiglia e di essere al sicuro.
George Becali (NI), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore di questa risoluzione perché il problema dei minori abbandonati si è costantemente aggravato nell’Unione europea. È importante tutelare il diritto alle adozioni internazionali per evitare che i bambini siano costretti a vivere in orfanotrofio. La Commissione ha il dovere di informarci circa le misure di recente o prossima attuazione a livello europeo per tutelare i minori adottati da cittadini europei. Le adozioni devono essere conformi alla legislazione nazionale e alle convenzioni internazionali. Invito la Commissione a spiegarci in che modo tali procedure garantiranno la tutela costante degli interessi dei minori.
Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. – Ho sostenuto con un voto favorevole la risoluzione comune sulle adozioni internazionali, perché credo fermamente che un coordinamento europeo delle strategie e degli strumenti in tema di adozione permetterebbe non solo il miglioramento della procedura in sé ma garantirebbe una maggiore tutela dei bambini orfani e abbandonati e del loro diritto di avere una famiglia. Dalla sinergia tra organismi internazionali, istituzioni comunitarie e Stati membri discenderebbe una circolo virtuso in cui alla centralità dei bisogni del bambino, si affiancherebbe la garanzia dei servizi di informazione, preparazione e sostegno delle famiglie adottanti. Ritengo infine che un maggior coordinamento possa garantire all´adottato un maggior certezza in tema di correttezza delle procedure di acquisizione e mutuo riconoscimento dei documenti, prevenendo il fenomeno della tratta dei minori.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della risoluzione sull’adozione internazionale nell’Unione europea. La protezione dei diritti dei minori è uno degli obiettivi più importanti dell’Unione europea: è nostro dovere tutelare il benessere e gli interessi di tutti i bambini. Attualmente sono in vigore numerose convenzioni sulla tutela dei minori e sulle responsabilità dei genitori, quali la convenzione europea del 1967 sull’adozione dei minori che intende armonizzare la legislazione degli Stati membri sull’adozione. Tutti gli Stati membri sono inoltre firmatari della convenzione del 1993 sulla protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale (la convenzione dell’Aia). Nonostante la materia sia di competenza degli Stati membri, ritengo esista la necessità di esaminare la possibilità di coordinare, a livello europeo, una strategia con misure relative all’adozione internazionale. È essenziale tenere in debita considerazione le convenzioni internazionali al momento di elaborare tale strategia. Dobbiamo puntare a migliorare i servizi di informazione, la preparazione per l’adozione internazionale, il trattamento delle procedure di candidatura all’adozione internazionale e i servizi post-adozione, tenendo presente che tutte le convenzioni internazionali in materia di protezione dei diritti del bambino riconoscono il diritto dei minori orfani o abbandonati di avere una famiglia e di ricevere protezione. Le istituzioni e gli Stati membri dell’Unione devono impegnarsi attivamente nella lotta alla tratta dei minori a scopo di adozione.
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) La Romania è forse lo Stato europeo che ha permesso i peggiori abusi rispetto alle adozioni internazionali negli anni Novanta, subito dopo la caduta del comunismo. Questo è stato di certo dovuto dalla mancanza di esperienza di un paese che emergeva da buio periodo durato quasi cinquanta anni, ma anche dalle azioni di quanti erano pronti a sfruttarne le debolezze. Si sono quindi perse le tracce di circa un migliaio di minori coinvolti nelle adozioni internazionali. Con l’appoggio dell’Unione europea, durante la fase di adesione il paese ha adottato emendamenti di vasta portata rispetto alla legislazione in materia di adozioni, nonostante la forte pressione internazionale a non ricorrere a una misura drastica come l’abbandono dell’adozione internazionale. Date le circostanze e alla luce della triste esperienza romena rispetto alle adozioni internazionali, la riluttanza ad accettare l’istituzione di un ente come l’Agenzia europea per le adozioni, che determinerebbe la creazione di un vero e proprio mercato europeo delle adozioni, appare senz’altro comprensibile.
Qualsiasi risoluzione sulle adozioni internazionali deve avere come unico obiettivo la sicurezza dei minori, a prescindere dagli interessi degli Stati o degli adottanti. Inoltre, le adozioni nazionali devono avere la precedenza in tutti i sistemi legali presenti e futuri, indipendentemente da qualsiasi risoluzione o decisione.
Corina Creţu (S&D), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo sulle adozioni internazionali nell’Unione europea sulla scorta dell’esperienza romena in questo ambito. È necessario condurre un’analisi di tutti i sistemi nazionali di adozione per individuarne i punti di forza e le debolezza e raccomandare le migliori pratiche per l’adozione applicate dagli Stati membri. Si compierebbero grandi progressi se si riuscissero a coordinare a livello europeo le politiche e le strategie relative allo strumento di adozione internazionale, al fine di migliorare l’assistenza nei servizi di informazione, la preparazione per l’adozione internazionale, il trattamento delle procedure di candidatura all’adozione internazionale e i servizi post-adozione. Il diritto dei minori orfani o abbandonati di avere una famiglia e di ricevere protezione deve diventare realtà.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della risoluzione sulle adozioni internazionali nell’Unione europea. Nonostante la materia sia di competenza degli Stati membri, ritengo che la tutela dei diritti dei minori debba essere uno degli obiettivi dell’Unione. In tale contesto, desidero ribadire la necessità di esaminare un possibile coordinamento, a livello europeo, delle strategie relative allo strumento di adozione internazionale e i servizi post-adozione, tenendo presente che tutte le convenzioni internazionali in materia di protezione dei diritti del bambino riconoscono il diritto dei minori orfani o abbandonati di avere una famiglia e di ricevere protezione.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) L’adozione di minori è una questione particolarmente delicata. La dignità umana e, in questo caso, l’attenzione particolare da dedicare agli interessi del minore, impongono l’osservanza e il rispetto delle convenzioni internazionali in materia nonché un esame delle migliori pratiche e uno scambio di esperienze tra gli Stati membri. L’Unione europea potrà monitorare questi tentativi e contribuire ad affrontare la piaga della tratta dei minori, che interessa prevalentemente i paesi più poveri e le fasce più deboli della società.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) L’Unione europea si è sempre battuta per la protezione dei diritti dei minori e la difesa dei loro interessi. Questa risoluzione invita ad esaminare la possibilità di coordinare, a livello europeo, le strategie relative allo strumento di adozione internazionale, conformemente alle convenzioni internazionali, al fine di migliorare l’assistenza nei servizi di informazione, la preparazione per l’adozione internazionale, il trattamento delle procedure di candidatura all’adozione internazionale e i servizi post-adozione, tenendo presente che tutte le convenzioni internazionali in materia di protezione dei diritti del bambino riconoscono il diritto dei minori orfani o abbandonati di avere una famiglia e ricevere protezione. Ho espresso voto favorevole perché ritengo che, nonostante la materia rientri nelle competenze degli Stati membri, esista la necessità di un livello minimo di convergenza europea, a condizione che gli interessi dei minori siano sempre rispettati.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Siamo tutti concordi sulla necessità di difendere il benessere dei minori e tutelarne i diritti, come sottolineato in questa risoluzione del Parlamento europeo. Le dichiarazioni di carattere generale sono però insufficienti: è necessario individuare le cause che determinano lo sfruttamento dei minori in caso di adozione internazionale.
Le cause principali dell’abbandono dei minori sono la povertà, sistemi inadeguati di assistenza sociale, la mancanza di reti di infrastrutture sociali sufficienti e di servizi pubblici adeguati nonché i conflitti e le operazioni militari.
Louis Grech (S&D), per iscritto. – (EN) Per affrontare il sempre più grave problema dell’abbandono di minori, le istituzioni europee e gli Stati membri devono rivestire un ruolo più attivo nel miglioramento degli strumenti di adozione internazionale, agevolando e coordinando le procedure a livello europeo, senza mettere a rischio la sicurezza dei diritti dei minori e rispettando tutte le convenzioni internazionali in materia di protezione dei diritti del bambino. L’Unione europea e gli Stati membri devono garantire un esame più attento dei casi di adozione internazionale al fine di prevenire lo sfruttamento, gli abusi, il rapimento e la tratta dei minori; gli Stati membri devono dal canto loro cercare un equilibrio tra gli elevati standard e le garanzie internazionali al fine di salvaguardare i diritti del bambino, la riduzione della burocrazia e l’agevolazione delle procedure di adozione. Gli Stati membri dovrebbero inoltre approntare normative più trasparenti sulle procedure di adozione internazionale e intrattenere un costante scambio di informazioni sulle condizioni e l’ambiente in cui si trovano i bambini adottati. In conclusione, l’obiettivo primario delle procedure di adozione internazionale deve essere sempre l’interesse del minore, con particolare attenzione ai bambini con necessità specifiche, al fine di tutelare i diritti dei minori e delle famiglie.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore di questa risoluzione comune che ci consente di tutelare il diritto dei genitori di adottare un bambino proveniente da un altro Stato membro e di proteggere i minori durante e dopo l’adozione. Si rende necessario sviluppare un quadro di normative specifiche sull’adozione internazionale, al fine di evitare abusi quali per esempio la tratta dei minori.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) I nostri ordinamenti giuridici nazionali disciplinano ciascuno in maniera diversa l’adozione e altre materie legate all’infanzia. Problemi come la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei minori hanno una dimensione internazionale e per questo si rende necessario intervenire a livello europeo. Non dobbiamo mai dimenticare che gli interessi del bambino hanno la massima importanza e, in virtù di tale considerazione, ho espresso voto favorevole a questa risoluzione.
Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa importante risoluzione sull’adozione internazionale nell’Unione europea perché la tutela dei diritti dei minori è uno degli obiettivi dell’Unione. Attualmente sono in vigore numerose convenzioni in materia di tutela dei minori e di responsabilità dei genitori. Ritengo necessario esaminare la possibilità di coordinare, a livello europeo, le questioni relative all’adozione internazionale, al fine di migliorare l’assistenza nei servizi di informazione, la preparazione per l’adozione internazionale, il trattamento delle procedure di candidatura all’adozione internazionale e i servizi post-adozione. È molto importante istituire un sistema che garantisca la trasparenza e ponga fine alla tratta dei minori a fini di adozione. Desidero sottolineare che, ove possibile e a tutela degli interessi del bambino, occorre incoraggiare principalmente l’adozione di un minore nel suo paese di origine.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore questa risoluzione che invita ad esaminare la possibilità di coordinare, a livello europeo, le strategie relative allo strumento di adozione internazionale, conformemente alle convenzioni internazionali, al fine di migliorare l’assistenza nei servizi di informazione, la preparazione per l’adozione internazionale, il trattamento delle procedure di candidatura all’adozione internazionale e i servizi post-adozione, tenendo presente che tutte le convezioni internazionali in materia di protezione dei diritti del bambino riconoscono il diritto dei minori orfani o abbandonati di avere una famiglia e di ricevere protezione.
Véronique Mathieu (PPE), per iscritto. – (FR) Il numero di bambini abbandonati negli ultimi anni è in costante aumento, come si può osservare in tutti gli Stati membri. Questi bambini, oltre ad essere vittime di conflitti ed esclusione sociale, sfruttati da reti criminali e in tutti i tipi di traffici, sono vittime di un sistema di adozione internazionale carente. In gran parte dei casi, le vittime sono bambine, facile preda per giri di prostituzione e altre forme di schiavitù moderna. Una delle misure che possiamo adottare rispetto a questa desolante situazione è agevolare le procedure di adozione internazionale, che andrebbero disciplinate mediante una normativa apposita, per garantire a tutti i bambini il diritto di essere adottati.
Nonostante la responsabilità in materia spetti ancora agli Stati membri, va ricordato che la tutela degli interessi del bambino è un principio fondamentale dell’Unione europea ed è sancita dalla Carta dei diritti fondamentali. In mancanza di una normativa europea in materia, l’Unione deve fare quanto in suo potere per agevolare queste adozioni, in particolare permettendo nei mesi a venire il mutuo riconoscimento dei documenti di stato civile e delle decisioni di adozione.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) L’adozione di minori è una questione che è sempre stata a cuore all’Unione europea e deve essere gestita con la massima cautela. I bambini rappresentano il futuro della società e devono essere trattati con la massima dignità. Si deve tenere conto dei loro interessi e questo richiede il rispetto delle convenzioni internazionali in materia. L’Unione europea è quindi chiamata a compiere tutti gli sforzi per affrontare la piaga della tratta di minori, che colpisce principalmente i bambini dei paesi più poveri e delle fasce sociali più deboli.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) I bambini sono l’anello più debole della società: tutelarne i diritti e garantirne il rispetto devono essere una priorità dell’Unione europea. Ciononostante, i bambini sono ancora vittima della tratta di esseri umani e dello sfruttamento all’interno dell’Unione europea, spesso per via della mancanza di normative in materia di adozione. Nonostante l’adozione sia un mezzo efficace per garantire che i bambini non crescano in orfanotrofio, è essenziale attuare severi controlli, soprattutto delle organizzazioni internazionali, al fine di prevenire abusi. Ho deciso di astenermi perché questa risoluzione non prevede misure sufficienti a garantire la tutela dei bambini dallo sfruttamento in conseguenza dell’adozione.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Il tema delle adozioni è sempre molto delicato e merita un'attenzione particolare, in quanto sono i bambini e il loro futuro di cui si decide. L'adozione si rivela spesso uno strumento utile per sottrarre i bambini abbandonati oppure orfani ad un'infanzia infelice, trascorsa negli orfanotrofi, senza affetto e cure di cui ogni bambino dovrebbe godere. Non dare la possibilità ad un bambino innocente di essere amato e guidato nel suo percorso da genitori amorevoli e presenti sarebbe un gesto crudele e privo di giustizia, ragion per cui ho votato a favore della risoluzione, credendo fermamente nel potere delle adozioni come mezzo per regalare una vita migliore a bambini che diventeranno il futuro del mondo. A livello Europeo, è necessario creare una strategia coordinata, sorretta da procedure trasparenti ed efficaci, di sostegno post-adozione e un meccanismo di controllo che supervisioni le attività di ogni Stato membro. Adottare un bambino significa garantirgli un futuro migliore, protetto e pieno di speranza, ritengo pertanto fondamentale attuare un'azione pratica di legislazione in materia per fronteggiare le differenze internazionali.
Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. – (EL) Ho votato a favore della risoluzione comune sull’adozione internazionale nell’Unione europea, finalizzata a migliorare il sistema di adozione tra Stati membri e a istituire garanzie affinché l’adozione avvenga negli interessi del minore e nel rispetto assoluto dei suoi diritti fondamentali. Desideriamo sottolineare la necessità di inserire nella risoluzione i punti seguenti: creare una strategia europea per le adozioni che stabilisca le normative per tutti i paesi, dai più poveri ai più sviluppati, e che consenta il monitoraggio della crescita dei bambini che hanno trovato una famiglia mediante adozione internazionale attraverso relazioni periodiche curate dalle autorità nazionali competenti con il paese di origine; semplificare le procedure di adozione ed eliminare gli intralci burocratici; ridurre il periodo di tempo che i bambini trascorrono in istituti e orfanotrofi; dare priorità alle adozioni nazionali; fermare i gruppi criminali coinvolti nello sfruttamento e nella tratta di minori a fini di adozione.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo sull’adozione internazionale nell’Unione europea, un’iniziativa che realizza l’obiettivo dell’Unione sancito nell’articolo 3 del trattato di Lisbona per “la tutela dei diritti del minore”.
Lo sviluppo economico degli Stati membri dell’Unione non impedisce che vi siano ancora gravi carenze sul piano dei diritti dei minori, nello specifico il problema della precarietà dell’infanzia (in particolare dei bambini abbandonati e in istituto) e delle violenze contro i minori. Altre carenze sono relative alla tratta dei minori ai fini di adozione, alla prostituzione, al lavoro illegale, al matrimonio forzato e all’accattonaggio per strada o per qualsiasi altro scopo illegale, ancora di grande gravità nell’Unione europea.
Questo quadro definisce l’importanza dell’iniziativa, nell’ambito della quale si invita la Commissione a esaminare la possibilità di coordinare, a livello europeo, le strategie relative allo strumento di adozione internazionale. Si rende necessaria una strategia conforme alle convenzioni internazionali per migliorare l’assistenza nei servizi di informazione, la preparazione e il trattamento delle procedure di candidatura e i servizi post-adozione. Si deve assegnare importanza alla tutela dei diritti dei minori e riconoscere il diritto dei bambini orfani o abbandonati di avere una famiglia e di ricevere protezione.
Rovana Plumb (S&D), per iscritto. – (RO) L’interruzione delle adozioni internazionali era un prerequisito per l’ingresso della Romania nell’Unione europea. Nel 2001, la Romania ha deciso di attuare una moratoria sulle adozioni internazionali dopo che l’onorevole Nicholson, relatrice del Parlamento europeo per la Romania, condannò le attività di tratta di minori accusando lo Stato romeno di trascurare i propri bambini. Ritengo necessario dare priorità, nella maggior misura possibile e a tutela degli interessi del bambino, all’adozione del minore nel paese di origine o, in alternativa, a soluzioni di affido in famiglia o in strutture di accoglienza, oppure trovando una famiglia attraverso l’adozione internazionale, conformemente alla legislazione nazionale e alle convenzioni internazionali pertinenti. La collocazione in un istituto deve essere utilizzata soltanto come soluzione temporanea. Nel contempo è importante sviluppare un quadro metodologico a livello europeo per valutare lo sviluppo di un minore adottato nella nuova famiglia mediante periodiche relazioni post-adozione redatte dai servizi sociali del paese dove vive il minore e inviate alle autorità competenti del paese di origine. Tale meccanismo deve essere attuato mediante l’azione coordinata degli Stati membri e della Commissione europea, in cooperazione con la Conferenza dell’Aia, il Consiglio d’Europa e le organizzazioni per i minori che si impegnano a prevenire la tratta dei minori a fini di adozione.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) L’adozione è una questione particolarmente delicata che merita la completa attenzione degli Stati membri dell’Unione europea. Nonostante si siano compiuti considerevoli progressi a seguito della convenzione dell’Aia sulla protezione dei minori e grazie alla cooperazione in materia di adozione internazionale, la precarietà dell’infanzia, le violazioni dei diritti dei bambini, la violenza e la tratta dei minori a fini di adozione, la prostituzione, il lavoro illegale, il matrimonio forzato e l’accattonaggio per strada o per qualsiasi altro scopo illegale, restano un problema nell’Unione europea.
Si deve compiere ogni sforzo possibile per tutelare il diritto dei minori a una vita famigliare. Per raggiungere questo obiettivo, è importante esaminare la possibilità di coordinare, a livello europeo, le strategie relative allo strumento di adozione internazionale, conformemente alle convenzioni internazionali, al fine di migliorare l’assistenza nei servizi di informazione, la preparazione e il trattamento delle procedure di candidatura e i servizi post-adozione.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Noi del gruppo Verts/ALE abbiamo deciso di astenerci dalla votazione. Nella proposta di risoluzione comune, a seguito dei negoziati tra gruppi politici, sono stati modificati gli aspetti negativi della risoluzione del PPE. La risoluzione è stata tuttavia avviata dagli italiani in risposta a una necessità nazionale molto specifica e in relazione a una materia che non rientra nelle competenze europee. Siamo riusciti a rendere la risoluzione un semplice invito a “esaminare la possibilità di coordinare, a livello europeo, le strategie relative allo strumento di adozione internazionale”, senza alcun riferimento a specifici problemi nazionali. Ci stiamo già occupando della questione all’interno della commissione giuridica e della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni e questa risoluzione non era quindi necessaria.
Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. – (PT) Il diritto di un minore di vivere in un ambiente famigliare sano e positivo per il suo sviluppo armonioso è il concetto fondamentale alla base di questa risoluzione. Il crescente numero di bambini che vive in orfanotrofi e le violazioni dei loro diritti, in particolare la tratta di esseri umani, l’adozione e il lavoro illegali e la prostituzione, sono una realtà nell’Unione europea e questo ha determinato una presa di posizione netta per cercare di modificare la situazione. Al contempo, occorre sottolineare il crescente numero di adozioni internazionali illegali che coinvolgono paesi terzi non rispettosi delle condizioni stabilite dalla convenzione dell’Aia. L’istituzionalizzazione dei diritti dei minori nell’Unione di cui all’articolo 3 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, come uno degli obiettivi dell’Unione, e all’articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali, spiana la strada al coordinamento delle politiche e delle strategie tra Stati membri, in conformità con gli strumenti internazionali già in vigore. È urgente la creazione di un meccanismo a livello europeo che illustri il funzionamento dei diversi sistemi nazionali in materia. Un meccanismo trasparente ed efficace per il monitoraggio delle adozioni, nella fase preparatoria e in quella successiva, e il coinvolgimento delle organizzazioni internazionali non solo promuovono i diritti dei minori, ma consentono la crescita armoniosa dei bambini.
Oreste Rossi (EFD), per iscritto. – Con le nuove migrazioni il problema dei bambini abbandonati che andava via via risolvendosi diventa sempre più grave e importante.
È indispensabile che si trovi un quadro normativo che tenga conto della protezione dei minori, della responsabilità parentale e della sburocratizzazione delle pratiche, che armonizzi le leggi degli stati membri rispettando la Convenzione del 1993 sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale ed il trattato di Lisbona.
Voglio citare come caso da considerare negativo la gestione che viene fatta dalla Germania nelle pratiche di adozione e in particolare nell'affidamento di minori quando siano in gioco coppie con un partner tedesco e l'altro di un differente paese dell'Unione. È evidente che il fine ultimo del legislatore deve essere quello di garantire ai bambini il diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere cercando di evitare che siano costretti a vivere in orfanotrofi.
Artur Zasada (PPE), per iscritto. – (PL) L’adozione internazionale deve essere consentita per il bene del minore, ma esclusivamente in caso non vi siano altre opportunità di adozione nello Stato membro di provenienza. Di norma, un bambino deve crescere nel paese del quale è cittadino.
Anche in Polonia si registrano adozioni estere, che normalmente interessano bambini con poche speranze di essere adottati in patria per via di numerose malattie. Nel 2006, per esempio, 202 famiglie straniere hanno deciso di prendersi cura di 311 nostri bambini: 214 bambini polacchi sono stati adottati in Italia, 25 in Francia, 22 negli Stati Uniti 20 nei Paesi Bassi, 15 in Svezia, 7 in Germania, 6 in Svizzera e 2 sono stati adottati rispettivamente da una famiglia belga e da una famiglia canadese. Il problema dei bambini orfani è praticamente inesistente nell’Europa occidentale: da qui l’elevato interesse per la possibilità di adottare minori provenienti dai paesi dell’Europa centrale e orientale.
Ritengo che la Commissione europea debba: 1) informare il Parlamento in merito alle misure già attuate o di futura attuazione a livello europeo finalizzate ad evitare che l’adozione internazionale si trasformi in un fronte per la tratta di minori; 2) rispondere alla domanda su come si intende evitare che i bambini vengano adottati solo per seguire una moda. Gli europei mostrano un crescente interesse per l’adozione di bambini africani, seguendo l’esempio di attori famosi, ma questa non sembra una base né seria né adeguata per una scelta di adozione.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Concordo con questa risoluzione sul processo d’integrazione europea della Serbia, nella quale si riafferma che il futuro del paese è nell’Unione europea e lo si incoraggia a proseguire nel suo impegno per il raggiungimento di questo traguardo. La Serbia ha compiuto progressi nel processo di riforma, ma sono necessarie ulteriori riforme per conformarsi ai criteri di Copenaghen. La questione del Kosovo è di primaria importanza e sostengo pertanto l’invito rivolto al governo serbo a smantellare le strutture parallele serbe in Kosovo che minano il processo di decentramento e impediscono la piena integrazione della comunità serba nelle istituzioni kosovare.
L’Unione europea deve far comprende con chiarezza al governo serbo che ci aspettiamo un atteggiamento costruttivo da parte del paese nei confronti delle imminenti elezioni politiche in Kosovo. Concordo con l’opinione espressa nella risoluzione, secondo la quale la partecipazione dei serbi kosovari al processo elettorale è un elemento indispensabile per evitare l’emarginazione della comunità serba in Kosovo.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa risoluzione. Il processo di allargamento dell’Unione europea si basa sul rispetto degli standard e delle norme comunitarie sul piano politico, giuridico e tecnico. Già nel 2003, si promise ai paesi dei Balcani occidentali che avrebbero potuto aderire all’Unione quando avessero soddisfatto i criteri stabiliti. L’obiettivo dell’Unione è assicurare la stabilità a lungo termine e lo sviluppo sostenibile della regione. Poiché la rapidità dell’integrazione dei paesi appartenenti alla regione è eterogenea, ogni Stato deve profondere il massimo impegno, realizzare le riforme necessarie e adottare le misure atte a garantire la sicurezza e la stabilità nazionali e della regione nel suo insieme. La Serbia sta compiendo significativi progressi in molti ambiti e vi è stata una cooperazione positiva e costruttiva con l’Unione europea. L’abolizione dell’obbligo di visto disposta nel 2009 dimostra ai cittadini serbi che l’Unione europea giudica positivamente le riforme intraprese nel paese. Concordo con le osservazioni espresse nella risoluzione, secondo le quali si deve proseguire nel cammino delle riforme riguardanti la protezione dei diritti dei cittadini e delle minoranze, il pluralismo dei media, l’indipendenza della magistratura, il sistema penitenziario e numerosi altri ambiti. Gli sforzi per rispettare lo stato di diritto, che assicurerebbero il democratico funzionamento delle istituzioni statali e la protezione efficace dei diritti umani e delle libertà, devono restare una priorità fondamentale delle autorità serbe.
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) Il voto sull’accordo di stabilizzazione e di associazione ha rappresentato un incoraggiamento per la Serbia. Mi auguro che il processo di ratificazione venga accelerato dal voto di approvazione espresso oggi dal Parlamento europeo. Desidero sottolineare che una questione messa in luce nella relazione sull’accordo di stabilizzazione e associazione è relativa al mancato riconoscimento da parte della Serbia delle autorità del Kosovo e al mantenimento di strutture parallele. Dal canto suo, la Romania non ha riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, dichiarata unilateralmente e in violazione del diritto internazionale. La Serbia è un ottimo vicino per la Romania, come confermano i nostri legami storici centenari, e il mio paese comprende e appoggia i paesi amici. Ovviamente il futuro della Serbia è nell’Unione europea e la cooperazione del paese con il Tribunale penale internazione per l’ex Jugoslavia è una dimostrazione dell’impegno di Belgrado verso i valori europei, la democrazia e i diritti umani.
È chiaro che la Serbia dovrà seguire lo stesso percorso intrapreso da tutti gli Stati membri per aderire all’Unione europea, ma deve ricevere pari trattamento. Recenti sviluppi hanno dimostrato che la Serbia ha compreso le aspettative della Comunità europea. Sono stati compiuti notevoli progressi, ma l’Unione europea deve gestire con attenzione alcuni aspetti della storia recente di Belgrado che pesano notevolmente sul popolo serbo.
Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. – (RO) L’Unione europea è fondata su principi quali la riconciliazione e la coesistenza pacifica e persegue queste finalità per migliorare le relazioni tra i popoli della regione. Considerato questo, ritengo che il futuro della Serbia sia nell’Unione europea e che il paese debba intensificare gli sforzi per conseguire questo obiettivo.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa risoluzione perché riconosco che la Serbia si trova nella posizione adatta per svolgere un ruolo importante per garantire la sicurezza e la stabilità nella regione dei Balcani. Il futuro della Serbia è inevitabilmente nell’Unione europea e ritengo che il paese debba proseguire nel cammino per raggiungere questo traguardo. I progressi già compiuti nel processo di riforma sono degni di lode.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Chiunque si soffermi a osservare una cartina dell’Unione europea comprende immediatamente che i Balcani occidentali sono destinati a farne parte. Ritengo che l’adesione di questi paesi diventerà realtà. Il cammino della Serbia verso questo traguardo è stato particolarmente difficile dopo lo scioglimento dell'ex Jugoslavia a seguito del crollo del potere sovietico. Il coinvolgimento come aggressore in guerre fratricide e il terribile impatto di queste ultime sui paesi vicini e sulla comunità internazionale nel suo insieme hanno determinato gravi conseguenze per il paese e per il popolo serbo. La secessione del Kosovo, questione estremamente controversa, ha riacceso le tensioni nella regione e continua a rappresentare un importante fattore di potenziale instabilità. Mi auguro che la Serbia perseveri nella sua scelta di unirsi all’Unione europea e mi congratulo con il popolo serbo e i suoi leader per i progressi registrati.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Il futuro della Serbia è nell’Unione europea. Accolgo con favore la richiesta di adesione della Serbia all’Unione europea, presentata il 22 dicembre 2009, e la decisione del Consiglio del 25 ottobre 2010 di invitare la Commissione a esaminarla.
Desidero congratularmi con il paese per i progressi compiuti nel processo di riforma e vorrei sottolineare che lo sviluppo della cooperazione regionale rimane una priorità essenziale per l’Unione europea ed è visto come un catalizzatore per la riconciliazione, il buon vicinato e i contatti tra i cittadini nel Balcani occidentali. Invito pertanto la Serbia a seguire un approccio costruttivo per una cooperazione regionale più inclusiva.
Vorrei puntualizzare che la piena cooperazione con il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY) costituisce una condizione fondamentale affinché la Serbia possa proseguire lungo il cammino verso l’adesione all’Unione europea. Va sottolineato che la Serbia continua a reagire adeguatamente alle richieste di aiuto dell’ICTY. Invito il governo serbo a continuare a operare in stretta collaborazione con il Tribunale, trasmettendo rapidamente tutti i documenti richiesti e ultimando tempestivamente le cause deferite dall’ICTY.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Abbiamo votato contro questa risoluzione principalmente per le richieste rivolte alla Serbia e per l’inaccettabile posizione dell’Unione europea in merito al Kosovo. Il Parlamento sollecita per esempio il governo serbo a smantellare le strutture parallele in Kosovo perché “minano il processo di decentramento e impediscono la piena integrazione della comunità serba nelle istituzioni kosovare”, oltre a chiedere che il paese continui a cooperare con il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Una pressione del genere sulla Serbia è inaccettabile ed è ulteriormente aggravate dalla mancanza di misure in relazione al Kosovo, nonostante le denunce pubbliche sul traffico di organi in cui sarebbero coinvolti gli attuali leader kosovari.
È inaccettabile che il Parlamento eserciti pressioni sulla Serbia al fine di “avviare un dialogo con il Kosovo astenendosi da ulteriori riferimenti a nuovi negoziati sullo status di quest’ultimo”.
Il “processo d’integrazione europea della Serbia” mette in luce un aspetto che noi segnaliamo da tempo. Oggi è chiaro che la guerra guidata dalla NATO e dalle maggiori potenze europee, la Germania in testa, era finalizzata a smantellare la Jugoslavia e a dividerne il territorio in paesi che potessero tutelare gli interessi dei grandi gruppi economici dell’Unione europea.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Non ho votato a favore di questa risoluzione sul processo di integrazione europea della Serbia, non perché sia contrario al processo in sé, ma per via delle ambiguità del testo sulla questione del Kosovo.
Si cita la risoluzione congiunta UE-Serbia adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ma non si precisa che questa non può essere considerata un riconoscimento ufficiale dell’indipendenza del Kosovo da parte della Serbia o degli Stati membri dell’Unione che non l’hanno ancora riconosciuta.
Non si fa alcuna menzione neppure dell’agghiacciante relazione del Consiglio d’Europa sul traffico di organi prelevati ai prigionieri serbi ad opera dall’esercito di liberazione del Kosovo (UCK), che coinvolge l’attuale Primo ministro kosovaro, mentre la resa degli ultimi due latitanti serbi al Tribunale penale internazionale è considerata una condizione essenziale per l’accesso della Serbia all’Unione europea.
Come è accaduto durante i vari conflitti che hanno segnato lo scioglimento dell’ex Jugoslavia, si attribuisce il male e si chiede pentimento esclusivamente a una delle parti coinvolte. Sul lungo periodo, la situazione si farà sempre più difficile, anche se il governo serbo, accecato dall’allettante prospettiva dell’adesione all’Unione europea, sembra disposto ad accettarla.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) I progressi della Serbia lungo il percorso verso l’adesione all’Unione europea, che si spera possano rafforzare la pace e la prosperità nella regione, vanno accolti favorevolmente. La risoluzione del Parlamento europeo invita al pieno rispetto per la cultura e le lingue minoritarie, questioni cui il gruppo dell’Alleanza libera europea dedica grandissima attenzione.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Egregio Presidente, cari colleghi, il 1° febbraio 2010 è entrato in vigore l'accordo di stabilizzazione e associazione tra l'Unione Europea e la Repubblica di Serbia. Pur essendo trascorsi 11 mesi, non tutti gli Stati membri dell'UE hanno ancora ratificato tale accordo. Con questa proposta di risoluzione, il Parlamento europeo ha voluto, da un lato, ribadire l'importanza del ruolo della Serbia all'interno dell'Unione e, dall'altro, approvare le migliorie a livello politico e sociale che il governo serbo ha portato avanti negli ultimi anni e ricordare quali passi debba ancora fare tale Paese al fine di poter soddisfare le richieste di democratizzazione, libertà, adozione di politiche sostenibili e pulite richieste dall'Unione europea. Ritenendo che l'entrata della Serbia nell'UE sia un notevole passo in avanti tanto per l'Unione quanto per la Repubblica di Serbia ho votato a favore della proposta di risoluzione credendo che, al più presto, questo Paese riuscirà a superare tutti quei limiti che per tanto tempo hanno reso ampio il divario tra le due realtà.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa risoluzione, che rileva i progressi compiuti dalla Serbia nel processo di riforma e il recente invito rivolto alla Commissione dal Consiglio a elaborare il parere sulla richiesta di adesione della Serbia all’Unione europea. Ciononostante, la risoluzione ricorda giustamente che “una piena cooperazione con il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY)”, comprendente la consegna degli ultimi due latitanti all’Aia, “costituisce una condizione fondamentale perché la Serbia effettui progressi nel cammino verso l’adesione all’Unione europea”.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Ho espresso voto contrario a questa risoluzione per solidarietà al popolo serbo. Aggiungere l’obbligo di conformarsi ai criteri economici di Copenaghen ai tagli selvaggi derivanti dai programmi di austerità imposti dal Fondo monetario internazionale (FMI) a partire dal gennaio 2009 è un crimine sociale che mi rifiuto di avallare, senza menzionare le molteplici violazioni del diritto sovrano del governo serbo di rifiutarsi di trattare con i rappresentanti della provincia separatista del Kosovo contenute nel testo.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Siamo tutti concordi nel sostenere che i paesi della regione dei Balcani occidentali siano destinati a diventare parte dell’Unione europea e che questo diventerà realtà nel prossimo futuro.
La Serbia fa parte di questa regione ed è un paese che ha percorso un difficile cammino dopo lo scioglimento dell’ex Jugoslavia a seguito del crollo dell’impero sovietico. Inoltre, le guerre fratricide cui la Serbia ha partecipato e il terribile impatto che esse hanno causato sui paesi vicini e sull’intera comunità internazionale hanno determinato conseguenze negative per il paese e la popolazione. La cosiddetta “guerra del Kosovo”, ancora irrisolta ed estremamente controversa in tutta la comunità internazionale, è stata uno dei fattori che hanno contribuito alla mancata pacificazione della regione.
È auspicabile che la Serbia prosegua nel suo cammino verso l’Europa. Desidero cogliere questa occasione per congratularmi con i leader e la popolazione serbi per l’impegno profuso e i progressi sinora compiuti.
Rolandas Paksas (EFD), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa proposta di risoluzione sul processo di integrazione europea della Serbia perché lo sviluppo della cooperazione regionale rimane una priorità essenziale per l’Unione europea ed è visto come un catalizzatore per l’attuazione delle politiche di riconciliazione e di buon vicinato nei Balcani occidentali. La Serbia intende svolgere un ruolo importante per la garanzia della sicurezza e della stabilità nella regione e per questo il suo futuro è strettamente legato all’Unione europea e il paese deve profondere il massimo impegno per diventare uno Stato membro dell’Unione. Per diventare un paese candidato e avviare i negoziati, la Serbia deve intraprendere un dialogo con il Kosovo, assumere un atteggiamento costruttivo nei confronti delle imminenti elezioni politiche e impegnarsi per evitare l’emarginazione della comunità serba del Kosovo. Appoggio la proposta secondo la quale lo status di paese candidato può essere concesso alla Serbia solo all’avvio di una piena cooperazione con il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY).
La Serbia deve inoltre proseguire nel processo di riforma avviato e portare avanti nuove riforme. Le autorità serbe devono compiere tutti gli sforzi necessari per garantire l’adeguata attuazione dei principi dello stato di diritto e della democrazia, vigilare affinché vi sia una diminuzione costante del livello di corruzione nel paese e punire severamente qualsiasi abuso di potere da parte di quanti detengono cariche pubbliche.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Questa proposta di risoluzione sul processo di integrazione europea della Serbia merita il mio appoggio per le seguenti ragioni.
In occasione del Consiglio europeo di Salonicco del giugno 2003, è stato assunto l’impegno, nei confronti di tutti gli Stati dei Balcani occidentali, della loro adesione all'Unione europea una volta soddisfatti i criteri prestabiliti. Il ritmo dell’integrazione dei paesi dei Balcani occidentali è individuale e dipende dal merito di ciascuno di essi, in particolare per quanto riguarda la determinazione a soddisfare tutti i requisiti, adempiere tutti gli obblighi, realizzare le riforme e adottare le necessarie misure che l’adesione all’Unione europea comporta.
La Serbia riveste un ruolo importante quale garante della sicurezza e della stabilità nella regione. Per questo motivo, la risoluzione ribadisce che il futuro del paese è nell’Unione europea e lo incoraggia a proseguire nel suo impegno per raggiungere questo traguardo. La risoluzione elogia il paese per i progressi compiuti nel processo di riforma e accoglie con favore la decisione di avviare la procedura di ratifica dell’accordo di stabilizzazione e di associazione con la Serbia adottata dal Consiglio il 14 giugno 2010 nonché l’avvenuta ratifica dell’accordo da parte di 10 Stati membri.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa risoluzione, nella quale si ribadisce che il futuro della Serbia è nell’Unione europea, sottolineando i progressi compiuti sul piano delle riforme attuate e sollecitando il paese a impegnarsi per soddisfare i requisiti e i criteri che l’adesione all’Unione europea comporta.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Il nostro gruppo ha espresso voto favorevole perché 16 dei 17 emendamenti presentati sono stati approvati o inclusi negli emendamenti di compromesso preparati dal relatore, come la richiesta che la candidatura all’adesione sia subordinata a una più stretta cooperazione con il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY). Gli altri emendamenti vertono sul Kosovo, la parità di genere, i diritti delle minoranze, la società civile, il trasporto pubblico, l’ambiente e le relazioni con la Bosnia.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. – Questa relazione riduce le barriere al commercio fra Unione europea e Serbia e rappresenta un passo avanti verso una prospettiva di adesione del Paese balcanico.
Questo accordo di stabilizzazione e associazione è stato firmato già nel 2008, ma da allora è stato ratificato solo da 12 Stati membri, fra i quali figura anche l'Italia. L'importante obiettivo raggiunto oggi deve comunque essere un nuovo punto di partenza per la Serbia, che ha presentato la sua candidatura nel dicembre del 2009. Dovrà infatti continuare la piena cooperazione con il Tribunale penale internazionale per l'ex Yugoslavia, da sempre precondizione essenziale all'adesione.
Csanád Szegedi (NI), per iscritto. – (HU) La Serbia mostra gravi carenze nell’ambito del rispetto dei diritti dell’uomo. I residenti di nazionalità ungherese sono considerati cittadini di seconda categoria e di frequente si verificano episodi di violenza da parte della polizia. Non si è ancora indagato sul caso dei ragazzi di Temerin. Fino a quando non si compieranno progressi considerevoli negli ambiti menzionati, non potrò appoggiare il processo di integrazione europea della Serbia. Ritengo essenziale che si conceda la piena autonomia territoriale alla popolazione autoctona ungherese della Vojvodina.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Visti la decisione provvisoria del Consiglio e della Commissione (15191/2007) e l’accordo di stabilizzazione e di associazione tra l’Unione europea e la Serbia, sono favorevole alla conclusione dell’accordo.
George Becali (NI), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore di questa relazione e, come è già accaduto, nell’esporre le mie motivazioni non esito a citare quelle personali. I Balcani occidentali e la Serbia non rappresentano semplicemente una regione di interesse strategico per l’Unione europea e non sono solo i cittadini della regione ad avere bisogno di noi: anche noi abbiamo bisogno di loro. L’Unione europea è il principale partner commerciale della Serbia, un dato di per sé molto significativo. La Serbia presenta una situazione unica in Europa, essendo il paese con il maggior numero di rifugiati e sfollati. Credo fermamente che un’accelerazione del processo di integrazione della Serbia porterà benefici all’intera regione dei Balcani occidentali.
Corina Creţu (S&D), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della risoluzione sull’integrazione della Serbia. Il ruolo importante che questo paese può svolgere per garantire la sicurezza e la stabilità nella regione è una motivazione significativa del mio voto. Al contempo, strategie costruttive in materia di cooperazione regionale e di buone relazioni di vicinato sono essenziali nel processo di stabilizzazione e associazione. Tutti questi aspetti sono basilari nel processo di trasformazione dei Balcani occidentali in una regione di stabilità a lungo termine e di sviluppo sostenibile.
Il processo di integrazione della Serbia nell’Unione europea è favorito dai progressi compiuti nel processo di riforma. Gli sforzi sinora profusi dalla Serbia nell’ambito della protezione delle minoranze sono lodevoli, sebbene siano necessari ulteriori miglioramenti nell’ambito dell’accesso all’informazione e all’istruzione nelle lingue minoritarie, specie nel caso della minoranza romena, che nel corso dell’ultimo secolo ha subito gravi discriminazioni.
Grandi progressi sono stati realizzati anche nell’ambito della promozione della parità di genere, in particolare con l’adozione della legge sulla parità di genere e con il piano d’azione nazionale volto a migliorare la posizione delle donne e a promuovere la parità di genere.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Il ruolo cruciale della Serbia nei Balcani occidentali è indubbio: difficilmente la regione potrà conseguire la stabilità se la Serbia non sarà stabile. Le riforme attuate nel paese sono lodevoli perché sono finalizzate a rafforzare la democrazia, la trasparenza e i meccanismi dello stato di diritto. Inoltre, si sono profusi sforzi per ristabilire le relazioni con i paesi vicini, antichi nemici, un passo che ammiro perché difficoltoso sul piano umano. Gli accordi siglati dalla Serbia con l’Unione europea e la recente reciproca apertura delle frontiere indicano che non si è trascurata la politica volta a creare solidarietà de facto. MI auguro che l’Unione europea consideri la richiesta di adesione della Serbia con il dovuto rigore, tenendo presente l’importante messaggio che l’ingresso del paese nell’Unione – parallelamente a quello della Croazia, in una fase più avanzata – invierà al popolo serbo, all’intera regione e alla stessa Unione europea.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Il futuro della Serbia è nell’Unione europea. Accolgo con favore la richiesta di adesione all’Unione europea presentata dalla Serbia il 22 dicembre 2009 e la decisione del Consiglio del 25 ottobre 2010 di chiedere alla Commissione di esaminare la domanda serba.
Desidero congratularmi con il paese per i progressi compiuti nel processo di riforma e sottolineare che lo sviluppo della cooperazione regionale rimane una priorità per l’Unione europea ed è visto come un catalizzatore per la riconciliazione, il buon vicinato e i contatti tra i cittadini nei Balcani occidentali.
Invito la Serbia a seguire un approccio costruttivo per una cooperazione regionale più inclusiva. Concordo con il progetto di decisione del Consiglio e della Commissione relativa alla conclusione dell’accordo di stabilizzazione e di associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Serbia, dall’altra.
Carlo Fidanza (PPE), per iscritto. – Accolgo con favore l'accordo di stabilizzazione tra UE e Serbia: l'accordo di stabilizzazione e associazione (ASS) riduce le barriere al commercio fra UE e Serbia e rappresenta un passo avanti verso un possibile ingresso del paese balcanico nell'Unione. È stato firmato nel 2008, ma da allora solo 12 Stati membri, fra i quali l'Italia, l'hanno ratificato: col voto di oggi si esprime il consenso del Parlamento all'accordo, dando così un segnale ai restanti 15 Stati membri, affinché anche essi procedano con la ratifica. Nonostante la Serbia sia stata messa a dura prova dalle vicende che ne hanno caratterizzato il recente passato, è riuscita lentamente a riprendersi, consolidando la sua struttura democratica. Il paese, per la sua posizione geografica e per il suo ruolo strategico, è senza dubbio al centro del processo di integrazione dei Balcani nell'UE; inoltre la Serbia è un partner commerciale importante, fondamentale in settori quali ferro e acciaio. Il voto di oggi fa seguito ad un altro importante passo, avvenuto nel dicembre 2009: l'abolizione dei visti in tutta l'area Schengen che ha permesso ai cittadini serbi di sentirsi più europei.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Oggi è stato approvato un nuovo accordo di stabilizzazione e di associazione tra l’Unione europea e la Serbia che prevede l’istituzione di una zona di libero scambio e prospetta l’adesione del paese all’Unione europea. Viste le nostre opinioni sull’allargamento, ci siamo astenuti dal voto su questa relazione.
Non concordiamo in merito a numerosi aspetti del testo, in particolare con le condizioni imposte dall’Unione europea e con la richiesta di piena cooperazione con il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY), che continua a essere un prerequisito per il futuro ingresso della Serbia nell’Unione europea. Dobbiamo ricordare che l’entrata in vigore dell’accordo è subordinata alla ratifica da parte dei 27 Stati membri.
L’accordo di stabilizzazione e di associazione, siglato nel 2008, prevede l’istituzione di una zona di libero scambio tra l’Unione europea e la Serbia e prospetta l’adesione del paese all’Unione europea. La Serbia ha presentato richiesta di adesione all’Unione europea nel dicembre 2009; nell’ottobre dello scorso anno, il Consiglio ha invitato la Commissione a elaborare un parere sulla domanda di adesione del paese, che dovrà essere presentato il prossimo autunno.
Lorenzo Fontana (EFD), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, nell'ambito del processo di allargamento, la situazione dei Balcani Occidentali necessita di un'attenzione particolare. Un paese come la Serbia presenta certamente delle problematiche, tuttavia la situazione di Belgrado pare decisamente migliore rispetto ad altri paesi della stessa area. Motivo per cui, auspicando che vi sia una decisa accelerazione nel processo di collaborazione con la Corte per i crimini nella ex Jugoslavia, ritengo di appoggiare il testo, con l'auspicio che venga interpretato come uno stimolo dal popolo e dalle autorità serbe.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Ho espresso voto favorevole sull’accordo di stabilizzazione e di associazione con la Serbia, sebbene sinora solo 11 Stati membri abbiano ratificato l’accordo; invito quindi i restanti 16 Stati a farlo il prima possibile.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) L’accordo di stabilizzazione e di associazione UE-Serbia, come tutti gli accordi simili, condanna i cittadini a una povertà estrema sull’altare di una rapida transizione all’economia di mercato e dell’istituzione di una zona di libero scambio nel corso dei prossimi cinque anni. L’Unione europea non è degna né dei propri cittadini né dei cittadini dei paesi che aspirano a farne parte. Esprimo voto contrario a questa relazione per solidarietà con il popolo della Repubblica di Serbia.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Siamo tutti concordi nel sostenere che i paesi della regione dei Balcani occidentali siano destinati a diventare parte dell’Unione europea e che questo diventerà realtà nel prossimo futuro.
La Serbia fa parte di questa regione ed è un paese che ha percorso un difficile cammino dopo lo scioglimento dell’ex Jugoslavia a seguito del crollo dell’impero sovietico. Le guerre fratricide cui la Serbia ha partecipato e il loro terribile impatto sui paesi vicini e sull’intera comunità internazionale hanno determinato conseguenze negative per il paese e la popolazione. La cosiddetta “guerra del Kosovo”, ancora irrisolta ed estremamente controversa per tutta la comunità internazionale, è stata uno dei fattori che hanno contribuito alla mancata pacificazione della regione.
È dunque auspicabile che la Serbia prosegua nel suo cammino verso l’Europa. Desidero cogliere questa occasione per congratularmi con i leader serbi e la popolazione per l’impegno profuso e i progressi sinora compiuti. Desidero sottolineare l’importante ruolo svolto dalla Serbia per la stabilità di tutta la regione dei Balcani occidentali e, in particolare, per la stabilità e la coesione della Bosnia-Erzegovina.
Justas Vincas Paleckis (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa risoluzione perché giudico positivamente i progressi compiuti dalla Serbia nell’attuazione delle riforme in materia di pubblica amministrazione, quadro giuridico e lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata. Concordo con l’invito rivolto a tutti gli Stati membri dell’Unione dal relatore ad avviare il processo di ratifica dell’accordo di stabilizzazione e di associazione con la Serbia. La condizione fondamentale ribadita nella relazione è la piena cooperazione con il Tribunale dell’Aia affinché la Serbia possa proseguire nel cammino verso l’adesione all’Unione europea. Desidero invitare il paese a impegnarsi con maggiore decisione rispetto alle politiche di occupazione e di coesione sociale.
Invito la Serbia a creare un ambiente favorevole allo sviluppo della democrazia, dello stato di diritto, dell’economia di mercato e del rispetto dei diritti dell’uomo. Nonostante i progressi compiuti in campo ambientale, la Serbia deve intensificare gli sforzi nei settori delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica, considerando che i principali elementi dell’acquis in materia di energie rinnovabili non sono stati ancora recepiti. È necessario che il paese adotti un quadro normativo in materia di efficienza energetica.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Ho votato a favore della risoluzione sul processo di integrazione europea della Serbia e sull'accordo di stabilizzazione e associazione con l'UE perché ritengo che approcci costruttivi nei confronti della cooperazione regionale e delle relazioni di buon vicinato siano elementi essenziali del processo di stabilizzazione e associazione, che svolgono un ruolo decisivo nel processo di trasformazione dei Balcani occidentali in una zona di stabilità a lungo termine e di sviluppo sostenibile. Inoltre, la Serbia svolge un ruolo importante per la sicurezza, la stabilità e la riconciliazione dei popoli della regione. l'UE condanna tutti i crimini di guerra che distrussero l'ex Jugoslavia, e sostiene il lavoro dell'ICTY (il Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia) ribadendo che il futuro della Serbia è nell'Unione europea e incoraggia il paese a proseguire nel suo impegno per il raggiungimento di questo traguardo.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Non sussistono ostacoli all’approvazione da parte del Parlamento europeo del progetto di decisione del Consiglio e della Commissione relativa alla conclusione dell’accordo di stabilizzazione e di associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Serbia, dall’altra.
Nel quadro delle attuali competenze del Parlamento europeo in materia di accordi internazionali, il Consiglio ha presentato una richiesta di approvazione dell’accordo e la commissione per gli affari esteri ha formulato una raccomandazione secondo la quale l’accordo dovrebbe essere approvato.
Ho espresso voto favorevole perché ritengo che l’accordo rappresenti un contributo molto importante ad una politica di vicinato solida ed efficace, nella quale la Serbia svolge un ruolo per l’equilibrio geopolitico nei Balcani.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. – In forza del progetto di decisione del Consiglio e della Commissione, dell'accordo di stabilizzazione e di associazione tra la Comunità europea e la Serbia, della richiesta di approvazione presentata dal Consiglio a norma degli articoli 217 e 218 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, degli articoli 81 e 90 del regolamento del PE nonché della raccomandazione della commissione per gli affari esteri, ritengo estremamente logico e necessario attenermi alla linea del Parlamento.
Pertanto approvo il progetto di decisione di Consiglio e Commissione in oggetto al fine di favorire in primis una cooperazione sempre più stretta con la Serbia e più in generale un'attività di stabilizzazione e cooperazione in seno alla Comunità europea.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) Le riforme intraprese dalla Serbia consentiranno al paese di compiere significativi progressi lungo il cammino verso la futura adesione all’Unione europea. Ritengo dunque si debba sostenere la conclusione di questo accordo di stabilizzazione e di associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Serbia, dall’altra..
Teresa Riera Madurell (S&D), per iscritto. – (ES) Il consenso del Parlamento all’accordo di stabilizzazione e di associazione UE-Serbia, seguito alla decisione del Consiglio di avviare il processo di ratifica, è un passo importante lungo il cammino di integrazione dei Balcani occidentali nell’Unione europea. Ho espresso voto favorevole perché ritengo che l’Unione europea svolga un ruolo cruciale e abbia l’obbligo di favorire la piena stabilizzazione dei Balcani occidentali. La credibilità internazionale dell’Unione europea è strettamente relazionata alla capacità di azione rispetto ai paesi limitrofi. Nel caso dei Balcani occidentali e della Serbia, sembra che l’unica via possibile sia l’adesione all’Unione europea, che è tuttavia vincolata a una serie di condizioni. La Serbia sta comunque dimostrando una notevole predisposizione a proseguire verso l’ingresso nell’Unione europea.
Nonostante il consenso odierno del Parlamento, è stata adottata una risoluzione che, sebbene tra le più positive adottate da questa Assemblea rispetto alla Serbia, sottolinea che la cooperazione di Belgrado con il Tribunale penale internazionale e un fermo impegno in favore della democrazia e dello stato di diritto continuano a rappresentare requisiti irrinunciabili nel cammino del paese verso l’Unione europea.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Abbiamo manifestato il nostro sostegno a questo testo perché quasi tutti gli emendamenti da noi proposti sono stati approvati. Gli emendamenti vertevano sul Kosovo, la parità di genere, i diritti delle minoranze, la società civile, il trasporto pubblico, l’ambiente e le relazioni con la Bosnia. L’unico emendamento respinto con voto di parità (27 a 27) verrà riproposto: si tratta di un emendamento importante perché invita la Serbia ad avviare un dialogo con il Kosovo astenendosi da ulteriori riferimenti a nuovi negoziati sullo status di quest’ultimo.
Angelika Werthmann (NI), per iscritto. – (DE) Ho votato a favore della conclusione di un accordo di stabilizzazione e di associazione tra l’Unione europea e la Repubblica di Serbia. La Serbia riveste un ruolo significativo per la stabilità dell’intera regione dei Balcani ed è dunque importante dialogare con il paese a livello istituzionale. Negli ultimi anni, la Serbia ha compiuto notevoli progressi nel suo cammino verso l’Europa. A seguito della delibera della Corte internazionale di giustizia in merito alla conformità della dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo al diritto internazionale, l’Europa deve svolgere un ruolo attivo per il consolidamento della pace. È nostro dovere sostenere in tutti i modi la Serbia nell’impegno a cooperare con il Tribunale penale internazionale.
