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Procedura : 2006/2676(RSP)
Ciclo di vita in Aula
Ciclo del documento : RC-B6-0024/2007

Testi presentati :

RC-B6-0024/2007

Discussioni :

PV 17/01/2007 - 7
CRE 17/01/2007 - 7

Votazioni :

PV 18/01/2007 - 9.7
CRE 18/01/2007 - 9.7

Testi approvati :

P6_TA(2007)0007

Resoconto integrale delle discussioni
Mercoledì 17 gennaio 2007 - Strasburgo Edizione GU

7. Condanna a morte degli operatori sanitari in Libia (discussione)
Processo verbale
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulla condanna a morte degli operatori sanitari in Libia.

 
  
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  Günter Gloser, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, onorevoli deputati, desidero esprimere la seria preoccupazione del Consiglio per la conferma della condanna a morte, pronunciata il 19 dicembre 2006, di cinque infermiere bulgare e un medico palestinese.

Vorrei ricordare all’Assemblea che la Presidenza del Consiglio, nella sua dichiarazione del 19 dicembre 2006, aveva condannato quella sentenza e, al tempo stesso, aveva espresso la speranza del Consiglio che la Corte suprema, cui era stato nuovamente deferito il caso, rivedesse tempestivamente la propria decisione.

A tale proposito, occorre rilevare che questa vicenda si trascina già da parecchio tempo – dal 1999, per la precisione – e che gli operatori sanitari sono ormai detenuti da sette anni. La prima condanna a morte era stata pronunciata il 6 maggio 2004, per poi essere sospesa il 25 dicembre dalla Corte suprema, che aveva riaperto il caso.

Vorrei altresì cogliere l’occasione per rilevare che il Consiglio, dall’inizio del caso, chiede alle autorità libiche di fare tutto quanto in loro potere per garantire un processo giusto ed equo.

Il Consiglio ha inoltre ricordato di aver manifestato serissimi dubbi sulla fondatezza delle accuse all’origine dei procedimenti penali avviati nei confronti delle infermiere e del medico, nonché gravi perplessità sulle loro condizioni di detenzione e sugli ingiustificati ritardi procedurali.

Vorrei anche dichiarare che il Consiglio ha dimostrato grande preoccupazione per la tragedia dell’AIDS a Bengasi e ha colto ogni occasione per esprimere la propria profonda vicinanza alle vittime e alle loro famiglie; desidero inoltre rilevare che il Consiglio ha sostenuto il Piano d’azione per la lotta all’HIV e il Fondo internazionale per Bengasi in uno spirito di solidarietà e a fini umanitari, utilizzando tutti i mezzi possibili e in stretta consultazione con la Commissione e con il sostegno dei partner internazionali.

Desidero inoltre ricordare all’Assemblea la posizione del Consiglio sulle sue relazioni con la Libia, delineata nelle conclusioni della riunione del Consiglio dell’ottobre 2004, in cui il Consiglio aveva chiesto alla Libia di considerare positivamente il coinvolgimento dell’Unione europea, ricordandole il proprio auspicio che la Libia prestasse la debita attenzione alle preoccupazioni dell’UE, in particolare sul caso degli operatori sanitari.

Prendiamo attentamente nota dei punti sollevati dall’Assemblea nella sua risoluzione. Desideriamo altresì precisare che il Consiglio condivide le preoccupazioni in essa contenute e garantisce che, insieme alla sua Presidenza, continuerà ad accordare elevata priorità alla questione.

Desideriamo altresì assicurare alla vostra Assemblea che il Consiglio non lesinerà sforzi nella ricerca della soluzione più soddisfacente possibile a questo problema su una base umanitaria.

 
  
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  Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signora Presidente, con cui mi congratulo per la splendida elezione, onorevoli deputati, ricollegandomi a quanto appena affermato dal rappresentante del Consiglio Günter Gloser, cercherò di informare il Parlamento sugli ultimi sviluppi del problema posto dalla condanna a morte degli operatori sanitari bulgari e palestinesi, pronunciata in Libia il 19 dicembre. Vi fornirò alcune informazioni generali da parte della Commissione.

Come ha appena sottolineato, Ministro Gloser, il 25 dicembre 2005 la Corte suprema libica ha annullato la prima condanna a morte e disposto un nuovo processo. Questo nuovo processo si è concluso il 19 dicembre 2006 con la conferma della condanna a morte delle cinque infermiere bulgare e del medico palestinese. Secondo le autorità libiche, il caso sarà nuovamente deferito alla Corte suprema nelle prossime settimane. Il procedimento giudiziario, quindi, non si è ancora concluso ed è tuttora in corso. Il 30 dicembre, tuttavia, il Presidente della Libia ha rilasciato alcune dichiarazioni pubbliche in cui ha rilanciato la teoria di un complotto internazionale contro la Libia, che ha suscitato l’inquietudine generale.

Parallelamente al procedimento giudiziario, sono in corso consultazioni politiche volte a risolvere il problema sulla base di principi umanitari, tenendo conto delle sofferenze dei bambini vittime del contagio e di quelle del personale medico. Quale risultato si spera di ottenere? Da un lato, assicurare cure mediche appropriate e sostegno finanziario ai bambini e alle loro famiglie e, dall’altro, garantire la liberazione degli operatori sanitari.

In tale contesto è stato istituito un Fondo internazionale per Bengasi. Il Fondo riceve contributi sotto forma di denaro o prestazioni, servizi o attrezzature, da parte di donatori pubblici e privati. Permetterà di realizzare tre azioni: migliorare le cure mediche per il trattamento dell’AIDS in Libia, curare all’estero i bambini malati e fornire sostegno finanziario a ogni famiglia. Devo altresì precisare che è già stato possibile garantire le cure ai bambini grazie, da un lato, alla solidarietà di diversi Stati membri e della Commissione europea e, dall’altro, ai fondi messi a disposizione delle famiglie dal governo libico.

Evidentemente la Commissione attribuisce un’elevatissima priorità a questo problema. Sta impiegando tutte le risorse, tutti gli sforzi necessari per trovare una soluzione. Ci siamo adoperati per fornire assistenza tecnica e medica all’ospedale di Bengasi in cui il contagio è scoppiato tra i bambini. Questo lavoro, iniziato a settembre 2005 e tuttora in corso, ha permesso di migliorare la qualità delle cure e delle pratiche all’interno dell’ospedale.

Al tempo stesso, la Commissione sta partecipando attivamente alle consultazioni politiche già menzionate. Siamo ovviamente rimasti molto delusi dalla conferma della condanna a morte. Certo, la questione è di competenza delle autorità giudiziarie libiche, ma, al contempo, abbiamo avviato un dialogo tra le parti interessate e crediamo che la strategia per il superamento della crisi debba essere definita nel quadro di tale dialogo. La Commissione continua a partecipare appieno a questo processo.

In conclusione, ricollegandomi alle affermazioni del Ministro Groner, intervenuto a nome della Presidenza tedesca, ricordo che il dialogo è ancora in corso. E’ innegabile, tuttavia, che si tratta di una questione molto delicata, nella quale l’Unione europea deve agire con discrezione, mostrandosi però al contempo decisa sulla necessità di ottenere la liberazione degli operatori sanitari bulgari e palestinesi. Riteniamo inoltre necessario che le Istituzioni europee esprimano chiaramente la propria solidarietà al personale medico, prestando attenzione a non compromettere lo sviluppo del lavoro avviato e a non pregiudicare il clima delle discussioni con la Libia avviando azioni intempestive.

