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RC-B6-0314/2008

Discussioni :

PV 19/06/2008 - 9.1
CRE 19/06/2008 - 9.1

Votazioni :

PV 19/06/2008 - 10.1

Testi approvati :


Resoconto integrale delle discussioni
Giovedì 19 giugno 2008 - Strasburgo Edizione GU

9.1. Birmania: protrarsi della detenzione di prigionieri politici
PV
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione su sei proposte di risoluzione sulla Birmania(1).

 
  
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  Mikel Irujo Amezaga, autore. (ES) Signor Presidente, come dicevo il 12 marzo, secondo la Campagna per i diritti umani, la pace e la democrazia in Birmania, il prigioniero politico birmano più anziano ha passato il suo 78° compleanno in carcerazione cellulare nella prigione di Insein.

Si tratta di U Win Tin, un’eminente giornalista e leader della Lega nazionale per la democrazia. U Win Tin è la più anziana prigioniera di coscienza della Birmania. Ha passato gli ultimi 19 anni in carcere, dal luglio 1989.

È stata condannata a tre periodi di reclusione di 21 anni. Siamo a conoscenza delle sue attuali condizioni solo grazie all’ultima relazione sulle condizioni dei prigionieri birmani di Yozo Yokota, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione per i diritti umani in Birmania.

U Win Tin ha rifiutato di rinunciare ai suoi ideali politici in cambio della libertà. Nel gennaio 2008 è stata ricoverata in ospedale per una seconda operazione di ernia.

È una dei 1 873 prigionieri politici della Birmania. Ovviamente, nella presente risoluzione, desideriamo altresì esprimere la nostra condanna dell’estensione degli arresti domiciliari di Daw Aung San Suu Kyi.

Il mio gruppo richiede misure immediate per avviare un processo di riforma politica ed economica necessario e urgente. Innanzi tutto, il rilascio di tutti i prigionieri politici. In secondo luogo, il ristabilimento delle libertà civili fondamentali e, ovviamente, un dialogo politico tra le parti.

Ribadiamo altresì la nostra richiesta al Consiglio di adottare misure vigorose contro la giunta militare birmana, che è diventata leader mondiale nella violazione dei diritti umani.

 
  
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  Marios Matsakis, autore. (EN) Signor Presidente, quest’Assemblea ha adottato numerose risoluzioni che condannano la giunta militare della Birmania per le gravi violazioni commesse ripetutamente contro i diritti umani del popolo birmano. Eppure questi spietati generali fanno poco caso a quanto diciamo loro. Al contrario, continuano a tenersi ben stretto il potere nel modo più disgustoso, pomposo e irritante.

Persino in seguito alla devastazione operata dal recente ciclone, essi non solo hanno ostacolato i tentativi di aiuto provenienti dal mondo libero, ma hanno anche tratto vantaggio dalla miseria dei loro cittadini mentre si trovavano nel momento del bisogno, promuovendo la loro stessa immagine di apparenti samaritani e angeli buoni, mediante palesi apparizioni esibizioniste sui mezzi di comunicazione dello Stato controllati dalla giunta e tenendo un referendum sulla costituzione solo qualche giorno dopo il verificarsi della catastrofe del ciclone.

Coloro che si oppongono alla giunta vengono torturati, uccisi o incarcerati. Un esempio è certo il vincitore del Premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, che ha portato alla vittoria la Lega nazionale per la democrazia nelle elezioni tenutesi 18 anni fa, che ha passato 12 anni in carcere – e di recente la giunta ha deciso di estendere ulteriormente il suo periodo agli arresti domiciliari.

Penso che sia giunto il momento di attuare misure più severe contro la mostruosa giunta della Birmania. La misura più efficace sarebbe esercitare pressioni sulla Cina affinché smetta di sostenerla. Se la Cina non coopera su questo punto, dovremo allora agire relativamente alle nostre relazioni commerciali con Pechino e in merito ai Giochi olimpici cinesi. Si tratta probabilmente dell’unico modo che ci è rimasto per fare qualcosa circa la libertà e la democrazia in Birmania.