Artur Zasada (PPE), per iscritto. – (PL) Sono molto lieto dei risultati del voto odierno sul progetto di decisione del Consiglio e della Commissione relativa alla conclusione dell’accordo di stabilizzazione e di associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri e la Repubblica di Serbia. Dal 2007, la Serbia ha compiuto notevoli progressi sul piano della cooperazione con l’Unione europea e questo ha reso possibile la ripresa dei negoziati con l’Unione. Questi ultimi si sono conclusi il 10 settembre 2007 e, dopo le consultazioni con gli Stati membri dell’Unione, il 7 novembre 2007 a Bruxelles è stato siglato l’accordo di stabilizzazione e di associazione. Dobbiamo però ricordare che un prerequisito per la piena cooperazione è il rispetto da parte della Serbia delle condizioni politiche stabilite dal Consiglio al momento dell’approvazione delle direttive di negoziato, ovvero la piena cooperazione con il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa relazione volta a sviluppare ulteriormente una serie di misure, tra cui: promuovere la diagnosi precoce e la qualità della vita, migliorare la conoscenza epidemiologica della patologia e coordinare le ricerche in corso, favorire la condivisione delle migliori prassi tra Stati membri e rispettare le persone affette da malattie neurodegenerative. Oggigiorno, circa 14 milioni di europei all’anno sviluppano alcune forme di demenza e nella metà dei casi si tratta del morbo di Alzheimer.
È necessario riunire le diverse politiche attualmente in atto per affrontare la situazione in modo coordinato, obiettivo e più efficace, offrendo sostegno al personale medico e alle famiglie in ambiti quali il rafforzamento dei diversi sistemi sanitari, la formazione e la consulenza. Credo sia importante fare in modo che la strategia europea in materia di demenza si concentri maggiormente sugli aspetti sociali della vita di quanti convivono con questa malattia, rivolgendo maggiore attenzione alla ricerca, alla prevenzione e alla diagnosi precoce.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa risoluzione per un'iniziativa europea sulla malattia di Alzheimer e le altre forme di demenza, che basa la sua strategia su un miglior coordinamento tra gli Stati membri e una risposta più efficace e solidale in vista della prevenzione e del trattamento delle varie forme di demenza, in particolare dell'Alzheimer, a tutto vantaggio dei pazienti e di quanti li circondano, siano essi professionisti del settore sanitario, fornitori di servizi o familiari. La comunicazione della Commissione europea al Parlamento europeo e al Consiglio per un’iniziativa europea sulla malattia di Alzheimer e le altre forme di demenza è un passo fondamentale verso proposte specifiche in grado di collegare le diverse politiche esistenti e le modalità per affrontare questo tipo di patologia. L'azione frammentata, le disparità nelle capacità di risposta rilevate in Europa e il prevalere di condizioni inique in termini di accesso e trattamento della malattia giustificano pienamente questa iniziativa.
È quindi fondamentale concentrarsi sulla diagnosi precoce e sulla prevenzione e avviare iniziative per sensibilizzare l'opinione pubblica sulle implicazioni della convivenza con forme di demenza. Una strategia europea deve anche salvaguardare i servizi in grado di garantire la massima copertura possibile e la parità in termini di accesso e di trattamento dei pazienti, indipendentemente dall'età, dal sesso, dalle possibilità economiche o dal luogo di residenza.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questo importante documento. Ogni 24 ore viene diagnosticato un nuovo caso di malattia neurodegenerativa (disfunzioni del sistema nervoso), che rappresentano oggigiorno una delle principali cause di inabilità nelle fasce più anziane della popolazione; in oltre la metà dei casi si tratta del morbo di Alzheimer. Si prevede un aumento rilevante del numero dei malati e questa stima desta preoccupazione, considerando l'aumento dell'aspettativa media di vita e la contrazione del rapporto tra popolazione attiva e in pensione. Sono favorevole alla proposta della Commissione europea di elaborare una strategia europea, una risposta solidale in vista della prevenzione e del trattamento delle varie forme di demenza (graduale deterioramento delle facoltà mentali), a favore dei pazienti e di quanti li circondano. Una strategia europea deve inoltre salvaguardare l’esistenza di servizi quanto più possibile generalizzati e pari condizioni in termini di accesso e trattamento dei pazienti, indipendentemente dall'età, dal sesso, dalle possibilità economiche o dal luogo di residenza.
Regina Bastos (PPE), per iscritto. – (PT) La demenza è una malattia caratterizzata dalla lenta e graduale perdita di memoria, di concentrazione e della capacità di apprendimento, che solitamente si verifica in persone ultrasessantacinquenni. Con il termine demenza si indica un gruppo di malattie neurodegenerative che non dovrebbero essere percepite come un normale problema affrontato nell'ambito del processo di invecchiamento. Secondo le stime, gli europei di età compresa tra i 30 e i 99 anni colpiti da malattie neurodegenerative sarebbero più di sette milioni, pari a 12,5 casi ogni mille persone, e le donne sono colpite più degli uomini. Secondo gli studiosi questa cifra potrebbe raddoppiare nei prossimi vent'anni. In Europa la forma più comune di demenza è il morbo di Alzheimer, che rappresenta circa il 50-70 per cento dei casi. Ho votato a favore di questa relazione volta a migliorare la qualità della vita e il benessere dei pazienti, a promuovere la ricerca e la prevenzione e a migliorare la comunicazione tra gli Stati membri per fornire una risposta più efficace ed esauriente, rivolgendo l’attenzione alla prevenzione, al trattamento delle persone affette da una forma di demenza, in particolare dal morbo di Alzheimer, e a quanti assistono i malati. Anche la proposta di istituire un Anno europeo della salute mentale è apprezzabile.
George Becali (NI), per iscritto. – (RO) Sostengo la relatrice e ho votato a favore della sua proposta. Il morbo di Alzheimer è sempre più diffuso e colpisce un numero crescente di persone, soprattutto considerando la continua riduzione del rapporto tra la popolazione attiva e in pensione. I cambiamenti del comportamento e della personalità dei malati li rendono dipendenti da quanti li circondano. Nella sua proposta, la relatrice ci invita a migliorare il coordinamento tra gli Stati membri, nonché la solidarietà e il sostegno rivolti sia ai malati sia alle persone coinvolte in diversi modi.
Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. – Il morbo di Alzheimer colpisce in Europa e nel mondo sempre più persone, con una tendenza che si registra negli ultimi decenni ad un arretramento dell’età media dei malati. Una malattia quindi che, se già in precedenza costituiva un problema sanitario e sociale, oggi è diventata un’urgenza nell’agenda delle politiche sanitarie nazionali. Positivo quindi l’impegno che l’UE intende assumere nei prossimi anni in vista del coordinamento delle politiche a livello comunitario, per quanto riguarda la ricerca e lo scambio di buone pratiche per quanto riguarda la malattia di Alzheimer, la diagnosi precoce e l’aiuto alle famiglie dei malati, che ad oggi in molti Stati membri sono gravate psicologicamente ed economicamente dalla cura di persone che necessitano di attenzioni e terapie continue. Voto favorevolmente alla relazione della collega Matias, nell’auspicio che si faccia molto, e di più di quanto fatto finora, per una malattia sempre più diffusa ma non altrettanto conosciuta nelle sue pesanti implicazioni sociali.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Condivido l'iniziativa europea sulla malattia di Alzheimer e le altre forme di demenza, perché il numero delle persone che sviluppano forme di demenza aumenta ogni anno. Considerando l'invecchiamento della popolazione europea e le relative conseguenze sociali ed economiche, che stanno avendo pesanti effetti sui sistemi sanitari degli Stati membri, è necessario adottare urgentemente azioni e iniziative specifiche per contrastare questa grave malattia. Recenti studi europei indicano che il morbo di Alzheimer continua ad essere diagnosticato in modo insufficiente e che sussistono numerose divergenze tra gli Stati membri quanto a prevenzione, accesso alle cure ed erogazione di servizi adeguati. È necessario concentrare l'attenzione sulla diagnosi precoce e sulla prevenzione del morbo di Alzheimer. La dieta può costituire un importante fattore scatenante dello sviluppo del morbo di Alzheimer; la prevenzione della demenza mediante interventi modificabili deve quindi rappresentare una priorità e occorre prestare particolare attenzione a fattori di prevenzione quali una dieta sana, la promozione dell'attività fisica e cognitiva e il controllo dei fattori di rischio cardiovascolare quali diabete, elevati livelli di colesterolo, ipertensione e fumo. È fondamentale promuovere la dignità dei pazienti durante tutte le fasi della malattia e ridurre le disparità; in altre parole salvaguardare l'esistenza di servizi generalizzati e parità in termini di accesso e di trattamento dei pazienti, indipendentemente dall’età, dal sesso, dalle possibilità economiche o dal luogo di residenza.
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) Il morbo di Alzheimer colpisce ovunque, indistintamente. Considerando che i progressi della scienza non hanno permesso di diagnosticarlo prima del suo inizio o di trovarvi una cura adeguata, per il Parlamento europeo diventa urgente trovare soluzioni per migliorare la vita delle persone colpite. Oltre di 8 milioni di europei sono affetti da malattie neurodegenerative e le previsioni non sono affatto rosee, considerando che il numero dei pazienti raddoppierà in trent'anni. È necessario migliorare il coordinamento tra gli Stati membri, adottare una risposta più efficace e solidale orientata alla prevenzione, al trattamento delle persone affette dalle varie forme di demenza, in particolare l'Alzheimer, e al sostegno di quanti circondano i malati. Un'eventuale strategia europea in quest’ambito potrà funzionare soltanto a condizione che i singoli paesi diano la priorità alla definizione di piani d'azione nazionali. Dobbiamo poi focalizzare l'attenzione sulla diagnosi precoce, sulla prevenzione e sulla raccolta e l'elaborazione dei dati epidemiologici sulla malattia.
Una volta adottate queste misure fondamentali, è necessario avviare un'azione integrata che includa i diversi aspetti, dalla ricerca alla prestazione dei servizi sanitari. Occorre colmare le lacune ancora esistenti a livello, ad esempio di formazione di professionisti del settore e di sostegno alle famiglie, e avviare azioni per sensibilizzare l'opinione pubblica sulle questioni inerenti la convivenza con la demenza.
Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Ho votato a favore della relazione su un'iniziativa europea sulla malattia di Alzheimer, affinché la Commissione europea e i governi degli Stati membri si impegnino ad introdurre piani d'azione nazionali ed europei volti a: promuovere a livello europeo la ricerca delle cause della malattia e la prevenzione il trattamento del morbo di Alzheimer; aumentare gli stanziamenti destinati a tali attività; migliorare la prevenzione e la diagnosi precoce; organizzare campagne di informazione pubblica per migliorare la capacità di riconoscere i sintomi della malattia; riconoscere l’onere gravoso che si assumono quanti si occupano di persone affette da forme di demenza e fornire supporto psicologico sia ai malati sia alle loro famiglie. L'azione più importante è comunque la tutela e la promozione di una strategia pubblica inerente la malattia in generale. Le attività di ricerca finanziate con fondi pubblici, la prevenzione, il trattamento e il sostegno ai malati, alle loro famiglie e ai parenti sono importanti e non solo in linea di principio.
L’approccio pubblico è necessario per evitare speculazioni da parte di società farmaceutiche e altri interessi privati. Gli Stati membri devono fornire i servizi e le infrastrutture necessarie tramite finanziamenti governativi e creare le condizioni per affrontare le problematiche inerenti la salute e le conseguenze sociali riguardanti i malati e l'ambiente in cui vivono.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) Secondo le stime, 7,3 milioni di europei soffrono di diverse forme di demenza e nella maggior parte dei casi si tratta del morbo di Alzheimer. È un problema sanitario di vasta portata; non dobbiamo infatti dimenticare che le varie forme di demenza non colpiscono solo quanti ne soffrono, ma anche chi presta assistenza ai malati. Un’eventuale strategia europea consentirebbe un approccio più integrato e una risposta più efficace in termini di trattamento e consapevolezza sulle malattie mentali, sensibilizzando i cittadini europei alle patologie cerebrali associate all'invecchiamento.
Innanzi tutto, credo sia importante migliorare il coordinamento tra Stati membri, sviluppando strategie e piani nazionali di lotta al morbo di Alzheimer. In secondo luogo, ritengo rilevante garantire ai malati e alle loro famiglie maggiore supporto e servizi adeguati. Infine, è fondamentale stimolare la ricerca su questo tipo di malattia, il trattamento e la prevenzione della stessa. Vorrei congratularmi con l'onorevole Matias per la sua relazione e sono favorevole alle raccomandazioni rivolte alla Commissione europea, al Consiglio e agli Stati membri.
Mário David (PPE), per iscritto. – (PT) Secondo le stime, in Europa 9,9 milioni di persone sono affette da varie forme di demenza e nella maggior parte dei casi, oltre 7 milioni, si tratta del morbo di Alzheimer. Alcuni studi scientifici suggeriscono che questa cifra potrebbe raddoppiare ogni vent'anni. La situazione richiede quindi un nuovo atteggiamento da parte dell'Unione europea e degli Stati membri in termini di prevenzione e trattamento della malattia.
Sono favorevole alla relazione oggetto del voto odierno, che propone di migliorare il coordinamento tra i servizi sanitari e sociali degli Stati membri e quanti si occupano delle persone affette dal morbo di Alzheimer, dai professionisti del settore sanitario, ai parenti, agli enti privati no-profit. Nella relazione si attribuisce grande importanza alla diagnosi precoce e all'esistenza di centri di riferimento interconnessi, a un approccio multidisciplinare per affrontare la malattia, alla formazione specialistica dei professionisti su questo tipo di malattie e alla rete di sostegno alle famiglie. Un altro elemento importante è il sostegno proposto per avviare campagne informative sulle malattie neurodegenerative rivolte al grande pubblico. Condivido l'idea espressa nella relazione che una strategia europea su tali malattie debba salvaguardare quei servizi che consentono un accesso universale e geograficamente diffuso al sistema.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) Quasi dieci milioni di europei sono affetti da malattie mentali, in particolare dal morbo di Alzheimer. La risposta dell’Unione europea è ancora debole e sul territorio europeo si registrano forti squilibri riguardo alla situazione dei pazienti, delle loro famiglie e degli operatori addetti all'assistenza. Per questo motivo il Parlamento europeo invita caldamente gli Stati membri a elaborare strategie e programmi nazionali specifici per contrastare questa malattia ed i suoi effetti. Tali strategie devono affrontare le conseguenze sanitarie e sociali della malattia e tenere conto dei servizi e del sostegno necessari ai malati e alle loro famiglie. È necessario che gli sforzi per promuovere la diagnosi precoce e i servizi sanitari incentrati sulla prevenzione e la ricerca diventino una priorità sanitaria anche a livello europeo. Bisogna promuovere un programma pubblico-privato per le attività di ricerca, sviluppo e investimento, anche a livello europeo. La rapidità con cui sapremo arrestare lo sviluppo del morbo di Alzheimer, forse fino alla sua scomparsa, modificherà in modo significativo il numero delle persone dipendenti e aiuterà gli anziani a vivere al meglio e il più a lungo possibile.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione per un'iniziativa europea relativa la malattia di Alzheimer e le altre forme di demenza, poiché propone misure volte a garantire la dignità delle persone che soffrono di demenza, riduce le disparità, previene l'esclusione sociale e promuove la diagnosi precoce e la ricerca per la prevenzione di tali malattie.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Secondo le stime, in Europa circa 9,9 milioni di persone sono affette da varie forme di demenza: questo significa che l'Europa è al secondo posto in termini di diffusione di questo tipo di malattie. Solo in Portogallo, i malati affetti da demenza sono circa 153 000, di cui oltre 90 000 hanno contratto il morbo di Alzheimer, e si prevede che queste cifre raddoppino entro il 2020. A fronte dell'invecchiamento della popolazione, la risposta della società e dei governi a questo tipo di malattia, fortemente correlata all'età, rappresenta una delle principali sfide dell'inizio di questo millennio. Per questo posso solo fornire il mio massimo sostegno a un'iniziativa che propone di fare della demenza una priorità sanitaria dell'Unione europea e invita gli Stati membri a sviluppare strategie e piani nazionali specifici per affrontare il morbo di Alzheimer. Il CDS/PP ha difeso questo approccio in Portogallo e si pone in prima linea e in sintonia con le politiche e le priorità sanitarie dell'Unione europea chiedendo al governo un piano nazionale sulle malattie neurodegenerative volto a offrire sostegno e cure dignitose, umane e qualificate alle persone affetta dal morbo di Alzheimer e da altre forme di demenza.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Ogni anno 1,4 milioni di cittadini residenti nell'Unione europea sviluppano un tipo di demenza; questo corrisponde a diagnosticare un nuovo caso ogni 24 secondi. In Portogallo le stime parlano di 153 000 persone affette da malattie neurodegenerative, di cui 90 000 colpite dal morbo di Alzheimer. Tenendo conto dell'invecchiamento della popolazione europea, gli specialisti prevedono un raddoppiamento delle cifre entro il 2040.
Considerando che la popolazione europea sta invecchiando e il rapporto tra popolazione attiva e in pensione si sta riducendo, in futuro la demenza potrebbe rappresentare una delle principali sfide per la sostenibilità dei sistemi sanitari e sociali nazionali. È quindi fondamentale che i governi sviluppino strategie e piani nazionali specifici per il morbo di Alzheimer per affrontare le conseguenze sanitarie e sociali della demenza, senza limitarsi a garantire l'erogazione dei servizi, ma offrendo piuttosto sostegno ai malati e alle loro famiglie.
Accolgo con favore la proposta di istituire un Anno europeo della salute mentale per sensibilizzare il pubblico sulle malattie cerebrali associate all'invecchiamento e sulle modalità per rilevare ed identificare i sintomi precoci di tali patologie, con campagne di informazione pubbliche sulla prevenzione e il trattamento delle stesse.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Il morbo di Alzheimer e le altre forme di demenza destano giustamente attenzione e preoccupazione. Secondo il rapporto mondiale del 2010 pubblicato dall'Alzheimer's Disease International, in Europa si stimano 9,9 milioni di persone affette da demenza e se ne prevede un drastico aumento entro il 2020. La carenza di operatori sanitari professionisti per curare i malati di Alzheimer è fonte di grande preoccupazione poiché, in assenza di misure adeguate, in futuro la situazione tenderà a peggiorare. Bisogna prevedere la formazione di un numero sufficiente di professionisti dei servizi sociali e sanitari e garantire l’erogazione di servizi sanitari adeguati attraverso la sanità pubblica, rispettando il desiderio dei pazienti di rimanere nel proprio ambiente familiare, qualora possibile, e promuovendo i principi fondamentali della dignità e dell'inclusione sociale, nonché l'indipendenza e l'autodeterminazione dei pazienti. Simili patologie implicano costi sanitari molti elevati, impossibili da sostenere per la maggior parte dei pazienti; è per questo auspicabile aumentare gli stanziamenti per i farmaci necessari. È fondamentale promuovere e sviluppare la ricerca, orientata soprattutto alla prevenzione, alla diagnosi e al trattamento, facendo valere il principio fondamentale secondo cui il settore pubblico deve assumersi tali responsabilità senza restrizioni in termini di benefici o accesso alle cure per alcun paziente.
Pat the Cope Gallagher (ALDE), per iscritto. – (GA) Sostengo pienamente questo progetto sul morbo di Alzheimer e le altre forme di demenza. Il morbo di Alzheimer è la principale causa di demenza e affligge oltre 44 000 persone in Irlanda e circa dieci milioni di persone in Europa.
L'Alzheimer è una malattia degenerativa, ovvero i danni al cervello aumentano con il trascorrere del tempo e nel frattempo i sintomi della malattia diventano più acuti. Purtroppo, a fronte dell'invecchiamento della popolazione europea, è molto probabile un aumento nel numero dei malati. È necessario un migliore coordinamento tra gli Stati membri in termini di ricerca sulle origini delle malattie neurodegenerative e sulle migliori cure.
Spesso l'onere dell'assistenza ricade sui familiari: in Irlanda 50 000 persone si occupano quotidianamente di persone affette da demenza. Vorrei rendere omaggio specialmente a queste persone e all'Alzheimer Society of Ireland, che fornisce un ottimo servizio di assistenza alle persone affette dal morbo di Alzheimer.
Nathalie Griesbeck (ALDE), per iscritto. – (FR) Secondo le stime, quasi dieci milioni di persone in Europa sono affette da malattie neurodegenerative e in particolare dal morbo di Alzheimer; è probabile che di fatto questa cifra raddoppi ogni vent'anni. Nel 2020 un ultrasessantenne su quattro potrebbe soffrire di una forma di demenza; in Francia ogni anno si registrano 160 000 nuovi casi. Possiamo quindi affermare che tutti gli europei si troveranno prima o poi a dover affrontare in modo diretto e indiretto problemi correlati al morbo di Alzheimer o ad altre forme di demenza. Ho quindi rivolto il mio pieno sostegno a questa relazione che invita la Commissione europea a fare della lotta contro il morbo di Alzheimer una delle priorità sanitarie dell'Unione europea. È fondamentale garantire che quanti soffrono di Alzheimer abbiano accesso ad un’adeguata assistenza sanitaria, ma soprattutto serve maggiore cooperazione europea in termini di ricerca (nel contesto del prossimo programma quadro di ricerca), prevenzione, diagnosi (con criteri comuni, protocolli comuni eccetera) e trattamento. Chiediamo anche che sia creato un Anno europeo della salute mentale, da affiancare alla Giornata mondiale contro l'Alzheimer, che spero offra l'occasione per sensibilizzare ulteriormente l'opinione pubblica sul tema.
Françoise Grossetête (PPE), per iscritto. – (FR) Come presidente dell'Alleanza europea per l’Alzheimer non posso che rallegrarmi dei provvedimenti raccomandati da questa iniziativa europea, che cerca di migliorare le conoscenze epidemiologiche sulla malattia e di coordinare le ricerche attualmente in atto. Con il supporto europeo sono stati creati programmi congiunti di ricerca, che mi auguro si dimostrino fruttuosi. Nel frattempo, è fondamentale fare della prevenzione l'elemento centrale di qualsiasi strategia e rivolgere i nostri sforzi verso diagnosi il più precoci possibile, come evidenziato nella relazione. Tutti gli Stati membri dovrebbero avviare azioni immediate, anche attraverso campagne di prevenzione basate sull'ambizioso piano europeo di lotta a questa patologia. I cambiamenti del comportamento e della personalità causati dalla malattia portano le persone affette a dipendere sempre più dagli altri. I pazienti non sono gli unici ad essere colpiti dalla malattia: lo sono anche le loro famiglie e quanti si prendono cura di loro. Inoltre, vorrei rendere omaggio all'associazione Alzheimer Europe che, insieme alle associazioni nazionali di lotta contro questo morbo, svolge un ruolo fondamentale nell'aiutare i malati e le loro famiglie.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Ho sostenuto appieno questa relazione, che mira ad incoraggiare la Commissione europea nel rendere il morbo di Alzheimer la sua massima priorità in termini di azione sanitaria. Dobbiamo sicuramente promuovere metodi di diagnosi precoce, sviluppare gli strumenti per individuare quanto prima i sintomi e concentrarci sulle attività di ricerca riguardanti le malattie neurodegenerative; dobbiamo anche e soprattutto cercare di migliorare la vita quotidiana dei malati e delle loro famiglie: un aspetto oggi troppo spesso trascurato nell’elaborazione delle politiche pubbliche. Infine, dovremmo prestare particolare attenzione alle donne, che rispetto agli uomini sono doppiamente colpite da questa difficile malattia.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) La relazione dell'onorevole Matias tratta un argomento sempre più importante per la senescente società europea. Nel mio paese il governo scozzese ha fatto delle malattie neurodegenerative una priorità nazionale, cosicché le competenze scozzesi vengono oggi utilizzate in attività di ricerca di portata internazionale. Quest’iniziativa europea deve essere accolta con favore, come uno strumento per coordinare meglio l'attività dell'Unione europea contro le forme di demenza.
Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa risoluzione riguardante un'iniziativa europea sul morbo di Alzheimer e le altre forme di demenza, perché l'approccio di base è un miglior coordinamento tra gli Stati membri e una risposta più efficace e solidale orientata alla prevenzione e al trattamento delle persone affette da forme di demenza, e in particolare dal morbo di Alzheimer, prestando al contempo attenzione a quanti circondano i malati, siano essi professionisti del settore sanitario, fornitori di servizi o familiari. È importante ed essenziale promuovere la diagnosi precoce e una buona qualità della vita, sostenere la cooperazione tra gli Stati membri attraverso la condivisione delle migliori prassi e degli studi clinici in questo settore e rispettare i diritti e le aspettative delle persone affette da questa difficile patologia. Si tratta di un progresso fondamentale verso proposte specifiche volte a collegare le politiche esistenti e i modi di affrontare questo tipo di malattia e garantire la massima copertura possibile e condizioni di parità in termini di accesso ai servizi sanitari e trattamento dei malati, indipendentemente dalle loro disponibilità economiche.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Egregio Presidente, cari colleghi, con il voto odierno sulla relazione Matias il Parlamento Europeo ha voluto sottolineare che la lotta all'Alzheimer rappresenta una priorità sanitaria dell'Unione. Stando al rapporto mondiale Alzheimer del 2009, circa il 28% dei cittadini europei soffre di tale tipo di demenza e il dato è destinato a crescere se si considera che la popolazione europea tende ad invecchiare. Ritengo pertanto doveroso da parte delle istituzioni non sottovalutare questa patologia e porre in essere delle azioni concrete a sostegno dei pazienti e delle loro famiglie. In tale ottica, il compito del Parlamento europeo deve essere quello di promuovere una politica di sensibilizzazione dell'opinione pubblica su questo tema e invitare Consiglio e Commissione a tenere nella dovuta considerazione tale malattia in sede di preparazione delle future azioni nel settore della politica sanitaria preventiva. Tra di esse, così come suggerito dal testo della relazione, vorrei segnalare l'elaborazione di linee guida per attuare dei servizi di diagnosi precoce e l'individuazione di strumenti atti a consentire un accesso più agevole ai finanziamenti.
Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. – (RO) L'approvazione di questa relazione riguardante un'iniziativa europea sul morbo di Alzheimer segna una tappa importante nella lotta contro questa malattia, considerando che in Europa si contano oggi 9,9 milioni di persone affette da forme di demenza e che nella maggior parte dei casi si tratta del morbo di Alzheimer. L'approvazione di questa relazione consentirà agli Stati membri di adottare provvedimenti coordinati per contrastare la diffusione di questa malattia sul territorio dell'Unione europea. Credo che una possibile soluzione consista nel mobilitare le risorse per l'iniziativa faro "L'Unione dell'innovazione" nella strategia Europa 2020 e il previsto partenariato pilota sull'invecchiamento attivo e sano, che sarà avviato nella prossima primavera.
Considerando il notevole aumento del numero di pazienti affetti dal morbo di Alzheimer previsto entro il 2020, in futuro sarà necessario sviluppare partenariati tra enti pubblici e tra istituzioni pubbliche e private nel processo di attuazione di progetti di ricerca, in modo da sfruttare le strutture, le risorse e le esperienze dei settori pubblico e privato per contrastare gli effetti del morbo di Alzheimer e di altre forme di demenza.
Elżbieta Katarzyna Łukacijewska (PPE), per iscritto. – (PL) Uno dei modi migliori per sensibilizzare l'opinione pubblica sull'incidenza delle forme di demenza in persone di età avanzata è mettere in risalto il problema e condurre un’attiva campagna di informazione. Dovremmo prestare particolare attenzione al morbo di Alzheimer, giacché si sta dimostrando un problema sempre più grave, non solo all'interno dell'Unione europea ma anche su scala internazionale, e a fronte del costante aumento del numero dei malati indicato dagli esperti. La società europea sta invecchiando e dobbiamo parlare di questo problema con franchezza e ricercare soluzioni adeguate. Dobbiamo soprattutto evidenziare l'importanza della prevenzione e per questo motivo ho votato a favore della relazione dell’onorevole Matias che si riferisce a un'iniziativa europea sulla malattia di Alzheimer e le altre forme di demenza.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa iniziativa con cui il Parlamento europeo risponde alla comunicazione della Commissione relativa a un’iniziativa europea sulla malattia di Alzheimer e le altre forme di demenza.
Gli obiettivi principali sono promuovere la diagnosi precoce e la qualità della vita, migliorare la conoscenza epidemiologica della malattia e coordinare le ricerche in corso, sostenere la solidarietà tra Stati membri attraverso la condivisione delle migliori prassi e rispettare i diritti delle persone che convivono con forme di demenza.
Queste proposte sono tutte positive e credo che una strategia europea sulle forme di demenza dovrebbe dare maggiore risalto alla dimensione sociale in cui vivono le persone affette da forme di demenza e quanti si occupano di loro, sostenendo in maggior misura la ricerca orientata alla prevenzione e alla diagnosi precoce.
Barbara Matera (PPE), per iscritto. – Quanto emerge dal rapporto 2009 sull'Alzheimer rappresenta un dato allarmante: circa 35,6 milioni di persone nel mondo sono affette da demenza in tutte le sue forme. Questa stima è in costante crescita sopratutto in Europa dove l'età media della popolazione aumenta rapidamente.
Risulta dunque importante attivare tra gli Stati membri una rete di condivisione di dati statistici e una piattaforma per il coordinamento delle attività di ricerca sulle cause, sulla prevenzione e sulla cura del morbo di Alzheimer. Considerando che una diagnosi precoce può contribuire a contenere i costi sanitari in tutta Europa, risulta inoltre basilare condividere il livello degli investimenti finanziari e prevedere delle politiche, a livello europeo, tali da incoraggiare una prevenzione mirata.
Mi preme inoltre sottolineare che occorre tenere conto delle esigenze specifiche delle donne, che rappresentano il doppio dei malati e costituiscono una percentuale sproporzionata del personale badante, nelle aree di ricerca medica, sanità e politiche sociali. Il morbo di Alzheimer rappresenta una sfida importante per le società europee, solo tramite uno sforzo comune possiamo affrontare le conseguenze sociali e sanitarie della demenza e fornire servizi e sostegno alle persone afflitte da malattie neurodegenerative così come alle loro famiglie.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Il mio partito in Portogallo, il CDS/PP, ha sempre sostenuto fortemente un piano nazionale per le malattie neurodegenerative che consenta alle persone affette da demenza di essere monitorate da personale qualificato, in modo dignitoso e umano. Non posso quindi esimermi dal sostenere questa iniziativa europea volta a rendere la lotta alla demenza una delle priorità dell'Unione europea. Il numero degli europei colpiti dal morbo di Alzheimer e da altre forme di demenza è talmente elevato da rendere necessaria la definizione di questa priorità. È molto importante agire in modo appropriato nella fase iniziale della malattia per ottenere risultati positivi nel suo trattamento e offrire ai malati la migliore qualità di vita possibile.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Il morbo di Alzheimer è una malattia insidiosa per la quale non esiste un farmaco efficace, malgrado le numerose ricerche. È difficile che nel prossimo futuro si arrivi ad individuare una cura per questa malattia e le sue conseguenze, come la progressiva perdita di memoria e di altre importanti funzioni cerebrali che portano a uno stato di completa dipendenza dagli altri. Per questo è così importante avviare il trattamento in una fase iniziale. Un provvedimento di rilievo riguarda l'educazione dell'opinione pubblica sul tema della prevenzione, della diagnosi precoce e dei modi per ritardare l’inizio della malattia. Spesso i medici generici tardano ad avviare il trattamento con farmaci antidemenza, per non superare il tetto di spesa a propria disposizione e questo è controproducente. Secondo gli esperti, un trattamento con farmaci adeguati può differire anche di un anno la necessità di trasferire la persona affetta dalla malattia in un costoso centro di assistenza.
In questa situazione è fondamentale non dimenticare le pesanti ricadute in termini di stress fisico o mentale cui sono soggetti i familiari che si occupano dei malati. A causa di tali forme di stress si registrano depressione, esaurimento e altri disturbi simili in un terzo delle persone che prestano assistenza. Stiamo cercando di alleviare la sofferenza delle persone affette dal morbo di Alzheimer a livello europeo. Ecco perché ho votato a favore della relazione dell'onorevole Matias.
Cristiana Muscardini (PPE), per iscritto. – Sono favorevole alla relazione dell'on. Matias in quanto in Europa vi è necessità di garantire una stretta collaborazione e un coordinamento tra gli Stati membri capaci di fornire una risposta efficace, orientata alla prevenzione e al trattamento della malattia dell'Alzheimer che oggi colpisce 6 milioni di cittadini europei.
Senza un sostegno europeo agli sforzi nazionali non solo nell'ambito della prevenzione e del trattamento, ma anche del coordinamento su fondi a sostegno della ricerca, diffusione di migliori pratiche e finanziamenti appropriati all'industria farmaceutica che lavora alla scoperta di farmaci efficaci, non potremo dare autonomia e dignità alle persone affette da malattie gravemente invalidanti anche dal punto di vista delle relazioni affettive e sociali.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – La mia decisione di votare a favore della relazione sull'Alzheimer deriva dall'obiettivo di migliorare l'attuale strategia europea per la lotta contro tale malattia. Il progressivo invecchiamento della popolazione europea è accompagnato da un notevole aumento delle persone affette da patologie neurodegenerative che, nel 50% dei casi, risultano essere Alzheimer. Pertanto tale relazione rappresenta un passo avanti nella lotta contro questa grave patologia. Credo che a riguardo la prevenzione sia fondamentale, sia nella diagnosi precoce che nella raccolta di dati epidemiologici. Sarebbe inoltre necessario colmare alcune lacune sia a livello di formazione dei professionisti del settore che a livello di sostegno alle famiglie, attraverso la sensibilizzazione dell'opinione pubblica nei confronti della convivenza con la demenza.
Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. – (EL) Ho votato a favore della relazione per un'iniziativa europea sulla malattia di Alzheimer poiché contribuirà a migliorare la qualità di vita dei pazienti e dei loro familiari, riducendo le disparità tra gli Stati membri dell'Unione europea in termini di prevenzione, accesso al trattamento ed erogazione di servizi adeguati a pazienti affetti da forme di demenza. Secondo le stime, in Europa 1,4 milioni di cittadini sono affetti da una forma di demenza e oltre 8 milioni di persone di età compresa tra i 30 e i 99 anni soffrono di malattie neurodegenerative; la metà di loro contraggono il morbo di Alzheimer e secondo le previsioni il numero dei malati raddoppierà ogni vent'anni. Lo scopo di questa relazione è migliorare la situazione attuale: essa si prefigge come obiettivi fondamentali la promozione della diagnosi precoce e della prevenzione, il miglioramento della qualità della vita dei pazienti, una risposta uniforme e solidale tra i vari Stati europei, dalla ricerca al trattamento medico e la salvaguardia della dignità dei pazienti nel corso del trattamento.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della proposta di risoluzione del Parlamento europeo per un'iniziativa europea sulla malattia di Alzheimer e le altre forme di demenza. Condivido determinati aspetti preoccupanti illustrati nella relazione dell'onorevole Matias e sostengo l’appello al Consiglio affinché la demenza sia dichiarata una priorità sanitaria europea.
È importante agire a livello globale. Nell’Unione europea il grado di coordinamento transnazionale è, infatti, relativamente basso e questo comporta frammentazione e limita la condivisione delle conoscenze e delle migliori prassi tra gli Stati membri; inoltre la ricerca europea sul morbo di Alzheimer è in ritardo rispetto a quella condotta su altre gravi malattie.
Considerando questi aspetti, ben illustrati nel documento, oltre alle strategie e ai piani nazionali ad hoc per il morbo di Alzheimer, sicuramente fondamentali, è necessario sviluppare uno strumento europeo per promuovere un efficace coordinamento della ricerca europea in questo ambito. Credo che in questo modo si possa garantire l'erogazione contemporanea di prestazioni sanitarie secondo le migliori prassi in tutti i paesi dell'Unione europea. Saremo così in grado di evitare risposte non uniformi e il prevalere di condizioni inique in termini di accesso ai servizi sanitari e trattamento della malattia.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. – La malattia di Alzheimer e altre forme di demenza presentano dati molto preoccupanti, come il fatto che ogni anno 1,4 milioni di cittadini residenti nell'UE ne risultano affetti ed ogni 24 secondi viene diagnosticato un nuovo caso.
Dopo i 65 anni una persona su 20 ne è colpita, mentre gli europei colpiti da malattie di questo genere sarebbero più di 8 milioni. Premesso ciò, in ambito europeo risulta necessario un coordinamento fra le varie politiche nazionali. La frammentazione degli interventi, le divergenze tra le risposte esistenti in Europa e la disparità imperante nelle condizioni di accesso e di trattamento relative alla malattia costituiscono ragioni più che sufficienti per giustificare l'iniziativa sulla base di quattro obiettivi principali: promuovere la diagnosi precoce; migliorare la conoscenza epidemiologica della patologia; favorire la solidarietà tra Stati membri e rispettare i diritti delle persone che convivono con le diverse forme di demenza.
Al momento non esiste una cura per la malattia di Alzheimer, per cui è fondamentale potenziare i trattamenti extra-farmacologici promuovendo quelli che contribuiscono a migliorare il benessere delle persone coinvolte. Alla luce di quanto esposto sono assolutamente propenso ad un miglior coordinamento tra gli Stati membri e ad una risposta più efficace in vista della prevenzione della demenza.
Rovana Plumb (S&D), per iscritto. – (RO) Questa relazione è una pietra miliare nell'elaborazione della strategia europea sul tema e si basa su quattro obiettivi fondamentali: promuovere la diagnosi precoce e la qualità della vita; migliorare le conoscenze epidemiologiche della malattia e coordinare la ricerca in corso; promuovere la solidarietà tra Stati membri attraverso la condivisione delle migliori prassi; rispettare i diritti delle persone che convivono con forme di demenza e di quanti si occupano di loro. Ogni anno, 1,4 milioni i cittadini europei sviluppano forme di demenza. Ogni 24 secondi viene diagnosticato un nuovo caso; dopo i 65 anni circa una persona su venti è colpita da demenza, mentre tra gli ultraottantenni l'incidenza è di una persona su cinque. Secondo le stime, gli europei di età compresa tra i 30 e i 99 anni colpiti da malattie neurodegenerative sarebbero più di 8 milioni (la metà dei quali affetta dal morbo di Alzheimer), cifra che secondo gli studiosi potrebbe raddoppiare ogni 20 anni. Poiché si registrano disparità in termini di accesso alla diagnosi e al trattamento della malattia, non solo tra Stati diversi ma anche all'interno di uno stesso paese, è necessario elaborare piani di azione nazionali che forniscano una risposta solidale orientata alla prevenzione e al trattamento delle persone che convivono con forme di demenza, in particolare con il morbo di Alzheimer, e di sostegno a quanti circondano i malati (professionisti, addetti ai servizi o parenti).
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) Si stima che il numero di persone affette da demenza in Europa sia di 9,9 milioni, con un'ampia maggioranza di casi di morbo di Alzheimer. Le malattie neurodegenerative rappresentano una delle principali cause di disabilità e dipendenza delle persone anziane e si prevede che il numero delle persone affette da queste patologie raddoppi entro il 2020.
In tale contesto è necessario sottolineare l'importanza di questa relazione, poiché attira l'attenzione sull'esigenza che gli Stati membri e l'Unione europea rafforzino in modo significativo la cooperazione e il coordinamento delle attività di ricerca clinica innovativa e multidisciplinare sulle cause, la prevenzione e il trattamento del morbo di Alzheimer, oltre alla condivisione delle informazioni e a migliorare le risorse finanziarie destinate a questo settore. Vorrei ricordare l'importanza della diagnosi precoce, della formazione dei professionisti, del sostegno alle famiglie e delle campagne d’informazione pubblica: tutti questi elementi possono garantire ai malati servizi sanitari organizzati secondo le migliori prassi.
Robert Rochefort (ALDE), per iscritto. – (FR) Nell’Unione europea, ogni 24 secondi viene diagnosticato un nuovo caso di malattia neurodegenerativa; dopo i 65 anni, circa una persona su venti è colpita da demenza, mentre tra gli ultraottantenni l'incidenza è di una persona su cinque. Nella metà dei casi si tratta del morbo di Alzheimer. Secondo le stime, complessivamente oltre 8 milioni di europei di età compresa tra i 30 e i 99 anni sono colpiti da queste patologie e secondo gli studiosi le cifre potrebbero raddoppiare ogni 20 anni. L’Unione europea deve avviare iniziative per essere in grado di gestire l'aumento del numero delle persone affette da tali malattie nei prossimi decenni. Ho dato il mio sostegno alla risoluzione del Parlamento europeo che si rivolge in particolare agli Stati membri, affinché adottino misure tese a rallentare il progredire della malattia nelle persone colpite, promuovendo stili di vita salutari e garantendo la disponibilità di farmaci per tutti i malati, oltre ad istituire centri specialistici, fornire attrezzature mediche soddisfacenti a livello nazionale ed elaborare piani d'azione strategici per la ricerca in questo settore.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Abbiamo sostenuto questa proposta perché, tra le sue iniziative, invita il Consiglio a dichiarare la demenza una delle priorità sanitarie europee e lancia un forte appello agli Stati membri affinché elaborino strategie e piani nazionali specifici sul morbo di Alzheimer, al fine di gestire le conseguenze sanitarie e sociali della demenza e fornire servizi e sostegno alle persone affette da questa malattia e ai loro familiari. In numerosi Stati membri un piano dedicato al morbo di Alzheimer e altre patologie similari avviato nel 2008 ha reso possibile il coordinamento dei servizi medici e sociali e della ricerca clinica e di base sulle malattie neurodegenerative a livello nazionale.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. – L'età media della popolazione europea è in continuo aumento e questo fenomeno rende sempre più rilevanti le problematiche legate all'invecchiamento, in particolar modo, le demenze.
Si stima che nel mondo oltre 35 milioni di persone siano affette da demenza e che questo numero sia destinato a raddoppiare ogni 20 anni. In Europa il numero di persone affette da demenza è pari a 9,9 milioni, con un gran numero di persone colpite dal morbo di Alzheimer.
Uno studio dell'Alzheimer's Disease International evidenzia che i costi annui dei paesi UE per ogni malato di Alzheimer sono pari a 24 mila euro, con un totale complessivo che si aggira attorno ai 161 miliardi. Nei prossimi decenni la demenza dovrebbe rappresentare una delle sfide principali per la sostenibilità dei nostri sistemi sanitari nazionali.
Dai dati emersi riguardanti il numero di persone coinvolte, è necessario fornire servizi e sostegno alle persone afflitte da demenza, in particolar modo alle loro famiglie, principali fonti di supporto per l'assistenza, come il piano Alzheimer e patologie correlate, già attuato in vari Stati membri. L'obiettivo comune deve essere quello di promuovere una maggiore sensibilizzazione del pubblico sulle malattie dell'invecchiamento e affiancare alla Giornata mondiale contro l'Alzheimer, celebrata il 21 settembre, campagne d'informazione sulla prevenzione di tali malattie e sul trattamento degli incidenti vascolari cerebrali.
Joanna Senyszyn (S&D), per iscritto. – (PL) Ho votato a favore della relazione relativa a un'iniziativa sulla malattia di Alzheimer e le altre forme di demenza. Il Parlamento europeo ha recentemente tenuto un dibattito su questioni riguardanti la condizione degli anziani nel contesto della crisi economica, le richieste del mercato del lavoro e l'innalzamento dei livelli occupazionali. Le statistiche sul numero di persone cui è stata diagnosticata una forma di demenza rivelano l'enormità del problema: ogni anno, 1,4 milioni di cittadini residenti nell'Unione europea sviluppano un tipo di demenza e si stimano dieci milioni di malati. In Polonia, oltre 200 000 persone sono affette dal morbo di Alzheimer. Le malattie neurodegenerative sono una delle principali cause di inabilità tra gli anziani e il problema si sta aggravando, a fronte dell'aumento dell’aspettativa media di vita.
Il morbo di Alzheimer rappresenta un’importante sfida economica per la società. Il World Alzheimer Report pubblicato nel 2010 indica che i costi annuali sostenuti a livello mondiale per fare fronte al morbo di Alzheimer e ad altre forme di demenza raggiungono i 600 miliardi di dollari americani. Per contrastare la demenza serve una strategia europea comune. Dobbiamo sviluppare e promuovere misure preventive contro il morbo di Alzheimer o, in altre parole, a favore di uno stile di vita salutare, che implica il mantenimento di attività fisica e mentale, il coinvolgimento nella comunità e una dieta salutare. Si dovrebbe inoltre garantire supporto finanziario e psicologico a quanti si prendono cura dei malati. Una strategia europea per la lotta contro il morbo di Alzheimer dovrebbe prestare particolare attenzione alle esigenze delle donne, che hanno il doppio delle probabilità di sviluppare forme di demenza e che rappresentano la maggioranza tra quanti si occupano di persone affette da questa malattia.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Ho chiaramente votato a favore di questa relazione sul morbo di Alzheimer che illustra egregiamente i provvedimenti da adottare in questo campo. Il fatto che non siano stati presentati emendamenti al testo adottato dalla commissione per l'ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare dimostra che le raccomandazioni formulate godono di ampio favore. Vorrei richiedere che si presti particolare attenzione al crescente numero di consultori di supporto a persone affette da demenza che si stanno diffondendo in paesi quali Germania, Belgio e Scozia. Dobbiamo considerare l'impatto delle aspettative sull'evoluzione della malattia. Previsioni oltremodo negative possono spesso avere un effetto nocivo sulla malattia, come nel caso delle conclusioni di una conferenza organizzata dalla Presidenza belga alla fine dell'anno scorso. Anche questi commenti vanno inseriti nella politica.
Csanád Szegedi (NI), per iscritto. – (HU) Concordo sull'importanza di collegare i diversi metodi di trattamento della malattia, come affermato nella relazione. Ogni anno in Europa 1,4 milioni di persone sono colpite da una forma di demenza e la diagnosi precoce e la prevenzione sono quindi particolarmente importanti. così come lo è un miglior coordinamento tra gli Stati. Condivido l’idea di impegnarci per ottimizzare la copertura per quanto riguarda l'accesso al trattamento e l’uguaglianza tra i malati, indipendentemente dall’età, dal sesso, dalle possibilità economiche o dal luogo di residenza.
Thomas Ulmer (PPE), per iscritto. – (DE) Ho votato a favore della relazione che include una straordinaria quanto dettagliata descrizione delle problematiche, degli auspici e delle preoccupazioni dei malati di Alzheimer e delle persone che si occupano di loro. Il testo rivolge alle istituzioni europee l'appello per un’azione congiunta. In questo momento, solo un cittadino europeo ultrasessantacinquenne su quindici è affetto da una forma di demenza, ma questa cifra aumenterà in modo significativo nei prossimi decenni. Ci troveremo quindi a dover affrontare una sfida di grande portata.
Derek Vaughan (S&D), per iscritto. – (EN) Sostengo pienamente questa nuova iniziativa sulla malattia di Alzheimer e le altre forme di demenza. Secondo le previsioni questa patologia rappresenterà una delle principali sfide sanitarie dei prossimi anni e diventa fondamentale creare condizioni di cooperazione tra Stati membri per migliorarne la prevenzione, la diagnosi e il trattamento. La relazione invita a una maggiore consapevolezza dell'opinione pubblica sull'argomento e ricorda l'esigenza di riconoscere quanto prima i sintomi del morbo di Alzheimer, per favorire la diagnosi precoce e contribuire a migliorare l'accesso al trattamento. Oltre a proteggere il benessere delle persone affette da demenza, è importante sensibilizzare quanti se ne occupano, che spesso devono affrontare difficoltà emotive ed economiche; l’elaborazione di piani di azione per migliorare la situazione quotidiana di quanti si prendono cura dei malati è un altro passo avanti per migliorare la vita dei malati di Alzheimer e altre forme di demenza.
Jarosław Leszek Wałęsa (PPE), per iscritto. – (PL) Durante questa sessione plenaria abbiamo votato la risoluzione del Parlamento europeo riguardante l'iniziativa europea sulla malattia di Alzheimer e le altre forme di demenza. Ho votato a favore di questa risoluzione, che rappresenta un importante passo avanti per la definizione di proposte dettagliate volte a riunire le strategie politiche già in essere e i metodi di gestione di patologie di questo tipo. Oggigiorno le malattie neurodegenerative sono una delle principali cause di inabilità tra gli anziani e molto probabilmente in futuro il numero delle persone colpite da tali malattie aumenterà in modo significativo. Questo aspetto è tanto più rilevante se consideriamo l'aumento dell'aspettativa media di vita e la riduzione del rapporto tra popolazione attiva e pensionati. Considerando questi aspetti, è fondamentale porre la prevenzione al centro di tutte le strategie e impegnarsi per garantire diagnosi il più precoci possibile. Come rappresentante dei cittadini mi sento coinvolto nel processo per garantire che l'Unione europea utilizzi i suoi poteri per affrontare il problema.
Angelika Werthmann (NI), per iscritto. – (DE) Considerando il rapido aumento del numero delle persone affette dal morbo di Alzheimer e da altre forme di demenza, è necessario un rapido intervento dell'Unione europea teso a prestare maggiore attenzione alla diagnosi precoce e alla prevenzione. Questo significa, ad esempio, sottoporre quanto prima le persone a rischio ad esami specifici e condurre campagne educative mirate ad aiutare i familiari degli anziani a distinguere tra i normali segni dell'invecchiamento e i primi sintomi di demenza. Gli Stati membri devono condividere le proprie conoscenze e coinvolgere nel processo sia gli scienziati sia i professionisti del settore sanitario. Il preoccupante numero di persone affette da questa patologia e i costi che ne derivano a carico dei singoli Stati membri rendono urgente una politica di prevenzione, che dovrà realizzarsi attraverso una dieta salutare e misure volte a ritardare l’inizio della malattia. La relazione fa anche riferimento a servizi di sostegno pratico e psicologico ai familiari dei malati. È stato dimostrato che un malato assistito in casa ha bisogno dell’assistenza di tre persone, che normalmente devono rinunciare alla propria attività professionale. Infine, la relazione ricorda l'importanza di rispettare la dignità delle persone affette dal morbo di Alzheimer; tale obiettivo può essere conseguito attraverso un programma educativo, che dovrebbe essere avviato nelle scuole.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della proposta di risoluzione relativa alla petizione sul mancato intervento della Commissione con riferimento a un caso di concorrenza e sull’impatto negativo di tale comportamento per la società interessata. Desidero sottolineare che, nella risposta alla commissione per le petizioni, la Commissione europea non ha risposto adeguatamente alle questioni sollevate dal firmatario e dai membri della commissione per le petizioni né alle preoccupazioni espresse nel parere della commissione giuridica. È necessario dunque esortare la Commissione ad adottare immediatamente le misure necessarie per concludere la procedura, tuttora pendente, avviata nel 1997 a titolo della clausola di salvaguardia dell’articolo 8 della direttiva 93/42/CEE. Si invita inoltre la Commissione a rispondere con urgenza alle legittime preoccupazioni del firmatario, il quale da 13 anni si trova in questa situazione intollerabile e ha di conseguenza subito notevoli perdite di guadagno, e ad intraprendere le azioni necessarie per consentire al firmatario di far valere i propri diritti.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Il caso oggetto della discussione odierna, pendente da oltre dieci anni, ha causato considerevoli perdite finanziarie alla società, che non ha ancora ricevuto una risposta definitiva da parte della Commissione relativamente al malinteso con le autorità tedesche. È fondamentale che tutti i dispositivi medici venduti nell’Unione siano conformi alle leggi europee e che, per la difesa e la tutela dei consumatori, soddisfino i requisiti di sicurezza. Spetta tuttavia alla Commissione adottare le misure necessarie a concludere tale causa, poiché i contenziosi devono essere risolti in un tempo ragionevole.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Il caso oggetto della discussione odierna riguarda un inalatore per l’asma sul mercato dal 1996. Le autorità tedesche avevano espresso preoccupazioni sulla sicurezza del dispositivo in questione e avevano informato in merito la Commissione ai fini di una procedura di salvaguardia, ma la Commissione non ha consultato il fabbricante e non ha mai emesso una decisione; di conseguenza, una decisione in materia è ancora pendente e il firmatario non ha a disposizione alcun mezzo di ricorso legale. Nel 2003 il fabbricante ha immesso in commercio il dispositivo con un nuovo nome e nel 2005 il governo dell’Alta Baviera ne ha ordinato il ritiro dal mercato, ai sensi della legge tedesca sui dispositivi medici, senza informarne la Commissione. Il fabbricante ha informato la Commissione del secondo divieto di vendita ai fini dell'avvio di una procedura d'infrazione contro la Germania, ma la Commissione afferma che non vi erano prove sufficienti che l’inalatore soddisfacesse i requisiti essenziali stabiliti nella direttiva, e ha concluso che non era necessaria una nuova valutazione della sicurezza del prodotto.
Ho votato a favore della presente risoluzione perché la Commissione deve rispondere con urgenza alle legittime preoccupazioni della parte lesa, affinché questa possa far valere propri i diritti.
Peter Jahr (PPE), per iscritto . – (DE) Sono lieto che il Parlamento abbia adottato oggi una risoluzione in merito alla petizione del signor Klein. La commissione per le petizioni ha lavorato su questo caso per molto tempo. Negli anni Novanta il signor Klein inventò un inalatore per l’asma su cui è stato imposto, per ben due volte, un divieto di vendita (contestato). Senza scendere nei dettagli, credo che il divieto iniziale del 1996 non fosse del tutto legale; è necessario valutare in modo critico le circostanze che hanno portato a tale divieto. È stato chiesto alla Commissione di concludere la procedura della clausola di salvaguardia per consentire alla parte interessata di ricorrere in appello. Il processo non è ancora stato completato. La base giuridica e la legittimità del secondo divieto sono certamente oggetto di contenzioso, ma sembra vi sia stata anche una violazione del diritto europeo. In tal caso il signor Klein sarebbe stato vittima di un flagrante diniego di giustizia cui si deve porre rimedio. È importante che la Commissione trovi rapidamente una soluzione definitiva a questo problema.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Egregio Presidente, cari colleghi, alla base del mio voto a favore della proposta di risoluzione vi è il bisogno di affermare che l'Europa e, specificamente il Parlamento Europeo in quanto organo democraticamente eletto, sono sempre dalla parte dei loro cittadini. La risoluzione oggi approvata si basa sulla petizione 0473/2008, presentata da Christoph Klein, cittadino tedesco, sul mancato intervento della Commissione in materia di concorrenza con riferimento al ritiro dal commercio di un dispositivo per l'asma. In casi simili, ciò di cui dobbiamo assicurarci in qualità di cittadini europei prima, e di Deputati al Parlamento europeo dopo, è la possibilità concreta di poter attivare dei meccanismi di tutela nel caso di mancato rispetto delle norme dei Trattati da parte di una delle istituzioni europee. Questa, in sintesi, la ragione che sta alla base del mio voto, cui aggiungo la speranza che la Commissione rettifichi il proprio comportamento o, quantomeno, fornisca delle risposte puntuali al problema del ritiro del dispositivo per l'asma, in grado di chiarire l'accaduto.