Riprendendo le parole della Presidenza tedesca posso semplicemente confermare, onorevoli deputati, che la Commissione è molto motivata quando si tratta di proseguire gli sforzi volti a individuare una soluzione a questo problema, che, va detto, ha una dimensione particolarmente tragica per gli interessati e per gli amici bulgari.

 
  
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  Филип Димитров Димитров, от името на групата PPE-DE. – Поздравявам Ви с Вашия избор. Уважаеми дами и господа, благодаря Ви, че сте готови да разгледате тази резолюция, засягаща съдбата на петте български медицински сестри и палестинския лекар, които се намират от осем години в либийски затвор. Вносителите на тази резолюция представяме на Вашето внимание един текст, който с всичкото съчувствие, което изразяваме към трагедията на либийските деца, станали жертва на епидемията от HIV/AIDS, едновременно с това отхвърля категорично смъртните присъди, предлага ясно ангажиране на Европейския парламент със съдбата на българските сестри и палестинския лекар и призовава към извършването на конкретни действия от другите европейски институции в тази посока.

Una risoluzione del Parlamento europeo è un atto politico. Tale atto è necessario perché, come ha affermato il rappresentante della Commissione, in diverse occasioni la leadership libica ha fatto riferimento a questo processo in termini puramente politici.

In questi otto lunghi anni la detenzione, che era iniziata con la tortura, si è gradualmente trasformata in un processo, svoltosi in maniera non trasparente, con violazioni delle norme processuali generali e con una provocatoria noncuranza delle conclusioni redatte sulla questione da massimi esperti in materia.

Il carattere politico di questo processo può essere facilmente riscontrato nella nuova condanna a morte, in cui si afferma che il contagio è stato frutto di un complotto ispirato dalla CIA e dal Mossad, dichiarazione da cui traspare la retorica dell’odio, una retorica che è tipica sia dei regimi totalitari sia delle opere d’arte che si ispirano alla teoria del complotto e che adottano un approccio antisistemico.

E’ emerso che in Libia l’epidemia si è diffusa molto tempo prima che le infermiere bulgare giungessero nel paese, come hanno dimostrato i massimi esperti del settore nelle loro conclusioni che, come dicevo, sono state ignorate.

Ultimo punto, ma non per questo meno importante, le istituzioni statali hanno il sacrosanto dovere di difendere i loro cittadini. Le infermiere bulgare sono cittadine dell’Unione europea e, pertanto, vi prego di battervi in loro difesa.

(Applausi)

 
  
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  Евгени Кирилов, от името на групата PSE. – Благодаря Ви, госпожо председател, и поздравления за Вашия избор. Към г-н Баро бих желал да кажа, че не съм особено възхитен от тона на неговото изявление. Тези деликатни, чувствителни теми, за които Вие говорихте, г-н Баро, не ни помагат в случая и струва ми се, че трябва да помислим сериозно по този въпрос.

Signora Presidente, onorevoli colleghi, desidero ringraziare tutti coloro che hanno sostenuto l’iniziativa di discutere questa scottante questione nella prima tornata dell’anno. Sono certo che oggi diversi oratori accenneranno alle drammatiche violazioni dei diritti umani, alle gravi torture e alla firma forzata di confessioni in arabo senza l’ausilio di interpreti che sono state imposte alle nostre infermiere. In generale, stiamo discutendo di una farsa in cui, da otto anni, sono coinvolti il sistema giudiziario libico e il carattere politico di questa agonia umana.

Tuttavia, ritengo sia ormai giunto il momento di fare il punto della situazione e di affermare chiaramente che, nonostante tutti gli sforzi compiuti dal Consiglio e dalla Commissione e nonostante i lunghi negoziati intercorsi, per i quali esprimo la mia profonda gratitudine, i risultati sono spaventosi. Il regime libico, come ogni regime dittatoriale, teme il suo popolo. Ha paura di ammettere che l’epidemia di HIV e le tragiche morti di così tanti bambini sono state provocate dal suo sistema di assistenza sanitaria. Come è stato rilevato, benché a un certo punto siano state abbandonate le accuse di complotto, i funzionari libici e persino il Colonnello Gheddafi stesso hanno recentemente continuato ad accusare di complotto alcuni paesi occidentali e i loro servizi segreti. Gheddafi afferma di non essere interessato al destino delle infermiere, bensì ai paesi che hanno ordito il complotto. Sta conducendo abili manovre per ottenere i risarcimenti desiderati, grazie ai quali potrà convincere la sua popolazione della colpa dell’Europa e degli Stati Uniti. Sostiene che nel fondo umanitario appositamente creato manchino le risorse, poiché non considera i cospicui finanziamenti già erogati dall’Unione europea per la cura dei bambini libici contagiati.

Se le autorità libiche continuano a muovere l’assurda e mostruosa accusa di un complotto finalizzato a infettare e uccidere centinaia di bambini – un crimine contro l’umanità –, perché non le sfidiamo a istituire un tribunale penale internazionale sulla questione? Perché non le invitiamo a ricorrere al Consiglio di sicurezza dell’ONU? Noi non abbiamo paura della giustizia.

Finora le pressioni esercitate sulla Libia sono state vane. Sostengo pienamente il testo della risoluzione, in cui si afferma che, in mancanza di una soluzione positiva del caso, è assolutamente necessario procedere a una revisione della nostra politica nei confronti della Libia. La Libia deve capire al più presto che le nostre relazioni non possono continuare come se nulla fosse successo, altrimenti i cinici sosterranno che, quando ci sono di mezzo il petrolio o il gas, i governi sono tentati di dimenticarsi dei diritti umani.

 
  
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  Annemie Neyts-Uyttebroeck, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signora Presidente, è un piacere vederla presiedere la seduta: congratulazioni!

Per dimostrare chiaramente che non si tratta di una questione strettamente bulgara, i deputati bulgari del gruppo ALDE hanno chiesto ai colleghi di altre nazionalità di intervenire sull’argomento, proposta che, ovviamente, accogliamo tutti con favore.

Come sapete, cinque cittadine dell’Unione europea – aspetto che mi preme sottolineare – sono rinchiuse in un carcere libico. Dal 1999 cinque infermiere bulgare, un medico palestinese e nove libici sono detenuti per motivi ormai noti. Il 19 dicembre 2006 gli imputati sono stati nuovamente condannati a morte. Esprimiamo la nostra totale opposizione alla condanna a morte. Protestiamo con forza contro questo verdetto ingiusto. Evidenziamo l’indifferenza mostrata verso le conclusioni di rinomati esperti internazionali in materia di HIV/AIDS, i quali hanno affermato che la diffusione del virus dell’HIV era stata causata da un’infezione ospedaliera precedente all’arrivo delle infermiere bulgare. Esprimiamo la nostra preoccupazione anche per quanto riguarda le presunte torture.

L’Unione europea e il Parlamento europeo in particolare devono seguire questo caso con molta attenzione. La Commissione e il Consiglio devono tenere costantemente informato il Parlamento europeo su ogni eventuale sviluppo e la settimana prossima, in occasione della riunione dei ministri degli Esteri degli Stati membri, dovranno accordare la massima priorità alla questione.

