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Procedura : 2010/2302(INI)
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Testi presentati :

A7-0081/2011

Discussioni :

PV 06/06/2011 - 21
CRE 06/06/2011 - 21

Votazioni :

PV 08/06/2011 - 6.5
Dichiarazioni di voto
Dichiarazioni di voto

Testi approvati :

P7_TA(2011)0258

Resoconto integrale delle discussioni
Mercoledì 8 giugno 2011 - Strasburgo Edizione GU

7. Dichiarazioni di voto
Video degli interventi
PV
  

Dichiarazioni di voto orali

 
  
  

Raccomandazione per la seconda lettura: Saïd El Khadraoui (A7-0171/2011)

 
  
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  Guido Milana (S&D). – Signor Presidente, desidero manifestare la mia soddisfazione sostanziale per l'approvazione della relazione El Khadraoui.

Credo essa rappresenti un grande passo in avanti rispetto alla tutela dei consumatori e dell'ambiente e questo anche in relazione alle posizioni dei singoli Stati, che talvolta accusano ritardi. Ritengo, insomma, che l'Europa, votando questo provvedimento, abbia dimostrato di essere avanti rispetto a molti Stati membri, i quali saranno oggettivamente costretti ad adeguarsi rapidamente a questa situazione.

Io provengo da un paese il cui governo ha manifestato con ritardo il suo interesse attorno a questa direttiva e auspico pertanto che il voto del Parlamento possa essere utile e fungere da stimolo affinché in un prossimo futuro atteggiamento e attenzione siano nettamente superiori.

 
  
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  Cristiana Muscardini (PPE). – Signor Presidente, il principio "chi inquina paga" è senza dubbio fondamentale per risolvere i problemi ambientali, aggravati dallo sviluppo industriale europeo. Tuttavia, non sempre è opportuno colpire una sola categoria, occorre difendere anche il principio che non possono essere solo gli autotrasportatori a pagare, ma anche coloro che in Europa non sostengono con sufficiente energia un sistema di trasporti alternativo.

L'Europa ha ancora troppo pochi programmi per riconvertire il settore dei trasporti verso soluzioni più ecologiche e a basso impatto ambientale, mancano inoltre risorse per migliorarne l'efficienza e le performance ambientali. Occorre perciò anche in quest'occasione ricordare che non possiamo ridurre il nostro traffico perché, al contrario, è necessario incrementare i passaggi e i trasporti e, dunque, gli autotrasportatori non possono essere gli unici a pagare il dissesto ecologico causato da altri.

 
  
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  Ville Itälä (PPE).(FI) Signor Presidente, devo complimentarmi con il relatore, con la commissione per i trasporti e il turismo e, ovviamente, con l’intero Parlamento, per questa eccellente normativa che è stata il risultato di compromessi e ha trovato un sostegno spontaneo. È molto importante che gli autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada siano inclusi quando parliamo di cambiamento climatico e di sviluppo sostenibile. In questo modo possiamo dimostrare all’opinione pubblica che ci preoccupiamo veramente per i problemi causati dalle emissioni prodotte dagli autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada durante le ore di punta e lungo le strade congestionate.

Una cosa sulla quale mi trovo d’accordo, nell’interesse del compromesso, è che gli introiti derivanti dalla tassazione degli autoveicoli pesanti possono essere utilizzati per il trasporto su rotaia o marittimo. Ciò sarà possibile in alcuni casi, ma spero che, quando le decisioni verranno applicate a livello nazionale, ci si renda conto che sono gli autoveicoli pesanti a pagare. Questi fondi potrebbero essere utilizzati per migliorare, riparare e costruire strade e, in tal modo, gioverebbero agli autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada.

 
  
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  Pat the Cope Gallagher (ALDE).(EN) Signor Presidente, per quanto riguarda gli autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada, la situazione in Irlanda è piuttosto seria. Ci troviamo alla periferia dell’Europa, con due ponti sul mare verso l’Europa continentale, dove si applicheranno tutti gli oneri aggiuntivi per l’uso delle strade e per l’inquinamento. Secondo le associazioni degli esportatori irlandesi per i trasporti dall’Irlanda, paese che dipende moltissimo da questo tipo di trasporto e dalle esportazioni, ciò comporterebbe un aumento di 150 euro a viaggio, o 300 euro per un viaggio di andata e ritorno, . In questo modo saremo sicuramente meno competitivi.

Ritengo che la Commissione e il Consiglio debbano riflettere su questo aspetto, tenendo in considerazione le regioni periferiche. Non è una questione importante per l’Europa continentale, ma lo è certamente per l’Irlanda e gli altri paesi periferici.

 
  
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  Janusz Władysław Zemke (S&D).(PL) Signor Presidente, vorrei dire chiaramente che le raccomandazioni votate oggi dal Parlamento non saranno di semplice applicazione per la Polonia, considerate le circostanze. Tali raccomandazioni comportano un aumento dei costi di trasporto e gli autotrasportatori con i veicoli più vecchi si troveranno logicamente in una situazione peggiore. Dobbiamo, tuttavia, accogliere con favore il fatto che saranno disponibili maggiori fondi da investire nei trasporti sostenibili e, soprattutto, sarà possibile costruire collegamenti ferroviari ad alta velocità e per il trasporto marittimo. Vorrei, però, associarmi agli oratori precedenti secondo i quali queste raccomandazioni presentano aspetti positivi e negativi. Implicheranno anche una serie di complicazioni per molti autotrasportatori nel mio paese.

 
  
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  Peter Jahr (PPE).(DE) Signor Presidente, ho due osservazioni sul cosiddetto eurobollo. Da un lato avrei voluto una formulazione chiara sul fatto che le risorse finanziarie raccolte verranno realmente utilizzate per costruire strade.

In secondo luogo, suppongo che la disposizione secondo la quale i paesi possono escludere i piccoli veicoli commerciali con un peso compreso tra 3,5 e 12 tonnellate dalla direttiva sui costi delle infrastrutture verrà rispettata dagli Stati membri. Le piccole e medie imprese utilizzano veicoli che pesano tra le 3,5 e le 12 tonnellate. Molte di esse non saranno in grado di sopportare costi maggiori e sono spesso queste imprese il pilastro dell’occupazione e dell’imprenditoria nelle zone rurali.

 
  
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  Jim Higgins (PPE).(EN) Signor Presidente, la proposta di eurobollo ha buone intenzioni e presenta molti aspetti ammirevoli. Ridurre le emissioni dei veicoli è molto lodevole, così come lo è ridurre la congestione degli autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada e spendere il 15 per cento degli introiti dei pedaggi per le infrastrutture.

Mi sarebbe piaciuto appoggiare questa misura specifica ma ho dovuto esprimere voto contrario perché, come ha già affermato l’onorevole collega Gallagher, l’economia irlandese dipende enormemente dalle esportazioni. Le misure per l’eurobollo, se adottate nel nostro paese, avrebbero conseguenze devastanti. Qualunque nuovo onere a carico degli autotrasportatori avrebbe forti ripercussioni sulle nostre esportazioni. Penso che gli spagnoli, gli italiani e i portoghesi la pensino allo stesso modo. Siamo nazioni periferiche. Dipendiamo interamente dai mercati internazionali. L’alto costo del gasolio ha ridotto al limite gli autotrasportatori. Purtroppo ho dovuto votare contro questa misura.

 
  
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  Mario Pirillo (S&D). – Signor Presidente, il voto di oggi rappresenta un sensibile passo avanti nell'introduzione del principio "chi inquina paga", anche nel settore del trasporto di merci su strada, che contribuisce in maniera sensibile all'inquinamento atmosferico ed acustico. Nonostante le critiche sollevate da parte di organizzazioni di categoria, credo che la posizione del Consiglio sia in questo momento il migliore compromesso possibile, anche se mi auguro che dei miglioramenti potranno essere apportati in futuro.

Ho votato a favore. Devo però segnalare che è necessario adoperarsi per individuare migliori esternazioni degli introiti, stabilendo l'obbligo per gli Stati membri di investire queste risorse per il miglioramento della rete TEN e delle infrastrutture per ridurre l'inquinamento. Solo così potremo in futuro affermare che l'odierno provvedimento avrà prodotto effetti positivi.

 
  
  

Relazione Leinen (A7-0330/2011)

 
  
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  Antonello Antinoro (PPE). – Signor Presidente, grazie al trattato di Amsterdam la politica ambientale e la politica di sostenibilità hanno acquistato maggiore rilevanza e l'attenzione si è focalizzata sull'integrazione fra la politica economica e quella ambientale e sull'inserimento delle tematiche ambientali nelle politiche e in altri settori.

Fra i settori chiave rientrano i cambiamenti climatici, i trasporti sostenibili, la natura, la biodiversità, la sanità e l'ambiente, l'uso delle risorse naturali e la gestione dei rifiuti nonché la dimensione internazionale dello sviluppo sostenibile. Nel giugno 2006 il Consiglio europeo, nelle sue conclusioni, ha invitato l'Unione e i suoi Stati membri a estendere i conti nazionali agli aspetti fondamentali dello sviluppo sostenibile. I conti nazionali devono pertanto essere completati da una contabilità economica e ambientale integrata, idonea a fornire dati pienamente coerenti.

Ho votato a favore di questa proposta di regolamento perché crea nuovi utilizzi per i dati di contabilità nazionali, per le statistiche ambientali e per altri settori statistici.

 
  
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  Horst Schnellhardt (PPE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore della relazione Leinen perché sono convinto che rilevando questi dati disporremo di più informazioni sulla situazione nei vari paesi. Ciononostante, ho scelto di intervenire perché molti di coloro che hanno preso parte al dibattito hanno detto che dovremmo occuparci solo dei conti, ignorando completamente il PIL.

Io lo sconsiglierei. Si tratta di un’evoluzione estremamente pericolosa. Il prodotto interno lordo è un indicatore dello sviluppo economico e del benessere. Se vogliamo smettere di misurarlo, o se vogliamo utilizzare solo criteri sociali e ambientali per le rilevazioni, andremo incontro a un disastro. Questi dati non possono che integrare le cifre relative al PIL. Il prodotto interno lordo deve essere al centro delle nostre analisi, come concordato nella relazione Rosbach. La stessa cosa dovrebbe valere anche qui e voglio ribadirlo un’altra volta.

 
  
  

Relazione Coelho (A7-0185/2011)

 
  
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  Jens Rohde (ALDE).(EN) Signor Presidente, chiedo scusa, mi potrebbe dire di che argomento stiamo discutendo? Non ho sentito.

(Il Presidente: ‘Coelho’)

L’acquis in Romania e Bulgaria? Grazie.

(DA) Signor Presidente, oggi il Parlamento ha votato e adottato una decisione, che riconosce che la Romania e la Bulgaria sono pronte per partecipare alla cooperazione di Schengen. Non ho alcun dubbio sul fatto che tutti gli aspetti tecnici siano pronti e che si sia lavorato molto in vista dell’adesione. Credo, però, che ci siano alcune ragioni per affrontare con serietà le preoccupazioni dei cittadini europei sull’aumento della corruzione negli Stati membri e della criminalità transfrontaliera. Avremmo dovuto utilizzare questa situazione per potenziare la cooperazione di polizia e la lotta alla corruzione prima di passare all’ampliamento dell’area Schengen. Non si tratta di criticare questi paesi, ma di approfittare dell’occasione prima di ampliare Schengen per rispondere ai cittadini preoccupati per l’aumento della criminalità in Europa.

 
  
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  Clemente Mastella (PPE). – Signor Presidente, la Romania e la Bulgaria hanno adottato l'aquis di Schengen aderendo all'Unione europea nel 2007. Si tratta di due paesi in cui si effettuano ancora controlli alle frontiere vista la parziale applicazione delle disposizioni in esso contenute. Come è emerso, per la verità da attente valutazioni e visite effettuate da gruppi di esperti, benché i due paesi abbiano dimostrato notevole impegno ed evidenti progressi nella sua attuazione, permangono ancora alcune carenze, come quella ad esempio rilevata nei settori degli strumenti, dell'esecuzione dei controlli alle frontiere e della formazione.

Riteniamo però di poter confermare il nostro sostegno alla loro completa adesione all'accordo anche se consideriamo indispensabile che i due paesi in questione, entro sei mesi, ci informino per iscritto dell'attuazione di misura addizionali volte a colmare tali lacune. Non possiamo infatti prescindere dal fatto e dalla considerazione che l'area Bulgaria-Turchia-Grecia rappresenta una delle zone più sensibili della politica delle frontiere dell'Unione in termini di migrazione clandestina.

 
  
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  Dimitar Stoyanov (NI).(BG) Signor Presidente, la parte più importante di quest’ottima relazione presentata dall’onorevole Coelho è quella finale, dove si fa un preciso riferimento al pericolo che l’ondata migratoria colpisca l’Europa arrivando dalla Turchia e, attraverso la Turchia, dai paesi del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale.

Fino a un quarto di secolo fa, l’Europa era protetta da queste ondate migratorie per due motivi: la cortina di ferro e i regimi totalitari nell’Africa settentrionale. Questi due sistemi autoritari tenevano i cittadini sottomessi e raramente permettevano loro di abbandonare il paese, ma questi ostacoli non esistono più.

Per questo motivo ho votato a favore della relazione. Sono lieto che l’onorevole Coelho abbia citato l’importanza della pressione migratoria dalla Turchia sulla Bulgaria e la Grecia, ma vorrei dire che non servirà a nulla se queste dichiarazioni rimarranno solo parole sulla carta. Sono necessarie risorse e programmi per proteggere l’Unione europea da questa ondata migratoria.

 
  
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  Hannu Takkula (ALDE).(FI) Signor Presidente, è molto importante che nell’Unione europea vengano applicati gli stessi principi in tutti gli Stati membri e, da questo punto di vista, l’accordo di Schengen è un passo verso una maggiore collaborazione e una circolazione più libera, ma dobbiamo ricordare che quest’ultima implica anche un certo livello di responsabilità. Ora dobbiamo sperare che, quando la Romania e la Bulgaria aderiranno all’area Schengen, i problemi che si sono verificati alle loro frontiere siano stati risolti e che si impieghino le giuste risorse per evitare l’immigrazione clandestina e altri fenomeni.

Chiaramente l’idea di fondo è che nell’Unione europea non può esserci un sistema a due velocità: si devono applicare ovunque le stesse regole. Possiamo così garantire che in questi paesi esistano le stesse opportunità che si trovano negli altri. Servono risorse, perché sappiamo quali sono i problemi e i pericoli di quella zona.

 
  
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  Roger Helmer (ECR).(EN) Signor Presidente, come lei ben sa, i conservatori britannici solitamente si astengono dal votare su argomenti che hanno a che vedere con l’euro o Schengen perché non ne facciamo parte e di conseguenza non ci riguardano. In questo caso, però, ritengo che la questione ci interessi. Sappiamo che in Romania e Bulgaria problemi di criminalità e corruzione sono gravi e ritengo che i loro controlli alle frontiere non siano allo stesso livello di quelli degli altri paesi dell’area Schengen.

Diventeranno la rotta e il canale degli immigrati clandestini verso l’Unione europea, i quali, una volta all’interno dell’area Schengen, saranno liberi di arrivare a Calais, facendo così aumentare l’immigrazione clandestina nel Regno Unito. Per questo motivo ho votato contro la relazione.

 
  
  

Relazione Audy (A7-0160/2011)

 
  
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  Francesco De Angelis (S&D). – Signor Presidente, il documento sulla revisione intermedia del settimo programma quadro è particolarmente importante.

Ho votato a favore di questa relazione per quattro ragioni, che considero prioritarie: 1) semplificazione e snellimento delle procedure per facilitare l'accesso ai finanziamenti; 2) partecipazione delle piccole e medie imprese, strumento decisivo per lo sviluppo e per il lavoro; 3) innovazione per un sistema produttivo competitivo e all'altezza delle sfide del mercato; 4) meccanismo di finanziamento dei rischi, che finora ha prodotto risultati molto positivi.

Desidero infine ricordare che solo attraverso un impegno concreto a favore delle politiche della ricerca si può consolidare in Europa il triangolo conoscenza-istruzione-ricerca su cui si gioca il futuro della politica di coesione.

 
  
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  Jens Rohde (ALDE).(DA) Signor Presidente, c’è un ampio consenso al Parlamento sulla necessità di riformare il nostro programma di ricerca. Ciononostante, devo esprimere il mio rammarico perché la Commissione è stata molto vaga e poco ambiziosa nella sua revisione intermedia. Poteva essere notevolmente migliore e si poteva subito fare molto di più. La Commissione potrebbe accorciare i termini per la presentazione delle domande, potrebbe garantire fondi per le attività di dimostrazione e utilizzare i metodi contabili internazionali anziché inventarne di nuovi. Tutto ciò crea burocrazia inutile che spaventa l’industria e impedisce all’Europa di passare dalle idee ai risultati concreti. In futuro, quindi, dovremo ridurre l’accozzaglia caotica di programmi e la burocrazia e concentrarci sulle principali sfide: cambiamento climatico, energia e risorse alimentari, in poche parole, dobbiamo usare la ricerca per creare posti di lavoro. Oggi il Parlamento ha dimostrato la volontà di farlo. Ora spetta alla Commissione indicare la strada.

 
  
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  Mario Pirillo (S&D). Signor Presidente, la ricerca e l'innovazione hanno un ruolo centrale per lo sviluppo e la competitività dell'Unione europea e sono decisive per il raggiungimento degli obiettivi indicati nella strategia Europa 2020. Il settimo programma quadro è il principale strumento per finanziare la ricerca in Europa, come evidenzia la relazione votata oggi, però si continuano a riscontrare molteplici difficoltà dovute agli eccessivi oneri amministrativi per le piccole e medie imprese.

Il Parlamento europeo, nella sua risoluzione dell'11 novembre 2010, aveva chiesto alla Commissione europea di introdurre misure di semplificazione procedurali, amministrative e finanziarie nella gestione attuale del settimo programma quadro, misure ancora disattese. Invito la Commissione ad accogliere le osservazioni del Parlamento e a individuare soluzioni capaci di facilitare l'accesso delle PMI al settimo e all'ottavo programma di ricerca.

 
  
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  Ville Itälä (PPE).(FI) Signor Presidente, ho votato con piacere a favore di questa relazione e ringrazio il collega Audy per il buon lavoro svolto. Vorrei sollevare due questioni. I finanziamenti sono estremamente importanti e potrebbero essere un po’ più ambiziosi, poiché è stato detto che questo livello è credibile e necessario. Dobbiamo aumentare i fondi per avere una buona crescita in Europa.

Qualche tempo fa ho avuto modo di parlare con un gruppo di ricercatori finlandesi che riceveva fondi grazie a questo programma. Fanno ricerca sulle cellule e sono abbastanza vicini a una scoperta decisiva che potrebbe permettere di sviluppare cure contro il cancro, ma non sapevano se i finanziamenti sarebbero proseguiti. Sono piuttosto disorientati. A mio avviso i finanziamenti dovrebbero continuare e dovrebbero essere di un livello sufficiente.

L’altra questione, in merito alla quale abbiamo ricevuto un chiaro riscontro, è che si dedica molto tempo alla burocrazia. La dobbiamo ridurre, in modo da fissare le giuste priorità.

 
  
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  Radvilė Morkūnaitė-Mikulėnienė (PPE).(LT) Signor Presidente, sono lieta che oggi si discuta della revisione intermedia del Settimo programma quadro. Il documento contiene molte affermazioni corrette , soprattutto a proposito dei giovani ricercatori e della partecipazione più attiva dell’industria ai progetti previsti dal programma quadro. Il documento esprime preoccupazione per il basso tasso di partecipazione in alcuni Stati membri. Vorrei far notare che ci sono dei motivi oggettivi. I programmi di finanziamento attualmente in vigore, in un certo senso, favoriscono maggiormente i vecchi Stati membri dell’Unione europea. Lo si vede anche nelle cifre. Il finanziamento che un nuovo Stato membro ottiene partecipando a un progetto è la metà di quanto riceverebbe un vecchio. In questo modo si crea un vuoto all’interno dell’Unione e i nuovi Stati membri sono esclusi, il che è sbagliato. Ritengo sia necessario rivedere il sistema di finanziamento cercando di garantire che nell’Ottavo programma quadro non ci siano disparità né discriminazioni, in modo tale da superare con successo le sfide citate nella strategia Europa 2020.

 
  
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  Alajos Mészáros (PPE).(HU) Signor Presidente, l’attuale Settimo programma quadro garantisce che l’Unione europea possa innalzare la sua politica di ricerca a un livello adeguato. Con un bilancio di oltre 45 miliardi di euro per il periodo 2007-2013, lo possiamo considerare uno dei più importanti programmi a favore della ricerca a livello mondiale. Dobbiamo preparare una revisione intermedia basata su dati concreti perché il Settimo programma quadro possa continuare a soddisfare i criteri europei. Penso che il processo di semplificazione sia l’elemento più importante da sottolineare nella revisione. L’esperienza insegna che la complessità e la difficoltà delle procedure amministrative sono state uno dei principali problemi per i ricercatori. L’altro aspetto fondamentale consiste nel facilitare la partecipazione delle piccole e medie imprese al programma. Purtroppo, in proposito, dobbiamo impegnarci di più, sebbene siano stati realizzati alcuni miglioramenti relativi alla cooperazione. Ci ha fatto piacere constatare l’introduzione del meccanismo di finanziamento con ripartizione dei rischi, che dovrebbe essere portato avanti e incrementato fino al termine del Settimo programma quadro e durante i successivi. Per questi motivi ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Jacek Olgierd Kurski (ECR).(PL) Signor Presidente, ho votato no alla relazione Audy. Non posso dare il mio avallo a un documento che blocca il progetto INDECT. Non condivido l’affermazione secondo la quale il progetto che viene attualmente realizzato presso la nota Università AGH di scienza e tecnologia a Cracovia viola la Carta dei diritti fondamentali. Lo scopo della ricerca è di realizzare gli obiettivi delle risoluzioni sulla lotta contro la pedofilia, la vendita di armi su Internet, la lotta al narcotraffico e alla tratta degli esseri umani, ovvero questioni che abbiamo affrontato spesso in quest’Aula. Si tratta di un progetto innovativo che svolge l’ottimo lavoro di colmare le lacune presenti nei sistemi di sicurezza degli Stati membri, soprattutto in relazione a Internet. Si occupa di coloro che violano le leggi, e sono proprio questi che devono temere di più gli obiettivi del programma. Inoltre, il progetto costituisce una buona base per costruire un sistema di sicurezza integrato, garantendo la difesa contro gli attacchi cibernetici: Russia, Stati Uniti e Cina hanno trovato soluzioni simili e in Europa le attendiamo con impazienza da anni. Per questo motivo non capisco perché il finanziamento del progetto sia stato rifiutato, soprattutto se consideriamo che è l’unico progetto citato nella relazione Audy.

 
  
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  Anna Záborská (PPE). (SK) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione, ma restano alcuni dubbi sul finanziamento pubblico alla ricerca sulle cellule embrionali. Secondo l’avvocato generale della Corte di giustizia, le cellule embrionali sono considerate embrioni umani e, dunque, esseri viventi. Queste cellule, poiché rappresentano il primo stadio dell’essere umano che poi diventeranno, dal punto di vista giuridico devono essere definite embrioni ed è esclusa la lori brevettazione . Sulla base di questa affermazione, la Commissione europea dovrebbe immediatamente tenere conto delle decisioni e conclusioni della Corte di giustizia, adattando di conseguenza le sue politiche per la ricerca e la scienza.

 
  
  

Proposta di risoluzione (B7-0344/2011)

 
  
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  Jens Rohde (ALDE).(DA) Signor Presidente, oggi abbiamo votato l’ultimo di una lunga serie di testi di accordi di libero scambio. Fortunatamente il Parlamento, nel complesso, è ancora favorevole al libero scambio e questo vale anche per l’accordo con il Canada. Ciononostante, si ripresenta regolarmente la richiesta di analisi specifiche per settore. La valutazione di impatto dell’accordo UE-Canada indica chiari vantaggi per entrambe le parti. Le analisi specifiche per settore sono solo la scusa per un rifiuto perché la verità è che ci saranno sempre vincitori e perdenti. È nostra responsabilità fare ciò che è bene per la maggioranza. Il libero scambio è la cosa migliore per i consumatori, che disporranno di una scelta maggiore e a prezzi inferiori. Va a vantaggio anche delle imprese perché ampia i loro mercati e crea crescita e occupazione. Il libero scambio è la divisione internazionale del lavoro, che garantisce ad ognuno di noi la possibilità di fare ciò che sa fare meglio e lo stesso vale per gli altri.

 
  
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  Peter Jahr (PPE).(DE) Signor Presidente, ovviamente sono favorevole a qualunque accordo commerciale tra due paesi e imprese perché, se gestito correttamente, il commercio mondiale può aiutare a migliorare il tenore di vita e contribuire al progresso.

D’altro canto, temo che l’alto numero di accordi bilaterali ci faccia perdere di vista il quadro d’insieme, creando così un mosaico di accordi che rendono difficile la conclusione di un accordo adeguato a livello di Organizzazione mondiale del commercio (OMC).

Per me gli accordi bilaterali sono sempre la seconda scelta. La migliore sarebbe quella di continuare i negoziati nel contesto dell’OMC e concludere quegli accordi che il commercio mondiale attende e di cui l’economia globale ha un disperato bisogno.

 
  
  

Relazione Klinz (A7-0081/2011)

 
  
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  Claudio Morganti (EFD). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, è innegabile che le aziende di rating abbiano ormai assunto un potere enorme e fuori controllo. La loro funzione iniziale era quella di fornire preziose informazioni agli investitori, ma si sono trasformate nel tempo in giudici supremi e incontrollabili dei mercati finanziari internazionali.

Non ritengo accettabile che le imprese, e addirittura gli Stati europei, debbano essere giudicati da tre grandi società americane, le cui valutazioni non sono state sempre corrette ma a volte hanno portato a clamorosi errori, come ad esempio nel caso della Lehman Brothers.

Ben vengano quindi maggiori controlli e spero che la nuova autorità europea riesca ad agire al meglio e che sia dotata di reali poteri di intervento, se del caso, anche sanzionatori. Ritengo altresì opportuna l'introduzione del principio di responsabilità civile in situazioni di evidente negligenza. Una maggiore concorrenza è necessaria in questo settore e dobbiamo rompere lo storico oligopolio e cercare di far entrare realtà nuove, indipendenti e possibilmente europee, che abbiano cioè ben presente la situazione e la realtà economica del nostro continente, del tutto differente dalla logica statunitense.

Per tutti questi motivi ho espresso voto favorevole a tale relazione.

 
  
  

Relazione Niebler (A7-0159/2011)

 
  
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  Radvilė Morkūnaitė-Mikulėnienė (PPE).(LT) Signor Presidente, apprezzo il testo votato oggi su come garantire valutazioni d’impatto indipendenti. Queste sono alla base del processo legislativo. La reale indipendenza di tali valutazioni deve diventare un principio generale, applicato a tutti i tipi di valutazione, soprattutto a quelle ambientali. La garanzia dell’applicazione di questo principio dovrebbe comparire anche nella direttiva sulla valutazione d’impatto ambientale che dovrebbe essere a breve oggetto di revisione. Sono lieta che le proposte della commissione per l’ambiente, dove io ho presentato alcuni emendamenti, riguardino le valutazioni d’impatto ambientale, che sono di importanza cruciale. La Commissione deve svolgere un ruolo più attivo nella difesa degli interessi dell’Unione europea e degli Stati membri nei casi in cui i progetti realizzati da paesi terzi possano avere ripercussioni sull’Unione o su uno o più dei paesi membri. Credo che questo documento rappresenti un passo avanti per garantire la sicurezza di tutti noi.

 
  
  

Relazione Falbr (A7-0172/2011)

 
  
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  Jens Rohde (ALDE).(DA) Signor Presidente, tengo particolarmente a intervenire su questo argomento perché è assurdo dettare legge sulla responsabilità sociale delle imprese (RSI) da questa istanza. Come sancito dal trattato, concordiamo presumibilmente tutti sul fatto che si possono concludere accordi e partenariati di libero scambio solo con paesi che rispettano i diritti umani. Penso, tuttavia, che alcuni politici abbiano dimenticato il significato di RSI: è la responsabilità sociale delle imprese, si tratta cioè del comportamento delle imprese, al di là del rispetto delle normative vigenti. Questo concetto viene utilizzato come parametro competitivo nell’imprenditoria, spronando così le imprese stesse a migliorare costantemente da questo punto di vista. Se prendiamo il principio in questione e lo trasformiamo in una normativa politica, aboliamo completamente questo parametro competitivo e ciò sarebbe – se mi passate l’espressione – una mossa politica molto stupida.

 
  
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  Clemente Mastella (PPE). – Signor Presidente, la dimensione esterna della politica sociale comprende tutte le attività e iniziative dell'Unione europea finalizzate alla promozione delle norme sociali e del lavoro nei paesi terzi. Benché sia il trattato di Lisbona che la strategia Unione europea 2020 attribuiscano alla politica sociale un'importanza senza precedenti, le questioni della competitività e i fattori economici continuano a prevalere sulle questioni sociali.

Emerge sempre più chiaramente però la necessità di non concentrarsi più strettamente sui mercati, ma di interessarsi più in generale alle persone, ovvero alla loro protezione e ai diritti dei lavoratori, al diritto del lavoro. L'Unione europea deve avere come obiettivo di lungo periodo poter garantire a uomini e donne la possibilità di ottenere un lavoro dignitoso e produttivo, in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità! Sarà perciò necessario in futuro che il Parlamento europeo e i sindacati internazionali ed europei si uniscano per integrare le loro raccomandazioni positive e urgenti nell'iniziativa qui oggi votata.

 
  
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  Mitro Repo (S&D).(FI) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione perché le imprese europee rivestono un’importanza particolare nel commercio internazionale. Dobbiamo sempre agire facendoci guidare dai valori europei e dalle norme internazionali in ambito sociale e del lavoro, anche in paesi terzi.

La responsabilità sociale delle imprese è un esercizio volontario utile solo se si forniscono ai consumatori informazioni affidabili e precise sulle attività delle imprese, sull’origine e sulle condizioni di produzione e di vendita dei prodotti. I certificati, i marchi e le norme sono importanti per i consumatori, e l’immagine e la reputazione sono direttamente collegati al successo di un’impresa. Nell’era dei media sociali è difficile nascondere ai consumatori le informazioni sulle pratiche di una data impresa all’estero.

L’imprenditoria responsabile è la spina dorsale della competitività e del successo di un’impresa. L’Unione europea deve essere pioniera nella promozione delle norme sociali. Penso che il concetto di responsabilità delle imprese dovrebbe essere inserita in tutte le politiche e negli accordi commerciali dell’Unione.

 
  
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  Anna Záborská (PPE). (SK) Signor Presidente, potrebbe essere un’impresa interessante appoggiare e promuovere la responsabilità sociale nelle relazioni esterne. Mi preoccupa vedere che non andiamo abbastanza lontano nelle nostre attività. La responsabilità sociale deve concentrarsi sui più poveri, su coloro che vivono ai margini della società, coloro che non hanno qualifiche e sono più esposti a manipolazioni. In breve, si deve concentrare su coloro che sono più lontani dal mercato del lavoro.

Il programma francese che coniuga l’apprendimento e l’attività lavorativa, lanciato dall’organizzazione ATD Quart Monde e dal governo francese, è un ottimo esempio di impresa solida che conserva la responsabilità sociale autentica in un partenariato con i lavoratori più svantaggiati. In questo modo l’Unione può dare un vero valore aggiunto alla politica.

 
  
  

Relazione Mitchell (A7-0187/2011)

 
  
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  Clemente Mastella (PPE). – Signor Presidente, il 2011 rappresenta un momento strategico per fare tesoro dell'esperienza acquisita durante i quattro anni di applicazione del regolamento che istituisce uno strumento per il finanziamento e la cooperazione allo sviluppo. Dalla sua entrata in vigore il maggiore problema emerso sembra essere la difficoltà di capire o accettare il ruolo specifico svolto dalla cooperazione allo sviluppo nel contesto dell'azione esterna dell'Unione europea.

Occorre pertanto chiarire che la cooperazione allo sviluppo è quella dimensione politica dell'azione esterna dell'Unione europea, insieme con gli aiuti umanitari, che non è stata concepita per soddisfare interessi europei, bensì per difendere gli interessi delle popolazioni più vulnerabili ed emarginate del pianeta!

Con il voto oggi espresso, noi andiamo a sottolineare esigenze di uno strumento di finanziamento alla cooperazione e allo sviluppo a se stante, destinato esclusivamente ai paesi in via di sviluppo e volto espressamente al conseguimento degli obiettivi stabiliti dall'articolo 208 del Trattato. In particolare chiediamo – e concludo signor Presidente - che le decisioni sugli obiettivi generali sui settori prioritari, sui risultati attesi nonché sull'assegnazione dei fondi in conformità dell'articolo 290 del Trattato siano assunte mediante la procedura degli atti delegati.

 
  
  

Relazione Wallis (A7-0164/2011)

 
  
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  Adam Bielan (ECR).(PL) Signor Presidente, nonostante il Parlamento europeo abbia ripetutamente riconosciuto i vantaggi per il mercato interno che si otterrebbero migliorando il quadro del diritto contrattuale, l’introduzione di un nuovo sistema dotato di uno strumento facoltativo si è imbattuta in una serie di problemi, sia di merito sia di natura procedurale. In particolare, le proposte avanzate corrispondono alla posizione della Commissione, che nel merito non è appoggiata dal dibattito pubblico. Non sappiamo come la pensano i singoli Stati membri, né quale sia l’opinione dei consumatori e dei rappresentanti delle imprese. Le interpretazioni giuridiche divergenti potrebbero essere dovute alla scarsa chiarezza di alcuni dei documenti proposti, che fungeranno da base per le decisioni giudiziarie.

Infine, l’introduzione di uno strumento facoltativo avrebbe ripercussioni economiche significative sulle imprese e sui consumatori. Potrebbero insorgere costi molto alti derivanti dalla necessità di formazione, dalla sostituzione dei formati contrattuali standard e da eventuali procedimenti giudiziari. A mio avviso è avventato imporre ulteriori oneri finanziari alle imprese in un periodo di difficoltà economiche. Per tutti questi motivi ho votato contro la relazione.

 
  
  

Relazione Hirsch (A7-0082/2011)

 
  
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  Clemente Mastella (PPE). Signor Presidente, in una economia fortemente globalizzata come quella attuale la possibilità e la capacità di studiare e di lavorare in un ambiente internazionale rappresenta una condizione imprescindibile per il successo professionale. I fattori chiave indicati nella strategia europea per una crescita intelligente, sostenibile ed esclusiva richiedono, per quanto riguarda l'istruzione e formazione professionale, di essere tradotti in misure concrete a livello di Unione europea e negli Stati membri. Le previsioni fanno assumere che la crescita del fabbisogno in competenze continuerà ad aumentare: l'evoluzione industriale e tecnologica determina una maggiore necessità di lavoratori con competenze professionali medie ed elevate, a scapito tuttavia delle persone meno qualificate.

Risulta quindi necessaria un'azione rapida, proprio per quanto riguarda i giovani: la continua crescita della disoccupazione giovanile rappresenta una delle sfide più importanti per l'Europa! Per raggiungere questi obiettivi riteniamo indispensabile che l'istruzione e la formazione professionale continuino a costituire una forte priorità politica e comune, a lungo termine, la cui attuazione richiederà la partecipazione e l'impegno di tutti gli attori interessati, delle istituzioni europee, ma anche degli attori locali e regionali.

 
  
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  Paul Murphy (GUE/NGL).(EN) Signor Presidente, ho votato contro la relazione Hirsch perché fondamentalmente considera l’istruzione non un mezzo che permette alle persone di migliorare le loro conoscenze e le loro competenze, ma semplicemente uno strumento per aumentare i profitti delle grandi imprese.

Sono assolutamente contrario a questa linea. La relazione afferma che la realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020 è un modo per garantire occupazione e un tenore di vita migliore. Non è vero. La strategia Europa 2020 non creerà posti di lavoro né innalzerà il tenore di vita. Offre politiche più liberali e una corsa al ribasso per quanto riguarda le retribuzioni e le condizioni.

È uno scandalo che la relazione preveda la possibilità per i datori di lavoro di rescindere i contratti di apprendistato nel caso in cui l’apprendista non sia considerato idoneo al posto di lavoro. Questo non è altro che vero sfruttamento. Sono contrario a un maggiore coinvolgimento degli istituti privati di istruzione superiore per potenziare la formazione professionale e chiedo che si offrano opportunità di formazione significative grazie a investimenti pubblici massicci.

 
  
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  Mitro Repo (S&D).(FI) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione perché la disoccupazione giovanile è una sfida che riguarda l’Europa intera e che preoccupa tutta la società. È anche uno dei fattori delle agitazioni nei paesi del Mediterraneo meridionale. Nelle società benestanti dei paesi nordici la disoccupazione giovanile è visibile, ad esempio, sotto forma di esclusione e di maggiore uso di sostanze stupefacenti tra gli adolescenti.

Gioventù significa muoversi e cambiare lavoro. La disoccupazione giovanile è grave quando i giovani non hanno accesso a un lavoro di qualunque tipo perché hanno un basso livello di istruzione o perché non hanno esperienza. In queste condizioni non si trovano in una posizione forte quando si propongono per un lavoro. Per questo motivo dobbiamo canalizzare le nostre energie per fornire un’istruzione ampia e di alta qualità e, inoltre, dobbiamo prestare attenzione alla prospettiva di genere, in modo tale da eliminare le cause alla radice della disoccupazione giovanile. Non dobbiamo poi dimenticare il ruolo dell’aggiornamento delle competenze, perché è ciò che promuove l’apprendimento permanente e prepara le persone ai cambiamenti sul mercato del lavoro.

 
  
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  Silvia Costa (S&D). – Signor Presidente, è molto significativo che il Parlamento europeo con questa risoluzione dia un forte segnale sia agli Stati membri che alle nuove generazioni chiedendo un maggiore impegno nella cooperazione europea in materia di istruzione, formazione professionale e alta formazione, a sostegno della strategia Europa 2020. Sappiamo che la disoccupazione precoce ha effetti duraturi sulla povertà e l'esclusione sociale, come il prolungato precariato in cui vive il 40 percento dei giovani europei.

Va dato un forte impulso a un mix di politiche formative e un nuovo welfare di incentivi alle imprese che occupano giovani e donne a tempo indeterminato. Fondamentale è l'adeguamento degli skill formativi alle competenze necessarie – anche a quelle di cittadinanza – ai nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile e intelligente, oltre che alle politiche di transizione dalla formazione al lavoro, anche accelerando il riconoscimento delle qualifiche professionali dei titoli e dei crediti formativi.

Gli Stati membri che, come il mio, in tempi di crisi tagliano risorse proprio al sistema dell'istruzione e della ricerca devono sapere che lavorano contro i giovani e contro il futuro dell'Europa.

 
  
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  Siiri Oviir (ALDE).(ET) Signor Presidente, ho seguito la stesura della relazione alla commissione per l’occupazione e gli affari sociali e, effettivamente, la disoccupazione in Europa è alta, ma la disoccupazione giovanile è, in media, il doppio. In alcuni Stati membri le cifre sono ancora più alte, come nel mio paese, dove sono addirittura il triplo. Sostengo le iniziative della relazione perché sono passi concreti per migliorare la situazione. Non capiamo che senso abbia formare molte persone che hanno un titolo di istruzione superiore che si rivela poi inutile sul mercato del lavoro. Dobbiamo concentrarci di più sulla formazione professionale e sulla riqualificazione.

I tagli proposti dal Consiglio per l’istruzione sono inaccettabili. Questa azione è anche incompatibile con il raggiungimento degli obiettivi della strategia Europa 2020, che è già stata adottata. Così non perseguono gli obiettivi che si sono prefissati. Ho votato a favore della relazione. Grazie.

 
  
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  Seán Kelly (PPE).(GA) Signor Presidente, anch’io ho votato a favore della relazione, soprattutto perché secondo le stime ci saranno 15 milioni di posti di lavoro disponibili per coloro in possesso di un titolo di istruzione post-secondaria entro il 2020. Al contempo, si stima che ci saranno 12 milioni di posti di lavoro in meno per coloro che hanno scarse qualifiche o alcuna. Dobbiamo fare qualcosa ed è evidente la forte necessità di istruzione e formazione. Il 21 per cento dei giovani europei è disoccupato ed è fondamentale che continuino gli studi fino a ottenere una qualifica adeguata e che ci sia collaborazione tra le università e le imprese per garantire l’adeguatezza delle qualifiche. È importante, inoltre, avere valutazioni indipendenti delle qualifiche. Attraverso queste azioni riusciremo a risolvere il problema.

 
  
  

Relazione Garriga Polledo (A7-0193/2011)

 
  
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  Francesco De Angelis (S&D). – Signor Presidente, la relazione del collega Garriga Polledo è un tassello molto importante che consente di definire un nuovo quadro finanziario per un'Europa competitiva, sostenibile e inclusiva.

Abbiamo bisogno di un bilancio adeguato alle nuove sfide e di una risposta forte e innovativa per far fronte alle nuove esigenze, il cui primo obiettivo è la ricerca e l'innovazione per le piccole e medie imprese, per lo sviluppo e per il lavoro; il secondo obiettivo è la riforma della PAC per promuovere e sostenere la competitività dell'agricoltura in Europa.

Ma un'attenzione particolare merita il futuro della politica di coesione, uno strumento che considero molto importante e di sostegno finanziario per gli investimenti a favore della crescita economica e soprattutto per la creazione di nuovi posti di lavoro. In merito a questo tema desidero ribadire un punto per me particolarmente importante: l'istituzione di una nuova categoria intermedia. Ebbene, ritengo che l'istituzione di questa nuova categoria non possa avvenire sottraendo risorse alle categorie già esistenti, che sono una condizione necessaria per la promozione di uno sviluppo equilibrato, armonico e sostenibile delle nostre comunità.

 
  
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  Ville Itälä (PPE).(FI) Signor Presidente, dopo l’adozione di questa importantissima relazione vorrei soffermarmi su alcuni dettagli. Il primo è l’emendamento 18 presentato dal gruppo dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa, secondo il quale si possono apportare alcuni tagli ben circoscritti alla politica agricola comune, in funzione del tipo di riforma in corso. In altre parole, abbiamo una chiara visione della posizione del gruppo ALDE a proposito della politica agricola, seppur formulata con molta abilità. La premessa ovvia è che, se si devono apportare tagli, lo si fa nella politica agricola.

L’altro punto importante, sul quale ho votato diversamente dal mio gruppo, è l’emendamento 37d che si riferisce ai risparmi significativi che si potrebbero ottenere se il Parlamento europeo avesse una sola sede. Non c’è nulla da discutere: si risparmierà. Non fa alcuna differenza, indipendentemente da come voteremo si opereranno dei risparmi. Spero che alla lunga tutti capiscano che i cittadini sono stanchi dei risparmi che riguardano loro e non noi. Questa posizione non è spiegabile al pubblico e non miglioreremo nulla votandola. Ci saranno dei risparmi e dobbiamo ottenerli.

 
  
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  Salvatore Caronna (S&D). – Signor Presidente, il mio voto favorevole alla relazione Garriga sulle prossime prospettive finanziarie dell'Unione nasce dalla convinzione che proprio in uno dei momenti di maggiore crisi del cosiddetto spirito europeo sia decisivo insistere e vincere sulla indispensabilità di dare degli strumenti credibili, a partire da un'adeguata dotazione finanziaria, all'Unione.

Pertanto la richiesta di un 5 percento in più per il prossimo bilancio è una richiesta giusta e necessaria, forse non sufficiente, ma indispensabile per dare le risposte alle grandi questioni davanti a noi: queste risorse servono per affrontare problemi veri, come una più forte coesione tra le regioni, una maggiore capacità di ricerca e di innovazione, una più forte capacità di generare crescita e di offrire occupazione! Senza risorse adeguate nessuno di questi problemi troverà una risposte sufficiente, a partire dall'introduzione della categoria intermedia nella politica di coesione, che ha senso solo se non produce danni alle altre categorie esistenti.

Ecco perché ho votato a favore e mi auguro che la Commissione e il Consiglio seguano le indicazione della relazione.

 
  
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  Adam Bielan (ECR).(PL) Signor Presidente, la crisi economica, i problemi demografici e l’occupazione in aumento hanno forti conseguenze sulle ristrettezze finanziarie degli Stati membri. Un bilancio europeo che permetta di pianificare nel lungo termine dovrebbe essere uno strumento per promuovere la crescita delle economie dei singoli paesi. La strategia Europa 2020, che stimola la creazione di posti di lavoro e promuove l’integrazione sociale è, secondo me, una componente fondamentale per aiutare i paesi a uscire dalla crisi. In questo contesto, è fondamentale che il campo di applicazione includa anche le piccole e medie imprese. Concordo, quindi, con la proposta di garantire un maggiore sostegno a tutti i programmi e a tutti gli strumenti per queste imprese, inclusi i programmi che puntano alla competitività, l’innovazione e il ricorso ai Fondi strutturali.

Mantenere la competitività, aumentare la crescita economica e lottare contro la disoccupazione saranno le principali sfide che l’Unione dovrà affrontare. Vorrei, per questo, mettere in risalto la necessità urgente di sostenere la crescita tramite gli investimenti nei settori economici basati sulla conoscenza. Rafforzando il legame tra l’istruzione, la ricerca scientifica e l’occupazione promuoveremo l’integrazione, la mobilità e la specializzazione.

 
  
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  Sergio Paolo Francesco Silvestris (PPE). – Signor Presidente, intervengo per esprimere la mia soddisfazione ma anche per motivare un voto favorevole alla relazione Garriga, che in qualche modo disegna prospettive serie ed efficaci, che vanno verso il rafforzamento della politica di coesione.

Con una perplessità, che abbiamo espresso votando l'emendamento soppressivo riguardante l'istituzione di una categoria intermedia nelle politiche di coesione per quelle aree europee che vanno al di sotto di una percentuale tra il 90per cento e il 75per cento del prodotto interno lordo. Siamo fortemente preoccupati, non perché non riteniamo che non si debba estendere l'attenzione verso una politica di coesione, ma perché riteniamo che se non vi sono risorse aggiuntive questa estensione rischia di deprivare, di ridurre le risorse per quelle aree inserite nell'obiettivo 1, nell'obiettivo "convergenza", che tanto hanno necessità dell'attenzione e del sostegno dell'Unione europea. Allora, soddisfazione per la relazione, soddisfazione per il lavoro svolto, qualche preoccupazione con un'attenzione che avremmo avuto verso una politica che avrebbe potuto confermare il cosiddetto facing out come siamo abituati a vederlo.

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE). (SK) Signor Presidente, i contenuti del nuovo quadro finanziario pluriennale devono presentare un’idea chiara del futuro dell’Unione europea e dei suoi cittadini. Le attuali sfide economiche e sociali che stiamo affrontando si devono ritrovare non solo nei discorsi altisonanti ma, soprattutto, nelle concrete voci di bilancio.

Che si guardino le attuali difficoltà e le ambizioni dell’Unione e delle sue regioni da un punto di vista regionale o globale, le questioni più urgenti sono sempre la carenza di energia, il rallentamento della crescita economica e la disoccupazione. Dobbiamo continuare a dare priorità e a finanziare cospicuamente lo sviluppo e l’innovazione dell’infrastruttura energetica europea. Il ritorno al carbone, nell’attuale contesto ambientale, non è la soluzione per il futuro, né per la creazione di una rete di trasporti transeuropea a tutti gli effetti. Questi due ambiti sono una condizione irrinunciabile per sviluppare la competitività dell’Unione europea nel suo complesso e per il buon funzionamento del mercato interno e, in quanto tali, meritano un’attenzione particolare quando si prepara il bilancio.

 
  
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  Seán Kelly (PPE).(EN) Signor Presidente, in primo luogo accolgo con favore l’impegno incluso nella relazione a mantenere i fondi per la PAC e per la coesione almeno ai livelli attuali nelle prossime prospettive. Ci sono state molte controversie all’interno del nostro gruppo anche sulla categoria intermedia e si è deciso per un voto libero. Non riguarda i miei colleghi in Irlanda né noi, perché anche se siamo membri del Fondo monetario internazionale – e siamo un paese in bancarotta –in termini di PIL siamo ben al di sopra della media europea, quindi l’esistenza o meno di una categoria intermedia non ha effetti su di noi.

Ciononostante, riteniamo sia necessario valutare in modo approfondito la continuazione della politica di coesione, poiché, dal momento che sempre più regioni superano la soglia del 75 per cento, questa politica è destinata a diventare superflua o ad essere riformata e questo è quanto prevediamo che accada.

 
  
  

Dichiarazioni di voto scritte

 
  
  

Relazione Coelho (A7-0185/2011)

 
  
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  Alexander Alvaro (ALDE), per iscritto. (DE) La delegazione dell’FDP (partito liberale democratico tedesco) al Parlamento europeo reputa che l’inclusione di Romania e Bulgaria nell’area Schengen rafforzi ulteriormente la libertà di circolazione all’interno dell’Unione europea. Dopo i risultati positivi ottenuti da entrambi i paesi in tutti gli ambiti della revisione di Schengen, non dovrebbero esserci più ostacoli a ritardare la loro inclusione. È innegabile che la sicurezza tecnica dei confini non sia automaticamente sinonimo di confini sicuri fino a quando permangono difficoltà a contrastare la corruzione nella giustizia e nella polizia.

Lo stesso problema si pone, naturalmente, anche per gli Stati membri che già fanno parte dell’area Schengen. Per questa ragione, la delegazione dell’FDP ritiene che criteri come la lotta alla corruzione debbano ricevere maggiore attenzione all’interno dei meccanismi di valutazione di Schengen e che ogni reato debba essere punito nel modo appropriato.

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione alla luce dei risultati positivi della valutazione svolta in entrambi i paesi per stabilire se rispettino i requisiti dell’acquis di Schengen. Mentre entrambe la Romania e la Bulgaria sono pronte ad aprire i propri confini – anche se il confine fra Grecia e Bulgaria è molto sensibile – quest’ultima deve adottare ulteriori misure ed è indispensabile un approccio tripartito che coinvolga Bulgaria, Grecia e Turchia.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questa importante risoluzione sull’applicazione dell’acquis di Schengen in Bulgaria e Romania. Concordo con il relatore nel ritenere che, sebbene permangano dei problemi che richiederanno costante attenzione e un’azione di seguito in futuro, essi non rappresentano un ostacolo a una piena inclusione in Schengen per questi due Stati membri. L’inclusione della Bulgaria e della Romania nell’area Schengen è estremamente importante per entrambi i paesi, la loro crescita economica e lo sviluppo degli investimenti, e per tutta l’Unione europea, per una maggiore integrità e solidarietà fra gli Stati membri.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto . (FR) Ho votato a favore della relazione sull’inclusione della Romania e della Bulgaria nell’area Schengen. È la seconda volta che viene valutata l’applicazione delle disposizioni di Schengen da parte di questi due paesi. La prima valutazione è avvenuta nel 2010. Occorre tenere presente che la Romania e la Bulgaria hanno adottato l’acquis di Schengen (protezione dei dati, Sistema d’informazione Schengen, frontiere aeree, terrestri e marittime, cooperazione di polizia e visti) quando hanno aderito all’Unione europea nel 2007. Oggi, tuttavia, tutti gli Stati membri devono approvare l’ingresso effettivo di questi paesi nell’area senza confini interni. Il Parlamento europeo, dal canto suo, è stato consultato.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) La cooperazione di Schengen è iniziata il 14 giugno 1985 con l’accordo di Schengen che prevede l’abolizione dei controlli sistematici alle frontiere interne degli Stati firmatari e la creazione di un’area comune in cui vige la libera circolazione delle persone. Oggi la libera circolazione delle persone è garantita su un territorio che comprende 42 673 km di frontiere marittime e 7 721 km di frontiere terrestri, che abbraccia 25 paesi e conta 400 milioni di cittadini. La Bulgaria, la Romania e Cipro applicano attualmente solo in parte l’acquis di Schengen, per cui alle frontiere con questi tre Stati membri si effettuano ancora controlli. La Romania e la Bulgaria hanno adottato l’acquis di Schengen al momento della loro adesione all’Unione europea nel 2007. Tenuto conto dei risultati delle valutazioni e delle visite ulteriori svolte dai gruppi di esperti, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno stabilito che, sebbene permangano problemi che richiederanno costante attenzione e un’azione di seguito, essi non rappresentano un ostacolo alla piena inclusione in Schengen di questi due Stati membri. Sono favorevole alla proposta che prevede che la Bulgaria e la Romania informino per iscritto il Parlamento e il Consiglio entro sei mesi del seguito dato alle raccomandazioni contenute nelle relazioni di valutazione e menzionate nelle relazioni di seguito, che devono ancora essere attuate.

 
  
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  Regina Bastos (PPE), per iscritto. (PT) Dalla firma dell’accordo di Schengen nel 1985 i paesi di questo spazio comune sono passati dai 5 iniziali agli attuali 25, 22 dei quali appartengono all’Unione europea. Schengen ha consentito l’abolizione dei controlli alle frontiere interne fra i paesi firmatari e la creazione di un solo confine esterno, dove si svolgono i controlli per l’ingresso nell’area Schengen. La Bulgaria e la Romania hanno adottato l’acquis di Schengen quando hanno aderito all’Unione europea nel 2007.

Sulla scorta dei risultati delle valutazioni e delle visite di controllo svolte, il relatore, onorevole Coelho, è giunto alla conclusione che possano ritenersi soddisfatte tutte le condizioni relative all’applicazione dell’intero acquis di Schengen e, in particolare, i controlli alle frontiere terrestri, marittime e aeree, la cooperazione di polizia, i visti, il collegamento al Sistema d’informazione Schengen (SIS) e la protezione dei dati. Questi paesi dovrebbero divenire membri effettivi dell’area Schengen. Si tratta di un passo importante per questi paesi e rappresenta un rafforzamento della cittadinanza europea. Voto dunque a favore della relazione e mi congratulo con il relatore.

 
  
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  Izaskun Bilbao Barandica (ALDE), per iscritto.(ES) Ho votato a favore di questa iniziativa perché la Romania e la Bulgaria hanno adottato l’acquis di Schengen quando hanno aderito all’Unione europea nel 2007. Nonostante esistano ancora alcuni problemi da risolvere, le valutazioni degli esperti hanno dimostrato che entrambi i paesi sono pronti ad attuare le disposizioni dell’acquis di Schengen e possono quindi entrare a far parte di questo spazio comune.

 
  
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  Slavi Binev (NI), per iscritto. (BG) La relazione in esame è estremamente importante e riguarda non solo il mio paese, la Bulgaria, ma tutta l’Unione europea. Sono certo che i nostri sforzi saranno presto premiati. I nostri confini sono pronti già da qualche tempo a difendere le frontiere europee. La decisione che tutti attendevamo non è ancora giunta, tuttavia. Credo che il motivo sia squisitamente politico. La relazione si riferisce inoltre alle ispezioni effettuate ai nostri confini con la Turchia, che hanno evidenziato il rispetto dei requisiti di Schengen e dimostrato che siamo pronti per questo passo. Mi auguro sinceramente che il voto su questa relazione possa avvenire nel corso della prossima sessione del Consiglio europeo perché quanto più rapidamente riusciremo procedere, tanto maggiori saranno i vantaggi per tutti noi sotto il profilo politico, economico e sociale.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. – Ho espresso voto contrario sulla piena applicazione delle disposizioni di Schengen a Romania e Bulgaria. Nonostante il giudizio complessivamente positivo sul progresso compiuto dai due Stati in materia di sicurezza, la relazione stessa ammette come siano state individuate numerose carenze tecniche e amministrative all’interno degli organi incaricati di garantire la sicurezza dei confini di questi due Stati, e in particolare negli organi incaricati del controllo e della sorveglianza delle frontiere marittime e terrestri. In secondo luogo, la relazione ammette che qualora i due Stati fossero inclusi nell’area Schengen, la loro posizione geografica prossima al confine turco offrirebbe due nuove rotte ai flussi migratori clandestini correntemente diretti solo verso la Grecia, che per ora rimane l’unico Stato Schengen della penisola Balcanica.

L’ingresso di Romania e Bulgaria allargherebbe cioè considerevolmente il "tallone d’Achille" sudorientale della UE, aumentando di tre volte la pressione a cui è tuttora sottoposto. Tale progetto di risoluzione si pone pertanto in diretta contraddizione con le esigenze di sicurezza del cittadino che la Lega Nord ha da sempre posto al centro della propria linea politica, e non può essere da me appoggiato.

 
  
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  Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto.(RO) La decisione di ammettere la Romania e la Bulgaria all’area Schengen rimane ora solo una questione politica. La relazione che appoggia l’inclusione della Romania nello spazio di Schengen, relazione adottata dal Parlamento europeo, serve solo a confermare la correttezza dell’opinione degli esperti dell’Unione europea – la Romania ha fatto un buon lavoro, ha reso sicure le proprie frontiere e ha soddisfatto tutte le condizioni poste. Il parere del Parlamento a Bruxelles ha valore non vincolante e oggi, come in passato, la decisione è nelle mani dei politici del Consiglio. L’uso di due pesi e due misure e il riferimento all’obbligatorietà di criteri che, una volta soddisfatti, sono considerati solo “tecnici”, non sono sicuramente caratteristiche di un’Unione democratica ed equa così come noi la conosciamo. Per questa ragione spero che i politici degli Stati membri non continuino a ignorare i pareri degli esperti e dell’organo legislativo europeo. Non è più possibile nascondersi dietro le parole senza risolvere direttamente il problema: l’ammissione a Schengen non è mai stata una questione politica ma tecnica. Le valutazioni degli esperti indipendenti e quelle del Parlamento, all’interno del quale una stragrande maggioranza si è espressa a favore dell’integrazione della Romania in Schengen, dovrebbero avere un peso cruciale in seno al Consiglio europeo e la procedura, pertanto, dovrebbe essere sbloccata.

 
  
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  Philippe Boulland (PPE), per iscritto. (FR) L’area di Schengen e, in particolare, la libertà di circolazione rappresentano un acquis comunitario che ha un significato reale per i nostri cittadini. Il Presidente Barroso ci ha ricordato che “la libertà di circolazione è per l’Europa ciò che le fondamenta sono per un edificio”. La libertà di circolazione è una delle grandi conquiste dell’Unione europea. Sono lieto che il Parlamento abbia approvato l’inclusione della Bulgaria e della Romania nello spazio di Schengen. Sono stati realizzati sforzi enormi per garantire la sicurezza delle frontiere: i sistemi di sorveglianza di quarta generazione che sono stati adottati sono di gran lunga superiori a quelli di seconda generazione dei nostri paesi. Permangono, tuttavia, degli ostacoli alla libera circolazione dei lavoratori: si tratta, in primo luogo, di ostacoli di natura giuridica e amministrativa che toccano tutti gli aspetti della vita dei cittadini; in secondo luogo, esiste il dumping sociale: nonostante l’articolo 45 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea garantisca parità di trattamento a tutti i lavoratori, la commissione per le petizioni ha evidenziato che la realtà è ben diversa; in terzo luogo, la protezione sociale varia nei diversi paesi con un effetto disincentivante della mobilità. Vorrei quindi proporre di prevedere una forma minima di protezione sociale a livello europeo. Sebbene la protezione sociale rientri fra le competenze degli Stati membri, la mancanza di armonizzazione in questo ambito danneggia, evidentemente, il mercato interno.

 
  
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  John Bufton (EFD), per iscritto. (EN) Ho votato contro l’inclusione della Bulgaria e della Romania nello spazio di Schengen semplicemente perché credo che non siano stati adottati i passi necessari a garantire che la loro adesione a quest’area priva di controlli alle frontiere interne sia sicura ed efficace. La corruzione e il crimine organizzato sono fenomeni comuni in questi paesi che sono anche punti di ingresso per l’immigrazione clandestina. Il traffico di donne a scopo di sfruttamento sessuale, la prostituzione di minori, la tratta di bambini e le bande criminali potrebbero prosperare in una situazione di confini aperti e non si è intervenuti a sufficienza per contrastare questi fenomeni negli Stati membri in questione.

 
  
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  Alain Cadec (PPE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Coelho sulla piena applicazione delle disposizioni dell’acquis di Schengen in Bulgaria e Romania. Dovremmo congratularci con questi due Stati membri per il lavoro da loro svolto. Entrambi gli Stati membri hanno soddisfatto i criteri che permettono la piena applicazione dell’acquis di Schengen. La relazione, tuttavia, sottolinea che questa regione comprende alcune delle frontiere esterne più vulnerabili dell’Unione europea in termini di immigrazione clandestina. La Bulgaria dovrà adottare misure transitorie quando sarà integrata nello spazio di Schengen. Entrambi i paesi dovranno garantire la loro piena collaborazione per non compromettere un sistema che dipende dalla fiducia reciproca fra gli Stati membri. Appoggio la posizione del relatore.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Giacché Bulgaria e Romania soddisfano i requisiti previsti per l’adesione all’area Schengen, sono favorevole a una loro inclusione in questo spazio. Ritengo, tuttavia, importanti le misure supplementari e le soluzioni avanzate per rimediare ai problemi menzionati, in special modo per quanto riguarda il fenomeno dell’immigrazione illegale che si registra in Bulgaria a causa della posizione periferica del paese. La corretta attuazione della libertà di circolazione dei cittadini, dei prodotti, dei servizi e dei lavoratori dipenderà dall’efficacia e dall’armonizzazione delle politiche sulle frontiere esterne poiché solo così si potranno mantenere la pace sociale e la stabilità economica all’interno dell’Unione europea.

 
  
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  Françoise Castex (S&D), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della relazione. Alcuni Stati membri, fra cui la Francia, la Germania e i Paesi Bassi, vogliono cambiare le regole del gioco. Non è, tuttavia, ragionevole aggiungere nuovi criteri quali la valutazione delle politiche per la lotta alla corruzione e alla criminalità. Si tratta di temi certamente importanti, ma la proposta ha una motivazione puramente politica. L’aggiunta di nuovi criteri creerebbe un sistema a due velocità fra gli Stati membri.

 
  
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  Nessa Childers (S&D), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della relazione perché decisioni di questo tipo servono a rafforzare la solidarietà europea in un periodo in cui viene seriamente messa alla prova.

 
  
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  Jurgen Creutzmann (ALDE), per iscritto. (DE) La delegazione dell’FDP (partito liberale democratico tedesco) al Parlamento europeo reputa che l’inclusione di Romania e Bulgaria nell’area Schengen rafforzi ulteriormente la libertà di circolazione all’interno dell’Unione europea. Dopo i risultati positivi ottenuti da entrambi i paesi in tutti gli ambiti della revisione di Schengen, non dovrebbero esserci più ostacoli a ritardare la loro inclusione. È innegabile che la sicurezza tecnica dei confini non sia automaticamente sinonimo di confini sicuri fino a quando permangono difficoltà a contrastare la corruzione nella giustizia e nella polizia.

Lo stesso problema si pone, naturalmente, anche per gli Stati membri che già fanno parte dell’area Schengen. Per questa ragione, la delegazione dell’FDP ritiene che criteri come la lotta alla corruzione debbano ricevere maggiore attenzione all’interno dei meccanismi di valutazione di Schengen e che ogni reato debba essere punito nel modo appropriato.

 
  
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  George Sabin Cutaş (S&D), per iscritto. (RO) Il voto di oggi in seno al Parlamento europeo ha evidenziato che la Romania è pronta ad applicare l’acquis di Schengen. Secondo il relatore, onorevole Coelho, tutti i problemi identificati in passato sono stati risolti con successo dalle autorità rumene. La Romania è in grado di garantire adeguata sicurezza alle sue frontiere, siano esse aeree, marittime o terrestri. Per questa ragione giudico deplorevole che permangano dubbi sulla nostra capacità di applicare l’acquis di Schengen e che alcuni Stati membri continuino a proteggere la loro cosiddetta “sicurezza nazionale” ostacolando ingiustificatamente quei paesi che si sono guadagnati il diritto di essere trattati in modo equo e non discriminatorio. Il Parlamento europeo oggi si è pronunciato con una sola voce parlando di giustizia. Per quanto tempo ancora il Consiglio continuerà a ignorare la nostra posizione?

 
  
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  Rachida Dati (PPE), per iscritto. (FR) Le valutazioni e le visite supplementari delle squadre di esperti hanno dimostrato che la Bulgaria e la Romania sono pronte a partecipare pienamente allo spazio di Schengen. Ho dunque votato a favore della relazione presentata dal mio collega, onorevole Coelho.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Il relatore, che segue questa regione da diverse tornate, ritiene che, sebbene permangano problemi irrisolti che richiedono costante attenzione, essi non rappresentano un ostacolo all’adesione di Bulgaria e Romania all’area Schengen. In considerazione dell’esperienza acquisita dal relatore in quest’ambito, ritengo di poter appoggiare la sua valutazione e la sua richiesta di sicurezza alle frontiere esterne. La decisione di aprire i confini con questi Stati membri migliorerà la libertà di circolazione e, più concretamente, permetterà ai cittadini di Bulgaria e Romania di sentirsi maggiormente integrati all’interno dell’Unione alla quale appartengono a pieno titolo.

Mi auguro che la rilevanza simbolica del momento si traduca anche in una maggiore fluidità degli scambi fra i diversi paesi e in una gestione più integrata dei temi dell’immigrazione e della sicurezza. Il relatore ci ricorda, giustamente, la sensibilità della regione che abbraccia la Bulgaria, la Turchia e la Grecia dal punto di vista dell’immigrazione clandestina. Concordo con il relatore quando sottolinea che la Bulgaria dovrà adottare ulteriori misure, fra le quali un piano speciale comprendente provvedimenti da applicarsi al momento dell’ingresso nello spazio Schengen e strumenti per contrastare un possibile aumento della pressione migratoria nell’area della Grecia, Turchia e Bulgaria.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) La relazione in esame, elaborata dall’onorevole Coelho, riguarda la proposta di decisione del Consiglio sulla piena applicazione delle disposizioni dell’acquis di Schengen nelle Repubbliche di Bulgaria e Romania. L’accordo di Schengen è stato firmato il 14 giugno 1985. Grazie all’abolizione dei controlli alle frontiere interne dei paesi firmatari e alla creazione di uno spazio comune, esso ha permesso la libera circolazione delle persone e delle merci in tutta l’Unione europea. Posto che la Romania e la Bulgaria hanno adottato l’acquis di Schengen nel 2007; che la documentazione evidenzia che entrambi i paesi sono pronti, dal punto di vista tecnico, all’adesione all’Unione europea; che tutti i capitoli di adesione si sono chiusi nel marzo 2011; e che il rinvio dell’adozione del nuovo sistema di valutazione di Schengen per minimizzare i problemi esistenti – temo che l’insicurezza aumenterà – non può impedire l’ingresso di questi paesi nell’UE, voto a favore della relazione. Desidero, infine, congratularmi con il relatore per il lavoro eccellente che ha svolto con l’elaborazione della relazione nonostante gli ostacoli creati dal Consiglio per impedire l’accesso ad alcuni documenti ritenuti essenziali per il testo in esame.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La verifica del rispetto delle condizioni necessarie alla piena applicazione dell’acquis di Schengen è un requisito essenziale affinché il Consiglio decida, dopo consultazione del Parlamento, di abolire i controlli alle frontiere interne con tali Stati.

Nel caso in questione, la relazione sottolinea che sono state soddisfatte tutte le condizioni che permettono l’abolizione dei controlli alle frontiere con la Bulgaria e la Romania. La decisione di includere questi paesi nell’area Schengen – paesi che hanno aderito all’Unione europea nel 2007 – dovrà essere adottata all’unanimità in seno al Consiglio da tutti i governi degli Stati che già appartengono a questo spazio. Il relatore evidenzia la necessità di adottare ulteriori misure al confine fra Bulgaria, Grecia e Turchia, che rappresenta una delle regioni più sensibili sotto il profilo dell’immigrazione clandestina. La commissione di valutazione ha inoltre invitato la Bulgaria a introdurre ulteriori provvedimenti per timore dei flussi migratori provenienti dalla Turchia.

Questo contesto di pressioni esercitate sui due paesi, oltre all’obiettivo di tali pressioni, è il motivo della nostra astensione. Noi crediamo, inoltre, che le considerazioni che concorrono a definire la nostra posizione sull’ampliamento e l’ingresso di nuovi paesi nell’Unione europea si applichino anche alla piena applicazione delle disposizioni di Schengen in queste e altre nazioni.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Il relatore ritiene che siano state soddisfatte tutte le condizioni necessarie per l’abolizione dei controlli alle frontiere con la Bulgaria e la Romania, ma chiede che il Parlamento sia tenuto al corrente delle misure supplementari che devono essere adottate al confine fra Bulgaria, Grecia e Turchia, che è uno dei più sensibili in termini di immigrazione clandestina.

La verifica del rispetto delle condizioni necessarie alla piena applicazione dell’acquis di Schengen è un requisito essenziale affinché il Consiglio decida, dopo consultazione del Parlamento, di abolire i controlli alle frontiere interne con tali Stati.

La commissione di valutazione, tuttavia, ha invitato la Bulgaria ad adottare ulteriori misure, fra le quali un piano speciale che comprende provvedimenti da applicarsi al momento dell’entrata in Schengen a causa, soprattutto, del timore di flussi migratori dalla Turchia.

La decisione di includere questi paesi nell’area Schengen – paesi che hanno aderito all’Unione europea nel 2007 – dovrà essere adottata all’unanimità in seno al Consiglio da tutti i governi degli Stati che già appartengono a questo spazio. Il tema sarà affrontato nel Consiglio giustizia e affari interni del 9 e 10 giugno.

Alla luce della nostra posizione sull’adesione di questi paesi, manteniamo la nostra decisione di astenerci, rafforzata dalle pressioni che continuano a essere esercitate su Romania e Bulgaria.

 
  
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  Monika Flašíková Beňová (S&D), per iscritto. (SK) La Romania e la Bulgaria hanno adottato l’acquis di Schengen quando hanno aderito all’Unione europea nel 2007. Perché il Consiglio decida a favore dell’abolizione dei controlli alle frontiere interne con questi Stati membri è necessario che le procedure di valutazione confermino che i nuovi Stati membri soddisfano le condizioni necessarie per la piena applicazione dell’acquis di Schengen: protezione dei dati, il Sistema d’informazione Schengen (SIS), i confini aerei, terrestri e marittimi, la cooperazione di polizia e i visti. Perché il Parlamento possa valutare con chiarezza tutti gli elementi necessari a stabilire se questi due paesi sono pronti a entrare nello spazio di Schengen, è fondamentale avere pieno accesso alle relazioni di valutazione degli esperti sul progresso dei preparativi di questi due paesi. A mio giudizio, tuttavia, la Romania e la Bulgaria hanno ormai dimostrato di essere sufficientemente pronte ad applicare tutte le disposizioni dell’acquis di Schengen in modo soddisfacente. Al contempo, comunque, la situazione non va sottovalutata e dobbiamo riflettere su come tenere la situazione sotto controllo dopo la piena inclusione di questi paesi nello spazio di Schengen.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. (FR) Non ho nulla contro i nostri amici e vicini della Bulgaria e della Romania. Sono molte, però, le mie obiezioni all’accordo di Schengen. Questo accordo scellerato è stato siglato alla chetichella e ratificato in un agosto degli anni ’80. Ha causato solo guai. L’abolizione delle frontiere interne non è sinonimo di libertà di circolazione per i cittadini europei; al contrario, tale abolizione produce insicurezza e flussi migratori e demografici ingestibili all’interno dell’Unione europea, sia nei paesi di origine sia in quelli di destinazione. Offre inoltre splendide opportunità agli immigrati clandestini che sanno che potranno risiedere dove desiderano una volta entrati in Europa: la Francia è particolarmente colpita da questo fenomeno. L’esempio dei Rom e di Lampedusa è stato spesso sollevato in quest’Aula proprio per illustrare il problema. Io non voglio che Schengen trovi applicazione nel mio paese o in altri. Gli Stati membri dovrebbero mantenere il pieno controllo dei propri confini e, laddove possibile, collaborare per rafforzare le frontiere “esterne”.

 
  
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  Nathalie Griesbeck (ALDE), per iscritto. (FR) Ho appoggiato senza riserve l’adozione della relazione che sostiene l’inclusione della Bulgaria e della Romania nello spazio di Schengen. Entrambi gli Stati hanno lavorato duramente per rafforzare i controlli alle frontiere e i loro sforzi hanno avuto successo, come confermano i risultati positivi delle valutazioni e delle visite degli esperti organizzate dal gruppo di lavoro Valutazione di Schengen del Consiglio. Entrambi i paesi soddisfano tutti i criteri tecnici previsti dall’Unione europea. Appoggio, pertanto, la piena inclusione della Bulgaria e della Romania nell’area Schengen. Gli Stati membri non possono aggiungere nuove condizioni (ad esempio, la valutazione delle politiche di lotta alla corruzione e al crimine) o cambiare le regole in corsa. Questa settimana si celebra il ventiseiesimo anniversario dell’accordo di Schengen, una delle conquiste più importanti dell’Unione europea, che deve essere protetta così come la libertà di circolazione, che rappresenta un diritto fondamentale dei cittadini dell’Unione europea.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. (FR) Sono favorevole all’inclusione della Romania e della Bulgaria nell’area di Schengen. È stata effettuata un’analisi dettagliata e obiettiva che ha valutato il rispetto dell’acquis di Schengen in entrambi i paesi. La Romania e la Bulgaria hanno entrambe soddisfatto tutti i criteri. Appare dunque irragionevole aggiungere nuove condizioni come, ad esempio, la valutazione delle politiche di lotta alla corruzione e alla criminalità. Si tratta indubbiamente di questioni importanti, ma la proposta avanzata ha una motivazione squisitamente politica. L’aggiunta di nuovi requisiti creerebbe un sistema a due velocità per gli Stati membri. Una concezione di Europa a due velocità, con norme diverse per i nuovi Stati membri, è semplicemente inaccettabile.

 
  
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  Nadja Hirsch (ALDE), per iscritto. (DE) La delegazione dell’FDP (partito liberale democratico tedesco) al Parlamento europeo reputa che l’inclusione di Romania e Bulgaria nell’area Schengen rafforzi ulteriormente la libertà di circolazione all’interno dell’Unione europea. Dopo i risultati positivi ottenuti da entrambi i paesi in tutti gli ambiti della revisione di Schengen, non dovrebbero esserci più ostacoli a ritardare la loro inclusione. È innegabile che la sicurezza tecnica dei confini non significhi automaticamente che le frontiere saranno impermeabili se permangono difficoltà a contrastare la corruzione nella giustizia e nella polizia.

Lo stesso problema si pone, naturalmente, anche per gli Stati membri che già fanno parte dell’area Schengen. Per questa ragione, la delegazione dell’FDP ritiene che criteri come la lotta alla corruzione debbano ricevere maggiore attenzione all’interno dei meccanismi di valutazione di Schengen e che ogni reato debba essere punito nel modo appropriato.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) La Romania e la Bulgaria hanno adottato l’acquis di Schengen quando hanno aderito all’Unione europea nel 2007. Secondo l’atto di adesione, la verifica, mediante procedure di valutazione, del rispetto delle condizioni necessarie all'applicazione dell'acquis di Schengen (protezione dei dati, SIS, frontiere aeree, terrestri e marittime, cooperazione fra forze di polizia e visti) da parte dei nuovi Stati membri è un requisito essenziale affinché il Consiglio decida di abolire i controlli alle frontiere interne con tali Stati. Non ho appoggiato la relazione in esame perché, alla luce dei risultati delle valutazioni e delle visite ulteriori svolte dai gruppi di esperti, la commissione responsabile è giunta alla conclusione che permangono alcuni problemi irrisolti che richiederanno costante attenzione e un’azione di seguito in futuro. Non dovremmo dimenticare che la regione che comprende Bulgaria, Turchia e Grecia è una delle zone più sensibili delle frontiere esterne dell’UE in termini di immigrazione clandestina. È dunque essenziale che la Bulgaria adotti misure supplementari e, segnatamente, appronti un piano speciale contenente le azioni da attuare al momento di entrare in Schengen e anche un approccio comune (condiviso da Grecia, Turchia e Bulgaria) per poter rispondere al possibile forte aumento della pressione migratoria. Ritengo si debba richiedere agli Stati membri interessati di informare il Parlamento e il Consiglio, per iscritto, entro un periodo di sei mesi che ha inizio con la data di entrata in vigore della presente decisione, sull’attuazione di tali misure supplementari e su eventuali carenze.

 
  
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  Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Egregio Presidente, Onorevoli Colleghi, ho votato a favore della relazione del collega Coelho relativa all'applicazione delle disposizioni dell'acquis di Schengen in Bulgaria e Romania. La Romania e la Bulgaria, infatti, hanno adottato l'acquis di Schengen nel 2007, attraverso la loro adesione all'Unione europea. L'atto di adesione prevede, all'art. 4, paragrafo 2, che la verifica del rispetto delle condizioni necessarie all'applicazione dell'acquis di Schengen da parte dei nuovi Stati membri è un requisito essenziale affinché il Consiglio decida di abolire i controlli alle frontiere interne con tali Stati. A seguito delle valutazioni effettuate risulta che sia la Romania che la Bulgaria hanno dimostrato di essere sufficientemente preparate ad applicare tutte le disposizioni dell'acquis di Schengen in maniera soddisfacente. Condivido, pertanto, l'invito del relatore. Credo, però, che non possiamo dimenticare che l'area in questione rappresenta una delle più sensibili delle frontiere esterne dell'UE in termini di migrazione clandestina. Ciò rende necessaria l'adozione di alcune misure addizionali perché, come è noto, l'abolizione dei controlli alle frontiere interne richiede un alto livello di fiducia reciproca tra gli Stati membri e l'esistenza di controlli efficaci alle frontiere esterne in quanto la sicurezza dell'area Schengen dipende dal rigore e dall'efficienza con cui ogni Stato membro effettua i controlli alle sue frontiere esterne.

 
  
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  Elżbieta Katarzyna Łukacijewska (PPE), per iscritto.(PL) Oggi il Parlamento europeo ha votato sulla relazione Coelho sull’applicazione delle disposizioni dell’acquis di Schengen in Bulgaria e Romania. È opportuno ricordare che la fine dei preparativi che dovrebbero condurre all’inclusione di questi paesi nello spazio di Schengen coincide con il dibattito sulla politica europea dell’immigrazione e con la crescente ostilità di alcuni dei paesi facenti parte di Schengen a un progetto di estensione di tale accordo. Vale la pena di ricordare che la Romania e la Bulgaria hanno soddisfatto quasi tutti i requisiti posti e, in particolare, quelli relativi ai controlli alle frontiere terrestri, aeree e marittime, al rilascio dei visti, alla cooperazione di polizia e alla protezione dei dati. Non dobbiamo inoltre dimenticare che questi due paesi si trovano alle frontiere esterne dell’Unione europea impegnate ad affrontare il problema dell’immigrazione clandestina. Sofia and Bucarest stanno chiedendo di essere incluse nell’area Schengen e la situazione in entrambi i paesi è stata valutata positivamente: ho quindi votato a favore della relazione.

 
  
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  Monica Luisa Macovei (PPE), per iscritto. (RO) Ho naturalmente votato a favore dell’inclusione della Romania e della Bulgaria nello spazio di Schengen. Come tutti i cittadini rumeni ed europei, auspico che continui il processo di riforma del sistema della giustizia nel mio paese, che diminuiscano le frodi e la corruzione, che i processi siano equi e più rapidi e che i colpevoli siano puniti severamente. Il mio paese ha aderito all’Unione europea perché voleva adottarne le sue norme interne. È per me naturale che la Romania le rispetti e tenga fede agli impegni che si è assunta con l’adesione. Ringrazio l’UE e gli Stati membri che ci stanno aiutando nel processo di riforma permanente della giustizia e nell’attuazione delle misure anticorruzione perché questo è anche il desiderio dei cittadini rumeni.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della relazione in virtù delle relazioni degli esperti che sostengono che, in questo momento, sia la Romania sia la Bulgaria hanno dimostrato di essere sufficientemente preparate ad applicare tutte le disposizioni dell’acquis di Schengen in modo soddisfacente.

 
  
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  Kyriakos Mavronikolas (S&D), per iscritto. (EL) Le relazioni di valutazione e quelle dei gruppi di esperti confermano che la Bulgaria e la Romania soddisfano tutti i requisiti previsti per la piena integrazione nell’area Schengen. Il Parlamento europeo, tuttavia, dovrebbe essere tenuto al corrente delle misure supplementari che dovranno essere adottate nella regione comprendente Bulgaria, Turchia e Grecia per poter rispondere a un possibile aumento della pressione migratoria.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) La Bulgaria e la Romania hanno completato il lavoro richiesto dalla fortezza Europa per permettere ai loro cittadini di muoversi liberamente nello spazio di Schengen. La relazione in esame pone altre condizioni. Chiede un approccio congiunto insieme alla Grecia per affrontare l’immigrazione dai paesi arabi. Una simile richiesta è inaccettabile. Mi astengo per non essere costretto a votare contro la libera circolazione nell’Unione europea.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) La Bulgaria and la Romania sono state sottoposte a valutazione per accertare la corretta applicazione di tutte le disposizioni dell’acquis di Schengen: controlli alle frontiere terrestri, marittime e aeree, cooperazione di polizia, visti, collegamento al Sistema d’informazione Schengen (SIS) e protezione dei dati. Tale valutazione è condizione indispensabile perché il Consiglio decida, dopo consultazione del Parlamento, di abolire i controlli alle frontiere interne con gli Stati membri in questione. Tenuto conto dei risultati positivi delle valutazioni e delle ulteriori visite effettuate dal gruppo di esperti, si può concludere che, benché alcuni problemi siano ancora irrisolti e siano necessarie relazioni su base regolare e ulteriori visite in futuro, essi non costituiscono un ostacolo alla piena adesione della Bulgaria e della Romania all’area Schengen. Non dobbiamo, tuttavia, dimenticare la regione che comprende Bulgaria, Turchia e Grecia, una delle zone più sensibili delle frontiere esterne dell’UE in termini di immigrazione clandestina. È indispensabile rafforzare le misure già adottate ed essere pronti a contrastare un possibile brusco aumento della pressione migratoria. La Bulgaria dovrebbe adottare misure supplementari, in particolare un piano speciale contenente le azioni da attuare al momento di entrare in Schengen.

 
  
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  Louis Michel (ALDE), per iscritto. (FR) La libertà di circolazione è uno dei diritti più importanti e più visibili di cui godono i cittadini dell’Unione europea. Nello spazio di Schengen oggi è possibile muoversi liberamente senza i controlli alle frontiere. Che cambiamento rispetto all’epoca in cui l’Europa era cosparsa di valichi di frontiera dove i controlli – talvolta meticolosissimi – erano la norma, per non parlare della cortina di ferro che i cittadini dell’est non potevano attraversare senza mettere a rischio la propria vita!

Oggi l’area di Schengen comprende 25 Stati. La Romania e la Bulgaria dovrebbero unirsi presto a questo gruppo – almeno questo è il mio auspicio. Questi due paesi hanno adottato l’acquis di Schengen quando hanno aderito all’Unione europea nel 2007. Tenuto conto degli esiti delle valutazioni e delle visite effettuate dai gruppi di esperti, appoggio senza riserve la piena adesione di questi due Stati membri all’area di Schengen, sebbene permangano alcuni problemi irrisolti che richiederanno attenzione in futuro. È mia opinione, tuttavia, che sarebbe deplorevole imporre nuove condizioni che non erano note al momento della richiesta e della valutazione.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (EN) La Romania e la Bulgaria sembrano aver dimostrato di essere sufficientemente preparate ad applicare l’acquis di Schengen. Sono molti i problemi irrisolti elencati nella relazione sull’estensione dell’area di Schengen elaborata dall’onorevole Coelho. Alla luce dei risultati delle relazioni delle missioni di valutazione e delle ripetute visite effettuate, sono giunto alla conclusione che esistano diversi ambiti che richiedono un’attenzione costante. La relazione, non ancora adottata, è la conclusione delle visite ripetute svolte dalle missioni di valutazione alle frontiere esterne della Bulgaria. È evidente che il triangolo costituito da Bulgaria, Romania e Grecia è una delle zone più sensibili in termini di immigrazione clandestina. La Bulgaria dovrà pertanto approntare misure supplementari per fronteggiare la pressione migratoria. Ritengo che la relazione debba essere approvata. Ho votato a favore del testo.

 
  
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  Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. (RO) Ho votato a favore della relazione Coelho sull’applicazione dell’acquis di Schengen in Romania e Bulgaria e mi rallegro dell’atteggiamento realistico e della buona fede dimostrati da tutti gli onorevoli colleghi che hanno sostenuto questo testo con il loro voto.

La Romania e la Bulgaria hanno soddisfatto le condizioni tecniche previste per l’adesione a Schengen e questo deve essere l’unico fattore da prendere in considerazione nell’adottare la decisione. Questi paesi hanno dimostrato di poter adottare le norme interne necessarie e di garantire la sicurezza dei loro confini. Sono stati inoltre realizzati grandi progressi nella lotta alla corruzione, un fenomeno che, spesso, è stato a torto ed eccessivamente associato allo spazio di Schengen.

 
  
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  Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. (PL) Oggi il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sulla piena applicazione di tutte le disposizioni dell’acquis di Schengen in Bulgaria e in Romania. Questi paesi, che hanno aderito all’Unione europea nel 2007, hanno adottato solo alcune delle disposizioni riguardanti l’area di Schengen, e le hanno applicate sin da allora con queste limitazioni. Il risultato è che i controlli alle frontiere si effettuano ancora ai confini di questi paesi.