David Martin (S&D), per iscritto. – (PT) La presente relazione, che dimostra l’importanza del lavoro della commissione parlamentare per le petizioni, risponde alla denuncia legittima di un cittadino tedesco relativamente agli inalatori per l’asma. La risoluzione invita la Commissione a rispondere con urgenza alle legittime preoccupazioni del firmatario, il quale da 13 anni si trova in questa situazione intollerabile e ha di conseguenza subito notevoli perdite di guadagno, e ad intraprendere le azioni necessarie per consentire al firmatario di far valere i propri diritti.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Il presente contenzioso danneggia tutte le parti interessate: la società in questione, a causa dei costi che deve sostenere, e le istituzioni europee, per l’immagine negativa che ne emerge a causa del ritardo nella conclusione della procedura. Dieci anni costituiscono un periodo troppo lungo per la risoluzione di una controversia ed è responsabilità della Commissione trovare una soluzione rapidamente, nell’interesse di tutte le parti coinvolte. È importante però ribadire che tutti i dispositivi medici immessi sul mercato comunitario devono soddisfare gli standard di sicurezza sanciti dall’Unione.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) La direttiva del Consiglio 93/42/CEE concernente i dispositivi medici spiega con precisione i requisiti che un dispositivo deve soddisfare per ottenere l’autorizzazione e per rimanere sul mercato. Se un prodotto reca la marcatura CE soddisfa questi requisiti; è responsabilità degli Stati membri attuare controlli per prevenire un utilizzo non autorizzato del marchio CE e, se necessario, ritirare i prodotti dal mercato. L’autorità competente deve informare immediatamente la Commissione di qualsiasi misura presa in tal senso. Mi sono astenuto dal voto perché ritengo che l’intervento della Commissione in questo caso non sia necessario.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della presente risoluzione che, in seguito a una petizione presentata da un cittadino tedesco per l’introduzione sul mercato di inalatori per l’asma, invita la Commissione ad adottare le misure necessarie per concludere una procedura protrattasi 13 anni, con conseguenti significative perdite economiche per la società in questione.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Con l’adozione della presente risoluzione, il PE:
1. ritiene che, nella risposta alla commissione per le petizioni, la Commissione europea non abbia risposto adeguatamente alle questioni sollevate dal firmatario e dai membri della commissione per le petizioni né alle preoccupazioni espresse nel parere della commissione giuridica;
2. invita la Commissione ad adottare immediatamente le misure necessarie per concludere la procedura, tuttora pendente, avviata nel 1997 a titolo della clausola di salvaguardia dell’articolo 8 della direttiva 93/42/CEE; e
3. invita la Commissione a rispondere con urgenza alle legittime preoccupazioni del firmatario, il quale da 13 anni si trova in questa situazione intollerabile e ha di conseguenza subito notevoli perdite di guadagno, e ad intraprendere le azioni necessarie per consentire al firmatario di far valere i propri diritti.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. – Le crisi asmatiche causano improvvise difficoltà respiratorie che possono durare anche per ore.
In Germania, prima nel 1997 e poi nel 2005, sono stati introdotti dei divieti di vendita di particolari inalatori per l'asma. La Commissione europea, chiamata a rispondere della legittimità dei divieti introdotti, non si é mai pronunciata a riguardo, violando l'"obbligo di salvaguardia" sancito dalla direttiva 93/42/CEE che invece avrebbe dovuto obbligarla a farlo.
La gravità di questa condotta è resa ancora più delicata dal fatto che, secondo stime attendibili, gli inalatori ritirati dal mercato avrebbero potuto migliorare la qualità di vita di circa 30 milioni di persone affette da asma.
L'interrogazione presentata dalla collega onorevole Mazzoni invita la Commissione europea a rispondere circa la mancata conformità alla "clausola di salvaguardia" di cui all'articolo 8 della direttiva 93/42/CEE. Secondo questo articolo infatti la Commissione, chiamata a giudicare di un provvedimento legislativo nazionale in materia sanitaria, deve consultarsi il prima possibile con le parti interessate ed informarle circa la legittimità - o meno - dell'ordinanza nazionale. A questo punto della vicenda, come sentenziato anche dalla Corte di giustizia, è necessario istituire una commissione d'inchiesta che accerti le reali responsabilità della Commissione.
Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della presente risoluzione sulla situazione ad Haiti un anno dopo il terremoto, in cui il Parlamento europeo ribadisce la sua solidarietà agli abitanti di Haiti vittime del sisma e della conseguente epidemia di colera. Concordo sulla necessità di un impegno deciso e a lungo termine della comunità internazionale, compresa l'UE, affinché siano mantenute tutte le promesse avanzate durante la Conferenza internazionale dei donatori di New York. È importante agire immediatamente e coordinare gli aiuti umanitari forniti al popolo di Haiti, dove oltre un milione di persone vive tuttora nei campi di fortuna che dovevano essere temporanei. Le associazioni di difesa dei diritti umani denunciano le spaventose condizioni di vita nei campi e in particolare le violenze e gli abusi sessuali nei confronti delle donne.
Nel lungo termine, tuttavia, è divenuto chiaro che gli attori umanitari non devono e non possono continuare a ovviare alle debolezze dello Stato haitiano o a sostituirsi a quest'ultimo; è emersa inoltre l’urgenza di agire finalmente a favore di uno sviluppo a lungo termine, soprattutto per l'accesso alle cure sanitarie, all'acqua potabile e alla nettezza urbana. A livello politico è essenziale ripristinare immediatamente le capacità dello Stato haitiano di far funzionare la democrazia e il buon governo del paese, indispensabili alla ricostruzione, e favorire il coinvolgimento della società civile e della popolazione haitiane.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della presente risoluzione sulla situazione ad Haiti un anno dopo il terremoto. La situazione nel paese rimane molto complessa e caotica, la ricostruzione fa fatica a partire, milioni di persone muoiono di fame e il terremoto ha colpito in pieno più di 800.000 bambini che sono stati esposti ai pericoli della violenza, degli abusi sessuali, della tratta di esseri umani e dello sfruttamento. La situazione nel paese è peggiorata ulteriormente a causa di una crisi politica conseguente ai risultati del voto presidenziale e legislativo. Sebbene la comunità internazionale abbia reagito in modo in modo efficace alla tragedia di Haiti, allocando fondi e inviando aiuti umanitari, solo una piccola parte dei 10 miliardi di dollari promessi è stata effettivamente elargita. L’epidemia di colera scoppiata nel paese ha messo in luce l’incapacità dello Stato haitiano di reagire in modo appropriato alla situazione e i limiti del sistema degli aiuti internazionali. I continui disordini politici ostacolano gli sforzi di ricostruzione e gli aiuti alle vittime, aggravando ulteriormente la situazione. L’Unione europea, in quanto principale erogatore di fondi, deve svolgere un ruolo di leadership politica coordinando l’impegno per la ricostruzione ad Haiti e garantendo che gli aiuti giungano a quanti ne hanno più bisogno.
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) La situazione ad Haiti è diventata estremamente grave; l’impegno della comunità internazionale non ha migliorato la situazione in questo Stato distrutto dalla guerra civile, dai disastri naturali e, infine, da un’epidemia di colera. Il devastante terremoto dello scorso anno ha portato l’attenzione pubblica mondiale su Haiti. Nonostante gli sforzi congiunti intrapresi sull’onda di un forte coinvolgimento emotivo, la situazione non sta migliorando. Per questo motivo, l’aspetto più importante della risoluzione del Parlamento europeo è probabilmente l’invito all'ONU a rivedere il mandato della Minustah, in relazione agli ultimi avvenimenti in corso, ovvero l'epidemia di colera e le tensioni causate dalle recenti elezioni nazionali, aspramente combattute, la cui integrità è stata messa seriamente in discussione dalla comunità internazionale. La popolazione povera di questo piccolo Stato è quella che più di tutti ne sta pagando le spese.
È fondamentale che le Nazioni Unite siano e rimangano responsabili del coordinamento di tutte le operazioni civili e militari per quanto riguarda il ripristino della sicurezza e l'aiuto umanitario, nonché la ricostruzione e lo sviluppo. La comunità internazionale e l’Unione europea devono accordare la massima priorità alla ricostruzione di Haiti, prima che sia troppo tardi per la popolazione.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) Accolgo con favore l’imponente risposta della comunità internazionale al devastante terremoto di Haiti e l’autentica volontà politica di sostenere la ricostruzione del paese. Mi compiaccio in modo particolare dell'impegno assunto collettivamente dalla Commissione e dagli Stati membri per un importo pari a 1,2 miliardi euro, di cui 460 milioni di aiuto non-umanitario da parte della Commissione.
L'entità della catastrofe che si è abbattuta su Haiti è deplorevole e le sue conseguenze sono ancora ben visibili a un anno dal sisma. Sicurezza, salute, sanità pubblica e alloggi sono altrettanto deplorevoli ed è essenziale ripristinare immediatamente le capacità dello Stato haitiano di far funzionare la democrazia e il buon governo del paese, indispensabili alla ricostruzione dello stesso, e favorire il coinvolgimento della società civile e della popolazione haitiana. Rimane di fondamentale importanza aiutare questo paese a riprendersi dal terremoto, ma è altresì importante che la comunità internazionale sfrutti quest’opportunità per eliminare le disparità economiche, sociali e politiche nel paese.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) Dopo un anno, gli effetti del disastro ad Haiti sono angoscianti e la situazione è caotica a livello umano, economico e sociale. Mi rammarica constatare che la ricostruzione è praticamente inesistente; sono state rimosse pochissime macerie, i livelli di povertà sono estremi, la violenza imperversa, l’epidemia di colera si sta propagando e le donne nei campi profughi sono vittime di continue violenze.
Questo stato di cose deve cambiare! La comunità internazionale, congiuntamente al governo haitiano, deve impegnarsi in modo deciso e a lungo termine, deve mantenere le promesse fatte e impegnarsi per proteggere il popolo di Haiti. Faccio appello alla Commissione europea, affinché tuteli gli oltre 800 000 bambini esposti ai pericoli della violenza, degli abusi sessuali, del lavoro minorile e della tratta di esseri umani.
Ritengo inoltre essenziale integrare negli sforzi di ricostruzione ad Haiti la produzione alimentare locale e la sicurezza alimentare mediante lo sviluppo delle infrastrutture rurali e l'aiuto ai piccoli agricoltori. Accolgo con favore gli sforzi profusi e il lavoro svolto in loco dalle organizzazioni umanitarie, ma deploro l’incapacità dimostrata dalla commissione temporanea per la ricostruzione di Haiti (CTRH) nel coordinamento delle migliaia di agenzie umanitarie e dei donatori per il lavoro di ricostruzione.
Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. – (RO) è importante che gli abitanti di Haiti ricevano la solidarietà dell’Unione europea in seguito al disastro che li ha colpiti, causando gravi perdite umane e materiali. Accolgo dunque con favore la decisione di fornire un’assistenza finanziaria pari a circa 1,2 miliardi di euro per il processo di ricostruzione nel paese e la proposta dell’Alto rappresentante per gli affari esteri, baronessa Ashton, di adottare un piano economico per i prossimi 10 anni, con particolare attenzione allo sviluppo e alla crescita della regione, contestualmente alla ricostruzione. È una decisione importante soprattutto perché l’Unione europea è uno principali donatori per questo paese caraibico. I fondi europei dovrebbero essere però distribuiti secondo criteri simili a quelli applicati negli Stati membri o conformemente a programmi specifici, non solo per la ricostruzione di case, scuole, strade e altre infrastrutture, ma anche per garantire micro-crediti a sostegno dello sviluppo e l’attuazione di micro-progetti per la ripresa economica, sulla base dell’attuale modello utilizzato nell’Unione per le micro-imprese. Dopo la Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti avviarono il piano Marshall, un contributo fondamentale per la ricostruzione dell’Europa occidentale; oggi l’Europa può ricambiare il favore attuando un programma simile per Haiti.
Mário David (PPE), per iscritto. – (PT) Il terribile disastro che ha colpito Haiti un anno fa ha sconvolto tutti, attivando la buona volontà internazionale tramite la messa a disposizione di risorse logistiche, umane, finanziarie e umanitarie immediate e su ampia scala.
A distanza di un anno, era opportuno rivedere la situazione in loco, anche perché i media non parlano più di Haiti. La presente risoluzione presenta questa valutazione e avanza suggerimenti e soluzioni gli enormi e gravi problemi che la popolazione si trova ad affrontare ogni giorno. Il lavoro è positivo, manca solo un maggiore coinvolgimento delle comunità e delle associazioni locali nella distribuzione e nella ricerca di soluzioni per il futuro.
Desidero sottolineare l’attenzione riservata a un impegno a lungo termine, alla ricerca di soluzioni che affrontino definitivamente le cause profonde della povertà ad Haiti” e all’appello degli Stati membri dell’Unione a “integrare la produzione alimentare locale e la sicurezza alimentare negli sforzi di ricostruzione ad Haiti mediante lo sviluppo delle infrastrutture rurali e l'aiuto ai piccoli agricoltori”.
Spero si giunga a una soluzione definitiva sui campi profughi di fortuna dove quasi un milione di persone vive in condizioni disumane.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Poco più di un anno fa, il mondo rimase senza parole di fronte alle conseguenze del terremoto che ha devastato Haiti, uccidendo oltre 200 000 persone e lasciando dietro di sé un’atroce scia di distruzione. La comunità internazionale si era mobilitata per aiutare le vittime e le istituzioni internazionali, l’opinione pubblica mondiale e i media avevano fatto eco a questo impegno. Purtroppo sembra che l’attenzione internazionale si sia ora spostata altrove: è dovere del Parlamento europeo ricordare quanto accaduto e rendere nota la situazione attuale. A distanza di un anno non si sono verificati cambiamenti significativi; il paese, che già si trovava in serie difficoltà ed è collassato a causa della catastrofe naturale, non è ancora riuscito a riprendersi. Dopo aver analizzato tutti i dati disponibili, si evince una totale assenza di progressi rapidi, dell’efficienza necessaria e delle competenze adeguate. I senzatetto sono più di un milione; la comunità internazionale non può abbandonare il paese e permettere che vada a inserirsi nella lista degli Stati falliti.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) A un anno dal terremoto la situazione ad Haiti rimane caotica; il paese si trova ancora in stato di emergenza e la ricostruzione è a malapena cominciata. Accolgo con favore il lavoro delle organizzazioni umanitarie in loco, che assistono i feriti, forniscono acqua potabile e distribuiscono alimenti. Desidero però sottolineare che la ricostruzione coinvolge in primo luogo il governo haitiano, poiché sarà soprattutto la stabilità politica ad aiutare il paese in questo processo. Il governo dovrebbe proseguire e attuare gli impegni previsti dal piano nazionale di ricostruzione per rafforzare l'autorità dello Stato, rendendo il governo locale più efficace, potenziando le capacità delle istituzioni locali e nazionali.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La realtà in loco mostra quello che la risoluzione sembra voler nascondere: la principale preoccupazione degli Stati Uniti, condivisa dall'Unione europea, era di garantire e perpetuare la propria interferenza politica per affermare il proprio dominio su Haiti a livello economico e geostrategico, ignorando il dramma umano che gli haitiani vivono da decenni. Dopo aver imposto al paese politiche di adeguamento strutturale mediante il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale, che ne hanno distrutto l'economia e hanno portato a una situazione sociale catastrofica, gli Stati Uniti, lo scorso anno, hanno risposto al terremoto con un'invasione militare. La situazione si è aggravata a causa di un'epidemia di colera, portata nel paese dai soldati della missione ONU Minustha (la Missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti), sebbene venga negata ogni responsabilità. La maggioranza in Parlamento non ha menzionato questi fatti e non si è spesa nemmeno una parola su chi ha mostrato solidarietà autentica ad Haiti: Cuba e l’Alleanza boliviana per le Americhe (ALBA). Cuba ha inviato personale specializzato e medici che, fino ad ora, hanno curato oltre 50 000 persone dal colera e, grazie all'aiuto delle autorità haitiane, è stato possibile raggiungere le comunità più isolate, affinché nessun cittadino venisse abbandonato di fronte all’epidemia, permettendo così di salvare migliaia di vite.
Pat the Cope Gallagher (ALDE), per iscritto. – (GA) Il terremoto e la successiva epidemia di colera sono stati un autentico disastro per la popolazione di Haiti. Esorto la comunità internazionale, inclusa l’Unione europea, a tenere fede agli impegni presi durante la Conferenza internazionale dei donatori di New York lo scorso anno e ad allocare al popolo haitiano e alle ONG coinvolte i fondi promessi senza indugi.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) La situazione ad Haiti continua a destare grandi preoccupazioni. Gli sforzi profusi dai molti addetti umanitari, che vanno lodati per l’impegno e il coraggio dimostrati, si scontrano con l'incapacità del regime al potere di eliminare il rischio della guerra civile che minaccia l'isola. Dobbiamo chiedere la piena attuazione del consenso europeo sull'aiuto umanitario (affinché un'azione concertata e coordinata migliori la risposta collettiva alle crisi umanitarie) e ricordare che gli impegni assunti durante la Conferenza internazionale dei donatori del 31 marzo per la ricostruzione di Haiti devono diventare realtà e non rimanere solo sul piano teorico.
Elie Hoarau (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Mi sono astenuto dal voto sulla risoluzione di compromesso su Haiti tra i gruppi politici al Parlamento europeo perché il documento (che pur dispone di solide basi) non offre soluzioni lungimiranti per far uscire il paese dalla crisi in via definitiva, né pone molte domande sull’effettiva allocazione dei fondi promessi dall’Unione europea.
Il popolo haitiano ha bisogno di aiuti allo sviluppo reali, che devono essere garantiti mediante lo schieramento di squadre internazionali per la ricostruzione di opere pubbliche e mediante l’invio di attrezzature adeguate, che consentano una partecipazione attiva alla ricostruzione degli edifici pubblici e privati, iniziando dai quartieri, dalle città e dai villaggi più poveri. Al popolo di Haiti serve un sostegno medico reale, innanzi tutto per contenere l’epidemia di colera il più rapidamente possibile e, poi, per debellarla. Medici, farmaci e servizi di sostegno sanitario devono essere messi a disposizione con urgenza e in gran quantità.
Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della risoluzione sulla situazione ad Haiti perché il Parlamento europeo ribadisce la sua solidarietà ai cittadini vittime del sisma e del colera. Concordo sulla necessità di un impegno deciso e a lungo termine della comunità internazionale, compresa l'Unione europea, affinché siano mantenute tutte le promesse fatte, perché oltre un milione di sfollati si trova tuttora nei campi di fortuna, che dovevano essere temporanei, e di cui le associazioni di difesa dei diritti umani denunciano le spaventose condizioni di vita e in particolare le violenze e molestie sessuali nei confronti delle donne. I cittadini si trovano in condizioni di insicurezza alimentare, in un paese dove l’80 per cento della popolazione vive in condizioni di povertà assoluta. È fondamentale fornire accesso alle cure sanitarie, all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari. È necessario agire per garantire uno sviluppo a lungo termine ad Haiti. L'Unione europea e gli Stati membri devono accordare la massima priorità alla ricostruzione e alla ripresa dell’isola; è giunto il momento di aiutare Haiti a diventare un paese economicamente e politicamente forte e autonomo. La comunità internazionale è chiamata a cogliere questa opportunità per affrontare definitivamente le cause profonde della povertà ad Haiti.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Egregio Presidente, cari colleghi, il 12 gennaio 2010 il terremoto che ha colpito Haiti ha causato circa 222.750 morti e quasi 2 milioni di sfollati. A dieci mesi da questa tragedia la stessa isola è stata colpita da un'epidemia di colera che ha, ad oggi, provocato la morte di 3.333 persone. La situazione, come si può ben capire da queste tragiche cifre, non è delle più semplici. A ciò si aggiunge che, nonostante lo svolgimento delle elezioni politiche in novembre, in forte odore di brogli, il Paese si ritrova ancora senza governo. Attraverso il voto odierno abbiamo chiesto all'Unione europea di collaborare con le istituzioni di Haiti al fine di consentire la produzione di regole e norme in grado di aiutare il Paese a meglio sfruttare tutti gli aiuti finanziari di cui ha goduto in quest'ultimo anno e, sopratutto, di farlo sulla base dei principi di democrazia e di legalità. Sottolineare l'importanza del rapporto tra aiuti di emergenza, riabilitazione e sviluppo e della promozione di una politica di stretta collaborazione con il governo locale sono, in sintesi, i risultati che si spera di raggiungere a partire da questa risoluzione.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della presente risoluzione, che accoglie con favore l’impegno e il lavoro realizzato dalle organizzazioni umanitarie (Croce Rossa, ONG, Nazioni Unite) e dagli Stati membri e insiste sulla necessità di comunicare le conseguenze non visibili degli interventi umanitari; ribadisce inoltre che la situazione è stata riportata sotto controllo soprattutto facendosi carico dei feriti, dell'approvvigionamento di acqua potabile e derrate alimentari, nonché dei ricoveri provvisori.
La risoluzione però rileva anche che l'epidemia di colera ha messo in luce l'incapacità quasi totale dello Stato haitiano di far fronte a una malattia facile da prevenire e guarire, nonché i limiti del sistema dell'aiuto internazionale in un paese che beneficia di un apparato umanitario massiccio (12 000 ONG); sottolinea che gli attori umanitari non devono e non possono continuare a ovviare alle debolezze dello Stato haitiano sostituendoglisi e che è urgente agire finalmente per uno sviluppo a lungo termine, soprattutto attraverso l'accesso alle cure sanitarie, all'acqua potabile e alla nettezza urbana.
Si compiace dell'impegno assunto collettivamente dalla Commissione e dagli Stati membri per un importo pari a 1,2 miliardi euro, di cui 460 milioni di aiuto non-umanitario da parte della Commissione, in sede di Conferenza internazionale dei donatori per la ricostruzione di Haiti.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) È passato esattamente un anno dalla tragedia di Haiti, che è costata la vita a oltre 200 000 persone e ha colpito più di 3 milioni di haitiani. Le associazioni per i diritti umani sostengono che, tuttora, oltre un milione di sfollati vive in condizioni disumane in campi profughi temporanei. Un anno fa, la comunità internazionale (inclusa l’UE) aveva fatto un grande sforzo per aiutare Haiti e per evitare che questo disastro naturale generasse gli effetti cui assistiamo oggi. È tempo di ricordare di nuovo queste persone: stanno soffrendo molto, soprattutto i più vulnerabili, come donne e bambini. È tempo di unire le nostre forze per far tornare alla normalità questo paese sopraffatto dai fenomeni naturali.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) A un anno dal devastante terremoto di Haiti, la situazione del paese non è migliorata in alcun modo. L’epidemia di colera ha peggiorato notevolmente le cose, nonostante tutti gli aiuti umanitari ed economici forniti al paese. La capitale, Port-au-Prince, è ancora sepolta da tonnellate di macerie e la popolazione locale dispone solo di pale e carriole per rimuoverle. Mentre migliaia di persone non hanno ancora un tetto e la tratta di bambini procede a gonfie vele, il paese, governato da un dittatore, rimane in una condizione di caos politico dopo le elezioni. Ho votato a favore della proposta di risoluzione perché il popolo di Haiti ha bisogno del nostro aiuto e il mondo occidentale deve far fronte alle proprie responsabilità.
Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. – (PL) Il 12 gennaio abbiamo ricordato il primo anniversario dal terremoto di Haiti, che ha avuto conseguenze estremamente tragiche: 222 750 vittime e 1,7 milioni di sfollati. In relazione a questi tragici eventi, il 19 gennaio il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sulla situazione dell’isola a un anno dal disastro. Nonostante gli sforzi di molte organizzazioni internazionali e gli aiuti per la ricostruzione, la situazione ad Haiti rimane turbolenta e critica. Nell’isola è scoppiata un’epidemia di colera 10 mesi dopo il terremoto e gli osservatori internazionali hanno messo in discussione la validità delle elezioni presidenziali e parlamentari. Considerata l’attuale situazione del paese, il Parlamento europeo fa appello all’Unione e a tutta la comunità internazionale affinché dimostrino solidarietà all’isola e cooperino più strettamente con le autorità haitiane, fermo restando che tutte le misure per ricostruire il paese dovranno essere adottate solo dopo aver consultato gli abitanti. È importante che il Parlamento concentri l’attenzione anche sul modo per fornire gli aiuti ad Haiti: si tratta di sovvenzioni, non di prestiti che generano un debito. Desidero infine esprimere la mia solidarietà ad Haiti e spero che il lavoro per la ricostruzione del paese venga ottimizzato.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – A un anno dal terribile terremoto di Haiti, una delle catastrofi naturali più devastanti dell'umanità, i segni del disastro sono ancora profondi. Incredibilmente, alcuni mesi dopo il tragico sisma, l'arrivo di un uragano ha portato epidemie di colera, aggravando ancor più la già complicata crisi politica. La mia decisione di votare a favore della risoluzione riguarda in primo luogo la necessità di mobilitare interventi e azioni volti a garantire un'assistenza completa che possa riportare il Paese ad una situazione quanto meno vivibile. Le attuali tensioni civili e politiche non fanno che aumentare la preoccupazione, in quanto creano impedimenti nel far pervenire aiuti umanitari dall'UE, rallentando così il ritmo di ricostruzione. Credo, pertanto, che la completa disponibilità da parte delle Istituzioni europee sia doverosa e imprescindibile, almeno per garantire a quelle popolazioni private di tutto, abitazioni, assistenza medica, derrate alimentari ed erogazione di servizi sociali di base. Solo attraverso il nostro aiuto, quel popolo potrà lentamente tornare ad una vita normale.
Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. – (EL) Ho votato a favore della risoluzione congiunta sulla situazione ad Haiti un anno dopo il terremoto: aiuto umanitario e ricostruzione. La risoluzione sottolinea temi quali la protezione dei diritti umani e la dignità; ci ricorda che attualmente ad Haiti, a prescindere dalle condizioni di povertà e dalla sensazione di insicurezza che prevalgono tra i cittadini (il 60 per cento della popolazione vive in zone rurali e l’80 per cento in condizioni di povertà assoluta), ci si preoccupa in particolare per i più vulnerabili, che devono subire violenze, abusi sessuali, tratta umana, sfruttamento e abbandono. Nella presente risoluzione il Parlamento europeo esorta la Commissione a fare un passo indietro, a prendere atto di questi casi e a contribuire concretamente alla creazione di un sistema di protezione sociale ad Haiti.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) A un anno dal terremoto, la situazione ad Haiti rimane caotica; il paese si trova ancora in uno stato di emergenza e la maggioranza della popolazione vive in condizioni estremamente precarie. La comunità internazionale, inclusa l’Unione europea, deve impegnarsi nel lungo termine a mantenere tutte le promesse fatte sull’assistenza per la ricostruzione di Haiti e per il miglioramento delle condizioni di vita degli haitiani.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Haiti è tornata a essere una questione urgente. Con la presente risoluzione ribadiamo la nostra solidarietà al popolo haitiano, colpito dal terremoto e dall’epidemia di colera, e sottolineiamo che la ricostruzione deve avvenire consultando e coinvolgendo la popolazione e la società civile haitiane. Insistiamo anche sulla necessità di un impegno deciso e a lungo termine della comunità internazionale, compresa l'UE, affinché siano mantenute tutte le promesse fatte durante la Conferenza internazionale dei donatori di New York e affinché i fondi siano consegnati senza indugio; sottolineiamo altresì che tutta l'assistenza umanitaria e per la ricostruzione da parte europea devono essere fornite sotto forma di sovvenzioni, non di prestiti che generano debito.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. – Di tutte le catastrofi che si sono abbattute sul nostro pianeta nel 2010, il terremoto di Haiti ha lasciato la ferita più difficile da rimarginare.
Oggi, un anno dopo il secondo sisma più devastante della storia dell'umanità, i segni del disastro sono ancora dolorosamente evidenti. Più di 1 milione di persone, di cui la metà bambini, vivono ancora in baraccopoli e tendopoli ed un'epidemia di colera ha provocato lo scorso ottobre oltre 4000 morti. Sono ancora insufficienti il cibo, l'accesso all'acqua potabile, i servizi sanitari e scolastici. Dei 500 miliardi di dollari promessi da governi e privati è arrivato ben poco, solo 6 miliardi, il resto non si è mai materializzato!
L'adozione oggi di questa risoluzione comune è un passo importante per affrontare uniti le sfide future. Se la natura distrugge, l'uomo ricostruisce. Queste parole devono essere lo stimolo per aumentare sempre più il nostro impegno.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della presente risoluzione del Parlamento europeo perché spero che il parlamento della Repubblica di Lituania mostri la volontà politica necessaria per respingere la legge proposta, che violerebbe i diritti umani e le libertà. Spero si ponga fine a ogni genere di discriminazione, inclusa quella basata sull’orientamento sessuale. Questa proposta di legge non è ancora stata adottata dal parlamento lituano; con la presente risoluzione, il Parlamento europeo vuole quindi sottolineare che l’Unione si preoccupa delle proposte legislative che violano i diritti umani e discriminano i cittadini. I progetti di emendamento al codice dei reati amministrativi sono contrari all'articolo 25 della Costituzione della Repubblica di Lituania che stipula che “non si può impedire alla persona di cercare, ricevere e divulgare informazioni e idee” e all'articolo 29 il quale afferma che “tutti sono uguali dinanzi alla legge, ai tribunali e alle altre istituzioni e ai funzionari dello Stato”. Il governo lituano ha presentato un’opinione negativa sulla proposta discussa in parlamento, perché contravviene alla legislazione internazionale, europea e nazionale. La commissione parlamentare lituana sui diritti umani, inoltre, deve presentare le proprie conclusioni sugli emendamenti proposti. Spero dunque che il parlamento lituano prenda in considerazione le critiche a livello internazionale ed europeo, la presente risoluzione del Parlamento e il parere negativo del governo lituano.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) Considerati gli obblighi internazionali ed europei relativamente ai diritti umani cui l’UE è soggetta, in particolare il rispetto dei diritti di tutte le minoranze e la lotta contro ogni forma di discriminazione, è inaccettabile che uno degli Stati membri approvi leggi che mettono chiaramente in discussione i valori e i principi su cui si basa l’Unione. Rispetto il diritto di ogni Stato di discutere, emendare e approvare leggi nazionali senza alcuna forma di interferenza esterna, posto che si operi nel totale rispetto dei diritti umani e senza violare principi fondamentali (in questo caso il principio di non discriminazione), che questi principi siano o meno sanciti dai trattati o dalla Carta dei diritti fondamentali. Spero che la Lituania o qualsiasi altro Stato membro nella stessa situazione, non approvi o riveda e modifichi con diligenza e rapidità qualsiasi legge nazionale che violi norme, principi o valori sanciti dalla legislazione europea.
Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. – Accolgo con favore la presente risoluzione, che fa appello al parlamento lituano affinché respinga il progetto di legge volto a punire la “pubblica promozione delle relazioni omosessuali” con una multa. La presente risoluzione risponde a una serie di avvenimenti preoccupanti quali l'adozione della legge sulla tutela dei minori contro gli effetti dannosi della pubblica informazione, il tentativo da parte di autorità locali di proibire lo svolgimento di manifestazioni per la parità e l'orgoglio omosessuale nonché le dichiarazioni dai toni aggressivi e i discorsi improntati all'odio pronunciati da politici e parlamentari di primo piano. Una recente relazione dell'Agenzia dei diritti fondamentali conclude che “gli emendamenti potrebbero potenzialmente criminalizzare qualsiasi espressione pubblica, rappresentazione o informazione sull'omosessualità”. I presenti progetti di emendamento sembrano certamente contravvenire agli obblighi della Lituania emanati dalla sua Costituzione, dalla Carte europea dei diritti fondamentali, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e dal patto internazionale relativo ai diritti civili e politici. Desidero sottolineare la ferma posizione assunta in più occasioni dalla Presidente della Repubblica di Lituania, Dalia Grybauskaitė, la quale ha denunciato i progetti di legge di stampo omofobo come dannosi per i cittadini lituani e per l'immagine del paese e chiedo al Presidente di porre il veto sugli emendamenti al codice dei reati amministrativi qualora vengano approvati.
Harlem Désir (S&D), per iscritto. – (FR) Nei mesi scorsi il parlamento lituano ha approvato una serie di leggi che vietano o puniscono qualsiasi riferimento pubblico all’omosessualità o alla bisessualità. Un progetto di legge attualmente discusso in parlamento ha come obiettivo la modifica del codice dei reati amministrativi al fine di punire la "pubblica promozione delle relazioni omosessuali" con multe fino a 2 900 euro.
Tale legge viola gravemente la Carta dei diritti fondamentali e i trattati dell’Unione europea, che la vincolano assieme agli Stati membri a tutelare la libertà di espressione e le libertà fondamentali e a fornire gli strumenti necessari per combattere la discriminazione e le violazioni dei diritti umani.
Adottando la presente risoluzione chiediamo di bocciare i progetti di emendamento, inserire l'orientamento sessuale nell'elenco dei motivi che giustificano una tutela nella legge sull'istruzione, consentire ai minori di avere libero accesso alle informazioni sull'orientamento sessuale e chiarire il significato del divieto previsto dalla legge sulla pubblicità.
Questa non è la prima volta che uno Stato membro ostacola i diritti e le libertà dei cittadini relativamente all’orientamento sessuale, con il pretesto di non interferenza, incoraggiando la discriminazione. Si deve porre fine a questo isterismo omofobico.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della presente risoluzione poiché afferma che le istituzioni e gli Stati membri dell'UE hanno il dovere di garantire che i diritti umani siano rispettati, tutelati e promossi nell'Unione europea, come sancito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, dalla Carta europea dei diritti fondamentali e dall'articolo 6 del trattato sull'Unione europea, senza distinzioni sulla base dell'orientamento sessuale.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Il 12 novembre 2010 il Parlamento lituano ha deciso di apportare un emendamento al codice amministrativo lituano, secondo il quale la pubblica promozione delle relazioni omosessuali deve essere passibile di una pena pecuniaria. Le autorità lituane stanno esaminando queste modifiche: si tratta di un fatto pertinente alle nostre delibere poiché non è ancora stata approvata alcuna legge che violi le norme comunitarie. Direi dunque di aspettare a valutare atti politici, legislativi e giurisdizionali che rientrino esclusivamente nella competenza delle autorità legislative, esecutive e giudiziarie lituane. Chiedo tuttavia a queste ultime di continuare a rispettare la libertà e i principi di eguaglianza e non discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) L’Unione europea e le sue istituzioni hanno il dovere e la responsabilità di promuovere il rispetto dei diritti umani, inclusi quelli delle minoranze. È nostro dovere respingere e combattere ogni forma di discriminazione, soprattutto per quanto riguarda l’orientamento sessuale.
In tal senso, accolgo con favore la risoluzione del Parlamento, come iniziativa volta a riaffermare i valori e i principi su cui si fonda l’identità europea, senza mettere a rischio il principio fondamentale di sussidiarietà. Desidero comunque sottolineare il riconoscimento e il rispetto del diritto di uno Stato membro, come la Lituania, di discutere e confrontare liberamente concetti e idee durante il processo di emendamento e approvazione delle leggi nazionali. Desidero anche sottolineare la determinazione delle autorità lituane a rispettare il quadro giuridico europeo e a non violarlo, nonché a promuovere il rispetto per i diritti umani.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) La Lituania vuole controllare la diffusione di alcuni orientamenti sessuali minoritari, cercando invece di promuovere (giustamente) la famiglia costituita da un padre, una madre e i figli: l’unità fondamentale di qualsiasi società. Secondo alcuni si tratta di un attacco inaccettabile ai diritti umani e di un’aperta discriminazione. Tuttavia, come sottolinea giustamente la risoluzione presentata dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano), il processo legislativo lituano ha ancora una lunga strada davanti a sé e viene ora esaminato dagli organi competenti, in considerazione degli obblighi costituzionali e internazionali del paese.
La relazione ribadisce anche “il diritto di ogni democrazia […] di discutere, modificare e adottare leggi e disposizioni nazionali, senza interferire nei dibattiti dei parlamenti nazionali”. Il fatto però che stiamo discutendo della questione e stiamo presentando alcuni testi in merito costituisce un’interferenza e viola i diritti della Lituania e dei suoi cittadini; è inaccettabile. Poiché i temi sono connessi, desidero anche cogliere quest’occasione, in qualità di cittadino francese, per esprimere la mia seria preoccupazione circa la causa portata di fronte alla corte costituzionale francese in nome della non discriminazione, sfidando gli articoli del codice civile che naturalmente sanciscono che il matrimonio si basa sull’unione tra un uomo e una donna.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Accolgo con favore decisione del Palamento di prendere posizione invitando la Lituania a rifiutare una legge volta a introdurre multe per “la pubblica promozione delle relazioni omosessuali”. Ricordiamoci che non c’è posto per l’omofobia in Europea e che l’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali vieta chiaramente ogni sorta di discriminazione in molti ambiti, tra cui anche l’orientamento sessuale. Il Consiglio continua a bloccare l’introduzione di una direttiva trasversale volta a garantire una protezione equa contro ogni forma di discriminazione. È giunto però il momento di agire, per evitare che leggi come questa, lontane dai valori da noi sostenuti, si diffondano in tutta Europa.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Uno dei primi compiti del parlamento scozzese, appena ristabilito, è stata l’abrogazione di una legge statutaria che proibiva la “promozione” dell’omosessualità nelle scuole scozzesi. Tale legge era entrata in vigore con il governo unionista di destra di Margaret Thatcher, un governo illegittimo per gli scozzesi. Il parlamento scozzese aveva un altro punto di vista e decise di emendare la legge per adeguarla al ventunesimo secolo. La nostra speranza è che il popolo lituano decida di comportarsi allo stesso modo.
Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Egregio Presidente, cari colleghi, il motto del Parlamento europeo: "unita nella diversità" è il principio ispiratore che deve guidare tutte le nostre attività all'interno ed all'esterno dell'Unione europea. Ed è nel rispetto di tale principio che ho votato in favore di questa proposta di risoluzione, poiché ritengo che, pur non volendo ingerire negli affari interni di un altro Stato, il Parlamento europeo debba poter sempre esprimere il proprio pensiero, facendo da cassa di risonanza per l'affermazione di istanze comuni a tutti i cittadini europei. Quella approvata oggi é una risoluzione che serve a evidenziare la posizione comune del nostro Parlamento nei confronti dell'assemblea legislativa lituana, consistente nella richiesta di emendare il progetto di legge che modificherebbe il codice dei reati amministrativi per punire la "pubblica promozione delle relazioni omosessuali", con il rischio concreto, come bene evidenziato nel testo, di criminalizzare qualsiasi espressione pubblica, rappresentazione o informazione sull'omosessualità. Credo, pertanto, che sia nostro dovere oggi, come deputati, ma ancor prima come cittadini, chiedere al Parlamento lituano di respingere la nuova normativa, in nome del principio imprescindibile della tutela dei diritti fondamentali della persona.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Nell’Unione europea non possiamo tollerare la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale (e su altro). Accolgo dunque con favore la presente risoluzione, che assume una linea dura contro i segnali di intolleranza mostrati in Lituania e chiarisce che le istituzioni dell’Unione europea non assisteranno inerti all’approvazione di leggi che discriminano una parte della società.
Véronique Mathieu (PPE), per iscritto. – (FR) Desidero sottolineare in primo luogo che la lotta contro ogni forma di discriminazione, e in particolare quella fondata sull'orientamento sessuale, è uno dei valori costitutivi dell’Unione. Ora disponiamo di un ricco corpus legislativo in materia e tale principio può pertanto essere pienamente attuato in tutti gli Stati membri. Dovremmo intraprendere la lotta contro l’omofobia in questa Camera e nei nostri parlamenti nazionali. È importante sottolineare che il testo oggetto della discussione odierna è solo un progetto di legge, presentato da pochi membri del parlamento lituano.
Gli emendamenti proposti per rendere la pubblica promozione delle relazioni omosessuali un reato, inoltre, sono stati apertamente criticati dal Presidente e dal governo lituani. Cerchiamo quindi di non condannare in modo affrettato un paese o un governo. Vorrei invece fare un appello agli onorevoli colleghi lituani, affinché si attengano alla legislazione comunitaria e, in particolare, all’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che vieta ogni forma di discriminazione.
Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) L’uguaglianza tra i cittadini è un valore che l’Europa compromette troppo spesso; desidereremmo vedere una reazione ogni qualvolta tale principio viene messo a rischio. La risoluzione respinge l’istituzionalizzazione di una legge che violerebbe il principio di uguaglianza tra i lituani, sulla base del loro orientamento sessuale, e che li punirebbe per tale motivo. Sostengo la relazione votando a favore.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Le istituzioni e gli Stati membri dell'UE hanno il dovere di garantire che i diritti umani siano rispettati, tutelati e promossi nell'Unione europea, come sancito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, dalla Carta europea dei diritti fondamentali e dall'articolo 6 del trattato sull'Unione europea, senza distinzioni sulla base dell'orientamento sessuale. Questa proposta di risoluzione è in linea proprio con tale principio: lo Stato lituano sta danneggiando la libertà e i principi di uguaglianza e non discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) sancisce che le persone con un orientamento sessuale differente non devono essere vittime di discriminazione. Firmando il trattato di Lisbona, la Lituana è diventata anche Stato firmatario della CEDU. Il Parlamento europeo ritiene che l’adozione della legge sulla tutela dei minori contro gli effetti dannosi della pubblica informazione da parte del parlamento lituano rappresenti una chiara violazione del trattato. Il governo lituano è inoltre chiamato ad astenersi da qualsiasi altro emendamento legislativo in materia e a includere l’orientamento sessuale nella lista degli ambiti protetti. Mi sono astenuto dalla votazione perché ritengo che non sia chiaro fino a che punto l’Unione europea stia interferendo negli affari nazionali.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. – (PT) Le istituzioni e gli Stati membri dell'UE hanno il dovere di garantire che i diritti umani siano rispettati, tutelati e promossi nell'Unione europea, come sancito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, dalla Carta europea dei diritti fondamentali e dall'articolo 6 del trattato sull'Unione europea, senza distinzioni sulla base dell'orientamento sessuale. È dunque importante esortare le autorità lituane a non approvare alcuna legislazione che violi i principi di uguaglianza e di non discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ancora una volta abbiamo chiesto al Seimas di bocciare i progetti di emendamento al codice dei reati amministrativi, inserire l'orientamento sessuale nell'elenco dei motivi che giustificano una tutela nella legge sull'istruzione, consentire ai minori di avere libero accesso alle informazioni sull'orientamento sessuale e chiarire il significato del divieto previsto dalla legge sulla pubblicità, sebbene, allo stesso tempo, prendiamo atto della ferma posizione assunta in più occasioni dal Presidente della Repubblica di Lituania, Dalia Grybauskaitė, la quale ha denunciato i progetti di legge di stampo omofobo come dannosi per i cittadini lituani e per l'immagine della Lituania; chiediamo al Presidente di porre il veto sugli emendamenti al codice dei reati amministrativi qualora vengano approvati.
Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. – Nel 2010 il Parlamento lituano ha votato una modifica del Codice amministrativo in attuazione della Legge sulla protezione dei minori contro gli effetti nocivi della pubblica informazione, approvata nel 2009.
Questa modifica ostacolerebbe i mass media nel promuovere relazioni sessuali o altri comportamenti omosessuali, non già previsti dalla Costituzione o dal Codice civile, anche in considerazione dell'influenza che i mass media hanno sui processi formativi ed educativi dei minori.
L'art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali sancisce che ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. L’esercizio di questa libertà comporta, però, dei doveri e delle responsabilità e può essere sottoposto a delle sanzioni previste dalla legge, come misure necessarie per meglio proteggere la morale pubblica.
Troppo spesso i mass media, mossi da dinamiche di mercato, non sembrano interessarsi ai minori, in quanto individui particolarmente influenzabili dal punto emozionale. L'obiettivo comune deve essere quello di sviluppare una maggiore attenzione ai temi dell’infanzia e dell'adolescenza e per questo occorre collaborare con tutte le professionalità coinvolte del mondo dell'informazione, per maturare una solida responsabilità collettiva.
Michèle Striffler (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione sulla violazione della libertà di espressione e sulle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale in Lituania. Il dialogo interparlamentare (tra il Parlamento europeo e quelli nazionali) è diventato una caratteristica peculiare dell’Unione europea sin dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona. L’UE è fondata su valori inalienabili, che includono la lotta contro ogni forma di discriminazione, e mi impegnerò a difenderli durante il mio mandato.
8. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
(La seduta, sospesa alle 14.20, riprende alle 15.05)
PRESIDENZA DELL’ON. BUZEK Presidente
9. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sulla dichiarazione del Vicepresidente della Commissione, nonché Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, sulle condizioni di sicurezza dei cristiani nel contesto della libertà religiosa.
Desidero chiedere al Vicepresidente e Alto rappresentante Ashton di prendere la parola.
Catherine Ashton, Vicepresidente della Commissione e Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. – (EN) Signor Presidente, desidero innanzi tutto dichiarare che condivido le preoccupazioni che nutrono i membri di quest’Aula relativamente ai recenti atti di violenza contro i cittadini appartenenti a minoranze religiose, nonché contro quanti si battono per la libertà religiosa.
Ho recentemente preso posizione su questa questione in occasione della mia visita alla Basilica della Natività a Betlemme il 6 gennaio, alla vigilia del Natale ortodosso. Il mio viaggio era volto a sottolineare quanto sia necessario che ogni gruppo religioso in ogni angolo del mondo abbia la possibilità di riunirsi e professare la propria religione liberamente. In quell’occasione ho ribadito inoltre che l’Unione europea condanna ogni atto di intolleranza e violenza sulla base di motivazioni religiose, ovunque esso si verifichi. Ho condannato altresì i recenti attacchi terroristici in Iraq e in Egitto aventi come obiettivo dei luoghi di culto, nonché l’uccisione di Salmaan Taseer, governatore della provincia pakistana del Punjab.
Attacchi di questo tipo sono inaccettabili e sono l’opera di estremisti spinti da un’intolleranza che dobbiamo condannare e contrastare. Onorevoli deputati, troppo spesso nel mondo d’oggi, in molti vedono i propri diritti umani violati a causa del proprio credo e della propria religione. Le vittime non fanno tutte capo ad un unico credo o a unica religione e, sfortunatamente, non vi è alcun luogo al mondo che sia esente dalla piaga dell’intolleranza religiosa.
Qualunque atto di discriminazione o di violenza perpetrato contro un individuo a causa della sua fede religiosa è contrario ai valori che difendiamo in seno all’Unione europea. Ogni violazione deve essere considerata con serietà e condannata con egual forza, indipendentemente da dove abbia luogo o da chi sia la vittima perché, come ben sappiamo e riconosciamo, i diritti umani sono universali.
Comunità cristiane, stabilitesi ormai da lungo tempo nel Medio Oriente, si trovano ad affrontare problemi che hanno determinato migrazioni di massa in alcuni paesi e una diminuzione in termini di numeri nella regione in generale. L’Unione europea non chiuderà gli occhi dinanzi alle loro sofferenze. Consideriamo la loro richiesta di veder rispettati i propri diritti in quanto cittadini del loro paese pienamente legittima. Le libertà di coscienza e di credo sono un patrimonio comune e ogni Stato ha il dovere di far sì che vengano rispettate.
L’Unione europea è pronta a potenziare la propria cooperazione con gli altri governi al fine di contrastare l’intolleranza e tutelare i diritti umani. Non dobbiamo cadere nella tela che stanno tessendo per noi estremisti e terroristi: dobbiamo evitare la manipolazione della religione intesa come fonte di divisioni. La migliore risposta all’estremismo è un fronte internazionale unito, basato su standard universali di libertà di religione e di credo.
L’Unione europea ha svolto un ruolo centrale in seno all’Assemblea generale delle Nazioni Unite in occasione dell’adozione della risoluzione sull’eliminazione di ogni forma di intolleranza e discriminazione basata sulla religione o sul credo, avvenuta per consenso nel dicembre 2010. Ci impegniamo insieme, ogni anno, al fine di consolidare questo consenso, per far sì che la comunità internazionale possa lanciare un messaggio deciso e compatto. Stiamo valutando un’ulteriore iniziativa, volta a conquistare un sostegno interregionale su questo tema in occasione della prossima sessione del Consiglio dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite. Abbiamo inoltre sollevato la questione della libertà di religione e di credo durante le nostre discussioni sui diritti umani e abbiamo esortato i paesi a debellare qualunque forma di discriminazione e intolleranza.
Le nostre delegazioni seguono con attenzione la situazione in tutto il mondo e la prossima relazione annuale dell’Unione europea sui diritti dell’uomo, prevista per questa primavera, includerà la situazione delle minoranze religiose nel mondo.
Onorevoli deputati, garantisco il mio massimo impegno per mantenere la libertà di religione e di credo tra le nostre priorità. Il prossimo Consiglio “Affari esteri” del 31 gennaio affronterà nuovamente questo tema, in modo che l’Unione europea possa potenziare il proprio impegno per la promozione della libertà religiosa.
Presidente. – Baronessa Ashton, sono lieto di darle il benvenuto qui al Parlamento europeo in questo nuovo anno. Non si presenta spesso l’occasione di parlarle di persona di questioni relative alla politica estera dell’UE di tale rilevanza, pertanto la ringrazio di averci raggiunto qui.
Elmar Brok, a nome del gruppo PPE. – (DE) Signor Presidente, Baronessa Ashton, lei ci ha promesso che si sarebbe presentata più spesso dinanzi al Parlamento europeo, in modo da regolare questa questione. Ritengo che sia rilevante per lei, Baronessa Ashton, e per tutti gli altri, notare che un’ampia maggioranza del Parlamento europeo è favorevole a trattare questa tematica, il che dimostra che questa discussione si colloca nel contesto di una serie di misure e non si tratta di una semplice risoluzione.
Lei ha ragione nell’affermare che dobbiamo garantire che l’intolleranza e la violenza dettate da motivi religiosi, indipendentemente dalla religione in questione, vengano considerate inaccettabili. Tuttavia è evidente che il 75 per cento degli attacchi basati su motivazioni religiose negli ultimi anni sono stati indirizzati contro cristiani. L’Europa cristiana deve avere fiducia in se stessa e difendersi piuttosto che rimanere in silenzio. Gli attacchi si verificano principalmente, ma non solo, negli Stati musulmani. I cristiani vengono perseguitati in Cina, ad esempio, e in altri Stati. Non possiamo accettare forme di discriminazione violenta né atti di terrorismo. Condannare qualcuno alla pena di morte solo perché ha deciso di convertirsi al Cristianesimo non è accettabile, così come non lo sono gli atti di terrorismo e le organizzazioni terroristiche o il fatto che enti pubblici, che non sono direttamente responsabili, non intervengano in risposta a queste azioni. Ne deriva che la tradizione millenaria delle comunità e dei gruppi cristiani presenti in molti paesi, inclusi Sira, Turchia, Iraq e Iran, rischia di estinguersi. Se i cristiani presenti a Betlemme, città natale di Gesù, continueranno a essere soggetti a pressioni, presto non vi saranno più cristiani in quella città. I venti milioni di cristiani copti che vivono in Egitto rappresentano una situazione specifica che prendiamo molto seriamente. In questo caso non si può parlare di minoranze.
Per questo motivo, desidero richiamare l’attenzione su due richieste presenti nella risoluzione. Sono necessari dei riferimenti espliciti alla persecuzione dei cristiani nelle relazioni sui diritti dell’uomo prodotti dalle istituzioni dell’Unione europea, inclusa la sua organizzazione ed il Parlamento europeo. È necessario accantonare delle risorse in seno al Servizio per l’azione esterna da dedicare al tema del Cristianesimo e i diritti umani e la libertà religiosa devono svolgere un ruolo centrale nei trattati che sottoscriviamo con i paesi terzi.
Hannes Swoboda, a nome del gruppo S&D. – (DE) Signor Presidente, Baronessa Ashton la ringrazio per la sua chiara dichiarazione.
Il crescente numero di attacchi contro cristiani e i livelli sempre più elevati di intolleranza religiosa sono motivo di grande preoccupazione. Dobbiamo condannare apertamente questi episodi, poiché noi siamo paladini della tolleranza religiosa, della libertà e della diversità. Desidero esprimere ancora una volta il nostro più profondo cordoglio e il nostro disappunto rispetto agli attacchi contro i cristiani copti in Egitto. Si è trattato di un duro colpo non solo contro i cristiani copti stessi, ma anche contro il valore della tolleranza, che è ancora diffuso in Egitto. Ho scelto consapevolmente di dire “ancora”, poiché sfortunatamente adesso è in pericolo.
A nome del mio gruppo, desidero esprimere il mio profondo rammarico rispetto al modo in cui vengono trattati i cristiani in Iraq. L’obiettivo di rovesciare Saddam Hussein non si sarebbe dovuto accompagnare alla mancanza di tolleranza verso i cristiani a cui assistiamo oggi. Tuttavia, rileviamo anche ad una certa intolleranza tra diversi gruppi musulmani. Il nostro gruppo ritiene dunque che sia particolarmente importante intervenire in modo risoluto contro l’intolleranza verso le altre religioni ma soprattutto rispetto alle minoranze religiose.
Formulo molto raramente delle dichiarazioni scritte, ma sono stata lieta di partecipare a questa discussione, su invito del collega Maurer, poiché ritengo sia estremamente importante contrastare la crescente intolleranza e collaborare per sconfiggerla. Apprezzo che sia stato possibile produrre una dichiarazione comune e che si disponga quindi di una base comune per il nostro intervento.
Tuttavia, oltre a condannare a nome del mio gruppo gli attacchi rivolti contro i cristiani, e non solo gli episodi più recenti, ma anche altre forme di discriminazione, desidero dichiarare espressamente che deploro la crescente islamofobia presente in alcuni circoli in Europa. In tal modo si fornisce alle forze musulmane radicali una motivazione – per quanto indubbiamente sbagliata e scorretta – un pretesto, un motivo e una giustificazione per discriminare o addirittura attaccare i cristiani.
A prescindere dalla nostra posizione religiosa individuale, dobbiamo tutti riconoscere che ogni individuo ha il diritto di praticare la propria religione in pace. L’esistenza di una minoranza aggressiva e violenta, che sia composta da musulmani, cristiani, ebrei o membri di altre comunità religiose, non può costituire una giustificazione per scagliarsi contro altre religioni.
