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Procedura : 2006/2004(INI)
Ciclo di vita in Aula
Ciclo dei documenti :

Testi presentati :

A6-0216/2006

Discussioni :

PV 28/09/2006 - 4
CRE 28/09/2006 - 4

Votazioni :

PV 28/09/2006 - 7.11
CRE 28/09/2006 - 7.11
Dichiarazioni di voto

Testi approvati :

P6_TA(2006)0392

Resoconto integrale delle discussioni
Giovedì 28 settembre 2006 - Strasburgo Edizione GU

8. Dichiarazioni di voto
Processo verbale
  

– Relazione Hutchinson (A6-0270/2006)

 
  
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  Nirj Deva (PPE-DE), per iscritto. – (EN) I miei colleghi della delegazione dei Conservatori britannici ed io abbiamo appoggiato la relazione pur essendo in fondamentale disaccordo sul paragrafo 58 della stessa, laddove si invitano gli Stati membri a sforzarsi “di riunire un gruppo unico di paesi”, ovvero a chiedere l’istituzione in seno al Fondo monetario internazionale di un seggio in rappresentanza dell’Unione europea. Tuttavia, poiché questo paragrafo è semplicemente una “reminiscenza” di una posizione sostenuta in passato, possiamo votare a favore della relazione.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. – (SV) E’ risaputo che la Lista di giugno è contraria agli aiuti concessi sotto l’egida dell’Unione europea. I motivi sono diversi. La politica degli aiuti, al pari della politica estera, è una questione nazionale e in quanto tale non deve essere delegata a Bruxelles.

Siamo contrari alla maggior parte dei contenuti della relazione, comprese le richieste di aumentare i bilanci. Il relatore, inoltre, si ingerisce in altre questioni di portata strettamente nazionale, come il controllo e la supervisione degli aiuti bilaterali, e propone persino che la Commissione si occupi della pianificazione strategica degli aiuti forniti dagli Stati membri. Tutto ciò è assolutamente inaccettabile.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Mi congratulo con il relatore per il documento che ci ha presentato e che propone una serie di ottime iniziative per indirizzare meglio gli aiuti. L’Unione europea ha una lunga tradizione in materia di sviluppo internazionale, spesso assai più significativa di quella della maggior parte dei suoi Stati membri. Nondimeno potremmo fare meglio, molto meglio, e questa relazione contiene validi spunti in tal senso, che approvo con piacere.

 
  
  

– Relazione Maat (A6-0265/2006)

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La Lista di giugno è fondamentalmente del parere che le questioni riguardanti la pesca dovrebbero essere affrontate nel quadro delle organizzazioni internazionali esistenti. Ciò significa che l’Unione europea non dovrebbe attuare una politica comune della pesca né imporre contingenti di pesca. L’industria ittica potrà continuare a esistere solo se la pesca sarà sostenibile, ma l’esperienza dimostra che l’Unione europea non considera la sostenibilità della pesca come un obiettivo prioritario. Al riguardo, si possono citare, a titolo di esempio, le forti critiche espresse, tra gli altri, dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura in relazione alle quote fissate per la pesca di merluzzo nel mar Baltico.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Sono favorevole a questa dettagliata relazione sulle possibilità e sulle sfide che l’Unione europea e l’India si trovano ad affrontare nella promozione di relazioni commerciali bilaterali più strette. Condivido pienamente l’invito del relatore a sottolineare l’importanza strategica delle relazioni commerciali con l’India, alla luce dello straordinario sviluppo economico di quel paese e del suo ruolo di leader del G20 presso l’Organizzazione mondiale del commercio.

Mentre a livello internazionale l’India conosce un periodo di prosperità, al suo interno il divario tra ricchi e poveri si sta allargando; per tale motivo sono favorevole all’accento che la relazione pone sulla necessità di affrontare le questioni concernenti il commercio insieme con quelle concernenti lo sviluppo. L’India ha, nei confronti dei suoi cittadini, la responsabilità di applicare gli standard fondamentali nel campo del lavoro e di rispettare le norme ambientali. Allo stesso tempo l’Unione europea, in quanto leader globale e principale partner commerciale dell’India, deve collaborare con le autorità indiane per garantire che il sistema di preferenze tariffarie generalizzate continui a sostenere l’industria indiana e per trovare un delicato punto d’equilibrio tra l’esigenza di applicare le norme internazionali sulla proprietà intellettuale e quella di conservare le conoscenze tradizionali e l’accesso alle medicine per le malattie correlate con la povertà.

 
  
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  Glenis Willmott (PSE), per iscritto. – (EN) Pur avendo votato a favore della relazione, la delegazione del Partito laburista al Parlamento europeo vuole precisare che è favorevole al ruolo del consiglio consultivo regionale per il Mare del Nord in quanto organo di consulenza e importante elemento di consultazione nell’ambito della politica comune della pesca. Inoltre, la delegazione laburista deplora che la relazione non riconosca più apertamente il legame tra le azioni compiute per gestire gli stock di passera di mare e sogliola nel Mare del Nord e la portata del piano di ricostituzione del merluzzo. I livelli di ricostituzione degli stock di merluzzo nel Mare del Nord sono bassi ed è essenziale che tutti gli aspetti della pesca che li influenzano rimangano nell’ambito del piano di ricostituzione del merluzzo.

 
  
  

– Relazione Graefe zu Baringdorf (A6-0253/2006)

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La Commissione prova a modificare il regolamento (CEE) n. 2092/91, attualmente in vigore, che stabilisce le norme sulle importazioni di prodotti biologici, allo scopo di inasprire la procedura di riconoscimento dei prodotti biologici importati. La sua proposta al riguardo, però, è inadeguata.

Per tale motivo la commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale ha presentato numerosi emendamenti, nell’ottica di tutelare sia i consumatori sia i produttori a livello nazionale. E’ stata quindi sottolineata la necessità di controllare i prodotti importati da paesi terzi, onde garantire che gli standard di produzione applicati in questi ultimi siano conformi agli standard vigenti nell’Unione europea, con clausola di reciprocità.

Non sarebbe equo per gli agricoltori e i consumatori dell’Unione europea se i prodotti di paesi terzi non fossero sottoposti agli stessi controlli previsti per gli agricoltori comunitari. Inoltre, le autorità nazionali competenti devono quanto meno essere coinvolte nella procedura di riconoscimento degli organi di controllo dei paesi terzi. La lotta contro le frodi potrà dare risultati soltanto se le autorità nazionali dei paesi importatori potranno svolgere una funzione di controllo e riconoscimento.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La Lista di giugno riconosce che occorre stabilire gli stessi requisiti tanto per i prodotti biologici di paesi terzi quanto per quelli dell’Unione. Tuttavia, i sistemi di controllo non devono comportare costi ingiustificatamente alti e occorre tener conto delle sovvenzioni che gli agricoltori dell’Unione ricevono per i prodotti biologici.

Siamo scettici sulla proposta di emendamento della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale riguardante la fissazione di requisiti più severi per i prodotti biologici di paesi terzi; ci chiediamo, poi, se dietro l’emendamento della commissione alla proposta di regolamento siano celate motivazioni di stampo protezionista.

Non siamo, quindi, disposti ad appoggiare la posizione della commissione e, di conseguenza, abbiamo votato contro gli emendamenti e la proposta di risoluzione da essa presentati.

 
  
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  Diamanto Manolakou (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il 70 per cento dei prodotti biologici importati entrano nell’UE nell’ambito delle “licenze di importazione”.

I controlli sono eseguiti sulla base della documentazione, non di prelievi a campione in loco. Questa procedura è ritenuta equa.

E’ pertanto fondamentale garantire che i prodotti biologici immessi sul mercato dotati della relativa etichetta comunitaria siano stati ottenuti tutti – senza eccezione alcuna – secondo procedure conformi ai principi e alle condizioni previsti dal regolamento (CEE) n. 2092/91.

Stando così le cose, gli emendamenti proposti dal relatore migliorano le condizioni e i controlli delle importazioni di prodotti biologici nell’Unione europea da paesi terzi, cosicché i prodotti importati saranno più o meno equivalenti ai prodotti nazionali, visto che il regolamento comunitario che fissa le condizioni per la produzione di prodotti biologici nei paesi membri dell’Unione è molto più severo del Codex alimentarius.

Ci associamo alla proposta di regolamento sulla produzione, l’etichettatura e l’importazione di prodotti biologici. Siamo invece contrari alla possibilità che la certificazione sia rilasciata da organismi accreditati, a fronte del pagamento di diritti di certificazione di importo ragionevole.

Riteniamo che l’interesse pubblico non possa essere tutelato in modo efficace da organismi privati, neppure da quelli accreditati dai corrispondenti enti governativi e controllati a campione da questi ultimi. L’interesse pubblico può bensì essere tutelato efficacemente solo da agenzie governative, che certificano gratuitamente gli agricoltori che applicano metodi di produzione biologici, fornendo così un servizio pubblico e incentivando l’agricoltura biologica.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) E’ un piacere potermi congratulare con il collega del mio gruppo per la sua relazione. In Scozia, quello degli alimenti biologici è un mercato in crescita, però è fondamentale garantire l’affidabilità degli standard applicati in questo settore se vogliamo che esso possa svilupparsi. La relazione va nella giusta direzione, ma come Unione europea dobbiamo essere più ambiziosi e stabilire in via ufficiale gli aiuti a favore dei metodi di produzione biologici in agricoltura nonché i modi per tutelarli e promuoverli.

 
  
  

– Proposta di risoluzione GALILEO (B6-0511/2006)

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Se non è utilizzato per scopi militari e non rientra nella tendenza verso un eccesso di sicurezza, il programma GALILEO – il programma europeo di radionavigazione via satellite – è uno strumento importante che mira a fornire un servizio pubblico. Occorre pertanto considerarlo come una grande opportunità di cooperazione, progresso scientifico e tecnologico, nonché di scambio e accesso a informazioni senza violazione dei diritti, delle garanzie e delle libertà dei cittadini.

GALILEO può contribuire a porre fine alla dipendenza dal sistema GPS, controllato dagli Stati Uniti e gestito dalle forze armate di quel paese. Di fatto, l’esercito statunitense blocca l’accesso al sistema e il suo utilizzo quando sferra i suoi attacchi militari contro paesi e popolazioni.

Deploriamo, pertanto, che la maggioranza del Parlamento abbia votato contro gli emendamenti presentati dal nostro gruppo, che condannano l’uso di GALILEO a fini militari e sottolineano la necessità che questo programma garantisca parità di accesso per tutti gli utenti. Inoltre, l’opinione pubblica dovrebbe poter accedere gratuitamente alle informazioni disponibili.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) GALILEO è il programma comunitario ideale per raggiungere gli obiettivi di Lisbona.

Il programma europeo di radionavigazione via satellite rappresenta una sfida tecnologica moderna, destinata a far crescere l’economia europea e le opportunità per le imprese. Abbiamo quindi il dovere di far sì che GALILEO non diventi un programma come un altro. Questa prima infrastruttura di portata europea, che sarà gestita dalla Comunità, è uno strumento cruciale se vogliamo realizzare gli obiettivi di Lisbona.

Dato che l’Unione europea è disseminata di piccole e medie imprese, questo è un momento molto propizio.

Le Istituzioni comunitarie devono quindi garantirne una gestione corretta, devono assicurare regole efficaci e trasparenti per i partenariati pubblico-privato e accertarsi che ricaviamo da questo programma il massimo beneficio possibile.

Dobbiamo approfittare al meglio delle opportunità che il programma ci offre, e lo potremo fare soltanto se ci rendiamo conto del fatto che è questa la strada giusta da percorrere.

 
  
  

– Proposte di risoluzione sulla politica comune dell’immigrazione (RC-B6-0508/2006)

 
  
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  Koenraad Dillen (NI).(NL) Signor Presidente, non ho votato a favore della risoluzione comune in quanto è un esempio di comportamento politicamente corretto in materia di immigrazione, laddove la correttezza politica è un dogma che tiene in scacco quest’Assemblea e che nessuno può permettersi di mettere in discussione – come accadeva nel Medioevo con i dogmi religiosi.

In un’epoca in cui i nostri confini nel Mediterraneo – basti pensare a Lampedusa e alle isole Canarie – non riescono a trattenere i flussi dei migranti per motivi economici, l’Europa continua a non voler ammettere che non possiamo caricare sulle nostre spalle la miseria di tutto il mondo – come ha detto in modo molto appropriato un Primo Ministro socialista. Anche se l’Europa è pronta ad accogliere gli immigrati disposti a integrarsi, deve tuttavia dire chiaramente agli altri che se ne devono tornare nei luoghi di origine.

Inoltre, dobbiamo fermare assolutamente il flusso immigratorio e, allo stesso tempo, attuare un’ambiziosa politica di sviluppo mirata a ridurre la pressione che spinge la gente ad abbandonare i paesi in via di sviluppo, mettendo bene in chiaro che in Europa non c’è spazio per il fondamentalismo islamico.

Domenica scorsa, con un referendum, la schiacciante maggioranza dei cittadini svizzeri ha scelto di conservare la propria identità. Gli svizzeri sono un popolo libero e indipendente e l’Europa farebbe meglio a seguire il loro esempio, anziché inchinarsi di fronte al terrorismo intellettuale della lobby dell’immigrazione.

 
  
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  Charlotte Cederschiöld (PPE-DE), per iscritto. – (SV) La delegazione dei Conservatori svedesi al Parlamento europeo ha deciso di votare contro la risoluzione del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei perché fermamente contraria alla creazione della lista minima comune di paesi di origine sicuri cui si fa riferimento nell’ultima frase del paragrafo 9.

Crediamo inoltre che questa versione della risoluzione non affermi con sufficiente chiarezza che tutte le misure di contrasto dell’immigrazione illegale devono essere compatibili con le garanzie e i diritti umani fondamentali del singolo sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Non siamo del tutto contrari al paragrafo 4, che stabilisce l’obbligo di informare le altre parti quando si applicano norme più liberali; siamo tuttavia scettici a tale proposito perché questa disposizione potrebbe rappresentare il primo passo verso una completa sovranazionalizzazione della politica di asilo e immigrazione.

 
  
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  Maria da Assunção Esteves (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il Consiglio di Tampere aveva fissato per l’Europa l’ambizioso programma politico di creare uno spazio comune europeo nel quale i temi della libertà, della sicurezza e della giustizia fossero affrontati su un piano di assoluta parità. Oggi, però, l’equilibrio che si ricercò in quella occasione si rivela troppo fragile. Ciò cui stiamo assistendo è una tendenza che porta ad anteporre ai diritti umani i timori per la sicurezza. La lotta contro il terrorismo e l’immigrazione illegale ha nettamente dominato l’agenda della giustizia e degli affari interni.

Il nuovo programma dell’Aia del 2004 è privo di una prospettiva per il futuro. E’ più urgente che mai che l’Unione prenda decisioni in materia di immigrazione – decisioni legittimate dal Parlamento in base al ruolo che gli è riconosciuto nell’ambito della procedura di codecisione – e adotti una carta dei diritti fondamentali che sia vincolante. La politica di immigrazione deve essere una politica comune fondata su interessi umanitari, sulla prevenzione e sulla cooperazione con i paesi di origine. Ciò di cui abbiamo bisogno sono impegno e solidarietà tra gli Stati membri sulla base di una condivisione delle responsabilità, altrimenti la nostra politica non sarà equa.

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della proposta di risoluzione comune sulla politica di immigrazione (RC-B6-0508/2006) vista l’esigenza dell’Unione di adottare un’adeguata politica comune in materia di immigrazione ed eliminare ogni ostacolo a un sistema di asilo europeo che preveda norme comuni per salvaguardare i diritti fondamentali degli immigrati e dei richiedenti asilo nell’Unione europea.

L’Unione deve assumere un approccio interdisciplinare che apra i canali dell’immigrazione legale e promuova l’integrazione degli immigrati nella società che li ospita. Tale approccio deve fondarsi sull’inserimento legale nel mercato del lavoro e sul diritto all’istruzione e alla formazione, all’accesso ai servizi sociali e sanitari, nonché sull’effettiva integrazione degli immigrati nella vita sociale, culturale e politica del paese ospitante. E’ inoltre di vitale importanza contribuire allo sviluppo dei paesi di origine per affrontare le cause primarie dell’emigrazione.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. – (SV) Secondo il parere della Lista di giugno, la politica comune europea in materia d’immigrazione è una delle cause principali della tragica situazione in cui vengono a trovarsi molti migranti quando, nella speranza di una vita migliore, affrontano quello che si può a ragione definire un viaggio a rischio della vita per venire nell’Unione europea. E’ senz’altro giusto sottolineare in questa risoluzione che il regolamento Dublino II è stato e continua a essere un fallimento. Il regolamento prevedeva che ai paesi nel sud e nell’est dell’Unione europea fosse attribuita la facoltà primaria di decidere la sorte degli immigrati, senza tener conto delle politiche di immigrazione né delle esigenze degli altri Stati membri. Ed è alquanto singolare, oltre che inaccettabile, che l’Unione abbia speso un decennio a sperimentare una politica comune di immigrazione. Tutti questi esperimenti politici hanno minato il diritto degli Stati membri all’autodeterminazione nel settore dell’immigrazione e, nel contempo, hanno causato gravi sofferenze agli immigrati. Se vogliamo risolvere la situazione attuale non dobbiamo dare all’Unione ulteriori poteri in materia di immigrazione, consentendole così di continuare la sua politica fallimentare, bensì dobbiamo ridare agli Stati membri il loro diritto all’autodeterminazione.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La risoluzione contiene alcuni punti che condividiamo, ad esempio laddove prende atto della tragedia che si sta compiendo e richiama la necessità di aprire canali di immigrazione legale, nonché di garantire un’integrazione effettiva e di definire piani di sviluppo per i paesi “di origine”.

Riteniamo, tuttavia, che la risoluzione non condanni la politica dell’Unione europea, che è una politica oppressiva e tutta incentrata sulla sicurezza, che criminalizza l’immigrazione illegale e le cui misure mirano a sigillare i confini, creare centri di detenzione ed espellere gli immigrati.

Siamo altresì contrari all’adozione di una politica comune di immigrazione, perché non è la risposta giusta ai problemi e agli interrogativi attuali, come hanno dimostrato i risultati di altre politiche comuni. La realtà dell’immigrazione è diversa nei singoli Stati membri dell’Unione e qualsiasi decisione concernente la politica di immigrazione dovrebbe tener conto della sovranità del singolo paese, anche se ciò non deve naturalmente impedire la collaborazione internazionale in questo campo.

Più che di una politica comune, ci occorrono una politica diversa e altri provvedimenti capaci di tutelare effettivamente i diritti degli immigrati – come la ratifica e l’applicazione della Convenzione ONU sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie – e di affrontare le cause profonde dell’emigrazione.

 
  
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  Timothy Kirkhope (PPE-DE), per iscritto. – (EN) La proposta di risoluzione riguarda il tema di un approccio comune all’immigrazione in Europa; nondimeno la posso approvare perché ribadisce con fermezza le competenze e le responsabilità dei singoli Stati membri e sottolinea la necessità di cooperazione, non di armonizzazione.

 
  
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  Carl Lang (NI), per iscritto. – (FR) Il numero di piroghe e imbarcazioni di fortuna che approdano sulle spiagge delle isole Canarie provenienti dal Senegal, dal Mali, dalla Mauritania o dal Gambia aumenta ogni giorno di più.

Sembra che ogni anno entrino clandestinamente nell’Unione europea circa 300 000 africani. I leader europei sono costretti a prendere atto delle dimensioni di questo fenomeno e cominciano a preoccuparsi per le disastrose conseguenze – che pure, nonostante tutto, non condannano – degli iniqui accordi di Schengen e della regolarizzazione di massa in Spagna e in Italia dello status di immigrati privi di documenti di identificazione (dal 1985 la Spagna ha regolarizzato la posizione di oltre 1 150 000 stranieri), che ha avuto l’effetto di uno straordinario incentivo nei confronti di altri potenziali migranti.

Per il momento l’Unione europea si limita a rimproverare la Spagna, colpevole, a suo giudizio, di essere stata indebitamente “generosa” nel regolarizzare gli immigrati. Ovviamente è fuori discussione l’eventualità di cambiare le leggi sull’immigrazione e sul diritto di asilo seguendo il modello della Svizzera, dove il 68 per cento dei cittadini che hanno partecipato al recente referendum si è espresso a favore di una nuova legge sull’immigrazione e di condizioni più severe per la concessione del diritto di asilo, dotandosi così di una delle legislazioni più restrittive in tutta Europa.

Dobbiamo smetterla con la sottomissione e la passività. Quello che dobbiamo fare ora per arginare questi flussi d’immigrazione è ripristinare i confini, introdurre una politica di “immigrazione zero” e porre termine alle naturalizzazioni.

 
  
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  Marine Le Pen (NI), per iscritto. – (FR) Sembrerebbe che i leader europei comincino a preoccuparsi dell’immigrazione illegale. Era ora! E’ vero: è solo dal 1995 e dai disastrosi accordi di Schengen che il Fronte nazionale ha incessantemente denunciato e messo in guardia dai danni che l’abolizione dei controlli alle frontiere interne dell’Unione europea avrebbe inevitabilmente causato.

C’è stato bisogno che la Spagna registrasse un numero record di sbarchi di immigrati africani alle isole Canarie da gennaio a oggi superiore a 25 000 e che la guardia costiera italiana intercettasse e trasferisse nei campi di raccolta della piccola isola di Lampedusa, a sud della Sicilia, più di 12 000 immigrati nell’arco di nove mesi perché finalmente tutti i governi europei e i responsabili delle amministrazioni cittadine europee cominciassero a preoccuparsi della crescita inarrestabile ed esponenziale dell’immigrazione.

L’Europa si è dimostrata palesemente incapace di gestire i propri confini marittimi e terrestri. Peraltro, non sarà la simbolica Agenzia per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne – lentissima e carente di uomini e mezzi – a dare una valida risposta all’ondata d’immigrazione.

Dobbiamo ripristinare i confini interni dell’Unione e smetterla di regolarizzare la posizione dei lavoratori illegali in un modo che non fa altro che incoraggiare nuova immigrazione. Queste sono le condizioni irrinunciabili per fermare immediatamente i flussi d’immigrazione.

 
  
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  Patrick Louis e Philippe de Villiers (IND/DEM), per iscritto. – (FR) Abbiamo votato contro le due risoluzioni proposte, le quali, pur delineando, con qualche sfumatura, la difficoltà di controllare l’entrata e i movimenti degli immigrati illegali, non citano mai il fatto che tale difficoltà è la diretta conseguenza dell’abolizione delle frontiere nazionali.

Le risoluzioni riprendono l’idea, condivisa dal Primo Ministro Sarkozy, dell’abolizione completa delle votazioni all’unanimità su materie riguardanti la giustizia e gli affari interni, cioè la soppressione totale della sovranità degli Stati membri sul loro proprio territorio. Questo è un ulteriore esempio di come l’integrazione europea venga sfruttata per risolvere i problemi da essa stessa causati. Coloro i quali, come il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, cercano ora in quest’Aula di contenere l’immigrazione, in realtà creano più problemi di quanti ne risolvano. Non avremmo dovuto approvare gli accordi di Schengen, con l’abolizione dei controlli permanenti alle frontiere interne, così come non avremmo dovuto approvare il Trattato di Amsterdam né la comunitarizzazione in blocco delle politiche in materia di asilo, visti e immigrazione, compresa la lotta contro l’immigrazione illegale. Abbiamo spalancato porte e finestre all’immigrazione incontrollata e, nel contempo, abbiamo privato gli Stati membri dei loro poteri per trasferirli a un’Unione inevitabilmente paralizzata.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) L’immigrazione è un segnale di vitalità economica e svolge un ruolo importante nell’attrarre persone attive e ricche di risorse. Per contro, l’immigrazione illegale è una forma di crimine organizzato che mette in pericolo la vita delle persone e alimenta un mercato del lavoro parallelo e disumano.

Per questo motivo, l’idea di procedere a una regolarizzazione straordinaria è un esempio di ottime intenzioni che producono però un pessimo risultato, dando un piccolo premio agli immigrati illegali, ma tributando un grande trionfo ai trafficanti di esseri umani.

Se vogliamo che l’immigrazione abbia un impatto positivo dobbiamo affrontare la questione chiave di quanta immigrazione il mercato è in grado di assorbire – ma ciò sarà possibile soltanto applicando regole chiare e concrete, tali da facilitare l’immigrazione legale e prevenire quella illegale, che è un problema di portata europea. Vorrei pertanto cogliere questa occasione per dire che quando si tratterà di rinnovare la dotazione delle forze armate si dovrà tener conto dell’elemento della salvaguardia delle frontiere esterne comuni.

Desidero infine aggiungere che non credo che la soluzione consista semplicemente nell’accelerare l’applicazione della legge. La lotta contro l’immigrazione incontrollata, la povertà e la minaccia terrorista contempla anche l’esportazione della ricchezza, della prosperità economica e del nostro modello di democrazia liberale.

 
  
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  Margie Sudre (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Il massiccio arrivo di immigrati illegali alle isole Canarie ha posto all’attenzione dell’opinione pubblica e dei governi i gravi e complessi problemi che l’immigrazione illegale comporta.

Desidero far presente agli onorevoli colleghi che non si tratta di un fenomeno nuovo per quanto riguarda i dipartimenti francesi d’oltremare, tra cui, in particolare, Mayotte, Guiana, Martinica e Guadalupa, perché sono vicini ad alcuni tra i paesi più poveri del mondo. Mayotte, per esempio, dista solo poche miglia marine dalle Comore, e il confine della Guiana è un’area di foresta equatoriale difficile da controllare. Le regioni ultraperiferiche dell’Unione, come le Canarie e i dipartimenti francesi d’oltremare, trarrebbero quindi grandi vantaggi da una politica di immigrazione comune.

A mio parere è essenziale che il Parlamento europeo sottolinei cinque aspetti di questa futura politica: aiuti allo sviluppo più mirati, conclusione di partenariati con i paesi di origine, salvaguardia dei confini e lotta contro la tratta di esseri umani, rafforzamento della politica di ritorno nei paesi di origine, integrazione più efficace degli immigrati legali nel paese ospitante.

Ci occorrono norme che siano chiare e identifichino priorità specifiche e operative. L’Unione europea non può più accontentarsi di semplici dichiarazioni d’intenti.

 
  
  

– Proposte di risoluzione sulla situazione in Darfur (RC-B6-0512/2006)

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) La situazione in Darfur sta peggiorando dinanzi ai nostri occhi. E’ sconvolgente constatare la nostra impotenza di fronte a una simile aggressione. Ho seguito da vicino le consultazioni sulla risoluzione, che appoggio, ma vorrei che facessimo qualcosa di più.

 
  
  

– Relazione Karim (A6-0256/2006)

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La Lista di giugno è decisamente favorevole alla creazione del mercato unico. A tal fine, l’Unione deve avere una politica commerciale comune nei confronti degli altri paesi. Tuttavia, non è compito dell’Unione criticare la politica interna dell’India.

Il relatore trova a ridire, inter alia, sulla burocrazia indiana, sulla struttura del settore pubblico e sulla politica regionale del governo centrale dell’India.

La Lista di giugno sostiene la causa dell’autodeterminazione e della sovranità degli Stati, indipendentemente dal fatto che appartengano all’Unione europea o siano in altre regioni del mondo. Pertanto abbiamo votato contro la relazione.

Inoltre reputiamo possibile che l’India abbia una propria posizione sulle politiche commerciale e agricola dell’Unione europea.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Questo importante documento sulle relazioni dell’Unione europea con l’India affronta moltissimi punti, su alcuni dei quali non siamo d’accordo.

Nonostante la relazione citi alcuni motivi di preoccupazione, che condividiamo, essa è in linea con una strategia di liberalizzazione del commercio mondiale nel quadro dell’OMC o attraverso la proliferazione di accordi bilaterali o multilaterali sul libero commercio, nell’ambito della concorrenza e dei legami con gli Stati Uniti – una strategia che contrastiamo fermamente.

La relazione sostiene la cosiddetta agenda di Doha per lo sviluppo e la ripresa dei negoziati, attualmente bloccati, sulla liberalizzazione del commercio e dei mercati in tutto il mondo.

Ancora una volta, la relazione sottolinea la necessità che l’Unione europea solleciti l’India e il G20 a “rendersi conto” (???) del fatto che “l’offerta europea in materia di agricoltura deve essere seguita da un’offerta ragionevole da parte del G20 in materia di accesso al mercato per i prodotti non agricoli e i servizi”, la qual cosa è inaccettabile.

Si motiva così il nostro voto contrario.

 
  
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  Jörg Leichtfried (PSE), per iscritto. – (DE) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Karim sulle relazioni economiche e commerciali dell’Unione europea con l’India. A mio modo di vedere, la relazione ha accolto anche i richiami agli importantissimi aspetti sociali ed evidenzia il divario sociale esistente tra ricchi e poveri, tra sud e ovest e tra nord ed est. Vorrei ricordare in particolare l’importanza dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) per tutti i lavoratori indiani. Sebbene la relazione inviti gli investitori stranieri ad assumersi le loro responsabilità politiche applicando le condizioni di lavoro minime dell’Organizzazione internazionale del lavoro, vorrei sottolineare che questo richiamo dovrebbe valere anche per i datori di lavoro indiani, al fine di costruire in quel paese strutture uniformi che consentano di superare le disuguaglianze e di migliorare la qualità del lavoro.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) La relazione d’iniziativa che ci è stata sottoposta ha il grande merito di ricordarci quanto sia importante per il nostro futuro sviluppare una strategia adeguata per le relazioni con l’India. I paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) sono un fattore decisivo per comprendere l’attuale realtà del commercio mondiale, anche se non è consigliabile adottare strategie identiche nei confronti di Brasile, Russia, India e Cina – tutt’altro.

Le nostre relazioni con i paesi BRIC dovrebbero essere perseguite in maniera tale che la globalizzazione, lo sviluppo economico e la crescita del commercio mondiale diventino fattori di prosperità per tutti, o almeno per il maggior numero possibile di persone. Per realizzare tutto questo occorrono strategie differenziate: la democratica e popolosa India è diversa dalla popolosa e non democratica Cina o dalla Russia, nostro vicino.

Se vogliamo avere successo, è prioritario che, da un lato, consideriamo il nostro futuro in rapporto allo sviluppo di quei paesi e, dall’altro, definiamo strategie adeguate per le relazioni con ciascuno di essi. L’India è un paese di grande rilevanza e la sua situazione dal punto di vista geografico, politico ed economico richiede un’attenzione particolare poiché ci aspettiamo che in futuro diventi un importante alleato.

 
  
  

– Relazione Breyer (A6-0254/2006)

 
  
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  Hynek Fajmon (PPE-DE).(CS) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la delegazione del partito ceco ODS al Parlamento europeo si è rifiutata di appoggiare la relazione dell’onorevole Breyer sulle prospettive delle donne nel commercio internazionale. Questa relazione è un esempio di proclama sinistrorso e femminista che non può portare nulla di buono. Siamo assolutamente contrari alla teoria della qualità di genere e a qualsiasi requisito basato su questo errato approccio alla società umana. Noi consideriamo le persone come individui singoli, con diritti e garanzie individuali e garantiti dallo Stato, non come gruppi collettivi predeterminati dal genere e con diritti collettivi. L’uguaglianza di fronte alla legge è ormai da lungo tempo una realtà in tutti i paesi. Negli Stati membri dell’Unione europea tutte le donne e tutti gli uomini sono liberi e possono usare la loro libertà come meglio credono; ne è un esempio il fatto che le donne dedicano all’educazione dei figli più tempo che gli uomini. Il requisito di uguaglianza tra uomini e donne è in contrasto con l’idea di libertà. Pertanto, non possiamo in alcun modo appoggiare un sistema che prevede quote riservate alle donne nei consigli di amministrazione delle imprese pubbliche, come proposto nella relazione. Non condivido neppure l’affermazione della relatrice secondo cui la liberalizzazione del commercio mondiale comporterà per gli uomini e le donne di tutto il mondo nuove occasioni di realizzazione personale e maggiore benessere. Abbiamo perciò votato contro la relazione.

 
  
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  Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. – (SV) Abbiamo votato contro la relazione sulle prospettive delle donne nel commercio mondiale.

Il libero commercio aumenta la ricchezza e riduce la povertà. Negli ultimi decenni, la globalizzazione ha prodotto enormi miglioramenti del livello di vita, non da ultimo per le donne e i bambini. Il libero commercio crea un maggior numero di posti di lavoro tutelati, oltre a offrire alle donne con posti di lavoro precari maggiore sicurezza e una via d’uscita dalla povertà – contrariamente a quanto si afferma nella relazione.

La relazione si incentra sulla forma, anziché sulla sostanza. L’uguaglianza è importante, soprattutto nel mondo del lavoro, perché se le donne dispongono di un proprio reddito possono diventare molto più indipendenti e acquisire il controllo della propria vita. Una maggiore globalizzazione, e non un’espansione delle Istituzioni dell’Unione, è la strada giusta per aumentare l’autonomia delle donne.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Abbiamo votato a favore della risoluzione perché, nonostante alcuni punti che non condividiamo, propone una visione positiva del ruolo delle donne e della lotta contro la discriminazione, particolarmente nel settore del commercio internazionale.

Tuttavia non possiamo non rilevare che la relazione si sarebbe dovuta spingere più in là; avrebbe infatti dovuto denunciare la liberalizzazione del commercio internazionale e il suo impatto negativo sugli abitanti dei paesi meno sviluppati, in modo speciale sulle donne. Inoltre, avrebbe dovuto denunciare i tentativi del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei di bloccare una concezione più progressista della lotta delle donne per l’affermazione dei loro diritti.

Infine, avrebbe dovuto condannare le spietate manovre delle multinazionali, che sfruttano il lavoro delle donne di un paese fino a quando trovano un altro paese nel quale possono aumentare i loro profitti, infischiandosene degli effetti dell’aumento della disoccupazione sulle donne e peggiorando le loro condizioni di vita.

 
  
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  Robert Goebbels (PSE), per iscritto. – (FR) Mi sono rifiutato di partecipare alla votazione sulla relazione Breyer, la quale, partendo dall’assioma della necessaria promozione delle donne in tutti i comparti dell’economia, è diventata un guazzabuglio di idee che riunisce quanto c’è di meglio ma, soprattutto, quanto c’è di peggio.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della relazione perché riconosce il fondamentale, ma spesso trascurato, ruolo svolto dalle donne a sostegno delle economie in tutto il mondo. La relazione rileva che persistono disparità tra donne e uomini sia all’interno sia all’esterno dell’Unione europea per quanto riguarda le opportunità di istruzione e di lavoro. Nel contempo la relazione richiama l’attenzione su un dato importante, ovvero il fatto che il cosiddetto “lavoro delle donne”, che comprende la cura della famiglia e l’assistenza sociale, tradizionalmente non è né riconosciuto né remunerato.

In realtà, le donne forniscono già un significativo contributo economico sia in ambito privato sia in ambito pubblico. Nel passato, molte politiche per il commercio internazionale e lo sviluppo non hanno riconosciuto le dimensioni del contributo che le donne dei paesi in via di sviluppo danno alla produzione del reddito e alla gestione del bilancio familiare. Pertanto accolgo con favore e sostengo gli inviti a praticare politiche mirate a incoraggiare una maggiore partecipazione economica delle donne, allo scopo di migliorare ulteriormente la loro condizione e di aumentare il loro reddito e il loro patrimonio. Appoggio altresì la raccomandazione formulata nella relazione affinché gli Stati membri dell’Unione europea seguano l’esempio della Norvegia e stabiliscano una quota minima del 40 per cento per la rappresentanza femminile nei consigli delle società per azioni.

 
  
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  Cristiana Muscardini (UEN), per iscritto. Il rapporto che esiste tra questioni di genere e scambi commerciali non ha solo una valenza economica, bensì riflette purtroppo una cultura presente in varie parti del mondo, dove la donna è ancora ai margini della società.

Nella relazione si afferma che l’espansione del commercio ha agevolato e accelerato l’ingresso delle donne nella moderna economia industriale. Permettetemi una considerazione: troppe volte le affermazioni di principio non corrispondono alla realtà, infatti l’imprenditoria femminile continua a trovare enormi difficoltà, anche perché spesso espressione della piccola e media impresa o distribuzione e dell’artigianato, settori sempre più colpiti dal processo di mondializzazione dei mercati, troppo spesso senza regole chiare e condivise.

Occorrono nei fatti più aiuti economici, ma anche più aiuti strutturali, per sostenere le donne nel mondo del lavoro e dell’impresa combattendo con forza quella pseudocultura che vede i diritti sociali ed economici delle donne, sanciti dalla piattaforma di azione di Pechino, ignorati o addirittura etichettati come ostacoli.

Nonostante il nostro voto favorevole alla relazione, mi preme ricordare come il compito della politica e dell’azione dell’Unione sia quello di far fronte con proposte coraggiose agli aspetti negativi che penalizzano larghi strati di donne, soprattutto nei paesi più poveri, ma anche negli Stati dell’Unione.

 
  
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  Lydia Schenardi (NI), per iscritto. – (FR) Devo congratularmi con la collega, onorevole Breyer, per la sua relazione. Infatti non posso che condividere le sue conclusioni che raccomandano, e cito: “di adottare un cambio di paradigma nelle politiche commerciali dell’Unione”. Si è resa necessaria una relazione della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere affinché i diritti non solo delle donne, ma di tutti i lavoratori, venissero finalmente presi in considerazione nell’attuale processo di globalizzazione voluto e subito da Bruxelles.

La relatrice sembra scoprire con una certa ingenuità che la pressione della concorrenza in un’economia sempre più globalizzata porta a una diminuzione delle retribuzioni e dei costi di gestione, alla disoccupazione, al trasferimento e alla chiusura di aziende. Le cifre, in effetti, sono piuttosto inquietanti: il 70 per cento degli 1,3 miliardi di persone che vivono in povertà nel mondo è costituito da donne.

Tuttavia devo riconoscere che vale la pena di sottolineare in questa sede che la disuguaglianza tra i generi, soprattutto in Asia e in Africa, dove le donne vengono umiliate, derise e considerate inferiori agli uomini, crea difficoltà, com’è ovvio, nei settori economico, commerciale, sociale e politico. Anzitutto, è piuttosto evidente che è lo stesso status di donna che bisogna immediatamente rivedere in tutti quei paesi in cui molto spesso prevale la legge coranica.

 
  
  

– Relazione Guerreiro (A6-0266/2006)

 
  
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  Marie-Arlette Carlotti (PSE), per iscritto. – (FR) Tra difficoltà economiche, esaurimento degli stock e controlli meticolosi, la pesca europea naviga in pessime acque e i pescatori del Mediterraneo ne subiscono le pesanti conseguenze. E’ ora che l’Unione europea tragga da questi dati le dovute conclusioni.

In questa relazione figurano diverse linee guida positive, che rappresentano il frutto sia degli sforzi comuni compiuti con i pescatori della mia regione sia del sostegno del mio gruppo politico. Anzitutto essa invita la Commissione europea a rivedere il proprio operato e a formulare proposte più concrete e più ambiziose al fine di rispondere alla gravità della crisi che attraversa il settore. Secondariamente, essa sostiene le organizzazioni professionali di pescatori e la loro partecipazione (cogestione) all’attuazione della PCP e al miglioramento della gestione delle risorse. Infine, il documento integra diversi nostri emendamenti volti a salvaguardare la pesca artigianale nel Mediterraneo.

Per tali ragioni voterò a favore di questa relazione, che costituisce un segnale politico forte in direzione di una politica comunitaria ambiziosa.

Avrei auspicato, tuttavia, che il Parlamento europeo si spingesse oltre, chiedendo un programma specifico per la pesca nel Mediterraneo. Il nostro emendamento sulla questione è stato respinto, ma noi non ci fermeremo qui: continueremo a lottare a fianco dei pescatori della mia regione.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Con questo voto, il Parlamento europeo ha ratificato le principali proposte, volte a migliorare la situazione economica del settore, che erano state precedentemente adottate all’unanimità dalla commissione per la pesca e riteniamo che questo sia un fattore positivo.

Tali proposte sono state formulate dai rappresentanti del settore della pesca molto tempo fa per fronteggiare l’attuale crisi economica e sociale, ulteriormente esacerbata dal forte aumento dei costi del carburante.

Plaudiamo all’inserimento nella versione definitiva, su nostra proposta, della definizione di chiare priorità per le risorse ittiche e la pesca, con un finanziamento adeguato nell’ambito del settimo programma quadro della Comunità in materia di ricerca, sviluppo tecnologico e attività di dimostrazione.

Plaudiamo altresì al fatto che, nonostante la pressione esercitata da parte dei principali paesi noti come “contribuenti netti”, quali la Germania, sia stata mantenuta la richiesta di aumentare il bilancio per il Fondo europeo per la pesca in una situazione, come espresso nella risoluzione in esame, di insufficienza di risorse per attuare gli strumenti della PCP.

Spetta ora alla Commissione presentare iniziative che rendano tutto questo possibile.

Deploriamo tuttavia che la richiesta di creare un regime assicurativo pubblico per permettere al settore pesca di far fronte a situazioni impreviste sia stata eliminata, specialmente considerando che il Parlamento ha presentato richieste analoghe per altri settori, come l’agricoltura.

 
  
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  Diamanto Manolakou (GUE/NGL), per iscritto. (EL) L’industria della pesca è importante sia per la catena alimentare sia per lo sviluppo delle economie locali. Specialmente in aree periferiche, come le isole Egee e la Grecia, la sopravvivenza dipende dalla pesca, che contribuisce altresì a conservare tradizioni culturali locali.

Nel corso degli ultimi anni abbiamo incontrato numerosi problemi, soprattutto nella pesca costiera, in parte a causa dell’organizzazione comune del mercato (OCM), dei programmi di smantellamento delle imbarcazioni, della riduzione dei prezzi di prima vendita per i pescatori non accompagnata da una pari riduzione ai consumatori, e dell’aumento dei costi provocato dal prezzo del carburante. Ne risulta che l’industria è in crisi, i redditi sono drasticamente in ribasso e certe aree vengono abbandonate.

La comunicazione della Commissione individua le difficoltà del settore, ma le soluzioni che propone non sono attuabili. Non solo non riescono a risolvere i problemi esistenti, ma ne creano di nuovi. Oltretutto non è stato previsto alcun fondo per gli aiuti necessari all’industria, come giustamente rileva il relatore.

Anzi, il testo propone una riduzione dello sforzo di pesca e un ammodernamento della flotta, in altre parole una cessazione dell’attività che comporterebbe la disoccupazione per un vasto numero di piccole e medie imbarcazioni e concentrerebbe la flotta a un ristretto numero di navi di grosse dimensioni. Una simile politica da parte dell’Unione europea e dei governi è deprecabile, perché provoca la creazione di cartelli in varie industrie, favorendo lo sfruttamento di produttori e consumatori.

 
  
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  Jan Mulder (ALDE), per iscritto. – (NL) La delegazione del partito liberale olandese (VVD) ha votato a favore dell’adozione della relazione Guerreiro in quanto il nostro partito vuole veder migliorare la posizione economica del settore della pesca. Siamo consapevoli che molti operatori del settore hanno vissuto nell’insicurezza economica negli ultimi anni a seguito degli aumenti dei prezzi del carburante. Al contempo, tuttavia, siamo favorevoli a una pesca sostenibile e pertanto ci opponiamo al rinnovo e all’ammodernamento delle flotte a meno che non avvengano all’insegna della sostenibilità. Ci opponiamo altresì a pagamenti di compensazione in quanto ciò costituirebbe un aiuto artificiale al settore.

 
  
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  Seán Ó Neachtain (UEN), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore questa comunicazione della Commissione, che riconosce la dura situazione economica in cui versa il settore alieutico comunitario.

E’ facile dire che lo smantellamento delle imbarcazioni e l’eliminazione dell’eccesso di capacità porterà a maggiori profitti, ma in realtà molte comunità costiere sono state devastate da tale iniziativa. Questa realtà si riflette tanto nelle comunità costiere dell’Algarve, in Portogallo, che abbiamo visitato alcune settimane or sono, quanto nelle comunità tradizionali di pescatori dell’Irlanda.

Concordo che sia necessario trovare un equilibrio tra le risorse ittiche e il numero di pescherecci, ma non credo che ciò debba avvenire a spese dei piccoli pescherecci, che costituiscono l’80 per cento della flotta europea. Dobbiamo trovare un terreno paritario per le misure conservative prese a scapito delle piccole imbarcazioni e per quelle a scapito dei pescherecci d’alto mare.

Ritengo che la PCP non sia stata uno strumento comunitario di successo nella tutela dei pescherecci tradizionali e delle comunità cui essi appartengono: è tempo di cambiare politica per raggiungere un equilibrio migliore.

 
  
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  Glenis Willmott (PSE), per iscritto. – (EN) La relazione riconosce le difficoltà economiche che il settore attraversa; tuttavia, per mantenere una posizione coerente coi problemi fondamentali dell’industria alieutica – eccesso di capacità e di catture – il partito laburista al Parlamento europeo desidera esprimere il proprio disaccordo sulla posizione adottata dalla relazione su quattro punti:

1. Demolizione e smantellamento: il partito laburista ritiene che questa dovrebbe costituire un’opzione tra le strategie da adottare per gestire l’eccesso di capacità.

2. Il proposto aumento degli aiuti “de minimis”, pagamenti che possono essere corrisposti all’industria alieutica per misure che altrimenti sarebbero destinate a distorcere la concorrenza o ad aumentare la capacità: la relazione chiede di portare il massimale a 100 000 euro. La Commissione ha proposto un incremento di 30 000 euro e il partito laburista appoggia un approccio più cauto.

3. Sostituzione dei motori e Fondo europeo per la pesca – la relazione è stata superata dall’accordo di compromesso sul FEP, ma il partito laburista rimane dell’opinione che non dovrebbero essere previsti aiuti per la sostituzione di imbarcazioni o di motori.

4. Aiuti/meccanismi di compensazione: la relazione suggerisce tali soluzioni, ma non riconosce il ruolo che questo svolge nell’incrementare l’eccesso di capacità nel settore.

 
  
  

– Relazione Miguélez Ramos (A6-0263/2006)

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Questa relazione sollecita la Commissione ad adeguare il regolamento per la pesca dello squalo alla realtà della pesca comunitaria, soprattutto per quanto concerne il rapporto di equivalenza – attualmente pari al 5 per cento – tra il peso delle pinne e il peso della carcassa.

Tale percentuale massima è stata trasposta direttamente dalla realtà statunitense e non è adeguata alle specie pescate dai paesi dell’Unione europea, ad esempio alla verdesca, specie catturata principalmente dalla flotta portoghese nelle acque delle Azzorre.

In questo senso concordiamo con la relatrice quando propone l’aumento di tale limite al 6,5 per cento, sulla base di studi scientifici esistenti e su richiesta di diversi paesi membri le cui flotte sono colpite da quest’impasse della Commissione. Tale situazione è già stata riferita nella relazione dell’ICCAT.

Nel caso del Portogallo, sono a rischio 11 palangari per la cattura del pesce spada e di specie pelagiche, cui viene applicata la percentuale del 5 per cento.

Tenendo conto che, anche negli emendamenti presentati, vi è un certo grado di contraddizione tra i dati scientifici e quelli tecnici, riteniamo che sia necessario realizzare un forum tecnico, con la partecipazione di scienziati e di professionisti del settore, allo scopo di raggiungere un consenso scientifico e chiarire se sia necessario modificare la percentuale massima ed eventualmente in che misura.

 
  
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  Glenis Willmott (PSE), per iscritto. – (EN) Il partito laburista al Parlamento europeo accoglie con estremo favore il regolamento (CE) n. 1185/2003 del Consiglio relativo all’asportazione di pinne di squalo a bordo dei pescherecci in quanto fattore importante ai fini della conservazione del pesce. Il regolamento è volto a prevenire lo spinnamento e l’eliminazione in mare delle carcasse dopo che le preziose pinne sono state rimosse. La pratica dello spinnamento, com’è noto, minaccia la sopravvivenza di numerose specie di squalo.

Fatta questa premessa, il partito laburista rileva con stupore e delusione che la presente relazione Miguélez Ramos minaccia di aumentare tale pratica. Il paragrafo 5 della relazione chiede di aumentare il rapporto tra il peso delle pinne e quello del corpo dal 5 al 6,5 per cento, in particolar modo per la verdesca, lasciando erroneamente intendere che il CIEM e l’ICCAT sostengano un aumento di tale percentuale per questa specie. Nel 2005 è stato sottoposto all’attenzione del CIEM un documento che però questo organismo non ha preso in considerazione, né ha espresso un’opinione in merito. Allo stesso modo, gli scienziati dell’ICCAT hanno rivisto il rapporto tra il peso delle pinne e quello del corpo, ma non hanno raccomandato un aumento del limite massimo.

Il partito laburista si è espresso a favore degli emendamenti che contribuirebbero a eliminare la pratica barbarica dello spinnamento dello squalo.

– Emendamento n. 1, che sospenderebbe qualunque modifica nel rapporto tra il peso delle pinne e quello della carcassa fino a riesame della questione; (…)

(Testo abbreviato conformemente all’articolo 163, paragrafo 1, del Regolamento)

 
  
  

– Relazione Ransdorf (A6-0216/2006)

 
  
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  Robert Goebbels (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione Ransdorf perché sottolinea l’importanza delle nanoscienze e delle nanotecnologie in campi diversi come la medicina, la chirurgia, l’energia, l’elettronica, la metallurgia, eccetera. Tuttavia ho votato contro gli emendamenti del gruppo Verde/Alleanza libera europea e contro alcuni paragrafi che, col pretesto del principio di precauzione, vogliono far credere che le nanotecnologie sono pericolose perché manipolano le particelle più piccole, ovvero gli atomi e le molecole. Tutto ciò è ridicolo. Laddove gli americani vedono delle opportunità, gli europei sentono anzitutto il desiderio di proteggersi da qualunque immaginabile rischio!

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) La comparsa di nuove scienze suscita sempre la sua parte di entusiasmo, speranza, interrogativi e anche opposizione; le nanotecnologie, le scienze che si occupano di oggetti della dimensione di un atomo, non costituiscono eccezione a questa regola.

In qualità di deputata liberale, sono naturalmente portata a sostenere il lavoro dei ricercatori sulle nanoscienze e sul controllo dell’assemblaggio degli atomi, una rivoluzione dietro cui si nasconde un immenso potenziale di applicazioni tecnologiche in campi diversi come i veicoli, gli alimenti, i farmaci e la medicina rigenerativa.

E’ necessario rafforzare la posizione dell’Europa in materia di nanotecnologie in relazione alla concorrenza mondiale. A titolo del settimo programma quadro occorre sbloccare fondi per oltre 610 milioni di euro l’anno. E’ altrettanto essenziale fornire risposte chiare ai cittadini che si preoccupano dell’eventuale tossicità delle nanoparticelle per l’ambiente, per la catena alimentare e per il nostro organismo.

Il sostegno dell’opinione pubblica non è scontato, è qualcosa che si guadagna e che richiede istruzione, pazienza e trasparenza: ecco perché l’Unione e gli Stati membri devono evitare di ripetere in questa sede gli errori commessi nel caso degli OGM, dove la scarsa chiarezza dell’informazione e le misure prese hanno portato una larga maggioranza degli europei a provare sospetto, e rigetto, nei confronti di una scienza che peraltro si era mostrata promettente.

 
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