Quando hanno aderito all’Unione europea, la Romania e la Bulgaria non erano pronte ad adottare l’intero pacchetto di Schengen e hanno pertanto dovuto procedere a una riforma e a un rafforzamento delle loro politiche sui controlli di frontiera. A ciò si aggiunga che il tratto di confine fra Bulgaria, Turchia e Grecia, uno dei più vulnerabili dell’Unione europea in termini di immigrazione clandestina, rappresenta un problema particolarmente grave. Dalla loro adesione, la Bulgaria e la Romania hanno adottato numerose misure per preparare e proteggere i confini nel modo adeguato. In tutto questo periodo il gruppo di lavoro Valutazione di Schengen ha effettuato ispezioni e controlli sistematici che hanno dimostrato che entrambi i paesi sono sufficientemente preparati per applicare le disposizioni dell’acquis di Schengen in modo soddisfacente.

 
  
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  Rolandas Paksas (EFD), per iscritto. (LT) L’abolizione dei controlli alle frontiere interne è particolarmente importante per l’intera Unione europea e per ogni Stato membro. Per garantire l’efficace funzionamento dell’area Schengen e il raggiungimento degli obiettivi prefissati è necessario evitare che l’abolizione dei controlli alle frontiere abbia conseguenze negative, soprattutto sotto il profilo dell’immigrazione clandestina. Ogni paese che voglia aderire allo spazio di Schengen deve soddisfare, senza eccezione alcuna, tutte le condizioni dell’acquis di Schengen riguardanti la protezione dei dati, il Sistema d’informazione Schengen, le frontiere aeree, terrestri e marittime, la cooperazione di polizia e i visti. È inoltre estremamente importante garantire che ogni Stato membro effettui controlli rigorosi ed efficaci alle frontiere esterne. È mia convinzione che la Romania e la Bulgaria saranno presto in grado di divenire membri di questo spazio e di applicare tutte le disposizioni dell’acquis di Schengen. Particolare attenzione dovrebbe essere prestata oggi alla Bulgaria perché questo paese, come la Turchia e la Grecia, si trova alle frontiere esterne dell’Unione europea. Questa è la zona più sensibile e fragile dell’UE. È dunque fondamentale che, al momento della piena inclusione dell’area Schengen, la Bulgaria e la Romania siano adeguatamente preparate a gestire un aumento dei flussi migratori, sappiano attuare misure efficaci e appropriate di lotta all’immigrazione clandestina, e garantiscano il corretto funzionamento dei meccanismi di controllo alle frontiere esterne.

 
  
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  Justas Vincas Paleckis (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore dell’inclusione della Romania e della Bulgaria nell’area Schengen. Dopo attenta analisi, la commissione responsabile dell’Unione europea ha riconosciuto che questi paesi soddisfano tutti i criteri previsti per l’adesione allo spazio di Schengen: offrono adeguate garanzie per quanto riguarda la protezione delle frontiere terrestri, marittime e aeree, utilizzano il Sistema d’informazione Schengen per lo scambio dei dati e assicurano un’affidabile protezione dei dati. Il mio gruppo ritiene che l’introduzione oggi di nuovi criteri per la loro inclusione in Schengen costituirebbe un errore perché significherebbe utilizzare nei confronti di questi paesi un sistema che prevede due pesi e due misure. Le difficoltà che la Romania e la Bulgaria ancora affrontano – il crimine organizzato e la corruzione – rappresentano indubbiamente accuse gravi contro i governi di questi paesi che dovrebbero contrastare con maggiore efficacia questi fenomeni. A mio parere, tuttavia, la chiusura delle porte di Schengen alla Romania e alla Bulgaria non dovrebbe penalizzare gli onesti cittadini, che pagherebbero il prezzo più alto se dovessero perdere l’opportunità di viaggiare liberamente in tutta l’Europa.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Cari colleghi, nell'ambito della libera circolazione dei cittadini europei all'interno dell'Unione ritengo un ottimo passo in avanti l'ingresso di Bulgaria e Romania nell'acquis di Schengen, per questo ho votato a favore dell'applicazione delle disposizioni a riguardo. Ritengo inoltre che sebbene i due paesi si siano impegnati per la libera circolazione dei propri cittadini in Europa debbano comunque continuare nell'adeguare i loro controlli e le loro normative agli standard europei, data la sensibilità delle frontiere esterne europee nell'area balcanica.

 
  
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  Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. (EL) Oggi ho votato a favore del parere del Parlamento europeo sulla piena applicazione delle disposizioni dell’acquis di Schengen nelle Repubbliche di Bulgaria e Romania. L’approccio è equilibrato poiché il parere riconosce i progressi realizzati da questi due paesi sotto il profilo dei criteri che devono essere soddisfatti per l’inclusione nell’area Schengen (controlli alle frontiere terrestri, marittime e aeree, visti, cooperazione di polizia, preparazione alla connessione e all’uso del Sistema d’informazione Schengen, e protezione dei dati), ma richiede anche che siano presentate con regolarità relazioni su alcuni problemi considerati ancora irrisolti. Il Parlamento, pertanto, ha approvato l’integrazione di questi due paesi nello spazio di Schengen garantendo così uguali diritti ai loro cittadini, ai quali, in passato era negato il diritto alla libera circolazione. Siamo certi che il messaggio del Parlamento fungerà da guida per il Consiglio e che questa istituzione saprà trovare un’unanimità per approdare a una decisione definitiva.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Desidero congratularmi con l’onorevole Coelho per l’eccellente lavoro svolto con la relazione sulla proposta di decisione del Consiglio sulla piena applicazione delle disposizioni dell’aquis di Schengen nelle Repubbliche di Bulgaria e Romania. La Romania e la Bulgaria hanno adottato l’acquis di Schengen al momento della loro adesione all’Unione europea nel 2007. La relazione afferma che è stato valutato sul campo il rispetto delle condizioni necessarie per l’applicazione dell’acquis in questione – protezione dei dati, Sistema d’informazione Schengen (SIS), frontiere aeree terrestri e marittime, cooperazione di polizia e visti – e che in loco è stato possibile confermare i progressi realizzati nell’attuazione delle misure che consentono l’abolizione dei controlli alle frontiere interne con questi Stati membri. Secondo il relatore e i relatori ombra che hanno monitorato il processo, i problemi irrisolti, che richiederanno costante attenzione e monitoraggio in futuro, non rappresentano un ostacolo alla piena inclusione dei due Stati membri all’area di Schengen, Per queste ragioni, appoggio la decisione di aprire i confini con questi due paesi. Voto a favore della relazione e do il benvenuto alla Bulgaria e alla Romania all’interno dello spazio di Schengen.

 
  
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  Vincent Peillon (S&D), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Coelho che appoggia l’inclusione della Bulgaria e della Romania allo “spazio di Schengen”. L’area Schengen è una delle più importanti conquiste del processo di integrazione europea. Condizione indispensabile per l’adesione di un nuovo Stato membro è il pieno rispetto dei criteri dell’accordo di Schengen. Nel caso della Bulgaria e della Romania, la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo – alla stessa stregua della Commissione – al termine del processo di valutazione è giunta alla conclusione che questi due Stati membri soddisfano tutte le condizioni previste. Non sussiste più alcun motivo, pertanto, per il quale questi paesi non possano integrarsi in quest’area di libera circolazione. Riterrei inaccettabile il caso in cui alcuni Stati, con un falso pretesto e spinti da calcoli di politica interna, continuassero a opporsi alla loro inclusione. L’acquis comunitario non dovrebbe essere considerato un sistema à la carte che permette agli Stati membri di adeguare o sospendere alcune disposizioni a seconda delle circostanze. Invito pertanto il Consiglio a prendere atto dei progressi realizzati dalla Bulgaria e dalla Romania e a consentirne l’integrazione nell’area di Schengen.

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto. (RO) Tenuto conto degli esiti delle valutazioni e delle ulteriori visite effettuate dai gruppi di esperti, è evidente che la Romania oggi è in grado di procedere a una piena applicazione dell’acquis di Schengen, che tutti i punti che richiedevano attenzione o monitoraggio sono stati risolti (miglioramento della valutazione del rischio, rafforzamento della sicurezza degli edifici, miglioramento del processo di richiesta e concessione dei visti, e così via) e che, per certi versi, questo paese potrebbe essere considerato un modello di buone prassi.

Secondo le relazioni di valutazione, la Romania ha dimostrato di essere sufficientemente preparata ad applicare in modo soddisfacente sia le disposizioni dell’acquis di Schengen non riguardanti il SIS sia quelle relative a tale sistema. Sono stati soddisfatti i presupposti perché il Consiglio prenda la decisione di cui all’articolo 4, paragrafo 2, dell’atto di adesione, consentendo di abolire i controlli alle frontiere interne aeree, terrestri e marittime. Ciò significa che l’abolizione dei controlli alle frontiere interne richiede un alto livello di fiducia reciproca fra gli Stati membri circa l’esistenza di efficaci controlli alle frontiere esterne in quanto la sicurezza dell’area Schengen dipende dal rigore e dall’efficienza con cui ogni Stato membro effettua i controlli alle sue frontiere esterne.

 
  
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  Miguel Portas (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione in esame perché la piena applicazione dell’accordo di Schengen in Bulgaria e in Romania implica senza dubbio l’abolizione dei controlli alle frontiere anche per questi paesi. In un periodo in cui alcuni governi osano suggerire di reintrodurre i controlli alle frontiere interne, è ancora più importante dare prova del nostro sostegno all’estensione di quella che, oggi, è una delle principali conquiste dell’Unione europea. La piena applicazione dell’acquis in questi Stati membri è anche una questione di eguaglianza e non discriminazione in Europa perché l’esclusione di questi due paesi invierebbe un segnale fortemente negativo alle loro popolazioni, che chiedono di entrare a far parte di quest’area di libera circolazione. Per queste ragioni è importante appoggiare con forza questa fase.

 
  
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  Fiorello Provera (EFD), per iscritto. − L'area balcanica è una delle zone più sensibili delle frontiere esterne dell'UE in termini di migrazione clandestina. Si tratta di un fenomeno di grande portata che ha conseguenze sulla vita quotidiana di molti nostri cittadini, aumentandone l'insicurezza. Prima di poter considerare un eventuale ingresso nell'area Schengen di Bulgaria e Romania, devono essere preparati dei piani speciali e dettagliati per contenere le pressioni migratorie. Inoltre, al miglioramento dei controlli alle frontiere esterne, bisogna affiancare la lotta contro i fenomeni di corruzione delle autorità locali. Per questi motivi e per meglio tutelare i nostri cittadini dinanzi all'immigrazione clandestina ho votato contro questo provvedimento.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) L’inclusione nell’area Schengen implica la necessità di soddisfare diverse procedure di valutazione: i paesi candidati devono rispettare una serie di condizioni per poter accedere a un’area di libera circolazione che abbraccia oggi 25 paesi e conta 400 milioni di cittadini. La relazione in esame da una valutazione della posizione della Bulgaria e della Romania, sottolineando, da un lato, le buone prassi adottate dalla Bulgaria in certi ambiti e, dall’altro, gli sforzi realizzati dalla Romania in relazione a talune carenze riscontrate. In conclusione, pur evidenziando che occorre risolvere diverse questioni, la valutazione dell’operato di questi due Stati membri è complessivamente positiva.

 
  
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  Britta Reimers (ALDE), per iscritto. (DE) La delegazione dell’FDP al Parlamento europeo reputa che l’inclusione di Romania e Bulgaria nell’area Schengen rafforzi ulteriormente la libertà di circolazione all’interno dell’Unione europea. Dopo i risultati positivi ottenuti da entrambi i paesi in tutti gli ambiti della revisione di Schengen, non dovrebbero esserci più ostacoli a ritardare la loro inclusione. È innegabile che la sicurezza tecnica dei confini non significhi automaticamente che le frontiere saranno impermeabili se permangono difficoltà a contrastare la corruzione nella giustizia e nella polizia.

Lo stesso problema si pone, naturalmente, anche per gli Stati membri che già fanno parte dell’area Schengen. Per questa ragione, la delegazione del partito liberale democratico tedesco ritiene che criteri come la lotta alla corruzione debbano ricevere maggiore attenzione all’interno dei meccanismi di valutazione di Schengen e che ogni reato debba essere punito nel modo appropriato.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Appoggiamo l’inclusione della Bulgaria e della Romania purché siano soddisfatti tutti i requisiti (così come effettivamente ci conferma il parere degli esperti).

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. − L'articolo 4, paragrafo 2, dell'atto di adesione all'acquis di Schengen da parte di Romania e Bulgaria stabilisce che la condizione essenziale per abolire i controlli interni al confine con tali paesi sia la verifica del rispetto dei requisiti stessi di Schengen. Poiché sia la Romania che la Bulgaria hanno dimostrato di essere sufficientemente preparate ad applicare tutte le disposizioni dell'acquis in maniera soddisfacente, i due Stati membri dovrebbero rientrare a pieno titolo nell'area. Sottolineo però l'importanza, per la sicurezza interna, di controlli rigorosi alle frontiere esterne. Trovandosi in una zona sensibile in termini di migrazione clandestina, la Bulgaria deve adottare misure addizionali per rispondere ad un eventuale aumento della pressione migratoria ai suoi confini.

 
  
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  Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − L'area Bulgaria-Turchia-Grecia è una delle zone più sensibili delle frontiere esterne dell'UE in termini di migrazione clandestina. Sono in disaccordo con il relatore in quanto l'ingresso della Repubblica di Bulgaria e della Romania nell'area Schengen non può realizzarsi, nel breve periodo, in quanto esistono carenze nei settori degli strumenti, dell'esecuzione dei controlli di frontiera, della formazione del personale e dell'obbligo di scambio dei dati.

 
  
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  Nikolaos Salavrakos (EFD), per iscritto. (EL) La Romania e la Bulgaria hanno adottato l’acquis di Schengen quando hanno aderito all’Unione europea nel 2007. La loro integrazione nell’area Schengen è possibile purché soddisfino alcuni requisiti tecnici previsti dalla procedura apposita. Come sottolinea giustamente il relatore, l’adesione della Bulgaria all’accordo di Schengen dovrebbe essere seguita da un piano speciale per contrastare l’immigrazione clandestina. È indispensabile una cooperazione in materia gestione delle frontiere terrestri. Nel 2010 sono stati arrestati 47 000 immigrati giunti in territorio greco attraversando il fiume Evros che segna il confine fra Grecia e Turchia. Questa cifra rappresentava il 90 per cento del numero complessivo di immigrati entrati in Europa quell’anno. In questo senso appoggio la proposta del relatore di approntare un piano speciale nel momento in cui la Bulgaria entrerà a far parte dell’area Schengen, piano che dovrà contenere azioni per contrastare l’immigrazione clandestina e un approccio congiunto condiviso da Grecia, Turchia e Bulgaria, così da permettere a quest’ultimo paese di far fronte a un possibile forte aumento della pressione migratoria.

 
  
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  Søren Bo Søndergaard (GUE/NGL), per iscritto.(DA) Ho votato contro l’inclusione oggi della Bulgaria e della Romania nello spazio di Schengen. Il caso della Bulgaria, che permette alla sua polizia militare di avere accesso alle informazioni dell’archivio di Schengen, dimostra che esistono problemi in quegli ambiti della cooperazione ai quali questi paesi hanno già aderito. Esistono inoltre problemi di corruzione e crimine organizzato. Europol sottolinea che la piena inclusione della Bulgaria e della Romania nell’area Schengen consentirà ai gruppi criminali dei Balcani e dell’ex Unione Sovietica un più facile accesso all’Unione europea. Fino a quando questi problemi non saranno risolti, la piena inclusione di questi due Stati membri nell’area Schengen avrà come effetto quello di rafforzare la corruzione e la criminalità transfrontaliera offrendo al contempo l’occasione che alcune forze aspettavano di richiedere più forti controlli e di mettere in pericolo lo Stato di diritto.

 
  
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  Bogusław Sonik (PPE), per iscritto.(PL) In un periodo in cui si parla sempre più spesso di una crisi di fiducia nell’Unione europea, il sostegno di una stragrande maggioranza del Parlamento europeo al parere della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni dovrebbe essere visto come una conferma dell’importanza che l’idea di integrazione europea continua e rivestire. La collocazione della Bulgaria e della Romania alle frontiere esterne dell’Unione europea non dovrebbe essere considerata un ostacolo alla loro inclusione nell’area Schengen. I criteri di adesione a questo spazio sono stati definiti allo scopo di garantire il più elevato livello di sicurezza possibile. Gli esperti hanno confermato che sono state adottate le norme tecniche appropriate. Questi paesi hanno soddisfatto i requisiti loro imposti in misura sufficiente da consentire l’abolizione dei controlli alle frontiere con i rimanenti Stati membri dell’Unione. Occorre sottolineare che, come è accaduto per il mio paese, l’inclusione nell’area di Schengen non implica che la Romania e la Bulgaria non debbano più occuparsi della piena attuazione di questo strumento di cooperazione. Entrambi i paesi avranno molto da fare per poter definire buone prassi di lavoro.

L’esempio della Polonia mostra chiaramente che i nuovi Stati membri sono in grado di soddisfare in modo efficace i requisiti di Schengen. Secondo il parere della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, abbiamo la possibilità di passare alla prossima fase del progetto politico conosciuto come area di libertà, sicurezza e giustizia purché le istituzioni europee garantiscano un monitoraggio adeguato. Il Parlamento europeo dovrebbe svolgere un ruolo chiave in questo processo e deve essere tenuto al corrente della situazione in Bulgaria e Romania.

 
  
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  Catherine Stihler (S&D), per iscritto. (EN) Appoggio questa relazione che propone l’applicazione delle disposizioni dell’acquis di Schengen relative al Sistema d’informazione Schengen alla Bulgaria e alla Romania. Sono inoltre lieta che la relazione preveda misure di salvaguardia per la protezione dei dati.

 
  
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  Michèle Striffler (PPE), per iscritto. (FR) Oggi il Parlamento ha adottato la relazione dell’onorevole Coelho sulla piena applicazione delle disposizioni dell’acquis di Schengen in Bulgaria e in Romania. La relazione è il risultato delle valutazioni effettuate sotto gli auspici del gruppo di lavoro Valutazione di Schengen del Consiglio.

Tali valutazioni non hanno evidenziato alcun ostacolo all’inclusione della Romania e della Bulgaria nell’area Schengen. L’apertura dei confini è stata una delle principali conquiste dell’Unione europea. Sono quindi lieta che il Parlamento abbia votato a favore dell’inclusione di questi due nuove Stati nell’area Schengen. Il Consiglio deve ora dare prova di realismo e solidarietà concedendo la sua approvazione unanime.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. (PT) La creazione dell’area Schengen risale al 1985 e, al momento attuale, copre un territorio che comprende 42 673 km di frontiere marittime e 7 721 km di frontiere terrestri e conta 400 milioni di cittadini. L’accordo di Schengen comprende oggi 25 Stati membri, un’area dove vige la libertà di circolazione poiché sono stati aboliti i controlli sistematici alle frontiere interne e si è creato un unico confine comune. Per garantire piena attuazione a questo accordo, sono state definite regole comuni – che riguardano, inter alia, i controlli alle frontiere esterne, la politica comune dei visti, la cooperazione di polizia e giudiziaria – ed è stato istituito il Sistema d’informazione Schengen (SIS). La relazione in esame verte sull’applicazione dell’acquis di Schengen in Bulgaria e in Romania e, alla luce delle visite di valutazione e di una relazione finale, giunge alla conclusione che entrambi i paesi sono pronti per una piena adesione. Restano, tuttavia, alcuni problemi, in particolare la necessità di approntare un piano per contrastare un possibile aumento dell’immigrazione clandestina. Concordo, pertanto, con il relatore sulla necessità per gli Stati membri in questione di informare il Parlamento e il Consiglio, entro un periodo di sei mesi che ha inizio con la data di entrata in vigore della presente decisione, sull’attuazione di tali misure supplementari e sui progressi realizzati rispetto alle carenze individuate.

 
  
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  Alexandra Thein (ALDE), per iscritto. (DE) La delegazione dell’FDP al Parlamento europeo reputa che l’inclusione di Romania e Bulgaria nell’area Schengen rafforzi ulteriormente la libertà di circolazione all’interno dell’Unione europea. Dopo i risultati positivi ottenuti da entrambi i paesi in tutti gli ambiti della revisione di Schengen, non dovrebbero esserci più ostacoli a ritardare la loro inclusione. È innegabile che la sicurezza tecnica dei confini non sia automaticamente sinonimo di confini sicuri quando permangono difficoltà a contrastare la corruzione nella giustizia e nella polizia. Lo stesso problema si pone, naturalmente, anche per gli Stati membri che già fanno parte dell’area Schengen. Per questa ragione, la delegazione del partito liberale democratico tedesco ritiene che criteri come la lotta alla corruzione debbano ricevere maggiore attenzione all’interno dei meccanismi di valutazione di Schengen e che ogni reato debba essere punito nel modo appropriato.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (S&D), per iscritto. (RO) Nel 2007, quando hanno aderito all’Unione europea, la Romania e la Bulgaria hanno adottato l’acquis di Schengen. Secondo l’articolo 4, paragrafo 2, dell’atto di adesione, “la verifica, mediante procedure di valutazione, del rispetto delle condizioni necessarie alla piena applicazione dell’acquis di Schengen (protezione dei dati, SIS, frontiere aeree, terrestri e marittime, cooperazione fra forze di polizia e visti) è un requisito essenziale affinché il Consiglio decida, dopo consultazione del Parlamento, di abolire i controlli alle frontiere interne con tali Stati”. Secondo le relazioni di valutazione degli esperti, entrambe la Romania e la Bulgaria hanno dimostrato di essere preparate ad applicare le disposizioni dell’acquis di Schengen in modo soddisfacente. Per questo motivo invitiamo il Consiglio ad approvare l’inclusione della Romania e della Bulgaria nell’area Schengen. L’Unione europea deve applicare gli stessi criteri a tutti gli Stati membri, anche nel caso dell’integrazione nello spazio di Schengen. Il meccanismo di cooperazione e verifica per il sistema giudiziario non figura fra i criteri previsti per l’inclusione nell’area Schengen e non può essere citato quale riferimento per l’integrazione della Romania and Bulgaria in questo spazio. Dal momento che entrambi questi paesi soddisfano i requisiti tecnici per l’adesione a Schengen, a nome dei cittadini della Romania, della Bulgaria e di tutta l’Europa, invitiamo il Consiglio ad approvare l’integrazione di questi Stati membri nell’area di libera circolazione.

 
  
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  Rafał Trzaskowski (PPE), per iscritto.(PL) La Bulgaria e la Romania dovrebbero essere incluse nell’area Schengen poiché entrambi i paesi sono pronti per questo passo e le obiezioni di taluni Stati membri sono prive di fondamento.

 
  
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  Niki Tzavela (EFD), per iscritto. (EL) Ho votato a favore della relazione sull’integrazione della Romania e della Bulgaria nell’area Schengen perché entrambi i paesi hanno soddisfatto i requisiti tecnici previsti. Sarebbe, tuttavia, necessario adottare misure supplementari in Bulgaria in cooperazione con la Grecia e la Turchia per affrontare il problema dell’immigrazione clandestina.

 
  
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  Geoffrey Van Orden (ECR), per iscritto. (EN) Quale amico, per quanto critico, della Bulgaria, intendo fare tutto quanto in mio potere per aiutare questo paese nei suoi passi avanti, ma non a discapito del benessere del mio paese. Mi sono quindi astenuto dalla votazione. Quando la Bulgaria è entrata a far parte dell’Unione europea l’1 gennaio 2007, rimanevano alcune criticità nel settore delle riforme al sistema giudiziario e della lotta alla corruzione e al crimine organizzato. Le autorità bulgare si sono impegnate a introdurre cambiamenti radicali. L’Unione europea ha istituito il meccanismo di cooperazione e verifica per assistere la Bulgaria e verificare i progressi realizzati rispetto a sei punti di riferimento. Per la nostra delusione, i miglioramenti sono stati lenti. Nella sua più recente relazione su questa materia (febbraio 2011), la Commissione ha affermato che la Bulgaria deve ulteriormente migliorare l’organizzazione, la gestione e la cooperazione degli organi giudiziari, investigativi e di polizia. Cionondimeno, in seno al Consiglio, i 27 governi sono giunti alla conclusione – sorprendentemente, forse – che la Bulgaria soddisfa i requisiti di Schengen, un sistema che, per sua natura, in questo momento viene messo in discussione. Il Regno Unito, naturalmente, resta all’esterno dell’area Schengen.

 
  
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  Iuliu Winkler (PPE), per iscritto. (RO) Mi rallegro della maggioranza superiore all’80 per cento che, in seno al Parlamento europeo, ha votato a favore della relazione sul rispetto dell’acquis di Schengen in Romania e Bulgaria. Questo voto è un forte segnale politico. A giudizio del Parlamento europeo, la Romania e la Bulgaria sono pronte ad aderire all’area Schengen.

Secondo la posizione dell’UDMR (Unione democratica degli ungheresi di Romania), alla Romania e alla Bulgaria deve essere offerta nel 2011 una prospettiva definitiva di integrazione in questo spazio di libera circolazione. Non ritengo che si possano cambiare le regole del gioco in corsa e la decisione di inclusione nell’area Schengen deve tener conto di ciò che è stato raggiunto sotto il profilo dell’accordo di Schengen e non deve basarsi su valutazioni politiche. La situazione che si è creata sull’inclusione di Romania e Bulgaria nell’area Schengen evidenzia quanto sia debole il senso di solidarietà nell’Unione europea.

Il fatto che ci siano Stati membri disposti a rinunciare a una delle libertà fondamentali dell’integrazione europea, la libera circolazione, fa risuonare un campanello d’allarme. Al contempo, questa è una risposta sbagliata alle tensioni provocate dalla crisi economica e alle sue conseguenze. L’UDMR ritiene che serva un’Europa forte, che è possibile ottenere attraverso maggiore solidarietà e un fermo rifiuto del protezionismo interno e del populismo.

 
  
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  Iva Zanicchi (PPE), per iscritto. − Pur avanzando qualche dubbio sull'eccessiva estensione del testo (che si colloca nell'orizzonte della Strategia Europa 2020) ritengo ampiamente condivisibili gli obiettivi della risoluzione e per questo ho espresso un voto favorevole al testo del collega on. Coelho relativo alla verifica del rispetto delle condizioni necessarie all'applicazione dell'acquis di Schengen come requisito essenziale per l'abolizione dei controlli alle frontiere interne con Bulgaria e Romania.

 
  
  

Relazione Lambsdorff (A7-0189/2011)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) La relazione verrà adottata nonostante le controversie all’interno del gruppo di lavoro del gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo sull’emendamento relativo alla questione nucleare e sull’emendamento del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) che elimina il tema di aumentare il numero di seggi permanenti nel Consiglio di sicurezza nelle Nazioni Unite (ONU). È necessario modificare significativamente l’ordine internazionale, affinché l’Unione europea possa superare le sfide in modo più efficace, attraverso azioni globali concertate. Desidero richiamare l’attenzione sul fatto che, conformemente all’articolo 21 del trattato, l’Unione europea si impegna formalmente a realizzare un multilateralismo efficace e, soprattutto, a sostenere il ruolo dell’ONU.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. (EN) Ho espresso voto favorevole alla relazione, non solo per l’importanza della prossima 66a sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, ma anche perché è fondamentale che l’Unione europea aumenti la cooperazione e la coordinazione negli organi delle Nazioni Unite. L’articolo 34 del trattato sull’Unione europea impone agli Stati membri di coordinare la propria azione nelle organizzazioni internazionali e agli Stati europei che sono anche membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di concertarsi e, nello svolgimento delle proprie funzioni, di difendere le posizioni e l’interesse dell’Unione. Finora la cooperazione in seno all’Assemblea generale dell’ONU e al Consiglio di sicurezza non è stata esemplare. Sappiamo bene che gli Stati membri facenti parte del Consiglio di sicurezza (Francia, Regno Unito, Portogallo e Germania) non sono riusciti ad agire di concerto e a raggiungere una posizione unitaria riguardo all'intervento militare in Libia, in particolare relativamente al voto sulla risoluzione n. 1973 del Consiglio di sicurezza ONU. Invito gli Stati membri ad impegnarsi per giungere a una posizione comune su questioni fondamentali per la pace e la sicurezza a livello internazionale, soprattutto negli ambiti in cui vige già un ampio consenso internazionale.

 
  
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  Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. (RO) In un mondo in rapida trasformazione, l’Unione europea sta affrontando molteplici sfide che richiedono una risposta concertata a livello internazionale. Questi cambiamenti radicali richiedono un impegno attivo da parte dell’Unione europea, in collaborazione con i suoi partner, al fine di individuare soluzioni efficaci ai problemi dei cittadini europei e dell’umanità. L’Unione europea è il principale fornitore al mondo di aiuti allo sviluppo ed è in prima linea nel sostenere le attività delle Nazioni Unite. Deve svolgere un ruolo proattivo nel costruire un’ONU che possa effettivamente contribuire a soluzioni globali, alla pace, alla sicurezza, alla democrazia nonché a un ordine internazionale basato sullo stato di diritto. Conformemente all’articolo 21 del trattato, l’Unione europea si impegna formalmente a realizzare un multilateralismo efficace imperniato su un’ONU forte, contribuendo in modo essenziale nell’affrontare le sfide globali.

 
  
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  Alfredo Antoniozzi (PPE), per iscritto. – Stiamo assistendo in questi mesi a cambiamenti radicali dell´ordine internazionale, cambiamenti che non possono più vedere l'Unione europea come un mero spettatore. Credo che l'Unione europea ne debba trarre stimolo e assumere un ruolo realmente attivo nei confronti sia delle potenze mondiali attuali sia di quelle emergenti, scrollandosi di dosso una volta per tutte l'appellativo di "nano politico" in ambito di politica internazionale. In questo senso sostengo la necessità, espressa nella proposta del collega Lambsdorff, affinché in sede di discussione di riforma del Consiglio di sicurezza, gli Stati membri si sforzino per ottenere un seggio permanente per l'Unione europea. Rafforzando il ruolo dell'Unione ruropea nell'ambito delle Nazioni Unite riusciremo a garantire un ruolo da protagonista dell'UE come attore regionale e globale, altrimenti dovremo continuare a confrontarci con la continua mancanza di coordinamento degli interessi degli Stati membri sulla scena internazionale.

 
  
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  Pino Arlacchi (S&D), per iscritto. (EN) Ho sostenuto fermamente il contenuto della relazione, che invita a potenziare il ruolo dell’Unione europea nel sistema dell’ONU, alla luce delle modifiche istituzionali apportate dal trattato di Lisbona. La votazione odierna è stata preceduta da un grande successo per l’UE in seno all’ONU: l’adozione di una serie di regole che riconoscono alla delegazione UE il diritto di intervento e di risposta nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nonché l’opportunità di presentare proposte orali ed emendamenti.

Questi cambiamenti rispecchiano una chiara realtà: l’Unione europea e gli Stati membri sono i principali contribuenti finanziari del sistema ONU. Il 38 per cento del bilancio dell'ONU, oltre i due quinti dei costi per il mantenimento della pace e quasi metà del finanziamento di base dei fondi e dei programmi delle Nazioni Unite provengono dall'Unione. L’UE, inoltre, nonostante i propri limiti, è uno dei principali attori globali e la propria influenza deve essere riconosciuta a tutti i livelli.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto.(FR) Ho appoggiato la relazione Lambsdorff poiché ritengo che dobbiamo promuovere una maggiore coesione tra le posizioni degli Stati membri e rafforzare la nostra capacità di negoziazione con altri gruppi regionali. Dobbiamo migliorare l’efficienza e la trasparenza delle Nazioni Unite e potenziare la gestione delle sue risorse finanziare. Sono certa che, nel medio termine, sia necessario riformare i metodi di lavoro e la composizione del Consiglio di sicurezza.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) È in corso un cambiamento radicale dell'ordine internazionale, che stimola l'Unione europea a impegnarsi più attivamente nei confronti delle potenze mondiali attuali ed emergenti e di altri partner bilaterali e multilaterali al fine di promuovere soluzioni efficaci per risolvere problemi comuni a tutti i cittadini europei e al mondo intero. Ai sensi dell’articolo 21 del trattato, l’Unione europea si impegna formalmente a realizzare un multilateralismo efficace imperniato su un’ONU forte, essenziale per affrontare le sfide mondiali come il cambiamento climatico e il degrado ambientale, l'universalità e l'indivisibilità dei diritti umani, la riduzione della povertà e lo sviluppo per tutti, le conseguenze del cambiamento demografico e della migrazione e la criminalità organizzata internazionale. L'UE dovrebbe svolgere un ruolo proattivo nel costruire un'Organizzazione delle Nazioni Unite che possa contribuire in modo concreto a soluzioni globali, alla pace, alla sicurezza, alla democrazia nonché a un ordine internazionale basato sui principi dello stato di diritto.

 
  
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  Elena Băsescu (PPE), per iscritto.(RO) Ho espresso voto favorevole alla relazione presentata dall’onorevole Lambsdorff dal momento che ritengo che l’UE stia creando una nuova identità sulla scena internazionale. Non dimentichiamo il lungo periodo di collaborazione tra le due organizzazioni internazionali e la partecipazione dell’UE a numerosi progetti avviati dalle Nazioni Unite. Vorrei ricordare, inoltre, l’impegno dei leader comunitari nella realizzazione degli obiettivi di sviluppo del Millennio. L’eliminazione della povertà nel mondo rappresenta ora una delle priorità della politica estera nell’Unione. Accolgo con favore l’iniziativa di rafforzare la cooperazione per riportare stabilità nelle zone di crisi e per creare nuovi standard di sicurezza per le centrali nucleari. Gli avvenimenti in Giappone mettono in evidenza la necessità di creare partenariati e, alla luce delle sommosse popolari nella regione mediterranea, ritengo che un’azione concertata UE-ONU possa garantire una transizione pacifica verso la democrazia. A tale proposito, sono a favore del miglioramento delle relazioni con le organizzazioni regionali.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. – Mi esprimo in favore di questa proposta di raccomandazione del Parlamento destinata al Consiglio riguardo alla prossima sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite. La proposta sottolinea come l’Unione europea e le Nazioni Unite condividano l’impegno comune di promozione della democrazia, del rispetto dei diritti umani e della pace presso la comunità internazionale. La proposta sostiene che l'ulteriore allargamento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite all'UE sia un fattore chiave per l'efficace perseguimento degli obiettivi sopra menzionati. La proposta respinge la richiesta della Germania di occupare permanentemente il nuovo potenziale seggio dell'UE presso le Nazioni Unite, e accoglie invece la proposta italiana di permettere a tutti gli Stati membri di occupare a rotazione il seggio al fine di tutelare il principio di pari dignità tra gli Stati membri stessi.

La richiesta tedesca era stata vista come un tentativo di imporre l’autorità politica della Germania e dell’asse anglo-franco-tedesco all'interno e all'esterno dell'UE, ma l'adozione della posizione italiana da parte della presente proposta conferma che l’eventuale allargamento del Consiglio di Sicurezza assicurerebbe anche all’Italia la possibilità di far sentire la propria voce sulle cruciali questioni dell'ordine internazionale all'esterno dell'UE. Il mio voto è quindi a favore.

 
  
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  Nessa Childers (S&D), per iscritto. (EN) È importante che, in questo periodo, l’Unione europea collabori e riaffermi il proprio impegno nei confronti delle organizzazioni internazionali quali l’ONU. L’aspetto più importante è l’attenzione che il Parlamento europeo rivolge alle Nazioni Unite.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Considerando il periodo in cui viviamo, è necessario che gli Stati membri e l’Unione europea siano uniti in tutte le situazioni e le circostanze che si presentano e che siano coordinati in seno alle Nazioni Unite (ONU). È essenziale difendere gli interessi e i valori europei, che vanno salvaguardati nell’organizzazione internazionale più ampia e influente al mondo.

Indipendentemente da come cambierà in futuro la rappresentanza dell’Unione all’interno dell’ONU e, soprattutto, del Consiglio di sicurezza – questione ancora in fase di dibattito – è necessario che gli Stati membri uniscano le proprie forze con i rappresentanti oltreoceano dell’Unione, al fine di esercitare un’influenza comune e intervenire in modo collettivo. Per raggiungere quest’obiettivo sono fondamentali regolari consultazioni tra gli ambasciatori degli Stati membri e dell’Unione europea. Quest’ultima dovrebbe, al contempo, contribuire a migliorare l’efficienza e la trasparenza dell’ONU, nonché a potenziare la gestione delle sue risorse finanziarie. Merita di essere valutata e discussa l’interessante proposta di creare un’Assemblea parlamentare delle Nazioni Unite all’interno del sistema ONU.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) La relazione presentata dall’onorevole Lambsdorff riguarda la proposta di raccomandazione del Parlamento europeo destinata al Consiglio sulla 66a sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite (ONU). Alla luce della trasformazione dell’ordine internazionale a causa di conflitti in molte aree del mondo e dell’autodeterminazione di molti popoli, oppressi per decenni o addirittura secoli, la prossima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sarà cruciale. Ai sensi degli articoli 21 e 41 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, il Parlamento europeo dovrà far emergere le proprie posizioni durante la sessione in merito a diverse questioni, tra cui il ruolo dell’UE nel sistema delle Nazioni Unite e la creazione di un’Assemblea parlamentare ONU.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La relazione sostiene l’idea di un seggio per l’Unione europea in seno all’Assemblea generale delle Nazioni Unite e di un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza ONU. Di recente quest’idea ha avuto molti sostenitori, in virtù degli emendamenti introdotti dal trattato di Lisbona, in particolare del conferimento di personalità giuridica all’Unione europea. Si tratta di emendamenti dei quali abbiamo sempre contestato la legittimità. La richiesta, che sovverte lo spirito delle Nazioni Unite, un’organizzazione costituita da Stati e non da istituzioni internazionali, non ha l’intento di rendere l’attività dell’ONU più democratica o di creare un nuovo ordine internazionale più equo e pacifico.

L’alleanza dell’UE con l’Organizzazione del trattato Nord Atlantico (NATO) e con gli Stati Uniti per intraprendere azioni di guerra e attaccare paesi quali la Libia, ne è una dimostrazione. L’Unione europea sta mettendo a repentaglio principi fondamentali della Carta delle Nazioni Unite, come il principio di non-intervento negli affari interni degli Stati, il rispetto della sovranità e dell’indipendenza e il riconoscimento del diritto allo sviluppo. La sovranità proviene dai cittadini e i cittadini europei non l’hanno ceduta all’UE, un’istituzione sempre più antisociale e antidemocratica.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Ancora una volta, la relazione avanza l’inaccettabile richiesta di un seggio UE nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite e un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza, in virtù dell’antidemocratico trattato di Lisbona e della personalità giuridica che quest’ultimo conferisce. Non è con l’intento di rendere più democratiche le attività degli organi delle Nazioni Unite o di creare un nuovo ordine internazionale più equo che la maggioranza dei membri del Parlamento europeo appoggia quest’idea.

Come può contribuire a rendere l’ONU più democratica o dare all’umanità pace e prosperità un’Unione che, in alleanza con la NATO e gli Stati Uniti, sta promuovendo la guerra in Libia, violando il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite? Come può l’UE sostenere il principio di non-intervento negli affari interni degli Stati, contribuire al diritto allo sviluppo sancito dalla Carta delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale, quando, in collaborazione con il Fondo monetario internazionale (FMI), impone un programma senza precedenti che grava sui lavoratori e sui cittadini del Portogallo, usurpandone le risorse? Non lo può fare.

La sovranità proviene dai cittadini e i cittadini europei non l’hanno ceduta all’UE, un’istituzione sempre più antisociale e antidemocratica.

 
  
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  Monika Flašíková Beňová (S&D), per iscritto. (SK) L’Unione europea deve svolgere un ruolo attivo nel costruire un’Organizzazione delle Nazioni Unite che possa contribuire a soluzioni globali, alla pace, alla sicurezza, alla democrazia e a un ordine internazionale basato sullo stato di diritto. Sostenere il multilateralismo deve essere uno degli interessi strategici principali dell’UE e, in qualità di attore mondiale, l’Unione deve rafforzare la propria coesione e visibilità all’interno dell’ONU. Il cambiamento radicale in corso nell’ordine internazionale spinge l’UE a concentrarsi in modo più attivo sulle potenze mondiali attuali ed emergenti e su altri partner bilaterali e multilaterali al fine di promuovere soluzioni efficaci per risolvere problemi comuni a tutti i cittadini europei e al mondo intero.

 
  
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  Lorenzo Fontana (EFD), per iscritto. – Signor presidente, onorevoli colleghi, il documento in esame prevede le priorità dell'Unione Europea da portare all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il punto chiave ormai in discussione da tempo é la discussione sulla riforma del consiglio di sicurezza. La proposta di un seggio per l'Unione Europea e magari a rotazione fra i Paesi membri sembra un'ottima proposta. Si appoggia pertanto la relazione.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Sono a favore della relazione poiché propone di portare avanti un multilateralismo efficace quale principale interesse strategico dell'Unione e di rafforzare la coerenza e la visibilità dell'UE in qualità di attore globale a livello di Nazioni Unite, migliorando il coordinamento delle consultazioni interne dell'UE in materia di questioni ONU e promuovendo una maggiore sensibilizzazione su numerose questioni. La relazione invita, inoltre, ad impegnarsi con i partner strategici dell'UE all'interno del sistema delle Nazioni Unite, a dare al partenariato strategico una dimensione multilaterale inserendo questioni di interesse globale nell'ordine del giorno dei vertici bilaterali e multilaterali dell'UE e a contribuire a migliorare l'efficienza e la trasparenza dell'ONU, nonché a potenziare la gestione delle sue risorse finanziarie.

Tratta, inoltre, temi fondamentali quali il rafforzamento del ruolo della Corte penale internazionale e del sistema di giustizia penale internazionale, promuovere la sostenibilità, porre fine all’impunità, rafforzare le strutture di prevenzione della crisi e la loro efficacia nell’ambito del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, mirando a trasformare l’organizzazione in un leader mondiale nella prevenzione delle crisi e nella ripresa post crisi. Sottolinea altresì la necessità di una stretta cooperazione tra UE e ONU nel settore della gestione delle crisi civili e militari, e in particolare nelle operazioni di soccorso umanitario; mette in luce l’esigenza di riformare completamente l'Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA), ponendo fine alla sua doppia funzione di controllo e di promozione dell'utilizzo dell'energia nucleare, limitando le responsabilità dell'AIEA alla supervisione dell'industria dell'energia nucleare e alla verifica della conformità con il trattato di non proliferazione. Concordo con le altre questioni importanti trattate e offro il mio appoggio.

 
  
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  Agnès Le Brun (PPE), per iscritto.(FR) Nella fase di preparazione alla 66a Assemblea generale delle Nazioni Unite, il Parlamento europeo, come di consueto, presenta una raccomandazione al Consiglio, rappresentante dei membri a pieno titolo dell’Organizzazione, ovvero gli Stati membri. Quest’anno, tuttavia, l’Unione potrà trarre vantaggio dal nuovo status di osservatore, che le conferisce il diritto di intervenire durante le sessioni. Ho votato a favore della relazione poiché è commisurata alle nuove ambizioni dell’Unione sulla scena internazionale. Il trattato di Lisbona attribuisce nuove prerogative all’UE, riafferma lo sviluppo della propria capacità internazionale e mette a disposizione nuovi strumenti. Conformemente al trattato, l’Unione è chiamata a mettere questa ambizione al servizio di un multilateralismo efficace, imperniato sui propri valori. Il trattato invita l’Unione europea a rafforzare la governance globale in un momento in cui le sfide globali richiedono soluzioni globali. La relazione, infine, pone l’accento su temi centrali quali la necessità che l’Unione promuova, come sempre fa, lo sviluppo, i diritti umani e la lotta al cambiamento climatico .

 
  
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  Clemente Mastella (PPE), per iscritto. – L'attuale cambiamento dell'ordine internazionale stimola l'UE ad impegnarsi più attivamente nei confronti delle potenze mondiali e di quelle emergenti, al fine di svolgere un ruolo proattivo nel costruire un'ONU che possa effettivamente contribuire a soluzioni di tipo globale: alla pace, alla sicurezza, alla democrazia nonché a un ordine internazionale basato sullo Stato di diritto. Un punto di partenza essenziale per affrontare il cambiamento climatico ed il degrado ambientale, l'universalità e l'indivisibilità dei diritti umani, la riduzione della povertà e lo sviluppo per tutti, le conseguenze del cambiamento demografico, la migrazione, la criminalità organizzata internazionale.

Grazie al trattato di Lisbona abbiamo oggi nuove strutture permanenti per la rappresentanza esterna. Ciò ci consente di assumere un ruolo internazionale commisurato al nostro preminente status economico, agendo in qualità di attore globale, capace di condividere la responsabilità della sicurezza mondiale. Resta a noi riuscire ad identificare chiaramente i nostri interessi e gli obiettivi strategici per potere agire efficacemente. L'UE è il più grande fornitore al mondo di aiuto allo sviluppo, è un importante partner dell'ONU in situazioni di crisi e post-crisi; riteniamo dunque doveroso portare avanti un multilateralismo efficace quale principale interesse strategico dell'Unione, al fine di rafforzarne coerenza e visibilità sulla scena internazionale.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto.(PT) L’Unione europea non deve mai dimenticare il ruolo di guida che svolge sulla scena internazionale. In quanto tale, deve potenziare il proprio ruolo in tutte le organizzazioni multilaterali, soprattutto nelle Nazioni Unite, dove, dopo l’istituzione del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), dovrà essere sempre più attiva. Considerando che i partenariati globali sono funzionali al perseguimento di obiettivi globali individuati congiuntamente e considerando che l'UE è il più grande fornitore al mondo di aiuti allo sviluppo e un importante partner dell'ONU nei tre pilastri di attività di quest'ultima, anche in situazioni di crisi e post-crisi, e che il contributo degli Stati membri è pari al 38 per cento del bilancio regolare dell'ONU, riteniamo che un partenariato solido e stabile UE-ONU sia fondamentale per l'attività delle Nazioni Unite e per il ruolo dell'UE come attore a livello globale .

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto.(EN) Tenendo fede a quanto fatto in passato, la commissione per gli affari esteri redige alcune raccomandazioni del Parlamento rivolte al Consiglio in occasione della sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. A quanto riscontrato, le priorità del Parlamento europeo sono le seguenti: un ruolo maggiore dell’UE nel sistema ONU, in linea con i cambiamenti istituzionali apportati dal trattato di Lisbona; la necessità di stilare linee guida che disciplinino le consultazioni regolari tra gli ambasciatori degli Stati membri al fine di evitare discordanza tra i punti di vista dell’UE, come nel caso della Libia; una dotazione di bilancio adeguata per l’agenzia UN Women; rafforzare il ruolo della Corte penale internazionale; sostenere l’Unità di supporto alla mediazione e garantire che il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) svolga un ruolo chiave a tal proposito; migliorare le relazioni tra la Commissione per la costruzione della pace e il partenariato per il consolidamento della pace dell’UE; esercitare un ruolo guida nel settore della governance climatica globale. I temi succitati sono di grande attualità. Ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Justas Vincas Paleckis (S&D), per iscritto. (EN) Ho espresso voto favorevole alla relazione, che ripercorre i temi mondiali attuali in seno all’UE e alle Nazioni Unite, sottolineando le sfide e le opportunità per l’Unione. Il relatore ha avanzato proposte solide e lungimiranti per l’attività dell’UE nei diversi ambiti a livello internazionale, come impegnarsi con i partner strategici dell'UE all'interno del sistema delle Nazioni Unite, garantire un ruolo importante al SEAE, promuovere pace, sicurezza e giustizia e contrastare il cambiamento climatico. Sono questi i temi attuali cruciali sulla scena internazionale e l’UE si deve impegnare a ricoprire un ruolo di rilievo in tutti questi ambiti. Sono favorevole alla proposta e invito il Consiglio a considerare con attenzione la relazione.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto.(PT) Ho votato a favore della relazione perché concordo con la raccomandazione rivolta al Consiglio in vista della 66a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il ruolo dell’ONU deve essere rafforzato. L’Unione europea, come riportato dal relatore, ha un peso insufficiente negli organi delle Nazioni Unite, alla luce dei notevoli contributi forniti dall’UE e dai suoi Stati membri. Il Consiglio deve far sentire con maggiore vigore le proprie posizioni all’interno dell’ONU, garantendo, al contempo, un maggior coordinamento nella realizzazione degli obiettivi dell’Unione presso le Nazioni Unite e favorendo maggiore coesione tra le posizioni degli Stati membri. Mi unisco all’invito del relatore al Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e al Presidente del Consiglio europeo a far sì che il raggiungimento di maggiori diritti di osservatore per l'Unione europea diventi una priorità strategica e a conferire all'Unione maggiore visibilità presso le Nazioni Unite, intensificando le consultazioni con i governi di paesi terzi membri delle Nazioni Unite.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della relazione. Invitiamo il Consiglio a portare avanti un multilateralismo efficace quale principale interesse strategico dell'Unione e a rafforzare la coerenza e la visibilità dell'UE in qualità di attore globale a livello di Nazioni Unite, tra l'altro migliorando il coordinamento delle consultazioni interne dell'UE in materia di questioni ONU e promuovendo una maggiore sensibilizzazione su un'ampia serie di questioni. Il Consiglio deve autorizzare il Vicepresidente/Alto rappresentante (VP/AR) a stilare linee guida che disciplinino le consultazioni regolari tra gli ambasciatori degli Stati membri e dell'UE, specialmente tra quelli che operano a livello multilaterale in città quali Ginevra e New York, in modo che l'UE possa realizzare con successo la sua agenda ONU e rispondere alle aspettative dei membri di detta organizzazione per quanto concerne la sua capacità di azione. Deve essere promossa maggiore coesione sia nell'ambito del sistema delle Nazioni Unite sia tra le posizioni degli Stati membri e dei paesi candidati e potenziali candidati, in modo da massimizzare il potenziale offerto dal trattato di Lisbona per rafforzare l'impatto dell'UE attraverso l'uso coordinato e strategico dei suoi vari e distinti punti d'ingresso (UE e Stati membri). Deve essere rafforzata la sua capacità di negoziazione con altri gruppi regionali in maniera tempestiva. È necessario, inoltre, fornire ai rappresentanti dell'UE un mandato adeguato che consenta loro di negoziare efficacemente a nome degli Stati membri.

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. – In merito alla 66a sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, sostengo la posizione secondo cui il Parlamento europeo debba sollecitare il Consiglio affinché eserciti un ruolo guida nella promozione degli Obiettivi di sviluppo del Millennio. Deve essere infatti avviato un dibattito su come sostenere l'impegno della comunità internazionale nei confronti dello sviluppo sostenibile e dell'eliminazione della povertà, sforzo che deve proseguire anche oltre il 2015. Portare avanti la costruzione dello Stato, il buon governo democratico e la prevenzione dei conflitti, adottando le misure necessarie per combattere la corruzione, l'evasione fiscale e la fuga dei capitali, devono rappresentare una priorità assoluta da raggiungere.

 
  
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  Nikolaos Salavrakos (EFD), per iscritto. (EL) Ho votato a favore della relazione Lambsdorff poiché ritengo che le sfide che sta affrontando l’Unione europea in un mondo in rapida trasformazione richiedano una risposta concertata a livello internazionale. In virtù del trattato di Lisbona, l’UE ha maggiori possibilità per la rappresentanza esterna; la cooperazione con le Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali è auspicabile e necessaria per la gestione delle crisi, per creare e mantenere la pace e per far fronte alle sfide internazionali, quali quelle poste dai recenti avvenimenti in Giappone.

 
  
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  Michèle Striffler (PPE), per iscritto.(FR) In qualità di relatore per parere della commissione per lo sviluppo in merito alla presente relazione, sono lieta che sia stata adottata oggi durante la seduta plenaria del Parlamento europeo. Dobbiamo insistere sulla necessità di armonizzare gli sforzi dei diversi organi delle Nazioni Unite per meglio promuovere l'efficienza e l'efficacia dell'azione per quanto riguarda lo sviluppo. L’assistenza allo sviluppo delle nazioni Unite deve mirare principalmente alla realizzazione degli obiettivi di sviluppo del Millennio, rivolgendo un’attenzione particolare ai paesi meno sviluppati.

 
  
  

Relazione Audy (A7-0160/2011)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) Voto a favore della relazione prima di tutto perché essa critica la Commissione per avere rinviato fino al 9 febbraio 2011 la pubblicazione della propria comunicazione, nonostante l’obbligo di presentarla nel 2010, e perché, al pari del relatore, deploro la debolezza della comunicazione della Commissione riguardo agli sviluppi più recenti. Lamento altresì la mancanza di buoni risultati in riferimento alle piccole e medie imprese. Riconosco, però, che le iniziative tecnologiche congiunte contribuiscono a rendere l’industria europea più competitiva, sebbene sia necessario affrontare con urgenza gli ostacoli giuridici e amministrativi già esistenti.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questa importante risoluzione sulla revisione intermedia del Settimo programma quadro dell’Unione europea per le attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione. Adottando tale risoluzione, il Parlamento europeo lancia un chiaro segnale alla Commissione europea in merito all’attuazione futura del programma quadro per la ricerca. Una delle proposte più rilevanti, che appoggio, è la semplificazione dei requisiti amministrativi per i progetti realizzati in conformità di questo programma. Infatti, una delle difficoltà rilevate è data dalla complessità e dagli oneri delle procedure amministrative, a causa dei quali i ricercatori, dopo aver cercato finanziamenti europei, vengono dirottati verso fonti di finanziamento nazionali, mentre l’Europa si rende impopolare nel campo della ricerca. Molto importante è anche la territorializzazione delle politiche di ricerca e sviluppo, per garantire una distribuzione uniforme della ricerca fra tutte le università. L’eccellenza che si riscontra spesso nelle aree urbane potrebbe essere garantita attraverso collegamenti virtuali più forti, ad esempio per mezzo di un sistema di videoconferenze permanenti e di interconnessioni intelligenti tra i centri di ricerca territorializzati e i centri di eccellenza.

 
  
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  Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. (RO) Il Settimo programma quadro dell’Unione europea per le attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione è il più grande strumento di sostegno alla ricerca a livello mondiale, nonché lo strumento principale della politica comunitaria in materia di ricerca. La ricerca consiste nel processo volto a trasformare il potere economico in conoscenza, mentre l’innovazione è il processo inverso che trasforma la conoscenza in potere economico. L’Unione europea e i suoi Stati membri devono creare per sé gli strumenti in grado di dare una risposta comune alle principali sfide sociali, economiche, ambientali, demografiche ed etiche che gli Stati europei devono affrontare, quali l’invecchiamento della popolazione, la salute dei cittadini, l’approvvigionamento alimentare, lo sviluppo sostenibile e le grandi questioni ambientali.

È essenziale sviluppare un migliore rapporto tra il mondo accademico, quello della ricerca e quello industriale affinché i risultati della ricerca possano essere trasformati più efficacemente in prodotti e servizi, generando così crescita economica e benefici per tutta la società. Gli Stati membri dovrebbero inoltre intensificare i propri sforzi di comunicazione a favore dell’utilizzo delle nuove tecnologie, come i servizi intelligenti di informazione sulla ricerca, annunciando le prossime sfide in materia di ricerca e diffondendo i risultati della ricerca. Ecco perché ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Alfredo Antoniozzi (PPE), per iscritto. − Nonostante una serie di fattori negativi, quali la crisi economica, il persistente gap nei confronti degli Stati Uniti e la crescente concorrenza da parte delle economie dei paesi emergenti, il 7 PQ si è dimostrato capace di dare un valore aggiunto alla ricerca e allo sviluppo europeo. Il 7 PQ offre all'Unione europea l'opportunità di porre la sua politica di ricerca all'altezza delle sue ambizioni economiche e sociali, consolidando in particolare lo Spazio europeo della ricerca. Condivido nella relazione del collega Audy gli obiettivi sottolineati nella revisione intermedia, in particolare la semplificazione delle procedure amministrative, la partecipazione delle PMI attraverso il programma "Cooperazione", l'innovazione e intensificazione del meccanismo di finanziamento con ripartizione del rischio. Queste misure permetteranno nella prospettiva di negoziazione delle prospettive finanziarie a partire dal 2014, l'europeizzazione della ricerca.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) La relazione dell’onorevole Audy sul Settimo programma quadro dell’Unione europea per le attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione mette in luce un basso livello di partecipazione da parte delle piccole e medie imprese e dell’industria in generale, un basso numero di ricercatrici e una sottorappresentazione di taluni Stati membri. Ritengo sia necessario sviluppare un efficace coordinamento della ricerca tra l’Unione europea e le autorità nazionali e regionali. Per tali motivi ho votato a favore di questa eccellente relazione.

 
  
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  Liam Aylward (ALDE), per iscritto.(GA) Il Settimo programma quadro, con una dotazione complessiva di 54,6 miliardi di euro, è il più grande strumento al mondo di sostegno alla ricerca e costituisce sicuramente il fulcro della politica dell’Unione europea per la ricerca. Però, soprattutto alla luce della crisi finanziaria e dei diversi regimi fiscali, esso va rivisto e adeguato alle esigenze di un mondo che cambia. Attualmente, gli enti irlandesi ricevono all’incirca un milione di euro la settimana dai fondi comunitari per la ricerca, mentre rimangono altre opportunità per le piccole e medie imprese irlandesi. Sono proprio le PMI a creare il 70 per cento dei posti di lavoro nella zona euro, oltre a costituire il cuore dell’economia europea.

Occorre quindi aumentare la trasparenza e ridurre gli oneri amministrativi per invogliare un maggior numero di piccole e medie imprese a partecipare in futuro ai programmi, nell’ottica di garantire un’azione comunitaria efficace nel campo della ricerca, dello sviluppo e dell’innovazione. Bisogna accorciare i tempi di concessione dei prestiti e rafforzare la cooperazione e il coordinamento a livello europeo per ovviare alla frammentazione, che si riflette negativamente sul programma.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Il 23 e 24 marzo 2000 il Consiglio europeo, riunito a Lisbona, aveva posto all’Unione europea un ambizioso obiettivo strategico: diventare entro il 2010 l’economia fondata sulla conoscenza più competitiva e dinamica al mondo. È stato riconosciuto il ruolo centrale della ricerca all’interno di questa strategia. Con un bilancio di circa 54 miliardi di euro per il periodo 2007-2013, il Settimo programma quadro è diventato uno dei più grandi programmi di sostegno alla ricerca a livello mondiale e costituisce lo strumento più importante della politica comunitaria in materia di ricerca. Ha lo scopo di mettere l’Unione europea in condizione di rispondere alle grandi sfide sociali che investono tutti gli Stati membri e alle quali essi non possono far fronte da soli (invecchiamento della popolazione e sanità, approvvigionamento energetico, idrico e alimentare, sviluppo sostenibile, cambiamento climatico, eccetera), nonché di sviluppare la conoscenza affinché le nostre imprese possano diventare più innovative e competitive. Nella relazione il Parlamento europeo compie una revisione intermedia volta ad assicurare che il Settimo programma quadro soddisfi le esigenze delle politiche europee. Penso anch’io che, per assicurare la massima efficacia possibile di questo programma, sia necessario semplificare le complesse e onerose procedure amministrative e quindi realizzare con successo uno spazio europeo della ricerca.

 
  
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  Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto.(FR) Il Settimo programma quadro riveste un’importanza cruciale nell’ottica di migliorare il valore aggiunto europeo in termini di ricerca, sviluppo e innovazione in un momento in cui, in questi settori, l’Europa è in ritardo rispetto agli Stati Uniti e sta perdendo il margine di vantaggio che aveva sulle economie emergenti. La relazione vuole pertanto evidenziare l’importanza di un programma sconosciuto e chiede, nel contempo, che siano apportati cambiamenti: modificare le regole amministrative e finanziarie, eccessivamente gravose, e il basso tasso di successo del programma, che lo rendono tuttora proibitivo per le piccole e medie imprese nonostante esse svolgano un ruolo importante nel processo di trasformazione dei risultati della ricerca in prodotti e servizi, nonché migliorare la cooperazione e il coordinamento tra i vari soggetti interessati in un momento in cui i finanziamenti per la ricerca rimangono divisi tra fonti nazionali e fonti europee. Queste sono alcune iniziative che potrebbero finalmente consentirci di raggiungere l’obiettivo di destinare al finanziamento della ricerca e dello sviluppo il 3 per cento del prodotto interno lordo entro il 2020 – un obiettivo ancora ben lontano dall’essere conseguito, soprattutto in Francia, che ancora oggi stanzia per la ricerca e lo sviluppo solo il 2 per cento del PIL.

 
  
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  Sergio Berlato (PPE), per iscritto. − Nel marzo 2000 il Consiglio europeo ha fissato per l'Unione un obiettivo ambizioso: diventare, nel 2010, "L'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo". In questa strategia è stato riconosciuto il ruolo centrale della ricerca. Ritengo che esaminare la revisione del 7° Programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico rappresenti un'opportunità per consolidare il prezioso legame tra conoscenza, istruzione e ricerca. Nel corso degli anni, il 7° PQ è diventato uno dei più importanti programmi di sostegno alla ricerca al mondo e costituisce il principale strumento della politica di ricerca dell'UE e rappresenta un'occasione per l'Unione di porre la sua politica di ricerca all'altezza delle sue ambizioni economiche e sociali consolidando lo Spazio europeo della ricerca.

In particolare, a mio avviso, sono due gli aspetti principali su cui dovrebbe focalizzarsi questa revisione: superare le difficoltà connesse alla gravosità e complessità delle procedure amministrative, che hanno come conseguenza la rinuncia da parte dei ricercatori ai finanziamenti europei a beneficio di finanziamenti nazionali. Inoltre, nonostante i progressi registrati in questi ultimi anni, andrebbe ulteriormente rafforzare la partecipazione delle piccole e medie imprese al programma quadro, al fine di sviluppare le conoscenze che consentano loro di migliorare la competitività.

 
  
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  Izaskun Bilbao Barandica (ALDE), per iscritto.(ES) Ho votato a favore della risoluzione perché il programma Europa 2020 considera la ricerca e lo sviluppo fattori essenziali per uscire dalla crisi attraverso una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Per poter realizzare questo obiettivo, il Settimo programma quadro deve aumentare i propri finanziamenti a partire dal 2013. Gli Stati membri devono impegnarsi a portare avanti i programmi perché c’è bisogno di una cooperazione rafforzata tra le piattaforme tecnologiche, le università e l’industria. Occorre altresì semplificare ulteriormente le procedure per eliminare le difficoltà che le piccole e medie imprese incontrano nell’accedere ai programmi di ricerca e sviluppo.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − La relazione del collega Audy sulla relazione intermedia del settimo programma quadro dell'UE per le attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione presenta sicuramente aspetti condivisibili, come la considerazione che il programma abbia riportato un basso tasso di successo soprattutto in riferimento alle PMI o la richiesta di riduzione dei tempi di erogazione delle sovvenzioni. Tuttavia, mi sono astenuta al voto poiché la relazione di iniziativa presentava un punto che ho ritenuto particolarmente debole e che mi ha impedito di esprimere un voto favorevole. In particolare, non appoggio l'invito del relatore a incrementare i finanziamenti al CER, anche facendo sì che diventi un'entità giuridica indipendente dotata di potere decisionale direttamente responsabile della sua strategia scientifica e della sua gestione amministrativa.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della relazione perché credo che un’adeguata revisione del Settimo programma quadro dell’Unione europea per le attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione sia particolarmente importante per verificare se l’attuazione del programma sia in linea con gli obiettivi fissati. Questo programma è uno dei programmi di sostegno alla ricerca più importanti al mondo e rappresenta lo strumento principale della politica per la ricerca dell’Unione europea. Inoltre, in molti dei documenti che ha adottato di recente e che delineano i suoi obiettivi di sviluppo e gli orientamenti per il prossimo decennio, l’Unione europea sottolinea l’importanza della ricerca e dell’innovazione per rafforzare la propria economia e aiutarla a restare una delle più competitive a livello mondiale. In aggiunta alla valutazione generalmente positiva, la relazione richiama l’attenzione della Commissione su molti aspetti dell’attuazione del programma e formula proposte specifiche per migliorarli. Ad esempio, la relazione propone di aumentare la dotazione finanziaria del programma ma, allo stesso tempo, anche di individuare aree comuni di ricerca tra quelle che appaiono più promettenti in termini di applicazioni concrete, consentendo quindi il massimo grado di condivisione in un contesto etico, affinché l’attuazione del programma porti a risultati tangibili.

 
  
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  Jan Březina (PPE), per iscritto. (CS) Sebbene l’Europa sia tuttora in ritardo rispetto agli Stati Uniti e stia perdendo il vantaggio che aveva sulle economie in via di sviluppo, i risultati del Settimo programma quadro sono una dimostrazione del valore aggiunto di questo programma europeo per la ricerca e lo sviluppo in Europa. Purtroppo, però, manca ancora un metodo per quantificare il contributo dei progetti finanziati dal Settimo programma quadro al progresso della conoscenza scientifica. Va, poi, rilevato che esiste un considerevole squilibrio tra la partecipazione di soggetti dei vecchi Stati membri e di soggetti dei nuovi Stati membri. Anche la partecipazione in particolare delle piccole e medie imprese rimane relativamente scarsa. La situazione potrebbe essere migliorata semplificando le norme amministrative e finanziarie.

È necessario sottolineare l’importanza delle iniziative tecnologiche congiunte (ITC) per la capacità concorrenziale dell’industria europea. Non vanno poi dimenticati gli ostacoli di ordine giuridico e amministrativo (quali la personalità giuridica, le regole di finanziamento e, talvolta, anche la proprietà intellettuale) che possono scoraggiare la partecipazione di molti operatori chiave nel campo della ricerca e di molte piccole e medie imprese. Dobbiamo cambiare la situazione attuale, che vede un’eccessiva frammentazione dei finanziamenti della ricerca europea, mentre a livello di Stati membri e di Unione europea ci sono molti enti di finanziamento che applicano priorità, criteri di valutazione, definizioni e procedure differenti, causando quindi, inevitabilmente, doppioni, confusione ed errori.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Alla luce della perdurante fragilità economica, dovuta alla crisi finanziaria che ha scosso l’Europa, nella sua revisione intermedia il relatore cita aspetti rilevanti che dovrebbero essere migliorati per garantire un impiego quanto più efficiente possibile dei finanziamenti pubblici disponibili. Condivido l’importanza attribuita dal relatore a due questioni che sono di grande momento per il futuro della ricerca europea: una maggiore semplificazione dei pagamenti tra la Commissione europea e altri enti e una maggiore partecipazione delle piccole e medie imprese, e dell’industria in generale, in risposta alle grandi sfide sociali.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto. − L'unanimità del voto in commissione su questa importante relazione e il voto odierno dimostrano ancora una volta che il Parlamento, sui temi vitali per i cittadini e le imprese, sa assumere una posizione forte e chiara. Ritengo che la relazione metta ben in evidenza le criticità del settimo programma quadro e indichi delle valide proposte per far sì che i fondi che restano da attribuire possano davvero servire per accrescere la competitività e l'eccellenza nel mercato europeo. A mio avviso, la semplificazione delle procedure amministrative e degli oneri burocratici resta la sfida più importante se davvero vogliamo consentire alle nostre imprese, soprattutto quelle piccole e medie, di poter accedere ai finanziamenti. Attraverso questi fondi, dobbiamo migliorare la capacità di fare sistema, migliorando i partenariati pubblico-privati, premiando i cluster tra regioni e prevedendo un forte coordinamento tra i fondi di coesione e quelli diretti sulla ricerca e l'innovazione.

 
  
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  Rachida Dati (PPE), per iscritto. (FR) La relazione contribuisce a richiamare l’attenzione sui fattori che sono cruciali per soddisfare i requisiti del futuro della ricerca in Europa, particolarmente nel contesto degli obiettivi stabiliti dalla strategia Europa 2020. Ora è diventato essenziale ridurre gli oneri amministrativi eccessivamente pesanti, soprattutto per incoraggiare una più ampia partecipazione delle piccole e medie imprese al Settimo programma quadro. È altresì indispensabile che i programmi comunitari consolidino in ogni momento i vantaggi derivanti dalla ricerca e dall’innovazione a beneficio dell’istruzione e della creazione di posti di lavoro.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. (FR) Il Settimo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo, relativo al periodo 2007-2013, è stato sottoposto a una revisione intermedia da parte del Parlamento europeo. Questa è un’occasione per ricordare alla Commissione europea l’importanza di fare le scelte giuste quando investe nella ricerca e nell’innovazione per il futuro dell’Europa. Restano da programmare 28,5 miliardi di euro per gli anni 2011, 2012 e 2013. Questa somma deve essere stanziata in via prioritaria a favore dei progetti portati avanti dalle piccole e medie imprese e dall’industria nel suo complesso specialmente nei settori dell’approvvigionamento energetico, dello sviluppo sostenibile e della lotta contro il cambiamento climatico. Dobbiamo garantire una migliore distribuzione delle infrastrutture per la ricerca in tutta l’Unione europea, rispettando allo stesso tempo il principio dell’eccellenza, grazie al quale l’Europa attrae i migliori ricercatori da tutto il mondo.

 
  
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  Christine De Veyrac (PPE), per iscritto. (FR) Nel 2010 l’Unione europea non ha conseguito l’obiettivo previsto dalla strategia di Lisbona di destinare il 3 per cento del prodotto interno lordo alla ricerca e allo sviluppo. Questo obiettivo è stato ripreso nella strategia Europa 2020, ma è ora che l’Unione europea individui gli strumenti necessari per realizzarlo, se vuole continuare a essere un’economia competitiva a livello internazionale.

Accolgo con favore l’adozione della relazione Audy sulla revisione intermedia del Settimo programma quadro, considerato l’impatto della recente crisi economica, che si è fatto sentire in particolare sulla capacità delle piccole e medie imprese di investire nella ricerca e nello sviluppo. Allo scopo di evitare lungaggini burocratiche e di semplificare l’accesso delle imprese ai finanziamenti europei, è assolutamente vitale adottare procedure più semplici e più trasparenti.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto.(PT) Con la pubblicazione della strategia Europa 2020 è diventato evidente che l’impegno a favore della ricerca e dello sviluppo è essenziale affinché l’Europa possa ritornare a crescere e vincere la lotta per la competitività. Per tali motivi, qualsiasi valutazione del Settimo programma quadro dell’Unione europea per le attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione deve essere correlato agli obiettivi della strategia Europa 2020 e alla sua attuazione. Sono convinto che è proprio grazie alla ricerca e allo sviluppo che l’Europa potrà dare risposte efficienti ed efficaci al problema energetico, alle sfide poste dal cambiamento climatico e all’esigenza di migliorare la competitività e la produttività europee, avviando in tal modo un nuovo ciclo di crescita – questa volta, una crescita più sostenibile.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) La relazione dell’onorevole Audy riguarda la revisione intermedia del Settimo programma quadro dell’Unione europea per le attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione. Il 23 e 24 marzo 2000 il Consiglio europeo, riunito a Lisbona, aveva posto all’Europa un obiettivo: diventare entro il 2010 l’economia fondata sulla conoscenza più competitiva al mondo. Non è stato possibile conseguire quell’ambizioso obiettivo. Mi auguro che gli obiettivi della strategia Europa 2020 saranno realizzati, e che lo sia in particolare l’impegno dell’Unione di investire entro il 2020 il 3 per cento del prodotto interno lordo nella ricerca e nello sviluppo. La strategia Europa 2020 non può aspettare il prossimo quadro finanziario pluriennale, deve partire adesso. Pertanto, questa revisione è d’importanza cruciale perché il 50 per cento dei fondi stanziati per il Settimo programma quadro non sono stati ancora spesi. Sono perciò d’accordo con il relatore, nello specifico con le sue raccomandazioni di semplificare i meccanismi per l’utilizzo dei fondi rendendo le procedure più semplici e più trasparenti e facilitando le attività delle piccole e medie imprese. È necessario altresì investire in iniziative faro in settori quali la sanità, l’energia e la sicurezza nucleare per reagire alle nuove sfide dell’innovazione e della ricerca.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La relazione introduce numerosi aspetti importanti della revisione intermedia del Settimo programma quadro dell’Unione europea per la ricerca e lo sviluppo tecnologico, oltre a formulare osservazioni rilevanti, ad esempio, il fatto che ancora oggi nell’Unione europea la maggior parte del lavoro scientifico è svolta da ricercatori e tecnici – perlopiù giovani – in condizioni di lavoro precarie. Il caso del Portogallo è paradigmatico in tal senso.

Noi crediamo che sia necessario sostenere la ricerca pubblica e rendere disponibili i suoi risultati in modo semplice, non burocratico, promuovendo le attività produttive e industriali e, in particolare, le piccole e medie imprese, la creazione di posti di lavoro qualificati e con diritti riconosciuti, il progresso sociale e lo sviluppo sostenibile. È necessario impegnarsi in aree diverse, quali, tra le altre, l’efficienza energetica, le nuove fonti di energia, un uso efficiente delle risorse, il riciclaggio e i nuovi processi di produzione.

Non possiamo fare a meno di esprimere i nostri timori riguardo ad alcuni dei principi ispiratori dello spazio europeo della ricerca. Crediamo che esso debba fondarsi sulla cooperazione e sul vantaggio reciproco, mitigando gli squilibri tra i sistemi di ricerca nazionali e ribaltando qualsiasi tendenza verso la concentrazione delle risorse umane e scientifiche nei paesi più sviluppati, che è lo stesso che nei cosiddetti “centri di eccellenza”.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto.(PT) La relazione introduce numerosi aspetti significativi della revisione intermedia del Settimo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico. Particolarmente importante è che la relazione si preoccupi di garantire che il 40 per cento dei partecipanti ai progetti di ricerca siano donne, dato che attualmente la quota delle ricercatrici è inferiore al 25,5 per cento, e riconosca che l’Europa continua a essere in ritardo rispetto agli Stati Uniti e sta perdendo il vantaggio che aveva sulle economie emergenti. Inoltre, la relazione “deplora che la maggior parte del lavoro scientifico nell’UE sia ancora svolto in condizioni di lavoro precarie”.

Nutriamo, tuttavia, timori riguardo ad alcuni aspetti, quali, tra gli altri, i principi ispiratori dello spazio europeo della ricerca, posto che esso dovrebbe fondarsi sulla cooperazione tra la ricerca pura e le reti di collaborazione, rovesciando qualsiasi tendenza verso la concentrazione delle risorse umane e scientifiche nei paesi più sviluppati e riducendo gli squilibri esistenti nei sistemi di ricerca nazionali.

L’innovazione nelle micro-, piccole e medie imprese ha bisogno degli aiuti alla ricerca pubblica e i suoi risultati devono essere disponibili in maniera semplice, senza burocrazia – che si tratti dell’efficienza energetica, dell’utilizzo di nuove fonti di energia e di nuovi processi di produzione, del riciclaggio e di un uso migliore delle risorse oppure della creazione di posti di lavoro con diritti riconosciuti o, ancora, degli aspetti umani e sociali nell’ottica del progresso sociale.

 
  
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  Monika Flašíková Beňová (S&D), per iscritto. (SK) La relazione valuta se il Settimo programma quadro dell’Unione europea per la ricerca e lo sviluppo tecnologico offrirà la possibilità di consolidare il triangolo d’oro formato da conoscenza, istruzione e ricerca, che è di importanza decisiva per l’Europa. Tra le altre cose, il programma giudica positivamente il livello di partecipazione e gli eccellenti risultati della selezione dei progetti; è, però, un peccato che il tasso di successo del programma nel suo complesso resti relativamente basso. Una gestione corretta dei fondi di finanziamento nel quadro di questo programma è essenziale, e credo fermamente che qualsiasi cambiamento o riorientamento debba avvenire nel segno della stabilità, della coesione complessiva e della certezza del diritto, su cui poggia la fiducia reciproca dei partecipanti.

 
  
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  Pat the Cope Gallagher (ALDE), per iscritto. (GA) Il punto principale della relazione è l’affermazione che l’Unione europea deve impegnarsi al massimo per restare al vertice della ricerca, dell’innovazione e delle attività scientifiche. Se oggi non creiamo le basi per la ricerca, in futuro non potremo conquistare posizioni di eccellenza nel campo dell’innovazione. Abbiamo bisogno di buone risorse per la ricerca se vogliamo creare e promuovere l’occupazione nell’Unione europea e stimolare la competitività dell’UE, soprattutto se consideriamo che i paesi industrialmente in via di sviluppo stanno diventando sempre più forti. Occorre potenziare la collaborazione tra il settore pubblico e quello privato e incoraggiare le piccole e medie imprese a partecipare di più al programma. Questo incoraggiamento deve venire dalle autorità di alto livello. Nella riunione del 4 febbraio, i capi dell’Unione europea e degli Stati membri si sono impegnati a portare avanti l’iniziativa faro Unione dell’innovazione. Ora, però, bisogna passare all’azione per tener fede agli impegni. Sarà grazie alla ricerca e all’innovazione che potremo uscire dallo stallo economico in cui ci troviamo attualmente.

 
  
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  Brice Hortefeux (PPE), per iscritto. (FR) La ricerca e lo sviluppo svolgono un ruolo rilevante per l’ammodernamento delle nostre economie e il rafforzamento della nostra competitività. Con un bilancio di 54 miliardi di euro per il periodo 2007-2013, il Settimo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo è il programma di sostegno alla ricerca più grande al mondo.

L’adozione della relazione a grande maggioranza è una dimostrazione del forte interesse del Parlamento europeo per il successo tanto di questo programma quanto di quelli che seguiranno. Occorrono ulteriori sforzi per garantire una sana gestione del denaro pubblico ed evitare un’eccessiva dispersione dei finanziamenti, dei quali potrebbero profittare anche progetti non molto efficienti o non rispondenti alle nostre necessità.

Per garantire il futuro della ricerca europea sarà necessario semplificare le modalità di attuazione dei programmi, facilitare l’accesso ai finanziamenti e la partecipazione delle piccole e medie imprese; più di tutto, però, dovremo adeguare le nostre priorità alle grandi sfide sociali (l’invecchiamento della popolazione, il cambiamento climatico, eccetera).

È mia convinzione che l’Unione europea debba svolgere un ruolo di guida nell’elaborazione di grandi programmi di ricerca e che possa apportare un reale valore aggiunto consolidando lo spazio europeo della ricerca. Per questi motivi ho deciso di appoggiare pienamente la relazione.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della risoluzione perché in essa si chiede che l’attuazione del Settimo programma quadro nei suoi ultimi anni di validità (2011-2013) tenga conto delle differenti ripercussioni della crisi economica nei singoli Stati membri, alla luce delle notevoli somme (28,8 miliardi di euro in tre anni) che restano ancora da programmare, degli obiettivi da conseguire nel quadro della strategia Europa 2020 e della preparazione dello spazio europeo della ricerca e dell’Unione dell’innovazione. In particolare, la risoluzione chiede l’adeguamento degli obiettivi del Settimo programma quadro alle strategie comunitarie in materia di efficienza energetica, materie prime e agenda digitale. Gli importi restanti non devono essere distratti dalla ricerca e utilizzati per altri programmi o altri strumenti che non rientrano nel settore della ricerca e dell’innovazione né negli obiettivi e nell’ambito di applicazione del Settimo programma quadro. C’è l’esigenza di aumentare, stimolare e garantire i finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo nell’Unione europea attraverso un significativo incremento della relativa spesa a partire dal 2013, perché tale aumento dei finanziamenti (idealmente, attraverso un incremento del bilancio) deve promuovere la crescita sostenibile e la competitività attraverso l’eccellenza. L’aumento dei finanziamenti deve essere accompagnato da un approccio più orientato al risultato e alla prestazione, nonché da una radicale semplificazione delle procedure di finanziamento. Credo che dobbiamo appoggiare un’ulteriore collaborazione tra i diversi programmi comunitari nel campo della ricerca, dello sviluppo tecnologico e dell’innovazione, e penso che la continuità del programma futuro, una volta attuato, sia importante per tutti i soggetti interessati.

 
  
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  Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto.(PL) A causa del rapido invecchiamento della popolazione europea è necessario trovare soluzioni innovative in aree diverse, al fine di garantire un funzionamento efficiente nonostante il calo della forza lavoro. Sfide analoghe sono poste dal cambiamento climatico, dall’imprevista scarsità di materie prime e da minacce di tipo biologico, come, per esempio, i recenti casi riguardanti la presenza del batterio E.coli nella verdura. Per risolvere problemi così insoliti dobbiamo investire nella scienza e nello sviluppo tecnologico. Nonostante le numerose discussioni che abbiamo avuto su questo tema, le misure adottate in Europa sono state, purtroppo, inefficaci, a dispetto dei rischi cui sono esposti il nostro continente e la nostra economia. L’economia europea non soltanto non è autosufficiente, ma ha anche a che fare con il ruolo dominante delle economie cinese, indiana e brasiliana, che si stanno sviluppando a una velocità straordinaria. Gli aiuti finanziari e la semplificazione delle procedure legislative per lo sviluppo scientifico dovrebbero essere una priorità dell’Unione europea. Restare fermi significa arretrare.

 
  
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  Krišjānis Kariņš (PPE), per iscritto. (LV) Appoggio la relazione sulla revisione intermedia del Settimo programma quadro dell’Unione europea per le attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione perché credo che essa rifletta correttamente sia i risultati ottenuti sia i problemi esistenti. L’Unione europea possiede il potenziale per diventare leader mondiale nel campo dell’innovazione e delle invenzioni. In tal modo si darebbe nuovo slancio alla nostra crescita economica e si migliorerebbero le condizioni di vita dei nostri cittadini. Abbiamo la capacità di raggiungere questo obiettivo adottando una serie di misure a livello interno; la più importante di esse è la riduzione degli ostacoli burocratici. Per poter diventare una cittadella dell’innovazione, dobbiamo eliminare la burocrazia che impedisce ai ricercatori e agli imprenditori di usufruire dei finanziamenti. Appesantita com’è dal vecchio, rigido sistema burocratico che ostacola lo sviluppo di imprese nuove e dinamiche, l’Unione europea non riuscirà a conseguire l’obiettivo di investire entro il 2020 il 3 per cento del prodotto interno lordo nella ricerca e nell’innovazione. L’Unione deve stare al passo con i tempi e disfarsi delle catene della burocrazia. Tale approccio va tradotto in pratica a cominciare dal programma di ricerca, che è una fonte di finanziamento per nuove invenzioni, per la realizzazione di nuove idee e la creazione di nuovi posti di lavoro.

 
  
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  Paweł Robert Kowal (ECR), per iscritto.(PL) Il paragrafo 27 della relazione contiene informazioni non veritiere. L’affermazione secondo cui i siti web e i sistemi di computer individuali sarebbero monitorati costantemente da INDECT è falsa, come conferma la revisione etica condotta su tale progetto a Bruxelles il 15 marzo 2011 con la partecipazione di esperti provenienti da Austria, Francia, Paesi Bassi, Germania e Regno Unito. La revisione etica del progetto INDECT ha avuto un esito positivo e non sono state riscontrate violazioni degli aspetti etici del progetto. La Commissione europea ha sottoposto INDECT a costante monitoraggio sin dal suo avvio e finora non ha accertato alcuna violazione. Inoltre, questo tema risulta fuori luogo rispetto alla relazione nel suo complesso, e il riferimento specifico al progetto INDECT rimane isolato perché non vengono citati altri progetti simili che godono di finanziamenti comunitari.

Lo scopo principale del progetto INDECT (sistema informativo intelligente che supporta l’osservazione, la ricerca e l’investigazione per garantire la sicurezza dei cittadini in ambiente urbano), che viene attuato dall’Università della scienza e della tecnologia AGH di Cracovia, è di sviluppare la ricerca nelle tecnologie dell’informazione per accrescere la sicurezza dei cittadini nelle aree urbane. In particolare, il sistema INDECT mira a individuare i pericoli monitorando, tra l’altro, materiale pornografico, il commercio di armi e il traffico di droga e organi umani e ha il compito di proteggere i dati e la vita privata.

 
  
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  Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, il settimo programma quadro della Comunità europea per le attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione (7° PQ) rappresenta il più vasto strumento di sostegno alla ricerca a livello mondiale e costituisce il principale strumento della politica di ricerca dell'UE. Gli interventi finora posti in essere per lo sviluppo delle conoscenze nei più svariati campi dimostrano la necessità ancora più stringente di procedere verso la divulgazione delle innovazioni e l'implementazione delle stesse nella vita quotidiana di ognuno di noi. Proprio la vicinanza di tale strumento alle attività umane quotidiane mi ha visto favorevole alla relazione del collega Audy, con l'auspicio che le future politiche per l'innovazione sfruttino al meglio le sinergie nell'intera catena del valore della R&S. Attualmente il 7° Programma Quadro, principalmente finalizzato alla ricerca e allo sviluppo tecnologico, è l'unico strumento per raggiungere gli obiettivi fissati nell'«Unione dell'innovazione» e per accelerare la trasformazione dell'Europa in una società basata sulla conoscenza. Pensare al futuro dell'innovazione significa creare posti di lavoro, sfruttare il capitale della ricerca e tradurla in prassi applicate alla vita reale e valorizzare il potenziale delle risorse umane, assolutamente fattori da includere nel prossimo Programma Quadro.