Marietje Schaake, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, le convinzioni religiose sono una questione personale, con un significato diverso per ogni individuo. Il ruolo dello Stato è quello di proteggere tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro convinzioni, e permettere loro di riunirsi ed esprimersi liberamente in tutto il mondo. Una rapida occhiata al mondo di oggi rivela un quadro molto cupo: dalla fede Bahá’i in Iran ai copti in Egitto, dal ricorso alla leggi contro la blasfemia in Pakistan agli attacchi contro i cristiani o i luoghi di culto in Iraq e Nigeria. Oggi poniamo l’accento nello specifico sulla crescente violenza contro i cristiani, che è motivo di grande preoccupazione. È profondamente deplorevole che la gente attacchi e venga attaccata per motivi religiosi e le vittime sono persone che professano religioni diverse.
È inaccettabile assistere alla scelta da parte di alcuni individui estremisti di ricorrere alla violenza o addirittura al terrorismo nel nome di Dio o nel nome della religione, sostenendo di parlare a nome di altri o addirittura cercando di porsi al di sopra della legge e dunque associando a questi atti di violenza un numero elevato di individui innocenti.
È necessario essere chiari al riguardo: dando agli estremisti più credito di quello che meritano, accettando il legame tra religione e terrorismo, sminuiamo la maggioranza dei credenti che, ognuno in modo diverso, praticano la loro fede in modo pacifico. Il terrorismo è di natura politica ed è un crimine. La religione non può mai rappresentare una ragione accettabile e convincente per ricorrere alla violenza o per violare i diritti umani. Questo accade troppo spesso, non solo con atti violenti, ma anche tramite limitazioni della libertà d’espressione, come nel caso degli abusi delle leggi contro la blasfemia.
La religione o le convinzioni personali non dovrebbero mai essere un motivo per costringere gli individui a vivere nella paura ed è corretto che il Parlamento europeo esprima la propria condanna degli atti di estremismo contro i cristiani e sostenga quanti condannano queste forme di estremismo.
Nicole Kiil-Nielsen, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, Baronessa Ashton, onorevoli deputati, i massacri a cui sono soggetti i cristiani copti ad Alessandria d’Egitto sono motivo di oltraggio a livello internazionale. La situazione generale dei cristiani d’Oriente è preoccupante, ovvero in Iraq, Libano e perfino in Palestina, dove i cristiani lasciano quella che per loro è la Terra Santa, esasperati dall’umiliazione a cui sono stati costretti sotto l’occupazione d’Israele.
Sono lieta che la nostra risoluzione sulla libertà religiosa attribuisca al tema un’interpretazione ampia e faccia riferimento ai diritti fondamentali: il diritto di credere o di non credere, il diritto di scegliere una religione senza subire discriminazioni. Sebbene il nostro testo menzioni correttamente i recenti attacchi e uccisioni verificatisi in giro per il mondo, è altresì necessario ammettere che in alcuni paesi europei la libertà religiosa è in pericolo.
Assistiamo spesso ad atti di intolleranza: la profanazione di cimiteri ebraici e musulmani, discorsi anti-islamici e antisemiti. La votazione intercorsa in Svizzera con lo scopo di bandire la costruzione di minareti e la diffusione di partiti estremisti, che si dimostrano intolleranti nei confronti di alcune comunità, sono alcuni segnali che indicano come la lotta in difesa dei principi secolari debba essere una priorità in Europa. Rifugiati, richiedenti asilo, immigrati e minoranze religiose ed etniche assistono ad un preoccupante incremento delle violazioni dei diritti fondamentali universali.
L’Europa deve dare il buon esempio in materia di tolleranza e dialogo intercomunitario. I cristiani d’Oriente vengono accusati sempre più frequentemente di patrocinare gli interessi e le cause dell’Occidente, mentre i musulmani in Europa vengono associati all’islam radicale e al terrorismo.
Se me lo concedete, desidererei leggervi un estratto di una poesia di Louis Aragon: “Celui qui croyait au ciel, celui qui n'y croyait pas, et leur sang rouge ruisselle, même couleur, même éclat” (Colui che credeva nel cielo e colui che non vi credeva, il loro sangue rosso scorre, lo stesso colore, lo stesso splendore).
Konrad Szymański, a nome del gruppo ECR. – (PL) Signor Presidente, Baronessa Ashton, desidero innanzi tutto ringraziare il Vicepresidente Ashton per aver risposto con estrema prontezza agli eventi di Alessandria d’Egitto. È essenziale reagire in modo rapido e prevedibile, poiché in tal modo il mondo ci presterà più attenzione.
Attualmente i cristiani sono, senza alcun dubbio, la minoranza più trascurata al mondo. Ogni anno 170 000 cristiani al mondo sono vittime di discriminazioni, attacchi e addirittura omicidio. Quanti sostengono di difendere i diritti umani devono intervenire attivamente per difendere la libertà religiosa. Il tema della libertà di religione deve essere affrontato nelle discussioni con paesi quali l’Afghanistan, l’Iraq ed il Sudan nel quadro degli aiuti allo sviluppo. La Cina, l’India e il Vietnam devono ascoltare le nostre posizioni relativamente alla libertà religiosa nel quadro dei negoziati commerciali con l’Unione europea. Dobbiamo rivitalizzare la nostra politica di vicinato rispetto a paesi quali l’Egitto. In ultima battuta, la nostra diplomazia deve reagire ad ogni violazione del diritto alla libertà religiosa. Disponiamo degli strumenti necessari, dobbiamo limitarci ad utilizzarli e convincere il mondo che, dopo anni di silenzio sul tema, la libertà dei cristiani è estremamente importante per noi. Il mondo ci ascolterà solamente se portato a ritenere che si tratti di un tema rilevante per noi. Altrimenti la nostra politica in questo ambito non potrà registrare alcun successo.
Kyriacos Triantaphyllides, a nome del gruppo GUE/NGL. – (EL) Signor Presidente, la carta istitutiva delle Nazioni Unite sancisce che ognuno ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione. Il diritto di ogni individuo di seguire una religione o di non seguirne alcuna deve essere tutelato e rispettato da tutti. Noi crediamo che la religione non possa essere utilizzata come strumento di sfruttamento nei conflitti politici. In questo quadro, condanniamo tutti i recenti attacchi ad Alessandria d’Egitto e non solo ed esprimiamo le nostre condoglianze alle famiglie delle vittime.
Il regime di occupazione turco a Cipro ha preso una decisione senza precedenti, interrompendo con violenza e infine cancellando la messa cristiana che stava avendo luogo nella chiesa di San Synesios, nella città occupata di Rizokarpaso. Questa azione rappresenta una violazione dei diritti umani fondamentali dei greco-ciprioti intrappolati, tra cui la libertà religiosa. Analogamente a Yialousa, il giorno dell’Epifania, il servizio religioso è stato annullato con la motivazione infondata che il permesso non era stato ottenuto entro la scadenza richiesta.
Gli episodi che ho appena menzionato sono un’evidente violazione della terza Convenzione di Vienna del 2 agosto 1975, degli articoli 3 e 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dell’articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dell’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Condanniamo duramente le azioni intraprese dal regime di occupazione, che rappresentano un’evidente violazione dei diritti umani fondamentali.
È necessario reagire prontamente e l’Unione europea deve attribuire la massima importanza al rispetto delle convinzioni individuali e dei diritti.
Fiorello Provera, a nome del gruppo EFD. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, i recenti attacchi terroristici in Egitto e in Iraq sono atti criminali che rappresentano però solo un aspetto, per quanto tragico, delle persecuzioni delle comunità cristiane nel mondo e, in particolare, in Medio Oriente.
L'elemento più preoccupante sotto il profilo istituzionale è la sistematica limitazione dei diritti dei cristiani in quanto cittadini, che non consente loro ad esempio di costruire chiese, di accedere a cariche pubbliche, civili e militari, né di praticare liberamente il proprio culto ed altri. Le due cose insieme, terrorismo e discriminazione, costringono all'emigrazione centinaia di migliaia di cittadini in questi Stati. In Iraq, ad esempio, oltre il 60 per cento dei cristiani sono stati costretti all'esilio, e parliamo di circa 600 000 persone.
Il Parlamento europeo si batte per il diritto dei popoli ad emigrare. In questo caso, viene negato a intere comunità il diritto di vivere nel proprio paese. Contro il terrorismo, che con le stragi vuole l'espulsione della cristianità dai paesi arabi, si deve agire con strumenti di contrasto e di prevenzione anche militari.
L'Europa, storicamente cristiana e grande difensore dei diritti umani, deve intervenire con forza sui governi dell'area, chiedendo loro di rispettare i diritti dei propri cittadini.
Bruno Gollnisch (NI). – (FR) Signor Presidente, la libertà di coscienza è indubbiamente una libertà vitale. Dio non può desiderare un’osservanza obbligata.
Questa libertà è stata minata in modi terribili dai regimi comunisti. Dovremmo avere il coraggio di alzarci oggi e dichiarare che queste violazioni vengono commesse per lo più contro i cristiani nei paesi islamici. È giusto condannare queste uccisioni terribili commesse da fanatici.
Tuttavia, il problema non è solo l’estremismo. In svariati paesi, la cui popolazione è prevalentemente musulmana, persino in alcuni che vengono considerati moderati, i cristiani vengono trattati come cittadini di secondo livello. La conversione al cristianesimo è vietata o addirittura passibile di la pena di morte. In Occidente invece, a prescindere da quanto sostiene l’onorevole Kiil-Nielsen, non si impedisce ai cittadini di convertirsi all’islam laddove lo desiderino.
In quegli stessi paesi musulmani, chiunque critichi apertamente l’islam o venga accusato di farlo può affrontare la stessa sorte. In particolare è necessario abrogare quelle norme che si prefiggono l’obiettivo di reprimere la blasfemia. Ci rivolgiamo espressamente al Pakistan affinché invalidi la condanna della povera donna accusata dai suoi vicini.
Possiamo parlare ad oltranza, ma le belle parole non bastano. È necessario agire e chiarire a questi Stati che i nostri rapporti con loro dipendono dalla loro volontà di rispettare la libertà di coscienza.
Mario Mauro (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, Signor Commissario, voglio ringraziarla di cuore per il contenuto del suo intervento, perché lo scopo di questa nostra risoluzione è di garantire maggiore tutela delle minoranze religiose nell'interesse di tutti.
Voglio però con altrettanta franchezza, cordialità e amicizia, farle notare una cosa: se lei avrà la pazienza di rileggere il testo che ci ha già letto, si accorgerà che è riuscita a svolgere tutto il suo intervento senza mai citare l'aggettivo "cristiani". Questo è un fatto che mi ha colpito, perché nelle nostre istituzioni c'è effettivamente un imbarazzo, e in questo senso cadiamo nel gioco dei fondamentalisti che tendono a identificare la presenza dei cristiani in Medio Oriente e nelle altre parti del mondo esattamente con l'Occidente e con l'Europa.
I miei amici cristiani iracheni, i nostri amici cristiani palestinesi sono arabi, pensano in arabo, amano il loro paese, amano quella mentalità, amano la loro storia e la loro cultura. Allora le chiedo, Signora Alto Rappresentante, non dobbiamo forse farci un esame di coscienza radicale, molto forte, su come abbiamo approcciato questo tema finora, perché la nostra forza è chiamare le cose col loro nome.
Dobbiamo fare così, dobbiamo chiamare l'odio per gli ebrei antisemitismo, l'odio per i musulmani islamofobia e dobbiamo chiamare l'odio per i cristiani nel modo che merita, perché solo in questo modo riusciremo a coinvolgere tutte le persone che in quei paesi amano la giustizia e la libertà.
Le chiedo questo e le chiedo anche di essere concreta. Ora vareremo l'accordo sull'Iraq. Insieme ai principi di accordo commerciale, mettiamoci dentro regole certe, perché in cambio di diritti ci possano essere vantaggi economici. Facciamo cose concrete, facciamole nell'interesse di tutti, facciamole presto, facciamole bene, perché il mondo aspetta un segnale dall'Europa.
Richard Howitt (S&D). – (EN) Signor Presidente, desidero innanzi tutto ricordare le parole della Dichiarazione universale, che desidero citare: “la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti”. Si sostiene che la tutela di suddette libertà sia parte integrante e inseparabile dalla protezione dei diritti umani. La nostra determinazione nel difenderli non dovrebbe essere da meno.
Si afferma inoltre che è necessario agire contro qualunque forma di persecuzione religiosa, che rappresenta un problema per tutte le religioni ed in numerosi paesi inclusi – ammettiamolo – alcuni Stati della stessa Unione europea. Il Pew Centre afferma che il 70 per cento dei sei miliardi di individui al mondo vivono in paesi dove vigono gravi restrizioni sulla libertà di religione e sulle pratiche religiose.
Personalmente nutro la ferma convinzione che la religione possa essere una forza positiva, come accade nel caso del lavoro del Faith Council nella mia circoscrizione, nell’Est dell’Inghilterra, che promuove la comprensione reciproca, svolgendo lo stesso ruolo che spetta all’Unione europea sulla base del suo impegno in favore del dialogo, come si evince dalla nostra risoluzione. So che quando il predicatore d’odio Terry Jones, che aveva minacciato di bruciare il Corano, ha dichiarato che si sarebbe recato a Luton – nella mia circoscrizione – per fomentare l’odio religioso, gli è stato detto che non sarebbe stato il benvenuto.
La tolleranza, il dialogo, il rispetto reciproco e la comprensione sono, per alcuni, parte della propria fede. Per altri sono valori di diritto. In ogni caso sono da considerarsi dei valori e dovremmo promuoverli e rispettarli.
Marielle De Sarnez (ALDE). – (FR) Signor Presidente, il fanatismo che si rivolge contro la religione altrui è barbarico e deve essere condannato e contrastato da tutti quelli che credono nella democrazia. Questo il motivo per cui è realmente importante esprimere la nostra solidarietà oggi nei confronti di quanti sono oggetto di persecuzione nel mondo per la propria fede.
Le terribili uccisioni per mano di al-Qaeda in Iraq e in Egitto e le minacce formulate dai fondamentalisti islamici contro i cristiani d’Oriente si prefiggono, di fatto, un unico obiettivo: creare tensioni tra le religioni, alimentando l’odio, ponendo le comunità le une contro le altre e provocando uno scontro di civiltà. Questo tentativo di destabilizzazione fallirà in Europa, come sta accadendo in Francia, dove l’intera comunità musulmana ha naturalmente condannato immediatamente suddetti atti barbarici.
Oggi dobbiamo riaffermare solennemente il diritto di tutte le minoranze di praticare la propria religione liberamente e in condizioni di sicurezza ovunque nel mondo, Europa inclusa. Dobbiamo difendere il pluralismo religioso, la tolleranza e la comprensione reciproca sia qui in Europa che ovunque nel mondo. Ecco perché mi auguro che la rivoluzione democratica che si sta verificando in Tunisia coinvolgerà presto altri paesi, in modo che possano diffondersi i valori del rispetto, della tolleranza e del secolarismo.
Peter van Dalen (ECR). – (NL) Signor Presidente, Baronessa Ashton, la ringrazio molto per la sua presenza qui oggi. Non abbiamo forse già discusso molte volte qui in Parlamento della situazione dei cristiani in Somalia Sudan, Egitto, Siria, Turchia, Iraq, Iran, Afghanistan, Pakistan e Malaysia? Quest’Aula, il mio gruppo ed io stesso non abbiamo forse già posto molte domande in merito alla repressione sistematica dei cristiani in questi paesi islamici? Tenendo conto di tutto questo, ritengo che sia finito il tempo delle discussioni e delle dichiarazioni solenni; è tempo di agire.
Vorrei porre due domande specifiche alla Baronessa Ashton. Innanzi tutto sebbene il mandato del Servizio europeo per l’azione esterna andrebbe limitato, il Servizio deve assumersi un compito molto seriamente: deve difendere i cristiani che vengono perseguitati. Pertanto proporrei di stabilire una sezione specializzata in seno al Servizio che si occupi della questione.
In secondo luogo, l’Unione europea ha sottoscritto degli accordi bilaterali con tutti i paesi che ho citato. Congelate questi accordi, metteteli nel ghiaccio ogni giorno! Spremete i portafogli di questi governi fino a che non avranno dimostrato di avere incrementato le condizioni di sicurezza per i cristiani.
Sarei interessato a sentire la sua risposta a queste due questioni che ho sollevato.
Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL). – (FR) Signor Presidente, il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica non ha partecipato alla stesura della risoluzione in oggetto.
Chiaramente noi condanniamo qualunque atto di terrorismo, indipendentemente da chi siano i colpevoli e le vittime e dal luogo in cui si verificano. Tuttavia, i componenti del nostro gruppo credono fermamente nei principi secolari e nella società secolare e pertanto non possiamo che condannare la blasfemia. Crediamo dunque fermamente nella libertà di pensiero, libertà di coscienza e libertà di religione, che include anche la libertà di credere o non credere, di scegliere la propria religione e di praticarla liberamente, qualunque essa sia.
Crediamo inoltre pienamente nella separazione tra religione e politica e condanniamo la diffusione del fondamentalismo in Europa ed altrove, che rappresenta spesso una risposta al fermento sociale e all’incapacità delle politiche pubbliche di porvi rimedio.
Riteniamo che la presente risoluzione costituisca un passo nella direzione sbagliata. In breve vorrei dire che manca di equilibrio, specialmente in confronto con la mozione presentata dal mio gruppo. Pensiamo che la risoluzione in oggetto dia l’impressione che l’Europa cristiana, o comunque la comunità cristiana in Europa, stia correndo in aiuto dei cristiani nel mondo. Non riteniamo che questo sia il modo migliore per contrastare questi comportamenti sempre più settari.
Bastiaan Belder (EFD). – (NL) Signor Presidente, la risoluzione comune ha giustamente affrontato la questione delle aggressioni contro le minoranze religiose nella stessa Europa. Esattamente un mese fa uno studente ebreo nei Paesi Bassi, mio paese d’origine, ha scritto quanto segue: “Sono preoccupato, preoccupato per il paradosso intrinseco nella tutela della libertà di religione. Se qui non fossi più al sicuro e dovessi partire domani, dove potrei andare a vivere? Nel Regno Unito o in Francia? No, anche lì ci sono gli stessi problemi”. Mi chiedo se l’Europa non si stia indirizzando verso un futuro in cui non vi saranno comunità ebraiche in nessuno degli Stati membri. Si tratta di un banco di prova per i nostri valori spirituali europei.
Lo stesso dicasi dell’atteggiamento europeo nei confronti di un gruppo quasi dimenticato di cristiani nel Medio Oriente, la minoranza dei cristiani palestinesi nella Striscia di Gaza e nella Cisgiordania. Hanno il diritto di aspettarsi un sostegno concreto da parte dell’Unione europea, specialmente considerando che le organizzazioni cristiane si impegnano per fornire delle case ai bambini palestinesi disabili, indipendentemente dalla loro fede. I cristiani palestinesi si trovano ad affrontare grandi difficoltà nel mondo del lavoro, soprattutto gli imprenditori liberi professionisti, e di solito rimangono in silenzio rispetto ai loro problemi quotidiani, al fine di evitare problemi. Signora Alto rappresentante, faccia in modo che il Consiglio e la Commissione, che sono degli importanti donatori per la comunità palestinese, ascoltino anche i loro interessi e le loro voci.
Diane Dodds (NI). – (EN) Signor Presidente, sono lieta dell’opportunità di intervenire su una tematica che mi sta particolarmente a cuore. In quanto cristiana evangelica, mi appare ormai chiaro come, soprattutto negli ultimi anni, l’espressione delle diverse fedi cristiane sia generalmente considerata inaccettabile in un società che ci vuole immunizzare da qualunque convinzione profonda e in cui dobbiamo tutti credere nelle stesse cose o non credere in nulla.
Questo attacco alle convinzioni è particolarmente violento nei confronti del cristianesimo in certe regioni. Questo anno festeggiamo il quattrocentesimo anniversario della bibbia di re Giacomo, eppure oggi è spesso considerato illegale esprimere convinzioni che si basino sul contenuto della bibbia. Assistiamo ad una situazione in cui i cristiani vengono esclusi da alcune professioni a causa del loro credo e trascinati dinanzi ai tribunali per la loro fede. Nel Regno Unito le leggi sull’uguaglianza vengono utilizzate più come una spada che come uno scudo, per punire ogni espressione di fede cristiana.
La marginalizzazione del cristianesimo è stata recentemente illustrata dalla Commissione nella pubblicazione dell’agenda ufficiale, in cui sono state segnalate le festività musulmane, hindu, sikh, ebraiche e cinesi, ma non si è fatto alcun riferimento alle feste cristiane. Sono certa che non si sia trattato né di uno sbaglio, né tantomeno di una svista e trovo sia riprovevole. Mi rivolgo al Vicepresidente/Alto rappresentante perché affronti questa questione nel suo intervento.
La libertà di espressione religiosa è un diritto fondamentale nelle società che andrebbe tutelato e la presente discussione non è che un flebile riconoscimento del problema. Non dovremmo evitare l’argomento solo perché sono i cristiani ad essere perseguitati….
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Ernst Strasser (PPE). – (DE) Signor Presidente, Baronessa Ashton, desidero ringraziarla per le sue dichiarazioni che, oltre ad essere tempestive, lanciano anche segnali incoraggianti rispetto all’approccio di base assunto da lei e dalla sua organizzazione dinanzi a questo problema, per quanto riguarda la cooperazione con altri paesi e le misure da prendere. La discussione odierna è inoltre necessaria, non solo in considerazione dei recenti eventi ma anche perché la libertà di religione è uno dei nostri valori fondamentali, nonché parte dell’identità europea.
La discussione è importante dal momento che episodi di discriminazione, violenza e persecuzione stanno avendo luogo in molti paesi al mondo ed è preoccupante che le persone uccise da atti di violenza con motivazioni religiose siano per lo più cristiane. Esprimiamo cordoglio per le persone uccise, ferite o torturate in attacchi di questo tipo e solidarietà nei confronti delle loro famiglie e dei loro amici. Dobbiamo fare quanto in nostro potere per ridurre o persino abolire queste forme di intolleranza.
Sfortunatamente stiamo anche assistendo a forme di discriminazione contro i cristiani da parte di enti ufficiali e dobbiamo impegnarci al massimo per contrastare tali episodi ed evitare che si ripetano. Dobbiamo adoperarci per garantire il diritto alla libertà religiosa, che deve essere la base delle nostre relazioni bilaterali. Abbiamo bisogno di strumenti efficaci che ci permettano di proteggere i cristiani e tutelare la libertà religiosa. Pertanto, accolgo con favore l’introduzione del diritto umano della libertà religiosa tra i punti all’ordine del giorno di ogni incontro bilaterale.
È inoltre necessario includere delle disposizioni che garantiscano la libertà religiosa nei nostri accordi con i paesi terzi e apprezzo la sua intenzione di destinare un capitolo della relazione annuale sui diritti dell’uomo dell’Unione europea alla situazione di suddetta libertà.
Guido Milana (S&D). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, Signora Alto Rappresentante, è importante che la condanna di questi attacchi e la richiesta di misure concrete ed urgenti per la protezione dei cristiani nel mondo siano collegate alla più generale domanda di rispetto della libertà di religione e della libertà di coscienza e di pensiero.
Non vi è alcuna differenza tra chi è ucciso mentre assiste ad una messa e chi subisce una condanna a morte per adulterio o perché parte di una minoranza musulmana, cristiana o ebrea, o in virtù del fatto che si è nati in quel luogo e non perché si pratica una religione. Il diritto alla libertà e alla convivenza è universalmente riconosciuto dalla cultura umanistica e dalle convenzioni internazionali. Al contrario, si assiste ad una divisione del mondo tra chi difende i diritti umani e chi li vuole spegnere con brutalità.
Solo una visione aperta al dialogo e contro ogni forma di intolleranza può offrire la base per la difesa di identità e di valori, il cui mancato rispetto provoca anche forme di esodo di intere comunità dai loro luoghi storici di residenza. In questa direzione c'è un grande lavoro da fare da parte dell'Europa, sia sul piano politico e diplomatico sia culturale e sociale. Oggi chiediamo con forza al Consiglio e alla Commissione, soprattutto all'Alto Rappresentante per gli affari esteri, di adottare chiare linee guida nella relazione con i paesi terzi nell'ambito del nuovo servizio esterno.
Anche gli accordi bilaterali devono porre maggiore attenzione ai temi della libertà religiosa e, più in generale, ai diritti umani, il cui mancato rispetto sia motivo di messa in mora di questi accordi. Penso, tra l'altro, all'avvio di un protagonismo europeo sul dialogo interreligioso, la cui assenza spesso supera i singoli incidenti e prende la strada di vere e proprie guerre dove la religione copre ragioni più complesse dei conflitti.
Dobbiamo infine guardare anche in casa nostra: in Europa non mancano episodi di intolleranza. Le nostre città vivono la condizione oggettiva di multiculturalità che porta con sé tradizioni e valori religiosi che devono essere rispettati ed ai quali va garantita la libertà di espressione.
Non c'è alternativa, dunque, al dialogo e al rispetto reciproco. È importare ribadire l'appello delle comunità religiose.
(Il Presidente interrompe l'oratore)
Niccolò Rinaldi (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, Signora Alto Rappresentante, il destino dei cristiani di oriente cambia la mappa delle culture, con comunità millenarie – "copto" vuol dire "egiziano" in greco – che ormai vedono nell'emigrazione oltre oceano la salvezza alle violenze subite. Però non si compia l'errore, da parte dei media o di partiti xenofobi, di evocare lo scontro tra religioni, lo scontro tra civiltà.
Anni fa – evoco un piccolo episodio che trovo significativo – al Cairo, un anziano contadino che tre volte la settimana ci portava a casa il latte, si presentò alla porta piangendo. Non si riuscì a capire cosa volesse, diceva solo fra le lacrime "Said Akbar", "Said Akbar", il vecchio grande, il vecchio grande, e finalmente capimmo che esprimeva ai suoi clienti cristiani il suo dolore per la morte di Karol Wojtyla che era scomparso in quei giorni. Era un uomo semplice, sincero, un musulmano che interpretava pienamente l'antico rispetto reciproco dei popoli mediterranei. Questo piccolo ma significativo episodio, termometro di valori diffusi della società egiziana, è accaduto nello stesso paese dove i copti sono stati massacrati a Natale.
Oggi, però, le comunità cristiane d'oriente hanno bisogno di protezione. A volte ostaggio di un regolamento di conti tra terroristi e fondamentalisti e poteri autoritari. La politica estera europea non sia impotente mentre il mondo cambia, non abbia paura di pronunciare la parola…
(Il Presidente interrompe l'oratore).
Marina Yannakoudakis (ECR). – (EN) Signor Presidente, la tolleranza nei confronti del credo altrui è un tratto distintivo di una società civilizzata. I terribili eventi verificatisi in Egitto ed in Iraq contravvengono ai diritti umani e ai principi basilari della libertà di pensiero e di espressione. Nessuno dovrebbe essere perseguitato a causa della propria fede religiosa. Qualunque azione volta a limitare la libertà dei cristiani o di qualunque altro credente nel praticare la propria religione è assolutamente inaccettabile nella nostra società.
Eppure, prima di avanzare critiche, dovremmo regolarizzare la situazione a casa nostra. Lo scorso mese è stato vietato lo svolgimento di servizi religiosi cristiani nella cittadina occupata di Rizokarpaso a Cipro. Come ben sappiamo, lo Stato membro dell’Unione europea della Repubblica di Cipro è, ormai da 36 anni, parzialmente occupato dalla Turchia. L’ingresso delle forze di occupazione turche in una chiesa, costringendo il prete a interrompere il servizio e obbligando i presenti ad andare via è inaccettabile. L’incidente è adesso al vaglio delle Nazioni Unite.
Pertanto, dal momento che parliamo della situazione nei paesi al di fuori dell’Unione europea e della libertà dei cristiani, desidero ricordare a quest’Aula che è innanzi tutto necessario intervenire in casa nostra. Non possiamo accettare alcuna forma di discriminazione all’interno della nostra istituzione se vogliamo essere credibili in un contesto più ampio.
Cornelis de Jong (GUE/NGL). – (NL) Signor Presidente, Baronessa Ashton, la libertà di religione o di credo tutela sia le convinzioni religiose sia quelle non teiste, ateismo incluso. Queste diverse posizioni possono essere incompatibili le une con le altre e pertanto i governi hanno l’obbligo di promuovere la tolleranza e difendere quanti sono oggetto di discriminazioni e violenze a causa del loro credo.
Sostengo pienamente la risoluzione comune, nella sua versione attuale, non perché ritengo che il nostro intervento dovrebbe concentrarsi unicamente sui cristiani, bensì perché sono i cristiani che al momento devono confrontarsi con atteggiamenti di intolleranza in un numero crescente di paesi. Avrei comunque agito in egual modo se si fosse trattato di una qualsiasi altra religione.
L’IIES necessità di risorse ingenti in questo ambito. Ho ricoperto io stesso un simile ruolo al ministero olandese per gli affari esteri. Operare nel campo delle violazioni dei diritti umani, delle tensioni e dei conflitti basati sulla religione o sul credo richiede molto personale e impegno, che sono inoltre alla base di ogni nostro tentativo per alimentare il dialogo e la tolleranza.
Mi auguro quindi, signora Alto rappresentante, che raccoglierà il nostro suggerimento di aumentare il personale preposto a queste attività.
Mario Borghezio (EFD). – – Signor Presidente, onorevoli colleghi, signora Vicepresidente/Alto rappresentante, nel relativismo imperante della politica europea c'è una parola tabù, la "cristianofobia", eppure, da molti anni arrivano da fonti sicure e indubitabili le notizie gravi e spesso tragiche della persecuzione dei cristiani in vari continenti.
L'Europa si deve svegliare, deve aprire gli occhi, e compiere fatti concreti, lanciare messaggi chiari, per esempio quello che ci attendevamo dalla signora Ashton, che poteva per esempio riprendere e citare le parole ispirate di Papa Benedetto che pochi giorni fa, nella giornata della pace, ha ricordato che la negazione della libertà religiosa è offesa a Dio e alla dignità umana, è una minaccia alla sicurezza e alla pace.
E poi, fatti concreti. Cosa si aspetta – come io ho chiesto immediatamente – per mandare una commissione a verificare la condizione dei nostri fratelli cristiani copti in Egitto, paese ufficialmente moderato dove non hanno praticamente nessuno dei diritti umani fondamentali, nemmeno nelle cariche pubbliche, nelle carriere pubbliche.
Europa svegliati, Europa vile, ricordati delle tue radici cristiane!
PRESIDENZA DELL’ON. ROUČEK Vicepresidente
Jaime Mayor Oreja (PPE). – (ES) Signor Presidente, gli attacchi che si sono verificati di recente in Iraq e in Egitto sono prova di due tragedie che, sebbene di natura diversa, colpiscono entrambe l’Europa. Innanzi tutto il fatto stesso che eventi di questo tipo abbiano luogo è di per sé tragico, vista la loro violenza e la perdita di vite umane.
In secondo luogo è drammatico costatare quanto spesso questi eventi passino sotto silenzio nelle nostre società. In molti casi ci comportiamo in modo tale da classificare questi eventi al pari di incidenti o di rapporti sulla criminalità forniti dai mezzi di comunicazione, come se fossero dunque esterni e non un attacco rivolto contro di noi. È come se accadessero da un’altra parte mentre, in realtà, questi attacchi si verificano proprio al cuore e contro l’anima della nostra civilizzazione, la nostra Europa.
Il ruolo delle istituzioni europee è, sostanzialmente, sensibilizzare l’opinione pubblica relativamente alla serietà, la rilevanza e la portata degli attacchi a danno dei cristiani in questi luoghi. Le istituzioni europee non dovrebbero limitarsi a produrre dichiarazioni generiche volte a condannare questi attacchi, ma dovrebbero anche promuovere un interveto su due fronti: innanzi tutto garantire che queste tragedie ricevano una maggiore visibilità nelle nostre società e, in secondo luogo, garantire che le istituzioni europee sia maggiormente presenti nei luoghi in cui queste tragedie si verificano.
Tenendo a mente questo obiettivo e questi due fronti di intervento vorrei aggiungere, Baronessa Ashton, che lei e le istituzioni europee dovete rendere noto il ruolo importante delle vittime di questi eventi, vittime che devono avere un volto ed essere presenti nelle nostre istituzioni europee. Dobbiamo definire un programma di visite, incontri e azioni per sostenere concretamente le vittime, anche se sono proprio queste ultime che saranno in grado di perorare la propria causa meglio di come non potremmo fare noi.
Kyriakos Mavronikolas (S&D). – (EL) Signor Presidente, in quanto socialisti crediamo nei diritti umani e ovviamente crediamo nei diritti legati alla sfera religiosa. Come ha correttamente dichiarato precedentemente l’onorevole Swoboda, a noi non interessa solo la religione cristiana, bensì i diritti legati a tutte le religioni, il diritto a professare la propria fede e, ancor più importante, la comprensione tra tutte le diverse religioni ed il rispetto della fede di ogni cittadino.
Tuttavia, alla luce delle mie origini, desidero commentare un incidente particolare verificatosi a Cipro e a cui si fa riferimento nella relazione. Le forze di occupazione turche sono intervenute in una chiesa, nella quale da decenni si svolgono funzioni cristiane, per interrompere il servizio e, cosa ancor più grave, far uscire i presenti e costringere il prete a svestire i paramenti. La particolarità di questo specifico episodio è che sfortunatamente – o fortunatamente, dal momento che ci fornisce l’opportunità di unire le nostre forze e risolvere il problema – si è verificato sul territorio europeo.
Frédérique Ries (ALDE). – (FR) –Signor Presidente, Baronessa Ashton, il massacro barbarico del 31 dicembre ad Alessandria è preceduto da una lunga serie di attacchi omicidi contro i cristiani in molte parti del mondo: in Iran, Iraq, Pakistan, Nigeria e più recentemente in Egitto. Le principali vittime della persecuzione – dobbiamo avere il coraggio di utilizzare questa parola, sebbene non sia stata adoperata nella risoluzione – sono stati i cristiani d’Oriente. Si tratta di un problema radicato nel profondo e le azioni spinte dalla cristofobia sono ormai una realtà.
La soluzione che l’Unione europea deve fornire – che noi dobbiamo fornire – deve rendere giustizia a questa minoranza cristiana. Si tratta di 12 milioni di persone che hanno bisogno di protezione e che devono potere avere un’alternativa diversa dalla fuga o dalla morte. Come già ripetuto più volte oggi, non dobbiamo stigmatizzare una religione più di un’altra, ma semplicemente evidenziare quanto sia fondamentale contrastare questi estremisti islamici che stanno soffocando la libertà ed uccidendo degli innocenti.
Ci auguriamo, Baronessa Ashton, che durante l’incontro dei ministri degli esteri alla fine di questo mese, si definiranno una risposta ed una strategia coordinate per combattere gli episodi di violenza contro i cristiani d’Oriente. Ritengo sia importante esercitare pressione, ad esempio tramite gli accordi di associazione che abbiamo stipulato con alcuni paesi, e fare appello ai vari governi in modo che perseguano i colpevoli e li consegnino alla giustizia. Questi punti sono menzionati nel secondo paragrafo della risoluzione.
La libertà di culto deve essere una realtà in ogni luogo del mondo, così come ogni individuo è libero di credere o non credere poiché, se si attenta a questa libertà, che permette di distinguere le religioni dallo Stato, allora si mettono in pericolo tutte le nostre libertà.
Tomasz Piotr Poręba (ECR). – (PL) Signor Presidente, le vittime di almeno il 75 per cento di tutti i casi di persecuzione religiosa al mondo sono cristiani. L’Unione europea non può essere un osservatore inerte e non può restare a guardare senza fare nulla. Il dibattito odierno serve non solo per ricordare all’Europa che deve partecipare alla lotta globale volta a garantire il rispetto del diritto alla libertà religiosa, ma anche che dovremmo tutti dare piena considerazione agli strumenti che l’Unione europea può utilizzare per prevenire, in futuro, la persecuzione dei cristiani.
Cosa possiamo fare? Dal mio punto di vista, dovremmo innanzi tutto garantire che il rispetto per la libertà religiosa sia una delle priorità della politica esterna dell’unione Europea. Quando sottoscriviamo degli accordi con altri paesi, è importante garantire che vengano incluse delle disposizioni volte a prevenire, all’interno del paese in questione, la persecuzione basata su motivi religiosi.
In secondo luogo, dobbiamo considerare l’eventualità di istituire un centro europeo per verificare possibili casi di persecuzione nel mondo, per raccogliere informazioni pertinenti senza ritardi, permettendo così all’Unione di reagire rapidamente.
In terzo luogo, infine, dovremmo porre fine alla nostra politica dei due pesi e due misure. L’Unione europea e l’Europa più in generale si stanno aprendo agli immigrati provenenti da diversi paesi nel mondo. Stiamo consentendo che vengano costruiti dei luoghi di culto, permettendo loro di praticare la propria religione. Al contempo, tuttavia, difendiamo molto raramente i diritti dei cristiani all’interno di questi stessi paesi, dove possedere una bibbia è spesso considerato un reato punibile con diversi anni di detenzione e, in alcuni casi, addirittura con la morte; paesi dove non sarebbe difficile costruire un luogo di culto cristiano, sarebbe semplicemente impossibile.
È giunto il momento, oggi, di difendere con convinzione e risolutezza, i diritti dei cristiani nel mondo. Oggi, è giunto il momento di richiedere espressamente che i cristiani e i credenti di altre religioni possano essere liberi di praticare il proprio credo.
Francisco José Millán Mon (PPE). – (ES) Signor Presidente, il presente dibattito è necessario in considerazione dei recenti gravi eventi che hanno attentato alla libertà religiosa e perfino alle vite dei cristiani. Faccio riferimento nello specifico a quanto accaduto principalmente in Pakistan, Iraq, Nigeria ed Egitto.
L’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo definisce nel dettaglio la libertà di religione o libertà religiosa. Ciononostante, sfortunatamente, si tratta di un diritto poco rispettato in alcuni paesi. Stiamo addirittura costatando che quanti professano la fede cristiana possono pagare con la propria vita questa scelta.
Baronessa Ashton, l’Unione europea deve difendere con coraggio il diritto alla libertà religiosa in generale, includendolo esplicitamente nelle sue azioni esterne e pretendendo il rispetto, la libertà e la sicurezza per i gruppi religiosi più perseguitati al mondo, ovvero la comunità cristiana. Dobbiamo richiedere che tutti i governi coinvolti facciano quanto è necessario per prevenire questi attacchi e, laddove non sia possibile, arrestino e puniscano i responsabili.
Onorevoli deputati, Baronessa Ashton, la libertà è simbolo dell’identità europea, il che include la libertà religiosa, che è parte dei diritti umani di base. Suddetta libertà rappresenta anche un cammino verso la pace, come dichiarato da Papa Benedetto XVI nel suo messaggio del 1 gennaio. Vorrei inoltre sottolineare il ruolo essenziale della cristianità nel plasmare l’identità europea. Sarebbe dunque un triste paradosso che l’Unione europea non richiedesse con la massima fermezza che i diritti basilari dei cristiani vengano rispettati in tutto il mondo e non contribuisse, laddove possibile, a che ciò avvenga.
La risoluzione del Parlamento europeo definisce i metodi per difendere al meglio la libertà religiosa in generale e la libertà dei cristiani nel particolare. Accolgo con favore il fatto che il prossimo Consiglio “Affari esteri” si occuperà da vicino delle suddette questioni e – mi appresto a concludere, signor Presidente – che il prossimo Consiglio europeo del 14 febbraio esprimerà la propria opinione su questi gravi eventi, come già fatto ad esempio dal Presidente Sarkozy.
Mitro Repo (S&D). – (FI) Signor Presidente, Baronessa Ashton, la credibilità dell’Unione europea, relativamente alla politica estera, si misura sulla sua capacità di tener fede ai valori fondamentali, ovvero i diritti umani, la democrazia, il principio della legalità e la libertà religiosa.
Il sistema giuridico egiziano rischia di rimanere all’ombra della legge della Sharia, le cui vittime sono proprio i cristiani copti. La Conferenza delle chiese europee invoca il dialogo in Europa tra cristiani e musulmani. Il dialogo religioso europeo, la tradizione culturale della religione e la tradizione dell’istruzione religiosa sono risorse a cui la politica europea può ricorrere.
Il cristianesimo e le altre religioni sono spinte dal pacifismo, come lo è l’Unione europea. Quando si sviluppano al meglio, le religioni uniscono le persone e non le dividono. Non possiamo lasciare che i terroristi utilizzino la religione come uno strumento di violenza.
Zbigniew Ziobro (ECR). – (PL) Signor Presidente, secondo le organizzazioni che monitorano le persecuzioni religiose, ogni giorno, 200 milioni di cristiani rischiano di essere vittima di persecuzioni. Negli ultimi due anni, più di 170 000 persone sono morte per il semplice fatto di essere di fede cristiana, per quanto sia difficile da credere. Queste cifre provengono da organizzazioni che hanno il compito di monitorare i casi di persecuzione di cristiani e rivelano che effettivamente i cristiani sono i più colpiti quando si parla di persecuzioni religiose e dovremmo ricordarcene qui in Parlamento. La situazione è particolarmente tesa in buona parte dei paesi islamici, dove i cristiani vengono trattati come cittadini di secondo livello.
L’Europa non può tollerare oltre questa situazione e non solo in virtù delle sue radici cristiane. Stanno morendo degli innocenti, uccisi unicamente perché praticano una religione invece che un’altra. L’Unione europea non reagisce in modo sufficientemente deciso agli attacchi e alla discriminazione contro i cristiani. La persecuzione dei cristiani deve essere un tema affrontato durante i negoziati e le relazioni bilaterali tra l’Unione europea e quei paesi in cui si verificano eventi così estremi e terribili. Il Parlamento dovrebbe inoltre invitare la Baronessa Ashton a essere più proattiva e risoluta nelle sue azioni. .
Gay Mitchell (PPE). – (EN) Signor Presidente, apprezzo molto il presente dibattito e sostengo pienamente la risoluzione, che desidero inoltre patrocinare. Ritengo che vi sia un gigante che prima dormiva e che adesso si sta svegliando a causa delle violenze gratuite e feroci a danno dei cristiani. Se tali violenze e abusi venissero perpetrati a danno delle comunità musulmane o ebraiche sarei ugualmente preoccupato. L’Europa è un mosaico, il cui motto sono unità e diversità.
Eppure a Cipro, il governo turco e i suoi rappresentanti ritengono sia opportuno pretendere che i cristiani chiedano il permesso per pregare e scacciarli da una chiesa se ritengono di farlo collettivamente. È stato contattato il rappresentante turco all’Unione europea? Se non è così, perché? Vorrei esprimere il mio apprezzamento nei confronti di quei musulmani che hanno sostenuto i propri vicini cristiani sotto attacco. Non trasformiamo dunque il tutto in una mozione contro qualcuno. È piuttosto in favore dei cristiani e di quanti vengono attaccati.
Non sostengo e non posso accettare alcuna forma di violenza contro individui o intere comunità sulla base del credo religioso. Questo dibattito riguarda i cristiani; sono in troppi ad aspettarsi che i cristiani accettino qualunque vecchio commento. Lo considerano un anacronismo. È giunto il momento di dimostrare rispetto reciproco. Io rispetto i deputati di quest’Aula che non hanno alcuna fede religiosa o che comunque credono in religioni diverse dalla mia. È ora che gli eurodeputati comincino a dimostrare rispetto per quanti credono nella religione cristiana; la nostra unità risiede nella diversità.
Maria Eleni Koppa (S&D). – (EL) Signor Presidente, il numero di episodi di violenza per motivi religiosi si è moltiplicato recentemente in tutto il mondo, rappresentando una fonte di preoccupazione e indignazione. Vietare l’esercizio della propria fede è una palese violazione dei diritti fondamentali e del diritto internazionale, che sancisce che il diritto alla fede è inalienabile ed evidente.
L’interruzione da parte delle forze di occupazione del servizio cristiano a Rizokarpaso, nella parte occupata di Cipro, e il bombardamento nella chiesa cristiana ad Alessandria utilizzata dalla comunità copta sono solo due esempi delle crescenti tensioni e dell’odio religioso che si stanno sviluppando in diversi luoghi non lontani dall’Europa.
L’Unione europea deve sviluppare un insieme di strumenti che proteggano nella pratica i diritti di ogni credo religioso. L’Unione europea non tollererà questi comportamenti e questo messaggio deve essere lanciato in modo chiaro e deciso. Desidero fare appello all’Alto rappresentante affinché contempli, tra le sue priorità, una valutazione della situazione della libertà di espressione religiosa. Infine, sarebbe bene includere la protezione della fede religiosa in tutte le discussioni con i paesi terzi a livello del Consiglio e della Commissione europea.
Mirosław Piotrowski (ECR). – (PL) Signor Presidente, il cristianesimo è sempre stato un tratto caratterizzante dell’identità europea da cui derivano i valori dell’Unione europea. L’UE, pertanto, non può restare a guardare mentre i cristiani vengono perseguitati, anche in altre parti del mondo. Nei paesi arabi ed asiatici i cristiani sono la minoranza religiosa più in pericolo, come confermato dai recenti attacchi a danno dei cristiani in Egitto e in Iraq e dai precedenti attacchi in India, le cui vittime sono anche stati bambini piccoli. Disponiamo di diversi strumenti per prevenire e denunciare attacchi di questo genere e l’Unione europea deve assolutamente condannare ogni atto di violenza contro i cristiani. Uno degli interventi più efficaci sarebbe che la stipula di accordi con l’UE, ad esempio gli accordi commerciali con paesi terzi, dipendesse dalla garanzia che i paesi interessati rispettino i diritti dei cristiani, e che si includessero delle clausole che prevedano la scissione degli accordi qualora questi diritti vengano violati.
Doris Pack (PPE). – (DE) Signor Presidente, Baronessa Ashton, nel 2009 abbiamo incoraggiato il dialogo interculturale in Europa tra cristiani e musulmani, cristiani ortodossi e cattolici e tra cristiani protestanti ed ortodossi. Abbiamo cercato di accrescere la fiducia all’interno della nostra comunità. Stiamo intervenendo al nostro interno. Di certo abbiamo delle opinioni e non ci manca il coraggio di esprimerle mentre, a volte, è evidente che questo coraggio viene meno. Ho recentemente letto e sentito che la Commissione europea ha pubblicato un calendario per i giovani che include i giorni festivi di tutte le religioni fatta eccezione per il cristianesimo. Episodi del genere non potranno che incoraggiare quanti, in Egitto e altrove, continuano a compiere atti deprecabili.
Abbiamo l’obbligo di aiutare i cristiani in quei paesi già menzionati più volte oggi. La maggior parte vive in paesi quali la Palestina, l’Egitto, l’Iraq e l’Iran, che sono la culla del cristianesimo. Non possiamo permettere che queste persone vengano scacciate dalle proprie abitazioni. Non si tratta di minoranze, bensì di egiziani e palestinesi – come tutti gli altri residenti dei paesi in questione – che desiderano continuare a vivere lì, ma vengono ostacolati in questo loro desiderio. Dobbiamo sostenere la Baronessa Ashton e impegnarci per garantire che l’Unione europea includa una garanzia per la libertà di religione in tutti i trattati che stipula e specialmente con i paesi a cui abbiamo fatto riferimento. Dobbiamo assicurarci che nessuno venga obbligato ad abbandonare il proprio paese per motivi di natura religiosa.
Ria Oomen-Ruijten (PPE). – (NL) Signor Presidente, quando considero la situazione a Baghdad e ad Alessandria, ho l’impressione che si sia tornati indietro di 500 anni. Allora nei Paesi Bassi eravamo nel pieno di una guerra civile (Hoekse en Kabeljauwse twisten), durante la quale i protestanti ed i cattolici si scontrarono violentemente. Signor Presidente, non vi è più spazio per scontri di questo tipo nella moderna società europea. Quando guardo a Baghdad e ad Alessandria, tuttavia, vedo semplicemente l’espressione grossolana di una vita che freme sotto la superficie in molti paesi.
Per questo motivo il mio messaggio è che nel quadro del dialogo culturale e delle libertà che abbiamo definito insieme, l’Unione europea deve assegnare alla libertà di religione la massima importanza in ogni trattato che adotta, in ogni paese con il quale interagisce e in ogni relazione che redige, come io stessa ho evidenziato nella relazione sulla Turchia. Questo significa – sebbene l’onorevole Pack non vi abbia fatto riferimento – che queste libertà devono essere reciproche e che la libertà di religione deve essere rispettata anche in quei paesi in cui l’Islam non è la religione di maggioranza.
Signor Presidente, ritengo che l’intolleranza e la violenza a cui abbiamo assistito non siano accettabili e che sia necessario favorire il dialogo tra le fazioni contrapposte. Mi rivolgo pertanto alla Baronessa Ashton affinché si assicuri, con la collaborazione dei suoi servizi diplomatici, che vi sia la più totale coerenza nel trattare il tema della libertà di religione in ogni comunicazione con le autorità di tutti questi paesi. Potrà fare affidamento sul sostegno del Parlamento al riguardo.
Eleni Theocharous (PPE). – (EL) Signor Presidente, la persecuzione ed il massacro dei cristiani nel Medio Oriente è solitamente opera di organizzazioni di fanatici e terroristi. La persecuzione dei cristiani greco-ciprioti nella parte occupata di Cipro è opera dell’esercito di un paese che ambisce a diventare membro dell’Unione europea.
Ho qui in mano una lettera del sedicente “ambasciatore della Repubblica turca di Cipro del Nord” a Bruxelles – un’entità che esiste unicamente sulla base della forza dell’esercito di occupazione turco – in cui tenta di mettermi in ridicolo mentre, al contempo, ammette che la cerimonia a Rizokarpaso è stata interrotta poiché i cristiano greco-ciprioti non avevano ottenuto il permesso.
Baronessa Ashton, da quando è necessario un permesso per praticare la propria religione? Per quanto continuerà a tollerare violazioni talmente palesi dei diritti umani e della libertà di religione dei cittadini europei da parte di un paese che ambisce a diventare membro dell’Unione europea?
Miroslav Mikolášik (PPE). – (SK) Signor Presidente, Baronessa Ashton, desidero rivolgermi a lei e farle un appello accorato, dal momento che è inaccettabile che i cristiani nel Medio Oriente continuino ad essere il bersaglio di attacchi così crudeli.
Iraq, Iran, Egitto, Nigeria, Turchia e Pakistan: questi paesi sono stati per secoli la casa di cristiani, che non desiderano andarsene. È sconcertante che gli ecclesiastici islamici promuovano sentimenti anti-cristiani nei discorsi rivolti ai loro fedeli. Nell’Iraq del Nord, le persone hanno paura di addobbare le proprie abitazioni. A Baghdad, persone armate hanno compiuto delle irruzioni, sparando a 52 persone e ferendone 200.
A dicembre abbiamo avuto modo di incontrare i vescovi iracheni, in visita al Parlamento europeo, che hanno sottolineato di aver bisogno del sostegno da parte nostra e della comunità internazionale affinché degli innocenti non vengano uccisi a causa del loro credo religioso. A che punto siamo arrivati?
In questo contesto, desidero fare riferimento alla Turchia, che si sta impegnando sul fronte dell’integrazione europea mentre, parallelamente, proibisce l’istituzione di società o congregazioni religiose cristiane. Permettiamo la costruzione di minareti in Europa, ma non veniamo ricambiati in alcun modo.
Vorrei anche sapere dove sono tutti i difensori dei diritti umani e dei diritti degli animali e così via. A volte mi chiedo se non sarebbe il caso di istituire un gruppo per la protezione dei cristiani nel mondo.
Peter Šťastný (PPE). – (EN) Signor Presidente, è profondamente preoccupante costatare un aumento nel numero di attacchi violenti e crudeli a danno dei cristiani e delle loro comunità. I responsabili sono per lo più estremisti islamici fanatici. Si tratta di odio allo stato puro a cui dobbiamo assolutamente porre la parola fine.
L’UE e le sue istituzioni, inclusa quest’Aula, devono esercitare maggiore pressione sui governi dei paesi in cui si verificano questi incidenti, specialmente ne caso in cui gli Stati abbiano politiche deboli o chiudano gli occhi dinanzi a episodi di questo genere.
Qui noi valorizziamo e tuteliamo ogni singola vita, puniamo severamente chiunque metta a repentaglio la vita umana e la punizione è ancora più rigida se gli attacchi vengono perpetrati contro una minoranza e alimentati dall’odio. Dobbiamo insistere affinché tutti i paesi forniscano forme analoghe di tutela della vita umana e puniscano severamente chiunque si macchi di crimini odiosi e dobbiamo fornire assistenza ai paesi coinvolti.
Sappiamo tutti cosa potrebbe accadere se non intervenissimo e se non arrestassimo l’attuale tendenza crescente. Il mondo civilizzato deve quindi impegnarsi al massimo delle proprie capacità per invertire questa pericolosa tendenza.
Sari Essayah (PPE). – (FI) Signor Presidente, Commissario, non voglio in alcun modo sottovalutare la pressione sulle altre religioni, ma i dati statistici sono eloquenti: il 75 per cento delle persone minacciate o uccise per motivi religiosi è di fede cristiana e circa 100 milioni di cristiani al mondo sono vittima di persecuzioni e violenza a causa del loro credo.
Recentemente la situazione si è particolarmente aggravata nel Medio Oriente, come è già stato ripetuto oggi. Attacchi durante cerimonie religiose in Iraq, Egitto e Siria hanno causato la morte di decine di persone, bambini inclusi. Le sfide non mancano anche in altre parti del mondo. La crescita economica esponenziale in alcuni paesi asiatici nasconde gravi violazioni dei diritti umani fondamentali. In Cina, India e Vietnam, ad esempio, la libertà di religione è sostanzialmente riconosciuta solo su carta. Dobbiamo riconoscere che l’UE e i suoi Stati membri stanno chiudendo gli occhi dinanzi a quanto accade, ad esempio con la scusa delle relazioni commerciali.
Ciononostante, se lo volesse, l’UE potrebbe fare molto di più per migliorare la situazione dei cristiani e promuovere la libertà di religione nel mondo, insistendo ad esempio sulla clausola relativa alla libertà di religione in tutti gli accordi stipulati con paesi terzi. Per questo motivo, desidero chiederle, Commissario, se la sua intenzione per il futuro sia di insistere su questa clausola e, oltretutto, verificarne l’applicazione.
Il tiepido atteggiamento europeo è in parte attribuibile al fatto che noi stessi stiamo perdendo i nostri vecchi valori. Vogliamo confinare la religione ad uno spazio privato, come si evince ad esempio dal dibattito sul crocifisso che si è tenuto in Italia. Analogamente, l’onorevole Pack ha citato il calendario pubblicato dalla Commissione, dal quale sono state omesse per intero le festività cristiane. Il secolarismo non è la risposta a questi problemi. La risposta risiede nel rispetto di coloro che hanno opinioni diverse dalle nostre e delle convinzioni altrui.