Infine, la Libia deve rendersi conto che sono in gioco la sua posizione in ambito internazionale e le sue relazioni con l’Unione e gli Stati membri. La Libia non deve perdere l’occasione di dimostrare che rispetta i principi fondamentali del diritto internazionale e dei diritti umani. Soprattutto, la Libia deve sapere che siamo assolutamente solidali nei confronti delle infermiere bulgare e del medico palestinese.

 
  
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  Hélène Flautre, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signora Presidente, vorrei congratularmi con lei per la sua elezione. In questo dibattito, desidero ricordare subito la posizione dell’Unione europea contro la pena di morte, che è tale in tutte le circostanze, che si tratti del caso degli operatori sanitari a Bengasi, di Saddam Hussein, degli oppositori politici in Cina o, ancora, di tutte le persone sconosciute di cui si parla meno, soprattutto negli Stati Uniti. Il diritto alla vita è un diritto fondamentale, essenziale per la dignità umana, e per questo l’abolizione della pena di morte è una delle condizioni per l’adesione all’Unione europea nonché una priorità dell’azione esterna dell’Unione, che ha sviluppato orientamenti specifici in materia.

Il caso degli operatori sanitari condannati a morte a Bengasi è tragico; è una tragedia che colpisce le famiglie e i bambini che sono stati infettati dal virus dell’AIDS. E’ pertanto fondamentale che l’Unione europea continui ad attuare il suo piano d’azione per venire in aiuto alle vittime e alle loro famiglie.

E’ tuttavia necessario aggiungere l’orrore alla tragedia? Il medico palestinese e le infermiere bulgare che sono in carcere da ormai sette anni e che vivono un inferno costante dal momento del loro arresto non hanno commesso questo reato. Innumerevoli analisi indipendenti hanno innegabilmente dimostrato la loro innocenza e le loro cosiddette confessioni sono state estorte sotto tortura, come tutti sanno.

L’équipe medica di Bengasi è dunque ostaggio di una vergognosa forma di mercanteggiamento, ed è tempo che questa parodia della giustizia abbia termine. Le azioni dell’Unione europea non sono ancora riuscite a tirare fuori l’intera équipe medica da questo inferno, e forse ora dovremmo mettere in discussione le relazioni dell’Unione europea con le autorità libiche.

Di fatto, quando parliamo del caso di Bengasi, tutti convengono sul fatto che la Libia non è un paese democratico, che il suo sistema giudiziario non è indipendente, che la tortura è la norma e che in quel paese i diritti vengono violati. Tuttavia, non appena parliamo della gestione dei flussi migratori, sembra che tutte queste affermazioni non trovino più fondamento: i discorsi diventano stucchevoli, poiché invitano la Libia a proseguire lungo il cammino verso la democrazia e danno l’impressione che in quel paese i diritti delle persone possano essere rispettati.

Non credete che, affinché la vicenda abbia un lieto fine, occorra una politica di promozione dei diritti umani e della democrazia che sia credibile, coerente, priva di doppiopesismi e attuata a ogni livello? Credo sia questo il prerequisito per il successo.

 
  
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  Presidente. – Onorevoli colleghi, permettetemi di porgere il benvenuto in Aula all’ex Presidente Borrell Fontelles.

 
  
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  Geoffrey Van Orden (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, mi associo alle congratulazioni che le sono state rivolte per la sua elezione.

Oggi parliamo di una tragedia in tre atti. Ci sono cinque infermiere bulgare e un medico palestinese, ingiustamente accusati, che da circa otto anni, ormai, sono detenuti in un carcere libico e condannati a morte da quasi altrettanto tempo. Questa terribile situazione costituisce un’enorme tragedia per loro e per le loro famiglie.

Ci sono centinaia di bambini libici che hanno contratto il virus dell’HIV, probabilmente a causa di difetti nel sistema libico di trasfusione del sangue. Da impeccabili analisi svolte da esperti internazionali sappiamo che il ceppo dell’HIV da cui sono stati contagiati i bambini era già presente nonché diffuso a livello locale a Bengasi diversi anni prima che qualunque medico straniero giungesse in Libia. Occorre altresì rilevare che si sono verificati molti altri casi di trasmissione del virus dell’HIV e della BSE attraverso trasfusioni di sangue infetto negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Francia e in altri paesi. Nessuno di questi Stati attribuisce la colpa dell’accaduto al personale medico che ha effettuato le trasfusioni.

Si tratta di una tragedia immane per i bambini e le loro famiglie e, per far fronte a questa situazione, nel novembre 2004 la Commissione europea ha varato il Piano d’azione per la lotta all’HIV a Bengasi. Fino a marzo dell’anno scorso erano stati assegnati 2 milioni di euro a questo programma e, attraverso le ONG, stanno arrivando ulteriori contributi.

Il terzo elemento della tragedia è l’impatto che la vicenda sta avendo sulle relazioni tra la Libia e la comunità internazionale. Negli ultimi cinque anni la Libia ha iniziato a essere accettata ammettendo la propria responsabilità per alcuni atti terroristici passati e rinunciando al suo programma sulle armi di distruzione di massa. Il disgelo delle relazioni ha un vantaggio potenziale enorme per la Libia, data la sua necessità di accedere alla tecnologia e agli aiuti dell’Occidente al fine di potenziare la propria industria petrolifera e diversificare la propria economia, e siamo favorevoli a instaurare stretti legami con quel paese. Quindi, molte persone corrono un grave rischio per una questione che potrebbe essere risolta in tempi molto brevi.

Ancora una volta, imploro il Presidente Gheddafi e la Corte suprema della Libia di esercitare i loro poteri e assicurare urgentemente il rilascio degli operatori sanitari arrestati. Sono certo che il prestigio del Presidente Gheddafi è tale che la banale accusa di perdere la faccia non potrà scalfirlo in alcun modo. Sono altresì certo che il Colonnello non intende mandare a monte tutti i progressi compiuti negli ultimi anni dandola vinta a chi cerca di utilizzare le infermiere come una sorta di ostaggio politico.

So che il Commissario Ferrero-Waldner si è interessata moltissimo alla questione adoperandosi di persona a favore delle infermiere, alle quali ha fatto visita, e che ha avuto occasione di discutere con il Presidente Gheddafi. Dalle ultime conversazioni che ho avuto con lei, so che anche il Commissario condivide la nostra delusione per la mancanza di progressi e auspica una rapida soluzione del problema.

Riconosco la necessità di trattare la questione con delicatezza e discrezione. Lunedì si riunirà il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne”. Ci auguriamo che dai processi paralleli delle azioni e del dialogo, avviati in ambito diplomatico dalla Corte suprema della Libia, scaturiscano rapidi risultati. Al tempo stesso, chiedo che Consiglio e Commissione formulino le misure che adotteranno, nonché una serie di iniziative positive e allettanti a favore della Libia qualora l’esito sia quello sperato, e una serie di altre misure nel caso in cui non si registri alcun progresso. Facciamo in modo che questa vicenda non diventi l’ennesimo esempio dell’incapacità dell’Unione europea di tradurre le proprie dichiarazioni in un risultato utile. Sia il popolo bulgaro che quello libico meritano di meglio.

(Applausi)

 
  
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  Атанас Папаризов (PSE). – Нека и аз на свой ред да Ви поздравя с Вашия избор. Бих искал да започна с благодарност към колегите от Европейския парламент, които и преди нашето присъединяване, от 2004 г. насам следят внимателно този въпрос. Заедно с г-жа Катрин Ги Kен (Catherine Guy-Quint), в Съвместния парламентарен комитет, ние неведнъж поставяхме въпроса. Г-н Ван Орден (Van Orden) като докладчик за България го поставя на няколко пъти пред Вас.

Сега ние имаме изключителната възможност, с пълно единодушие, надявам се, тъй като проектът за резолюция е подкрепен от всички политически сили, да покажем на либийската страна, че Европейският парламент стои зад петте европейски гражданки и зад палестинския лекар, че Европейският парламент отстоява ценностите на хуманността, на човешките права и ще кажа ясно и точно, независимо от дипломатическите процедури, преговорите, че ние сме за това, българските сестри и палестинският лекар да бъдат освободени незабавно.

Мисля, че силата на една резолюция на Европейския парламент, силата на това, което правят неправителствените организации, ще могат действително да повлияят на това отношение към българските медицински сестри и палестинския лекар, които нямат нищо общо със законността и хуманността. Надявам се, че нашият общ глас ще има реално значение за свободата на българските медицински сестри и палестинския лекар. Благодаря Ви, госпожо председател.

 
  
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  Alexander Lambsdorff (ALDE). – (DE) Signora Presidente, anch’io mi congratulo vivamente con lei per la sua elezione.

L’ingiustificata sentenza emessa dalla Libia nei confronti delle infermiere bulgare e del medico palestinese ha sconvolto non solo la popolazione bulgara ma l’Europa intera, compreso il mio paese, la Germania. Al contempo, ricordiamo ancora tutti chiaramente la quasi storica stretta di mano tra l’ex Presidente della Commissione Romano Prodi e il Presidente libico Gheddafi. Eravamo alla fine di aprile del 2004, in un momento in cui la Libia parlava di una strategia di serio riavvicinamento all’Europa, una strategia che non è stata ufficialmente abbandonata.

A tre anni di distanza, tuttavia, ci troviamo a discutere di una sentenza che ci appare inevitabilmente grottesca, in quanto costituisce una flagrante violazione dei principi su cui poggia l’Unione europea. Cinque infermiere bulgare e un medico palestinese sono stati condannati a morte per avere infettato di proposito – secondo le accuse – con il virus dell’HIV alcuni bambini ricoverati presso l’ospedale di Al-Fatih. Non è stata addotta alcuna prova a sostegno di tale accusa. Quei bambini non sono vittime delle infermiere, ma dell’AIDS.

I valori e i principi dell’Unione europea sono inalienabili, e tra essi figurano il ripudio della pena di morte e il rispetto del diritto e della giustizia, messi entrambi a repentaglio dal procedimento di cui discutiamo oggi. Il fatto è che alcune cittadine dell’Unione europea sono state condannate a morte in un processo discriminatorio e altamente discutibile a livello giuridico. Nell’aprile 2004 il Colonnello Gheddafi e Romano Prodi avevano parlato di una relazione di fiducia bilaterale, ma tale rapporto può esistere solo se corroborato da azioni.

La Libia non deve avere dubbi sul fatto che questo processo costituisce un serio ostacolo all’instaurazione di un partenariato più stretto con l’Unione europea, cui essa aspira, e il Presidente Gheddafi deve sapere che gli europei sono solidali nei confronti dei prigionieri e delle loro famiglie. Per il loro bene, ci auguriamo che possano riabbracciare presto i loro cari facendo ritorno a casa, e pertanto dichiariamo che, se la Libia vuole avvicinarsi all’Unione europea, eventualità che si rivelerebbe molto proficua per entrambe le parti, potrebbe favorire la realizzazione di tale obiettivo applicando la risoluzione nonché liberando le cittadine europee e bulgare e il medico palestinese.

Vorrei aggiungere che, a mio avviso, questo è l’ennesimo dibattito che dovremmo tenere a Bruxelles anziché a Strasburgo.

 
  
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  Mario Borghezio (UEN). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, complimenti. Nel 2004 l’allora Presidente della Commissione Prodi si spese moltissimo per fare entrare la Libia nel processo euromediterraneo. Oggi, in visita ufficiale come Presidente del Consiglio a Sofia, si spende con parole che appaiono come lacrime di coccodrillo che scendono, che sgorgano come lacrime di coccodrillo! In realtà nei confronti di questo regime, di questo despota si doveva prendere posizione molto tempo fa, molto tempo fa, altro che protestare per le magliette del ministro Calderoli!

Siamo di fronte ad un atto senza precedenti, se non si tiene conto dei processi stalinisti contro i medici, ecc. Una vergogna, un insulto ai principi del diritto internazionale e dei diritti umani! La vicenda di queste infermiere e del medico palestinese è paradigmatica della violazione arrogante dei diritti umani da parte di uno Stato che confina con l’Unione europea: noi italiani ce l’abbiamo di fronte e sentiamo nelle orecchie le parole ricattatrici, che sulle sofferenze degli emigrati africani pronuncia molto spesso questo satrapo, nei confronti del quale l’Europa deve cambiare registro, non ci si può far insultare e non si possono consentire violazioni di questo genere così pesanti, così arroganti e inammissibili, nei confronti di cittadini europei e comunque nei confronti di chiunque!

 
  
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  Eoin Ryan (UEN). – (EN) Signora Presidente, anch’io desidero unirmi al coro di congratulazioni che le hanno rivolto i colleghi per la sua elezione.

La triste e drammatica vicenda dei 462 bambini infettati dal virus dell’HIV/AIDS a Bengasi negli anni ’90 non va risolta giustiziando 6 persone per reati che non hanno commesso. Due errori non fanno mai una cosa giusta.

La decisione di confermare la condanna a morte di cinque infermiere bulgare e un medico palestinese, adottata dal tribunale libico il 19 dicembre 2006, è semplicemente inammissibile. Queste sentenze sono state emesse nonostante il parere fornito al tribunale libico dall’organismo di esperti internazionali, dal Consiglio internazionale delle infermiere e da Luc Montagnier, il medico francese che ha scoperto il virus dell’HIV/AIDS.

Ho scritto al Presidente Gheddafi, che avevo già incontrato in precedenza, esortandolo a trovare, in questi casi, una soluzione con la comunità internazionale su base umanitaria.

La settimana scorsa, a Bruxelles, ho incontrato personalmente Sifaw Hafiani, rappresentante della Libia presso l’Unione europea, e ho invitato il governo libico a risolvere la questione a livello umano e diplomatico. Non credo che, in questa situazione, sia utile giungere a uno scontro.

Il governo libico ha anche accettato di incontrare a breve a Bruxelles una delegazione dell’Organizzazione irlandese delle infermiere per discutere della questione. Infermiere e personale medico di Irlanda ed Europa lavorano in ospedali di tutto il Medio Oriente e si trovano ad affrontare determinate difficoltà. A mio avviso, questa vicenda e questa situazione non fanno altro che esacerbare le difficoltà. Gli operatori sanitari, al pari dell’Organizzazione internazionale delle infermiere, sono molto preoccupati per questa vicenda e per il precedente che essa costituisce per i membri delle loro organizzazioni.

Vorrei chiedere a tutti di lavorare con diplomazia per cercare di risolvere questa situazione con il governo libico. Credo che sia possibile pervenire a una conclusione soddisfacente.

 
  
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  Kathalijne Maria Buitenweg (Verts/ALE). – (NL) Signora Presidente, oggi faremmo bene a riflettere sull’incubo che cinque infermiere bulgare e un medico palestinese stanno vivendo dal 1998; un incubo, come dicevo, di prigionia e tortura, con la minaccia della pena di morte che incombe su di loro. Come qualcuno ha affermato poc’anzi, un incubo è anche quello che stanno vivendo i genitori dei bambini di Bengasi, i 462 bambini che sono stati infettati dal virus dell’HIV, e sono lieta per l’interesse dimostrato dall’Unione europea anche riguardo a questo problema.

Non voglio solo esprimere il nostro orrore per la situazione attuale e la nostra speranza che nel prossimo futuro il caso dei sei prigionieri innocenti si concluda in maniera favorevole, ma soffermarmi anche sul significato che questa vicenda riveste per le nostre relazioni con la Libia, poiché ovviamente, dopo che questo episodio si sarà concluso positivamente, non tutto andrà di nuovo a gonfie vele. E’ evidente che la Libia, paese in cui l’inconfutabile prova dell’innocenza viene semplicemente ignorata dai tribunali giudiziari, non è uno Stato costituzionale. I diritti umani vengono calpestati e vi si pratica la tortura.

Il governo libico sta sacrificando persone innocenti a causa di difetti insiti nel sistema stesso di assistenza sanitaria del paese e sta giocando con la comunità internazionale chiamando in causa Lockerbie quale sorta di risarcimento per i risarcimenti versati da Gheddafi. Soltanto una mente malata può concepire simili congetture.

In quale direzione stiamo andando? Il Consiglio europeo intende instaurare una più stretta cooperazione con la Libia nell’area dell’immigrazione clandestina. Con la Libia, l’UE vuole organizzare pattugliamenti congiunti nel Mediterraneo e sottoscrivere un accordo sul ritorno degli emigranti che attraversano quel paese per raggiungere l’Unione europea. Sia chiaro che non sono favorevole all’isolamento. Una cosa è sostenere e promuovere il giusto tipo di sviluppo in Libia; un’altra, però, è spingere la cooperazione fino a questo punto.

Converrete con me che sarebbe ipocrita decidere, un giorno, che alcuni immigrati in Libia – cinque bulgare e un palestinese – vengono trattati ingiustamente e inumanamente per poi stringere, il giorno seguente, un accordo con quel paese sulla consegna di un maggior numero di immigrati alle autorità libiche. Questo è il genere di cooperazione da cui scaturirebbero violazioni dei diritti umani e pertanto è importante, come afferma la risoluzione, valutare il comportamento da tenere d’ora in avanti.

 
  
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  Simon Busuttil (PPE-DE). – (MT) Signora Presidente, come ha giustamente affermato il Commissario Barrot, si tratta di una questione spinosa e delicata, nonché estremamente toccante. Suscita forti emozioni da ogni parte poiché, da un lato, vi sono centinaia di bambini che, avendo contratto il virus dell’HIV, sono ora delle vittime. Molti dei bambini che erano stati infettati dall’AIDS sono ormai morti. Dall’altro, vi sono altre vittime, poiché tali sono anche le infermiere bulgare e il medico palestinese. Sono vittime perché da troppo tempo si trovano in un carcere libico e sono vittime per la pena di morte che incombe su di loro. Nessuna pena può essere più grave di questa. Il procedimento giudiziario si è protratto troppo a lungo e il verdetto non ha tenuto conto delle inconfutabili prove fornite da esperti di fama internazionale che hanno dimostrato l’innocenza degli imputati. Non possiamo che opporci alla pena di morte; non potremo mai accettarla. Che cosa è accaduto nel frattempo? Va detto che sono stati compiuti sforzi considerevoli, soprattutto da parte della Commissione europea, che ha lanciato il Piano d’azione per la lotta all’HIV a Bengasi. Il Piano cerca di aiutare i bambini, di aiutare le loro famiglie, di aiutare anche le autorità libiche e di migliorare le condizioni sanitarie all’interno degli ospedali, in particolare a Bengasi. Occorre inoltre rilevare che, a gennaio dello scorso anno, è stato istituito il Fondo internazionale per Bengasi. Tutti questi sono sviluppi positivi.

Tuttavia, la situazione è stata esacerbata dalla conferma della condanna a morte pronunciata alcuni giorni fa. Che cosa possiamo fare, dunque? E’ necessario un maggior senso di umanitarismo. Dobbiamo dimostrare maggiore solidarietà nei confronti dei bambini, dei genitori e delle vittime bulgare e palestinesi di questa vicenda. A questo punto, dobbiamo esortare le autorità libiche a ridurre la tensione attuale dichiarando immediatamente che non eseguiranno la pena di morte. La risoluzione non vuole dare origine a conflitti e nemmeno a minacce; è equilibrata, ma chiara, su questi punti.

 
  
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  Кристиан Вигенин (PSE). – Уважаема г-жо председател, уважаеми колеги -членове на Европейския парламент, има нещо символично в това, че на първата сесия на Европейския парламент след приемането на България в Европейския съюз ние обсъждаме един въпрос, който поставя на изпитание готовността на европейските институции, на европейските правителства, на европейските народи изобщо, да се борят за ценностите, върху които е изграден нашият Съюз. Защото потвърдените смъртни присъди на пет българки и на един палестинец са предизвикателство към демократичния свят. Тези смъртни присъди са основани на измислени доказателства и на изтръгнати с нечовешки мъчения фалшиви самопризнания. Те са опит за бягство от политическа отговорност на либийските ръководители и лично на Кадафи, за тежкото състояние на либийското здравеопазване. Те са опит една смърт да бъде възмездена с друга смърт, невинни хора да платят с живота си за трагедията на други невинни хора.

Ние не можем да приемем това. Трябва да спрем произвола. Днес гласът на Европейския съюз трябва да бъде силен и ясен, за да бъде чут и в Триполи. Времето тече все по-бързо и става все по-важно недвусмислените декларации да бъдат последвани от недвусмислени действия. В последните години много политически лидери обещаваха подкрепа за медиците в Либия. Паралелно с това, Либия беше извадена от изолацията и една след друга европейски компании и правителства сключват милиардни сделки с нея. Има нещо лицемерно в това.

Аз моля днешната дискусия да не остане само упражнение, с което да успокоим съвестта си, че сме направили всичко, което е в правомощията ни. Аз моля да пренесете тази дискусия в националните парламенти и правителства, защото животът на шест невинни човека трябва да бъде незаобиколим фактор в отношенията с Либия. Не искам дори да си представя ужаса този парламент да започне своя сесия с минута мълчание. Благодаря Ви.

 
  
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  Sarah Ludford (ALDE). – (EN) Signora Presidente, anch’io desidero congratularmi con lei per la sua elezione.

Il Commissario Barrot ci ha invitati a dare prova di discrezione e nessuno di noi intende fare o dire qualcosa che possa compromettere la possibilità di fornire una giusta soluzione a questa terribile vicenda, di cui sono vittime le nostre concittadine europee e il medico palestinese.

Il Commissario, tuttavia, ci ha anche giustamente invitati alla fermezza. La ricerca di una soluzione non deve essere pregiudicata dallo sviluppo di interessi di più vasta portata tra la Libia e l’Unione europea, quali la stretta cooperazione instauratasi, in particolare tra l’Italia e la Libia, in merito al ritorno degli immigrati clandestini, oltre un milione dei quali sono ora ospitati dalla Libia.

Il Parlamento europeo ha espresso grande preoccupazione per il mancato accesso di molte di quelle persone, tanto nell’UE quanto in Libia, al procedimento di determinazione della qualità di rifugiato. Qualunque siano i nostri interessi nella gestione o prevenzione dei flussi migratori – e, purtroppo, la mancanza di una politica europea di immigrazione davvero completa ostacola la corretta gestione – non dobbiamo permettere che tali interessi prevalgano sulle richieste di giustizia e rispetto dei diritti umani. I progetti di un piano d’azione UE-Libia in materia di immigrazione sono opportunamente, benché inutilmente, congelati a causa della vicenda di Bengasi e non dovranno essere scongelati finché non si perverrà a una soluzione adeguata.

(Applausi)

 
  
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  Hanna Foltyn-Kubicka (UEN). – (PL) Signora Presidente, siamo dinanzi a un caso che è semplicemente un ricatto volto a ottenere determinati vantaggi economici e politici. L’Unione europea non può cedere al ricatto e deve intervenire con determinazione sulla vicenda.

Gli interessi economici non devono mai prevalere sul rispetto dei diritti umani. Questa è l’essenza dello spirito europeo e del nostro patrimonio storico. La Libia è uno dei maggiori fornitori di petrolio e gas naturale, ma ciò non deve avere alcuna attinenza col fatto che è in gioco la vita di persone innocenti. L’Unione deve esprimere la propria solidarietà alla Bulgaria e schierarsi al suo fianco nella lotta volta a revocare la sentenza iniqua e politicamente motivata emessa dal tribunale libico. Dobbiamo utilizzare tutti gli strumenti ancora a nostra disposizione, sanzioni comprese. E’ indispensabile inviare un messaggio chiaro al popolo bulgaro, convincendolo ulteriormente che valeva la pena aderire all’Unione europea e che l’Unione sarà al fianco di ciascuno dei suoi Stati membri ogniqualvolta essi si troveranno in difficoltà. In definitiva, questo è il vero significato dell’Europa comune cui tutti apparteniamo.

 
  
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  Luisa Fernanda Rudi Ubeda (PPE-DE). – (ES) Signora Presidente, innanzi tutto desidero congratularmi con lei per essere stata eletta Vicepresidente e per avere ricevuto il massimo dei voti nell’elezione che abbiamo tenuto ieri.

Per l’ennesima volta, in seno a questo Parlamento, discutiamo del caso delle infermiere bulgare e del medico palestinese condannati a morte in Libia. Vorrei, in primo luogo, esprimere la solidarietà di tutto il Parlamento europeo ai bimbi malati – alcuni dei quali sono ormai deceduti – e alle loro famiglie.

Al tempo stesso, però, vorrei pronunciarmi risolutamente in difesa dei nostri principi e contro la pena di morte. Nei paesi europei – grazie a Dio – già da molti anni siamo giunti alla conclusione che nessun essere umano è autorizzato a togliere la vita a un altro essere umano, né a giustificare questa possibilità.

Nell’aprile 2005 i membri della Delegazione per le relazioni con i paesi del Maghreb e l’Unione del Maghreb arabo hanno avuto l’opportunità di recarsi in Libia e di parlare di questo caso con le autorità del paese. All’epoca sembrava che s’intravedesse una luce di speranza perché il progetto di cooperazione – successivamente approvato – dell’Unione europea con i bambini e l’ospedale di Bengasi era stato avviato.

Tuttavia, alla luce della revisione del processo e della nuova condanna, abbiamo osservato che le relazioni tecniche che hanno scagionato le infermiere bulgare – alcune delle quali firmate dallo stesso scopritore del virus dell’AIDS e da scienziati di Oxford – hanno dimostrato, attraverso un’analisi filogenetica del virus dei bambini, che il virus era giunto in Libia molti anni prima che le infermiere bulgare arrivassero nel paese.

Ciononostante, abbiamo potuto constatare che queste relazioni non sono state ammesse in tribunale e, pertanto, le infermiere e il medico non hanno potuto contare su garanzie processuali adeguate.

Concludo, signora Presidente, ricordando che il Commissario Barrot ci ha chiesto di dimostrare discrezione e prudenza sulla questione. Effettivamente, credo che il comportamento tenuto nel corso degli ultimi otto lunghi anni sia stato proprio questo, con i risultati che ne sono scaturiti finora. Ora, forse, oltre ad applicare i principi della discrezione e della prudenza, l’Unione europea dovrebbe porre l’accento sulla fermezza.

 
  
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  Elena Valenciano Martínez-Orozco (PSE). – (ES) Signora Presidente, mi congratulo con lei per l’incarico ottenuto.

Il gruppo socialista al Parlamento europeo ritiene estremamente grave la sentenza che conferma la condanna a morte delle infermiere bulgare e del medico palestinese, ingiustamente accusati di avere infettato centinaia di bambini con il virus dell’AIDS. Con questa condanna, assolutamente inaccettabile per tutti i democratici europei, la Libia intende condannare non solo gli accusati, ma anche la medicina e gli aiuti umanitari.

Manifestiamo dunque il più totale rifiuto della pena di morte in qualsiasi circostanza e ribadiamo l’impegno dell’Unione europea a lottare per ottenere la sua abolizione o una moratoria mondiale sulla sua applicazione.

La condanna a morte è particolarmente ingiusta in questo caso, primo, perché il processo non rispettava le norme di indipendenza e imparzialità del tribunale, un problema ampiamente diffuso in Libia, e, secondo, perché la sentenza contraddice le prove concrete presentate da esperti neutrali, che dimostrano l’innocenza degli imputati.

Inoltre, come dicevo, in questa maniera si puniscono la medicina e la salute pubblica, perché si occultano le vere cause che hanno determinato il contagio dei bambini con il virus dell’AIDS. Ricordiamo il dramma che stanno vivendo le persone condannate, dopo otto anni trascorsi nelle prigioni libiche, in condizioni subumane e vittime di maltrattamenti; ricordiamo anche il dramma dei bimbi malati e delle famiglie dei bambini deceduti, alle quali il mio gruppo esprime la sua totale solidarietà; sosteniamo inoltre i programmi della Commissione europea in Libia per la lotta contro l’AIDS.

Chiediamo l’immediata scarcerazione delle infermiere e del medico, che sono innocenti, ed esortiamo le autorità libiche a concentrarsi sui bambini infetti.

Promuoviamo tutti, quindi, una politica dei diritti umani effettivamente coerente, credibile e ferma.

 
  
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  Marian Harkin (ALDE). – A Uachtaráin agus ba mhaith comhghairdeas a dhéanamh leat as a bheith tofa. Is ábhar áthais dom, ar an ócáid seo, mo chéad chomhrá i 2007 a thabhairt daoibh i mo theanga dhúchasach, an Ghaeilge. Tá áthas orm chomh maith gurb é aidhm an chéad chomhrá sin ná comhpháirtíocht a thairiscint do cheann de na Ballstáit nua, an Bhulgáir. Níl a lán ama agam, mar sin déanfaidh mé dhá phointe ghearra.

Tá nath cainte againne in Éirinn, 'ní neart go cur le chéile', agus sin atá i gceist againne inniu. Táimid ag tabhairt tacaíochta don Bhulgáir ina h-iarrachtaí ar shaoirse a bhaint amach do sheisear daoine neamhchiontacha: cúigear banaltraí agus dochtúir as an Phalaistín agus iad faoi bhagairt píonós an bháis sa Libia.

Ar an dara dul síos, áfach, tá nios mó ná tacaíocht na Parlaiminte ón Bhulgáir. Tá ról lárnach ag an nGearmáin ina hUachtaránacht, agus ag an gComhairle chomh maith, chun dul i ngleic leis an gceist phráinneach seo. Caithfidh siad úsáid a bhaint as a gcuid tionchair ar an leibhéal idirnáisiúinta chomh maith.

 
  
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  Simon Coveney (PPE-DE). – A Uachtaráin, nuair a bhí an Pharlaimint ar athló i rith na Nollag agus na hAthbhliana, fuair cúig bhanaltraí ón mBulgáir cathróireacht ón Aontas Eorpach. Ag an am céanna, áfach, dúirt Cúirt sa Libia go raibh siad daortha chun báis. Tá siad cúisithe toisc go raibh baint acu le galrú 426 paistí le HIV in ionad Benghazi sa Libia.

Is é seo an dara triail sa chás seo, tar éis rialú ón gCúirt Uachtarach, ach tá a lán imní ann ó thaobh cóir agus neamhchaontacht na trialach.

Pare che ora il Presidente Gheddafi voglia utilizzare questa vicenda come strumento di mercanteggiamento politico. A quanto sembra intende avviare colloqui per una revisione della condanna a morte delle infermiere bulgare a patto che sia rilasciato un cittadino libico detenuto per l’attentato di Lockerbie del 1988. Tale comportamento equivale semplicemente a utilizzare le vite altrui come capitale politico. Le infermiere sono ormai detenute da otto anni e questa risoluzione deve avere l’unico obiettivo di ribadire la richiesta del loro rilascio incondizionato.

Gli imputati hanno ora il diritto di appellarsi contro le sentenze. In questa fase finale del processo, occorre prendere nuovamente in considerazione le prove scientifiche sull’origine e la tempistica del contagio di Bengasi senza la presenza di un gruppo di esperti libico parziale o politicamente motivato a confutare tali affermazioni. Sostengo fermamente l’idea di nominare un relatore speciale UE per questo caso affinché controlli e segua da vicino l’appello degli imputati.

L’utilizzo della tortura, cui a quanto pare si sarebbe fatto ricorso per estorcere confessioni agli imputati durante il periodo di detenzione, e i vergognosi ritardi di questo processo continuano a essere fonte di grave preoccupazione per l’UE. Giacché la Libia sostiene di voler instaurare buone relazioni con l’UE e assumere seri impegni nei suoi confronti, il Parlamento europeo deve affermare a chiare lettere che attribuiamo notevole importanza al trattamento riservato ai nostri cittadini in Libia e accordiamo la massima priorità alle richieste volte a ottenere la loro immediata scarcerazione.

 
  
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  Ana Maria Gomes (PSE). – (EN) Signora Presidente, è un piacere vederla presiedere la seduta.

Siamo contrari alla pena di morte in qualsiasi parte del mondo. Siamo dunque sconvolti dalla sentenza emessa il 19 dicembre 2006 nei confronti delle cinque infermiere bulgare e del medico palestinese, soprattutto perché gli imputati non hanno potuto essere sottoposti a un processo equo in un paese in cui la tortura è la norma e in cui i cittadini sono ancora succubi di un dittatore folle e terrorista dopo aver subito per molti anni le sanzioni dell’ONU a causa delle sue avventure terroristiche.

Ma ancora più sconvolgente è il fatto che i governi UE e la Commissione sembrano aver dimenticato troppo facilmente gli assassini di massa di Lockerbie e del volo UTA ordinati dal regime di Gheddafi, e ora sono lieti di ingraziarsi quel dittatore omicida, come hanno fatto di recente a Tripoli i ministri dell’Unione europea. Questo comportamento è dovuto al petrolio e agli accordi che molti di loro sembrano ritenere più importanti dei diritti umani dei cittadini europei e palestinesi? E’ dovuto al fatto che, in realtà, molti membri dei governi UE sono ostaggio della dittatura di Gheddafi poiché temono che il colonnello renda nota la loro complicità con il suo regime nell’esternalizzazione della tortura ad opera dell’amministrazione Bush nell’ambito del programma di consegne straordinarie? Perché governi come quello britannico o il mio, il governo portoghese, non svelano l’intenzione e i contenuti dei frequenti voli effettuati in e dalla Libia dal giugno 2003, individuati dalla commissione temporanea del Parlamento europeo sul presunto uso dei paesi europei da parte della CIA per il trasporto e la detenzione illegali di prigionieri? Perché i governi UE e la Commissione non agiscono infine in maniera determinata e visibile per ottenere il rilascio di queste cinque infermiere bulgare e del medico palestinese?

 
  
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  Bogusław Sonik (PPE-DE). – (PL) Signora Presidente, desidero congratularmi con lei per lo splendido risultato che ha ottenuto ieri.

Alcuni anni fa, stimolata dalle pressioni internazionali, la Libia ritirò il suo sostegno ufficiale al terrorismo internazionale, ammettendo altresì il proprio coinvolgimento nella tragedia di Lockerbie. La Libia, tuttavia, non rispetta ancora i diritti umani e le libertà civili. Ho osservato con interesse il graduale coinvolgimento del paese in molti settori della cooperazione internazionale, quali il commercio di petrolio e la gestione degli emigranti illegali che cercano di raggiungere l’Europa attraverso la Libia.

La Libia è un bel paese e vanta monumenti importanti ma poco conosciuti, che risalgono all’epoca dell’Impero romano. Ha bisogno di aiuto per sviluppare le sue infrastrutture turistiche. In altre parole, la Libia ha bisogno dell’Europa e l’Europa ha bisogno della Libia. Occorre sviluppare una relazione di cooperazione reciproca. Non possiamo tuttavia acconsentire alla cooperazione a qualsiasi costo, ovvero a discapito della vita delle infermiere bulgare e del medico palestinese. Sappiamo per esperienza che il Colonnello Gheddafi e il suo paese cederanno solo quando saranno sottoposti a una forte, determinata e costante pressione internazionale.

E’ questo l’approccio che dobbiamo adottare con urgenza ora. L’Unione europea deve dimostrare fermezza e solidarietà nella lotta per il rilascio di chi è stato ingiustamente incarcerato. Signor Commissario, il tempo dei negoziati condotti in segreto nella speranza di giungere a una soluzione amichevole del caso delle infermiere bulgare è finito. Dobbiamo accettare il fatto che quei tentativi sono stati vani. Il Consiglio europeo e la Commissione europea devono adottare un tono molto più determinato. Devono utilizzare tutti gli strumenti possibili per ostacolare i contatti che la Libia cerca di instaurare con l’Europa, ostracizzandola dalla comunità internazionale ed emarginandola nuovamente. A seguito delle azioni della Libia, occorre porre fine a ogni forma di contatto con tale paese.

 
  
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  Pierre Schapira (PSE). – (FR) Signora Presidente, la situazione è sconvolgente, scandalosa e inammissibile. Questa è una seconda condanna a morte per le infermiere bulgare e il medico palestinese. La giustizia libica ha nuovamente dimostrato la propria iniquità e la strumentalizzazione politica del proprio apparato giudiziario. La questione dell’AIDS non è altro che un misero pretesto.

Dinanzi alle gravi violazioni dei diritti fondamentali commesse dalle autorità libiche e al fallimento di tutte le iniziative intraprese, dobbiamo reagire con fermezza. Vorrei che gli Stati membri dell’Unione facessero fronte comune contro il regime di Gheddafi, parlassero con una voce sola e non cedessero ad alcuno dei suoi ricatti.

In questo modo, gli Stati membri potrebbero approfittare del giro di capitali europee programmato dal Colonnello Gheddafi per rifiutargli il diritto di entrare nel territorio dell’Unione europea fino all’avvenuto rilascio degli operatori sanitari. Il regime libico deve capire che gli Stati membri dell’Unione sosterranno tutti la Bulgaria e agiranno tutti con la stessa determinazione che dimostrerebbero se a essere direttamente interessati dalla questione fossero i loro cittadini.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. VIDAL-QUADRAS
Vicepresidente

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE-DE). – (SK) Come eurodeputato e come medico, non credo che un dottore palestinese e cinque infermiere bulgare, il cui sacrosanto dovere è aiutare e curare i malati, avrebbero consciamente e deliberatamente infettato dei bambini con il virus dell’HIV nello svolgimento del loro lavoro in Libia.

Tendo piuttosto a chiedermi se sia possibile credere alla Libia e al suo leader screditato, il Colonnello Gheddafi. Quel paese è tuttora guidato da una persona che ha intenzionalmente e deliberatamente ordinato l’annientamento di vittime innocenti da parte di terroristi che hanno fatto esplodere un aereo civile sulla città di Lockerbie. Al di là della sua ammissione di responsabilità per questo terribile reato, l’unico aspetto “positivo” della Libia sono i suoi vasti giacimenti di petrolio e gas naturale.

La pena capitale inflitta agli operatori sanitari è un atto orribile e cinico da parte di Gheddafi e del suo regime, non un’espressione dello Stato di diritto e della giustizia. Mi chiedo anche se quest’azione non possa far parte di un gioco sporco da parte della Libia, che tenta di arraffare ingenti somme di denaro quale forma di risarcimento per le vite dei bambini, o se, ora che la Bulgaria è entrata a far parte dell’UE, la Libia non stia forse ricattando l’Occidente e l’Unione europea nel tentativo di orchestrare il rilascio dei terroristi libici che sono stati giustamente condannati e incarcerati per le loro azioni.

Chiedo quindi alla Commissione europea e alla Germania quale paese che detiene la Presidenza del Consiglio europeo, di utilizzare tutti i mezzi disponibili per esercitare pressioni politiche ed economiche sulla Libia al fine di salvare le vite delle infermiere bulgare e del medico palestinese. Eventuali concessioni politiche a Gheddafi e al suo regime autoritario costituirebbero un grave e fatale errore. Accettare politici con un passato terroristico o, ancor peggio, collaborare con loro, è immorale e può pregiudicare i principi su cui si fonda l’Europa: verità, Stato di diritto, diritti umani e rispetto della dignità umana.

 
  
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  Günter Gloser, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, vi ringrazio per i vostri contributi nonché per l’interesse che avete dimostrato per le condizioni delle cinque infermiere bulgare e del medico palestinese.

Come in passato, deve essere chiaro che l’Unione europea sarà generosa nella sua solidarietà verso la Bulgaria, le infermiere e il medico palestinese, nonché negli sforzi che prodigherà a loro nome.

Posso garantirvi che la Presidenza – sulla base, ovviamente, di questo dibattito, ma anche di precedenti decisioni – dirà chiaramente e coerentemente come stanno le cose nei colloqui che avrà con le autorità libiche.

Né i procedimenti né il verdetto possono essere considerati soddisfacenti: come hanno affermato altri oratori, l’Unione europea è contraria alla pena di morte non solo sul suo territorio ma anche in altre parti del mondo. Effettivamente, come avete rilevato in molti, la Libia si è avvicinata all’Europa e, sebbene il cambiamento di rotta intrapreso dal paese alcuni anni fa sia stato giusto e opportuno, affinché questo riavvicinamento trovi espressione concreta dobbiamo affermare con assoluta chiarezza che non possiamo accettare quanto avvenuto finora in Libia in questo caso.

La Presidenza tedesca del Consiglio si unirà pertanto alla Commissione nel tentativo di intensificare le pressioni sulla Libia, affinché le persone condannate a morte non debbano più vivere nell’incertezza come sono costrette a fare da ormai molti anni. D’altro canto, però, abbiamo anche chiarito – e continueremo a farlo in futuro – che ovviamente siamo anche consapevoli dell’altro aspetto di questa tragedia e continueremo a sostenere le persone contagiate, non ultimi i bambini, laddove sia necessario il nostro aiuto; tuttavia, giacché il nostro sostegno non deve essere utilizzato per altri fini, è importante che la Presidenza possa contare anche sull’appoggio del Parlamento.

 
  
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  Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, con cui mi congratulo per la sua rielezione, posso dirvi che la collega, Commissario Kuneva, ed io abbiamo seguito con la massima attenzione l’intero dibattito, che riflette la profondissima preoccupazione di tutto il Parlamento europeo per l’inaccettabile situazione in cui versano queste persone, detenute dal 1999, una data che non vi deve sfuggire. Siamo convinti, a nome della Commissione, che le Istituzioni europee abbiano l’assoluto dovere di dare prova di solidarietà in questa vicenda e che il nostro sostegno debba essere determinato.

Confermo dunque, come ha appena fatto la Presidenza del Consiglio, che tutte le Istituzioni europee si dimostreranno solidali nei confronti di questa tragedia. Vorrei altresì informarvi della forte determinazione della collega, Commissario Ferrero-Waldner, a trovare una soluzione per via negoziale. Il Commissario Ferrero-Waldner è pienamente coinvolto in un dialogo che è senza dubbio difficile, ma che deve assolutamente giungere a una conclusione positiva. Infine, benché poc’anzi io abbia fatto riferimento a iniziative forse improvvisate o intempestive, che potrebbero mettere a repentaglio questo indispensabile negoziato e questo dialogo fondamentale, le autorità libiche non devono dimenticare che il futuro delle relazioni tra la Libia e l’Unione europea dipenderà dalla soluzione che sarà data a questo problema.

Il Commissario Ferrero-Waldner terrà informato il Parlamento di ogni eventuale sviluppo sulla questione, signor Presidente, soprattutto dopo la riunione del Consiglio “Affari generali”.

Desidero ringraziare il Parlamento per avere affrontato l’argomento utilizzando un linguaggio assolutamente degno e consono alla gravità della questione.

 
  
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  Presidente. – Grazie molte, signor Commissario.

A conclusione della discussione, comunico d’aver ricevuto sei proposte di risoluzione(1) ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, e dell’articolo 108, paragrafo 5, del Regolamento

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani alle 12.00.

 
  

(1) Cfr. Processo verbale.

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