 
  
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  Agnès Le Brun (PPE), per iscritto.(FR) Dal 2007 ad oggi l’Unione europea ha speso ogni anno oltre 6 miliardi di euro per finanziare la ricerca e lo sviluppo nel nostro continente. In questo settore, l’Europa si troverà di fronte a una grande sfida nei decenni a venire, considerato che è in ritardo rispetto agli Stati Uniti e sta per essere raggiunta a grandi passi dai paesi emergenti. Deve pertanto affrettarsi a rimettere l’innovazione al centro del proprio modello sociale. La relazione dell’onorevole Audy trae insegnamento dalla prima parte del programma quadro per la ricerca. Per raggiungere gli obiettivi della strategia Europa 2020, propone che la seconda parte del programma si concentri sulle sfide più urgenti per l’Unione all’interno dei settori definiti nel capitolo Cooperazione del Settimo programma quadro: sanità, prodotti alimentari e biotecnologie, tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nanoscienze e nanotecnologie, energia, piano SET e utilizzo di biogas, ambiente, trasporti sostenibili, scienze sociali, scienze economiche e umanistiche, spazio e sicurezza. Ho votato per la relazione perché essa non si limita a compiere una valutazione della situazione, ma anche pone all’Unione obiettivi ambiziosi che corrispondono alle aspettative dei cittadini europei.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Il Settimo programma quadro offre all’Unione europea l’opportunità di adeguare la propria politica di ricerca alle proprie ambizioni economiche e sociali, in particolare consolidando lo spazio europeo della ricerca (SER). Forte di un bilancio di circa 54 miliardi di euro per il periodo 2007-2013, il Settimo programma quadro è diventato, nel corso degli anni, uno dei più grandi programmi di sostegno alla ricerca che ci siano al mondo ed è lo strumento principale della politica di ricerca dell’Unione europea. Sono stati fissati quattro obiettivi centrali che corrispondono a quattro programmi specifici mirati a strutturare lo sforzo europeo della ricerca: il programma Cooperazione, il programma Idee, il programma Persone e il programma Capacità. Lo scopo è di mettere l’Unione europea in grado di reagire alle grandi sfide sociali che preoccupano tutti gli Stati membri e alle quali essi non sono in grado di dare risposta da soli (invecchiamento della popolazione e sanità, approvvigionamento energetico, idrico e alimentare, sviluppo sostenibile, cambiamento climatico, eccetera), nonché di sviluppare la conoscenza per permettere alle nostre imprese di diventare più innovative e più competitive.

 
  
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  Clemente Mastella (PPE), per iscritto. − Il 7° Programma quadro di Ricerca e Sviluppo Tecnologico è diventato nel corso degli anni uno dei più importanti programmi di sostegno al mondo e costituisce il principale strumento della politica di ricerca dell'Unione Europea. Dopo il fallimento della cosiddetta "Strategia di Lisbona" che prevedeva entro il 2010 per l'UE un'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, si è deciso di esaminare se la revisione del 7° PQ sia un'opportunità per consolidare il triangolo d'oro: conoscenza, istruzione, ricerca. Riteniamo che il 7° PQ sia un'occasione per l'UE di porre la sua politica di ricerca all'altezza delle sue ambizioni economiche e sociali consolidando in particolare lo Spazio europeo della ricerca (SER). E' necessario, inoltre, che le politiche di ricerca e sviluppo siano territorializzate e che l'Unione adotti un piano europeo ambizioso di ricerca in materia di tecnologia della difesa, rafforzando la base industriale e tecnologica del settore e migliorando l'efficacia della spesa pubblica militare. Concordiamo, infine, con la Commissione per i bilanci che ritiene che la progettazione e la realizzazione di tutti i PQ debbano essere basate sui principi di semplicità, stabilità, certezza giuridica, coerenza, eccellenza e fiducia, rafforzando i legami tra istituti di ricerca e industria europei.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Il Settimo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico è il più grande strumento finanziario della Commissione europea di sostegno e promozione delle attività di ricerca. Ha una dotazione di bilancio pari a 50 miliardi di euro per il periodo 2007-2013. La relazione indica come gestire questo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico: esso va collegato alla strategia Europa 2020 ma anche all’iniziativa Unione dell’innovazione e le sue finalità principali devono essere il cambiamento climatico, la politica energetica, la competitività e l’invecchiamento della popolazione. Se conseguiremo questi obiettivi, sono certo che entreremo in un nuovo ciclo economico di crescita.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (EN) Il Settimo programma quadro comunitario mira a creare uno spazio europeo della conoscenza fondato sui risultati ottenuti da programmi precedenti, nonché a realizzare ulteriori ricerche al fine di rafforzare i fattori socioeconomici dello sviluppo dell’Europa. La ricerca scientifica è uno dei fondamenti della strategia europea per lo sviluppo economico e garantisce competenza, sviluppo dell’area sociale e tutela dell’ambiente. Per questi motivi ho votato a favore.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Il Settimo programma quadro non riguarda soltanto la ricerca in generale bensì anche un campo di ricerca specifica al quale dovremmo tutti riservare particolare attenzione dopo il disastro di Fukushima. Si tratta del finanziamento del programma Euratom. Che senso ha utilizzare reattori produttivi se poi collassano sotto l’urto di masse d’acqua e di terremoti? Che senso ha utilizzare la centrale nucleare più produttiva che esista se poi basta un piccolo errore per rendere inabitabili per decenni non solo l’area immediatamente circostante ma ampie zone di territorio? È importante che ci concentriamo maggiormente sulla sicurezza nucleare e portiamo avanti lo sviluppo di fonti energetiche alternative. Ora che il programma di ricerca Euratom sarà esteso al periodo 2012-2013, dobbiamo guardare agli eventi di Fukushima come a un’occasione di ripensamento. Dobbiamo concentrarci maggiormente sulla protezione dalle radiazioni e sullo stoccaggio finale. È una questione di vita o di morte non insistere sulle stesse priorità, cioè l’espansione dell’energia nucleare, ma preoccuparsi invece degli aspetti della sicurezza. L’attuale programma di ricerca non è, ovviamente, toccato da tali considerazioni; ne ho tenuto conto al momento del voto.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. (DE) Da quando sono deputato al Parlamento, in numerose occasioni mi sono impegnato a favore della sicurezza nucleare nell’Unione europea. Non è possibile trattare con leggerezza, con la scusa della protezione dell’ambiente, una tecnologia di produzione dell’energia così rischiosa, che comporta pericolosi prodotti secondari e, in caso di fusione nucleare, può avere conseguenze fatali tanto per gli esseri umani quanto per la natura. Purtroppo, il Settimo programma quadro prevede anche finanziamenti per la ricerca nel campo dell’energia nucleare. Nella relazione, però, si chiedono norme più severe per il programma comunitario INDECT e si afferma che la Commissione europea dovrebbe pubblicare immediatamente tutti i documenti progettuali e definire un mandato chiaro e preciso per l’obiettivo della ricerca, l’applicazione e gli utilizzatori finali di INDECT. Questo è un primo successo perché i diritti dei cittadini comunitari vengono presi in seria considerazione, se non altro a un livello elementare. Dopo aver ponderato le varie questioni, ho deciso di astenermi dal voto.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Cari colleghi, ho espresso il mio voto favorevole alla relazione del collega Audy perché al fine di raggiungere e allinearsi agli obiettivi della Strategia Europa 2020 il Settimo Programma Quadro necessita di una revisione completa. Il bisogno di una revisione delle priorità é stato dato da una valutazione intermedia negativa; mi trovo perciò d'accordo nel riformulare gli obiettivi principali, sottolineando l'esigenza di una politica di ricerca più efficace che elimini le gravosità delle procedure amministrative e preveda una maggiore partecipazione delle PMI, innovazione e integrazione dei finanziamenti. Con queste modifiche si auspica la buona riuscita dei progetti della seconda fase del 7° Programma Quadro.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Questa relazione sulla revisione intermedia del Settimo programma quadro dell’Unione europea per le attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione si fonda sulla premessa di riconciliare l’opinione pubblica con la scienza. La strategia di Lisbona ha posto all’Unione europea un obiettivo ambizioso: diventare entro il 2010 l’economia fondata sulla conoscenza più dinamica e competitiva al mondo. La strategia aveva riconosciuto il ruolo centrale svolto dalla ricerca, ma tale auspicio non si è realizzato, per una serie di motivi. Il decennio 2000-2010, che si è concluso con una crisi economica di gravità estrema, sarà oggetto di valutazioni future. Per adesso è importante, e qui condivido il parere del relatore, analizzare il lavoro fatto e riorganizzare il lavoro futuro. Il Settimo programma quadro costituisce un’altra occasione per l’Unione europea di armonizzare la propria politica di ricerca con le ambizioni economiche e sociali, non da ultimo consolidando lo spazio europeo della ricerca. Il Settimo programma quadro è uno dei programmi di sostegno alla ricerca più grandi al mondo e costituisce il principale strumento della politica comunitaria per la ricerca. I programmi specifici esistenti, come il programma Cooperazione, il programma Idee, il programma Persone e il programma Capacità, possono e devono permettere lo sviluppo di conoscenze tali da consentire alle nostre imprese di innovarsi di più e di rafforzare la loro competitività.

 
  
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  Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − Risulta necessaria una revisione del 7° PQ al fine di allineare ulteriormente tale programma agli obiettivi della strategia Europa 2020. Affinché la politica di ricerca europea risulti più competitiva e all'altezza delle sue ambizioni economiche e sociali è necessario adattare il 7° PQ a quattro grandi obiettivi: promuovere la semplificazione dei programmi quadro di ricerca eliminando la gravosità delle procedure amministrative; migliorare la partecipazione delle PMI; rafforzare la dimensione dell'innovazione; perseguire ed intensificare il meccanismo di finanziamento con ripartizione del rischio.

Inoltre bisogna porre l’accento sull’importanza della collaborazione tra il mondo accademico, gli enti pubblici di ricerca e il "settore industriale". Dobbiamo porre un'ulteriore attenzione alle proposte concernenti collaborazioni di ricerca tra il settore pubblico e quello industriale, agevolare la collaborazione tra le reti di PMI, le università e gli enti pubblici di ricerca, includere tra i principali parametri nella scelta dei progetti del 7° PQ anche la valutazione del possibile impatto sul mercato, il trasferimento tecnologico e lo sfruttamento commerciale dei risultati di ricerca. Per questi motivi e affinché l'UE si renda più competitiva nel campo della ricerca, senza dover attendere l'8° PQ esprimo il mio voto favorevole per una revisione del 7° PQ.

 
  
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  Vincent Peillon (S&D), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della relazione Audy sulla revisione intermedia del Settimo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo. Con questo documento, il Parlamento europeo conferma il proprio sostegno a tale programma, che è di importanza vitale per sviluppare la ricerca europea e migliorare la competitività delle nostre imprese. Il programma rende le nostre imprese più concorrenziali e appoggia la creazione di un sistema di finanziamento permanente, che è essenziale per poter conseguire risultati. La relazione, poi, contiene proposte specifiche per porre rimedio ai punti deboli del programma e sottolinea, giustamente, la necessità di semplificare le procedure di finanziamento e ottimizzare gli strumenti esistenti, per facilitare l’accesso delle piccole e medie imprese. Infine, la relazione ci ricorda che la Commissione europea deve garantire che la promozione dell’innovazione non metta in pericolo i progressi compiuti nel settore della ricerca di base.

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto. (EN) La relazione valuta se la revisione del Settimo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico possa offrire l’occasione per consolidare il triangolo d’oro formato da conoscenza, istruzione e ricerca, che è l’elemento chiave del futuro dell’Europa. Prendo atto con piacere del grado di partecipazione e di eccellenza nella selezione dei progetti, però deploro che il tasso di successo generale del programma rimanga piuttosto basso e agisca da disincentivo, specialmente nei confronti delle piccole e medie imprese. Nel contesto del capitolo Persone, appoggio le azioni Marie Curie, che sono molto importanti per la carriera dei ricercatori, e riconosco che le iniziative tecnologiche congiunte contribuiscono alla competitività dell’industria europea.

 
  
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  Phil Prendergast (S&D), per iscritto. (EN) Alla luce della crisi economica che l’Unione europea sta attraversando, è essenziale individuare le aree delle nostre attività che possono aiutarci a superare le difficoltà. La ricerca e l’innovazione sono fattori centrali per garantire una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva; quindi, investire in ricerca e sviluppo è la risposta migliore possibile. Visti i numerosi cambiamenti politici ed economici intervenuti dopo l’adozione del Settimo programma quadro, è diventato necessario adeguarlo alla nuova realtà. Considerata l’importanza delle industrie fondate sulla conoscenza per l’Europa e il settore della ricerca e dello sviluppo, che è in crescita, non possiamo permetterci di attendere l’entrata in vigore dell’ottavo programma quadro. La strategia di Lisbona, secondo la quale saremmo dovuti diventare entro il 2010 l’economia fondata sulla conoscenza più competitiva al mondo, può anche aver fallito, ma ciò non vuol dire che dovremmo abbandonarla completamente. Dobbiamo continuare a lavorare per conseguire questo obiettivo modificando il Settimo programma quadro. In tale contesto, dobbiamo affrontare un problema grave, cioè l’incapacità di finanziare, nell’ambito del Settimo programma quadro, la ricerca nel campo della salute materno-infantile. Ogni anno nascono quasi 400 000 bambini prematuri, eppure non sono previsti finanziamenti per la ricerca in questo campo. Il parto prematuro è la prima causa di morte in età infantile e i bambini prematuri hanno molte più probabilità di sviluppare malattie croniche.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) Il Settimo programma quadro dell’Unione europea per le attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione va valutato tenendo presente la situazione attuale nell’Unione europea, ma in un’ottica futura. Il relatore sottolinea giustamente che non è stato raggiunto l’obiettivo, stabilito dal Consiglio europeo nel 2000, di diventare entro il 2010 la principale economia del mondo fondata sulla conoscenza. Pur non essendo stato conseguito entro la scadenza fissata, questo obiettivo rimane, nondimeno, lo scopo precipuo della nostra azione comune. Pertanto, la valutazione del programma quadro può svolgere un ruolo significativo a tale riguardo: può, in altri termini, cercare di contrastare gli ostacoli alla crescita dell’economia europea che stanno emergendo, in particolare rendendo meno burocratiche le procedure di accesso ai programmi di sostegno alla ricerca.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore di questa relazione, già adottata all’unanimità dalla commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, che accoglie le raccomandazioni del gruppo di esperti e individua ulteriori ambiti di miglioramento dei vari strumenti comunitari per la ricerca. Citerò alcuni esempi: accesso più ampio e diffusione dei risultati della ricerca, più vaste richieste nel settore delle scienze socio-economiche, maggiore collaborazione nella ricerca, attività volte a migliorare la mobilità dei ricercatori, un maggior numero di azioni per le piccole e medie imprese innovative, migliore coordinamento con gli Stati membri. La relazione non tratta la questione degli investimenti per i progetti ITER e Galileo. Per quanto riguarda gli aspetti negativi della relazione, va rilevato che, in parte, essa è troppo attenta al ruolo economico e alla competitività della ricerca e dell’innovazione, e troppo poco ai benefici che la ricerca e l’innovazione possono apportare alla società nel suo complesso.

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. − La ricerca è elemento essenziale del mondo della conoscenza e costituisce un'attività destinata a rafforzare la crescita e l'occupazione dell'Unione europea in un’economia globalizzata. Il Settimo programma quadro di ricerca è per l'Unione Europea una buona opportunità di sviluppare la politica di ricerca, consolidando al tempo stesso lo Spazio europeo della ricerca (SER). Mediante questo programma l'Europa mira a soddisfare le esigenze in termini di ricerca e di conoscenza dell'industria e più in generale delle politiche europee.

Con l'adozione della relazione odierna il Parlamento europeo sottolinea i risultati raggiunti dal programma di ricerca in questi primi 4 anni. Per conseguire maggiori e migliori risultati in futuro sarà necessario semplificare l'iter amministrativo, favorire la partecipazione delle PMI, sostenere l'innovazione e adottare meccanismi di finanziamento con ripartizione del rischio. L'UE e gli Stati membri sono inoltre invitati ad adottare un piano ambizioso di ricerca con l'obiettivo di consolidare l'industria europea della difesa.

 
  
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  Nikolaos Salavrakos (EFD), per iscritto.(EL) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Audy perché ritengo che gli investimenti nel settore della ricerca e dell’innovazione siano fondamentali per la competitività, la crescita e la creazione di posti di lavoro nell’Unione europea. Ritengo che la revisione di medio termine del Settimo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo per il periodo 2007-2013 sia particolarmente proficua nell’ottica di trarre conclusioni utili e basate su una valutazione della situazione attuale. Accolgo con favore la proposta del relatore di semplificare le procedure di finanziamento, adottare un approccio mirato alla prestazione e applicare ai finanziamenti comunitari i criteri dell’eccellenza e del valore aggiunto europeo. Quello della ricerca è il settore che può conferire all’Unione il massimo valore aggiunto. I bilanci pubblici sono stati tagliati e i fondi privati, in quanto tali, dovrebbero essere utilizzati per finanziare il futuro ottavo programma quadro per la ricerca. Approvo, pertanto, la proposta del relatore di aumentare la partecipazione dei gruppi industriali e delle piccole e medie imprese.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto.(PL) Sono passati quattro anni dall’introduzione del Settimo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico. Nel contesto di una situazione economica globale in cambiamento e in un momento in cui l’Europa sta lentamente cercando di uscire dalla crisi economica, appare sempre più evidente che il programma era stato messo in atto per risolvere problemi legittimi e significativi. La concorrenza mondiale da parte di grandi potenze economiche – Cina, India e Brasile – ci costringe a prendere misure speciali, mirate a ottenere un vantaggio tecnologico che ci permetta di attuare in maniera efficace la strategia comunitaria prevista. I giusti investimenti nella ricerca e nello sviluppo scientifico si tradurranno nella costruzione, a lungo termine, di una società della conoscenza, che rappresenta uno degli elementi più importanti del potere economico. La relazione sfiora la questione chiave del grado insufficiente di collaborazione e scambio di informazioni tra gli Stati membri, che si traduce nella duplicazione di progetti individuali. Un’altra questione allarmante è la partecipazione non uniforme degli Stati membri, che crea maggiori squilibri in un’area così importante come quella della ricerca e dello sviluppo tecnologico. Tutto ciò è in totale contrasto con gli obiettivi del Settimo programma quadro.

A causa della crisi economica, alcuni Stati membri non dispongono più di molte opportunità per sostenere il programma, e tale fatto mette a rischio la capacità dell’Unione europea di scegliere accuratamente i progetti che hanno bisogno di sostegno e di concedere loro gli aiuti necessari. L’attuazione del programma durerà altri due anni e il livello degli impegni di bilancio non ha superato il 50 per cento (dei 54 miliardi di euro stanziati per il periodo 2007-2013); pertanto, dovrebbe essere più facile coinvolgere gli enti competenti e rendere possibile un impiego quanto più appropriato possibile dei fondi disponibili.

 
  
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  Catherine Stihler (S&D), per iscritto. (EN) Appoggio il lavoro compiuto dal relatore per preparare questo documento. Condivido le sue preoccupazioni sul fatto che la comunicazione della Commissione sia stata presentata così in ritardo rispetto ai tempi promessi. Il Settimo programma quadro ha prodotti alcuni risultati eccellenti e trovo incoraggiante l’opera svolta dal relatore per completare il triangolo d’oro.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. (PT) Il Settimo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo scientifico è il maggiore strumento finanziario della Commissione europea di sostegno e promozione delle attività di ricerca e conta su una dotazione di bilancio pari a 50 miliardi di euro per il periodo 2007-2013. La relazione sottolinea che il Settimo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico deve essere collegato alla strategia Europa 2020 e all’iniziativa faro Unione dell’innovazione e dovrebbe concentrarsi, fino alla scadenza, sulle tematiche del cambiamento climatico, della politica energetica, della competitività e dell’invecchiamento della popolazione.

Voto a favore della relazione perché ritengo che solo potenziando la propria politica per la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione l’Unione europea potrà diventare più competitiva e assumere un ruolo sempre più trainante a livello globale. Reputo altresì importante che il Settimo programma quadro contribuisca alla creazione dello spazio europeo della ricerca, ai sensi dell’articolo 179, paragrafo 1, del titolo XIX del trattato sull’Unione europea.

 
  
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  Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. (LT) La ricerca e l’innovazione sono importanti al fine di garantire una crescita sostenibile e inclusiva in Lituania. Sulla scorta dei dati forniti dalla Banca mondiale, la Lituania possiede un grande potenziale che le può permettere di diventare un’economia dinamica fondata sulla conoscenza. Ma dallo studio emerge anche che nel settore della ricerca e dello sviluppo il mio paese deve scontrarsi con problemi di tipo manageriale, strutturale e normativo. Dobbiamo superare questi ostacoli se vogliamo compiere progressi reali. Tale situazione, inoltre, comporta problemi anche per l’Europa. In Europa, le spese per la ricerca e lo sviluppo sono basse rispetto a quelle di altre potenze globali a causa della mancanza di investimenti privati e di condizioni favorevoli all’innovazione. Concordo con il relatore quando afferma che abbiamo veramente bisogno di un migliore coordinamento dei progetti di ricerca e del cofinanziamento all’interno dell’Unione. Inoltre, è necessario ammodernare e ampliare gli strumenti e le infrastrutture della ricerca nell’Europa centrale e orientale.

Tutto ciò stimolerà la competitività europea e contribuirà al superamento delle disparità infrastrutturali tra gli Stati membri vecchi e quelli nuovi. Credo altresì che la ricerca e lo sviluppo tecnologico debbano essere più accessibili ai comuni cittadini europei. Secondo un’indagine della Commissione europea, solo il 10 per cento degli europei pensano di essere bene informati in campo scientifico, mentre il 65 per cento ritengono che i governi dovrebbero impegnarsi maggiormente per interessare i giovani alle materie scientifiche. Noi dovremmo fare lo stesso.

 
  
  

Proposta di risoluzione (B7-0344/2011)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto.(PT) Voto a favore della presente risoluzione perché ritengo vi sia una grande necessità di un accordo economico globale, che sia in grado di consolidare le già forti relazioni bilaterali esistenti in termini di scambi economici e investimenti. Ciononostante, ritengo che l’accordo debba essere equilibrato e che debba promuovere scambi commerciali equi. Nonostante l’ampio consenso a favore di un accordo ambizioso, ritengo esso non debba avere ripercussioni sui servizi pubblici o sul diritto dell’Unione europea di legiferare nel quadro della direttiva relativa alla qualità dei combustibili. Inoltre, l’accordo dovrebbe presentare un obiettivo ambizioso di sviluppo sostenibile con parametri sociali e ambientali giuridicamente vincolanti.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della presente risoluzione in materia di relazioni commerciali tra Unione europea e Canada. Il Canada è uno dei partner è uno dei partner con il quale l'UE ha rapporti più stretti e di lunga data, essendo il primo paese industriale con cui l’Unione europea ha firmato, nel 1976, un accordo quadro di cooperazione economica e commerciale. Eppure, le relazioni economiche UE-Canada non hanno ancora raggiunto il loro pieno potenziale e ritengo che un accordo di libero scambio tra questi due paesi possa contribuire in forte misura a sviluppare questa opportunità e a coglierla, tramite il miglioramento degli scambi e dei flussi di investimenti, rimuovendo al contempo i picchi tariffari e gli ostacoli non tariffari ingiustificati e sostenendo una più stretta cooperazione, in particolare nei settori della regolamentazione, della mobilità lavorativa e del riconoscimento delle qualifiche. Accolgo con soddisfazione un accordo con il Canada che vada oltre gli impegni assunti nel quadro dell'OMC e che sia complementare alle norme multilaterali, purché i negoziati sfocino in un accordo equilibrato, ambizioso e di elevata qualità che si spinga ben oltre le riduzioni tariffarie e che vengano applicati altri strumenti. Dovrebbe essere applicato, per esempio, il principio di reciprocità nel quadro dei mezzi di ricorso giuridico disponibili in caso di controversie commerciali ed è necessario migliorare la protezione dei diritti di proprietà intellettuale, compresi i marchi commerciali, i brevetti e le indicazioni geografiche.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto.(FR) Votando a favore della presente risoluzione sugli attuali negoziati commerciali tra Unione europea e Canada, desidero ribadire l’importanza del commercio internazionale (anche con il Canada) per lo sviluppo delle nostre economie. Come indicato dalla risoluzione, sebbene l’Europa debba continuare a privilegiare il sistema commerciale internazionale, ossia il Ciclo di Doha per lo sviluppo, gli attuali negoziati con il Canada possono completare l’approccio internazionale attraverso un approccio bilaterale, ugualmente necessario. Pertanto, attraverso discussioni e negoziati, riusciamo a trovare soluzione a questioni in materia di commercio e di rispetto di determinati principi, ad esempio legati all’ambiente. Eppure, in qualità di vicepresidente del gruppo di lavoro sui servizi pubblici, sono preoccupata dall’approccio scelto per detto settore. Infatti, adottando una “lista negativa” (una lista che esclude alcuni servizi pubblici dal processo di liberalizzazione) e non, al contrario, una “lista positiva” (esenzione dei servizi pubblici dalla liberalizzazione, salvo quelli indicati nella lista), si rischia un indebolimento dei servizi pubblici. Pertanto, la presente risoluzione esorta la Commissione europea ad abbandonare il suddetto approccio.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della presente risoluzione. Il Canada è uno dei partner con il quale l'Unione europea ha rapporti più stretti e di lunga data, essendo il primo paese industriale con cui l'UE ha firmato, nel 1976, un accordo quadro di cooperazione economica e commerciale. Nel corso degli anni sono stati firmati vari accordi bilaterali destinati a rafforzare le relazioni commerciali e, attualmente, l’Unione è il secondo maggiore partner commerciale del Canada e la seconda fonte di investimenti diretti esteri. Concordo sul fatto che le relazioni economiche UE-Canada non abbia ancora raggiunto il loro pieno potenziale. L’accordo di libero scambio in programma potrebbe apportare un contributo significativo alla promozione del partenariato economico tra UE e Canada e invierebbe un potente segnale a favore della crescita a investitori e imprese nell'UE e in Canada.

 
  
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  Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. (FR) Mentre è in fase di negoziazione un accordo commerciale tra Unione europea e Canada, il Parlamento europeo, attraverso la risoluzione che abbiamo appena adottato, esprime la propria preoccupazione per l’approccio della Commissione in materia di servizi pubblici. La Commissione, responsabile della negoziazione del presente accordo, sembra voler includere tutti i servizi a priori. Negoziando un elenco negativo di servizi esclusi dagli accordi di libero scambio, la Commissione, qualora fosse confermato, invertirebbe la logica adottata fino ad oggi. Eppure, i servizi pubblici sono diversi dagli altri servizi, perché garantiscono coesione sociale e territoriale, nonché un sostegno fondamentale alle popolazioni vulnerabili e possiedono, pertanto, caratteristiche specifiche dell’interesse generale che perseguono. É dunque fondamentale mantenere un approccio che tuteli detti servizi, in particolar modo dalla concorrenza internazionale.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. (IT) Le relazioni con il Canada sono da tempo proficue per ambo le parti, e dal punto di vista commerciale si tratta di un rapporto di mutuo interesse e di buona cooperazione. Nonostante si tratti di un Paese avanzato, in cui pochi dubbi si possono sollevare sul grado di rispetto dei diritti sociali e degli standard più evoluti dal punto di vista ambientale, la Commissione, prima ancora che il Parlamento, ha improntato una base negoziale con le autorità omologhe canadesi che tocca nello specifico molti punti e questioni che devono incontrare la nostra soddisfazione.

Il mio voto è favorevole ad una risoluzione che riguarda un capitolo dell’agenda politica commerciale europea che dovrebbe essere presa a modello quando si va a trattare con paesi, come l’India, la Cina, il Pakistan, che certamente non garantiscono come il Canada né il rispetto della concorrenza su basi di lealtà né tantomeno il rispetto di diritti sociali e degli standard ambientali. Quando andiamo a negoziare con questi paesi, dovremmo ricordarci quanto precisi e puntuali siamo stati con realtà civilissime come il Canada e adottare la stessa lineare e aperta condotta in difesa dei nostri interessi.

 
  
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  John Bufton (EFD), per iscritto. (EN) Ho votato contro la relazione commerciale tra Unione europea e Canada, poiché ritengo che qualsiasi accordo commerciale potrebbe compromettere i negoziati del Commonwealth tra Regno Unito e Canada. Sebbene non vi siano ragioni per le quali Unione europea e Canada non possano commerciare liberamente, precedenti normative hanno dimostrato che l’ambizione europea, invece di stabilire relazioni commerciali parallele con paesi terzi, mira a usurpare il ruolo del Regno Unito.

 
  
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  Alain Cadec (PPE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della risoluzione sulle relazioni commerciali UE-Canada volta alla creazione dell’accordo economico e commerciale globale. Il Canada è un importante partner commerciale per l’Unione europea: negli ultimi dieci anni, gli investimenti canadesi in Europa sono quasi raddoppiati, raggiungendo i 119,5 milioni di euro nel 2009. É pertanto necessario creare un quadro giuridico avanzato per garantire un impatto positivo sulla crescita. Desidero sottolineare la questione dell’accesso al mercato per i prodotti agricoli. Le norme in materia di origine differiscono tra Canada e Unione europea e la Commissione deve garantire la tutela degli interessi e delle priorità dell’agricoltura europea. In particolare, è necessario trovare una soluzione soddisfacente al problema delle norme in materia di origine affinché i prodotti di altri membri dell’accordo nordamericano di libero scambio (NAFTA) non seguano la scia dei prodotti canadesi.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto.(PT) Il sistema di commercio multilaterale, basato su norme e creato dall’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), continua a essere il mezzo più adeguato per regolare e promuovere un commercio equo e aperto. Ad ogni modo, considerando la relazione commerciale di lunga data e di successo tra Canada e Unione europea, sono a favore di un accordo che trascenda gli impegni assunti nel quadro dell’OMC e che sia complementare alle norme multilaterali, al fine di raggiungere il massimo potenziale della cooperazione fra le due potenze.

 
  
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  George Sabin Cutaş (S&D), per iscritto. (RO) Ho votato a favore della risoluzione sulle relazioni commerciali UE-Canada perché sottolinea la necessità di includere le questioni ambientali e sociali nel futuro accordo commerciale ed economico tra Unione europea e Canada. Per quanto concerne la tutela ambientale, è importante che l’Unione europea rifiuti di importare petrolio estratto da sabbia bituminosa.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. (FR) Nell’ambito delle negoziazioni sull’accordo commerciale tra Unione europea e Canada, la Commissione deve rispettare le richieste del Parlamento europeo. In un accordo di libero scambio, due sono i punti fondamentali: in primo luogo, garantire la reciprocità nel rispetto delle normative sociali e ambientali; in secondo luogo, adottare un approccio coerente e a tutela dei servizi di interesse generale. Le norme ambientali e sanitarie europee non devono essere riviste al ribasso per soddisfare il nostro partner. La Commissione europea deve riflettere sulle conseguenze della propria scelta di includere automaticamente tutti i servizi. Sebbene questo metodo consenta di escludere, caso per caso e su richiesta degli Stati membri, alcuni servizi pubblici, creando un elenco negativo, essa presenta il rischio di potenziali omissioni. Il Parlamento non desidera che questo nuovo modello di negoziati stabilisca un precedente giuridico. Finora, la Commissione ha negoziato gli accordi di libero scambio fornendo un elenco positivo, indicando uno a uno i servizi interessati dall’accordo. Questo metodo, comunemente utilizzato nel commercio internazionale, permette di tutelare in modo migliore alcuni settori sensibili per l’Unione e dovrebbe, pertanto, essere l’unico utilizzato dalla Commissione.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Il Canada e l’Unione europea condividono una serie di valori che ci rendono non soltanto partner commerciali, bensì alleati naturali nel quadro geostrategico mondiale. Su entrambe le sponde dell’Atlantico esiste un’unica civiltà che trarrebbe grandi profitti da un ulteriore rafforzamento delle relazioni tra i suoi popoli. Discorrere approfonditamente dei legami storici tra Canada ed Europa sarebbe improduttivo, così come sul contributo offerto dai cittadini canadesi nella liberazione del continente europeo nel corso delle due guerre mondiali che l’hanno devastato.

Nonostante gli ostacoli alla liberalizzazione del commercio che persistono e le riserve dell’Unione sulle pratiche vigenti in Canada, mi auguro sia possibile stabilire quanto prima le basi necessarie per un proficuo partenariato commerciale. Un accordo economico e commerciale globale tra Canada e Unione europea potrebbe divenire l’accordo più ambizioso e ampio tra quelli presenti. Mi auguro che sia così.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) La presente proposta di risoluzione è dedicata alle relazioni commerciali tra Unione europea e Canada e le negoziazioni dovrebbero concludersi alla fine del 2011. L’obiettivo della politica commerciale e di investimento dell’Unione è una crescita economica sostenibile, che generi ricchezza e posti di lavoro. Ricordiamo che la conclusione delle relazioni commerciali con i partner strategici consentirà all’Unione di ottenere un valore aggiunto dell’1 per cento del prodotto interno lordo (PIL) entro il 2020, che corrispondeva a 120 miliardi di euro nel 2010, a vantaggio di consumatori e aziende. A tal fine, senza mettere in questione il ruolo svolto dall’Organizzazione mondiale per il commercio (OMC), è fondamentale liberalizzare il commercio attraverso la conclusione di tutti i negoziati in corso nell’ambito del Ciclo di Doha per lo sviluppo, nel quale rientrano le relazioni commerciali UE-Canada. Sebbene alcune questioni restino insolute, quali l’impatto negativo sulla biodiversità delle estrazioni della sabbia bituminosa e i prodotti derivanti dalle foche, ho votato a favore poiché il problema degli appalti pubblici è praticamente risolto, tenendo conto anche dei vantaggi per gli Stati membri e con l’obiettivo di evitare ritardi nei negoziati.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Il primo considerando descrive la visione che guida la presente relazione: afferma che il sistema commerciale multilaterale istituito attraverso l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) continua a rappresentare il quadro più appropriato per regolamentare e promuovere commercio scambi commerciali equi e aperti. Prosegue invocando una conclusione positiva del Ciclo di Doha.

La visione viene sviluppata nei punti successivi della risoluzione con la quale, chiaramente, non siamo d’accordo. Non sono d’accordo nemmeno milioni di lavoratori, agricoltori, piccoli e medi imprenditori e molti altri nel mondo che, da anni, puntano il dito contro l’OMC, contro il suo obiettivo di deregolamentare commercio gli scambi commerciali e contro gli interessi che tutela: quelli delle multinazionali e dei grandi gruppi economici e finanziari, che intascano milioni sacrificando milioni di posti di lavoro e diritti sociali e dei lavoratori, distruggendo i piccoli e medi produttori e degradando l’ambiente.

L’accordo di libero scambio tra Unione europea e Canada, similmente agli altri, si occupa anche dei servizi; sono state espresse preoccupazioni giuste, sebbene incoerenti, ad esempio in materia di elenchi negativi o altro, che non eliminano le minacce che incombono sui servizi pubblici. Sono ragioni sufficienti per esprimere un voto contrario.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) L’Unione europea continua a costruire la propria politica commerciale con conseguenze che si ripercuotono in modo profondo ma differente sui vari Stati membri.

Gli accordi che esprimono concretamente questa politica si basano principalmente sul libero commercio, i cui obiettivi ed effetti sono ben sottolineati dalla retorica ad esso associata: quella dei cosiddetti “interessi offensivi”, come se parlassimo di una guerra.

In generale, si tratta di accordi che mancano, in misura sempre maggiore, di una legittimità democratica, poiché sono quasi sempre negoziati nel massimo segreto, alle spalle dei cittadini, al fine di celarne le conseguenze economiche, sociali e ambientali e di evitare una discussione informata e chiarificatrice.

I negoziati si trovano ad una fase piuttosto avanzata e se ne prospetta la conclusione nel 2011, ma ancora non sono state discusse nel dettaglio le conseguenze settoriali per paese.

Il contenuto dell’accordo, tuttavia, non è una novità: apertura dei mercati, liberalizzazione dei servizi, inclusi i servizi pubblici sempre più commercializzati, alla mercé degli interessi delle multinazionali, causando difficoltà per la popolazione.

Le conseguenze sono ben note: il dominio dei mercati da parte di un ristretto numero di persone, la distruzione dei sistemi produttivi più deboli e sempre maggiori pretesti per attaccare diritti e condizioni di vita e lavoro.

 
  
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  Monika Flašíková Beňová (S&D), per iscritto. (SK) L’Unione europea ha avviato le trattative in merito all’accordo economico e commerciale globale con il Canada nel 2009. L’accordo potenziale si occupa di vari argomenti: commercio di beni e servizi, diritti di proprietà intellettuale, appalti pubblici, cooperazione in materia di regolamentazione, investimenti, migrazione temporanea, politica di concorrenza e occupazione e norme ambientali. A mio avviso, è corretto che entrambe le parti diano priorità agli sforzi per raggiungere un accordo su numerosi temi fondamentali, quali la questione degli appalti pubblici, degli investimenti e dei servizi pubblici.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Accolgo con favore il presente documento perché Unione europea e Canada intrattengono una stretta relazione in materia di commercio e investimenti diretti esteri. Le trattative in corso per un accordo economico e commerciale globale (CETA) ambiscono a un accordo molto avanzato, superiore per ambizioni a qualsiasi altro accordo commerciale ed economico finora negoziato dall'UE o dal Canada, che possa rafforzare ancora di più le già forti relazioni bilaterali in materia di commercio e di investimenti. Sono favorevole a un accordo con il Canada che vada oltre gli impegni assunti nel quadro dell'OMC e che sia complementare alle norme multilaterali, purché i negoziati sfocino in un accordo equilibrato, ambizioso e di elevata qualità.. Reputo che, nell'ambito dei negoziati, i capitoli sull'agricoltura costituiranno una questione importante per entrambe le parti. Sono preoccupato riguardo a eventuali concessioni sostanziali in materia di OGM, latte ed etichettatura di origine. Gli interessi e le priorità dell'agricoltura, pertanto, dovrebbero essere tenuti pienamente in considerazione e l’accordo deve essere vantaggioso per i consumatori dell'Unione europea e del Canada nonché per il settore agricolo di entrambe le parti e deve assicurare, nel quadro di un risultato complessivamente equilibrato, una maggiore – seppur equa – concorrenza fra i fornitori di merci agricole dell'UE e del Canada. Accolgo con soddisfazione l’impegno iniziale di entrambe le parti a non mantenere, introdurre o reintrodurre sovvenzioni alle esportazioni agricole per i prodotti agricoli scambiati, un passo positivo a favore di negoziati ambiziosi ed equi, nonché dell'accordo a cooperare in seno ai negoziati agricoli dell'OMC.

 
  
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  Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. (DE) L’Unione europea e il Canada hanno da tempo solide relazioni commerciali. Il potenziale di cooperazione economica è tutt’altro che esaurito e accolgo con favore i negoziati sul CETA. Ad ogni modo, i progressi nei negoziati dell’OMC devono avere la priorità sugli accordi bilaterali. La risoluzione si occupa di numerosi temi importanti. Sostengo particolarmente le riserve espresse dal Parlamento europeo in relazione alle possibili conseguenze negative sull’agricoltura europea. Il principio di reciprocità deve essere preservato per garantire un accordo forte e sostenibile per entrambe le parti. In questo contesto, desidero richiamare l’attenzione sul dibattito in merito all’indicazione del paese di origine sull’etichetta per gli animali da macello, questione che deve essere risolta, congiuntamente agli ostacoli tecnici e tariffari, quali i lunghi tempi di approvazione dei prodotti europei. Chiaramente, l’obiettivo dell’accordo deve essere la concorrenza leale.

 
  
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  Elżbieta Katarzyna Łukacijewska (PPE), per iscritto.(PL) Dal momento che l’Unione europea è il secondo partner commerciale del Canada e che il Canada è un importante partner europeo in ambito di investimenti diretti esteri, ho votato a favore della proposta di risoluzione sulle relazioni commerciali UE-Canada. Nel contempo, desidero sottolineare che la Polonia è il principale partner commerciale del Canada fra i paesi dell’Europa centro-orientale e, da una decina d’anni, mantiene un’eccedenza commerciale bilaterale che cresce di anno in anno. La votazione odierna è un passo avanti fondamentale di buon auspicio per il futuro.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Sono lieto che il mio emendamento, che “prende atto dei recenti sviluppi in campo giuridico concernenti la messa al bando da parte dell'UE dei prodotti derivati dalla foca e in particolare della richiesta del Canada all'OMC riguardante la creazione di un apposito gruppo per la risoluzione delle controversie, confida vivamente che il Canada ritiri il ricorso presentato all'OMC, che osta alle buone relazioni commerciali, prima che l'accordo CETA debba essere ratificato dal Parlamento europeo” sia stato approvato.

 
  
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  Clemente Mastella (PPE), per iscritto. – Le relazioni commerciali tra l'Unione Europea e il Canada possono andare ben oltre gli impegni assunti nel quadro dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, purché alla base vi sia un accordo equilibrato, la garanzia di ottenere un vero accesso reciproco ai mercati e si migliori la protezione di marchi commerciali, brevetti e indicazioni geografiche. Riteniamo necessari nuovi investimenti capaci di rispettare l'ambiente e di promuovere buone condizioni di lavoro. Considerando il settore agricolo di fondamentale importanza, invitiamo poi la Commissione a negoziare un accordo che sia vantaggioso per produttori e consumatori e che assicuri una concorrenza leale tra i fornitori di prodotti agricoli dell'Unione europea e del Canada. Infine, riteniamo che il Consiglio debba ottenere il consenso del Parlamento prima di siglare ogni nuovo accordo commerciale internazionale e che la nostra istituzione debba essere informata in tutte le fasi della procedura allo scopo di garantire un maggiore controllo democratico della stessa. Solo così si potrà avere una crescita maggiore in termini di scambi commerciali ed investimenti tra l'Unione europea e il Canada.

 
  
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  Véronique Mathieu (PPE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della risoluzione ma contro l’emendamento 10 che sostiene la messa al bando da parte dell’UE dell’importazione dei prodotti derivanti dalla foca. Questo divieto non è giustificabile né scientificamente né legalmente. Le conclusioni del parere scientifico presentato dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) alla fine del 2007 sono basate su dati concernenti l’abbattimento degli animali nei mattatoi, non affidabili in materia di caccia alle foche. Anche la base giuridica è discutibile, come dimostrato dal parere legale del Parlamento europeo in data 1 aprile 2009: risulta pressoché impossibile giustificare il divieto unicamente sulla base del benessere animale, poiché il trattato non presenta alcuna base giuridica in merito. La tutela delle specie non è a rischio, poiché la popolazione è triplicata in Groenlandia negli ultimi 25 anni. Infine, un embargo che, secondo le garanzie della Commissione, non avrebbe ripercussioni sulle tradizioni di caccia inuit, non è realistico. In questo contesto, il ricorso presentato dal Canada all’Organizzazione mondiale per il commercio (OMC) riguardante la creazione di un organo di risoluzione delle controversie in relazione all’embargo europeo, è giustificato.

 
  
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  Arlene McCarthy (S&D), per iscritto. (EN) Il Parlamento ha lanciato un forte segnale con la risoluzione sui negoziati commerciali UE-Canada, affermando che difenderà la propria normativa per vietare ogni prodotto derivante dalla foca sul mercato europeo. I cittadini europei hanno invocato una nostra azione per non consentire l’ingresso nell’Unione a prodotti derivanti da una caccia commerciale crudele. Il Canada non ha alcun diritto di cercare di indebolire la volontà democratica degli europei presentando all’Organizzazione mondiale del commercio il nostro divieto, chiaramente non discriminatorio, sui prodotti derivanti dalla foca . Relazioni commerciali più strette tra Unione europea e Canada possono essere avviate soltanto sulla base del rispetto della volontà dell’opinione pubblica europea e del diritto comunitario.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) La Commissione europea concluderà i negoziati con il Canada per un accordo di libero scambio dalla portata senza precedenti. I negoziati si protraggono dal 2004 e i cittadini europei non sono mai stati consultati e neppure informati. La relazione accoglie favorevolmente questo accordo dannoso, il cui contenuto è stato rivelato soltanto attraverso fughe di notizie. É inaccettabile. Voterò contro il presente testo e condanno questo accordo che pone il popolo europeo in una posizione di subordinazione, seguendo l’esempio dell’accordo nordamericano di libero scambio.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) La relazione storica tra Europa e Canada è di lunga data, anche precedente alla nascita dell’Unione europea. Inoltre, condividiamo gli stessi valori e principi, il che ci rende alleati preferenziali nella situazione geostrategica globale. Vi sono stati progressi notevoli nelle relazioni commerciali, sebbene non vi sia ancora un accordo globale. Ritengo dovremmo continuare a profondere sforzi per raggiungere un accordo che soddisfi tutti, il che è di grande importanza per lo sviluppo economico di entrambe le parti.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (EN) L’accordo potenziale si occupa di numerosi settori: commercio di beni e servizi, diritti di proprietà intellettuale, appalti pubblici, cooperazione in materia di regolamentazione, investimenti, migrazione temporanea (modalità 4), politica di concorrenza e norme ambientali e lavorative. Entrambe le parti devono ancora trovare un accordo su numerosi capitoli basilari dei negoziati, tra cui, accesso agli appalti pubblici, investimenti e servizi pubblici. Nel corso dei negoziati sono emerse altre due questioni, piuttosto sensibili per il Parlamento europeo. La prima concerne la sabbia bituminosa e la direttiva comunitaria sulla qualità dei combustibili. Quest’ultima è stata discussa a lungo all’interno della commissione per l’ambiente. Il governo canadese ritiene che la direttiva discrimini le importazioni di petrolio canadese rispetto a quelle provenienti da altri paesi. Sono del parere che questo accordo sia prematuro. La seconda questione riguarda la messa al bando da parte dell’UE dei prodotti derivanti dalla foca, una questione davvero importante. Il presente accordo potrebbe rafforzare le già solide relazioni bilaterali commerciali e di investimento tra Unione europea e Canada, ma esso deve essere reciprocamente vantaggioso, pertanto mi sono astenuto dal voto.

 
  
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  Rolandas Paksas (EFD), per iscritto. (LT) Un accordo progressivo promuoverà e accelererà relazioni commerciali e di investimento attive tra Unione europea e Canada. La liberalizzazione delle relazioni commerciali porterà vantaggi reciproci per entrambe le parti e creerà condizioni di investimento più favorevoli. Per raggiungere un accordo globale e di elevata qualità, che vada oltre gli impegni assunti nel quadro dell’OMC, nessuna delle parti dovrebbe imporre requisiti che possano entrare in conflitto con le politiche interne o gli accordi istituzionali. Inoltre, si dovrebbe applicare il principio di reciprocità, in caso di controversie commerciali, si dovrebbe migliorare la tutela dei diritti di proprietà intellettuale e garantire un accesso reciproco ai mercati dei servizi e degli appalti pubblici. Particolare attenzione deve essere dedicata al settore agricolo e ai consumatori. Dobbiamo mantenere una posizione risoluta su OGM, latte e indicazione di origine sulle etichette. Dobbiamo garantire una concorrenza equa e maggiore tra i fornitori di prodotti agricoli. Ritengo che la Commissione debba avviare i negoziati sugli investimenti con il Canada quando il Parlamento avrà adottato la propria posizione sulla futura politica dell’Unione europea in materia di investimenti. Dobbiamo tutelare i settori più sensibili delle parti, affinché siano esclusi dalla portata degli accordi di investimento. La Commissione deve adottare una posizione decisa sulla messa al bando dei prodotti derivanti dalla foca e, a tal proposito, il Canada dovrebbe ritirare la richiesta all’OMC di creare un organismo di risoluzione delle controversie. Detta richiesta non rispetta i principi delle buone relazioni commerciali.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Accolgo con favore la risoluzione del Parlamento europeo sulle relazioni commerciali UE-Canada. Vi è un partenariato naturale tra Unione europea e Canada, basato su vicinanze culturali e una lunga storia condivisa. È naturale, dunque, che i settori privati europei e canadesi manifestino un grande sostegno a un accordo economico ambizioso e di ampia portata e ritengano che un partenariato economico più stretto tra UE e Canada invii un potente segnale a favore della crescita a investitori e imprese, comunitarie e canadesi, oltre che a livello internazionale. Pertanto, accolgo con favore un accordo con il Canada che vada oltre gli impegni assunti nel quadro dell’Organizzazione mondiale per il commercio (OMC) e che si aggiunga alle norme multilaterali, a patto che i negoziati portino a un accordo ambizioso e di qualità elevata, basato sulla reciprocità e che si spinga ben oltre le sole riduzioni tariffarie. Ad ogni modo, è necessario considerare l’impatto economico di questa apertura, particolarmente in quegli Stati membri dall’economia più vulnerabile.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) Attualmente, il sistema commerciale dell’Organizzazione mondiale per il commercio (OMC) sembra essere il modo migliore per offrire un quadro di riferimento per le relazioni economiche fra Stati. Nulla vieta, però, che gli Stati o le organizzazioni sovranazionali intensifichino le proprie relazioni economiche oltre a questo regolamento comune. Pertanto, una relazione economica particolarmente stretta tra Unione europea e Canada sembra giustificata. Come indicato nella relazione, l’Unione è il secondo maggiore partner commerciale del Canada. Nel 1976, il Canada è diventato il primo paese industriale con cui l’Unione ha firmato un accordo quadro di cooperazione economica e commerciale ed è la quarta fonte di investimenti diretti esteri per l’UE. Un accordo consentirebbe alle relazioni fra i due paesi di raggiungere livelli di cooperazione ancora maggiori, creando legami più forti fra le due aree, già strettamente collegate da un approccio culturale comune.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore. I negoziati con il Canada su un accordo economico e commerciale globale (CETA) sono a uno stadio avanzato e potrebbero concludersi questo autunno. Il CETA è senza dubbio l’accordo bilaterale di libero scambio più ambizioso che l’Unione abbia negoziato sotto l’egida della strategia commerciale Europa globale del 2006 . Esso include capitoli di ampio respiro nell’ambito di servizi, appalti, tutela degli investitori, proprietà intellettuale e cooperazione in materia di regolamentazione.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto.(PL) Le relazioni economiche tra Unione europea e Canada sono di fondamentale importanza per lo sviluppo del dialogo tra le due parti. Dopo gli Stati Uniti, l’Unione europea è il principale partner commerciale del Canada, che, a sua volta, è l’undicesimo partner commerciale per importanza dell’Unione. L’obiettivo dei negoziati in corso sull’accordo economico e commerciale globale (CETA) è la conclusione di un accordo di ampio respiro, con obiettivi più ambiziosi di qualsiasi altro trattato negoziato finora da Unione europea o Canada. I rapporti bilaterali di scambi e investimenti sono già forti e, grazie a questo accordo, potrebbero diventare ancora più solidi. Secondo la relazione congiunta di esperti europei e canadesi, la conclusione di un accordo economico e commerciale globale mira a fornire vantaggi economici tangibili, risultanti dalla liberalizzazione commerciale e dall’eliminazione delle barriere tariffarie. Ciononostante, rimangono alcuni problemi in merito all’accordo, che potrebbero avere conseguenze negative sul settore agricolo comunitario.

A mio avviso, sono necessari ulteriori sforzi in materia di differenze di misure sanitarie e fitosanitarie in vigore nell’Unione e in Canada. Inoltre, dobbiamo garantire che le norme ambientali in vigore in Canada siano in linea con quelle in vigore in Europa. In relazione a quanto sopra, ritengo necessario svolgere un’analisi e una valutazione dettagliate delle norme succitate.

 
  
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  Derek Vaughan (S&D), per iscritto. (EN) Accolgo con favore la risoluzione odierna, che sottolinea i progressi nei negoziati per un accordo commerciale europeo con il Canada. Il Canada è un importante partner commerciale potenziale per l’Unione ed entrambe le parti trarranno notevoli vantaggi da questo accordo. L’Unione deve considerare, però, alcune questioni : l’impatto ambientale dell’estrazione di petrolio dalla sabbia bituminosa e la salute dei lavoratori che estraggono l’amianto dalle miniere sono due temi su cui riflettere. Sostengo gli inviti al Canada a ritirare la richiesta all’OMC in merito alla messa al bando dell’Unione europea dei prodotti derivanti dalla foca e sono lieto del fatto che gli emendamenti a favore di questa posizione siano stati approvati dal Parlamento. Anche la Commissione deve assumere una posizione decisa per tutelare il divieto. I diritti di proprietà intellettuale devono essere rispettati attraverso l’utilizzo di marchi registrati e brevetti. Sono convinto che detti problemi saranno affrontati e tenuti in considerazione dalla Commissione e che sarà possibile raggiungere un accordo commerciale efficace.

 
  
  

Relazione Klinz (A7-0081/2011)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) Voto a favore della presente relazione d'iniziativa poiché affronta la questione dell’interminabile dibattito sul settore dei rating: nello specifico, la mancanza di concorrenza, di strutture oligopolistiche, di accountability e trasparenza, principalmente per quanto concerne i rating del debito sovrano.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della presente risoluzione sulle agenzie di rating del credito: prospettive future. I rating delle agenzie di rating del credito (CRA) svolgono diversi compiti importanti: raccolgono le informazioni qualità sul merito di credito degli emittenti in un contesto globale. I rating consentono agli emittenti di valutare i mercati globali, oltre a quelli interni, di ridurre i costi di informazione e di ampliare il parco di potenziali investitori, garantendo quindi la liquidità dei mercati nonché la reperibilità dei prezzi. La recente crisi finanziaria ha messo in luce tre problemi che interessano il settore: mancanza di concorrenza, eccessiva dipendenza del quadro normativo dalle valutazioni esterne e assenza di responsabilità delle agenzie in relazione ai rating del credito emessi. Concordo con il parere del relatore, secondo il quale le valutazioni del credito non sono semplici opinioni e le agenzie di rating devono essere ritenute responsabili per le valutazioni emesse. Pertanto, la loro responsabilità civile dovrebbe essere incrementata in modo che la stessa costituisca una reale minaccia.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto.(FR) Ho votato a favore della relazione Klinz sulle agenzie di rating del credito. Queste ultime sono utili: forniscono informazioni sulla qualità dei prodotti di credito, consentendo a debitori e investitori di avere accesso al mercato globale e domestico, consentendo di stabilizzare i prezzi. Ad ogni modo, la crisi ha dimostrato i pericoli causati dal sistema attuale: nello specifico, la mancanza di concorrenza, di accountability e di trasparenza delle agenzie. Si tratta di una relazione d'iniziativa che invita la Commissione europea a individuare chiaramente le lacune del quadro attuale e a fornire uno studio di impatto che sottolinei le possibili alternative per migliorare il sistema, ivi compresa una nuova normativa se necessario. Esorto la Commissione a rispondere a queste richieste quanto prima.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questo documento così importante. Le agenzie di rating valutano non solo l’affidabilità delle aziende di private equity e dei loro prodotti, ma anche quella degli Stati. Le condizioni alle quali uno Stato può ottenere un prestito sui mercati internazionali dipendono dal rating che esso riceve. A causa di rating negativi determinati da difficoltà finanziarie, i paesi precipitano in una sorta di spirale del debito, poiché un rating in calo implica un maggiore costo dei prestiti, il che peggiora ulteriormente la situazione finanziaria del paese. Tutti gli operatori del mercato e le autorità di vigilanza devono conoscere i criteri utilizzati per stabilire i rating ed essere in grado di controllarli autonomamente. La Commissione e i paesi del G20 sono invitati a elaborare un nuovo approccio globale alla valutazione, che ridurrebbe la possibilità di errori, regolerebbe le attività delle aziende coinvolte nel rating e ridurrebbe i rischi associati alla valutazione finanziaria. Accolgo con soddisfazione la proposta, che ho ribadito più volte, secondo cui l’Europa deve creare urgentemente la propria Agenzia di rating del credito, che presenterebbe valutazioni oggettive e indipendenti. Accolgo con soddisfazione l’invito della relazione a creare la nostra agenzia di rating indipendente, la quale, secondo le proposte, potrebbe chiamarsi inizialmente Fondazione europea di rating del credito.

La possibilità per tutti gli Stati membri di contrarre prestiti sui mercati internazionali alle giuste condizioni, nonché la stabilità dell’intero sistema finanziario globale e l’efficacia della prevenzione delle crisi, dipenderanno dal successo della riforma delle valutazioni finanziarie.

 
  
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  Regina Bastos (PPE), per iscritto. (PT) Le agenzie di rating del credito valutano Stati, istituzioni e aziende, assegnando una valutazione del rischio sulla capacità di ripagare i debiti alla data stabilita. Il regolamento (CE) n. 1060/2009 sulle agenzie di rating del credito è stato adottato quale prima reazione alla crisi finanziaria. Il regolamento si occupava delle questioni più urgenti, ossia la supervisione e la regolamentazione delle agenzie di rating del debito, ma non ha risolto tutti i problemi.

La crisi finanziaria ha messo in luce i tre principali problemi nell’operato delle agenzie: mancanza di concorrenza, eccessiva dipendenza dalle valutazioni esterne e assenza di responsabilità delle agenzie. La presente relazione, per la quale ho votato a favore, invita la Commissione europea a individuare i problemi e a fornire una valutazione d’impatto sulle varie alternative disponibili, ivi compresa la possibilità di ulteriori proposte legislative. Invita, inoltre, la Commissione europea a valutare i costi e i benefici della creazione di una Fondazione europea indipendente di rating del credito.

 
  
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  Slavi Binev (NI), per iscritto. (BG) Sostengo la relazione presentata poiché ritengo che la creazione di agenzie di rating del credito aumenterà la competitività del settore, un requisito fondamentale per incrementare la qualità, ridurre i costi di informazioni e, non ultimo, accrescere la responsabilità delle agenzie pertinenti. Consentirebbe inoltre di ridurre la dipendenza dalle valutazioni del credito.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. Ho dato il mio supporto con un voto positivo al progetto di relazione sulle agenzie di rating del credito del collega Klinz poiché ritengo che il testo redatto contenga molti elementi e spunti positivi. In particolare, concordo con la volontà di migliorare la trasparenza, l'integrità, la responsabilità, l'indipendenza e l'affidabilità di tali agenzie. Inoltre, condivido con il relatore l'idea di istituire una fondazione europea di rating del credito indipendente da Stati e istituzioni nonché la prospettiva secondo la quale l'oligopolio rappresenta un problema per il settore.

 
  
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  Jan Březina (PPE), per iscritto. (CS) La recente crisi finanziaria ha messo in luce i tre problemi principali in ambito di agenzie di rating: mancanza di concorrenza, eccessiva dipendenza del quadro normativo dalle valutazioni esterne del rating e il fatto che le agenzie non forniscono alcuna garanzia dei propri rating. Non sono certo che la proposta, presentata dal relatore, di creare un’Agenzia europea del rating sia corretta. Non vi è alcuna garanzia che rating tale agenzia possa diventare un effettivo attore tra le altre agenzie di rating del credito, che possa essere credibile o in grado di convincere il mercato della propria totale indipendenza da qualsiasi organo pubblico, siano gli Stati membri, la Commissione europea o altri enti pubblici.

La proposta del relatore di creare una rete di agenzie europee di rating mi sembra più adeguata, poiché la cooperazione tra queste agenzie a livello nazionale, utilizzando le risorse umane e finanziarie disponibili, dovrebbe favorire la concorrenza nel settore includendo numerose attività e diversi mercati, consentendo di raggiungere lo stesso livello delle grandi agenzie di rating che operano a livello globale.

 
  
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  John Bufton (EFD), per iscritto. (EN) Ho votato contro la possibile adozione dell’armonizzazione a livello comunitario delle agenzie di rating del credito, poiché gli standard possono essere differenti tra Stati membri, ed è naturale che lo siano. In assenza di una valuta comune e considerando la volatilità dei mercati, particolarmente nelle economie in difficoltà dell’eurozona, il Regno Unito rischia di essere coinvolto nell’accozzaglia dei rating armonizzati del credito, che dovrebbero raggruppare tutte le situazioni economiche dell’Unione ed esporrebbero le aziende e le imprese britanniche a iniziative rischiose sostenute da rating del credito a livello comunitario. Spetta alle economie indipendenti di Stati membri indipendenti stabilire le proprie condizioni e i limiti al rating del credito.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. –(PT) Considerate le conseguenze che i rating del credito sul debito sovrano possono avere sul mercato, sui bilanci finanziari e sul welfare in generale, esse devono essere basate su dati di fatto e cifre affidabili. Per mantenere tali rating equi e veritieri, è necessario aumentare la trasparenza che soggiace alle decisioni, nonché la responsabilità delle agenzie. Pertanto, sostengo e accolgo con favore la creazione di priorità per la regolamentazione delle agenzie di rating del credito proposta oggi, che ritengo essenziale per superare i problemi del settore.

 
  
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  Nessa Childers (S&D), per iscritto. – (EN) La situazione delle agenzie di rating del credito deve essere affrontata a livello europeo. Queste organizzazioni private e volte al profitto esercitano un potere eccessivo sui governi sovrani e sostengo pienamente i progetti per risolvere questa anomalia a livello europeo.

 
  
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  Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL)Ho votato contro la presente relazione sulle agenzie di rating del credito. È politicamente inaccettabile ed economicamente pericoloso che le agenzie, che hanno avuto un ruolo talmente negativo nel corso dell’attuale crisi, continuino ad avere il diritto, assegnato dalla stessa Unione europea, di valutare non soltanto le aziende, bensì anche le economie degli Stati membri. Il Parlamento europeo dovrebbe essere più determinato e radicale nelle proprie decisioni in merito alle agenzie di rating del credito, particolarmente in seguito ai danni da esse causati alle economie europee e ai cittadini europei. La presente relazione, tuttavia, è assolutamente senza nerbo. Le regolamentazioni che essa propone mancano di coraggio e l’assenza di trasparenza che avvolge le agenzie di rating del credito rimane praticamente invariata. Il problema dei rating da parte di imprese private egoistiche non è assolutamente stato risolto, siano esse americane ora o europee in futuro, si tratta di una questione che già da sola alimenta la mafia speculativa. La relazione dovrebbe promuovere un’agenzia pubblica, controllata democraticamente, che non abbia nulla a che fare con gli interessi privati e che svolga un ruolo particolare nel quadro della solidarietà tra Stati e cittadini.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto. Ho votato a favore di questa relazione perché ha espresso, in maniera lucida e obiettiva, la situazione relativa alle agenzie di rating del credito. Anch'io ritengo che svolgano un ruolo necessario e utilissimo di sintesi e semplificazione del fiume informativo che riguarda i mercati finanziari, sia in termini di solvibilità e affidabilità di chi emette debito, sia per quanto riguarda i singoli strumenti finanziari. Tuttavia, come ha giustamente evidenziato il relatore, il modello di business rischia di deviare l'attenzione dalla tutela degli investitori a quella di chi emette debito, se non si apportano dei correttivi adeguati. Non penso che la situazione della concorrenza possa migliorare, poiché la proliferazione delle agenzie potrebbe minare la credibilità del rating; trovo comunque che una maggiore assunzione di responsabilità possa tradursi in una maggiore obiettività e in un lavoro più rigoroso, a tutela non degli affari di pochi, ma della riduzione delle asimmetrie informative, vale a dire del funzionamento dei mercati e dunque dell'interesse generale.

 
  
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  George Sabin Cutaş (S&D), per iscritto. (RO) Ho votato a favore della risoluzione sulle agenzie di rating del credito perché ritengo sia necessaria una nuova Agenzia europea di rating del credito, che proponga un modus operandi alternativo e garantisca una maggiore concorrenza nel settore. La crisi finanziaria ha dimostrato che non possiamo continuare ad accettare la struttura oligopolistica, la mancanza di trasparenza e di responsabilità delle attuali agenzie di rating del credito.

 
  
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  Rachida Dati (PPE) , per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione Klinz. Essa presenta alcune proposte interessanti per raggiungere il quadro necessario per le agenzie di rating del credito. La situazione attuale nella zona euro ci ricorda pressoché quotidianamente dell’impatto delle decisioni prese da dette agenzie e della dipendenza del sistema regolamentare finanziario mondiale da queste agenzie. Approvo in particolar modo le richieste presentate alla Commissione europea sulla possibilità di creare una Fondazione europea di rating del credito indipendente. Si tratta di una proposta concreta che ci consentirebbe di affrontare l’eccessiva dipendenza del sistema regolamentare finanziario mondiale da rating di credito non pubblici.

 
  
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  Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. (EN) Sostengo la presente relazione sul futuro delle agenzie di rating del credito. La recente crisi finanziaria ha messo in luce i principali problemi del settore: eccessiva dipendenza dai rating esterni nel quadro normativo e l’assenza di responsabilità per i rating da parte delle agenzie di rating del credito. Queste ultime hanno certamente svolto un ruolo significativo nello sviluppo della crisi finanziaria con l’assegnazione di rating incorretti a strumenti finanziari strutturati. La presente relazione, in anticipo sulla proposta legislativa che la Commissione sta preparando per l’autunno, si occupa delle presenti questioni e richiede: di riesaminare se e come gli Stati membri usino i rating a fini regolamentari, allo scopo di ridurre il generale eccesso di dipendenza da essi del sistema di regolamentazione finanziaria; di realizzare un'attenta valutazione d'impatto e un'attenta analisi dei costi, dei benefici e della potenziale struttura di governance di una Fondazione europea di rating del credito; di analizzare la possibilità di creare un’Agenzia europea di rating del credito davvero indipendente; di definire un indice europeo di rating che incorpori tutti i rating delle agenzie registrate disponibili sul mercato.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. (FR) Una dopo l’altra, le agenzie di rating del credito abbassano i rating dei paesi europei maggiormente colpiti dalla crisi o li collocano in stato di allerta negativa. Mi riferisco a Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. Sebbene le agenzie non abbiano scatenato la crisi finanziaria globale, questo tipo di azioni l’ha senz’altro aggravata. Esse, infatti, favoriscono la speculazione, rovinando le già scarse possibilità di successo di piani di ripresa draconiani imposti alla popolazione. Per questo motivo è necessaria la creazione di un’Agenzia europea di credito, che adotti lo stato legale di fondazione indipendente. Dobbiamo mettere fine ai conflitti di interessi nelle agenzie di rating del credito, che attualmente possono pubblicare un rating e agire nel contempo da consulenti. Si tratta di un cambiamento che dovrebbe seguire di pari passo la valutazione della Commissione sulla necessità di divulgare maggiormente informazioni su tutti i prodotti nel settore degli strumenti finanziari.

 
  
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  Anne Delvaux (PPE), per iscritto.(FR) Sin dall’inizio della crisi economica e finanziaria, non si è parlato d’altro che delle agenzie di rating del credito. Ma quali sono le nostre idee sul loro ruolo ora fondamentale? Il Parlamento europeo si è occupato del tema. Sebbene i rating delle agenzie svolgano diversi compiti importanti (ad esempio, raccolgono le informazioni sul merito di credito degli emittenti, particolarmente utile nel nostro ambiente globale), gli sviluppi nel quadro normativo hanno trasformato questi “intermediari delle informazioni” in “autorità di approvazione ufficiali”, un errore che non dobbiamo commettere.

La crisi finanziaria ha messo in luce i tre principali problemi del settore: mancanza di concorrenza, eccessiva dipendenza del quadro normativo dalle valutazioni esterne e assenza di responsabilità delle agenzie in relazione ai rating del credito emessi.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Il ruolo svolto dalle agenzie di rating del credito è senz’altro molto importante per l’attuale economia di mercato. Queste agenzie hanno iniziato il proprio percorso come mediatori di informazioni, semplificando l’accesso al mercato agli emittenti di debito e agli investitori, consentendo di ridurre i costi dell’informazione e, pertanto, aumentando liquidità e trasparenza. Eppure, come in molte altre aree del settore, la crisi ha dimostrato tre problemi fondamentali: mancanza di concorrenza, eccessiva dipendenza del quadro normativo dalle valutazioni esterne e assenza di responsabilità delle agenzie in relazione ai rating del credito emessi. È necessario rivalutare urgentemente il ruolo di queste agenzie per la regolamentazione del mercato finanziario globale e trovare soluzioni efficaci per la mancanza di concorrenza. Inoltre, è fondamentale valutare i conflitti di interessi presenti in questo modello commerciale.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. Le agenzie di rating del credito valutano tre settori differenti, il settore pubblico, le società e gli strumenti finanziari strutturati, e hanno svolto un ruolo significativo nello sviluppo della crisi finanziaria, con l'assegnazione di rating incorretti a strumenti finanziari strutturati, che nel corso della crisi hanno dovuto essere ridotti in media di tre o quattro gradi. Con il regolamento (CE) n. 1060/2009, prima reazione alla crisi finanziaria, si sono già affrontati i temi più pressanti, assoggettando le agenzie di rating a controlli e a regolamentazione. Ad ogni modo, mi auguro che una maggiore trasparenza nelle attività delle agenzie di rating del credito diventi obbligatoria. La mancanza di certezza normativa in questo settore sta mettendo a rischio il corretto funzionamento dei mercati finanziari dell'UE e richiede pertanto che la Commissione, prima di proporre ulteriori modifiche del regolamento (CE) n.1060/2009, identifichi correttamente le lacune del nuovo quadro e fornisca una valutazione d'impatto sulle varie alternative disponibili per colmarle, ivi compresa la possibilità di ulteriori proposte legislative. Il settore del rating del credito ha vari problemi, principalmente la mancanza di concorrenza, di strutture oligopolistiche, di accountability e trasparenza.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La situazione nel corso degli ultimi anni ha dimostrato chiaramente la minima credibilità delle agenzie di rating del credito. Ciononostante, continuano ad avere carta bianca e le loro azioni sono molto dannose, particolarmente per i paesi dalle economie più deboli. In quanto entità dipendenti dal sistema finanziario e certamente parti interessate dai rating che pubblicano, vivono principalmente dello stimolo sproporzionato del credito e della speculazione finanziaria capitalistica. Queste agenzie sono una chiara espressione della finanziarizzazione dell’economia, che non si traduce né corrisponde a effettivi aumenti della competitività, e costituiscono una parte centrale della strategia di sviluppo del neoliberalismo, che ricerca sempre livelli di profitto che non possono essere garantiti dalla produzione reale, a causa della ben nota tendenza alla riduzione dei profitti.

Sebbene la presente relazione muova alcune critiche all’operato delle agenzie, non giunge mai al cuore della questione, né propone un controllo pubblico del settore finanziario, per non minacciare gli interessi delle grandi aziende e delle istituzioni finanziarie. Si tratta di una questione fondamentale. Pertanto, chiediamo un’effettiva regolamentazione del settore finanziario, che metta fine alla liberalizzazione dei movimenti di capitale, ai paradisi fiscali, ai derivati, alle agenzie di rating del credito e alle loro azioni.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto.(PT) Sappiamo, come è stato dimostrato negli ultimi anni, che le agenzie di rating del credito non sono credibili, ma che, ciononostante, le loro azioni restano molto dannose, particolarmente per i paesi dalle economie più deboli, e vivono principalmente dello stimolo sproporzionato del credito e della speculazione finanziaria capitalistica.

Queste agenzie sono il risultato della finanziarizzazione dell’economia, che non si traduce né corrisponde a effettivi aumenti dell’attività produttiva e costituiscono una parte centrale della strategia di sviluppo del neoliberalismo, che ricerca sempre livelli di profitto che non possono essere garantiti dalla produzione reale.

Sebbene la presente relazione muova alcune critiche all’operato delle agenzie, non giunge mai al cuore della questione, né propone un controllo pubblico del settore finanziario, per non minacciare gli interessi delle grandi aziende e delle istituzioni finanziarie.

Pertanto, chiediamo un’effettiva regolamentazione del settore finanziario, che metta fine alla liberalizzazione dei movimenti di capitale, ai paradisi fiscali, ai derivati, alle agenzie di rating del credito e alle loro azioni. É necessaria una diversa politica fiscale che contribuisca alla crescita economica, alla giustizia sociale e a conti pubblici equilibrati per contribuire a porre fine ai vantaggi fiscali presenti nei paradisi fiscali, alla tassazione dei profitti derivanti dalla borsa e all’introduzione di una tassa aggiuntiva sui profitti delle grandi aziende e degli istituti finanziari.

 
  
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  Monika Flašíková Beňová (S&D), per iscritto. (SK) La presente relazione si occupa di questioni molto importanti nel settore dei rating, tra cui la mancanza di concorrenza, di strutture oligopolistiche, di accountability e trasparenza; particolarmente nella valutazione del debito pubblico. A mio parere, è fondamentale prospettare la creazione di un’Agenzia europea di rating del credito, che potrebbe lavorare a un nuovo modello di rating del credito e creare le condizioni per lo sviluppo di una reale competitività.

 
  
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  Pat the Cope Gallagher (ALDE), per iscritto. (GA) Sarebbe positivo che le agenzie di rating del credito divenissero più responsabili in futuro. La verità è che le agenzie assegnano la valutazione massima a molti strumenti finanziari complessi e a strumenti tossici, come abbiamo scoperto in ritardo. La relazione sollecita una migliore analisi del rischio da parte degli attori del mercato affinché non debbano fare eccessivo affidamento sulle agenzie di rating del credito.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. (FR) Il mercato dei rating del credito, a volte obbligatori a fini di regolamentazione, è nella sua quasi totalità controllato da tre grandi agenzie statunitensi. Aprire questo settore alla concorrenza o creare un’agenzia pubblica europea non cambierà la devianza del sistema.

É un sistema impazzito: nessuno sa quale mercato o quale agenzia diriga le reazioni dell’altro; se il rating negativo di un paese scateni il panico sul debito pubblico o se una speculazione cinica conduca a un rating negativo; se un rating positivo abbia conseguenze sul mantenimento di determinati beni o se, poiché si tratta di beni utili e si intende mantenerli, si ottenga un rating positivo. Controllare più attentamente le attività delle agenzie è un servizio minimo e non sufficiente. Nonostante le numerose critiche ricevute in Europa e negli Stati Uniti, la reputazione delle agenzie non è stata realmente intaccata. Renderle responsabili giuridicamente e finanziariamente delle conseguenze dei propri errori e delle valutazioni irresponsabili avrebbe un impatto notevole. Eppure, nulla verrà risolto senza un cambiamento radicale del sistema, se continuiamo a cercare di rattopparlo per garantirne la sopravvivenza.

 
  
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  Roberto Gualtieri (S&D), per iscritto. – Il Parlamento europeo compie un nuovo passo verso una maggiore trasparenza dei mercati finanziari, approvando la relazione Klinz, che chiede una regolamentazione efficace delle Agenzie di rating. E' importante superare gli attuali problemi che caratterizzano il settore: la scarsa concorrenza, l'eccessiva dipendenza regolamentare dal rating, e la scarsa affidabilità delle note.

A questo proposito, è significativa la richiesta che il Parlamento europeo avanza alla Commissione, di riflettere sull'istituzione di un'Agenzia europea indipendente che possa anche essere responsabile della valutazione dei debiti sovrani. Nell'opera di riforma attualmente in corso, e che si concluderà in autunno, sarà infatti di grande importanza rivedere il ruolo delle agenzie nella valutazione dei debiti sovrani, in quanto spesso sono stati i comportamenti irresponsabili di queste ultime la prima causa di speculazioni, finendo per danneggiare soprattutto i contribuenti europei.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Accolgo con soddisfazione la presente relazione perché il settore di rating del credito presenta vari problemi, tra cui la mancanza di concorrenza, di strutture oligopolistiche, di accountability e trasparenza. Il problema delle agenzie di rating dominanti è il modello di pagamento mentre il problema fondamentale del sistema di regolamentazione è l'eccessiva dipendenza dai rating creditizi esterni. Come sapete, le agenzie di rating del credito valutano tre settori differenti: le società, il settore pubblico e gli strumenti finanziari strutturati. Vi è un conflitto di interessi insito nel fatto che gli operatori del mercato redigano valutazioni interne dei rischi creditizi rispetto ai propri requisiti patrimoniali. Ritengo necessario aumentare le responsabilità, le capacità, i poteri e le risorse per quanto riguarda il controllo, la valutazione e la vigilanza dell'adeguatezza dei modelli interni e per imporre misure prudenziali. Sono convinto del fatto che i rating del credito abbiano il compito di aumentare l'informazione al mercato, in modo che gli investitori possano disporre di una valutazione coerente del rischio di credito relativo ai diversi settori e paesi e ritengo che sia importante permettere agli utenti di esaminare in modo migliore le agenzie di rating del credito. A tal proposito, è giusto sottolineare il ruolo centrale di una maggiore trasparenza nelle loro attività. Dobbiamo sostenere la creazione di nuove agenzie di rating, evitando al contempo qualsiasi distorsione della concorrenza.

 
  
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  Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la risoluzione votata oggi presenta una serie di misure per ridurre l'attuale dipendenza da pochissime fonti di rating. Tali misure includono un maggiore e puntuale utilizzo del rating di credito interno, in particolare da parte delle grandi istituzioni finanziarie con la capacità di svolgere proprie valutazioni dei rischi, ma anche l'aumento della concorrenza. E´ certamente un tema che ci ha visto, nelle fasi preparatorie, alquanto disaggregati ma che nelle posizioni finali raccoglie molto accordo. Tale condivisione giunge anche sul tema della trasparenza poichè sono favorevole al fatto che tutte le agenzie di rating registrate svolgano un riesame annuo per valutare i propri risultati in termini di rating dei crediti e che tali informazioni vengano poi alle autorità di vigilanza.

 
  
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  Olle Ludvigsson (S&D), per iscritto.(SV) Noi socialdemocratici svedesi sosteniamo la richiesta alla Commissione di eseguire ricerche più dettagliate sulle condizioni per creare una Fondazione europea di rating del credito o un’Agenzia europea pubblica di rating del credito. Un organismo di rating creato dalla politica può essere il modo di imporre una maggiore pressione a grandi agenzie private. Nel contempo, possiamo intravederne i problemi potenziali. Pertanto, sarebbe positivo avere un quadro più definito sia dei vantaggi sia degli svantaggi di un organismo di questo tipo con uno studio dettagliato. Una migliore base di conoscenze è un requisito fondamentale per ulteriori discussioni sul tema.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della presente relazione. La recente crisi finanziaria ha messo in luce i tre problemi principali nel settore delle agenzie di rating del credito: mancanza di concorrenza, eccessiva dipendenza del quadro normativo dalle valutazioni esterne e assenza di responsabilità delle agenzie in relazione ai rating del credito emessi. La relazione presenta modalità di risoluzione per ciascuno di questi problemi.

 
  
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  Clemente Mastella (PPE), per iscritto. – La recente crisi finanziaria ha messo in luce i tre principali problemi che interessano le agenzie di Rating del Credito: mancanza di concorrenza, dovuta alla mancata rilevanza delle agenzie di rating sui mercati dei capitali a livello globale, nonché l'incapacità di competere soprattutto per quanto concerne gli standard normativi; eccessiva dipendenza del quadro normativo dalle valutazioni esterne sia quelle per la formulazione di principi, norme e regolamentazioni (ad esempio il loro utilizzo sempre più frequente per la determinazione dei requisiti patrimoniali), sia quelle del ricorso alle valutazioni del credito esterno da parte della Banca centrale ed, infine, assenza di responsabilità delle agenzie in relazione ai rating del credito emessi per la quale si propone inoltre di sostenere l'istituzione di una rete europea di agenzie di rating del credito. A tale proposito sosteniamo la rilevanza di una maggiore diffusione di informazioni tra gli investitori e di un'autorizzazione agli operatori di mercato a investire negli strumenti finanziari derivati soltanto se dimostrano di essere in grado di comprendere e valutare il rischio di credito che il prodotto comporta. Concordiamo, infine, sulla possibilità di istituire una Fondazione di Rating del Credito europea (ECRaF) completamente indipendente e non pubblica.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) Questo testo ipocrita sostiene che il principale problema delle agenzie di rating del credito è che esse ostacolano la concorrenza. La soluzione proposta all’eccessiva dipendenza delle banche da dette agenzie è che le banche stesse valutino i rischi. Le banche responsabili di valutare l’austerità! Se non sono in grado di farlo, si chiede loro di applicare il rating meno favorevole per garantirsi la maggiore tutela possibile. Il problema non è di tutelare gli interessi delle banche quanto, piuttosto, di tutelare l’interesse generale. Nuovamente, i cittadini sono in fondo alla lista delle priorità comunitarie.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Le agenzie di rating del credito svolgono diversi compiti importanti: raccolgono le informazioni sul merito di credito degli emittenti, consentendo così agli stessi emittenti di accedere ai mercati globali, oltre che a quelli interni, di ridurre i costi di informazione e di ampliare il parco di potenziali investitori e quindi garantendo la liquidità dei mercati. La recente crisi finanziaria ha messo in luce i tre principali problemi che interessano il settore: mancanza di concorrenza, eccessiva dipendenza del quadro normativo dalle valutazioni esterne e assenza di responsabilità delle agenzie in relazione ai rating del credito emessi. Dobbiamo prestare attenzione alle potenziali misure da adottare. Esse dovrebbero essere sottoposte alle valutazioni d'impatto e ai controlli necessari e sarebbe controproducente se si trasformassero in provvedimenti estemporanei che innalzano le barriere in entrata e il rischio di rating più conservativi, con corrispondenti svantaggi per l'economia reale e l'attività di prestito. Dobbiamo guardare a questo settore da un punto di vista globale, poiché si tratta di un settore autenticamente globalizzato, così come il mercato dei capitali sottostante. È pertanto importante tenere a mente le evoluzioni negli Stati Uniti.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. – (EN) La presente relazione d'iniziativa solleva le principali questioni relative al settore del rating del credito, tra le quali: mancanza di concorrenza, di strutture oligopolistiche, di accountability e trasparenza, particolarmente per quanto concerne il rating del debito sovrano. Ritengo la presente relazione alquanto tempestiva. Dobbiamo dare il massimo per evitare di replicare la situazione greca. Ho votato a favore.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Le agenzie di rating del credito dovrebbero fornire informazioni sulla qualità del credito. Finora, però, le agenzie si sono guadagnate una reputazione negativa. Ad esempio, la loro reazione tardiva alla crisi finanziaria degli anni Trenta è stata aspramente criticata. Gli esperti delle agenzie di rating del credito non erano neppure riusciti a classificare come rischiose le pessime strutture finanziarie del mercato immobiliare statunitense. Similmente, nel momento in cui i debiti pubblici hanno iniziato ad aumentare, esse hanno reagito soltanto quando gli investitori hanno iniziato a esprimere la propria preoccupazione, rispondendo con tale durezza che i problemi finanziari dei singoli paesi si sono acuiti. L’intero sistema è assolutamente sbagliato se le irregolarità greche e gli scambi di Goldman-Sachs per nascondere il debito erano noti da anni nei mercati, se era normale che Atene rivedesse i propri dati finanziari ogni qualvolta un nuovo governo assumeva il potere e lo Stato riceveva un rating positivo, generando una risposta improvvisa e dura soltanto in seguito alla crisi finanziaria, causando bancarotta, penalizzando Stati le cui banche concedevano prestiti rischiosi e scommettendo, nel contempo, elevate somme di denaro su paesi sull’orlo della bancarotta. Questa proposta è soltanto il primo passo nella giusta direzione e per questo motivo ho votato a favore.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. (DE) Ritengo che le attività delle agenzie di rating del credito siano generalmente molto sospette, non soltanto perché esse non individuano i rischi in tempo, come nel caso del mercato immobiliare statunitense, bensì perché possono peggiorare situazioni già negative in seguito al manifestarsi di una crisi. Non possiamo consentire che agenzie private statunitensi di rating del credito decidano in modo arbitrario della solvibilità degli Stati europei. La presente relazione è un passo verso controlli più severi sulle agenzie di rating del credito, motivo per il quale ho votato a favore.

 
  
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  Rolandas Paksas (EFD), per iscritto. (LT) Accolgo con favore la presente risoluzione sulle prospettive future delle agenzie di rating del credito. Il settore del rating del credito riscontra spesso problemi dovuti a strutture oligopolistiche, alla mancanza di concorrenza, di accountability e trasparenza; di conseguenza, la Commissione dovrebbe esaminare la possibilità di istituire una Fondazione di rating del credito europea (ECRaF) completamente indipendente e nuova, che avrebbe il diritto di partecipare alle decisioni in materia di rating del debito sovrano e agenzie di rating del credito. I dirigenti, il personale e la struttura di governance della nuova agenzia dovrebbero essere del tutto autonomi e indipendenti. Accolgo con favore la proposta di aumentare la responsabilità civile delle agenzie di rating del credito in caso di gravi negligenze o scorrettezze professionali, definite su base consistente nell'UE. Inoltre, è necessario aumentare le responsabilità, le capacità, i poteri e le risorse delle autorità di vigilanza per quanto riguarda il controllo, la valutazione e la vigilanza dell'adeguatezza dei modelli interni, per imporre misure prudenziali e per condurre ricerche e ispezioni. É fondamentale creare una vera parità di condizioni per le agenzie di rating del credito, attraverso la promozione di concorrenza, trasparenza, apertura del mercato e stabilità.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Cari colleghi, il lavoro che svolgono le agenzie di rating del credito è importante in quanto garanzia di affidabilità e stabilità, per questo è necessario stabilire regole e criteri per le loro valutazioni e la loro imparzialità. Ho votato a favore del testo del collega Klinz perche ritengo fondamentale che l'Unione europea si doti di regole adeguate che gestiscano l'impatto dei rating sull'insieme del sistema finanziario ed economico. Nonostante il vuoto normativo a riguardo e la possibilità per tali agenzie di condizionare l'economia degli Stati membri fino a metterli in crisi, questa relazione risulta essere comunque il primo passo verso una nuova regolamentazione delle agenzie di rating, vista la recente approvazione da parte della Commissione del nuovo regolamento sulle CRAs.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della mozione del Parlamento sulle agenzie di rating del credito, perché ritengo sia fondamentale ridurre le distorsioni della concorrenza causate dalla prassi comune di agenzie di rating del credito che valutano i partecipanti al mercato e contemporaneamente ottengono ordini da loro. La Commissione dovrebbe valutare attentamente l'eventuale ricorso a strumenti alternativi per misurare il rischio di credito. É fondamentale che l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati possa esercitare efficacemente il proprio potere di vigilanza e abbia il diritto di svolgere indagini senza preavviso e ispezioni in loco. Inoltre, nell'esercizio dei poteri di vigilanza, l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati dovrebbe dare alle persone soggette a un procedimento l'opportunità di essere ascoltate in modo da rispettare i loro diritti di difesa. Concordo con la richiesta alla Commissione di realizzare un'attenta valutazione d'impatto e un'attenta analisi dei costi, dei benefici e della potenziale struttura di governance di una Fondazione europea di rating del credito (ECRaF) totalmente indipendente che intervenga in tutti e tre i settori del rating.

 
  
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  Miguel Portas (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Sebbene questa relazione presenti degli aspetti positivi, non è stata in grado di proporre la creazione di una Fondazione europea di rating del credito pubblica e indipendente. Al contrario, l’ambiguità della sua formulazione scritta consente il finanziamento pubblico di una nuova agenzia privata. La relazione non cita, inoltre, il ritiro del rating del debito sovrano dalle competenze delle agenzie di rating, la principale misura che possiamo attuare in quest’ambito per combattere la speculazione contro l’euro. Infine, la relazione dovrebbe proporre la valutazione da parte della Commissione della possibilità di un’approvazione preliminare di tutti i prodotti finanziari strutturati da parte dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati. Per queste ragioni, voto contro.

 
  
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  Fiorello Provera (EFD), per iscritto. – Con questo provvedimento ci si esprime finalmente a favore del miglioramento dell'attività delle agenzie di rating aumentandone la trasparenza, l'integrità, la responsabilità, l'indipendenza e l'affidabilità. Pur riconoscendo il ruolo delle agenzie nel fornire informazioni e stimolare la liquidità nei mercati, è ormai evidente che gli operatori finanziari si sono affidati eccessivamente al loro giudizio e che il loro operato ha contribuito a generare la crisi finanziaria. Esiste un'eccessiva dipendenza dalle agenzie esterne di valutazione del credito e un oligopolio nel settore. Sono pertanto favorevole all'istituzione di una Fondazione europea di rating del credito indipendente e competente per la valutazione nel settore pubblico, societario e degli strumenti finanziari strutturati.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) La recente crisi finanziaria ha dimostrato la necessità di regolamentare le agenzie di rating del credito. Gli eventi recenti consentono di individuare i loro insuccessi e di rivalutare il loro status di certificatori di quanti sono oggetto della loro analisi: società, settore pubblico e strumenti finanziari strutturati. É chiaro che esse rivestono un ruolo importante nel ridurre le asimmetrie dell’informazione che potrebbero sorgere tra investitori. Dall’altro lato, però, è stata rilevata un’eccessiva fiducia nei rating assegnati dalle agenzie di rating del credito, il che ha certamente contribuito a inasprire la crisi finanziaria. Pertanto, vi è urgente bisogno di un nuovo modello di regolamentazione che riduca la dipendenza dai rating delle agenzie. La soluzione include provvedimenti quali la limitazione della dipendenza della Banca centrale europea (BCE) dai dati forniti da agenzie esterne, rafforzando le competenze di legislatori e autorità di vigilanza, avviando la discussione sulla creazione di una Fondazione europea di rating del credito, aumentando la quantità di informazioni a disposizione degli investitori (riducendo dunque il potere delle agenzie di rating) e consolidando i meccanismi di responsabilità civile.

 
  
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  Crescenzio Rivellini (PPE), per iscritto. – Mi congratulo per l'ottimo lavoro svolto dal collega Klinz. Invito le agenzie di rating a fare più chiarezza su come calibrino il loro rating sovrano, chiedendo al settore di spiegare le loro metodologie e perché le loro valutazioni si discostano dalle previsioni delle principali istituzioni finanziarie internazionali. Un altro punto controverso riguarda la struttura da proporre per controbilanciare a livello europeo le tre maggiori agenzie di rating, ritenute troppo dominanti sulla scena europea. Invito pertanto la Commissione a procedere a una valutazione dettagliata per una fondazione di rating creditizio completamente indipendente, dotata di fondi iniziali per coprire al massimo i primi cinque anni d'attività.

Infine, è indispensabile esaminare le modalità per rendere civilmente responsabili le agenzie di rating per le indicazioni fornite e chiedo alla Commissione di individuare i modi in cui le agenzie di rating possano essere ritenute responsabile ai sensi del diritto civile degli Stati membri.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Voto a favore. Le agenzie di rating del credito svolgono diversi compiti importanti. Raccolgono le informazioni sul merito di credito degli emittenti in un contesto globale caratterizzato da un'asimmetria dell'informazione tra emittenti del debito e investitori consentendo così agli stessi emittenti di accedere ai mercati globali, oltre che a quelli interni, di ridurre i costi di informazione e di ampliare il parco di potenziali investitori e quindi garantendo la liquidità dei mercati nonché la reperibilità dei prezzi. Tuttavia l'evoluzione del contesto giuridico le ha trasformate da “intermediari delle informazioni” in “autorità di approvazione ufficiali”. La recente crisi finanziaria ha messo in luce i tre principali problemi che interessano il settore: mancanza di concorrenza, eccessiva dipendenza del quadro normativo dalle valutazioni esterne e assenza di responsabilità delle agenzie in relazione ai rating del credito emessi.

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. L'obiettivo principale della risoluzione adottata oggi è quello di eliminare dall'intero sistema, per quanto possibile e in tempi realistici, la dipendenza dalle valutazioni del credito esterne. Il ruolo delle valutazioni esterne come criterio determinante assume particolare rilevanza quando si tratta di declassare una categoria di investimento a quella inferiore. In un mercato competitivo e ben funzionante la reputazione di un'agenzia dovrebbe essere sufficiente a garantire la qualità dei rating emessi. Tuttavia, poiché in questo periodo le agenzie di rating del credito operano in regime di oligopolio, esse beneficiano di un mercato per sua stessa natura "garantito".

 
  
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  Nikolaos Salavrakos (EFD), per iscritto. (EL) Ho votato a favore della relazione Klinz perché ritengo che le misure da essa proposte per risolvere i problemi del settore del rating del credito si muovano nella giusta direzione. Questi servizi hanno conseguenze notevoli e il risultato della loro attività può essere terribile per gli Stati e le organizzazioni che ricevono un rating, come abbiamo potuto constatare nel corso della recente crisi finanziaria. Dobbiamo stabilire chiare norme operative per questi servizi, le procedure di rating utilizzate devono essere divulgate e le agenzie devono assumersi le proprie responsabilità. Gli Stati e tutti i tipi di servizi e organizzazioni che esse valutano non possono essere lasciati alla mercé delle loro decisioni. Le tre principali agenzie di rating valutano il 95 per cento delle attività economiche, pertanto si tratta di un monopolio, con tutte le ripercussioni negative che ne seguono. Chiediamo trasparenza, limitazioni delle attività illegali, assunzione di responsabilità, valutazione delle agenzie da parte di organismi indipendenti che ne garantiscano imparzialità e severa applicazione delle regole.

 
  
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  Antolin Sanchez Presedo (S&D), per iscritto.(ES) Sostengo la relazione Klinz per accelerare il processo di riforma delle agenzie di rating. Mentre la prima iniziativa legislativa ha sottoposto le agenzie a regolamentazione e vigilanza e la seconda ha chiarito i poteri di vigilanza dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, la presente risoluzione invita a ridurre la dipendenza dalle valutazioni del credito esterne a livello normativo, strutturando il settore secondo un quadro concorrenziale e migliorandone i modelli di business secondo i criteri del Comitato di stabilità finanziaria.

Il testo finale include gli emendamenti da me presentati, i quali mirano a rafforzare i poteri delle autorità di vigilanza, a promuovere una parità di condizioni globale, ad aumentare la concorrenza evitando lo “shopping dei rating” e creando procedure standard per diffondere le informazioni. Per quanto concerne il tema del debito sovrano, invitano le agenzie di rating a evitare una struttura prociclica nel proprio lavoro, tenendo in considerazione le previsioni delle principali istituzioni finanziarie internazionali. Inoltre, ho invitato la Commissione a presentare proposte per riformare i modelli di pagamenti e imporre la responsabilità per condotta scorretta.

Infine, accolgo con soddisfazione il fatto che la relazione prenda in considerazione la creazione di un’Agenzia europea di rating indipendente e la possibilità di creare una fondazione europea.

 
  
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  Catherine Stihler (S&D), per iscritto. (EN) Sostengo la presente relazione, la quale riconosce che le agenzie di rating del credito mancano di responsabilità, concorrenza e trasparenza, particolarmente in materia di debito sovrano. Sono necessari ancora molti sforzi a livello comunitario e globale per garantire che pratiche sconsiderate non mettano in pericolo la sicurezza finanziaria dell’Unione.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. (PT) Le agenzie di rating del credito sono intermediari finanziari che promuovono liquidità e trasparenza nel mercato riducendo le asimmetrie dell'informazione nei mercati di capitali e facilitando l'accesso al mercato mondiale, riducono i costi dell'informazione e ampliano il parco potenziale di prenditori di credito e investitori.

Ad ogni modo, le agenzie presentano determinati problemi, in particolare per quanto concerne la mancanza di concorrenza, le strutture oligopolistiche e l’eccessiva fiducia riposta in loro, unitamente alla mancanza di trasparenza e responsabilità. Tali questioni sono sempre più importanti, ancor più per quegli Stati membri che, a causa di difficoltà economiche e finanziarie, assistono a una fluttuazione incoerente e ciclica di varie istituzioni nazionali.

Sebbene non si possa negare l’importanza delle agenzie di rating del credito, è consigliabile limitare il loro ruolo in futuro. Pertanto, ho votato a favore della proposta presentata dal Parlamento, che invita la Commissione a effettuare uno studio di impatto e un’analisi di costi, benefici e della potenziale struttura di governance di una Fondazione europea di rating del credito (ECRaF) che intervenga nei vari settori del rating: società, settore pubblico e strumenti finanziari.

 
  
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  Derek Vaughan (S&D), per iscritto. (EN) La presente relazione introdurrà un controllo maggiore delle agenzie di rating del credito da parte della nuova Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, che si dimostrerà essere uno strumento importante nel garantire che il precedente atteggiamento lassista nei prestiti non possa continuare sulla scia della crisi finanziaria. Le agenzie di rating del credito ricevono un compenso dalle istituzioni finanziarie per emettere un rating sui loro prodotti e dalla conseguente attività di vendita di detti prodotti. Questo conflitto si traduceva nell’interesse, da parte delle agenzie, ad assegnare rating elevati a strumenti finanziari complessi, il che portava alla soddisfazione degli investitori nell’acquisto di detti prodotti. Inoltre, le agenzie fornivano consulenze alle aziende sulle modalità di presentare i propri prodotti a maggiore rischio come prodotti a basso rischio, rendendo detti prodotti più tossici di quanto indicato dal rating, una pratica ingannevole che ha causato perdite notevoli per gli investitori, tra cui molti pensionati in tutto il Galles.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI), per iscritto. (DE) La crisi economica e finanziaria ha gettato un’ombra sulle agenzie di rating del credito e, in particolare, sul loro ruolo attivo nella crisi, a causa di problemi quali la mancanza di concorrenza, un’eccessiva dipendenza dai rating esterni e una mancanza di responsabilità nel settore. Per questa ragione, il relatore invita a valutare la possibilità di creare un’Agenzia europea di rating del credito davvero indipendente, affermando che la nuova Fondazione europea per il rating del credito deve essere autosufficiente. Considerando le profonde conseguenze dei rating, un’intensa interazione con questo settore è inevitabile. Pertanto, ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Iva Zanicchi (PPE), per iscritto. – La crisi finanziaria degli ultimi anni ha messo in evidenza i tre principali problemi che interessano il settore: mancanza di concorrenza, eccessiva dipendenza del quadro normativo delle valutazioni esterne e assenza di responsabilità delle agenzie in relazione ai rating del credito emessi. Ho espresso un voto favorevole alla relazione del collega on. Klinz poiché ritengo valida e interessante la possibilità di istituire una fondazione di rating del credito europea completamente indipendente e non pubblica.

 
  
  

Relazione Falbr (A7-0172/2011)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) Voto a favore di questa relazione perché ritengo fondamentale confrontarci con il mancato rispetto degli standard sociali internazionali sia all’interno che fuori dell’Europa; queste rappresentano una forma di dumping sociale e ambientale che danneggia le imprese e i lavoratori europei. La relazione andrà auspicabilmente a rafforzare le norme di base per il lavoro che figurano nella legislazione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL).

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto.(LT) Ho votato a favore di questa risoluzione sulla dimensione esterna della politica sociale, la promozione delle norme sociali e del lavoro e la responsabilità sociale delle imprese europee. È opportuno sottolineare che la dimensione esterna della politica sociale comprende attività e iniziative dell’UE finalizzate alla promozione delle norme sociali e del lavoro nei paesi non aderenti. Tali norme offrono a uomini e donne la possibilità di trovare un lavoro dignitoso e produttivo in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità. Le norme internazionali del lavoro dovrebbero innanzi tutto assicurare lo sviluppo delle persone in quanto esseri umani. Le persone non sono merci il cui prezzo può essere negoziato. Il lavoro fa parte della nostra vita quotidiana ed è fondamentale per la dignità, il benessere e lo sviluppo dell’individuo. L’UE gode di una buona reputazione per quanto riguarda il dialogo internazionale sulle questioni sociali. In tale ambito, l’Unione è considerata un interlocutore sensibile e affidabile. Questo può essere sfruttato per raggiungere obiettivi più ambizioni fissati dall’UE. Uno di questi è la costruzione di un approccio coerente, integrato e professionale dell’UE alla dimensione esterna della politica sociale. A tal fine sarà essenziale il coordinamento in seno al Parlamento europeo, ma anche con la Commissione e con il Servizio per l’azione esterna recentemente istituito.

 
  
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  Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto.(RO) La dimensione esterna della politica sociale comprende le attività e iniziative dell'Unione europea finalizzate alla promozione delle norme sociali e del lavoro nei paesi terzi. La protezione dei diritti economici e sociali è un obbligo per tutti gli Stati membri, derivante dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite.

Ne consegue che l’atteggiamento di tutti gli Stati membri deve riflettere chiaramente i principi del modello sociale europeo quando sono in gioco questioni sociali e la cooperazione tra gli Stati membri. Vorrei sottolineare che il modello sociale europeo offre pari opportunità sul piano dell’istruzione, della formazione e del mercato del lavoro e un pari accesso ai servizi sociali come principali pilastri del successo economico.

Esorto quindi gli Stati membri a sostenere la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva, l’eliminazione di ogni forma di lavoro forzato o obbligato, l’eliminazione delle discriminazioni in relazione all’occupazione e l’abolizione del lavoro minorile.

Ho votato a favore di questa proposta di risoluzione che sostiene la dignità, il benessere e lo sviluppo individuale quali obiettivi fondamentali del nostro sviluppo economico.

 
  
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  Pino Arlacchi (S&D), per iscritto.(EN) La relazione sulla dimensione esterna della politica sociale si ricollega a una priorità delle politiche sociali UE. Il testo chiede il rafforzamento degli standard di base in materia di lavoro, così come sanciti nelle convenzioni OIL, tra cui la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva, l’eliminazione di ogni forma di lavoro forzato o obbligato, l’eliminazione delle discriminazioni in relazione all’occupazione e l’abolizione del lavoro minorile. Ho votato a favore di questa relazione che prefigura un cambio nella governance mondiale ed europea, volto a una migliore applicazione dei diritti dei lavoratori e degli standard di lavoro.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto.(FR) Ho sostenuto la relazione del collega Falbr perché credo che l’Unione debba promuovere delle norme sociali e del lavoro più severe presso i paesi terzi al fine di mantenere la sua credibilità nel commercio internazionale e allacciare rapporti forti con i principali partner commerciali. La relazione preconizza una relazione equilibrata con le ONG e le organizzazioni internazionali al fine di agevolare la ratifica delle convenzioni. Per poter negoziare con l’Unione, i paesi terzi devono innanzi tutto rispettare le norme del lavoro stabilite a livello internazionale.

 
  
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  Liam Aylward (ALDE), per iscritto.(GA) Secondo le ultime stime dell’Organizzazione internazionale del lavoro, 115 milioni di bambini svolgono lavori pericolosi – una tra le forme più deprecabili di lavoro minorile – a rischio della vita e della salute. In vista della Giornata mondiale contro il lavoro minorile del prossimo 12 giugno, ho votato a favore di questa relazione importante e opportuna, in cui si invitano le parti dell’accordo di libero scambio a impegnarsi – in conformità con la dichiarazione sui principi e i diritti fondamentali sul lavoro dell’OIL – a eliminare qualsiasi forma di lavoro forzato e abolire il lavoro minorile.

Il lavoro minorile e la violazione sistematica dei diritti umani non possono essere esclusi dalle discussioni su accordi commerciali; l’UE deve assumere una posizione forte a favore della politica sociale e del lavoro e degli standard sociali quando siede al tavolo delle trattative commerciali.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto.(LT) La dimensione esterna della politica sociale comprende anche le attività e iniziative dell’UE finalizzate alla promozione delle norme sociali e del lavoro nei paesi terzi. L’UE si è posta non soltanto l’obiettivo di diventare un polo d’eccellenza in materia di responsabilità sociale delle imprese (RSI), ma anche quello di promuovere la RSI nelle sue politiche esterne. Il mancato rispetto degli standard sociali internazionali di base costituisce una forma di dumping sociale e ambientale che danneggia le imprese e i lavoratori europei. Concordo sulla necessità di rafforzare il ruolo delle istituzioni internazionali competenti, quali l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e le Nazioni Unite, nonché di avvalersi della loro cooperazione per definire, applicare e promuovere le norme sociali internazionali di base.

 
  
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  Regina Bastos (PPE), per iscritto. (PT) Indubbiamente, il nostro è un mondo globalizzato, dove i paesi sono legati tra loro da vincoli economici, sociali, culturali e politici. Tuttavia i rapporti commerciali tra l’Unione europea e i paesi terzi sono contraddistinti ancora da profonde differenze a livello di sistemi di tutela sociale e condizioni di lavoro. Quale partner commerciale e importante parte negoziale a livello internazionale, l’UE dovrebbe incoraggiare l’applicazione di standard sociali e del lavoro più elevati presso i paesi terzi. Ho votato quindi a favore della relazione, in cui si enfatizza il ruolo cruciale che l’UE può svolgere nel campo dei diritti umani e in particolare del diritto a un lavoro dignitoso.

 
  
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  Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto.(FR) Una formula omogenea per una clausola sociale da inserire in tutti gli accordi commerciali bilaterali: questa è la proposta contenuta nella relazione di prossima adozione sulla dimensione esterna della politica sociale e la promozione delle norme sociali. Senza dubbio questa iniziativa si muove nella direzione giusta. Dopo la constatazione che gli accordi di libero scambio contengono solo riferimenti sporadici alle norme sociali, la relazione suggerisce alcune soluzioni, tra cui l’inserimento di una clausola sociale, il rispetto delle convenzioni dell’OIL che sono peraltro già state ratificate da tutti gli Stati membri, il rafforzamento della cooperazione tra i paesi terzi e gli Stati membri. Il concetto di responsabilità sociale delle imprese è l’altro aspetto interessante della relazione. Per quanto utile, la responsabilità sociale delle imprese rimane volontaria e facoltativa, quindi perfettibile. Oltre ad estendere questo concetto a più ambiti e all’inserimento della RSI nelle nostre politiche commerciali, perché non renderla obbligatoria? Oltre al segnale politico, ciò consentirebbe di avanzare concretamente nella realizzazione dei nostri obiettivi di politica sociale.

 
  
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  Sergio Berlato (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la dimensione esterna della politica sociale comprende le iniziative dell'Unione volte alla promozione delle norme sociali e del lavoro nei paesi terzi. L'Unione europea, con l'adozione di norme sul lavoro, favorisce la possibilità per i cittadini di ottenere un lavoro in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità. Considerata l'attuale fase di globalizzazione dell'economia mondiale, le norme internazionali del lavoro rappresentano la base sulla quale costruire la crescita sociale ed economica di un paese. La Cina, l'India e altre economie emergenti sono attori sempre più importanti nel panorama degli investimenti stranieri. Tuttavia, questo fenomeno è associato al rischio che questi paesi e, in particolare, le loro imprese esportino norme del lavoro meno rigorose di quelle presenti all'interno dell'Unione. Ritengo, pertanto, che l'Unione europea debba adottare un atteggiamento vigile nei confronti dei paesi terzi che vogliano concludere con essa accordi commerciali.

Le piccole e medie imprese europee sono i principali attori nell'attuazione delle norme sociali. A mio avviso è di fondamentale importanza disporre di una definizione chiara e univoca di responsabilità sociale delle imprese che impedisca l'attuale diversità di interpretazione stabilendo, nel contempo, le modalità che consentano di verificarne il rispetto.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. – Ho inteso sostenere con voto positivo la relazione del collega Falbr che da un lato coglie l'importanza strategica della responsabilità sociale delle imprese come strumento di motivazione volto a stimolare la crescita aziendale e dall'altro sottolinea che l'approccio al tema deve aver luogo solo su base volontaria. Ho inoltre condiviso pienamente l'approccio critico del relatore, il quale disapprova il comportamento dell'Unione europea che dimostra ipocrisia nel promuovere da un lato un modello sociale attento ai diritti sociali e nel concludere, d'altro, accordi commerciali con paesi che non rispettano o prevedono la tutela per i lavoratori. .

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto.(LT) Ho votato a favore della relazione perché accade ancora che le convenzioni e gli accordi dell’Organizzazione internazionale del lavoro non siano applicati in maniera corretta o completa e che i principi della responsabilità sociale delle imprese non siano rispettati. Le norme internazionali del lavoro devono innanzi tutto tutelare i diritti dei lavoratori, perché il lavoro è parte della vita di tutti giorni e fondamentale per la dignità, il benessere e la crescita degli individui. Unitamente alle norme sociali, la responsabilità sociale delle imprese dovrebbe favorire una crescita sostenibile; le aziende non devono rifuggire il dialogo con i loro dipendenti, anzi dovrebbero rispettarli e favorire un rapporto dignitoso con loro, incoraggiare la loro partecipazione mediante forme di consultazione e informazione, nonché attraverso le contrattazioni collettive; promuovere lo sviluppo delle competenze e la formazione permanente; rispettare le norme in materia di sicurezza sul lavoro; promuovere le pari opportunità; creare un ambiente adeguato in cui le parti sociali possono prevedere e gestire i cambiamenti del mercato del lavoro, come per esempio le ristrutturazioni; migliorare la qualità del lavoro e integrare e proteggere i lavoratori appartenenti a categorie vulnerabili come i giovani, gli anziani, i disabili e gli immigrati. L’Unione europea dovrebbe continuare a utilizzare un sistema a sanzioni e incentivi negli accordi bilaterali e regionali al fine di garantire l’applicazione delle disposizioni sociali stabilite negli accordi UE. Inoltre è molto importante che i governi stessi non si ritraggano dalle loro responsabilità e mantengano il modello sociale europeo, altrimenti corriamo il rischio di assistere a una privatizzazione del diritto del lavoro e dei sistemi e servizi di sicurezza sociale.

 
  
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  Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto.(RO) La dimensione esterna della politica sociale comprende le attività e iniziative dell'UE finalizzate alla promozione delle norme sociali e del lavoro nei paesi terzi. Benché la strategia di Lisbona e la strategia UE 2020 attribuiscano alla politica sociale un’importanza senza precedenti, le questioni della competitività e i fattori economici continuano a prevalere sulle questioni sociali. Otto convenzioni dell’OIL sanciscono gli standard di base in materia di lavoro che riguardano la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva, l’eliminazione di ogni forma di lavoro forzato o obbligato, l’eliminazione delle discriminazioni in relazione all’occupazione e l’abolizione del lavoro minorile.

Affinché l'Unione europea negozi con i paesi terzi, questi devono rispettare tutte le convenzioni sopra indicate. Ciò costituisce una condizione imprescindibile per l'avvio di negoziati con i paesi terzi. La politica commerciale non può ignorare il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori e pertanto la società può continuare a svilupparsi solo una volta eliminati questi ostacoli.

L’UE gode di buona reputazione per quanto riguarda il dialogo internazionale sulle questioni sociali. In tale ambito, l’Unione è considerata un interlocutore sensibile e affidabile. Questo può essere sfruttato per raggiungere obiettivi più ambizioni fissati dall’UE.

 
  
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  Zuzana Brzobohatá (S&D), per iscritto. (CS) La relazione affronta un argomento importantissimo al giorno d’oggi: i diritti dei lavoratori. Il cosiddetto dumping sociale rappresenta una grave minaccia per i lavoratori perché pregiudica seriamente i loro diritti. Le imprese multinazionali sono i principali attori nell’attuazione delle norme sociali. È pertanto essenziale mettere a punto una definizione chiara e univoca della nozione di responsabilità sociale delle imprese che ricomponga le attuali divergenze interpretative e stabilisca i requisiti minimi per tale responsabilità, nonché una modalità per controllarne il rispetto. Numerose imprese si trasferiscono in una regione soltanto perché offre un vantaggio finanziario temporaneo, dovuto in genere a un minore costo della manodopera. Le aziende rifiutano in genere di creare un legame duraturo con una data regione e quindi di partecipare alla responsabilità sociale per quella collettività. La relazione invoca un rafforzamento degli standard di base in materia di lavoro sanciti nelle convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro, tra cui figura la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva, l’eliminazione di ogni forma di lavoro forzato o obbligato, l’eliminazione delle discriminazioni in relazione all’occupazione e l’abolizione del lavoro minorile. Si chiedono cambiamenti nel sistema di gestione globale e in seno all’UE al fine di proteggere meglio i diritti dei lavoratori e le condizioni d’impiego. I relatori sono riusciti a propugnare una chiara dimensione sociale nel documento e ho pertanto voluto esprimere un voto favorevole.

 
  
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  John Bufton (EFD), per iscritto.(EN) Ho votato contro l’applicazione di una dimensione esterna della politica sociale, la promozione delle norme sociali e del lavoro e la responsabilità sociale delle imprese europee. Questo perché credo che l’UE dovrebbe esimersi dall’imporre norme sociali ai paesi terzi, per quanto possa ritenerle giuste o utili. Pur riconoscendo l’importanza di trattare i lavoratori in modo umano, la politica sociale dell’UE ha già messo in subbuglio diverse istituzioni britanniche e non dovrebbe essere esportata altrove. Nell’ambito della politica sociale occorre sempre un certo grado di flessibilità e libertà, perché una politica standardizzata può rivelarsi controproducente quando viene applicata a una data realtà nazionale. In sostanza, l’UE non dovrebbe affatto occuparsi di politica sociale.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto.(PT) Plaudo alle attività e iniziative dell’UE finalizzate alla promozione delle norme sociali e del lavoro nei paesi terzi, perché ciò garantisce che la crescita dell’economia mondiale vada a vantaggio di tutti nell’attuale contesto globalizzato. Sono favorevole a imporre ai paesi terzi delle condizioni basate sui valori sociali e sulla dignità umana quale presupposto per negoziare con l’UE. Attraverso questo tipo di Unione riusciremo a utilizzare la politica estera per migliorare la situazione nel mondo.

 
  
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  Mário David (PPE), per iscritto.(PT) L’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) svolge un ruolo cardine nel sistema internazionale perché contribuisce alla creazione di un consenso attorno alle norme in materia di lavoro. Gli Stati membri dell’UE hanno aderito a gran parte di questo importante acquis. Persistono però alcune differenze nella legislazione sul lavoro tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. A mio giudizio, è fondamentale per l’UE che avvenga una conciliazione tra le nostre norme e quelle dei paesi terzi, in particolare dei nostri principali partner commerciali, al fine di garantire un livello minimo di giustizia nel commercio internazionale. La relazione è del medesimo parere e stabilisce alcune strategie volte a fare rispettare a questi paesi i medesimi principi dell’UE in materia di diritto del lavoro. La definizione di standard equi per le condizioni di lavoro è una premessa essenziale a uno sviluppo duraturo e sostenibile, oltre a contribuire alla realizzazione degli Obiettivi di sviluppo del Millennio. Ritengo quindi che la relazione offra un contribuito sufficientemente valido allo sviluppo del sistema di scambi internazionale basato su rapporti di lavoro tanto eterogenei a livello di paesi/blocchi commerciali. Posso affermare che la promozione di questa politica di responsabilità per le condizioni di lavoro è dimostrazione di un’Europa attenta e scrupolosa, determinata a difendere i valori universali in cui crede.

 
  
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  Luigi Ciriaco De Mita (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, uno degli obiettivi fondamentali dell´UE è quello di coniugare lo sviluppo umano e sociale con lo sviluppo economico. Il loro equilibrato rapporto consente da un lato alle persone di svolgere il loro lavoro con un'adeguata remunerazione che rispetti la dignità umana e la qualità professionale e, dall´altro, agli imprenditori di perseguire lo sviluppo della loro impresa secondo logiche di mercato temperate dalla dimensione umana in cui esso si deve sviluppare. Questa prospettiva, che alcuni chiamano anche economia sociale di mercato, in realtà è un nuovo paradigma che va oltre l'economia del benessere e si riorienta alla centralità della persona umana. Questo riorientamento non può non comprendere un coerente sostegno alla politica sociale, inclusa la promozione delle relative norme e una correlata responsabilità delle imprese. Tale approccio e visione non può e non deve riguardare solo l´ambito interno all´UE, ma anche l' azione esterna, in ogni occasione, in modo particolare quando vengono negoziati accordi. Il rispetto delle norme dell´OIL, i principi contenuti nella Carta sociale europea, il dialogo sociale, sono solo alcuni dei temi che possono essere sviluppati in tali occasioni. La relazione approvata ritengo sia un buon sostegno a questi obiettivi.

 
  
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  Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto.(EN) La dimensione esterna della politica sociale si articola in iniziative e attività comunitarie finalizzate alla promozione delle norme sociali e del lavoro nei paesi terzi. Il mancato rispetto, nell’UE e all’esterno, degli standard sociali internazionali di base costituisce una forma di dumping sociale e ambientale che danneggia le imprese e i lavoratori e cittadini UE e dei paesi terzi. Se prendiamo atto della globalizzazione dell’industria e dei servizi, le norme internazionali del lavoro sono il presupposto per garantire una crescita dell’economia mondiale a vantaggio di tutti. La relazione chiede un cambiamento nel governo mondiale e UE al fine di migliorare l’attuazione dei diritti dei lavoratori e delle condizioni di lavoro, oltre a invocare il rafforzamento delle norme di base del lavoro sancite dalle otto convenzioni OIL che riguardano la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva, l’eliminazione di ogni forma di lavoro forzato o obbligato, l’eliminazione delle discriminazioni in relazione all’occupazione e l’abolizione del lavoro minorile.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto.(FR) La dimensione esterna della politica sociale è finalizzata alla promozione delle norme sociali e del lavoro presso i paesi terzi e alla lotta contro il dumping sociale che segue talvolta alla globalizzazione del commercio internazionale. L’Unione non può assistere inerme al dumping sociale, sanitario e ambientale causato dall’esodo massiccio dei sistemi di produzione dal territorio europeo. I costi irrisori della manodopera o le condizioni di lavoro deplorevoli non devono essere più considerate dalla Commissione un “vantaggio competitivo naturale”. Su questo punto, chiedo con determinazione un cambiamento nella posizione adottata dalla Commissione.

 
  
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  Christine De Veyrac (PPE), per iscritto.(FR) Ho votato a favore della relazione Falbr perché dinanzi al recente indebolimento del ruolo dell’Organizzazione internazionale del lavoro, ritengo opportuno ricordare l’importanza del rispetto dei diritti sociali dei lavoratori nel mondo. L’Unione europea deve assumere la guida a livello mondiale e imporre agli altri paesi il rispetto delle norme internazionali del diritto del lavoro, oltre a limitare il ricorso disinibito al dumping sociale. È importante che tutti gli attori europei siano coinvolti nella realizzazione di questa politica: i governi nell’ambito della conclusione di accordi internazionali o le imprese europee che espandono le loro attività nei paesi terzi.

 
  
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  Anne Delvaux (PPE), per iscritto.(FR) La dimensione esterna della politica sociale è finalizzata alla promozione delle norme sociali fondamentali presso i paesi terzi per il raggiungimento degli Obiettivi per lo sviluppo del Millennio stabiliti dalle Nazioni Unite e per tutelare i lavoratori grazie al rispetto delle norme internazionali del lavoro. L’UE non è affatto superata e dovrebbe fare leva sulla propria credibilità e buona reputazione in questo ambito per allacciare alleanze sociali con i principali partner commerciali e promuovere queste norme presso l’OMC e l’OIL. Per sedere al tavolo delle trattative con l’UE, i paesi terzi devono aderire ai medesimi standard internazionali di base in materia di lavoro.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto.(PT) La dimensione esterna della politica europea non è limitata alla stipula di accordi o agli aiuti internazionali. C’è molto di più; ad essa sottende un lavoro di esportazione dei valori europei verso i paesi terzi, non solo in termini di democratizzazione e maggiore rispetto dei diritti fondamentali, ma anche di promozione di politiche attive a protezione dell’ambiente, dei diritti di donne e minori, delle norme del lavoro che tutelano la dignità umana e promuovono lo sviluppo personale. Lo stesso vale per la promozione delle politiche di responsabilità sociale presso le imprese nei paesi terzi.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Questa relazione dell’onorevole Falbr riguarda la dimensione esterna della politica sociale, la promozione delle norme sociali e del lavoro e la responsabilità sociale delle imprese. L’Unione europea è sempre stata un bastione per la difesa dei diritti sociali dei lavoratori, il cui rispetto è una condizione imprescindibile per i negoziati con i paesi terzi. Nonostante le otto convenzioni dell’Organizzazione mondiale del lavoro (OIL), oltre la metà dei lavoratori non godono di diritti sociali, stando all’OIL stessa, in particolare se sono immigrati, donne e minori. È negli interessi dell’UE promuovere la dignità personale e il rispetto dei diritti sociali in tutti gli Stati membri, creando allo scopo un meccanismo in grado di individuare e sanzionare chi non garantisce tali diritti ai lavoratori. Sono favorevole alla relazione e ho quindi espresso un voto positivo. Oltre a ribadire l’importanza di determinati valori in un mondo globalizzato e sempre più dominato dall’economia, la relazione promuove la dignità umana, condanna lo sfruttamento delle persone, promuove il benessere e lo sviluppo personale integrato, oltre a esortare l’UE a ottemperare alle norme OIL.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto.(PT) Questa è l’ennesima enunciazione di preoccupazioni e critiche lecite che purtroppo non tocca il nocciolo del problema e per questo motivo finisce col peccare di una certa incoerenza.

La relazione sulla sicurezza sociale nel mondo redatta nel 2010 dall’Organizzazione mondiale del lavoro (OIL) afferma che oltre il 50 per cento dei lavoratori non gode di alcuna tutela sociale. È in questo contesto che l’Unione europea sta realizzando una politica commerciale basata sulla difesa strenua del libero scambio, grazie alla negoziazione e conclusione di innumerevoli accordi bilaterali e regionali. Lungi dall’incoraggiare la “responsabilità sociale delle imprese” che è praticamente inesistente, tali accordi intendono in realtà tutelare i profitti delle grandi aziende e istituzioni finanziarie, non prestano la dovuta attenzione ai diritti dei lavoratori, all’importanza delle contrattazioni collettive e della libertà di associazione dei lavoratori, all’eliminazione effettiva delle discriminazioni sul posto di lavoro, all’eliminazione del lavoro forzato, al lavoro in condizioni di scarsa sicurezza e male retribuito, o al lavoro minorile.

Questo elenco è meramente esemplificativo, a indicare che la relazione avrebbe potuto e dovuto spingersi oltre. È importante attribuire una responsabilità alla Commissione europea ed esigere da lei una coerenza nelle sue politiche e azioni, oltre a iniziative efficaci volte alla promozione delle norme sociali e del lavoro.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto.(PT) La relazione ha alcuni aspetti positivi, per esempio denuncia le multinazionali che ignorano sistematicamente i diritti dei lavoratori, compreso il diritto a un lavoro dignitoso, e sottolinea la necessità di integrare la politica sociale in senso orizzontale in tutte le politiche esterne dell’Unione, anche nell’ambito della cosidetta responsabilità sociale delle imprese (RSI).

L’efficacia di tali aspetti positivi risulta tuttavia annacquata perché non viene richiesta l’attuazione di politiche alternative volte a obbligare le società ad assumersi la loro RSI.

Ci rammarichiamo che non sia stata accolta la richiesta di eliminare il punto n. 31 – “sottolinea che non occorre adottare a livello dell'UE direttive che disciplinino e impongano la responsabilità sociale delle imprese”.

Il Parlamento dovrebber fare qualcosa di più che “invitare” o “incoraggiare” la Commissione ad adottare una posizione e richiedere la creazione di un quadro normativo in materia di RSI che preveda norme minime a tutela degli standard di base sanciti dall’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) presso le multinazionali e nell’Unione europea stessa, o l’inclusione di clausole sociali e sul lavoro dignitoso negli accordi commerciali bilaterali che l’Unione europea negozia in seno all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Queste considerazioni mi hanno indotto a votare contro la relazione.

 
  
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  Monika Flašíková Beňová (S&D), per iscritto. (SK) La dimensione esterna della politica sociale è una delle priorità del gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici al Parlamento europeo. È fondamentale rafforzare le norme del lavoro che riguardano la libertà di associazione, le contrattazioni collettive, l’eliminazione del lavoro forzato e obbligatorio, la discriminazione in ambito lavorativo e l’abolizione del lavoro minorile. Le norme internazionali del lavoro servono a garantire che lo sviluppo economico continui ad essere incentrato sul miglioramento della vita e della dignità umana e non sulla definizione delle condizioni e dei diritti dei lavoratori.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto.(FR) La globalizzazione tende in sostanza a istigare una concorrenza sleale tra i lavoratori dei vari paesi, attraverso le delocalizzazioni, la cosiddetta immigrazione per lavoro, nonché tramite il famigerato MODE 4 dell’accordo generale sugli scambi di servizi. Il problema è che l’Unione europea si spreca in nobili discorsi sull’argomento che regolarmente rimangono lettera morta. Quando mai siamo intervenuti con azioni pratiche e concrete in risposta a situazioni intollerabili di sfruttamento? Tali situazioni hanno magari pregiudicato la firma di accordi commerciali con l’uno o l’altro paese? Mai. Perché mentre fate finta di preoccuparvi della situazione dei lavoratori stranieri, escludete dalle vostre riflessioni i lavoratori europei. Il relatore rammenta – e io sottoscrivo – che “le norme internazionali del lavoro non devono essere utilizzate a fini di protezionismo commerciale” secondo gli organismi internazionali! Allora quali principi, quali valori o considerazioni possono essere contrapposti all’onnipotenza del mercato? Vi soffermate a lungo sulla responsabilità sociale delle imprese che, dopo tutto, si limitano a giocare secondo le regole da voi dettate. Quando ci occuperemo della pesantissima responsabilità sociale dei decisori politici nell’UE?

 
  
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  Catherine Grèze (Verts/ALE), per iscritto.(FR) Mi compiaccio che il parere della commmissione per lo sviluppo, di cui sono stata relatrice, sia stato allegato alla relazione. In questo momento si tiene la centesima Conferenza internazionale del lavoro e tutti siamo consapevoli che le norme in vigore rimangono inattuate.

In questo contesto mondiale di crisi, è fondamentale che l’UE invii un messaggio forte e preconizzi una nuova era di giustizia sociale. Le proposte contenute nella relazione Falbr consentirebbero un avanzamento concreto. Possiamo solo deplorare la politica di due pesi e due misure applicata in relazione ai diritti sociali. Per garantire una reale applicazione delle norme sociali, occorre disporre di meccanismi attuativi comprensivi di incentivi e sanzioni. Bisogna includere una clausola sociale in tutti gli accordi commmerciali dell’UE che sia giuridicamente vincolante. Disapprovo il paragrafo 31 della relazione, in cui si afferma che a livello dell'UE non occorre adottare direttive volte a disciplinare e imporre la responsabilità sociale delle imprese. Insisto sulla necessità di orientarsi maggiormente verso più giustizia sociale, nonché di garantire i diritti dei lavoratori nel mondo e in particolare nei nostri rapporti con i paesi in via di sviluppo.

 
  
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  Nathalie Griesbeck (ALDE), per iscritto.(FR) La crisi economica e finanziaria in corso oggi in Europa e nel resto del mondo si coniuga a una grave crisi sociale. In questo contesto difficile, l’Unione europea e le sue imprese hanno una grande responsabilità sociale nelle relazioni che intrattengono con i paesi terzi. Con il mio voto voglio sottolineare che l’Unione europea deve garantire il rispetto delle norme sociali e dei diritti dei lavoratori nell’ambito degli accordi stipulati con questi paesi. In ragione dei valori che rappresenta, l’Unione europea deve garantire lo sviluppo e la diffusione nel mondo delle norme in cui si articola il suo diritto del lavoro. L’Europa deve assurgere a modello. Ciò mi ha indotto a votare anche a favore di quelle disposizioni che ribadiscono la responsabilità sociale delle imprese.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto.(LT) Ho accolto con favore questa relazione perché all’inizio del secolo, l’UE ha modificato la sua strategia relativa alla dimensione esterna della politica sociale, passando da un approccio vincolante a uno non vincolante, vale a dire concentrandosi sulla cooperazione e sul dialogo internazionali anziché sull’associazione delle norme sociali agli accordi commerciali. L'Unione europea utilizza diversi tipi di strumenti per attuare la politica sociale nei paesi terzi: strumenti vincolanti, non vincolanti e strumenti finanziari. L'utilizzo di questi strumenti mostra che l'Unione europea si aspetta un determinato comportamento nelle relazioni con i suoi partner commerciali. Lo scoglio è tuttavia costituito dall'attuazione di questi strumenti e dalla loro applicazione nei paesi partner. È fondamentale che l’UE si concentri di più sull’attuazione e applicazione, in particolare delle convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) e dei principi della responsabilità sociale delle imprese. È pertanto essenziale che l'Unione europea si concentri maggiormente sulla loro attuazione ed effettiva applicazione; questo vale in particolare per le convenzioni dell'OIL e per i principi di responsabilità sociale delle imprese. Spesso è l'ordinamento giuridico del paese in questione a costituire un ostacolo; tuttavia, anche la debolezza della volontà politica e la pressione economica interna entrano in gioco. L'ignoranza dei lavoratori in merito ai loro diritti è un altro fattore importante.

 
  
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  Cătălin Sorin Ivan (S&D), per iscritto.(EN) Stando alla relazione, l’UE riesce a combinare con originalità il dinamismo economico a un modello sociale. Offre pari opportunità sul piano dell’istruzione, della formazione e del mercato del lavoro e un pari accesso ai servizi sociali. La relazione sottolinea la necessità di realizzare programmi per il lavoro adeguati che riflettano il fabbisogno e le priorità nazionali riguardanti l’occupazione e la politica sociale e e si basino su un accordo tripartito tra padronato, lavoratori e governi. Questo aspetto è molto importante nel contesto attuale. Sulla scorta di queste motivazioni ho deciso di votare a favore della relazione.

 
  
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  Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto.(PL) Le persone vanno messe al primo posto e da qui l’importanza di promuovere l’occupazione e le norme sociali. Le persone che vivono nelle aree rurali e in particolare le donne e i giovani costituiscono un buon esempio; la stragrande maggioranza delle aziende agricole è controllata da uomini. Credo che le donne vadano sostenute al fine di riequilibrare la situazione. A mio avviso, è altrettanto importante aiutare i giovani agricoltari a subentrare ai genitori nella gestione dell’azienda famigliare. Per favorire i giovani occorre migliorare la qualità dell’istruzione nelle aree rurali e i giovani dovrebbero avere accesso a forme di apprendimento e di crescita personale anche in ambito non rurale. Un altro tema fondamentale è la responsabilità sociale delle imprese.

Le aziende devono impegnarsi quotidianamente nella tutela della società e dell’ambiente, di loro iniziativa e a prescindere da eventuali obblighi di legge. Le imprese non pensano più esclusivamente al profitto, ma cominciano a essere sempre più consapevoli delle questioni sociali e della protezione ambientale.

 
  
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  Martin Kastler (PPE), per iscritto. (DE) Ho votato a favore della relazione perché credo nella responsabilità sociale che le imprese devono assumersi nei confronti dei collaboratori, dei clienti, dell’ambiente e della società. La corporate social responsibility ormai entrata a far parte del vocabolario tedesco è un impegno volontario e tale deve rimanere. Nel mercato globale, questo concetto non si riferisce esclusivamente alle donazioni a favore della squadra di calcio locale. Le imprese che agiscono in maniera responsabile su scala mondiale influiscono sulla politica estera e di sviluppo.

Queste aziende sono ambasciatrici dell’Europa nel mondo e conferiscono visibilità internazionale alle norme sociali europee. È nostro compito incoraggiare, anziché regolamentare, la responsabilità sociale delle imprese. L’Europa svolge qui la parte del moderatore e non del legislatore. Ciò deve essere chiaro se la Commissione fa sul serio e intende davvero tornare a dedicarsi al tema della responsabilità sociale delle imprese: guardiamoci dagli eccessi normativi! Nella relazione abbiamo voluto puntualizzare questo aspetto.

 
  
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  Jan Kozłowski (PPE), per iscritto.(PL) Penso che l’onorevole Falbr abbia redatto una buona relazione e vorrei spiegarvi perché ho deciso di esprimere un voto positivo. La promozione di più elevati standard sociali e del lavoro o della responsabilità sociale delle impresea costituisce una sfida davvero grande per la dimensione esterna della politica sociale. Tra i problemi enunciati, il relatore menziona in particolare l’inefficacia degli organi amministrativi cui compete la realizzazione della politica per il lavoro. Una cooperazione duratura e costruttiva con i paesi terzi, che veda coinvolta l’Unione nel suo insieme come pure i singoli Stati membri, può diventare una fonte di buone prassi per quanto concerne lo sviluppo delle capacità amministrative necessarie. Credo che anche la cooperazione a livello regionale e locale e con le imprese possa dare buoni risultati. Un esempio eccellente di partenariato, sostegno e scambio di esperienze che ha avuto un riscontro positivo negli ultimi anni è la cooperazione tra alcune regioni polacche e i paesi del partenariato orientale.

 
  
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  Agnès Le Brun (PPE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della risoluzione sulla dimensione esterna della politica sociale dell’Unione europea. Nel mondo, l’Unione è un polo d’attrazione e un partner ambito e ciò è dovuto in larga misura al mondo unico in cui riesce a conciliare un’economia dinamica con un modello sociale. Quest’ultimo deve essere promosso dall’Unione anche nelle relazioni con gli altri paesi e diventare oggetto di un’azione coerente sia entro la dimensione interna che quella esterna. La relazione insiste sulla necessità di promuovere la responsabilità sociale delle imprese. In sostanza, le imprese commerciali devono integrare anche la dimensione sociale e ambientale. La risoluzione ribadisce che tale impegno non deve essere obbligatorio ma restare il frutto di un’interazione tra le parti coinvolte su base volontaria. La relazione mira inoltre a integrare nei negoziati internazionali i diritti dei lavoratori che l’Organizzazione internazionale del lavoro ha il compito di difendere, oltre a promuovere una governance economica mondiale che tenga conto di questi criteri.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto.(EN) Sono favorevole alla relazione. Gli standard di base per il lavoro figurano nelle otto convenzioni dell'OIL che riguardano la libertà di associazione e la negoziazione collettiva, l'eliminazione del lavoro forzato e obbligatorio, l'eliminazione della discriminazione in materia di impiego e nelle professioni e l'abolizione del lavoro minorile. Da queste convenzioni, ma anche dal rapporto della Commissione mondiale sulla dimensione sociale della globalizzazione, emerge chiaramente la necessità di non concentrarsi più strettamente sui mercati ma di interessarsi più in generale alle persone, ovvero alla protezione dei diritti dei lavoratori e al diritto del lavoro. Affinché l'Unione europea negozi con i paesi terzi, questi devono rispettare tutte le convenzioni sopra indicate. Ciò costituisce una condizione imprescindibile per l'avvio di negoziati con i paesi terzi. La politica commerciale non può ignorare il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori e pertanto la società può continuare a svilupparsi solo una volta eliminati questi ostacoli. Con la definzione degli standard per il lavoro, l’UE offre a uomini e donne la possibilità di ottenere un lavoro dignitoso e produttivo in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità. Nel contesto della globalizzazione attuale, le norme internazionali del lavoro sono il presupposto per garantire che la crescita dell’economia mondiale vada a beneficio di tutti.

 
  
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  Jiří Maštálka (GUE/NGL), per iscritto. (CS) Le finalità e la maggioranza dei contenuti della relazione dell’onorevole Falbr sono positivi, a mio giudizio. Penso che l’occupazione e condizioni di lavoro dignitose siano un elemento chiave dello sviluppo sostenibile – non solo nei paesi UE. Come il relatore, anch’io mi rammarico che non esista una singola definizione della “clausola sociale” utilizzabile non negli accordi commerciali bilaterali, ma nella creazione di condizioni d’impiego dignitose per i lavoratori. I modelli sociali di alcuni paesi europei potrebbero servire da esempio anche per i paesi in via di sviluppo. Concordo anche sul parere relativo alla lotta congiunta per eliminare il lavoro minorile.

Nonostante queste considerazioni, mi sono astenuto dal voto perché è impossibile imporre requisiti sociali negli accordi commerciali bilaterali quando manca una definizione univoca del concetto di rispetto dei diritti umani. Questo criterio non è utilizzabile come argomentazione per impedire la firma di accordi.

 
  
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  Barbara Matera (PPE), per iscritto.(IT) “Una volta suscitata la brama di cose nuove, che da tempo sta sconvolgendo gli Stati, ne sarebbe derivato come conseguenza che i desideri di cambiamenti si trasferissero alla fine dall'ordine politico al settore contiguo dell'economia.” Cito l’amato Papa Giovanni Paolo II, che, riprendendo i temi trattati dal suo predecessore Leone XIII nell'enciclica Rerum Novarum, nell’enciclica Centesimus Annus, analizza e interviene sulla "questione" sociale, che nel 1991 come oggi deve trovare soluzione nella dottrina cristiana, quindi nel riconoscimento della dignità dell'essere umano, del lavoratore, senza distinzione alcuna.

Ho espresso il mio voto favorevole alla relazione dell'onorevole Falbr poiché pone l'accento proprio sull'importanza della salvaguardia dei diritti umani, su come il modello sociale europeo rappresenti un punto di partenza importante anche rispetto alle relazioni esterne dell'Unione. La responsabilità sociale deve operare in tal senso e l'Unione europea, attraverso il suo Parlamento, deve recuperare e rafforzare questi principi in ogni sua azione e soprattutto verso i paesi terzi i cui cittadini non godono dei diritti fondamentali. Da vicepresidente della Commissione FEMM non posso non sottolineare l’importanza per noi tutti di cooperare anche all'esterno per eliminare le discriminazioni di genere, nonché la violenza di genere, così da recuperare la dignità sociale della donna e il suo attivo contributo alla crescita dell’economia locale come sovranazionale.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto.(PT) La globalizzazione dell’economia e la rilocalizzazione delle aziende europee ha aumentato l’interesse per la dimensione esterna della politica sociale che comprende le attività e iniziative dell'Unione europea finalizzate alla promozione delle norme sociali e del lavoro nei paesi terzi. Le norme di base del lavoro sono sancite dalle otto convenzioni OIL che riguardano la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva, l’eliminazione di ogni forma di lavoro forzato o obbligato, l’eliminazione delle discriminazioni in relazione all’occupazione e l’abolizione del lavoro minorile. Affinché l'Unione europea negozi con i paesi terzi, questi devono rispettare tutte le convenzioni sopra indicate. Ciò costituisce una condizione imprescindibile per l'avvio di negoziati con i paesi terzi. La politica commerciale non può ignorare il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori e pertanto la società può continuare a svilupparsi solo una volta eliminati questi ostacoli. Le norme internazionali del lavoro devono essere utilizzate per garantire che lo sviluppo economico continui ad essere incentrato sul miglioramento della vita e della dignità umana e non sulla definizione delle condizioni e dei diritti dei lavoratori.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto.(EN) La dimensione esterna della politica sociale è una priorità assoluta per me e il mio gruppo. Di recente abbiamo adottato una risoluzione relativa alla prossima convenzione per proteggere i lavoratori domestici che dovrà essere approvata il prossimo giugno. La presente relazione auspica più in generale un rafforzamento delle norme di base del lavoro che figurano nelle convenzioni OIL e riguardano la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva, l’eliminazione di ogni forma di lavoro forzato o obbligato, l’eliminazione delle discriminazioni in relazione all’occupazione e l’abolizione del lavoro minorile. Il gruppo S&D chiede un cambiamento nella governance mondiale ed europea affinché siano rispettati meglio i diritti dei lavoratori e le condizioni di lavoro. Il mancato rispetto degli standard sociali internazionali di base all’interno e all’esterno dell’UE costituisce una forma di dumping sociale e ambientale che danneggia le imprese e i lavoratori europei. Ho votato a favore.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto.(DE) Sottoscrivo i principi enunciati nella relazione, ma vorrei precisare che i suoi nobili obiettivi sono praticamente irrealizzabili. Innumerevoli accordi commerciali in vigore non prevedono alcuna clausola di rispetto delle norme sociali. Fintanto che continuerà a esistere questa discrepanza palese, la presente relazione può avere un’efficacia e un senso limitati. La relazione incoraggia gli Stati membri ad applicare le norme di base del diritto del lavoro alle imprese del proprio paese. Lo stesso non dovrebbe valere anche per le aziende extraeuropee? Inoltre mi pare che, pur proponendosi di ovviare agli effetti negativi della globalizzazione, la relazione non riesca in ultima analisi a farlo con i provvedimenti suggeriti. Ho quindi deciso di astenermi dal voto.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. (DE) Con questa relazione, l’Unione europea si pone degli obiettivi alquanto ambiziosi sulla base di principi attentamente ponderati. Gli Stati membri sono invitati ad applicare le norme di base del diritto del lavoro alle imprese del proprio paese. Purtroppo pare che al momento lo stesso principio non valga anche per le imprese extraeuropee. Siccome condivido i principi di fondo della relazione ma considero le sue conclusioni inadatte alle finalità professate, mi sono astenuto dal voto.

 
  
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  Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto.(PL) La dimensione esterna della politica sociale UE, destinata ai paesi che non desiderano aderire all’Unione, dovrebbe essere innanzi tutto coerente, pragmatica e omogenea. Sia la dimensione interna che la dimensione esterna della politica sociale dovrebbero promuovere le norme sociali e del lavoro che rientrano peraltro tra gli obiettivi prioritari dell’UE.

In connessione con quanto sopra, tutti gli Stati membri che stipulano accordi con i paesi terzi dovrebbero assicurarsi che questi ultimi siano allineati con il modello sociale europeo. Dobbiamo chiedere ai paesi che non desiderano aderire all’UE il rispetto del diritto di associazione e un impegno contro le discriminazioni di genere e di età. L’eliminazione del lavoro minorile e il diritto dei cittadini a migliorare la loro preparazione professionale sono aspetti molto importanti. Per quanto concerne la cooperazione allo sviluppo, l’Unione europea dispone di abbastanza fondi per creare strutture adeguate a favore dell’istruzione e della formazione professionale. Nell’ambito dei negoziati per gli accordi di partenariato, è assolutamente fondamentale che la Commissione europea faccia i necessari aggiustamenti in funzione della situazione attuale e della realtà di vita nel paese in questione. Il Parlamento europeo ha acquisito nuove competenze con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona e dovrebbe cooperare attivamente con i sindacati europei e internazionali allo scopo di migliorare la situazione sociale.

 
  
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  Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto.(EL) Ho votato a favore della relazione sulla dimensione esterna della politica sociale, la promozione delle norme sociali e del lavoro e la responsabilità sociale delle imprese europee. Con questo documento ci prefiggiamo di promuovere le norme sociali e del lavoro, nonché la responsabilità sociale delle imprese anche al di fuori dell’UE. L’obiettivo è di per sé legittimo, anche se nutro alcune riserve in merito alla nostra capacità di realizzarlo. Le norme sociali fondamentali citate nel documento sono a rischio e sta anzi emergendo la volontà di promuovere norme sociali e del lavoro diverse all’interno dell’UE stessa. Le norme applicate nel mio paese, la Grecia, dove la disoccupazione tra i giovani di 25 anni ammonta al 36,1per cento, o la Spagna dove raggiunge il 43per cento, sono molto diverse da quelle applicate nelle economie europee più forti. La relazione ci ricorda che se l’UE desidera assumere una posizione di punta nel mondo per quanto concerne la politica sociale, è necessario garantire la coesione tra le politiche sociali applicate nei diversi Stati membri.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto.(PT) Ho votato a favore della relazione sulla dimensione esterna della politica sociale, la promozione delle norme sociali e del lavoro e la responsabilità sociale delle imprese europee. Benché la strategia di Lisbona e la strategia UE 2020 attribuiscano alla politica sociale un'importanza senza precedenti, le questioni della competitività e i fattori economici continuano a prevalere sulle questioni sociali. Diventa fondamentale proteggere le nostre norme del lavoro, come figurano nelle otto convenzioni dell'OIL, che riguardano la libertà di associazione e la negoziazione collettiva, l'eliminazione del lavoro forzato e obbligatorio, l'eliminazione della discriminazione in materia di impiego e nelle professioni e l'abolizione del lavoro minorile. Dobbiamo concentrarci sulla protezione dei diritti dei lavoratori e l’applicazione del diritto del lavoro. Affinché l'Unione europea negozi con i paesi terzi, questi devono rispettare tutte le convenzioni sopra indicate. Ciò costituisce una condizione imprescindibile per l'avvio di negoziati con i paesi terzi. La politica commerciale non può ignorare il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori e pertanto la società può continuare a svilupparsi solo una volta eliminati questi ostacoli.

 
  
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  Aldo Patriciello (PPE), per iscritto.(IT) La dimensione esterna della politica sociale dell'UE mira a promuovere le norme sociali nei paesi terzi, ma le questioni della competitività e i fattori economici continuano a prevalere sulle questioni sociali e del lavoro. Troviamo finora otto convenzioni dell'OIL, ratificate da parte di tutti gli Stati membri dell'UE. Queste portano a una produzione di base di norme internazionali comune a tutti gli Stati membri.

Risulta ancora necessario dover concentrarsi in generale sulle persone in quanto esseri umani, questo è possibile con la protezione dei diritti dei lavoratori e del diritto al lavoro. L'OIL riveste un ruolo fondamentale a livello internazionale per la costruzione, la promozione e l'effettiva attuazione di queste norme. Anche le aziende devono contribuire per uno sviluppo sostenibile al fine di promuovere condizioni di qualità per i lavoratori, ma la differenza tra paesi sviluppati e in via di sviluppo persiste nei loro sistemi di protezione sociale. Per quanto esposto prima e affinché ci sia una maggiore promozione del lavoro, degli standard sociali, sia nei paesi UE che nei paesi terzi. e per un rispetto delle norme fondamentali del lavoro definite a livello internazionale, esprimo il mio voto favorevole per la proposta in esame.

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto.(RO) Le norme fondamentali del lavoro che figurano nelle otto convenzioni dell'OIL riguardano la libertà di associazione e la negoziazione collettiva, l'eliminazione del lavoro forzato e obbligatorio, l'eliminazione della discriminazione in materia di impiego e nelle professioni e l'abolizione del lavoro minorile.

Ne consegue che occorre prestare maggiore attenzione alla tutela dei diritti dei lavoratori e alla legislazione del lavoro. Occorre consolidare in modo significativo lo status giuridico e la posizione sociale delle donne per prevenire le discriminazioni e sfruttare il loro potenziale contributo allo sviluppo economico e sociale. Esorto la Commissione e gli Stati membri ad applicare il diritto alla non-discriminazione, ovvero il diritto all’uguaglianza nel lavoro e nelle condizioni a prescindere dal genere, dalla razza, dall’età e da eventuali disabilità quale principio guida nella lotta contro la povertà.

Esorto la Commissione e gli Stati membri a cooperare con i paesi partner al fine di contrastare con maggiore impegno il lavoro minorile, creando in cambio posti di lavoro dignitosi per gli adulti e possibilità adeguate di formazione per i bambini. La libertà di associazione per i sindacati e il diritto alla contrattazione collettiva devono valere senza eccezioni al fine di migliorare e garantire condizioni di lavoro dignitose.

 
  
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  Phil Prendergast (S&D), per iscritto.(EN) La promozione delle norme del lavoro nell’ambito dei negoziati che l’UE intrattiene con i paesi terzi è a beneficio sia degli Stati membri che dei paesi terzi. Con la promozione di standard di sicurezza più elevati e di retribuzioni migliori, l’UE contribuisce a migliorare la vita dei lavoratori. Insistendo su retribuzioni migliori, l’UE si assicura parimenti che i paesi terzi possano fungere anche da mercato per le esportazioni UE. Se permettiamo ai paesi che non garantiscono retribuzioni adeguate di importare la loro merce nell’Unione, tagliamo fuori dal mercato le nostre imprese a causa dei loro prezzi più elevati. Per le imprese europee è difficile competere con i paesi terzi che non ottemperano alle medesime norme di sicurezza e che possono pagare molto di meno i lavoratori. In ogni caso è importante essere consapevoli dei pericoli insiti negli approcci meno cogenti alle norme del lavoro. Oltre al fatto che tali norme non sono vincolanti e non prevedono sanzioni in caso di infrazioni, esse rischiano di indebolire i sistemi di vigilanza consuenti a favore di procedure di controllo informali. L’UE non deve abbassare la guardia ma garantire l’adesione alle norme e intervenire all’occorrenza.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto.(PT) In un mondo sempre più globalizzato, l’UE deve fare leva sulla sua influenza internazionale al fine di garantire la salvaguardia dei diritti dei lavoratori in un modello che rispetta la dignità personale. In questo ambito è naturale sollevare una serie di questioni, relative per esempio agli strumenti più opportuni di cui l’UE dovrebbe avvalersi per esercitare tale influenza. Non bisogna dimenticare che l’UE è particolarmente influente quando sono in gioco i rapporti con un paese che desidera aderire all’Unione o riceve aiuti tramite i programmi comunitari. In questo contesto di crescente dipendenza dell’economia dalle società multinazionali, occorre inoltre che le imprese siano socialmente responsabili.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto.(EN) Sono favorevole. La dimensione esterna della politica sociale comprende attività e iniziative dell’UE finalizzate alla promozione delle norme sociali e del lavoro nei paesi terzi. Benché la strategia di Lisbona attribuisse alla politica sociale un'importanza senza precedenti, così come fa oggi la strategia UE 2020, le questioni della competitività e i fattori economici continuano a prevalere sulle questioni sociali. Le norme fondamentali del lavoro che figurano nelle otto convenzioni dell'OIL riguardano la libertà di associazione e la negoziazione collettiva, l'eliminazione del lavoro forzato e obbligatorio, l'eliminazione della discriminazione in materia di impiego e nelle professioni e l'abolizione del lavoro minorile. Da queste convenzioni, ma anche dal rapporto della Commissione mondiale sulla dimensione sociale della globalizzazione, emerge chiaramente la necessità di non concentrarsi più strettamente sui mercati ma di interessarsi più in generale alle persone, ovvero alla protezione dei diritti dei lavoratori e al diritto del lavoro. Affinché l'Unione europea negozi con i paesi terzi, questi devono rispettare tutte le convenzioni sopra indicate. Ciò costituisce una condizione imprescindibile per l'avvio di negoziati con i paesi terzi. La politica commerciale non può ignorare il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori e pertanto la società può continuare a svilupparsi solo una volta eliminati questi ostacoli.

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE), per iscritto.(IT) Un'impresa può dirsi socialmente responsabile quando sposa un solido modello in grado di tenere conto degli impatti non solo economici, ma anche sociali ed ambientali delle sue azioni. Oggi ci si chiede non solo come le imprese raggiungono i loro risultati economici, ma anche chi assumono e come viene trattato il personale. Un'impresa responsabile è un soggetto attivo e consapevole della realtà sociale in cui opera e che fa del rapporto con tutte le parti coinvolte nella sua attività la fonte di maggior ricchezza. Con la relazione adottata oggi l'Unione europea si impegna a svolgere un ruolo guida a livello mondiale in materia di politica sociale attraverso la promozione di obiettivi su scala globale, sottolineando l'importanza del ruolo riconosciuto al Parlamento europeo in virtù del trattato di Lisbona.

 
  
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  Oreste Rossi (EFD), per iscritto.(IT) Sono favorevole alla relazione di iniziativa in quanto si occupa della promozione della responsabilità sociale delle imprese come strumento volontario di motivazione volta a stimolare la crescita dell'azienda. Le imprese europee sono il motore dell'economia dell'UE: per questa ragione l'impegno europeo deve essere maggiore a tutela delle aziende sul territorio comunitario che spesso si trovano a dover concorrere con partner sleali. Inoltre sono favorevole alla creazione di imprese socialmente responsabili nelle quali i principi cardine sono la protezione sociale dei lavoratori, la tutela del consumatore e il rispetto delle leggi di trasparenza.

 
  
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  Tokia Saïfi (PPE), per iscritto.(FR) Ho votato a favore della risoluzione perché sottolinea il ruolo cardine che l’Unione europea vuole e dovrebbe detenere dinanzi ai paesi terzi e in particolare ai suoi partner commerciali. Il mancato rispetto degli standard sociali internazionali di base costituisce una forma di dumping sociale e ambientale che danneggia le imprese e i lavoratori europei. Ci tenevo a sottolineare in particolare questo punto del relativo parere della commissione per il commercio internazionale di cui sono stata relatrice.

Ma l’UE non può fare tutto da sola; deve cooperare con le principali organizzazioni internazionali pertinenti (OIL, OMC, OCSE) al fine di contrastare in particolare il fenomeno delle zone franche che contravvengono a qualsiasi legislazione sociale.

Per quanto concerne la responsabilità sociale delle imprese, questa è ormai prassi consolidata in Europa. Le imprese europee, le loro filiali e i subfornitori sono essenziali per promuovere e diffondere le norme sociali e del lavoro anche nel resto del mondo, in ragione del loro peso negli scambi internazionali. La Commissione deve incoraggiarle in tal senso, sforzandosi di individuare e diffondere le pratiche migliori.

 
  
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  Nikolaos Salavrakos (EFD), per iscritto.(EL) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Falbr perché penso che la promozione della responsabilità sociale delle imprese debba essere migliorata in Europa quale risposta diretta alla necessità di tutelare i nostri valori comuni e rafforzare la solidarietà e la coesione tra gli europei. La responsabilità sociale delle imprese deve essere il punto cardine del modello sociale europeo al fine di promuovere l’innovazione e la competitività, contribuendo all’occupazione e alla creazione di posti di lavoro in quest’epoca di aumento drammatico della disoccupazione che costringe i giovani europei, il nostro sostegno, a cercare alternative al di fuori dei confini europei.

 
  
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  Søren Bo Søndergaard (GUE/NGL), per iscritto.(DA) Ho votato a favore della relazione Falbr finalizzata a promuovere le norme sociali e del lavoro nell’ambito dei negoziati che l’UE intrattiene con i paesi terzi. La relazione fa riferimento alle convenzioni dell’OIL e suggerisce sulla base di queste che l’UE dovrebbe proteggere i diritti dei lavoratori e il diritto del lavoro quando stipula accordi commerciali con i paesi terzi, per esempio. La relazione propone, tra l’altro, che sia istituita una cornice legale per stabilire i requisiti minimi della responsabilità sociale delle imprese, in cui sia definito meglio questo concetto e si preveda un controllo migliore dell’ottemperanza ai requisiti. Nell’ambito degli accordi commerciali, la relazione respinge anche il ricorso alla procedura MODE 4 che consente alle società multinazionali di importare la forza lavoro, by-passando così le disposizioni sociali e in materia di lavoro del paese ospitante. A prescindere dal fatto che la forza lavoro importata si trova in una posizione più svantaggiata rispetto ai lavoratori del paese ospitante, questa procedura favorisce anche il dumping sociale. L’UE ha la facoltà di stipulare accordi commerciali con i paesi terzi a nome di tutti gli Stati membri. Personalmente, sono contrario a questo suo potere ma fintanto che la situazione rimarrà tale, occorrerà stabilire i requisiti e specificare i contenuti di tali accordi commerciali.

 
  
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  Catherine Stihler (S&D), per iscritto.(EN) Ho votato a favore della relazione che precede la comunicazione della Commissione sulla RSI. Plaudo anche al lavoro condotto dal collega Howitt in sede di commissione al fine di ottenere una relazione che promuova la responsabilità sociale delle imprese e i risultati positivi che possono essere conseguiti a livello europeo.

 
  
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  Niki Tzavela (EFD), per iscritto.(EL) L’Europa è un attore importante nelle procedure globalizzate ed è in gran parte responsabile per l’ottenimento di risultati che portino a forme di sviluppo sostenibili. L’Unione europea è in prima linea nella promozone delle politiche sociali nel mondo ed esorta i paesi in via di sviluppo a rispettare gli accordi OMC. La relazione Falbr menziona altresì l’importanza della responsabilità sociale delle imprese e l’adesione a tale principio da parte delle imprese europee, giacché la loro adesione alla RSI è fondamentale per promuovere il benessere sociale e la protezione dell’ambiente, oltre a contrastare la povertà nei paesi in cui operano. Ho quindi votato a favore della relazione.

 
  
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  Derek Vaughan (S&D), per iscritto.(EN) La strategia Europa 2020 dimostra che la politica sociale è una priorità fondamentale per l’Europa. Eppure occorre fare di più per ottenere progressi in questo ambito ed è per questo che ho votato a favore della relazione. Il testo invoca l’eliminazione del lavoro forzato e l’abolizione del lavoro minorile, sottolineando la necessità di una maggiore attenzione alla tutela dei diritti dei lavoratori. I paesi terzi devono aderire a questi principi di base se vogliono collaborare e commerciare con l’UE. Gli Stati membri devono cooperare con i paesi partner per proteggere le categorie vulnerabili e combattere la discriminazione, non solo basata sul genere, ma anche sull'origine etnica, sulla religione, sulla disabilità o l'età. Spero che la Commissione presenterà alcune proposte concrete per migliorare le norme sociali e del lavoro, oltre che per promuovere la responsabilità sociale delle imprese nelle sue politiche esterne.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI), per iscritto. (DE) Il relatore lamenta il fatto che la politica sociale continua a non essere incentrata sulla persona, perché il fattore umano è sempre relegato in secondo piano dalla competitività. Come menzionato nella relazione, l’UE gode una buona reputazione ovunque nel mondo per la sua capacità di combinare dinamismo economico e modello sociale, una reputazione che porta con sé anche una certa responsabilità. L’UE non deve accontentarsi di una politica di due pesi e due misure e per questo sono in perfetto accordo con il relatore.

 
  
  

Relazione Hirsch (A7-0082/2011)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) Esprimo voto favorevole alla presente relazione perché l’istruzione e formazione professionale deve essere disponibile, accessibile e possibile nelle diverse fasi della vita, a prescindere dallo status delle persone sul mercato del lavoro o dal loro reddito.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della risoluzione sulla cooperazione europea in materia di istruzione e formazione professionale a sostegno della strategia Europa 2020. In un’economia globalizzata, la possibilità e la capacità di studiare e lavorare in un ambiente internazionale rappresentano una condizione importante per il successo professionale. Sono richiesti sempre più spesso collaboratori mobili, flessibili e con un’esperienza internazionale. È necessaria un’azione rapida proprio per quanto concerne i giovani: la disoccupazione giovanile rappresenta una delle sfide più urgenti per l’Europa. Gli Stati membri devono attuare strategie politiche mirate per contrastare la povertà, tenendo conto delle specificità e dei bisogni nazionali. Concordo con la disposizione prevista dalla risoluzione secondo la quale gli obiettivi fissati nel quadro della strategia Europa 2020 – cioè portare il tasso di abbandono scolastico al di sotto del 10 per cento e fare in modo che il 40 per cento dei giovani ottenga un diploma di scuola superiore – devono essere affrontati con misure concrete, creative ed efficaci. Dato che i cambiamenti demografici determinano una crescente necessità di formazione e di partecipazione all’apprendimento permanente, occorre fornire ai lavoratori uno strumento che consenta loro di identificare i propri bisogni formativi e di pianificarli. Inoltre, per consentire alle persone in diverse fasi della vita e a categorie specifiche di avere accesso all’istruzione e alla formazione professionale, è necessario creare possibilità di finanziamento ampliate, semplificate e più facilmente accessibili attraverso il programma per l’apprendimento permanente e il programma Erasmus per i giovani imprenditori. Dobbiamo garantire che i lavoratori europei abbiano la possibilità di adattarsi alle richieste dell’economia.

 
  
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  Charalampos Angourakis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) Questa deprecabile relazione delinea l’obiettivo strategico dell’Unione europea di prevalere nella contesa per la conquista dei monopoli a discapito di altri centri imperialisti, promuovendo l’integrazione dell’istruzione negli obiettivi quantificabili della reazionaria strategia Europa 2020, che vanno “trasformati” in obiettivi nazionali. Nel quadro di questo piano globale, si dedica particolare attenzione alla formazione tecnica e professionale, cui si attribuisce il compito di servire i bisogni di una forza lavoro a bassissimo costo e priva di diritti adatta al “mercato del lavoro” e alla “competitività”. Per questo motivo, l’istruzione e i corsi di formazione devono soddisfare i bisogni del mercato presenti e futuri. Occorre sottomettersi ulteriormente alle scelte e ai piani dell’impresa capitalista e si deve facilitare la “occupabilità” e l’ingresso nel mercato del lavoro attraverso l’apprendistato, la mobilità nei settori dell’economia e la cosiddetta accessibilità tra i livelli di istruzione e formazione. I proclami sulle “pari opportunità” e la “libera scelta” nonché sul soddisfacimento delle esigenze dei giovani celano l’adattamento ai bisogni dell’economia capitalista, cioè una politica di barriere di classe nell’istruzione adeguata alle pratiche lavorative di stampo medievale dei “memoranda” e della strategia Europa 2020.

 
  
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  Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. (RO) La crisi economica ha gettato completamente nel caos il mercato del lavoro dell’Unione europea. Nessun grande settore economico è rimasto immune ai danni della crisi e gli effetti sono ricaduti sui cittadini sotto forma di precarietà del lavoro, disoccupazione e condizioni o opportunità mediocri di trovare un nuovo impiego. In tale contesto, istruzione e formazione professionale si configurano come una nuova opportunità, una nuova strategia per consentire ai cittadini europei di ritornare a vivere una vita normale. Trovo particolarmente preoccupante l’alto tasso di disoccupazione giovanile e ritengo che la giusta istruzione e formazione permanente consentirà a numerosi giovani europei di trovare un lavoro ben retribuito e in linea con il percorso di formazione o riqualificazione professionale seguito. Porgo le mie congratulazioni alla relatrice per il lavoro svolto e mi associo alle sue parole affermando che se desideriamo realizzare questi obiettivi, l’approccio all’istruzione e formazione professionale deve essere chiaramente orientato ai risultati. L’obiettivo per il 2020 deve essere l’azzeramento del tasso di disoccupazione giovanile.

 
  
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  Alfredo Antoniozzi (PPE), per iscritto. – I dati contenuti nella relazione della collega Kirsch sono allarmanti: ad oggi il tasso di disoccupazione giovanile è del 21per cento, il doppio rispetto alla media della disoccupazione a livello dell'UE. La proposta contiene spunti utili e sicuramente va valutata in una ottica positiva, tuttavia sono convinto che per affrontare in maniera seria le sfide poste dal processo di Copenaghen e dalla Strategia UE 2020 dovremmo mettere a disposizione risorse finanziarie congrue, ad esempio attraverso i Fondi strutturali e in particolare attraverso il Fondo sociale europeo (FSE). Con rammarico inoltre debbo constatare che manca un approccio globale, onnicomprensivo, sostenuto da tutti gli Stati membri. Senza un'iniziativa coordinata che coinvolga al contempo i settori della formazione professionale, delle qualifiche professionali, dell'apprendimento permanente e dell'apprendistato al mercato del lavoro, non vedo come si possa riuscire a garantire la realizzazione degli obiettivi della strategia UE 2020 "Un'agenda per nuove competenze e nuovi posti di lavoro".

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Ho espresso voto favorevole alla relazione dell’onorevole Hirsch incentrata sulla comparabilità all’interno dei sistemi di istruzione e tra gli stessi sistemi. Sono convinta che l’istruzione debba essere più orientata ai bisogni del mercato del lavoro e debba promuovere la creatività, l’innovazione e l’imprenditorialità. La relazione è dunque mirata a facilitare la mobilità di insegnanti e studenti e – una misura essenziale – a semplificare le procedure di riconoscimento delle qualifiche professionali.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) In un’economia globalizzata, la possibilità e la capacità di studiare e lavorare in un ambiente internazionale rappresentano una condizione importante per il successo professionale. Sono richiesti sempre più spesso collaboratori mobili, flessibili e con un’esperienza internazionale. I fattori chiave indicati nella strategia Europa 2020 per una crescita intelligente (promozione della conoscenza, dell’innovazione, della formazione e della società digitale), sostenibile (produzione efficiente nell’impiego delle risorse e simultaneo aumento della competitività) e inclusiva (aumento del tasso di occupazione, qualifica e lotta contro la povertà). Per quanto concerne istruzione e formazione professionale, occorrono misure concrete da parte dell’Unione europea e degli Stati membri. È necessaria un’azione rapida soprattutto per fronteggiare l’elevata disoccupazione giovanile. A tal proposito, i giovani lavoratori non solo sono più spesso disoccupati rispetto agli adulti, ma sono anche più frequentemente occupati in lavori precari e temporanei, con stipendi inferiori e una minore sicurezza sociale. Concordo che per realizzare appieno l’iniziativa faro della strategia Europa 2020 “Un’agenda per nuove competenze e nuovi posti di lavoro”, le istituzioni dell’Unione europea dovrebbero avviare un’iniziativa più pragmatica, globale e di ampio respiro, sostenuta da tutti gli Stati membri, che dovrebbe mirare innanzitutto a collegare i settori della formazione professionale, delle qualifiche professionali, dell’apprendimento permanente e dell’apprendistato al mercato del lavoro.

 
  
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  Regina Bastos (PPE), per iscritto. (PT) L’Unione europea attraversa una profonda crisi economica, finanziaria e sociale le cui conseguenze sono state avvertite primariamente nell’occupazione. Attualmente nell’Unione europea i disoccupati sono 22,82 milioni  e i giovani di età inferiore a 25 anni continuano ad essere i più colpiti, con un tasso di disoccupazione pari al 21,3 per cento. Si stima che entro il 2020 si creeranno circa 15,6 milioni di posti di lavoro per lavoratori altamente qualificati, mentre se ne perderanno 12 milioni per lavoratori poco o per niente qualificati. La strategia Europa 2020 è mirata ad affrontare queste nuove prospettive per il mondo professionale.

La relazione sottolinea la necessità di sviluppare una cooperazione a livello europeo nel settore dell’istruzione e formazione professionale per conseguire maggiore trasparenza e agevolare la comparabilità tra i diversi sistemi di istruzione. Inoltre, mette in luce l’importanza di promuovere la trasposizione e l’attuazione della legislazione dell’Unione europea per favorire la mobilità di docenti e studenti, nonché di semplificare le procedure per il riconoscimento delle qualifiche professionali estere. Ho pertanto espresso voto favorevole.

 
  
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  Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. (FR) Attualmente la disoccupazione giovanile si attesta al 21 per cento nell’Unione europea ed è vicina al 25 per cento nel mio paese, la Francia; si configura quindi come una grande sfida per l’Europa in un momento in cui i giovani europei disoccupati rischiano di cadere in condizioni di esclusione sociale e povertà. Pur avendo responsabilità marginali in relazione a questi temi, l’Unione europea sembra in grado di offrire, se non soluzioni, interessanti spunti di riflessione: mi sembra ovvio che la formazione e l’istruzione debbano essere al centro delle priorità politiche presenti e future. La relazione invoca lo scambio di buone pratiche tra gli Stati membri rispetto al sistema di formazione professionale e ai sistemi di formazione associati all’esperienza lavorativa, che andrebbero estesi a numerosi Stati membri, in particolare alla Francia. Le raccomandazioni vanno nella direzione giusta per migliorare l’istruzione e la formazione in linea con il mercato del lavoro e ridurre la disoccupazione e l’esclusione sociale, ma saranno insufficienti se gli Stati membri e la Commissione non dimostreranno un impegno sufficiente in una fase che vede nella disoccupazione giovanile una grande sfida politica in molti Stati membri e in particolare nel mio paese.

 
  
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  Sergio Berlato (PPE), per iscritto. – Nell'attuale economia globalizzata, la possibilità e la capacità di studiare e lavorare in un ambiente internazionale rappresentano una condizione imprescindibile per il successo professionale dei cittadini europei. Nonostante le drammatiche conseguenze della crisi economica sul mercato del lavoro europeo, l'evoluzione industriale e tecnologica determina una maggiore necessità di lavoratori con competenze professionali medio/elevate. I fattori chiave indicati nella strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva richiedono, per quanto riguarda l'istruzione e la formazione professionale, di essere tradotti in misure concrete a livello di Unione europea. Per raggiungere questi obiettivi è indispensabile che l'istruzione e la formazione professionale costituiscano una priorità politica comune a lungo termine, la cui attuazione richiede la partecipazione e l'impegno di tutti gli attori coinvolti sia a livello europeo sia regionale.

Sottolineo in questa sede che è necessaria un'azione rapida soprattutto per i giovani: la crescita della disoccupazione giovanile rappresenta, infatti, una delle sfide più urgenti per l'Europa. Gli obiettivi fissati nel quadro della strategia Europa 2020 – portare il tasso di abbandono scolastico al di sotto del 10per cento per anno e fare in modo che il 40per cento dei giovani ottenga un diploma di scuola superiore – devono essere affrontati con misure concrete ed efficaci.

 
  
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  Adam Bielan (ECR), per iscritto.(PL) In un’Europa ormai priva di confini, l’istruzione è una fase fondamentale nella pianificazione della vita professionale dei cittadini, specie a livello internazionale. I giovani dovrebbero poter cogliere le opportunità di acquisire conoscenze ed esperienze offerte dall’appartenenza del loro paese all’Unione europea. La crescente richiesta di collaboratori mobili e dotati di formazione ampia è un ulteriore fattore di questo nuovo stile di vita. Alla luce di tali considerazioni, la disoccupazione giovanile resta un fenomeno molto preoccupante che urge contrastare attuando progetti mirati. Gli investimenti nel settore dell’istruzione contribuiscono a garantire un futuro migliore ai giovani. È dunque essenziale impiegare i fondi europei per avviare programmi concreti nel settore della formazione e dello sviluppo professionali. Concordo con la necessità di sviluppare strumenti a supporto dell’ “apprendimento permanente” o, in altri termini, l’aggiornamento costante delle qualifiche. Grazie a programmi di istruzione creativi ed efficaci si dovrebbe raggiungere uno degli obiettivi principali della strategia Europa 2020, cioè fare in modo che almeno il 40 per cento dei giovani ottenga un diploma di scuola superiore.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. – Non ho inteso sostenere la relazione d'iniziativa della collega Hirsch, non tanto per le dichiarazioni di principio condivisibili allorché si sottolinea l´importanza dell´avvicinamento tra mondo del lavoro e quello della formazione accademica. Ancora una volta però manca sul tema un atteggiamento concreto, proattivo che trascenda considerazioni sterili e prospetti delle soluzioni concrete per risolvere un´emergenza sociale che non può essere risolta a colpi di retorica.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Ho espresso voto favorevole alla relazione perché concordo che il cambiamento demografico e la maggiore longevità comporteranno naturalmente una carriera lavorativa più variegata; la riqualificazione professionale e l’apprendimento permanente sono già diventati una necessità. Di conseguenza, la relazione mette in luce la necessità di ammodernare l’istruzione e formazione professionale iniziale e continua, propone di introdurre una valutazione delle attitudini professionali al termine del ciclo di istruzione di base e mette in luce l’importanza della formazione iniziale per gli insegnanti. Sottolinea inoltre l’importanza, a livello locale e regionale, di promuovere collaborazioni efficaci tra scuole, agenzie formative, centri di ricerca e imprese, per superare l’autoreferenzialità dei sistemi educativi e il disallineamento dei saperi e delle qualifiche rispetto ai bisogni del mercato del lavoro. Concordo che, ai fini dell’ammodernamento di formazione e istruzione, occorre rafforzare i legami tra potenziali datori di lavoro e istituti di istruzione. La partecipazione delle parti sociali all’elaborazione dei programmi sarebbe un altro grande passo verso la creazione di più occupazione in Europa.

 
  
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  Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto.(RO) Secondo la strategia Europa 2020, i fattori chiave per una crescita intelligente non solo sono la promozione della conoscenza, dell’innovazione, della formazione e della società digitale, ma anche la crescita sostenibile e inclusiva. Per il conseguimento di questi obiettivi, sono essenziali la formazione professionale e l’istruzione, rispetto alle quali gli Stati membri dovrebbero adottare i medesimi standard. Nonostante le drammatiche conseguenze della crisi economica sul mercato del lavoro europeo, si prevede che l’occupazione in Europa crescerà, almeno in maniera graduale, nei prossimi 10 anni. Le previsioni fanno presumere che la crescita del fabbisogno di competenze continuerà ad aumentare. L’evoluzione industriale e tecnologica determina una maggiore necessità di lavoratori con competenze professionali medie o elevate, a scapito tuttavia delle persone meno qualificate.

Si pone una crescente enfasi su un approccio all’apprendimento chiaramente orientato ai risultati e in alcuni Stati membri si sono già attuate riforme dei sistemi di formazione professionale. Per quanto riguarda la comparabilità dei sistemi di istruzione e formazione professionale negli Stati membri, è prioritario eliminare gli ostacoli e assicurare un più elevato grado di trasparenza e comparabilità dei diversi sistemi di istruzione e tra gli stessi sistemi.

 
  
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  Vito Bonsignore (PPE), per iscritto. – Ho votato a favore di questa relazione poiché, come ben delineato dalla relazione, i giovani sono la vera risorsa del nostro futuro, per questo abbiamo il dovere di garantire a tutti loro, l'istruzione e la formazione professionale. La crisi economica che si è abbattuta in Europa e non solo, in questi ultimi anni, ha colpito maggiormente i giovani. È notevolmente aumentata la disoccupazione di questa fascia d'età, chi ottiene un posto di lavoro deve accontentarsi di soluzioni a tempo determinato e di essere sottopagato.

Occorre impegnarsi in modo efficace e veloce per ridare dignità a questi ragazzi che vogliono lavorare e soprattutto mettersi in gioco in un mondo in cui difficilmente sono ben accetti. Tali obiettivi sono stati inseriti anche nella strategia Europea 2020 quando sancisce di dover puntare su una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva. In linea generale la relazione presentata dal collega Hirsch costituisce un buon punto di partenza per quella che deve essere una delle politiche prioritarie del Parlamento e di tutta l'Unione europea.

 
  
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  John Bufton (EFD), per iscritto. (EN) Ho votato contro le misure per la cooperazione europea in materia di istruzione e formazione professionale a sostegno della strategia Europa 2020 perché guardo con sospetto ai tentativi di qualsiasi organizzazione priva di consenso uniforme di influenzare le menti dei cittadini. La percentuale di euroscettici in Europa è sufficientemente ampia da rendere inopportuno l’intervento di Bruxelles nel settore dell’istruzione e formazione, un’attività di guida che potrebbe essere considerata propagandistica.

 
  
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  Cristian Silviu Buşoi (ALDE), per iscritto. (RO) Le misure in materia di istruzione e formazione professionale sono essenziali per trasformare l’economia europea in un’economia della conoscenza, in linea con gli obiettivi della strategia Europa 2020. Per questo motivo, esprimo il mio pieno appoggio per le raccomandazioni contenute nella relazione, che sottolineano l’importanza degli investimenti in istruzione e formazione professionale per la futura competitività dell’economia europea. Per conseguire i nostri obiettivi occorrono misure efficaci e complementari a livello nazionale ed europeo. Nell’Unione europea si registra un allarmante incremento del tasso di disoccupazione giovanile e a tal proposito la relazione lancia un chiaro messaggio: istruzione e formazione professionale sono i fattori cruciali per affrontare il problema. Occorrono strategie chiare per favorire il coinvolgimento dei giovani nel mercato del lavoro, promuovendo la correlazione tra programmi di istruzione e richieste del mercato del lavoro, di modo che i laureati possano trovare occupazione.

L’approccio necessario deve porre enfasi su competenze specifiche, in modo da agevolare l’integrazione nel mercato del lavoro. Inoltre, per via dei continui progressi tecnologici, i datori di lavoro nutrono aspettative sempre crescenti rispetto alle qualifiche professionali dei dipendenti. La formazione continua assume di conseguenza un’importanza cruciale ai fini del costante adeguamento delle qualifiche professionali alle richieste dell’economia e contribuisce ad evitare l’esclusione dal mercato del lavoro durante alcune fasi della vita professionale.

 
  
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  Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) L’intera relazione è ispirata alla filosofia di legare l’istruzione e formazione professionale alle necessità del mercato e delle imprese nel quadro della strategia Europa 2020, una strategia che indebolisce ulteriormente il tessuto sociale e i diritti dei lavoratori. I riferimenti positivi ai principi generali della “umanizzazione del lavoro”, alla promozione della creatività e alla necessità di passaggi accessibili dall’apprendimento informale a quello formale restano lettera morta, con la sola funzione di abbellire una relazione che, in ultima analisi, propugna il neoliberismo in tutte le procedure e tutte le fasi dell’istruzione e formazione, anche al livello più alto.

Per esempio, invita gli Stati membri a finanziare programmi di dottorato e post-dottorato che promuovano la competitività nonché a favorire la “mobilità dei lavoratori”, comunemente denominata precarietà. Infine, uno dei principali punti negativi della relazione è l’invito rivolto agli Stati membri di garantire “il riconoscimento reciproco dei certificati e dei diplomi tra gli Stati membri”, inducendoli a riconoscere i titoli rilasciati da istituti di istruzione esteri come “equivalenti” a un titolo rilasciato dalle università nazionali. Per queste ragioni, ho votato contro la relazione.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto.(PT) In diversi Stati membri i tassi di disoccupazione evidenziano una situazione drammatica, che tocca principalmente i giovani; l’attuale tasso di disoccupazione giovanile è pari al doppio rispetto alla media della disoccupazione nell’Unione europea. Questa è una delle sfide più pressanti per l’Europa ed è essenziale che gli Stati membri attuino strategie politiche mirate ad affrontarla sulla base degli obiettivi fissati dalla strategia Europa 2020, segnatamente portare il tasso di abbandono scolastico al di sotto del 10 per cento per anno e fare in modo che il 40 per cento dei giovani ottenga un diploma di scuola superiore. Questi obiettivi devono essere affrontati con misure concrete, creative ed efficaci.

Devo dire che purtroppo le ambizioni della strategia Europa 2020 sono palesemente disallineate dalla realtà dei tagli di bilancio, che hanno sostanzialmente ridotto i finanziamenti per i principali programmi dell’Unione europea nell’ambito dell’istruzione. Accolgo con favore le misure adottate dalla Commissione finalizzate a semplificare l’accessibilità, la trasparenza e la comparabilità ai fini del processo di riconoscimento all’interno dei sistemi di istruzione e tra gli stessi sistemi. È inoltre importante che gli Stati membri attuino riforme dei loro sistemi, orientando l’istruzione e la formazione professionale alle reali necessità del mercato del lavoro.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto. – Al fine di incentivare la cooperazione europea a sostegno della strategia Europa 2020 ci sono tre punti, evidenziati nella presente relazione, sui quali desidero esprimere il mio più ampio consenso. In primo luogo, sostengo fortemente la necessità di migliorare il dialogo tra il mondo del lavoro e il sistema educativo tramite l´ampliamento dell'offerta di tirocini presso aziende e imprese, così da permettere allo studente di poter partecipare attivamente nella vita imprenditoriale e di aumentare la collaborazione tra imprese e istituzioni scolastiche nella formazione professionale. Inoltre, considero auspicabile l'intensificazione dell'integrazione dei sistemi educativi a livello internazionale al fine di ottenere, da un lato, il riconoscimento totale dei titoli di studio e, dall'altro, la promozione di progetti di mobilità transfrontaliera. Infine, concordo pienamente con il nostro suggerimento, come Parlamento, indirizzato alla Commissione, in merito all´adeguazione del Fondo sociale europeo, del fondo Erasmus e del programma di apprendimento permanente perché sia possibile assegnare le risorse sia a progetti specifici in materia di istruzione e formazione professionale, sia alla lotta contro la disoccupazione giovanile e la discriminazione di genere, coinvolgendo un maggior numero di donne a partecipare a tali progetti.

 
  
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  Mário David (PPE), per iscritto. (PT) La presente relazione mira a rafforzare le misure di cooperazione tra gli Stati membri promuovendo istruzione e formazione professionale che godono del reciproco riconoscimento delle qualifiche e che siano di migliore qualità, più orientate alle necessità del mercato del lavoro e più accessibili per tutti. Ci ricorda inoltre la necessità di una strategia per il futuro dell’istruzione e, soprattutto, di una guida relativa a tutte le necessità professionali che l’Europa potrà avere nel prossimo futuro. In particolare, la relazione segnala la necessità di legami più forti all’interno del sistema europeo di istruzione e formazione, un sistema in cui la trasparenza e il riconoscimento reciproco di competenze e attitudini diventino realtà. Mi sembra ovvio che in un’Europa sempre più unita, in cui la mobilità è tangibile, il reciproco riconoscimento delle qualifiche sia essenziale. Ciò impone il recepimento della legislazione in materia dell’Unione, come la stessa relazione sottolinea. Alla luce della situazione attuale, l’istruzione e la formazione sono la condizione e lo strumento essenziale per il futuro successo. Obiettivamente, è necessario promuovere la mobilità, l’imprenditorialità, la creatività e l’innovazione e l’Unione europea dovrebbe incoraggiare questo processo. Trovandomi d’accordo con i contenuti, ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. (EN) Esprimo il mio appoggio per la relazione, che invita gli Stati membri a garantire alle persone, in diverse fasi della vita, di avere accesso all’istruzione e alla formazione professionale mirate rispetto alle loro necessità e che ne migliorino il coinvolgimento nel mercato del lavoro e, più in generale, nella società. L’istruzione e formazione professionale deve essere disponibile, accessibile ed economicamente sostenibile nelle diverse fasi della vita, a prescindere dallo status delle persone sul mercato del lavoro o dal loro reddito. In particolare, al fine di realizzare una migliore integrazione e coesione sociale, la relazione invita gli Stati membri a creare opportunità di formazione mirate per gruppi come i giovani disoccupati, le minoranze etniche, le donne vulnerabili e le persone disabili. Inoltre, la relazione mette in luce la necessità di creare possibilità di finanziamento ampliate, semplificate e più facilmente accessibili utilizzando le risorse attualmente provenienti dal Fondo sociale europeo, dal programma per l’apprendimento permanente nel suo insieme e dal programma Erasmus per i giovani imprenditori.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. (FR) La lotta alla disoccupazione giovanile è una delle sfide più urgenti per l’Europa e gli Stati membri devono attuare tempestivamente strategie mirate tenendo conto delle specificità e dei bisogni nazionali. I metodi di apprendimento dovrebbero essere più flessibili e accessibili in ogni fase della vita. Occorre ampliare a tutti le opportunità di acquisire esperienza all’estero e l’apprendistato dovrebbe essere meglio riconosciuto. Istruzione e formazione professionale dovrebbero essere considerate una priorità politica comune nel lungo periodo, per mettere i lavoratori europei nelle condizioni di adattarsi alle richieste di un’economia che cambia.

 
  
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  Christine De Veyrac (PPE), per iscritto. (FR) In un momento in cui in Europa il tasso di disoccupazione giovanile è pari al doppio del dato generale, le proposte della relazione Hirsch rappresentano un utile contributo alla politica perseguita dai governi dei 27 Stati membri per contrastare la disoccupazione.

Di fronte a sfide come l’invecchiamento della popolazione e la globalizzazione della nostra economia, occorre incoraggiare lo sviluppo di programmi di formazione permanente, in particolare attraverso lo scambio di buone pratiche tra gli Stati membri, e migliorare la formazione iniziale dei giovani europei incoraggiando la creazione di partenariati tra università, istituti di ricerca e aziende.

 
  
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  Anne Delvaux (PPE), per iscritto. (FR) Secondo stime relative all’occupabilità e ai diplomi richiesti, si prevede la creazione di 15,6 milioni di posti di lavoro per lavoratori laureati e 3,7 milioni per lavoratori in possesso di una qualifica di istruzione secondaria (fonte: Cedefop), ma anche la perdita di 12 milioni di posti di lavoro per coloro in possesso di qualifiche di grado inferiore.

Di fronte a questa inevitabile catastrofe, la strategia Europa 2020 doveva essere mirata ad accrescere l’attrattiva dell’istruzione e formazione professionale. La relazione invita ad adottare un approccio orientato ai risultati per quanto concerne l’apprendistato, a migliorare il riconoscimento di apprendistati formali e informali e ad istituire centri di assistenza e programmi per gli apprendisti che incontrano le maggiori difficoltà.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Nel contesto di un’Europa che, uscita dalla crisi, registra una ripresa e una crescita, l’istruzione e formazione professionale assumono un’importanza cruciale. È essenziale dotare i giovani europei degli strumenti necessari per competere in un mondo globalizzato ed entrare nel mondo del lavoro grazie alle loro conoscenze e competenze. Non possiamo dimenticare che i dati sulla disoccupazione giovanile evidenziano una situazione drammatica in tutta Europa. Dovremmo però essere consapevoli che più formazione spesso non equivale a più opportunità nel mercato del lavoro: si moltiplicano in tutta Europa i casi di giovani laureati dotati di formazione aggiuntiva e post-laurea ma disoccupati e privi di prospettive occupazionali. La formazione deve essere orientata ai bisogni del mercato e finalizzata a preparare i giovani lavoratori. A mio parere, questo cambiamento di paradigma risulterà essenziale per arrestare la crescita della disoccupazione giovanile e garantire ai giovani europei un futuro ricco di opportunità.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) La relazione Hirsch è incentrata sulla cooperazione europea in materia di istruzione e formazione professionale a sostegno della strategia Europa 2020. Occorre rivolgere attenzione immediata agli obiettivi della strategia Europa 2020: la crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Nonostante l’attuale scenario economico e finanziario appaia poco favorevole, dobbiamo essere in grado di trasformare situazioni meno favorevoli in opportunità. In un mondo sempre più globalizzato, non possiamo limitarci a un singolo territorio ma dobbiamo coltivare la mobilità, la flessibilità e le esperienze internazionali. È importante che la formazione iniziale sia di qualità elevata e che i giovani possano scegliere di lavorare in altri paesi. Ho votato a favore della relazione perché ne condivido le proposte. Desidero sottolineare soprattutto la necessità di un apprendimento permanente nuovo e diversificato, essenziale per un lavoro di maggiore qualità, e di prestare particolare attenzione alle esigenze dei giovani, delle donne e delle persone disabili, come stabilito dalla strategia Europa 2020.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Questa non è altro che una noiosa ripetizione della solita retorica della Commissione europea sui temi dell’apprendimento permanente e della promozione della mobilità a livello europeo, considerate la migliore garanzia per migliorare la “occupabilità” e la “adattabilità” dei lavoratori. La formazione professionale è considerata uno strumento per promuovere la “imprenditorialità” e soddisfare l’esigenza di “creare un ambiente in cui le imprese possano realizzarsi, svilupparsi e crescere”, aggiungendo che “per crescere esse hanno bisogno di minori oneri fiscali e di una certa prevedibilità in modo da poter pianificare ed effettuare investimenti”. Si ritiene inoltre che la formazione professionale e l’apprendimento permanente debbano essere meglio orientati “alle necessità del mercato del lavoro e ne permettano l’accesso e la mobilità al suo interno”.

L’impianto ideologico della relazione è subito chiaro: il problema del lavoro è un problema individuale, non essenzialmente sociale, ed è l’individuo e non la società a doverlo risolvere accrescendo la propria “occupabilità” o diventando un “imprenditore”, con un sistema fiscale che tuteli i profitti, gravando principalmente su lavoratori e consumatori, e istruzione e formazione asservite al capitale. Per il resto, non si conduce un esame approfondito delle cause e non si cercano soluzioni.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La presente relazione non è che una ripetizione della solita retorica della Commissione europea sui temi dell’apprendimento permanente e della promozione della mobilità a livello europeo, considerate la migliore garanzia per contrastare la disoccupazione, e sulla necessità che i lavoratori migliorino la loro “occupabilità” e “adattabilità, in modo da organizzare l’offerta di istruzione e formazione.

Fondamentalmente, la relazione sottolinea il ruol o dell’istruzione e formazione professionale e la necessità di “creare un ambiente in cui le imprese possano realizzarsi, svilupparsi e crescere”, aggiungendo che “per crescere esse hanno bisogno di minori oneri fiscali e di una certa prevedibilità in modo da poter pianificare ed effettuare investimenti”. Si ritiene inoltre che la formazione professionale e l’apprendimento permanente debbano essere meglio orientati “alle necessità del mercato del lavoro e ne permettano l’accesso e la mobilità al suo interno”. In altre parole, la relazione non fa altro che asservire completamente l’istruzione e la formazione al capitalismo europeo.

Inoltre, non si fa menzione delle motivazioni sociali che determinano l’abbandono scolastico né della carenza di accesso all’istruzione superiore o alla disoccupazione giovanile, mascherando le responsabilità delle politiche neoliberiste appoggiate da grandi aziende e istituti finanziari.

Per questi motivi, la relazione è a nostro parere inaccettabile. non si conduce un esame approfondito delle cause e non si cercano soluzioni.

 
  
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  Monika Flašíková Beňová (S&D), per iscritto. (SK) Sono fermamente convinta che l’istruzione e la formazione professionale debbano essere accessibili ed economicamente sostenibili in ogni fase della vita, a prescindere dalla posizione dell’individuo sul mercato del lavoro o dal suo reddito. L’accesso alla formazione professionale dovrebbe rispondere alle specifiche esigenze degli individui e agevolarli nella ricerca di un lavoro. È dunque necessario creare opportunità mirate per gruppi specifici negli Stati membri dell’Unione come i giovani disoccupati, le minoranze etniche, le donne vulnerabili e le persone disabili, tra gli altri, al fine di realizzare maggiore integrazione e coesione sociale. Da ultimo, opzioni di finanziamento semplificate e più accessibili risulterebbero senza dubbio estremamente utili per la realizzazione dei suddetti obiettivi.

 
  
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  Elisabetta Gardini (PPE), per iscritto. – Con questa relazione si va a fissare un altro tassello a favore della strategia europea sulle politiche giovanili. È corretto sostenere l'internazionalizzazione degli studi contemporaneamente alla flessibilità lavorativa dei giovani lavoratori, in un mercato del lavoro sempre più competitivo, ai giovani europei deve essere data la possibilità di concorrere con i loro coetanei provenienti da tutto il mondo. I dati sulla disoccupazione giovanile non possono lasciarci indifferenti. Ben venga questa relazione che sottolinea l'importanza degli obiettivi della strategia 2020: combattere la disoccupazione giovanile attraverso misure efficienti ed efficaci quali ad esempio portare il tasso dell'abbandono scolastico sotto il 10per cento e fare in modo che almeno il 40per cento dei giovani ottenga un diploma di scuola superiore. Questo però non deve essere un traguardo ma un punto di partenza: creare dei canali tra università ed aziende e rilanciare i programmi di tirocinio/stage obbligatori finanziati da enti pubblici o privati, devono essere le prossime priorità. Non abbiamo molto tempo a disposizione e dobbiamo agire subito. Altrimenti l'eredità che lasceremo alle generazioni future sarà molto pesante.

 
  
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  Brice Hortefeux (PPE), per iscritto. (FR) Accolgo con favore l’adozione di questa relazione che pone di nuovo al centro dell’attenzione dell’Unione europea e degli Stati membri le sfide della formazione e istruzione professionale. In una fase di austerità nella gestione dei bilanci pubblici, diretta conseguenza della crisi mondiale che ha duramente colpito il mercato del lavoro europeo, occorre riconsiderare le nostre strategie per la crescita e l’occupazione, specie per i giovani, senza perdere di vista le specificità e i bisogni nazionali.

Oltre a essere le prime vittime della disoccupazione, molti giovani tendono ad abbandonare gli studi. Per questo è imprescindibile ammodernare i programmi e la formazione orientandoli maggiormente alle necessità delle nostre aziende; gli stessi provvedimenti devono essere attuati nel settore dell’apprendimento permanente e della promozione della mobilità. Sarà possibile centrare questi obiettivi solo se tutte le parti interessate (istituzioni europee, Stati membri, attori locali e regionali) uniranno le forze.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Accolgo con favore questo documento perché l’Europa deve agire subito, specialmente per quanto riguarda i giovani: la continua crescita della disoccupazione giovanile rappresenta una delle sfide più urgenti per l’Europa. I giovani lavoratori non solo sono più spesso disoccupati rispetto agli adulti, ma sono anche più frequentemente occupati in lavori precari e temporanei, con stipendi inferiori e una minore sicurezza sociale. Gli Stati membri devono attuare strategie politiche mirate a combattere la povertà, tenendo conto delle specificità e dei bisogni nazionali. Gli obiettivi fissati nel quadro della strategia Europa 2020 – portare il tasso di abbandono scolastico al di sotto del 10 per cento e fare in modo che il 40 per cento dei giovani ottenga un diploma di scuola superiore – devono essere affrontati con misure concrete, creative ed efficaci. L’istruzione e la formazione professionale devono essere considerate una forte priorità politica comune nel lungo periodo, che si tradurrà in realtà solo con la partecipazione e l’impegno di tutti gli attori interessati: le istituzioni dell’Unione europea, gli Stati membri e gli attori a livello locale e regionale, che devono valersi della loro influenza per la realizzazione di questi obiettivi. Dobbiamo garantire che i lavoratori europei abbiano la possibilità di adattarsi alle richieste dell’economia. I responsabili politici devono mettere i cittadini nelle condizioni di poter approfondire e integrare le proprie competenze. Il perfezionamento professionale non deve avere il solo obiettivo di aiutare i lavoratori a trovare un impiego migliore, ma deve anche offrire loro l’opportunità di delineare i posti di lavoro del futuro e di contribuire così attivamente a un’economia innovativa.

 
  
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  Lívia Járóka (PPE), per iscritto. (EN) Accolgo con favore la presente relazione, che mette in luce la necessità di ampliare il sistema di formazione professionale nell’Unione europea. Le pari opportunità di accesso a un apprendimento permanente di qualità si traducono infatti in maggiori possibilità nel mercato del lavoro, contribuendo così alla realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020. Occorre dedicare particolare attenzione a prevenire la disoccupazione giovanile armonizzando l’offerta di formazione con la domanda del mercato del lavoro, fornendo previsioni nazionali e regionali nel medio periodo sulla domanda di lavoro attesa ed aumentando l’efficacia dei sistemi di istruzione nazionali nel garantire il conseguimento delle competenze più richieste dal mercato del lavoro. Secondo i dati Cedefop, possiamo prevedere una perdita di 12 milioni di posti di lavoro per lavoratori poco o non qualificati, un dato che fa presagire un crescente rischio di povertà per i più vulnerabili. In molti casi, anche coloro che portano a termine gli studi non riescono a entrare nel mercato del lavoro ed è più probabile che cerchino impieghi salutari o lavorino nel sommerso. Di conseguenza, spesso non riescono a rendersi indipendenti e diventano un peso per le famiglie, in un circolo vizioso di istruzione insoddisfacente e disoccupazione.

 
  
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  Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto.(PL) La proposta di risoluzione dedica particolare attenzione all’istruzione dei giovani e sottolinea la necessità di una formazione pratica. Garantire l’accesso a istruzione e corsi adeguati è essenziale per fare in modo che chi porta a termine gli studi, la formazione universitaria o la formazione professionale non incontri difficoltà nel trovare un impiego nel settore scelto, caratterizzato da buone condizioni di lavoro e adeguatamente retribuito.

Secondo le previsioni, la congiuntura economica negativa non inciderà negativamente sulla crescita dei livelli di occupazione nell’Unione europea; ciò non deve determinare una riduzione dei finanziamenti per i principali programmi dell’Unione europea nel settore dell’istruzione e formazione professionale, come per esempio il programma per l’apprendimento permanente. I fondi dovrebbero di fatto aumentare per consentire a tutti i cittadini, a prescindere dall’età, dal genere o dalla provenienza, di avere accesso alle stesse opportunità in termini di formazione professionale e lavoro.

 
  
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  Jan Kozłowski (PPE), per iscritto.(PL) In qualità di relatore ombra per la relazione Hirsch sulla cooperazione europea in materia di istruzione e formazione professionale, desidero illustrare le motivazioni che mi hanno indotto ad esprimere voto favorevole. Nell’attuale situazione, caratterizzata da un progressivo invecchiamento della società e da un allarmante tasso di disoccupazione giovanile, l’Europa affronta sfide molto importanti e istruzione e formazione professionale posssono rivestire un ruolo fondamentale. Per garantire il futuro sostegno all’istruzione e formazione professionale, dovremmo al contempo attribuire la massima importanza al monitoraggio dell’efficacia della formazione e ad un approccio mirato a raggiungere l’obiettivo di far crescere i livelli di occupazione e l’integrazione sociale.

Sono convinto che istruzione e formazione professionale debbano essere strettamente legate al mercato del lavoro, caratterizzato da un costante adattamento ai cambiamenti economici, demografici e sociali. Ritengo molto importante garantire una gestione più flessibile del fondo sociale europeo, che andrebbe associato ad altri strumenti per l’impiego delle istituzioni europee. In conclusione, esprimo il mio ringraziamento alla relatrice per questa relazione completa e ben riuscita e per la proficua collaborazione.

 
  
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  Agnès Le Brun (PPE), per iscritto. (FR) La strategia Europa 2020 prevede, tra gli altri, gli obiettivi di portare il tasso di abbandono scolastico al di sotto del 10 per cento e fare in modo che almeno il 40 per cento dei giovani ottenga un diploma di scuola superiore, in linea con l’ambizione europea, espressa per la prima volta nella strategia di Lisbona, di diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva del mondo. È per questo motivo che il processo di Copenaghen avviato nel 2002 riveste una particolare importanza, essendo mirato a gettare le basi per una maggiore cooperazione in materia di politiche degli Stati membri legate all’istruzione e formazione professionale. Ho espresso voto favorevole per la presente risoluzione perché stabilisce obiettivi ambiziosi per il miglioramento dei programmi europei di istruzione e formazione.

 
  
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  Constance Le Grip (PPE) , per iscritto. (FR) Ho votato a favore della relazione Hirsch. Per affrontare le sfide economiche del XXI secolo e in particolare la crescente concorrenza dei partner commerciali, i sistemi europei per l’istruzione e la formazione professionale devono rendersi più efficaci, più attraenti e più reattivi, preparando meglio i cittadini al lavoro.

Pertanto dobbiamo impegnarci a orientare questi sistemi alle necessità del mondo del lavoro. A mio parere è inoltre necessario agevolare l’accesso a esperienze lavorative di qualità in Europa, mantenendo e rafforzando i programmi esistenti mirati a incrementare la mobilità degli apprendisti.

L’impegno che ho assunto durante la campagna elettorale per le elezioni europee del 2009 è stato quello di istituire un vero “Erasmus per apprendisti”, un progetto dedicato ai giovani e ai meno giovani per offrire loro la possibilità di viaggiare in Europa e conoscere le realtà economiche del nostro mercato interno e al tempo stesso di entrare nel mondo del lavoro e acquisire esperienza.

Infine, dobbiamo semplificare e migliorare il sistema per il riconoscimento delle qualifiche professionali in Europa per stimolare il mercato interno e fornire ai cittadini gli strumenti per accedere a una maggiore mobilità professionale.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Ho espresso voto a favore della presente relazione. La strategia Europa 2020 indica i fattori chiave per la crescita intelligente (promozione della conoscenza, dell’innovazione, della formazione e della società digitale), sostenibile (produzione efficiente nell’impiego delle risorse e simultaneo aumento della competitività), e inclusiva (aumento del tasso di occupazione, qualifica e lotta contro la povertà). Per quanto riguarda l’istruzione e la formazione, occorre adottare misure concrete a livello di Unione europea e negli Stati membri.

 
  
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  Jiří Maštálka (GUE/NGL), per iscritto. (CS) L’istruzione è senza dubbio un processo complesso e di lungo periodo, la cui qualità e i cui risultati influiscono sulle future carriere lavorative dei giovani, un aspetto da tenere in debito conto. In tale contesto, la domanda di competenze professionali in un ampio ventaglio di settori e attività crescerà parallelamente allo sviluppo di nuove tecnologie e alla creazione di norme di maggiore qualità e sicurezza, determinando la necessità di una formazione più orientata ai risultati. Mi riferisco a un’istruzione di alta qualità fondata su elementi di insegnamento moderni, a un’istruzione più attraente in senso specifico, specializzata ma al tempo stesso aperta ad altre opzioni per il potenziamento delle qualifiche. Dopo il processo di istruzione, i giovani devono avere una formazione professionale, un’idea chiara delle prospettive di crescita e devono soprattutto essere in grado di sfruttare le conoscenze, le competenze e le capacità caratteristiche del settore per il quale sono stati formati e mostrano un’attitudine.

 
  
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  Mario Mauro (PPE), per iscritto. – La relazione sulla cooperazione europea in materia di istruzione e formazione professionale a sostegno della strategia Europa 2020 identifica in maniera soddisfacente gli obiettivi che ci siamo prefissati tempo fa con la stessa strategia 2020. Oggi è più che mai indispensabile che ci sia un dialogo costante tra il mondo della formazione professionale e istruzione con il mondo del lavoro. La sfida principale è proprio questa: fare in modo che il mondo del lavoro venga incontro in maniera sempre più costante alle esigenze dei nuovi lavoratori.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto.(PT) L’attuazione della strategia Europa 2020 è essenziale per riportare l’Europa sul sentiero della crescita economica sostenuta e sostenibile. I giovani sono il fattore chiave per il successo della strategia Europa 2020. Come è noto, essi sono i soggetti più colpiti dalla crisi e da una disoccupazione che sta toccando livelli molto alti: i tassi di disoccupazione giovanile sono circa il doppio rispetto al dato generale. Per raggiungere i nostri obiettivi, occorre investire ingenti risorse nel settore dell’istruzione e formazione professionale.

 
  
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  Louis Michel (ALDE), per iscritto. (FR) In un mondo globalizzato, istruzione e formazione professionale di qualità sono le chiavi di cui ogni giovane dovrebbe disporre al suo ingresso nel mondo del lavoro. L’economia mondiale richiede competenze, flessibilità, disponibilità e conoscenza delle lingue. In veste di politici, è nostro dovere attuare strategie volte a garantire quanto segue: • focalizzazione dell’apprendimento su uno specifico risultato; • insegnamento dell’imprenditorialità; • offerta di ponti per cittadini non qualificati alla ricerca di un impiego, soprattutto attraverso l’istruzione mirata; • semplificazione delle procedure per il riconoscimento delle qualifiche estere, finalizzata a stimolare la mobilità dei lavoratori; • creazione di un quadro europeo di offerta di posti di lavoro di qualità in tutta l’Unione europea; • apprendimento permanente per consentire ai lavoratori di adattarsi alle condizioni del mercato e ai bisogni delle aziende; • promozione della creatività e delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione; • sostegno all’occupazione femminile con aiuti volti a conciliare vita professionale e vita familiare.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (EN) L’istruzione e formazione professionale deve essere disponibile, accessibile ed economicamente sostenibile nelle diverse fasi della vita, a prescindere dallo status delle persone sul mercato del lavoro o dal loro reddito. Occorre creare opportunità di formazione per categorie specifiche di persone come i giovani disoccupati, le minoranze etniche, le donne vulnerabili, le persone disabili ecc., per conseguire più integrazione e coesione sociale. È necessario fornire possibilità di finanziamento ampliate, semplificate e più facilmente accessibili, utilizzando le risorse attualmente fornite dal fondo sociale europeo e dal programma per l’apprendimento permanente. Convinto che questa iniziativa sia molto importante e giunga al momento giusto, ho espresso voto favorevole.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Il mondo del lavoro ha attraversato grandi cambiamenti. Se in passato una buona istruzione garantiva un buon lavoro, oggi né un diploma di istruzione superiore né una laurea proteggono i giovani dalla disoccupazione e diventa sempre più difficile avviare la propria carriera. Dal canto loro, le imprese lamentano la carenza di personale specializzato, sfruttandola come scusa per utilizzare lavoro a basso costo. La richiesta di completa flessibilità e mobilità, i bassi salari imposti dal mercato del lavoro sotto forma di nuovi modelli lavorativi come i cosidddetti “Mac Job” significano per molti l’impossibilità di formare una famiglia e conseguire un giusto equilibrio tra lavoro e vita privata. Nel quadro della strategia Europa 2020, potrebbe risultare utile favorire il mutuo riconoscimento dell’istruzione e formazione. Il successo della strategia dipende però dalle misure attuate per affrontare questi drammatici sviluppi. In questo senso, va accolto l’invito della relazione a un’azione tempestiva rispetto alla disoccupazione giovanile, nonostante manchino dettagli concreti. Per questi motivi, ho deciso di astenermi.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. (DE) Il mercato del lavoro europeo fronteggia grandi sfide. Per i più giovani, il problema è che una buona istruzione non garantisce più un buon lavoro e, quel che è peggio, non protegge più dalla disoccupazione. Dal canto loro, le imprese lamentano la carenza di personale specializzato, sfruttandola come scusa per utilizzare lavoro a basso costo. Ciò si traduce nell’impossibilità di formare una famiglia e conseguire un giusto equilibrio tra lavoro e vita privata. Il mutuo riconoscimento dell’istruzione e formazione è il primo passo nella direzione giusta. L’invito ad agire rispetto alla disoccupazione giovanile è corretto, ma troppo vago, motivo per cui ho deciso di astenermi.

 
  
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  Rolandas Paksas (EFD), per iscritto. (LT) Ho espresso voto favorevole per la risoluzione perché la cooperazione a livello europeo nel settore della formazione professionale è un fattore molto importante per il conseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020 e la riduzione del tasso di disoccupazione giovanile. Concordo con la proposta secondo la quale, nell’istituzione di un sistema di istruzione e formazione professionale, ciascuno Stato membro dedichi particolare attenzione ai lavoratori poco qualificati, agli immigrati, alle persone disabili e ad altri gruppi socialmente vulnerabili con programmi di formazione più orientati alle loro necessità e al loro grado di capacità. Occorre inoltre promuovere una maggiore cooperazione tra i sistemi di istruzione degli Stati membri al fine di garantire l’integrazione dei giovani e stimolare l’apprendimento permanente nonché l’apprendimento formale e informale. Per fare in modo che la formazione professionale sia in linea con le necessità del mercato, ritengo consigliabile inserire le informazioni sui cambiamenti del mercato del lavoro nei programmi e nelle strategie di istruzione nazionali.

La Commissione deve svolgere un ruolo importante a tal proposito, fornendo informazioni sulle competenze e le necessità delle singole regioni nonché sui cambiamenti nel mercato del lavoro europeo. È inoltre molto importante creare un ambiente favorevole per le imprese che collaborano allo sviluppo e all’attuazione dei programmi di formazione professionale.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Cari colleghi, ho votato a favore della relazione sulla cooperazione europea in materia di istruzione e formazione professionale dato che all'interno della Strategia Europa 2020 questo argomento occupa una posizione importante al fine di garantire lo sviluppo economico. Cooperare al fine di migliorare l'istruzione e la formazione professionale vuol dire abbassare il livello di disoccupazione giovanile, fornire strumenti conoscitivi ai lavoratori e dare possibilità di finanziamento ampliate e semplificate. L'attuale contesto socio-economico richiede capacità di lavorare in ambiti internazionali e per questo bisogna ampliare le possibilità di apprendimento, visto anche il ruolo delle imprese che hanno bisogno sempre più spesso di personale competente con esperienze formative pratiche che siano in grado di far lavorare in modo efficace fin da subito.

 
  
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  Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. (EL) Questa relazione di iniziativa, cui la commissione competente ha incorporato numerose proposte della commissione per la cultura e l’istruzione, mira a stimolare l’Unione europea e gli Stati membri a raggiungere gli obiettivi della strategia Europa 2020, soprattutto nel settore dell’occupazione e della formazione. Si tiene conto di sfide specifiche quali la domanda di crescenti qualifiche del mercato del lavoro, che mette a rischio i lavori poco qualificati, il drammatico incremento della disoccupazione giovanile, superiore al 30 per cento in alcuni Stati membri dell’Unione tra cui la Grecia, e il fallimento di alcuni Stati membri nell’adottare misure adeguate a raggiungere gli obiettivi della strategia Europa 2020 (per esempio, portare l’abbandono scolastico al 10 per cento e determinare un incremento dei giovani dotati di formazione universitaria al 40 per cento). Oltre a proteggere i cittadini dotati di meno competenze o di un basso livello di istruzione, dobbiamo tempestivamente investire nelle nuove competenze, specie quelle richieste per il lavoro in settori strategici per la crescita. Quest’ultimo è un elemento di essenziale importanza per la Grecia.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) La cooperazione europea in materia di istruzione e formazione professionale a sostegno della strategia Europa 2020 è essenziale. In un’economia globalizzata, la possibilità e la capacità di studiare e lavorare in un ambiente internazionale rappresentano una condizione importante per il successo professionale. Sono richiesti sempre più spesso collaboratori mobili, flessibili e con un’esperienza internazionale. Concordo con la relatrice quando afferma che occorre dare nuova vita alla strategia Europa 2020. Il processo dovrebbe partire immediatamente con l’adozione di misure concrete a livello di Unione europea e negli Stati membri. Per queste ragioni, ho deciso di votare a favore della relazione. Dobbiamo garantire che i lavoratori europei abbiano la possibilità di adattarsi alle richieste dell’economia. In veste di responsabili politici, dobbiamo mettere i cittadini nelle condizioni di poter approfondire e integrare le proprie competenze. Il perfezionamento professionale non deve avere il solo obiettivo di aiutare i lavoratori a trovare un impiego migliore, ma deve anche offrire loro l’opportunità di delineare i posti di lavoro del futuro e di contribuire così attivamente a un’economia innovativa.

 
  
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  Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. – In un mondo sempre più globalizzato, è importante per i giovani poter incrementare la loro istruzione e formazione attraverso la mobilità. Il mercato del lavoro richiede sempre persone più mobili, flessibili e con esperienze internazionali. Nonostante la crisi economica si stima che nei prossimi dieci anni il mercato occupazionale europeo crescerà in maniera graduale. Per questo l'UE ha attuato la strategia Europa 2020, volta a rafforzare l'interesse sull'istruzione e sulla formazione professionale.

Si deve cercare sempre di più di eliminare gli ostacoli, aumentare la trasparenza, e il confronto all'interno e tra sistemi d'istruzione. L'istruzione dovrebbe seguire con maggior interesse le esigenze del mercato di lavoro, sollecitare un metodo per i risultati di apprendimento ed elevare qualitativamente i propri standard per poter raggiungere una maggiore professionalità. Infine si dovrebbe cercare di incoraggiare la creatività, l'innovazione e l'imprenditorialità, affinché i giovani e i lavoratori europei, siano messi in condizione di approfondire le proprie conoscenze per adattarsi alle richieste dell'economia. Allo scopo di raggiungere questi obiettivi e per far sì che l'istruzione e la formazione professionale continuino a costituire una forte priorità politica e comune a lungo termine, esprimo il mio voto favorevole alla proposta in oggetto.

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto. (RO) I fattori chiave indicati nella strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva (aumento del tasso di occupazione, qualifica e lotta alla povertà) richiedono, per quanto riguarda l’istruzione e la formazione professionale, di essere tradotti in misure concrete a livello di Unione europea e negli Stati membri per l’attuazione della strategia. I lavoratori europei devono essere in grado di adattarsi alle richieste dell’economia e i responsabili politici devono mettere i cittadini nelle condizioni di approfondire e integrare le proprie competenze.

Chiedo agli Stati membri di seguire le azioni atte a facilitare la transizione dalla scuola alla vita lavorativa sviluppando programmi integrati di orientamento professionale e consulenza, di creare migliori possibilità di qualifica per i formatori e di gettare le basi di un partenariato che favorisca l’apprendimento, in particolare a livello regionale e locale.

Nel quadro dell’istruzione e della formazione professionale, gli Stati membri devono tenere conto delle necessità individuali delle persone meno qualificate, degli studenti immigrati, delle persone appartenenti a minoranze etniche, delle donne, dei disoccupati e delle persone disabili. Invito infine gli Stati membri a finanziare attività innovative e programmi di dottorato e post-dottorato che promuovano la competitività e la crescita economica sostenibile.

 
  
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  Phil Prendergast (S&D), per iscritto. (EN) Nell’attuale congiuntura economica, una delle sfide più urgenti è la disoccupazione giovanile. I giovani lavoratori non solo sono più spesso disoccupati rispetto agli adulti, ma sono anche più frequentemente occupati in lavori precari e temporanei, con stipendi inferiori e una minore sicurezza sociale, una situazione che va necessariamente affrontata. La previsione del Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (Cedefop) di crescita di 80 milioni di posti di lavoro entro il 2020 è una notizia positiva. Occorre notare che ci sarà uno spostamento dal lavoro poco qualificato allo sviluppo industriale e tecnologico, con la richiesta di lavoratori dotati di competenze di livello elevato e intermedio. È necessario agire tempestivamente per garantire la disponibilità di lavoratori dotati delle competenze adeguate per occupare queste posizioni. Tenendo conto di questi fattori, dobbiamo fare in modo che il nostro approccio all’apprendimento sia orientato ai risultati. Occorre fornire ai giovani accesso all’apprendimento permanente e a corsi con elementi di formazione pratica che li mettano nelle condizioni di occupare nuovi posti di lavoro e di crescere e progredire nella carriera lavorativa. Ritengo che le economie di tutti gli Stati membri potranno beneficiare di questi cambiamenti nella formazione professionale.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) Se è chiaro che in Europa i giovani sono sempre più colpiti dalla disoccupazione e sono spesso occupati in lavori di natura precaria e temporanea, d’altra parte è anche vero che le aziende non dispongono di professionisti qualificati dotati di una formazione orientata ai compiti da svolgere. È dunque essenziale allineare l’offerta di lavoro alla domanda attraverso misure come la consulenza indipendente sulla formazione professionale, i fondi per il sostegno alla formazione e la concorrenza tra gli enti preposti alla formazione. L’obiettivo ultimo è aiutare i lavoratori a trovare un impiego migliore ma anche, come recita la motivazione della relazione, fornire loro “l’opportunità di delineare i posti di lavoro del futuro”.

 
  
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  Crescenzio Rivellini (PPE), per iscritto. – Si è votato, oggi, durante la sessione plenaria al Parlamento europeo di Strasburgo, la relazione "Cooperazione europea in materia di istruzione e formazione professionale a sostegno della strategia Europa 2020". Nonostante le drammatiche conseguenze della crisi economica sul mercato del lavoro europeo, si prevede che l'occupazione in Europa crescerà, in maniera graduale, nei prossimi dieci anni. I fattori indicati nella strategia Europa 2020 per una crescita intelligente sostenibile e inclusiva richiedono, per quanto riguarda l'istruzione e la formazione professionale, di essere tradotti in misure concrete a livello di Unione europea e negli Stati membri. Per raggiungere gli obiettivi indicati dalla strategia Europa 2020 è fondamentale che l'istruzione e la formazione professionale continuino a costituire una forte priorità delle istituzioni dell'Unione europea, degli attori locali e regionali. La collega, on. Hirsch, con la sua relazione accoglie le misure della Commissione finalizzate all'eliminazione delle barriere, l'aumento della trasparenza e il confronto all'interno e fra sistemi educativi, sottolineando l'importanza che l'istruzione debba essere vicina al mercato del lavoro incoraggiando la stimolazione della creatività e dell'innovazione.

 
  
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  Robert Rochefort (ALDE), per iscritto.(FR) L’Unione europea e gli Stati membri dovrebbero intensificare gli sforzi per stimolare l’occupazione giovanile e ridurre il tasso di disoccupazione dei giovani in particolare attraverso un migliore allineamento tra i sistemi di formazione e le richieste del mercato del lavoro. A fronte della prevista perdita di 12 milioni di lavori poco qualificati in Europa entro il 2020 e della necessità di allungare la carriera lavorativa per conservare il sistema sociale nonostante i cambiamenti demografici, è essenziale intensificare gli sforzi anche per il miglioramento della formazione permanente dei lavoratori. A tal proposito trovo interessante l’idea proposta dall’onorevole Hirsch nella relazione di fornire incentivi ai datori di lavoro affinché incoraggino i propri dipendenti a partecipare a programmi di formazione. Inoltre, al fine di contrastare la disoccupazione tra i lavoratori poco qualificati e favorire l’impiego di cittadini in età più avanzata, è essenziale favorire il riconoscimento delle qualifiche nazionali tra gli Stati membri e la certificazione delle competenze acquisite mediante l’apprendistato informale.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Voto a favore della presente relazione. In un’economia globalizzata, la possibilità e la capacità di studiare e lavorare in un ambiente internazionale rappresentano una condizione importante per il successo professionale. Sono richiesti sempre più spesso collaboratori mobili, flessibili e con un’esperienza internazionale. I fattori chiave indicati nella strategia Europa 2020 per una crescita intelligente (promozione della conoscenza, dell’innovazione, della formazione e della società digitale), sostenibile (produzione efficiente nell’impiego delle risorse e simultaneo aumento della competitività) e inclusiva (aumento del tasso di occupazione, qualifica e lotta contro la povertà) richiedono, per quanto riguarda l’istruzione e la formazione professionale, di essere tradotti in misure concrete a livello di Unione europea e negli Stati membri. Nonostante le drammatiche conseguenze della crisi economica sul mercato del lavoro europeo, si prevede che l’occupazione in Europa crescerà, almeno in maniera graduale, nei prossimi dieci anni. Come indica la previsione attuale del Cedefop concernente l’offerta e il fabbisogno di competenze in Europa, entro il 2020 il numero dei nuovi posti di lavoro dovrebbe essere pari a 80 milioni.

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. – In un'economia sempre più globalizzata, la possibilità e la capacità di studiare e lavorare in un ambiente internazionale rappresentano una condizione importante per il successo professionale. Le imprese chiedono sempre più spesso un'offerta d'istruzione e formazione professionale più legata alla pratica e orientata alle soluzioni. Ciò che conta sono le capacità e le competenze che, al termine di un percorso d'istruzione o formazione professionale, possono essere apportate all'ambiente di lavoro.

La risoluzione adottata oggi è un primo passo per garantire che i lavoratori europei abbiano la possibilità di adattarsi alle richieste dell'economia. I cittadini devono essere messi nelle condizioni di poter approfondire e integrare le loro competenze. Il perfezionamento professionale non deve avere il solo obiettivo di aiutare i lavoratori a trovare un impiego migliore, ma deve anche offrire loro l'opportunità di creare i posti di lavoro del futuro e di contribuire così attivamente a un'economia innovativa.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto.(PL) L’istruzione, la formazione professionale e il concetto universale di “apprendimento permanente” sono i mattoni della futura integrazione europea, che affronta sfide sempre nuove in relazione al sostegno per la strategia Europa 2020. Dobbiamo affrontare l’allarmante incremento della disoccupazione giovanile e i problemi legati all’istruzione e formazione professionale stanno diventando per noi prioritari. Per le persone all’inizio della carriera professionale, la disoccupazione potrebbe determinare effetti negativi sulla futura attività lavorativa. L’istruzione e formazione professionale dovrebbero consentire di muoversi liberamente nel mercato del lavoro, a seconda del mutare della situazione economica e delle richieste di un particolare settore. Conviene sottolineare l’utilità e i meriti dei programmi di formazione transfrontaliera esistenti, come per esempio il programma Leonardo Da Vinci, che meritano il nostro sostegno perché consentono agli individui di acquisire le qualità caratteristiche di una forza lavoro mobile.

La mobilità elimina le difficoltà che insorgono per via della naturale diversità dei singoli mercati del lavoro e consente ai giovani di accedere a un mercato enorme, quello europeo, ricco di nuove sfide e opportunità per mettere a frutto l’esperienza acquisita. Gli Stati membri hanno il compito di agevolare la supervisione e l’assistenza nelle collaborazioni e lo scambio di informazioni tra scuole, istituti di formazione, centri di ricerca e imprese. I giovani lavoratori possono apportare nuove fonti di conoscenza, competenze ed esperienze al mercato del lavoro dell’Unione europea.

 
  
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  Catherine Stihler (S&D), per iscritto. (EN) Esprimo il mio sostegno per questa relazione. Ritengo inaccettabile la portata dei tagli effettuati al programma di apprendimento permanente e al programma Persone.

 
  
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  Michèle Striffler (PPE), per iscritto. (FR) La lotta alla disoccupazione giovanile deve essere prioritaria per tutti i governi europei. Occorre fornire ai nostri giovani un’offerta completa, attraente e competitiva in termini di istruzione e formazione, che consenta loro di trovare un impiego più facilmente. In particolare, ritengo che l’istruzione e formazione professionale debba essere più in linea con le necessità del mercato del lavoro. Inoltre, l’istruzione superiore dovrebbe essere associata alla formazione professionale dando priorità, per esempio, a un insieme di formazione e lavoro. Per questi motivi ho espresso voto favorevole per la relazione Hirsch.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. (PT) In Europa la disoccupazione giovanile si attesta al 21 per cento e interessa oltre 5,5 milioni di giovani a rischio di esclusione sociale per carenza di opportunità e costretti ad accettare lavori precari. L’istruzione e la formazione sono due delle grandi sfide attuali per l’Unione europea, racchiuse nella strategia Europa 2020. Sono stati fissati gli obiettivi di ridurre il tasso di abbandono scolastico al di sotto del 10 per cento e fare in modo che il 40 per cento dei giovani europei ottenga un diploma di scuola superiore entro il 2020. Si tratta di obiettivi ambiziosi ma necessari per la crescita economica e per incrementare la competitività degli Stati membri creando posti di lavoro.

Ho espresso voto favorevole per la presente relazione perché ritengo essenziale disporre di una strategia di lungo periodo a livello europeo che consenta di affrontare anche la disoccupazione strutturale e la disoccupazione giovanile. A tal fine, considero importante confermare il sostegno per le piccole e medie imprese, che creano il 50 per cento dei posti di lavoro, e investire nell’apprendimento permanente. Desidero infine menzionare la necessità di riconoscere le qualifiche professionali, favorendo così una maggiore mobilità di professionisti e studenti.

 
  
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  Niki Tzavela (EFD), per iscritto. (EL) La lotta alla disoccupazione giovanile è una delle sfide più importanti per l’Unione europea. Per affrontare il problema, dobbiamo investire di più nell’istruzione e formazione dei giovani, in modo da prepararli alle future sfide del mercato del lavoro, che diventa sempre più esigente. Giustamente la relazione afferma che il fondo sociale europeo potrebbe fornire un contributo più importante per la formazione dei meno abbienti. Come ho sottolineato in diverse occasioni, è particolarmente importante la proposta di agevolare la mobilità dei lavoratori nel mercato interno e occorre cooperazione a livello europeo per elaborare una politica unica in materia. Per queste svariate ragioni, appoggio la relazione.

 
  
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  Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. (LT) Il disallineamento tra le qualifiche dei giovani e i bisogni del mercato del lavoro è una delle determinanti del drammatico tasso di disoccupazione giovanile che si registra in Lituania (34per cento). Nel 2010, il 52 per cento dei giovani disoccupati registrati al Lietuvos darbo birža (Centro per l’impiego lituano) era privo di formazione professionale. La carenza di lavoro ha determinato un forte flusso migratorio di giovani: il 50 per cento dei lituani emigrati nel periodo più recente ha un’età compresa tra i 20 e i 34 anni. A fronte della crescente richiesta di una forza lavoro mobile e flessibile, dobbiamo aiutare i lavoratori europei ad adattarsi alle necessità dell’economia, offrendo loro l’opportunità di migliorare le competenze e ampliare le conoscenze. È importante che la formazione professionale sia accessibile a tutti. Ho notato con piacere che la relatrice comprende il grande valore del finanziamento al fondo sociale europeo, che contribuisce a fornire formazione alle categorie più disagiate della società lituana. È giunto il momento che l’Unione europea attui misure efficaci e creative per realizzare gli obiettivi stabiliti nella strategia Europa 2020, per esempio quelli di portare il tasso di abbandono scolastico al di sotto del 10 per cento e di fare in modo che il 40 per cento dei giovani ottenga un diploma di scuola superiore.

 
  
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  Derek Vaughan (S&D), per iscritto. (EN) L’istruzione e formazione professionale dovrebbe essere accessibile a giovani e meno giovani. Per esempio, sia il programma per l’apprendimento permanente che il programma Persone offrono preziose opportunità a coloro che desiderano apprendere nuove competenze e trovare un nuovo impiego. Gli attuali livelli di disoccupazione, specie tra i giovani, sono preoccupanti e occorre fare di più per garantire che i giovani acquisiscano competenze e qualifiche cruciali. Credo fermamente che il fondo sociale europeo possa svolgere un ruolo prezioso nella formazione e istruzione delle persone. È importante che i meno abbienti godano del sostegno finanziario necessario per poter seguire dei corsi di formazione che, a loro volta, offriranno loro più opportunità di integrarsi pienamente nel mercato del lavoro.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI), per iscritto. (DE) La strategia Europa 2020 dovrebbe determinare una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. In relazione all’apprendimento, è essenziale adottare un approccio basato sui risultati. L’ “apprendimento permanente” è una priorità assoluta per i nostri cittadini, motivo per cui istruzione e formazione professionale devono diventare una priorità per noi.

 
  
  

Relazione Mitchell (A7-0187/2011)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) Mi esprimo a favore della relazione in oggetto. Essa istituisce uno strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo (DCI); riconosco, tuttavia, l’importanza del meccanismo che dovrebbe succedere al DCI quest’anno. Condivido le critiche espresse dal relatore, relative al fatto che lavori di controllo svolti dal Parlamento europeo non hanno ricevuto alcuna attenzione da parte dei rappresentanti degli Stati membri presenti né dal comitato del DCI.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questo regolamento (CE) n. 1905/2006 che istituisce uno strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo: esperienza acquisita e prospettive future. Il 2011 rappresenta un momento strategico per fare tesoro dell'esperienza acquisita durante i quattro anni di applicazione del regolamento (CE) n. 1905/2006 che istituisce uno strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo (DCI). Una semplificazione e un adeguamento ulteriori alle nuove sfide, come il cambiamento climatico, così come un ruolo appropriato per la dimensione esterna delle politiche interne dell'UE, sono aspetti importanti che non possono essere ignorati. Concordo con la disposizione prevista dalla risoluzione in base alla quale lo strumento futuro per la fornitura degli aiuti allo sviluppo dell'Unione europea deve essere adeguatamente sostenuto in termini finanziari. L'Unione europea si è impegnata per l'obiettivo collettivo di spesa dello 0,7 per cento del prodotto interno lordo (PIL) a favore dell'aiuto pubblico allo sviluppo (APS) entro il 2015. Per raggiungere tale traguardo, l'attuale livello degli aiuti europei dovrà crescere in misura significativa. Coordinamento e divisione dei compiti devono essere i principi guida per orientare la programmazione nell'ambito del nuovo strumento di sviluppo. L'idea di documenti strategici europei deve essere perseguita in via prioritaria e il Parlamento europeo deve essere coinvolto attivamente in questo processo. Nell'ambito dello strumento di cooperazione allo sviluppo post 2013, il Parlamento europeo deve avere la possibilità di difendere la specificità della politica di sviluppo dell'Unione esercitando il controllo sulla programmazione strategica su un piano di parità con il Consiglio.

 
  
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  Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. (RO) Lo strumento di cooperazione allo sviluppo (DCI) è uno dei progetti profondamente altruistici dell’Unione europea, teso a fornire assistenza ai paesi in via di sviluppo in maniera incondizionata e senza ulteriori interessi. L’assenza di aspetti di natura utilitaristica nella partecipazione dell’Unione europea deve far sì che le istituzioni orientino meglio questi fondi e si adoperino per eliminare la povertà e raggiungere gli obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM).

È mio dovere sottolineare la necessità di una maggiore trasparenza per tutti i fondi stanziati a questo scopo e, aspetto ancora più importante, per aumentare le valutazioni dell’impatto del DCI sulla popolazione dei suddetti paesi. Ciò perché tali fondi devono essere affiancati da politiche sociali efficaci nei paesi in via di sviluppo ed avere una durata a medio e lungo termine, la “canna da pesca” che i popoli in questione useranno per imparare a “pescare” e raggiungere così l’autosufficienza.

Non dobbiamo dimenticare che il 2010 è stato l’Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale. È proprio questo il motivo per cui lo strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo deve proseguire questa battaglia anche nei paesi in via di sviluppo, contribuendo in modo significativo ad assicurare un tenore di vita decoroso a un numero più elevato possibile di cittadini.

 
  
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  Pino Arlacchi (S&D), per iscritto. (EN) Lo scopo della presente relazione sull’istituzione di uno strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo consiste nel definire tempestivamente la posizione del Parlamento su questo argomento. La suddetta posizione dovrebbe basarsi sull’esperienza acquisita dai lavori di controllo relativi all’attuazione della nostra cooperazione allo sviluppo.

Ho accolto con favore il metodo adottato dal relatore nella valutazione dell’esito e delle modalità della cooperazione allo sviluppo dell’Unione europea. Il relatore afferma chiaramente che, sebbene il dialogo con la Commissione sia stato costruttivo, quest’ultima non ha modificato il proprio atteggiamento rispetto alle questioni relative allo sviluppo come suggerito nelle raccomandazioni del Parlamento. La posizione del Parlamento ha trovato solo sporadicamente riscontro nei progetti di misure di esecuzione presentati dalla Commissione al comitato di gestione del DCI.

Questo è in parte comprensibile. Il partner principale del relatore è stata la DG Relazioni esterne, il cui mandato essenziale consiste nel promuovere gli interessi dell’UE nel resto del mondo. La cooperazione allo sviluppo, tuttavia, è quella dimensione politica dell'azione esterna (insieme con gli aiuti umanitari) che non è stata concepita per soddisfare gli interessi dell’Unione europea, bensì per difendere gli interessi delle popolazioni più vulnerabili del pianeta. Poiché la posizione espressa dalla presente relazione riflette appieno tale ispirazione globale, sono lieto di aver espresso un voto favorevole.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Ho appoggiato la relazione Mitchell perché ritengo che vada aumentato il coinvolgimento dei parlamenti dei paesi in via di sviluppo nell’elaborazione dei documenti strategici per i suddetti paesi, per quanto concerne, ad esempio, la strategia per l’eliminazione della povertà. Gli aiuti allo sviluppo dell’Unione europea vanno adeguatamente finanziati. L’UE si è impegnata a stanziare lo 0,7 per cento del prodotto interno lordo (PIL) a favore dell'aiuto pubblico allo sviluppo (APS) entro il 2015, fatto che implicherà un aumento degli aiuti attuali dell’Unione.

 
  
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  Liam Aylward (ALDE), per iscritto. (GA) La scadenza per la realizzazione degli obiettivi di sviluppo del Millenio si inserisce nel periodo di validità del primo strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo. Di conseguenza, va ampliata l’attuale cooperazione con le autorità locali e va ulteriormente sviluppato il ruolo che esse svolgono nella lotta alla povertà e alla fame, nel miglioramento dei servizi idrici e sanitari, nonché nell’impulso allo sviluppo economico locale. La sicurezza dell’approvvigionamento alimentare, le sfide del settore agricolo e della produzione di mangimi, così come la crisi del costo della vita devono essere affrontate nel momento in cui si creano strumenti finanziari e politiche di ampio respiro per la collaborazione e la cooperazione allo sviluppo. Accolgo con favore quanto stabilisce la relazione a tal proposito. Concordo sul fatto che la Commissione dovrebbe realizzare un’analisi completa degli aiuti al bilancio in generale, che includa i dettagli relativi agli aiuti forniti a determinati settori, a progetti specifici e ai governi locali. Queste informazioni tornerebbero utili in futuro, al momento di intervenire in vista di una redistribuzione più efficiente delle risorse e dei finanziamenti consentendo, così, di identificare i problemi insiti nel sistema di distribuzione. Il risultato sarebbe una politica più coerente.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) L’obiettivo generale della cooperazione allo sviluppo è l’eliminazione della povertà nei paesi partner, nonché il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM). Per raggiungere questi obiettivi, l’UE ha bisogno di uno strumento specifico per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo. La Commissione si è impegnata a presentare una proposta legislativa relativa agli strumenti per il finanziamento dell’azione esterna entro la fine dell’anno e a riconsiderare la struttura complessiva degli strumenti di finanziamento esterni in occasione della prossima discussione sul quadro finanziario pluriennale (QFP). Ho votato a favore di questo documento che definisce la posizione del Parlamento rispetto a un nuovo strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo dell'UE. Concordo con l’idea in base alla quale lo strumento futuro per la fornitura degli aiuti allo sviluppo dell'Unione europea deve essere adeguatamente sostenuto in termini finanziari, tenuto conto dell'obiettivo di spesa dell’UE dello 0,7 per cento del prodotto interno lordo (PIL) a favore dell'aiuto pubblico allo sviluppo (APS) entro il 2015.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − Mi sono espressa contro la proposta di risoluzione del Parlamento sullo strumento per il finanziamento della cooperazione con i paesi, territori e regioni in via di sviluppo a causa di quanto auspicato dalla proposta stessa sulla gestione dell´immigrazione illegale. In particolare, si sostiene che i fondi per lo sviluppo relativi all'immigrazione non dovrebbero essere investiti per rafforzare i controlli alle frontiere e contrastare il fenomeno dell'immigrazione. Tale posizione è inconciliabile con la nostra linea politica, la quale assegna importanza prioritaria al rafforzamento delle frontiere e alla lotta all'immigrazione clandestina, e vorrebbe pertanto che si investissero anche ulteriori risorse in questo senso. Ho quindi deciso di dichiarare voto contrario alla proposta.

 
  
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  Vito Bonsignore (PPE), per iscritto. − Il tema della cooperazione allo sviluppo rientra tra i principi cardine del mio operato. Ritengo che l'ottima relazione stilata dal collega Mitchell, bene individui i punti in cui l'Europa possa e debba fare meglio. L'esperienza dello strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo (DCI) è stata fondamentale per comprendere come l'Unione europea debba procedere nell'ambito del futuro quadro finanziario pluriennale. Se vogliamo rendere effettivi gli strumenti di sostegno, occorre, allora, istituire dei finanziamenti indipendenti da altre misure, riformulare le quote e le loro modalità di attuazione. Questa revisione deve basarsi su una politica di vicinato attenta alle varie esigenze dei paesi più poveri e non più solo agli interessi europei. Sono fermamente convinto che la politica di sviluppo dell'UE debba essere il frutto del lavoro del Parlamento e del Consiglio, applicando quanto statuito dall'articolo 290 del TFUE anche in questa materia. Questi principi sono stati espressi chiaramente nella relazione in oggetto, per tale motivo ha meritato il mio voto favorevole.

 
  
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  Philippe Boulland (PPE), per iscritto. (FR) Accolgo con favore l’adozione della relazione Mitchell volta a definire la posizione del Parlamento in relazione al nuovo strumento di finanziamento elaborato per regolamentare la cooperazione allo sviluppo dell’Unione europea sulla base dell’esperienza acquisita in seguito all’attuazione dello strumento di cooperazione allo sviluppo (DCI) (strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo).

A questo proposito, desidero sottolineare che nelle regioni, nei territori e nei paesi in via di sviluppo permangono elevati livelli di povertà e che dobbiamo accrescere i fondi destinati alle cause della povertà, fra cui, in particolare, la malnutrizione, i problemi sanitari, l’istruzione e l’accesso all’acqua potabile, invece di perseguire sistemi per la regolamentazione dell’immigrazione, che appartengono ad altri schemi finanziari.

Gli aiuti allo sviluppo devono consentire alle popolazioni coinvolte di restare all’interno della propria area geografica di appartenenza.

La regolamentazione dell’immigrazione deve avvenire attraverso un altro strumento finanziario e deve determinare un aumento delle risorse destinate all’agenzia Frontex.

Era questa la logica alla base del mio voto favorevole alla relazione.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Desidero innanzitutto esprimere la mia soddisfazione per gli sforzi profusi dall’Unione europea per eliminare la povertà nei paesi in via di sviluppo. La cooperazione internazionale volta a promuovere l’autosufficienza e l’indipendenza di questi paesi è la strada giusta per raggiungere la pace in ambito sociale e politico a livello mondiale, fatto che non si ripercuoterà esclusivamente sulle popolazioni beneficiarie, ma porterà anche alla risoluzione dei problemi legati all’immigrazione in Europa. Per questo appoggio la proposta di aumentare i finanziamenti europei per questa causa, così come la creazione di uno strumento finanziario incentrato sulla stessa.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) Nell’ambito della discussione sul prossimo quadro finanziario pluriennale (QFP) post 2013, è particolarmente importante ridefinire e rafforzare le posizioni adottate dal Parlamento rispetto al nuovo strumento di finanziamento per la cooperazione allo sviluppo dell'UE (DCI), sulla base dell'esperienza acquisita nell'ambito dell’attuazione del DCI nel periodo 2007-2013. Ritengo essenziale, innanzitutto, che questo nuovo strumento continui ad avere come priorità il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM). Per farlo – per eliminare la povertà, soprattutto – è fondamentale che qualsiasi strumento futuro sia sostenuto da risorse finanziarie reali e adeguate. La Commissione dovrebbe garantire che gli aiuti dell’UE siano coerenti con i traguardi e gli obiettivi di sviluppo definiti a livello internazionale. Desidero ribadire, inoltre, l’importanza del rigore con cui vengono applicati i criteri di ammissibilità per i paesi beneficiari dei finanziamenti di questo strumento futuro. Desidero sottolineare che il nuovo DCI deve prefigurare una base per un aiuto più mirato e flessibile per le situazioni di fragilità. Ritengo che ciò dovrebbe concorrere a generare un corretto collegamento tra aiuto, ripristino e sviluppo. In conclusione, desidero congratularmi con l’onorevole Mitchell per la relazione presentata e appoggio i suggerimenti in essa contenuti.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto. − Negli ultimi decenni sono stati portati avanti moltissimi progetti di aiuto nei paesi in via di sviluppo da parte di svariate organizzazioni, sia pubbliche che private. Come si evince dalla relazione, lo scarso risultato ottenuto fino ad oggi, la mancanza di coordinazione sugli obiettivi comuni (OMS) e la scarsa chiarezza su come tali obiettivi dovrebbero essere raggiunti, rendono necessaria, anche a mio avviso, l'istituzione di un nuovo strumento di finanziamento per la cooperazione allo sviluppo. Tale strumento deve essere però ideato in maniera intelligente e dovrà essere tale da migliorare la situazione attuale senza creare ulteriori sprechi di risorse. Affinché questo progetto possa risultare veramente efficiente è necessario agire su due fronti: da un lato, considerato che l'eliminazione della povertà è l´obiettivo primo, nuovi fondi, in termini reali, devono essere stanziati per tale causa, senza che altri vengano sottratti a progetti precedentemente avviati; dall'altro ritengo fondamentale che sia profuso maggiore impegno da parte dell'Unione europea in questo progetto. Coordinazione e divisione dei compiti devono essere i principi guida per orientare la programmazione nell´ambito del nuovo strumento di sviluppo.

 
  
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  Mário David (PPE), per iscritto. (PT) Obiettivo della presente relazione è definire la posizione di massima del Parlamento rispetto al nuovo strumento di finanziamento per la cooperazione allo sviluppo dell'UE, sulla base del precedente regolamento. Ritengo che il coinvolgimento del Parlamento nelle fasi iniziali del processo di ridefinizione di questo strumento sarà molto importante per quest’ultimo, motivo per cui appoggio l’iniziativa. Credo che i valori che caratterizzano l’azione del Parlamento europeo, non da ultima la promozione della democrazia e la tutela dei diritti umani, possano contribuire positivamente alla creazione di uno strumento più compatto, efficace e di ampia portata. A mio avviso, il modo in cui la relazione analizza la questione è piuttosto interessante: propone nuovi approcci che dovranno essere discussi nei mesi a venire, in particolare per quanto concerne la necessità di differenziare maggiormente gli aiuti ai paesi in via di sviluppo, suddividendo questi ultimi in gruppi. Dimostra altresì la necessità di un lavoro retrospettivo di analisi affidabile e coerente in quest’area, proponendo un nuovo approccio agli aiuti allo sviluppo, basato su una maggiore differenziazione, sul coinvolgimento della società civile e su rigorosi criteri di ammissibilità.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Ora che lo strumento di finanziamento per la cooperazione allo sviluppo (DCI) è in vigore ormai da quattro anni, è giunto il momento di valutarne il funzionamento con l’obiettivo di migliorare gli strumenti di finanziamento futuri per quest’area.

È evidente la necessità che il Parlamento mantenga un controllo democratico di questo strumento e di quelli futuri; è ancora più evidente quanto stia diventando importante per i parlamenti nazionali dei paesi in via di sviluppo essere coinvolti nell'elaborazione dei documenti strategici nazionali legati agli aiuti ricevuti da parte dell’Unione europea.

Auspico che i livelli di aiuti non diminuiscano, ma che aumentino ove possibile e che si studino i metodi in cui essi possano apportare un diretto beneficio alle popolazioni più svantaggiate. Attraverso questo processo, il ruolo cruciale che si dovrebbe attribuire alla società civile nei paesi in via di sviluppo non viene mai sottolineato abbastanza. Le situazioni vigenti in questi paesi non andrebbero affrontate tutte nello stesso modo bensì in maniera più differenziata, tenendo presente che gli aiuti finanziari tradizionali possono diventare meno rilevanti in molti casi, come ad esempio nel caso dei cosiddetti paesi emergenti.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) La presente relazione, elaborata dall’onorevole Mitchell, concerne il regolamento (CE) n. 1905/2006 che istituisce uno strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo: esperienza acquisita e prospettive future. Il regolamento (CE) n. 1905/2006 è in vigore da quattro anni ed è giunto il momento di analizzarlo e di apprendere dai potenziali errori e/o dalle possibili lacune esistenti, poiché la Commissione intende presentare prima dell’estate delle proposte relative al quadro finanziario pluriennale (QFP) per il periodo successivo al 2013. Appoggio le proposte del relatore, fra cui si annoverano, nello specifico: il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM), l’eliminazione della povertà, lo stanziamento del 20 per cento delle risorse per l’istruzione di base e la sanità, una particolare attenzione rivolta alle questioni climatiche, un nuovo approccio agli aiuti nei paesi in via di sviluppo che richieda il rispetto dei diritti umani e un impiego più efficace ed efficiente delle risorse scarse. Per questo ho espresso un voto favorevole.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La relazione valuta lo strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo (DCI) a quattro anni dall’entrata in vigore del regolamento che ne ha determinato l’attuazione. La valutazione che è stata realizzata è pertinente da vari punti di vista. Sono stati analizzati in modo critico e opportuno il DCI e la politica di cooperazione allo sviluppo dell’UE, elementi che consideriamo giusti e necessari.

La relazione afferma che lo scopo della politica di sviluppo non dovrebbe essere quello di difendere gli interessi dell’UE, ma piuttosto, quelli delle popolazioni più vulnerabili del pianeta; si concentra sull’attenzione eccessiva riservata agli investimenti che deve realizzare il settore privato, nonché sulle limitazioni imposte a quello pubblico; mette in guardia sulla necessità che i fondi non vengano sottratti a settori già sotto-finanziati, portando come esempio il sostegno alle autorità locali; critica qualunque tentativo di ridurre il finanziamento del DCI e del Fondo europeo di sviluppo; ribadisce che non si sono registrati progressi sufficienti nell’ambito degli obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM) e che è necessario aumentare l’aiuto pubblico allo sviluppo (APS).

Ciononostante, riteniamo che la relazione avrebbe potuto e dovuto andare oltre in ciascuno di questi punti, soprattutto nel promuovere la coerenza fra gli obiettivi prefissati nell’ambito della politica di cooperazione allo sviluppo e le varie politiche settoriali dell’UE.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La relazione valuta lo strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo (DCI) a quattro anni dall’entrata in vigore del regolamento che ne ha determinato l’attuazione.

La valutazione che è stata realizzata è pertinente da vari punti di vista. Sono stati analizzati in modo critico e opportuno il DCI e la politica di cooperazione allo sviluppo dell’UE, elementi che consideriamo giusti e necessari.

La relazione afferma, ad esempio, che lo scopo della politica di sviluppo non dovrebbe essere quello di difendere gli interessi dell’UE, ma piuttosto, quelli delle popolazioni più vulnerabili del pianeta; si concentra sull’attenzione eccessiva riservata agli investimenti che deve realizzare il settore privato nonché sulle limitazioni imposte a quello pubblico; mette in guardia sulla necessità che i fondi non vengano sottratti a settori già sotto-finanziati, portando come esempio il sostegno alle autorità locali. Critica, inoltre, qualunque tentativo di ridurre il finanziamento del DCI e del Fondo europeo di sviluppo; ribadisce che non si sono registrati progressi sufficienti nell’ambito degli obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM) e che è necessario aumentare l’aiuto pubblico allo sviluppo (APS).

Ciononostante, riteniamo che la relazione avrebbe potuto e dovuto andare oltre in ciascuno di questi punti, soprattutto nel promuovere la coerenza fra gli obiettivi prefissati nell’ambito della politica di cooperazione allo sviluppo e le varie politiche settoriali dell’UE.

 
  
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  Monika Flašíková Beňová (S&D), per iscritto. (SK) La relazione esamina l’efficacia dello strumento di cooperazione allo sviluppo (DCI) in relazione alla discussione sul quadro finanziario pluriennale. Appare opportuno riconsiderare la struttura complessiva degli strumenti di finanziamento esterni. Fra gli aspetti importanti che andrebbero considerati si annoverano: una possibile ulteriore semplificazione, un adattamento alle nuove sfide come il cambiamento climatico e un ruolo appropriato per la dimensione esterna delle politiche interne dell'UE. A mio avviso, è altrettanto importante mettere a punto le procedure e le strutture a tutela dello sviluppo come settore strategico autonomo, caratterizzato da obiettivi specifici..

 
  
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  Pat the Cope Gallagher (ALDE), per iscritto. (GA) Accolgo con favore la relazione Mitchell. Obiettivo della presente relazione è definire la posizione del Parlamento europeo rispetto al futuro strumento di finanziamento per la cooperazione allo sviluppo prima della publicazione del quadro finanziario pluriennale post 2013. In futuro, dovranno sempre essere disponibili fondi sufficienti per la cooperazione allo sviluppo dell’UE.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. (FR) La politica di aiuto allo sviluppo non è né un obbligo altruistico né un modo con il quale le ex potenze coloniali possono liberarsi la coscienza, nelle zone colonizzate. Per sua stessa natura, è una branca della politica estera; dovrebbe, tuttavia, svolgere anche un ruolo importante nel quadro di una strategia volta a invertire i flussi migratori che consenta alle popolazioni di rimanere o di tornare nel proprio paese d’origine e continuare a vivere con dignità e di incrementare il livello di prosperità. Poiché questi due settori rientrano nella sfera della sovranità degli Stati, la maggior parte dei requisiti istituzionali e finanziari della relazione Mitchell è inaccettabile.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Ho accolto con favore la presente relazione perché il 2011 rappresenta un momento strategico per fare tesoro dell'esperienza acquisita durante i quattro anni di applicazione del regolamento (CE) n. 1905/2006 che istituisce uno strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo (DCI). Obiettivo della presente relazione è definire fin dal principio la posizione del Parlamento rispetto al nuovo strumento di finanziamento per la cooperazione allo sviluppo dell'UE, sulla base dell'esperienza acquisita nell'ambito dei controlli sull'attuazione del DCI. Credo anch’io che sia necessario un approccio differenziato ai diversi gruppi di paesi in via di sviluppo e che l'aiuto finanziario tradizionale potrebbe diventare meno rilevante per i paesi emergenti. Ritengo che l'aiuto ai paesi emergenti, dato che promuove la crescita economica sostenibile, dovrebbe concentrarsi sul rafforzamento della politica fiscale dei paesi partner e favorire la mobilitazione del gettito interno in modo mirato a ridurre la povertà e la dipendenza dall'aiuto. Dobbiamo astenerci dall'utilizzare il sostegno di bilancio in paesi in cui non è possibile garantire la trasparenza delle spese pubbliche. Il sostegno di bilancio deve sempre essere accompagnato da azioni del paese destinatario volte a sviluppare il controllo parlamentare e la capacità di revisione contabile nonché ad aumentare la trasparenza e l'accesso del pubblico alle informazioni; la società civile dovrebbe altresì partecipare a un monitoraggio del sostegno di bilancio.

 
  
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  Jan Kozłowski (PPE), per iscritto.(PL) Credo che la relazione Mitchell, documento davvero ben fatto, affronti molte questioni chiave, motivo per cui ho deciso di esprimere un voto favorevole. Credo che ciò che conta di più al momento di considerare la struttura futura degli strumenti di finanziamento dello sviluppo sia ricordare che l’obiettivo principe della politica di sviluppo dovrebbe essere quello di diminuire gradualmente la dipendenza dagli aiuti, affinché il paese in questione possa, in ultima istanza, raggiungere la totale indipendenza. A questo proposito, gli strumenti di finanziamento andrebbero progettati in modo tale da garantire una crescita economica a lungo termine nei paesi in via di sviluppo.

Il raggiungimento di questo obiettivo è strettamente legato alla prevedibilità degli aiuti allo sviluppo, poiché è solo sulla base di suddetti aiuti – nonché della contemporanea mobilitazione del gettito interno – che i paesi partner possono elaborare una strategia di sviluppo appropriata ed efficace. A mio avviso, un’altra questione fondamentale è l’aumento del controllo e dell’influenza del Parlamento europeo sul Fondo europeo di sviluppo. Ritengo che la mancanza di controllo democratico sul suddetto si ripercuota negativamente sulla trasparenza della politica di sviluppo.

 
  
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  Krzysztof Lisek (PPE), per iscritto.(PL) Ho votato a favore dell’adozione di questa relazione. I finanziamenti per la cooperazione allo sviluppo richiedono regolamenti ben congegnati e la relazione offre una sintesi di quali dovrebbero essere le nostre priorità al momento di adottarli. Gli obiettivi dell’Unione europea nel quadro della definizione di questo strumento consistono all’UE di garantire un’assistenza speciale ai paesi in via di sviluppo. Considerando la lotta attuale alla crisi finanziaria, i problemi dei paesi più poveri stanno diventando ancora più evidenti. Lo strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo mira ad aiutare i paesi partner più poveri nei settori del commercio e dell’integrazione regionale, dell’ambiente naturale e della gestione delle risorse naturali, delle infrastrutture, delle risorse idriche e dell’energia, dell’agricoltura e della sicurezza alimentare, dello sviluppo umano e della coesione sociale. Intendiamo altresì sostenere lo sviluppo delle amministrazioni, la democrazia, i diritti umani, le riforme economiche e istituzionali, nonché impedire i conflitti e l’indebolimento dello Stato.

Tutti gli obiettivi summenzionati rivestono un’importanza capitale in termini di rafforzamento della sicurezza nelle regioni più povere. Aiutare altri paesi a costruire società democratiche stabili in paesi disciplinati dallo stato di diritto, dove i diritti umani vengono rispettati e la libertà di parola garantita, con un sistema giudiziario, una difesa territoriale e forze armate solidi, è un progetto encomiabile. Auspico che riusciremo ad attuarlo su una scala più ampia, sfruttando i fondi in maniera ancora più efficiente.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. – Il futuro strumento per la fornitura degli aiuti allo sviluppo dell'Unione europea deve essere adeguatamente sostenuto in termini finanziari. L'Unione europea si è impegnata per l'obiettivo collettivo di spesa dello 0,7 per cento del PIL a favore dell'APS entro il 2015. Per raggiungere tale traguardo, l'attuale livello degli aiuti europei dovrà crescere in misura significativa. Dato il valore aggiunto degli aiuti della Commissione e alla luce del nuovo ruolo svolto dalla stessa nel coordinamento delle politiche di sviluppo dell'Unione e degli Stati membri (articolo 210 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea), la quota di aiuto pubblico allo sviluppo a titolo del bilancio dell'UE dovrebbe rimanere quantomeno stabile. Gli importi destinati annualmente al nuovo strumento di cooperazione allo sviluppo nel prossimo QFP dovrebbe aumentare significativamente in termini reali.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) A quattro anni dall’entrata in vigore dello strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo (DCI), è giunto il momento di valutare come è stato utilizzato. È l’unico modo per migliorarlo e renderlo più efficace in futuro. È importante che il Parlamento abbia un’opinione in merito ai controlli su questo e sugli strumenti finanziari futuri. Nonostante la crisi economica che stiamo vivendo, è fondamentale mantenere questi strumenti di aiuto ai paesi in via di sviluppo affinché riescano, in un prossimo futuro, ad accrescere i propri livelli di ricchezza, migliorando, di conseguenza, le condizioni di vita delle popolazioni dei cosiddetti paesi emergenti.

 
  
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  Louis Michel (ALDE), per iscritto. (FR) Il futuro strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo dovrà disporre di risorse finanziarie adeguate al termine previsto per gli obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM). I paesi donatori dovrebbero rispettare l’impegno di destinare lo 0,7 per cento del proprio PIL a favore dell'aiuto pubblico allo sviluppo (APS) entro il 2015. Come ho già detto, nulla giustifica una riduzione degli aiuti. Attualmente l’aiuto pubblico allo sviluppo ammonta a più di 120 miliardi di dollari. Possiamo fare di più e fare meglio ma ciò non significa soltanto aumentare le risorse. L’inserimento del Fondo europeo di sviluppo (FES) nel bilancio dell’UE costituirebbe un notevole passo avanti, purché ciò non determini una riduzione dei livelli di finanziamento totali a livello comunitario. Sono altresì favorevole a un sostegno di bilancio maggiore – di carattere generale o specifico per singolo settore – e a un numero minore di progetti, ogni qualvolta i criteri macroeconomici e di governance lo consentano. In primo luogo, ciò renderebbe possibile mobilitare rapidamente le risorse finanziarie per ricostruire o consolidare lo Stato. In secondo luogo, si tratta dell’unica forma di aiuto che sappiamo con certezza che verrà assorbita in maniera ottimale. In ultima istanza dobbiamo, a mio avviso, garantire che questo aiuto sia più efficace.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (EN) I principi dell’UE in base ai quali prestare assistenza ai paesi in via di sviluppo che non sono coperti dall'accordo di Cotonou o dallo strumento europeo di vicinato e partenariato sono molto importanti. Nell’ambito di questo strumento finanziario, è possibile prestare aiuti finanziari ai paesi ACP (gruppo dei paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico) nel rinnovo della produzione dello zucchero e il sostegno finanziario è previsto per cinque programmi: sicurezza alimentare; ambiente e sviluppo sostenibile delle risorse naturali, ivi inclusa l’energia; immigrazione e concessione di asilo; ruolo delle autorità locali e delle organizzazioni non governative nei processi di sviluppo. Ho espresso un voto favorevole.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Promuovere la prosperità nei cosiddetti paesi in via di sviluppo è una misura necessaria, soprattutto per evitare che l’Europa venga invasa da un’ondata migratoria. Al momento gestiamo la situazione attraverso una serie di programmi. L’obiettivo della presente relazione, tuttavia, è aumentare gli aiuti finanziari. È una proposta che non posso appoggiare. Considerando le attuali difficoltà finanziarie in seno all’UE, non siamo in grado di fornire questo genere di aiuti al momento. Inoltre spetta agli Stati membri e non all’Unione europea stabilire come utilizzare gli aiuti allo sviluppo.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. (DE) L’idea di porgere la mano e aiutare i paesi in via di sviluppo offrendo loro anche un sostegno finanziario va decisamente accolta con favore. I principi umanitari e il desiderio di un equilibrio a livello globale costituiscono una base ragionevole per questo. L’Unione europea fornisce già aiuti nell’ambito di una serie di programmi. Ciononostante, la presente relazione prevede di istituire più strumenti, estendendo così gli aiuti allo sviluppo. In ottemperanza al principio di sussidiarietà, tuttavia, il pagamento degli aiuti dovrebbe essere una questione di competenza dei singoli Stati.

 
  
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  Rolandas Paksas (EFD), per iscritto. (LT) La cooperazione allo sviluppo è l’unica politica di azione esterna che difende i gruppi più emarginati e più vulnerabili della società. La Commissione deve impegnarsi al massimo per garantire lo stanziamento di aiuti sufficienti e appropriati a favore dello sviluppo del settore privato nazionale e delle piccole e medie imprese nei paesi a basso reddito. Va prestata particolare attenzione alla migrazione. È importante garantire che i fondi stanziati per la lotta all’immigrazione clandestina vengano impiegati per lo scopo a cui sono stati specificamente destinati. Andrebbe altresì considerato il fatto che, al momento di istituire un nuovo strumento di finanziamento solo per i paesi in via di sviluppo, si deve realizzare un’analisi completa degli obiettivi generali, delle aree prioritarie e dei risultati previsti, oltre che dello stanziamento dei fondi.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Il 2011 rappresenta un momento strategico per fare tesoro dell'esperienza acquisita durante i quattro anni di applicazione del regolamento (CE) n. 1905/2006 che istituisce uno strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo (DCI). La Commissione ha annunciato che presenterà le proprie proposte per il quadro finanziario pluriennale (QFP) post 2013 prima della pausa estiva e le proposte legislative sugli strumenti per il finanziamento dell'azione esterna entro la fine dell'anno. Obiettivo della presente relazione – che appoggio con un voto favorevole – è definire fin dal principio la posizione del Parlamento rispetto al nuovo strumento di finanziamento per la cooperazione allo sviluppo dell'UE, sulla base dell'esperienza acquisita nell'ambito dei controlli sull'attuazione del DCI negli ultimi quattro anni. Desidero sottolineare la necessità di promuovere le seguenti macro-aree: finanziamenti adeguati in base alle risorse disponibili; effetto dell’eliminazione della povertà e criteri dell’aiuto pubblico allo sviluppo (APS); programmi geografici e tematici; procedure per la programmazione degli aiuti dell’UE, con un coordinamento e una divisione dei compiti migliori; colmare le lacune democratiche, con la partecipazione del Parlamento al processo decisionale.

 
  
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  Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − Il regolamento (CE) n. 1905/2006 che istituisce uno strumento finanziario per la cooperazione allo sviluppo (DCI) è ormai in azione già da quattro anni. La Commissione a breve presenterà le sue proposte per il quadro finanziario pluriennale post-2013 (QFP) e le proposte legislative per gli strumenti di finanziamento per l'azione esterna nel corso di quest'anno. La relazione ha lo scopo di stabilire in una fase precoce la posizione del Parlamento nei confronti di un nuovo strumento finanziario.

La relazione presenta le lezioni apprese concentrandosi sull'esperienza del PE con l'esercizio del controllo democratico sul DCI, una parte della relazione è dedicata alle prospettive per il futuro e infine vengono affrontati i programmi geografici e tematici sottolineando la necessità di rigorosi criteri di ammissibilità al sostegno di bilancio, con particolare attenzione l'importante ruolo che la società civile riveste per lo sviluppo e l'applicazione degli atti delegati per le decisioni che soddisfano i criteri di cui all'articolo 290 del TFUE. Affinché il PE abbia la possibilità di esercitare il controllo sulla programmazione strategica su un piano di parità con il Consiglio il mio voto a questa proposta è favorevole.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) Poiché sono già trascorsi quattro anni dall’entrata in vigore del regolamento (EC) n. 1905/2006 e la Commissione ha già annunciato che presenterà le proprie proposte per il quadro finanziario pluriennale (QFP) post 2013, è necessaria una breve analisi dei risultati raggiunti da allora e dei futuri mezzi di sviluppo.

L’aspetto più importante da sottolineare è che questa è “l'unica politica di azione esterna […] che non è stata elaborata per servire gli interessi dell'UE, bensì per difendere gli interessi delle popolazioni più emarginate e vulnerabili del pianeta”. Il Parlamento europeo, in quanto tale, dovrebbe assumere un ruolo di maggior rilievo, non soltanto per via dei vari modi in cui ciò conferisce legittimità democratica, ma anche per quello che può offrire in termini materiali e procedurali. Si dovrebbe evidenziare, inoltre, che l’obiettivo dovrebbe essere eliminare la povertà, con riferimento al concetto di “servizi sociali di base”, per cercare di attenuare la situazione di estrema vulnerabilità delle popolazioni più svantaggiate.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Favorevole. Il 2011 rappresenta un momento strategico per fare tesoro dell'esperienza acquisita durante i quattro anni di applicazione del regolamento (CE) n. 1905/2006 che istituisce uno strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo (DCI). La Commissione ha annunciato che presenterà le proprie proposte per il quadro finanziario pluriennale (QFP) post 2013 prima della pausa estiva e le proposte legislative sugli strumenti per il finanziamento dell'azione esterna entro la fine dell'anno. Obiettivo della presente relazione è definire fin dal principio la posizione del Parlamento rispetto al nuovo strumento di finanziamento per la cooperazione allo sviluppo dell'UE, sulla base dell'esperienza acquisita nell'ambito dei controlli sull'attuazione del DCI.

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. − La relazione adottata oggi si pone l'obiettivo di definire la posizione del Parlamento europeo rispetto al nuovo strumento di finanziamento per la cooperazione allo sviluppo dell'Unione europea, sulla base dell'esperienza acquisita nell'ambito dei controlli sull'attuazione del DCI. Contrariamente al Parlamento, gli Stati membri non sembrano prestare particolare attenzione al controllo della conformità delle proposte con le norme applicabili al DCI.

Occorre pertanto chiarire che la cooperazione allo sviluppo è quella dimensione politica dell'azione esterna dell'Unione europea non concepita per soddisfare gli interessi europei, bensì per difendere gli interessi delle popolazioni più vulnerabili ed emarginate del pianeta, attraverso l'eliminazione della povertà e lo sviluppo umano, sociale ed economico sostenibile, in altri termini difendendo il diritto a una vita decorosa per tutti.

Il Parlamento riconosce chiaramente l'importanza che assumono queste attività e chiede pertanto uno strumento che consenta all'UE di finanziare tali interventi attraverso fonti diverse dal DCI.

 
  
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  Nikolaos Salavrakos (EFD), per iscritto. (EL) Ho votato a favore della relazione Mitchell perché definisce delle direttrici corrette ed essenziali per l’adozione e il funzionamento futuri dello strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo, facendo tesoro dell’esperienza relativa al modo in cui il suddetto strumento di cooperazione allo sviluppo è stato utilizzato finora. I fondi dell’UE per la cooperazione allo sviluppo costituiscono un meccanismo reale per combattere la povertà e promuovere la democratizzazione e lo sviluppo nei paesi in via di sviluppo. In nome del trattato di Lisbona, l’UE ha accresciuto i poteri di rappresentanza internazionale ed è chiamata a fronteggiare sfide quali il cambiamento climatico, la lotta alla povertà e la promozione dello stato di diritto e dei valori democratici nei paesi in via di sviluppo. Concordo con il relatore che devono essere rafforzati la responsabilità democratica dell’intera politica di sviluppo dell’UE e il ruolo attivo che il Parlamento deve svolgere nel processo di approvazione dei fondi per gli aiuti allo sviluppo, sulla base dell’articolo 290 del trattato di Lisbona.

 
  
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  Catherine Stihler (S&D), per iscritto. (EN) Appoggio la presente relazione, che ricorre alle prestazioni dello strumento, al controllo e alla promozione di un miglior uso dei fondi destinati allo sviluppo in futuro.

 
  
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  Michèle Striffler (PPE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della relazione Mitchell perché dobbiamo fare tesoro dell'esperienza acquisita durante i quattro anni di applicazione del regolamento (CE) n. 1905/2006 che istituisce uno strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo (DCI). In questa occasione vanno definiti in modo molto chiaro gli obiettivi e la portata degli aiuti allo sviluppo.

La migrazione è un settore che richiede la massima coerenza fra le politiche che promuovono lo sviluppo. Di conseguenza, gli aiuti allo sviluppo andrebbero utilizzati per finanziare progetti volti ad affrontare le cause più profonde delle migrazioni (lotta alla povertà) e non per aumentare i controlli alle frontiere o per combattere l’immigrazione clandestina.

 
  
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  Iva Zanicchi (PPE), per iscritto. − Ho espresso un voto favorevole al testo presentato dal collega on. Mitchell. Ritengo infatti che il Parlamento europeo, stando anche alle esperienze acquisite in seguito all'adozione dello strumento di cooperazione allo sviluppo nella prospettiva del nuovo strumento post 2013, debba avere la possibilità di difendere la specificità della politica di sviluppo dell'UE esercitando il controllo sulla programmazione strategica su un piano di parità con il Consiglio. È di particolare importanza, inoltre, che le decisioni sugli obiettivi generali, i settori prioritari e l'assegnazione dei fondi siano prese – in base all'articolo 290 del TFUE – mediante la procedura degli atti delegati.

 
  
  

Relazione Niebler (A7-0159/2011)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) Esprimo un voto favorevole alla presente relazione poiché gli emendamenti introdotti dal gruppo dell'Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo (S&D) sono stati inseriti nel testo di compromesso. Quest’ultimo affronta punti chiave quali gli orientamenti generali, i possibili miglioramenti a livello di Commissione e di Parlamento.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della relazione su come garantire valutazioni d'impatto indipendenti. Condivido l’opinione della relatrice secondo cui le valutazioni d’impatto (VI) rappresentano uno strumento fondamentale del processo legislativo di cui il legislatore europeo dovrebbe servirsi maggiormente in futuro. Esse mostrano infatti al legislatore quali potrebbero essere le conseguenze delle varie possibilità di intervento aiutandolo a decidere. Le valutazioni possono quindi offrire un contributo determinante in vista del miglioramento della legislazione. Tuttavia una valutazione d'impatto non può in alcun caso sostituirsi al discorso politico e al processo decisionale democraticamente legittimato del legislatore. Va sottolineato che essa contribuisce semplicemente alla preparazione tecnica del contenuto di una decisione politica. È fondamentale che le valutazioni d’impatto siano realizzate in maniera totalmente indipendente e trasparente e che le conseguenze sulle piccole e medie imprese siano tenute nella dovuta considerazione. Il Parlamento ha già la facoltà di elaborare le proprie valutazioni d'impatto e di sottoporre a un esame approfondito quelle della Commissione. Nella pratica, tuttavia, questa procedura è stata applicata solo di rado. Condivido la posizione definita nella risoluzione in base alla quale il Parlamento europeo dovrebbe usare maggiormente le competenze che gli sono state assegnate in questo campo.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Ritengo che le valutazioni d’impatto potrebbero essere d’aiuto a coloro che preparano le decisioni politiche. Per questo motivo ho appoggiato la relazione Niebler sui cambiamenti necessari da apportare alle valutazioni d’impatto, in modo particolare per quanto concerne l’introduzione di un meccanismo indipendente. I membri del comitato interno per la valutazione d’impatto (IAB) verrebbero controllati dal Parlamento europeo e dal Consiglio e non sarebbero più soggetti alle istruzioni del Presidente della Commissione.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Ho espresso un voto favorevole alla presente relazione. Le valutazioni d’impatto (VI) rappresentano uno strumento fondamentale del processo legislativo. Esse mostrano infatti al legislatore quali potrebbero essere le conseguenze delle varie possibilità di intervento aiutandolo a decidere. Si tratta di uno strumento di cui il legislatore dovrebbe servirsi maggiormente in futuro. Le valutazioni possono quindi offrire un contributo determinante in vista del miglioramento della legislazione. Credo anch’io che sia necessario associare esperti esterni di tutti i settori d'azione nonché tutti i soggetti interessati al processo di valutazione dell'impatto, al fine di garantire l'indipendenza e l'obiettività.

 
  
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  Regina Bastos (PPE), per iscritto. (PT) Le valutazioni d’impatto (VI) rappresentano uno strumento fondamentale del processo legislativo. Il rigore prevede la raccolta di fatti concreti per le decisioni politiche nonché la garanzia che tutte le opzioni strategiche del caso vengano esaminate al momento di risolvere un problema. Le valutazioni d’impatto dovrebbero venire applicate a tutte le proposte legislative, la metodologia impiegata dovrebbe essere chiara e dovrebbero essere realizzate in totale indipendenza e trasparenza. Le VI dovrebbero altresì valutare il costo dell’inazione e le ripercussioni specifiche sulle piccole e medie imprese.

Nonostante i progressi registrati in quest’area, esiste un ulteriore margine di miglioramento per le valutazioni d’impatto realizzate dalla Commissione e dal Parlamento. La relazione in oggetto, che ho appoggiato con un voto favorevole, chiede un maggiore coinvolgimento delle commissioni del Parlamento nonché la presentazione di ragioni dettagliate nei casi in cui la Commissione decida di rinunciare alla valutazione d'impatto. In ultima istanza, essa invita le commissioni del Parlamento a servirsi maggiormente delle valutazioni d’impatto al fine di migliorare la qualità dell’azione legislativa dello stesso.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − Ho espresso voto favorevole alla presente proposta di risoluzione su come garantire valutazioni d'impatto indipendenti. La proposta sottolinea in primo luogo la necessità di tenere conto, nelle valutazioni d'impatto, delle ripercussioni normative sulle piccole e medie imprese (PMI) e di ridurre l'onere normativo a carico delle stesse. Questa attenzione per le esigenze delle PMI è stata fondamentale nel determinare il voto positivo. In secondo luogo, la proposta mette in primo piano un ulteriore aspetto di grande rilevanza, ovvero la specificità delle realtà economiche nazionali. A tutela di queste ultime, si sollecita la Commissione a consultarsi sia con i singoli Stati membri sia con i funzionari e portavoce dei vari organismi di valutazione nazionali, al fine di garantire che le peculiari esigenze individuali non vengano subordinate alle prospettive comunitarie. Infine, la proposta auspica il rafforzamento della trasparenza e dell'efficienza dei processi amministrativi dell'Unione, esortando la Commissione a rendere conto del proprio operato di fronte al Parlamento. Tenendo conto dei punti fin qui esposti, il mio voto non può che essere favorevole.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della presente relazione perché ritengo fondamentale continuare a migliorare il processo legislativo dell’Unione europea e questa relazione avanza delle proposte concrete per farlo sia a livello di Parlamento che di Commissione. La Commissione già da tempo realizza valutazioni d’impatto della legislazione prima di presentare proposte legislative al Parlamento europeo e al Consiglio, ma la relazione sostiene che le suddette procedure di valutazione d’impatto vadano ulteriormente migliorate in modo considerevole. Ad esempio, dovremmo rafforzare l’indipendenza del comitato interno per la valutazione d'impatto, attualmente soggetto all'autorità del Presidente della Commissione. La relazione invita, altresì, lo stesso Parlamento europeo e le relative commissioni a realizzare valutazioni d’impatto dei progetti legislativi con maggiore frequenza e a esaminare più attentamente le valutazioni d’impatto realizzate dalla Commissione, che servono spesso più a giustificare una proposta legislativa che a consentire un esame obiettivo dei fatti. Le valutazioni d’impatto preliminari delle proposte legislative dell’Unione europea sono aumentate ulteriormente in seguito all’adozione del trattato di Lisbona, che ha inserito nuove disposizioni in materia di valutazione obbligatoria dell’impatto sociale e ambientale di qualsiasi legislazione proposta.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Una legislazione incisiva ed efficace non richiede soltanto un buon dibattito politico e uno sforzo congiunto che conduca alla cooperazione e al consenso, bensì una base tecnica affidabile che indirizzi gli organi legislativi attraverso la valutazione del contesto e delle conseguenze delle politiche in questione. Per questa ragione in modo particolare, accolgo favorevolmente le iniziative intraprese dalle istituzioni europee volte a garantire la qualità e l’affidabilità delle valutazioni d’impatto, con la conseguente garanzia di indipendenza e di trasparenza delle stesse.

 
  
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  Nessa Childers (S&D), per iscritto. (EN) Avendo già lavorato su questo settore a livello di commissione, mi sento in dovere di sottolineare che le valutazioni d’impatto non devono subire alcuna interferenza esterna e che la loro indipendenza deve essere salvaguardata a tutti i livelli.

 
  
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  Derek Roland Clark (EFD), per iscritto. (EN) Ho espresso un voto contrario alla relazione Niebler sulle valutazioni d’impatto. L’UKIP (il partito per l'Indipendenza del Regno Unito) appoggia il principio delle valutazioni d’impatto, a patto che esse siano totalmente indipendenti, che abbiano un potere reale (tale per cui la Commissione debba prenderne atto) e che siano condotte a livello nazionale, per evitare inutili soluzioni “universali” che non consentirebbero ai governi nazionali di valutare l’impatto sui loro paesi in maniera sufficientemente accurata. La relazione Niebler, purtroppo, non soddisfa questi criteri.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) Uno degli obiettivi della politica dell’Unione europea dovrebbe essere quello di creare un ambiente normativo trasparente, chiaro, efficace e di qualità elevata. Abbiamo più volte criticato l’incapacità di recepire e di attuare la legislazione comunitaria in vigore, conseguenza soprattutto del fatto che i testi legislativi non sono stati preparati in maniera adeguata. Spetta quindi agli organi legislativi europei affrontare il problema. Le valutazioni d’impatto (VI) offrono un’analisi sistematica delle probabili conseguenze della legislazione a livello sanitario, di diritti fondamentali, sociale, economico e ambientale, solo per citarne alcuni, contribuendo così a snellire la burocrazia e a garantire la coerenza della politica dell’Unione europea. Esprimo un voto favorevole a questa iniziativa, che riconosce il ruolo chiave delle valutazioni d’impatto nell’ambito del processo decisionale. Esse devono essere realizzate in maniera totalmente indipendente e trasparente, devono seguire una metodologia chiara e condurre a un’analisi solida e oggettiva delle possibili conseguenze, sempre accompagnata da una valutazione del rapporto fra costi e benefici. Questo ci aiuterà a prendere decisioni in maniera ponderata e pienamente consapevole, fatto che, a sua volta, dovrebbe determinare un miglioramento qualitativo della legislazione e una maggiore correttezza nel recepire, applicare e effettuare una supervisione della stessa, nonché velocizzare il processo legislativo.

 
  
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  Anne Delvaux (PPE), per iscritto.(FR) Le valutazioni d’impatto sono strumenti particolarmente utili per migliorare la qualità delle attività legislative (proposte politiche, per esempio). Queste valutazioni d’impatto devono essere, tuttavia, degli adattati: servono indubbiamente adattamenti nuovi, in particolar modo attraverso la creazione di un meccanismo indipendente, poiché le valutazioni d’impatto proposte dalla Commissione non sempre presentano un livello di qualità costante e servono spesso più a giustificare una proposta legislativa che a consentire un esame obiettivo dei fatti.

Apprezzo che la relazione messa ai voti oggi preveda che le valutazioni d’impatto debbano essere realizzate in maniera del tutto indipendente; che prendano in considerazione una gamma più ampia di criteri (socio-economici, ambientali, eccetera) e che venga altresì garantita la massima trasparenza, soprattutto nel momento in cui si coinvolgono degli esperti. Si tratta di una questione che ritroviamo spesso in quest’Aula, ma ciò non significa che sia poco importante!

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Le valutazioni d’impatto (VI) rappresentano uno strumento fondamentale del processo legislativo poiché prendono in esame le possibili conseguenze derivanti dall’applicazione di un dato strumento legislativo, favorendo così il raggiungimento di una decisione. L’indipendenza e la trasparenza sono valori che andrebbero salvaguardati in ogni democrazia, poiché garantiscono valutazioni pubbliche oggettive, decisioni proporzionali e una procedura giuridica. Per queste ragioni, nel complesso, condivido le proposte avanzate dal Parlamento in questa relazione.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) La presente relazione, redatta dall’onorevole Niebler, concerne il problema di garantire valutazioni d’impatto indipendenti. Le valutazioni d’impatto (VI) sono fondamentali per far sì che le decisioni che prendiamo siano quelle giuste. Senza sostituire il processo di definizione democratica dell’autorità legislativa, ne costituiscono comunque la spina dorsale.

Voto a favore della presente relazione perché condivido l’opinione della relatrice secondo cui le valutazioni d’impatto sono fondamentali affinché possiamo svolgere il nostro compito di legislatori. Meglio conosciamo un determinato settore, migliori saranno le decisioni che prenderemo in merito. Inoltre, nonostante la creazione del comitato interno per la valutazione d’impatto (IAB) – istituito dalla Commissione europea – e gli ottimi risultati già raggiunti, considero essenziale istituire una struttura autonoma di valutazione d'impatto per il Parlamento europeo.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Le valutazioni d’impatto (VI) possono essere di grande aiuto al processo legislativo. Per farlo, devono analizzare le conseguenze economiche, sociali, ambientali e di sanità pubblica delle scelte politiche in programma, nonché il loro impatto sui diritti fondamentali dei cittadini nel corso del ciclo politico. La valutazione andrebbe realizzata non soltanto ex ante, ma anche ex post.

L’attuale processo relativo alle valutazioni d’impatto, tuttavia, presenta numerose lacune, come riconosce la stessa relazione. Spesso cercano semplicemente di conferire una presunta legittimità tecnica o di giustificare delle misure che derivano da valutazioni e scelte politiche che fa più comodo tenere nascoste. Restano molti interrogativi in merito alla metodologia che andrebbe usata nei vari casi. Su chi o su che cosa verrà misurato l’impatto? Qual è la portata della valutazione? Quali sono le alternative da analizzare?

Anche queste decisioni normalmente dipendono da valutazioni e scelte di natura politica, motivo per cui è essenziale garantire che le valutazioni d’impatto siano indipendenti. Nella pratica, tuttavia, è difficile, a causa del gran numero di variabili e di interessi coinvolti. La trasparenza, l’apertura, la consultazione, nonché la partecipazione e il controllo dell’opinione pubblica sulle valutazioni d’impatto e i loro risultati rivestono un’importanza capitale nel garantire, per quanto possibile, l’indipendenza e la qualità delle valutazioni stesse.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Le valutazioni d’impatto (VI) possono essere di grande aiuto per migliorare il processo legislativo se le conseguenze economiche, sociali, ambientali e sanitarie di determinate scelte politiche in programma vengono esaminate nel corso dell’intero ciclo politico unitamente al loro impatto sui diritti fondamentali dei cittadini.

Per le problematiche che emergono dalle valutazioni d’impatto, tuttavia, esistono determinati criteri che adottiamo nel realizzare le stesse. Sappiamo che esistono dei criteri specifici che vanno oltre il mero rapporto fra costi e benefici; anche in questo caso, tuttavia, dobbiamo capire chi si accolla i costi e chi, invece, gode dei benefici.

Per questo motivo è fondamentale garantire che le valutazioni d’impatto siano indipendenti, compito tuttavia estremamente difficile nella pratica a causa del gran numero di variabili e di interessi coinvolti.

Alcuni specialisti e alcuni metodi impiegati per la realizzazione di determinate valutazioni saranno più indipendenti di altri. In realtà, tuttavia, le valutazioni d’impatto servono spesso più a giustificare delle decisioni che non ad affrontare effettivamente le implicazioni della legislazione che si intende adottare.

 
  
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  Monika Flašíková Beňová (S&D), per iscritto. (SK) Le valutazioni d'impatto rappresentano uno strumento fondamentale del processo legislativo che il legislatore europeo deve sfruttare appieno in futuro. Per quanto non possano in alcun caso sostituirsi al dibattito politico o al processo decisionale democraticamente legittimato del legislatore e sebbene contribuiscano semplicemente alla preparazione delle decisioni politiche, esse richiamano l’attenzione di quest’ultimo sugli effetti potenziali delle loro politiche dal punto di vista del contenuto specialistico e li aiutano a prendere le decisioni. In questo modo possiamo contribuire in maniera significativa al miglioramento della legislazione.

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (S&D), per iscritto.(PL) La relazione Niebler contribuisce notevolmente al dibattito sul miglioramento del processo legislativo dell’UE con l’obiettivo di assicurare che la nuova legislazione sia al servizio dei cittadini e che sia effettivamente necessaria. Purtroppo qualcuno ha insinuato che vengono creati dei regolamenti semplicemente per far conoscere meglio le istituzioni comunitarie o come risposta alle azioni dei lobbisti. Ciò significa che dobbiamo continuare a migliorare le procedure relative alla valutazione d’impatto dei singoli atti legislativi. Dal momento che negli ultimi anni sono stata relatrice nell’ambito della questione relativa al miglioramento della legislazione, desidero sottolineare i numerosi aspetti del problema. In prima istanza, andrebbe evidenziata la necessità di mantenere l’equilibrio istituzionale sancito dal trattato, nell’ambito del quale la Commissione europea avanza proposte legislative mentre il Parlamento e il Consiglio le adottano.

L’indipendenza delle valutazioni d'impatto è estremamente importante, ma esse non vanno sottratte al controllo democratico del Parlamento. A mio avviso, la proposta di modificare le valutazioni d’impatto in seguito all’introduzione degli emendamenti presentati dal Parlamento è molto importante e condivido anche l’opinione di quanti ritengono necessario applicare criteri uniformi per le valutazioni d’impatto in tutte le istituzioni. Allo stesso tempo, desidero richiamare l’attenzione sul fatto che l’aspetto più delicato del processo legislativo è la volontà politica di risolvere un dato problema; una valutazione d’impatto preparata come parte di un determinato progetto può soltanto fornire informazioni oggettive.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. (FR) Ho già avuto modo di ribadire a quest’Assemblea che è ormai giunto il momento che le valutazioni d’impatto non siano soltanto sistematiche, ma – aspetto in assoluto più importante – anche credibili. Dovremmo valutare in modo oggettivo le conseguenze di un determinato atto legislativo prima di svilupparlo ulteriormente invece di cercare di giustificarlo a ogni costo. Non spetta ai servizi, ai giudici, ai partiti, agli aguzzini della Commissione presiedere questa valutazione. Non so se le soluzioni proposte dalla relatrice siano quelle giuste. So per certo, tuttavia, che condivido la sua analisi e ritengo alcune delle sue osservazioni particolarmente pertinenti. Gli Stati membri devono, di conseguenza, essere coinvolti attivamente nelle suddette valutazioni poiché sono in una posizione migliore per poter valutare l’impatto a livello nazionale delle iniziative provenienti da Bruxelles. Queste valutazioni devono guidare le scelte e la riflessione dei parlamenti nazionali che, d’ora in poi, saranno i custodi del rispetto del principio di sussidiarietà. Le valutazioni dovrebbero portare la Commissione ad astenersi dall’intervenire qualora le sue azioni risultassero inutili, ridondanti e costose. In ultima istanza, dovremmo riuscire a individuare rapidamente le conseguenze di un determinato atto legislativo che, se attuato, porterebbe più problemi che soluzioni. Per tutte queste ragioni, sebbene nutra dei dubbi in merito alla sua realizzazione, ho votato a favore della relazione Niebler.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Ho accolto favorevolmente la presente relazione perché le valutazioni d'impatto rappresentano uno strumento fondamentale del processo legislativo di cui il legislatore europeo dovrebbe servirsi maggiormente in futuro. I vantaggi offerti dalle valutazioni d'impatto sono evidenti. Esse mostrano infatti al legislatore quali potrebbero essere le conseguenze delle varie possibilità di intervento aiutandolo a decidere. Le valutazioni possono quindi offrire un contributo determinante in vista del miglioramento della legislazione. Tuttavia una valutazione d'impatto non può in alcun caso sostituirsi al discorso politico e al processo decisionale democraticamente legittimato del legislatore; essa contribuisce semplicemente alla preparazione del contenuto specifico di una decisione politica. Il progetto di relazione è suddiviso in quattro sezioni. Nella prima vengono presentati i requisiti generali per le valutazioni d'impatto a livello europeo. La seconda sezione è dedicata alle valutazioni d'impatto della Commissione e ne indica i possibili miglioramenti. La terza si occupa delle valutazioni d'impatto realizzate dal Parlamento europeo. Nella quarta e ultima sezione si chiede l'istituzione di una struttura autonoma di valutazione d'impatto all'interno del Parlamento europeo, che possa essere utilizzata da tutte le commissioni al fine di migliorare ulteriormente il processo legislativo e creare sinergie.

 
  
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  Cătălin Sorin Ivan (S&D), per iscritto. (EN) Ho diversi motivi per appoggiare la presente risoluzione. Innanzitutto essa chiarisce che una valutazione d'impatto non può in alcun caso sostituirsi al discorso politico e al processo decisionale del legislatore, ma dovrebbe semplicemente contribuire alla preparazione tecnica delle decisioni politiche. Questo migliorerebbe senza dubbio il processo legislativo. In secondo luogo, le valutazioni d’impatto devono tenere conto di un'ampia gamma di criteri in modo da fornire al legislatore un quadro completo della situazione. Solo in questo modo il legislatore piò svolgere il proprio lavoro in modo efficiente.

 
  
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  Edvard Kožušník (ECR), per iscritto. (CS) Il processo di valutazione dell’impatto di un regolamento contribuisce in modo significativo alla diminuzione del fardello burocratico derivante dalla regolamentazione statutaria. Qualche tempo fa è stato istituito un comitato speciale per la valutazione d’impatto a livello di Commissione, responsabile della valutazione degli impatti sia ex ante che ex post. La Commissione realizza, inoltre, delle consultazioni pubbliche in merito alle proprie proposte legislative. Finora il Parlamento europeo non aveva mai avuto a disposizione un organo di valutazione d’impatto. Di conseguenza, apprezzo che la relazione chieda che vengano create le infrastrutture che consentano di valutare gli impatti delle proposte e dei piani formulati in Parlamento.

Chiedo altresì alla Commissione di concentrarsi maggiormente, al momento di realizzare le valutazioni d’impatto, sulla trasparenza dell’intero processo di valutazione, di adoperarsi di più per la sua indipendenza e di non cercare una soluzione unica a un dato problema, ma di valutare, nell’ambito delle sue proposte, più soluzioni possibili per una situazione specifica in maniera indipendente. Chiedo altresì che venga semplificato il processo relativo alle consultazioni pubbliche e che vengano prolungate le scadenze per la presentazione di proposte concrete, ivi inclusa la possibilità di presentare proposte in tutte le lingue ufficiali dell’Unione.

 
  
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  Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Egregio Presidente, onorevoli colleghi, ho sostenuto la relazione della collega Niebler sulla garanzia di valutazioni d'impatto indipendenti. Le valutazioni d’impatto rappresentano uno dei fondamenti della politica «Legiferare meglio», finalizzata al miglioramento e alla semplificazione della nuova legislazione e di quella già esistente. Esse, infatti, sono uno strumento adeguato per la valutazione degli effetti scaturenti dall'adozione di nuove leggi e dalla semplificazione e rifusione di leggi esistenti. Ritengo però che la loro riconosciuta utilità vada sempre attribuita sulla base del rispetto di alcuni principi imprescindibili, quali la trasparenza e l'imparzialità. Concordo, quindi, con la relatrice quando sottolinea che la Commissione ha in tempi recenti perfezionato le sue valutazioni d'impatto, ricordando però che altri miglioramenti permangono necessari. Plaudo, infine, alla scelta di creare una struttura autonoma per le valutazioni d'impatto al Parlamento europeo, attraverso cui aumentare la qualità della legislazione UE.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Ho espresso un voto favorevole alla presente relazione. Le valutazioni d'impatto rappresentano uno strumento fondamentale del processo legislativo di cui il legislatore europeo dovrebbe servirsi maggiormente in futuro. I vantaggi offerti dalle valutazioni d'impatto sono evidenti. Esse mostrano infatti al legislatore quali potrebbero essere le conseguenze delle varie possibilità di intervento aiutandolo a decidere. Le valutazioni possono quindi offrire un contributo determinante in vista del miglioramento della legislazione. Tuttavia una valutazione d'impatto non può in alcun caso sostituirsi al discorso politico e al processo decisionale democraticamente legittimato del legislatore; essa contribuisce semplicemente alla preparazione tecnica del contenuto di una decisione politica.

 
  
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  Jiří Maštálka (GUE/NGL), per iscritto. (CS) Lo strumento di valutazione d’impatto presentato dalla relatrice è un metodo eccellente per migliorare la qualità della legislazione a livello europeo. La valutazione reciproca, tuttavia, non dovrebbe considerare soltanto gli impatti finanziari, ma dovrebbe concentrarsi anche su altri aspetti, ad esempio quelli economici, ambientali e sociali. In qualità di medico desidero sottolineare, in modo particolare, l’impatto sulla salute. Non dobbiamo dimenticare nemmeno il ruolo fondamentale che svolgono gli Stati membri nell’ambito della valutazione d’impatto, dal momento che devono recepire la legislazione proposta all’interno dei propri sistemi giuridici.

 
  
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  Clemente Mastella (PPE), per iscritto. − Le valutazioni d'impatto rappresentano uno strumento fondamentale del processo legislativo, di cui il legislatore europeo dovrebbe servirsi maggiormente in futuro, in quanto utili a capire quali sarebbero le conseguenze delle varie possibilità di intervento. Non bisogna dimenticare che esse, però, contribuiscono semplicemente alla preparazione tecnica del contenuto di una decisione politica. Riteniamo che le valutazioni d'impatto utilizzate dalle Istituzioni europee debbano essere conformi a determinati principi. In primo luogo, esse dovrebbero essere realizzate in maniera totalmente indipendente e trasparente; dovrebbero essere applicate a tutte le categorie di proposte legislative, seguire una metodologia chiara, ed essere costantemente aggiornate sulla base degli sviluppi nell'ambito delle procedure legislative in corso. Sosteniamo, inoltre, che la Commissione europea dovrebbe informare in modo dettagliato il Parlamento Europeo nei casi in cui non ritenga fondamentale la valutazione degli effetti delle sue decisioni. Confermiamo, infine, l'importanza della creazione di una struttura autonoma che si occupi delle valutazioni d'impatto in seno al Parlamento, con l'obiettivo di accrescere ulteriormente la qualità del processo legislativo e di creare nuove sinergie.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) Accolgo con favore la presente relazione, che condanna la parzialità della Commissione europea. È un peccato che non denunci anche il fatto che la Commissione europea ha il potere esclusivo di iniziativa legislativa.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Le valutazioni d’impatto (VI) sono estremamente importanti per il processo legislativo e andrebbero incoraggiate in futuro. I vantaggi che offrono sono enormi: mettono in guardia i legislatori sulle conseguenze che potrebbero avere le loro opzioni a loro disposizione e aiutano a rendere il processo decisionale migliore e più consapevole. Di conseguenza contribuiscono in modo significativo a raggiungere una legislazione eccellente.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (EN) Ho analizzato la relazione con molta attenzione e ho riassunto i punti principali: (1) la portata dell’analisi (non solo un’analisi del rapporto costi-benefici, bensì un approccio integrato); (2) l’inclusione delle parti interessate appartenenti a tutti i settori di attività politica, lasciando che la metodologia adottata e il controllo della qualità finale continuino a essere di pertinenza delle istituzioni dell'Unione europea, aumentando la durata del periodo di consultazione da 8 a 12 settimane; (3) la revisione dell’approccio interistituzionale comune per le valutazioni d’impatto per incoraggiare tutte le istituzioni ad attuare una metodologia comune per le valutazioni d’impatto. Possibili miglioramenti a livello della Commissione: (1) maggior controllo da parte del Parlamento europeo e del Consiglio sul comitato interno per la valutazione d’impatto; (2) valutazioni sistematiche ex post della legislazione esistente e analisi della giurisprudenza pertinente della Corte di giustizia. Possibili miglioramenti a livello del Parlamento europeo: il fulcro consiste nella creazione di una struttura autonoma per le valutazioni d'impatto al Parlamento europeo gestita da un comitato di supervisione composto da deputati, possibilmente nominati all’inizio di ogni mandato, che faccia uso delle risorse esistenti, ma che si avvalga anche di esperti nazionali distaccati. Mi sono astenuto dalla votazione perché non mi sono chiari i criteri in base ai quali saranno nominati gli esperti del comitato consultivo né i poteri di cui disporranno. Non mi sento di appoggiare la relazione.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della presente relazione perché ritengo che le valutazioni d'impatto (VI) rappresentino uno strumento fondamentale del processo legislativo di cui il legislatore europeo dovrebbe servirsi maggiormente in futuro.

I vantaggi offerti dalle valutazioni d'impatto sono evidenti. Mostrano infatti al legislatore quali potrebbero essere le conseguenze delle varie possibilità di intervento aiutandolo a decidere. Le valutazioni possono quindi offrire un contributo determinante in vista del miglioramento della legislazione. Tuttavia una valutazione d'impatto non può in alcun caso sostituirsi al discorso politico e al processo decisionale democraticamente legittimato del legislatore; essa contribuisce semplicemente alla preparazione tecnica di una decisione politica.

La Commissione, soprattutto grazie all'istituzione del comitato interno per la valutazione d'impatto (IAB), ha migliorato la qualità delle proprie valutazioni d'impatto. Alla luce della relazione della Corte dei conti europea, tuttavia, credo che le valutazioni d’impatto della Commissione si possano migliorare. Penso anch’io che un maggior coinvolgimento delle commissioni del Parlamento europeo in questo lavoro potrebbe essere utile ai fini del miglioramento della qualità delle valutazioni d’impatto.

 
  
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  Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, le valutazioni d'impatto offrono un contributo tecnico determinante per il miglioramento della legislazione, in quanto mostrano al legislatore le varie conseguenze delle possibilità di intervento, rappresentando uno strumento fondamentale del processo legislativo europeo.

Il progetto in esame suddivide queste valutazioni in quattro sezioni, la prima ritiene che le valutazioni d'impatto utilizzate dalle istituzioni europee debbano essere conformi a determinati principi e debbano essere realizzate in maniera totalmente indipendente e trasparente, la seconda riguarda le valutazioni d'impatto della Commissione e indicandone i possibili miglioramenti, la terza riguarda le valutazioni d'impatto realizzate dal Parlamento europeo, invitando le sue commissioni ad utilizzare maggiormente questo strumento per poter accrescere la qualità del processo legislativo. Infine nella quarta viene richiesta la creazione nel Parlamento di una struttura autonoma di valutazione d'impatto che possa essere utilizzata da tutte le commissioni, cosicché si venga a creare una maggiore sinergia tra esse. Per quanto affermato prima, poiché le valutazioni d'impatto non potranno in alcun modo sostituirsi al discorso politico e al processo decisionale democraticamente legittimato, ma contribuiscono solo in modo sostanziale alla preparazione tecnica del contenuto di una decisione politica, esprimo il mio voto favorevole alla proposta.

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto. (EN) Le valutazioni d'impatto (VI) rappresentano uno strumento fondamentale del processo legislativo di cui il legislatore europeo dovrebbe servirsi maggiormente in futuro. I vantaggi offerti dalle valutazioni d'impatto sono evidenti. Mostrano infatti al legislatore quali potrebbero essere le conseguenze delle varie possibilità di intervento aiutandolo a decidere. Le valutazioni possono quindi offrire un contributo determinante in vista del miglioramento della legislazione. Tuttavia una valutazione d'impatto non può in alcun caso sostituirsi al discorso politico e al processo decisionale democraticamente legittimato del legislatore; essa contribuisce semplicemente alla preparazione tecnica del contenuto di una decisione politica. Le valutazioni d’impatto realizzate dalle istituzioni europee devono essere conformi a determinati principi. In primo luogo, esse devono essere realizzate in maniera totalmente indipendente e trasparente. Le valutazioni dovrebbero essere applicate a tutte le categorie di proposte legislative e seguire una metodologia chiara. Le possibilità di intervento esaminate dovrebbero includere anche l'astensione da qualsiasi provvedimento. Occorre tenere nella dovuta considerazione le conseguenze specifiche sulle piccole e medie imprese. Infine, le valutazioni d'impatto devono essere costantemente aggiornate sulla base degli sviluppi nell'ambito delle procedure legislative in corso. La richiesta fondamentale del Parlamento concerne la creazione di una struttura autonoma che si occupi delle valutazioni d'impatto in seno al Parlamento stesso, con l'obiettivo di accrescere ulteriormente la qualità del processo legislativo e di creare sinergie, considerando la prospettiva di un meccanismo comune a tutte le istituzioni dell'UE.

 
  
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  Phil Prendergast (S&D), per iscritto. (EN) Accolgo con favore la presente relazione perché ritengo che le valutazioni d’impatto rappresentino uno strumento fondamentale del processo legislativo. Il legislatore europeo dovrebbe servirsi maggiormente di questi strumenti poiché essi possono migliorare il processo legislativo, evidenziando quali potrebbero essere le conseguenze delle varie possibilità di intervento. Il legislatore non deve temere di dire le cose come stanno al momento di analizzare i possibili impatti. Le valutazioni d’impatto non devono soltanto illustrare le alternative possibili e fornire delle raccomandazioni ai legislatori. Devono altresì prevedere l'astensione da qualsiasi provvedimento qualora questa fosse la soluzione più opportuna. La legislazione europea ha un impatto molto forte sulla vita di coloro che vivono all’interno dei confini comunitari e noi dobbiamo sfruttare ogni occasione per garantire che questa legislazione sia il più possibile corretta ed equilibrata.

 
  
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  Fiorello Provera (EFD), per iscritto. − Troppo spesso la legislazione europea è complessa, di difficile comprensione ed applicazione. Ecco perché, nella preparazione delle normative europee le valutazioni d'impatto possono offrire un contributo determinante in vista del miglioramento della qualità della legislazione, soprattutto in termini di un riduzione dei tempi e dei costi del processo legislativo. Sostengo questo provvedimento perché tenendo meglio in considerazione le esigenze degli Stati membri sarà possibile capire quali potrebbero essere le conseguenze (sociali, ambientali, finanziarie, economiche) di un atto normativo. È necessario, inoltre, che le valutazioni d'impatto siano totalmente indipendenti e trasparenti e aver luogo nelle prime fasi dell'elaborazione legislativa.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) L’indipendenza delle valutazioni d’impatto (VI) deve essere garantita soprattutto per l’importanza che rivestono nel processo decisionale. Di conseguenza, se da un lato non possono sostituirsi a una decisione relativa all’adozione o meno di una determinata soluzione, dall’altro possono risultare decisive nella scelta di una soluzione politica specifica rispetto ad un’altra.

È quindi fondamentale adottare qualsiasi misura in grado di rafforzare le certezze relative all’indipendenza e alla trasparenza delle valutazioni d’impatto, poiché questo contribuirà a massimizzare il ruolo svolto da questo strumento quale aiuto al processo decisionale e garanzia della qualità e dell’adeguatezza delle attività svolte dalle istituzioni dell’UE.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Ci siamo astenuti dalla votazione. Inoltre, abbiamo presentato una risoluzione alternativa in cui abbiamo voluto chiarire il ruolo della valutazione d’impatto e degli esperti esterni nell’ambito del processo stesso di valutazione. La valutazione d’impatto può solo contribuire all’adozione di decisioni politiche, ma non deve in alcun caso sostituirsi ad esse nel quadro del processo decisionale democratico.

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. − Le valutazioni d'impatto rappresentano uno strumento fondamentale del processo legislativo. I vantaggi offerti sono evidenti, offrendo un contributo determinante in vista del miglioramento della legislazione. Ad ogni modo una valutazione d'impatto non può in alcun caso sostituirsi al processo decisionale democraticamente legittimato del legislatore. La relazione adottata oggi sottolinea come il Parlamento ritenga che le valutazioni d'impatto utilizzate dalle istituzioni europee debbano essere realizzate in maniera totalmente indipendente e trasparente, applicate a tutte le categorie di proposte legislative e redatte secondo una metodologia chiara. Il Parlamento chiede inoltre la creazione di una struttura autonoma che si occupi delle valutazioni d'impatto in seno al Parlamento, con l'obiettivo di accrescere ulteriormente la qualità del processo legislativo e di creare sinergie.

 
  
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  Catherine Stihler (S&D), per iscritto. (EN) Accolgo con favore gli emendamenti alla presente relazione presentati a livello di commissione dal gruppo dell'Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo (S&D) che evidenziano una maggiore trasparenza all’interno del processo legislativo e promuovono una maggiore facilità di partecipazione delle PMI e delle ONG attraverso la pubblicazione di tabelle di marcia e l’estensione del periodo di consultazione. Le valutazioni d’impatto sono essenziali per l’attività del Parlamento e dovrebbero rivestire un ruolo di maggior rilievo, motivo per cui ho appoggiato la presente relazione.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. (PT) Le valutazioni d’impatto (VI) realizzate in seno all’Unione europea vanno a vantaggio di tutti i cittadini europei, poiché contribuiscono al miglioramento della legislazione attraverso l’analisi indipendente delle misure potenziali e plausibili a livello europeo. La relatrice evidenzia la necessità di analizzare in modo più approfondito ed efficiente le conseguenze economiche, sociali, ambientali e sulla sanità pubblica delle scelte politiche dell’Unione. Le valutazioni d’impatto svolgono un ruolo chiave in tutto il ciclo di sviluppo di una politica e sono necessarie ai fini di una legislazione di alta qualità, oltre che per il corretto recepimento e per l’applicazione della stessa.

Appoggio, di conseguenza, i criteri che il Parlamento ha proposto di prendere in considerazione al momento di realizzare una valutazione d’impatto. A questo proposito, desidero sottolineare che le suddette valutazioni d’impatto devono essere realizzate il prima possibile, per ridurre al minimo i potenziali effetti negativi e per prendere in considerazione il maggior numero possibile di parti interessate a livello istituzionale, economico e della società civile.

Esse, tuttavia, non si dovrebbero realizzare solamente prima dell'adozione di un atto legislativo (ex ante) ma anche dopo l’adozione di quest’ultimo (ex post). Le valutazioni d’impatto devono essere indipendenti e si devono realizzare in modo trasparente e oggettivo. Dovrebbero corredare le proposte legislative e seguire un sistema e una metodologia comuni in seno al Parlamento europeo.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI), per iscritto. (DE) Le valutazioni d’impatto sono un prezioso strumento legislativo; contribuiscono alla preparazione tecnica delle decisioni politiche e, di conseguenza, anche al miglioramento della legislazione. La trasparenza, uno standard qualitativo uniforme e l’illustrazione dei vantaggi e degli svantaggi di un numero sufficiente di opzioni d’intervento sono fondamentali ai fini dell’affidabilità delle valutazioni d’impatto. Per questa ragione ho votato a favore della proposta alternativa presentata dal gruppo Verde/Alleanza libera europea.

 
  
  

Relazione Wallis (A7-0164/2011)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) Accolgo favorevolmente la relazione dell’onorevole Wallis, tuttavia credo che un eventuale sistema opzionale potrebbe essere vantaggioso per i consumatori e le piccole e medie imprese nel caso in cui la Commissione presentasse dati concreti indicanti la necessità di progredire ulteriormente, al fine di garantire la trasparenza della consultazione effettuata dalla Commissione.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della risoluzione sul Libro verde della Commissione relativo alle opzioni possibili in vista di un diritto europeo dei contratti per i consumatori e le imprese. Il diritto dei contratti determina e organizza le transazioni nell’ambito del mercato interno e le sue potenzialità sia nell'ostacolare sia nell'agevolare tali transazioni sono pertanto ovvie. Scegliere le giuste prospettive per il futuro nel settore del diritto dei contratti può offrire un contributo importante per migliorare il funzionamento del mercato interno e dispiegare le sue piene potenzialità per le imprese, in particolare le PMI, e i consumatori. I potenziali vantaggi del diritto europeo dei contratti per il mercato interno sono da diversi anni oggetto di discussione; il Parlamento si è infatti pronunciato per la prima volta sulla questione nel 1989 e con la risoluzione adottata oggi mira a rispondere al recente Libro verde della Commissione sul diritto europeo dei contratti e a definire le priorità del Parlamento in questo campo. Appoggio la tesi del relatore secondo la quale andrebbe privilegiata la scelta di mettere a punto uno strumento opzionale per il diritto europeo dei contratti mediante un regolamento. Tale opzione potrebbe essere completata da un pacchetto di strumenti per la Commissione e il legislatore da attuarsi mediante un accordo interistituzionale.

 
  
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  Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. (RO) Gli ostacoli più palesi con i quali si confrontano consumatori e PMI nel contesto del mercato unico europeo riguardano la complessità delle relazioni contrattuali, i termini e le condizioni squilibrate dei contratti, l'informazione carente e insufficiente, le procedure lunghe, le barriere linguistiche, i diversi sistemi di tassazione, l'affidabilità dei commercianti on-line, la composizione demografica della popolazione dei singoli Stati membri, i problemi attinenti alla riservatezza dei dati, al trattamento delle denunce, ai diritti di proprietà intellettuale. Il diritto europeo dei contratti stabilisce e regola le transazioni del mercato interno e mira a risolvere i problemi, causati da diverse ragioni, legati al mercato unico, incluse le differenze a livello di legislazione in materia di contratti

È perciò essenziale istituire un regime coerente in materia di diritto europeo dei contratti per realizzare a pieno il potenziale del mercato interno e contribuire così al raggiungimento degli obiettivi della strategia Europa 2020. Scegliere le giuste prospettive per il futuro nel settore del diritto dei contratti può offrire un contributo importante per migliorare il funzionamento del mercato interno e liberare completamente il suo potenziale per le imprese, in particolare le PMI, e i consumatori. Per queste ragioni ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Da anni si discute ampiamente dei potenziali vantaggi rappresentati dal diritto europeo dei contratti per il mercato unico. A questo proposito, occorre favorire l’introduzione di uno strumento opzionale mediante regolamento in modo che tale sistema parallelo non ostacoli i sistemi nazionali. Accolgo pertanto favorevolmente la posizione espressa dall’onorevole Wallis nella sua relazione.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Ho inteso appoggiare la relazione con un voto positivo. Sulla scia della crisi finanziaria globale, è di fondamentale importanza sfruttare le piene potenzialità del mercato interno e contribuire così al raggiungimento degli obiettivi chiave della strategia Europa 2020. Ad oggi, il mercato unico continua a essere frammentato a causa di molteplici fattori, tra i quali la mancata applicazione della legge vigente in materia. I consumatori non hanno fiducia nel commercio transfrontaliero e le imprese affrontano considerevoli difficoltà di carattere amministrativo e giuridico nel momento in cui decidono di espandere la propria attività negli altri Stati membri dell’UE. Le divergenze in materia di diritto contrattuale a livello nazionale generano costi di transazione aggiuntivi, incertezza giuridica per le imprese e mancanza di fiducia nel mercato interno da parte dei consumatori. È in parte per queste ragioni che i consumatori e le imprese con risorse limitate, in particolare le piccole e medie imprese (PMI), evitano le transazioni transfrontaliere, fattore che ostacola così la realizzazione di un mercato interno competitivo. Condivido l’invito all’azione e la proposta di misure a favore di un’armonizzazione delle pratiche di diritto contrattuale a livello dell’UE lanciato dall’onorevole Wallis nella sua relazione; ciò assicurerebbe infatti condizioni di parità ed equità ai partecipanti al mercato.

 
  
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  Regina Bastos (PPE), per iscritto.(PT) I contratti rappresentano la congiunzione fondamentale nelle relazioni tra imprese e consumatori. Il mercato unico dell’Unione europea si fonda su molteplici tipologie di contratto regolate da diverse legislazioni nazionali. Tali differenze in materia di diritto contrattuale scoraggiano le imprese, in particolare le PMI, dall'intraprendere scambi a livello transfrontaliero, impedendo loro la possibilità di accedere alle nuove opportunità e ai profitti offerti dal mercato interno. I consumatori risultano inoltre svantaggiati da un’offerta limitata, prezzi elevati e qualità inferiore generati dalla scarsa concorrenza transfrontaliera. Occorre notare che solo l’8per cento dei consumatori effettua acquisti on-line di prodotti provenienti da altri Stati membri. Ho pertanto votato a favore della relazione in quanto sostiene la necessità di uno strumento opzionale per il diritto dei contratti a livello europeo mediante regolamento.

Nel quadro di una legislazione comune in materia di diritto europeo dei contratti, i consumatori godranno di una migliore protezione e di una maggiore sicurezza a livello dei bonifici transfrontalieri, mentre le imprese, in particolare le PMI, potranno stipulare contratti in maniera più semplice e meno costosa.

 
  
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  Slavi Binev (NI), per iscritto. (BG) Ho votato a sfavore della relazione dell’onorevole Wallis in quanto lo strumento opzionale previsto, basato su un regolamento, segna fondamentalmente il primo passo verso l’armonizzazione del diritto contrattuale negli Stati membri. Alla luce delle diverse modalità che regolano le relazioni contrattuali negli Stati membri, considero tale armonizzazione, anche solo in misura limitata, inconcepibile al momento attuale. Ad esempio, l’effetto del diritto reale non è contemplato nel diritto tedesco. Oltre a ciò, l’armonizzazione del diritto contrattuale non eviterebbe le discrepanze in altri settori che influenzano il commercio transnazionale nell’ambito dell’UE. Non esiste infatti alcuna prova certa del fatto che siano proprio tali differenze giuridiche a impedire il completamento delle transazioni con le imprese e i consumatori stranieri. Ad oggi, i contratti con una controparte straniera sono stipulati sulla base del diritto privato internazionale e, a livello dell’Unione, sulla base del regolamento (CE) n. 593/2008; l’introduzione di uno strumento aggiuntivo creerebbe pertanto solo confusione. Per quanto riguarda le relazioni contrattuali prive di una controparte straniera, credo che ogni Stato membro debba continuare a applicare la legislazione nazionale, secondo la propria tradizione giuridica e le pratiche consolidate.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. Voto contro una relazione che, proponendo uno strumento giuridico opzionale in materia di diritto contrattuale, di fatto pone le basi per un futuro diritto civile europeo, al di sopra delle normative civili nazionali. Questo significherebbe la fine delle tradizioni giuridiche nazionali e delle normative che ogni Stato si è dato da sé in materie tanto sensibili come quelle civilistico-contrattualistiche. Ad ogni modo, inoltre, se l'obiettivo dell'introduzione di uno strumento opzionale è quello di facilitare gli interscambi commerciali tenendo in debito conto le esigenze dei consumatori e delle imprese, basti ricordare che le normative già esistenti a livello europeo possono già ora soddisfare le richieste dei vari soggetti interessati. L'obiettivo reale della relazione, dunque, pare essere quello più ambizioso della creazione di un codice civile europeo, che non può trovarmi d’accordo.

 
  
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  Vito Bonsignore (PPE), per iscritto. Mi congratulo per il lavoro svolto dalla relatrice cui ho dato un voto positivo. Questa relazione risponde alle esigenze dei consumatori e delle PMI che, a differenza di altri soggetti che rappresentano realtà economiche più grandi, trovano evidenti problemi ad accedere al mercato interno perché devono affrontare enormi costi. Come diretta conseguenza sia le PMI che i consumatori tendono a compiere le loro transazioni all'interno del mercato nazionale, spesso molto meno concorrenziale e non accedendo, quindi, al mercato transfrontaliero che spesso offre un prodotto con un costo fino al 10per cento in meno dell'offerta nazionale. Le differenze a livello di diritto dei contratti devono essere ovviate e la creazione di uno strumento opzionale per il diritto europeo dei contratti mediante regolamento, che non si andrebbe a sostituire ma, si affiancherebbe al diritto contrattuale dei singoli Stati, è un’ottima soluzione che permetterebbe alle parti la libera scelta dello strumento di diritto più confacente alle loro esigenze.

 
  
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  John Bufton (EFD), per iscritto. (EN) Ho votato contro l’introduzione di un diritto contrattuale dell’UE in quanto credo che Bruxelles non debba realizzare una nuova legislazione laddove ne esiste già una nazionale. La creazione di un diritto dei contratti europeo e la possibilità da parte delle imprese di poter scegliere tra la legislazione nazionale e quella europea confonderebbe il sistema e darebbe luogo a sovrapposizioni in termini legislativi che potrebbero sfociare in maggiori costi a livello dei tribunali. È probabile che il diritto contrattuale europeo favorisca una politica sociale e occupazionale dell’UE, quale la direttiva sull’orario di lavoro, che si è dimostrata estremamente impopolare, causando inoltre alcuni inconvenienti nel Regno Unito per una serie di industrie e servizi. È inoltre molto probabile che tale legislazione, che per il momento costituisce uno strumento opzionale (“opt-in”) a carattere volontario, possa successivamente diventare obbligatoria.

 
  
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  Alain Cadec (PPE), per iscritto. (FR) La relazione presentata dall’onorevole Wallis fissa obiettivi ambiziosi in merito alle possibili misure da adottare allo scopo di realizzare un diritto europeo dei contratti per consumatori e imprese. Le questioni in gioco sono di cruciale importanza in quanto riguardano il miglioramento del mercato interno grazie a un maggiore coinvolgimento delle imprese e dei consumatori. Da un lato, occorre liberarsi delle differenze a livello di diritto contrattuale al fine di eliminare gli ostacoli affrontati dalle imprese, dall’altro, è necessario garantire un alto livello di protezione ai consumatori europei.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) In considerazione del forte impatto del diritto dei contratti sulle operazioni finanziarie, e di conseguenza sul mercato interno, accolgo favorevolmente gli sforzi compiuti dalla Commissione e dal Parlamento europeo al fine di armonizzare i loro parametri nell’ambito dell’Unione europea e di adattarli al mercato unico. Il mio voto è quindi a favore della relazione presentata sulla questione in esame.

 
  
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  Nessa Childers (S&D), per iscritto. (EN) Molti fatti recenti hanno dimostrato l’importanza che riveste la fiducia dei consumatori e ciò deriva in parte dalle leggi nazionali che si occupano della tutela dei consumatori nell’ambito del mercato. Per questo motivo, è assolutamente necessario che tale questione venga affrontata a livello europeo.

 
  
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  Christine De Veyrac (PPE), per iscritto. (FR) La relazione Wallis è un passo importante ai fini dell’attuazione dell’Atto per il mercato unico e desidero esprimere la mia soddisfazione per la sua adozione. In un momento in cui le differenze nelle legislazioni nazionali limitano ancora fortemente le transazioni commerciali transfrontaliere, specialmente per le PMI, l’introduzione di un quadro europeo in materia di diritto dei contratti rappresenta un passo avanti concreto che occorre appoggiare. La regolamentazione dei contratti tra imprese e tra impresa e consumatore, così come l’adozione di uno strumento opzionale completato da un pacchetto di strumenti, potrebbe garantire una più efficace protezione dei consumatori in Europa.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto.(PT) Ritengo che la realizzazione di un diritto europeo dei contratti, che si discute da tempo in seno alle istituzioni, potrebbe portare a una serie di benefici per le imprese, i consumatori e il buon funzionamento del mercato interno. Per questo siamo attenti al potenziale legato alla creazione di un corpus giuridico comune costituito da standard e principi generali applicabili al diritto contrattuale, in termini di aumento delle transazioni commerciali transfrontaliere, regolamentazione del commercio elettronico e miglioramento dell’accesso ai prodotti da parte dei consumatori. In linea con la posizione del relatore, credo che la realizzazione di uno strumento opzionale per il diritto europeo dei contratti che affianchi la legislazione nazionale, senza sostituirla, rappresenti una scelta appropriata.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) La relazione dell’onorevole Wallis riguarda le opzioni possibili in vista di un diritto europeo dei contratti per i consumatori e le imprese. Un’opzione adeguata in termini di diritto contrattuale europeo potrebbe giovare al mercato interno, alle piccole e medie imprese e ai consumatori. Il Parlamento europeo si occupa della questione dal 1989, cosa che ha spinto la Commissione a presentare un piano d’azione nel 2003 e una proposta di direttiva sui diritti dei consumatori nel 2008; la Commissione ha inoltre elaborato due relazioni sullo stato di avanzamento dei lavori in questo settore e ha ora nuovamente proposto, in un Libro verde, una serie di misure alle quali la relazione dell’onorevole Wallis cerca di rispondere.

Considerando che le proposte presentate a seguito di dieci anni di studi contribuiranno a risolvere i punti deboli individuati e essenzialmente relativi ai contratti, e data la necessità di promuovere il mercato interno rimuovendone le barriere, intendo sostenere con voto positivo questa relazione la quale introduce uno strumento opzionale, eventualmente completato da un pacchetto di strumenti, al fine di risolvere il problema in materia di contratti.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto.(PT) Per mezzo di parole retoriche, la relazione tenta di presentarsi quale possibile soluzione in difesa dei consumatori e delle piccole e medie imprese (PMI), nascondendo, tuttavia, pericoli per entrambe le parti. La posizione del relatore è spiccatamente neoliberale e ciò si evince chiaramente dall’enfasi posta sull’abbattimento delle “barriere che ostacolano le potenziali operazioni transfrontaliere nel mercato interno” e dalla convinzione “che il progetto relativo al diritto europeo dei contratti, unitamente ad altre misure, possa rivelarsi utile ai fini della piena realizzazione del potenziale del mercato interno stesso”. Le liberalizzazioni e l’allargamento del mercato interno che hanno interessato l’Unione europea dimostrano che sono soprattutto le grandi imprese a trarne beneficio. Le attuali dinamiche rivelano che le proposte per l’armonizzazione dei contratti − in questa fase ancora opzionale − saranno attuate ponendo i medesimi interessi in primo piano.

Tali riserve sono confermate da alcune affermazioni contenute nella relazione, come quella in merito allo strumento opzionale che “deve offrire un livello di tutela dei consumatori molto elevato, al fine di fornire loro quella protezione di cui godrebbero ai sensi del diritto nazionale”. Ciò evidenzia inoltre che lo strumento proposto a livello europeo, ovvero il medesimo per tutti i contratti nell’Unione europea, è definito in termini alquanto generali.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Questa relazione chiaramente neoliberale ha a cuore gli interessi delle imprese, in particolare delle grandi imprese, poiché in un mercato interno totalmente liberalizzato sono soprattutto le parti più forti a ottenere i maggiori guadagni, a dispetto della propaganda sulla difesa delle piccole e medie imprese e dei consumatori. Si tratta quindi di un tentativo di indorare la pillola nascondendo agli elettori i reali pericoli. Per questo motivo, dichiariamo voto contrario alla relazione dell’onorevole Wallis.

La relazione sostiene inoltre uno strumento a livello dell’UE, seppur opzionale, uguale per tutti i contratti nell’Unione europea e definito in termini piuttosto vaghi.

Vengono di seguito riportate alcune affermazioni contenute nella relazione:

- “È favorevole ai provvedimenti volti ad abbattere le varie barriere che ostacolano le potenziali operazioni transfrontaliere nel mercato interno, e ritiene che il progetto relativo al diritto europeo dei contratti, unitamente ad altre misure, possa rivelarsi utile ai fini della piena realizzazione del potenziale del mercato interno stesso”;

- “Ritiene che lo strumento dovrebbe disciplinare sia i contratti tra imprese che i contratti tra imprese e consumatori; sottolinea che lo strumento opzionale deve offrire un livello di tutela dei consumatori molto elevato, al fine di fornire loro quella protezione di cui godrebbero ai sensi del diritto nazionale; auspica ulteriori spiegazioni quanto alle modalità per conseguire ciò.”

 
  
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  Monika Flašíková Beňová (S&D), per iscritto. (SK) Il diritto dei contratti determina e organizza le operazioni nel mercato unico. La scelta di giuste prospettive per il futuro nel settore del diritto dei contratti può contribuire in maniera decisiva a migliorare il funzionamento del mercato unico e a dispiegare le sue piene potenzialità per le imprese, in particolare le PMI, e per i consumatori. Senza dimenticare che qualsiasi iniziativa in materia di diritto contrattuale dovrà rispondere chiaramente alle esigenze e ai problemi reali di imprese e consumatori, ritengo che ogni ragionamento in questo settore debba fondarsi su prove concrete circa la situazione vigente nell’ambito del diritto dei contratti e sulle eventuali difficoltà incontrate da imprese e consumatori, specialmente nelle transazioni transfrontaliere. La partecipazione ampia e bilanciata dei soggetti interessati è altresì di cruciale importanza e sarà particolarmente decisiva durante la procedura legislativa, la cui inclusività e trasparenza dovranno essere garantite con tutti i mezzi a disposizione. Occorre una valutazione d'impatto variata, che sia in grado di esplorare un ampio ventaglio di opzioni possibili e sia incentrata sulle questioni pratiche essenziali per il funzionamento di uno strumento opzionale.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto.(FR) La proposta dell’onorevole Wallis rappresenta essenzialmente la creazione di un 28º sistema giuridico che in linea teorica dovrebbe affiancare le normative nazionali, ma che nella pratica le sostituirebbe. Parole quali “armonizzazione” e “standardizzazione” normativa sono ormai temute nel contesto politico europeo. Questo nuovo diritto europeo dei contratti dovrebbe eliminare gli ostacoli al commercio transfrontaliero causati dalle differenze tra i vari sistemi giuridici nazionali; tuttavia, niente di ciò che è contenuto nella relazione dell’onorevole Wallis dimostra l’esistenza oggettiva di tali ostacoli e quindi un reale problema a cui porre rimedio. Di conseguenza nulla, fuorchè la volontà di avviare un nuovo metodo per l’imposizione di una normativa sovranazionale, giustifica questa posizione. Si corre inoltre il rischio che tale normativa venga utilizzata per aggirare le disposizioni nazionali in materia di tutela, in particolar modo quelle concernenti i diritti dei consumatori. In ragione di ciò, ho espresso voto contrario alla relazione.

 
  
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  Juozas Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Mi sono astenuto dal voto poiché, in base alla relazione, la complessità delle relazioni contrattuali sembra essere uno degli ostacoli più palesi con cui si confrontano consumatori e PMI nel contesto del mercato unico europeo. Da qui la proposta di realizzare un diritto europeo dei contratti che comporterebbe vantaggi per i consumatori, contribuendo inoltre a garantire la crescita delle transazioni commerciali transfrontaliere. Secondo il relatore, tutte le parti − nelle transazioni tra imprese ('business to business', B2B) o tra imprese e consumatori ('business to consumer' B2C) − dovrebbero essere libere di poter scegliere lo strumento opzionale quale alternativa al diritto nazionale o internazionale (“opt-in”). È necessaria maggiore attenzione per garantire che lo strumento opzionale offra protezione ai consumatori e alle piccole imprese, vista la loro posizione di partner commerciali più deboli, e che sia evitata confusione al momento di scegliere la legge. Mi sono astenuto dal voto in quanto l’Unione europea ha di recente adottato il regolamento Roma I che disciplina il medesimo settore e difende i diritti dei consumatori; al contrario, la proposta in questione concerne essenzialmente la situazione britannica e causerebbe solamente confusione nonché un aumento di burocrazia.

 
  
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  Edvard Kožušník (ECR), per iscritto. (CS) Non appoggio la proposta sulla realizzazione di uno strumento giuridico completamente nuovo sotto forma di un diritto europeo dei contratti. L’introduzione di un simile strumento è il primo passo verso un codice civile paneuropeo che finirebbe poco a poco per sostituire il diritto contrattuale dei singoli Stati membri. Benché l’idea proposta si riferisca a un utilizzo volontario, si evince chiaramente che tale carattere opzionale rappresenta solo il preludio alla successiva applicazione obbligatoria nell’ambito delle relazioni contrattuali transfrontaliere. La creazione di un simile strumento comporterebbe l’introduzione di una modalità completamente nuova di normativa sovranazionale, al confine tra il diritto dell’Unione europea e il diritto privato e commerciale internazionale, senza tralasciare il fatto che il mandato per la realizzazione di un diritto europeo dei contratti per consumatori e imprese non trova sufficiente sostegno nel diritto primario dell’Unione europea. Non dovremmo pertanto discostarci da uno strumento standard il quale trova sufficiente sostegno giuridico nel diritto primario sotto forma di un’armonizzazione.

 
  
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  Agnès Le Brun (PPE), per iscritto.(FR) Nella realizzazione del mercato comune, non dovremmo limitarci solo all’eliminazione degli ostacoli evidenti tra gli Stati membri dell’Unione. Per poter beneficiare dei vantaggi di un effettivo mercato integrato, è altresì necessario affrontare le cause indirette che soffocano le aspirazioni transfrontaliere dei nostri concittadini. Oltre a una serie di difficoltà di carattere amministrativo, gli imprenditori europei devono scontrarsi troppo spesso con le norme contrattuali vigenti negli Stati membri che differiscono molto fra loro. Questi ostacoli sono difficili da sormontare in particolare per le PMI le quali, tuttavia, rappresentano lo strumento più efficace per stimolare la crescita. Per questo motivo la Commissione europea ha pubblicato un Libro verde sulla questione, avviando un’ampia consultazione pubblica. Ho inteso sostenere con voto positivo la presente risoluzione in quanto, grazie a un approccio basato sul buon senso, propone uno strumento coesistente con la legislazione nazionale allo scopo di incoraggiare il commercio transfrontaliero. Questo eventuale “contratto europeo” avrebbe carattere opzionale, verrebbe completato da un pacchetto di strumenti per definirne l’impiego e avrebbe il fine di favorire una maggiore protezione dei consumatori.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Ho espresso voto contrario alla relazione.

 
  
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  Clemente Mastella (PPE), per iscritto. – Le differenze esistenti a livello di diritto contrattuale europeo finiscono con lo scoraggiare le imprese dall'intraprendere scambi a livello transfrontaliero e impediscono loro di beneficiare delle opportunità e dei profitti offerti dal mercato interno. Di conseguenza anche i consumatori risultano svantaggiati dalla limitata offerta di prodotti, da prezzi più elevati e da una qualità inferiore per la scarsa concorrenza transfrontaliera. A questo proposito siamo dell'idea di introdurre alcune novità, quali: i contratti tra imprese e quelli tra imprese e consumatori disciplinati da uno strumento opzionale che amplierà le loro scelte; l'introduzione di un meccanismo di controllo e di riesame per garantire che lo strumento opzionale risponda alle esigenze del mercato e agli sviluppi sul piano giuridico ed economico. Obiettivi chiave dovranno essere la semplicità e l'utilizzo immediato; bisognerà dare priorità alle disposizioni relative alla vendita di beni, come pure ai contratti di servizio. Infine, l'introduzione di un sistema di marchio di fiducia garantirebbe una maggiore tutela degli stessi consumatori. Scegliere le giuste prospettive per il futuro nel settore del diritto dei contratti potrà offrire un contributo importante per migliorare il funzionamento del mercato interno stesso e delle sue piene potenzialità non solo per le imprese ma anche per i consumatori.

 
  
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  Miguel Portas (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Benché si debba fare ancora molto in materia di PMI e diritti dei consumatori, la relazione rappresenta un primo passo per facilitare gli scambi commerciali transfrontalieri tra le piccole e medie imprese.

 
  
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  Arlene McCarthy (S&D), per iscritto. (EN) I deputati laburisti del Parlamento auspicano misure intese a potenziare il mercato unico e facilitare le transazioni transfrontaliere per i consumatori e le piccole imprese. I rappresentanti dei consumatori e delle imprese, tuttavia, si sono trovati d’accordo nel rigettare la proposta dell’onorevole Wallis sulla realizzazione di uno strumento opzionale in materia di diritto dei contratti, sostenendo che le norme del diritto contrattuale nazionale non influenzano la tendenza dei consumatori a effettuare acquisti da un altro Stato membro. Esistono infatti altri ostacoli reali al commercio transfrontaliero, quali le differenze di carattere amministrativo e culturale e la mancanza di efficaci strumenti di ricorso per i consumatori. L’onorevole Wallis non è stata in grado di fornire una prova inequivocabile che giustifichi la necessità di uno strumento opzionale e una simile proposta potrebbe persino minare gli attuali diritti dei consumatori.

Occorre tempo per valutare le sette opzioni contenute nel Libro verde e formulare una decisione sulla base di dati probanti e di una chiara valutazione d’impatto. Analogamente, non si può accettare l’approccio basato sul pacchetto di strumenti del gruppo dei Conservatori e Riformisti europei senza prove sufficienti e valutazioni d’impatto che ne dimostrino l’assoluta efficacia per la tutela dei consumatori e il sostegno alle imprese. È importante prendere la decisione giusta per i consumatori e le imprese e assicurare attente valutazioni in merito a qualsiasi modifica a livello normativo che possa in qualche modo ripercuotersi sui loro diritti. Lo dobbiamo ai nostri consumatori e alle nostre imprese.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Il diritto dei contratti determina e organizza le transazioni nel mercato interno e le sue potenzialità sia nell'ostacolare che nell'agevolare tali transazioni sono pertanto evidenti. Scegliere le giuste prospettive per il futuro nel settore del diritto dei contratti può offrire un contributo importante al fine di migliorare il funzionamento del mercato interno e liberare il suo pieno potenziale per le imprese, in particolare le PMI, e i consumatori.

Va osservato che il Parlamento, in varie risoluzioni sulla questione, ha più volte riconosciuto i vantaggi offerti da un migliore quadro in materia di diritto contrattuale per il mercato interno; ha inoltre nuovamente valutato in maniera positiva l'idea di un quadro comune di riferimento e ha insistito sul suo stretto coinvolgimento così come quello dei soggetti interessati.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (EN) Il 1 luglio 2010, la Commissione ha presentato un Libro verde sulle opzioni possibili in vista di un diritto europeo dei contratti per i consumatori e le imprese. Le opzioni includono scelte non vincolanti, un regime di adesione volontaria (“opt-in”), definito il “28º regime”, l’improbabile approssimazione del diritto sostanziale nazionale (dovuta alle resistenze da parte del Consiglio e all’impossibilità di fondere le varie tradizioni giuridiche nazionali nel giro di una notte) e la possibilità di creare un vero e proprio codice civile europeo. Sostengo fortemente la relazione, in particolare nel contesto delle violazioni dei diritti umani nella Repubblica di Lettonia, e per queste ragioni ho espresso un voto favorevole.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Un diritto europeo dei contratti dovrebbe assicurare il buon funzionamento del mercato interno e questa relazione richiama l’attenzione in particolare sui potenziali vantaggi per le PMI e i consumatori. È dal 1989 che si profondono sforzi in tal senso per trovare un quadro giuridico comune. Nel 2008, la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva sui diritti dei consumatori. È di gran lunga più importante per i consumatori europei che la tutela nei loro confronti sia migliorata a livello dell’UE. Ciò non dovrebbe significare azioni restrittive, come quelle intraprese al tempo in cui si mandavano i conti in rosso, ma al contrario misure volte a combattere le pratiche commerciali disoneste, la frode, ecc.

Il fatto che un diritto europeo dei contratti possa migliorare l’accesso ai mercati da parte delle piccole imprese resta tuttavia da appurare. Secondo le ricerche condotte in questo campo, sono infatti principalmente gli esercizi al dettaglio di medie e grandi dimensioni a essere coinvolti nel commercio transfrontaliero a causa della complessità burocratica e dei costi. I problemi esistenti legati agli acquisti transfrontalieri on-line perdureranno ancora per un certo periodo di tempo. Rimangono inoltre alcune perplessità legate alla reale necessità di una standardizzazione. In situazioni dubbie come questa, sostengo il principio di sussidiarietà ed è per tale ragione che il mio voto è contrario alla relazione dell’onorevole Wallis.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. (DE) Un’Europa che appartiene ai cittadini può funzionare solo se costituita da diverse patrie e fondata sul principio di sussidiarietà e sulla sovranità. La realizzazione di un diritto contrattuale europeo è apparsa fino ad oggi superflua e, in simili situazioni, si applica il principio generale secondo cui qualsiasi disposizione che non risulti strettamente necessaria dovrebbe essere tralasciata. Credo inoltre che questa relazione rappresenti una tattica diversiva volta a distogliere l’attenzione dalla necessità di occuparsi di questioni ben più importanti, vale a dire la tutela dei consumatori a livello dell’UE, al fine di migliorarle. Per tali motivi, ho deciso di dichiarare voto contrario alla relazione Wallis.

 
  
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  Rolandas Paksas (EFD), per iscritto. (LT) Occorre applicare un regime unificato in materia di diritto contrattuale a livello dell’Unione europea; tale regime sarebbe principalmente in grado di eliminare gli ostacoli che consumatori e PMI si trovano spesso a affrontare nell’ambito del mercato interno e dovuti alla complessità delle relazioni contrattuali. Un comune diritto europeo dei contratti garantirebbe inoltre maggiori scambi commerciali transfrontalieri nel mercato interno. Il vigente regolamento Roma I rappresenta un adeguato strumento normativo che assicura un elevato livello di protezione nei confronti della parte contraente più debole. Le disposizioni di tale regolamento proteggono i consumatori nel momento in cui si rivalgono nei confronti di imprese di altri Stati membri con le quali hanno sottoscritto un contratto. Considerando che l’Unione europea detiene già un buon sistema normativo in questo settore, non appoggio la presente risoluzione relativa alle opzioni possibili in vista di un diritto europeo dei contratti per i consumatori e le imprese; tale risoluzione suggerisce infatti l’adozione di un nuovo regolamento, il quale prevede uno strumento opzionale alternativo da applicare alle transazioni tra imprese e tra consumatori e imprese. Va ricordato che il nuovo regolamento causerebbe molta confusione e una mancanza di chiarezza in questo settore. La sua attuazione richiederebbe inoltre maggiori finanziamenti e un aumento della complessità a livello burocratico.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Le diversità dei diritti contrattuali negli Stati membri creano dei problemi strutturali che scoraggiano le imprese ed i consumatori. La proposta di risoluzione della collega Wallis va a favore della creazione di uno strumento opzionale per il diritto europeo dei contratti per consumatori e imprese attraverso un regolamento generico, per questo ho votato a favore del testo. Inoltre ciò non andrebbe a sostituire il diritto contrattuale degli Stati membri ma sarebbe solo d'appoggio per una migliore scelta del modello contrattuale tra le parti grazie ad esempi basati su principi generali, definizioni e norme modello sia per contratti commerciali che per i contratti dei consumatori, senza andare contro il principio di sussidiarietà e di proporzionalità.

 
  
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  Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto.(EL) Ho espresso voto favorevole nei confronti della relazione sulla creazione di un diritto europeo dei contratti per i consumatori e le imprese, il quale contribuirà a facilitare le transazioni transfrontaliere e a rafforzare il mercato interno, specialmente per le piccole e medie imprese e per i consumatori. Le differenze tra i vari Stati membri a livello di diritto contrattuale limitano la spinta delle PMI a intraprendere scambi commerciali transfrontalieri. Occorre adottare una procedura flessibile in grado di offrire sicurezza alle piccole e medie imprese così come ai consumatori, contribuendo altresì a proteggere i diritti delle parti interessate. Per questo motivo, la creazione di uno strumento opzionale che, insieme alle norme nazionali, rappresenti uno standard per le PMI ampliando così le opzioni a disposizione delle parti, è la strategia giusta.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Ho dato il mio supporto con voto positivo alla relazione sulle opzioni possibili in vista di un diritto europeo dei contratti per i consumatori e le imprese. Il diritto dei contratti determina e organizza le transazioni in seno al mercato interno e le sue potenzialità sia nell'ostacolare che nell'agevolare tali transazioni sono pertanto ovvie.

Scegliere le giuste prospettive per il futuro nel settore del diritto dei contratti può offrire un contributo importante per migliorare il funzionamento del mercato interno e dispiegare le sue piene potenzialità per le imprese, in particolare le PMI, e i consumatori. Desidero evidenziare la necessità di una partecipazione ampia e bilanciata delle parti interessate; quest'ultima è già assicurata dall’attuale metodo di lavoro della Commissione, che vede il coinvolgimento di un esperto e un gruppo di soggetti interessati. Poiché tale processo non ha ancora superato la fase della consultazione, è tuttavia importante garantire che la procedura legislativa vera e propria non sia, per il momento, avviata. La partecipazione dei soggetti interessati sarà particolarmente essenziale durante la procedura legislativa, la cui inclusività e trasparenza dovranno essere garantite con tutti i mezzi a disposizione.

 
  
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  Phil Prendergast (S&D), per iscritto. (EN) L’Unione europea non può sostenere di essere un mercato unico quando esistono ancora diversi ostacoli al commercio. I costi considerevoli connessi agli scambi commerciali transfrontalieri rappresentano una vera e propria barriera. Tra spese legali, spese di traduzione e spese di attuazione, accedere al mercato e-commerce di un solo Stato membro potrebbe costare fino a 15 000 euro per una piccola impresa. Secondo il Flash Eurobarometro del 2008, questo ostacolo desta grandi preoccupazioni per il 60per cento dei rivenditori. Se le disposizioni di legge che disciplinano le transazioni con i consumatori fossero armonizzate in tutta l'Unione, le PMI e i consumatori ne trarrebbero vantaggi. L’eliminazione di questi ostacoli spingerebbe un numero maggiore di PMI a sfruttare il potenziale dell’e-commerce e credo che le PMI siano cruciali per la ripresa economica di molti Stati membri. Il rilancio dell’economia irlandese è trainato dalle esportazioni e, per questo, l’eliminazione degli ostacoli all’accesso al mercato dell’UE è di cruciale importanza. Le conclusioni e le raccomandazioni della relazione rivelano inoltre gli enormi vantaggi potenziali per i consumatori, i quali, se gli scambi commerciali transfrontalieri aumentassero, beneficerebbero di una più ampia scelta di prodotti e di prezzi più competitivi.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) Una delle questioni più controverse in materia di diritto dell’Unione europea riguarda l’armonizzazione del diritto dei contratti. Da un lato, sembra esistere la necessità di una maggiore coerenza interna, in modo che le aziende possano beneficiare del potenziale del mercato comune senza temere eventuali soluzioni inaspettate di un dato ordinamento giuridico estero e per le quali non si sono prese le dovute misure, cosa che ha finora rappresentato un problema reale. Dall’altro lato, gli Stati membri mostrano una certa resistenza a rinunciare alle proprie soluzioni giuridiche e ciò non stupisce dato che queste ultime si sono sviluppate nel corso dei secoli e sono pertanto ampiamente conosciute dai rispettivi cittadini.

Per questo, nel Libro verde del 1 luglio 2010, la Commissione ha presentato diverse soluzioni per modelli normativi che spaziano da semplici strumenti non vincolanti a un codice civile europeo. Tra le varie ipotesi, il Parlamento europeo è a favore della realizzazione di uno strumento opzionale sotto forma di regolamento che innanzitutto disciplini le operazioni transfrontaliere e che possa poi essere potenzialmente impiegato per i contratti interni, sebbene in maniera opzionale. Trovo tale soluzione ragionevole ed è per questo motivo che ho espresso un voto favorevole.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Mi esprimo a favore della relazione in quanto mira a rispondere al recente Libro verde della Commissione sul diritto europeo dei contratti, esponendo le priorità del Parlamento in questo campo. I potenziali vantaggi del diritto europeo dei contratti per il mercato interno si discutono da anni a livello interistituzionale e con il grande pubblico e il Parlamento si è pronunciato per la prima volta sulla questione nel 1989. La Commissione ha ampliato il dibattito pubblicando la sua comunicazione del 2001, la quale si concentra sugli eventuali problemi che le divergenze sul piano del diritto contrattuale potrebbero comportare nel mercato interno e sulle possibili opzioni di intervento. Alla luce delle risposte a tale consultazione, nel 2003 la Commissione ha pubblicato un piano d'azione nel quale, tra l'altro, propone la definizione di un quadro comune di riferimento che contenga definizioni, principi comuni e norme tipo allo scopo di migliorare la qualità e la coerenza del diritto europeo dei contratti. In una successiva comunicazione del 2004, la Commissione ha esposto il seguito dato al piano d'azione, proponendo di rivedere l'acquis dell'Unione in materia e nel 2008 ha presentato una proposta di direttiva sui diritti dei consumatori.

 
  
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  Nikolaos Salavrakos (EFD), per iscritto. (EL) È necessario migliorare il funzionamento del mercato interno e considerare ogni possibilità che possa giovare alle imprese, in particolare le PMI, e ai consumatori. In questo contesto, la relazione dell’onorevole Wallis rappresenta un passo nella giusta direzione: si riferisce infatti all’impatto negativo che le differenze a livello di diritto contrattuale nell’ambito del mercato interno esercitano su consumatori e imprese, così come ai vantaggi offerti al mercato interno da un migliore quadro in materia di diritto contrattuale. Per ottenere tutto ciò, si deve realizzare un atto legislativo chiaro, flessibile e di facile utilizzo che, dove possibile, sia vincolante nei confronti degli Stati membri e che faciliti e offra sicurezza ai contraenti da un punto di vista normativo, senza interferire con le norme nazionali e senza svantaggiare le parti finanziariamente più deboli.

 
  
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  Catherine Stihler (S&D), per iscritto. (EN) Vorrei esprimere il mio disappunto per l’approvazione della relazione da parte del Parlamento. Non ho potuto darle il mio sostegno in quanto, in risposta al Libro verde della Commissione, esclude troppe opzioni relative a un diritto europeo dei contratti e trascura il dovere di richiedere una valutazione di impatto sui costi totali e sulle implicazioni di ogni opzione della Commissione.

 
  
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  Marc Tarabella (S&D), per iscritto.(FR) Per il momento non esiste alcun diritto europeo dei contratti, benché da oltre vent’anni, nell’ambito delle istituzioni europee, se ne discuta la possibile realizzazione. La Commissione intende ora proporre, mediante regolamento, l’introduzione di uno strumento opzionale, comunemente definito il “28º sistema giuridico”, che potrebbe disciplinare i contratti transfrontalieri.

Benché l’intenzione di semplificare il diritto contrattuale e di espandere il commercio transfrontaliero sia lodevole, rimangono forti dubbi in merito alla pertinenza di un simile approccio: vi è certamente un alto rischio che le norme nazionali, le quali garantiscono la massima protezione nei confronti dei consumatori, vengano scavalcate. Per questa ragione, ho deciso di astenermi dalla votazione della relazione di iniziativa, in attesa della proposta di regolamento della Commissione sulla questione.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. (PT) Una delle conseguenze dell’attuazione del mercato interno è l’aumento del numero dei consumatori potenziali dell’Unione europea. Fino ad oggi, tuttavia, non vi è stata alcuna armonizzazione a livello europeo delle norme in materia di contratti per i consumatori e le imprese. Ciò comporta la presenza costante di ostacoli alla piena attuazione del mercato interno a causa delle differenze normative a livello nazionale e della frammentazione dello stesso diritto dei consumatori.

La relazione propone di esaminare la fattibilità di uno strumento opzionale in questo settore − formalizzato da un regolamento e completato da un pacchetto di strumenti − in grado di assicurare certezza e sicurezza giuridica. Un simile strumento consentirebbe un migliore funzionamento del mercato unico e si tradurrebbe in vantaggi per le imprese, i consumatori e i sistemi giuridici degli stessi Stati membri.

Per queste ragioni, mi sono espresso a favore della relazione e sostengo una proposta da parte della Commissione europea sulla questione; è inoltre auspicabile che in futuro si arrivi a un coinvolgimento dello stesso Parlamento europeo così come dei soggetti economici e della società civile.

 
  
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  Rafał Trzaskowski (PPE), per iscritto.(PL) L’esistenza di 27 ordinamenti giuridici differenti rappresenta uno dei maggiori ostacoli che gli imprenditori e i consumatori dell’Unione europea desiderosi di approfittare dei vantaggi del mercato interno debbono affrontare. I lavori in corso per la creazione di un diritto europeo dei contratti alternativo mi riempie di ottimismo, in particolare nel contesto dell’agenda digitale dell’Unione europea e del potenziale dell’e-commerce per il mercato unico.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI), per iscritto. (DE) Il relatore è a favore di uno strumento opzionale. Le organizzazioni per la tutela dei consumatori hanno già espresso il loro scetticismo in merito all’approccio dell’Unione sulla questione. Da un lato, mettono in discussione il nesso di causalità con la base per un diritto contrattuale futuro, temendo anche, fattore più importante, una maggiore complessità della situazione giuridica. L’introduzione di un pacchetto di strumenti è al momento l’opzione favorita in quanto sarebbe in grado di rispondere alle necessità attuali e alle disposizioni specifiche relative alle più comuni tipologie di contratto, fornendo inoltre un reale aiuto ai consumatori.

 
  
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  Iva Zanicchi (PPE), per iscritto. – Ho espresso un voto favorevole al testo presentato dall'on. Wallis. I problemi derivanti dalla diversità dei diritti dei contratti degli Stati membri molto spesso scoraggiano le imprese, specie le PMI, dall'intraprendere scambi a livello transfrontaliero, impedendo di fatto di sfruttare le opportunità offerte dal mercato interno. Il testo votato quest'oggi mira alla creazione di uno strumento opzionale per il diritto europeo dei contratti mediante regolamento: tale strumento opzionale andrebbe così ad affiancarsi al diritto contrattuale degli Stati membri, offrendo un mezzo alternativo e di libera scelta per le parti contraenti.

 
  
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  Tadeusz Zwiefka (PPE), per iscritto.(PL) Il sessanta percento delle transazioni on-line all’interno dell’Unione europea ha un esito negativo e ciò è causato principalmente dal timore delle parti coinvolte nei confronti dei sistemi giuridici di altri Stati membri a loro pressoché sconosciuti. In questa situazione, molti cittadini dell’UE sono privati dell’opportunità di trarre vantaggi dal mercato elettronico. A questo proposito, le differenze esistenti tra gli ordinamenti giuridici degli Stati membri costituiscono un ostacolo al buon funzionamento del mercato dell’Unione europea. Condivido pertanto l’idea che uno strumento opzionale, o un “28º ordinamento giuridico”, rappresenti una buona opportunità per contribuire a liberare il potenziale del mercato europeo nel settore dell’e-commerce ed espandere il mercato per gli imprenditori, garantendo nel contempo ai consumatori un accesso equo a beni e servizi.

 
  
  

Relazione Rosbach (A7-0175/2011)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) Esprimo voto favorevole alla presente relazione, poiché include una serie di preoccupazioni evidenziate dal gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo (S&D), riconoscendo i limiti del prodotto interno lordo (PIL) e la necessità di comprendere indicatori supplementari per la misurazione del progresso economico e sociale a medio e lungo termine. Desidero inoltre richiamare l’attenzione sullo sviluppo di indicatori chiari e misurabili che prendano in considerazione i cambiamenti climatici, la biodiversità, un utilizzo efficiente delle risorse e l’inclusione sociale, il che può contribuire a creare una società più inclusiva basata sulla conoscenza e a ridurre le emissioni di CO2.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della presente risoluzione su “Non solo PIL - Misurare il progresso in un mondo in cambiamento”. Il prodotto interno lordo (PIL) è un indicatore dell’attività economica dei mercati diventato un parametro standard usato dai responsabili politici di tutto il mondo. Occorre evidenziare che questo è una misura della produzione e non riflette la sostenibilità ambientale, l’uso efficiente delle risorse, l’inclusione sociale o il progresso sociale in generale. Il PIL può inoltre essere ingannevole, intendendo con questo che le misure di riparazione a seguito di eventi quali incidenti e catastrofi naturali sono considerate un beneficio anziché un costo. Per questo accolgo con favore la disposizione prevista nella risoluzione secondo cui bisogna sviluppare indicatori supplementari per la misurazione del progresso economico e sociale a medio e lungo termine e fornire indicatori chiari e misurabili che prendano in considerazione i cambiamenti climatici, la biodiversità, l’efficienza energetica e l’inclusione sociale. È inoltre necessario sviluppare indicatori che riflettano in modo più accurato la prospettiva a livello di nucleo familiare: reddito, consumi e ricchezza ed è quindi importante introdurre uno strumento in grado di integrare il PIL, da elaborare in modo tale che possa avere un uso pratico e si basi su indicatori chiaramente definiti e dati di alta qualità.

 
  
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  Roberta Angelilli (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, ideato negli anni '30, il PIL è la più conosciuta unità di misura dell'attività macroeconomica, utilizzata dai responsabili politici durante i dibattiti, come indicatore di crescita del proprio paese. Attualmente, alla luce della sempre più stretta interdipendenza tra problematiche economiche, sociali ed ambientali, il PIL comincia a presentare numerosi punti deboli in quanto non registra fattori sociali importanti come il benessere, l'inclusione sociale, i cambiamenti climatici oppure l'efficienza delle risorse. Pertanto, in un contesto in cui la correlazione tra una serie di attività non di mercato e il PIL non è più automatica, è necessario elaborare indicatori supplementari chiari e misurabili a medio e lungo termine, che garantiscano la comparabilità tra paesi e regioni e che possano essere utilizzati per elaborare proiezioni sui futuri sviluppi e per definire politiche mirate.

 
  
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  Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. (RO) Desidero appoggiare l’adozione di un’unità di misura chiaramente definita, che vada oltre il prodotto interno lordo (PIL), ovvero lo completi nel contesto del processo decisionale e della valutazione. Il PIL è un indicatore dell’attività economica dei mercati diventato un parametro usato dai responsabili politici. L’esigenza di migliorare dati e indicatori che completino il PIL come indicatore dell’intero sviluppo sociale è sempre più riconosciuta da tutte le istituzioni internazionali. La presente relazione evidenzia la necessità di misurare la qualità di vita nelle società. Nel raggiungimento e mantenimento di quest’ultima sono coinvolti fattori importanti quali la salute, l’istruzione, la cultura, l’occupazione, gli alloggi e le condizioni dell’ambiente. Appoggio pienamente l’istituzione di un solido quadro giuridico per i conti economici ambientali europei e sostengo la necessità di elaborare statistiche affidabili e armonizzate.

 
  
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  Pino Arlacchi (S&D), per iscritto. (EN) Ho espresso voto favorevole alla presente relazione, poiché sottolinea l’importanza di concordare un approccio sistemico per la definizione di un sistema “non solo PIL” coerente che contribuisca a migliorare l’analisi politica. Il prodotto interno lordo (PIL) è un indicatore dell’attività economica dei mercati diventato un parametro standard usato dai responsabili politici di tutto il mondo, ma questo è solo una misura della produzione e non riflette la sostenibilità ambientale, l’uso efficiente delle risorse, l’inclusione sociale o il progresso sociale in generale e può essere pertanto ingannevole.

Occorre misurare la qualità di vita nelle società e considerare che, nel raggiungimento e mantenimento di quest’ultima, sono coinvolti fattori importanti e generalmente riconosciuti quali la salute, l’istruzione, la cultura, l’occupazione, gli alloggi e le condizioni dell’ambiente, eccetera. Per questo è necessario prestare la massima attenzione alla presente relazione secondo la quale si deve dare maggiore rilievo agli indicatori atti a misurare tali fattori.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Come dimostrato dalla commissione Stieglitz in Francia nel 2008-2009, occorre pensare a nuovi indicatori di sviluppo da aggiungere al prodotto interno lordo (PIL). Sebbene sia stato sino ad ora un punto di riferimento essenziale e nonostante implichi possibili errori di valutazione (ad esempio la ricostruzione che segue le catastrofi naturali è percepita come un progresso economico), il PIL da solo non basta più. Ho votato a favore della relazione presentata dall’onorevole Rosbach, poiché invita la Commissione a continuare la propria ricerca in questo settore, sfidando la riluttanza dei conservatori che ritengono che solo il PIL sia affidabile e le illusioni di una parte della sinistra che vorrebbe che noi misurassimo in modo preciso... evviva! Il lavoro svolto dalla Commissione dovrà essere monitorato da vicino, in quanto può condurre a uno sviluppo importante: un nuovo e più appropriato metodo per calcolare lo stanziamento dei fondi europei alle regioni (politica regionale). Questi, sino ad ora, sono stati concessi alle regioni interessate sulla base del PIL pro capite.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Il prodotto interno lordo (PIL) è un indicatore dell’attività economica dei mercati, diventato un parametro standard usato dai responsabili politici di tutto il mondo ed è meglio conosciuto come un’unità di misura dell’attività macroeconomica. Il PIL non riflette l’attuale sostenibilità ambientale, l’efficienza delle risorse, l’inclusione sociale o il progresso sociale in generale. Condivido la proposta della Commissione di sviluppare indicatori supplementari per la misurazione del progresso economico e sociale a medio e lungo termine ed elaborare indicatori chiari e misurabili che forniscano informazioni sui cambiamenti climatici, la biodiversità, l’efficienza delle risorse e l’inclusione sociale.

 
  
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  Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. (FR) Per molti anni il prodotto interno lordo (PIL) è stato l’indice principale per la valutazione economica, ma le sue carenze sono sempre più evidenti quando si tratta di valutare il progresso sociale e ambientale. Da qui l’importanza della presente risoluzione che insiste sulla necessità per l’Unione europea di adottare altri indicatori complementari rispetto al PIL, affinché fattori quali i cambiamenti climatici, la biodiversità o anche l’integrazione sociale siano presi in considerazione in modo più adeguato: sono sfide politiche importanti che mi stanno particolarmente a cuore. Ho votato a favore della presente relazione, poiché definire e attuare una nuova serie di indicatori costituisce una sfida considerevole per misurare la qualità della vita dei cittadini europei in modo più accurato e migliorare le risposte politiche che non possono essere concepite solo sulla base del PIL. A mio avviso, tale iniziativa rappresenta il primo incoraggiante passo avanti per tenere maggiormente in considerazione le questioni sociali e ambientali nelle politiche pubbliche europee. Per essere pienamente utile ed efficace, però, a questa deve seguire realmente l’introduzione di un nuovo insieme di indicatori, da utilizzare a livello politico in modo effettivo e coerente, così da non trasformarli in un stratagemmi, quanto piuttosto in veri strumenti che aiutino il processo decisionale.

 
  
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  Sergio Berlato (PPE), per iscritto. – Il prodotto interno lordo, ideato negli anni '30 e conosciuto come la più affermata unità di misura dell'attività macroeconomica, è considerato un indicatore globale dell'intero sviluppo sociale e del progresso in generale. Una serie di iniziative internazionali ha evidenziato l'ampio consenso da parte dei decisori politici, degli esperti economici e ambientali e della società civile in merito all'elaborazione di indicatori per completare il PIL, al fine di sostenere il processo decisionale mediante informazioni più complete. Infatti, il PIL non costituisce una base affidabile per il dibattito politico: non misura né la sostenibilità ambientale né l'inclusione sociale. Nel dibattito politico e scientifico in corso da anni, a mio avviso, il problema riguarda piuttosto come realizzare questo approccio attraverso indicatori chiaramente definiti e quantificabili. A livello di Unione europea e di Stati membri sono state avviate numerose iniziative per colmare le lacune in questi ambiti, ma resta difficile individuare un metodo coerente. Pertanto, nonostante riconosca l'importanza di adottare un'unità di misura chiaramente definita del PIL, sollecito la Commissione a presentare innanzitutto una strategia graduale che illustri come applicare il nuovo approccio "Non solo PIL" nello svolgimento quotidiano del lavoro dei responsabili politici.

 
  
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  Slavi Binev (NI), per iscritto. (BG) Accolgo con favore la relazione presentata dall’onorevole Rosbach, poiché definisce chiaramente il prodotto interno lordo (PIL) come un indicatore dell’attività economica del mercato e della produzione nel paese in questione, ma che non misura la sostenibilità ambientale, l’efficienza delle risorse, l’inclusione sociale e il progresso sociale. Un PIL elevato, anche se calcolato pro capite, può essere ingannevole, non essendo distribuito in modo uniforme tra la popolazione: per questo il PIL non costituisce un buon indicatore della qualità di vita nelle società. Per poter affrontare i problemi attuali e futuri, occorre sviluppare nuovi indicatori che completino e perfezionino ulteriormente il PIL. Questo ci permetterà non solo di definire in modo più accurato la qualità della vita, ma tali indicatori forniranno una base di conoscenza più affidabile che consentirà una migliore analisi delle politiche nei diversi settori.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. – La relazione della collega Rosbach analizza in modo critico la comunicazione della Commissione "Non solo PIL - Misurare il progresso in un mondo in cambiamento". Se è importante e non controverso l'obiettivo della Commissione - cioè adottare un'unità di misura che vada oltre il PIL per avere una visione più completa dello sviluppo e del progresso di un paese includendo anche ad esempio la sostenibilità ambientale e l'inclusione sociale - la relatrice mette in discussione la strategia che la Commissione propone per raggiungerlo. Le iniziative suggerite, infatti, non sono integrate in una strategia graduale e pragmatica che indichi come si debba utilizzare il nuovo approccio "Non solo PIL". È una prospettiva che condivido: ho dunque espresso un voto favorevole alla relazione della collega Rosbach.

 
  
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  Vito Bonsignore (PPE), per iscritto. – Ho votato a favore di questa relazione perché ritengo che, solo attraverso buoni strumenti, si possa avere una visione realistica della situazione, quindi lavorare al meglio per poterla, se del caso, modificare. Il PIL: Prodotto Interno Lordo, é uno strumento ideato per indicare il valore aggiunto aggregato di tutte le attività economiche, che si basano sul denaro. È di facile intuizione comprendere come un indicatore di ricchezza tarato su parametri datati, oggi, nel 2011 risulta essere anacronistico.

Ritengo sia opportuno introdurre nuove misure di valutazione del PIL, quali la sostenibilità ambientale o l'inclusione sociale al fine di ottenere, dall'insieme dei dati costituenti il PIL, una fotografia più autentica del Paese o della Regione al quale esso si riferisce. Adeguarsi ai tempi significa prendere in considerazione tutte le variabili importanti, senza per questo cadere in un sistema troppo artificioso, ovvero di difficile applicazione. Credo che, inserendo degli indicatori chiari e definiti il lavoro possa essere svolto nel migliore dei modi.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Sebbene il prodotto interno lordo (PIL) sia una misura della produzione utile per l’attività economica dei mercati, non prende in considerazione la sostenibilità dello sviluppo dimostrato o gli aspetti ambientali e sociali, eccetera. Accolgo quindi con favore l’iniziativa “Non solo PIL - Misurare il progresso in un mondo in cambiamento” che intende incoraggiare e sensibilizzare l’uso di altri indicatori complementari rispetto al PIL nel valutare e discutere la politica. Ritengo che questo sistema di misurazione basato sulla dimostrazione di vari parametri di studio condurrà a decisioni politiche più adatte alle necessità della società e dell’economia in generale.

 
  
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  Nessa Childers (S&D), per iscritto. (EN) Mentre gli esponenti del mondo accademico discuteranno sul migliore modo possibile per misurare il progresso, noi, in quanto legislatori europei, dobbiamo essere sicuri del metodo che scegliamo e garantire che questo non ceda alle polemiche sia oggi che in futuro.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto. – La letteratura economica si interroga ormai da anni sull'opportunità o meno di continuare ad utilizzare il tasso di crescita del PIL come misura del progresso realizzato da un'area geografica in un determinato periodo di tempo. Io trovo che, al momento, non vi sia un indicatore che abbia lo stesso grado di sintesi e di completezza. Non possiamo presentare ai nostri cittadini, immersi nei loro problemi quotidiani, una cartella clinica per descrivere lo stato di salute dell'economia. Allo stesso tempo, non si può neanche insistere esclusivamente con misure strettamente economiche, non sempre in grado di cogliere i fenomeni sociali.

Concordo, dunque, con l'obiettivo generale della relazione: uniamo i nostri sforzi a quelli della comunità accademica internazionale e cerchiamo di superare il PIL. Ci sono decine di esempi in tutto il mondo, dall'Indice di sviluppo umano del programma di sviluppo delle Nazioni Unite, alla felicità nazionale lorda del Regno del Bhutan. È necessario individuare degli obiettivi prioritari e misurare il loro raggiungimento in maniera rigorosa, puntuale e non suscettibile di distorsioni in base ad interessi di parte. Ricordiamoci che non conta quanti orologi abbiamo, ma come trascorriamo il nostro tempo.

 
  
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  George Sabin Cutaş (S&D), per iscritto. (RO) Ho espresso voto favorevole alla presente relazione, in quanto, a mio avviso, occorre elaborare indicatori che completino il prodotto interno lordo (PIL) e ci aiutino a misurare fattori quali i cambiamenti climatici, la biodiversità o l’efficienza delle risorse.

Come espresso molto bene da Joseph Stiglitz, il PIL non è solamente uno strumento insufficiente per riflettere il benessere dei cittadini, ma si limita anche a misurare l’attività economica dei mercati. Mi auguro che l’esecutivo europeo elabori proposte specifiche per introdurre indicatori supplementari, più ampi e sostenibili per ovviare alle attuali carenze.

 
  
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  Luigi Ciriaco De Mita (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, gli indicatori rappresentano una modalità di lettura sintetica di un determinato fenomeno. Fenomeni semplici possono essere letti attraverso indicatori semplici, mentre per la lettura di fenomeni complessi occorrono indicatori complessi. Il PIL rappresenta un indicatore semplice, mentre lo sviluppo è un fenomeno compelsso. Infatti, lo sviluppo economico di un territorio ha diversi profili che non sono contenuti nel PIL, il quale peraltro fotografa un dato momento, mentre altri elementi di lettura vengono totalmente tralasciati, quali gli investimenti in infrastrutture immateriali, tra cui la conoscenza (persone, processi, prodotti, solo per citarne alcuni), o gli investimenti in infrastrutture materiali, tra cui le reti di comunicazione e trasporto (reti ICT, reti viarie e ferroviarie, per citarne alcune). Inoltre, il PIL non è adeguato neppure per l´individuazioni delle Regioni assistite dalla politica regionale di coesione dell´UE. È per questi motivi che è da salutare con favore lo sforzo della Commissione europea di andare oltre il PIL e creare un set di dati e indicatori che migliori la capacità di lettura dei fenomeni e contribuisca a definire meglio politiche e riparti finanziari. La relazione che abbiamo approvato mi pare vada in tale direzione.

 
  
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  Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. (EN) Il prodotto interno lordo (PIL) rappresenta il valore aggiunto aggregato di tutte le attività economiche basate sul denaro ed è la più conosciuta e utilizzata unità di misura dell’attività macroeconomica. Il PIL è infatti diventato il principale indicatore dell’intero sviluppo sociale e del progresso in generale, ma esiste una crescente consapevolezza della sua inadeguatezza come indicatore del progresso sociale, dell’inclusione sociale, della sostenibilità ambientale e dell’efficienza delle risorse. Sostengo la presente relazione, che chiede lo sviluppo di indicatori chiari e misurabili che prendano in considerazione i cambiamenti climatici, la biodiversità, l’efficienza delle risorse e l’inclusione sociale, evidenziando al contempo la necessità di misurare la qualità di vita nelle società, tenendo conto che nel raggiungimento e mantenimento di quest’ultima sono coinvolti fattori importanti e generalmente riconosciuti quali la salute, l’istruzione, la cultura, l’occupazione, gli alloggi e le condizioni dell’ambiente. La relazione appoggia pienamente l’istituzione di un solido quadro giuridico per i conti economici ambientali europei quale passo positivo nell’ambito del processo “Non solo PIL” e accoglie con favore l’iniziativa della Commissione di presentare un indice sulla pressione ambientale, da proporre insieme al PIL.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Nonostante i costrutti più o meno sentimentali che possiamo formulare, la verità è che solo analizzando il prodotto interno lordo (PIL) è possibile ottenere un’immagine affidabile dello stato di sviluppo e di progresso delle società. Per questo il PIL è e deve continuare ad essere il principale indicatore economico da prendere in considerazione, ma occorre integrarlo, se del caso, con altri indicatori da studiare e introdurre in modo graduale.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Nel 2007, il Parlamento europeo insieme alla Commissione, al Club di Roma, al Fondo mondiale per la natura (WWF) e all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (OCSE) ha organizzato una conferenza sul tema “Non solo PIL”, in occasione della quale si è espressa la necessità di sviluppare altri indicatori complementari rispetto al prodotto interno lordo (PIL). La relazione presentata dall’onorevole Rosbach si basa su una comunicazione della Commissione del 28 settembre 2009 intitolata “Non solo PIL - Misurare il progresso in un mondo in cambiamento” e riflette la necessità di fornire a politici e ricercatori dati più completi.

Negli ultimi decenni, il PIL è stato l’unità di misura più utilizzata dell’attività macroeconomica e di recente ha iniziato anche ad essere impiegato come indicatore dello sviluppo sociale. Diversi sociologi hanno osservato che ciò non rappresenta il migliore indicatore, in quanto non tiene conto di aspetti come la sostenibilità o l’integrazione sociale. Condividendo la posizione della relatrice, ho votato a favore della presente relazione, ma ritengo che la proposta possa e debba essere migliorata, presentando una strategia più globale e graduale.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Gli orientamenti e le politiche neoliberali attuate dall’Unione europea hanno messo a repentaglio il progresso sociale e inflitto un duro colpo ai cittadini europei. L’accentuarsi nei paesi dell’Unione delle disuguaglianze sociali, che attualmente stanno raggiungendo livelli preoccupanti, ne è un chiaro esempio. Bisogna tenere conto di questo aspetto quando si analizzano gli indicatori di sviluppo e di progresso, come fa la presente relazione.

Il prodotto interno lordo (PIL), spesso utilizzato come base per la valutazione di questi due fattori (lo sviluppo e il progresso), è un indicatore statistico che presenta carenze intrinseche. Prendendo in considerazione solo l’attività economica (creazione di ricchezza) ed essendo quindi utile a determinare la crescita economica, il PIL non contempla parametri importanti quali la distribuzione della ricchezza, le disuguaglianze sociali, la qualità dei beni e dei servizi, le operazioni non commerciali e perfino i risultati non registrati dal mercato che sono essenziali per valutare lo sviluppo e il progresso. In molti casi, il PIL può aumentare, mentre la maggior parte dei cittadini di un paese si impoverisce, poiché questo non tiene in debito conto il livello di disuguaglianza in una società.

Per tali ragioni occorre considerare altri indicatori in grado di colmare queste lacune, cosicché la misurazione del progresso sociale sia il più possibile completa, credibile e vicina alla realtà.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Sono sempre maggiori le divergenze economiche e le disuguaglianze sociali causate dagli orientamenti e dalle politiche neoliberali dell’Unione e dalla crescente iniqua ripartizione e distribuzione del reddito nazionale sia a livello comunitario che nazionale.

È quindi sempre più controverso utilizzare il prodotto interno lordo (PIL) come base di lavoro e indicatore statistico per misurare lo sviluppo sociale e il progresso. Il PIL è un indicatore statistico che presenta molte lacune, poiché prende in considerazione solo l’attività economica, tralasciando altri fattori importanti quali la distribuzione della ricchezza, le disuguaglianze sociali, la qualità dei beni e dei servizi, le operazioni non commerciali e perfino i risultati non registrati dal mercato. Ciò implica che in molte situazioni il PIL può aumentare, mentre la maggior parte dei cittadini di un paese si impoverisce, poiché questo non tiene conto del livello di disuguaglianza in una società.

In questo senso, è accettabile considerare altri indicatori in grado di colmare queste lacune, cosicché la misurazione del progresso sociale sia il più possibile completa, credibile e vicina alla realtà.

 
  
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  Monika Flašíková Beňová (S&D), per iscritto. (SK) Il prodotto interno lordo (PIL) è diventato un indicatore dello sviluppo sociale e del progresso in generale, ma non misura la sostenibilità ambientale o l’inclusione sociale. In relazione alla necessità di migliorare tali dati e indicatori, la Commissione ha pubblicato una comunicazione intitolata “Non solo PIL - Misurare il progresso in un mondo in cambiamento”. Nel documento, la Commissione propone, ad esempio, di sviluppare indicatori completi che forniscano una base di conoscenze più affidabile. Ritengo sia necessario introdurre uno strumento in grado di integrare il PIL, da elaborare in modo tale che possa avere un uso pratico e si basi su indicatori chiaramente definiti e dati di alta qualità.

 
  
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  Lorenzo Fontana (EFD), per iscritto. – Signor presidente, onorevoli colleghi, l'obiettivo della Commissione di andare oltre il Pil, e cioè di trovare un'altra unità di misura (che però comunque lo integri), trova nella relazione parlamentare la giusta critica che pone l'accento sul fatto che se non é ancora definito precisamente il passaggio e gli indicatori precisi da parte della Commissione, il dibattito dovrà essere rimandato. Pertanto la posizione é favorevole alla proposta.

 
  
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  Elisabetta Gardini (PPE), per iscritto. – Il PIL, - prodotto interno lordo -, è la più nota unità di misura macroeconomica utilizzata nelle analisi e nei dibattiti politici di tutto il mondo per indicare lo sviluppo sociale. Purtroppo, nonostante il suo largo utilizzo, cresce la consapevolezza che il tessuto economico e sociale europeo è profondamente cambiato. Oramai, oltre le informazioni sul reddito e sulla ricchezza, altri indicatori di natura ambientale influenzano il tenore di vita di un paese e che non possono essere ulteriormente ignorati. Ecco perché appoggio la relazione della collega Rosbach che elabora dei nuovi indicatori che prendano in considerazione i grandi assi della politica ambientale come l'uso dell'energia, la biodiversità, l'utilizzo dell'acqua e la produzione di rifiuti. La sfida consiste nell'integrare gli esistenti indici con altri elementi pertinenti sul piano politico ed empiricamente misurabili, che forniscano statistiche affidabili sugli sviluppi futuri dei paesi. In tal senso ritengo che, eliminando quei fattori soggettivi come la felicità personale che non possono essere considerati indicatori, la nuova stesura del testo abbia raggiunto un valido compromesso. Auspico, infine, che in questo innovativo processo sia l'Eurostat e sia l'Eurobarometro svolgano un ruolo chiave. Grazie dell'attenzione.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Ho accolto con favore la presente relazione, in quanto il prodotto interno lordo (PIL) è un indicatore dell’attività economica dei mercati diventato un parametro standard usato dai responsabili politici di tutto il mondo. Si tratta tuttavia di una misura della produzione e non riflette la sostenibilità ambientale, l’uso efficiente delle risorse, l’inclusione sociale o il progresso sociale in generale. Il PIL può essere inoltre ingannevole, intendendo con questo che le misure di riparazione a seguito di eventi quali incidenti e catastrofi naturali sono considerate un beneficio anziché un costo. Occorre sviluppare indicatori supplementari per la misurazione del progresso economico e sociale a medio e lungo termine. A mio avviso, è necessario elaborare indicatori chiari e misurabili che forniscano informazioni sui cambiamenti climatici, la biodiversità, l’efficienza delle risorse e l’inclusione sociale, nonché indicatori che riflettano in modo più accurato la prospettiva a livello di nucleo familiare: reddito, consumi e ricchezza. Esiste inoltre il bisogno di misurare la qualità della vita nelle società, poiché nel raggiungimento e mantenimento di quest’ultima occorre tenere conto di fattori importanti e generalmente riconosciuti quali la salute, l’istruzione, la cultura, l’occupazione, gli alloggi e le condizioni dell’ambiente, eccetera. Si deve dare maggiore rilievo agli indicatori atti a misurare tali fattori ed è necessario che l’ulteriore sviluppo di indici qualitativi e quantitativi si basi sugli indicatori EQLS (Rassegna europea sulla qualità della vita) che riguardano i settori essenziali della qualità della vita.

 
  
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  Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Egregio Presidente, onorevoli colleghi, condivido l'analisi del relatore espressa nella relazione votata oggi. Il Prodotto Interno Lordo non sembra più in grado di poter supplire alle crescenti esigenze economiche e politiche. Credo sia necessario individuare un possibile strumento complementare in grado di contribuire al miglioramento delle analisi e dei dibattiti politici, attraverso l'utilizzo di chiari indicatori supplementari, capaci di rilevare e misurare il progresso economico e sociale a medio e lungo termine. Si tratta certamente di un lavoro non semplice, vista la delicatezza della materia e gli impatti che decisioni assunte in tale contesto possono assumere. La sfida che ci apprestiamo ad intraprendere consiste, quindi, nel trovare indicatori affidabili, che siano al contempo coerenti sotto il profilo teorico, pertinenti sul piano politico ed empiricamente misurabili.

 
  
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  Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. (RO) Il prodotto interno lordo (PIL) è lo strumento più efficace per misurare l’attività macroeconomica, fungendo al contempo da indicatore indiretto dello sviluppo sociale e del progresso. Questo non può tuttavia fornire informazioni su tutti i settori che sono oggetto di discussioni politiche quali l’ambiente e l’inclusione sociale.

Il PIL è alla base di molte decisioni politiche e strumenti dell’Unione europea. Ritengo che si debbano intensificare gli sforzi per sviluppare indicatori che soddisfino i bisogni di tutti i cittadini. Nello specifico, è necessario che tali indicatori misurino in modo sostenibile i progressi compiuti nel raggiungimento degli obiettivi economici, sociali e ambientali. In conclusione, occorre che le future politiche europee siano basate su dati completi e aggiornati che contemplino tutti gli aspetti cruciali.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Accolgo con favore la presente relazione che evidenzia che il prodotto interno lordo (PIL) è un indicatore dell’attività economica dei mercati diventato un parametro standard usato dai responsabili politici di tutto il mondo; sottolinea che il PIL è una misura della produzione e non riflette la sostenibilità ambientale, l’uso efficiente delle risorse, l’inclusione sociale o il progresso sociale in generale; rileva inoltre che il PIL può essere ingannevole, intendendo con questo che le misure di riparazione a seguito di eventi quali incidenti e catastrofi naturali sono considerate un beneficio anziché un costo; nota che, oltre a quelli atti a misurare lo sviluppo e la produttività economici, esistono altri indicatori che influenzano e spiegano il tenore di vita di un paese e che finora non sono stati quantificati benché siano disponibili; indica la necessità di sviluppare indicatori supplementari per misurare il pieno impatto dell’attività economica.

 
  
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  Clemente Mastella (PPE), per iscritto. – Al giorno d'oggi il Prodotto Interno Lordo non è più un indicatore sufficiente ed appropriato per misurare il progresso e risulta, dunque, necessario elaborare indicatori più completi che forniscano una base di conoscenze più affidabile in un mondo sempre più in evoluzione. Mancano, infatti, spesso informazioni, dati e indicatori definiti in modo chiaro. A livello di Unione Europea e di Stati membri sono state avviate numerose iniziative per colmare le lacune evidenziate. Anche se risulta difficile individuare un metodo che sia al tempo stesso coerente, riteniamo necessario un approccio globale che tenga conto delle misure esistenti e che possa trovare applicazione nella prassi politica. Occorre sviluppare uno nuovo strumento in grado di integrare il PIL, che possa avere un uso pratico e che si basi su indicatori chiaramente definiti e dati di alta qualità. Siamo d'accordo con il relatore che ritiene necessaria la presentazione di una strategia graduale, che illustri come applicare il nuovo approccio in maniera pragmatica nel lavoro politico quotidiano.

 
  
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  Barbara Matera (PPE), per iscritto. – Ho espresso il mio voto favorevole alla relazione "Non solo PIL - Misurare il progresso in un mondo in cambiamento" dell'onorevole Rosbach poiché sono del parere che il PIL non sia più sufficiente e appropriato per misurare il progresso in un mondo in cambiamento e sia necessario elaborare indicatori più completi, che forniscano una base di conoscenze più affidabile. Va ricordato che il PIL è una misura della produzione e non misura ad esempio la sostenibilità ambientale. Occorre sviluppare altri indicatori che permettano di percepire quali sono i fattori che influenzano il tenore di vita di un paese.

Sono dunque favorevole alla creazione di nuovi indicatori che misurano il progresso sociale ed economico a medio e lungo termine, mi riferisco ad esempio ad indicatori che prendano in considerazione i cambiamenti climatici, la biodiversità, l'efficienza delle risorse e l'inclusione sociale. Lo sviluppo di questi nuovi indicatori aiuta anche a capire e misurare la qualità di vita nelle società. Quindi lo sviluppo di uno Stato membro o una determinata regione non può essere valutato meramente con un indicatore economico come il PIL, ma anche attraverso la qualità di vita, che è determinata da fattori quali la salute, l'istruzione, la cultura, l'occupazione, gli alloggi e le condizioni climatiche ed ambientali.

 
  
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  Marisa Matias (GUE/NGL), per iscritto. (PT) In quanto relatore per parere della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia per questa relazione, ritengo che nel raggiungimento e mantenimento della qualità della vita siano coinvolti fattori importanti e correlati quali la salute, l’istruzione, la cultura, l’occupazione, gli alloggi e le condizioni dell’ambiente. A mio avviso, gli indicatori che misurano tali fattori sono essenziali e occorre attribuire loro maggiore importanza. Ho espresso voto favorevole, in quanto la relazione costituisce un passo avanti, seppur esitante, per migliorare e completare il prodotto interno lordo (PIL) come strumento di misurazione e valutazione delle prestazioni sociali ed economiche, nonché, per associazione, del progresso sociale.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) È riconosciuta da tutti la necessità di migliorare dati e indicatori che completino il prodotto interno lordo (PIL) come indicatore dell’intero sviluppo sociale. L’iniziativa “Non solo PIL - Misurare il progresso in un mondo in cambiamento” rappresenta uno strumento complementare in grado di contribuire al miglioramento delle analisi e dei dibattiti politici.

Il PIL è un indicatore dell’attività economica dei mercati diventato un punto di riferimento standard per i responsabili politici di tutto il mondo. È inoltre una misura della produzione e non riflette la sostenibilità ambientale, l’uso efficiente delle risorse, l’inclusione sociale o il progresso sociale in generale. Condivido pertanto l’opinione secondo cui, in futuro, si debbano studiare altri tipi di indicatori che permettano di ottenere una quantità più elevata di dati affidabili per misurare un mondo in cambiamento.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (EN) È risaputo che il prodotto interno lordo (PIL) rappresenta il valore aggiunto aggregato di tutte le attività economiche basate sul denaro e l’espressione di una società fondata sulla produzione/consumo. Il PIL non prende inoltre in considerazione i cambiamenti e le ricchezze negli ambiti importanti. Tenendo conto della necessità di migliorare dati e indicatori per completare il PIL, sono state proposte varie misure che fornirebbero una base di conoscenza più affidabile. Occorre sviluppare con urgenza indicatori supplementari per la misurazione del progresso economico e sociale a medio e lungo termine. Ho quindi espresso voto favorevole.

 
  
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  Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto.(PL) Oggi il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione su “Non solo PIL - Misurare il progresso in un mondo in cambiamento”.

Il prodotto interno lordo (PIL) è un indice ampiamente utilizzato per misurare lo sviluppo sociale e il progresso economico, ma la sua universalità mette in dubbio se sia in grado di tenere in debita considerazione una serie di indicatori essenziali per la qualità della vita in un determinato paese. Esistono inoltre alcuni parametri significativi interpretati in modo scorretto. La Commissione ha affermato che è essenziale sviluppare un indicatore che rappresenti in modo chiaro la situazione nel paese in questione e che rifletta al contempo le condizioni delle famiglie e degli individui, nonché l’efficienza con cui le risorse di uno Stato vengono impiegate e lo stato ambientale. La Commissione si aspetta un maggiore coinvolgimento da parte degli Stati membri in termini di sistematizzazione della ricerca sulla qualità della vita pubblica che consentirebbe di effettuare confronti chiari tra i paesi. Una politica coerente faciliterebbe l’analisi della ricerca, permettendo di prevedere il potenziale sviluppo a lungo termine degli Stati.

 
  
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  Rolandas Paksas (EFD), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della presente risoluzione sul prodotto interno lordo (PIL) e sugli altri indicatori, il cui obiettivo è quello di misurare il progresso e lo sviluppo generale della società. Il PIL è un indicatore dell’attività economica dei mercati diventato un parametro standard usato dai responsabili politici di tutto il mondo. Tale indicatore non è tuttavia olistico: non riflette, infatti, la sostenibilità ambientale, l’uso efficiente delle risorse, l’inclusione sociale o il progresso sociale. In alcuni casi, il PIL può inoltre fornire informazioni ingannevoli e inesatte e occorre quindi fare quanto in nostro potere per sviluppare indicatori supplementari a medio e lungo termine volti a misurare i fattori appena menzionati anche a livello di nucleo familiare.

Accolgo con favore la proposta secondo cui, nel misurare la qualità della vita per la società, bisogna prestare particolare attenzione a fattori quali la salute, l’istruzione, la cultura, l’occupazione, gli alloggi e altri fattori simili, correlati ai settori fondamentali della qualità della vita. È pertanto necessario trovare il modo per sviluppare uno strumento efficace e appropriato che completi il PIL, che possa avere un uso pratico e si basi su indicatori chiaramente definiti e dati di alta qualità.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – "Non solo PIL – Misurare il progresso in un mondo in cambiamento". Una relazione che cerca di valutare i livelli di progresso dell'Unione attraverso quell'indicatore globale dello sviluppo sociale ed economico che è il Prodotto Interno Lordo. Purtroppo però il PIL non costituisce più una base affidabile per il dibattito politico perché non riesce a misurare da sé la sostenibilità ambientale né l'inclusione sociale. È sempre più evidente la necessità di migliorare dati e indicatori per completare i criteri di valutazione del progresso ed é per questo che ho espresso il mio voto favorevole per un testo che cerca di integrare con nuovi indicatori sociali lo sviluppo dell'Unione europea, che cerca un'unità di misura definita che vada oltre il PIL e che lo completi nel contesto del processo decisionale.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della presente relazione intitolata “Non solo PIL - Misurare il progresso in un mondo in cambiamento”. Come giustamente rilevato nella relazione, il prodotto interno lordo (PIL), che viene usato dai responsabili politici di tutto il mondo e citato nei dibattiti pubblici, è considerato ormai un indicatore globale dell’intero sviluppo sociale e del progresso in generale. Tale indice non può tuttavia costituire una base affidabile per il dibatitto politico su ogni questione, ad esempio il PIL non misura la sostenibilità ambientale né l’integrazione sociale.

Nella comunicazione della Commissione “Non solo PIL - Misurare il progresso in un mondo in cambiamento” sono proposte diverse misure per completare il PIL: si tratta in particolare di elaborare indicatori più completi che forniscano una base di conoscenze più affidabili. Sostengo la richiesta della Commissione di adottare un’unità di misura chiaramente definita, che vada oltre il PIL, ovvero che lo completi nel contesto del processo decisionale e della valutazione, utilizzando indicatori chiaramente definiti e quantificabili.

 
  
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  Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, Il PIL rappresenta l'unità di misura più conosciuta al mondo. Questo è considerato un indicatore globale dell'intero sviluppo sociale e del progresso in generale, ma non tiene conto né del calcolo della sostenibilità ambientale né dell'inclusione sociale. Si deve cercare di migliorare i dati e gli indicatori per integrare il PIL, o questo non riuscirà a costituire una base affidabile per il dibattito politico.

Quest'argomento è già stato trattato negli anni scorsi e in particolare nel 2007 il Parlamento europeo e la Commissione, insieme a enti e associazioni, hanno organizzato una conferenza dal titolo "Non solo il PIL". In quella sede la Commissione ha sostenuto che il PIL non è un sistema di valutazione adeguato di lungo termine, così come il progresso economico e sociale, non sono sufficienti per valutare questioni quali i cambiamenti climatici, l'efficienza delle risorse o di benessere personale e in seguito sono stati proposti nuovi indicatori per valutare i progressi nella realizzazione di obiettivi sociali, economici e ambientali. Per i motivi suesposti e affinché ci possa essere uno sviluppo di un insieme di indicatori, chiari e completi ma anche coerenti pertinenti e oggettivamente misurabili, esprimo il mio voto favorevole alla proposta in valutazione.

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto. (RO) La comunicazione della Commissione “Non solo PIL - Misurare il progresso in un mondo in cambiamento” si concentra sull’elaborazione di indicatori più ampi per completare il prodotto interno lordo (PIL) che forniranno una base di conoscenze più affidabili. Il PIL è ormai considerato un indicatore globale dell’intero sviluppo sociale e del progresso, ma non può costituire una base affidabile per il dibatitto politico su ogni questione; in particolare, il PIL non misura il livello della sostenibilità ambientale né dell’integrazione sociale.

Ho espresso voto favorevole alla presente relazione, poiché è importante sviluppare uno strumento che completi il PIL, da elaborare in modo tale che possa avere un uso pratico e si basi su indicatori chiaramente definiti e dati di alta qualità. La relazione invita la Commissione a presentare una strategia graduale nell’ambito del processo “Non solo PIL”, che illustri come applicare il nuovo approccio in maniera pragmatica nelle attività politiche quotidiane.

 
  
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  Miguel Portas (GUE/NGL), per iscritto. (PT) A mio avviso, nel raggiungimento e mantenimento della qualità della vita sono coinvolti fattori importanti e correlati quali la salute, l’istruzione, la cultura, l’occupazione, gli alloggi e le condizioni dell’ambiente. Ritengo pertanto che gli indicatori che misurano tali fattori siano essenziali e che occorra attribuire loro maggiore importanza. Ho espresso voto favorevole, in quanto la relazione costituisce un passo avanti, seppur esitante, per migliorare e completare il prodotto interno lordo (PIL) come strumento di misurazione e valutazione delle prestazioni sociali ed economiche, nonché, per associazione, del progresso sociale.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) Il prodotto interno lordo (PIL) è l’indicatore standard delle attività macroeconomiche, utilizzato di norma per misurare le economie dei diversi Stati. Si tratta tuttavia di un semplice indicatore di ricchezza, le cui potenzialità di confrontare lo sviluppo sociale sono minori. Il successo del PIL è in gran parte dovuto alla sua semplicità, a scapito della completezza dei risultati conseguiti. Sarebbe quindi utile sviluppare nuovi indicatori che permettano di esaminare altri aspetti della realtà, al fine di ottenere un quadro generale più preciso dello sviluppo dei paesi: è un processo complesso che deve coinvolgere professionisti da tutti i settori per elaborare un indicatore più ampio e completo.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (FR) Sostengo la relazione. Come affermato dalla mia collega, l’onorevole Bélier, sebbene il documento presentato sarebbe potuto andare oltre in termini di ambizioni e orientamenti, costituisce tuttavia un primo passo avanti e un forte segnale al Consiglio e alla Commissione, affinché l’Europa metta in atto una revisione degli indicatori di ricchezza e di sviluppo, in modo da renderli più rappresentativi delle realtà e dei vincoli ambientali e sociali che ci troviamo ad affrontare.

Con la presente decisione, i membri del Parlamento europeo riconoscono la necessità di spingersi oltre e abbandonare un modello antiquato che provoca disuguaglianze sociali e distrugge il patrimonio naturale, adottando un nuovo modello economico a livello europeo: si spiana così la strada per il riconoscimento di nuovi indicatori più equi che consentiranno di avviare la transizione ecologica e sociale delle nostre società.

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. – La presente relazione propone di adottare un'unità di misura chiaramente definita che completi il PIL come indicatore dell'intero sviluppo sociale. Lo strumento integrativo dovrebbe avere un uso pratico e basarsi su indicatori chiaramente definiti e dati affidabili. Solo così infatti il PIL potrà rappresentare un contributo sufficiente per il dibattito politico e il processo decisionale. La Commissione è pertanto invitata a presentare una strategia globale e graduale che illustri il nuovo approccio in maniera pragmatica nel lavoro politico quotidiano.

 
  
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  Oreste Rossi (EFD), per iscritto. – La relazione sulla comunicazione della Commissione del 20 agosto 2009 "Non solo PIL - misurare il progresso in un mondo in cambiamento" evidenzia l'importanza del PIL, indicatore globale dello sviluppo sociale e della crescita economica. L'obiettivo è adottare una nuova unità di misura chiaramente definita e quantificabile su dati affidabili e veritieri, ma la comunicazione alla Commissione non indica la strategia graduale per conseguirlo. Sono favorevole alla relazione in quanto ritengo sia importante fare analisi socio-economiche con strumenti idonei che vadano a completare il PIL.

 
  
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  Catherine Stihler (S&D), per iscritto. (EN) Sostengo la presente relazione che suggerisce di adottare diverse azioni concrete, comprese la creazione di un indice ambientale, pubblicazioni più tempestive di dati in materia ambientale e sociale, informazioni più precise sulle disparità sociali e l’estensione del sistema dei conti nazionali alle questioni ambientali e sociali.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. (PT) Nella comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio intitolata “Non solo PIL - Misurare il progresso in un mondo in cambiamento” (COM(2009) 433 definitivo) si riconosce che il “prodotto interno lordo (PIL) è ormai considerato un indicatore dello sviluppo globale della società e del progresso in generale”, ma “non misura la sostenibilità ambientale né l’inclusione sociale”. In un mondo in cui la qualità della vita dei cittadini viene misurata sempre più impiegando altri fattori non economici, le diverse istituzioni internazionali quali le Nazioni Unite (ONU), la Banca mondiale e l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (OCSE) stanno studiando la definizione di nuovi indicatori per misurare e analizzare il progresso economico e sociale.

Per questo ho votato a favore della presente relazione, poiché ritengo sia importante per l’Unione europea attuare un approccio sistematico per misurare il benessere sociale in tutti i suoi aspetti, evidenziando in particolare i fattori economici e ambientali e migliorando la qualità della vita a medio e lungo termine. A mio avviso, i suddetti indicatori rivestiranno un’importanza strategica nella definizione della futura politica di coesione, contribuendo ad una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva in linea con i principi sanciti nella strategia Europa 2020.

 
  
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  Niki Tzavela (EFD), per iscritto. (EL) Ho espresso voto favorevole alla relazione “Non solo PIL - Misurare il progresso in un mondo in cambiamento” per le seguenti ragioni. È risaputo che il prodotto interno lordo (PIL) è un indicatore utilizzato per misurare l’attività macroeconomica e non può essere impiegato per altri fattori. Occorre quindi sviluppare nuovi indicatori, come proposto nella relazione presentata dall’onorevole Rosbach. Ritengo che il PIL sia un indicatore incompleto e che si debbano elaborare nuovi indicatori per integrarlo. La relazione affronta le suddette questioni che considero essere estremamente importanti e che necessitano di una soluzione immediata, motivo per cui ho votato a favore di questa particolare relazione.

 
  
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  Giommaria Uggias (ALDE), per iscritto. – Oggi mi sono espresso a favore dell'identificazione di nuovi parametri che siano maggiormente rappresentativi del progresso di un paese, e non solo del suo consumo, anche se ritengo che dovesse essere fatto di più. La relazione in questione ha avuto un iter lungo e contrastato, in seguito al quale è approdata alla plenaria, svuotata di contenuti propositivi. Il Parlamento avrebbe dovuto avanzare una proposta che tenesse conto di fattori come l'educazione, la salute, lo svolgimento di attività personali e altri, invece si è limitato a evidenziare la necessità di stabilire nuovi parametri, demandando alla Commissione il compito di definirli.

Il PIL è un indicatore superato, basato su principi economici che, riducendo la qualità in quantità, non tengono conto del senso delle cose, del benessere individuale e collettivo, sottovalutano il lavoro in sé rispetto all'oggetto di produzione e non considerano la manutenzione, ma solamente la produzione di nuovi oggetti.

 
  
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  Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. (LT) Se diamo uno sguardo alla classifica del prodotto interno lordo (PIL) redatta dal Fondo monetario internazionale (l’Unione europea si trova al primo posto e la Lituania all’ottantaduesimo), possiamo constatare che il prodotto interno lordo non ci fornisce un quadro completo: non riflette, infatti, in modo sufficiente la complessa realtà socio-economica delle sfide nazionali e regionali. Sebbene sia un indicatore particolarmente forte dell’attività macroeconomica, il PIL non rispecchia i gravi problemi sociali della Lituania quali la disoccupazione, la qualità dell’istruzione e dei sistemi sanitari, nonché le disuguaglianze nella distribuzione dei redditi. In Lituania e nell’Unione europea mancano spesso informazioni chiare, dati e indicatori; per questo motivo sostengo la proposta presentata dalla relatrice volta a promuovere una migliore relazione sugli indicatori sociali. Mi auguro che ciò condurrà a ottenere informazioni più complete per definire le politiche.

Sfortunatamente, oggigiorno, i politici non dispongono sempre di tali informazioni. Nell’elaborare le politiche dell’Unione non bisogna solo basarsi su statistiche astratte, ma occorre misurarle in base al progresso conseguito nel migliorare il benessere dei cittadini europei. Il metodo “Non solo PIL”, menzionato in questa relazione, potrebbe rivelarsi molto utile, ma prima di applicarlo, è necessario scoprire di più sulle possibilità di adattarlo alla vita di tutti i giorni.

 
  
  

Relazione Remek (A7-0165/2011)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) Voto a favore della relazione, poiché rappresenta un’approfondita analisi del processo e dell’attuale attuazione e apre il dibattito sulla futura governance, lo sfruttamento e il finanziamento in merito alla decisione di creare sistemi globali di navigazione satellitare e altri sistemi europei autonomi. Ciò comprende tutti gli aspetti commerciali dello sfruttamento, nonché le strutture giuridiche, contrattuali e finanziarie dei diversi modelli di utilizzo che garantiranno l’attuazione del modello di governance.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Il programma Galileo (navigazione satellitare) è estremamente importante, poiché consente all’Unione europea di avere le giuste competenze nell’ambito delle tecnologie d’avanguardia. Sfortunatamente, il programma si trova ad affrontare ulteriori ritardi e costi e di fronte a tale situazione occorre quindi considerare nuove soluzioni. Per questo ho appoggiato la relazione presentata dall’onorevole Remek che mira a studiare tutte le possibili fonti di finanziamento, oltre al contributo del bilancio europeo.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Galileo insieme al Servizio europeo di copertura per la navigazione geostazionaria (EGNOS), un sistema di potenziamento che migliora l’accuratezza e l’affidabilità delle informazioni del sistema di posizionamento globale (GPS) statunitense, costituisce il sistema globale di navigazione satellitare (GNSS) sviluppato dall’Unione europea. Si prevede che, una volta terminato, sarà costituito da 27 satelliti più un adeguato numero di satelliti di riserva in orbita a un’altitudine di circa 23 000 km sul livello del mare e una rete mondiale di circa 40 stazioni a terra. Due motivi principali hanno spinto l’Unione europea a decidere di costituire un proprio sistema globale di navigazione satellitare: innanzi tutto l’autonomia e l’indipendenza dell’Europa dagli altri sistemi globali di navigazione e, in secondo luogo, la possibilità di partecipare al mercato dell’alta tecnologia in fortissima crescita in tutto il mondo, oggi dominato in gran misura dagli Stati Uniti. Condivido l’opinione secondo cui occorre avviare un dibattito politico ampio e completo sul grado di ambizione desiderato (per stabilire il livello di servizi forniti) e sulle risorse finanziarie disponibili (sarebbe quindi necessaria una scelta politica tra un programma finanziato esclusivamente dall’Unione europea e uno che consenta contributi nazionali e privati). Il risultato di questo dibattito avrà conseguenze sulle scelte politiche per la futura governance e per la gestione dei sistemi GNSS.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. – Il progetto di mettere in opera un programma europeo di navigazione satellitare costituisce una sfida importante e senz'altro utile per il futuro della tecnologia in Europa, ma attualmente le previsioni di spesa e di investimento da parte degli organismi comunitari per questo progetto sono ancora poco chiari e poco trasparenti. Si prevedono ulteriori spese fra pochi anni, oltre a quelle previste inizialmente dal programma, e credo che facilmente altre somme saranno richieste comunque per il completamento del progetto. Mi astengo pertanto sulla votazione finale alla relazione d'iniziativa.

 
  
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  Rachida Dati (PPE) , per iscritto. (FR) È con grande soddisfazione che ho votato a favore di questa relazione che rappresenta l’esito di una decisione politica di vasta portata, in particolare in riferimento all’attuazione del programma Galileo. È fondamentale che il sistema autonomo europeo di radionavigazione via satellite sia commissionato il prima possibile e, come evidenziato dalla relazione, che questo avvenga con garanzie di finanziamento a lungo termine. La concorrenza degli Stati Uniti (con il sistema di posizionamento globale - GPS) esige una rapida introduzione di Galileo, tenendo conto della posta in gioco in termini economici, tecnici, politici e strategici.

 
  
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  Christine De Veyrac (PPE), per iscritto. (FR) L’Unione europea si è posta l’obiettivo di diventare leader mondiale nei sistemi di navigazione satellitare globali (GNSS) attraverso il Servizio europeo di copertura per la navigazione geostazionaria (EGNOS) e Galileo, affermando così la propria indipendenza dal sistema di posizionamento globale (GPS) americano. Alla luce dei considerevoli introiti ottenuti dai programmi, ho votato a favore della relazione presentata dall’onorevole Remek che invita la Commissione e gli Stati membri ad assicurare sufficienti finanziamenti per garantire il completamento di tali progetti entro il 2018, che potranno così competere in modo credibile con il sistema americano.

 
  
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  Diane Dodds (NI), per iscritto. (EN) In un momento in cui la Commissione e anche il Parlamento devono cercare e avanzare proposte per risparmiare, ci viene presentata una relazione che propone di completare il sistema di navigazione satellitare Galileo al costo supplementare di 1,9 miliardi di euro nel prossimo quadro finanziario pluriennale (QFP). Non dimentichiamoci che la richiesta si insinua in un contesto in cui il progetto satellitare Galileo ha preso il via con uno stanziamento di 7,7 miliardi di euro e ora si prevede che costerà 22,6 miliardi. Mi rifiuto in modo categorico di votare a favore di una proposta di questo tipo. Le attuali voci di bilancio per il programma sono ampiamente sufficienti per far fronte al suo completamento, eppure, come c’era da aspettarsi, il suggerimento è quello di spendere ancora di più. Sono sicura che se mi rivolgessi ai miei elettori, darebbero un sostegno piuttosto scarso alla spesa corrente per Galileo, per non parlare poi di un aumento. Invito di nuovo i membri del Parlamento europeo e la Commissione a essere realistici e cauti nell’impiegare i soldi che abbiamo e con i quali dobbiamo puntare a trarre i maggiori benefici per i nostri elettori.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto.(PT) Si sono registrati ritardi e costi supplementari per i sistemi di navigazione satellitari europei, aspetto che dovrebbe spingere i responsabili a riflettere sugli schemi di attuazione al momento impiegati. In una situazione in cui paesi come il Portogallo fanno ricorso agli aiuti degli altri Stati membri e l’Europa sta affrontando una grave crisi economica e finanziaria che minaccia la sua stabilità, è necessario profondere sforzi ancora maggiori per evitare lo sforamento dei costi e le spese eccessive.

Non metto in dubbio l’importanza strategica di tali progetti, ma occorre evidenziare che non sono stati all’altezza delle aspettative. Condivido l’opinione secondo cui sia Galileo che il Servizio europeo di copertura per la navigazione geostazionaria (EGNOS), in qualità di programmi europei che rispondono ad un’esigenza d’interesse pubblico a livello comunitario, devono essere principalmente finanziati attraverso il bilancio dell’Unione europea, ma a mio avviso bisogna valutare altre eventuali fonti, comprese le forme innovative di finanziamento.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto(PT) La presente relazione redatta dall’onorevole Remek si occupa dei programmi europei di navigazione satellitare e l’obiettivo consiste nella loro revisione intermedia, comprese la valutazione dell’attuazione, le sfide future e le prospettive finanziarie.

Dal 2000, quando il sistema di posizionamento globale (servizio GPS) è stato reso disponibile, tale settore è cresciuto in modo esponenziale (124 miliardi di euro nel 2008), prevedendo un valore globale del mercato nazionale pari a 230 miliardi di euro nel 2025. Nel 2008, l’Unione europea ha deciso di creare il proprio sistema di navigazione satellitare (regolamento (CE) n. 683/2008), Galileo e il Servizio europeo di copertura per la navigazione geostazionaria (EGNOS), con l’obiettivo di garantire l’autonomia e l’indipendenza dell’Europa, aumentare la propria quota di mercato e consentire all’industria di essere competitiva in un mercato strategico e in forte crescita.

Ho votato a favore delle proposte avanzate dal relatore, nonostante lo sforamento dei costi registrato nell’attuazione del progetto, poiché capisco che l’Unione europea debba essere in prima linea nella ricerca e nello sviluppo delle tecnologie all’avanguardia, specialmente quando questa stessa tecnologia rappresenta una risorsa economica e scientifica per l’Unione.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto.(PT) Come si è detto in riferimento all’applicazione di un sistema globale di navigazione satellitare europeo per i trasporti, l’utilizzo di questa tecnologia può rappresentare un importante contributo a sviluppo, ammodernamento e diversificazione dei servizi pubblici, creando opportunità di cooperazione, progresso nella scienza e nelle sue applicazioni, nonché scambio e accessibilità alle informazioni, nel rispetto dei diritti, delle libertà e delle garanzie dei cittadini. La questione in gioco non riguarda tuttavia l’esistenza di un sistema globale di navigazione satellitare per l’Europa utilizzato per scopi non-militari e non integrato nei dispositivi di sicurezza dell’Unione.

Il problema risiede in un suo possibile uso militare e bellicoso. Desta inoltre particolare preoccupazione il fatto che questo sistema di navigazione satellitare sia costituito in una logica di concorrenza con il sistema di posizionamento globale (GPS) degli Stati Uniti, da cui l’Unione europea dipende e che è ben noto essere sotto il controllo militare con finanziamenti provenienti da programmi militari federali statunitensi. Riaffermiamo così i nostri dubbi sui limiti ai possibili utilizzi di tali programmi in un contesto di presunta concorrenza tra l’Unione e gli Stati Uniti in merito a funzionalità ed efficienze di questi sistemi.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto.(PT) La questione in gioco non riguarda l’esistenza di un sistema globale di navigazione satellitare per l’Europa utilizzato per scopi civili e non integrato nei dispositivi di sicurezza dell’Unione europea, ma il problema risiede in un suo eventuale uso militare e bellicoso.

L’impiego del sistema per fini non militari può contribuire notevolmente a fornire servizi pubblici, creando opportunità di cooperazione, progresso nella scienza e nelle sue applicazioni, nonché scambio e accessibilità alle informazioni con l’impegno di rispettare i diritti, le libertà e le garanzie dei cittadini.

Desta tuttavia preoccupazione il fatto che questo sistema di navigazione satellitare sia inserito in una logica di concorrenza con il sistema di posizionamento globale (GPS) degli Stati Uniti, da cui l’Unione europea dipende e che è ben noto essere sotto il controllo militare con finanziamenti provenienti da programmi militari federali statunitensi.

Nutriamo ancora forti dubbi sui limiti ai possibili utilizzi di tali programmi in un contesto di concorrenza sia tra le funzionalità e le efficienze dei sistemi che tra l’Unione europea e gli Stati Uniti.

 
  
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  Monika Flašíková Beňová (S&D), per iscritto. (SK) L’Unione europea ha compiuto un importante passo avanti con la decisione politica racchiusa nel regolamento (CE) n. 683/2008, di porre in essere un sistema globale autonomo di navigazione satellitare (GNSS) di proprietà e sotto la gestione comunitaria. La Commissione dovrebbe elaborare un’analisi globale mirata alla definizione più precisa dei possibili scenari e risorse in termini di funzionamento e utilizzo dopo il 2013. Questa comprenderà tutti gli aspetti commerciali connessi all’esercizio, quali le strutture giuridiche, contrattuali e finanziarie dei diversi modelli di utilizzo che garantiranno la creazione di un modello di gestione stabile.

 
  
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  Jacqueline Foster (ECR), per iscritto. (EN) Galileo, il sistema globale di navigazione satellitare europeo, è di grande importanza per l’Europa e in particolare per il Regno Unito. Tale progetto, che appoggio in pieno, non ha ricevuto solamente finanziamenti pubblici considerevoli, ma l’industria privata in tutta l’Unione europea sta investendo anch’essa denaro, tempo e competenze nello sviluppo di questo sistema.

Sebbene riconosca la necessità di progredire in questo senso, ho sentito il bisogno di astenermi dal voto finale. La relazione presentata dall’onorevole Remek suggerisce che il completamento del sistema Galileo richiederà finanziamenti supplementari fino a 1,9 miliardi di euro nel prossimo quadro finanziario pluriennale (QFP). In questo difficile clima finanziario devo oppormi a tale incremento delle spese, in particolar modo considerando che il programma ha superato il bilancio previsto del 60 per cento. Ritengo che Galileo debba agire nei limiti del proprio attuale bilancio.

Esaminiamo ora come possiamo migliorare il presente sistema, utilizzando i mezzi a nostra disposizione. Incoraggio vivamente la Commissione a compiere azioni risolute per perfezionare la gestione del programma e risparmiare. A tale scopo, occorre che la Commissione effettui una valutazione d’impatto approfondita ed esaustiva, affinché si possa prendere una decisione consapevole in merito ai finanziamenti futuri del programma.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Ho accolto con favore questo documento, poiché la presente relazione costituisce una risposta alla comunicazione della Commissione sulla revisione intermedia dei sistemi globali autonomi di navigazione satellitare (GNSS) europei (Galileo e EGNOS) e ne valuta il processo e l’attuazione al momento attuale, aprendo il dibattito sulla futura governance, lo sfruttamento e il finanziamento. Due motivi principali hanno spinto l’Unione europea a decidere di costituire un proprio sistema globale di navigazione satellitare: innanzi tutto l’autonomia e l’indipendenza dell’Europa dagli altri sistemi globali di navigazione e, in secondo luogo, la possibilità di partecipare al mercato dell’alta tecnologia in velocissima crescita in tutto il mondo, oggi dominato in gran misura dagli Stati Uniti. I benefici indiretti del programma sono stimati in circa 60 miliardi di euro all’anno (compresi il mercato a valle e a monte, nonché i benefici pubblici). Il GNSS è visto come tecnologia “disruptive” (deleteria), con un elevato potenziale per l’innovazione, per la creazione di una base di conoscenze ad elevato contenuto tecnologico e per aumentare la produttività in molti settori. Si stima che i tassi di crescita annuali del mercato per i prodotti e i servizi correlati al GNSS siano superiori al 10 per cento. La Commissione dovrebbe avviare un’analisi globale mirata alla definizione più precisa dei possibili scenari e mezzi per il funzionamento e lo sfruttamento dopo il 2013, il che comprende tutti gli aspetti commerciali dello sfruttamento, nonché le strutture giuridiche, contrattuali e finanziarie dei diversi modelli di utilizzo che garantiranno l’attuazione di un modello di governance stabile.

 
  
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  Ville Itälä (PPE), per iscritto. (FI) I sistemi Galileo e EGNOS (Servizio europeo di copertura per la navigazione geostazionaria), una volta completati, aumenteranno la sicurezza nei trasporti tramite l’utilizzo di determinate applicazioni, che rappresentano anche i mercati mondiali in crescita, dai quali l’Unione europea trarrà beneficio in termini finanziari. La creazione di tali sistemi contribuirà in modo considerevole allo sviluppo dei trasporti aerei europei e alla costituzione di una rete più economica ed efficiente dei trasporti ferroviari e su strada. La mancanza di investimenti potrebbe costituire un problema per lo sviluppo di queste applicazioni e per il completamento dei programmi a tempo debito. È fondamentale riconoscere i benefici per gli Stati membri derivanti dagli investimenti e dalla creazione dei sistemi, cosicché siano completati nei tempi previsti.

 
  
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  Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato in maniera favorevole alla relazione della collega Ţicău perché il progetto in esame incontra molte aspettative che sono proprie di chi guarda con ottimismo allo sviluppo della ricerca e della tecnologia. EGNOS e Galileo sono opere che produrranno circa sessanta miliardi di euro in termini di esternalità positive per l'economia e la società dell'Unione Europea, in termini di maggiore sicurezza stradale e dei trasporti aerei, riduzione dell'inquinamento atmosferico e del consumo di pesticidi, creazione di nuovi posti di lavoro e di maggiore sicurezza pubblica, generando un valore molto elevato di denaro. Necessita pertanto che la Commissione presenti una chiara valutazione di tutte le possibili opzioni tecniche e dei possibili costi e benefici in fase ante, ossia prima che si decida in merito a ulteriori impegni finanziari a carico del bilancio dell'UE nel prossimo Quadro Finanziario Poliennale.

 
  
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  Agnès Le Brun (PPE), per iscritto. (FR) Dieci anni fa, l’Unione europea ha avviato due programmi di navigazione satellitare: Galileo e il Servizio europeo di copertura per la navigazione geostazionaria (EGNOS). Il primo sarà operativo nel 2014 e garantirà una precisione di meno di un metro, mentre il sistema di posizionamento globale (GPS) presenta un’accuratezza di diversi metri. Tale progresso tecnologico permetterà alle imprese europee di innovarsi e di essere all’avanguardia nei servizi resi possibili dal posizionamento globale. Esiste tuttavia anche una dimensione strategica di Galileo: attualmente l’Europa dipende dal sistema GPS americano, ma quando Galileo sarà in funzione, l’Unione conseguirà una piena indipendenza e superiorità in questo settore e appare inoltre chiara l’importanza delle applicazioni. Di conseguenza, le risorse civili e militari degli Stati membri saranno molto più efficaci. Ho votato a favore della risoluzione che, oltre a elogiare l’esito tecnico, ricorda alla Commissione europea i punti in cui il programma può essere migliorato: finanziamento, sensibilizzazione del pubblico e coinvolgimento dei nostri partner internazionali.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) La sfida principale per le attività internazionali dei programmi nell’ambito del sistema globale di navigazione satellitare (GNSS) consisterà nell’assicurare la compatibilità e l’interoperabilità con Galileo, nell’accedere alle risorse GNSS mondiali e stabilire norme a livello globale, nel garantire la sicurezza del segmento spaziale e della rete di stazioni a terra, assicurando un controllo più rigoroso delle tecnologie GNSS sensibili sviluppate con i finanziamenti europei e nel partecipare allo sviluppo internazionale di applicazioni innovative e specializzate di interesse sovraregionale. Un obiettivo importante riguarderà la creazione di opportunità commerciali per la tecnologia GNSS europea e per le industrie di applicazione.

 
  
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  Clemente Mastella (PPE), per iscritto. – Riteniamo che il sistema globale di navigazione satellitare (GNSS) sviluppato dall'Unione Europea, costituito da Galileo e EGNOS, sia un passo importante per l'Europa in quanto le garantisce autonomia e indipendenza dagli altri sistemi globali di navigazione e, in secondo luogo, la possibilità di partecipare al mercato dell'alta tecnologia in fortissima crescita in tutto il mondo. E' molto importante però garantire la continuità del servizio, in quanto una limitazione (temporanea) o la degradazione dei segnali GPS possono avere effetti enormi sull'economia e la società, senza altri sistemi GNSS indipendenti. Tuttavia, per sfruttare a pieno i vantaggi di Galileo occorre raggiungere la piena capacità operativa e per far ciò saranno necessari ulteriori investimenti. Attualmente il quadro finanziario è tutt'altro che positivo. A questo punto siamo dell'idea che sia necessario un dibattito politico ampio e completo sul grado di ambizione desiderato e sulle risorse finanziarie disponibili. Sosteniamo, infine, l'importanza dell'avvio di un'analisi globale mirata alla definizione più precisa dei possibili scenari e mezzi per il funzionamento e lo sfruttamento dopo il 2013, che comprenda tutti gli aspetti commerciali, nonché le strutture giuridiche, contrattuali e finanziarie dei diversi modelli in grado di l'attuazione di un modello di governance stabile.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto.(PT) I programmi europei di navigazione satellitare, Galileo e il Servizio europeo di copertura per la navigazione geostazionaria (EGNOS) consentiranno all’Europa di ottenere l’autonomia e l’indipendenza strategica dagli altri blocchi economici, il che è estremamente importante e contribuirà a migliorare la vita dei cittadini europei, assicurando benefici diretti e indiretti all’economia europea. I problemi in merito al finanziamento di questi programmi possono tuttavia causare notevoli ritardi di attuazione e danni inerenti.

Occorre attuare una strategia per il finanziamento a medio e lungo termine in modo da creare la necessaria fiducia dei mercati e, di conseguenza, attrarre gli investimenti e l’acquisto di applicazioni e servizi. Solamente un sistema Galileo e EGNOS pienamente funzionante, rappresenterà un valore aggiunto per l’Unione europea in tutte le sue politiche, compresi i trasporti, l’agricoltura, la lotta contro i cambiamenti climatici, la prevenzione delle catastrofi naturali provocate dall’uomo, la scienza, la tecnologia e l’innovazione.

 
  
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  Louis Michel (ALDE), per iscritto. (FR) Il Parlamento europeo ha sempre sostenuto il sistema globale di navigazione satellitare dell’Unione (GNSS), attuato mediante Galileo e il Servizio europeo di copertura per la navigazione geostazionaria (EGNOS). Sfortunatamente, l’Unione europea dipende attualmente dal sistema di posizionamento globale (GPS) statunitense.

Galileo, nondimeno, offre chiaramente maggiori vantaggi rispetto al sistema GPS. EGNOS è inoltre utilizzato quotidianamente da 80 000 agricoltori europei, di recente è stato certificato per l’aviazione civile e si prevede che presto lo sarà anche per i trasporti marittimi. La politica spaziale e il programma GNSS rivestono un’importanza strategica e dovrebbero portare benefici tangibili per i cittadini e le imprese.

In questo contesto, la Commissione deve garantire la compatibilità e l’interoperabilità di Galileo con gli altri sistemi di navigazione satellitare. È infine fondamentale che a questi programmi europei siano accordati i finanziamenti necessari per poter essere portati a termine.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (EN) l’Unione europea ha compiuto un importante passo avanti con questa decisione politica. La relazione è una revisione intermedia di tale iniziativa faro, ne valuta il processo e l’attuazione al momento attuale, aprendo il dibattito sulla futura governance, sullo sfruttamento e sul finanziamento nel sistema dell’Unione. A mio avviso, occorre avviare un’analisi globale mirata alla definizione più precisa dei possibili scenari e mezzi per il funzionamento e lo sfruttamento dopo il 2013. Sostengo pienamente la relazione presentata dall’onorevole Remek e ho quindi espresso voto favorevole.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Il sistema globale di navigazione satellitare (GNSS), ovvero Galileo e il Servizio europeo di copertura per la navigazione geostazionaria (EGNOS), è diventato una voragine infinita dove finiscono i nostri fondi, come il Sistema d’informazione Schengen II. Sembra ancora impossibile calcolare in termini concreti i costi che ne sono derivati. L’unica cosa chiara è che occorre risparmiare se vogliamo evitare un’esplosione finale dei costi, di per sé già in crescita. I problemi sorgono quando i corrispondenti tagli nei servizi colpiscono unicamente i cittadini europei in quanto contribuenti, lasciando invece inalterati i servizi per scopi militari. In questo contesto, è necessario tenere ulteriori discussioni in merito alla precedente procedura e attuazione, nonché in riferimento a gestione, utilizzo e finanziamento futuri.

Appare improbabile che un maggiore ricorso all’impresa privata in questo settore porti a qualche agevolazione finanziaria. La valutazione della Commissione è attesa senza dubbio con molta trepidazione. In linea di principio, l’idea del progetto Galileo è certamente ottima ma i costi devono essere tenuti sotto controllo. Ho preso in considerazione quanto sopra nell’esprimere il mio voto.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. (DE) Ancora una volta (come nel caso del progetto ITER), l’Unione europea è riuscita a ritardare un progetto così a lungo che non è stato più possibile calcolarne i costi. Ciò vale anche per il sistema globale di navigazione satellitare (GNSS), ovvero Galileo e il Servizio europeo di copertura per la navigazione geostazionaria (EGNOS), e il Sistema d’informazione Schengen II. Non sono stati solamente i costi di follow-up ad esplodere, ma anche quelli “normali” e ora si tenta di limitare i danni risparmiando. Queste azioni sono necessarie, ma sfortunatamente sembra che i tagli riguarderanno solo i contribuenti europei, comportando una riduzione dei servizi. Anche se il GNSS avrà solo un’applicazione militare, saranno i contribuenti a doversi far carico dei costi (ora anche doppi a causa dei costi di follow-up). Tale situazione getta un’ombra sul progetto GNSS, il quale sarebbe, in caso contrario, da accogliere con favore. Per questo mi sono astenuto dal voto.

 
  
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  Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. (EL) Ho votato a favore della relazione sulla revisione intermedia del programma Galileo. L’ambizioso progetto europeo di sviluppare un sistema per la navigazione satellitare, basato su una costellazione di 30 satelliti e volto a offrire servizi di posizionamento globale di qualità, garantisce l’autonomia e l’indipendenza dell’Europa dagli altri sistemi globali di navigazione, nonché una quota dell’importante mercato mondiale dell’alta tecnologia, di cui gli Stati Uniti e il Giappone sono al momento leader. Galileo sarà inoltre in grado di appoggiare l’attuazione dei precedenti sistemi di gestione del traffico per tutti i mezzi di trasporto (stradali, aerei, marittimi, eccetera.), il che incrementerà l’efficienza, riducendo l’impatto ambientale. In materia di agricoltura, il programma potrà sostenere il miglioramento della produzione agricola, assicurando un utilizzo più efficiente della terra e dell’acqua, diminuendo così la necessità di fertilizzanti e pesticidi. Non si è data ancora risposta tuttavia alle questioni sollevate e alla mia precedente domanda alla Commissione (E-0339/10) sugli elevati costi di questo particolare progetto. Nello specifico, il costo dell’attuazione del programma ammontava inizialmente a 3 330 milioni di euro (di cui 1 800 dovevano essere stanziati dal settore pubblico). Tale cifra ha subito un incremento raggiungendo 5 580 milioni di euro che devono essere pagati per intero dal settore pubblico in un momento particolarmente difficile per l’economia.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto.(PT) Ho votato a favore della presente relazione. L’Unione europea ha compiuto un importante passo avanti con l’adozione di questa decisione politica racchiusa nel regolamento (CE) n. 683/2008 in merito alla creazione di sistemi europei autonomi di navigazione satellitare (GNSS), Galileo e il Servizio europeo di copertura per la navigazione geostazionaria (EGNOS), di proprietà e sotto la gestione dell’Unione europea. La comunicazione esaminata nella relazione rappresenta una revisione intermedia di questa emblematica iniziativa, in cui si valuta il processo e l’attuazione al momento attuale e si apre un dibattito sulla futura governance, sull’utilizzo e sul finanziamento.

Nell’attuale contesto economico, occorre avviare con urgenza un dibattito politico ampio sul grado di ambizione desiderato (che determinerà il livello dei servizi forniti) e sulle risorse disponibili, in occasione del quale sarà necessaria una scelta politica tra un programma finanziato esclusivamente dall’Unione europea e uno che consenta contributi nazionali e privati. Il risultato di questo dibattito avrà conseguenze sulle scelte politiche per la futura governance e per la gestione dei sistemi GNSS.

 
  
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  Fiorello Provera (EFD), per iscritto. – Il sistema Galileo migliorerà l'accuratezza e l'affidabilità delle informazioni del sistema di posizionamento globale (GPS) statunitense. Questo nuovo sistema sarà importante per dotare l'UE di autonomia e indipendenza dagli altri sistemi globali di navigazione e per la possibilità di partecipare al mercato dell'alta tecnologia in fortissima crescita in tutto il mondo. Come è noto, il programma è finanziato interamente dal bilancio dell´Unione con uno stanziamento di 3,4 miliardi di euro fino al 2014. È noto che i benefici indiretti del programma sono stimati in circa 60 miliardi di euro l'anno, ma la Commissione ha ammesso che saranno necessari ulteriori investimenti per rendere operativo il sistema. Poiché non è chiaro quanto costerà al contribuente il sistema Galileo, mi sono astenuto su questo provvedimento, anche per ribadire la richiesta alla Commissione di chiarire i futuri costi del progetto.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto.(PT) Il programma Galileo che, congiuntamente al Servizio europeo di copertura per la navigazione geostazionaria (EGNOS), mira a creare un sistema globale di navigazione satellitare (GNSS), è in linea con la scelta strategica dell’Unione: conferma il suo ingresso e gli sforzi compiuti per affermarsi nel mercato globale, attualmente dominato dagli Stati Uniti ed è importante per promuovere l’economia europea. Non dimentichiamo che, come menzionato nella relazione, il 7 per cento del prodotto interno lordo (PIL) dell’Unione europea dipende dall’utilizzo del sistema di posizionamento globale (GPS), rafforzando così la necessità di un sistema autonomo di navigazione satellitare.

L’obiettivo al momento è quello di avviare un’analisi globale del progetto. Tra le conclusioni da trarre, occorre evidenziare che i costi di funzionamento di questi programmi ammontano a circa 800 milioni di euro all’anno e che, entro il 2030, i ricavi ne raggiungeranno solo 80. D’altro canto, i benefici indiretti sono stimati in circa 60 miliardi di euro all’anno. In tale contesto, ritengo sia importante, come suggerito dal relatore, avviare un dibattito sulla struttura del programma e su come renderlo redditizio in futuro al fine di adottare soluzioni forti e sicure per l’avvenire dell’Europa.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE) , per iscritto. (CS) Appoggio pienamente il sistema globale autonomo di navigazione satellitare europeo e condivido la necessità di adottare tutte le misure essenziali per garantire la sua completa capacità operativa. Questa opinione prevale tra i gruppi del Parlamento europeo ed è confermata dal fatto che non sono stati presentati emendamenti alla relazione. Nel documento presentato dall’onorevole Remek, si invita la Commissione europea a trovare una soluzione ai problemi sorti e assicurare una procedura di finanziamento per il programma che consenta di raggiungere la piena capacità operativa nel 2018. Per mantenere il vantaggio concorrenziale dell’Unione europea, l’avvio del programma non deve subire ritardi, altrimenti paesi quali la Cina, l’India e il Giappone ci supereranno.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Per i Verdi è stato un voto disastroso: ci siamo opposti alle due distinte votazioni (paragrafi 19 e 20) ed entrambe sono state adottate; abbiamo espresso voto contrario nella votazione finale, ma nonostante ciò il testo è stato approvato. Le nostre preoccupazioni riguardano soprattutto la velocità con cui alcuni desiderano perseguire quest’obiettivo, nonostante le numerose domande che ancora abbiamo.

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. – Ho votato a favore di questa relazione perché condivido l'importanza del progetto Galileo, come parte di un sistema globale di navigazione satellitare europeo. Esso garantisce l'autonomia e l'indipendenza dell'Unione dagli altri sistemi globali di navigazione, e le permette di partecipare al mercato dell'alta tecnologia, in forte crescita in tutto il mondo. Considerando che i concorrenti si stanno rafforzando e avanzano in modo dinamico, e che per sfruttare a pieno i vantaggi di Galileo occorre raggiungere una piena capacità operativa, il progetto necessita di ulteriori investimenti, nella misura indicata dal relatore.

 
  
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  Catherine Stihler (S&D), per iscritto. (EN) Accolgo con favore la presente relazione che invita la Commissione ad avviare un’analisi globale mirata alla definizione più precisa dei possibili scenari e mezzi per il funzionamento e sfruttamento dopo il 2013, il che comprende tutti gli aspetti commerciali dello sfruttamento, nonché le strutture giuridiche, contrattuali e finanziarie dei diversi modelli di utilizzo che garantiranno l’attuazione di un modello di governance stabile. La relazione è stata adottata in seno alla commissione da una maggioranza schiacciante (44 contro 4).

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto.(PT) L’iniziativa europea volta a creare Galileo e il Servizio europeo di copertura per la navigazione geostazionaria (EGNOS) non solo consentirà all’Europa di acquisire l’autonomia e l’indipendenza strategica dagli altri blocchi economici, ma soprattutto migliorerà la vita quotidiana dei cittadini europei, generando benefici diretti e indiretti per l’ economia comunitaria.

Per conseguire i benefici reali del programma, tuttavia, occorre istituire una strategia per il finanziamento e la governance a medio e lungo termine, comprendente le principali azioni da intraprendere. Unicamente così sarà possibile creare la necessaria fiducia dei mercati e, di conseguenza, attrarre gli investimenti e l’acquisto di applicazioni e servizi.

Solo se pienamente funzionanti, i sistemi Galileo e EGNOS apporteranno benefici concreti a tutte le politiche dell’Unione europea, in particolare nei trasporti, nell’agricoltura, nella lotta contro i cambiamenti climatici, nella prevenzione delle catastrofi naturali provocate dall’uomo e nell’ambito della scienza, tecnologia e innovazione. Per aumentare il sostegno a tali progetti, è fondamentale promuovere una maggiore comunicazione tra coloro che li gestiscono e i cittadini, in modo da creare una relazione diretta tra queste iniziative e la popolazione europea. Ritengo inoltre che sia necessario costituire un’adeguata struttura finanziaria per la sua realizzazione e successiva applicazione.

 
  
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  Derek Vaughan (S&D), per iscritto. (EN) La presente relazione guarda ai progressi compiuti verso la creazione di un sistema globale di navigazione satellitare europeo (Galileo) e alle questioni in merito alla futura governance dell’iniziativa. Quando totalmente operativo, Galileo sarà un rivale per il sistema di posizionamento globale (GPS) americano e opererà nell’ambito di una più ampia e precisa struttura di satelliti e stazioni a terra in tutto il mondo. Nonostante il considerevole progresso tecnico, la relazione è più critica sulla situazione finanziaria relativa al progetto, solleva questioni che occorre affrontare e raccomanda linee di azione che possano assicurare che il sistema satellitare raggiunga la piena capacità operativa (FOC) il prima possibile, il che significa un più rapido rendimento degli investimenti. Questa relazione costituisce una base per discutere come la Commissione possa raggiungere al meglio quanto detto.

 
  
  

Relazione Garriga Polledo (A7-0193/2011)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto.(PT) Voto a favore della relazione poiché, per quanto riguarda il quadro finanziario pluriennale, presenta priorità politiche adeguate per il Parlamento, in termini sia legislativi sia di bilancio. Tra le priorità inserite dal gruppo dell’Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo che mi preme sottolineare figurano ad esempio: 1) investimenti per l’occupazione e la crescita; 2) l’aspetto sociale, e i diritti e le condizioni dei lavoratori 3) la sostenibilità; 4) il valore aggiunto europeo; 5) la struttura e durata proposte.

Rilevo la necessità di prestare particolare attenzione alle regioni ultraperiferiche, alle regioni con limitazioni naturali o demografiche gravi e permanenti, quali le regioni più settentrionali con una densità demografica molto bassa, nonché alle regioni insulari, di frontiera e di montagna, in quanto le risorse e le capacità di tali regioni possono svolgere un ruolo significativo nella competitività futura dell’Unione europea.

 
  
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  Marta Andreasen (EFD), per iscritto. (EN) Mi sono espressa a sfavore della relazione Garriga Polledo della commissione relazione SURE, in quanto si propone di incrementare del 5per cento il bilancio comunitario per il periodo 2014-2020. Non potevo votare a favore dell’emendamento del Conservative Party di congelare il bilancio ai livelli del 2013, in quanto ritengo fermamente che occorra ridimensionarlo, e la posizione adottata rappresenta invece un punto di partenza negoziale piuttosto debole.

Ho introdotto un emendamento per una riduzione del bilancio del 2,8per cento, che rappresenta il tasso medio di irregolarità che interessano il bilancio comunitario, come riferito dalla Corte dei conti europea. Tra gli emendamenti e le innovazioni a cui mi sono opposta ce n’era uno che si proponeva di creare un gruppo di monitoraggio informale e privo di poteri, in seno al Parlamento europeo, incaricato di valutare i programmi.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE) , per iscritto. – (EN) Mi sono espressa a favore di quest’importante risoluzione intitolata "Investire nel futuro: un nuovo quadro finanziario pluriennale (QFP) per un'Europa competitiva, sostenibile e inclusiva". Concordo col relatore sul fatto che, respingendo l’opzione di congelare le risorse, come proposto da cinque capi di governo nel dicembre 2010 (Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Germania e Finlandia), il Parlamento europeo sta trasmettendo un segnale politico forte per i negoziati tra i 27 Stati membri, che dovrebbero iniziare dopo la presentazione ufficiale della proposta della Commissione europea prevista per il 29 giugno. è importante notare che per prendere la decisione definitiva, che è attesa non prima di giugno 2012, sono necessarie l’unanimità tra gli Stati membri e il parere conforme del Parlamento europeo. Noi europarlamentari chiediamo per lo meno un incremento del livello di risorse pari al 5per cento rispetto al bilancio del 2013. è altrettanto importante notare che il Parlamento europeo propone di introdurre una nuova struttura per il quadro finanziario nell’ambito della rubrica unica Europa 2020 e chiede un quadro quinquennale o decennale (5+5) a decorrere dal 2021.

 
  
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  Roberta Angelilli (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, dopo circa un anno di attività della commissione speciale sulle sfide politiche e le risorse del bilancio, sono state finalmente presentate le future decisioni sulle priorità di spesa per un uso efficace ed efficiente degli stanziamenti comunitari finalizzati all'attuazione di politiche orientate ai risultati. Tenendo presente che il bilancio dell'UE è soprattutto un bilancio a investimento, in grado di generare ulteriori investimenti da fonti pubbliche e private, è necessario che questo possa essere adeguatamente allineato a circostanze e priorità mutevoli.

La decisione di incrementare le risorse del nuovo quadro finanziario pluriennale del 5per cento garantirà la stabilità dei cicli di programmazione già esistenti e l'avvio di nuovi investimenti in settori quali le reti europee nel settore dell'energia e dei trasporti che consentiranno, a loro volta, all'Europa, di difendere la sua competitività e di preparare il terreno alla crescita economica a lungo termine. Settori peraltro inclusi nella Strategia 2020, che intende conseguire una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva attraverso la conoscenza, l'innovazione, la promozione della coesione sociale e territoriale.

 
  
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  Pino Arlacchi (S&D), per iscritto. (EN) La relazione su un nuovo quadro finanziario pluriennale (QFP) per un'Europa competitiva, sostenibile e inclusiva è un esercizio prezioso di analisi collettiva sulle configurazioni future de bilancio comunitario. Formula una stima delle risorse finanziarie necessarie all’Unione per conseguire i suoi obiettivi e condurre le proprie politiche per il periodo a decorrere dal 1° gennaio 2014. L’aspetto essenziale della relazione è la richiesta di incrementare almeno del 5per cento il bilancio comunitario complessivo per il 2013, e la richiesta di introdurre una fonte di finanziamento autonoma.

La relazione sottolinea con molta chiarezza che, in assenza di risorse aggiuntiva sufficienti nel QFP successivo al 2013, l’Unione non sarà in grado di soddisfare le priorità politiche esistenti, correlate in particolare alla strategia Europa 2020 o ai nuovi compiti previsti dal trattato di Lisbona, per non parlare degli eventi imprevisti. Ho votato a favore della relazione anche perché chiede un sistema di finanziamento per l’Unione europea che sia più trasparente, semplice ed equo.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore di quest’eccellente relazione del mio onorevole collega Garriga Polledo, in quanto offre una presentazione estremamente valida del bilancio che servirà all’Unione europea dopo il 2013 per rispondere alle sfide politiche che dovrà affrontare. Se l’Europa vuole effettivamente attuare le politiche sancite nei trattati europei, comprese le più recenti, deve disporre delle risorse finanziarie di cui necessita per soddisfare tali ambizioni. Ho pertanto votato a favore della raccolta di “risorse proprie” e della creazione di una “tassa sulle transazioni finanziarie” per finanziare il bilancio dell’Unione europea. L’incremento necessario del bilancio europeo dev’essere accompagnato da risparmi consistenti grazie all’ottimizzazione (aggregazione) delle spese. Inoltre, alla politica agricola comune (PAC), essenziale per la sicurezza e indipendenza alimentare del nostro continente, e alla politica regionale comunitaria, rafforzata mediante la creazione di una categoria intermedia di regioni per permettere che il sostegno finanziario aggiuntivo venga incanalato verso quelle regioni in cui il PIL pro capite si aggira tra il 75per cento e il 90per cento della media europea, quali Auvergne e Limousin, viene concesso nella relazione tutto lo spazio che meritano. Il documento è pertanto un aiuto inestimabile per i cittadini!

 
  
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  Liam Aylward (ALDE), per iscritto. (GA) Il settore agricolo europeo riveste un’importanza socioeconomica, in particolare per quanto riguarda la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare e la promozione delle comunità rurali e dell’ambiente. Pertanto, la PAC dev’essere dotata di un bilancio forte e di risorse adeguate per poter conseguire tali obiettivi. Appoggio pienamente quanto afferma la relazione sugli obiettivi e i compiti generali della PAC e sul fatto che per il 2013 non sono previsti tagli dei finanziamenti della PAC, per consentirle di soddisfare adeguatamente tali esigenze.

Sono molte le aspettative associate al prossimo quadro finanziario pluriennale in termini di conseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020, promozione della ricerca e dell’innovazione, lotta contro le sfide ambientali, raggiungimento degli obiettivi dei Fondi sociale europeo, di coesione e regionale, e incentivazione di istruzione, mobilità, formazione e apprendimento lungo tutto l’arco della vita. L’UE deve disporre di risorse adeguate e di un quadro finanziario pluriennale solido se vuole conseguire tali obiettivi e soddisfare le esigenze dei cittadini dell’Unione.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della relazione. L’Unione europea si trova di fronte a sfide enormi, e per superarle avrà bisogno di risorse finanziarie ingenti. è evidente che il sistema di risorse attuale del bilancio comunitario non sarà in grado di assicurare l’adempimento di tutti gli impegni presi. Sono d’accordo sulla necessità di sottoporre i principi di bilancio a una revisione fondamentale, di modo che, in futuro, i fondi del bilancio comunitario vengano attinti da risorse proprie. Inoltre, dobbiamo studiare urgentemente dei meccanismi di finanziamento innovativi, quali una tassa sulle transazioni finanziarie, che offrirebbe un contributo notevole al finanziamento del bilancio comunitario.

 
  
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  Bastiaan Belder (EFD), per iscritto. (NL) Non posso avallare la relazione Garriga Polledo. La ragione è che sono fondamentalmente contrario alla sostituzione dei contributi degli Stati membri con finanziamenti comunitari diretti, leggi un’imposta comunitaria. Dopo tutto, l’Unione dovrebbe essere a servizio degli Stati membri, un aspetto che dovrebbe essere visibile nell’assetto dei finanziamenti. In termini di contenuto, non mi convince il fatto che la strategia UE 2020 venga utilizzata quale linea guida per il quadro finanziario pluriennale. Gli obiettivi della strategia riguardano le politiche sociali e occupazionali, che rientrano nelle competenze dei singoli Stati membri. Il fallimento della strategia di Lisbona è una dimostrazione dello scenario in cui incapperemmo se basassimo la nostra strategia su questioni sulle quali l’UE non ha voce in capitolo. La relazione si propone inoltre di ridurre l’importo degli arretrati aumentando i pagamenti. Se i progetti non vengono attuati in maniera adeguata, la cosa più sensata da fare sarebbe assumere meno impegni contrattuali.

In breve, la relazione, nonostante gli enormi problemi economici che affliggono le economie europee, mostra di non avere alcuna comprensione del concetto di gestione di bilancio prudente. “Non fare il passo più lungo della gamba” è un suggerimento più indicato di questa richiesta inopportuna di risorse nuove e più consistenti. In questo modo, ripetiamo a livello europeo gli errori commessi da molti paesi negli ultimi anni.

 
  
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  Slavi Binev (NI), per iscritto. (BG) La Polledo relazione concentra la propria attenzione sulle numerose sfide che attendono l’Unione europea, ma principalmente sulla necessità di convincere i cittadini comuni del fatto che le istituzioni europee e l’Unione europea difendono i loro valori e interessi. Per questo accolgo con favore il prossimo quadro finanziario pluriennale, che sarà utile per persuadere i cittadini europei del fatto che l’Unione ha la capacità di riflettere e agire per proteggere i loro interessi a lungo termine e conseguire risultati efficaci nel garantire una crescita stabile e la coesione sociale. Benché alcune decisioni non mi trovino totalmente d’accordo, nel complesso la relazione tutela gli interessi della Bulgaria, e ho votato a favore della sua adozione.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. – Voto contro la relazione del collega Polledo per alcuni punti che considero critici all’interno della proposta messa in voto. Nonostante alcuni paragrafi siano condivisibili – come quello riguardante la riduzione a un'unica sede del Parlamento europeo – la relazione auspica l'istituzione di una vera e propria tassa europea per finanziare le attività dell’UE. Si parla di finanziamenti alle comunità rom, argomento che la mia formazione politica da sempre osteggia, si parla di cospicue previsioni di spesa in vista di un ulteriore allargamento dell'UE nella zona dei Balcani occidentali, altro punto su cui mi trovo in disaccordo. Infine, finanziamenti europei sarebbero destinati ai paesi in via di sviluppo per quanto concerne il cambiamento climatico, questione che aldilà della propaganda ambientalista non cambierà certo i destini dell’ecosistema.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della risoluzione, in quanto ritengo che il contributo del Parlamento europeo al dibattito su come distribuire in futuro (2014-2020) i fondi del bilancio comunitario e su quali aree finanziare per aiutare l’Europa a riprendersi dalla crisi globale sia particolarmente importante. In seguito alla discussione, la risoluzione adottata criticava l’idea formulata da alcuni Stati membri di congelare il bilancio comunitario ai livelli del 2013, alla luce delle difficoltà finanziarie riscontrate di recente da molti paesi dell’Unione. Tuttavia, all’atto di determinare la prospettiva finanziaria comunitaria per il 2014-2020, abbiamo avvertito l’esigenza di continuare a garantire il finanziamento necessario alle aree che stimolano la crescita economica e un notevole sviluppo. Tra queste aree figurano la ricerca e la promozione dell’innovazione, la lotta contro la disoccupazione, la povertà e l’esclusione, una preparazione adeguata ai cambiamenti demografici, un uso responsabile delle risorse naturali, la sicurezza interna ed esterna, la politica regionale e agricola, e lo sviluppo dell’energia e dell’infrastruttura dei trasporti.

 
  
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  Vito Bonsignore (PPE), per iscritto. – Mi congratulo con il relatore per il lavoro svolto cui ho dato un voto positivo. L'Europa, attraverso il prossimo quadro finanziario pluriennale deve fornire risposte certe ai cittadini che da troppo tempo soffrono la crisi economica e deve, assicurare una crescita solida nel lungo periodo. Fino ad ora l'Unione europea è rimasta ancora troppo al di sotto delle aspettative e delle ambizioni che invece dovrebbe avere. Dovremo affrontare sfide molto complesse oltre alla crisi economica, il declino demografico, le carenze energetiche e la risposta a tali sfide dovrà essere ricercata nella strategia UE 2020, che dovrà costituire il riferimento politico del prossimo QFP. Dobbiamo identificare una serie di priorità chiave per il prossimo QFP, come la crescita e l'occupazione, lo sviluppo sostenibile, la coesione per la crescita e l'occupazione, la cittadinanza e l'Europa globale.

È necessario quindi prevedere il prossimo QFP in un contesto di flessibilità tale da ovviare le lacune dell’attuale QFP. Infatti, sarebbe opportuno a tal riguardo prevedere una revisione intermedia che fornirebbe la possibilità di revisionare i massimali. Infine bisogna migliorare l'attuale sistema degli strumenti esterni al bilancio per la flessibilità, semplificandone l’impiego e fornendoli di dotazioni sufficienti. Il prossimo QFP dovrà incarnare al suo interno i principi di un giusto equilibrio tra stabilità, prevedibilità a medio termine e flessibilità.

 
  
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  Philippe Boulland (PPE), per iscritto. (FR) Mercoledì 8 giugno ho votato a favore di un incremento del bilancio 2014-2020. Come sappiamo, il bilancio rappresenta l’inizio di tutte le azioni politiche. Senza bilancio non ci sono progetti. Il bilancio comunitario deve pertanto rispecchiare la strategia di crescita dell’UE e le sue ambizioni per i cittadini. Gli Stati membri hanno suggerito di congelare il bilancio comunitario per due ragioni. Da una parte, i fondi provengono dai contributi dei paesi e, dall’altra, un bilancio immutato per il periodo 2014-2020 significa compromettere tutti i progetti comunitari di rilievo per ripristinare la crescita e investire nel futuro. Gli Stati membri desiderano che l’UE svolga un ruolo decisivo in termini di assunzione dei rischi, ma quando agisce in tal senso la criticano. Mi sono pertanto associato alla maggioranza dei miei onorevoli colleghi – ad eccezione degli euroscettici – e ho votato a favore di un incremento del bilancio del 5per cento per finanziare grandi progetti futuri. Siamo ora tutti al corrente del fatto che gli Stati non sono in grado di risolvere da soli i problemi causati dalla globalizzazione. Il prossimo passo consisterà nel dotare l’UE di un bilancio basato sulle “risorse proprie”, al fine di non dipendere più dalla “cattiva” volontà degli Stati.

 
  
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  Cristian Silviu Buşoi (ALDE), per iscritto. (RO) I poteri dell’UE si sono accresciuti nel corso degli anni, specialmente dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona. Tuttavia, il bilancio è cresciuto con una notevole lentezza. Ambiamo a un’Europa competitiva, sostenibile e inclusiva. Se vogliamo conseguire questo obiettivi ambizioso, ritengo che le risorse finanziarie dell’UE debbano essere altrettanto ambiziose.

Per questo ritengo che un incremento minimo del 5per cento del bilancio previsto per il prossimo QFP sia necessario. L’UE deve inoltre avviare una discussione approfondita sul tema delle risorse proprie, e coinvolgere i rappresentanti sia delle istituzioni europee sia dei parlamenti nazionali, in modo da raggiungere un consenso su un sistema di risorse proprie che garantisca l’attuazione efficace delle politiche europee. Appoggio l’idea espressa in questa relazione sulla necessità di incanalare le risorse verso quelle misure tese a conseguire gli obiettivi della strategia Europa 2020.

Mi associo inoltre pienamente all’esigenza di garantire coerenza e complementarietà tra i vari strumenti attualmente in vigore che sostengono la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione. Infine, un bilancio credibile dev’essere coerente e garantire una spesa efficiente evitando le duplicazioni nell’impiego dei fondi.

 
  
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  Françoise Castex (S&D), per iscritto. (FR) Mi sono espressa a favore della relazione. Il grande pregio di questo documento è che cerca di mobilizzare tutte le risorse di bilancio dell’UE in maniera coerente, quale mezzo per conseguire la strategia Europa 2020, e di assumere una posizione che è diametralmente opposta all’approccio miope degli Stati membri. Mentre tali paesi vogliono ridurre l’Europa al comun denominatore dei loro contributi, che vorrebbero che diminuissero, e dei suoi ritorni finanziari, che vorrebbero che aumentassero, la relazione si batte per mettere in campo politiche comunitarie forti e integrate, in termini sia di politiche di lunga data, sia di nuove competenze attribuite dal trattato di Lisbona.

 
  
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  Nessa Childers (S&D), per iscritto. (EN) Dobbiamo orientare il bilancio comunitario al XXI secolo. Il bilancio dev’essere all’altezza delle nostre ambizioni. Occorrono nuovi investimenti paneuropei per promuovere il valore aggiunto a livello europeo fungendo da catalizzatori per ulteriori investimenti privati e creando economie di scala. Occorrono investimenti ecologici massicci in aree quali le infrastrutture rinnovabili, con più parchi eolici al nord ed energia solare a sud. Gli investimenti irlandesi nell’energia eolica avranno un ritorno solamente se, ad esempio, vi sarà un’infrastruttura europea per esportare tale energia attraverso il Regno Unito e la Francia. Alla luce del rincaro dei prezzi del petrolio e dell’aumento dei danni ambientali, sappiamo che ora l’UE deve dare vita a una società più sostenibile diventando più efficiente dal punto di vista energetico, utilizzando più energie rinnovabili, investendo nei trasporti pubblici e garantendo che i nostri figli vivano in un ambiente salubre e pulito. Il bilancio comunitario del lungo periodo dovrebbe anche seguire gli obiettivi strategici concordati nella cosiddetta UE 2020, soprattutto i nostri obiettivi climatici vincolanti a livello internazionale. La PAC dovrebbe essere riformata e compensare gli agricoltori per il fatto che producono beni pubblici, quali aree rurali piacevoli e ricche di biodiversità. Occorre mantenere il bilancio della PAC per garantire l’erogazione di questi servizi ambientali imprescindibili in Irlanda e in tutta Europa.

 
  
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  Philip Claeys (NI) , per iscritto. (NL) The relazione sul quadro finanziario pluriennale dell’UE non tiene assolutamente conto delle frustrazioni degli Stati membri, degli elettori e dei contribuenti di tutta Europa. Si moltiplicano gli appelli a favore di entrate più cospicue per l’Unione europea mentre, al contempo, tutti gli altri livelli di amministrazione sono costretti a ricorrere ai tagli. Il fatto che non venga considerato tale aspetto testimonia la nostra profonda arroganza e alienazione dal mondo. L’Europa non deve fare il passo più lungo della gamba, deve concentrarsi sulle sue attività chiave e deve anch’essa mettere a segno tutta una serie di risparmi. Solo così riusciremo a ripristinare la fiducia degli elettori.

 
  
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  George Sabin Cutaş (S&D), per iscritto. (RO) Mi sono espresso a favore della relazione sul nuovo quadro finanziario pluriennale, in quanto introduce la possibilità di applicare una tassa sulle transazioni finanziarie a livello europeo. In questo modo verrebbe riscossa un’imposta sulle transazioni finanziarie speculative, scoraggiando tale pratica e generando nuovi introiti destinati agli Stati membri dell’Unione europea.

 
  
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  Christine De Veyrac (PPE), per iscritto. (FR) L’Unione europea, grazie ai suoi finanziamenti alla ricerca e innovazione, e mediante il suo sostegno all’agricoltura ma anche allo sviluppo regionale, contribuisce in maniera molto tangibile al rilancio delle economie europee. Per tale ragione, accolgo pienamente le proposte adottate oggi dal nostro Parlamento per la formulazione del bilancio dell’Unione europea per i prossimi sette anni. Per soddisfare le esigenze dei cittadini, il Parlamento ha proposto di creare, nel contesto dei Fondi strutturali, una nuova categoria di regioni il cui PIL pro capite si aggira tra il 75per cento e il 90per cento del PIL dell’Unione. Tali regioni riceveranno pertanto aiuti finanziari in base a criteri più consoni alla loro situazione. Appoggio appieno tale proposta che, ad esempio, produrrà vantaggi diretti per i cittadini della mia circoscrizione elettorale di Languedoc-Roussillon.

 
  
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  Philippe de Villiers (EFD), per iscritto. (FR) Il Parlamento europeo si è nuovamente espresso a gran voce sul bilancio europeo mediante il quadro finanziario pluriennale, una sorta di piano comunitario quinquennale.

L’UE, che impone agli Stati membri sacrifici che possono essere molto esigenti, non applica assolutamente tale saggio suggerimento a se stessa. Le proposte contenute in questo testo sono irreali e assomigliano più a degli incantesimi anestetizzanti; gli sprechi e la burocrazia hanno ancora un futuro radioso davanti.

Quel che è peggio, per sfuggire al “ricatto” degli Stati membri, che sono naturalmente riluttanti ad aumentare i loro già elevati contributi, il Parlamento solleva ancora una volta la questione delle risorse proprie dell’UE o, in una parola, di una tassa europea. Il nuovo motto europeo potrebbe essere “Fa quel che dico ma non quel che faccio”.

 
  
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  Karima Delli (Verts/ALE), per iscritto. (FR) Adottando la presente relazione, accolgo con favore il fatto che l’emendamento 74 sia stato mantenuto, in quanto chiede la creazione di una categoria di regioni definite “intermedie” per il prossimo periodo di programmazione (2007-2013) della politica di coesione, e risponde pertanto all’esigenza di una distribuzione più equa dei fondi strutturali e di coesione tra le regioni.

 
  
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  Lena Ek (ALDE), per iscritto.(SV) Condivido l’accento posto dalla relazione sulle sfide comuni che attendono l’Europa. Tratta le questioni del clima e dell’ambiente quali elementi costitutivi di tutte le aree di politica, si occupa della lotta per la democrazia, la pace e la libertà a livello globale, e dell’esigenza urgente di ricerca, innovazione e infrastrutture. La strategia Europa 2020 e gli investimenti in iniziative con valore aggiunto europeo hanno permeato le discussioni durante il lavoro svolto sulla relazione. Mi preoccupa tuttavia non poco il fatto che abbiamo concesso al Consiglio la facoltà di stabilire le priorità. Il Parlamento europeo avrebbe dovuto avere il coraggio di fissare tali priorità. Benché siano contenuti tutti i requisiti per un’Europa inclusiva, sostenibile e competitiva, non c’è dubbio alcuno sul fatto che non riusciremo mai a finanziare tutto in una volta attingendo al bilancio comunitario. Vorrei una strategia negoziale realistica e fattibile, che non è stata formulata, in quanto la relazione non stabilisce alcuna priorità chiara. Mi sono pertanto astenuta dalla votazione finale.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto.(PT) L’idea che il quadro finanziario pluriennale (QFP) debba sostenere la governance economica, quando l’UE si è già resa conto che un maggiore coordinamento della politica economica e un maggiore controllo della politica di bilancio sono entrambi necessari, mi sembra un concetto estremamente rilevante.

Oltre a quest’idea, la relazione contiene innumerevoli punti controversi che meritano ulteriori studi e approfondimenti. Valuto positivamente il fatto che il QFP sia stato messo a servizio degli obiettivi della strategia Europa 2020, che si proponga per lo meno di mantenere invariato il bilancio della politica agricola comune e di preservare il sistema dei due pilastri. Mi preme tuttavia ribadire nuovamente che la richiesta di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie è comparsa ancora una volta in una relazione che non è direttamente correlata alla fissazione della politica finanziaria, e che io non considero una pratica trasparente.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto.(PT) Mi congratulo col relatore per il lavoro eccellente, che si è tradotto in una relazione che ci consente di iniziare a redigere il prossimo quadro finanziario pluriennale (QFP) per il periodo successivo al 2013, che costituisce una sfida per la Commissione e per il Consiglio.

La strategia Europa 2020 è consensuale, le sue priorità sono chiare e i suoi obiettivi misurabili. Rappresenterà la nostra guida per le prossime prospettive finanziarie. Tuttavia, la strategia si tradurrà in un successo solamente se sarà dotata di un bilancio che corrisponda alle sue azioni e ai suoi obiettivi. In tal senso, è necessario che le cifre del QFP siano all’altezza dell’ambizione e dell’impegno rappresentato dalla strategia Europa 2020. La politica di coesione scaturisce dal principio di solidarietà. è importante che tale coesione sia economica, sociale e territoriale, e che sostenga le regioni più povere. Considero essenziale che i finanziamenti destinati alla politica di coesione vengano per lo meno mantenuti sugli stessi livelli.

La politica agricola comune (PAC) è stata un successo. Pertanto, anche gli importi complessivi destinati all’agricoltura andrebbero mantenuti invariati e distribuiti in maniera più equa. è importante prevedere un QFP le cui entrate non dipendano per più dell’80per cento dai bilanci nazionali. Sussiste pertanto l’esigenza impellente di proseguire la discussione sulle nuove risorse proprie.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto.(PT) Il relatore ha dichiarato che è giunto il momento di porre fine alle dichiarazioni d’intenti altisonanti che non sono adeguatamente sostenute da risorse finanziarie tali da consentire l’effettivo raggiungimento degli obiettivi annunciati. La relazione rappresenta un esempio perfetto di tale esercizio. In pratica, proponendo di congelare il bilancio comunitario fino alla revisione del 2020, con un incremento residuale del 5per cento, si pregiudicano molti degli obiettivi contenuti nelle 40 pagine del testo, in particolare quelli relativi alla coesione sociale ed economica.

Di fronte a una grave crisi economica e sociale, esacerbata dalla politica comunitaria, i bilanci che scaturiscono da queste prospettive finanziarie non saranno in grado di garantire una funzione ridistributiva, essenziale alla realizzazione efficace del principio di coesione. Abbiamo formulato innumerevoli proposte sull’esigenza di incrementare il bilancio comunitario per sostenere la coesione economica e sociale, nonché per ridimensionare la natura obbligatoria dei contributi nazionali, che verrebbero ridotti a un massimo del 10per cento del costo totale del progetto presentato, soprattutto nei paesi con le maggiori difficoltà finanziarie. Inoltre, abbiamo sottolineato l’importanza di promuovere gli investimenti nei servizi pubblici, di sostenere la produzione, di creare posti di lavoro corredati di diritti, di eliminare la povertà e di combattere le disuguaglianze sociali.

La direzione proposta dalla relazione è qualcosa di diverso; qualcosa di molto diverso. Per questo abbiamo votato contro.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto.(PT) Malgrado gli sporadici punti positivi, la relazione non suggerisce una rottura e un cambiamento rispetto alle politiche dell’Unione europea in materia di risorse finanziarie. Ci siamo pertanto espressi a sfavore.

Particolarmente grava è il fatto che non si occupi, quale priorità assoluta, della risposta ai gravi problemi sociali creati dalla crisi economica e sociale, con un incremento significativo del bilancio comunitario destinato alla coesione economica e sociale, accompagnato da un taglio dei contributi nazionali obbligatori, che dovrebbero essere ridimensionati a un massimo del 10per cento del progetto presentato. In particolare, nei paesi con le maggiori difficoltà finanziarie, dovrebbe privilegiare gli investimenti nei servizi pubblici, sostenere la produzione, creare posti di lavoro corredati di diritti, eliminare la povertà e combattere le disuguaglianze sociali e tutte le tipologie di discriminazione, non da ultimo quella di genere.

Inoltre, occorre promuovere la pace, la cooperazione e gli aiuti per lo sviluppo, e un taglio ragguardevole delle spese militari e di rappresentanza esterna.

La relazione si limita deplorevolmente a proporre un incremento residuale dell’attuale bilancio comunitario pari al 5per cento, pur opponendosi al congelamento del bilancio comunitario successivo al 2013, come richiesto da alcuni Stati membri. Tuttavia, l’incremento proposto significa che il prossimo quadro finanziario pluriennale (prospettive finanziarie) 2014-2020 rappresenterebbe solamente l’1,11per cento del reddito nazionale lordo (RNL) comunitario, invece dell’1,06per cento, la somma prevista per il 2013.

 
  
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  Monika Flašíková Beňová (S&D), per iscritto. (SK) In una situazione in cui molti Stati membri stanno adottando misure fiscali severe, il bilancio comunitario dev’essere quanto mai giustificato. Deve garantire il livello massimo possibile di valore aggiunto europeo, dev’essere gestito in modo ragionevole e sostenere per quanto possibile le risorse pubbliche e private. La struttura del quadro finanziario pluriennale (QFP) futuro dovrebbe essere realistica, garantire la continuità della pianificazione e colmare le lacune dell’attuale QFP, soprattutto la carenza di flessibilità nelle diverse aree. Per quanto riguarda il metodo di sviluppo di un sistema di risorse proprie per l’UE, gradualmente sostituito dai contributi dei paesi membri e percepito quindi come un onere eccessivo a carico delle casse pubbliche degli Stati membri, la riforma di tale sistema è più necessaria che mai.

A mio parere, un sistema migliore capace di assicurare equità, trasparenza e introiti di bilancio sufficienti farebbe sì che il processo decisionale a livello di bilancio si concentrasse maggiormente sulle priorità chiave dell’Unione. In particolare le esenzioni e i meccanismi correttivi attuali dovrebbero essere gradualmente aboliti, un passo essenziale verso una maggiore equità e trasparenza del bilancio comunitario.

 
  
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  Pat the Cope Gallagher (ALDE), per iscritto. (EN) Il bilancio comunitario post-2013 dev’essere all’altezza degli obiettivi di mantenimento della competitività, di potenziamento della crescita economica e di lotta alla disoccupazione galoppante in Europa. Ritengo che l’agricoltura e una politica agricola comune dotata di risorse adeguate siano cruciali per tale obiettivo. Appoggio pienamente la richiesta della relazione di correlare l’agricoltura alla strategia Europa 2020, in quanto sono fermamente convinto che il settore agricolo e alimentare possano offrire un contributo prezioso alla crescita economica futura in Irlanda e in tutta Europa. Per questo è essenziale tutelare e mantenere la somma approssimativa di 1,7 miliardi di euro che l’Irlanda riceve annualmente sotto la PAC. Una politica agricola comune dotata di risorse solide proteggerà la sicurezza alimentare europea, contribuirà ai nostri obiettivi in materia di cambiamenti climatici e preserverà l’occupazione nelle nostre comunità rurali. Mi rallegra che la relazione riconosca il ruolo ricoperto dai settori della pesca e dell’acquacoltura nel mantenere l’occupazione nelle regioni costiere, insulari e remote. Credo che vadano stanziati maggiori fondi a favore di tali comunità a titolo del Fondo europeo per la pesca post-2013. Il processo di pace in Irlanda ha beneficiato enormemente del bilancio comunitario. Esorto tutti gli eurodeputati a battersi per il mantenimento di questi programmi importanti.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. (FR) Nonostante la lunghezza eccezionale del testo, in sintesi il Parlamento chiede che dopo il 2013 il bilancio europeo, in termini di somme complessive e distribuzione, venga ripensato in funzione delle competenze e delle numerose priorità dell’Unione europea, come da esso definite.

La relazione ne propone pertanto l’incremento – di almeno il 5per cento in un primo tempo. Come verrà finanziato? Con una nuova imposta europea, naturalmente! Chi stanno cercando di prendere in giro? L’Europa costa già moltissimo. Quel è stato il risultato? Totale impotenza di fronte alla crisi, danni causati dall’euro, gli accordi commerciali e l’accordo di Schengen, prese di posizione sterili, interferenze e ostacoli in altri campi.

In un periodo in cui gli Stati membri sono costretti a tagliare drasticamente i loro bilanci, in cui i cittadini vengono esortati a tirare la cinghia, in cui i sistemi di sicurezza sociale sono messi a repentaglio dalla disoccupazione e dall’immigrazione, mentre i responsabili della crisi continuano a riempirsi le tasche e i mercati continuano a speculare, è scandaloso che quest’Assemblea, in combutta con Bruxelles, pretenda un solo centesimo in più per perseguire tali politiche e farle degenerare.

 
  
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  Estelle Grelier (S&D), per iscritto. (FR) Con l’adozione della relazione Garriga sulle sfide politiche e di bilancio che attendono l’Unione europea dopo il 2013, il Parlamento anticipa, in maniera eccessivamente timida, a mio parere, le discussioni che si terranno circa le prospettive finanziarie future dell’Unione. La relazione ribadisce il suo rifiuto di mettere in concorrenza tra loro le diverse politiche di competenza dell’UE e insiste sulla necessità di mobilizzare fondi sufficienti, in linea con la strategia UE 2020. Trasmette un messaggio chiaro agli Stati membri: intendiamo sostenere politiche integrate forti, ricorrendo a un aumento di bilancio pari almeno al 5per cento. Inoltre, in un contesto in cui i cittadini devono fare i conti con l’austerità, dobbiamo mantenere una politica di coesione forte. è quello che proponiamo nella relazione, oltre a un piano per l’istituzione di una categoria intermedia di regioni, che consentirà una distribuzione dei Fondi strutturali più in linea con le situazioni economiche e sociali reali dei nostri territori. Infine, l’Unione deve dotarsi di risorse finanziarie che siano all’altezza delle sue ambizioni. Abbiamo pertanto reiterato il nostro desiderio di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie, un progetto che gode di un ampio consenso pubblico e che incoraggerebbe un maggiore sostegno dei cittadini a favore del progetto europeo.

 
  
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  Roberto Gualtieri (S&D), per iscritto. – Con il voto della relazione Garriga il Parlamento europeo fa sentire la propria voce sul futuro del bilancio europeo e avanza una proposta ambiziosa per il prossimo quadro finanziario pluriannuale. La richiesta di aumentare il bilancio UE post-2013 del 5per cento - e quindi di un passaggio dall'1,06per cento al 1,11per cento del RNL dell'UE totale, corrisponde infatti alla volontà di mantenere impegni assunti in materia di sostegno alla crescita e allo sviluppo, in primo luogo la Strategia UE2020, per i quali sono necessarie risorse adeguate. E' importante, infatti, ricordare il valore aggiunto del bilancio europeo, che può fungere da volano per la crescita economica, la ricerca e lo sviluppo e l'occupazione, soprattutto per i giovani, in accompagnamento ai bilanci nazionali.

La relazione rafforza inoltre la posizione del Parlamento in favore di nuovi strumenti finanziari, come la Tassa sulle Transazioni finanziarie e gli Eurobond, che rappresentano un'opportunità per l'economia europea. Tocca ora alla Commissione raccogliere l'ambizione del Parlamento europeo, presentando le proprie proposte per il prossimo quadro finanziario europeo e non diventando ostaggio delle politiche di bilancio restrittive degli Stati membri.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della relazione, in quanto lancia un appello a favore della formulazione di politiche comunitarie forti e integrate. Ho dato il mio sostegno ad altri due punti importanti. Innanzi tutto, la creazione nella politica di coesione di una categoria di “regioni intermedie”, per garantire che la distribuzione dei Fondi strutturali più sia maggiormente in linea con le situazioni economiche e sociali reali dei nostri territori; e, in secondo luogo, un rinnovato appello per l’istituzione di un’imposta sulle transazioni finanziarie, quale nuova risorsa per salvaguardare le politiche economiche europee. In un periodo di politiche di austerità e di persistenza delle speculazioni finanziarie indiscriminate, è giusto pretendere che il settore finanziario faccia la sua parte per rilanciare un’economia che è stata messa in ginocchio dal suo comportamento irresponsabile.

 
  
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  Małgorzata Handzlik (PPE), per iscritto.(PL) La risoluzione adottata dal Parlamento europeo è il nostro primo contributo alla discussione sulla prospettiva finanziaria futura. Accolgo incondizionatamente la proposta di incrementare il bilancio dell’Unione europea nella prossima prospettiva di bilancio. Ritengo che l’Unione europea necessiti di un bilancio ambizioso, all’altezza delle sfide che ci attendono. Ridurre o congelare il bilancio europeo, come proposto da alcuni Stati membri, non è una soluzione adeguata per l’economia europea. Il bilancio europeo deve sostenere gli Stati membri ad uscire dalla crisi e dev’essere inoltre in grado di reagire più flessibilmente agli eventi inattesi. Approvo inoltre la proposta del Parlamento di categorizzare alcune aree come regioni intermedie, per garantirne lo sviluppo futuro malgrado il fatto che superino il criterio attualmente vincolante del 75per cento del PIL dell’Unione europea. L’introduzione di tale categoria sarà d’aiuto alle regioni ancora impegnate su molte sfide legate allo sviluppo, malgrado il loro superamento della media comunitaria e, nel prossimo futuro, rientreranno in tale categoria anche le regioni polacche.

 
  
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  Anna Hedh (S&D), per iscritto. (SV) Sono dell’avviso che il bilancio comunitario debba essere dotato di risorse sufficienti per poter finanziare gli impegni concordati. Al contempo, mi preme sottolineare che l’UE dovrebbe avere un atteggiamento improntato alla moderazione ed erogare tali risorse mediante una ridistribuzione del bilancio comunitario esistente. Non credo che l’importo complessivo del bilancio vada incrementato. Preferirei una riduzione del bilancio agricolo a favore delle priorità della ricerca e sviluppo e della conversione all’energia verde, ecc., stabilite nella strategia Europa 2020. Non ritengo pertanto che il livello di bilancio per il 2013 destinato all’agricoltura vada mantenuto, ma accoglierei con favore un’equa distribuzione degli aiuti all’agricoltura tra gli Stati membri.

Inoltre, reputo molto importante migliorare l’efficienza delle spese amministrative comunitarie, e un modo per farlo consiste nell’accrescere la trasparenza del processo di distribuzione e impiego di tali spese.

Non concordo con la revisione del massimale delle risorse proprie, in quanto dovrebbe essere possibile finanziare le politiche comunitarie mantenendo inalterato l’attuale reddito. Ravviso inoltre l’esigenza di rivedere il sistema comunitario delle risorse proprie. Il sistema attuale è molto complicato e carente in termini di trasparenza. I rimborsi non hanno contribuito all’equità del sistema, bensì hanno generato tutta una serie di nuove esenzioni e correzioni. Tuttavia, una modifica del sistema non conferisce all’UE un diritto diretto di tassazione, in quanto il trattato non contempla competenze del genere per l’Unione. Qualsiasi modifica del sistema delle risorse proprie è soggetta all’approvazione di tutti gli Stati membri prima di entrare in vigore.

 
  
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  Gunnar Hökmark (PPE), per iscritto. (SV) Nella votazione dell’8 giugno 2011, a Strasburgo, sulla relazione concernente il bilancio comunitario di lungo periodo, noi eurodeputati svedesi conservatori abbiamo scelto di esprimerci a sfavore, in quanto la proposta non stabilisce priorità in termini di spese importanti e meno importanti, un aspetto da noi ritenuto indispensabile. Invece di dare prova di leadership e di concentrarsi su fattori che possano tradursi in crescita e competitività per l’Europa, la proposta chiede un incremento del bilancio del 5per cento, per evitare di dover stabilire delle priorità. In un periodo in cui gli Stati membri dell’UE stanno combattendo contro ingenti disavanzi di bilancio e debiti nazionali crescenti, il Parlamento europeo sceglie di pretendere più fondi per l’UE. è una linea che non possiamo sostenere. Dovremmo invece abolire progressivamente le sovvenzioni per la politica agricola comune (PAC) e i Fondi strutturali, ma purtroppo la proposta oggetto della votazione va nella direzione opposta. Pur avendo respinto la relazione nel suo complesso, accogliamo con favore la formulazione della proposta riguardante un “incremento significativo” degli stanziamenti a favore di scienza e ricerca. è un obiettivo sul quale ci siamo impegnati molto e l’averlo incluso rappresenta un passo nella giusta direzione.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) All’atto di determinare le prospettive finanziarie dell’UE per il periodo 2014-2020, è necessario garantire un finanziamento adeguato delle aree che stimolano la crescita economica e uno sviluppo efficace, in altre parole, prediligere la ricerca e la promozione dell’innovazione, la lotta contro la disoccupazione, la povertà e l’esclusione, una preparazione adeguata ai cambiamenti demografici, un uso responsabile delle risorse naturali, la sicurezza interna ed esterna, la politica regionale e agricola, e lo sviluppo dell’energia e dell’infrastruttura dei trasporti. Mi sono astenuto dal votare sul documento perché dobbiamo sottoporre la politica agricola comune a una revisione radicale, che deve garantire un sistema equo e uniforme di pagamenti diretti, e occorre inoltre intervenire su molte altre aree importanti, senza le quali non potremmo creare un’Europa competitiva e forte.

 
  
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  Cătălin Sorin Ivan (S&D), per iscritto. (RO) La relazione in oggetto è forse una delle più importanti di questa legislatura. Ho avuto l’occasione di essere il relatore per la commissione per la cultura e l’istruzione, e reputo che l’accordo che è stato raggiunto, benché tutt’altro che perfetto, sia presumibilmente il migliore che potevamo raggiungere nell’attuale clima economico. Ho votato fiduciosamente a favore, e spero che il testo trasmetta un messaggio chiaro al Consiglio, che dovrà tener conto della posizione del Parlamento europeo.

 
  
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  Sandra Kalniete (PPE), per iscritto. (LV) Ho votato a favore della risoluzione, in quanto il testo identifica i problemi e le priorità principali dell’UE nel nuovo quadro finanziario pluriennale. Vorrei sottolineare in particolare la richiesta contenuta nella risoluzione, che invita la Commissione a presentare proposte a favore di una politica agricola comune (PAC) europea efficace ed efficiente, che distribuisca più equamente i pagamenti diretti tra Stati membri e agricoltori, e rafforzi il legame tra i beni pubblici erogati dagli agricoltori e le sovvenzioni versate ai medesimi. Appoggio pienamente la richiesta di mantenere invariati, anche per il prossimo periodo di programmazione finanziaria, i fondi stanziati per la PAC nel bilancio per il 2013, per consentire alla PAC di adempiere ai doveri e obiettivi più ampi ad essa assegnati. Il nuovo sistema finanziario dell’UE dev’essere più trasparente, semplice ed equo. Per questo appoggio le proposte a favore di una graduale sostituzione del sistema di contributi nazionali – che pone un accento smisurato sui bilanci netti tra gli Stati membri invece che sul principio di solidarietà e sull’interesse comune europeo – con le risorse proprie dell’Unione, che quest’ultima reperirebbe in maniera diretta e indipendente dai bilanci nazionali.

 
  
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  Krišjānis Kariņš (PPE), per iscritto. (LV) Benché la relazione del Parlamento europeo intitolata "Investire nel futuro: un nuovo quadro finanziario pluriennale (QFP) per un'Europa competitiva, sostenibile e inclusiva” contenga molte idee meritevoli di sostegno, ho deciso di non avallarla, in quanto ritengo che danneggi l’immagine dell’Unione europea agli occhi dei cittadini. La relazione suggerisce di incrementare l’onere fiscale a carico dei cittadini europei, e non posso accettarlo. è comprensibile che l’Europa debba disporre di finanze proprie e che le stesse possano essere reperite mediante la riscossione delle imposte. Tuttavia, ciò presupporrebbe la creazione di un’Europa federale, una questione che dovrebbe essere oggetto di discussioni aperte, e non venir imposta clandestinamente attraverso la politica tributaria. Se vogliamo proseguire lungo questa strada, dobbiamo prima accertarci che gli Stati membri siano disposti a rinunciare al loro gettito fiscale per il bene dell’Unione europea, e solo allora si potrebbe pensare di istituire un bilancio comune autofinanziato. Per i politici prendere questo tipo di decisione significa coinvolgere la società, e in questo caso non è successo.

 
  
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  Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Egregio Presidente, onorevoli colleghi, mi congratulo con l'onorevole Garriga Polledo per l'ottimo lavoro svolto sull'importante tema delle future prospettive finanziarie. Il collega ha infatti presentato all'aula un'efficace sintesi capace di ricomprendere le posizioni delle diverse delegazioni nazionali e dei vari gruppi politici. Condivido fortemente la scelta di richiedere un incremento delle risorse per il prossimo Quadro finanziario pluriennale, di almeno il cinque per cento. Vorrei, inoltre, sottolineare la parte della relazione relativa alla Politica Agricola Comune, considerando il mio ruolo di relatore per parere della commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale. Esprimo, pertanto, il mio pieno sostegno alla scelta di mantenere quantomeno inalterato il bilancio agricolo, ricordando che la PAC è l’unica vera politica europea, in grado di giocare un ruolo importante in un settore strategico, capace di fornire beni di pubblica utilità e di generare un autentico valore aggiunto europeo. Mi preme, infine, evidenziare quanto votato in relazione alla politica di coesione, dove si è riusciti ad inserire una clausola di salvaguardia nell'eventualità dell'introduzione delle c.d categorie intermedie, per evitare che si sottraessero risorse alle regioni di Obiettivo convergenza, competitività e cooperazione. Ciò significa che per finanziare un nuovo Obiettivo saranno necessarie risorse aggiuntive.

 
  
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  Olle Ludvigsson, Marita Ulvskog e Åsa Westlund (S&D), per iscritto. (SV) Riteniamo che al bilancio comunitario vadano conferite risorse sufficienti per poter finanziare gli impegni che sono stati concordati. Al contempo, ci preme sottolineare che l’UE dovrebbe per quanto possibile adottare un atteggiamento di moderazione e mettere a disposizione tali risorse mediante una ridistribuzione del bilancio comunitario esistente. Preferiremmo una riduzione del bilancio agricolo a favore delle priorità di ricerca e sviluppo e della conversione all’energia verde, ecc., come contemplato dalla strategia Europa 2020. Pertanto, non riteniamo che il livello di bilancio per il 2013 destinato all’agricoltura vada mantenuto, ma accoglieremmo con favore un’equa distribuzione degli aiuti all’agricoltura tra gli Stati membri.

Riteniamo inoltre che sia molto importante migliorare l’efficienza della spesa amministrativa comunitaria, e una soluzione in tal senso consiste nell’accrescere la trasparenza del processo di distribuzione e utilizzo di questa spesa.

Non concordiamo con la revisione del massimale delle risorse proprie, in quanto dovrebbe essere possibile finanziare le politiche comunitarie mantenendo inalterato l’attuale reddito. Ravvisiamo inoltre l’esigenza di rivedere il sistema comunitario delle risorse proprie. Il sistema attuale è molto complicato e carente in termini di trasparenza. I rimborsi non hanno contribuito all’equità del sistema, bensì hanno generato tutta una serie di nuove esenzioni e correzioni. Tuttavia, una modifica del sistema non conferisce all’UE un diritto diretto di tassazione, in quanto il trattato non contempla competenze del genere per l’Unione. Qualsiasi modifica del sistema delle risorse proprie è soggetta all’approvazione di tutti gli Stati membri prima di entrare in vigore.

 
  
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  Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. (RO) Questa proposta di risoluzione del Parlamento europeo intitolata "Investire nel futuro: un nuovo quadro finanziario pluriennale (QFP) per un'Europa competitiva, sostenibile e inclusiva" è importante sia per conseguire gli obiettivi UE 2020 (per quanto riguarda il ripristino e il mantenimento di una tutela a lungo termine per i livelli di crescita economica) sia per prevenire il riaffacciarsi dell’attuale crisi economica.

La relazione afferma che la strategia Europa 2020 dovrebbe definire le politiche del nuovo QFP, in quanto gli obiettivi (UE 2020) possono essere realizzati solamente mediante un impiego ottimale delle risorse esistenti (stabilite mediante le politiche del caso).

Pertanto, la fissazione delle priorità chiave per il QFP futuro, quali la conoscenza per la crescita economica, la coesione per la crescita economica e l’occupazione, la gestione delle risorse naturali e lo sviluppo sostenibile, i cittadini ed Europa globale, contribuirà a garantire lo stanziamento adeguato e l’impiego ottimale dei fondi esistenti. L’elaborazione di un nuovo QFP come previsto dalla relazione ci consentirà di mettere a punto un piano d’azione a lungo termine che produrrà risultati precisi e un potenziale di crescita economica per l’UE.

 
  
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  Astrid Lulling (PPE), per iscritto. (FR) Ho appoggiato la relazione Garriga Polledo in quanto ho ritenuto che la sua impostazione generale fosse giustificata alla luce delle sfide che attendono l’Unione europea nei prossimi anni. Non è realistico trasferire nuove responsabilità all’Europa senza incrementare le risorse finanziarie a cui la stessa può attingere.

Avrei pertanto gradito che il Parlamento europeo andasse oltre la fase delle pretese legittime e iniziasse a stabilire un determinato numero di priorità. Il ritornello “sempre più” ripetuto da diversi onorevoli è una risposta troppo comoda. Quel che ci occorre è essere convincenti a proposito dell’efficacia della spesa europea rispetto a quella nazionale. Inoltre, la dimensione qualitativa della spesa è per lo meno altrettanto importante di quella quantitativa. Infine, una fonte di considerevole risparmio potrebbe essere rappresentata dal trasferimento dei fondi non spesi a livello di Unione europea al bilancio comunitario invece che restituirli agli Stati membri.

Per quel che concerne l’introduzione di un sistema di risorse proprie, sono estremamente titubante circa l’introduzione unilaterale di una tassa sulle transazioni finanziarie non preceduta da una valutazione d’impatto seria. Sostenere una misura di questa natura senza conoscerne le implicazioni dimostra che la maggioranza del Parlamento europeo è sulla strada sbagliata.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Ho votato con rammarico contro questa risoluzione. Pur ritenendo che ci possano essere dei vantaggi nell’aggregazione delle risorse di 27 Stati membri, non me la sono sentita di votare a favore di un incremento del 5per cento del bilancio comunitario dopo il 2013, visto che non sono state esaminate dettagliatamente le spese correnti al fine di eliminare gli sprechi e le duplicazioni. Il bilancio comunitario oltre il 2013 deve dare la priorità alla crescita e alla creazione di posti di lavoro.

 
  
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  Clemente Mastella (PPE), per iscritto. – Il bilancio dell'Unione Europea dovrebbe fornire il massimo livello di valore aggiunto europeo, dovrebbe essere gestito in modo efficace e dimpiegare quante più risorse pubbliche e private possibile. Per far fronte alle sfide che ci attendono, sosteniamo gli obiettivi previsti dalla strategia Europa 2020, strategia che dovrebbe consentire all'Europa di riprendersi dalla crisi e di rafforzarsi tramite la creazione di occupazione ed una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Essa costituisce il riferimento politico del prossimo Quadro Finanziario Pluriennale che dovrà essere quanto più ambizioso possibile. In tale contesto, riteniamo che i settori prioritari per la prossima programmazione finanziaria dovranno interessare i seguenti ambiti: conoscenza per la crescita e l'occupazione, sviluppo sostenibile, coesione per la crescita e l'occupazione, cittadinanza ed Europa globale. La struttura del prossimo Quadro Finanziario Pluriennale dovrà essere realistica, facilitare la continuità della pianificazione, evitare le lacune di quella attuale e soprattutto individuare il giusto equilibrio tra stabilità, prevedibilità a medio termine e flessibilità. Infine, siamo dell'idea che per rendere il bilancio dell'Unione Europea più equo e trasparente, le eccezioni ed i meccanismi di correzione esistenti dovrebbero essere progressivamente eliminati.

 
  
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  Iosif Matula (PPE), per iscritto. (RO) La relazione Garriga è un banco di prova per l’efficienza delle politiche comunitarie in vista del prossimo periodo di programmazione. Il relatore ci mette di fronte a una sfida enorme, che implica il soddisfacimento degli interessi nazionali, così diversificati e, al contempo, il miglioramento del valore aggiunto europeo, che si rispecchia nel quadro finanziario pluriennale.

A mio parere, i cittadini europei devono comprendere più a fondo gli obiettivi della politica di coesione. Un’Europa forte, vale a dire un’Europa in grado di affrontare l’ambiente competitivo globale, è un obiettivo raggiungibile solamente se la politica di coesione viene mantenuta come elemento chiave nelle politiche comunitarie, il cui scopo dev’essere il raggiungimento di uno sviluppo equilibrato in ogni regione. Mi preme insistere sul mantenimento di una quota consistente delle prospettive future di bilancio a favore della politica di coesione. L’appianamento delle disparità economiche e sociali in seno all’UE deve continuare a essere la sua priorità primaria.

Per conseguire i risultati proposti, dobbiamo mantenere i criteri principali di stanziamento dei fondi in base al livello di sviluppo e alla convergenza tra le regioni comunitarie. Appoggio la relazione, in quanto ritengo che l’integrazione del quadro finanziario pluriennale dopo il 2013 sia una soluzione praticabile, che implica modificare la struttura corrente. Oltre a erogare fondi a favore della ricerca e sviluppo, dell’energia e dei trasporti, dobbiamo anche valutare degli investimenti nelle aree della coesione e dell’agricoltura.

 
  
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  Mario Mauro (PPE), per iscritto. – La relazione del collega Salvador Garriga su "Investire nel futuro: un nuovo quadro finanziario pluriennale (QFP) per un'Europa competitiva, sostenibile e inclusiva" costituisce un’importante passo nel riassetto istituzionale ed economico dell’Unione europea dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona. Sappiamo tutti che il nuovo trattato chiede nuovi settori di competenza da tenere in considerazione nel prossimo quadro finanziario pluriennale. Questo ci aiuterà senza dubbio ad affrontare le nuove sfide globali. Il mio voto è favorevole.

 
  
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  Arlene McCarthy (S&D), per iscritto. (EN) Gli eurodeputati del Labour Party ritengono che la spesa comunitaria debba concentrarsi in via prioritaria sul finanziamento di investimenti economici e sulla ricerca, che conferisce slancio all’economia e crea posti di lavoro. Una spesa comunitaria mirata rappresenta un modo per promuovere le economie locali e creare occupazione per le nostre comunità. Visti i tagli del governo, l’UE sta erogando risorse vitali per le regioni britanniche. Tuttavia, i contribuenti vorrebbero una maggiore convenienza. Per questo gli eurodeputati del Labour Party si sono espressi contro un incremento del 5per cento del bilancio. I risparmi possono e devono essere messi a segno in altre aree, in particolare nella politica agricola comune – comprese le sovvenzioni dannose sulle esportazioni agricole e le sovvenzioni al tabacco – per finanziare le priorità economiche dell’Europa.

La discussione sul prossimo quadro finanziario pluriennale è un’occasione per intraprendere riforma fondamentali e come tale va colta. Una politica del “comportarsi come se nulla fosse successo” non è praticabile in un’Europa che ha bisogno di fondi per l’occupazione e la crescita. Gli eurodeputati del Labour Party non ritengono che le famiglie debbano continuare a farsi carico di tutti i costi legati al contributo britannico al bilancio. Per questo chiediamo una discussione sulle modalità alternative di finanziamento dell’UE, riducendo gli importi derivanti dall’IVA e dai bilanci nazionali mediante soluzioni quali misure coordinate che colpiscano il settore finanziario, decisamente sottotassato.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto.(FR) Questa relazione rende la strategia Europa 2020 l’ossatura vera e propria del bilancio comunitario. Appoggia il semestre europeo, il meccanismo europeo di stabilità e il Patto euro plus. Non viene fatta parola della questione nucleare. Dovrebbe essere previsto un bilancio per questa voce? Credo di no.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto.(PT) In questo momento, molti Stati membri stanno intraprendendo adeguamenti di bilancio difficili, per cui la difesa del bilancio comunitario dovrebbe essere pienamente giustificata. Il bilancio comunitario dovrebbe tradursi nel livello massimo di valore aggiunto europeo (VAE), dovrebbe dare prova di una gestione solida e servire a stimolare per quanto possibile le risorse pubbliche e private.

La strategia Europa 2020 rappresenta la risposta dell’UE a tali sfide. Si tratta di una strategia tesa ad aiutare l’Europa a riprendersi dalla crisi e ad uscirne rafforzata, mediante la creazione di posti di lavoro e di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Concordo col relatore quando afferma che “la strategia Europa 2020 dovrebbe costituire il riferimento politico principale del prossimo [quadro finanziario pluriennale] e rispecchiare le ambizioni della strategia”. Le priorità del prossimo QFP andrebbero raggruppate attorno alle seguenti questioni: conoscenza per la crescita e l’occupazione, gestione delle risorse naturali e sviluppo sostenibile, coesione per la crescita e l’occupazione, cittadinanza, ed Europa globale.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (EN) La relazione della commissione speciale sulle sfide politiche e le risorse di bilancio definisce la priorità politiche del Parlamento per il quadro finanziario pluriennale dopo il 2013. Un punto importante della relazione è la richiesta di introdurre una o più risorse proprie autentiche in sostituzione del sistema attuale delle risorse RNL e al fine di conseguire un sistema finanziario autonomo, più equo, più trasparente, più semplice e più giusto. Per evitare gli abusi nell’utilizzo dei dati contabili, è necessario sostenere questa relazione. Ho votato favorevolmente.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Dal momento del fallimento del pacchetto di salvataggio dell’euro, ai contribuenti netti è stato chiesto di versare importi doppi o tripli. Negli anni a venire, al posto delle garanzie, in questi meccanismi di salvataggio verranno versate somme consistenti di denaro, che dovranno essere finanziate dai contribuenti netti, in altre parole, dai cittadini operosi di Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi e Austria, che le attingeranno dai loro bilanci nazionali; questi paesi stanno già subendo i primi, dolorosi tagli. Pretendere un incremento del bilancio in questa situazione di difficoltà è scandaloso. Non ci serve un bilancio comunitario gonfiato, di dieci volte maggiore del necessario; non ci occorre un bilancio finanziato dai contribuenti dell’UE che ha dimenticato completamente il concetto di risparmio; non ci serve una burocrazia di Bruxelles elefantiaca che lasci i contribuenti netti in mutande. Dovremmo invece percorrere coerentemente ogni strada che possa condurci al risparmio.

Le sovvenzioni all’agricoltura, la voce di bilancio più ampia e più controversa, andrebbero razionalizzate. In questo modo, si ridurrebbero le pressioni sul bilancio comunitario e gli Stati membri potrebbero rispondere più agevolmente al carattere specifico del loro settore agricolo. Per tale ragione, non ho esitazione a votare contro la relazione Garriga Polledo.

 
  
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  Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. (RO) Mi sono espresso a sfavore dell’emendamento n. 39 della relazione e, per estensione, all’emendamento 62. Ritengo che sia necessaria la creazione di una categoria intermedia di regioni per la durata del prossimo periodo di programmazione, all’unica condizione che lo stanziamento dei fondi destinati a tali regioni non intacchi gli stanziamenti mirati al conseguimento degli obiettivi di convergenza e competitività.

 
  
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  Sławomir Witold Nitras (PPE), per iscritto.(PL) Nella votazione odierna sulla relazione Garriga Polledo intitolata "Investire nel futuro: un nuovo quadro finanziario pluriennale (QFP) per un'Europa competitiva, sostenibile e inclusiva" mi sono astenuto dal votare sugli emendamenti presentati dal gruppo dell’Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, dal gruppo Verde/ Alleanza libera europea e dal gruppo Confederale della Sinistra Europea Unita/Sinistra Verde Nordica riguardanti la trasmissione alla Commissione europea di suggerimenti in merito all’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie. Non me la sono sentita di appoggiare tale orientamento, benché sia un ardente sostenitore di un’imposta che consenta all’UE di dotarsi di entrate proprie. Una tassa europea garantirebbe il conseguimento degli obiettivi comunitari senza i vincoli imposti dalle posizioni degli Stati membri, che sacrificano troppo spesso gli interessi comunitari a favore di obiettivi a breve termine. Ritengo tuttavia che sia poco saggio proporre l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie solamente nell’Unione europea. La nostra sfida consiste nel rendere l’economia europea la più competitiva al mondo e, a mio parere, è inaccettabile creare un onere che si tradurrebbe nella fuga di capitali dall’Europa. Analogamente, ritengo che i tentativi di introdurre una tassa sul carbonio in alternativa alla TTF siano deleteri.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. (DE) I cittadini operosi d’Europa ricevono richieste sempre più frequenti di contributi sempre più elevati. In seguito alla misura disastrosa rappresentata dal pacchetto di salvataggio dell’euro, in cui i contribuenti netti hanno semplicemente dovuto pagare lo scotto della cattiva gestione e della corruzione di alcuni paesi meridionali, l’intenzione adesso è di chiedere ai cittadini dei paesi contribuenti netti, già sovraccarichi di oneri, di sborsare ancor più denaro. Invece di cogliere ogni occasione di risparmio, si procede a un incremento delle spese. Dovremmo puntare a ridurre quest’onere, non a incrementarlo. Ho pertanto votato contro la proposta.

 
  
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  Rolandas Paksas (EFD), per iscritto. (LT) Dobbiamo istituire un quadro finanziario pluriennale (QFP) che garantisca un finanziamento trasparente ed efficiente della politica comunitaria e che impedisca il ripetersi della crisi. La strategia Europa 2020 dovrebbe essere il quadro politico di riferimento del QFP. E soprattutto, un eventuale nuovo sistema di finanziamento del bilancio non dovrebbe comportare un appesantimento dell’onere a carico delle casse nazionali o un aumento delle tasse per i cittadini. Per contrastare l’insoddisfazione dei cittadini europei per la spesa attuale, è necessario migliorare la qualità dell’attuazione e dell’applicazione delle spese. Dobbiamo accrescere la trasparenza nello stanziamento e impiego dei fondi, nonché ridurre i costi amministrativi e la burocrazia. Andrebbe dedicata un’attenzione speciale alla riduzione della povertà e della disoccupazione, all’industria e all’energia, nonché alla creazione di una società basata sulla conoscenza. Dobbiamo prevedere un finanziamento adeguato dei progetti di ricerca e sviluppo su larga scala. Alla luce dell’importanza delle piccole e medie imprese (PMI), occorre stanziare risorse finanziarie adeguate per migliorarne le condizioni operative. Non concordo con la proposta di ridurre il finanziamento a favore della politica agricola comune in futuro, in quanto l’agricoltura è un settore particolarmente sensibile. Ridimensionarne le sovvenzioni si tradurrebbe in conseguenze particolarmente negative per gli agricoltori di tutti i paesi comunitari. Il Fondo sociale europeo dovrebbe diventare una priorità politica, al fine di conseguire obiettivi sociali ed occupazionali. Occorre migliorare i sistemi di monitoraggio e valutazione dell’applicazione della politica di coesione. In vista della prossima fase di allargamento dell’Unione, il QFP deve garantire una spesa adeguatamente bilanciata.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Ho votato a favore della relazione del collega Garriga Polledo, perché credo che, per il futuro, gli strumenti finanziari dovranno essere efficaci, rafforzare la coesione e preparare l'UE per le sfide del mercato globale. Condivido l'impianto del testo; vi sono tuttavia due punti che non ho condiviso e su cui mi sono espresso in modo contrario: la tassa sulle transazioni finanziarie e gli emendamenti volti a introdurre la cosiddetta "categoria intermedia". Non ritengo, infatti, che sia opportuno inserire un riferimento alla tassa sulle transazioni finanziarie in questa relazione; il dibattito su tale tassa è importante, ma richiede un'analisi approfondita. L'inserimento di una categoria intermedia, invece, andrebbe a compromettere l'approccio orizzontale per le regioni a obiettivo 2 che si è dimostrato efficace in questi anni, il sistema di phasing-out e i fondi per le regioni a obiettivo 1, comportando un danno per le regioni italiane, a vantaggio di quelle dei nuovi Stati membri, che già, con il recente allargamento, beneficiano di un ingente quota di fondi.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto.(PT) Il nuovo quadro finanziario pluriennale (QFP) è cruciale per un’attuazione adeguata dalla strategia Europa 2020 e, in generale, per creare le condizioni di uno sviluppo solido che possa rispondere sia ai problemi che affliggono i vari popoli europei, sia alle loro aspettative di miglioramento di vita. In tale contesto, elogio l’autore della relazione per aver proposto un QFP settennale, in linea con la strategia Europa 2020, soggetto a una revisione intermedia e che presupponga come minimo quanto segue: il mantenimento del bilancio comunitario, con particolare enfasi sulla politica agricola comune (PAC) e sulla politica di coesione; una maggiore flessibilità, che diventa più necessaria man mano che i vincoli finanziari divengono più tangibili; una maggiore responsabilità democratica, di modo che i fondi europei possano veramente promuovere progetti di sviluppo che siano in grado di essere sostenibili.

In tale contesto, è importante che le regioni che sono già uscite dall’Obiettivo 1 possano passare a una fase intermedia, che rafforzi lo sviluppo di cui si sono già dimostrate capaci, invece di venir abbandonate all’improvviso, pregiudicando in tal modo i progressi messi a segno nel frattempo.

 
  
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  Marit Paulsen, Olle Schmidt e Cecilia Wikström (ALDE), per iscritto. (SV) Condividiamo l’accento posto dalla relazione sulle sfide comuni che attendono l’Europa: clima e ambiente, la lotta per la democrazia, la pace e la libertà a livello globale, e l’esigenza urgente di ricerca, innovazione e infrastrutture. La strategia Europa 2020 e gli investimenti in iniziative con valore aggiunto europeo hanno permeato le discussioni durante il lavoro svolto sulla relazione.

Ci preoccupa tuttavia non poco il fatto che abbiamo concesso al Consiglio la facoltà di stabilire le priorità, uno sviluppo molto infelice per il Parlamento europeo. Benché siano contenuti tutti i requisiti per un’Europa inclusiva, sostenibile e competitiva, non c’è dubbio alcuno sul fatto che non riusciremo mai a finanziare tutto in una volta attingendo al bilancio comunitario. Vorremmo una strategia negoziale realistica e fattibile, ma visto che la relazione non stabilisce priorità chiare, riteniamo che tale obiettivo non sia stato raggiunto. Le nostre proposte di ammodernamento del bilancio comunitario non sono state inserite nel documento finale. Per queste ragioni, e anche per altre, ci siamo astenuti dalla votazione finale.

 
  
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  Vincent Peillon (S&D), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della relazione presentata dall’onorevole Garriga Polledo a nome della commissione speciale sulle sfide politiche e le risorse di bilancio per un’Unione europea sostenibile dopo il 2013. In un contesto di crescente populismo, vengono regolarmente messe in discussione l’efficacia e persino la rilevanza delle politiche comunitarie. Ciononostante, alla luce delle crisi attuali, che siano di natura finanziaria, economica, sociale o climatica, non ci serve meno Europa, ce ne serve di più. La relazione propone pertanto di dotare finalmente l’UE di risorse che siano all’altezza delle sue ambizioni, proponendo un incremento sostanziale del bilancio comunitario pari a un minimo del 5per cento e una mobilizzazione delle risorse di bilancio dell’Unione a vantaggio della strategia UE 2020. Grazie all’intervento del gruppo dell’Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, il Parlamento europeo ha inserito nella relazione anche due misure forti: per quanto riguarda le entrate, una riforma radicale del sistema delle risorse proprie, in particolare mediante l’istituzione di una tassa sulle transazioni finanziarie (Tobin tax); in termini di spesa, la creazione di una categoria di “regioni intermedie” per accrescere la solidarietà tra i territori dell’UE e garantire una distribuzione più equa dei Fondi strutturali della politica regionale.

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto. (RO) La combinazione di fattori quali la riduzione della popolazione attiva e l’aumento dei pensionati darà luogo a tensioni aggiuntive in termini di sistemi di protezione sociale e di competitività economica, causando problemi sempre maggiori di povertà legata al genere, alla luce del numero elevato di donne anziane e delle disparità esistenti in termini di protezione sociale.

Va sottolineata l’importanza del gender budgeting quale strumento di governance per migliorare l’efficienza e l’equità, il monitoraggio adeguato del modo in cui gli stanziamenti di bilancio incidono sulle opportunità economiche e sociali di uomini e donne, e la flessibilità di ristrutturare gli stanziamenti che influiscono negativamente sul conseguimento dell’uguaglianza di genere.

Nel piano d’investimento europeo per l’occupazione, la protezione ambientale e l’innovazione occorre inserire misure specifiche per sviluppare le competenze tecniche e scientifiche delle giovani donne, al fine di migliorarne le qualifiche e l’occupabilità soprattutto nei settori strategici di crescita in cui sono sottorappresentate.

Il Fondo sociale europeo (FSE) dovrebbe erogare risorse adeguate a favore di misure volte a migliorare l’accesso al mercato del lavoro e a combattere la disoccupazione e l’esclusione sociale. Al contempo, invito la Commissione europea a proporre misure attive mediante il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) per sostenere l’occupazione delle donne nella aree rurali.

 
  
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  Phil Prendergast (S&D), per iscritto. (EN) La rinegoziazione del bilancio comunitario inciderà sul modo in cui l’Unione opererà nei prossimi anni e sui programmi che potrà permettersi di finanziare. Il bilancio, quale percentuale del reddito nazionale lordo comunitario, dovrebbe rispecchiare le priorità concordate dall’Unione europea. Ma i negoziati devono anche riflettere le esigenze degli Stati membri alla luce degli sforzi di consolidamento in corso in molti paesi, tra cui l’Irlanda. Le difficoltà finanziarie attuali non devono indurci a trascurare l’obiettivo di stimolare la crescita, la produttività e la coesione sociale nella strategia per la crescita Europa 2020. Le politiche che accrescono la produttività, in particolare quelle nell’energia verde e nella ricerca e sviluppo, devono essere riconosciute quale motore trainante del futuro economico dell’Unione. Un’altra questione d’importanza capitale, non solo per l’Irlanda ma per l’UE nel suo complesso, è la politica agricola comune. è noto che interverranno importanti cambiamenti dopo il 2013, ma le modifiche in termini di pagamenti della PAC dovrebbero essere graduali, per permettere agli agricoltori di adeguarsi alla nuova situazione. Al contempo, il bilancio della PAC deve aiutare gli agricoltori europei ad adattarsi alle nuove sfide e opportunità.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto.(PT) Il quadro finanziario pluriennale dell’UE rappresenta un’occasione per compiere scelte strategiche per il futuro. Di fatto, in un momento di profonda contrazione delle azioni statali, l’incremento del bilancio comunitario rappresenta un atto di fiducia nel progetto comune e di rafforzamento degli interventi sovranazionali. Gli Stati membri si trovano infatti a dover affrontare tutta una serie di sfide, la cui soluzione può essere individuata solamente a livello comunitario.

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Fare di più con meno risorse, come raccomandano determinati Stati membri, è una missione impossibile! Di qui l’importanza della relazione adottata questo pomeriggio sul nuovo quadro finanziario pluriennale dopo il 2013. Il documento fornisce orientamenti per consentire all’Unione europea di inaugurare un periodo di competitività, solidarietà e buona governance autentiche. Precisa che, in assenza di riassegnazioni significative in seno al bilancio delle risorse aggiuntive, l’Europa non sarà mai in grado di portare a termine le nuove missioni ad essa assegnate ai sensi del trattato di Lisbona, né di intraprendere la via della crescita sostenibile.

Tuttavia, vi sono molti campi che possono contribuire alle sinergie o alle economie di scala: il servizio europeo per l’azione esterna, gli aiuti umanitari e la protezione civile, l’aggregazione delle risorse nella difesa, la ricerca e l’innovazione, progetti infrastrutturali di rilievo (soprattutto nelle aree dell’energia e dei trasporti).

Un’altra idea che merita di essere portata avanti è quella di abolire gradualmente le sovvenzioni dannose all’ambiente, analogamente a quanto fatto dalla Commissione per il tabacco. Mi rallegro inoltre che il Parlamento europeo abbia ribadito il proprio sostegno alle risorse proprie, perché è giustissimo che l’Unione gestisca il proprio bilancio.

 
  
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  Crescenzio Rivellini (PPE), per iscritto. – Ho votato contro gli emendamenti alla relazione dell'on. Garriga che chiedevano di introdurre, per il prossimo periodo di programmazione finanziaria, delle categorie intermedie di regioni ovvero quelle aree con un PIL pro capite compreso tra il 75per cento e il 90per cento del PIL dell'Unione. Questa innovazione, infatti, apparentemente di apertura e di maggiore flessibilità finanziaria – in un periodo di austerità e di restrizioni di bilancio come quello attuale – comporta necessariamente una diminuzione dei fondi nei confronti delle altre regioni ed in particolar modo penalizza quelle dell'obiettivo 1 (convergenza) tra cui si ritrovano in particolare le regioni del Sud d'Italia. Noto con dispiacere che i colleghi non abbiano colto questo aspetto e si siano lasciati influenzare da logiche contrarie ai principi di solidarietà europea; fortunatamente l'emendamento 64 approvato sottolinea come queste misure transitorie non devono, ad ogni modo, andare a scapito delle attuali regioni con obiettivo convergenza, competitività e cooperazione (obiettivi 1, 2, 3).

 
  
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  Robert Rochefort (ALDE), per iscritto. (FR) Le nostre risposte alle sfide a cui ci troviamo di fronte – la crisi economica, la rapida ascesa delle economie emergenti, il cambiamento climatico, il cambiamento demografico tumultuoso e così via – possono essere efficaci soltanto se le concordiamo collettivamente, a livello europeo. Sono profondamente convinto che dovremmo intraprendere la via di un maggiore coinvolgimento dell’Unione europea. Benché il bilancio comunitario rappresenti una leva politica di rilievo, il massimale delle risorse proprie comunitarie è invariato dal 1993. Questa risoluzione propone che il bilancio europeo riceva degli stanziamenti di risorse che siano all’altezza delle ambizioni dell’Unione. Sono totalmente favorevole a quest’idea e la condivido appieno. Personalmente, guardo con particolare favore all’attuazione quanto mai tempestiva della tassa europea sulle transazioni finanziarie, se non si riuscisse a trovare un accordo a livello globale. Benché non approvi pienamente che le risorse così liberate vengano assegnate al bilancio dell’Unione, in quanto ritengo che dovrebbero beneficiarne gli obiettivi di sviluppo del Millennio, almeno in parte, ho votato a favore del paragrafo 171 per trasmettere un segnale positivo a Commissione e Consiglio circa l’attuazione di tale imposta.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) A favore. Come ha dichiarato poc’anzi il mio collega, l’onorevole Eickhout, congelare o ridurre il bilancio comunitario dopo il 2013 non rappresenta un approccio credibile se l’UE e gli Stati membri vogliono seriamente realizzare le priorità politiche che si sono posti, segnatamente nella strategia Europa 2020. Il coordinamento dei finanziamenti e delle azioni comunitarie costituisce senza ombra di dubbio un modo di conseguire i nostri obiettivi comuni che è preferibile alle azioni individuali. Accogliamo con favore il fatto che gli eurodeputati abbiano chiaramente manifestato tale intenzione prima della prossima discussione sul finanziamento futuro dell’UE. L’UE necessita di un sistema adeguato e prevedibile di finanziamento del proprio bilancio, per porre fine alle dispute interminabili e deleterie sui contributi nazionali al bilancio comunitario. L’introduzione di un sistema di “risorse proprie” autentico e significativo per finanziare il bilancio comunitario è l’unico modo per realizzare tale fine, e ci rallegriamo che il PE si sia così unanimemente schierato a favore di questa priorità che i Verdi caldeggiano da tempo.

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE), per iscritto. – Ritengo che con il voto di oggi il Parlamento europeo abbia mandato un segnale forte e chiaro agli Stati membri che chiedono di congelare il bilancio 2014 - 2020 dell'UE. Questa sostanziale riduzione delle risorse non rappresenta infatti una scelta valida per coloro che credono in un'Europa realmente competitiva e i paesi che portano avanti questa richiesta dovrebbero anche precisare con coerenza quali progetti prioritari dovrebbero essere abbandonati per far fronte a simili tagli.

La brutta abitudine di prendere un impegno politico senza le risorse finanziarie sufficienti deve essere interrotta, perché mina la progettualità e la credibilità di tutto il sistema europeo. Andare a toccare al ribasso i bilanci a lungo termine rischierebbe di compromettere sia l'incremento della spesa per la ricerca e l'innovazione sia gli investimenti per le infrastrutture, la politica estera e l'allargamento, e fare questo proprio ora comporterebbe gravi conseguenze per il futuro di tutti i Paesi membri.

 
  
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  Tokia Saïfi (PPE), per iscritto. (FR) Nell’ambito della votazione su "Investire nel futuro: un nuovo quadro finanziario pluriennale (QFP) per un'Europa competitiva, sostenibile e inclusiva", ho votato a favore della creazione di una categoria intermedia di regioni con un PIL pro capite compreso tra il 75per cento e il 90per cento del PIL dell’UE. Dieci regioni francesi dovrebbero rientrare nei criteri di questa nuova categoria, tra cui Nord-Pas-de-Calais e Picardie.

La creazione di questa terza categoria di regioni consentirà loro di beneficiare dei finanziamenti per l’occupazione, la crescita sostenibile e la competitività. Un altro punto importante della relazione è il sostegno all’istituzione di un sistema di finanziamento del bilancio europeo che si rivela più trasparente, semplice ed equo. Tra le misure proposte dalla Commissione, figura la creazione di una tassa sulle transazioni finanziarie. Il Parlamento si esprime spesso a favore di tale imposta, e io appoggio con convinzione tale misura che migliorerà l’operatività dei mercati riducendo le speculazioni, contribuendo a finanziare i beni pubblici globali e a ridurre il disavanzi di bilancio.

 
  
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  Antolín Sánchez Presedo (S&D), per iscritto.(ES) Anche se avrei preferito un esito più ambizioso, la relazione Garriga Polledo sulla prospettiva finanziaria a decorrere dal 2014 rappresenta un passo in avanti, il risultato di un ampio compromesso politico raggiunto in seno alla commissione speciale, creata per la prima volta al Parlamento, prima della presentazione della proposta della Commissione.

La relazione riconosce la necessità di stanziare maggiori risorse per realizzare gli obiettivi della strategia Europa 2020, per sviluppare le politiche europee e onorare gli impegni derivanti dall’allargamento e dal trattato di Lisbona. Sostiene la necessità di risorse proprie nuove, aprendo così le porte a un’Unione fiscale e a una tassa sulle transazioni finanziarie che andrebbe estesa al resto del mondo. A partire dal 2020, propone periodi di cinque anni (o di cinque più cinque anni) che sono maggiormente in sintonia col mandato delle istituzioni.

Reputo che il sostegno alle attività correlate al mare e la creazione di una nuova categoria di regioni con un reddito pro capite tra il 75per cento e il 90per cento dell’UE uno sviluppo molto positivo per la Galizia. è necessario per evitare l’interruzione del flusso di fondi comunitari e per garantire una transizione verso una migliore competitività e la promozione della convergenza sulla via dello sviluppo sostenibile.

 
  
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  Alf Svensson (PPE), per iscritto.(SV) Quando mercoledì 8 giugno il Parlamento europeo ha votato su "Investire nel futuro: un nuovo quadro finanziario pluriennale (QFP) per un'Europa competitiva, sostenibile e inclusiva", ho scelto di esprimermi contro la relazione. In un periodo in cui gli Stati membri dell’UE sono sottoposti a enormi pressioni di bilancio, mi delude constatare come il Parlamento europeo, invece di fissare delle priorità, scelga di incrementare il bilancio almeno del 5per cento. Il Parlamento europeo ha votato a favore del mantenimento dei contributi in aree che tengono l’economia europea incatenata a metodi obsoleti, ad esempio stanziando delle somme per la politica agricola comune che sono per lo meno altrettanto ingenti di quelle dell’esercizio 2013. Mi oppongo inoltre alla proposta del Parlamento europeo di riformare i finanziamenti comunitari introducendo un sistema di risorse proprie. Alcune di tali risorse dovrebbero essere generate da una tassa sulle transazioni finanziarie (TTF).

 
  
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  Keith Taylor (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Mi esprimerò a favore di un emendamento della relazione sul quadro finanziario pluriennale (QFP) che limita i contributi dei paesi dell’UE al tasso di inflazione (attualmente, 3,2per cento) o a una percentuale ad esso inferiore, come suggerito dai capi di Stato di Regno Unito, Francia, Germania, Paesi Bassi e Finlandia. La relazione Garriga sul QFP si propone di incrementare i finanziamenti provenienti dagli Stati membri per il periodo 2014-2020 del 5per cento, una proposta che non condivido in un periodo in cui il Regno Unito si trova in una congiuntura estremamente avversa a causa delle misure di austerità pericolose e socialmente dirompenti promosse dal governo. Non condivido molte delle misure promosse nella relazione e negli emendamenti dei Verdi, in particolare per quanto riguarda il Green New Deal, l’abolizione dei rimborsi nazionali e le risorse proprie per l’UE, e mi preoccupa che parte degli aumenti superiori all’inflazione servano a onorare gli obblighi stabiliti dal trattato di Lisbona. Tuttavia, nel QFP rimangono molte linee di bilancio costose che non andrebbero sostenute, e penso ai 6,6 miliardi di euro destinati alla fusione nucleare, giusto per fare un esempio. La mia argomentazione è la seguente: se non vi sono finanziamenti sufficienti dopo gli incrementi – pari solamente all’aumento dell’inflazione – dei contributi dei paesi membri, occorrerebbe individuare un modo per riassegnare le linee di bilancio per colmare eventuali ammanchi.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto.(PT) Europa 2020 è la strategia europea che si propone di rispondere alle nuove sfide globali dell’UE e dei suoi vari Stati membri, pertanto è importante fissare in maniera strutturata le condizioni economiche e finanziarie che ne guideranno l’applicazione nel periodo 2014-2021. La relazione vuole contribuire a delineare il quadro finanziario pluriennale (QFP) dopo il 2013, approvando un incremento del 5per cento degli stanziamenti di bilancio sul QFP attuale, il mantenimento dei finanziamenti per la coesione e l’agricoltura, e un rafforzamento finanziario delle aree di ricerca, sviluppo e innovazione, nonché energia e trasporti.

Ho votato a favore della relazione, in quanto ritengo che il suo contenuto strategico sia positivo e, in generale, perché il bilancio è in linea con gli obiettivi iscritti nella strategia Europa 2020.

Il rafforzamento della governance economica e l’importanza della politica di coesione sono alcune delle aree che mi preme sottolineare nella ricerca di un’Europa più intelligente, sostenibile e inclusiva. Reputo importante creare una categoria intermedia di regioni il cui prodotto interno lordo (PIL) pro capite sia compreso tra il 75per cento e il 90per cento del PIL UE, contribuendo pertanto ad accrescere l’uguaglianza a livello regionale. Vorrei comunque sottolineare che questa nuova categoria non dovrebbe andare a discapito delle regioni più svantaggiate in termini di assegnazione dei fondi comunitari.

 
  
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  Georgios Toussas (GUE/NGL), per iscritto. (EL) Gli eurodeputati del ΚΚΕ si sono espressi contro la relazione, in quanto esprime in termini tutt’altro che incerti le politiche strategiche e le priorità economiche del capitale dei monopoli, che l’UE è chiamata a servire e ad attuare nel corso dei prossimi anni, sulla scia della crisi capitalista in corso. I dati contenuti nel quadro finanziario attuale dimostrano che i fondi disponibili del bilancio comunitario, invece di essere impiegati per soddisfare i bisogni della popolazione, vengono utilizzati contro di essa, vale a dire per sostenere la redditività dei gruppi monopolistici. è una menzogna che il tratto saliente della relazione sia la presunta richiesta del Parlamento europeo di incrementare le spese del bilancio comunitario del 5per cento dopo il 2013. L’aspetto prevalente della relazione è la richiesta non soltanto di procedere a tale incremento, ma di orientare tutte le spese del bilancio comunitario verso la promozione delle misure barbariche scatenate dal capitale, dall’UE e dai governi borghesi contro le classi operaie e contro il popolo in tutti gli Stati membri. La relazione chiede di utilizzare il denaro dei lavoratori degli Stati membri che alimenta il bilancio comunitario per promuovere ristrutturazioni capitalistiche, azzerare i diritti dei lavoratori, sostenere la redditività dei monopoli europei, consolidare i meccanismi dei “memorandum”, mettere al riparo i prestatori degli Stati membri debitori e appoggiare meccanismi repressivi e l’ingerenza imperialista dell’UE.

 
  
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  Rafał Trzaskowski (PPE), per iscritto.(PL) Nella votazione odierna mi sono espresso a favore della creazione di regioni intermedie, e sono lieto che tale posizione sia stata adottata dal Parlamento nel suo complesso. La conseguenza di tale decisione è che le aree relativamente ricche dei paesi membri più poveri (quali Mazovia e Varsavia) continueranno a ricevere aiuti.

La posizione adottata oggi dal Parlamento è la prima vittoria nella battaglia sull’assetto delle nuove prospettive finanziarie per il periodo 2014-2020. Per la Polonia, e anche per Varsavia, un fattore chiave sarà il livello dei finanziamenti e le priorità stabilite per il fondo di coesione.

 
  
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  Thomas Ulmer (PPE), per iscritto. (DE) La relazione Garriga Polledo adotta una percentuale compresa tra il 75 e il 90per cento per la categoria intermedia di regioni ammissibili al finanziamento. Tale intervallo per me è inaccettabile, in quanto offre la prospettiva di ricevere finanziamenti anche ad alcune aree dell’Europa occidentale non meritevoli di sostegno. In questo modo si va contro l’obiettivo specifico degli aiuti regionali, segnatamente il rafforzamento delle regioni più deboli.

 
  
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  Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. (LT) Il prossimo quadro finanziario pluriennale (QFP) è un’occasione d’oro per mostrare ai cittadini europei che l’Unione è in grado di conseguire obiettivi a lungo termine, quali stimolare una crescita forte e la coesione interna. Non dobbiamo lasciarci sfuggire quest’occasione. Sono lieto che il relatore sottolinei l’importanza della politica di coesione per la crescita e l’occupazione. Per i lituani è essenziale che gli importi stanziati per la politica di coesione nel prossimo QFP non siano inferiori a quelli di questo periodo finanziario. La politica di coesione europea continua a ricoprire un ruolo importante nel ridurre le disparità sociali ed economiche significative tra gli Stati membri. Ad esempio, il PIL pro capite della Lituania si mantiene basso (quando abbiamo aderito all’UE, era il 48per cento della media dell’Unione). Si prevede tuttavia che entro il 2020 il PIL della Lituania sarà almeno del 50per cento maggiore di quanto non fosse in precedenza, senza l’aiuto della politica di coesione.

L’obiettivo della Lituania di migliorare l’infrastruttura dei trasporti e l’accessibilità (23per cento dell’intero stanziamento di dotazioni del Fondo strutturale), di ampliare le proprie capacità di R&S (22per cento), e di sostenere la creazione di attività commerciali dipende dalla politica di coesione. Ridurne le dotazioni significherebbe continuare a schiacciare la nostra economia. Non possiamo permettere che accada. La fiducia nell’UE verrà ripristinata solamente quando i nostri cittadini saranno convinti che l’Unione è al servizio dei loro valori e interessi.

 
  
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  Geoffrey Van Orden (ECR), per iscritto. (EN) Approvando questa relazione sul nuovo quadro finanziario pluriennale con 468 a 134 (con 54 astensioni), il Parlamento conferma di vivere in un mondo diverso dalla dura realtà economica dei nostri tempi. Quando a livello nazionale vengono prese decisioni economiche così severe, (...) è inaccettabile che l’UE non intervenga per tagliare i costi ed eliminare gli sprechi. (...) Il Parlamento ha deciso di ignorare la lettera del Primo ministro britannico, (...) e dei capi di governo di Francia, Germania, Paesi Bassi e Finlandia, che intimava di non incrementare il bilancio comunitario (...). In verità, molti di noi ambiscono a tagli di bilancio e alla riduzione del contributo eccessivo del Regno Unito. (...). L’opinione pubblica britannica (...) non accetterà tasse imposte dall’UE e non lo farebbero nemmeno i cittadini degli altri (...) paesi se solo si rendessero conto di quanto sta accadendo (...). Fonti economiche autorevoli vi diranno che una riduzione dell’imposizione fiscale è l’incentivo migliore per la crescita economica e la creazione di posti di lavoro. La relazione si propone di gettare le fondamenta finanziarie del superstato europeo che io e i miei elettori (...) rifiutiamo. Mi sono unito ai miei colleghi conservatori e ho respinto la relazione.

(Dichiarazione scritta abbreviata ai sensi dell’articolo 149 del regolamento)

 
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