Traian Ungureanu (PPE). – (EN) Signor Presidente, la condizione dei cristiani nel Medio Oriente, in Asia e in Africa non è un caso. Non si tratta di una serie di attacchi deprecabili ma comunque non coordinati. Al contrario, si può parlare di persecuzione di massa. I cristiani sono oggetto di intimidazioni, vengono sfrattati o uccisi con un obiettivo preciso: la pulizia religiosa. Quanto detto si sta verificando proprio adesso, mentre noi europei facciamo di tutto per tenere conto delle infinite sensibilità dei credenti musulmani. Il risultato è che l’Europa è piena di moschee mentre dal Medio Oriente si cacciano i cristiani.
Ma non è una questione di numeri, quanto di libertà e di identità. Anche per chi tra noi non è credente, il cristianesimo dovrebbe essere molto di più che una setta dimenticata, esotica e in via di estinzione. Siamo liberi di credere o meno, ma non siamo liberi di assistere alla violazione delle nostre libertà.
Dovremmo pertanto rendere la libertà religiosa una precondizione nei nostri rapporti con gli stati sovrani. Questo approccio andrebbe trasformato in legge e divenire parte del mandato del’Alto rappresentante.
Tunne Kelam (PPE). – (EN) Signor Presidente, desidero comunicare all’Alto rappresentante che in queste condizioni le condanne e le dichiarazioni non bastano. Gli attacchi contro le comunità cristiane si sono drammaticamente intensificati, specialmente nei paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. È difficile trovare uno Stato in cui i cristiani possano vivere come una normale minoranza e, aspetto centrale, possano proclamare liberamente la propria fede.
Le persone che hanno da poco abbracciato la fede cristiana corrono il rischio di venire uccisi. Non stiamo parlando di nuove minoranze; i cristiani sono tra i più antichi abitanti di queste terre. Oggi vengono sempre più spesso costretti ad abbandonare i propri paesi, costretti a vivere in ghetti o a diventare rifugiati interni, come nel caso dell’Iraq. Pertanto, è impellente formulare una strategia UE sulla libertà religiosa e prevedere un insieme di misure concrete contro quegli Stati che si rivelano sistematicamente incapaci di proteggere le minoranze religiose.
Desidero fare inoltre riferimento alla proposta avanzata dall’onorevole Mayor Oreja di comporre una lista di vittime con cui i servizi esterni dell’UE possano mantenersi in contatto. Non si tratta di contrapporre le diverse religioni, quanto di garantire che esistano effettivamente le stesse opportunità, poiché costruire una chiesa cristiana ad Alessandria o Ankara deve essere facile quanto lo è costruire una moschea a Bruxelles.
Simon Busuttil (PPE). – (MT) Signor Presidente, gli attacchi a danno della comunità cristiana in Egitto ed in altri paesi dovrebbero essere condannati ed è nostro dovere reagire. La mia domanda è la seguente: se l’Europa, che è la culla del cristianesimo, non sarà in grado di difendere i cristiani e la loro libertà di praticare la propria religione allora, chi lo farà?
Tuttavia, dobbiamo anche cercare di evitare che le comunità musulmane si irrigidiscano e vengano manipolate dagli estremisti. Dobbiamo fare attenzione a non etichettare tutti i musulmani come terroristi, poiché solo una minoranza di essi è in favore della violenza e dell’estremismo. Al contempo, le comunità musulmane nel mondo hanno il dovere di condannare gli estremisti che sfruttano la loro religione e dovrebbero dissociarsi da queste persone, al fine di evitare che essi screditino la religione musulmana.
Oltretutto dobbiamo esortare le autorità di questi paesi al massimo affinché proteggano le comunità cristiane da ogni forma di persecuzione.
Ma soprattutto, nonostante gli episodi che si stanno dispiegando davanti ai nostri occhi e che suscitano rabbia, non possiamo abbandonare la ragione. Come disse Mahatma Gandhi “occhio per occhio ed il mondo diventa cieco”.
Carlo Casini (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, i colleghi che hanno già parlato hanno detto pressoché tutto. Hanno ricordato i fatti, li hanno valutati, hanno fatto precise richieste.
Vorrei quindi – dato che è l'ultimo intervento programmato – aggiungere qualcosa che non sia stato già detto e mi viene in mente il pensiero di un grandissimo europeo, Giovanni Paolo II, uomo che con grande efficacia ha contribuito alla caduta del Muro di Berlino, nel suo testamento spirituale scrive i quattro valori che stanno alla base della civiltà futura, cioè della civiltà dell'amore, sono appunto la vita, la pace, il pane, la libertà religiosa.
Penso poi a quanto ha scritto Giorgio La Pira, già sindaco di Firenze, promotore di grandi convegni sulla civiltà cristiana in pieno periodo di guerra fredda. Nel suo libro "Premesse della politica", egli scrive che ogni concezione politica ha alla sua base un determinato concetto dell'uomo. Per l'Europa cristiana l'uomo è essenzialmente un essere orante – così egli scrive – cioè un essere capace di dialogare, di pensare l'infinito, di dialogare con Dio.
Togliere all'uomo questa possibilità di dialogo privato e pubblico non è soltanto la negazione del fatto religioso, ma è anche la negazione dell'uomo stesso. Affido all'Assemblea, affido a lei, Alto Rappresentante, questi pensieri come contributo per un impegno concreto ed efficace della nostra Unione europea, che affonda le sue radici nell'identità cristiana e che non manca mai di proclamare il suo proposito di difendere e promuovere la dignità e i diritti dell'uomo.
Presidente. – Onorevoli deputati, passiamo adesso alla procedura catch the eye. Vi comunico che però vi è un problema dal momento che ho 25 richieste di intervento ma soltanto 5 minuti a disposizione, quindi non tutti potranno prendere parola. Farò del mio meglio per cercare di suddividere il tempo in modo equo ma, sfortunatamente, non tutti potranno intervenire.
Magdi Cristiano Allam (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi limiterò a richiedere all'Alto Rappresentante, la signora Ashton, di mettere nell'agenda dei rapporti con l'Egitto una domanda specifica: chiediamo alle autorità egiziane di togliere dai documenti ufficiali, dalla carta di identità, dal passaporto, da tutti i documenti richiesti per lavorare, la menzione religiosa.
I cristiani sono discriminati in Egitto nel momento in cui sui loro documenti c'è scritto "cristiano". Il terrorismo islamico oggi viene legittimato in un contesto in cui la discriminazione dei cristiani è istituzionalizzata.
Questa è una richiesta specifica che, se realizzata, libererebbe i cristiani da una discriminazione istituzionalizzata.
Antigoni Papadopoulou (S&D). – (EN) Signor Presidente, l’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo proibisce i “trattamenti disumani o degradanti” e l’articolo 9 tutela il diritto di “manifestare la propria religione ed il proprio credo” nel culto. Questi concetti sono stato ribaditi dalla Corte europea per i diritti dell’uomo nella sentenza della quarta causa interstatale a vedere contrapposti Cipro e Turchia dal 2001.
Vorrei comunicare alla Baronessa Ashton che, sfortunatamente, negli ultimi 36 anni la Turchia, paese candidato per l’adesione all’Unione europea, ha distrutto monumenti religiosi a Cipro e trasformato chiese cristiane in moschee e stalle e ha recentemente interrotto le messe a Natale e per l’Epifania nelle chiese cristiane delle città occupate di Rizokarpaso e Yialousa.
La Turchia deve essere condannata per i crimini che commette sul territorio dell’UE che, dal suo canto, non può rimanere inerte. I cristiani che abitano a Cipro sono in pericolo.
Alexandra Thein (ALDE). – (DE) Signor Presidente, Baronessa Ashton, oggi discutiamo di una mozione per una risoluzione sulla situazione dei cristiani nel mondo in relazione alla libertà religiosa. Il Parlamento europeo sostiene le libertà fondamentali e i diritti umani in tutto il mondo. Il gruppo dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa è uno dei pilastri di tale sostegno, il che ci distingue dai conservatori, che si stanno concentrando soprattutto sulla situazione dei cristiani.
In termini generali non si tratta solo della posizione dei cristiani. Da una prospettiva liberale, si tratta piuttosto della libertà religiosa in senso più ampio, ovvero tutte le religioni esistenti al mondo, e quindi la tutela delle minoranze religiose e l’obbligo a carico di ogni Stato di proteggere al meglio delle proprie capacità i membri di suddette minoranze religiose che vengono attualmente minacciate.
Vi sono problemi anche in Europa. Io vengo da Berlino e solo in questa città sono stati appiccati sei incendi contro delle moschee nell’arco di sei mesi, fortunatamente senza morti, in conseguenza del clamore suscitato dalle parole di un ex dipendente socialdemocratico della Banca centrale. Tuttavia, lo Stato tedesco si sta impegnando per proteggere al meglio gli edifici religiosi. In egual modo, l’Egitto sta adottando ulteriori misure a seguito del secondo grave attentato terroristico contro i cristiani.
Indubbiamente, non possiamo collocare un agente di polizia davanti ad ogni chiesa, moschea o sinagoga. Mi rammarico che in molti paesi, incluso il mio, gli edifici ebraici abbiano ormai l’aspetto di istituzioni ad alta sicurezza. Per questo motivo è importante che noi politici ci si assuma la responsabilità per il comportamento nei confronti delle minoranze religiose nei nostri paesi e che si promuova un approccio aperto e amichevole nei confronti di tutte le religioni.
Charles Tannock (ECR). – (EN) Signor Presidente, quando sono stato eletto europarlamentare per la prima volta, undici anni fa, il fatto che io sollevassi spesso il problema della persecuzione dei cristiani in contesti islamici e comunisti – che malauguratamente è peggiorata da allora – veniva considerato un atteggiamento eccentrico e quasi imbarazzante, principalmente, devo ammetterlo, anche in seno al PPE.
Sono pertanto lieto che oggi perfino alcune delle forze più aggressive e anticlericali in quest’Aula si siano svegliate dinanzi alla minaccia alla stessa esistenza delle antiche comunità di fede cristiana come gli assiri iracheni, che io patrocino nel Regno Unito, e i copti d’Egitto. Lo scorso sabato ho manifestato a Downing Street, dinanzi la casa del Primo ministro con alcuni dei miei elettori copti, per richiedere che il governo del Regno Unito esercitasse una maggiore pressione sul governo egizio per tutelare i suoi cittadini. Oggi mi rivolgo a lei, Baronessa Ashton, in quanto Alto rappresentante dell’Unione europea, affinché faccia altrettanto.
Nikolaos Salavrakos (EFD). – (EL) Signor Presidente, qualche tempo fa ho scritto un articolo intitolato “Monologo plurale” (Plural monologue). Plurale significa che parliamo in tanti e monologo che parla una sola persona. È proprio questo il problema delle nostre comunità oggi. Tutti parlano – e per lo più di idee – ma ascoltiamo solo quello che diciamo noi stessi. Questo vale anche per il problema dell’inasprimento del fondamentalismo islamico, a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni e che si è manifestato in Egitto con gli attacchi selvaggi al volgere dell’anno nuovo.
Vorrei sottolineare che si calcola che, nel corso di un secolo, dall’inizio del XX secolo fino ad oggi, la popolazione di cristiani nell’Est sia diminuita dal 22 per cento fino a meno del 10 per cento. Dobbiamo prestare attenzione a questa nuova faccia dell’islamismo perché vi sono dei leader anziani sia in Egitto che in Libia e in altri paesi e non sappiamo cosa potrebbe accadere quando non ci saranno più e quali direzioni potrebbero prendere questi paesi.
Date le circostanze, mi rivolgo a lei, Baronessa Ashton, affinché prenda delle iniziative esercitando la sua influenza al fine di contenere il fanatismo religioso, che sia cristiano o musulmano.
Franz Obermayr (NI). – (DE) Signor Presidente, il vescovo copto Anba Damian ha recentemente lanciato un appello per la costituzione di un’alleanza Cristiana, specialmente per i cristiani in Egitto, a seguito delle accese campagne nelle moschee e del terribile massacro durante la messa cristiana. L’ente di beneficienza Open Doors ha incluso nel suo indice mondiale relativo alle persecuzioni 50 paesi in cui i cristiani sono oggetto di gravi persecuzioni.
Non capisco esattamente perché oggi ci si dichiari preoccupati. Non dovremmo sorprenderci, poiché il problema comincia in cima. Se noi, all’interno del’Unione europea, distribuiamo a 21 000 scuole europee per 3 milioni di bambini un calendario che è il perfetto esempio dell’autonegazione e non contiene alcuna festività cristiana, ma che indica invece quelle islamiche, sikh, hindu e cinesi, allora non si tratta nemmeno più di autonegazione, ma di odio di se stessi. Baronessa Ashton, abbiamo bisogno di coraggio e di mantenere i nostri standard. Non possiamo tollerare l’intolleranza.
Anna Záborská (PPE). – (SK) Signor Presidente, l’Unione europea non può rimanere in silenzio, non può rispondere solo dopo che le cose accadono, quando i cristiani muoiono e vengono espulsi dalle loro case. L’Unione europea non è in grado di difendere in modo sufficiente i cristiani perché l’Unione è terrorizzata dal politically correct, che soffoca la libertà religiosa. L’ideologia del laicismo ci lega le mani e soffoca la libertà di religione.
L’Unione fatica a proteggere e difendere i cristiani nel mondo poiché non rispetta la stessa filosofia cristiana. Alcuni deputati si sono dichiarati contrari a che dei leader religiosi tengano dei discorsi qui in Parlamento. Il Parlamento si è poi rifiutato di condannare il rapimento dell’arcivescovo di Mosul, in seguito assassinato. Un gruppo politico di questa Istituzione si è assicurato che il Papa venisse accusato di aver violato i diritti umani. La Commissione ha dimenticato di includere le festività cristiane, per non parlare del dibattito sui crocifissi in Italia.
Attendo con interesse l’istituzione dell’Osservatorio europeo per l’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani a Vienna, che ritengo si troverà con molto lavoro da svolgere.
László Tőkés (PPE). – (HU) Signor Presidente, in quanto componente di una minoranza in Romania, ho conosciuto il significato della persecuzione religiosa sotto la dittatura di Ceauşescu. È stato motivo di soddisfazione per me ascoltare le parole del Primo ministro Victor Orbán, che ha dichiarato oggi che la lotta alla persecuzione dei cristiani è una delle nostra priorità. Ritengo che l’Alto rappresentante Ashton dovrebbe apportare il suo contributo collaborando con la Presidenza ungherese e la esorto a farlo. In occasione di una recente visita a Istanbul abbiamo avuto modo di vedere e apprendere che milioni di cristiani armeni e greci sono stati uccisi in questi luoghi nel corso del XX secolo. Mi rattrista costatare che la persecuzione dei cristiani continua fino ai nostri giorni. Propongo, al pari dell’onorevole Hautala, che questo tema venga posto come punto indipendente all’ordine del giorno della commissione “Droit”. D’altro canto mi rivolgo alla Baronessa Ashton affinché, in occasione dell’incontro dei ministri degli esteri previsto per il 31 gennaio, avvii un dibattito serio sulla protezione dei cristiani, che deve divenire una priorità della politica estera.
Presidente. – Lascio la parola all’Alto rappresentante Ashton affinché tiri le fila del dibattito e risponda alle numerose domande poste..
Catherine Ashton, Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. – (EN) Signor Presidente, se me lo consente, desidero riprendere un paio delle numerose proposte che sono state avanzate, ma innanzi tutto voglio ringraziare gli onorevoli deputati e prendere atto dei forti sentimenti e delle espressioni di sostegno rispetto al lavoro che stiamo cercando di portare a termine in questo ambito.
Come ho già affermato, uno dei motivi per cui è un piacere per me partecipare al dibattito odierno è che questo tema è già stato sollevato una volta in seno al Consiglio “Affari esteri” – ma lo riprenderemo alla fine di gennaio – e le perplessità manifestate dagli onorevoli deputati si ricollegano e fanno eco alle preoccupazioni che sono state espresse da diverse fonti, non da ultimi alcuni Stati membri e alcuni dei ministri più coinvolti in questo ambito.
Voglio chiarire che io ho effettivamente parlato di cristianesimo. Ho cominciato il mio intervento illustrando le ragioni per cui mi sono recata a Betlemme, ovvero per riconoscere che, sebbene mi trovassi nel Medio Oriente, mi trovavo comunque nel cuore, per così dire, di molte religioni – specialmente alla vigilia del Natale ortodosso. Si è trattato di una dichiarazione decisamente forte e la mia è stata una scelta consapevole e personale. Constato che, sfortunatamente, l’onorevole Mauro ha lasciato l’Aula e non ascolterà la mia risposta, ma mi auguro che gli riferiscano che con le mie parole vi avevo fatto riferimento.
Vorrei riprendere un paio di punti. Numerosi deputati hanno chiesto come utilizzare gli strumenti a nostra disposizione per garantire che questi temi possano essere affrontati. Desidero ricordare agli onorevoli deputati che quasi tutti gli accordi commerciali e di cooperazione conclusi dal 1995 includono una clausola sui diritti umani, presente negli accordi stipulati, se non sbaglio, già con 134 paesi.
L’obiettivo principale è dimostrare l’impegno condiviso in materia di diritti umani, ma in questo modo disponiamo anche di una base giuridica per comminare delle sanzioni nel caso di gravi violazioni dei diritti umani. Gli europarlamentari ricorderanno che, nel mio incarico precedente, sono stata io a sollevare la questione del sistema “SPG plus” e dello Sri Lanka. Saprete tutti che abbiamo avviato la procedura per sospenderli dallo schema, espressamente a causa di questioni relative ai diritti umani. Come hanno detto molti deputati, è importante continuare a considerare il modo in cui vengono stipulati gli accordi nonché gli strumenti a nostra disposizione e assicurarci che queste armi vengano utilizzate, se necessario.
Quando la Commissione comincerà a ripensare al futuro del regolamento SPG, sarà interessante, a mio avviso, considerare se sia possibile migliorare eventuali elementi del regolamento legati alla ratifica e all’attuazione dei diritti umani e delle relative convenzioni.
Volevo anche soffermarmi sull’altra faccia della medaglia, ovvero gli strumenti a cui ricorrere per promuovere e sostenere la democrazia e i diritti umani. Come gli onorevoli deputati sanno bene, stiamo sostenendo dei progetti in tutto il mondo volti a contrastare il razzismo, la xenofobia e la discriminazione più in generale. Abbiamo fondato delle ONG contro la discriminazione in circa 60 paesi. Pertanto, cerchiamo di trovare un equilibrio tra l’utilizzo degli strumenti a nostra disposizione per poter manifestare apertamente il nostro disappunto quanto riteniamo che vi siano delle violazioni e il loro utilizzo – combinato alla nostra volontà e alla nostra disponibilità – per sostenere le ONG, in particolar modo quelle attive nel campo della lotta alla discriminazione.
Volevo fare riferimento ad un altro aspetto, ovvero il ruolo delle delegazioni nel mondo e l’importanza delle attività di monitoraggio. Numerosi deputati hanno menzionato questo punto specifico. Ho già affermato quanto ritengo che sia importante monitorare la situazione in tutto il mondo.
Sono rimasta particolarmente colpita da una questione citata in numerosi interventi oggi e che, sebbene sia diventata più visibile nelle ultime settimane e mesi, è ormai da tempo motivo di preoccupazione per molti europarlamentari, ovvero il modo in cui i fedeli, delle diverse religioni, siano oggetto di una discriminazione continua in tutto il mondo e l’esigenza di essere attenti e vigili non tanto quando si arriva agli atti di violenza – nel senso che quando si giunge alla violenza siano comunque spinti ad agire – ma anche prima che si arrivi a questi livelli, quando si parla di una forma di discriminazione continua.
Ritengo sia importante considerare le nostre delegazioni sparse per il mondo come una fonte utile per vigilare e riconoscere quelle forme di discriminazione che gli onorevoli deputati hanno descritto come “bollicine sotto la superficie”, se posso usare questa immagine, e darcene comunicazione.
Credo inoltre che sia importante, come ho già detto, fare presente in occasione dell’ultimo Consiglio “Affari esteri” che nel nostro lavoro in materia di diritti umani e nella relazione che abbiamo prodotto, stiamo affrontando anche la condizione delle minoranze religiose nel mondo. Il cristianesimo ha ricoperto un ruolo importante nelle nostre discussioni odierne, ma molti deputati hanno sottolineato che questo deve anche tradursi nella garanzia che le nostre azioni siano caratterizzate dal rispetto e dalla tolleranza nei confronti delle altre religioni.
Ritengo sarà importante impegnarsi per comprendere cosa sta effettivamente accadendo sia tramite il monitoraggio nelle nostre relazioni che grazie al lavoro delle nostre delegazioni nel mondo. In questo modo potremo capire meglio come utilizzare gli strumenti a nostra disposizione, specialmente da parte della Commissione, ma anche avere il polso della volontà politica, non solo da parte mia, perché – come avete giustamente fatto notare – anche voi, in quanto parlamentari, avete un ruolo e una voce forte in materia, insieme agli Stati membri e ai ministri coinvolti.
Inizialmente ho dichiarato il mio impegno per far sì che si possano utilizzare al meglio le risorse esistenti, che si riesca a controllare da vicino cosa sta accadendo e che si ricorra agli strumenti politici ed economici a nostra disposizione in modo da mantenere questo tema tra le priorità per il futuro e vi ringrazio per tutti i vostri contributi. Mi rivolgo ora ai deputati i cui commenti e le cui domande non hanno ricevuto risposta: non è dipeso da una mia mancanza di volontà e le valuterò attentamente e l’intera discussione odierna alimenterà il dibattito che si terrà in occasione del Consiglio “Affari esteri” alla fine di gennaio.
Presidente. – Comunico di aver ricevuto sette proposte di risoluzione ai sensi dell'articolo 110, paragrafo 2, del regolamento.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà giovedì, 20 gennaio 2011, alle 12:00.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. – (RO) Degli innocenti sono diventati vittime di un terribile atto criminale che non ha nulla a che vedere con la religione o i principi morali. Noi, cittadini dell’Unione europea, sosteniamo e promuoviamo la libertà religiosa e abbiamo il dovere di richiedere che questa venga rispettata, tutelata e promossa in quanto diritto umano basilare. L’obiettivo del terrorismo in questo intero contesto è effettivamente quello di causare disordini e conflitti tramite attacchi che vengono giustificati dai colpevoli facendo riferimento ad un motivo religioso soggiacente. Desidero sottolineare che il terrorismo non ha alcun tipo di religione. È proprio questo il motivo per cui qualunque forma di riflessione fondamentalista deve rimanere fuori dalla porta delle moschee, delle chiese e delle sinagoghe. Le religioni del mondo non incoraggiano gli attacchi violenti. Quanti compiono questi atti non devono credere di stare combattendo per qualcosa; è vero il contrario. Ritengo che stiano combattendo contro la moralità, contro altri individui e contro l’umanità stessa.
Gerard Batten (EFD), per iscritto. – (EN) La persecuzione dei cristiani nei paesi islamici e in altri non islamici, come nel caso della Cina comunista, è una tendenza crescente e deprecabile. Uno degli episodi più recenti di violenza anticristiana si è registrato ad Alessandria d’Egitto, a Capodanno, quando 25 persone sono state uccise e 80 ferite durante il bombardamento di una chiesa. Il contesto in cui si colloca questo attacco mi è stato illustrato dalla comunità copta stanziata a Londra e in altre parti del Regno Unito.
I responsabili sono motivati dall’ideologia islamica fondamentalista ed estremista. Io ed il Partito per l’indipendenza del Regno Unito, che rappresento, non vogliamo una politica estera UE o un ministro per gli esteri UE, ruolo correntemente ricoperto dalla Baronessa Ashton. Tuttavia, da momento che la Baronessa ha questo incarico, dovrebbe prendere in considerazione il fatto che l’UE firma degli accordi del valore di miliardi di euro con paesi che sono tra i peggiori persecutori di cristiani. L’UE dovrebbe utilizzare il proprio potere economico per ribadire che non stipulerà accordi preferenziali né garantirà trattamenti di favore a quei paesi che tollerano la persecuzione dei cristiani. È il minimo che possiamo aspettarci.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Le statistiche sulla libertà religiosa dimostrano che la maggioranza degli atti di violenza religiosa negli ultimi anni sono stati perpetrati a danno dei cristiani. Nel 2010 il numero di attacchi contro comunità cristiane è cresciuto in modo allarmante. Sfortunatamente, in molti hanno perso la vita in seguito ai sanguinosi attacchi a danno delle comunità cristiane in Nigeria e Pakistan, agli attacchi terroristici contro i cristiani copti ad Alessandria e nelle Filippine, agli attacchi terroristici jihadi contro famiglie cristiane assire e ai bombardamenti coordinati contro abitazioni cristiane a Baghdad. Ripudio inoltre la deprecabile persecuzione dei cristiani da parte del governo della Repubblica islamica dell’Iran, nonché la deplorabile repressione delle attività delle chiese cattoliche e di altre comunità religiose in Vietnam. L’Unione europea deve rinnovare l’impegno che ha sempre dimostrato nel perseguire la libertà religiosa, la libertà di coscienza e la libertà di pensiero, che sono principi fondamentali dell’acquis communautaire. I governi hanno il dovere di garantire suddette libertà. Pertanto, anche in considerazione dell’aumento della violenza anticristiana al mondo, ritengo che il Consiglio, la Commissione e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza debbano intraprendere delle azioni rapide, decise e convinte al fine di garantire la difesa della libertà religiosa nel mondo.
Filip Kaczmarek (PPE), per iscritto. – (PL) La situazione è decisamente insoddisfacente per quanto riguarda il rispetto dei diritti dei cristiani di seguire la propria religione. Soltanto lo scorso anno, il Parlamento europeo ha dovuto rispondere incredibilmente spesso a violazioni dei diritti umani a danno di cristiani. Sono stato co-autore di tre risoluzioni in merito a questioni correlate – una sul’Iraq, in particolare, la pena di morte (incluso il caso di Tariq Aziz) e gli attacchi contro le comunità cristiane, adottata il 24 novembre 2010, una sui recenti attacchi alle comunità cristiane, adottata il 20 gennaio 2010, e una sulla libertà religiosa in Pakistan, adottata il 19 maggio 2010.
Quanto avvenuto ad Alessandria quest’anno ci ricorda che il Parlamento europeo ha fatto appello al governo egiziano un anno fa affinché garantisse ai cristiani copti e ai membri di altre comunità e minoranze religiose la possibilità di esercitare tutti i diritti umani e le libertà fondamentali – incluso il diritto di scegliere e cambiare religione liberamente – e prevenisse qualunque forma di discriminazione contro suddetti gruppi. Al contempo, domani si terrà un ulteriore dibattito sulla libertà dei cristiani in Pakistan. L’approccio statistico non è il migliore, ma a volte ci consente di valutare meglio la portata del problema. I giornalisti della Deutsche Welle hanno condotto dei calcoli molto interessanti sulle violazioni dei diritti dei cristiani; hanno calcolato che, in media, ogni tre minuti un martire cristiano muore da qualche parte nel mondo a causa del suo credo. È inquietante che questo si verifichi letteralmente sotto i nostri occhi.
Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto. – (PL) In quanto europei tentiamo di garantire che tutti in Europa possano praticare liberamente la religione che permette loro di seguire il proprio cuore e la propria coscienza. Adottiamo inoltre dei testi giuridici che proteggono i cittadini dalla discriminazione sulla base della fede religiosa. Insegniamo la tolleranza e i la parità di diritti a scuola e permettiamo agli immigrati di utilizzare liberamente i propri simboli religiosi. Lo stiamo facendo però a spese della religione europea di maggioranza. La nostra tradizione e la nostra civilizzazione si fondano per lo più sulle radici cristiane e ci sono tra di noi più cristiani che fedeli di altre religioni. Mi esprimo in questo modo anche in quanto rappresentante di un gruppo politico che include la dicitura “Democratico cristiano” nel proprio titolo. Non abbiamo alcuna influenza sul modo in cui i cristiani vengono trattati in molti luoghi nel mondo. Tuttavia, possiamo e dobbiamo garantire la libertà religiosa per tutti gli europei.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo purtroppo dinanzi a un attacco mondiale alla cristianità. I dati parlano da soli: lo scorso anno il 75% delle violenze a sfondo religioso sono avvenute contro i Cristiani.
Il problema diventa però politico nel momento in cui la differenza di religione viene usata come mezzo per bloccare la crescita e lo sviluppo, l'odio fomentato da questi attacchi terroristici mira proprio a destabilizzare il sistema socio-politico degli Stati dove si verificano le violenze. In tutto questo l'Unione europea, per il ruolo di promotore del rispetto dei diritti umani e delle libertà civili e democratiche, ma soprattutto date le sue origini e radici cristiane, ha il dovere di reagire in modo fermo con un condanna a ogni forma di estremismo e per la promozione del dialogo, la libertà religiosa, il rispetto reciproco tra le comunità, la tolleranza.
Auspico, però, che si vada oltre, che l'Unione europea ponga la ''clausola'' della difesa della libertà di religione al momento della stipula di accordi economici con i paesi terzi e che in caso di violazione di questa clausola vengano irrogate sanzioni agli Stati coinvolti.
Debora Serracchiani (S&D), per iscritto. – Non dobbiamo avere timidezze o esitazioni sul dovere dell'Unione europea di affermare la libertà di professare la propria religione.
Di fronte a un innegabile incrudimento delle violenze inflitte ai cristiani in varie parti del mondo, è doverosa e urgente una posizione chiara dell'Unione europea contro ogni violazione del diritto alla libertà di professione di fede religiosa. Il tema della libertà di religione deve essere integrato nelle politiche europee, anche attraverso l'inclusione, negli accordi con i paesi terzi, di una clausola vincolante sul rispetto della libertà di religione. Questi principi sono la bandiera dell'Europa e da essi non possiamo derogare in nessun caso.
Bogusław Sonik (PPE), per iscritto. – (PL) I cristiani vengono attualmente perseguitati in più di 70 paesi al mondo. Il diritto fondamentale alla libertà religiosa viene dunque violato in un paese su tre. L’Unione europea comincia a comprendere che la persecuzione per motivi religiosi rappresenta una grave violazione della dignità e della libertà umane. Il dibattito sulla libertà religiosa e la condizione dei cristiani, che è in corso in Parlamento da diversi mesi ormai, è rilevante anche dal punto di vista formale, dal momento che il trattato di Lisbona ha rafforzato la posizione delle chiese nel dibattito europeo, attribuendo loro il diritto di essere partner ufficiali nel dialogo con la Commissione europea. Il Parlamento europeo, che funge da guardiano dei diritti umani, dovrebbe trovare quanto prima un modo per difendere la libertà religiosa nel mondo.
Alla luce dei recenti atti di violenza a danno delle minoranze cristiane in alcuni paesi mediorientali, africani e asiatici, ritengo sarebbe opportuno affrontare questo tema nel prossimo Consiglio “Affari esteri” e definire degli strumenti specifici per la tutela delle comunità cristiane insieme all’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Il Parlamento europeo dovrebbe rivolgersi ai paesi in cui hanno luogo le persecuzioni al fine di intraprendere dei passi efficaci per la tutela delle minoranze religiose, nonostante le difficoltà che questo implica. L’UE dovrebbe dunque cominciare a prendere la questione della libertà religiosa in modo più serio quando stipula accordi sulla cooperazione con paesi terzi.
11. Situazione della sicurezza nella regione del Sahel (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sull’interrogazione orale (O-0180/201 – B7-0808/2010) alla Vicepresidente della Commissione e Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, degli onorevoli Danjean, Kasoulides, Brok, Salafranca Sánchez-Neyra, Gahler, Lisek e Kovatchev a nome del gruppo del Partito Popolare Europeo (Democratico Cristiano), sulla situazione della sicurezza nella regione del Sahel.
Arnaud Danjean, autore. – (FR) Signor Presidente, signora Alto rappresentante, questo argomento avrebbe dovuto essere discusso già molti mesi fa, dato che la situazione della sicurezza nella regione del Sahel si è andata costantemente aggravando negli ultimi tre anni. Affrontiamo questo tema nella settimana in cui in Francia sono state sepolte due giovani vittime del terrorismo islamico, uccise alcune settimane fa sulla frontiera tra Niger e Mali.
A parte la forte emozione suscitata da questi crimini, occorre riconoscere le reali minacce che si concentrano in una regione alle porte dell’Europa, perché la minaccia non viene solo dal terrorismo, sebbene i rapimenti e gli attentati costituiscano la manifestazione più drammatica del degrado della situazione in Mauritania, Mali and Niger. Le reti criminali prosperano; il traffico di droga, armi ed esseri umani minaccia la stabilità non solo di quei paesi, ma anche del nostro stesso continente. Sappiamo, infatti, molto bene che proprio come la maggioranza delle vittime del terrorismo che agisce nella regione sono cittadini europei, l’Europa è la destinazione finale anche di tali traffici.
Di fronte a questa situazione estremamente preoccupante, l’Unione europea dovrebbe attuare una strategia integrata e globale, in grado di combinare politiche di sviluppo e di sicurezza. È assolutamente vitale. Naturalmente alcune iniziative sono già state messe in campo, attraverso il decimo Fondo europeo per lo sviluppo (FES) in particolare, e sono stati stanziati circa 2 miliardi di euro a questi paesi per azioni di lotta contro la povertà, di sviluppo dell’economia, d’istituzione di una efficace governance. Inoltre com’è noto taluni Stati membri sono legati da politiche bilaterali di cooperazione.
Ma bisogna fare di più. In particolare la nostra azione deve essere più coordinata. Occorre consolidare l’approccio regionale e incoraggiare questi paesi a cooperare maggiormente per fronteggiare sfide comuni. Dobbiamo ampliare e integrare al massimo il ventaglio delle politiche che l’Unione europea può attuare nei settori dello sviluppo, della sicurezza, del consolidamento delle strutture istituzionali, delle dogane, della giustizia e della polizia.
Signora Alto rappresentante, poche regioni così vicine all’Europa danno rifugio a tali e tante minacce per la nostra sicurezza e in poche regioni l’Unione europea può applicare l’approccio organico previsto dal trattato di Lisbona, sulla base del quale è stato istituito il servizio europeo per l’azione esterna da lei ora diretto.
Signora Alto rappresentante, può fornirci maggiori dettagli sulla strategia che intende mettere in atto nella regione?
Catherine Ashton, Vicepresidente della Commissione e Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. – (EN) Signor Presidente, mi associo all’onorevole Danjean nel ricordare la terribile notizia della morte di due giovani cittadini francesi rapiti 10 giorni fa nella capitale del Niger, Niamey, e uccisi solo poche ore dopo. Abbiamo condannato quello che è un crimine assolutamente sconvolgente e rinnovo le nostre condoglianze alle famiglie, nonché ai rappresentanti delle forze di polizia nigerine caduti durante la sparatoria che ne è seguita. Desidero esprimere la nostra solidarietà alle autorità della Francia e del Niger.
Altri cinque cittadini francesi sono a tutt’oggi tenuti in ostaggio da Al-Qaeda in una località ignota del deserto del Mali settentrionale nel Maghreb islamico. Solo l’anno scorso, dieci cittadini europei sono stati rapiti e quattro uccisi.
La situazione della sicurezza nel Sahel è allarmante: criminalità organizzata, scarsa presenza dello Stato nelle zone desertiche e scarsa capacità dei settori della sicurezza uniti a povertà dilagante, siccità e penuria alimentare. Queste minacce pongono un serio ostacolo allo sviluppo e a prospettive di lavoro, in quanto è diventato troppo rischioso per quanti impegnati nello sviluppo continuare le operazioni sul territorio.
L’Unione europea e gli Stati membri contribuiscono da anni ad affrontare i problemi posti dallo sviluppo o dalla sicurezza nei singoli paesi del Sahel, ma le minacce alla sicurezza travalicano le frontiere nazionali e la sola risposta possibile ed efficace è una risposta regionale e organica. Dobbiamo adoperarci affinché l’impegno europeo attualmente profuso nel Sahel sia più coerente, coordinato ed efficace.
In ottobre scorso, il Consiglio “Affari esteri” mi ha conferito l’incarico di predisporre, assieme alla Commissione, una strategia per il Sahel per l’inizio di quest’anno. Tale strategia doveva basarsi su un approccio olistico e integrato, che utilizzasse i vari strumenti a nostra disposizione in modo coerente, per incentivare sicurezza, stabilità, sviluppo e una buona governance nel Sahel.
Ritengo che, per poter rispondere alla complessità delle sfide del Sahel, dobbiamo agire a diversi livelli: prima di tutto, occorre una dimensione politica e diplomatica, necessaria per facilitare il dialogo fra paesi del Sahel che nutrono tuttora scarsa fiducia gli uni negli altri. Dobbiamo partire dalle strategie nazionali esistenti – qualora esistano – e incoraggiare la creazione di iniziative e strumenti regionali per far fronte insieme alle minacce alla sicurezza.
Parallelamente, l’UE deve rafforzare il dialogo sulla sicurezza nel Sahel con i paesi del Maghreb, con le organizzazioni regionali (l’Unione africana, l’Ecowas e la CEN-SAD) nonché con la comunità internazionale nel suo insieme e con le Nazioni Unite, gli Stati Uniti e il Canada, in particolare.
In secondo luogo, dobbiamo aiutare i paesi del Sahel ad accrescere le proprie capacità nei settori della sicurezza (esercito, polizia, giustizia e sistemi di controllo delle frontiere) in ogni paese. Devono essere in grado di ripristinare efficacemente lo stato di diritto e la sicurezza e di ristabilire l’autorità dello Stato nelle regioni più critiche. Incoraggeremo la cooperazione regionale fra Mali, Mauritania e Niger a livello operativo affinché possano far fronte in modo congiunto e più efficace alla minaccia di Al-Qaeda nel Maghreb islamico, alla criminalità organizzata e al banditismo interno.
In terzo luogo, a più lungo termine, l’Unione europea deve continuare a contribuire allo sviluppo dei paesi del Sahel per aiutarli ad accrescere la capacità di erogare servizi sociali e di sviluppo alla popolazione. I singoli paesi continueranno a promuovere la stabilità interna e a trovare soluzioni di natura socio-economica e soluzioni alle tensioni etniche.
In quarto luogo, al fine di prevenire e lottare contro l’estremismo e la radicalizzazione, dobbiamo sostenere gli Stati e legittimare attori non-statali nell’elaborazione e attuazione di strategie e attività, per combattere la radicalizzazione islamica e promuovere una visione democratica, tollerante e non violenta della società.
Il nostro sforzo sarà di impiegare in modo coerente gli strumenti a breve e lungo termine a nostra disposizione per attuare le diverse componenti di questa strategia. L’impegno degli Stati membri nel contribuire a tale strategia ne costituirà evidentemente un aspetto rilevante.
Lavoro a stretto contatto con il Commissario Piebalgs, il cui impegno nella predisposizione della strategia per la sicurezza e lo sviluppo è essenziale per garantire le necessarie risorse alla sua attuazione.
Sono convinta che, se riusciremo a creare questa nuova strategia globale e olistica, intensificando l’impegno sul versante politico, diplomatico e operativo nel Sahel, saremo in grado di dare nuovo slancio alla risoluzione delle molteplici minacce e sfide della regione. Sarò lieta di presentare la strategia in modo più preciso fra qualche settimana e di aprire una discussione con gli onorevoli deputati del Parlamento europeo.
José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra, a nome del gruppo PPE. – (ES) Signor Presidente, come ricordato nel testo dell’interrogazione orale da noi presentata, negli ultimi tre anni abbiamo assistito a un aggravarsi della situazione che ha danneggiato gli interessi dell’Unione europea e dei suoi cittadini nel Sahara meridionale, trasformatosi in un paradiso per il ramo islamico di Al-Qaeda, con una lunga serie di omicidi, rapimenti, estorsioni, ricatti, traffico di droga e di esseri umani, le cui vittime sono cittadini tedeschi, italiani, spagnoli e, più recentemente, francesi. Desideriamo pertanto esprimere la nostra solidarietà ai colleghi parlamentari francesi e ribadire, signora Alto rappresentante, che questa situazione richiede una risposta ferma e risoluta da parte dell’Unione europea, come già richiesto dal Presidente Sarkozy.
In tale contesto, la risposta deve essere fornita nella sfera politica, economica e dello sviluppo e l’onorevole Danjean ci ha ricordato le ingenti risorse del Fondo europeo di sviluppo.
Signora Alto rappresentante, vorrei conoscere la sua opinione in merito al vertice G8 anti terrorismo di ottobre nel Mali, quando le è stato attribuito il mandato del Consiglio, al quale non ha partecipato l’Algeria. Lei ha detto che la risposta deve essere di tipo regionale. Ritengo non sia un buon segno che due delle parti in conflitto, Marocco e Algeria, non cooperino fra di loro, per non parlare dell’instabile situazione della Tunisia.
Per finire, vorrei una sua valutazione sul centro anti-terrorismo creato dall’Algeria a 2 000 km a sud di Algeri, con la partecipazione di Mali, Mauritania e Niger, e chiederle se condivide l’interpretazione secondo la quale l’intento di tale centro sia evitare la presenza dell’Unione europea e degli Stati Uniti quali garanti della sicurezza nell’area.
Roberto Gualtieri, a nome del gruppo S&D. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, signora Alto Rappresentante, sembra di cogliere positivamente una sintonia tra le considerazioni espresse dall'onorevole Danjean e il Suo intervento, per quanto riguarda l'analisi della situazione, e cioè il fatto che la situazione nel Sahel è drammatica.
Stiamo parlando di una delle regioni più povere del mondo, al confine con alcuni di quei paesi che proprio in queste ultime settimane stanno sperimentando una quanto mai pericolosa instabilità e una regione dove c'è un intreccio davvero preoccupante tra infiltrazioni terroristiche e traffico di droga, che rendono la situazione insostenibile e la minaccia per l'Europa concreta.
Occorre dunque un salto di qualità nell'iniziativa dell'Europa. L'iniziativa per la sicurezza e lo sviluppo del Sahel del 2009 per ora si è rivelata inefficace. È necessaria questa nuova strategia per la sicurezza del Sahel che il Consiglio, che i ministri degli Esteri hanno chiesto di adottare e che noi aspettiamo. Credo che siano importanti due elementi che sono stati sottolineati: primo, un approccio regionale; secondo, un approccio integrato, che ci consenta di utilizzare al meglio, in modo concreto, operativo e coordinato appunto i diversi strumenti di cui l'Unione europea dispone, sapendo poi che la strada di un'eventuale missione va valutata invece con cautela, perché le missioni PSDC sono uno degli strumenti che abbiamo a disposizione, ma non possono sostituire la strategia politica.
Quindi, pieno sostegno del nostro gruppo al nuovo, rinnovato impegno dell'Europa nel Sahel e siamo ansiosi di conoscere e di discutere in dettaglio la nuova strategia e di sostenerne l'implementazione.
Charles Goerens, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signor Presidente, nella regione del Sahel si è registrato un allarmante incremento del tipo d’incidenti menzionati nell’interrogazione orale.
Le persone maggiormente colpite dalle attività delle reti criminali e dei terroristi sono in primo luogo gli stranieri, molti dei quali mantengono un comportamento esemplare, come i due cittadini francesi di cui deploriamo la tragica sorte. Tutti questi incidenti non fanno altro che minare ulteriormente l’autorità dei rispettivi governi, che cercano di affrontare i problemi di cooperazione economica, nel campo della sicurezza e della cooperazione politica nell’ambito del sistema regionale il cui quadro istituzionale, non dimentichiamolo, è ampiamente basato sul modello europeo. I temi in discussione sono estremamente pertinenti.
Se vogliamo essere all’altezza di quanto ci si aspetta dall’Unione europea, dobbiamo in primo luogo concordare su un approccio comune per la regione del Sahel in particolare e per la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) in generale.
In secondo luogo, dobbiamo considerare seriamente sia le cause immediate sia quelle remote del degrado della situazione nella regione. Una delle cause endemiche è l’estrema povertà di questi Stati, che risultano pertanto deboli e incapaci ad adempiere alle loro funzioni sovrane.
In terzo luogo, dobbiamo definire una chiara strategia europea in materia e vorrei ringraziare la baronessa Ashton per averla annunciata.
In quarto luogo, non dobbiamo lesinare le risorse necessarie affinché gli Stati in questione riprendano il controllo della situazione, segnatamente in materia di sicurezza. Vorrei concludere sottolineando che nell’affrontare i problemi posti dall’interrogazione dell’onorevole Danjean, ci occupiamo, di fatto, della nostra stessa sicurezza.
Sabine Lösing, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando di criminalità organizzata o di terrorismo politico e/o religioso? Questa domanda è fondamentale per valutare la situazione. Gli esperti della regione ritengono si tratti più di criminalità che di terrorismo internazionale di stampo religioso. I provvedimenti contro il terrorismo spesso hanno conseguenze fatali per la pace e la democrazia e possono essere usati come pretesto per promuovere altri interessi.
Potrebbe essere così anche per l’Africa, una delle regioni che rappresenta grandi interessi per l’Europa. Secondo Gilles de Kerchove, il coordinatore europeo per la lotta al terrorismo, riguarda l’Africa quale “cortile dell’Europa”. Sono contraria a politiche di sicurezza che non faranno altro che militarizzare l’Africa. La regione del Sahel può ritrovare la sicurezza solamente migliorando la situazione della popolazione. Aumentare le strutture di sicurezza e i bilanci militari in paesi dove la popolazione soffre la fame è una mossa disastrosa.
Per finire, vorrei che consideraste il fatto che il rapimento e altri crimini sono un business nel quale sono coinvolte moltissime persone in un confuso spiegamento di organizzazioni. I finanziamenti occidentali destinati a strutture di sicurezza potrebbero avere un effetto controproducente sugli sforzi per contrastare la criminalità e in futuro potrebbero continuare a mettere a repentaglio la vita di innocenti.
Cristian Dan Preda (PPE). – (RO) Signor Presidente, il rapimento e la successiva uccisione di Antoine de Lecour e Vincent Delory in Niger ci ricordano dolorosamente la necessità di attuare una strategia per la promozione della sicurezza, della stabilità e della buona governance nella regione del Sahel. Il gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) sostiene da molto tempo questa strategia e desidero esprimere il mio apprezzamento per l’annuncio della Commissione europea della presentazione entro fine mese di una strategia che combini sicurezza e sviluppo.
Credo nell’assoluta necessità di analizzare il tema della sicurezza nel Sahel in tutti i suoi molteplici aspetti dato che il terrorismo è riuscito ad attecchire in quella regione perché ha trovato condizioni politiche, sociali e ovviamente economiche favorevoli. Ci ritroviamo con frontiere altamente permeabili e in assenza di qualsiasi forma di controllo governativo efficace. Tutti questi fattori, oltre alle evidenti lacune nello sviluppo, hanno facilitato la diffusione di traffici illegali.
Ritengo vi siano due fattori estremamente utili che aiuteranno a garantire la sicurezza del Sahel e, per estensione, dei cittadini europei. Prima di tutto, è necessaria una strategia a livello di comunità degli Stati sahelo-sahariani, volta al ripristino dell’autorità degli Stati della regione sui territori abbandonati nonché, naturalmente, a istituire lo stato di diritto. In secondo luogo, credo nella necessità di varare programmi congiunti di sviluppo socio-economico nelle regioni frontaliere, in modo da creare opportunità di lavoro per le popolazioni locali.
Pier Antonio Panzeri (S&D). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, più volte si è levata la richiesta di questa discussione sul tema e più volte si sono assunti impegni perché nella regione del Sahel si potessero mettere in campo le iniziative necessarie, sia per stabilizzare la regione stessa, sia per garantire maggiore sicurezza.
Come sappiamo, data la mancanza di frontiere e la vastità del territorio, il Sahel è un'area di transito ideale per i trafficanti di droga e per l'attività terroristica, nello specifico Al-Quaeda del Maghreb. La debolezza e la fragilità degli Stati in questa regione costituisce il problema principale e le minacce ricadono direttamente sulle popolazioni e sugli Stati della regione, com’è stato detto, in particolar modo su Mauritania, Mali e Niger.
Il tema principale che l'Unione europea ha dinanzi è quello di predisporre una strategia credibile per la sicurezza, che poggi sui diversi tasti della possibile azione europea: politica di cooperazione e sviluppo, programmi regionali, strategie di coordinamento della sicurezza delle vie di traffico, politiche di formazione alla sicurezza. L'Unione europea quindi non dovrebbe, ma deve intervenire il più velocemente possibile e ci attendiamo, quindi, l'elaborazione da parte della Commissione di una compiuta strategia, come Lei ha annunciato, e un intervento forte sul campo.
In conclusione, il mio invito è chiaro: bisogna mostrare una più forte attenzione a ciò che sta succedendo a sud dell'Europa, perché tante cose cambieranno ed è bene che non ci si faccia cogliere alla sprovvista. Una visione più lungimirante farebbe solo bene all'Unione europea.
Olle Schmidt (ALDE). – (SV) Signor Presidente, l’aggravarsi della situazione della sicurezza nel Sahel è un segnale estremamente serio. È costato molte vite e minaccia di minare alla base i progressi politici compiuti negli ultimi anni nella lotta contro il terrorismo. Vorrei anche esprimere il mio cordoglio a quanti hanno sofferto così duramente a causa di questa terribile violenza.
In particolare è deplorevole che gli attacchi di Al-Qaeda aumentino nella regione del Sahel proprio mentre stanno diminuendo in molte altre parti del mondo. Si stima che il 25 per cento del traffico mondiale annuo di cocaina dall’America latina verso l’Europa passi per la regione del Sahel. Il narcotraffico consente il finanziamento delle attività terroristiche con entrate costanti e rende possibile reclutare giovani nella regione, pagandoli bene.
Questo spaventoso sviluppo preoccupa anche i nostri colleghi della regione del Sahel e, nel corso dell’ultima riunione dell’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE di dicembre, abbiamo appunto discusso il modo per migliorare la situazione della sicurezza nella regione e per ridurre i traffici illeciti. Signora Alto rappresentante, l’azione dell’Unione europea deve essere molto chiara e si devono intensificare gli sforzi. Assieme ai paesi della fascia del Sahel dobbiamo intensificare e coordinare gli sforzi mediante la strategia regionale organica da lei citata. L’Unione europea ha un’enorme responsabilità congiunta nel fornire un’assistenza di elevata qualità volta al definitivo consolidamento delle forze democratiche.
PRESIDENZA DELL’ON. LAMBRINIDIS Vicepresidente
Santiago Fisas Ayxela (PPE). – (ES) Signor Presidente, come sa in Niger, uno dei paesi centrali della regione del Sahel, si svolgeranno a fine mese elezioni presidenziali e parlamentari. Ritengo che la decisione dell’ Alto rappresentante di inviare una delegazione dell’Unione europea a queste elezioni costituisca un importante gesto di sostegno e desidero ringraziarla per avermi chiesto di presiedere tale delegazione.
Vorrei prima di tutto esprimere il mio profondo rammarico per la recente uccisione di due giovani francesi in Niger per mano di terroristi, senza dimenticare i soldati nigerini morti durante l’operazione di salvataggio.
Gli abitanti della regione rifiutano decisamente la violenza e il terrorismo, di cui peraltro sono le prime vittime, ma chiedono all’Unione europea di fare tutto il possibile per aiutarli a sradicare la violenza terroristica e di fornire armi e addestramento alle loro forze armate in modo da poter reagire adeguatamente alle incursioni terroristiche.
Nonostante la grande ricchezza di risorse naturali, il Niger è uno dei paesi meno sviluppati al mondo. L’Unione europea deve adoperarsi per istituire un’efficace strategia di cooperazione allo sviluppo per assistere il Niger e l’intera regione a uscire dalla difficile situazione in cui versano. Ritengo che in questa regione vi sia molto in gioco anche per noi , non solo per il suo benessere ma per il benessere dell’Europa che, data la prossimità geografica, dipende dalla sua stabilità.
Ana Gomes (S&D). – (PT) Signor Presidente, l’insicurezza nella regione del Sahel richiede uno sforzo di sviluppo, come ha detto qualche giorno fa il Commissario Piebalgs. Il solo sviluppo tuttavia, anche se essenziale e a lungo termine, non basta. Come ha detto oggi l’Alto rappresentante, l’Unione europea ha bisogno di una strategia coerente che faccia uso di tutti gli strumenti disponibili, compresi quelli volti alla riforma dei settori di sicurezza dei paesi della regione e del rafforzamento delle capacità democratiche e istituzionali. L’Unione europea però non ha agito in questo modo. Basta guardare alla vicina Guinea-Bissau, oggi praticamente trasformata in un narco-Stato, da dove recentemente l’Unione europea ha ritirato una missione della Politica europea di sicurezza e di difesa. È stato un errore, perché era necessario potenziare la dimensione e il mandato della missione, soprattutto dato che il centro della criminalità organizzata in Guinea-Bissau ha per obiettivo diretto l’Europa.
Un altro esempio di come l’Unione europea non stia facendo quel che dovrebbe nel Sahel è il modo in cui non si è per nulla preoccupata di cercare una soluzione al conflitto nel Sahara occidentale. Se continuiamo a guardare dall’altra parte (soprattutto ora dopo le grandi sollevazioni in Tunisia e relative ripercussioni sull’intera regione), non faremo altro che aggravare la situazione della sicurezza nel Sahel e consegnare un’altra generazione disperata e senza alternative alle organizzazione criminali e terroristiche come Al-Qaeda nel Maghreb islamico, già diffuse nella regione.
Come ricordato dall’Alto rappresentante, non possiamo continuare senza una strategia coerente.
Mariya Nedelcheva (PPE). – (FR) Signor Presidente, signora Alto rappresentante, onorevoli colleghi, il Sahel è una regione cerniera fra l’Africa sub sahariana e l’Europa, il cui allarmante livello d’insicurezza ci riguarda tutti.
Desidero attirare la vostra attenzione sulla risoluzione adottata il 4 dicembre scorso dall’Assemblea parlamentare paritetica ACP-EU, che tratta precisamente questo tema, e sulle raccomandazioni formulate nella risoluzione.
Una strategia europea comune è ovviamente necessaria, ma l’Unione europea non andrà da nessuna parte se agisce da sola. Ecco perché tutti gli interlocutori presenti nella regione devono impegnarsi in azioni concertate di ampio respiro. Un vertice dei capi di Stato dei paesi della regione, organizzato sotto gli auspici dell’ONU, dell’UE e dell’Unione africana, costituirebbe un’opportunità per affrontare di petto le difficoltà e per individuare soluzioni attraverso una strategia ampia.
Per dar prova di reale volontà politica, è urgente adottare un piano d’azione in due fasi: la prima riguarda l’urgenza. Gli Stati della regione devono mettere in comune le risorse e le informazioni di cui dispongono e coordinare le loro azioni.
La seconda fase riguarda la sensibilizzazione sul problema degli abitanti locali e la prevenzione del fenomeno. Dobbiamo evitare che le fila dei terroristi si ingrossino di giorno in giorno a causa della frustrazione e dall’inoperosità degli abitanti della regione.