 
  
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  Ryszard Czarnecki, autore. (PL) Signor Presidente, credo che l’atteggiamento di un paese verso le offerte di aiuto internazionali in caso di disastri e catastrofi naturali mostri il genere di paese con cui stiamo trattando. Sebbene vi possano essere molte riserve in merito alla Cina, sappiamo che tale paese, in un momento molto difficile, è stato in grado di accettare gli aiuti internazionali. Similmente, abbiamo visto l’atteggiamento della Birmania nei confronti degli aiuti internazionali, ivi compresi gli aiuti degli Stati membri dell’Unione europea.

C’era una piece americana intitolata Same Time, Next Year (Stessa ora, il prossimo anno). Il nostro Parlamento è un po’ così con la Birmania. Ogni anno ci incontriamo e discutiamo la situazione in tale paese. A essere onesti, non vi è alcun reale cambiamento significativo. Concordo con i fatti presentati dal precedente oratore. Una situazione in cui una donna, il leader dell’opposizione, è stata tenuta agli arresti domiciliari per così tanti anni non si è mai sentita in tutto il mondo. Non dobbiamo abituarci a questa situazione. Mi auguro che potremo superare le divisioni in questo Parlamento e parlare con una voce sola in difesa della democrazia in Birmania.

 
  
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  Thomas Mann, autore. (DE) Signor Presidente, la giunta militare della Birmania persiste nei suoi tentativi di isolare il paese e il suo popolo dal resto del mondo. Nel settembre 2007, dopo che la protesta dei monaci buddisti è stata brutalmente repressa, è stato imposto un embargo sulle notizie. Lo scorso mese, è stato impedito alle organizzazioni internazionali di aiutare le vittime del ciclone. Si è verificato un lungo ritardo prima che gli operatori umanitari fossero in grado di raggiungere le persone bisognose e per alcuni gli aiuti sono arrivati troppo tardi.

Ora stanno trapelando altre voci di natura parimenti allarmante, quali la notizia degli arresti delle vittime del ciclone che hanno cercato l’aiuto dei funzionari ONU. Le forze di sicurezza, inoltre, hanno sparato uccidendo o ferendo gravemente i detenuti che cercavano di fuggire da una prigione distrutta dal ciclone Nargis. L’UE non ha chiuso un occhio e ha imposto un embargo commerciale, sebbene esso non abbia ancora avuto l’impatto desiderato. Ha minacciato di applicare sanzioni più dure qualora la situazione dei diritti umani non migliori, eppure i leader birmani non hanno mosso un dito.

Ci esorto a non rilassare le nostre richieste. I prigionieri politici del paese devono essere rilasciati. Devono essere tolti gli arresti domiciliari in cui Aung San Suu Kyi ha vissuto per decenni. Il coraggioso impegno dimostrato dalla vincitrice del Premio Nobel costituirebbero un anatema per qualsiasi dittatore. Fondamentalmente si devono considerare i generali birmani per il modo in cui hanno trattato i cittadini del loro stesso paese, molti dei quali sono ancora dispersi. Il dialogo con il relatore speciale delle Nazioni Uniti e la garanzia che gli sarebbe stato permesso di visitare il paese costituisce un primo passo. I governi dei paesi membri dell’ASEAN devono altresì utilizzare la loro influenza per far rinsavire la giunta. Vi è la necessità di aumentare la pressione anche sulla Cina, che è probabilmente l’ultimo sostenitore della Birmania. Se necessario, il Consiglio e gli Stati membri dell’UE devono inasprire le loro sanzioni. Signor Commissario, stiamo davvero attendendo che agisca – il popolo della Birmania ha bisogno della nostra solidarietà.

 
  
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  Erik Meijer, autore. (NL) Signor Presidente, il regime militare della Birmania cerca di dare l’impressione che sta mantenendo una buona politica e importanti valori nazionali contro un mondo esterno ostile che minaccia tali valori positivi. Richiede il sostegno unanime della popolazione nel difendere tali valori.

Mi auguro che tale affermazione sia vera e che nel corso degli ultimi 40 anni il popolo birmano sia potuto essere felice della situazione, ma quali sono i valori che il regime sta difendendo? Mi vengono alla mente quattro aspetti. Innanzi tutto, i privilegi per una casta militare; un gruppo armato chiuso controlla l’amministrazione e l’economia. Tale gruppo può arricchire se stesso, mentre gli altri restano poveri. In secondo luogo, la repressione delle minoranze nazionali, i gruppi nel paese con una lingua e una cultura diverse che vogliono un autogoverno. I loro territori sono stati aggiunti alla Birmania durante il periodo coloniale inglese, ma sono relegati allo status di cittadini di terz’ordine. Terzo, il reddito di origine straniera viene guadagnato attraverso esportazioni basate sulla concorrenza attraverso salari estremamente bassi e il lavoro forzato. Quarto, il rifiuto sistematico di consultarsi con gruppi che vogliono cambiare la situazione, sebbene una volta abbiano vinto le uniche elezioni libere che tale regime ha osato tenere.

Con gli aiuti forniti in seguito alla catastrofe delle inondazioni, ci siamo resi conto di quanto il regime tema la possibilità che gli stranieri vedano in prima persona quanto è grave la situazione o il fatto che influenzino la popolazione. I rifugiati interni devono tornare celermente a villaggi devastati che non sono stati ricostruiti, meramente al fine di evitare contatti tra le masse scontente. Immediatamente dopo la catastrofe, è stata data la priorità a tenere un referendum il cui principale scopo era escludere dal potere l’opposizione democratica in modo permanente per mezzo di un risultato artefatto. L’incarcerazione delle persone su basi politiche costituisce un mezzo di sopravvivenza per un regime di questo tipo. Il mondo esterno deve alzarsi in piedi per tali prigionieri e gli altri oppositori. Cina e India devono farlo, così come l’Europa.

 
  
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  Józef Pinior, autore. (PL) Signor Presidente, negli ultimi tempi, qui a Strasburgo, il giovedì pomeriggio abbiamo considerato la situazioni in Birmania quasi ogni mese. Abbiamo dinanzi due relazioni relative alla situazione in Birmania. La prima è stata prodotta dall’Unione interparlamentare, mentre la seconda è una relazione del relatore speciale delle Nazioni Unite per la situazione dei diritti umani in Birmania. Tali relazioni sono inequivocabili. Parlano di incarcerazione di parlamentari, omicidi, condizioni terribili per i prigionieri politici e una situazione catastrofica della civiltà in tale paese.

Agendo in qualità di Parlamento europeo, dobbiamo esercitare pressione sulle autorità birmane. Perché la situazione cambi nel corso delle prossime settimane e dei prossimi mesi, ciò che è necessario è un’azione concertata da parte di tutti i parlamenti democratici di tutto il mondo, così come la cooperazione di paesi quali India e Cina, al fine di esercitare pressioni sulle autorità della Birmania, così che vi possa essere un reale miglioramento della situazione.

Desidero parlare della sorte dei parlamentari che oggi sono prigionieri in Birmania, sia i membri del parlamento che sono stati arrestati nell’autunno del 2007 che quelli scomparsi o morti in circostanze sconosciute, quando sono stati arrestati, così come coloro che sono stati assassinati e che sono morti in circostanze inspiegabili.

La relazione del relatore delle Nazioni Unite è chiara. Il rilascio immediato di Aung San Suu Kyi costituirebbe un inizio per i dialoghi con le autorità birmane su democrazia e miglioramenti nella situazione dei diritti umani in tale paese. E’ di fondamentale importanza garantire la libertà dei prigionieri politici e, soprattutto, fornire assistenza medica a tali prigionieri, e su questo dobbiamo forzare le autorità birmane.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė, a nome del gruppo PPE-DE. – (LT) Oggi parliamo della Birmania, delle migliaia di prigionieri politici che soffrono nelle sue carceri, di Aung San Suu Kyi, il carismatico leader della Lega nazionale per la democrazia. Nel 1990 il partito sotto la sua guida ha vinto le elezione con l’82 per cento dei voti, ma i generali al potere nel paese hanno rifiutato di rispettare la volontà della nazione e da allora Aung San Suu Kyi è stata agli arresti domiciliari.

“Usate la vostra libertà per promuovere la nostra”, come ha affermato una volta la vincitrice del Premio Nobel. Non ho alcun dubbio che il popolo birmano avrebbe allora superato il potere dei generali. Non esistono dittatori immortali, ma lo spirito di libertà è senza tempo.

Non abbiamo alcun diritto di restare imparziali quando ci confrontiamo con un disumano comportamento barbarico. Desidero citare Martin Luther King, che ha affermato: “Alla fine, non ricorderemo le parole dei nostri nemici, bensì il silenzio dei nostri amici”.

Pertanto, la questione che il Parlamento europeo ha di fronte oggi è: da quale parte stiamo? Stiamo dalla parte di Aung San Suu Kyi, delle migliaia di prigionieri politici! Chiediamo il loro rilascio immediato; chiediamo che in Birmania siano rispettati i diritti umani.

 
  
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  Genowefa Grabowska, a nome del gruppo PSE. (PL) Signor Presidente, non è ancora passato un anno e questa è la terza volta che discutiamo la situazione in Birmania. Esortiamo ancora una volta il governo di tale paese di rispettare i diritti umani e le norme umanitarie fondamentali per il trattamento dei prigionieri. Sottolineiamo le ingiustizie, facciamo appelli, avanziamo richieste, ci lamentiamo della situazione, imponiamo sanzioni e, ancora una volta, condanniamo il regime birmano. A sua volta, tale regime mostra un’immunità sorprendente alla pressione della comunità internazionale, ignora gli appelli, riguardo ai quali semplicemente non fa nulla. Per tale ragione è con un po’ di imbarazzo che mi alzo per parlare della Birmania. Vedo la nostra impotenza fino a oggi, non solo nostra, cioè del Parlamento europeo e dell’Unione europea, ma anche di tutte le assemblee, ivi comprese le Nazioni Unite.

Per tale ragione, penso che il tempo delle parole si sia concluso. Dobbiamo avanzare ferme richieste affinché si eserciti pressione diplomatica così che, attraverso i canali diplomatici del Consiglio dell’Unione europea e degli Stati membri, il regime sia obbligato ad agire in modo adeguato.

Desidero richiedere l’adozione del punto sette e dieci della risoluzione, che invoca un processo di riconciliazione nazionale in tale paese.

 
  
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  Marcin Libicki, a nome del gruppo UEN. (PL) Signor Presidente, dittature e regimi che ricorrono alla violenza o regimi che perseguitano le loro popolazioni cadono raramente a causa di una qualche pressione diplomatica generale. Certo concordo con l’onorevole Grabowska in merito al fatto che la pressione sia necessaria. Tali regimi possono cadere solo quando la situazione internazionale diventa tale che il regime perde il supporto di coloro da cui dipendono le sue politiche interne. Per tale ragione, da un lato, l’intero sforzo diplomatico deve andare verso il sostegno di un’opposizione debole e appena visibile e, dall’altro, un’altra soluzione sarebbe costituita dall’appoggiare con la forza le organizzazioni politiche internazionali, la pressione internazionale. Per tale ragione, desidero ripetere ancora una volta: l’Unione europea deve disporre di forze proprie al fine di essere in grado di intervenire in casi quali quello della Birmania.

 
  
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  Urszula Krupa, a nome del gruppo IND/DEM. (EN) Signor Presidente, il problema delle violazioni dei diritti umani in Birmania è stato discusso in diverse occasioni nel corso del presente mandato del Parlamento europeo. Purtroppo, le discussioni e le risoluzioni approvate non hanno modificato la situazione politica e sociale nel paese, dove, dal 1962, l’esercito è salito al potere in uno dei regimi politici più ignobili a livello mondiale.

Nel corso degli ultimi 40 anni, migliaia di persone perseguitate e condannate per un’attività politica sono state incarcerate in tale paese, che ha attraversato catastrofi inflitte non solo dal regime. La popolazione birmana è obbligata a lavorare e persino i bambini vengono arruolati nell’esercito. Il segretario generale della Lega per la democrazia ha passato 13 degli ultimi 18 anni agli arresti domiciliari come prigioniero politico e, recentemente, sono state arrestate 1 900 persone – che vivono in condizioni che violano i diritti umani – per aver espresso il desiderio di avere una democrazia in Birmania o persino per aver chiesto aiuti umanitari, che erano necessari dopo il passaggio del ciclone.

Il regime birmano non perseguita solo l’opposizione. Ha inoltre violato i diritti umani rendendo impossibile fornire aiuti umanitari in seguito al ciclone, il che ha messo in pericolo le vite dei suoi cittadini. Ha altresì obbligato le vittime del ciclone a lasciare temporaneamente i campi profughi e a tornare alle case che erano state distrutte nella catastrofe. Gli appelli del Segretario generale dell’ONU e di altre organizzazione sono risultate in un maggior numero di arresti e uccisioni dei suoi tormentati cittadini.

Certo appoggiamo una risoluzione che contiene non solo la nostra opposizione alla persecuzione della vincitrice del Nobel, ma anche la proposta di rilasciare altri prigionieri politici e a condurre un’indagine, sotto l’egida dell’ONU, sulle accuse di uccisione dei prigionieri ad opera dell’esercito nel corso della recente catastrofe.

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (PSE). - (PL) Signor Presidente, è passato un anno dall’ultima risoluzione del Parlamento europeo che attirava l’attenzione sulla drammatica situazione interna della Birmania. Il regime militare al potere non ha tuttavia compiuto alcun passo sulla strada verso la democrazia. Il segretario generale della Lega nazionale per la democrazia ha passato gli ultimi 13 anni agli arresti domiciliari. La vincitrici del Nobel Aung San Suu Kyi, che aveva altresì ricevuto il Premio Sacharov da parte del Parlamento europeo, è stata incarcerata senza processo, nonostante la pressione esercitata dalle organizzazioni internazionali. In Birmania 1 900 attivisti dell’opposizione sono tenuti in carcere in condizioni disumane. Ciò che è preoccupante sono anche le voci dell’omicidio di 36 prigionieri in una struttura carceraria di Rangoon e il ferimento di altri 70 assassinii, a causa del panico causato dal ciclone che ha devastato la Birmania nel maggio di quest’anno.

Il regime al potere deve immediatamente eliminare tutte le restrizioni alla libertà di parola e ai diritti fondamentali, tra cui i divieti su un’attività politica pacifica. La Birmania ha la responsabilità di fornire aiuti alle vittime del ciclone e di dare alle organizzazioni umanitarie internazionali il libero accesso alle regioni colpite. Rafforzare le sanzioni economiche esistenti e i controlli sull’accesso della giunta agli aiuti dell’UE, così come una maggiore pressione politica esercitata da parte dell’ASEAN, miglioreranno senza dubbio le possibilità di stabilizzare la situazione in Birmania.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE). - (SK) Concordo con gli onorevoli colleghi che hanno parlato prima di me in merito al fatto che il Parlamento europeo debba adottare un atteggiamento inflessibile nei confronti di un paese in cui l’arroganza totalitaria del potere non conosce limiti. Un regime totalitario che ricava capitale politico dalla tragedia del suo stesso popolo non può trovare comprensione e deve essere condannato.

Onorevoli colleghi, dobbiamo far uso di tutti i mezzi di cui disponiamo per lavorare, insieme all’ONU, al fine di aiutare le vittime del ciclone Nargis. Esorto il Consiglio ad adottare ulteriori misure e a impedire alla giunta di avere accesso ai finanziamenti dell’UE. Dato che sappiamo con certezza che i diritti umani in Birmania vengono continuamente violati, l’UE deve appoggiare le forze democratiche presenti in tale paese e richiedere il rilascio di tutti i prigionieri politici.

 
  
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  Marianne Mikko (PSE). - (ET) Onorevoli colleghi, oggi, giorno del 63° compleanno dell’attivista birmana per i diritti umani e la democrazia Aung San Suu Kyi, dobbiamo prestare attenzione particolare a ciò che accade in Birmania.

La Birmania si sta allontanando dai valori democratici ad una velocità allarmante. Ad oggi, la vincitrice del Premio Nobel e del Premio Sacharov Aung San Suu Kui ha passato 12 anni e 239 giorni in carcere. Non le è permesso ricevere visite, avere conversazioni telefoniche o ricevere messaggi di posta elettronica.

Oltre a questa donna eccezionale, migliaia di manifestanti pacifici sono stati incarcerati su basi politiche e persone sono scomparse segretamente. La giunta birmana ricorre a una violenza brutale.

Dobbiamo condannare l’azione brutale e non democratica del governo militare birmano. La Cina deve smettere di appoggiare la Birmania. Aung San Suu Kyi e altri prigionieri politici devono essere rilasciati immediatamente, il che significa oggi. Il continuo disprezzo della Birmania nei confronti dell’ONU e della comunità internazionale non deve essere permesso.

 
  
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  Ewa Tomaszewska (UEN). - (PL) Signor Presidente, circa 1 900 persone sono tenute agli arresti in condizioni meschine per aver espresso il loro appoggio all’introduzione della democrazia in Birmania. Decine di partecipanti alle proteste sono scomparse senza lasciare traccia. Aung San Suu Kyi ha passato 13 anni agli arresti senza essere stata incriminata, il che va contro persino al diritto birmano. Altre decine di persone, vittime del ciclone Nargis, sono state arrestate per aver richiesto aiuti umanitari. Si è fatto inoltre fuoco su prigionieri di Rangoon quando il ciclone ha colpito la prigione. Esortiamo le autorità birmane ad abolire i divieti sulle attività pacifiche e a liberare immediatamente i prigionieri politici. Ci aspettiamo che abbia luogo un’indagine sugli omicidi dei prigionieri politici nel corso del passaggio del ciclone Nargis.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). - (PL) Signor Presidente, nonostante l’enorme interesse per la situazione della Birmania manifestato dal mondo intero così come da diverse istituzioni e organizzazioni internazionali, in tale paese non si è verificato alcun cambiamento interno. Migliaia di persone sono ancora in carcere in condizioni terribili, perché si sono alzati in piedi per la democrazia o perché hanno protestato contro il referendum costituzionale, i cui risultati non possono essere considerati affidabili. Il regime militare sta diventando più aggressivo nei riguardi dei prigionieri politici. Non è probabile che la speranza che le autorità birmane avvii discussioni con l’opposizione e con le organizzazioni internazionali si realizzi. Per tale ragione è fondamentale imporre sanzioni efficaci ed esercitare pressione sul regime con la partecipazione di quanti più paesi possibile.

 
  
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  Filip Kaczmarek (PPE-DE). - (PL) Signor Presidente, appena otto giorni dopo il ciclone, il regime birmano a obbligato il paese, il suo stesso paese, a partecipare a un referendum. Un referendum in merito a un progetto di costituzione ampiamente criticato e controverso. I risultati? Ridicoli, come se fossero stati presi direttamente dal vecchio periodo comunista: affluenza – 99 per cento; supporto alla nuova costituzione – 93 per cento. Un modello di non plausibilità, questo è tutto ciò che si può dire di tali risultati.

Sono convinto che presto o tardi i regimi, quali quello birmano, debbano cadere e l’Unione europea deve aiutarlo in questo.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, purtroppo l’onorevole Ferrero-Waldner non è qui oggi, pertanto condividerò con voi – per suo conto – qualche osservazione circa la situazione in Birmania/Myanmar.

La proposta di risoluzione del Parlamento europeo si concentra sulla situazione politica e in particolare sulla continua detenzione dei prigionieri politici. Prima di commentare in merito a tale questione, desidero informarvi circa le attività della Commissione in risposta al ciclone che sei settimane fa ha devastato il delta del fiume Ayeryawaddy.

La risposta della Commissione al ciclone è stata rapida e sostanziale: abbiamo approvato 17 milioni di euro di aiuti umanitari, tra cui 5 milioni di euro di aiuti alimentari. Abbiamo altresì attivato il meccanismo della protezione civile – la cooperazione con gli Stati membri dell’UE. che hanno aderito a tale meccanismo, ha funzionato molto bene. Copriamo la purificazione dell’acqua, il trasporto via nave, l’assistenza sanitaria di base e altre questioni importanti nel contesto successivo alla catastrofe.

L’emergenza umanitaria non si è conclusa. A oggi, circa la metà dei sopravvissuti raggiunti, vale a dire un milione, si trova ancora in una disperata situazione di bisogno. L’accesso alle zone colpite dalla catastrofe e la distribuzione di aiuti non avviene senza difficoltà, il che è dovuto sia alle proporzioni del disastro che alla burocrazia. I nostri operatori sul campo in Myanmar riferiscono una cooperazione da parte delle autorità che migliora gradualmente. Le nostre stesse attività umanitarie proseguono con ragionevole efficienza. Riconosciamo che le ONG internazionali si trovano in una situazione più difficile per quanto concerne l’accesso alle zone colpite.

Nel frattempo, i paesi dell’ASEAN si sono messi a capo del coordinamento dell’assistenza esterna. Costituiscono un membro del cosiddetto “meccanismo tripartito”, che comprende i paesi dell’ASEAN, il governo della Birmania/Myanmar e le Nazioni Unite.

Il governo ha emesso nuovi “orientamenti” per gli aiuti esterni. Tuttavia non abbiamo alcuna prova che essi siano utilizzati al fine di ridurre lo spazio per fornire aiuti.

Per noi, il ciclone e le sue terribili conseguenze costituiscono una questione puramente umanitaria. Difendiamo il concetto di sollievo umanitario basato sulle necessità.

In merito alla situazione politica in Birmania/Myanmar, il governo sembra impegnato a procedere con la sua cosiddetta “Tabella di marcia verso la democrazia”. Intendiamo tale tabella di marcia come una transizione lenta e strettamente controllata verso un governo civile in cui l’esercito gioca ancora un ruolo dominante. Il governo sembra impegnato a tenervi fede, al suo ritmo e senza tenere conto delle opinioni e delle osservazioni provenienti dall’esterno. In termini realistici, difficilmente vi è un’alternativa.

La riconciliazione nazionale richiederebbe un dialogo inclusivo. Tale dialogo non può avere luogo con le parti politiche interessate in carcere o agli arresti domiciliari. Ecco perché continuiamo a premere per il rilascio di tutti i prigionieri politici. La mia collega, l’onorevole Ferrero-Waldner, ha dichiarato pubblicamente che il governo ha perso un’occasione per inviare un segnale di riconciliazione in un momento di sofferenza nazionale, quando il governo ha esteso nuovamente gli arresti domiciliari di Aung San Suu Kyi.

Il popolo della Birmania/Myanmar meriterebbe un sistema di governo che si concentri sullo sviluppo economico e sociale e sulla partecipazione dell’elettorato nel processo politico. Per l’Europa, esprimere la nostra indignazione e isolare il paese non è chiaramente una risposta adeguata. Il popolo della Birmania/Myanmar non deve pagare il prezzo di uno stallo politico. Merita di meglio.

In conclusione, desidero sottolineare il nostro impegno per seguire da vicino la situazione in Birmania/Myanmar, il che comprende continuare a premere per il rilascio di tutti i prigionieri politici e per un dialogo inclusivo, che comprenda i partiti politici legali e i gruppi etnici.

Continuiamo un approccio equilibrato. Non sta a noi confrontare per amore del confronto. Il nostro obiettivo ultimo resta contribuire a una transizione pacifica verso un governo civile legittimo. Ecco perché siamo pienamente a sostegno dei buoni uffici del Segretario generale dell’ONU e del suo Consigliere speciale per il Myanmar.

Si servono meglio gli interessi del popolo birmano mediante una politica equilibrata, che comprenda un’assistenza sostanziale. La Commissione ha scelto con attenzione le aree di assistenza al fine di aiutare le classi sociali più vulnerabili. Abbiamo già aumentato in modo significativo i finanziamenti e ci auguriamo che – in uno sforzo coordinato con altri donatori – il livello generale di finanziamento possa raggiungere l’equivalente di quanto viene speso pro capite in paesi paragonabili, come Laos e Cambogia. Il popolo del Myanmar merita un futuro migliore.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà al termine delle discussioni.

 
  

(1) Vedasi processo verbale.

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