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Procedura : 2008/2289(INI)
Ciclo di vita in Aula
Ciclo dei documenti :

Testi presentati :

A6-0028/2009

Discussioni :

PV 12/03/2009 - 5
CRE 12/03/2009 - 5

Votazioni :

PV 12/03/2009 - 7.17
CRE 12/03/2009 - 7.17
Dichiarazioni di voto
Dichiarazioni di voto

Testi approvati :

P6_TA(2009)0141

Resoconto integrale delle discussioni
Giovedì 12 marzo 2009 - Strasburgo Edizione GU

10. Dichiarazioni di voto (continuazione)
Video degli interventi
Processo verbale
 

Dichiarazioni di voto orali (cont.)

 
  
  

- Proposta di risoluzione (B6-0135/2009)

 
  
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  Daniel Hannan (NI).(EN) Signor Presidente, i tibetani, come qualsiasi altra nazione, vogliono vivere in un paese dove vigano le proprie leggi e con il proprio popolo. Il governo cinese, per negare le loro aspirazioni nazionali, fa ricorso a una serie di argomentazioni relative all’abolizione del feudalesimo e della servitù della gleba e al superamento della superstizione.

In sostanza, una versione di ciò che Engels chiama “la falsa coscienza”: i cinesi sono convinti che i tibetani non siano in grado di comprendere la situazione e, pertanto, non possono godere di una piena democrazia.

Vorrei invitare i membri di questa Assemblea a considerare l’ironia della somiglianza fra questa argomentazione e quella che ci è stata propinata sulla scia nel no francese, olandese e irlandese. In quest’Aula ci è stato ripetuto che i cittadini non avevano compreso correttamente la questione, che in realtà quel voto aveva avuto come oggetto una materia diversa – un no a Chirac o al liberismo anglosassone – che non avevano capito il problema e avevano bisogno di informazioni migliori.

Sono convinto che i cittadini, del Tibet o delle nazioni dell’Unione europea, siano consapevoli dei propri desideri e aspirazioni, e dovrebbero essere liberi di esprimerli attraverso il voto. Mi rendo conto di essere tanto noioso quanto Catone il Vecchio, che, però, alla fine è stato ascoltato. Ribadisco, pertanto, come faccio sempre in occasione di un mio intervento, che dovremmo indire un referendum sul trattato di Lisbona. Pactio Olisipiensis censenda est!

 
  
  

Dichiarazioni di voto scritte

 
  
  

- Relazione Locatelli (A6-0067/2009)

 
  
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  Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. (IT) Signor presidente, sono tanti i cervelli italiani in fuga. Questo esodo, di anno in anno, assume dimensioni sempre più consistenti. Il premio Nobel per la medicina, Renato Dulbecco, ha detto: "Chi vuol fare ricerca se ne va, oggi come ieri, per gli stessi motivi. Perché non c'è sbocco di carriere, perché non ci sono stipendi adeguati, né fondi per le ricerche e le porte dei centri di ricerca sono sbarrate perché manca, oltre ai finanziamenti, l'organizzazione per accogliere nuovi gruppi e sviluppare nuove idee".

Fuggono i ricercatori italiani per le strutture inesistenti, soprattutto nel campo delle scienze e della tecnologia, per i fondi che mancano, per gli stipendi ridicoli, per un sistema di selezione che scoraggia i migliori e premia i raccomandati. Fuggono e se ne rammaricano, perché la preparazione di base della nostra università è ottima. Però, poi manca tutto il resto.

Concordo con la necessità che gli Stati membri garantiscano un'assunzione dei ricercatori aperta, trasparente e improntata su concorsi che valutino il merito scientifico. Il merito dovrebbe essere misurato in termini di eccellenza scientifica e di produzione scientifica (pubblicazioni). Tuttavia, vanno tenuti in considerazione altri aspetti importanti nella carriera di un ricercatore: capacità d'innovazione, competenze di gestione della ricerca, capacità di formazione e supervisione, collaborazione con l'industria. 

 
  
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  Nicodim Bulzesc (PPE-DE), per iscritto. (RO) Ho votato a favore di questa proposta di risoluzione perché sono d’accordo sul fatto che l’Europa abbia bisogno di più ricercatori. Questa relazione è estremamente importante perché, fra l’altro, spinge gli Stati membri a migliorare le opportunità di carriera esistenti per i giovani ricercatori, ad esempio garantendo maggiori finanziamenti e maggiore avanzamento sulla base non dell’anzianità ma dei risultati conseguiti in termini di capacità d’innovazione, periodi di formazione presso le aziende e via dicendo

 
  
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  Avril Doyle (PPE-DE), per iscritto. (EN) La relazione dell’onorevole Locatelli fa parte della revisione della strategia di Lisbona per trasformare l’Europa nell’economia più competitiva al mondo entro il 2010, e perché ciò accada è fondamentale la posizione dei ricercatori in Europa. Sono state identificate quattro aree prioritarie nelle quali è necessario compiere passi avanti:

- Reclutamento aperto e portabilità delle sovvenzioni individuali per la ricerca,

- Sicurezza sociale e pensioni,

- Condizioni di lavoro e di assunzione attrattive, e

- Formazione e competenze dei ricercatori.

Queste aree riguardano la mobilità, la trasparenza, la pubblicità e il sostegno ai ricercatori e potenziali ricercatori. L’integrazione di formazione, innovazione e ricerca all’interno di una politica coerente di supporto è una parte vitale di ogni economia della conoscenza ben funzionante. I nostri sforzi per contrastare il brain drain e creare una brain network saranno potenziati dalle proposte volte a minimizzare gli ostacoli burocratici e ad aumentare la protezione offerta dalla sicurezza sociale ai ricercatori. Quale relatrice per il sistema comunitario di scambio delle quote di emissione sono fin troppo consapevole del ruolo fondamentale svolto dalla ricerca e della necessità di alimentare i talenti e i cervelli disponibili per superare le grandi sfide che i cambiamenti climatici ci pongono. Con soddisfazione prendo atto della creazione di un’alleanza per l’innovazione fra lo University College Dublin e il Trinity College Dublin in Irlanda, un valido esempio di investimento nei ricercatori che si trovano all’inizio della loro carriera.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Nonostante gli eventi attuali mostrino con chiarezza che la strategia neoliberale di Lisbona è uno degli strumenti responsabili dell’aggravamento della situazione socio-economica nell’Unione europea, la relazione insiste sulla sua applicazione, una posizione con la quale siamo in disaccordo.

La relazione contiene, tuttavia, degli elementi positivi, che appoggiamo, in particolare per quanto riguarda la necessità di soddisfare i bisogni dei ricercatori, i loro diritti sotto il profilo delle condizioni di lavoro e della sicurezza sociale, il ricongiungimento delle famiglie, i diritti delle donne ricercatrici e l’accesso dei giovani, nonché l’appello a favore di un aumento dei fondi per la ricerca e del coinvolgimento di un maggior numero di ricercatori.

Non è tuttavia chiaro in quale modo la strategia europea per la ricerca che viene proposta possa garantire eguali diritti in tutti gli Stati membri e accesso universale al Partenariato europeo per i ricercatori a tutti i ricercatori, in particolare i più giovani. Mi riferisco in special modo a paesi come il Portogallo, che non si trova al centro del processo decisionale politico in un’Unione europea che è sempre più dominata dalle grandi potenze. Per questa ragione ci siamo astenuti dalla votazione sulla relazione.

 
  
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  Adam Gierek (PSE), per iscritto.(PL) Signor Presidente, una carriera accademica dipende dalla mobilità? In una certa misura, sì. Si potrebbe sostenere che la mobilità, soprattutto nel caso dei giovani ricercatori, può esercitare un influsso significativo sulle loro conquiste future giacché facilita l’accesso a nuove informazioni e permette loro di superare i limiti dell’ambiente nel quale sono stati formati. Ma non è tutto. Una carriera accademica inizia presto, alle scuole superiori, dove i giovani costruiscono le basi delle loro conoscenze generali, soprattutto in matematica e scienze.

La fase successiva è quella dell’istruzione superiore, dell’università e del dottorato. E’ agli inizi della carriera accademica – e prendo spunto dalla mia esperienza – che la mobilità, la facilità di accesso alle strutture della ricerca e un argomento interessante e promettente studiato sotto la supervisione di illustri ricercatori sono più importanti per questi giovani, più di quanto non sia l’importo della futura pensione.

Pertanto, il passo più importante per sviluppare personale addetto alla ricerca scientifica consiste nel preparare le giuste condizioni per questo tipo di studio, per esempio nel contesto dell’Istituto europeo di tecnologia o delle infrastrutture europee di ricerca, anche con il supporto delle borse di dottorato disponibili per gli studenti dell’UE e dei paesi terzi e ampliamente pubblicizzate. Le condizioni che creiamo sotto il profilo della stabilità familiare e professionale saranno determinanti per le scelte dei nostri giovani una volta ottenuto il dottorato, spingendoli verso l’industria o le istituzioni accademiche, oppure verso il ritorno a casa o un ulteriore spostamento.

 
  
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  Adrian Manole (PPE-DE), per iscritto. (RO) Quando uno studente ambisce a una carriera nella ricerca, la mobilità fisica deve essere promossa in quanto esperienza formativa che non può essere rimpiazzata dalla mobilità virtuale. Dobbiamo garantire che le menti più brillanti ricevano il sostegno di sufficienti finanziamenti e risorse umane. Per alcuni ciò potrebbe significare avere accesso alle risorse esistenti oltre i confini del proprio paese d’origine.

Devono essere promossi e pubblicizzati i vantaggi (per esempio, il valore aggiunto) derivanti dalla mobilità di studenti, docenti e ricercatori. Devono essere rimosse le barriere amministrative e strutturali. Borse di studio e prestiti dovrebbero essere messi a disposizione di studenti e ricercatori, insieme ad altri incentivi destinati sia ai singoli sia alle istituzioni.

La politica di globalizzazione deve prendere in considerazione i seguenti fattori: l’importanza fondamentale di ricercatori con esperienza internazionale, le reali opportunità in campo linguistico, la necessità di offrire a tutti gli studenti futuri ricercatori la possibilità di ottenere diversi crediti per le lingue straniere a prescindere dal loro ambito specialistico, la buona qualità, e l’informazione circa le diverse opportunità di studio e ricerca all’estero.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La relazione sul Partenariato europeo per i ricercatori vuole rafforzare la competitività dell’Unione europea rispetto agli altri centri imperialisti, limitare la fuga di cervelli e attirare ricercatori dai paesi in via di sviluppo.

La relazione promuove la libera circolazione dei ricercatori fra Stati, fra settore pubblico e privato, fra aziende, centri di ricerca e università. Incoraggia una maggiore coesione fra il settore pubblico e privato nell’ambito della ricerca, l’assoluto assoggettamento della scienza ai fabbisogni tecnologici temporanei dei mercati e l’orientamento dei ricercatori verso la ricerca applicata, riconoscendo al contempo come qualifica formale l’esperienza pregressa di ricercatore presso un’azienda.

L’introduzione di buoni–ricerca per selezionare ricercatori provenienti da un’istituzione scientifica o da un’università di un altro Stato membro e la mobilità di ricercatori e dirigenti d’azienda più esperti permetteranno alle grandi aziende di individuare la crème de la crème dei ricercatori e di stabilire condizioni di assunzione che ne potenzieranno la redditività (flessibilità di occupazione, lavoro non retribuito, esenzione da contributi previdenziali). Simili disposizioni interessano anche gli studenti di dottorato che svolgono la maggior parte delle attività di ricerca.

Abbiamo votato contro la relazione perché i ricercatori devono lavorare in condizioni di stabilità occupazionale, in istituzioni che non competono per il predominio, ma cooperano per lo sviluppo della scienza e il soddisfacimento dei fabbisogni di base moderni e non per la plutocrazia o il profitto delle grandi imprese.

 
  
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  Teresa Riera Madurell (PSE), per iscritto. (ES) Per ovviare alla mancanza di addetti alla ricerca occorre facilitare il ritorno degli scienziati europei che operano fuori dall’Unione europea e agevolare l’ingresso di scienziati di paesi terzi desiderosi di lavorare nell’UE.

Le donne continuano a essere sottorappresentate nella maggior parte degli ambiti scientifici e tecnologici e nelle posizioni di responsabilità. E’ dunque importante, a mio giudizio, invitare gli Stati membri a garantire un migliore equilibrio di genere negli organismi responsabili dell’assunzione e promozione del personale addetto alla ricerca. E’ di fondamentale importanza che i processi di selezione e promozione siano resi aperti e trasparenti.

Se vogliamo creare un mercato unico per l’occupazione dei ricercatori, è altresì necessario definire e stabilire a livello europeo un modello unico di carriera nel settore della ricerca e introdurre un sistema integrato di informazione sulle offerte di lavoro e i contratti di formazione nella ricerca valido per tutta l’Unione europea.

Per quanto concerne il miglioramento della mobilità, vorrei evidenziare che, per facilitare gli scambi con donne e uomini scienziati dei paesi terzi – compresi quelli con i quali esiste già una notevole cooperazione in ambito scientifico, ad esempio alcuni paesi dell’America latina – è di vitale importanza introdurre una politica speciale, più rapida e meno burocratica in materia di visti.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – (IT) Signor Presidente, esprimo il mio voto favorevole in merito alla relazione presentata dalla collega Locatelli relativa alla partnership europea per i ricercatori. Da docente universitario, comprendo che l'Europa ha bisogno di più ricercatori, per ottenere un aumento di produttività e competitività, in particolar modo in vista della concorrenza con altre grandi economie a livello globale come gli Stati Uniti e il Giappone, nonché altre economie in via di sviluppo come l'India e la Cina. Per questo motivo, quindi, concordo con la collega quando si afferma la necessità che gli Stati membri garantiscano un'assunzione dei ricercatori aperta, trasparente e improntata su concorsi che valutino il merito scientifico. 

 
  
  

- Relazione Manders (A6-0051/2009)

 
  
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  Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. (IT) Signor Presidente, il mio voto è favorevole.

Le nuove tecnologie hanno ormai trasformato la vita dell'uomo e da questo processo non è esclusa neanche l'attività ludica.

I video giochi sono ormai l'attività ricreativa preferita dei giovani europei e non solo. Molto spesso infatti i videogiochi sono rivolti anche al mondo degli adulti con contenuti, in molti casi, non idonei al pubblico dei minori.

Tenendo quindi presente la comunicazione della commissione (22/04/2008), riguardante la protezione dei consumatori e in particolare dei minori per quanto riguarda l'utilizzo dei videogiochi, urge regolare l'etichettatura con provvedimenti quali la predisposizione di un "bottone rosso" o il sistema "PEGI" on line che rientrano all'interno del programma europeo "internet sicuro".

Risulta inoltre importante che gli Stati membri continuino ad operare in stretta collaborazione per promuovere la protezione dei minori e agevolare il settore nello sviluppo dei sistemi che contribuiscono a tal fine.

Non va poi dimenticato che per perseguire tale scopo è necessaria la collaborazione dei produttori e soprattutto dei genitori che costituiscono il primo strumento di controllo all'interno del nucleo famigliare.

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore della relazione Manders sulla protezione dei consumatori, in particolare minori, per quanto riguarda l’utilizzo dei videogiochi. L’ho fatto con una certa riluttanza. Il pericolo è che una preoccupazione legittima si trasformi, in alcuni casi, in un panico morale deliberatamente sproporzionato rispetto alla dimensione del problema. Non sono automaticamente disposto ad andare oltre quanto già fatto.

 
  
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  Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) La relazione elenca moltissimi passi che gli Stati membri devono attuare per limitare l’uso dannoso dei videogiochi: le scuole dovrebbero informare i bambini e i genitori dei vantaggi e degli svantaggi dei videogiochi; i genitori dovrebbero adottare provvedimenti per evitare il prodursi di conseguenze negative per i figli durante l’utilizzo; gli Stati membri dovrebbero esplorare l’utilità di installare un cosiddetto bottone rosso nei dispositivi di gioco e nei computer per bloccare l’accesso a certi giochi; dovrebbero essere condotte campagne di informazione per i consumatori; i titolari di Internet café dovrebbero impedire ai bambini di accedere a videogiochi destinati a utenti adulti; dovrebbe essere introdotto un codice di condotta paneuropeo per i rivenditori e produttori di videogiochi; e gli Stati membri dovrebbero introdurre una legislazione civile e penale sulla vendita di videogiochi violenti per televisione e computer.

I videogiochi per i minori sono associati a molti problemi seri di natura culturale e sociale. Tuttavia è proprio per questa ragione che gli Stati membri devono addivenire a soluzioni compatibili con la propria cultura e i propri valori, che possano così contare su una base democratica fra la popolazione. Una lezione impartita dalle istituzioni dell’Unione ottiene quasi l’effetto contrario.

Per poter ampliare la nostra esperienza e conoscenza in questo ambito è importante anche la capacità degli Stati membri di individuare diverse soluzioni.

Per tutti questi motivi ho espresso parere contrario sulla relazione in occasione della votazione finale.

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE-DE), per iscritto. – (SK) Onorevoli colleghi, vorrei affrontare l’argomento dell’industria dei videogiochi, i cui ricavi annuali ammontano a quasi 7.3 miliardi di euro. Dal momento che la popolarità dei videogiochi va aumentando sia fra gli adulti sia fra i bambini, è necessario prevedere un dibattito politico sul quadro normativo di questo settore. Ci sono videogiochi che aiutano a sviluppare una certa manualità e a ottenere conoscenze essenziali per il XXI secolo. Vorrei tuttavia sottolineare che i videogiochi a sfondo violento destinati agli adulti possono produrre effetti negativi, soprattutto nei bambini.

E’ dunque nostro dovere proteggere i consumatori, in special modo i minori. I bambini non dovrebbero poter comprare videogiochi che non sono destinati alla loro età. L’introduzione di un sistema paneuropeo di informazione sui giochi basato su fasce di età ha contribuito ad aumentare la trasparenza al momento dell’acquisto di giochi destinati ai bambini, ma i rivenditori non dispongono ancora di sufficienti informazioni sugli effetti dannosi dei videogiochi sui minori. E’ quindi necessario promuovere una maggiore sensibilizzazione su tali effetti negativi avvalendosi dell’indispensabile collaborazione di produttori, rivenditori, organizzazioni dei consumatori, scuole e famiglie. Gli Stati membri devono introdurre misure che impediscano ai minori l’acquisto di videogiochi destinati a fasce di utenti di età superiore. Allo stesso tempo appoggio la proposta della Commissione europea e del Consiglio di introdurre delle norme di etichettatura per i videogiochi e creare un codice di condotta volontario sui giochi interattivi destinati ai bambini.

 
  
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  Nicolae Vlad Popa (PPE-DE), per iscritto. (RO) Ho votato a favore della relazione d’iniziativa presentata dall’onorevole Manders e dedicata al tema dei videogiochi.

Il mercato dei videogiochi è un mercato mondiale che sta crescendo rapidamente. Tuttavia, i videogiochi non sono più destinati esclusivamente ai bambini, ma, in numero crescente, anche agli adulti. Proprio per questa ragione il contenuto di molti videogiochi non è adatto per i nostri bambini e può risultare persino dannoso.

E’ vero che i videogiochi possono essere utilizzati a scopi didattici, sempre che l’uso sia in linea con la destinazione prevista per ciascuna fascia di età. Per questo motivo dobbiamo prestare particolare attenzione al sistema PEGI per la classificazione dei giochi. La versione online di PEGI fornisce assistenza a genitori e minori, offrendo sia suggerimenti su come tutelare questi ultimi sia informazioni sui giochi disponibili online.

La relazione sottolinea inoltre la necessità che gli Stati membri assicurino l’attuazione di adeguate misure di controllo in materia di acquisto di videogiochi online, impedendo in tal modo ai minori di avere accesso a giochi il cui contenuto non è adatto alla loro fascia di età oppure è destinato ad adulti o comunque a gruppi di età diversa. Il relatore propone altresì l’introduzione di un “bottone rosso” che offra ai genitori la possibilità di disattivare un gioco il cui contenuto non è adatto all’età del figlio o di limitare l’accesso del minore al gioco in determinate ore.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE-DE), per iscritto. – (CS) Nonostante gli avvertimenti degli esperti, i genitori sottovalutano l’effetto dei videogiochi sullo sviluppo della personalità dei propri figli. Nel frattempo bambini e giovani rimangono esposti per ore agli effetti di videogiochi dal contenuto violento e dai riferimenti esplicitamente sessuali. I bambini imitano ciò che vedono nei giochi con risultati potenzialmente tragici. I criminali del futuro saranno solo uno dei prodotti dell’influenza esercitata da giochi violenti sul comportamento, la psicologia e le abitudini che si manifestano in periodi successivi della vita.

Sono dunque favorevole alla creazione di un codice etico destinato ai rivenditori e ai produttori di videogiochi.

Diversamente dal relatore, naturalmente, credo che servano norme comuni non solo volontarie ma anche vincolanti nell’Unione europea. Con questa riserva ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – (IT) Signor Presidente, comunico il mio voto favorevole in merito alla relazione Manders, inerente alla protezione dei consumatori (in particolare minori) per quanto riguarda l'utilizzo di videogiochi. Ritengo che l'uso dei videogiochi sia molto importante, ai fini educativi. Nondimeno, ci sono moltissimi software destinati ad adulti, che sono caratterizzati da un utilizzo quasi gratuito della violenza. Per questo bisogna garantire una protezione adeguata ai minori, fra l'altro impedendo loro l'accesso a contenuti potenzialmente nocivi, destinati a fasce d'età diverse dalla loro. Infine, penso che l'armonizzazione dell'etichettatura per i videogiochi varrebbe a stimolare una migliore conoscenza dei sistemi di etichettatura, promuovendo al tempo stesso il funzionamento efficace del mercato interno.

 
  
  

- Relazione Romagnoli (A6-0090/2009)

 
  
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  Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. –Signor Presidente, il mio voto è favorevole.

Israele è un importante partner per l'Unione europea in Medio Oriente e nel contesto della politica europea di vicinato.

Un accordo in materia di aviazione, a livello comunitario, determinerebbe condizioni eque per tutti i vettori aerei, europei e israeliani, permetterebbe ai passeggeri di tutti gli Stati membri di beneficiare di condizioni simili e di una maggiore concorrenza tra vettori aerei. Ciò consentirebbe di sviluppare servizi aerei migliori, più numerosi ed economici, tra l'Unione europea e tale Stato.

Spetta all'Unione europea garantire l'attuazione di norme comuni compatibili con la legislazione europea nei rapporti con i partner mediterranei. Tale obiettivo può essere raggiunto solo tramite un accordo globale negoziato a livello comunitario che preveda la cooperazione normativa o, per lo meno, il riconoscimento reciproco delle norme e delle procedure nel settore dell'aviazione.

Ritengo quindi che il negoziato globale sia un passo fondamentale verso l'ulteriore sviluppo delle relazioni fra l'UE ed Israele nel settore dell'aviazione e verso l'ampliamento dello spazio aereo comune nell'area Euromed. La conclusione dell'accordo comporterebbe maggiori opportunità per lo sviluppo economico e sociale per i vettori aerei e per i passeggeri.

 
  
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  Chris Davies (ALDE), per iscritto. (EN) Non riesco a comprendere come un Parlamento che ha votato a favore dell’eliminazione del blocco economico imposto da Israele a Gaza possa oggi appoggiare una relazione destinata a rafforzare la nostra cooperazione con lo stesso paese.

Martedì scorso è stata una giornata tipica a Gaza ai punti di attraversamento. Israele ha permesso il passaggio di un quantitativo limitato di prodotti alimentari, di pochi prodotti per l’igiene, di un po’ di olio da cucina e di nafta pesante: in tutto 110 autocarri, sebbene l’UNRWA ci dica che la Striscia di Gaza abbia bisogno di 500 autocarri di approvvigionamenti ogni giorno.

Non è stato permesso il passaggio di carta destinata alle scuole, di vestiario, di mobili, di attrezzature elettriche, di materiali da costruzione. Gaza è stata distrutta dai bombardamenti e Israele non permette che sia ricostruita. La sofferenza continua.

Il nostro Presidente ha visitato la regione, lo ha fatto Javier Solana, lo hanno fatto i membri dei parlamenti nazionali, i membri del Parlamento europeo, anche Tony Blair. Tutti hanno chiesto di porre fine a queste sofferenze, ma la politica di Israele non è cambiata.

Non era questo il momento di appoggiare la relazione in esame.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto. (EN) Ho votato contro la relazione che vuole creare uno spazio aereo comune con Israele. Nonostante si affermi il contrario, questa non è una relazione tecnica. Infatti, con la firma di un accordo sul trasporto aereo, l’Unione europea, quale maggior partner commerciale di Israele, procurerà enormi entrate commerciali a questo paese.

Tuttavia, alla luce dei recenti eventi a Gaza, dove civili sono stati massacrati brutalmente e indiscriminatamente e le infrastrutture sono state completamente distrutte vanificando in tal modo miliardi ai aiuti europei allo sviluppo; nel contesto della decisione adottata lo scorso dicembre dal Parlamento europeo allo scopo di rinviare il rafforzamento delle relazioni con Israele; in considerazione delle continue violazioni delle risoluzioni delle Nazioni Unite e dell’ampliamento degli insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme; e dopo la visita che ho effettuato di recente a Gaza dove ho visto con i miei occhi che Israele continua semplicemente a tenere la zona sotto assedio impedendo il passaggio degli aiuti umanitari tanto importanti, ritengo del tutto inappropriato che il Parlamento approvi questo accordo. Quest’accordo commerciale con Israele dovrebbe essere sospeso fino a quanto il paese non rispetterà le norme sui diritti umani e avvierà negoziati costruttivi e significativi con i propri vicini per attuare la soluzione dei due Stati ponendo fine al conflitto.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE), per iscritto. (EN) Mi sono astenuta dalla votazione finale sull’accordo aereo fra Unione europea e Israele in segno di protesta per la crisi ancora in corso in Palestina. Credo sia inappropriato rafforzare le relazioni con Israele fino a quando non dimostrerà di voler alleviare le sofferenze dei cittadini palestinesi e non si impegnerà a promuovere un dialogo politico sostenuto a favore della soluzione dei due Stati per porre fine ai problemi della regione.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) E’ per noi inaccettabile discutere di un simile accordo ed è inaccettabile che il Parlamento europeo proponga la creazione di uno spazio aereo comune fra Unione europea e Israele a così breve tempo dal massacro di cittadini palestinesi avvenuto durante la guerra assassina scatenata dal governo israeliano nella Striscia di Gaza.

La proposta di un simile accordo conferma la responsabilità criminale dell’Unione che, con la sua posizione ipocrita e attendista, non fa che premiare e rafforzare Israele nella nuova guerra che ha scatenato e che ha provocato un’enorme catastrofe umanitaria fra la popolazione palestinese, la morte di più di 1 300 palestinesi la maggior parte dei quali civili, donne e bambini, il ferimento di oltre 5 000 persone e la distruzione totale delle infrastrutture civili di Gaza, fra le quali scuole e edifici delle Nazioni Unite.

Questa proposta va anche a sostegno dell’intenzione di Israele di demolire dozzine di abitazioni a Gerusalemme est, sradicando da quella zona più di 1 000 palestinesi in quello che è l’ennesimo tentativo di cacciare la popolazione palestinese da Gerusalemme rendendo così ancora più difficile la ricerca di una soluzione al problema mediorientale.

Iniziative come questa appoggiano la politica imperialista nella regione, politica che rientra nel disegno imperialista dell’Unione europea, degli Stati Uniti e della NATO per il Medio Oriente. Tuttavia, cresce fra l’opinione pubblica la solidarietà e l’impegno a fianco del popolo palestinese a favore di uno Stato palestinese indipendente e territorialmente unito entro i confini del 1967 e avente come capitale Gerusalemme est.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – (IT) Signor Presidente, voto favorevolmente la mia relazione riguardante lo sviluppo di uno spazio aereo comune con Israele. Mi sembra inopportuno ribadire per l'ennesima volta le motivazioni che hanno portato al mio voto favorevole, poiché esse appaiono scontate. Comunque sia, le motivazioni possono essere facilmente lette nella relazione.

 
  
  

- Proposta di regolamento (C6-0081/2009)

 
  
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  Catherine Stihler (PSE), per iscritto. (EN) Ho votato contro la proposta di regolamento perché, a causa della natura precaria degli stock, dovrebbe essere introdotto un divieto di cattura del tonno rosso fino alla sua ricostituzione.

 
  
  

- Proposta di risoluzione (B6-0140/2009)

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto. (EN) Appoggio caldamente questa risoluzione che chiede l’immediato cessate il fuoco dell’esercito dello Sri Lanka e dell’LTTE per permettere alla popolazione civile di abbandonare la zona di combattimento. La risoluzione condanna ogni atto di violenza e intimidazione messo in atto per impedire ai civili di lasciare le zone del conflitto. Il testo condanna inoltre gli attacchi ai civili documentati dall’International Crisis Group. Entrambe le parti devono rispettare il diritto internazionale umanitario e proteggere e assistere la popolazione civile sia nella zona di combattimento sia nella zona sicura. Il Parlamento europeo esprime inoltre la propria preoccupazione circa le informazioni riportate relativamente al grave sovraffollamento e alle difficili condizioni nei campi profughi istituiti dal governo dello Sri Lanka. Noi abbiamo chiesto che alle organizzazioni umanitarie internazionali e nazionali e ai giornalisti sia garantito l’accesso pieno e senza restrizioni alla zona di combattimento e ai campi profughi. Al contempo invitiamo il governo dello Sri Lanka a cooperare con i paesi e le organizzazioni di assistenza che hanno la volontà e la capacità di evacuare i civili.

 
  
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  Jean Lambert (Verts/ALE), per iscritto. − Appoggio la risoluzione odierna sullo Sri Lanka. Ciò che sta accadendo nel nord del paese è una tragedia, in gran parte tenuta nascosta al resto del mondo dal momento che le organizzazioni umanitarie e i giornalisti non hanno libero accesso alla zona per accertare ciò che sta avvenendo e devono fare in larga misura affidamento su informazioni di parte. Anche prima dell’intervento militare era impossibile avere un dibattito aperto a causa delle pressioni esercitate sulla stampa e delle vessazioni politiche.

Non è possibile una soluzione militare duratura al conflitto, ma solo una soluzione politica che riconosca i diritti di tutti i popoli che vivono sull’isola. Deve intervenire un immediato cessate il fuoco da entrambe le parti per poter alleviare le enormi sofferenze della popolazione. Se, come sostengono entrambe le parti, le istanze del popolo Tamil hanno la priorità, a cosa serve questa protratta sofferenza? Qual è la sua utilità nella ricerca di una soluzione duratura? I negoziati per la pace devono vedere il coinvolgimento di tutte le parti. Devono essere aperti i canali di dialogo, se è questo che entrambe le parti vogliono. Ma deve essere messo fine alla violenza e all’oppressione mentre vanno attuati gli strumenti dei diritti umani e lo Stato di diritto, se vogliamo che la popolazione possa avere fiducia nel risultato che si produrrà. La comunità internazionale è pronta a prestare assistenza sia per alleviare le sofferenze nell’immediato sia sul lungo termine.

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto. – (NL) Il 9 settembre 2006, il 5 febbraio 2009 e la notte scorsa abbiamo discusso in questa Assemblea del conflitto permanente e senza speranza fra i Tamil e i cingalesi sull’isola di Sri Lanka. Ho preso parte a tutte le discussioni e, nelle diverse occasioni, ho sempre invitato l’Assemblea a non schierarsi con l’una o l’altra parte nel conflitto, ma a svolgere il proprio dovere consentendo alle due parti di giungere a un accordo di pace. Un trattato di pace deve in ogni caso prevedere l’autonomia di governo della regione Tamil nel nordest del paese.

La notte scorsa, gli onorevoli Tannock e Van Orden hanno sostenuto proprio il contrario. Hanno fatto riferimento alle atrocità commesse dal movimento di resistenza Tamil e ritengono necessario offrire al governo cingalese ogni forma di sostegno. La loro posizione trascura che entrambe le parti ricorrono a una violenza inaccettabile e che è stato il governo cingalese a interrompere il processo di pace avviato dai norvegesi.

Mi rallegra che sia stata adottata oggi una risoluzione che incorpora gran parte degli emendamenti presentati dall’onorevole Evans e che sottolinea la necessità di aiuti umanitari, di una mediazione e di una risoluzione pacifica del conflitto.

 
  
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  Tobias Pflüger (GUE/NGL), per iscritto. (DE) L’esercito dello Sri Lanka sta usando grande brutalità nella sua guerra contro le Tigri per la liberazione del Tamil Eelam (LTTE) senza alcun riguardo per i civili. Il numero dei civili uccisi o feriti negli attacchi dell’esercito continua ad aumentare. Centinaia di migliaia di cittadini sono confinati e molti non hanno accesso agli aiuti umanitari. Il Comitato internazionale della Croce rossa ha definito la situazione nello Sri Lanka come una delle più catastrofiche che abbia mai dovuto affrontare.

Serve un immediato cessate il fuoco da entrambe le parti, quella dell’esercito dello Sri Lanka e quella dell’LTTE. A chiederlo dovrebbero essere tutte le organizzazioni internazionali e tutti i governi.

In seno alla commissione affari esteri, l’onorevole Tannock del partito conservatore britannico, in rappresentanza del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) e dei Democratici europei, era riuscito a far accettare la sua richiesta di un cessate il fuoco temporaneo che avrebbe appoggiato la brutale politica di guerra del governo dello Sri Lanka e legittimato gli attacchi ai civili.

Ho votato a favore della risoluzione perché, fortunatamente, la maggioranza del Parlamento europeo, compreso il gruppo PPE-DE, non ha alla fine seguito la politica disumana dell’onorevole Tannock e dei conservatori del Regno Unito, scegliendo di appoggiare la richiesta di un cessate il fuoco immediato.

Inserendo l’LTTE nell’elenco dell’UE delle organizzazioni terroristiche, l’Unione si è schierata con una parte e di fatto ha dato all’LTTE il permesso di continuare le ostilità. I negoziati in corso all’epoca con la mediazione norvegese sono quindi stati silurati e potrebbero essere portati avanti solo con grande difficoltà al di fuori dell’Unione europea.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – (IT) Signor Presidente, concordo con la proposta di risoluzione sul deterioramento della situazione umanitaria in Sri Lanka, e quindi la voto favorevolmente. Ritengo che, vista la situazione d'emergenza in cui si stima versino 170 000 civili, intrappolati nella zona dei combattimenti tra l'esercito cingalese e le forze delle Tigri liberatrici del Tamil Eelam (LTTE) e privati dell'accesso agli aiuti più basilari, sia necessario un "cessate il fuoco" temporaneo immediato da parte dell'esercito cingalese e del LTTE onde consentire alla popolazione civile di abbandonare le zone di combattimento. Penso, inoltre che le organizzazioni umanitarie internazionali e nazionali debbano avere l'accesso garantito alla zona di combattimento.

 
  
  

- Relazione Aita (A6-0086/2009)

 
  
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  Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. – (IT) Signor Presidente, il mio voto è favorevole. Abbiamo la Terra non in eredità dai genitori, ma in affitto dai figli. Così recita un vecchio proverbio indiano. I suoli agricoli dell'Europa meridionale stanno lanciando un grido dall'allarme. Sono sottoposti ad una sempre maggiore pressione ambientale con effetti negativi come: il dissesto idrogeologico, la risalita del livello del mare, la conseguente salinizzazione dei suoli, la perdita di terre agricole, la diminuzione della biodiversità, danni derivati da incendi, fitopatie ed epizoozie.

Appare dunque evidente che, in materia agricola, una delle priorità d'intervento sia quella di definire un piano comune di intervento, principalmente attraverso una programmazione mirata alla prevenzione del degrado e alla tutela del suolo agricolo.

La lotta al deterioramento dei terreni deve includere necessariamente una strategia di conservazione attraverso una maggiore attenzione alle manutenzioni idraulico-agrarie e a programmi di imboschimento. Rilevante importanza rivestono poi le tecniche di aridocoltura, le rotazioni colturali, la scelta di genotipi idonei e al controllo dell'evapotraspirazione.

È inoltre necessario formare ed aggiornare gli addetti del settore ed i consumatori con il duplice scopo di ricercare soluzioni specifiche e responsabilizzare gli utenti verso un uso più sostenibile delle risorse naturali e del territorio. 

 
  
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  Constantin Dumitriu (PPE-DE), per iscritto. (RO) Il deterioramento del suolo è un problema che non può essere ignorato. Sono quindi lieto dell’iniziativa di approntare una relazione dedicata in modo specifico alla lotta contro questo problema. L’agricoltura rappresenta il mezzo migliore per porre fine a questo fenomeno purché, tuttavia, le caratteristiche pedoclimatiche siano rispettate.

Cionondimeno, come ho evidenziato anche tramite gli emendamenti presentati e accolti dalla commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, credo che questa relazione debba applicarsi a tutto il territorio dell’Unione europea. Purtroppo, i cambiamenti climatici e il deterioramento del suolo, non sono più un fenomeno isolato e il nostro approccio, pertanto, deve essere lo stesso in tutta l’Unione europea nel rispetto del principio di solidarietà.

Come ha sottolineato anche il relatore, dobbiamo non solo riconoscere l’esistenza del problema del deterioramento del suolo: dobbiamo anche stanziare le risorse finanziarie necessarie a contrastarne gli effetti avversi. Mi rallegro che tramite il piano europeo di ripresa economica siano stati destinati 500 milioni di euro alle azioni riguardanti l’adeguamento alle nuove sfide poste dei cambiamenti climatici. Queste sono, tuttavia, azioni sul breve termine. Penso che l’Unione europea abbia bisogno di una strategia d’azione dotata delle risorse finanziarie necessarie a prevenire e combattere gli effetti dei cambiamenti climatici e, in modo particolare, il deterioramento dei suoli.

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto.(PT) Ho appoggiato la proposta di risoluzione del Parlamento europeo sulla sfida del deterioramento dei terreni agricoli nel sud dell’Europa perché credo che le linee guida della politica agricola comune debbano comprendere strumenti destinati a combattere gli effetti dei cambiamenti climatici e a proteggere i suoli.

Devo sottolineare l’importanza della creazione di un osservatorio europeo sulla siccità e del rafforzamento della capacità di reazione coordinata nella lotta agli incendi.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto.(PT) Deploriamo l’approccio adottato dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) e dei Democratici europei che ha respinto diverse proposte nella relazione per far passare alcuni suoi suggerimenti alternativi, che invece noi non appoggiamo. Nonostante varie carenze, concordiamo con molti degli aspetti ripresi nella relazione in esame, in particolare laddove afferma che l’agricoltura rappresenta il mezzo migliore per prevenire il deterioramento del suolo e che, a tal fine, serve una strategia consolidata che consenta il mantenimento di tale attività. Riteniamo altresì fondamentale il contributo della popolazione rurale nella lotta alla desertificazione insieme al ruolo centrale svolto dai produttori al fine di preservare la copertura vegetale nelle regioni colpite dalla siccità persistente. Siamo inoltre d’accordo con la relazione quando menziona il contributo negativo dato dall’agricoltura intensiva, promossa in larga misura dall’agroindustria, all’erosione del suolo che viene così reso improduttivo.

Crediamo, comunque, che la relazione avrebbe dovuto essere più incisiva a proposito delle responsabilità che ricadono sulle politiche agricole e sui governi europei – mi riferisco, ad esempio, al Portogallo – giacché proprio queste politiche hanno incoraggiato l’eccessivo sfruttamento del suolo e delle acque e provocato danni ambientali. Crediamo ancora che questi problemi possano essere superati ponendo fine a queste politiche agricole. Appoggiamo la soluzione di accoppiare gli aiuti all’agricoltura alla produzione permettendo così la crescita della produzione agro-alimentare di paesi come il Portogallo e, in generale, la modernizzazione del settore primario.

 
  
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  Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) La relazione in esame, che non fa parte di alcun processo legislativo, raccomanda, fra l’altro, l’adozione di una politica europea per le foreste, la creazione di un fondo specifico europeo per finanziare azioni preventive in materia di cambiamenti climatici e l’istituzione di un osservatorio sulla siccità finanziato dall’UE.

Crediamo che la responsabilità ambientale per i terreni agricoli debba innanzi tutto rimanere di competenza degli Stati membri. Non c’è motivo di sostenere che gli Stati membri debbano essere privati di questa competenza.

Come di consueto, il partito Junilistan fa notare che, in questo caso, è buona cosa che il Parlamento europeo non abbia potere di codecisione in materia di politica agricola dell’Unione europea. Se così non fosse stato, sarebbe caduto nella trappola del protezionismo e dell’aumento delle sovvenzioni ai diversi interessi in ambito agricolo.

Ho votato contro la relazione.

 
  
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  Marian-Jean Marinescu (PPE-DE), per iscritto. (RO) I cambiamenti climatici stanno accelerando il processo di deterioramento e di desertificazione del suolo, soprattutto negli Stati membri dell’Europa sudorientale, compresa la Romania. Per questa ragione tali fenomeni devono essere contrastati per mezzo di un intervento coordinato, tramite un’appropriata revisione delle politiche agricole e lo scambio di esperienze e buone prassi fra Stati membri con il coordinamento della Commissione europea.

Sono fermamente convinto che esistano numerosi esempi di buona gestione idrogeologica e di uso di colture resistenti in grado di rigenerare il terreno. Esistono istituti di ricerca specializzati in questo ambito, uno proprio nella contea rumena che rappresento, Dolj. La condivisione di queste esperienze e l’estensione della loro applicazione ad aree colpite dalla desertificazione possono consentire il ripristino delle attività agricole in terreni danneggiati e, di conseguenza, stimolare la produzione. Il progetto pilota proposto nel contesto del bilancio comunitario 2009 ci offre proprio un’occasione in tal senso. Appoggio la proposta del relatore di istituire un centro europeo per il monitoraggio della siccità.

Esorto la Commissione europea ad affrontare questo problema con il massimo senso di responsabilità in quanto parte della riforma della politica agricola comune e a fornire agli Stati membri un insieme efficace di strumenti finanziari a sostegno della lotta contro la desertificazione per garantire la sostenibilità dell’agricoltura e la sicurezza alimentare dei cittadini europei.

 
  
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  Alexandru Nazare (PPE-DE), per iscritto. (RO) Appoggio la relazione del nostro onorevole collega, che affronta un argomento di grande rilevanza sotto il profilo sociale ed economico. Il deterioramento del suolo influisce non solo sulle vite di coloro che vivono nelle regioni colpite da questo fenomeno, ma anche sul potenziale di sviluppo economico. In Romania abbiamo potuto constatare, negli ultimi anni, quali siano i danni arrecati dal deterioramento del suolo: famiglie rovinate e cittadini che non possono più provvedere alle necessità di base per la sopravvivenza, un calo della produzione agricola del 30-40 per cento e una regione meridionale a rischio di desertificazione.

L’impatto economico di questo fenomeno è indiscutibile: un crollo del reddito dei cittadini che vivono nelle regioni colpite e l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari. Per questo motivo l’Unione europea ha l’obbligo, in base al principio di solidarietà, di contribuire alla lotta contro questo fenomeno e di sostenere tutti coloro che ne sono colpiti. Come ho avuto modo di suggerire nella dichiarazione scritta 0021/2009 che ho presentato insieme ad alcuni onorevoli colleghi, l’Unione necessita di uno speciale meccanismo finanziario per prevenire e contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici. Si deve trattare di uno strumento agile che consenta di sbloccare i fondi nel più breve tempo possibile e sia sostenuto da una strategia di medio e lungo termine e da piani d’azione che prendano in considerazione il diverso impatto dei cambiamenti climatici nelle regioni dell’Unione europea.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – (IT) Signor Presidente, approvo la relazione presentata dall'onorevole Aita riguardante la sfida del deterioramento dei terreni agricoli nell'UE e la risposta attraverso gli strumenti della politica agricola nell'UE.

Infatti, sono d'accordo con lo scopo della relazione, che è quello di fornire elementi di spunto, riflessioni e proposte concrete che potranno essere considerate al momento opportuno per finalizzare una strategia comune di recupero, mantenimento e miglioramento degli interventi sul suolo agricolo. In una situazione di crisi come quella in cui versiamo attualmente, risulta opportuno evidenziare che la difesa del suolo permette di mantenere un potenziale produttivo che ha valenza politico-strategica, permette di assicurare un equilibrio tra importazioni ed esportazioni e garantisce un grado di autonomia e di capacità negoziale in ambito multilaterale.

 
  
  

- Proposta di risoluzione (B6-0110/2009)

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. (EN) E’ importante in quest’epoca di crisi economica e finanziaria preservare e rafforzare i diritti dei lavoratori per garantire che il costo della crisi non ricada su coloro che meno sono in grado di sopportarlo. E accadrebbe inevitabilmente se permettessimo all’equilibrio di forze di spostarsi a vantaggio dei datori di lavoro rispetto ai lavoratori. Appoggio pertanto questa risoluzione. Vorrei solamente che fosse più incisiva.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – (IT) Signor Presidente, esprimo il mio voto favorevole sulla proposta di risoluzione relativa alla partecipazione dei lavoratori in società con statuto europeo. È necessario, inoltre, permettere un dialogo costruttivo tra istituzioni e lavoratori, alla luce delle recenti sentenze della Corte europea. Sono d'accordo, inoltre, sul punto in cui si afferma la necessità che la Commissione valuti i problemi transfrontalieri in materia di governance societaria, diritto tributario e partecipazione finanziaria dei lavoratori ai programmi di partecipazione azionaria relativi a tale consultazione. 

 
  
  

- Proposta di risoluzione (B6-0112/2009)

 
  
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  Nicodim Bulzesc (PPE-DE), per iscritto. (RO) Ho votato a favore di questa proposta di risoluzione perché appoggio l’iniziativa di invitare gli Stati membri a sviluppare meccanismi di cooperazione tesi a prevenire gli effetti negativi per i familiari, in particolare i bambini, derivanti dal distacco e dalle distanze che devono colmare.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Il testo sui figli dei migranti lasciati nei paesi d’origine descrive una situazione dolorosa di bambini abbandonati a se stessi o affidati a terzi più o meno bene intenzionati, minacciati di maltrattamenti o soggetti a problemi psicologici, di istruzione, socializzazione e così via.

Ciò dimostra che l’immigrazione è un dramma umano che produce situazioni disumane.

Occorre fare tutto quanto in nostro potere per ovviare a queste situazioni, per promuovere l’unità delle famiglie in ambienti culturali e sociali familiari.

In altre parole, e questa è l’unica soluzione, occorre fare tutto quanto in nostro potere per invertire i flussi migratori, dissuadere coloro che sono tentati di lasciare il proprio paese, promuovere lo sviluppo e garantire che le famiglie si ricongiungano solo nei paesi d’origine.

Così dovrebbero essere usate le risorse che avete dedicato all’importazione o all’adattamento in Europa di coloro che sono attirati dai miraggi da voi promessi.

 
  
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  Carl Lang e Fernand Le Rachinel (NI), per iscritto. – (FR) E’ noto che l’Europa ama prendersi cura di tutto ed essere presente ovunque. Con questa risoluzione sui figli dei migranti lasciati nei paesi d’origine il Parlamento europeo ha raggiunto l’apice della follia, con proposte che non solo sono demagogiche, ma che vogliono identificare negli Stati membri i colpevoli di questa situazione.

Ci viene detto che l’Unione ha prestato insufficiente attenzione al fenomeno dei bambini lasciati nei paesi d’origine quando i genitori migrano. Gli Stati membri dovrebbero adottare provvedimenti per migliorare la situazione di questi bambini e garantirne il normale sviluppo in termini di istruzione e vita sociale. Mi sembra di sognare! Dopo le misure tese a incoraggiare il ricongiungimento familiare nei paesi di accoglienza e il permesso di soggiorno esteso a tutto il nucleo familiare è giunto il momento delle misure per i figli che non migrano.

Non si risolve così il problema dell’immigrazione. La logica è sbagliata. Non sono i bambini lasciati nel paese d’origine a dover essere aiutati; sono le famiglie e l’intera popolazione di questi paesi che dovremmo aiutare e incoraggiare a rimanere a casa propria.

 
  
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  Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) Con la scomparsa delle barriere ai confini interni dell’Unione europea aumentano le possibilità di cercare lavoro in uno Stato membro dell’Unione europea diverso dal proprio. Si tratta di uno sviluppo particolarmente positivo, che offre ai cittadini l’opportunità di fare qualcosa per migliorare la propria vita e quella delle loro famiglie.

Il relatore lo riconosce, ma sceglie ostinatamente di concentrarsi sugli aspetti negativi che possono derivare dall’assenza di un genitore che cerca lavoro all’estero.

Trovo irragionevole che il Parlamento europeo diriga in modo così invasivo le politiche sociali e dell’istruzione dei singoli Stati membri. Dobbiamo mostrare rispetto nei confronti degli Stati membri e delle loro assemblee elette democraticamente e avere fiducia in loro e nella loro capacità di prendersi cura dei propri cittadini e del loro benessere.

Ho dunque espresso parere contrario su questa risoluzione.

 
  
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  Alexandru Nazare (PPE-DE), per iscritto. (RO) Ho votato a favore di questa risoluzione del Parlamento europeo tesa a migliorare la situazione dei figli lasciati nel paese d’origine dai genitori emigrati per trovare lavoro all’estero.

Vorrei tuttavia sottolineare che non basta impegnarsi. Abbiamo bisogno di misure concrete che garantiscano a questi bambini uno sviluppo normale sotto il profilo della salute, dell’istruzione e della vita sociale, e permettano la loro piena integrazione nella società e, più tardi, nel mercato del lavoro.

Le autorità nazionali, per esempio, devono sviluppare una serie di programmi educativi che affrontino in modo specifico questo problema. A beneficiare di tali programmi non dovrebbero essere solo i figli, ma anche i loro genitori migranti. Questi ultimi devono inoltre essere coinvolti all’interno di programmi di informazione e di autoaffermazione, che li informino degli effetti avversi che la scelta di lavorare all’estero produce sulla vita familiare e, in particolare, sui loro figli.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – (IT)  Signor Presidente, in seguito all'interrogazione orale presentata dal collega Andersson, voto favorevolmente la proposta di risoluzione sui figli di migranti. Infatti, la migrazione della manodopera è in costante aumento nel corso degli ultimi decenni e la maggior parte dei migranti nel mondo, 64 milioni, risiede in Europa. Inoltre, ritengo che la migrazione possa avere effetti positivi per le famiglie del paese di provenienza perché, grazie alle rimesse e altri canali, riduce la povertà e accresce gli investimenti in capitale umano. Quindi sono d'accordo sul fatto che sia necessario chiedere agli Stati membri di prendere misure per migliorare la situazione dei figli lasciati dai loro genitori nel paese di origine e assicurarne il normale sviluppo sul piano educativo e sociale.

 
  
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  Flaviu Călin Rus (PPE-DE), per iscritto. (RO) Ho espresso parere favorevole in merito alla proposta di risoluzione del Parlamento europeo sui figli dei migranti lasciati nel paese d’origine perché ritengo che la loro situazione debba essere significativamente migliorata. Ogni bambino ha il diritto di avere una famiglia completa e di ricevere un’istruzione che gli consenta una crescita armoniosa. Sono del parere che dobbiamo sostenere questi bambini perché rappresentano il futuro dell’Europa e dell’Unione europea.

 
  
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  Catherine Stihler (PSE), per iscritto. − Dobbiamo fare tutto quanto in nostro potere per aiutare i figli dei migranti a sviluppare il loro potenziale e a prosperare nel loro nuovo ambiente.

 
  
  

- Proposta di risoluzione (B6-0104/2009)

 
  
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  Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. (SV) Il partito Junilistan è decisamente favorevole a futuri allargamenti dell’Unione europea; è però estremamente importante che i paesi candidati soddisfino de facto i requisiti previsti e che, al momento dell’adesione, siano quindi Stati compiutamente democratici e governati dallo stato di diritto. I criteri di Copenaghen devono essere rispettati e la sicurezza giuridica garantita, mentre non basta introdurre le normative approvate, ma occorre anche rispettarle nella pratica.

I tre paesi al centro della discussione odierna hanno sicuramente il potenziale per diventare Stati membri in futuro, ma è fondamentale continuare a insistere sui requisiti. Come insegna l’esperienza, i progressi sono più rapidi prima dell’avvio delle trattative per l’adesione, ma rallentano molto nella fase negoziale, specie quando si prevede che il negoziato sfocerà in un esito positivo.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE), per iscritto. – (SK) Ho votato a favore della risoluzione in merito alla relazione concernente i progressi compiuti dalla Croazia nel 2008 e mi rallegra che il Parlamento europeo l’abbia adottata a larga maggioranza.


La risoluzione esprime apprezzamento per gli ottimi risultati della Croazia, che nel 2008 ha approvato le leggi e varato le riforme necessarie per aderire all'Unione europea; occorre ora rafforzare costantemente tali risultati mediante l’adozione e l’attuazione delle riforme.

Credo che la controversia sul confine tra Slovenia e Croazia si risolverà positivamente, con la soddisfazione di entrambe le parti, grazie all’impegno personale del commissario Rehn, al fine di ottenere rapidi progressi nei negoziati di adesione. Per assicurare un risultato positivo servono naturalmente il consenso e, soprattutto, la buona volontà dei governi di Slovenia e Croazia nel trovare una soluzione soddisfacente e sostenibile.

Nella risoluzione non dobbiamo pensare soltanto alla Croazia. Non va dimenticato il ruolo pionieristico della Slovenia che, in misura significativa, ha dato avvio al percorso dei Balcani verso l’Europa. La Slovenia è stata la prima nazione balcanica a entrare nell’Unione europea e nello spazio Schengen, ha aderito alla zona euro ed è un esempio e una fonte d’ispirazione per gli altri paesi della regione.

Ritengo che i negoziati di adesione della Croazia si concluderanno entro la fine del 2009.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – Signor Presidente. Non concordo con la proposta di risoluzione concernente i progressi compiuti dalla Croazia. Il mio voto è quindi contrario. Come ribadito diverse volte, anche in questa sede, ritengo insufficienti i progressi compiuti dalla Croazia. Restituiscano intanto quello che hanno fregato ai nostri profughi istriano-dalmati dal 1947 in poi. Poi, solo poi, sarà possibile discutere dell'adesione dei croati alla UE. Il contenzioso dei beni degli espulsi da Istria, Fiume e Dalmazia, se non definitivamente risolto, renderà di fatto impossibile il dialogo tra i due popoli.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE-DE), per iscritto. – (PL) Apprezzo tutti gli sforzi volti a rafforzare le relazioni esistenti tra Croazia e Unione europea, ivi comprese le azioni intraprese da entrambe le parti. Auspico un’intensificazione della cooperazione e una risoluzione congiunta dei problemi esistenti, specie considerando che il governo croato intende affrontare gli attuali problemi di ordine sia interno che bilaterale. Nel nome della solidarietà europea dovremmo aiutare la Croazia in questo suo sforzo, senza pensare a differenze o barriere.

 
  
  

- Proposta di risoluzione (B6-0105/2009)

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto.(PT) Ho votato a favore della proposta di risoluzione del Parlamento europeo concernente la relazione sui progressi compiuti dalla Turchia nel 2008. Visto il rallentamento del processo di riforma, il governo turco deve dimostrare la propria volontà politica nel proseguire sulla strada delle riforme, intrapresa con l’impegno del 2005, verso una società più democratica e pluralistica.

 
  
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  Jens Holm e Eva-Britt Svensson (GUE/NGL), per iscritto. – (EN) Siamo favorevoli all’adesione della Turchia all’Unione europea, in quanto il paese soddisfa i criteri di Copenaghen e i cittadini sostiengono l’adesione. Ci rammarica però il fatto di non poter approvare la relazione sui progressi compiuti dalla Turchia, oggi in votazione, per le gravi lacune e le richieste mal formulate che purtroppo contiene. Ad esempio, il paragrafo 20 avanza richieste irragionevoli per un partito democratico; il paragrafo 29 incoraggia la Turchia a collaborare strettamente con il Fondo monetario internazionale e il paragrafo 31 afferma che il paese è tenuto a concludere accordi di libero scambio con paesi terzi. La relazione non contiene gli opportuni riferimenti alla violazione dei diritti umani o alla situazione critica delle minoranze nazionali, in particolare di quella curda. Il documento non menziona il genocidio armeno, discostandosi così da precedenti risoluzioni del Parlamento.

 
  
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  Marine Le Pen (NI), per iscritto. – (FR) Dando ancora una volta prova di grande ipocrisia, il Parlamento ha approvato una risoluzione in cui chiede al governo turco di dimostrare volontà politica nel portare avanti le riforme.

La verità è che, ignorando la volontà dei popoli europei, si vogliono continuare a ogni costo i negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione europea, nonostante il persistente rifiuto della Turchia di riconoscere Cipro e malgrado lo stallo nelle riforme democratiche.

Alla Turchia avreste dovuto offrire un partenariato privilegiato ma, a tale scopo, avreste dovuto finalmente ammettere che la Turchia non è uno Stato europeo e che quindi non ha alcun posto nell’Unione.

E’ ormai giunto il momento di rispettare l’opinione dei popoli europei – in gran parte nettamente contrari al vostro sciagurato progetto – e di rinunciare una volta per tutte ai negoziati di adesione con la Turchia.

Vi ricordo formalmente che, mentre gli Stati europei lottano contro le reti fondamentaliste e la Francia vede il suo principio di laicità messo in discussione dall’espandersi sul suo territorio dell’islamismo militante, è assai pericoloso continuare a negoziare l’adesione di un paese che, pur essendo rispettabile, ha un governo che propugna un Islam radicale.

 
  
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  Fernand Le Rachinel (NI), per iscritto. – (FR) Come i precedenti rapporti sulla Turchia, la relazione Oomen-Ruijten non mette in discussione il dogma di Bruxelles secondo cui la Turchia deve aderire. Il presidente Sarkozy, venendo meno alle sue promesse elettorali, ha aperto due capitoli dei negoziati di adesione proprio nel corso della sua presidenza delle istituzioni europee.

I nostri popoli però si oppongono all’ingresso di questo paese asiatico con una popolazione che, dopo il genocidio armeno e la scomparsa delle altre comunità cristiane, è ormai musulmana al 99 per cento. Nel paese governa un partito islamico, mentre il suo esercito occupa il territorio della Repubblica di Cipro, paese membro dell’Unione europea. I nostri cittadini non dimenticano che per secoli i turchi sono stati la principale minaccia all’Europa; greci, rumeni, bulgari e serbi si sono liberati dal giogo ottomano solo nel XIX secolo.

L’ostinazione dell’eurocrazia nel cercare di far entrare la Turchia in Europa come pure di imporre il trattato di Lisbona è la dimostrazione dell’indole antidemocratica e antieuropeista dell’Europa di Bruxelles. Il 7 giugno i nostri popoli avranno la possibilità di esprimersi per costruire una nuova Europa – un’Europa di Stati liberi e sovrani.

 
  
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  Kartika Tamara Liotard e Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto. – (NL) Nel nostro Parlamento vi sono tre diverse scuole di pensiero sulla futura adesione della Turchia all’Unione europea.

La prima è caldeggiata dall’ex presidente statunitense Bush, secondo cui l’adesione è molto auspicabile in quanto la Turchia, come membro fedele della NATO, può assicurare soldati e manodopera a basso costo.

Secondo un altro punto di vista, l’adesione della Turchia sarà sempre indesiderabile perché la si considera un paese asiatico islamico, troppo grande e troppo pericoloso.

Il nostro gruppo ha sempre seguito una terza via, secondo cui la Turchia deve poter aderire se così auspicato; è una possibilità importante per i tanti europei di origine turca.

Prima di arrivare a questa fase, il paese deve diventare una vera democrazia – senza prigionieri politici, senza mezzi di comunicazione vietati o partiti politici messi al bando. La lingua curda deve godere di pari diritti nella pubblica amministrazione, nella scuola e nei mass media; si deve abolire la soglia – troppo elevata – del 10 per cento nelle elezioni parlamentari e il sudest curdo deve ottenere l’autonomia in uno Stato decentrato. La Turchia non deve più negare il genocidio degli armeni del 1915 – proprio come la Germania non nega il genocidio degli ebrei perpetrato tra il 1938 e il 1945. E’ con rammarico che annunciamo il nostro voto contrario proprio in ragione della vaghezza della relazione Oomen-Ruijten sui suddetti punti.

 
  
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  Jules Maaten (ALDE), per iscritto. – (NL) Al paragrafo 45 della relazione Oomen-Ruijten si afferma che occorre intensificare i negoziati di adesione con la Turchia. Il partito olandese VVD si oppone fermamente a tale ipotesi, in quanto ritiene che la Turchia abbia compiuto ben pochi progressi negli ultimi anni e che non vi sia quindi alcun motivo per accelerare le trattative.

Il partito VVD è anzi dell’avviso che la Turchia debba prima sottoscrivere una serie di impegni formali; se entro la fine dell’anno non li avrà attuati allora, secondo il VVD, si dovranno sospendere i negoziati di adesione. E’ nostra convinzione che non sia questo il momento di inviare segnali positivi alla Turchia; al contrario, dovrebbe essere la Turchia a inviare tali segnali all’Unione europea.

Malgrado la nostra netta opposizione al paragrafo 45, la delegazione del partito VVD ha deciso di votare a favore della relazione nel suo insieme, in quanto concordiamo sul resto del testo.

 
  
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  Yiannakis Matsis (PPE-DE), per iscritto. – (EL) Ho votato a favore della relazione Oomen-Ruijten nel suo complesso. Vorrei però indicare espressamente che non concordo e non mi sento vincolato dall’emendamento n. 9 al paragrafo 40 del testo, inizialmente presentato dal gruppo Verde/Alleanza libera europea e indi integrato dalla relatrice; ho quindi votato contro questo punto specifico. L’emendamento, allegato al testo finale, così recita: “eccetto per deroghe transitorie temporanee” (ovvero deroghe transitorie temporanee alle quattro libertà fondamentali dell’Unione europea). Nella mia spiegazione di voto vorrei chiarire che non appoggio tale emendamento e che non lo considero per me in alcun modo vincolante, in quanto ritengo che esso ostacoli il processo verso una soluzione europea e democratica al problema di Cipro.

 
  
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  Alexandru Nazare (PPE-DE), per iscritto. – (RO) Appoggio questa relazione, che descrive nei dettagli le relazioni tra la Turchia l’Unione europea e la procedura prevista per l’adesione.

Come i miei elettori anche io sostengo fermamente la candidatura della Turchia – e non solo in ragione degli ottimi rapporti tra i nostri paesi. Riteniamo francamente che l’Unione europea abbia un enorme potenziale per indurre i cambiamenti. Come possono confermare i cittadini di Stati membri dell’Europa orientale, l’acquisizione di una chiara prospettiva europea innesca un mutamento radicale sia nel dibattito pubblico a livello interno, sia nelle scelte del paese in materia di politica estera.

Sono fermamente convinto che, non appena l’adesione turca diventerà una questione di “quando” piuttosto che di “se”, sarà forse più semplice superare le tensioni che ancora alimentano l’attuale polarizzazione sociale. E’ proprio per questo motivo che l’Unione europea deve inviare alla Turchia, entro un lasso di tempo ragionevole, un chiaro segnale sul completamento del processo di adesione, che rappresenterà lo stimolo necessario per il processo di riforma e per la cooperazione su questioni di interesse comune.

Questa realtà non cambia comunque il fatto che sino ad allora l’Unione europea si aspetterà che le autorità turche, in modo fermo e deciso, assumano il ruolo di partner e di futuro Stato membro, anche nelle relazioni con i principali attori in Medio Oriente e Eurasia.

 
  
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  Rovana Plumb (PSE), per iscritto. – (RO) In quanto socialdemocratica, ho votato a favore della relazione per sostenere la Turchia nel processo di adesione. Esorto la Commissione e il Consiglio ad accelerare il processo negoziale, che dovrà comprendere l’apertura di un capitolo sull’energia, specie in considerazione dell’attuale crisi economica e dell’importante ruolo che la Turchia può svolgere grazie al suo contributo alla sicurezza energetica europea.

Apprezzo il fatto che, nel maggio 2008, il parlamento turco abbia approvato un pacchetto di misure sull’occupazione volto a promuovere le opportunità di impiego di donne, giovani e disabili. Sono però preoccupata per le condizioni sfavorevoli sul mercato del lavoro, che offre occupazione solo al 43 per cento della popolazione attiva, e soprattutto per il calo nel tasso di occupazione femminile in generale.

Sostengo le richieste avanzate al governo turco affinché continui ad attuare misure concrete al fine di consolidare il ruolo delle donne in campo politico, economico e finanziario, per esempio mediante l’utilizzo di misure temporanee tese a garantirne l’attiva partecipazione in politica.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – Signor Presidente. Esprimo il mio voto contrario in merito alla relazione concernente i progressi compiuti dalla Turchia nel 2008. Ci sono, infatti, ancora troppe questioni irrisolte per poter affermare che ci sono stati dei significativi progressi nei negoziati di adesione, iniziati quasi quattro anni orsono. Penso alla situazione del popolo curdo; penso alla pena capitale, ancora vigente in Turchia; penso ai problemi culturali e religiosi che si dovranno affrontare. Tali questioni non possono essere affrontate con superficialità e leggerezza, in alcun modo.

 
  
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  Renate Sommer (PPE-DE), per iscritto. − (DE) Esprimo apprezzamento per la netta maggioranza a favore della risoluzione sulla Turchia; dobbiamo dire chiaramente al governo turco che ci saranno conseguenze per lo stallo nel processo di riforme che ormai si protrae da anni.

La libertà d’espressione e la libertà di stampa, in particolare, hanno subito gravi battute d’arresto, come testimonia l’attuale atteggiamento del governo turco nei confronti del Doğan Media Group. La rovinosa sanzione inflitta al gruppo per una presunta evasione fiscale è sproporzionata ed equivale alla censura dei mezzi di comunicazione.

Relativamente alla libertà religiosa, non si sono registrati progressi malgrado la nuova legge sulle fondazioni; anzi, continuano le discriminazioni e le vessazioni contro le minoranze religiose. Sono lieta di vedere che la proposta di risoluzione comprende ora il mio suggerimento di invitare la Turchia a ritirare i piani per l’esproprio del monastero di San Gabriele a Tur Abdin.

Alla Turchia chiediamo inoltre di ottemperare alle norme ecologiche e ambientali e di rispettare i diritti dei cittadini interessati dalla costruzione di dighe nell’ambito del progetto per l’Anatolia sudorientale.

Invece di progredire sulla strada verso il rispetto dei criteri di Copenaghen, la Turchia si allontana sempre più dai nostri valori fondamentali. Ci si interroga sulla reale volontà del governo turco di dare alla Repubblica nuove fondamenta democratiche, visto che la causa contro il partito AK e il misterioso procedimento Ergenekon riflettono l’immagine di una società profondamente divisa, che non è né disposta né capace di affrontare le sfide poste dall’Unione europea. E’ quindi giunto il momento di iniziare finalmente a parlare in termini concreti di un partenariato privilegiato tra l’Unione e la Turchia.

 
  
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  Geoffrey Van Orden (PPE-DE), per iscritto.(EN) Pur sostenendo l’impostazione generale della presente relazione, riscontro una certa mancanza di equilibrio sulla questione specifica di Cipro. Sono nettamente contrario agli emendamenti 14 e 15, formulati in modo univoco contro la Turchia su diverse questioni, tra cui il rispetto degli obblighi internazionali; negli emendamenti non si avanzano analoghe richieste di azione o impegno nei confronti delle autorità greche o greco-cipriote. In sede di commissione, è stato bocciato un mio emendamento che scartava l’ipotesi che la soluzione della questione cipriota dipendesse da un’azione unilaterale da parte della Turchia; avevo invitato il Consiglio, in via preliminare, a dare seguito all’impegno del 26 aprile 2004 di porre fine all’isolamento della comunità turco-cipriota. Pur mantenendo le mie riserve, ho comunque votato a favore della relazione.

 
  
  

- Proposta di risoluzione (B6-0106/2009)

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il partito comunista greco ha votato contro la proposta di risoluzione sull’ex Repubblica iugoslava di Macedonia, così come ha ripetutamente votato contro l’integrazione di questo e di altri paesi nell’Unione europea per le stesse ragioni che ci inducono a contrastare l’integrazione della Grecia stessa.

La proposta di risoluzione chiede un’accelerazione dell’integrazione dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia nell’Unione affinché il paese, attualmente un protettorato USA/NATO, si trasformi in un protettorato UE/USA/NATO e aderisca rapidamente all’Unione. I partiti greci ND, PASOK, SYRIZA e LAOS, che concordano con questo approccio generale, concentrano le proprie “divergenze” sulla questione del nome del paese in questione e per questa ragione hanno votato contro la relazione; in effetti, il documento si esprime negativamente sulle posizioni della Grecia, invitandola a non ostacolare l’integrazione nell’UE dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia.

Il partito comunista di Grecia ha votato contro tutte le relazioni in materia ritenendo che la questione del nome rientri nel quadro più generale degli interventi imperialistici nei Balcani e della lotta spietata tra le potenze imperialiste. Per tale motivo ha preso posizione sull’inviolabilità dei confini e sul fatto che non vi sarebbero rivendicazioni ignorate o altro. Non esiste alcuna minoranza etnica macedone e “Macedonia” è solo un termine geografico. I partiti ND, PASOK, SYRIZA e LAOS sposando la filosofia della strada europea a senso unico, celano ai popoli dei Balcani gli opportunismi politici dell’Unione europea, che si occupa delle minoranze come meglio le conviene.

Il partito comunista greco appoggia la lotta unita e antimperialista dei popoli balcanici e si oppone alla politica USA/NATO/UE.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – Signor Presidente. Esprimo il mio voto negativo in merito alla proposta di risoluzione relativa ai progressi compiuti dall'ex Repubblica jugoslava di Macedonia nel 2008. Siamo arrivati al punto in cui bisogna decidere se creare un grande mercato comune, in cui darsi ovviamente delle regole chiare, oppure se si vuole creare un'Europa che sia espressione di un'unica identità forte e sovrana. Per questo motivo, in base agli elementi riportati nella proposta di risoluzione, che io ritengo insufficienti, sono contrario alla relazione.

 
  
  

- Relazione Neyts-Uyttebroeck (A6-0112/2009)

 
  
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  Călin Cătălin Chiriţă (PPE-DE), per iscritto. – (RO) Credo che le istituzioni dell’Unione debbano continuare a sostenere il Tribunale penale internazionale dell’Aia, che ha processato molti criminali di guerra; nel contempo dobbiamo però tener presente il senso più ampio delle sue decisioni, nonché il suo contributo al processo di riconciliazione tra i popoli dei Balcani occidentali.

Vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che alcuni atti d’accusa e sentenze del Tribunale penale internazionale dell’Aia vengono considerati controversi in varie regioni dei Balcani occidentali. Si possono trarre degli insegnamenti da tali reazioni, che diventano poi parte dell’eredità del Tribunale stesso e che nel contempo evidenziano la necessità di dotarsi di una camera d’appello e di un programma di ampia portata.

Non va però dimenticato che per molti altri criminali di guerra non è ancora iniziato il processo. Le istituzioni europee devono sostenere le indagini condotte a livello nazionale nei Balcani occidentali, mentre il Consiglio deve stabilire norme chiare per valutare le prestazioni del sistema giudiziario nei paesi della regione dopo lo scadere del mandato del Tribunale penale internazionale.

I responsabili devono essere debitamente processati per i reati commessi e puniti uno a uno.

La giustizia deve essere uguale per tutti.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della relazione, che stabilisce che chiunque abbia commesso crimini di guerra nell’ex Iugoslavia dovrà essere giudicato. Appoggio la relazione perché chiede una proroga di altri due anni per il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia – un’istituzione temporanea che giudica chiunque abbia commesso crimini di guerra in quel paese; in tal modo si garantisce un tempo sufficiente al completamento dei processi in corso.

 
  
  

- Proposta di risoluzione (B6-0113/2009)

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo sulle risorse idriche in vista del V Forum mondiale dell’acqua perché ritengo sia urgente elaborare politiche globali in materia di approvvigionamento e gestione delle risorse idriche al fine di conseguire gli obiettivi di sviluppo del Millennio, che prevedono il dimezzamento entro il 2015 del numero di persone che non ha accesso all’acqua potabile.

Tuttavia, a causa della crisi finanziaria globale, gli Stati membri devono rafforzare il sostegno ai paesi meno sviluppati mediante gli aiuti pubblici allo sviluppo e la cooperazione nel processo di adattamento e mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Nemmeno l’acqua sfugge alle manie di privatizzazione e liberalizzazione della maggioranza nel Parlamento europeo. La risoluzione coglie nel segno quando afferma – pur usando il condizionale – che “l’acqua è un bene comune dell’umanità e che dovrebbe costituire un diritto fondamentale e universale”, come pure che “l’acqua va proclamata un bene pubblico e posta sotto controllo pubblico”. Il seguito del testo è però grave e inaccettabile: vi si afferma che, pur potendo restare sotto controllo pubblico, l’acqua può essere gestita “interamente o parzialmente” dal settore privato; ciò equivale a mantenere sotto il controllo pubblico il ruolo degli investimenti nelle infrastrutture di raccolta e approvvigionamento, lasciando al settore privato la parte redditizia, cioè le tariffe pagate dai consumatori. Si registrano già esperimenti simili in vari paesi, segnatamente in America latina, dove i prezzi sono cresciuti in modo esponenziale e la qualità è peggiorata.

Non accettiamo poi che la colpa ricada sull’agricoltura e che i piccoli agricoltori, trattati alla stregua delle industrie agroalimentari, subiscano le conseguenze del prezzo elevato dell’acqua. Mentre si estende la crisi capitalistica, l’acqua sembra diventare una merce allettante che genera i profitti tanto agognati dal capitale. Da parte nostra continuiamo a credere che l’acqua debba rimanere un bene esclusivamente pubblico, in termini sia di raccolta che di approvvigionamento.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE), per iscritto. − (FI) Ho votato a favore della risoluzione Berman sul V Forum mondiale dell’acqua, che si terrà la settimana prossima a Istanbul. Il Forum, organizzato ogni tre anni, è un’occasione per discutere di soluzioni politiche globali su come gestire l’acqua e le risorse idriche e come prepararne le basi.

Due anni fa ho personalmente redatto una relazione, destinata all’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE, sulla gestione delle risorse idriche nei paesi in via di sviluppo. Come emerge anche dalla risoluzione Berman, la situazione a livello mondiale è pessima proprio a causa della cattiva gestione delle risorse; occorre dunque un sostegno in tal senso, specie per rafforzare il processo decisionale e la cooperazione a livello regionale.

E’ altrettanto evidente che il settore pubblico da solo non può reperire quei 49 miliardi di dollari USA all’anno (fino al 2015) che, secondo le stime della Banca mondiale, servono a sviluppare le infrastrutture idriche. In risposta ai problemi dell’approvvigionamento idrico, la soluzione per reperire i fondi necessari potrebbe essere un accordo di partenariato tra i settori pubblico e privato, visto e considerato che le aziende statali lamentano una carenza di fondi e che non vi è alcuna possibilità di privatizzazione.

Non si deve nemmeno sottovalutare l’importanza della ricerca nel trovare una soluzione ai problemi idrici. Altrettanto cruciali possono rivelarsi un adeguato monitoraggio e un investimento nelle risorse idriche sotterranee; proprio come l’energia, l’acqua sta diventando sempre più una questione politica e in futuro potremmo assistere a una spietata lotta per garantire l’accesso alle risorse idriche. E’ più che mai evidente che l’acqua deve diventare una priorità politica prima che sia troppo tardi.

 
  
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  Kartika Tamara Liotard (GUE/NGL), per iscritto. – (NL) Nella votazione finale ho votato contro la risoluzione non perché la relazione non fosse soddisfacente nel suo complesso, ma piuttosto perché essa contempla un elemento per me essenziale, che mi ha impedito di votare a favore. L’acqua non è merce di scambio, ma una necessità primaria cui tutti hanno diritto.

Per gli esseri umani l’uso dell’acqua non è facoltativo, ma risulta essenziale alla sopravvivenza; per tale motivo è fuori luogo considerarla come un bene economico o merce di scambio. L’approvvigionamento idrico deve essere in mani pubbliche e rimanere tale. Il Parlamento europeo, in posizioni adottate in precedenza, ha già detto chiaramente che l’acqua è un diritto, mentre l’attuale formulazione della relazione potrebbe indebolire questo presupposto.

 
  
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  Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. (SV) L’acqua è indispensabile a tutte le forme di vita sulla terra. La responsabilità di tutelare l’accesso a questo bene primario non grava però sulle spalle dell’Unione europea: è attraverso la cooperazione internazionale in ambito ONU che i paesi del mondo devono cercare soluzioni al problema di come migliorare l’accesso alle risorse idriche.

Poiché la proposta del relatore va in una direzione totalmente diversa, ho deciso di votare contro la risoluzione.

 
  
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  Rovana Plumb (PSE), per iscritto. – (RO) Non si può concepire lo sviluppo sostenibile senza la tutela e la corretta gestione di una risorsa vitale come l’acqua. Sottoscrivo pienamente i punti 15 e 16 della risoluzione, volti a sostenere gli sforzi degli enti locali nell’attuare una politica democratica di gestione delle risorse idriche, che sia sempre efficiente, trasparente, regolamentata e rispettosa degli obiettivi di sviluppo sostenibile al fine di soddisfare i bisogni dei cittadini.

Mi associo alle richieste rivolte a Commissione e Consiglio affinché riconoscano il ruolo fondamentale svolto dagli enti locali nella tutela e nella gestione delle acque, al fine di renderli direttamente responsabili della gestione delle risorse idriche. Mi rammarica il fatto che le competenze delle autorità locali non vengano usate maggiormente nei programmi europei di cofinanziamento.

Nel caso della Romania, che in quest’ambito gode di un periodo transitorio fino al 2018, è cruciale accelerare gli investimenti, soprattutto ora che le popolazioni povere sono le più vulnerabili ai cambiamenti climatici e le meno capaci di adattarvisi.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. Signor Presidente. Esprimo il mio voto favorevole sulla proposta di risoluzione riguardante il Quinto Forum mondiale dell'acqua che si terrà ad Istanbul. Penso fermamente che l'acqua è un bene comune dell'umanità e che dovrebbe costituire un diritto fondamentale e universale. Inoltre, ritengo che l'acqua vada proclamata un bene pubblico e posta sotto controllo pubblico, a prescindere dal fatto che sia gestita, interamente o parzialmente, dal settore privato. Infine, mi auguro che siano abbandonati i regimi di sovvenzioni globali alla distribuzione di acqua, che minano gli incentivi a gestire l'acqua in un modo efficace originando un uso eccessivo, al fine di sbloccare i fondi destinati a sovvenzioni mirate, segnatamente per le popolazioni povere e rurali, onde stabilire un prezzo accessibile per tutti.

 
  
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  Catherine Stihler (PSE), per iscritto. – (EN) L’acqua è una risorsa preziosa e in tutto il mondo l’accesso all’acqua potabile deve essere una priorità fondamentale. Ancora nel 2009, fin troppe persone nei paesi in via di sviluppo sono prive di acqua potabile; dobbiamo quindi concentrare i nostri sforzi per aiutare i paesi e le comunità nelle zone più povere del mondo a ottenere accesso alle risorse idriche.

 
  
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  Gary Titley (PSE), per iscritto.(EN) La storia è costellata di guerre per la conquista di terre e del petrolio, ma temo saranno offuscate dalle lotte che potrebbero combattersi in futuro per accaparrarsi le risorse idriche.

L’acqua è la risorsa più indispensabile: senza di essa non c’è vita. Eppure persino nei paesi industrializzati si registra una grave carenza idrica, mentre per i paesi meno sviluppati le conseguenze sono catastrofiche.

La comunità internazionale deve prendere molto più sul serio la questione dell’accesso all’acqua prima che sia troppo tardi. Come abbiamo visto in settimana a Copenaghen, i cambiamenti climatici stanno accelerando a una velocità allarmante, che aggraverà ulteriormente la penuria di risorse idriche. L’accesso all’acqua potabile è un diritto umano fondamentale, che deve diventare il fulcro di una vera e propria campagna.

 
  
  

- Proposta di risoluzione (B6-0114/2009)

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto.(EN) Sono favorevole alla risoluzione perché avanza specifiche raccomandazioni rivolte alla Commissione europea affinché rafforzi il sostegno ai servizi sanitari nell’Africa sub-sahariana e riesamini la ripartizione dei finanziamenti comunitari per dare priorità agli aiuti al sistema sanitario.

Metà della popolazione nell’Africa sub-sahariana vive ancora in condizioni di povertà. L’Africa è l’unico continente a non registrare progressi verso gli obiettivi di sviluppo del Millennio, segnatamente i tre obiettivi relativi alla salute (tasso di mortalità infantile, mortalità materna e lotta contro HIV/AIDS, tubercolosi e malaria), che sono essenziali per contrastare la povertà ma che, in considerazione degli attuali progressi, hanno minori probabilità di tradursi in realtà entro il 2015. Se si vogliono conseguire gli obiettivi di sviluppo del Millennio in ambito sanitario, serve un sostegno finanziario stabile e a lungo termine a favore delle strutture sanitarie di base, tra cui necessariamente l’accesso ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva.

 
  
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  Filip Kaczmarek (PPE-DE), per iscritto. – (PL) Ho votato a favore della risoluzione su un approccio ai servizi sanitari nell’Africa sub-sahariana – una parte del continente che non sarà in grado di svilupparsi senza un reale miglioramento nello stato di salute della sua popolazione. In quella regione l’elenco delle minacce alla salute è ben noto ed eccezionalmente lungo: la realtà di tali minacce trova una drammatica conferma nelle stime sulla speranza media di vita della popolazione – un dato che nei singoli paesi è spesso simile a quello dell’Europa medievale. Questa situazione così dolorosa, spiacevole e frustrante dovrebbe spingere i paesi ricchi e sviluppati a fornire aiuti più concreti ed efficaci. E’ sempre positivo il coinvolgimento in progetti tesi a salvare la vita delle persone, in quanto non vi è nulla di più umano e al tempo stesso europeo. Salviamo le vite umane in pericolo – è il minimo che possiamo fare.

 
  
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  Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. (SV) Il racconto del relatore circa le sofferenze umane nell’Africa sub-sahariana è una drammatica testimonianza di quanto sia importante continuare e intensificare la lotta contro la povertà.

Le proposte presentate dal relatore, tuttavia, si basano interamente sul presupposto che l’Unione dovrebbe svolgere un ruolo guida nella politica degli Stati membri in materia di aiuti. Il partito Junilistan è contrario in quanto ritiene che l’Unione non debba né realizzare operazioni di aiuto né cercare di influenzare le attività dei paesi membri in questo settore.

Nell’ambito degli aiuti le nostre esperienze sono purtroppo alquanto deludenti ed è quindi importante riuscire a sperimentarne nuove forme. Al momento la Svezia sta esplorando nuovi percorsi interessanti. In questa fase storica sarebbe del tutto sbagliato privare continuamente gli Stati membri delle opportunità di pensare in modo nuovo riformando la politica degli aiuti. La responsabilità in questo ambito è e deve restare nelle mani degli Stati membri.

La cooperazione internazionale volta a reperire soluzioni per migliorare l’assistenza sanitaria nell’Africa sub-sahariana dovrebbe realizzarsi principalmente nel quadro delle Nazioni Unite, non dell’Unione europea.

Pertanto ho votato contro la risoluzione.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – Signor Presidente. Voto favorevolmente la proposta di risoluzione sull'aiuto allo sviluppo fornito dalla CE ai servizi sanitari nell'Africa subsahariana. Difatti, considerando che gli aiuti forniti dalla CE al settore sanitario non sono cresciuti dal 2000 in proporzione all'aiuto complessivo allo sviluppo, nonostante gli impegni assunti dalla Commissione rispetto agli OSM e alla crisi sanitaria nell'Africa subsahariana, penso che sia doveroso e necessario fissare un impegno comune al fine di conseguire risultati migliori in campo sanitario e di raggiungere gli obiettivi di sviluppo sulla sanità concordati a livello internazionale.

 
  
  

- Proposta di risoluzione (B6-0111/2009)

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – Signor Presidente. Comunico il mio voto positivo in merito alla proposta di risoluzione sull'avvio dell'area unica dei pagamenti in Euro. Ritengo che sia estremamente importante sostenere la creazione della AUPE, aperta a un'effettiva concorrenza e in cui non sussistono distinzioni fra pagamenti nazionali e transfrontalieri in euro. Infine, penso che la Commissione, come riportato nella proposta, debba essere sollecitata a fissare un termine ultimo chiaro, appropriato e vincolante, che non sia successivo al 31 dicembre 2012, per la migrazione ai prodotti AUPE, termine dopo il quale tutti i pagamenti in euro dovranno essere effettuati utilizzando gli standard AUPE.

 
  
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  Peter Skinner (PSE), per iscritto. – (EN) Il partito laburista al Parlamento europeo vuole che l’Area unica dei pagamenti in euro sia coronata dal successo e quindi non può sostenere gli emendamenti alla relazione che mirano a prorogare i termini della commissione d’interscambio multilaterale, la quale ostacola la concorrenza e aumenta i costi per i consumatori. Il tal modo si svilisce il senso stesso della relazione, che si prefigge di garantire il superamento delle barriere e la riduzione dei costi grazie al mercato unico. Al momento della votazione finale non abbiamo votato a favore della risoluzione proprio per l’approvazione dei suddetti emendamenti.

 
  
  

- Relazione Koppa (A6-0062/2009)

 
  
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  Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. – Signor Presidente. Il mio voto è favorevole. Sostengo la relazione della collega Maria Eleni Koppa sull'importanza del partenariato strategico tra l'UE e il Brasile avendo i due interlocutori la medesima visione del mondo basata su legami storici, culturali ed economici, potendo insieme promuovere cambiamenti e soluzioni su scala globale come ad esempio cooperare strettamente nella promozione e attuazione degli obiettivi di sviluppo per affrontare la povertà e le disparità economiche e sociali a livello mondiale e altresì rafforzare la cooperazione nell'ambito dell'aiuto allo sviluppo, compresa la cooperazione triangolare e, allo stesso modo la lotta al terrorismo internazionale, al narcotraffico e alla delinquenza.

Tenendo conto del ruolo centrale svolto dal Brasile nei processi d'integrazione nell'America latina e dell'interesse dell'UE a rafforzare il dialogo con tale regione e che la stessa accoglie con favore le iniziative intraprese dal Brasile per promuovere l'integrazione economica e politica tra i paesi dell'America latina, siamo d'accordo sul fatto che il Brasile meriti un riconoscimento quale principale promotore dell'Unione delle nazioni sudamericane (UNASUF) di recente costituzione.

Va riconosciuto inoltre il ruolo di mediatore nella risoluzione di conflitti regionali nell'America latina e nei Caraibi, sulla base del rispetto dei principi di sovranità nazionale, non interferenza e neutralità, con un effetto positivo sulla stabilità politica nella regione.

 
  
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  Vasco Graça Moura (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa relazione. Il Brasile è stato l’ultimo paese BRIC a partecipare a un vertice con l’Unione europea, che ha avuto luogo nel luglio 2007 durante la presidenza portoghese ed è stato la naturale emanazione dei rapporti che il Portogallo ha sempre intrattenuto con il Brasile. Come già ricordato in Aula nel settembre 2007, i 200 milioni di abitanti del Brasile parlano portoghese, una delle lingue europee più diffuse nel mondo; la loro storia, civiltà e tradizioni culturali hanno legami profondi con quelle europee, come dimostrano i vari accordi politici succedutisi nella storia fino ai nostri giorni. Queste relazioni contribuiranno a gettare altri ponti con l’America latina.

In considerazione del noto potenziale e degli attuali risultati politici ed economici del Brasile a livello regionale e mondiale, il partenariato strategico non va considerato come un eventuale ostacolo ad altri partenariati con Mercosur; va anzi salutato come un esempio del necessario consenso, conseguito dall’Unione, su comuni interessi politici e commerciali. Si tenga presente che entrambe le parti considerano essenziale l’azione multilaterale sulla base del sistema delle Nazioni Unite e nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio.

Confesso infine la mia curiosità circa il campo d’applicazione previsto per i futuri protocolli di cooperazione in materia di istruzione e cultura.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – Signor Presidente. Esprimo il mio voto favorevole riguardo alla relazione presentata dalla onorevole Koppa sul partenariato strategico tra UE e Brasile. Infatti, è di primaria importanza il ruolo del partenariato, che deve imprimere nuovo slancio alla conclusione dell'accordo di associazione UE-Mercosur, che è a sua volta un obiettivo strategico dell'UE per approfondire le relazioni economiche e commerciali, nonché per ampliare il dialogo politico e la cooperazione tra le due regioni. Inoltre, il partenariato strategico deve essere uno strumento per promuovere la democrazia e i diritti umani, il primato del diritto e il buon governo a livello globale.

 
  
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  Flaviu Călin Rus (PPE-DE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della proposta di raccomandazione del Parlamento europeo destinata al Consiglio sul partenariato strategico Unione europea-Brasile, poiché lo ritengo proficuo per entrambi e capace di contribuire allo sviluppo dei legami tra le due parti, al fine di promuovere il bene comune in ambedue le regioni e nel resto del mondo.

 
  
  

- Relazione Salafranca Sánchez-Neyra (A6-0028/2009)

 
  
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  Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. – Signor Presidente. Il mio voto è favorevole. Visti i rapporti di cooperazione esistenti fin dagli anni settanta, tra l'UE e il Messico sono del tutto d'accordo nell'auspicare che questo partenariato strategico costituisca uno strumento per rafforzare la cooperazione tra le due parti nelle sedi internazionali, come per esempio la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, l'OCSE così come il G-20, il G8 e il G5 per cercare soluzioni alla crisi finanziaria mondiale e per formulare una risposta comune volta a ristabilire la fiducia nelle istituzioni finanziarie, in linea con la Dichiarazione di San Salvador.

La sua collocazione geografica gli conferisce una posizione strategica come "ponte" fra America del Nord e America del Sud e fra i Caraibi e il Pacifico e si auspica che con questo partenariato strategico si possano istituzionalizzare lo svolgimento di vertici annuali tra l'UE e il Messico e che fornisca un nuovo impulso all'Accordo globale UE-Messico nei suoi vari ambiti politici, inclusi i diritti umani, quelli la sicurezza, le misure contro il narcotraffico, l'ambiente, la cooperazione tecnica e culturale.

Vista anche la risoluzione del Consiglio dell'11 ottobre 2007 sugli assassini di donne (femminicidi) in Messico e in America centrale e il ruolo dell'UE nella lotta contro questo fenomeno si auspica un maggiore dialogo, una maggiore cooperazione nonché lo scambio reciproco di nuove prassi.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – Signor Presidente. Accolgo favorevolmente la relazione presentata dall'on. Salafranca Sánchez-Neyra, inerente al partenariato strategico tra UE e Messico. È infatti determinante che tale partenariato strategico comporti un salto qualitativo nelle relazioni tra il Messico e l'Unione europea a livello multilaterale su questioni di importanza globale e rafforzi lo sviluppo delle relazioni bilaterali.

Per questo, sono assolutamente fiducioso sul fatto che, attraverso tale accordo, si permetterà di rafforzare il coordinamento di posizioni su situazioni di crisi e questioni di importanza mondiale, sulla base degli interessi e delle preoccupazioni reciproci. Infine, mi auguro che l'accordo costituisca un’opportunità per discutere il modo di rendere maggiormente operativa la clausola sui diritti umani e la democrazia, valori essenziali in tutti gli accordi per ambo le parti, e per valutarne l’attuazione, anche sviluppandone la dimensione positiva.

 
  
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  Catherine Stihler (PSE), per iscritto. (EN) L’Unione europea deve prestare maggiore attenzione all’escalation di violenza in Messico a causa della guerra della droga, in quanto desta preoccupazione il raddoppio nel numero degli omicidi legati alla violenza del narcotraffico.

 
  
  

- Proposta di risoluzione (RC-B6-0135/2009)

 
  
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  Carl Lang (NI), per iscritto. – (FR) I sentimenti meritori espressi dai vari gruppi politici ad eccezione dei comunisti – e a buon titolo – sono solo una pallida eco della correttezza politica propagandata dagli hippy dello show business internazionale. La causa del Tibet, ossia la vera lotta di liberazione, è rimasta stritolata nella morsa mortale di europei modaioli a corto di spiritualità. E’ un ottimo esempio di cosa non fare in politica interna e internazionale.

Gli eurodeputati intendono condannare, con la massima cortesia, le estorsioni dei comunisti cinesi, pur dichiarandosi a favore dell’autonomia per una regione che non è il Tibet storico. Proporre l’autonomia per il Tibet – ovvero il percorso seguito da Save Tibet – è come agitare il guinzaglio davanti a un’élite impotente e a un popolo ormai annichilito sia spiritualmente e fisicamente.

Come accade con altre nazioni oppresse, il Tibet è la dimostrazione di quel che succede quando si insedia una dittatura comunista e si usa l’arma dell’immigrazione massiccia per evitare eventuali passi indietro sul piano politico, etnico, culturale o spirituale.

Senza dubbio il Tibet ha perso l’occasione di recuperare la sovranità quando ha rinunciato alla lotta armata dopo l’esilio del suo leader. La strada da seguire ora conduce alla lotta per l’indipendenza di un Tibet libero, non alla malcelata schiavitù di una “autonomia” sulla carta.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – Signor Presidente. Sono assolutamente a favore della proposta di risoluzione relativa al 50° anniversario della rivolta in Tibet e del dialogo tra il Dalai Lama e il governo cinese. I soprusi, provenienti da qualsiasi parte, devono essere condannati. D'altro canto, bisogna dire che il governo cinese ha l'obbligo morale (e non solo) di rilasciare immediatamente e incondizionatamente tutte le persone che sono in stato di detenzione soltanto per aver partecipato a proteste pacifiche e a rispondere di coloro che sono stati uccisi o risultano scomparsi e di tutti i detenuti, indicando la natura delle accuse a loro carico.

 
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