L’Unione europea non può stare a guardare e non fare nulla per affrontare il problema. Vorrei esortare pertanto l’Alto rappresentante a fare il possibile per accelerare le discussioni e per giungere a soluzioni concrete a questo gravissimo problema.
Corina Creţu (S&D). – (RO) Signor Presidente, il deteriorarsi della situazione della sicurezza nella regione del Sahel non è più un problema regionale, ma è divenuto un problema dell’Unione europea visto l’aumento delle aggressioni subite da cittadini europei.
Il Sahel si trova a combattere in primo luogo contro la minaccia terroristica in constante aumento, le cui vittime sono essenzialmente cittadini europei che vengono rapiti ed uccisi con spaventosa frequenza. È anche una regione di transito per il commercio di droga e di armi, nonché un canale di emigrazione clandestina verso l’Europa. Ritengo si debba incentivare una fattiva cooperazione con le autorità nord-africane per accrescere il coinvolgimento delle forze di sicurezza e delle forze armate della regione nella lotta al terrorismo. Al contempo, disponiamo di numerosi strumenti politici atti a intensificare la cooperazione regionale nella lotta a questa minaccia.
Mi auguro che gli sforzi di assistenza tecnica dell’Unione europea si concentrino maggiormente sul sostegno del processo di sviluppo perché non possiamo ignorare il fatto che i gruppi terroristici trovano nel Sahel terreno fertile soprattutto grazie alla povertà della popolazione e alla fragilità dell’autorità statale. Un aiuto allo sviluppo più generoso e ben mirato potrà svolgere un ruolo chiave nel migliorare la situazione della regione.
Dominique Vlasto (PPE). – (FR) Signor Presidente, signora Alto rappresentante, onorevoli colleghi, è innegabile che la situazione nella regione del Sahel sia notevolmente deteriorata. La presenza di un territorio senza leggi alle porte dell’Europa è una minaccia che dobbiamo combattere tempestivamente e con decisione in quanto un numero sempre maggiore di gruppi estremisti minaccia le vite dei civili.
Mi unisco al rammarico per la perdita di vite umane e per i rapimenti e sono preoccupato per i cittadini europei nella regione. Fino ad oggi il Marocco è stato una roccaforte contro le varie forme di traffico dal Sahel; ora però, per raggiungere l’Unione europea, i trafficanti di droga, armi ed esseri umani aggirano il Marocco passando per la Mauritania e le Isole Canarie. Credo sia responsabilità dell’Unione europea assumere iniziative per aiutare questi Stati a porre fine a simili minacce.
La sicurezza dell’Europa si gioca non solo sul nostro territorio, ma anche nelle regioni a noi più vicine. È giunto il momento di agire e invito la Commissione e il Consiglio ad attuare un piano d’azione che aiuterà a ripristinare la sicurezza nella regione del Sahel.
Gilles Pargneaux (S&D). – (FR) Signor Presidente, signora Alto rappresentante, in qualità di parlamentare europeo originario del nord della Francia mi unisco all’onorevole Danjean nel descrivere non solo il mio profondo turbamento per l’uccisione dei due giovani della Francia settentrionale, ma anche il sentimento d’ingiustizia che provo ora. Rendo omaggio alla loro memoria.
Condivido la valutazione della situazione delineata dal collega Danjean e mi compiaccio delle risposte preliminari che l’Alto rappresentante ci ha fornito all’inizio della discussione. Se mi è concesso, però, vorrei rivolgerle una domanda: sappiamo bene quanto siano permeabili le frontiere fra il Mali e l’Algeria meridionale e sappiamo che, dall’altra parte del Sahel, il Sahara occidentale potrebbe diventare in futuro fonte d’insicurezza, proprio come il Sahel oggi.
Può dirci se avete previsto l’adozione di iniziative, soprattutto in risposta al piano di autonomia presentato dal Regno di Marocco alle Nazioni Unite che, a mio giudizio, consentirebbe di ridare sicurezza alla regione e di istituire il dialogo necessario in particolare con le autorità algerine?
Charles Tannock (ECR). – (EN) Signor Presidente, purtroppo le forze salafite associate al franchising globale di Al-Qaeda hanno trovato riparo nella regione del Sahel, territorio vasto e remoto, ideale per l’addestramento dei terroristi, per il rapimento di sventurati innocenti (rinnovo le mie condoglianze alle famiglie dei due cittadini francesi recentemente uccisi) e, naturalmente, per il narcotraffico e la criminalità organizzata.
Questo lancia una grande sfida in termini di sicurezza che si somma agli analoghi problemi che abbiamo già dovuto affrontare nella regione di frontiera fra Afghanistan e Pakistan, in Somalia e nello Yemen. L’Unione europea deve cooperare intensamente con gli alleati americani e degli altri paesi democratici, quali India e Israele, nonché con i governi moderati dei vicini paesi arabi e africani, per trovare una strategia congiunta per sconfiggere questa minaccia alla sicurezza mondiale.
Signora Alto rappresentante, l’Operazione Atalanta, al largo della Somalia, è stata un successo; forse si potrebbe ripetere qualcosa di simile, sotto gli auspici della NATO, ad esempio una missione di politica di sicurezza e di difesa comune guidata dalla Francia per contrastare questa minaccia mondiale, in particolare nella regione del Mali, Mauritania e Niger, paesi già estremamente poveri che richiedono tutto l’aiuto possibile.
Catherine Ashton, Vicepresidente della Commissione e Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. – (EN) Signor Presidente, sarò breve perché gli onorevoli deputati sono stati di grande aiuto non solo nell’esprimere il loro appoggio all’approccio di ampio respiro che adotteremo, ma anche per aver sollevato punti specifici.
Mi riallaccio a uno dei temi toccato all’inizio dall’onorevole Salafranca, ossia in che modo dovremmo sostenere le iniziative regionali, spesso dominate da singoli paesi senza il coinvolgimento di tutti i paesi di quella regione, e quale dovrebbe essere il modo migliore per fornire un sostegno che garantisca un nostro impegno con tutti i paesi della regione. Sto volutamente ampliando un po’ il discorso dell’onorevole parlamentare. Una delle sfide con le quali dobbiamo misurarci è sostenere iniziative che i paesi siano in grado di assumere individualmente e collettivamente e garantire al contempo la loro efficacia facendo sì che risultino organiche relativamente sia al numero di paesi coinvolti sia all’approccio da questi assunto.
Dobbiamo cercare di equilibrare le nostre azioni rispetto alle azioni di sostegno dei paesi più interessati. Sono sempre molto attenta alle modalità del nostro intervento diretto e tramite gli strumenti a nostra disposizione, per appoggiare iniziative sul campo, che nascono localmente e che sono spesso, ma non sempre, il miglior modo di procedere.
Per quanto riguarda il Sahara occidentale e le proposte avanzate, sono tutti elementi da tenere in debito conto. Devo capire dove il nostro sostegno darà i migliori frutti. Mi sono resa conto, nelle varie discussioni con i parlamentari, che questi temi, segnatamente il Sahara occidentale, sono diventati prioritari. Dobbiamo riflettere su quest’approccio in modo davvero globale e continuare a lavorare su questo. Sarà uno dei punti in discussione al prossimo Consiglio “Affari esteri”, ma anche un tema su cui tornare in Parlamento per essere sicuri di non aver perso di vista il reale obiettivo.
Ora è importante procedere con una strategia che tenga conto del breve, medio e lungo termine ma anche della portata del nostro impegno in quanto Unione europea, in quanto Parlamento, in quanto Commissione e in quanto Stati membri in grado di inserire tutti gli aspetti in una strategia seriamente ponderata per il futuro.
Presidente. – L’ordine del giorno reca la dichiarazione del Vicepresidente della Commissione europea e Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza sulla situazione in Bielorussia.
Catherine Ashton, Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. – (EN) Signor Presidente, siamo rimasti tutti scioccati dagli eventi successivi alle elezioni del 19 dicembre in Bielorussia. La forza usata dalle autorità contro i propri cittadini ha sollevato dichiarazioni di apprensione e condanna in tutto il mondo.
I miei colleghi ed io abbiamo incontrato molte delle persone colpite, membri del movimento di opposizione, della società civile, delle famiglie di coloro che sono stati incarcerati e della popolazione in generale. Abbiamo potuto esprimere la nostra partecipazione e solidarietà ed ascoltare. Tuttavia, onorevoli deputati, è giunto il momento di agire.
Apprezzo molto il fatto che i membri di questo Parlamento abbiano già contribuito alle nostre riflessioni sulla questione e che la settimana scorsa il mio collega, il commissario Füle, sia riuscito a presentare la nostra posizione attuale alla commissione per gli affari esteri. Sono impaziente di studiare la risoluzione comunitaria che emergerà dalle discussioni. Per tutti noi è importante rimanere il più concentrati possibile, data l’urgenza della situazione che stiamo affrontando.
Ho trascorso un po’ di tempo con alcuni rappresentanti dell’opposizione e con la gente comune in Bielorussia, inclusi i parenti – come ho accennato – di coloro che sono stati incarcerati. Ho anche incontrato il ministro degli esteri Martynov. Tali conversazioni non hanno lasciato spazio in me ad alcun dubbio sul fatto che gli avvenimenti ai quali abbiamo assistito sono stati un oltraggio al rispetto dei diritti umani, alle libertà fondamentali e alla democrazia come noi li concepiamo. Non solo vi è stato un uso ingiustificato della forza, ma anche il processo elettorale nel suo complesso è stato chiaramente compromesso dalla carcerazione di rappresentanti della società civile e dell’opposizione. La valutazione dell’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell’OSCE avvalla tale conclusione.
Molti dei detenuti sono stati rilasciati nelle ultime settimane. Un gruppo numeroso tuttavia – 30 persone – è accusato di reati che potrebbero portare a pesanti condanne e, come gli onorevoli deputati ben sanno, tale gruppo include alcuni candidati alla presidenza.
Signor Presidente, ho già condannato i provvedimenti repressivi adottati dalle autorità di Minsk e richiesto l’immediato rilascio di tutti i detenuti per motivi politici, così come la riapertura dell’ufficio dell’OSCE a Minsk.
Ho ribadito tale messaggio in una dichiarazione congiunta con il segretario di stato americano Hillary Clinton.
Durante il mio incontro con il ministro degli esteri Martynov ho sottolineato che l’Unione europea si aspetta una risposta immediata da parte delle autorità bielorusse alle richieste della comunità internazionale. Per decidere quali passi compiere nell’immediato futuro, dobbiamo cominciare dai principi fondamentali.
Il primo tra questi è che la sicurezza degli attivisti pacifici, inclusi i candidati alla presidenza, deve essere il nostro primo pensiero, sempre.
Il secondo è che i bielorussi sono nostri vicini e partner, e i loro interessi dovrebbero essere preminenti. Mentre esprimiamo la nostra preoccupazione alle autorità, non possiamo isolare la popolazione.
Il terzo principio è che il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali è alla base della politica estera dell’Unione e del partenariato orientale e fa parte di un insieme di valori comuni che condividiamo con i nostri partner più prossimi. Collaboreremo con detti partner, così come abbiamo fatto con gli Stati Uniti, per massimizzare la forza del messaggio inviato dalla comunità internazionale alla Bielorussia.
Signor Presidente, la nostra valutazione porta ad una chiara conclusione: occorre utilizzare i nostri canali per inviare una risposta rapida e decisa. Tale risposta dovrebbe essere un chiaro segnale per le autorità bielorusse per quanto riguarda la nostra posizione, senza isolare i cittadini e la società civile. Dovremmo rispondere in modo equilibrato. Da un lato dobbiamo considerare provvedimenti mirati contro le autorità bielorusse e, credo, rivedere le sanzioni. Dall’altro dobbiamo intensificare il dialogo con la società civile e i cittadini, e dar loro il nostro sostegno; in termini pratici ciò significa continuare con l’assistenza alle ONG, ai media e agli studenti, e forse adoperarci maggiormente per accrescere la mobilità dei cittadini che desiderano recarsi nell’Unione europea.
A breve, qualora i detenuti non vengano rilasciati, la reintroduzione di un divieto di viaggio per il Presidente Lukashenko, e l’estensione di tale divieto ad altri specifici individui, è certamente una delle opzioni possibili.
Riguardo all’intensificazione del sostegno alla società civile, ho chiesto al servizio di azione esterna di preparare, in collaborazione con la Commissione, alternative per provvedimenti urgenti su ONG, media e studenti. So che il Parlamento europeo ha la possibilità di fornire borse di studio agli studenti espulsi dall’università e mi auguro, Signor Presidente, che si possa ricorrere a tale risorsa. Cercheremo naturalmente di reperire altrove, anche negli Stati membri, ulteriori fondi.
Ho già accennato alla questione della mobilità, mi riferivo in particolare alla facilitazione dei visti: Desidero incoraggiare i consolati degli Stati membri a Minsk a facilitare il rilascio di visti come provvedimento ad hoc nell’interesse dei cittadini bielorussi.
Signor Presidente, i provvedimenti a breve termine che ho appena descritto dovranno ovviamente venire esaminati dal Consiglio Affari esteri del 31 gennaio, ma non è troppo presto per riflettere su alcuni aspetti più a lungo termine dei nostri rapporti con la Bielorussia.
Innanzi tutto ho già dichiarato che occorre collaborare con altri partner internazionali sulla questione, e questo giustificherebbe la partecipazione della Bielorussia al percorso multilaterale di cui disponiamo e spiega la necessità di impegnarsi in modo risoluto con i paesi del partenariato orientale per costruire consenso sulla questione.
In secondo luogo, per quanto riguarda il sostegno finanziario bilaterale da parte dello strumento europeo di vicinato e partenariato (ENPI), dovremmo concentrarci maggiormente sulle necessità della popolazione e della società civile.
Infine, l’anno scorso è stato redatto un piano comune ad interim, che tracciava lo sviluppo dei nostri rapporti con la Bielorussia sul medio termine. Credo sia necessaria una pausa in questo processo. Il che non significa abbandonare il piano comune ad interim, ma occorrono ulteriori consultazioni, anche con la società civile, e – se necessario – una revisione.
Signor Presidente, questo è l’ambito nel quale ci stiamo muovendo al momento. Ora sono molto interessata a sentire i pareri dei membri del Parlamento.
Jacek Protasiewicz, a nome del gruppo PPE. – (PL) Signor Presidente, non vi era spazio per alcun dubbio nelle menti degli osservatori internazionali e non ci dovrebbe essere spazio per dubbi di alcun genere in noi. Le recenti elezioni presidenziali tenute in Bielorussia a dicembre non si sono svolte in modo regolare e pertanto non possiamo più continuare con la politica che abbiamo seguito dal 2008 nei confronti delle autorità bielorusse, una politica basata sul dialogo e sull'apertura. Non è il momento di continuare a fare affari come al solito, è giunto il momento di nuove decisioni, una nuova politica e una linea dura nei rapporti con il regime bielorusso, e con questo intendo anche sanzioni politiche, senza escludere quelle economiche, e pure restrizioni sui visti. Dovremmo naturalmente fare un uso intelligente di tali sanzioni – inclusa la sospensione della Bielorussia dal partenariato orientale – e sceglierle in modo tale da non ledere le vite delle persone comuni in Bielorussia, ma non dovremmo neanche esitare nell’imporle.
Poiché le elezioni non si sono svolte in modo corretto, i risultati non sono attendibili. Possiamo pertanto affermare in tutta serenità e pienamente consapevoli dei fatti che l’opposizione democratica della Bielorussia può rivendicare una vittoria morale in queste elezioni. Dovremmo pertanto dare il nostro sostegno all’opposizione nei suoi tentativi di creare una rappresentanza politica qui a Bruxelles, per rappresentare sia i suoi interessi che quelli di tutta la Bielorussia libera nei suoi rapporti con l'Unione europea e gli Stati membri a livello politico. Dovremmo infine esigere il rilascio di coloro che sono stati arrestati, sia i candidati alla presidenza che gli attivisti politici, i giornalisti indipendenti, gli studenti e i docenti universitari. Essi devono venire tutti rilasciati prima che l’UE prosegua nei colloqui con i rappresentanti della Bielorussia.
Kristian Vigenin, a nome del gruppo S&D. – (BG) Signor Presidente, Lady Ashton, onorevoli deputati, il gruppo dell'Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo esprime il proprio immenso rammarico per il fatto che queste elezioni presidenziali si sono trasformate in un’altra occasione persa per il paese di imboccare con fermezza ed impegno la strada della democrazia.
Possiamo tuttavia affermare che in sostanza la politica dell’Unione europea di vincolare gradualmente la Bielorussia a determinate condizioni abbia dato dei risultati, occorre pertanto essere cauti nel richiedere un radicale cambiamento della nostra politica.
È grazie al nostro impegno che la campagna presidenziale ha in definitiva compiuto passi avanti, e questo potrebbe essere anche il motivo per cui ben più persone di quante gli organizzatori non si aspettassero si sono adunate in piazza a Minsk. In altre parole, probabilmente abbiamo generato un’atmosfera di maggiore libertà che i cittadini bielorussi hanno forse interpretato correttamente.
D’ora in poi, tuttavia, dobbiamo essere innanzi tutto sufficientemente chiari e fermi nelle nostre richieste alle autorità bielorusse di liberare coloro che sono detenuti e di smettere immediatamente di perseguitare tutti coloro che hanno organizzato le proteste o vi hanno partecipato in un modo o nell’altro. Non possiamo accettare compromessi a riguardo, e dobbiamo essere chiari in merito a ciò che vogliamo.
Altro è quanto possiamo fare a medio e lungo termine. Innanzi tutto dobbiamo evitare di gettare il paese di nuovo nell’isolamento perché questo significa – come hanno sottolineato i rappresentanti dell’opposizione e della società civile – l’isolamento dei suoi cittadini.
Nell'ambito della politica che già perseguiamo nei confronti della Bielorussia, occorre cercare di adottare dei provvedimenti atti ad adeguare detta politica, di modo che essa vada a beneficio dei cittadini del paese e sostenga i media, la società civile e l’opposizione. In questo modo potremo creare un ambiente nel quale siano possibili elezioni imparziali e democratiche.
Sono del parere che occorra lavorare in questa direzione con i paesi confinanti con la Bielorussia e non appartenenti all'Unione europea, la Russia e l’Ucraina, e che, come Parlamento, occorra cercare di utilizzare le opportunità offerte dal partenariato orientale e da Euronest al fine di vincolare gli altri cinque paesi del partenariato in attività comuni per democratizzare la Bielorussia.
(L’oratore accetta di rispondere a un’interrogazione presentata con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo149, paragrafo 8, del regolamento)
Marek Henryk Migalski (ECR). – (PL) Signor Presidente, so di avere solamente 30 secondi a disposizione.
L’interpretazione forse non è stata molto chiara, onorevole Vigenin, ma l’ho veramente sentita dire che lei considera la dimostrazione svoltasi dopo le elezioni, o, in altre parole, la dimostrazione che in effetti è stata tenuta per protestare contro la falsificazione delle elezioni e tutte le irregolarità avvenute, una prova del fatto che le elezioni e la situazione stanno migliorando? Così sembrava. Trovo estremamente difficile in effetti accettare che le sue parole siano state interpretate correttamente.
Kristian Vigenin (S&D). – (BG) Forse non sono stato sufficientemente chiaro o alcune sfumature sono andate perdute con la traduzione. Ciò che intendevo affermare è che la situazione in Bielorussia è mutata nel senso che sempre più persone comprendono la necessità della democrazia e di combattere per ottenerla. In questo senso interpreto positivamente il fatto che più persone di quante nessuno si aspettasse si siano adunate in piazza a Minsk.
Questo intendevo, e non – in alcun modo – che fosse stato il regime in Bielorussia a rendere questo possibile.
Presidente. – Forse è un problema dell’interpretazione inglese. Vi è un problema con l’interpretazione inglese? Vi prego di controllare. No, non è l’interpretazione. È un problema di microfono. Risolto?
Kristian Vigenin (S&D). – (EN) Signor Presidente, cerco sempre di esprimermi nella mia lingua, ma talvolta penso che non dovrei farlo, se si tratta di questioni così delicate.
Tentavo di trasmettere l’idea che credo che la situazione stia migliorando, nel senso che sempre più persone in Bielorussia si rendono conto che il paese ha bisogno di democrazia e sempre più persone si rendono conto di dover lottare per la democrazia in Bielorussia. Per questo motivo ho dichiarato di considerare un segnale positivo il fatto che così tante persone, ben più di quante gli organizzatori non si aspettassero, fossero in piazza a Minsk. Spero di essermi spiegato.
Kristiina Ojuland, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, siamo soddisfatti di quanto ha dichiarato l’Alto rappresentante e condividiamo pienamente le sue parole. È estremamente importante che l’Unione europea sia stata in grado di reagire al fallimento delle elezioni presidenziali in Bielorussia.
Vorrei che avessimo anche il coraggio di essere così decisi, risoluti e fermi nei nostri principi nel caso di un paese confinante con la Bielorussia, ove la soppressione dell’opposizione democratica e le violazioni dello stato di diritto e dei diritti umani sono divenuti pure un fatto comune.
Il deterioramento della democrazia in Russia potrebbe pure essere il vero motivo per cui il Cremlino ha riconosciuto le elezioni presidenziali in Bielorussia e descritto la violenta repressione come una ‘questione interna’ della Bielorussia. Tale indifferenza rispetto alla spaventosa situazione in Bielorussia è un eloquente segnale delle tendenze in Russia.
Il Parlamento europeo ha presentato una forte risoluzione che propone visti mirati e sanzioni economiche contro il regime criminale di Lukashenko. È di vitale importanza che l’Unione europea sia unita sulla questione e che gli Stati membri cessino di perseguire qualunque iniziativa bilaterale con Lukashenko e il suo regime. Dobbiamo sospendere il partenariato orientale e le altre forme di cooperazione fino a quando non saranno stati rilasciati i prigionieri politici. Al contempo dobbiamo rafforzare il sostegno alla società civile, alle ONG, ai media indipendenti in Bielorussia, al fine di prepararli alla costruzione della Bielorussia dopo la caduta di Lukashenko, che mi auguro avvenga tramite elezioni democratiche.
Pertanto, Alto rappresentante, intendo appoggiare la richiesta di un foro paneuropeo sul futuro della Bielorussia.
Heidi Hautala, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signor Presidente, ritengo che l’Alto rappresentante rifletta pienamente i nostri sentimenti quando afferma di essere sotto shock.
Dopo il 19 dicembre eravamo veramente scioccati, in quanto molti di noi già si auguravano una graduale apertura della Bielorussia nei confronti dell’Unione europea. Credo che per il momento molte di quelle speranze siano svanite. È allarmante ricevere – quasi ogni ora – notizie della repressione in atto a Minsk e in altre parti della Bielorussia.
Proprio ieri continuavano le vessazioni nei confronti dell’organizzazione per i diritti umani Viasna, con irruzioni nelle abitazioni, arresti e carcerazioni. Si tratta di un’organizzazione che con molto coraggio sta difendendo i diritti umani in Bielorussia. Le autorità non hanno ancora consentito la sua registrazione.
Il Comitato Helsinki in Bielorussia ha ricevuto un avvertimento dopo aver contattato il relatore speciale Onu sull'indipendenza dei giudici e degli avvocati. Esso ha motivo di ritenere che coloro che sono stati accusati di questi reati gravi non otterranno un processo equo.
Oggi abbiamo anche ricevuto notizie sull’ex candidato alla presidenza Sannikov, su sua moglie Iryna Khalip, giornalista e corrispondente della Novaya Gazeta a Minsk, e sul loro figlio – notizie che hanno colpito tutto il mondo. Abbiamo saputo che al bambino sarà consentito di stare con i nonni, in quanto i genitori sono in carcere. Vorrei solo avvertire tuttavia che queste non sono ancora buone notizie. Dobbiamo ancora ricevere conferma, conferma che potrebbe arrivare la prossima settimana.
Perché in Bielorussia la repressione è così dura? Dobbiamo davvero insistere su un’inchiesta internazionale indipendente che indaghi su quanto avvenuto, per comprendere tutti i retroscena e capire se ad istigare la violenza – che ora è stata dichiarata criminale – siano stati dei provocatori, e non coloro che in realtà stavano solo invocando la democrazia in Bielorussia. Sono del parere che l’organo più adatto a condurre tale inchiesta sarebbe l’OSCE e, altrimenti, le Nazioni Unite.
E nuove elezioni? Dovremmo essere cauti nel chiedere troppo presto nuove elezioni perché dobbiamo salvaguardare il percorso tracciato verso le riforme democratiche. Occorre garantire la libertà di stampa, di associazione e di riunione. Senza tutto questo non guadagneremmo molto, anche se tenessimo nuove elezioni oggi stesso in Bielorussia.
PRESIDENZA DELL’ON. LAMBRINIDIS Vicepresidente
Ryszard Czarnecki, a nome del gruppo ECR. – (PL) Signor Presidente, stiamo discutendo della situazione in Bielorussia, non giochiamo a scaricabarile. È facile lanciare accuse contro il regime di Lukashenko, che se le merita, in verità dovremmo accusarlo e denunciarlo. L’Europa dovrebbe tuttavia anche addossarsi parte delle responsabilità. Non è forse vero che la visita del primo ministro Berlusconi è servita a dare credito al regime? Non è forse vero che la visita della Presidente lituana, Grybauskaitė, è servita a dare credito al regime? Non è forse vero che la visita dei ministri degli affari esteri tedesco e polacco, Westerwelle e Sikorski, è servita a dare credito al regime, e in verità si è rivelata molto utile al regime? La verità è che i politici degli Stati membri dell’Unione europea hanno concesso a Lukashenko un certo spazio di manovra da punto di vista politico, senza chiedere assolutamente nulla in cambio. Oggi dobbiamo chiedere il rispetto dei diritti umani, ma dobbiamo anche assumerci le nostre responsabilità.
Helmut Scholz, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, Baronessa Ashton, il mio gruppo non ha sottoscritto la risoluzione di compromesso sulla Bielorussia. Desidero tuttavia chiarire che questo non significa che accettiamo il risultato elettorale, gli arresti e le rappresaglie contro coloro che hanno un’opinione differente. Riteniamo che delle elezioni trasparenti, democratiche e imparziali – la libertà dei dissenzienti per citare Rosa Luxemburg – siano un requisito fondamentale per stabilire rapporti con la Bielorussia e tutti gli altri Stati. Ciò include il rilascio immediato di tutti i detenuti politici.
Dubito tuttavia che eventuali sanzioni sarebbero realmente efficaci per giungere al rilascio immediato dei prigionieri politici e a cambiamenti radicali nel sistema democratico in Bielorussia. In passato le sanzioni sono state poco efficaci in Bielorussia e altrove. Onorevoli deputati, siamo tutti consapevoli di ciò. Credo che un approccio migliore sia presentare a coloro che detengono il potere le nostre ragioni e richieste nel contesto di un dialogo politico, non dare loro la possibilità di gettar discredito sulle critiche provenienti dalla società civile facendo riferimento a critiche esterne, stabilire un sistema politico trasparente e coordinare i nostri sforzi con tutti i nostri partner di politica estera in Bielorussia. Forse un tale approccio è anche più onesto rispetto ai nostri stessi argomenti, come ha dimostrato la discussione di questa mattina sulla presidenza ungherese.
Bastiaan Belder, a nome del gruppo EFD. – (NL) Signor Presidente, la brutale repressione di qualsiasi alternativa politica al regime del Presidente Lukashenko dopo le elezioni del 19 dicembre 2010 ha chiaramente ridotto lo spazio di manovra di Minsk all’estero. La Bielorussia ha improvvisamente interrotto – di propria iniziativa – le attività diplomatiche che aveva condotto tra Mosca e Bruxelles negli ultimi tre anni. Al momento il Presidente Lukashenko riesce a mantenere forti legami politici ed economici con il Cremlino. Ed è proprio questo rapporto di dipendenza che esige un maggiore impegno europeo nella società civile in Bielorussia.
Occorre pertanto assolutamente continuare con la strategia del cambio di mentalità come fase indispensabile per un cambio di regime. Dimostriamo coi fatti la solidarietà europea. Riduciamo ad esempio quanto prima il costo dei visti per i bielorussi. Avviamo poi una discussione strategica critica con l’opposizione politica bielorussa e, in questo contesto, prestiamo particolare attenzione alle forze riformiste all’interno dell’apparato di potere. Questa è politica equilibrata. Bruxelles non deve abbandonare Minsk adesso. Non lasciamo i bielorussi soggetti alla legge russa o cinese; tracciamo un percorso indipendente per loro, verso una società libera e uno stato di diritto democratico.
Traian Ungureanu (PPE). – (EN) Signor Presidente, Alexander Lukashenko non ha mai perso occasione per dimostrarsi un dittatore. Le elezioni in dicembre sono state in realtà un rituale di rinomina. Ma noi in Europa ci siamo illusi che Lukashenko sarebbe miracolosamente cambiato. In effetti abbiamo affermato che avremmo aspettato le elezioni di dicembre. Le elezioni ci sono state, Lukashenko non è cambiato e l’opposizione si trova o in ospedale o in prigione.
Credo sia giunto il momento di rivedere l’approccio dell’Unione europea alla Bielorussia. È evidente che non vi è posto per la Bielorussia nel partenariato orientale. La Bielorussia dovrebbe venire sospesa. L’unico nostro partner dovrebbe essere la società civile. Attendo l’esito del Consiglio Affari esteri del 31 gennaio, mi auguro che sia Lady Ashton che il commissario Füle raccomandino la sospensione.
Infine, riguardo alle implicazioni per l’assemblea parlamentare Euronest, non possiamo più dare il veto a Lukashenko su Euronest. La Bielorussia era solita bloccare Euronest. Si evince pertanto che è necessario lanciare Euronest con urgenza.
Justas Vincas Paleckis (S&D). – (LT) Signor Presidente, Alto rappresentante, la risoluzione del Parlamento europeo che voteremo domani deve inviare un segnale forte ai bielorussi, a tutta l’Europa e al mondo intero. Occorre ritornare quanto prima almeno alla situazione antecedente il 19 dicembre e impegnarsi insieme per garantire che la Bielorussia segua la strada della democrazia e del rafforzamento dei diritti umani. Oggi l’obiettivo più importante è il rilascio dei prigionieri politici e la cessazione degli attacchi contro l’opposizione, le organizzazioni non governative e la stampa libera. Concordo tuttavia con l’Alto rappresentante che quando colpiamo il regime in Bielorussia, non dobbiamo colpirne i cittadini. Dobbiamo calcolare con precisione matematica se danneggeremo la popolazione, oppure i legami di mutuo beneficio -con gli Stati membri europei- in materia di affari, cultura, istruzione e turismo, che sono essenziali per l’apertura della Bielorussia in Europa.
La recente politica di dialogo con la Bielorussia ha dato qualche frutto: ora quasi metà della popolazione è favorevole a rapporti più stretti con l’Unione europea. Dobbiamo reagire a quanto avviene a Minsk in modo da far crescere ulteriormente questo dato a partire dal prossimo anno. Sarebbe una dolorosa ricompensa per gli organizzatori del 19 dicembre. Concludendo, vorrei citare nuovamente il muro di Berlino finanziario, legato ai visti, che purtroppo si è venuto a creare tra l’Unione europea e i suoi vicini orientali, e che in Bielorussia sembra ancora più difficile da superare. È giunto il momento di abbattere questo muro e consentire a ucraini, bielorussi, georgiani e russi di avere accesso ai visti per l’Unione europea e di ottenerli senza difficoltà. Quei milioni di euro che si ottengono da costi incomprensibilimente elevati per i visti non vengono compensati, anzi approfondiscono il divario ereditato dal passato tra gli Stati membri dell’Unione europea e i paesi confinanti. Non dovrebbe essere così.
Gerben-Jan Gerbrandy (ALDE). – (NL) Signor Presidente, nella vita, e certamente in politica, la speranza è molto importante. La speranza offre una prospettiva, la speranza permette alle persone di credere che la situazione migliorerà in futuro, e la speranza è ciò che manca in Bielorussia dal 19 dicembre. La speranza che queste elezioni sarebbero state più democratiche delle precedenti. La speranza che l’opposizione questa volta avrebbe avuto più probabilità e la speranza che i media bielorussi avrebbero presentato un quadro più equilibrato ai cittadini. Tutte queste speranze sono state infrante.
Proprio per questo motivo l’Unione europea dovrebbe cambiare la sua politica nei confronti della Bielorussia. La politica di riavvicinamento al regime purtroppo non ha funzionato. L’Unione europea dovrà imporre sanzioni nei confronti della leadership bielorussa. Sanzioni contro i suoi leader, non contro i cittadini. Sanzioni quali il ritiro dei visti di tutti i leader e dei loro familiari. Quest’ultimo punto è importante se vogliamo spezzare i complessi legami tra il potere politico ed economico in Bielorussia.
Fortunatamente Lady Ashton sembra seguire la giusta strada. La Commissione ha anche risposto in modo adeguato, esigendo l’immediato rilascio di tutti i prigionieri politici. Anche il nostro Parlamento potrebbe contribuire, inviando quanto prima una missione in Bielorussia al fine di dimostrare il nostro sostegno all’opposizione, ai media liberi e alle ONG. Solo con l’aiuto di questi ultimi e grazie al loro impegno la nuova Bielorussia riuscirà a prender forma.
Concludendo, l’Unione europea dovrebbe dare nuovo impulso al programma di vicinato. Finora tale programma non ha tenuto fede alla propria promessa. Non dobbiamo limitarci a dare il nostro sostegno ai cittadini di Moldova, Ucraina, Georgia, Armenia e Azerbaigian per il loro sviluppo. Allo stesso modo potremmo anche dimostrare ai bielorussi quanto è importante anche per il futuro del loro paese cercare un riavvicinamento all’Europa. Così facendo assicureremo il ritorno della speranza tra le persone in Bielorussia.
Werner Schulz (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, baronessa Ashton, le nostre speranze che la Bielorussia si sarebbe avvicinata alla democrazia sono rimaste amaramente deluse dopo le elezioni presidenziali. Malgrado tutte le nostre esperienze negative e le riserve in merito al governo di Lukashenko, negli ultimi mesi l’Unione europea ha teso la mano alla Bielorussia. In che misura la cooperazione proposta dipendesse dalle elezioni era stato chiarito perfettamente e per un po’ era sembrato che le elezioni sarebbero state almeno in parte corrette, imparziali e libere.
Tuttavia le minime concessioni hanno chiaramente scosso il sistema repressivo in modo tale che il Presidente si è rivelato ancora una volta per quello che è: un dittatore spietato. La sua presunta elezione è una spaventosa mistificazione, il suo potere non è legittimo e la violenza nei confronti dell’opposizione è un brutale reato. La frode elettorale e la soppressione delle proteste rappresentano un notevole passo indietro per la Bielorussia. Vige nuovamente un’atmosfera di paura e repressione nel paese. Coloro che hanno truffato le elezioni hanno dichiarato spudoratamente che erano intervenuti i servizi segreti e diplomatici stranieri , quando, in effetti, era stato il sistema stesso a inviare i sobillatori. È anche scandaloso che i servizi segreti, controllati dal Presidente e che si chiamano ancora KGB, utilizzino metodi risalenti all’epoca di Stalin per terrorizzare l’opposizione e la società civile.
Questa violazione dei diritti umani fondamentali da parte di un membro dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) è inaccettabile. Il regime postcomunista è diventato intollerabile. Abbiamo redatto una risoluzione parlamentare che costituisce una buona base per le discussioni tra i ministri degli esteri europei. La risoluzione è fondamentalmente incentrata sul rilascio immediato dei detenuti, sull’assistenza medica per i feriti, sul ritiro delle assurde accuse e sull’istituzione di una commissione indipendente d’inchiesta, e anche su sanzioni politiche ed economiche mirate che incideranno su coloro che sono al potere, ma non sulla popolazione.
Ora dobbiamo sostenere nel paese le forze proeuropee – di cui abbiamo fatto nascere le speranze – che vogliono un cambio di governo e che hanno votato. Esse vedono il futuro del proprio paese nell’Unione europea e non in rapporti più stretti con la Russia. Il fatto che i primi leader a congratularsi con Lukashenko per la sua vittoria elettorale siano stati il Presidente russo Medvedev, il Primo ministro russo Putin e il President dell’Ucraina Yanukovych dimostra quale sia la loro interpretazione della democrazia e le tetre prospettive che attendono la Bielorussia.
Marek Henryk Migalski (ECR). – (PL) Signor Presidente, intendo esordire con alcune notizie per l’onorevole Hautala. Mi auguro che abbia nuovamente le cuffie. Ebbene, onorevole Hautala, vi è ancora qualcosa da aggiungere alle informazioni che ci ha dato riguardo all’organizzazione Viasna. Non solo all’organizzazione non è stato consentito di registrarsi, ma di recente la polizia ha rimosso tutti i loro computer, e lunedì – queste le notizie per lei – ho dato il via a una raccolta di laptop in Polonia da inviare loro.
Signor commissario, mettiamoci al lavoro ora. E comincerò ripetendo le sue parole: è giunto il momento di agire. È vero. La sua seconda affermazione molto importante è stata che non dobbiamo isolare la società bielorussa. I provvedimenti che adotteremo dovrebbero rispettare tale principio, devono essere provvedimenti veramente ‘blandi’ o, in altre parole, costruire la società civile, sostenere i media e gli studenti e abolire i visti. Occorre appoggiare simili provvedimenti e, in particolare, destinarvi maggiori risorse. Concordo tuttavia che occorrono anche provvedimenti più incisivi, quali quelli proposti dagli onorevoli Protasiewicz e Ojuland. In questo caso I due tipi di provvedimenti andrebbero adottati coerentemente.
Jacek Saryusz-Wolski (PPE). – (EN) Signor Presidente, ritengo che la diagnosi fatta e la terapia prevista siano corrette. Il problema non è il fatto che in passato avessimo una diagnosi e una terapia di cura così diverse, ma il fatto che ben poco è stato fatto. Pertanto forse dovremmo chiederci se questa volta siamo sufficientemente determinati ad agire in modo diverso.
Occorre ovviamente esprimere la nostra condanna ed esigere la liberazione dei detenuti, imporre sanzioni e prendere in considerazione una sospensione ma, se non andiamo oltre alla presente condanna verbale e al sostegno morale, non vi saranno frutti da cogliere. Occorre una strategia e interventi a lungo termine, sarà un vero e proprio test per la nuova politica estera che Lady Ashton sta ora guidando.
Non si tratta solo della Bielorussia. Il modo in cui affronteremo la questione della Bielorussia determinerà la vera dinamica politica dell’intera regione: in Moldovia, in Ucraina, ma anche nei confronti della Russia e di altri Stati. Al momento, in termini geopolitici, il corso degli eventi sta allontanando la Bielorussia dall’Europa, e l’Europa si sta ritirando, anche dall’Ucraina. Abbiamo naturalmente ragione di raccomandare un duplice approccio: sanzionare e isolare il regime, aumentare l’assistenza alla società. Propongo di sostituire le politiche di carota e bastone rivolte finora al regime con: il bastone nei confronti del regime e la carota nei confronti della società. Occorre ricordare tuttavia che il nostro partner è soprattutto la società, non il regime.
Lady Ashton ha affermato che occorre continuare con gli aiuti. Dovremmo smettere di fare poco come in passato. Abbiamo fatto tutto quanto avremmo dovuto? No, l’assistenza fornita è stata ridicolmente modesta, è necessario un cambiamento.
Richard Howitt (S&D). – (EN) Signor Presidente, mentre discutiamo qui oggi, sembra che Alexander Lukashenko stia facendo approvare in tutta fretta progetti per un’inaugurazione questo venerdì, senza ospiti internazionali, proprio perché la comunità internazionale non riconosce le elezioni bielorusse come libere, imparziali o trasparenti. Se il piano va in porto, sarà un venerdì nero che seguirà quella che è stata definita la domenica di sangue, il 19 dicembre, quando 700 manifestanti democratici sono stati arrestati, inclusi sette dei nove candidati alle elezioni presidenziali, uno dei quali ha riportato entrambe le gambe fratturate, mentre un altro è stato picchiato dalla polizia antisomossa fino a riportare lesioni al cervello.
Chiedo al Vicepresidente/Alto rappresentante e agli Stati membri dell’Unione europea di sostenere le proposte polacche di un divieto di visto e, come chiarisce la nostra risoluzione, appoggiare il principio di ulteriori sanzioni economiche mirate.
In questo contesto, ciò che può fare l’Unione europea è esprimersi chiaramente e semplicemente per il rilascio di tutti i detenuti politici, per la cessazione delle minacce di divieto o restrizione da parte delle autorità nei confronti del Comitato Helsinki in Bielorussia e per una rapida organizzazione di nuove elezioni.
Per il futuro concordo con quanto è stato affermato oggi sia da Catherine Ashton che dal mio gruppo, e cioè che occorre mantenere aperto il percorso multilaterale e dare risalto e sostegno alla società civile. Non si tratta tuttavia semplicemente di un momento critico per la democrazia e i diritti umani in Bielorussia: È un test per la stessa politica europea di vicinato. È vero, cerchiamo una cooperazione e un partenariato chiari e più stretti con i nostri vicini, per incoraggiare un processo volto ad aumentare la congruenza con coloro ai nostri confini che dimostrano un genuino impegno reciproco a riguardo, ma questo non avrà esito positivo se non si agisce, manca l’impegno reciproco e la situazione peggiora.
Il dolore di cui dovremmo preoccuparci nella presente discussione non è quello provocato dalle sanzioni intelligenti proposte da parte dell’Europa contro la Bielorussia, ma il dolore fisico delle percosse inflitte alle persone che condividono l’impegno europeo nei confronti della democrazia e dei diritti umani e che hanno bisogno di noi solidali al loro fianco affinché i lunghi anni di dolore della Bielorussia possano finire.
Elisabeth Schroedter (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, baronessa Ashton, desidero ringraziarla per la rapida risposta agli avvenimenti di Minsk. Ammiro anche la bozza da lei presentata. Essa rappresenta un buon equilibrio tra le sanzioni contro i responsabili delle gravi violazioni dei diritti umani e i provvedimenti a sostegno della popolazione in Bielorussia.
Desidero anche ringraziare la Conferenza sulla sicurezza di Monaco, che ha annullato l’invito al Presidente Lukashenko, inviando così un chiaro segnale: nelle commissioni internazionali non vi è posto per i dittatori, che non devono essere legittimati da inviti a partecipare alle riunioni.
Il riconoscimento internazionale di un Presidente che si è autoproclamato indebolisce l’opposizione nel paese e potrebbe essere considerato il riconoscimento internazionale di elezioni non democratiche. Ecco perché la risposta della Conferenza è stata quella giusta.
Sappiamo di dover attendere a lungo prima di vedere un cambiamento politico nel paese. Sappiamo anche che il Presidente Lukashenko è al potere da molto tempo e la sua reazione è tipica. Non possiamo però attendere quando si tratta della situazione umanitaria in Bielorussia, Baronessa Ashton. Dobbiamo agire rapidamente e assicurare il rilascio dei prigionieri politici e la riunificazione tra genitori e figli. Non hanno fatto nulla, se non manifestare in favore dei loro diritti democratici ed esprimere nelle strade i loro sentimenti a riguardo. La reazione alle loro azioni è ingiustificata.
Baronessa Ashton, la invito ad agire rapidamente e a chiarire in qualunque dichiarazione che si tratta di prigionieri politici e non di criminali. Vorrei inviare i miei saluti ad Andrei Sannikov e agli altri che si trovano in carcere. Devono sapere che hanno la nostra solidarietà.
Edvard Kožušník (ECR). – (CS) Signor Presidente, il mese scorso il regime totalitario di Cuba ha negato a Guillermo Farinas, insignito del Premio Sacharov, il permesso di recarsi a Strasburgo. Pochi giorni dopo abbiamo assistito ad una serie di atti di repressione, dopo le elezioni presidenziali in Bielorussia. Non vi è alcun dubbio, suppongo, che il regime di Lukashenko sia un regime autoritario, ma è anche un regime totalitario, proprio come quello di Castro a Cuba.
Oggi stiamo discutendo in quest’Aula sull’eventualità di impedire agli alti rappresentanti del regime di Lukashenko di accedere all’Unione europea. Sono favorevole ad una nostra maggiore apertura nei confronti dei cittadini della Bielorussia, che non hanno mai saputo cosa siano libertà e democrazia. Qualsiasi forma di isolamento politico andrà solamente a vantaggio di Lukashenko. Bisognerebbe accogliere i cittadini della Bielorussia nell’Unione europea. D’altro canto dovremmo snobbare i rappresentanti del regime totalitario di Lukashenko ed essere molto duri nei loro confronti. Per le persone che non rispettano i valori democratici non vi è posto in una società rispettabile e onesta.
Jacek Olgierd Kurski (ECR). – (PL) Signor Presidente, la politica condotta di recente nei confronti della Bielorussia da parte di determinati governi europei, incluso purtroppo il governo del mio stesso paese, la Polonia, ha avuto un esito assolutamente disastroso. Il Presidente Lukashenko, l’ultimo dittatore d’Europa, si sta prendendo gioco di noi e, incoraggiato dalla nostra stessa apatia, sta perseguitando e mettendo in carcere i suoi avversari politici. Una politica di consenso e tolleranza non porterebbe agli effetti auspicati. Ancora una volta il nostro parlamentare con la dittatura è stato interpretato in Bielorussia come sostegno al Presidente Lukashenko, e le nostre illusioni si sono infrante in dicembre con i brutali pestaggi, le aggressioni e gli arresti di centinaia di attivisti dell’opposizione.
È di vitale importanza che noi membri del Parlamento europeo inviamo un chiaro messaggio alla Bielorussia. L’Europa non tollererà la soppressione della libertà da parte della dittatura bielorussa. Le sanzioni devono essere ben mirate e colpire i rappresentanti del regime, non le persone comuni. Al contrario le persone, così come le organizzazioni della comunità, i media indipendenti e l’opposizione, hanno bisogno del nostro aiuto. Possiamo fornire assistenza reale in materia di istruzione e di facilitazione dei visti. Il partenariato orientale deve venire sospeso nel caso della Bielorussia, oppure reso più rigido in modo da assicurare che il regime non veda più neanche un euro. Quanto maggiore sarà la presenza dell’Europa in Bielorussia, tanto più rapida sarà la caduta dell’ultimo dittatore del nostro continente.
Seán Kelly (PPE). – (EN) Signor Presidente, credo che uno dei maggiori sviluppi del mondo moderno sia la transizione dal totalitarismo alla democrazia nei paesi dell’Europa orientale. L’Ungheria – della cui presidenza che resterà nella storia abbiamo discusso questa mattina – ne è un esempio e il nostro stesso Presidente, l’onorevole Buzek, è un brillante esempio di tale sviluppo.
Vi sono tuttavia altri paesi nei quali la transizione non è avvenuta senza complicazioni o incidenti. La Bielorussia ne è purtroppo un esempio, e Lady Ashton in particolare ha riassunto ciò che occorre fare per affrontare la situazione.
Nella migliore delle ipotesi si potrebbe affermare che la Bielorussia ha abbracciato la democrazia facendo due passi avanti e uno indietro. Nelle recenti elezioni probabilmente ha fatto tre passi indietro e nessuno avanti, ma ritengo che ella abbia ragione quando afferma che occorre lavorare con la società civile, le ONG e i nostri partner internazionali per esercitare pressione sul Presidente Lukashenko e per porre fine alle sue repressioni e alla sua dittatura.
Andrzej Grzyb (PPE). – (PL) Signor Presidente, quanto avvenuto in Bielorussia il 19 dicembre è stata una violazione della libertà e delle libertà democratiche. L’arresto di 700 persone, inclusi tutti i candidati alla presidenza non merita alcun commento. Le elezioni sono state inique. Si tratta di una prova per l’Unione europea, e anche per quei paesi con i quali l’Unione europea ha un rapporto privilegiato, come la Russia che ha riconosciuto il risultato elettorale.
Dobbiamo dare il nostro sostegno all'opposizione e inviare un chiaro segnale: prima che si possa discutere di qualsiasi argomento nell’ambito dei rapporti con la Bielorussia, e, in particolare, con il governo del paese, i detenuti devono essere rilasciati. Qualunque restrizione non deve tuttavia incidere sui cittadini del paese. Dobbiamo seguire l’esempio della Polonia e allentare il regime dei visti. Occorre prestare assistenza a coloro che hanno perduto il proprio posto di lavoro e consentire agli studenti che sono stati cacciati dall’università di studiare in altri paesi. I media indipendenti, incluse le stazioni radio e l’emittente televisiva Belsat, hanno bisogno del nostro sostegno. Questo vale non solo per la Lituania e la Polonia, ma anche per gli altri Stati membri e le istituzioni europee. Chiedo questo nel modo più fermo.
Kyriakos Mavronikolas (S&D). – (EL) Signor Presidente, ovviamente in Bielorussia la situazione è terribilmente involuta, rispetto ai nostri principi e il nostro credo. Lukashenko guida il paese e l’opposizione si trova in carcere. Ciò che le persone si aspettano da noi è che ci rivolgiamo alla società civile nella quale – come è stato spiegato correttamente prima – l’Unione europea e i suoi principi vengono tenuti in grande considerazione, e che richiediamo libertà di stampa e il rilascio dei leader dell’opposizione detenuti e, soprattutto, che elaboriamo una politica come quella alla quale ha fatto riferimento Lady Ashton, che condivido pienamente, in modo da creare nuove condizioni per ristabilire i rapporti con la Bielorussia.
Charles Tannock (ECR). – (EN) Signor Presidente, le elezioni per la presidenza in Bielorussia sono state molto deludenti per coloro tra noi che hanno osservato il paese per diversi anni. Ho incontrato l’ambasciatore bielorusso a Londra, che mi ha rassicurato che questa volta sarebbe stato tutto diverso, che sarebbero stati rispettati gli standard internazionali e che l’OSCE avrebbe potuto dichiarare che le elezioni si erano svolte in modo libero e corretto.
Purtroppo gli istinti di Homo Sovieticus di Lukashenko si sono dimostrati più forti di qualsiasi altro fattore. Il suo comportamento poco ortodosso non è stato previsto dai suoi stessi alti funzionari, inclusi gli ambasciatori. Anch’io mi unisco ora all’appello per il rilascio immediato di tutti i prigionieri politici e per indire nuove elezioni – con una missione di osservazione a lungo termine dell’Unione europea e con la piena approvazione dell’OSCE – che soddisfino tutti gli standard necessari per essere essenzialmente libere e imparziali.
È estremamente improbabile che Minsk accetti, ma occorre almeno fare un tentativo. Altrimenti bisognerà imporre nuovamente e subito più sanzioni mirate, congelare il patrimonio di Lukashenko – se lo troviamo – e imporre un divieto di viaggio a lui e a tutti i suoi alti funzionari.
Alfreds Rubiks (GUE/NGL) . – (LV) Signor Presidente, da parte mia intendo sostenere la relazione dell'Alto rappresentante Ashton per l’atteggiamento misurato che adotta riguardo a quanto è accaduto in Bielorussia. Spesso ricorriamo a valutazioni puramente emotive basate sulle nostre emozioni. Parliamo di prigionieri politici che devono venire rilasciati. Tuttavia deve ancora aver luogo il processo. Non sappiamo ancora quale sarà il verdetto. Per questo motivo chiedo nuovamente ai colleghi deputati di adottare un atteggiamento misurato riguardo a questo tipo di eventi. Lo stesso è accaduto due anni fa in Lettonia: a nessuno era vietato riunirsi finché ciò non è avvenuto. Quando tuttavia la folla, chiaramente incitata da un provocatore, è arrivata e ha cominciato a fare a pezzi l’edificio del parlamento, è intervenuta la polizia. Lo stesso in Bielorussia. Vorrei veramente sapere (e finisco subito) da dove proviene il denaro che sostiene l’opposizione in Bielorussia. Così potremmo aiutarli. Grazie.
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signor Presidente, abbiamo letto più volte nei media che reintrodurre le sanzioni nei confronti del Presidente Lukashenko della Bielorussia – sanzioni che sono state allentate più di due anni fa – equivarrebbe ad ammettere che il nostro lungo operato per un riavvicinamento è fallito.
Sono del parere che i nostri interventi fossero già falliti, al più tardi all’epoca delle elezioni presidenziali o quando sono stati chiusi gli uffici di Minsk dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE).
Il comportamento dell’ultimo dittatore in Europa dimostra ancora una volta che l’Unione europea ha un problema quando si tratta di violazioni dei diritti umani. Lo scandalo dei voli CIA o l’approccio contraddittorio al conflitto tra integrità territoriale degli Stati e diritto all’autodeterminazione dei popoli, ad esempio nei Balcani, hanno danneggiato l’immagine dell’Unione europea come patrocinatore dei diritti umani. La credibilità dell’Unione europea risulta danneggiata anche quando essa – in contrasto con gli ammirevoli principi di Copenhagen – intrattiene negoziati di adesione con la Turchia, un paese che detiene un ben misero primato per quanto riguarda i diritti umani.
Ma il dado è tratto in Bielorussia, senz’altro con l’aiuto di Lukashenko in persona.
Jarosław Kalinowski (PPE). – (PL) Signor Presidente, considerando le sempre maggiori azioni di repressione imposte dal regime di Lukashenko, è nostro dovere esprimere solidarietà al popolo bielorusso. Occorre sostenere i media indipendenti consentendo loro, tra l’altro, di operare sul territorio comunitario: un buon esempio è la rete televisiva Belsat in Polonia. Borse di studio per gli studenti sono anche un buon mezzo per offrire sostegno, considerato che molti giovani sono stati espulsi dalle università e dalle scuole per ciò che viene definita attività di opposizione. Lo stesso vale per i visti, che al momento sono semplicemente troppo costosi per i bielorussi: bisogna porvi rimedio senza ulteriori indugi. Bisogna offrire ai cittadini della Bielorussia assoluta libertà di circolazione nell’Unione europea, ad eccezione ovviamente dei rappresentati del regime. Il sostegno della società civile è un’assoluta priorità, in quanto una società genuinamente civile porterà al cambiamento in Bielorussia e le assicurerà un futuro migliore.
Elena Băsescu (PPE). – (RO) Signor Presidente, le elezioni presidenziali del 19 dicembre hanno segnato un passo indietro, sia per lo sviluppo delle democrazia in Bielorussia che per i rapporti con l’Unione europea. L’utilizzo della forza e l’arresto dei rappresentanti dell’opposizione non risolvono affatto i conflitti politici. Anzi. Negare all’opposizione il diritto di rappresentanza in parlamento inasprisce le tensioni sociali.
Vista la situazione ritengo che il regime autoritario di Minsk non abbia diritto di godere dei benefici derivanti dal partenariato orientale. Inoltre, la Bielorussia non ha confermato il proprio impegno in materia di tale politica così come hanno fatto altri paesi della regione, in particolare la Georgia e la Repubblica di Moldova. Sospendere la Bielorussia dal partenariato orientale sarebbe davvero una sanzione diretta, tangibile contro il governo. Mi auguro che il prossimo Consiglio Affari Esteri faccia menzione di tali sanzioni nella posizione comune.
Krzysztof Lisek (PPE). – (PL) Signor Presidente, Alto rappresentante, desidero porre una domanda alquanto indisceta a lei, Baronessa Ashton. Lei sa cos’era solito fare la sera, nel 1982, Jerzy Buzek? O che cosa facevano Janusz Lewandowski o Donald Tusk? Accendevano tutti la radio e ascoltavano Radio Free Europe o Voice of America o la BBC, per scoprire la verità su quanto stava accadendo in Polonia. Ho un’altra domanda importante per lei: come ha potuto sopravvivere Lech Wałęsa, e come ha potuto sopravvivere chiunque degli attivisti dell’opposizione dopo essere stati licenziati dai loro posti di lavoro dal regime comunista polacco? Sono tutti sopravvissuti perché i membri dei sindacati americani hanno inviato aiuti finanziari. Coloro che ascoltavano la radio potevano farlo perché le stazioni radio ricevevano sostegno e fondi. Oggi è nostra la responsabilità di garantire che la verità giunga ai bielorussi, e che gli aiuti finanziari raggiungano l’opposizione bielorussa.
Peter Šťastný (PPE). – (EN) Signor Presidente, concordo pienamente con i colleghi deputati che propongono sanzioni contro gli altolocati amici intimi di Lukashenko e sostegno e aiuti all’opposizione, alle ONG e ai comuni cittadini in Bielorussia.
La proposta di risoluzione comune menziona l’eventuale spostamento del campionato mondiale di hockey su ghiaccio del 2014 dalla Bielorussia, se non verranno rilasciati i prigionieri politici. Tale strumento è ragionevole ed estremamente efficace. Lukashenko è un appassionato dell’hockey così come lo sono gli abitanti della Bielorussia. Tale spostamento susciterebbe senz’altro l’attenzione e solleverebbe molte domande in tutto il paese.
La Federazione internazionale dell'hockey su ghiaccio (IHF) è l’organo preposto a prendere una simile decisione. Potrebbe essere un’opportunità per migliorare la loro immagine, offuscata a causa dell’ammissione nel Consiglio dell’IHF di un ex alto funzionario del KGB e spia comunista negli USA, una persona che ha contribuito a defraudare centinaia di migliaia di cittadini di miliardi di dollari. Quando sarà il momento, mi auguro che l’IHF prenda la decisione giusta.
Sari Essayah (PPE). – (FI) Signor Presidente, è un fatto positivo che diversi di noi in questa sede abbiano ammesso apertamente che la cosiddetta politica del dialogo dell’Unione europea e di molti Stati membri abbia fallito. Lukashenko, che è uno scaltro attore politico, è riuscito a sfruttare il programma per la sua campagna, si è servito di tutti i benefici politici ed economici e, allo stesso tempo, ha continuato a parlare con disprezzo di democrazia e diritti umani. È perfino riuscito ad incantare alcuni politici qui in quest’Aula, come l’onorevole Rubiks, la cui massima preoccupazione – data la situazione – sembra essere se l’opposizione otterrà aiuti dall’estero.
Le sanzioni che la risoluzione chiede devono assolutamente venire attuate contro la leadership politica. Al contempo occorre però garantire che gli aiuti giungano alle persone comuni che hanno perduto il proprio posto di lavoro o di studio nella speranza che arrivasse la democrazia. Adesso è veramente l’ultima occasione per l’Unione europea di mostrare la propria vera natura, sostenendo il popolo bielorusso nella sua lotta per la democrazia e dimostrando che intendiamo cacciare l’ultimo dittatore d’Europa.
Presidente. – Onorevoli deputati, permettetemi di affermare in generale che sarebbe molto apprezzato se coloro che chiedono la procedura catch the eye fossero presenti durante tutta la discussione. Questo faciliterebbe enormemente una discussione animata.
Piotr Borys (PPE). – (PL) Signor Presidente, oggi è il momento della verità per noi, per quanto riguarda la solidarietà con la Bielorussia. Come tutti sappiamo la Bielorussia è l’ultima dittatura in Europa, e dovremmo mostrarci pienamente solidali. Siamo anche consapevoli del fatto che gli Stati Uniti forniscono solo aiuti limitati in quest’area. La proposta che intendiamo presentare oggi è un ragguardevole programma di risorse finanziarie mirate al sostegno di opposizione, media e organizzazioni non governative, ma anche e soprattutto della giovane elite. Mi riferisco qui principalmente alle centinaia o perfino migliaia di studenti bielorussi che al momento sono impossibilitati a proseguire gli studi. Desidero presentare una proposta molto specifica: che venga predisposto uno speciale programma Erasmus, nell’ambito del sistema Erasmus già esistente, rivolto esclusivamente agli studenti bielorussi. Sappiamo di poter risparmiare ingenti fondi ricorrendo a tale programma, che non richiederà un grande impegno; e la creazione di un futuro giovane e moderno per uno stato democratico potrebbe rivelarsi efficace sul lungo termine. Chiedo pertanto al commissario di assicurare che sia così.
Catherine Ashton, Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. – (EN) Signor Presidente, desidero ringraziare lei e tutti gli onorevoli deputati che hanno partecipato a questa importante discussione, mirata e ponderata di oggi. Studierò certamente la risoluzione del Parlamento sulla presente importante e difficile questione.
È passato solo un mese dall’inizio di questa crisi e gli eventi si susseguono rapidamente. Mi auguro ovviamente che evolvano in una direzione positiva, in linea con gli obiettivi che noi tutti condividiamo. I detenuti dovrebbero venire rilasciati e la Bielorussia dovrebbe porre le basi per dare inizio a un processo comprensivo di riforme. Ribadisco l’augurio che la cooperazione parlamentare continui ad avere un ruolo importante in tale processo.
Molto onorevoli deputati hanno appoggiato le idee che ho esposto all’inizio: la necessità di essere assolutamente chiari riguardo all’inaccettabilità di quanto è successo, chiari sul fatto che intendiamo agire a riguardo e che intendiamo appoggiare la società civile, i giovani, i media e gli studenti – le categorie di cui hanno parlato molti onorevoli deputati.
Prenderò coraggio dai commenti fatti. Andremo avanti, per assicurarci che tutto questo accada.
Infine, quando ho incontrato le famiglie e i leader dell’opposizione che hanno voluto incontrarmi sono stata assolutamente chiara con loro sul fatto che ci aspettiamo che le persone detenute vengano rilasciate e che la Bielorussia progredisca, come tutti vorremmo, in direzione di una vera democrazia.
Ho anche espresso dei commenti molto diretti al ministro degli esteri. Spetta a loro ribaltare la loro posizione e fare ciò che sanno devono fare. Se non lo faranno la comunità internazionale dovrà intervenire e interverrà.
Presidente. – Ho ricevuto sei proposte di risoluzione presentate in virtù dell’articolo 110, paragrafo 2 del regolamento.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà giovedì 20 gennaio 2011.
– Signora Vicepresidente/Alto rappresentante, mi rendo conto che lei è in quest’Aula dalle 15:00 e ora sono le 18:15. Desidera una pausa di cinque minuti per rilassarsi? Come desidera, altrimenti continuiamo.
Catherine Ashton, Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. – (EN) Signor Presidente, devo partire per recarmi in Turchia per i negoziati con l’Iran, pertanto il mio caro collega ed amico Stefan Füle mi sostituirà in quest’ultima parte della discussione.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Indrek Tarand (Verts/ALE), per iscritto. – (FR) La situazione in Bielorussia è estremamente preoccupante e l’Unione europea deve adottare i giusti provvedimenti. A riguardo desidero raccontarvi una teoria di cospirazione che circola e mi è stata raccontata ieri da un uomo d’affari bielorusso.
Egli sosteneva che l’attuale situazione non è quella che lo stesso Presidente Lukashenko voleva avere dopo le elezioni, ma è il risultato di una collaborazione tra i servizi segreti bielorussi e russi rivolti a minare qualsiasi tentativo di cooperazione tra l’Unione europea e la Bielorussia.
È chiaramente impossibile dimostrare teorie come questa, ma dovremmo comunque considerare il fatto che imponendo sanzioni sulle parti bielorusse responsabili potremmo danneggiare anche i cittadini, la società civile, eccetera. Considerato il coinvolgimento probabile, seppur silenzioso, della Russia in questa situazione, e il fatto che la Francia ha deciso di vendere una nave da guerra classe Mistral alla Russia, vorrei ribadire un concetto già espresso da me in quest’Aula: sono sicuro che la Francia se ne pentirà.
Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A7-0368/2010) presentata dall’onorevole Gomes, a nome della commissione per gli affari esteri, recante una proposta di raccomandazione del Parlamento europeo destinata al Consiglio sui negoziati riguardanti l’accordo quadro UE-Libia [2010/2268(INI)].
Ana Gomes, relatore. – (PT) Signor Presidente, la Libia riveste un’importanza strategica in materia di flussi migratori verso l’Europa, oltre a possedere importanti risorse energetiche e avere un grande potenziale come vicino e come partner del Maghreb.
Diversi Stati membri dell’Unione intrattengono intense relazioni con la Libia, ma è importante assicurare che tali relazioni siano fortemente improntate ai valori fondamentali e agli interessi dell’Unione europea. Per tale ragione sosteniamo lo sviluppo delle relazioni con questo paese attraverso l’istituzione di un accordo quadro che copra diversi ambiti di cooperazione al fine di stimolare un dialogo politico sostanziale.
Non possiamo scordare, tuttavia, che in Libia vige un regime dittatoriale che ha dato prova di gravi violazioni dei diritti umani, nonché di attacchi terroristici e di interferenze in altri paesi, sebbene negli ultimi anni abbia dato segnali di voler invertire rotta. Per tali ragioni, un accordo quadro con la Libia potrà ottenere il consenso di questo Parlamento solo a fronte del rispetto di determinate condizioni. Una condizione sine qua non è che la Libia permetta all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) di operare nuovamente in seno al paese con un mandato esteso. Permettetemi di esprimere questo concetto in termini molto chiari: niente UNHCR, niente accordo.
La Libia deve essere persuasa a ratificare la convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati. Non si capisce infatti perché, pur avendo già aderito alla Convenzione africana sulla protezione dei rifugiati, essa non riconosca tale status nel proprio ordinamento giuridico.
Un accordo di riammissione tra l’Unione europea e la Libia deve escludere quanti si dichiarano richiedenti asilo, rifugiati o persone bisognose di protezione internazionale e deve essere applicato nel pieno rispetto del principio di non respingimento. Situazioni di estrema gravità, come quelle che hanno interessato i 400 eritrei che hanno rischiato di essere espulsi in massa dalla Libia, la scorsa estate, non devono ripetersi.
L’Unione europea deve invitare la Libia ad adottare soluzioni giuridiche e sociali che migliorino le condizioni di vita disumane dei circa 2 milioni di immigrati che lavorano in questo paese, pari a quasi un quarto della popolazione. Tali immigrati meritano tutela legale, non possono continuare a essere trattati come abd, schiavi. L’Unione europea deve investire in programmi congiunti per la lotta alla crescente tratta degli esseri umani, fenomeno con conseguenze devastanti soprattutto per donne e bambini. Il sostegno dell’Unione europea all’Organizzazione internazionale per le migrazioni e a tutte le organizzazioni che aiutano i migranti in transito attraverso la Libia deve aumentare al fine di migliorare le condizioni degli immigrati rinchiusi nei centri di detenzione, che stanno tornando a riempirsi sebbene a metà dello scorso anno fossero stati improvvisamente svuotati.
L’Unione non può astenersi dal persuadere la Libia a impegnarsi in una moratoria contro la pena di morte ed è fondamentale che essa imponga alle autorità libiche di divulgare l’identità dei cittadini e degli stranieri giustiziate. L’Unione deve insistere affinché la Libia ratifichi lo statuto di Roma della Corte penale internazionale. Nel quadro della propria cooperazione, l’UE deve incoraggiare riforme volte a modernizzare le strutture sociali, politiche e giudiziarie, aprire il paese verso l’esterno, esporre la società a un’informazione libera, promuovere l’indipendenza dei media e investire nelle capacità istituzionali di organizzazioni aziendali e del lavoro, nonché di altre organizzazioni che rappresentano la società civile. La rivoluzione di Bouazizi in Tunisia avrà sicuramente ripercussioni sulla vicina Libia e anche il regime di Gheddafi lo può capire.
Dobbiamo rafforzare il sostegno prestato al settore sanitario libico attraverso il piano d’azione Bengasi, estendendolo ad altri centri di cura e ad altre necessità della sanità pubblica. Sappiamo che i negoziati tra la Commissione europea e la Libia sono in fase avanzata, sebbene siano emerse difficoltà nel capitolo relativo al commercio e alla cooperazione energetica.
Dal nostro punto di vista, sarebbe vantaggioso istituire in tempi rapidi un ufficio dell’Unione europea a Tripoli per favorire le negoziazioni e monitorare lo sviluppo della situazione nel paese.
Signor Commissario, in queste raccomandazioni, esortiamo la Commissione a fornire informazioni dettagliate sulle voci di bilancio utilizzate e previste per la cooperazione con la Libia. Spero che ci possa trasmettere presto tali dati.
Vorrei, infine, segnalare che solo recentemente il Parlamento ha avuto la possibilità di accedere al mandato a negoziare del Consiglio. Un simile fatto è inaccettabile e non può continuare. Concludendo, vorrei ringraziare dell’aiuto tutti i relatori ombra, che sono stati fondamentali per raggiungere l’ampio consenso ottenuto su una questione potenzialmente tanto contraddittoria.
Štefan Füle, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, la ringrazio per avermi offerto la possibilità di informare quest’Aula sullo stato dei negoziati riguardanti l’accordo quadro tra l’Unione europea e la Libia.
La Commissione e il Parlamento europeo stanno già operando in sinergia sulla questione libica. Abbiamo un interesse comune a garantire lo sviluppo positivo delle nostre relazioni con questo paese, che è un importante vicino. In tale contesto, vorrei congratularmi in particolar modo con la vostra delegazione per le relazioni con i paesi del Maghreb per l’accordo raggiunto in occasione della visita a Tripoli, elemento che indubbiamente permette di consultare regolarmente il parlamento libico.
Sono determinato a garantire che la stretta cooperazione tra le nostre istituzioni continui. In particolar modo, è mia intenzione informare regolarmente il Parlamento europeo circa gli ultimi sviluppi dei negoziati riguardanti l’accordo quadro. So che il nostro responsabile delle negoziazioni vi aggiorna dopo ciascuna seduta di negoziato.
Permettetemi di fornirvi alcune informazioni sulla situazione attuale. A metà novembre abbiamo concluso il nono ciclo di negoziati a Tripoli; il prossimo è previsto dal 24 al 26 gennaio a Bruxelles. Dall’avvio delle negoziazioni, più di due anni fa, abbiamo compiuto buoni progressi. Di fatto, abbiamo temporaneamente concordato la premessa e sei dei dieci capitoli previsti per l’accordo; in particolare, abbiamo raggiunto un accordo provvisorio sul titolo relativo al dialogo politico, il quale contiene importanti riferimenti al rispetto dei diritti dell’uomo, alla lotta contro le armi di distruzione di massa, alla lotta al terrorismo, ecc. La Libia ha convenuto di istituire un dialogo regolare sui diritti umani e le libertà fondamentali, obiettivo per noi chiave. Siamo estremamente soddisfatti dei risultati ottenuti in merito.
Come forse saprete, vi sono questioni ancora in sospeso, ovvero l’energia e il commercio. La prima rappresenta il cuore dell’economica libica, pari al 70 per cento del PIL, il che spiega l’attenzione e la cautela del paese in materia. Per quanto concerne il commercio, la Libia ha scarsa esperienza nella negoziazione di complessi accordi commerciali e per questo i progressi in materia sono stati moderati. Esperti delle due controparti si incontrano con regolarità al fine di garantire il raggiungimento di un accordo su tali questioni in tempi quanto più rapidi possibili, ma, naturalmente, le questioni politiche sono complesse.
Una di queste riguarda lo statuto di Roma. La Libia rifiuta categoricamente di fare esplicito riferimento a tale documento. Essa è pronta, tuttavia, a impegnarsi a cooperare con l’Unione europea nella lotta all’impunità, soprattutto per quanto riguarda i crimini definiti nello statuto in questione.
Anche l’immigrazione presenta alcune difficoltà, soprattutto perché la Libia si rifiuta di riammettere cittadini di paesi terzi. Ho preso nota delle raccomandazioni espresse da quest’Assemblea per quanto attiene a questo specifico abito di negoziazione e ne discuterò certamente con gli Stati membri.
Sempre in tema di immigrazione, posso rassicurare il Parlamento che ci siamo impegnati a garantire che la Libia rispetti i propri obblighi internazionali in relazione al principio di non respingimento. Questo punto riveste particolare importanza per l’Unione europea. Riteniamo altresì importante che la Libia aderisca quanto prima alla convenzione di Ginevra del 1951 e al protocollo del 1967 sullo status dei rifugiati. Va comunque notato che la Libia ha indicato di non intendere aderire a tale convenzione.
Desidero sottolineare che stiamo seguendo da vicino le negoziazioni tra la Libia e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati nella speranza che si trovi una soluzione soddisfacente per garantire che l’Alto Commissariato possa svolgere appieno il proprio mandato, in un ambiente giuridicamente sicuro.
Più in generale, ad ottobre abbiamo raggiunto un accordo volto a sviluppare una cooperazione con la Libia su tutte le questioni relative all’immigrazione, comprese la protezione internazionale, il miglioramento delle condizioni degli immigrati nel paese e la gestione della migrazione e del controllo delle frontiere. Si tratta di uno sviluppo importante perché dobbiamo operare assieme alla Libia per far fronte a tutte le sfide che essa deve affrontare in materia di immigrazione.
Per concludere, vorrei affrontare il tema relativo alle direttive di negoziato, cui il Parlamento ha ripetutamente chiesto accesso. Sono perfettamente consapevole degli obblighi derivanti dall’articolo 218 del trattato di Lisbona. Come sapete, le direttive di negoziato sono un documento classificato del Consiglio che per questo ha dovuto analizzare la richiesta in modo orizzontale. Sono lieto di annunciarvi che la discussione si è conclusa e che, come forse sapete, il Consiglio ha accordato l’accesso alle direttive di negoziato per l’accordo quadro UE-Libia nel rispetto delle procedure concordate e delle norme di sicurezza del Consiglio. Quest’ultimo ha informato di tale decisione la presidenza della commissione per gli affari esteri.
Ioannis Kasoulides, a nome del gruppo PPE. – (EN) Signor Presidente, il Consiglio di giugno 2009 ha raccomandato di dare priorità alla conclusione degli accordi di riammissione con Libia e Turchia, che sono considerate le principali vie d’accesso per l’immigrazione clandestina in Europa.
La via libica interessa principalmente Malta e Italia. Un’immigrazione clandestina massiccia a Malta rischia di alterarne la composizione demografica. Sebbene tutti riconoscano responsabilità condivise, poco viene fatto in concreto per porre rimedio a simili sviluppi. Il numero di sbarchi a Malta si è ridotto soltanto quando l’Italia, parimenti colpita dal fenomeno, ha raggiunto un accordo bilaterale con la Libia, che si è assunta la responsabilità di pattugliare le proprie coste e i propri porti.
Necessitiamo di un accordo di riammissione UE-Libia all’interno di un accordo quadro. I negoziati sono difficili, ma noi sosteniamo gli sforzi della Commissione e la incoraggiamo a perseguirli fino al raggiungimento dell’obiettivo.
Paludiamo all’accordo relativo alla cooperazione in materia di migrazione concluso lo scorso ottobre tra la Commissione e la Libia. È fondamentale preparare la Libia a questioni come il sistema di protezione dei richiedenti asilo, la gestione delle frontiere interne, l’allineamento della legislazione con la Convenzione africana sulla protezione dei rifugiati e la gestione dei flussi migratori.
Conosciamo la situazione in materia di diritti dell’uomo, lo stato di dipendenza della magistratura, le condizioni di detenzione, tortura e pena capitale della Libia. L’accordo di riammissione rimane pur tuttavia necessario in quanto esclude quanti hanno diritto di asilo, necessitano di protezione politica o rischiano maltrattamenti in questo paese, mentre il principio di non respingimento è valido per tutti.
Pier Antonio Panzeri, a nome del gruppo S&D. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, penso che il lavoro fatto da Ana Gomes rappresenti un serio contributo a ciò che la Commissione dovrà fare nella definizione dell’accordo quadro.
Indubbiamente la Libia gioca un ruolo determinante nella lotta al terrorismo, la pace e la sicurezza in Africa, la lotta all’immigrazione clandestina nel Mediterraneo e nel settore energetico, per questo il nostro obiettivo nell’ambito della strategia dell’Unione europea deve essere quello di consolidare l’integrazione della Libia in un sistema politico ed economico internazionale fondato su regole comuni.
Per realizzare questo è necessario che siano poste una serie di condizioni alla Libia, ed è ciò che invita a fare la raccomandazione. Innanzitutto, sul tema dell’immigrazione: la Libia è oggettivamente un paese di transito. Il tema è di grande rilevanza, ma non può essere visto semplicemente sotto il profilo della sicurezza, blocco dell’immigrazione e respingimenti.
Questo tema chiama in causa l’esigenza di un governo regolato dai flussi di politiche economiche e sociali all’altezza della sfida migratoria, il tema del riconoscimento dei rifugiati politici e per la Libia della ratifica della Convenzione di Ginevra e, infine, anche il problema della riammissione degli immigrati sulla base di concrete garanzie di sicurezza per le condizioni di vita degli immigrati stessi.
Vi è poi la questione dell’avvio di riforme economiche e democratiche che permettano a questo importante paese un decisivo allargamento degli spazi di democrazia, tema di cui dovremo tenere conto sempre di più, come sta insegnando la vicina Tunisia.
Infine, questa raccomandazione sollecita una riflessione sulla questione degli accordi bilaterali. Certo, questi accordi possono dare un valido contributo alla definizione e alla soluzione dei problemi, tuttavia non sono risolutivi. Ad esempio, il problema che abbiamo con i pescherecci italiani dimostra che il problema degli accordi bilaterali lascia intatti ancora questi problemi, ma ormai si pone anche nell’ambito della revisione delle politiche di partenariato e vicinato l’esigenza di ricollocare la riflessione sulla Libia in un quadro nuovo e significa associare il Parlamento.
Abbiamo chiesto a più voce la conoscenza del mandato del Consiglio rispetto all’accordo quadro. Bisogna, da questo punto di vista, Commissario, cambiare davvero passo e associare il Parlamento europeo sempre di più alla definizione di nuove politiche verso il Sud dell’Europa.
Kristiina Ojuland, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, vorrei anzitutto ringraziare la relatrice per l’eccezionale lavoro svolto nel tentativo di consolidare le posizioni di tutti gruppi del Parlamento europeo.
Per quanto concerne la relazione in esame, vorrei sottolineare l’importanza di affrontare la questione relativa agli immigrati che, dalla Libia, cercano di attraversare il Mediterraneo. Posso comprendere appieno le preoccupazioni degli Stati membri meridionali circa i flussi di immigrati clandestini e la pressione che essi esercitano sui propri bilanci, nonché sulla società in generale.
Pur tenendo a mente gli interessi degli Stati membri, non possiamo comunque accantonare i valori europei. L’Unione europea non può permettersi di sporcarsi le mani con il sangue di richiedenti asilo o di rifugiati. Nessun accordo dell’Unione o dei suoi Stati membri con la Libia deve portare a un trattamento disumano, alla tortura o all’esecuzione. È stato pertanto incoraggiante sentire che il Commissario ravvisa dei progressi nei rapporti e nei negoziati con questo paese.
Franziska Katharina Brantner, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signor Presidente, abbiamo assistito, in Tunisia, a una rivolta popolare contro un regime abusivo e opprimente che per anni ha negato ai propri cittadini i diritti umani fondamentali. È vergognoso che l’Unione europea abbia sostenuto tale dittatura per molti anni. A rendere ancor peggiore la situazione è la constatazione che l’Unione rischia di compiere i medesimi errori nel paese vicino, ovvero in Libia.
Se la Commissione e il Consiglio non cambiano rotta, si continuerà a portare avanti un’altra dittatura in questa regione in nome della stabilità, del controllo delle frontiere e della migrazione. Per anni, il regime di Gheddafi, uno dei migliori amici di Ben Ali, come abbiamo visto ancora una volta di recente, ha sistematicamente violato i diritti umani dei propri cittadini e, soprattutto, dei lavoratori immigrati. Nondimeno, l’Unione europea e diversi Stati membri intrattengono relazioni sempre più strette con la Libia e ora l’Unione sta persino negoziando questo accordo quadro.
Esorto il Consiglio e la Commissione a notare le scritte sui muri e a garantire che le seguenti condizioni siano pienamente rispettate prima di concludere qualunque accordo con la Libia.
Anzitutto, questo paese deve ratificare e attuare la convenzione dell’ONU relativa ai rifugiati e garantire all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati pieno accesso al paese. In secondo luogo, la Libia deve garantire adeguata protezione e adeguati diritti ai migranti e adottare leggi sull’asilo, tra cui il principio di non respingimento. Infine, non è possibile concludere alcun accordo di riammissione con la Libia fino a quando non termineranno i trattamenti disumani e degradanti riservati ai migranti in questo paese.
A tale proposito, poiché non ritengo che questo momento arriverà tanto presto, desidero davvero che la Commissione non porti a termine le negoziazioni sull’accordo di riammissione.
Il Parlamento deve essere informato in dettaglio durante tutte le fasi del processo di negoziazione.
I verdi si oppongono strenuamente a qualunque sporco accordo stipulato con un dittatore come Gheddafi a spese dei migranti e dei cittadini della Libia. Il continuo sostegno dell’Unione europea a questo regime oppressivo non rispetta i valori e gli impegni di legge comunitari, né rispecchia i suoi interessi a lungo termine in questa regione. Come abbiamo visto chiaramente in Tunisia, solo un paese libero e democratico sarà davvero stabile e prospero.
Assicuriamoci che l’Unione europea non commetta lo stesso errore due volte.
Charles Tannock, a nome del gruppo ECR. – (EN) Signor Presidente, la Libia è un paese dove i diritti umani vengono costantemente violati e la democrazia è inesistente. Il colonnello Gheddafi non si è mai sottoposto a un’elezione da quando è salito al potere, 41 anni fa; di fatto, i partiti politici sono vietati.
Gheddafi è il Fidel Castro dell’Africa: cerca di dipingersi come un padre amorevole per il proprio popolo, asserendo persino di non rivestire un ruolo formale nella gerarchia dello Stato. Nel mio paese, il Regno Unito, abbiamo di lui un quadro diverso, quello di un antico sostenitore del terrorismo e, in particolar modo, del bombardamento di Lockerbie del 1988.
Per ripulire la propria immagine internazionale, il colonnello ha rimborsato le famiglie delle vittime – e questo suppongo vada a suo credito – ma in verità, non fosse per le prodigiose riserve petrolifere e di gas della Libia, l’Occidente lo avrebbe completamente emarginato. Questo elemento fornisce a Gheddafi una leva contro l’Unione europea e, in particolare, egli ha cercato di creare una frattura in seno al Consiglio, corteggiando i vertici di alcuni Stati membri.
All’atto pratico, convengo circa la necessità di relazioni commerciali e diplomatiche distese tra Unione europea e Libia nell’ambito di un accordo quadro. Temo, tuttavia, che stiamo semplicemente consolidando il potere di questo dittatore che, al momento debito, passerà inevitabilmente nelle mani di uno dei suoi figli in una successione dinastica simile a quella della Corea del Nord.
Takis Hadjigeorgiou, a nome del gruppo GUE/NGL. – (EL) Signor Presidente, vorrei iniziare col ringraziare la relatrice per il lavoro svolto e il Commissario Füle per essere qui presente, oggi. Riteniamo che in quella che è, da ogni punto di vista, una regione sensibile come il Mediterraneo, sia necessario adoperarsi costantemente ai fini di una maggiore comprensione e di una cooperazione volta a raggiungere una pace duratura e sviluppata su un piano paritario, che tenga conto delle asimmetrie e delle divergenze dei vari settori di sviluppo tra i paesi di questa regione, nonché tra l’Unione europea e i paesi mediterranei a essa vicini. Questo obiettivo può essere raggiunto attraverso il dialogo, sulla base del rispetto reciproco e questo dobbiamo aprirci a una reciproca influenza. In tale contesto, siamo favorevoli a un rafforzamento dei rapporti tra Unione europea e Libia.
Nondimeno, vi sono questioni delicate che richiedono particolare attenzione nello sviluppo di simili rapporti. Mi esprimerò essenzialmente in tema di rifugiati e immigrati e dell’accordo di riammissione. L’obiettivo è raggiungere un accordo di riammissione con la Libia, nell’ambito dell’accordo quadro oggetto dei dialoghi con l’Unione europea. Se si dovesse firmare un accordo di questo tipo senza che, al contempo, riforme volte a migliorare le condizioni economiche e sociali degli immigrati, si otterrebbe solamente un aumento delle violazioni dei diritti umani, il che significherebbe battersi per il ritorno forzato dei migranti a condizioni che non garantiscono loro nessuna sicurezza, né standard di vita minimi accettabili.
Dobbiamo chiedere alle autorità libiche l’opportuno riconoscimento della presenza dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. Dobbiamo anche affrontare il delicato tema della pena capitale: la cosa giusta da fare sarebbe cercare un accordo che ne sospenda l’applicazione in seno al paese, con l’obiettivo ultimo di abolirla del tutto.
Fiorello Provera, a nome del gruppo EFD. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono favorevole a una conclusione dell’accordo quadro tra Unione europea e Libia perché rappresenta un progresso rispetto al passato su punti importanti come l’immigrazione, la cooperazione economica e sanitaria, in particolare nella lotta all’AIDS, e in parte sul programma energetico.
Un altro tema importante è il controllo esercitato dalla Libia sulle attività terroristiche, non solo all’interno del proprio territorio, ma anche sulle frontiere meridionali del paese. Passi avanti sono stati fatti con un accordo tra il Consiglio e il governo libico anche su principi generali come lo statuto di Roma e la convenzione sui rifugiati. Molto rimane da fare, questo è evidente, ma è importante che il Parlamento sostenga l’accordo già negoziato senza rimetterlo in discussione, con il rischio di perdere i risultati che sono stati ottenuti.
Mi auguro che la collaborazione tra Unione europea e Libia ottenga gli stessi risultati conseguiti con il trattato di amicizia tra Libia e Italia che, tra l’altro, ha chiuso l’annoso contenzioso sul passato coloniale. Si ha a che fare con i governi e con i paesi per trattare delle questioni concrete, non si possono scegliere i propri interlocutori.
Barry Madlener (NI). – (NL) Signor Presidente, la Commissione europea ha fornito un nuovo prodotto di esportazione alla Libia, uno Stato reietto, e al suo dittatore, Gheddafi. La produzione di petrolio non è il solo modo in cui la Libia si assicura delle entrate, in questo momento: si arricchisce anche ricattando l’Europa. Il dittatore Gheddafi intascherà 60 milioni di euro dei contribuenti europei per impedire a cercatori di fortuna provenienti dall’Africa di raggiungere l’Europa. Questi 60 milioni di euro rappresentano solo l’inizio, perché ora Gheddafi chiede un aumento di 5 miliardi di euro l’anno e rafforza la propria richiesta con le minacce. Forse la Commissione europea si è fatta distrarre dalla bella faccia di Gheddafi, ma io personalmente non mi fido affatto di quell’uomo.
Ho con me alcuni articoli di giornale degli ultimi anni: Gheddafi chiede miliardi all’Unione europea / La Libia esercita pressioni su Londra ed Edimburgo / Gheddafi chiede più soldi o lascerà che l’Europa diventi nera / Gheddafi: “L’Islam deve diventare la religione dell’Europa” / Gheddafi rifiuta la democrazia a favore di una stretta osservanza della sharia / Gheddafi utilizza i 30 milioni di africani che vogliono venire in Europa come moneta di scambio / Gheddafi vuole scatenare una jihad contro la Svizzera.
Onorevoli membri del Parlamento europeo, non dovremmo premiare quel furfante di Gheddafi; dovremmo anzi punirlo, se la Libia continua a permettere a così tanti migranti di accedere liberamente all’Europa. E non dovremmo premiare neppure i migranti, accordando loro lo status di rifugiati o concedendo loro un permesso di soggiorno permanente; dovrebbero essere rispediti immediatamente in Africa. Premiare i migranti con lo status di rifugiati e i relativi benefici e programmi formativi europei ci travolgerebbe con un flusso ancor maggiore di richiedenti asilo, molti dei quali annegherebbero nel tentativo di mettere piede su suolo europeo. La causa reale dell’ampio flusso di richiedenti asilo è la debole e generosa politica europea in materia.
Alf Svensson (PPE). – (SV) Signor Presidente, la Libia è piuttosto brava a ratificare accordi internazionali, ma a quanto pare lo è altrettanto ad astenersi dall’attuarli. È una disgrazia che la Libia abbia un seggio e un voto in seno al Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo, e lo stesso vale per l’Arabia saudita. Con pesanti pressioni da parte del proprio partner commerciale più importante, (l’Unione europea), la Libia dovrebbe davvero essere obbligata a prestare attenzione a cosa significhi e a cosa comporti il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
Come tutti sappiamo, i rapporti dell’Unione europea con la Libia riguardano diversi aspetti del modo in cui i rifugiati dovrebbero essere trattati. Finché il Consiglio e la Commissione non riusciranno a persuadere la Libia a concedere all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati di essere legittimamente presente nel paese, non sarà possibile nutrire la minima fiducia sul trattamento riservato ai rifugiati in questo paese.
Il capo di Stato libico è un maestro di capricci e inaffidabilità. L’Unione europea si appresta ora a concludere un accordo quadro con quest’uomo e io non posso fare a meno di chiedermi cosa significhi il termine “quadro” per un regime come quello del colonnello Gheddafi, che mostra la totale mancanza di rispetto per i diritti umani. Sappiamo che la Libia attua una discriminazione diffusa nei confronti dei lavoratori immigrati in base alla loro nazionalità e che la persecuzione razzista dei lavoratori africani è una realtà.
La dignità umana vale più del denaro, pertanto il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali deve essere, di fatto, talmente importante da impedirci di consegnare persone a uno Stato in cui si pratica la tortura ed altre forme di trattamento disumano. Questo è quanto impone il diritto dell’Unione europea.
Corina Creţu (S&D). – (RO) Signor Presidente, la Libia è il terzo maggior fornitore di petrolio e gas dell’Unione europea, mentre l’UE è il principale partner commerciale libico, garantendo più dei due terzi degli scambi commerciali complessivi del paese. Dobbiamo tener conto dei progressi compiuti dalle autorità di Tripoli, che sono riuscite a portare il paese da una situazione di isolamento ed embarghi a una di apertura e di dinamismo economico e diplomatico.
L’Unione europea, tuttavia, non è una comunità basata esclusivamente su interessi economici, bensì su un insieme di valori che non possiamo abbandonare per mero pragmatismo. Bisogna ammettere che la Libia non sostiene più il terrorismo, ha abbandonato il proprio programma nucleare, ha convenuto di risarcire le famiglie delle vittime di attacchi terroristici, ha rilasciato le infermiere bulgare condannate alla pena capitale per aver diffuso l’HIV e ha concluso accordi con alcuni Stati europei. Credo che simili progressi vadano incoraggiati, ma il partenariato tra Unione europea e Libia necessita di solide basi morali.
A tale proposito, la relazione dell’onorevole Gomes, con cui desidero congratularmi per il lavoro svolto, sottolinea le gravi carenze in materia di rispetto dei diritti umani, questione che siamo tenuti ad affrontare. Lo scorso anno abbiamo adottato una risoluzione per richiedere alla Libia di abolire la pena capitale. Ritengo sia appropriato, da parte nostra, reiterare questa richiesta, affiancata dalla richiesta di rispettare le norme internazionali in materia di equità giuridica, soprattutto alla luce del fatto che gli stranieri sono vittime di abusi.
Bisogna prestare particolare attenzione al problema dei migranti e dei rifugiati, sia quelli estradati dalla Libia verso i propri paesi d’origine, dove esistono gravi minacce ala loro stessa vita, sia quelli rinviati dall’Italia verso la Libia, dove rischiano di incontrare dure rappresaglie. D’altro canto, è necessario esercitare pressioni affinché la Libia adotti una legislazione in materia di asilo e concluda accordi che aprano il paese all’ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, che ha registrato in Libia un record di quasi 13 000 persone, tra rifugiati e richiedenti asilo.
Per quanto concerne l’accordo di riammissione quale elemento dell’accordo quadro fra Unione europea e Libia, invito il Consiglio a rinunciare a tale piano, in quanto comporterebbe il rimpatrio verso un paese che viola sistematicamente i diritti dell’uomo. La politica del governo berlusconiano non può essere accettata come un esempio da seguire. L’eccezione italiana non deve diventare la regola europea.
Sonia Alfano (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, è alquanto poco credibile per le istituzioni europee continuare a voler stipulare un accordo quadro con un paese dittatoriale come la Libia.
Non possiamo continuare a dire che la Libia ha relazioni commerciali importantissime con Stati membri dell’Unione europea e svolge il ruolo di partner dell’Unione europea nel bacino del Mediterraneo e porre l’aspetto relativo al rispetto dei diritti umani come un elemento secondario.
La prima condizione per poter instaurare un dialogo credibile con la Libia è che venga ratificata la Convenzione di Ginevra da parte di questo paese: non possiamo barattare interessi economici con le vite umane, non solo dei cittadini libici, ma anche dei cittadini che fuggono da altri paesi per sfuggire a guerre civili e persecuzioni religiose e, transitando in Libia, trovano invece morte e torture atroci.
Noi abbiamo il dovere di non dimenticare le migliaia di richieste di aiuto che sono giunte dai cittadini detenuti nelle carceri libiche. Non possiamo dimenticare l’orrore che il carcere di Ganfuda ha offerto ai nostri occhi.
I cittadini libici non godono di molti diritti politici e civili, come la libertà di espressione, di riunione e associazione. L’emendamento orale del PPE, che vorrebbe sostituire nel considerando B il termine “trattato” con “accordi Italia-Libia relativi al pattugliamento congiunto delle coste” è assolutamente insostenibile, e la delegazione italiana dell’Italia dei Valori voterà contro.
L’accordo Italia-Libia è ben più complesso, è un trattato con precise condizioni che riguardano temi più complessi del pattugliamento congiunto delle coste. Bisogna che il Parlamento europeo, per continuare ad essere credibile, chiami le cose con il loro nome, anche se ciò può essere imbarazzante.
Un discorso a parte va fatto per l’UNHCR, impossibilitato a svolgere il proprio ruolo nei territori libici e accusato dal regime libico di abusi e reati incredibili. Sono queste le basi su cui vengono condotti gli accordi? Noi non possiamo trattare né con i terroristi, né con i dittatori, noi siamo il Parlamento europeo e non il consiglio di amministrazione di un colosso economico.
Hélène Flautre (Verts/ALE). – (FR) Signor Presidente, vorrei ringraziare l’onorevole Gomes, perché ci ha permesso di discutere di un mandato di negoziazione e di un relativo contenuto che possiamo definire scabrosi. L’esempio tunisino deve invitarci a una maggiore prudenza, soprattutto per quanto attiene al modo in cui riportiamo gli sviluppi dei negoziati.
Non possiamo solamente registrare i successi nel corso dei negoziati e festeggiare quando un regime come quello di Gheddafi accetta, ad esempio, qualche riferimento ai diritti dell’uomo, perché si tratta di un regime noto per violare tutte le libertà fondamentali. D’altronde, gli immigrati che arrivano sulle nostre coste, sebbene siano sempre meno, dichiarano tutti, ciascuno a modo proprio, che preferiscono morire annegati piuttosto che tornare in Libia a causa delle violenze sessuali alle donne, delle torture, dei maltrattamenti, del rimpatrio forzato, delle espulsioni di massa e degli atti razzisti. Tutto questo è già stato detto e lo ripeto: la lista delle minacce gravi e rilevanti ai diritti delle persone immigrate in Libia è lunga.
Mi sembra assolutamente prioritario fare quanto in nostro potere per migliorare la situazione di queste persone, non vi sono dubbi. Questo compito spetta all’Alto Commissariato per i rifugiati, mentre noi dobbiamo di risistemare le persone identificate dall’Alto Commissariato. è anche un compito per le organizzazioni della società civile che, al momento, sono particolarmente fragili e che noi dovremmo rafforzare con tutti i mezzi a nostra disposizione.
Ritengo che, se davvero vogliamo rispettare gli obiettivi che i trattati hanno posto alla nostra politica estera, debba passare ancora parecchia acqua sotto i ponti prima che l’Unione rimandi in Libia immigrati che risiedono illegalmente sul proprio territorio.
David Campbell Bannerman (EFD). – (EN) Signor Presidente, nel 2007 il Presidente Sarkozy ha negato qualunque connessione tra il rilascio di cinque infermiere bulgare da parte libica e l’ordine di 240 milioni di euro in missili francesi effettuato dalla Libia.
Queste armi sono state vendute a un paese ritenuto responsabile del bombardamento di Lockerbie e della fornitura di armi per attacchi terroristici. Persino uno dei figli di Gheddafi ha suggerito che vi fosse un legame tra i due accordi: si trattava di armi in cambio di prigionieri.
Nel 2004, l’Unione europea ha rimosso l’embargo sulle armi contro la Libia in cambio del controllo dei flussi migratori. In quel caso si è trattato di armi in cambio di confini.
Adesso il London Times riferisce che l’Alto rappresentante Ashton improvvisamente vuol far cadere l’embargo sulle armi contro la Cina (imposto a seguito del massacro di piazza Tienanmen)sostenendo che rappresenta un grosso impedimento allo sviluppo di una maggiore cooperazione tra Unione europea e Cina.
Personalmente, ritengo si tratti di un grosso impedimento alla salvezza dell’euro: non è forse così? Proprio come nel caso dell’accordo libico, sembra che il tentativo dell’Unione europea di salvare l’euro sia tanto disperato da rischiare la sicurezza collettiva, perché i cinesi sono i soli ad avere denaro a sufficienza per correre in soccorso alla nostra moneta. E in questo caso si tratta di armi in cambio di obbligazioni. Le riserve cinesi di valuta estera ammontano a 2 900 miliardi di dollari statunitensi. Il paese ha già acquistato obbligazioni elleniche, spagnole e portoghesi. Ricordiamo, tuttavia, che la Cina è anche il paese che vieta la parola “democrazia” dai propri motori di ricerca e che effettua migliaia di esecuzioni ogni anno.
Chiedo quindi, in tutta sincerità, quanto in basso scenderà l’Unione europea per salvare l’euro?
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signor Presidente, l’eco del rovesciamento del governo tunisino si è esteso anche ai paesi limitrofi dell’area magrebina, per lo più retti da dittature, e anche in Libia. Un cambiamento radicale di questo tipo, naturalmente, rappresenta una possibilità per giungere alla democrazia, ma solo quando riesce a non essere sfruttata da agitatori islamici.
Questi disordini avranno sicuramente un impatto sul flusso di rifugiati ed è quindi importante per noi cooperare più strettamente con i paesi africani sul problema dei rifugiati. La richiesta del colonnello Gheddafi all’Unione europea di versare all’Africa almeno 5 miliardi di euro l’anno per contrastare l’immigrazione clandestina è sicuramente una mossa nella direzione sbagliata: i paesi dell’Unione stanno già pagando miliardi di euro in aiuti allo sviluppo. A mio avviso, il sistema di aiuti necessita urgentemente di una revisione per garantire che non ne beneficino più dittature e regimi corrotti, bensì quanti ne hanno davvero bisogno.
Anche il problema dei cristiani nei paesi islamici deve ottenere una certa priorità nelle relazioni dell’Unione europea con gli altri paesi.
Wolfgang Kreissl-Dörfler (S&D). – (DE) Signor Presidente, Commissario Füle, siamo responsabili per tutti gli uomini, le donne e i bambini che cercano rifugio da noi perché le loro vite sono a rischio. Questa responsabilità ci deriva, da un lato, dai valori morali che l’Europa incarna in questo momento e dalla storia personale di molti europei (che in questo contesto viene spesso dimenticata) e, dall’altro, dalle garanzie giuridiche fornite in trattati e convenzioni internazionali.
Se ci assumiamo delle responsabilità, dobbiamo essere anche pronti a farcene il carico. Questo significa dividere equamente l’onere tra gli Stati membri e non far gravare l’intera responsabilità sulle spalle dei pochi paesi i cui confini coincidono con le frontiere esterne dell’Unione europea o ancora – fattore reprensibile ed imperdonabile – pagare regimi come quelli del colonnello Gheddafi perché ci sgravino da tale incombenza.
Non facciamoci idee sbagliate: se possiamo impedire a chiunque di intraprendere un viaggio pericoloso che può mettere a rischio la loro vita, è un fattore positivo. Nondimeno, il colonnello Gheddafi e il suo regime non si preoccupano di salvare vite o di proteggere persone, a loro interessa solo la cruda realtà finanziaria. L’Unione europea deve essere consapevole che si sta rendendo complice di un regime che manca chiaramente di rispetto per i diritti dell’uomo.
Ho visitato i campi in Libia e ho visto quanto vi accade. Abbiamo avuto la possibilità di parlare con i responsabili e a loro non interessano i diritti umani o l’offrire rifugio alle persone. Si sono anzi lamentati che non abbiamo fornito loro nessuna motovedetta per difendere i propri confini in modo più efficace. Abbiamo fatto bene a non fornire imbarcazioni al colonnello Gheddafi, perché diverrebbero armi a doppio taglio e ne dobbiamo tenere conto. Non dobbiamo tradire i nostri valori solo per rincorrere benefici economici o un accordo di riammissione. Sono del parere che tutti, e non solo alcuni, i membri di quest’Aula dovrebbero leggere il mandato di negoziazione. La diplomazia segreta non ci porterà a maggiori risultati, di certo non sulla base delle esperienze che l’Unione europea ha maturato con il regime – non possiamo chiamarlo altrimenti – del colonnello Gheddafi. Non dobbiamo dimenticare nemmeno questo aspetto e vi invito ad assicurarvi che sia così. L’onorevole Gomes ha elencato tutte le condizioni che devono essere rispettate se davvero vogliamo raggiungere un accordo.
Simon Busuttil (PPE). – (MT) Signor Presidente, quanti sono contrari all’accordo con la Libia dovrebbero apprezzare il fatto che si tratti di un paese vicino. Non si possono ignorare i vicini: bisogna trovare un modo di conviverci, sebbene questo non significhi necessariamente concordare con i loro comportamenti.
È facile per quei colleghi che non provengono da un paese confinante con la Libia criticare questo accordo, ma è invece difficile per i paesi del Mediterraneo che si trovano in prossimità della Libia trovare un modo di collaborare con questo Stato.
È vero che l’accordo dovrebbe includere anche un capitolo sull’immigrazione, nonché un accordo di riammissione e non vi è dubbio che questo debba avvenire nel rispetto del diritto alla protezione internazionale per quanti chiedono asilo.
Francisco José Millán Mon (PPE). – (ES) Signor Presidente, questa discussione sulla Libia si svolge proprio quando si stanno verificando cambiamenti molto importanti in un altro paese vicino nell’area del Mediterraneo: la Tunisia.
Ho sempre ritenuto che l’Unione europea debba contribuire a favorire profonde riforme nell’area mediterranea, allo scopo di raggiungere in questa regione una zona di libertà e prosperità. Mi riferisco in particolare ai miei interventi in Parlamento in questi anni, quando ho ripetuto più volte che la politica dell’Unione non può limitarsi al semplice mantenimento di uno status quo.
Oggi però non discutiamo di questo argomento, ma dell’accordo quadro con la Libia. Desidero sottolineare la necessità di collaborare con la Libia nella gestione dei flussi migratori, prevedendo anche un accordo di riammissione dei clandestini che includa i cittadini di paesi terzi, come tutti gli accordi di riammissione conclusi dall’Unione.
Cedere alle posizioni libiche contrarie a questo accordo sarebbe un errore, vista l’importante posizione della Libia come paese di transito. Sarebbe inoltre un messaggio molto negativo per i negoziati con il Marocco e l’Algeria in materia di accordi di riammissione, ormai in una fase di stallo da diversi anni.
Dobbiamo insistere affinché le autorità libiche rispettino i diritti dei rifugiati, incluso – come già detto – il principio di non respingimento.
Salvatore Iacolino (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Maghreb sta vivendo una fase molto delicata. Gli scontri sanguinosi degli ultimi giorni in Tunisia ne sono la prova conclamata.
Sarebbe veramente grave in questo momento storico che non ci si rendesse conto dell’esigenza, invece forte e decisa, di rafforzare le relazioni con la Libia, che è nel pieno del Mediterraneo e che ha un ruolo fondamentale nel contenimento e nella regolazione dei flussi migratori. Con tutte le sue contraddizioni – io sono stato in Libia con la collega Gomes, non v’è dubbio che un accordo quadro potrebbe certamente dare un contributo per la lotta al terrorismo, per le libertà fondamentali, sul tema dell’energia. Non guardare alla Libia, non guardare al Maghreb sarebbe veramente un gravissimo errore.
Un modello di riferimento è il trattato di amicizia italiano che può essere implementato per garantire realmente concretezza a questo accordo quadro.
Štefan Füle, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, ringrazio gli onorevoli parlamentari per le loro considerazioni. Invierò alla relatrice, onorevole Gomes, ulteriori dettagli in merito ai piani indicativi nazionali per il triennio 2011-2013, che illustrano la fornitura dei 60 milioni di euro per i nostri programmi in Libia.
Sono pienamente consapevole che alcune questioni siano problematiche per quanto concerne la Libia, ma l’Unione europea ha scelto comunque di stringere rapporti con questo paese per far fronte in modo aperto e costruttivo alle diverse questioni, incluse alcune particolarmente delicate come i diritti umani, il rispetto delle libertà fondamentali e i diritti dei migranti.
Lo scorso anno, assieme al Commissario Malmström, ho visitato il centro di detenzione del deserto libico e non mi faccio illusioni circa le sfide che dinanzi dovremo affrontare. Ho anche avuto modo di comprendere le possibili alternative al nostro impegno in materia di immigrazione.
Permettetemi un ulteriore commento, squisitamente personale: con questi negoziati non stiamo premiando nessuno, ma stiamo semplicemente curando i nostri interessi nel rispetto dei valori in cui crediamo. La Libia ha dimostrato una forte volontà di stringere rapporti più stretti con l’Unione europea. Riteniamo che questo sia positivo e che l’Unione europea debba continuare a perseguire la propria politica di impegno. Mi assumo naturalmente la responsabilità di garantire che questo avvenga all’insegna della massima trasparenza e tenendo pienamente conto dell’opinione del Parlamento europeo.
PRESIDENZA DELL’ON. TŐKÉS Vicepresidente
Ana Gomes, relatore. – (EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare tutti i colleghi che hanno preso parte a questa discussione.
Ritengo che siano emerse le difficoltà che ci si troveremo di fronte. Dalla mia visita in Libia, quale membro della delegazione presieduta dall’onorevole Panzeri, a novembre 2010, sono giunta alla conclusione che dobbiamo perseguire la nostra linea di impegno. Riconosciamo che il nostro interlocutore sia piuttosto difficile, ma sarebbe irresponsabile non seguire la linea adottata perché esistono obblighi umanitari verso le persone che soffrono in Libia, in particolare gli immigrati che attraversano il paese e ne sopportano il clima attuale.
Molte difficoltà sono legate al fatto che questo regime è isolato. Sebbene non nutra illusioni sul raggiungimento di un accordo in tempi brevi o sul rispetto di tutte le condizioni che abbiamo posto, dobbiamo continuare lungo questa strada. È evidente.
A questo scopo è estremamente importante avere una delegazione dell’Unione europea a Tripoli perché credo – come hanno già detto in molti – che gli avvenimenti in Tunisia non potranno che ripercuotersi sulla Libia, indipendentemente dalle differenze esistenti tra i due paesi. In Libia ci troviamo di fronte a una situazione diversa per numerosi aspetti, a causa della totale dipendenza della popolazione dagli introiti derivanti dal petrolio.
Credo comunque che il messaggio sia che, nonostante le nostre divergenze, al momento ci impegniamo a seguire da vicino le negoziazioni della Commissione. Sono grata per le utili riunioni informative che si sono tenute; le seguiremo da vicino e saremo in grado di formulare raccomandazioni in qualunque occasione.
Credo che, grazie al vastissimo consenso raggiunto attraverso la collaborazione dei relatori ombra e di tutti gli altri, stiamo inviando un messaggio molto chiaro al Consiglio, alla Commissione (che ha il compito di condurre le negoziazioni) e ai nostri interlocutori libici su quali punti sono per noi fondamentali per ottenere l’auspicato miglioramento dei rapporti bilaterali, nonché sulla cruciale questione del rispetto dei diritti umani in Libia. Questo messaggio è molto chiaro.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà giovedì, 20 gennaio 2011.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Mi compiaccio dell’apertura negoziazioni dei negoziati tra l’Unione europea e la Libia in quanto si tratta di un passo avanti verso lo sviluppo di nuove relazioni per l'UE nella regione del Mediterraneo e in Africa. La cooperazione con questo paese è utile per affrontare questioni comequali sicurezza, stabilità, immigrazione, sanità pubblica, sviluppo, relazioni commerciali, cambiamento climatico, energia e la cultura.
Esorto il Consiglio e la Commissione a raccomandare energicamente alla Libia di ratificare e applicare la convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951 e il relativo protocollo del 1967, compresa la piena cooperazione con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) al fine di garantire l’adeguata protezione e i diritti dei migranti e di adottare una legislazione in materia di asilo che riconosca di conseguenza lo status e i diritti dei rifugiati, in particolare il divieto di espulsione collettiva e il principio di non respingimento.
Ricordo al Consiglio e alla Commissione il loro obbligo di garantire che la politica esterna dell’UE rispetti pienamente la Carta dei diritti fondamentali, segnatamente l’articolo 19 che vieta le espulsioni collettive e riconosce il principio di non respingimento. Esorto il Consiglio e la Commissione a chiedere alle autorità libiche di firmare un memorandum d’intesa che conceda all’UNHCR di essere legittimamente presente nel paese, con il mandato di svolgere tutte le sue attività in materia di accesso e di protezione.
14. Costo dell'esame delle richieste di asilo negli Stati membri (discussione)
Presidente. – La ringrazio molto onorevole Gomes e con questo dichiaro conclusa la discussione. La votazione si svolgerà domani alle 12.00. L’ordine del giorno reca l’ultima relazione della giornata e più precisamente un’interrogazione orale al Consiglio e alla Commissione relativa al costo dell’esame delle richieste di asilo negli Stati membri. Concedo la parola innanzi tutto all’autrice, l’onorevole Hirsch, che avrà a disposizione due minuti.
- Interrogazione orale (O-0169/2010 - B7-0662/2010)presentata dagli onorevoli Hirsch, Weber, Wikström, Michel, Alfano, Ilchev, Griesbeck e Mulder, a nome del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, al Consiglio sulla trasmissione di informazioni sui costi finanziari a seguito dell’esame delle richieste di asilo negli Stati membri;
- interrogazione orale (O-0170/2010 - B7-0663/2010) presentata dagli onorevoli Hirsch, Weber, Wikström, Michel, Alfano, Ilchev, Griesbeck e Mulder, a nome del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, alla Commissione sulla trasmissione di informazioni sui costi finanziari a seguito dell’esame delle richieste di asilo negli Stati membri;
- interrogazione orale (O-0175/2010 - B7-0664/2010) presentata dagli onorevoli Hohlmeier e Busuttil, a nome del gruppo Partito popolare europeo (Democratici-cristiani), al Consiglio sulla trasmissione di informazioni sul costo dell'esame delle domande di asilo politico negli Stati membri;
- interrogazione orale (O-0176/2010 - B7-0665/2010) presentata dagli onorevoli Hohlmeier e Busuttil, a nome del gruppo Partito popolare europeo (Democratici-cristiani), alla Commissione Consiglio sulla trasmissione di informazioni sul costo dell'esame delle domande di asilo politico negli Stati membri;
- interrogazione orale (O-0179/2010 - B7-0003/2011) presentata dagli onorevoli Flašíková Beňová, Moraes, Guillaume, Romero López e Masip Hidalgo, a nome del gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, al Consiglio sulla situazione attuale della proposta della Commissione concernente la direttiva sulle procedure d'asilo;
- interrogazione orale (O-0210/2010 - B7-0004/2011) presentata dall’onorevole Flautre, a nome del gruppo Verde/Alleanza libera europea, al Consiglio sullo stato di applicazione della direttiva per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato; e
- interrogazione orale (O-0177/2010 - B7-0002/2011) presentata dagli onorevoli Triantaphyllides, de Jong, Ernst e Vergiat, a nome del gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica, al Consiglio sulla trasmissione di informazioni al Parlamento e alla Commissione sui problemi pendenti all'interno del Consiglio in merito alla Direttiva Procedura.
Nadja Hirsch, autore. – (DE) Signor Presidente, il Parlamento europeo ha convenuto che occorre istituire un sistema comune europeo in materia d’asilo entro il 2012. A tal fine occorre che siano attuate procedure identiche o simili presso tutti gli Stati membri.
Nell’attuazione pratica del sistema ci confrontiamo tuttavia con resistenze dovute essenzialmente al fatto che anche in fase di discussione del pacchetto legislativo per l’asilo ci sono state fornite informazioni insufficienti o contraddittorie, talvolta non ce ne sono state fornite affatto. Anche per quanto concerne una stima finanziaria degli effetti della direttiva sulle procedure e dei costi a carico degli Stati membri, le informazioni a nostra disposizione sono alquanto scarne. Con la presente interrogazione vogliamo sollecitare la Commissione a presentare uno studio o delle informazioni a questo Parlamento. I costi riguardano essenzialmente aspetti quali i servizi di interpretariato o l’assistenza giuridica, ma non è chiaro quali sarebbero le ricadute effettive sugli Stati membri.
Nell’ambito della revisione della direttiva sulle procedure di asilo, intravediamo la possibilità di addivenire a una procedura di qualità migliore ma nel contempo rapida che vada a vantaggio di entrambe le parti, giacché un processo decisionale rapido consente ai beneficiari di avere chiarezza, oltre a ridurre la percentuale di errori. Obiettivo del nostro gruppo è quello di sostenere con forza la Commissione nel suo progetto. Ma occorrono argomentazioni da utilizzare anche nella discussione con gli Stati membri per illustrare le ricadute che avrebbe questa revisione del pacchetto sull’asilo e in particolare della direttiva sulle procedure. Invitiamo la Commissione a fornirci un sostegno concreto affinché questo pacchetto possa effettivamente vedere la luce entro il 2012 in concomitanza con l’istituzione di sistema comune europeo per l’asilo.
Monika Hohlmeier, autore. – (DE) Signor Presidente, è importante che l’UE si confronti con il problema dell’immigrazione e del diritto di asilo e la Commissione ha presentato delle proposte in tal senso. Ad oggi non è stata ancora condotta un’analisi precisa in merito all’attuazione delle disposizioni di legge in vigore. Similmente non esistono calcoli e analisi completi sulle nuove proposte. Il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) è uno strenuo sostenitore del diritto all’asilo e del diritto alla protezione per tutti i soggetti vulnerabili.
La realtà dei fatti ci obbliga purtroppo a constatare che le persone richiedono lo status di rifugiato per motivazioni ben diverse e talvolta con un abuso sistematico di questa possibilità. Il diritto di asilo e di una tutela supplementare non è lo strumento di cui avvalersi per la normale immigrazione nei 27 Stati membri. Dobbiamo impedire alle organizzazioni criminali coinvolte nella tratta umana di diventare miliardarie sulla pelle delle persone sfruttando il nostro diritto di asilo.
Le procedure per il riconoscimento del diritto di asilo devono essere adeguate e condotte con precisione. Le persone perseguitate devono avere la certezza di ottenere una protezione presso l’UE. Nelle nuove proposte la Commissione ha previsto degli obblighi a tal fine, obblighi che reputo in larga parte opportuni, come la disponibilità di interpreti, trattamenti sanitari adeguati, garanzie di una tutela supplementare a chi ne ha bisogno.
Nondimeno vorrei sottolineare alcuni punti che reputo problematici. Le autorità degli Stati membri dispongono di pochissimi strumenti atti a impedire gli abusi. La possibilità di ricorso a procedimenti accelerati e procedure al confine dovrebbe essere limitata tramite l’imposizione di sanzioni. Anche nel caso in cui un richiedente non ottempera palesemente al suo obbligo di cooperazione, non sono in genere previste sanzioni. Anzi, se il richiedente scompare, lo Stato membro non ha la possibilità di concludere il procedimento con esito negativo, mentre se riappare gli viene messa a disposizione un’ampia gamma di iter procedurali alternativi. Anche dinanzi a una palese mancanza di requisiti, la procedura accelerata è possibile appena dopo la seconda domanda consecutiva. Questo fa lievitare notevolmente i costi.
In questa prospettiva, anche il patrocinio giuridico gratuito offerto da un avvocato, come previsto nella proposta corrente della Commissione, comporta un sensibile aumento dei costi a carico degli Stati. Prego la Commissione di valutare le conseguenze pratiche delle sue proposte, i loro effetti finanziari e i problemi che arrecherebbero alle amministrazioni degli Stati membri. Certo auspichiamo uno standard elevato ma a condizione che sia realizzabile e sopra tutto che non ponga gli Stati membri più colpiti dinanzi a compiti assolutamente impossibili.
Sylvie Guillaume, autore. – (FR) Signor Presidente, vorrei precisare innanzi tutto che la nostra discussione riguarda essenzialmente, a mio avviso, la realizzazione di un regime comune europeo di asilo per il 2012 che ci consenta una volta per tutte di porre fine al moltiplicarsi di pratiche nazionali deprecabili in materia di asilo.
Non perdiamo di vista questo aspetto, giacché ci obbliga a orientarci verso una maggiore armonizzazione retta da regole comuni. In realtà sono persuasa che la semplice cooperazione a livello pratico non consentirà di risolvere le disparità esistenti tra i diversi sistemi nazionali di asilo.
Consentitemi peraltro di manifestare la mia preoccupazione per i progressi verso questo sistema europeo comune, messo in forse dai numerosi veti espressi in seno al Consiglio. È opportuno interrogarsi sul futuro di questa impresa complessa. Dobbiamo conoscere la nuova proposta con cui la Commissione tenterà a breve di salvare la situazione tramite una rifusione delle due direttive.
Date queste premesse, occorre parlare dei costi, poiché la discussione si sta concentrando oggi su questo aspetto. Secondo quanto ci viene detto, la creazione di garanzie procedurali più consolidate farà aumentare considerevolmente l’onere finanziario sostenuto dagli Stati membri per l’esame delle domande di asilo, creando una situazione difficilmente sostenibile in un contesto finanziario segnato dalla crisi.
Ribadisco in questa occasione che sono piuttosto le procedure applicate male e di pessima qualità a costare care agli Stati membri. L’approccio basato sul front loading, dunque sul perfezionamento delle procedure di prima istanza, che la Commissione ha privilegiato nella proposta di rifusione consentirà, a mio avviso, di realizzare delle vere e proprie economie di scala nel medio periodo.
Perché? Perché queste procedure armonizzate faciliteranno da subito un riconoscimento più puntuale delle domande illegittime da parte delle autorità esaminatrici e forniranno istruzioni più chiare in merito alle motivazioni delle decisioni. Ciò consentirà di ridurre i tempi amministrativi, il numero dei ricorsi e degli annullamenti in seconda istanza, le spese per l’accoglienza e, in ultima analisi, i costi complessivi.
Se vogliamo davvero sollevare la questione dei costi, perché non parliamo allora anche del sistema Dublino-Eurodac? Perché nessuno Stato membro si azzarda a chiedere un migliore rapporto costi/benefici in relazione all’applicazione di tale sistema? Eppure sappiamo che, oltre alle biasimevoli conseguenze umane, questo sistema ha un bilancio poco lusinghiero sia per quanto concerne i trasferimenti effettivi, sia per la prevenzione dei movimenti secondari o delle domande plurime che sono pur il motivo per cui il sistema Dublino è stato istituito. Parliamo pure di costi se dobbiamo farlo, ma valutiamo tali costi per l’intero sistema, compresi quelli conseguenti al sistema di Dublino.
In qualità di relatrice sulla direttiva “procedure”, rimango dell’opinione che il grado attuale di armonizzazione sia insufficiente e pregiudichi la qualità e l’efficienza del processo. Queste disfunzioni pesano sia sugli Stati membri che sulle vittime delle persecuzioni. L’orizzonte temporale del 2012 rimane il nostro obiettivo ma la necessità di rispettare alcune scadenze non ci deve indurre ad accettare un testo basato sui più bassi denominatori comuni. Occorrono procedure giuste, accessibili ed efficaci; questo rimane l’obiettivo che condivido con il mio gruppo politico nell’ambito di questa discussione.
Hélène Flautre, autore. – (FR) Signor Presidente, penso che la discussione odierna miri innanzi tutto a fare uscire allo scoperto il Consiglio, giacché è stupefacente che dinanzi a un pacchetto di riforme in materia di asilo tanto ambizioso e direi altrettanto necessario, il Consiglio ci fornisca soltanto frammenti di informazioni, talvolta contraddittori, in merito agli ostacoli che impediscono di fare passi avanti su proposte ormai in discussione da un certo tempo.
Ci è dato di capire a grandi linee che il Consiglio o gli Stati membri si sono arenati sulla questione dei costi, ma anche in questo caso non sono del tutto chiari i termini. Parliamo di costi umani, politici o finanziari? Questi diversi costi talvolta sono comunque collegati tra loro.
Di certo rimane che oggi in Europa vigono procedure e un tipo di tutela inadeguati. Innanzi tutto perché non è vero che l’Europa accoglie tutta la miseria del mondo; per esempio, credo che nel 2007 l’Europa abbia accolto appena il 14 per cento di tutti i rifugiati del pianeta. In secondo luogo perché vigono alcune pratiche assolutamente intollerabili. Mi riferisco per esempio ai test fallometrici somministrati nella Repubblica Ceca, nella nostra Europa. Mi riferisco ai documenti del comitato contro la tortura che hanno reso noti numerosi casi di rimpatrio forzato senza diritto di ricorso o di procedure approssimative.
Credo che possiamo senz’altro parlare dei costi. Per esempio, possiamo parlare dei costi elevati per l’espulsione degli emigranti: EUR 20 000 per ogni espulso, stando al Senato francese. E possiamo parlare sopra tutto di come migliorare questa situazione. È certo opportuno porsi alcune domande, come ha fatto l’onorevole Guillaume nella sua interrogazione, su come si potrebbe migliorare la qualità delle decisioni prese in prima istanza, giacché all’incirca la metà di esse viene poi annullata in sede di appello. È chiaro che il risparmio in termini di costi finanziari, umani e politici sarebbe alquanto considerevole.
Possiamo fare un passo indietro rispetto alle aberrazioni di Dublino e credo che il Consiglio dovrebbe occuparsene con la massima serietà, perché anche in tal caso sono in gioco notevoli costi umani e finanziari.
Concludo menzionando un altro costo assai elevato evidenziato dallo studio del Parlamento: la detenzione. La detenzione dei richiedenti asilo ha un costo proibitivo. Occorre assolutamente dirlo, farlo sapere e discuterne in Consiglio.
Cornelis de Jong, autore. – (NL) Signor Presidente, talvolta cadiamo vittime dei nostri stessi metodi di lavoro. Se avessimo avuto una sola direttiva sull’asilo per disciplinare le procedure, i criteri di valutazione e di accoglimento, a questo punto ci rimarrebbero solo due alternative: approvare la direttiva, con o senza emendamenti, oppure accettare il fallimento delle trattative. Tale prospettiva avrebbe consentito al Parlamento europeo di dire “no” a una politica comune in materia di asilo e “no” a un sistema ispirato al regolamento di Dublino.
Ma siccome le direttive sono più di una, la situazione è alquanto diversa. Il Consiglio può scegliere di attribuire la priorità a una direttiva, considerando un’altra troppo controversa. A breve ci troveremo nella situazione di negoziare un nuovo regolamento di Dublino senza avere ancora raggiunto un accordo sulle procedure di asilo o sull’accoglienza, per esempio. Consideriamo attentamente quali potrebbero essere le implicazioni. Se ciò accadesse, l’esame delle richieste di asilo sarebbe demandato agli Stati membri, senza alcuna garanzia che tali richieste siano adeguatamente esaminate o che i richiedenti asilo siano sottoposti a un trattamento umano. Alla luce della situazione attuale, trovo questa possibilità del tutto inaccettabile.
Rivolgo pertanto la seguente domanda al Consiglio e alla Commissione: come intendete salvare la direttiva “procedure” da questa fase di stallo senza pregiudicarne la qualità? A breve riceverete dal Parlamento svariate proposte su come migliorare la direttiva. Tenterete di trasmettere agli Stati membri questo segnale chiaro che i deputati del Parlamento vi hanno inviato e rimarrete fermi sulle vostre posizioni anche se gli Stati membri dovessero insistere per un approccio à la carte?
Desidero concludere con una precisazione. Nella mia domanda non ho fatto alcun riferimento ai costi della procedura di asilo. La mia omissione non è accidentale, ma motivata dal fatto che per me è prioritario il trattamento umano dei richiedenti asilo. A tal fine occorrono procedure chiare e accorgimenti adeguati per la fase di accoglienza. A meno di regolamentare quell’aspetto in maniera soddisfacente, non avrò alcun interesse a lavorare sulle altre iniziative collegate. Spero di poter contare sul pieno sostegno della Commissione europea su questo aspetto in particolare.
Enikő Győri, Presidente in carica del Consiglio. – (HU) Signor Presidente, la ringrazio per le sue gentili parole. Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, desidero ringraziare il Parlamento per avermi offerto l’opportunità di parlare questa sera di un tema tanto importante come le procedure per la richiesta di asilo.
Il Parlamento ha posto al Consiglio cinque interrogazioni che riguardano tutte la proposta della Commissione per una rifusione della direttiva “procedure”, pertanto suggerisco di trattare le cinque domande come se fossero una.
Nelle vostre interrogazioni avete menzionato la relazione pubblicata dalla Commissione nel settembre 2010 relativa all’applicazione della direttiva sulle procedure di riconoscimento dello status di rifugiato. La relazione conferma il permanere di notevoli disparità tra gli Stati membri in termini di procedure di riconoscimento e garanzie procedurali. Il Consiglio e il Parlamento europeo convengono che tali differenze non sono in sintonia con l’obiettivo riconosciuto da entrambi di creare un sistema comune europeo di asilo. Nell’ottobre 2008, il Consiglio europeo adottava il Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo, in cui si sottolineava che l’UE e gli Stati membri si sarebbero impegnati ad affrontare le criticità e le opportunità rappresentate dall’immigrazione e dall’asilo secondo un approccio equo, efficace e coerente.
Il Patto prevede tra l’altro un impegno specifico ad intraprendere tutte le misure necessarie alla realizzazione di un sistema comune europeo di asilo. Il Consiglio europeo invitava la Commissione a presentare delle proposte volte alla creazione di una procedura unica di asilo basata su regole comuni.
Anche nel programma di Stoccolma era stato stabilito chiaramente che, nel quadro della creazione di un sistema comune europeo di asilo, l’accresciuta armonizzazione doveva restare uno degli obiettivi politici fondamentali perseguiti dall’UE. Sulla scia dell’impulso politico conferito dal Consiglio europeo, la Commissione ha presentato diverse proposte in materia di asilo sia nel 2008 che nel 2009. Tali proposte riguardavano Eurodac, appena menzionato nella discussione introduttiva, la modifica del regolamento di Dublino, la modifica della direttiva sulle condizioni di accoglienza, la creazione di un Ufficio europeo di sostegno per l’asilo e la modifica della direttiva sulle procedure di asilo e della direttiva sui requisiti.
Appena ricevute le proposte della Commissione, il Consiglio si è messo immediatamente al lavoro. Il Consiglio e i suoi organi di lavoro hanno passato al vaglio meticolosamente tutte le proposte presentate. Ad oggi, l’unica di queste proposte che il Parlamento e il Consiglio sono riusciti ad approvare riguarda il regolamento per la costituzione di un Ufficio europeo di sostegno per l’asilo e sono lieto che tale ufficio diventerà operativo a breve. Lo scorso anno, il Parlamento e il Consiglio hanno trovato un accordo anche sull’emendamento della direttiva sui soggiornanti di lungo periodo e credo che ciò consentirà di accelerare il lavoro per la creazione di un sistema comune europeo di asilo.
Purtroppo vi siete lamentati a ragion veduta di altri aspetti sui quali è stato più difficile addivenire a un risultato. Sono persuaso che vi rendiate perfettamente conto dei sensibili risvolti politici e delle difficoltà tecniche collegate a questo tema. Credo che il Consiglio e, probabilmente, anche il Parlamento necessitino di più tempo. Come avete sottolineato puntualmente nelle vostre interrogazioni, la proposta di rifusione della direttiva sulle procedure di asilo è particolarmente densa di nodi problematici. Il Parlamento stesso sta ancora elaborando la propria posizione e questo è indicativo della complessità del processo in atto. È chiaro che il Consiglio nutre forti preoccupazioni in merito a diversi aspetti collegati alla proposta, in particolare per le potenziali ricadute dei provvedimenti proposti a livello di costi delle procedure di asilo nazionali e per la loro efficacia. Voi stessi avete affermato poc’anzi che occorre prestare attenzione proprio all’efficacia e ai costi. Gli Stati membri condividono appieno gli obiettivi di armonizzazione al fine di trovare un accordo su talune norme e valori comuni fondamentali e su criteri uniformi di tutela. In questo senso, gli Stati membri intendono rispettare appieno il diritto di tutela dei richiedenti asilo.
Allo stesso tempo, gli Stati membri hanno bisogno di rendere sostenibili i loro sistemi, specialmente nella difficile situazione economica di oggi. A tal fine occorre trovare un equilibrio tra le garanzie offerte ai richiedenti asilo e le norme che devono dimostrarsi efficaci ed applicabili senza comportare oneri amministrativi o finanziari supplementari. In linea di massima il Consiglio è convinto che a meno di trovare un giusto equilibrio tra questi aspetti, le persone che non necessitano di alcuna tutela saranno incentivate a ricorrere impropriamente alla procedura di asilo, come ha suggerito l’onorevole Hohlmeier. Tale prassi penalizza i richiedenti asilo che necessitano realmente di una protezione e a lungo andare potrebbe mettere a rischio il concetto stesso di asilo nell’Unione europea. In questo contesto, l’annuncio della Commissione in merito all’intenzione di presentare una proposta modificata ha riscosso un vasto consenso in seno al Consiglio e penso che il signor Commissario ne parlerà a breve.
Sono certo che questa nuova proposta porterà una boccata d’aria fresca alla discussione in Consiglio e terrà conto delle posizioni espresse dal Consiglio e dal Parlamento. Potremo fare passi avanti sulle procedure di asilo che rappresentano un elemento importante del pacchetto sulla politica di asilo, come voi stessi avete sottolineato nelle vostre interrogazioni. Posso aggiungere che in risposta all’annuncio della Commissione, gli Stati membri hanno espresso la loro massima disponibilità ad assistere la Commissione nella stesura di questa nuova proposta.
Consentitemi di aggiungere qualche osservazione su un ultimo punto. I costi per l’esame delle domande di asilo potrebbero essere stimati con maggiore precisione se disponessimo dei relativi dati, sulla base dei quali condurre una discussione adeguata in Consiglio. Purtroppo devo informarvi che il Consiglio non dispone di tali informazioni. Ai sensi dei trattati, l’esame delle richieste di asilo rientra nella sfera di competenza degli Stati membri. La raccolta e l’elaborazione dei dati relativi ai costi per l’esame delle richieste di asilo non rientra tra i compiti che i trattati conferiscono al Consiglio. In qualità di rappresentante del Consiglio non posso impegnarmi, a titolo personale o a nome del Consiglio, a mettervi a disposizione le informazioni in questione. Nondimeno, il Consiglio può senz’altro impegnarsi a continuare il lavoro sulla proposta di modifica della direttiva sulle procedure di asilo e a questo proposito desidero ringraziarvi per il lavoro che anche voi avete compiuto sinora. Confido che la Commissione terrà conto delle vostre osservazioni nella nuova proposta.
Facciamo affidamento sull’impegno e sull’esperienza del Parlamento europeo. La Presidenza ungherese è convinta che con una cooperazione adeguata riusciremo a fare progressi anche in questo ambito. Vi preghiamo di tenere presente che la Presidenza ungherese intende preparare il sistema comune europeo di asilo che dovrebbe essere istituito nel 2012. Nella discussione odierna avete menzionato numerosi atti legislativi sui quali vorremmo senz’altro ottenere dei progressi. È nostra intenzione raggiungere un accordo politico nella discussione relativa alla direttiva sui requisiti e in relazione al regolamento di Dublino prima della conclusione della Presidenza ungherese. Faremo tutto quanto è in nostro potere per migliorare l’intesa tra Parlamento e Consiglio su tutte le questioni attinenti anche a questa procedura.
Štefan Füle, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, la direttiva “procedure” costituisce un elemento essenziale del sistema comune europeo di asilo. La Commissione si propone di istituire un sistema equilibrato, equo, efficiente e con un buon rapporto costi/benefici. Le ricadute finanziarie sono un aspetto critico di ogni proposta della Commissione e vengono analizzate attentamente.
La Commissione ha condotto uno studio approfondito nella fase preparatoria della direttiva in questione, così come stabilito dai requisiti per la valutazione di impatto. Lo studio dell’impatto finanziario è stato basato essenzialmente su dati statistici e sulle informazioni fornite dagli Stati membri tramite questionari particolareggiati inviati dalla Commissione.
Pochi Stati membri sono stati in grado di quantificare esattamente il costo delle procedure di asilo. Altri hanno fornito taluni dati, relativi in particolare ai costi del patrocinio giuridico e dell’interpretariato. La Commissione ha calcolato le implicazioni finanziarie sulla base dei dati disponibili.
La Commissione è giunta alla conclusione che per ridurre i costi fosse preferibile ricorrere, tra l’altro, al front-loading, investendo cioè le risorse nelle fasi iniziali della procedura di asilo al fine di renderla più rapida, efficiente ed equa. Ulteriori investimenti nella procedura di primo grado migliorano l’efficienza dell’intero processo. Tali investimenti sono compensati dai risparmi ottenuti nelle fasi di appello e da una riduzione dei costi complessivi per l’accoglienza.
La scelta di questa impostazione è stata vieppiù corroborata dai risultati di un recente progetto in UK denominato “Solihull Pilot” e presentato alla conferenza ministeriale sull’asilo nel 2010. Il progetto ha confermato l’ipotesi secondo cui il front-loading nel procedimento di asilo – che si esplica essenzialmente nel garantire l’accesso al patrocinio giuridico per i richiedenti asilo all’inizio della procedura e nel consentire al rappresentante legale di interagire con l’autorità decisionale – migliora significativamente la qualità delle decisioni di primo grado.
I risultati del progetto sono stati decisioni ben più rapide e una percentuale maggiore di decisioni positive in primo grado, con minori ricorsi e una percentuale più elevata di rimpatri. È stato possibile ridurre considerevolmente le spese per i ricorsi, le spese di alloggio e di previdenza. Tali risparmi sono stati ben superiori all’aumento delle spese legali.
Colgo l’occasione per menzionare anche lo studio elaborato di recente dal Parlamento europeo, relativo alla distribuzione delle spese per l’accoglienza dei richiedenti asilo tra tutti gli Stati membri. Tale studio fornisce anch’esso un’analisi dei costi relativi alle procedure di asilo e all’accoglienza, compreso il patrocinio giuridico.
In sintesi, la Commissione è stata assai sensibile alla questione dei costi nell’ambito della sua valutazione d’impatto. I risultati sono stati confermati dalle prove empiriche e le informazioni sono state integrate con i dati forniti dallo studio del Parlamento europeo. La Commissione non intende pertanto redigere un altro studio sui costi. Rimarremo comunque attenti a questo aspetto anche nelle prossime fasi negoziali per la modifica della direttiva sulle procedure di asilo.
Simon Busuttil, a nome del gruppo PPE. – (EN) Signor Presidente, il pacchetto legislativo relativo all’asilo versa in una fase di stallo, purtroppo. Dovremmo sforzarci di sbloccare questa situazione insoddisfacente.
Diversi sono i motivi che, a mio vedere, hanno provocato questo stallo. Innanzi tutto ci siamo concentrati sulle nuove proposte pur sapendo che già disponiamo di una legislazione che gli Stati membri si stanno sforzando di applicare. Ciò ha diffuso un certo malumore tra gli Stati membri che non sono affatto propensi a passare a nuove leggi quando ancora stentano ad applicare quelle esistenti.
Le nuove proposte illustrano e prevedono nuovi e più severi obblighi e oneri che appaiono talvolta poco realistici, in particolare nel contesto attuale. Inoltre potrebbero addirittura incoraggiare un ricorso improprio al diritto di asilo che sarebbe meglio evitare, come è già stato sottolineato oggi.
Confermo la mancanza di una vera e propria analisi finanziaria, di uno studio per la determinazione dei costi e in questo purtroppo dobbiamo dissentire da lei, signor Commissario: non credo che lo studio condotto dal Parlamento europeo relativo alla distribuzione dei costi contenga i dati sui costi relativi a queste proposte. Ad ogni buon conto, spetta alla Commissione esaminare le ricadute finanziarie delle sue proposte.
Nessuna proposta prevede un meccanismo adeguato e legalmente vincolante per la distribuzione dei costi e anche questo crea qualche difficoltà a diversi Stati membri, nonché a questo Parlamento.
Da parte sua, il Consiglio si pone con ostilità dinanzi ad alcune proposte, come la revisione del regolamento di Dublino. Mi rallegro di quanto affermato oggi dal Consiglio, ossia che la Presidenza presterà particolare attenzione a questo aspetto e si adopererà per trovare una soluzione.
È difficile. Ci troviamo in una situazione difficile e dobbiamo uscirne. Il gruppo PPE è assolutamente disponibile a cooperare con il Consiglio e, cosa ancora più importante, con gli altri gruppi parlamentari al fine di trovare un compromesso che sia accettabile per tutti.
Cecilia Wikström, a nome del gruppo ALDE. – (SV) Signor Presidente, tutte le istituzioni europee sono legate alla data del 2012, quando dovrà essere pronto un sistema comune europeo di asilo. Devo ammettere che ciò suscita in me sentimenti misti di speranza e sconforto. Ce la faremo? L’idea è di creare un sistema comune per l’accoglienza dei richiedenti asilo, la valutazione delle richieste e le decisioni sul destino di queste persone. Quando avremo istituito questo sistema, esso sarà applicato in maniera identica in tutti i paesi, come non accade oggi. Attualmente sussistono enormi differenze nelle modalità di accoglimento presso i diversi Stati membri.
Secondo la relazione che il Commissario Füle ha appena menzionato, sappiamo per certo che esistono forti disparità nelle modalità di accoglienza dei richiedenti asilo presso gli Stati membri. Sappiamo anche che i costi diminuiscono quando si migliora la qualità delle decisioni di primo grado. Adesso stiamo lavorando per modificare la direttiva sulle procedure e sarebbe molto importante che il Parlamento conoscesse esattamente i costi specifici sostenuti dai diversi Stati membri nell’ambito delle procedure di asilo.
Credo che un esame approfondito ci consentirà di minimizzare il rischio di errori e di tutelare le persone. Sarà interessante vedere se la Commissione riuscirà a proporre una procedura più completa e dimostrare come possiamo ridurre questi costi di accoglienza.
Alla fin fine questa sarà forse l’argomentazione decisiva di cui ha parlato l’onorevole Busuttil, ovvero la chiave che sbloccherà la situazione dinanzi alle posizioni rigide assunte per adesso dal Consiglio. Sono profondamente dispiaciuta che il Consiglio si dimostri tanto chiuso in questo processo.
Oggi abbiamo accolto tra noi il Primo ministro ungherese che ha assunto la Presidenza di turno del Consiglio e chiedo alla Presidenza ungherese di proseguire l’ottimo lavoro avviato dalla Presidenza belga. Sarebbe un peccato se questo processo dovesse arrestarsi. Insieme possiamo davvero creare un sistema di asilo funzionante, fondato su concetti chiave quali l’umanità e il rispetto per il prossimo, anche entro il 2012. Continuiamo a sperare e a lavorare per la sua realizzazione.
Rui Tavares, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) Signor Presidente, credo che la nostra discussione sia attraversata da una nozione implicita, ossia che gli interventi umanitari sono costosi e pertanto non possiamo permetterceli. Tuttavia questa nozione implicita è vera anche in senso inverso: se tali interventi non fossero tanto costosi, li realizzeremmo. Orbene, esistono casi in cui una politica umanitaria non è necessariamente costosa. Uno studio recente della House of Commons del Parlamento britannico lo ha dimostrato. Un sistema rapido di risposta alle richieste di asilo si è dimostrato assai più economico rispetto al costo dei ritardi e dei rimpatri forzati delle famiglie.
Nella discussione odierna ci stiamo occupando esclusivamente dei costi amministrativi, senza tenere conto dei costi sostenuti direttamente dai richiedenti, sia quelli che hanno diritto all’asilo, sia quelli cui alla fine non viene riconosciuto tale diritto per motivi più o meno fondati.
In sostanza dobbiamo chiederci: se possiamo prestare un’azione umanitaria e adempiere ai nostri doveri morali a un costo inferiore, perché non farlo? L’UE non possiede un piano d’azione concertato, non prevede un’azione comune, ma non perché – e qui mi permetto di discordare dal collega Busuttil – l’attuazione della legislazione vigente è molto onerosa per gli Stati membri, bensì perché tale attuazione è parziale e incompleta. Per adesso abbiamo solo una politica puramente repressiva che si sta dimostrando ingiusta, oltre che nei confronti dei richiedenti asilo, anche nei confronti delle amministrazioni e, in ultima analisi, dei contribuenti europei.
Invito il Consiglio a trasmetterci delle informazioni aggiornate e a rispondere alle nostre domande affinché si possa evolvere finalmente verso una politica coerente e concertata.
Gerard Batten, a nome del gruppo EFD. – (EN) Signor Presidente, questa discussione segue all’attuazione del sistema comune per l’immigrazione e l’asilo sancito dal trattato di Lisbona. Gli Stati membri perdono viepiù la capacità di forgiare il loro destino e sono chiamati a pagare il costo per ora non ancora quantificato di questo privilegio.
Il sistema di asilo britannico è di per sé una matassa difficile da sbrogliare, con migliaia di casi in attesa di una decisione e di richiedenti andati persi e sepolti. L’intero congegno è fondamentalmente una scappatoia per chi non ha un diritto legittimo a immigrare. Mi rendo conto di sprecare il fiato a parlarne in questa sede, giacché la maggioranza di voi è non è affatto interessata a tutelare i poteri democratici degli stati nazionali. La maggior parte di voi crede estatica in un grottesco mondo fantastico di infinita integrazione UE, come i personaggi di alcuni dipinti di Hieronymus Bosch, ma i cittadini britannici metteranno alla berlina i politici traditori e truffaldini che hanno reso possibile tutto questo, negando loro un referendum sul trattato di Lisbona.
Franz Obermayr (NI). – (DE) Signor Presidente, il diritto di asilo dovrà essere uniformato in tutta l’UE entro il 2012. Rimane da chiarire se saranno permesse ancora talune prassi, come per esempio i respingimenti rapidi verso le zone di transito, che si sono ormai affermate in Germania.
La Commissione ha rinunciato a revocare questo regolamento sugli aeroporti, stabilendo in maniera alquanto criptica che anche in futuro sarà possibile impedire l’ingresso ai confini terrestri di richiedenti asilo che provengono da paesi considerati sicuri.
Abbiamo già discusso in merito a quale paese di origine possa essere considerato sicuro e sappiamo che prevalgono opinioni divergenti in Europa. Inoltre si vuole concedere il diritto di soggiorno ai fratelli, mentre prima tale diritto era riconosciuto solo ai genitori e al coniuge; è stato esteso anche il diritto ai trattamenti sanitari. Per non parlare poi della proposta di equiparare i richiedenti asilo agli altri cittadini in termini di accesso al sistema previdenziale.
Dubito seriamente che simili proposte possano garantire una riduzione dei costi dei procedimenti. Dubito che contribuiranno a ridurre la burocrazia. Anzi, credo che i costi aumenteranno e che questo allentamento della legge sull’asilo farà incrementare l’afflusso di migranti. E questo, purtroppo, non è certo auspicabile per l’Europa.
Salvatore Iacolino (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, non vi è dubbio che questa direttiva sulle procedure sia di particolare rilievo. Lo status di rifugiato, una volta accertato in maniera rigorosa, impone infatti che la procedura di riconoscimento sia rapida e snella e questo, francamente, non accade.
Fermo in Consiglio il pacchetto asilo, che dovrebbe definire un nuovo e più moderno quadro di riferimento, è emerso nel frattempo un differente orientamento negli Stati membri sull'efficacia delle procedure di asilo sulle norme già in vigore. Mi rivolgo al Commissario e alla Presidenza, non si può invocare la crisi per ridurre un finanziamento necessario rispetto ad una procedura importante, né altre argomentazioni che non mi sembrano tutte quante convincenti rispetto ad una procedura che, in atto, è in stallo.
È giusto che chi non può rimanere nel proprio Stato, qualora vi siano documentate ragioni di natura politica, religiosa o per altre ragioni ancora, abbia diritto all'accoglienza negli Stati membri, così come è parimenti necessario negare il diritto all'accoglienza qualora chi assume di essere rifugiato in effetti non lo è. È vero, il programma di Stoccolma ha affermato con vigore questo principio: negli ultimi due anni 250 000 istanze sono pervenute, ed è un numero importante, benché ridotto nell'ultimo anno di riferimento. Ci vogliono consulenze, probabilmente interpretariato, ci vuole una riduzione dei costi ed un'equilibrata distribuzione degli oneri.
Ci vuole probabilmente un funzionamento migliore e più significativo degli uffici di supporto – confidiamo in quello di Malta – ci vuole un'Unione europea che voglia realmente fare un passo avanti deciso, per garantire i diritti del rifugiato ma, nel contempo, introdurre negli Stati membri dell'Unione europea esclusivamente chi ha titolo per essere definito tale, cioè rifugiato.
Claude Moraes (S&D). – (EN) Signor Presidente, come ha affermato la collega Guillaume, ci troviamo in un momento critico della definizione di un sistema europeo di asilo. Progressi concreti sono stati ottenuti su alcune parti del pacchetto compresa per esempio, durante la Presidenza belga, la mia relazione sui beneficiari della protezione internazionale. Purtroppo queste sono solo le parti di corollario al pacchetto. Oggi bisogna sottolineare che la rifusione delle procedure rappresenta il pilastro dell’intero pacchetto legislativo.
Dunque è fondamentale andare avanti con la rifusione in vista della scadenza ormai prossima del 2012 per la creazione di un sistema comune europeo di asilo. Gli Stati membri criticano spesso questa proposta di rifusione perché significherà per loro un inutile onere finanziario supplementare, mentre è ampiamente documentato – confermo qui quanto affermato dalla Commissione in merito al progetto Solihull nel Regno Unito – che le procedure in front-loading garantiscono decisioni migliori già in prima istanza; la qualità delle decisioni è un elemento fondamentale che non dobbiamo trascurare. Esigiamo dagli Stati membri più dati a sostegno delle loro posizioni.
Tuttavia vorrei sottolineare che questa discussione non dovrebbe concentrarsi esclusivamente sui costi. Come ha affermato il collega de Jong, la rifusione delle procedure mira all’armonizzazione delle pratiche e a un più elevato standard in tutta l’UE. È evidente che oggi sussistono disparità eccessive tra gli Stati membri e che l’attuale quadro normativo va riveduto. Sappiamo che la Commissione presenterà una proposta riveduta di rifusione nei mesi a venire in risposta all’opposizione del Consiglio. Il Parlamento dovrebbe assumere una posizione forte e assicurarsi che la Commissione non vada a diluire la sua proposta originaria.
Il diritto all’assistenza legale, la garanzia di un colloquio personale, le restrizioni all’utilizzo delle procedure accelerate sono tutte salvaguardie essenziali per un sistema di asilo giusto ed efficace. Non è stato il Parlamento a fissare questo obiettivo di un sistema comune europeo di asilo. Ricordiamo tutti che nel 1999, a Tampere, fu il Consiglio stesso a deciderlo e a ribadirlo successivamente a L’Aia e a Stoccolma. Consapevoli di questi precedenti, rendiamoci conto che il superamento della fase di stallo può avvenire solo ad opera del Consiglio e che dobbiamo collaborare con la Presidenza ungherese al fine di mantenere l’impulso positivo conferito durante la Presidenza belga.
Queste sono le aspettative bipartisan di numerosi deputati; molti di essi auspicherebbero un risultato diverso ma saremo cooperativi, nella speranza di mettere a segno qualche passo in avanti nel corso della Presidenza ungherese.
Agustín Díaz de Mera García Consuegra (PPE). – (ES) Signor Presidente, per il 2012 urge una politica comune di asilo. La relazione presentata dalla Commissione lo scorso 8 settembre pone in evidenza i numerosi ostacoli che gli Stati membri ancora incontrano nell’attuazione degli obiettivi sanciti dalla direttiva 2005/85/CE.
Il diritto dei richiedenti asilo a usufruire di un’assistenza giuridica viene applicato a livelli diversi. Svariati paesi si attengono alle prescrizioni della direttiva, riconoscendo il diritto al patrocinio in fase di appello, mentre altri lo riconoscono già in fase di prima istanza.
Alcuni Stati esigono una prova di merito prima di decidere se concedere o meno l’assistenza gratuita in seconda istanza. Nella maggioranza dei casi si registrano forti differenze nei termini di ricorso e anche la sospensione automatica degli effetti delle decisioni negative presenta alcune difficoltà ed è applicabile soltanto in sei Stati membri.
Queste differenze dimostrano che il meccanismo della direttiva necessita di una revisione. Tramite tale esercizio, la Commissione sottolinea la necessità di concentrare gli sforzi nella fase iniziale del procedimento in base all’assunto che ciò consente di decidere con maggiore efficacia in merito a chi ha diritto di essere tutelato. Secondo la Commissione, questa iniziativa contribuirà a ridurre in maniera significativa i costi per l’interpretariato e il patrocinio giuridico in seconda istanza.
Tale proposta non è accompagnata purtroppo da uno studio particolareggiato dei costi stimati per l’interpretariato e il patrocinio giuridico in prima istanza o dei costi realmente sostenuti dagli Stati membri nell’ambito dell’applicazione effettiva della norma europea.
Occorre pertanto che la Commissione ci riferisca in merito ai costi effettivi connessi alla sua proposta di front-loading. Considero inaccettabile il rifiuto appena espresso dalla Commissione. In tutta onestà tale posizione mi sembra inaccettabile e dovrà essere riconsiderata o puntualizzata.
Carmen Romero López (S&D). – (ES) Signor Presidente, signora Ministro Győri, le porgiamo il benvenuto in quest’Aula che è stata anche la sua e pensiamo che, benché questa materia non rientri nelle sue competenze, meriti il suo interesse affinché questo pacchetto sull’asilo voluto dalla Presidenza belga riceva un ulteriore impulso anche durante la Presidenza ungherese. Sebbene alcune delle sue competenze non rientrino tra quelle nominate qui, di certo la Presidenza potrà fare in modo che la Commissione ottenga tutti i dati di cui necessita in questo ambito.
Ci rendiamo conto delle difficoltà che la Commissione e il Consiglio incontrano nella raccolta di questi dati, perché vi sono Stati membri che non sono disposti a fornirli, forse perché non hanno condotto alcuno studio sulle ricadute di un miglioramento delle procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato o di tutela internazionale. Forse gli Stati membri non credono che un’armonizzazione di questi procedimenti migliorerebbe la qualità delle decisioni di prima istanza, come abbiamo prospettato qui, e ridurrebbe il numero degli appelli che gli Stati membri devono gestire nell’ambito delle procedure di asilo.
Forse questo aspetto non è stato sottolineato a sufficienza. Le disparità esistenti implicano che alcuni Stati membri gestiscono le domande di asilo meglio di altri. La proposta della Commissione, volta a migliorare questi procedimenti, ridurrebbe i costi e il numero di movimenti secondari, sicché il costo del sistema comune di asilo risulterebbe inferiore grazie all’uniformazione dei procedimenti e all’eliminazione delle spese di accoglienza.
In realtà non stiamo parlando tanto del costo di questi procedimenti, quanto sopra tutto del costo di non possedere un sistema di asilo comune.Al momento abbiamo diverse migliaia di richiedenti asilo alle frontiere europee in seguito alle guerre in Afghanistan e Irak o al collasso e allo stato di anarchia di paesi come la Somalia o il Sudan. Nel parlare di tali costi non teniamo conto dei costi umani necessari a tenere i richiedenti in centri di detenzione per svariati mesi senza le garanzie necessarie – neppure quelle che altrimenti concediamo ai nostri delinquenti – e nessun tipo di assistenza, mentre le commissioni per i rifugiati decidono se e quale status garantire loro. Tanto meno teniamo conto dei costi umani di chi è sottoposto a una tutela supplementare per tutti gli anni di permanenza nei centri, colpevole soltanto di essere sfuggito alla guerra, di essere arrivato in barconi e di essere stato obbligato a lasciare le proprie impronte digitali. Il loro crimine è stato di non avere abbastanza denaro per prendere un aereo e presentarsi in un aeroporto.
Ha riflettuto il Consiglio sul fatto che accelerando questi procedimenti si eviterebbero questi drammi e il costo che alcuni Stati membri devono sostenere per mantenere questa situazione?
Carlos Coelho (PPE). – (PT) Signor Presidente, desidero complimentarmi con gli autori dell’interrogazione e in particolare con la collega Hohlmeier e sono perfettamente sulla stessa linea di pensiero dell’onorevole Díaz de Mera. Come sappiamo, questo è soltanto uno dei cinque strumenti che si occuperanno del sistema europeo di asilo e nello specifico riguarda le norme minime da applicare ai procedimenti.
Nella relazione presentata dalla Commissione lo scorso anno si riconosce che gli Stati membri adottano pratiche divergenti e che esistono differenze considerevoli nelle garanzie procedurali offerte da ciascuno Stato membro. Esistono disparità significative tra gli Stati a partire dalle disposizioni in materia di procedimenti accelerati, fino a quelle relative ai colloqui individuali, all’assistenza e all’accesso a procedure di appello efficaci.
Non possiamo nascondere che alcuni Stati membri hanno trasposto la direttiva in maniera scorretta o incompleta, mentre altri semplicemente non l’applicano con il necessario rigore. Dinanzi a questo, abbiamo due alternative: rinunciare alla creazione di un sistema europeo di asilo o appianare queste differenze procedurali. Dobbiamo introdurre miglioramenti che appaiano necessari, in particolare nella qualità dell’esame delle domande, ossia nel front-loading. La valutazione che abbiamo richiesto alla Commissione è pertanto necessaria. Occorre identificare cosa e dove possiamo migliorare e appianare queste differenze. Sappiamo che la Commissione dipende dalla cooperazione degli Stati membri che devono garantire la formazione necessaria, anche ma non solo in termini di costi.
Le istituzioni europee e gli Stati membri devono senz’altro cooperare al raggiungimento di questo obiettivo. Non dobbiamo perdere di vista il nostro fine ultimo che è la realizzazione del sistema di asilo comune entro il 2012.
Georgios Papanikolaou (PPE). – (EL) Signor Presidente, proprio oggi il governo tedesco ha annunciato la decisione di interrompere il respingimento dei rifugiati verso la Grecia per i prossimi dodici mesi. Decisioni analoghe sono state prese da Svezia, Regno Unito, Islanda e Norvegia. Tuttavia appena qualche mese fa, nel novembre dello scorso anno, il Consiglio “Giustizia” aveva rifiutato di includere un meccanismo al fine di sospendere il trasferimento dei richiedenti asilo al regolamento rivisto Dublino II, come la Commissione proponeva dal 2008, con la motivazione che Dublino II va benissimo e non sussiste alcun problema.
Nel contempo speriamo, con la direttiva in discussione oggi, di riuscire a fornire un’assistenza legale gratuita ai richiedenti asilo nella prima fase di valutazione della loro domanda. Tuttavia, come ha affermato l’onorevole Hohlmeier poc’anzi, sappiamo benissimo che i richiedenti asilo fanno ricorso a questi procedimenti in maniera inopportuna, utilizzandoli come cavilli legali per prolungare il loro soggiorno in Europa anche se non hanno alcun titolo per farlo. In tutto questo manca una chiara valutazione del costo di questo provvedimento e se tale costo potrebbe pregiudicarne l’attuazione in una fase successiva.
Dinanzi a decisioni tanto contraddittorie, mi chiedo proprio come riusciremo a completare un sistema comune di asilo funzionante entro il 2012, se noi stessi adottiamo decisioni contrastanti, facciamo proposte diverse e in ultima analisi intraprendiamo azioni diverse con diversi effetti pratici. Quanto accade è forse il risultato di una debolezza, di una mancanza di solidarietà o di qualche altra motivazione che il Consiglio e la Commissione sarebbero in grado di spiegarci?
Alfredo Pallone (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, non vorrei inserire una nota stonata, nel senso che sono fortemente convinto che la correlazione, anche da un punto di vista semantico, che ho sentito da vari gruppi, ossia il rapporto risparmio con il rapporto sul diritto d'asilo credo sia una correlazione negativa.
Mi spiego meglio, anche se ho pochi secondi: credo fortemente che anche diminuendo i costi dell'amministrazione, saranno costi fittizi. Il problema vero è l'armonizzazione, ma non è un problema di carattere ideologico, è un problema per prima cosa di carattere culturale. Purtroppo esistono approcci culturali, ripeto ancora, e non ideologici su questo problema. È su questo che dobbiamo incidere.
I paesi più esposti sono quelli del Mediterraneo, che hanno una cultura dell'accoglienza molto più forte di altri Stati, perché abbiamo un rapporto molto più stretto con questo problema. Mentre in Italia è aumentata questa spesa, perché siamo arrivati a 30 milioni di euro, in altri paesi vogliono diminuirla. Non ci credo.
Come dobbiamo stare attenti a mettere un quinto di queste spese, quando parliamo di queste cose, anche ai problemi della disabilità, perché molto spesso il rifugiato politico è anche una persona che è disabile, perché è stato sottoposto a torture, come dobbiamo parlare anche di tutela, delle persone tutelate, che sono un'altra cosa, ma una fascia da accogliere. La tutela di queste persone che dobbiamo accogliere non l'ho sentita.
Chiudo dicendo che l'Europa delle libertà, l'Europa della tutela dei diritti (Il Presidente interrompe l'oratore).
Elena Băsescu (PPE). – (RO) Signor Presidente, anche io credo che sia importante giungere a una rifusione della direttiva 2005/85/CE al fine di rendere più giusto ed efficiente il processo di definizione di standard minimi per le procedure di asilo. La proposta di modifica tende semplicemente a semplificare e ottimizzare le procedure a livello comunitario. Gli standard previsti devono basarsi sulle buone prassi riconosciute in tutta l’UE.
Sebbene tutti gli Stati membri garantiscano formalmente il diritto a richiedere lo stato di rifugiato, esistono problemi a livello dei sistemi nazionali di accesso che presentano grandi disparità da un paese all’altro. Ne consegue una serie di problemi amministrativi che vanno risolti tramite un approccio comune. Chiederei anche al Consiglio di fornirci quante più informazioni possibili sulla situazione attuale negli Stati membri. È importante che siano riprese le trattative su questo argomento e che si ottenga un risultato entro il termine indicato.
Monika Hohlmeier, autore. – (DE) Signor Presidente, la ringrazio per avermi concesso di nuovo brevemente la parola. Ho una preghiera da rivolgerle, signor Commissario Füle. A titolo introduttivo vorrei dire che un errore nelle premesse causa errori nelle stime dei costi. Il numero dei richiedenti asilo al momento non sta affatto diminuendo, anzi è in netta crescita. Ciò è dovuto alla maggiore facilità di ottenimento dei visti, per esempio in Serbia e Macedonia. In questo periodo assistiamo a un netto aumento delle domande di asilo illegittime tra coloro che tentano di giungere a un paese dell’Unione europea.
Se partiamo da una premessa sbagliata, ossia che una gestione più puntuale della procedura in prima istanza consentirebbe di ridurre i costi nelle istanze successive, ipotizziamo automaticamente che tutti gli Stati membri hanno attuato delle procedure di primo grado per così dire poco funzionali. Ma non è così. Se vogliamo innalzare gli standard nel complesso, i costi dovranno necessariamente aumentare. Un innalzamento dello standard qualitativo per tutti e una procedura più complessa – sulla quale sono senz’altro disposta a discutere – comporta nella realtà pratica un aumento dei costi. La pregherei pertanto di prendere davvero sul serio le preoccupazioni degli Stati, anche perché alcune relazioni nazionali con i dati sono già state completate e possono essere diffuse.
Štefan Füle, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, ho ascoltato con attenzione i pareri espressi dagli onorevoli deputati.
La direttiva sulle procedure è un elemento portante del sistema comune europeo di asilo che dovremo istituire prima della fine del 2012.
La Commissione plaude alla disponibilità del Parlamento europeo a procedere nei negoziati per la direttiva sulle procedure di asilo. Per quanto concerne le trattative in seno al Consiglio, la Commissione apprezza l’apertura e lo spirito costruttivo con cui gli Stati membri hanno discusso la proposta.
Nondimeno, diversi aspetti di questa proposta si sono dimostrati difficili. Al fine di agevolare l’approvazione della direttiva, la Commissione intende dunque presentare una proposta emendata prima dell’inizio della Presidenza polacca.
L’obiettivo ultimo della Commissione in relazione a questa direttiva è di andare verso una procedura comune e agevolare un’applicazione più coerente ed efficiente delle regole procedurali. La proposta modificata terrà sempre conto del rispetto dei diritti fondamentali e continuerà a concentrarsi sulla qualità delle decisioni di primo grado al fine di avere decisioni meglio motivate con una conclusione più rapida dei procedimenti che comporteranno quindi costi minori.
Nella proposta modificata, la Commissione intende semplificare alcune disposizioni al fine di agevolarne l’applicazione. La Commissione si sforzerà comunque di garantire il giusto equilibrio tra l’equità e l’efficienza dei procedimenti.
In relazione alle conseguenze finanziarie, la Commissione comprende appieno l’importanza dell’aspetto dei costi connesso alla proposta e manterrà l’attenzione su questo aspetto anche nelle fasi negoziali successive.
Concludo sottolineando che il parere del Parlamento europeo è senz’altro un punto di riferimento essenziale che consentirà alla Commissione di tenere conto della posizione del Parlamento durante l’elaborazione della proposta modificata. Continueremo a lavorare con il Parlamento e il Consiglio al fine di fare progressi su questa proposta entro la cornice più ampia del pacchetto sull’asilo.
Enikő Győri, Presidente in carica del Consiglio. – (HU) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, vi ringrazio per questa preziosa discussione. Vi ringrazio anche per averci permesso di discutere fatti concreti e confido che la nuova proposta della Commissione terrà conto di queste osservazioni. Abbiamo parlato della necessità di stabilire criteri minimi comuni, dell’eliminazione delle cattive pratiche tramite l’istituzione di un sistema unico, della necessità di essere efficienti anche in termini di costi e di prevenire gli abusi. Credo che questi siano tutti spunti molto interessanti sui quali dovremo lavorare insieme.
Consentitemi un’ultima riflessione. Tutti noi siamo orgogliosi di essere parte di una comunità, l’Unione europea, che considera la dignità umana uno dei suoi valori portanti. La politica sull’asilo è proprio uno degli ambiti in cui la supremazia della dignità umana diventa il nostro primo principio ispiratore. La Presidenza ungherese crede che il fattore umano sia l’aspetto saliente in tutte le politiche dell’UE. Il Primo ministro Orbán ha dichiarato questa mattina che anche se la situazione attuale richiede all’Unione europea di agire a mente fredda, dobbiamo dimostrare di possedere anche un cuore. Egli ha rilasciato questa dichiarazione in relazione alla politica per i Rom, ma penso che possiamo applicarla anche all’asilo: l’UE deve poter dimostrare di possedere anche un cuore.
La Presidenza ungherese continuerà il lavoro iniziato dalla Presidenza belga. Alla pagina 25 del nostro programma, il libretto verde recapitato ieri nella posta di tutti i deputati, potete leggere che tra le nostre priorità per il Consiglio “Giustizia e Affari interni” figura il sistema comune europeo per l’asilo. Nel mio primo intervento della serata ho spiegato con maggiore dettaglio di quanto sia illustrato nel programma che intendiamo raggiungere un accordo con il Consiglio sia sul regolamento di Dublino che sulla direttiva relativa ai requisiti. Confido che sulla base di quanto è stato detto, riconoscerete che la Presidenza ungherese considera questa una questione prioritaria e spera di poter contare sulla vostra cooperazione.
Presidente. – La discussione è chiusa.
15. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale