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Procedura : 2009/0108(COD)
Ciclo di vita in Aula
Ciclo dei documenti :

Testi presentati :

A7-0112/2010

Discussioni :

PV 21/09/2010 - 3
CRE 21/09/2010 - 3

Votazioni :

PV 21/09/2010 - 5.4
Dichiarazioni di voto
Dichiarazioni di voto

Testi approvati :

P7_TA(2010)0322

Resoconto integrale delle discussioni
Martedì 21 settembre 2010 - Strasburgo Edizione GU

6. Dichiarazioni di voto
Video degli interventi
Processo verbale
  

Dichiarazioni di voto orali

 
  
  

Relazione Arias Echeverría (A7-0226/2010)

 
  
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  Alajos Mészáros (PPE). (HU) Il commercio elettronico è ormai diventato parte integrante di Internet, ma purtroppo vi sono ancora evidenti lacune, in particolare se si prende in esame il commercio transfrontaliero. Normative nazionali non coordinate possono gravemente ostacolare la libera circolazione dei beni in Europa. Secondo vari studi, nel 2009, un consumatore europeo su tre ha effettuato almeno un acquisto online, ma solo il 7 per cento lo ha fatto in un altro Stato membro. Un’altra indagine dimostra che il 60 per cento dei tentativi dei clienti di acquistare articoli al di fuori dei confini nazionali non va a buon fine perché il fornitore rifiuta di effettuare la transazione o la spedizione della merce. Benché l’Europa vanti 500 milioni di consumatori, non se ne ha la percezione su Internet. Dobbiamo fare del nostro meglio per creare le condizioni di un mercato elettronico armonizzato e funzionante. Per questo appoggio la relazione.

 
  
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  Syed Kamall (ECR).(EN) Signora Presidente, grazie per avermi dato l’opportunità di spiegare il mio punto di vista nell’ambito di questa votazione. Credo che siamo tutti d’accordo sulla grande importanza dell’argomento: le barriere al commercio elettronico sono ancora troppo numerose. È fondamentale riuscire ad acquistare beni digitali e fisici su Internet in tutta l’Unione europea e sono favorevole a qualsiasi iniziativa che possa abbattere le barriere interne. Questo è probabilmente uno degli aspetti positivi dell’Unione europea.

Sappiamo che anche le attività commerciali con il resto del mondo sono molto più intense e spero che l’obiettivo non sia quello di attuare una normativa a livello mondiale, ma ottenere un migliore coordinamento tra le varie giurisdizioni per abbattere le frontiere e consentire ai cittadini europei di approfittare di prezzi inferiori all’estero e di acquistare online prodotti, beni e servizi di tutto il mondo.

Allo stesso tempo, dobbiamo renderci conto che, vista l’abbondanza di larghezza di banda, memoria e dati, i prezzi tenderanno allo zero e con il passare del tempo i prezzi di alcuni prodotti digitali saranno addirittura pari a zero.

 
  
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  Daniel Hannan (ECR).(EN) Signora Presidente, i miei elettori che svolgono attività commerciali guardano a questa relazione con stanca rassegnazione. È una relazione che contiene tutte le frasi trite e ritrite e i cliché normalmente presenti nelle direttive dell’Unione europea: “Il commercio elettronico è un elemento trainante di Internet”; “un importante catalizzatore per raggiungere gli obiettivi della strategia UE 2020”; “è importante che i tutti soggetti interessati cooperino”. Ma sono frasi che non contribuiscono certo a facilitare nel concreto il commercio e il libero scambio. Le imprese non hanno bisogno di direttive e di regolamenti per commerciare tra di loro: lo fanno già senza che sia necessaria un’autorizzazione esplicita.

Quando uno dei miei elettori effettua una vendita online a un’azienda dall’altro capo del mondo, in Australia o in Nuova Zelanda, lo fa tranquillamente senza la sovrastruttura normativa del mercato unico dell’Unione europea. Anzi, spesso riesce a vendere senza tutte quelle difficoltà con cui si scontra invece nel tentativo di farsi strada nel groviglio delle regole europee, il che forse spiega perché, da quando abbiamo aderito all’Unione europea, il nostro commercio ha registrato eccedenze con tutti i continenti, salvo l’Europa. E spiega probabilmente perché, con l’affermarsi della rivoluzione tecnologica, i miei elettori riscoprono la loro vocazione globale.

 
  
  

Relazione De Veyrac (A7-0195/2010)

 
  
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  Alfredo Antoniozzi (PPE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, come si evince chiaramente da questa relazione, da diversi anni ormai il traffico aereo è in costante aumento; nonostante i grandi progressi fatti in materia di sicurezza, ciò comporta un inesorabile aumento del rischio di incidenti.

Attualmente la normativa europea in materia di inchieste sugli incidenti aerei è costituita da una direttiva del 1994, quando l'EASA, Agenzia europea per la sicurezza aerea, non era ancora stata istituita. Pertanto condivido in pieno l'obiettivo della relatrice di stabilire attraverso un nuovo regolamento un quadro giuridico chiaro che conferisca all'EASA il ruolo di attore principale della sicurezza aerea a livello europeo.

 
  
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  Izaskun Bilbao Barandica (ALDE). (ES) Signora Presidente, il regolamento migliora le indagini di sicurezza sulle modalità per evitare che possano verificarsi incidenti in futuro, sul coordinamento attraverso la creazione della Rete e sull’assistenza alle vittime e alle loro famiglie. Sono però delusa dalla mancanza di due temi: primo, il principio della “giusta cultura”, che prevede che il personale non sia sanzionato per decisioni prese sulla base della propria esperienza e formazione, senza che in nessun caso siano comunque tollerate negligenze gravi, infrazioni deliberate o atti di vandalismo; secondo, la necessità di un codice di autoregolamentazione che impedisca la diffusione di informazioni sensibili che potrebbero finire nelle mani dei mezzi di informazione ed eviti così inutili sofferenze alle famiglie.

 
  
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  Oldřich Vlasák (ECR). (CS) Signora Presidente, sappiamo che l’attuale sistema comunitario per le inchieste in materia di sicurezza sugli incidenti dell’aviazione civile non funziona come dovrebbe. Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un’enorme crescita dei trasporti e all’espansione dell’Unione europea e disponiamo ora di metodi d’indagine migliori. L’obiettivo di questo regolamento è pertanto di reagire alla situazione che si è creata e di garantire una più efficace prevenzione degli incidenti.

Il regolamento proposto consentirà di coinvolgere l’EASA (che esiste dal 2002 ed è responsabile della certificazione degli aeromobili) nelle inchieste sugli incidenti, di costituire una Rete europea delle autorità investigative sulla sicurezza dell’aviazione civile e di proporre modifiche alla natura e alla portata delle relazioni di inchiesta presentate, inclusa la norma relativa alla messa a disposizione degli elenchi dei passeggeri a bordo degli aerei coinvolti in incidenti. Il testo oggetto di discussione è il risultato di un compromesso tra il Parlamento e il Consiglio. La Repubblica ceca ha accettato il compromesso al Consiglio. La relazione è di natura tecnica e contribuirà a migliorare la sicurezza nel settore dell’aviazione. Per questi motivi ho votato a favore.

 
  
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  Bogusław Liberadzki (S&D).(PL) L’eruzione vulcanica in Islanda in aprile ha dimostrato che tutto il continente europeo è legato a doppio filo all’aviazione. Per il momento non ci sono alternative poiché né il trasporto ferroviario né altre modalità di trasporto sono riusciti a sostituire l’aviazione; si pone pertanto il problema della sua sicurezza e affidabilità. Nel caso degli incidenti – ed è il punto che ci interessa – o dei disastri aerei, è assolutamente fondamentale riuscire a determinarne le cause in modo efficace, al fine di accertare come prima cosa le responsabilità. Ma c’è un aspetto ancora più importante: dobbiamo riuscire ad evitare gli incidenti, soprattutto le “quasi collisioni” e i disastri, in un settore che riveste così tanta importanza nell’ambito dei trasporti.

Desidero ringraziare la relatrice e i relatori ombra per aver affrontato un’ampia gamma di tematiche. Hanno evidenziato i settori di responsabilità e le possibilità di risoluzione dei problemi. È un regolamento valido e lo appoggio.

 
  
  

Relazione Vidal-Quadras (A7-0112/2010)

 
  
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  Alfredo Antoniozzi (PPE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, negli ultimi anni molti Stati membri hanno subito frequenti interruzioni di forniture di gas, dimostrando che la crescente dipendenza dell'Unione europea da forniture esterne di energia può nuocere agli interessi economici e politici a lungo termine degli Stati membri.

Condivido pienamente pertanto l'idea che la sicurezza energetica debba essere considerata un elemento essenziale della sicurezza globale dell'Unione europea e che la garanzia del mantenimento delle forniture di gas nella Comunità, in particolare durante le situazioni di crisi, debba essere considerata a sua volta un obiettivo strategico.

Per questo motivo ho votato a favore di questa relazione e mi auguro che il regolamento in questione sia applicato tempestivamente come auspicato anche dallo stesso relatore.

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE). (SK) La crisi del gas tra Russia e Ucraina dello scorso inverno ha avuto ripercussioni negative sui cittadini e sull’economia europei, mettendo in evidenza la vulnerabilità e la dipendenza dell’Unione europea dagli approvvigionamenti esteri.

L’Unione dovrebbe elaborare una propria politica energetica improntata alla solidarietà e garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico in tutto il suo territorio, conformemente alle nuove competenze previste dal trattato di Lisbona. Per quanto riguarda le improvvise interruzioni delle forniture energetiche, condivido il parere del relatore, che ha rafforzato le disposizioni dell’articolo relativo alle possibilità di dichiarare un’emergenza comunitaria per una determinata area geografica; in altre parole, si potrà dichiarare l’emergenza per un paese che, per esempio, attraversa una crisi e subisce l’interruzione completa delle forniture di gas, anche se il calo a livello dell’Unione europea non ha raggiunto il limite del 10 per cento. Ritengo sia corretto creare un meccanismo comunitario specifico da attuare a livello regionale.

 
  
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  Jarosław Kalinowski (PPE).(PL) La sicurezza dell’approvvigionamento di gas è stata e sarà a lungo un elemento cruciale della situazione politica internazionale e un presupposto fondamentale per la garanzia di eque condizioni di vita ai cittadini europei, che devono poter contare su un adeguato approvvigionamento di questa risorsa naturale essenziale. Le idee proposte dall’autore della relazione (come il perfezionamento del sistema per dichiarare una situazione di emergenza attraverso l’introduzione di criteri che si riferiscono a una particolare area geografica, la definizione di valori limite espliciti che consentiranno agli Stati membri di intervenire sul mercato, la centralizzazione e il rafforzamento della protezione dei dati relativi alle forniture e delle informazioni commerciali) miglioreranno sicuramente la sicurezza dell’approvvigionamento garantendone la continuità. Il problema è di particolare rilevanza per le economie che dipendono dal gas come fonte energetica e in Europa ce ne sono molte. Ho naturalmente appoggiato la relazione.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE).(PL) Abbiamo adottato un’importante relazione sulla sicurezza dell’approvvigionamento di gas. Le misure proposte nella relazione costituiscono un passo nella giusta direzione, ma non sono ancora sufficienti per dare alla società o all’economia un completo senso di sicurezza. L’esperienza di questi ultimi anni dimostra che alcuni Stati membri hanno agito nel proprio interesse anziché cercare di creare in questo settore una politica europea vera, coordinata e reciprocamente vantaggiosa.

Dobbiamo impegnarci per separare l’estrazione dalla trasmissione, abolire i monopoli e fare in modo che il gas esca dalla scena della politica internazionale. La diversificazione delle fonti e delle rotte dell’approvvigionamento di gas, lo sviluppo di infrastrutture, la cooperazione degli enti che operano nel settore del gas e la cooperazione a livello sovranazionale sono passi imprescindibili. A mio avviso, questo documento costituisce la prima pietra dell’edificazione di una politica energetica comune.

 
  
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  Inese Vaidere (PPE).(LV) Grazie, signora Presidente. La sicurezza dell’approvvigionamento di gas è uno degli aspetti più importanti della sicurezza economica e strategica europea. Uno dei nostri obiettivi fondamentali è riuscire a parlare di politica energetica con una sola voce ai fornitori di energia. Apprezzo infinitamente quanto è riuscito a realizzare il Commissario Oettinger, ma ritengo che i cinque o sette anni che ha citato per le discussioni con gli Stati membri costituiscano un periodo troppo lungo. Abbiamo urgentemente bisogno di una politica energetica comune. È essenziale assicurare la diversificazione delle fonti di approvvigionamento, soprattutto per gli Stati baltici, in quanto un unico fornitore, segnatamente la Russia, si serve della sua posizione di monopolio per interferire negli eventi politici degli Stati che ne dipendono. Bisogna creare interconnessioni per l’approvvigionamento di gas in Europa sulla base del principio di solidarietà, che costituisce la pietra fondante della politica dell’Unione europea. Sarebbe intollerabile anche una situazione con fornitori di gas diversificati ma con rotte del gas che attraversano comunque la Russia. L’Europa deve portare avanti una cooperazione diretta con gli Stati dell’Asia centrale e del Caucaso, deve effettuare ricerche in materia di gas da sabbie compatte, da scisti e da fonti energetiche alternative. Grazie.

 
  
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  Vito Bonsignore (PPE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, ho votato anch'io a favore di questo provvedimento. È il momento che l'Unione europea regolamenti con chiarezza la sicurezza e l'approvvigionamento energetico: la controversia dell'anno scorso ha dimostrato quanto forte sia la nostra dipendenza da energie provenienti da paesi terzi.

Il regolamento approvato in quest'Aula affronta finalmente questo problema nel tentativo di prevenire ulteriori crisi, compiendo un importante passo avanti nella sicurezza energetica. Gli Stati membri sono chiamati a garantire adeguata copertura energetica alle famiglie, ai clienti protetti, cioè a strutture e servizi essenziali. Essi sono anche chiamati a elaborare piani di prevenzione ed emergenza.

Si procede così verso quel principio di sussidiarietà degli Stati tanto caro all'Unione e al mio gruppo parlamentare. Condivido in particolare l'emendamento n. 62. Richiamo infine l'attenzione sulla lungimiranza, mi sia consentito, del mio paese, per aver aperto numerosi canali di dialogo coi paesi proprietari di grandi disponibilità di gas.

 
  
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  Radvilė Morkūnaitė-Mikulėnienė (PPE). (LT) Oggi, il Parlamento europeo ha adottato un regolamento teso a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di gas. È un passo importantissimo verso l’attuazione di una politica energetica comune nell’Unione europea, verso la solidarietà energetica tra gli Stati membri e verso una maggiore cooperazione regionale.

Ho votato a favore di questo documento perché credo che il regolamento permetterà alle “isole energetiche” dell’Unione europea, come gli Stati baltici per esempio, di potersi approvvigionare di gas anche quando chi detiene il monopolio delle forniture chiude i rubinetti.

Questo regolamento prepara anche la strada al finanziamento da parte dell’Unione europea di progetti infrastrutturali che possono contribuire al superamento dell’isolamento energetico. Le disposizioni previste nel regolamento e tese a rendere più rigoroso il controllo delle attività dei fornitori dei paesi terzi, come Gazprom, soprattutto nel settore della concorrenza, sono state tuttavia respinte e il documento si limita a stabilire disposizioni generali.

Il secondo aspetto, altrettanto importante, è la tutela dell’ambiente. Visto che il regolamento prevede la possibilità di finanziare progetti di paesi terzi con fondi dell’Unione europea, spero che la Commissione si affretti ad applicare lo strumento per la valutazione indipendente dell’impatto ambientale.

 
  
  

Relazione Sógor (A7-0231/2010)

 
  
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  Clemente Mastella (PPE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, questo accordo si prefigge lo scopo di rafforzare la cooperazione tra le amministrazioni degli Stati interessati per rendere più rapido il processo di ammissione di quelle persone che si trovano in situazione di soggiorno irregolare, determinando con precisione tutte le disposizioni tecniche necessarie: domande di ammissione, prove, termini, modalità di trasferimento e di trasporto.

Ho votato a favore perché convinto che tale accordo sia necessario in quanto strumento fondamentale nella lotta contro l'immigrazione illegale nell'Unione europea.

L'accordo contiene una clausola di non incidenza per quanto riguarda altre norme e diritti internazionali: gli Stati dovranno infatti ottemperare agli obblighi pertinenti risultanti dal diritto internazionale, quali ad esempio il principio di non respingimento, e sono ritenuti responsabili delle espulsioni dinanzi ai loro tribunali nazionali.

Il principio di non respingimento ha implicazioni procedurali, dal momento che gli Stati sono chiamati ad effettuare una valutazione del rischio di maltrattamenti, anche nei casi di allontanamento indiretto in un paese intermedio.

Si prevede poi l'istituzione – e termino – di un comitato misto per la riammissione e vorrei qui sottolineare, signor Presidente, che il Parlamento europeo non ne farà parte, purtroppo, quindi chiedo alla Commissione europea di volerci informare regolarmente e opportunamente sulle sue attività.

 
  
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  Joe Higgins (GUE/NGL).(EN) È paradossale che oggi il Parlamento europeo voti un accordo teso a cacciare dall’Unione europea i cittadini pachistani poveri e bisognosi, per rispedirli nel loro paese d’origine colpito da rovinose inondazioni. I contadini e i lavoratori pachistani, già provati da profonde sofferenze, ora patiscono più che mai. Il 20 per cento del paese è infatti devastato dalle inondazioni: raccolti distrutti, perdite di bestiame e bambini che soffrono la fame, una catastrofe che coinvolge ben 20 milioni di persone.

Faremmo molto meglio a discutere di come possiamo affrontare, alleviare e porre fine alla povertà in Pakistan, per esempio, costringendo il Fondo monetario internazionale a cancellare lo schiacciante peso del debito sul Pakistan, sollevando così dall’onere del prestito personale lavoratori e poveri pachistani, e ad aumentare gli aiuti, che non dovrebbero essere convogliati attraverso un governo corrotto, ma essere gestiti direttamente dai contadini, dai lavoratori e dai poveri, le vere vittime di questa situazione. Sarebbe una risposta molto più adeguata alle sofferenze del popolo pachistano.

 
  
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  Gerard Batten (EFD).(EN) Signora Presidente, mi sono astenuto dal voto sull’accordo tra Unione europea e Pakistan. L’accordo sembra attribuire agli Stati nazione, o agli Stati membri dovrei forse dire, strumenti più efficaci per il rimpatrio in Pakistan degli immigrati illegali. A prima vista, al Regno Unito potrebbe sembrare una buona idea, ma dovrebbe invece spettare solo alla Gran Bretagna, in quanto Stato nazione sovrano e indipendente, decidere chi può varcare o meno i suoi confini.

Votare a favore di questo accordo significherebbe cedere questo diritto di decisione all’Unione europea, cosa che non posso assolutamente accettare. La Gran Bretagna deve acquisire il controllo della propria politica in materia di immigrazione, legale e illegale, e non cederlo all’Unione europea.

 
  
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  Jens Rohde (ALDE).(EN) Vorrei dire che i liberali danesi sono molto soddisfatti della votazione odierna sull’accordo di riammissione tra l’Unione europea e il Pakistan. Finalmente, dopo molti anni di negoziati tra la Commissione e il Pakistan, è stato raggiunto un accordo che permetterà la riammissione degli immigrati che non soddisfano più le condizioni per l’accesso o il soggiorno in uno qualsiasi degli Stati membri dell’Unione europea.

Questo accordo è uno strumento importante nella lotta all’immigrazione illegale nell’Unione europea, soprattutto perché il Pakistan è un importante paese d’origine e di transito di emigranti. Con questo accordo, il Pakistan accetta di riprendersi i propri cittadini e, a determinate condizioni, anche cittadini di paesi terzi. È un accordo che migliorerà la sicurezza sul territorio europeo.

 
  
  

Relazione Kazak (A7-0238/2010)

 
  
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  Cristiana Muscardini (PPE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, sono a favore della relazione Kazak sui rapporti tra l'Unione europea e la Turchia così come votati in commissione INTE e in Aula. Nonostante la Turchia abbia da tempo costruito una barriera doganale con l'Europa, sono ancora in vigore molti ostacoli e barriere commerciali tra le due parti.

Se vogliamo contribuire a un aumento concreto e positivo degli scambi commerciali, la Turchia deve tenere conto della posizione di questo Parlamento, e cioè allineare la legislazione turca all'acquis communautaire in materia di libero scambio, mettere in atto procedure concrete di lotta alla contraffazione, che tocca anche settori importanti per la salute dei cittadini, come quello farmaceutico, garantire la libera circolazione delle merci nello spazio doganale con la soppressione di procedure di importazione pesanti e a danno dell'industria manifatturiera e agricola europea.

Deve poi evitare pratiche discriminatorie nei confronti delle industrie europee in materia di appalti pubblici e allinearsi con gli accordi adottati in seno all'Organizzazione mondiale del commercio.

 
  
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  Dimitar Stoyanov (NI).(BG) Signora Presidente, ho naturalmente votato contro la relazione Kazak viste le argomentazioni che ho esposto in Aula. Non posso votare a favore di una relazione presentata da un relatore praticamente indebitato per tutti i suoi studi, che sono costati cifre enormi direttamente finanziate dal governo turco. A mio modo di vedere, siamo in presenza di un caso di conflitto di interessi ed è quindi impossibile che la relazione sia imparziale. Per questo motivo ho espresso voto contrario.

Vorrei esporre un’altra osservazione. Possiamo constatare che questa relazione contiene elementi che non hanno nulla a che vedere né con il commercio né con l’economia. La relazione cita, accogliendole con favore, i recenti emendamenti apportati alla costituzione turca, che io considero semplicemente una vittoria degli islamisti nei confronti di chi vuole che la Turchia sia un paese laico. Purtroppo, è stato l’esercito – potrei aggiungere, insieme al sistema giudiziario – a garantire la laicità della Turchia.

La Turchia ha virato verso l’islamismo e ne sta ormai seguendo sempre più la strada. Ho votato contro la relazione perché non ritengo dovremmo approvare questo stato di cose.

 
  
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  Clemente Mastella (PPE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, il ruolo della Turchia quale attore del commercio mondiale è andato rafforzandosi negli ultimi anni, soprattutto perché il paese tende a sfruttare l'unicità della sua posizione geopolitica.

La realizzazione di un'unione doganale con l'Unione europea nel 1996 ha permesso l'approfondimento delle relazioni economiche; è stato raggiunto un ragguardevole livello di integrazione dei mercati, in particolar modo per quanto concerne la libera circolazione delle merci. In tempi recenti un grosso passo avanti verso l'integrazione si è avuto con l'adozione del nuovo codice doganale turco e l'introduzione del sistema delle preferenze generalizzate.

Non possiamo negare che la Turchia sia divenuta negli ultimi anni un partner commerciale chiave dell'Unione, figura infatti al settimo posto fra i maggiori mercati di importazione dell'Unione e al quinto posto tra i mercati di esportazione.

È divenuta una base di investimento per le imprese europee, con una crescente integrazione nella catena di approvvigionamento e produzione, spesso in segmenti ad alto valore aggiunto.

Ho votato a favore di questa relazione, signor Presidente, perché condivido l'idea che occorre innanzitutto rendere l'unione doganale più funzionale, quindi sì a questo rapporto tra Turchia e Unione europea.

 
  
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  Peter Jahr (PPE).(DE) Signora Presidente, tra Unione europea e Turchia esistono relazioni commerciali profonde. Dal 1996 esiste anche un’unione doganale, ma, nonostante tutto questo, esistono ancora numerose barriere commerciali. Mi fa pertanto particolarmente piacere che il Parlamento oggi abbia invitato la Repubblica di Turchia a rinunciare alle sue complesse procedure di importazione e ad allineare il suo sistema di quote per i prodotti agricoli trasformati, in quanto non sono conformi ai requisiti dell’unione doganale.

In secondo luogo, dobbiamo cooperare per fare in modo che i prodotti agricoli importati dalla Repubblica di Turchia soddisfino le stesse norme previste per i prodotti europei.

Oggi ho votato a favore della relazione, ma resta comunque ancora molto da fare. Allora mettiamoci al lavoro!

 
  
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  Vito Bonsignore (PPE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, i miei complimenti al collega relatore per il lavoro svolto e soprattutto per come ha trattato questo argomento, stando il fatto che stiamo discutendo da molti anni con la Turchia del suo ingresso nell'Unione, quindi un momento difficile.

È assodato che per l'Europa la Turchia rappresenta un ottimo partner commerciale, agevolato anche dalla sua favorevole posizione che ne fa la naturale porta verso l'Asia. L'Unione europea è il maggior partner commerciale della Turchia. I numeri sono buoni, sono confortanti.

Tali relazioni commerciali vanno migliorate, per questo condivido i punti 16 e 20, con i quali si invita la Turchia a eliminare le licenze di importazione e il divieto all'importazione di taluni prodotti farmaceutici.

Concordo, infine, sull'opportunità di rendere più forte e ampia l'unione doganale al fine di rendere sempre più proficui gli scambi commerciali.

 
  
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  Peter van Dalen (ECR). (NL) Signora Presidente, ho votato a favore della relazione Kazak perché migliorerà le relazioni economiche e commerciali con la Turchia e rafforzerà i legami di vicinato tra l’Unione europea e questo paese. Ed è proprio quello di cui abbiamo bisogno, niente di più.

Mi sono astenuto dal voto sull’emendamento n. 1 presentato dal gruppo Europa della Libertà e della Democrazia. Concordo con il gruppo sul fatto che la Turchia non dovrebbe aderire all’Unione europea, ma la relazione Kazak non si occupa di questo problema. Per questo mi sono astenuto dal voto su questo emendamento e, in effetti, ho votato a favore della relazione perché, alla fine dei conti, abbiamo bisogno di promuovere buoni rapporti di vicinato con la Turchia.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE).(PL) Nonostante il miglioramento delle relazioni tra Unione europea e Turchia, sussistono ancora molte difficoltà sotto forma di barriere tariffarie e non tariffarie che devono essere semplificate, così some altre formalità e procedure. Da entrambe le parti ci sono aspetti problematici, quali per esempio, da parte del nostro partner, la mancata applicazione dei diritti di proprietà intellettuale e il problema dei prodotti contraffatti.

Vogliamo instaurare un partenariato con la Turchia e dovremmo quindi analizzare con grande attenzione le cause delle difficoltà commerciali, prima che si trasformino in un problema più grave. È possibile che, a causa dei lunghi anni trascorsi in attesa di una posizione comune dell’Unione europea sulla sua adesione, ora la Turchia stia cercando alleati alternativi? Le relazioni tra le economie dell’Unione e la Turchia devono essere analizzate anche alla luce della struttura demografica delle due parti e delle previsioni per il futuro.

 
  
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  Philip Claeys (NI). (NL) Ho naturalmente votato a favore dell’emendamento presentato dal gruppo Europa della Libertà e della Democrazia e contro la relazione Kazak perché è possibile mantenere ottime relazioni commerciali con la Turchia senza che questo paese aderisca all’Unione europea.

Sembra che il relatore sia andato in giro con gli occhi bendati, visto che ha scritto che l’esito del recente referendum in Turchia promuoverebbe la democratizzazione nel paese. Al contrario, è certo che gli islamisti dell’AKP hanno definitivamente portato dalla loro parte la base del potere del loro partito. Dopo aver islamizzato la vita sociale quotidiana, adesso hanno posto le basi per la totale islamizzazione delle istituzioni pubbliche turche. Sgomberiamo il campo da qualsiasi dubbio: le riforme costituzionali approvate non sono altro che un attacco diretto all’esercito e alla Corte costituzionale in quanto ultime istituzioni laiche in Turchia.

 
  
  

Relazione de Lange (A7-0241/2010)

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, la relazione approvata oggi va nella giusta direzione per tutelare la biodiversità e gli ecosistemi. Il concetto di biodiversità viene finalmente associato a quello di gestione responsabile.

Per conservare il nostro pianeta, affinché possa sostenere anche le generazioni future, è necessario adottare subito politiche attuative in materia di ecocompatibilità. Dopo il mancato raggiungimento dell'obiettivo di arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010, è necessario che il rinvio di 10 anni serva ad una seria presa di coscienza collettiva da parte degli Stati e delle istituzioni.

Il patrimonio ambientale dell'Unione europea, che spazia dalla macchia mediterranea alle foreste di conifere, vanta una ricchezza di flora e fauna in termini di biodiversità praticamente irripetibile. Arrestare la perdita di tale patrimonio ambientale – e concludo – è un dovere che dobbiamo a noi stessi e alle generazioni future.

 
  
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  Romana Jordan Cizelj (PPE). (SL) Ho votato a favore della relazione sull’applicazione della normativa UE per la conservazione della biodiversità.

La relazione propone requisiti utili, ma la sua conclusione fondamentale è che i risultati non sono stati raggiunti per mancanza di una chiara volontà politica. Questo è anche il motivo alla base dell’errata applicazione della normativa, delle lacune in termini di dati, del monitoraggio inadeguato, dei finanziamenti insufficienti e della carente integrazione nelle politiche settoriali.

Abbiamo bisogno di un sistema di informazione molto più chiaro che segnali sia le buone pratiche sia i paesi che non hanno ottenuto risultati sufficienti. In questo frangente, la Commissione europea non dovrebbe svolgere un ruolo politico, ma un ruolo puramente tecnico. Dobbiamo proteggere la natura e il futuro dell’umanità, non i governi dei singoli Stati membri.

 
  
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  Clemente Mastella (PPE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, la tutela della biodiversità e degli ecosistemi e la lotta per prevenirne un ulteriore degrado sono sfide di inestimabile valore per la nostra società. Arrestare la perdita di biodiversità non è solo un nostro dovere etico, ma anche politico ed economico: conservare il nostro pianeta affinché possa sostenere anche le generazioni future!

Secondo la prassi della politica ambientale europea, le direttive offrono la flessibilità necessaria per adeguare i provvedimenti di attuazione alla realtà locale. Tale approccio è senz'altro giustificato dai principi di sussidiarietà e proporzionalità, ma spesso le differenze tra gli Stati membri diventano tali da inficiare l'efficacia delle direttive stesse.

Concordo con la relatrice quando afferma che l'approccio spesso settoriale alla biodiversità favorisce una profonda frammentazione del finanziamento delle misure volte alla tutela degli ecosistemi attraverso il bilancio dell'UE.

Se tale frammentazione dei finanziamenti può avere un impatto positivo, permettendo di attingere a diverse fonti, l'obbligo di cofinanziamento e l'approccio basato su un "menu alla carta" delle politiche agricola e strumentale, tra le altre, fanno sì che solo gli Stati membri che scelgono consapevolmente di destinare le risorse alla biodiversità investano poi effettivamente i fondi a tale scopo.

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE). (SK) Nell’Unione europea, il 42 per cento dei mammiferi, il 43 per cento degli uccelli, il 30 per cento degli anfibi, il 45 per cento dei rettili e il 52 per cento dei pesci rischiano l’estinzione e si prevede che il tasso di perdita aumenterà di dieci volte entro il 2050.

Purtroppo, i cittadini dell’Unione europea non si rendono conto di quanto il problema sia urgente e la Commissione europea di fronte a questi numeri ha un approccio debole, come dimostrano anche la frequente mancanza di determinazione per quanto riguarda l'applicazione corretta e puntuale delle direttive ambientali e la riluttanza ad avviare procedure di infrazione contro gli Stati membri. Se davvero ci preme lasciare ai nostri figli e alle generazioni future un ambiente che sia almeno in parte quello di cui disponiamo oggi, non possiamo rimandare o evitare l’azione. Appoggio pertanto le misure proposte, che potrebbero contribuire a evitare danni irreversibili all’ambiente.

 
  
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  Peter Jahr (PPE).(DE) Signora Presidente, la diversità delle specie vegetali e animali costituisce la base dell’alimentazione e dell’approvvigionamento di materie prime per una popolazione mondiale in costante crescita e rappresenta inoltre un presupposto per l’adattamento ai cambiamenti climatici. In tutto il mondo, la biodiversità è minacciata, in particolare dall’azione dell’uomo. Dobbiamo pertanto arrestare la perdita di biodiversità e cercare di correggere i danni già arrecati. Il modo migliore per proteggere la biodiversità è farne un uso sostenibile. In questo frangente gli agricoltori europei devono essere nostri alleati e non nostri avversari e in futuro li dovremo considerare sempre più come tali.

Vorrei in ogni caso concludere con una nota positiva. Nella regione che rappresento, il libero Stato di Sassonia, siamo riusciti a reintrodurre il lupo dopo un’assenza di 200 anni. È un buon esempio e deve essere il primo di una lunga serie.

 
  
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  Monika Flašíková Beňová (S&D). (SK) L’ambiente e la sua biodiversità devono attualmente affrontare grossi problemi: metodi di produzione e uno stile di vita che considerano la natura solo come un bene di consumo e un mezzo per soddisfare i bisogni umani.

Se da una parte ora ignoriamo il significato etico ed ecologico della biodiversità, dovremmo almeno essere coerenti nel valorizzarla. Il valore economico della natura trova scarso riscontro, talvolta addirittura nullo, nell’attuale sistema dei prezzi. Per evitare perdite finanziarie e di altro tipo, dobbiamo adottare leggi adeguate e promuovere l’importanza della biodiversità tra i cittadini dell’Unione europea, la maggior parte dei quali sicuramente reputa la perdita di biodiversità un problema grave, ma non si rende purtroppo conto che li riguarda direttamente. La passività delle persone comuni nella lotta contro la perdita di biodiversità è determinata in primo luogo dal fatto che non sanno che cosa possono fare.

Per questo motivo, ho votato a favore della relazione e convengo con la relatrice sull’urgenza di una campagna di sensibilizzazione in questo ambito.

 
  
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  Jarosław Kalinowski (PPE).(PL) Le ricchezze della natura sono il più grande patrimonio dell’umanità e purtroppo noi uomini siamo ampiamente responsabili della perdita di questa ricchezza. L’elaborazione di programmi come Natura 2000 costituisce uno dei passi compiuti per proteggere la natura da noi stessi. Sarebbe inoltre necessario insistere maggiormente su una normativa più severa e sanzioni più pesanti per le persone e le aziende che contribuiscono deliberatamente alla distruzione della diversità delle ricchezze naturali dell’Europa.

Anch’io sostengo la parte della relazione de Lange in cui si afferma che la politica agricola deve ricompensare gli agricoltori che forniscono servizi ecosistemici supplementari. Gli agricoltori amano la loro terra e proteggono la natura, anche quando non percepiscono bonus supplementari. L’aiuto finanziario è tuttavia essenziale affinché gli agricoltori non debbano sostenere da soli tutti i costi legati alla protezione della biodiversità.

 
  
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  Radvilė Morkūnaitė-Mikulėnienė (PPE). (LT) La conservazione della biodiversità è legata a molte altre politiche dell’Unione europea: il settore della pesca, dell’energia e dell’agricoltura per esempio hanno tutti un impatto sul pessimo stato del Mar Baltico. Secondo le ricerche, questo mare, in pratica un mare interno dell’Unione europea, è uno dei più inquinati.

La Commissione europea esprime preoccupazione rispetto alla perdita di biodiversità, ma, allo stesso tempo, si fa ancora troppo poco per combattere le cause di questo processo. Per quanto riguarda l’Unione europea, è opportuno ricordare che ogni Stato membro deve fare il suo dovere; ogni Stato deve impegnarsi per garantire una politica della pesca sostenibile e l’adeguato funzionamento di Natura 2000, per ridurre l’inquinamento, sia le emissioni di CO2 sia l’inquinamento delle acque di scarico, e per diminuire la quantità di pesticidi e fosfati.

Sono proprio questi i fattori che contribuiscono in misura significativa all’eutrofizzazione del Mar Baltico, che è una delle cause della perdita di biodiversità. L’attuazione irresponsabile dei cosiddetti progetti energetici commerciali nel Mar Baltico e l’assenza di critiche in proposito contribuiscono in misura significativa a questo inquinamento.

 
  
  

Relazione Ferreira (A7-0227/2010)

 
  
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  Giommaria Uggias (ALDE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, la votazione che abbiamo fatto oggi sulla relazione è molto articolata e ricca di contenuti per migliorare l'attività di prevenzione dei disastri ambientali.

Parte dalla considerazione che le vigenti misure di prevenzione si sono dimostrate purtroppo insufficienti o non hanno trovato attuazione, per cui s'impone una duplice esigenza: mettere a punto alcuni e migliori interventi nazionali ed europei, con l'indicazione anche di una modifica delle condizioni di accesso al fondo di solidarietà, ma è però ugualmente importante una maggiore attenzione da parte delle regioni e degli enti pubblici territoriali, ai quali con questo provvedimento viene chiesto di migliorare l'integrazione negli strumenti di programmazione e nei programmi operativi. È un passo in avanti, uno dei tanti che stiamo facendo verso politiche migliori di tutela del territorio.

 
  
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  Mario Pirillo (S&D). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, lo spopolamento delle campagne, la desertificazione, e la maggiore frequenza di eventi calamitosi – piogge eccessive, siccità, grandine, incendi ecc. –costringono gli Stati membri a intervenire con poche risorse e pochi mezzi. La questione più importante che voglio qui evidenziare è la sopravvivenza del mondo agricolo, che spesso è soggetto a calamità naturali che mettono in ginocchio il reddito delle aziende agricole.

Per questo la Commissione europea deve impegnarsi a creare un regime assicurativo pubblico europeo per il settore agricolo, capace di affrontare i rischi e l'instabilità economica e finanziaria degli agricoltori a seguito di calamità e catastrofi naturali o provocate dall'uomo, così come è indicato al punto 37 della proposta dell'onorevole Ferreira per la quale ho appena votato a favore.

 
  
  

Relazione Theocharous (A7-0192/2010)

 
  
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  Jarosław Kalinowski (PPE).(PL) Aiutare i più poveri costituisce una delle missioni fondamentali dell’Unione europea. Non ci sono dubbi in merito, e mi congratulo con la relatrice per aver trattato questo aspetto. Come membro della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, mi sento tuttavia in obbligo di segnalare il paragrafo 54 della relazione, in cui la relatrice raccomanda una revisione delle politiche di sussidio nell’ambito della politica agricola comune.

Sono d’accordo sulla necessità di rivedere il sistema di sussidio, ma non possiamo permettere che si ripeta la situazione che si è venuta a creare a seguito della riforma del mercato dello zucchero. Quella riforma avrebbe dovuto aiutare i produttori più poveri dei paesi terzi, mentre in realtà ne hanno beneficiato principalmente i grandi proprietari terrieri dell’America del sud e non certamente i proprietari delle piantagioni più piccole. Invito pertanto alla massima cautela: cerchiamo di condurre analisi approfondite prima di decidere per l’introduzione di qualsiasi tipo di riforma. Ho votato contro il paragrafo 54, ma appoggio la relazione nel suo insieme.

 
  
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  Frank Vanhecke (NI). (NL) Benché si tratti di una relazione piuttosto equilibrata, ho espresso voto contrario. Infatti, nonostante il suo equilibrio, la relazione si basa sull’assunto secondo cui, se continuiamo a dare sempre più soldi e aiuti all’Africa, soprattutto all’Africa sub-sahariana, il continente alla fine questi aiuti li riceverà. Probabilmente sono parole politicamente corrette, ma temo che non rispecchino la realtà.

Se pensiamo a tutti i soldi che abbiamo investito nell’Africa sub-sahariana dagli anni ‘40, ci rendiamo conto che si tratta di svariate centinaia di miliardi di dollari o di euro, mentre il risultato oggi è sempre maggiore povertà e miseria. Credo che dovremmo continuare a incrementare gli aiuti urgenti, riducendo invece sistematicamente l’assistenza a lungo termine.

Dobbiamo soprattutto scoraggiare le fughe sistematiche di capitali dall’Africa settentrionale verso i paesi ricchi. La fuga illecita di capitali negli ultimi 40 anni è pari a circa 1,8 trilioni di dollari! Non si può nemmeno provare a immaginare cosa potremmo fare con tutti quei soldi per l’Africa sub-sahariana.

 
  
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  Vito Bonsignore (PPE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, i miei complimenti alla relatrice per il lavoro svolto: l'Unione europea è da sempre impegnata a sostegno dei paesi in via di sviluppo e la relazione oggi votata ricorda a tutti che ancora abbiamo molto, molto da fare.

Per migliorare le condizioni di tali paesi è necessario agevolare standard in materia di diritto del lavoro, standard di sicurezza sul lavoro - a proposito mi preme sottolineare il mio apprezzamento per il punto 38, in cui si evidenzia l'importanza del genere, della parità di genere, per il successo economico degli Stati. Bisogna infatti garantire alle donne il giusto accesso al mondo del lavoro.

L'Unione europea deve impegnarsi attraverso tutti gli strumenti a sua disposizione per debellare il lavoro minorile – come sottolinea giustamente la relatrice al punto 38 – che rappresenta uno dei maggiori ostacoli alla riduzione della povertà. Una relazione su grandi punti qualificanti, per questi motivi il mio voto è stato favorevole.

 
  
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  Syed Kamall (ECR).(EN) Signora Presidente, prevedo che ci sarà un ampio consenso in Aula. Credo che nessuno possa opporsi a un progetto il cui obiettivo sia la riduzione della povertà e la creazione di posti di lavoro nei paesi in via di sviluppo.

Un paio di anni fa, ho tenuto un seminario in Costa d’Avorio, durante il quale ho parlato a giovani politici africani chiedendo loro di suggerirmi come l’Unione europea avrebbe potuto aiutarli. Mi hanno fornito una serie di indicazioni: in primo luogo, hanno detto che dovremmo accertarci che gli aiuti inviati non contribuiscano a mantenere al potere governi corrotti, perché troppo spesso il problema è proprio questo.

In secondo luogo, hanno affermato che dovremmo incoraggiare l’apertura dei mercati e la liberalizzazione, affinché possano affrancarsi dai monopoli statali che forniscono servizi pessimi. In terzo luogo, ci suggeriscono di riformare (o abolire) la Politica agricola comune e abolire tutti quei sussidi che consentono agli agricoltori dell’Unione europea di offrire prezzi inferiori a quelli degli agricoltori dei paesi in via di sviluppo. Hanno anche sottolineato che dovremmo sbarazzarci delle nostre idee sulle misure di adeguamento alle frontiere che non sono altro che l’espressione di un imperialismo verde il cui unico obiettivo è bloccare le importazioni dai paesi in via di sviluppo.

Infine, stiamo discutendo della direttiva sui gestori di fondi di investimento alternativi. Il PPE, i socialisti e i verdi cercano di impedire gli investimenti nei paesi in via di sviluppo. Dobbiamo contrastare queste assurdità economiche.

 
  
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  Seán Kelly (PPE).(GA) Signora Presidente, mi ha fatto piacere votare a favore di questa relazione che dimostra che, nonostante la recessione, non dimentichiamo i poveri del mondo.

Volevo anche dirvi che molti anni fa sono stato in Africa come volontario; tutti i giorni compravo un quotidiano e rimanevo sempre sorpreso dal numero di articoli che criticavano le ONG, non perché non facessero un buon lavoro, ma perché cercavano di trasmettere la loro cultura, la loro mentalità e la loro visione del mondo, imponendole ai locali.

È giunto il momento di avviare un dialogo nell’ambito del quale non solo stabilire dei contatti con i governi di questi paesi, ma soprattutto parlare ai dirigenti locali, alle organizzazioni sociali, ai ministri, ai preti eccetera, e mettere a frutto i solidi investiti in quei paesi poveri.

 
  
  

Dichiarazioni di voto scritte

 
  
  

Relazione Surján (A7-0249/2010)

 
  
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  George Becali (NI), per iscritto. (RO) Ho votato a favore di questa relazione per garantire che vengano stanziate le risorse finanziarie necessarie alle modifiche concernenti la tabella dell’organico dell’OLAF e che tale adeguamento venga iscritto nel bilancio 2010.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) L’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) svolge un lavoro lodevole nel combattere le frodi a livello europeo. Il potenziamento dei mezzi a sua disposizione e del suo organico giustifica l’aumento del suo bilancio, che appoggio volentieri. Naturalmente preferirei che questa misura non fosse necessaria e che l’OLAF fosse già dotato di più fondi e di un maggior numero di funzionari per compiere al meglio la missione che lo vede impegnato. Per un’Unione che desidera essere più trasparente e comprensibile per i cittadini europei è di vitale importanza che l’OLAF sia più forte, più indipendente e più attivo.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Questo progetto di bilancio rettificativo n. 5/2010 al bilancio generale contiene modifiche concernenti la tabella dell’organico dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), nonché la revisione delle previsioni relative alle risorse proprie tradizionali, le basi IVA e RNL, la contabilizzazione delle pertinenti correzioni accordate al Regno Unito nonché del loro finanziamento e la revisione del finanziamento delle riduzioni relative al RNL a favore dei Paesi Bassi e della Svezia nel 2010, il che comporta una diversa ripartizione fra gli Stati membri dei contributi al bilancio dell’Unione europea a titolo delle risorse proprie. Le modalità di calcolo delle risorse proprie sono illustrate in dettaglio nella relativa legislazione. Per quanto concerne l’OLAF, la Commissione ha proposto 20 nuovi posti permanenti AD, dal momento che l’Ufficio ha ora la possibilità di ultimare la propria tabella dell’organico assumendo il numero corrispondente di vincitori di concorsi come funzionari permanenti.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) Desidero innanzi tutto esprimere il mio profondo disaccordo rispetto all’attuale funzionamento dell’OLAF. Sebbene sia necessario lottare contro la frode, bisogna farlo al servizio dei cittadini europei, quindi in maniera indipendente, efficace e proteggendo i dati personali di tutti i cittadini.

Allo stato attuale l’OLAF non è in grado di soddisfare simili requisiti. Questo testo tuttavia si riferisce nello specifico alla trasformazione di contratti di lavoro temporanei in contratti permanenti. A nessun lavoratore, indipendentemente dal luogo in cui lavora, dovrebbe essere negato il diritto a un contratto dignitoso. Mi astengo pertanto dalla votazione.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Lo scopo dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) è di proteggere gli interessi finanziari dell’Unione europea e combattere la frode, la corruzione e qualunque attività illecita, comprese quelle compiute in seno alle istituzioni europee. Visto il suo importante ruolo, l’OLAF deve essere dotato delle risorse materiali e umane di cui ha bisogno per realizzare i suoi obiettivi. Nonostante la crisi che l’Unione sta attraversando, l’approvazione di questo bilancio rettificativo è giustificata al fine di dotare l’OLAF dei mezzi necessari al suo buon funzionamento.

 
  
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  Claudio Morganti (EFD), per iscritto. Ho espresso un voto di astensione in quanto, pur essendo d’accordo con l’aggiunta di 20 posti permanenti trasformati da contratti di lavoro temporanei nell’organico dell’Ufficio europeo per la lotta anti-frode, non ritengo opportuno che ad oggi esista ancora la correzione degli squilibri di bilancio a favore del Regno Unito. La correzione agli squilibri di bilancio fu concessa al Regno Unito nel 1984 poiché ritenuto zona depressa. Inoltre non trovo giusto che Germania, Paesi Bassi, Svezia e Austria versino dal 2002 solo il 25 per cento rispetto a quanto dovrebbero.

 
  
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  Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, con il regolamento (CE) n. 2007/2000, l’Unione ha accordato un accesso privilegiato al mercato dell’UE in esenzione dai dazi per quasi tutti i prodotti dei paesi e dei territori che beneficiano del processo di stabilizzazione e di associazione, al fine di dare un nuovo impulso alle economie dei paesi dei Balcani occidentali. Tale regolamento, a seguito delle sue ripetute modifiche, è stato codificato dal regolamento (CE) n. 1215/2009.

Le preferenze commerciali sono state concesse per un periodo che scade il 31.12.2010 e si applicano attualmente alla Bosnia Erzegovina, alla Serbia e al Kosovo per tutti i prodotti che rientrano nel campo di applicazione del sopraccitato regolamento. Con la fine delle preferenze commerciali, i beneficiari sarebbero privati di un oggettivo vantaggio economico negli scambi con l’UE.

In questo contesto, la presente proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio è finalizzata a modificare il regolamento (CE) n. 1215/2009 per consentire di prorogarne la validità fino al 31 dicembre 2015 e di apportare determinati adeguamenti in seguito all’entrata in vigore degli accordi di stabilizzazione e di associazione con la Bosnia-Erzegovina e la Serbia.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto.(EN) Quello sul bilancio è un voto importante. Infatti, considerando che la posizione del Consiglio sul progetto di bilancio rettificativo n. 5/2010 contiene modifiche concernenti la tabella dell’organico dell’OLAF, senza disposizioni finanziarie aggiuntive, nonché la revisione delle previsioni relative alle risorse proprie tradizionali (RPT, vale a dire i dazi doganali e i contributi nel settore dello zucchero), le basi IVA e RNL, la contabilizzazione delle pertinenti correzioni accordate al Regno Unito nonché del loro finanziamento e la revisione del finanziamento delle riduzioni relative al RNL a favore dei Paesi Bassi e della Svezia nel 2010, il che comporta una diversa ripartizione fra gli Stati membri dei contributi al bilancio dell’Unione europea a titolo delle risorse proprie, considerando che la finalità del progetto di bilancio rettificativo n. 5/2010 è l’iscrizione ufficiale di tale adeguamento nel bilancio 2010, e considerando che il Consiglio ha adottato la sua posizione il 13 settembre 2010, il Parlamento ha preso atto del progetto di bilancio rettificativo n. 5/2010, ha approvato la posizione del Consiglio sul progetto di bilancio rettificativo n. 5/2010 senza modifiche e ha incaricato il suo Presidente di dichiarare che il bilancio rettificativo n. 5/2010 è stato definitivamente adottato e di provvedere alla sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI), per iscritto. – (DE) La Commissione propone l’aggiunta di 20 posti permanenti AD per l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) dal momento che l’Ufficio ha ora la possibilità di ultimare la propria tabella dell’organico assumendo il numero corrispondente di vincitori di concorsi come funzionari permanenti.

In questi ultimi anni, e da ultimo il 5 maggio 2010, il Parlamento europeo ha ripetutamente espresso il parere che l’OLAF debba gradualmente muoversi verso un’indipendenza istituzionale illimitata e completa, al fine di garantire che le sue attività non vengano deliberatamente o involontariamente limitate dal fatto che il suo organico e la sua direzione fanno parte della struttura della Commissione europea.

 
  
  

Relazione Arias Echeverría (A7-0226/2010)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore di questa relazione perché ritengo che il commercio elettronico non possa restare ai margini del mercato interno; si tratta infatti di un settore importante e innovativo per la crescita economica europea.

Il commercio elettronico può contribuire all’economia della conoscenza, generare valore aggiunto e opportunità per le imprese e i consumatori europei, nonché migliorare la competitività della nostra economia nel contesto della strategia Europa 2020, anche grazie allo sviluppo e alla promozione di nuove forme di imprenditorialità per le piccole e medie imprese. Nell’ultimo anno un consumatore su tre in Europa ha effettuato almeno un acquisto online, ma solo il 7 per cento dei consumatori europei si è arrischiato ad acquistare in un altro Stato membro.

È necessario invertire questa tendenza e l’idea sostenuta dal relatore di creare un marchio di fiducia europeo potrebbe essere utile per raggiungere questo obiettivo. Anche la necessità di sviluppare modalità di pagamento online sicure e innovative potrebbe contribuire ad accrescere la fiducia dei consumatori europei nei servizi elettronici di altri Stati membri. Ovviamente l’accesso a internet in Europa deve essere esteso e reso più democratico. Spetta alla Commissione adoperarsi per impedire che la frammentazione delle norme in materia di protezione del consumatore sia d’ostacolo allo sviluppo del commercio elettronico in Europa.

 
  
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  Liam Aylward (ALDE), per iscritto. (GA) La diffusione del commercio elettronico in Europa è essenziale i fini della strategia Europa 2020; concordo pertanto con quanto sostenuto nella relazione sull’attuazione delle misure volte a incoraggiare e rafforzare il commercio elettronico nel mercato interno.

Il commercio elettronico assume particolare importanza per imprenditori e piccole e medie imprese e, insieme a un mercato interno europeo online, permetterà agli imprenditori e alle piccole aziende di fornire servizi innovativi, di qualità e adatti al consumatore, migliorandone la competitività nell’economia globale.

È necessario raggiungere gli obiettivi dell’accesso alla banda larga, ai cui servizi di base tutti i cittadini europei dovranno poter accedere entro il 2013. Accolgo con favore quanto la posizione della relazione a riguardo.

Concordo con la relazione anche in merito alla pubblicità nel commercio elettronico e alla necessità di incoraggiare i consumatori ad informarsi sui propri diritti. È importante che i consumatori europei abbiano fiducia nel sistema quando effettuano acquisti online.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della presente relazione. Le potenzialità del mercato interno ai fini del commercio elettronico non vengono ancora sfruttate appieno per diverse ragioni. I consumatori non hanno fiducia nella sicurezza del mercato elettronico e molti di loro non effettuano acquisti online perché le norme di tutela del consumatore e il livello di protezione variano notevolmente. Occorre accrescere la fiducia dei consumatori nel mercato elettronico, informandoli sui loro diritti, sulle modalità di pagamento sicure e garantendo la protezione del consumatore in materia di sicurezza e di protezione dei dati personali.

Concordo con la proposta per la creazione e l’attuazione di un marchio di fiducia europeo che accrescerebbe la fiducia nella rete da parte dei consumatori. Anche le imprese non sfruttano il mercato economico a causa di alcuni inconvenienti. Per questo motivo dobbiamo promuovere iniziative per incentivare gli imprenditori a praticare il commercio online, per esempio migliorando i sistemi di pagamento usati in Internet, semplificando gli obblighi di dichiarazione IVA, uniformando le spese bancarie e postali e risolvendo le controversie tra fornitori e consumatori in modo più efficace.

 
  
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  Regina Bastos (PPE), per iscritto. (PT) Attualmente la situazione del commercio elettronico è in continuo mutamento. Non è già più una tecnologia emergente, bensì una sempre più diffusa realtà. È uno strumento fondamentale per promuovere il commercio transfrontaliero, migliorare l’accesso a una gamma più ampia di prodotti di maggiore qualità e ridurre competitivamente i prezzi.

Ciononostante, a 10 anni di distanza dall’adozione della direttiva sul commercio elettronico, gli scambi transfrontalieri non si stanno sviluppando con la stessa rapidità di quelli nazionale: il 60 per cento dei tentativi di acquisto online transfrontalieri non va a buon fine per ragioni tecniche e legali.

Ho votato a favore della relazione perché individua i problemi che affliggono il commercio elettronico europeo e indica la via da percorrere per la creazione di un vero mercato unico europeo online. Per realizzarlo, occorre applicare meglio la normativa europea a vantaggio di tutti i nostri consumatori e commercianti, nonché intensificare gli sforzi per ottenere un elevato livello di protezione per gli utenti del commercio elettronico e infondere in loro la fiducia necessaria affinché possano sfruttare appieno le potenzialità del mercato unico, informandoli sui loro diritti in materia di commercio elettronico e su come tutelarli.

 
  
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  George Becali (NI), per iscritto. (RO) Ho votato a favore di questa relazione, in vista dei benefici che ne trarranno le PMI e dello sviluppo della società digitale, nonché per contrastare la frammentazione del mercato e armonizzare le normative.

 
  
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  Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. (RO) La realizzazione di un efficace mercato unico online per l’Europa costituisce una delle sfide più grandi che oggi abbiamo di fronte. Soprattutto nel contesto dell’attuale crisi economica, è più che mai necessario che l’Europa intensifichi gli sforzi per eliminare le barriere che ostacolano il commercio elettronico. Attualmente l’Unione europea vanta un mercato di oltre 500 milioni di consumatori, ma questa situazione non si riflette affatto nel volume di transazioni online effettuate. Questo non è dovuto alla mancanza di entusiasmo degli europei per il commercio elettronico, bensì ai problemi di ogni sorta in cui si imbattono una volta deciso di effettuare un acquisto online, non ultima l’impossibilità di completare la transazione. I dati riportati nella relazione sul commercio elettronico sono indicativi.

Al momento permangono troppe differenze tra gli Stati membri in materia di commercio elettronico, elemento che non può che essere fonte di insoddisfazione per i consumatori. Dal momento che la relazione sostiene che questa forma di commercio, insieme ai servizi innovativi e alle eco-industrie, offre le maggiori potenzialità di crescita e di occupazione future e delinea le nuove frontiere del mercato unico, le misure proposte dalla Commissione, completate dai suggerimenti del Parlamento, vanno attuate senza indugio.

 
  
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  Alain Cadec (PPE), per iscritto. (FR) Il commercio elettronico costituisce un importante contributo di Internet all’attività economica ed è quindi opportuno eliminare ogni ostacolo al mercato unico in questo ambito, poiché la frammentazione degli ordinamenti nazionali impedisce la vitalità di questo redditizio settore. Concordo con il relatore nel sottolineare le carenze del commercio elettronico nei confronti dei consumatori. È deplorevole che il 61 per cento delle transazioni transfrontaliere online non vada a buon fine perché i negozi online non trattano con il paese in cui vive il consumatore. A questo si aggiungono le paure dei consumatori relative alla sicurezza dei pagamenti. Di solito la possibilità di effettuare acquisti online dipende dalla qualità della connessione Internet; diventa quindi prioritario aumentare il numero degli utenti di Internet, in particolare migliorando la qualità delle prestazioni della connessione e rendendo i prezzi più accessibili. Occorre aumentare la fiducia dei consumatori nell’acquisto online. Come il relatore, sono a favore della creazione di un marchio di fiducia europeo e del miglioramento della supervisione della rete, in particolare per quanto concerne la protezione dei dati personali. È inoltre necessario impegnarsi per la tutela dei minori che utilizzano la rete.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Il mercato interno per il commercio elettronico è essenziale per l’Europa, soprattutto per raggiungere gli obiettivi stabiliti nella strategia Europa 2020, ma permangono tuttavia molti ostacoli da superare. Le misure proposte nella relazione vanno in questa direzione. Tra le più interessanti, a mio parere, quella relativa al controllo delle violazioni del copyright su Internet e lo sviluppo di un sistema di pagamento online sicuro e innovativo che non preveda imposte che scoraggino o limitino la scelta. In questo modo sarà più facile combattere la pirateria, incoraggiare le imprese a praticare il commercio online, nonché aumentare l’accesso a Internet e la fiducia degli utenti nella rete.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) Il commercio elettronico rappresenta un mercato di fondamentale importanza per l’Unione europea nel XXI secolo, non ultimo per conseguire gli obiettivi della strategia Europa 2020. Dobbiamo affrontare l’enorme sfida di realizzare un vero mercato unico online per l’Europa che consenta all’Unione di competere a livello mondiale. La fiducia delle imprese e dei consumatori europei in ambito digitale è limitata da inutili barriere al commercio elettronico, quali la frammentazione del mercato europeo, la mancanza di sicurezza per i consumatori, la scarsa sicurezza delle transazioni, la carenza di mezzi di ricorso, ecc. È necessario semplificare le norme transfrontaliere e fornire soluzioni pratiche su questioni quali il copyright, la tutela del consumatore, l’etichettatura e le norme settoriali specifiche, i rifiuti elettronici e i costi di riciclaggio, la dichiarazione e la fatturazione online.

È fondamentale che la normativa esistente, come la direttiva Servizi, venga pienamente recepita e attuata. Allo stesso tempo la Commissione deve concludere la propria valutazione della normativa comunitaria relativa al mercato unico digitale e presentare ogni iniziativa ritenuta necessaria ad affrontare i principali ostacoli. Sostengo le 13 raccomandazioni della Commissione volte a sviluppare politiche e prassi nell’ambito del commercio elettronico transfrontaliero.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, il commercio elettronico è cruciale per lo sviluppo del mercato interno: abbatte le barriere informative, avvicinandosi all’ideale di concorrenza perfetta a tutto vantaggio del consumatore. È in grado di ampliare il mercato potenziale per i piccoli produttori interni che non potrebbero permettersi di commercializzare in altri Paesi UE, tutelandoli e promuovendo la creazione di lavoro nel settore manifatturiero.

Si riduce, inoltre, la distanza tra centro e periferia, innalzando la qualità della vita nelle zone rurali grazie all’allargamento dell’offerta di beni, promuovendo l’uniformità degli standard delle merci vendute, grazie alla diffusione su più mercati degli stessi beni. È fondamentale, dunque, affrontare e risolvere i principali ostacoli all’utilizzo di internet per la vendita di prodotti: la sicurezza e le garanzie. E questo compito, vista la strutturale mancanza di frontiere, deve spettare ai soggetti sovranazionali interessati, cioè, nel nostro territorio, alle istituzioni comunitarie.

Grazie a questa relazione i commercianti hanno un quadro di regole all’interno del quale muoversi e pianificare gli investimenti, i consumatori conquistano delle certezze in merito alle garanzie spettanti, e i produttori hanno una marcia in più per combattere la crisi. Finalmente!

 
  
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  Corina Creţu (S&D), per iscritto. (RO) In conseguenza al tasso di frode online ancora piuttosto elevato, permane una certa diffidenza verso l’acquisto in Internet. Per questo motivo ho votato a favore della risoluzione che invita la Commissione a creare un sistema europeo di allerta rapida con una banca dati per fermare le pratiche commerciali illecite, contrastare le attività fraudolente e aumentare la sicurezza dei consumatori durante le transazioni online, con particolare riguardo alla protezione dei dati personali. A mio avviso occorre dedicare particolare attenzione ai contratti a distanza per tutelare i diritti dei consumatori in un’epoca in cui si registra un aumento dell’acquisto online di beni e servizi, soprattutto nel settore turistico e in quello dei trasporti.

 
  
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  Mário David (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore dell’adozione di questa relazione. In un mercato interno con oltre 500 milioni di consumatori, promuovere una maggiore flessibilità nel commercio elettronico e una maggiore fiducia da parte del consumatore nelle transazioni online non solo consentirà di sfruttare le potenzialità economiche del mercato unico digitale, ma anche di incoraggiare lo sviluppo di nuove nicchie di mercato per le piccole e medie imprese, favorendo così la creazione di posti di lavoro. Le differenze riscontrate tra il commercio elettronico nazionale e quello transfrontaliero indicano che i consumatori, specialmente i cittadini che vivono in zone remote o ultraperiferiche, così come le persone a mobilità ridotta, non hanno l’opportunità di fruire di questa forma di commercio e di avere quindi accesso a una vasta gamma di beni e servizi. Desidero tuttavia sottolineare l’urgenza di attuare adeguatamente la direttiva Servizi (strumento che ci consentirà di completare il mercato unico digitale) in tutti gli Stati membri; in particolare la direttiva deve essere applicata in modo più o per quanto concerne la non discriminazione dei consumatori sulla base della loro nazionalità. Desidero altresì sottolineare che deve essere pienamente operativo uno “sportello unico” per implementare il mercato unico digitale per il commercio elettronico. Sono tuttavia altrettanto importanti misure quali l’armonizzazione delle spese postali e bancarie nell’Unione europea, la semplificazione delle dichiarazioni di imposta sul valore aggiunto per la vendita a distanza e l’aumento della registrazione delle ragioni sociali nei domini .eu.

 
  
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  Cornelis de Jong (GUE/NGL), per iscritto. – Ho votato a favore di questa relazione perché ne condivido in generale la sostanza. Sono lieto di constatare che molti degli emendamenti da me proposti sono stati adottati in commissione. In questo modo le PMI riceveranno il sostegno necessario per diventare protagoniste attive nel mercato del commercio elettronico. A mio avviso, però, la relazione solleva inutilmente la questione della liberalizzazione postale, contro la quale mi sono espresso in sede di commissione. Ribadisco la mia contrarietà e continuo a oppormi alla richiesta di liberalizzazione, mentre rinnovo fermamente la mia richiesta alla Commissione di una moratoria sulla liberalizzazione dei servizi postali.

 
  
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  Ioan Enciu (S&D), per iscritto. (RO) Ho votato a favore di questa relazione. In qualità di relatore ombra per il parere della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, sostengo lo sviluppo del commercio elettronico, che costituisce parte integrante dell’e-business. In futuro il completamento del mercato delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nell’Unione europea contribuirà a superare i problemi che il commercio elettronico sta attualmente affrontando. L’Europa deve svolgere un ruolo importante a livello mondiale nel facilitare questo settore e a tale fine occorre risolvere urgentemente e in maniera uniforme le attuali difficoltà.

Mi riferisco nella fattispecie alle diverse aliquote IVA, al diritto in materia di tutela del consumatore e soprattutto all’eliminazione della discriminazione degli utenti del commercio elettronico in una serie di Stati membri, come è dimostrato da alcuni commercianti e fornitori di servizi. L’Europa deve sostenere i suoi cittadini che desiderano partecipare attivamente al mondo online, facilitando l’accesso a programmi di istruzione e ai fondi europei destinati espressamente all’acquisto di hardware, software e connessioni Internet.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione sul completamento del mercato interno per il commercio elettronico. Uno degli obiettivi della strategia Europa 2020 è la promozione dell’economia della conoscenza e per conseguire pienamente tale obiettivo, la Commissione europea deve presentare misure volte ad aumentare la velocità dei servizi a banda larga e razionalizzarne maggiormente i prezzi all’interno dell’Unione. È necessario rendere uniformi norme e pratiche al fine di garantire ai commercianti a distanza di raggiungere mercati diversi da quelli delimitati dai propri confini nazionali.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Nella comunicazione del 19 maggio 2010 sull’agenda digitale per l’Europa, la Commissione ha manifestato il desiderio di rendere le transazioni online più semplici e più capaci di creare la fiducia nelle tecnologie digitali. In base alle statistiche riportate nella relazione, un terzo degli europei ha effettuato acquisti online, ma solo il 7 per cento dei consumatori si arrischia a effettuare transazioni transfrontaliere e solo il 12 per cento dichiara di avere fiducia in questo tipo di transazioni. Si evidenzia quindi l’urgenza di rafforzare la sicurezza dei consumatori (o la percezione che ne hanno) rispetto a queste transazioni, al fine di incoraggiare lo sviluppo di un mercato dall’enorme potenziale, mediante transazioni più semplici, più comode e, in molti casi, più convenienti per il consumatore. Per realizzare un vero mercato unico elettronico è fondamentale che i consumatori si sentano sicuri quando acquistano online e che le imprese comprendano le immense potenzialità del commercio via Internet per aumentare la disponibilità e rimuovere le barriere transfrontaliere.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) La libera circolazione dei beni in Europa è seriamente ostacolata dalla frammentazione degli ordinamenti nazionali. Le statistiche relative alla situazione del commercio elettronico nell’Unione europea rivelano che nel 2009 un consumatore su tre in Europa ha effettuato almeno un acquisto online, ma solo il 7 per cento dei consumatori europei si è arrischiato a effettuare acquisti in un altro Stato membro. Da alcune ricerche UE non pubblicate, condotte sulle pratiche relative al commercio elettronico, emerge che il 60 per cento dei tentativi dei consumatori di effettuare acquisti transfrontalieri non va a buon fine a causa del rifiuto da parte del venditore di accettare la transazione o di spedire la merce, sebbene nella meta degli 11 000 casi analizzati l’acquisto online all’estero (spese di spedizione incluse) avrebbe fatto risparmiare al consumatore fino al 10 per cento. Desidero pertanto sottolineare la necessità di definire un quadro giuridico e normativo completo per superare le barriere transfrontaliere, conferire valore aggiunto e disciplinare i rischi di un’attività in continuo mutamento e in quasi costante progresso. Sono necessari un’attenzione e un monitoraggio costanti, dando priorità all’affidabilità delle comunicazioni e delle transazioni. Per consolidare il commercio elettronico, è fondamentale impegnarsi per migliorare la sicurezza e la fiducia dei consumatori, soprattutto per quanto concerne i pagamenti e i servizi di consegna e di reso.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La relazione sul commercio elettronico presenta alcune contraddizioni e insiste eccessivamente sulla realizzazione di un mercato interno. Riconosciamo l’importanza del commercio elettronico, ma occorre fare ancora molto per garantire che non diventi veicolo di ulteriori gravi problemi.

Come abbiamo sottolineato nel corso della discussione, è importante chiarire molti aspetti, segnatamente la difesa del copyright, la protezione dei diritti dei minori, i diritti dei consumatori e la sicurezza.

È vero che la relazione presenta una serie di suggerimenti per accrescere la fiducia di tutti gli operatori del mercato del commercio elettronico, ma non tutte le proposte sono sufficientemente adeguate o prendono nella dovuta considerazione tutti gli interessi e i diritti implicati in un processo che potrebbe rivelarsi molto complesso.

Concordo sul fatto che la catena di approvvigionamento debba essere più trasparente, affinché il consumatore conosca sempre l’identità del fornitore nonché la sua ragione sociale, l’indirizzo geografico, i dati di contatto e il codice fiscale. Tuttavia, devono essere sempre protetti i diritti dei minori e delle persone con disabilità diverse.

 
  
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  Pat the Cope Gallagher (ALDE), per iscritto. (GA) Il commercio elettronico crea opportunità di mercato soprattutto per le piccole e medie imprese e può svolgere un ruolo importante per aumentare la competitività dell’economia irlandese ed europea.

 
  
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  Tunne Kelam (PPE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore di questa relazione fondamentale perché costituisce un significativo passo avanti verso la completa attuazione e integrazione del mercato unico europeo. In un’epoca globalizzata e digitalizzata, l’Unione europea non può permettersi di restare indietro nel realizzare un efficiente mercato interno per il commercio elettronico, che a sua volta dovrebbe diventare competitivo sulla scena mondiale. Come è auspicabile, alla relazione seguiranno ulteriori misure volte a stimolare la realizzazione di un mercato digitale europeo. Questa situazione contribuirà anche a ripensare e a rilanciare le attività di vitale importanza di ricerca e sviluppo.

Occorre innanzi tutto e soprattutto monitorare e seguire l’attuazione della relazione sul commercio elettronico al fine di garantire ai cittadini europei un più facile accesso all’e-business, sia come imprenditori sia come consumatori. Le misure contenute in questa relazione agevoleranno notevolmente le operazioni commerciali tra Stati membri, posto che i governi nazionali comincino a compiere veri progressi nell’unificazione delle norme contrattuali e nel superamento delle differenze giuridiche.

 
  
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  Alan Kelly (S&D), per iscritto. (EN) Accolgo con favore l’invito a incrementare il commercio elettronico all’interno dei confini UE. L’Unione deve tuttavia garantire che questo avvenga nel rispetto delle normative europee e che venga raggiunto un alto livello di protezione dei consumatori.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE), per iscritto. (FI) Desidero ringraziare il collega, l’onorevole Echeverría, per la sua eccellente relazione, per la quale ho espresso con piacere un voto favorevole. Il commercio elettronico è un settore innovativo e internazionale e, di conseguenza, l’Unione europea deve assumere un ruolo importante nell’armonizzazione degli standard e delle pratiche. Vorrei citare in particolare i punti della relazione più urgenti al fine di garantire la disponibilità in tutta Europea di connessioni a banda larga complete e di qualità; si tratta di un obiettivo fondamentale se vogliamo che il commercio elettronico prosperi.

Dotare tutti i cittadini europei della banda larga entro il 2013 e della banda larga superveloce entro il 2020 sono obiettivi ambiziosi, ma indispensabili per il miglioramento della qualità della vita delle persone. Desidero ringraziare il relatore per le sue osservazioni riguardo alla protezione dei consumatori e al diritto alla privacy nel contesto del commercio elettronico. Questo è un aspetto che richiederà un’analisi approfondita in futuro, soprattutto per quanto riguarda i servizi dedicati ai minori.

 
  
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  Edvard Kožušník (ECR), per iscritto. (CS) Nonostante Internet sia oggi il canale al dettaglio che cresce più rapidamente e il numero di acquisti online aumenti di anno in anno, il volume delle transazioni transfrontaliere tra Stati membri purtroppo è stagnante. Si potrebbe quasi dire che non esiste mercato interno nell’Unione per quanto concerne le transazioni tra imprese e consumatori (B2C). A mio avviso, la piena armonizzazione della normativa in materia di consumatori nonché l’eliminazione delle esenzioni nazionali, accompagnate da una concezione liberale della protezione dei consumatori, rappresentano uno stimolo importante alle vendite transfrontaliere di beni tramite il commercio elettronico. Intravedo tuttavia un grosso ostacolo nella restrizione dell’accesso ai servizi online sulla base dell’indirizzo IP da parte di alcuni Stati. In teoria non esistono barriere giuridiche in questo settore, eppure questo segmento del mercato elettronico interno è ancora sottoposto a limitazioni.

Condivido l’opinione secondo cui la Commissione dovrebbe impiegare tutti gli strumenti esecutivi di cui dispone e intervenire contro la creazione di barriere artificiali al mercato interno sotto forma di blocchi degli indirizzi IP. La relazione discute inoltre gli obiettivi per il 2020 per quanto concerne l’accesso alla connessione a banda larga. Personalmente non sono a favore di obiettivi tanto aperti, soprattutto in un settore dallo sviluppo così dinamico da rendere difficile prevedere quale direzione prenderà nei prossimi 10 anni. Al di là di questa critica, ritengo che la relazione sia equilibrata e pertanto ho votato a favore.

 
  
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  Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore della relazione Echeverria perché ritengo il commercio elettronico un mercato chiave della politica UE, in cui possono e devono essere previsti alcuni interventi utili per migliorare la competitività dell’economia dell’Unione Europea, nel contesto della strategia UE2020.

Credo, infatti, che per sfruttare appieno le possibilità offerte dal mercato unico europeo si debba ulteriormente sviluppare il commercio elettronico, potenzialmente in grado di contribuire in misura positiva sia per i consumatori sia per la competitività delle imprese. In un simile contesto, accolgo con favore la previsione, da parte della relazione, di un marchio di fiducia europeo, necessario per garantire l’affidabilità e la qualità dei prodotti immessi sul mercato elettronico transfrontaliero.

In un periodo di crisi e difficoltà finanziarie, come quello in cui oggi ci troviamo ad operare, occorre supportare gli strumenti in grado di incidere positivamente e sensibilmente sull’occupazione e la crescita, strumenti tra i quali possiamo annoverare proprio il commercio elettronico. Pertanto ritengo, in tale ottica, che la relazione votata oggi costituisca un buon risultato non soltanto per le imprese e le PMI, ma anche e sopratutto per i consumatori.

 
  
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  Nuno Melo (PPE) , per iscritto.(PT) Il mercato unico è da sempre uno dei grandi obiettivi da raggiungere per l’Unione europea e, attualmente, il commercio elettronico transfrontaliero può dare un contributo molto importante all’ulteriore sviluppo del mercato unico. Effettuare acquisti online è ormai ampiamente accettato dai consumatori a livello nazionale, ma non si può dire lo stesso del commercio elettronico tra Stati membri, principalmente a causa della mancanza di fiducia reciproca tra venditore ed acquirente. Al fine di sviluppare il mercato del commercio elettronico, dunque, è cruciale aumentare la fiducia di tutti gli operatori coinvolti e bisogna attuare la normativa europea in materia in modo tale da creare un clima di maggiore fiducia. Per questo ho votato a favore della relazione in oggetto.

 
  
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  Claudio Morganti (EFD), per iscritto. − Ho espresso un voto positivo perché ritengo fondamentale a livello economico il mercato elettronico e il superamento delle barriere tuttora esistenti per lo sviluppo dello stesso. Infatti la libera circolazione delle merci in Europa è seriamente ostacolata dalla frammentazione degli ordinamenti dei vari Stati membri e per il 60% i tentativi dei clienti di acquistare articoli oltre i confini nazionali non vanno a buon fine.

L’obiettivo consiste nel realizzare un vero mercato unico online per l’Europa. Inoltre, grazie ad un emendamento del gruppo EFD (Lega Nord), la relazione contiene un riferimento alla difficoltà dell’accesso ad internet per chi risiede nelle aree insulari e di montagna.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. (DE) La relazione viene utilizzata per accelerare una più ampia armonizzazione delle leggi fiscali nonché delle fluttuazioni dei prezzi nel settore dei servizi postali e finanziari a livello europeo. Pertanto ho votato contro questo testo.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − La recente comunicazione della Commissione ha individuato le future strategie atte a ridurre la frammentazione e a stimolare la crescita del commercio elettronico.

Mentre, infatti, il commercio elettronico decolla a livello nazionale, l’entità degli acquisti transfrontalieri rimane modesta, raggiungendo solo il 7% nel 2009. Gli ostacoli principali sono rappresentati dalla lingua e dai problemi pratici e normativi.

Concordo con l’impianto della relazione che individua cinque priorità per cercare di incentivare il settore: migliorare l’accesso a Internet, contrastare la frammentazione del mercato on-line, aumentare la fiducia dei consumatori, incoraggiare gli imprenditori a commercializzare i prodotti su Internet e garantire la sicurezza dei minori che utilizzano la rete. È opportuno che tutto ciò avvenga in un contesto giuridico chiaro e uniforme, soprattutto al servizio del cittadino. L’incentivo fondamentale, infatti, credo sia costituito dalla fiducia dei cittadini che va sostenuta e migliorata.

 
  
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  Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. (EL) Internet è diventato il sistema di vendita a distanza più diffuso. Secondo le informazioni fornite dalla Commissione in risposta alla mia interrogazione (E 4964/2010), lo scorso anno oltre un terzo dei consumatori europei (37 per cento) ha utilizzato la rete per acquistare od ordinare beni e servizi per uso privato; questo dato indica un aumento del 5 per cento rispetto al 2008 e del 10 per cento rispetto al 2010. Ciononostante i consumatori continuano a non avere abbastanza fiducia negli acquisti transfrontalieri e i differenti ordinamenti nazionali scoraggiano le imprese dall’investire nel commercio elettronico oltre confine; da qui nasce l’enorme divario del tasso di penetrazione della vendita a distanza negli Stati membri. L’aumento di questa forma di commercio, tuttavia, è cruciale nell’attuale fase di recessione. Questa relazione ha l’obiettivo di affrontare la frammentazione del mercato interno in materia di commercio elettronico, avanzando proposte quali l’adozione di norme e pratiche omogenee che permettano ai venditori a distanza di commerciare oltre i propri confini nazionali. In un momento in cui le transazioni commerciali tradizionali sono stagnanti, le nuove tecnologie e le relative opportunità possono rivelarsi preziose per lo sviluppo di nuove e alternative iniziative commerciali. Per questo motivo ho votato a favore della relazione in oggetto.

 
  
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  Miguel Portas (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Mi sono astenuto dalla votazione sulla relazione in oggetto, sebbene ritenga importante la promozione del commercio elettronico e consideri necessario estendere buone reti Internet a tutta la popolazione, anche nelle regioni più isolate.

Concordo anche sulla necessità di lottare contro la discriminazione in base allo Stato di residenza o all’indirizzo e-mail utilizzato per la transazione nei confronti dei numerosi cittadini che desiderano effettuare acquisti online.

Condivido molti dei suggerimenti contenuti nella relazione, ma non deploro il fatto che la direttiva Servizi non sia stata ancora pienamente recepita in alcuni Stati membri, non sostengo la politica della Commissione per il settore dei servizi postali e non appoggio la strategia Europa 2020: queste scelte fondamentali sono in gran parte responsabili della difficile situazione sociale contro la quale l’Unione sta lottando.

I modelli futuri per il settore delle comunicazioni e anche del commercio elettronico saranno sicuramente migliori se verranno concepiti in un’ottica che pone al centro le persone e i loro diritti, anziché essere subordinati a meri interessi commerciali.

 
  
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  Robert Rochefort (ALDE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Echeverría sul commercio elettronico, che rappresenta uno dei settori con le maggiori ripercussioni in termini di crescita e occupazione per i decenni a venire. L’Unione europea deve sfruttarne al massimo le potenzialità.

Non dobbiamo dimenticare che il commercio elettronico facilita e promuove lo sviluppo di nuove nicchie di mercato per piccole e medie imprese che altrimenti non esisterebbero.

Concordo inoltre sul fatto che nello sviluppare le nostre politiche e i nostri quadri legislativi sul commercio elettronico abbiamo prestato particolare attenzione alle esigenze dei consumatori più vulnerabili, che altrimenti non avrebbero accesso alla vastissima scelta di beni di consumo. Penso a quanti sono più isolati o con ridotta mobilità, ai cittadini con basso reddito o che risiedono in regioni meno accessibili, remote o ultraperiferiche.

Infine, ho emendato il testo in sede di commissione per sottolineare la necessità di elaborare strumenti formativi per i consumatori della rete: dobbiamo migliorare le abilità digitali di quante più persone possibili e renderle più consapevoli dei loro diritti e doveri (principali diritti dei consumatori su Internet, commercio elettronico e soprattutto norme di protezione dei dati).

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – In questa importante relazione sul commercio elettronico si sottolinea l’importanza di migliorare la fiducia nei sistemi di pagamento transfrontalieri su Internet (carte di credito e di debito, portamonete elettronici, ecc.), promuovendo una serie di modalità di pagamento, migliorando l’interoperabilità e gli standard comuni, affrontando le barriere tecniche, sostenendo le tecnologie più sicure per le transazioni elettroniche, armonizzando e rafforzando le normative sulla privacy e sulla sicurezza, combattendo le attività fraudolente e informando ed educando i cittadini

 
  
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  Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − Sappiamo bene quanti e quali siano i disagi, specialmente nel nostro paese, per coloro che vivono e risiedono nei comuni montani o insulari. La realizzazione di un mercato interno del commercio elettronico semplificherebbe gli accessi alla rete e migliorerebbe la qualità nei paesi e nelle regioni dell’UE che non dispongono di buoni collegamenti.

È importante sviluppare iniziative volte a incentivare gli imprenditori a commercializzare prodotti attraverso internet, tutelando gli utenti, soprattutto i minori, con adeguate garanzie necessarie per la sicurezza. Non possiamo permettere a operatori disonesti di truffare i potenziali utenti, per questo occorrono controlli mirati e frequenti.

 
  
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  Rafał Trzaskowski (PPE), per iscritto.(PL) Auspico che questa relazione costituisca un chiaro segnale per la Commissione europea affinché compia ulteriori passi per migliorare il commercio online all’interno dell’Unione. Chiediamo l’armonizzazione e la semplificazione delle procedure amministrative che, allo stato attuale, ci impediscono di effettuare acquisti su pagine Internet estere, sebbene le offerte siano vantaggiose. Chiediamo inoltre che venga garantito l’accesso ad Internet a banda larga in tutta Europa entro il 2013. Questa proposta non è più fantasia da molto tempo: non solo si dimostra sempre più possibile, ma non è più necessario convincere nessuno dei benefici effetti che l’accesso universale a Internet avrebbe sul mercato interno.

 
  
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  Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), per iscritto. (FR) Non ho potuto convincermi a votare a favore di questa relazione, sebbene contenga un certo numero di elementi positivi, segnatamente la difesa degli interessi dei consumatori e il riconoscimento degli interessi delle PMI nel mercato del commercio elettronico.

Condanno principalmente quanti si congratulano con la Commissione per l’attuazione della terza direttiva postale, che ha come obiettivo la liberalizzazione dei servizi postali e che si tradurrà in un ulteriore danno al servizio postale nell’Unione, e non, come afferma la relazione, in prezzi inferiori e migliori servizi.

Non posso deplorare il fatto che alcuni Stati membri non abbiano ancora recepito la direttiva Servizi e invito la Commissione a elaborare rapidamente una relazione che evidenzi l’impatto climatico che avrebbe l’attuazione di questo testo.

Mi rammarico che il presente testo sia ampiamente improntato allo spirito di competizione, spirito che abbiamo contestato quando abbiamo respinto il trattato di Lisbona.

 
  
  

Relazione De Veyrac (A7-0195/2010)

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore di questa relazione poiché mira a migliorare la prevenzione degli incidenti aerei e l’assistenza fornita alle vittime e ai loro familiari. Appoggio incondizionatamente l’approccio adottato dalla relatrice, che invita a eseguire un’analisi degli incidenti a livello europeo, iniziativa del tutto inedita. La relazione, inoltre, avanza una serie di proposte tese a migliorare l’assistenza alle vittime e alle loro famiglie, come l’introduzione di un periodo massimo di due ore entro cui informare le famiglie dei nominativi delle persone che si trovano a bordo. La palla passa ora nelle mani dei ministri dei Trasporti che, spero, approveranno questa normativa il prima possibile.

 
  
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  Liam Aylward (ALDE), per iscritto. (GA) Ho votato a favore della presente relazione. Il traffico aereo è in costante aumento, così come è aumentato il rischio di incidenti, nonostante i miglioramenti apportati agli standard di sicurezza. La normativa europea in materia di inchieste sugli incidenti deve essere quindi modificata e aggiornata.

Accolgo con favore quanto affermato nella relazione sui diritti delle vittime e dei loro familiari. La famiglia di una vittima ha il diritto di ricevere le informazioni del caso il prima possibile. Le compagnie aeree devono disporre di un piano operativo efficace in caso di crisi. Un’importante misura pratica potrebbe essere l’obbligo per le compagnie aeree di designare un referente principale, incaricato di svolgere una funzione di contatto e di coordinamento, di comunicare le informazioni importanti e di fornire assistenza alle famiglie dei passeggeri.

Le misure pratiche invocate dalla relazione saranno di aiuto in caso di incidente. Mi riferisco, in particolare, a quanto proposto in merito all’assistenza alle vittime e alle loro famiglie e in merito ai gruppi chiamati ad agire per loro conto. È necessario garantire standard di sicurezza elevati nel settore dell’aviazione civile europea e dobbiamo impegnarci al massimo per ridurre il numero di incidenti.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Appoggio questa proposta. La direttiva europea che stabilisce i principi fondamentali in materia di inchieste su incidenti e inconvenienti nel settore dell'aviazione civile attualmente in vigore è stata adottata nel 1994. Il mercato dell’aviazione e il contesto generale hanno però subito un’evoluzione e dobbiamo quindi approvare una nuova normativa europea che si adatti alla situazione attuale. In primo luogo deve essere istituita una rete di autorità competenti per le inchieste sulla sicurezza, tra cui i governi nazionali e istituzioni europee, come l’Agenzia europea per la sicurezza aerea (AESA); le autorità competenti saranno responsabili di migliorare la qualità delle inchieste, nonché della classificazione e dell’analisi delle informazioni, di promuovere la cooperazione tra gli enti governativi nazionali e di contribuire al miglioramento della sicurezza nel settore dell’aviazione. Inoltre, i diritti dei passeggeri e dei loro familiari devono essere definiti con maggiore chiarezza.

Il regolamento mira a estendere l’obbligo a carico delle compagnie aeree di produrre un elenco di passeggeri il prima possibile ed entro due ore dall’incidente, che si applicherebbe non solo alle compagnie aeree che volano verso l’Unione europea, ma anche a tutte le compagnie che fanno scalo in Europa. Il regolamento mira a introdurre l’obbligo a carico delle compagnie aeree di richiedere ai passeggeri, al momento della prenotazione, una persona da contattare in caso di incidente. Dobbiamo creare le condizioni atte a consentire alle famiglie delle vittime di beneficiare di informazioni privilegiate sullo svolgimento delle inchieste sulla sicurezza.

 
  
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  George Becali (NI), per iscritto. (RO) Ho votato a favore di questa relazione poiché propone alcune soluzioni ai problemi causati di recente dagli incidenti aerei, non solo da un punto di vista tecnico, ma anche e soprattutto per quanto attiene alle garanzie da fornire ai familiari delle vittime. La relazione chiarisce inoltre il ruolo dell’AESA e delle autorità nazionali nell’ambito di un’inchiesta equa ed imparziale sulle cause degli incidenti.

 
  
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  Vito Bonsignore (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il traffico aereo è in costante aumento e nonostante i progressi in materia di sicurezza le cronache registrano ancora un inesorabile incremento degli incidenti aerei. È il momento che l’Unione Europea regoli in modo più preciso e puntuale anche questo settore.

Condivido perciò fermamente l’obiettivo della relatrice al fine di prevenire tristi incidenti aerei e di migliorare le inchieste sugli incidenti. La normativa in merito risale infatti al 1994, quando ancora non era stata istituita l’EASA, l’agenzia europea per la sicurezza aerea.

Il mio voto è stato dunque a favore di questo regolamento, che intende riconoscere un ruolo di primo piano all’EASA nell’ambito della sicurezza aerea e concordo in particolare sull’obiettivo di assicurare un accesso generalizzato alle informazioni sensibili.

 
  
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  Alain Cadec (PPE), per iscritto. (FR) Negli ultimi anni il traffico aereo ha subito un incremento esponenziale, ma, nonostante i grandi progressi tecnologici, il rischio di incidenti è comunque aumentato. È pertanto essenziale adattare la normativa europea in materia. Accolgo con favore le proposte avanzate dall’onorevole De Veyrac, che invita ad adattare la direttiva del 1994 sulla prevenzione degli incidenti alla situazione attuale del mercato dell’aviazione. Con la creazione di una rete di autorità competenti per le inchieste sulla sicurezza, sarà possibile ridurre le disparità esistenti tra gli Stati membri, in particolare grazie alla condivisione di risorse e allo scambio di buone prassi. Devono inoltre essere tutelati i diritti delle vittime e dei loro familiari. Appoggio la richiesta della relatrice di applicare l’obbligo a carico delle compagnie aeree di fornire un elenco di passeggeri entro un’ora dalla notifica del verificarsi di un incidente, obbligo che andrà applicato non solo alle compagnie aeree dell’Unione europea, ma anche a tutte le compagnie che operano in Europa. Infine, accolgo con favore la proposta della relatrice di considerare l’Agenzia europea per la sicurezza aerea alla stregua di “consulente” nel corso delle inchieste sulla sicurezza. È importante che il regolamento non affidi all’agenzia, al contempo, il ruolo di giudice e di giuria nel corso delle inchieste sulla sicurezza.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE) , per iscritto.(PT) È vitale garantire la sicurezza nel settore europeo dell’aviazione civile, nonché ridurre il numero di incidenti e inconvenienti tramite inchieste e misure di prevenzione. Ho votato a favore di questo regolamento dato che, a mio avviso, promuove un ambiente che incoraggia la segnalazione spontanea degli incidenti, chiedendo che le inchieste in materia di sicurezza nel settore europeo dell’aviazione siano efficienti, rapide e di alta qualità. Concordo sul fatto che le indagini debbano essere svolte da un’autorità nazionale o da altre autorità responsabili delle inchieste sulla sicurezza. Considero inoltre importante istituire una rete europea di autorità nell’intento di migliorare la qualità dei metodi d’inchiesta e della formazione degli investigatori. Un altro punto è a mio parere fondamentale, ovvero la definizione di opportuni standard per fornire tempestivamente le informazioni sulle persone e le merci pericolose a bordo al momento di un incidente. Inoltre, anche l’assistenza alle vittime e ai loro familiari deve essere migliorata.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) L’intensificazione del traffico aereo si è tradotta in un aumento dei rischi di incidenti. Nonostante i miglioramenti introdotti in materia di sicurezza, rimangono ancora delle lacune nell’attuale sistema di inchieste sugli incidenti. Il sistema di sicurezza in questo ambito si basa sul feedback e sugli insegnamenti tratti da incidenti e inconvenienti. È importante rafforzare il coordinamento tra le autorità responsabili delle inchieste sulla sicurezza, in particolare istituendo una rete europea, la quale deve individuare eventuali carenze nella sicurezza e le misure correttive da adottare, questa rete garantendo la totale indipendenza delle inchieste, nonché un livello elevato di efficienza, diligenza e qualità.

È necessario garantire un’azione preventiva efficace e un elevato livello di sicurezza nell’aviazione civile in Europa e dobbiamo impegnarci al massimo al fine di ridurre il numero di incidenti e inconvenienti, consolidando in questo modo la fiducia dei cittadini nel trasporto aereo. Oltre alle inchieste sulla sicurezza, è necessario prestare particolare attenzione all’assistenza alle vittime di incidenti aerei e ai loro familiari, che deve essere migliorata. A questo proposito, tutte le compagnie aeree europee devono disporre di un piano di crisi e di assistenza.

 
  
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  Corina Creţu (S&D), per iscritto. (RO) Rimaniamo regolarmente atterriti di fronte alla notizia di un nuovo incidente aereo. Spero che il nuovo regolamento in materia di inchieste e prevenzione di incidenti e inconvenienti nel settore dell’aviazione civile sappia garantire la sicurezza dei passeggeri in maniera più efficace rispetto alla direttiva 94/56/CE, che sostituisce. Ritengo che si debba prestare particolare attenzione soprattutto ai controlli, alla cooperazione e allo scambio di informazioni a fini preventivi. I risultati delle inchieste svolte sugli incidenti dovrebbero essere conservati in una sede centrale ed analizzati al fine di migliorare la sicurezza del trasporto aereo e gestire situazioni critiche in maniera più efficiente. A riguardo credo che i passeggeri europei debbano avere la possibilità di designare una persona di contatto in caso di incidente, come già accade negli Stati Uniti. Da ultimo, ma non per questo meno importante, ritengo sia necessario garantire un livello superiore di coordinamento e di supervisione dei soccorsi coinvolti negli interventi e nell’assistenza alle vittime e ai loro familiari.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Mi sono espressa a favore di questa relazione sulla proposta di regolamento in materia di inchieste e prevenzione di incidenti e inconvenienti nel settore dell’aviazione civile poiché introduce nuove regole che consentiranno di rafforzare le attività di prevenzione degli incidenti nonché di aumentare il grado di trasparenza e la rapidità delle inchieste.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Dato il costante e significativo aumento del numero di voli e di passeggeri nel settore dell’aviazione civile, benché accompagnato da un calo del numero di inconvenienti e incidenti aerei, la sicurezza deve continuare ad essere una delle nostre principali preoccupazioni, oggi come in futuro. La direttiva che disciplina le inchieste sugli incidenti aerei risale al 1994, ma la situazione è notevolmente cambiata da allora nel settore dell’aviazione civile; mi sembra dunque urgente procedere a una revisione di questo regolamento.

Concordo con la relatrice sulla necessità di un maggiore grado di coordinamento e di integrazione nelle inchieste sugli incidenti aerei. Dal momento che l’Unione europea è sempre più integrata e che le conseguenze di un incidente aereo non interessano un solo Stato membro, un così scarso contatto tra le autorità nazionali dell’aviazione non ha alcun senso.

In questo contesto, credo si possa assegnare un nuovo ruolo all’Agenzia europea per la sicurezza aerea.

In questo ambito risulta infine essenziale un’azione coordinata e integrata dell’Unione europea, in modo da garantire la sicurezza di tutti i passeggeri nello spazio aereo europeo.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE) , per iscritto.(PT) Oggi il trasporto aereo svolge indubbiamente un ruolo decisivo per la mobilità delle persone e la dinamica dell’economia globale. La sua importanza e il suo impatto continueranno sicuramente ad aumentare in una società definita sempre più dalla globalizzazione e dalla priorità di utilizzare in maniera redditizia il tempo e lo spazio. Nell’attuale clima di crisi globale e di forte pressione per il taglio dei costi e delle spese, è necessario dotarsi di un quadro normativo efficiente in materia di inchieste per tutelare gli interessi degli utenti. La sicurezza è l’ambito che preoccupa maggiormente gli utenti e ha un impatto considerevole sulla determinazione delle tariffe. Vorrei pertanto sottolineare il contribuito offerto da questa relazione alla qualità e all’indipendenza delle inchieste sugli incidenti e gli inconvenienti nel settore dell’aviazione civile. La relazione, infatti, è tesa ad armonizzare le capacità d’inchiesta degli Stati membri e, al contempo, a garantire che la normativa europea in questo ambito sia adeguata e aggiornata, in considerazione dei cambiamenti in atto nel settore e dell’avvento di nuovi attori, come l’Agenzia europea per la sicurezza aerea. Vorrei tuttavia sottolineare che si dovrebbe dare la priorità alla prevenzione degli incidenti ed è questo concetto che dovrebbe guidare le inchieste, intese come strumento per identificare problemi e individuare soluzioni.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Abbiamo votato a favore della relazione perché riconosciamo l’importanza delle inchieste e della prevenzione di incidenti e inconvenienti nel settore dell’aviazione civile.

Riteniamo positivo il ruolo attivo assegnato agli Stati membri attraverso le rispettive autorità investigative, che andranno a formare la rete europea delle autorità nazionali competenti per questo ambito. Questa rete dovrà perseguire specifici obiettivi: formulare suggerimenti alle autorità nazionali competenti, condividere informazioni sui metodi investigativi, coordinare e organizzare la formazione per gli investigatori dei singoli Stati membri, sviluppare metodologie investigative comuni per l’Unione europea, nonché sviluppare e gestire un quadro di condivisione delle risorse.

Terremo sotto controllo gli sviluppi futuri di questa rete, dato che le sue attività devono essere rigorosamente contenute entro i limiti dei predetti obiettivi ed entro l’ambito del sistema di partecipazione degli Stati membri definito dalla proposta, attraverso le autorità nazionali responsabili.

 
  
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  Nathalie Griesbeck (ALDE), per iscritto. (FR) Inchieste sulla sicurezza più indipendenti in caso di incidente aereo, una migliore assistenza per le famiglie delle vittime e una protezione ottimale dei dati e delle informazioni relative alla vita privata nel corso di un’inchiesta sono tutte misure che miglioreranno la sicurezza nel settore dell’aviazione civile, nonché elementi che mi hanno convinta a votare a favore di questa relazione. Ho votato con piacere a favore di questo testo, che chiede l’introduzione dell’obbligo a carico delle compagnie aeree di produrre l’elenco di passeggeri entro due ore dal verificarsi di un incidente, in modo tale da informare le famiglie delle vittime. È inoltre molto positiva l’istituzione di una rete europea delle autorità responsabili delle inchieste sulla sicurezza, che consentirà di formulare raccomandazioni sulla politica e sulle normative in materia di aviazione civile e, risultato ancora più importante, consentirà di condividere risorse e scambiare buone prassi. Si tratta di un testo importante e sono lieta sia stato compiuto questo fondamentale passo in avanti verso la garanzia di standard sempre più elevati per la sicurezza dei passeggeri.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Negli ultimi anni il volume del traffico aereo è aumentato costantemente; uno sviluppo che, ovviamente, comporta un aumento del rischio di incidente. Diventa quindi imprescindibile predisporre processi adeguati in grado di ridurre tale rischio e questa relazione si muove nella direzione giusta, ovvero verso il miglioramento del quadro legislativo. Ho pertanto votato a favore.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Concordo con la relazione, dato che il traffico aereo sta aumentando costantemente, di anno in anno, e l’obiettivo principale è ora rappresentato dalla sicurezza aerea e dei voli. Oggi è diventato fondamentale garantire la sicurezza dei voli per i passeggeri, tutelare questi ultimi e l’equipaggio di cabina e di terra, nonché garantire la sicurezza dell’aeromobile. In caso di disastri aerei, gli incidenti devono essere oggetto di un’inchiesta indipendente, tesa a rilevare eventuali carenze nella sicurezza e a consentire l’adozione di opportune misure correttive. Le disparità tra le capacità d’inchiesta degli Stati membri devono essere ridotte. La normativa attualmente in vigore in materia di inchieste sugli incidenti è una direttiva europea del 1994. Da allora il mercato dell’aviazione è cambiato e si è fatto più complesso; risulta quindi necessario introdurre una nuova normativa che si applichi a nuovi organi quali l’Agenzia europea per la sicurezza aerea (AESA). Il nuovo regolamento deve definire un quadro giuridico chiaro per il coinvolgimento dell’Agenzia nelle inchieste sulla sicurezza. Al contempo, l’istituzione di una rete di autorità nazionali competenti per le inchieste dovrebbe permettere di ridurre le disparità attuali relativamente alle capacità d’inchiesta degli Stati membri. La rete potrebbe anche aumentare la qualità delle inchieste e fornire un quadro giuridico per la cooperazione tra le autorità nazionali responsabili delle inchieste sulla sicurezza. È inoltre importante, nonché necessario, attuare a livello europeo ogni proposta avanzata nell’intento di innalzare il grado di sicurezza in volo o di migliorare le procedure investigative. Gli aspetti più importanti sono garantire la sicurezza aerea e fornire assistenza adeguata e tempestiva alle vittime degli incidenti aerei e ai loro familiari; in questo modo si garantirebbe un importante sostegno alle famiglie delle vittime che, già provate dal dolore per la perdita di un congiunto, sono spesso disorientate di fronte a una moltitudine di attori e di procedure.

 
  
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  Alan Kelly (S&D), per iscritto. (EN) Con l’introduzione dell’Agenzia europea per la sicurezza aerea (AESA), potremo contare su una maggiore strutturazione dei rapporti tra le autorità nazionali responsabili per le inchieste sulla sicurezza. Questo aiuterà le agenzie di tutta Europa a condividere risorse e risultati e, speriamo, a prevenire incidenti futuri.

 
  
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  Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho sostenuto la relazione della collega Christine de Veyrac perché considero il tema della sicurezza dell’aviazione civile in Europa uno dei punti più importanti dell'odierna agenda europea. L'obiettivo che ci poniamo di raggiungere con la nuova regolamentazione è ridurre al minimo il numero di incidenti aerei, migliorando gli standard di sicurezza, tutelando al meglio i cittadini, e tentando, al contempo, di consolidare la loro fiducia nel trasporto aereo.

Una parte importante del provvedimento, su cui ho il piacere di richiamare la vostra attenzione, è dedicata alla inchieste sugli incidenti aerei, che dovranno essere condotte senza pressione alcuna, in modo da garantire alle autorità procedenti la possibilità di decidere con la massima serenità di giudizio. Approvo, inoltre, la scelta di inserire una serie di disposizioni relative all’opportunità di una tempestiva messa a disposizione delle informazioni relative a tutte le persone (e merci pericolose) a bordo di un aeromobile coinvolto in un incidente, sia per ovvie ragioni di sicurezza, che per migliorare l'assistenza a tutte le vittime e ai loro famigliari. Il testo prevede, infine, anche la possibilità per i passeggeri di indicare una persona da contattare in caso di necessità.

 
  
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  Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. (RO)

Ho votato a favore di questa relazione perché ritengo che la sua versione finale rappresenti un ottimo compromesso. I diritti delle vittime e dei loro familiari di ricevere assistenza saranno garantiti dal fatto che ogni Stato membro dovrà stilare un piano nazionale di emergenza per gli incidenti aerei e dovrà fare in modo che ogni compagnia aerea registrata sul proprio territorio nazionale disponga di un piano di assistenza alle vittime degli incidenti aerei nel settore dell’aviazione civile. La nuova normativa garantirà che le inchieste sugli incidenti aerei vengano condotte senza alcuna forma di pressione da parte delle autorità di regolamentazione o di certificazione, degli operatori aerei o di altre autorità che possano avere un conflitto di interessi. Le dichiarazioni ottenute dall’autorità investigativa e le registrazioni audio o video effettuate all’interno della cabina di pilotaggio o delle unità di controllo del traffico aereo verranno utilizzate esclusivamente a fini investigativi, fatti salvi i casi in cui vi sia un interesse a divulgare le informazioni alle autorità giudiziarie. In tal modo i soggetti coinvolti potranno parlare con franchezza agli investigatori. Apprezzo gli sforzi profusi dalla relatrice in materia e spero che in futuro l’Unione europea firmi l’accordo sulla sicurezza nel settore dell’aviazione civile anche con i paesi che non fanno parte dell’UE.

 
  
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  Nuno Melo (PPE) , per iscritto.(PT) La normativa europea attualmente in vigore per la disciplina delle inchieste sugli incidenti aerei risale al 1994. Dati i considerevoli cambiamenti registrati nel settore negli ultimi anni, questa normativa non è in grado di rispondere alle esigenze di oggi poiché, nonostante i notevoli progressi conseguiti di recente nel settore della sicurezza aerea, il costante aumento del traffico aereo aumenta il rischio di incidenti aerei. È pertanto necessario potenziare gli investimenti non solo nella sicurezza, ma anche nella prevenzione ed esigere dalle compagnie aeree (in particolare dalle compagnie low cost) che la redditività non vada a scapito della sicurezza. Il sostegno alle vittime ed assistenza ai loro familiari deve inoltre diventare una priorità. Ecco spiegato il motivo del mio voto.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (LV) La relazione in oggetto propone un’iniziativa molto importante ed ho quindi votato a favore. Spero che, nello sviluppo del progetto, si tenga conto degli inconvenienti che non si sono trasformati in incidente o in disastro e mi riferisco a una situazione di natura straordinaria, in cui i passeggeri sono a rischio a causa di un fattore umano. Sono stato testimone di un inconveniente di questo tipo quando, nel gennaio 2010, un aeromobile Air Baltic, su cui mi ero imbarcato, ha tentato di decollare dall’aeroporto di Riga per ben tre volte; dopo il terzo tentativo l’aeromobile è stato deviato dalla pista per “ulteriori controlli”. Dobbiamo introdurre nel regolamento uno strumento che consenta ai passeggeri di presentare un reclamo in merito a un incidente quando le compagnie aeree tentano di nascondere i danni a un aeromobile o situazioni di natura straordinaria.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Oggi i cieli sono sempre più congestionati e di conseguenza gli inconvenienti e gli incidenti che interessano la sicurezza aerea sono sempre più frequenti. All’interno dell’Unione europea inconvenienti di questo tipo devono essere risolti in via definitiva e con rapidità.

Non dobbiamo però dimenticarci delle famiglie delle vittime che, in passato, sono state spesso lasciate sole con il proprio dolore. Ho votato a favore di questa relazione perché ritengo sia essenziale una cooperazione efficace tra tutti gli Stati membri per quanto riguarda la sicurezza aerea e la risoluzione degli inconvenienti.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. (DE) La creazione di una rete di uffici nazionali d’inchiesta è tesa a consentire, in futuro, la riduzione delle disparità relativamente alle capacità d’inchiesta dell’Unione europea. L’intento consiste nel riuscire, insieme, a migliorare la qualità delle inchieste e fornire un quadro giuridico per la cooperazione tra le autorità nazionali responsabili delle inchieste per potenziare la sicurezza nel settore dell’aviazione civile. Queste misure pianificate dovrebbero contribuire a migliorare la sicurezza aerea ed ho quindi votato a favore di questa relazione.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Ho votato a favore della relazione della collega in quanto ritengo la relazione un notevole passo avanti nel settore. La proposta di regolamento sulle inchieste e sulla prevenzione di incidenti nel settore dell'aviazione civile ha lo scopo di aumentare la trasparenza delle informazioni rese disponibili dagli enti che gestiscono l´aviazione civile nazionale. Rappresenta inoltre un indispensabile ammodernamento delle norme attualmente applicate, risalenti al 1994.

Degne di nota sono le misure che prevedono la creazione di un sistema di comunicazione efficiente tra le autorità nazionali, con lo scopo di favorire il coordinamento e una maggiore condivisione dei dati raccolti. L'accesso alle informazioni sensibili viene regolato allo scopo di consentire alle autorità competenti di poter contare sulla collaborazione di tutti i soggetti coinvolti negli incidenti.

 
  
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  Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. – Da diversi anni il traffico aereo è in costante aumento ma, a dispetto dei notevoli miglioramenti rilevati in materia di sicurezza, tale crescita non fa che aumentare il rischio di incidenti aerei. In una situazione del genere è indispensabile che gli incidenti siano oggetto di inchieste indipendenti, che possano determinare con certezza le carenze in termini di sicurezza e permettere l'adozione di misure correttive.

Attualmente la normativa europea in materia di inchieste sugli incidenti è costituita da una sola direttiva del 1994: da allora il traffico aereo si è evoluto, è divenuto più complesso e sono emersi nuovi attori, come l'Agenzia europea per la sicurezza aerea (EASA), i quali hanno evidenziato le discrepanze nelle capacità d’inchiesta degli Stati membri e hanno reso necessaria una nuova e più soddisfacente legislazione.

Per ridurre le disparità riguardanti le capacità di inchiesta dell'Unione europea, sarebbe opportuna la creazione di una rete di uffici nazionali di inchiesta che potrebbe anche aumentare la qualità delle inchieste stesse e fornire un quadro giuridico per la cooperazione tra autorità nazionali. A mio avviso, un'azione del genere potrebbe contribuire in modo efficace a migliorare la sicurezza aerea.

 
  
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  Robert Rochefort (ALDE), per iscritto. (FR) Ho appoggiato la relazione dell’onorevole De Veyrac, tesa a migliorare gli standard di sicurezza nel settore dell’aviazione civile. A questo proposito devono essere portate alla luce con precisione le cause di incidenti e inconvenienti e dobbiamo garantire la possibilità di condurre inchieste indipendenti. In altre parole, le inchieste devono essere condotte senza pressioni da parte delle autorità preposte alla regolamentazione o alla certificazione delle operazioni aeree e che potrebbero essere corresponsabili dell’accaduto. La creazione di una rete di autorità responsabili degli standard di sicurezza nel settore dell’aviazione civile in Europa consentirà, inoltre, di promuovere le buone prassi grazie allo scambio di informazioni. Le raccomandazioni formulate dalla rete miglioreranno la normativa europea in questo ambito. La relazione infine comprende una serie di disposizioni volte a migliorare il trattamento riservato ai familiari delle vittime in caso di incidente, come l’obbligo a carico delle compagnie aeree di produrre un elenco passeggeri completo entro due ore dal verificarsi dell’incidente e di garantire che tale elenco non venga reso pubblico fino a quando le famiglie non siano state informate e non abbiamo dato il proprio consenso. Si tratta di due importanti passi avanti e li accolgo con favore.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Il gruppo Verde/Alleanza libera europea ha presentato una serie di emendamenti in seno alla commissione per i trasporti e il turismo, quali una migliore definizione delle “relazioni preliminari”, una maggiore indipendenza delle inchieste anche da interessi di natura finanziaria, una maggiore disponibilità delle registrazioni dei dati di volo, una migliore informazione ai familiari delle vittime, una revisione di questo regolamento in un prossimo futuro che riguardi anche la divulgazione di informazioni sensibili in materia di sicurezza alle autorità giudiziarie e lo scambio di buone prassi tra gli Stati membri, e le autorità investigative. La maggior parte di questi emendamenti è stata approvata, sebbene il testo sia stato indebolito dai vari compromessi. Nel corso della votazione in plenaria, non sono stati apportati grandi cambiamenti e per questo manteniamo la nostra posizione positiva sia sulla risoluzione sia sulla proposta emendata.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. (PT) Dalla direttiva europea in materia di inchieste su incidenti nel settore dell’aviazione civile del 1994 il traffico aereo ha registrato un notevole incremento. Questo naturalmente ha comportato un incremento della probabilità di incidente, nonostante il settore della sicurezza abbia assistito a notevoli progressi. Questo sviluppo è stato accompagnato da una maggiore complessità tecnologica e dalla nascita di nuovi attori, come l’Agenzia europea per la sicurezza aerea.

Mi sembra essenziale che gli incidenti aerei siano oggetto di inchieste indipendenti e trasparenti, nell’intento di porre rimedio alle carenze in materia di sicurezza e di proteggere i passeggeri. La promozione di una rete europea di autorità nazionali responsabili delle inchieste potrebbe inoltre contribuire a ridurre le disparità nelle capacità d’inchiesta dei singoli Stati membri.

L’assistenza alle vittime e ai loro familiari deve essere una priorità per ogni paese ed è quindi essenziale garantire che tutte le compagnie aeree, in ogni paese, definiscano opportuni piani di assistenza. Sono soddisfatto del lavoro svolto dalla relatrice per la commissione per i trasporti e il turismo, nonché dell’accordo ottenuto con il Consiglio europeo alla fine di giugno. Per questi motivi ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della relazione perché è volta a rendere le inchieste sugli incidenti e gli inconvenienti nel settore dell’aviazione civile più indipendenti e trasparenti.

Sono lieta che questo testo sia stato approvato in quanto mira ad accelerare il processo d’inchiesta e migliorare le informazioni fornite alle famiglie delle vittime, garantendo al contempo il rispetto della vita privata grazie alle positive misure proposte. Questo testo consentirà di rispondere alle richieste dei familiari delle vittime, confrontati ad inchieste che spesso li lasciano impotenti.

La nuova normativa europea proposta consentirà di informare meglio le famiglie delle vittime di incidenti. Le disposizioni proposte miglioreranno la tutela della vita privata, poiché le informazioni dovranno essere comunicate ai familiari entro un arco di tempo di due ore e le compagnie aeree (comunitarie o meno) dovranno trasmettere l’elenco dei passeggeri a bordo dell’aeromobile.

Il testo adottato contribuirà inoltre a migliorare e accelerare le inchieste senza alcuna forma di pressione da parte delle autorità preposte alla regolamentazione e al controllo del settore dell’aviazione. Questo avverrà grazie alla disponibilità dei vari documenti di volo e della pubblicazione, ora obbligatoria, della relazione finale dell’inchiesta entro il termine massimo di 12 mesi dal verificarsi dell’incidente o dell’inconveniente.

 
  
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  Artur Zasada (PPE), per iscritto.(PL) Sono stato lieto di ascoltare l’esito della votazione odierna sulla relazione De Veyrac, che ho naturalmente appoggiato. L’attuale sistema in materia di inchieste sugli incidenti nel settore dell’aviazione civile risale a 16 anni fa e, dalla sua adozione, il traffico aereo nei cieli europei è aumentato in maniera significativa, così come il rischio di incidenti. Alle commissioni d’inchiesta sugli incidenti deve essere garantita la piena libertà dall’interferenza delle parti interessate e dalle pressioni delle scadenze, della politica, dei media e degli organi giudiziari. L’esame delle cause dell’incidente e delle misure volte a prevenire eventi simili in futuro deve rappresentare la priorità, e non la ricerca di qualcuno da incolpare.

Per garantire la sicurezza svolge un ruolo fondamentale l’analisi delle cause di incidenti che avrebbero potuto verificarsi. Diventa quindi fondamentale introdurre il più rapidamente possibile i sistemi di gestione della sicurezza e i programmi per la giusta cultura dell’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale, che prevedono un sistema di segnalazione volontaria e scevra da sanzioni di ogni irregolarità rilevata da parte di piloti, equipaggio di cabina, controllori di volo e personale di terra. Purtroppo, a causa del timore di sanzioni disciplinari o punitive, molti problemi e inconvenienti gravi non vengono divulgati.

 
  
  

Relazione Vidal-Quadras (A7-0112/2010)

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Ricordiamo tutti le crisi del gas del 2006, 2008 e 2009, che si sono tradotte in tagli alle forniture di gas per milioni di europei, vittime del fuoco incrociato tra Russia e Ucraina. Accolgo con favore il lavoro svolto dai membri di questo Parlamento in materia. Questa risoluzione prevede l’interconnessione delle reti e una più efficace gestione delle crisi. Dal mio punto di vista si tratta di un ottimo esempio dei risultati che si possono ottenere grazie alla solidarietà europea. Insieme, uno a fianco all’altro, siamo chiaramente molto più forti.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Il consumo di gas naturale è aumentato in maniera esponenziale in Europa nel corso degli ultimi dieci anni. Con una riduzione del volume dell’estrazione interna di gas e un aumento della domanda, aumenta anche la dipendenza dal gas importato. Nel mese di settembre 2009, quando ho preso la parola in seno alla commissione per l’industria, la ricerca e l’energia in occasione della presentazione di questo progetto di regolamento, ho sottolineato l’impossibilità di creare un mercato dell’energia sicuro e unito quando esistono ancora isole energetiche nell’Unione europea che dipendono completamente da un singolo fornitore esterno di gas e che non hanno accesso alle infrastrutture europee. La questione della sicurezza dell’approvvigionamento di gas continuerà ad avere peso in futuro ed ho quindi votato a favore della relazione, volta a migliorare la sicurezza dell’approvvigionamento di gas per i singoli Stati membri e per l’Unione europea nel suo insieme. È particolarmente importante che il documento precisi come alcuni Stati membri si stiano trasformando in “isole energetiche” a causa della mancanza di interconnessioni infrastrutturali con altri paesi dell’UE. Questa circostanza impedisce la nascita di un mercato interno del gas che funzioni in maniera efficiente. Questo documento segna il primo passo verso una vera e propria integrazione energetica europea, concentrandosi sulla costruzione di interconnessioni transfrontaliere, variando le fonti e le rotte di approvvigionamento energetico e attuando iniziative di efficienza energetica.

 
  
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  George Becali (NI), per iscritto. (RO) L’Unione europea ha bisogno di un mercato del gas sostenibile, di una diversificazione delle reti, di un mercato interno trasparente e solido e di un sistema affidabile per il monitoraggio degli approvvigionamenti da paesi terzi.

 
  
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  Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. (RO) La politica dell’Unione europea in materia di sicurezza energetica dovrebbe consentirci di anticipare situazioni di emergenza, come la crisi del gas del 2009, e non solo di reagirvi. La crescente dipendenza dell’Unione europea dalle risorse energetiche esterne, provenienti soprattutto da paesi politicamente instabili, che si comportano in maniera imprevedibile, potrebbe ripercuotersi sugli interessi economici degli Stati membri. A causa della vulnerabilità energetica dell’Unione europea, è necessario adottare una politica energetica globale che associ aspetti interni ed esterni. Tutte le misure atte a garantire il corretto funzionamento del mercato interno dell’energia devono essere integrate da iniziative proattive di diplomazia, tese a rafforzare la cooperazione fra i principali paesi produttori, di transito e consumatori.

Garantire un approvvigionamento costante di gas ai paesi dell’Unione europea, in particolare in situazioni di crisi, deve essere un obiettivo strategico comune. È imperativo redigere piani nazionali che contengano misure preventive e di emergenza e, coordinando questi piani a livello comunitario, se ne garantirebbe la reale efficacia. Sul medio periodo, il metodo più efficiente di tutela contro interruzioni impreviste delle forniture consiste nella gestione di un mercato interno vasto e competitivo, che possa contare su connessioni e infrastrutture ben sviluppate.

 
  
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  Alain Cadec (PPE), per iscritto. (FR) La sicurezza dell’approvvigionamento di gas dell’Unione europea è un fattore cruciale nello sviluppo di una strategia energetica europea. Nell’attuale contesto di dipendenza energetica, è importante convincere produttori, distributori, consumatori e autorità pubbliche a parlare con una sola voce e a fare in modo che l’Unione non risulti l’anello debole nella geopolitica dell’energia.

Da questo punto di vista, mi associo al relatore e accolgo con favore la proposta di regolamento volta a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di gas. Questo regolamento, insieme alla normativa in materia di mercato interno dell’energia, contribuirà a ridurre la vulnerabilità dell’Unione nei confronti delle interruzioni improvvise della fornitura di gas da parte di soggetti esterni e rafforzerà inoltre rafforzerà il ruolo di primo piano a livello mondiale delle società di fornitura di gas europee.

Il relatore sottolinea il ruolo essenziale svolto dalle aziende nella gestione delle crisi del gas e mi trova concorde nel richiedere un rafforzamento del loro ruolo nel quadro di un meccanismo di allarme rapido. Per quanto attiene alla dichiarazione di un’emergenza a livello dell’Unione, condivido la posizione del relatore secondo cui la soglia del 10 per cento proposta dalla Commissione non copre il possibile scenario di una crisi del 100 per cento nelle forniture di gas in alcune zone; dovrebbe invece essere possibile dichiarare un’emergenza a livello dell’Unione per una singola regione.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE) , per iscritto.(PT) Questo regolamento contribuisce a risolvere la crisi dell’approvvigionamento di gas in Europa. È fondamentale definire opportune regole tese a tutelare e migliorare la gestione delle forniture di gas in Europa. Al fine di migliorare la gestione delle situazioni di emergenza dell’Unione europea, ritengo sia necessario garantire una maggiore capacità di interconnessione tra gli Stati membri, nonché un miglior coordinamento delle azioni. Analogamente, concordo sull’importanza attribuita dal regolamento alla creazione di piani preventivi e di emergenza da parte degli Stati membri e della Commissione. La risposta alle situazioni di emergenza deve consentire una maggiore flessibilità, in modo tale da affrontare crisi diverse in termini di durata o intensità.

 
  
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  Corina Creţu (S&D), per iscritto. (RO) La questione dell’approvvigionamento europeo di gas rappresenta una priorità strategica, soprattutto in un periodo in cui la dipendenza dalle importazioni è aumentata in misura significativa. La crisi del gas tra la Russia e l’Ucraina e l’elevato grado di imprevedibilità che caratterizza il comportamento di questi partner dell’Europa orientale stanno spingendo l’Unione europea verso un’obbligata diversificazione delle fonti di approvvigionamento di gas e delle relative rotte di transito. Purtroppo, però, nonostante i numerosi dibattiti in materia, progetti chiave come Nabucco si sono arenati alla fase iniziale. Questo significa che la dipendenza e, di conseguenza, la vulnerabilità dell’Europa in questo ambito persistono. Spero che questo regolamento, che è molto più efficace della direttiva 2004/67/CE che sostituisce, conferisca nuovo vigore al progetto Nabucco e alle altre soluzioni alternative, oltre a garantire la capacità di rispondere in maniera tempestiva, coordinata ed efficiente alle eventuali interruzioni dell’approvvigionamento.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. (FR) Ridurre la dipendenza energetica dell’Unione europea deve essere la priorità numero uno della nostra politica energetica comune. Sappiamo tutti quali sono le azioni da intraprendere per conseguire questo obiettivo, che coincidono con gli impegni sottoscritti nella lotta contro il cambiamento climatico: risparmio energetico del 20 per cento (principalmente attraverso il potenziamento dell’efficienza energetica) e aumento della proporzione di fonti di energia rinnovabile al 20 per cento entro il 2020, diversificando, al contempo, le nostre risorse energetiche. L’Europa, inoltre, deve garantire la solidarietà nei confronti di ognuno dei propri membri nel settore energetico, migliorando la gestione delle scorte di gas e petrolio negli Stati membri, e deve stanziare finanziamenti per la costruzione di infrastrutture volte a trasportare energia verso i paesi confrontati a una carenza delle forniture. Abbiamo bisogno di una politica pubblica europea, finanziata congiuntamente dall’Unione europea e dagli Stati membri, se vogliamo cogliere la sfida energetica e ambientale e contribuire a generare crescita nei prossimi dieci anni.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione sulla proposta di regolamento concernente misure volte a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di gas poiché ritengo sia necessaria un’azione più coordinata a livello europeo per gestire meglio potenziali crisi future.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Attualmente il gas rappresenta oltre un terzo dell’approvvigionamento energetico dell’Unione europea e più della metà proviene da fornitori esterni all’UE. Nel 2020, oltre l’80 per cento del gas utilizzato sarà importato e, già oggi, alcuni Stati membri sono dipendenti al 100 per cento dalle importazioni di gas.

Questa circostanza solleva gravi questioni di sicurezza dell’approvvigionamento, come dimostrato dalla recente crisi. Si rendono chiaramente necessarie opportune misure a livello europeo per garantire un’infrastruttura sufficiente, in grado di prevenire e risolvere problemi inattesi di approvvigionamento di gas. È inoltre urgente soffermarsi sulle problematiche che stanno emergendo in materia di sicurezza dell’approvvigionamento di gas naturale in Europa e sui rischi associati al transito.

L’attuale proposta si fonda, a ragione, su tre questioni fondamentali, che giustificano il mio voto favorevole: (i) l’applicabilità diretta del nuovo regolamento europeo; (ii) l’istituzione di piani d’azione preventivi e di piani di emergenza in caso di interruzione improvvisa della fornitura; e (iii) il rafforzamento del ruolo della Commissione europea per coordinare le azioni di emergenza e dichiarare un’emergenza a livello regionale o dell’Unione, imponendo il principio di solidarietà tra gli Stati membri.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE) , per iscritto.(PT) Questo regolamento sulla sicurezza dell’approvvigionamento di gas che abroga la direttiva 2004/67/CE offre una risposta concreta a un problema reale cui l’Unione è confrontata. Questa situazione è risultata chiara durante la crisi del gas tra la Russia e l’Ucraina dell’inverno scorso, di cui milioni di europei e la nostra stessa economia hanno risentito gravemente. Le garanzie per l’approvvigionamento energetico, con particolare riferimento al gas, sono essenziali per la stabilità socioeconomica e il benessere. Considerando le crisi a cui abbiamo assistito in Europa, che di solito si verificano quando le persone hanno maggiormente bisogno di energia per far fronte a condizioni meteorologiche estreme, questo nuovo regolamento europeo garantisce una capacità di risposta coordinata a livello europeo, sia per quanto concerne le forniture ai consumatori sia per affrontare interruzioni dell’approvvigionamento esterno. L’attuazione di questo regolamento, pertanto, contribuirà a ridurre significativamente la vulnerabilità dell’Unione europea in caso di problemi di approvvigionamento esterno, ma rafforzerà anche il ruolo di primo piano delle società di fornitura di gas europee nel mondo, nonché la posizione geopolitica dell’Unione in quanto soggetto strategico a livello mondiale. Appoggio anche quanto disposto relativamente ai piani d’azione preventivi.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Riconosciamo le preoccupazioni espresse in merito alla sicurezza dell’approvvigionamento di gas, ambito nel quale gli Stati membri devono svolgere un ruolo attivo, in particolare attraverso le rispettive autorità competenti. Tuttavia riteniamo esagerata la questione sollevata in merito al gas russo. Se nutriamo gravi timori, la soluzione consiste nel negoziare e diversificare le fonti di approvvigionamento e produzione, senza sfruttare questo pretesto per approfondire l’integrazione europea e promuovere ulteriormente la concentrazione e la centralizzazione del potere decisionale, in particolare per quanto attiene ai progetti infrastrutturali che sostengono l’integrazione del mercato interno del gas.

Come ho sottolineato in sede di discussione, la questione più importante per il nostro futuro sarà l’attesa crisi petrolifera, in vista della quale l’Unione europea dovrebbe promuovere attivamente la sostituzione dei prodotti della raffinazione del petrolio nelle proprie flotte, optando per il gas naturale.

Non dobbiamo inoltre dimenticare che esiste un gas naturale non di origine fossile, ovvero il biometano, prodotto dai rifiuti. In effetti, molti paesi europei, come Svezia, Svizzera e credo anche Spagna, lo stanno già producendo. Si tratta di una soluzione che va incentivata in termini di investimenti dell'Unione europea.

 
  
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  Pat the Cope Gallagher (ALDE), per iscritto. (GA) Le questioni fondamentali sollevate da questa relazione sono la trasparenza regionale, la solidarietà e la cooperazione. È necessario garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di gas per lo sviluppo economico e la stabilità politica dell’Europa.

 
  
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  Adam Gierek (S&D), per iscritto.(PL) La sicurezza dell’approvvigionamento di gas dipende dalla diversificazione delle rotte e delle fonti di approvvigionamento se vogliamo evitare il monopolio di paesi terzi, sfruttare i meccanismi di mercato ed eliminare le conseguenze delle interruzioni nelle rotte di approvvigionamento. È necessario operare una netta distinzione tra i diversi utenti di gas: utenti domestici, centrali elettriche alimentate a gas e industrie. Nel regolamento è stato posto l’accento sulla possibilità di un rapido cambiamento di combustibile da parte dei grandi consumatori, ma dobbiamo ricordare che le turbine a gas non si prestano all’uso di altri combustibili. Un altro problema è rappresentato dalla mancata chiarezza in merito al rapporto tra solidarietà e principi di mercato.

È necessario definire rapidamente i principi per la determinazione dei prezzi del gas in caso di forniture di emergenza. L’Unione europea non dispone di ingenti quantità di gas proprio, ma si sta movendo in questa direzione, mentre il carbone, di cui l’Unione europea è ricca, presto non verrà più utilizzato (neppure in situazioni di emergenza) poiché la Commissione europea crede nell’improbabile ipotesi di un’azione antropogenica del carbone sul clima. La Russia non nutre preoccupazioni a riguardo e, contando su un’ampia domanda esterna, sta adattando il proprio sistema energetico al carbone e all’energia nucleare. Ho appoggiato questo regolamento, ma dobbiamo capire che risolve solo in minima parte il problema della sicurezza energetica.

Le dannose disposizioni del pacchetto clima-energia comporteranno inevitabilmente, per il mio paese, la Polonia, la perdita di quella sicurezza energetica su cui può contare oggi. Presto la Polonia dovrà fare i conti con una carenza pari addirittura al 10 per cento del proprio fabbisogno energetico.

 
  
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  Małgorzata Handzlik (PPE), per iscritto.(PL) Il regolamento sulla sicurezza dell’approvvigionamento di gas rappresenta un passo importante verso l’attuazione pratica del principio di solidarietà tra gli Stati membri per quanto attiene alla politica sulla sicurezza della fornitura di gas. La nostra regione, in particolare, che dipende in ampia misura da un singolo fornitore, trarrà vantaggio dalle misure concordate nell’ambito del regolamento. La questione è di fondamentale importanza anche per il corretto funzionamento del mercato interno. Il regolamento contribuirà ad evitare e risolvere le crisi di approvvigionamento di gas, garantendo di conseguenza il corretto funzionamento e l’ulteriore sviluppo del mercato interno. La Polonia potrà così godere dei vantaggi di una politica comune in materia di gas.

Grazie alle disposizioni del regolamento, il mio paese potrà contare sul sostegno dell’Unione nelle situazioni di emergenza e, elemento ancora più importante, potrà partecipare alla politica europea in materia grazie a misure come i piani preventivi e di emergenza che verranno sviluppati nei singoli Stati membri. Di particolare importanza sono le disposizioni sull’obbligo di dichiarare un’emergenza a livello dell’Unione (se due Stati membri dichiarano un’emergenza) e l’inserimento del criterio del rischio geopolitico nella valutazione globale del rischio in materia di sicurezza dell’approvvigionamento di gas.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questa relazione perché è attualmente di fondamentale importanza garantire un approvvigionamento diversificato e ininterrotto di gas nonché tutelare i consumatori. Milioni di cittadini europei e l’economia stessa dell’Unione europea hanno risentito gravemente della crisi del gas scoppiata tra Russia ed Ucraina. La sicurezza energetica rappresenta una delle priorità dell’Unione europea e per poterla garantire è necessario adottare una posizione univoca sulla politica europea e sull’azione coordinata. Dobbiamo quindi sviluppare una cooperazione a livello regionale e transfrontaliero e adottare le decisioni in un’ottica flessibile. Infine, la politica energetica, che in precedenza si basava esclusivamente sugli interessi nazionali, si sta ora orientando verso un’ottica europea. La comunità energetica deve fondarsi sulla competitività, sulla sostenibilità e, in particolare, sulla sicurezza dell’approvvigionamento. Questo regolamento ridurrà significativamente la vulnerabilità dell’Unione europea in caso di problemi di approvvigionamento esterno, ma rafforzerà anche il ruolo di primo piano delle società di fornitura di gas europee nel mondo, nonché la posizione geopolitica dell’Unione. Di contro, la Lituania deve impegnarsi nel diversificare le fonti energetiche: le discussioni sulla costruzione di una nuova centrale nucleare devono avere basi solide e non devono rimanere solo vacue parole, dato che questa indecisione si ripercuoterà anche sui ponti energetici verso l’Occidente e sulla costruzione di terminal per il gas naturale liquefatto. Maggiori saranno le alternative individuate in termini di approvvigionamento energetico, più sicura sarà la Lituania. Non dobbiamo lesinare sforzi se vogliamo evitare, in futuro, di essere meri consumatori di energia russa, ma diventare partner commerciali in grado di fornire canali per la fornitura di energia da est a ovest.

 
  
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  Alan Kelly (S&D), per iscritto. (EN) Dato che, al mondo, vi è solo un quantitativo limitato di gas naturale, è indispensabile garantirne l’approvvigionamento a quanti ne hanno bisogno. Con questa decisione, può essere dichiarato un piano d’emergenza dell’Unione per una determinata regione particolarmente colpita dalla mancanza di fornitura. In tal modo si verrà in aiuto di quanti si trovano improvvisamente confrontati a un problema di approvvigionamento energetico e sono consumatori vulnerabili di energia.

 
  
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  Giovanni La Via (PPE), per iscritto. – Ho espresso il mio sostegno alla proposta di regolamento del collega Vidal-Quadras perché ritengo utile lo sforzo fatto al fine di estendere il coordinamento degli Stati membri per la definizione delle misure volte a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti di gas.

Negli ultimi dieci anni il consumo di gas ha subito un rapido aumento in Europa e, a fronte di una produzione interna in calo e di un conseguente aumento delle importazioni, si è posta l'esigenza di affrontare i problemi legati a tale settore in maniera coordinata. La Commissione europea ha ritenuto necessario, di fronte al nuovo contesto, andare oltre le previsioni della direttiva 2004/67/CE, attualmente in vigore, al fine di ottenere una maggiore armonizzazione delle norme nazionali.

Condivido l’idea di base del regolamento, che intende consentire alle imprese ed ai clienti di avere un sicuro approvvigionamento di gas, anche in caso di interruzione delle forniture, puntando su un incentivo degli investimenti anche nel campo infrastrutturale.

A mio avviso è fondamentale disporre di infrastrutture del gas adeguate e diversificate, sopratutto in relazione alle regioni isolate da fonti di approvvigionamento energetico Vorrei, infine, sottolineare, l’obbligo di predisporre piani di emergenza nazionali e individuare meccanismi di solidarietà da attivare in caso di emergenze a livello comunitario.

 
  
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  Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. (RO) In un mondo dominato dalle fluttuazioni del prezzo del petrolio e dalle interruzioni delle forniture di gas naturale, nell’Unione europea si nutrono sempre più timori nei confronti della mancanza di sicurezza energetica. Siamo sempre più consapevoli della nostra estrema vulnerabilità di fronte a questi sviluppi e dobbiamo di conseguenza intraprendere passi concreti per dotarci di una politica energetica efficace.

Ho votato a favore della relazione perché ritengo che la sicurezza energetica debba essere considerata un elemento chiave della sicurezza dell’Unione europea nel suo insieme e che garantire un approvvigionamento costante di gas sia un obiettivo strategico dell’Unione. Dobbiamo definire misure preventive e di emergenza nell’ambito di piani nazionali, senza dimenticare, al contempo, la necessità di coordinare questi piani a livello europeo.

Appoggio inoltre la proposta di regolamento sulla sicurezza dell’approvvigionamento di gas che abroga la direttiva 2004/67/CE. L’immediata piena attuazione del regolamento, congiuntamente alla normativa sul mercato interno, ridurrà significativamente la vulnerabilità dell’Unione europea a livello globale.

 
  
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  Marisa Matias (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La sicurezza dell’approvvigionamento di gas nell’Unione europea deve garantire a tutti gli europei l’accesso all’energia per il soddisfacimento dei bisogni primari, come cucinare e riscaldarsi, l’accesso ai servizi pubblici essenziali, quali ospedali e scuole, nonché la conservazione dei posti di lavoro.

Queste devono essere le priorità e sono necessarie politiche pubbliche per la loro attuazione. La sicurezza pubblica non deve essere lasciata in balia del mercato o delle lotte per il controllo delle fonti di approvvigionamento. Da questo punto di vista la prevenzione è essenziale, come lo è del resto la solidarietà tra gli Stati membri in caso di crisi energetica o di catastrofe.

La sicurezza energetica è la dimostrazione dell’importanza del decentramento, della varietà e della prossimità dei processi di generazione, nonché dell’integrazione delle reti nazionali. La microgenerazione viene pertanto considerata la miglior garanzia della sicurezza dell’approvvigionamento energetico per i bisogni delle persone.

 
  
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  Mario Mauro (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione del collega Vidal Quadras che presenta il nuovo regolamento europeo sulla sicurezza dell'approvvigionamento energetico di gas è uno strumento di sicura efficacia per evitare il rischio sempre più forte di un blocco delle forniture di gas in caso di crisi.

Un meccanismo che permetterebbe un'elevata protezione delle famiglie senza distorcere in alcun modo il mercato, nelle cui mani rimane la gestione delle forniture. La relazione, merita il voto favorevole anche per la puntualità con la quale vengono affrontati alcuni punti chiave fino ad oggi poco chiari. Mi riferisco alle misure preventive e alla reazione alle emergenze. I fornitori che in tempo di crisi speculano sulle debolezze del nostro sistema troveranno d’ora in avanti un ostacolo molto difficile da aggirare.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) Questo testo trasforma il gas naturale in una merce come le altre. Ma non è così. Il gas naturale è un combustibile fossile ed è una fonte energetica, quindi un bene umano comune. Per questi due motivi, deve essere utilizzato con la parsimonia necessaria a proteggere il nostro ecosistema e nel rispetto dell’interesse generale dei cittadini europei e dell’umanità.

Esporre il gas naturale alla logica concorrenziale e speculativa del mercato interno del gas e tentare di moltiplicarne i punti di entrata e di uscita è follia pura e andrà solo a vantaggio degli azionisti del gas. Tuttavia, tentare di imporre l’applicazione di questa logica anche in caso di interruzione della fornitura significa prendere in giro gli europei. È giunto il momento di istituire un polo pubblico per l’energia a vantaggio dei cittadini europei.

 
  
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  Nuno Melo (PPE) , per iscritto.(PT) Il gas è una risorsa naturale sempre più importante in tutta l’Unione europea. Eventi passati hanno dimostrato l’importanza di garantire l’approvvigionamento di gas, dato che l’UE dipende in misura sempre maggiore dal gas proveniente dall’Europa dell’est e in particolare dalla Russia. Dobbiamo adottare misure concrete per creare il mercato interno del gas e garantire una corretta concorrenza all’interno dello stesso, in modo tale che l’Unione europea possa raggiungere i massimi livelli di sicurezza degli approvvigionamenti in tutti gli Stati membri. A tal fine, dobbiamo adottare un efficace approccio comune alla sicurezza dell’approvvigionamento di gas, che deve fondarsi sulle regole della trasparenza e della solidarietà, nonché su politiche compatibili con il funzionamento del mercato interno. Ecco quindi motivato il mio voto.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (LV) Ho votato a favore di questa risoluzione perché l’Unione europea non deve dipendere dall’umore del momento dei leader dei paesi di transito, come Ucraina e Bielorussia. Sono convinto che, con questo voto, stiamo mandando un segnale chiaro a quanti vogliono trarre ulteriori vantaggi dagli idrocarburi in transito tramite speculazioni e ricatti. Vorrei inoltre che, nell’ambito di questo regolamento, venisse esaminata la questione di un prezzo del petrolio comune per tutti gli Stati membri dell’UE. Oggi la Germania paga il gas a un prezzo di tre volte inferiore rispetto alla Lettonia.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. (DE) È importante che l’Unione europea consegua un certo grado di indipendenza per quanto concerne gli approvvigionamenti di gas da paesi terzi e quindi, laddove pertinente, è bene accetta una cooperazione all’interno dell’Unione in materia. D’altra parte, però, le competenze fondamentali relative alla politica energetica dovrebbero rimanere nell’orbita nazionale. La relazione per alcuni aspetti si spinge dunque troppo in là e per questo mi sono astenuto dal voto.

 
  
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  Justas Vincas Paleckis (S&D), per iscritto. (LT) Mi sono espresso a favore di questa relazione perché condivido l’opinione secondo cui l’Unione europea dovrebbe imparare dalla storia recente ed essere pronta qualora si ripeta una crisi dell’approvvigionamento di gas. Come possiamo vedere, le misure nazionali da sole non saranno sufficienti per gestire le interruzioni delle forniture.

Gli Stati membri dell’Unione europea devono preparare e coordinare opportuni piani di gestione delle crisi sia a livello regionale che europeo. Nel frattempo, però, alcuni paesi dell’Unione risultano dipendenti da un solo fornitore di gas; in caso di crisi, la situazione sarebbe particolarmente pericolosa per queste regioni, che non sono collegate alla rete di gas transeuropea. Sono queste “isole energetiche”, in particolare, ad aver bisogno del sostegno finanziario dell’Unione europea per collegare le proprie reti al sistema unico europeo.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Sostengo con convinzione la relazione del collega Vidal-Quadras. L'approvvigionamento di gas e quindi di energia rappresenta un tassello fondamentale per l'Unione europea, per il suo sviluppo, il suo benessere.

Pertanto, è fondamentale avere un approccio e una strategia europea. La sfida è troppo alta e non si può lasciare alle singole logiche nazionali gestire la questione. Sono favorevole a una strategia energetica comune per poter creare un sistema energetico chiaro e sostenibile capace di rafforzare la possibilità di approvvigionamento.

L'approccio comune, però, non deve significare unico interlocutore per l'approvvigionamento, abbiamo visto come la questione energetica giochi nello scacchiere della geopolitica e sia capace di influenzare i rapporti tra gli Stati. Per evitare, quindi, crisi ed emergenze ritengo opportuno interloquire e sfruttare tutti i canali di approvvigionamento che provengono dall'est, dal Caucaso o dall'altra sponda del mediterraneo. Si scongiurerebbe, così, una nuova vulnerabilità energetica per l'UE e sarebbe ribadito il ruolo geostrategico a livello mondiale

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto. (RO) Tra tutti i tipi di combustibili fossili disponibili, il gas è quello con minori emissioni di CO2, assumendo quindi un ruolo chiave nel processo di transizione dell’Europa verso un sistema di energia a basse emissioni di carbonio. Attualmente, un quarto dell’energia primaria consumata in Europa è costituito da gas e quasi il 60 per cento del volume di gas consumato proviene dalle importazioni. Sebbene gli obiettivi di Europa 2020 per le fonti di energia rinnovabile, l’efficienza energetica e la riduzione delle emissioni di gas serra possano contribuire a stabilizzare l’aumento della domanda di gas, a causa della diminuzione della produzione interna la dipendenza dell’UE dalle importazioni di gas potrebbe rimanere allo stesso livello se non addirittura aumentare. La crisi del gas tra Russia e Ucraina del gennaio 2009, che ha comportato una riduzione del 30 per cento delle importazioni di gas in Europa per due settimane, ha messo in luce (a fronte della situazione attuale, caratterizzata da un aumento del grado di dipendenza dalle importazioni di gas e dei rischi associati all’approvvigionamento e al transito) la necessità di rivedere la direttiva vigente sulla sicurezza dell’approvvigionamento di gas e di portare a termine la creazione di un mercato interno dell’energia completamente deregolamentato. È pertanto urgente adottare misure in grado di rafforzare la sicurezza dell’approvvigionamento di gas nell’Unione europea.

 
  
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  Robert Rochefort (ALDE), per iscritto. (FR) Ricordiamo tutti l’interruzione delle forniture di gas dalla Russia all’Ucraina durante l’inverno 2008/2009, che ha lasciato 17 Stati membri senza approvvigionamenti di gas e, quindi, molti cittadini senza riscaldamento proprio quando le temperature esterne erano a livelli minimi. Dobbiamo fare tutto quanto in nostro potere per evitare che questa situazione si ripeta. Ho votato a favore della relazione presentata dal mio collega, l’onorevole Vidal-Quadras, sulla proposta di regolamento concernente misure volte a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di gas in Europa. Accolgo con favore l’introduzione, nella nuova normativa, di una garanzia degli approvvigionamenti da parte delle società di fornitura del gas per i “clienti protetti” (case e servizi essenziali, come gli ospedali) per 30 giorni in caso di crisi. Questo è un passo avanti concreto. Inoltre la possibilità per la Commissione europea di dichiarare un’emergenza dell’Unione o un’emergenza regionale agevolerà l’attuazione di misure rapide e coordinate per risolvere eventuali crisi future il più rapidamente possibile.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) La normativa approvata oggi è un passo positivo, per quanto tardivo, per affrontare le interruzioni cicliche dei nostri approvvigionamenti di gas. Il testo finale va molto oltre quanto originariamente previsto e in particolare attribuisce alla Commissione la responsabilità di coordinamento a livello dell’Unione in caso di emergenze. Il testo, inoltre, prende in considerazione anche le esigenze dei singoli consumatori, garantendo una riserva minima di gas di 30 giorni per tutte le famiglie europee in caso di interruzioni delle forniture e prevede che tutti gli interconnettori di gas dispongano di una capacità di flusso invertito, che garantirà una maggiore flessibilità nella reazione alle crisi. Purtroppo, però, l’Unione europea non dispone di una strategia coerente sul ruolo del gas nella politica energetica europea.

Il gas, ovviamente, occuperà un ruolo importante nella transizione dell’UE verso un’economia fondata sulle fonti di energia rinnovabile e l’Unione europea deve adottare un approccio più strategico in materia. Il paesaggio degli approvvigionamenti di gas sta mutando, sia a causa di nuove fonti di approvvigionamento e di nuove risorse (come il gas di scisto) sia di nuove misure che si ripercuotono sulla domanda, come la normativa europea sul rendimento energetico degli edifici. Il gruppo Verde/Alleanza libera europea ritiene che la Commissione debba fare tesoro di questi sviluppi e condurre un’opportuna analisi dell’approvvigionamento di gas e del ruolo del gas in vista del vertice europeo sull’energia che si terrà nel prossimo mese di febbraio.

 
  
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  Oreste Rossi (EFD), per iscritto. – Siamo favorevoli alla relazione relativa all'approvvigionamento di gas in quanto mira a ridurre la vulnerabilità dell'Unione Europea assicurando, anche in situazioni difficili, la fornitura di gas agli utenti domestici, alle piccole e medie imprese e ai fornitori dei servizi sociali essenziali.

Il testo, inoltre, pone l'accento sul tema della trasparenza in quanto solo con informazioni adeguate si possono adottare decisioni valide e infine si sottolinea lo spirito di solidarietà necessario affinché in presenza di una crisi tutti gli Stati membri possano avere accesso ad una quantità sufficiente di gas per i propri clienti. In questo senso è orientata anche la posizione del Presidente Buzek che si è fatto promotore dell'incontro tra i 27 parlamenti nazionali dell'Unione e il Parlamento europeo sulla creazione di una comunità europea per l'energia.

 
  
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  Derek Vaughan (S&D), per iscritto. (EN) Negli ultimi anni abbiamo assistito a una serie di interruzioni dell’approvvigionamento di gas in tutta l’Unione europea dovute a controversie tra fornitori e paesi di transito, tra cui la controversia sul gas che ha visto coinvolte Russia ed Ucraina nel gennaio del 2009. Queste interruzioni dimostrano quanto sia urgente, per l’Unione europea, diversificare i propri approvvigionamenti di gas. Accolgo con particolare favore l’invito formulato nella relazione di eseguire una valutazione dei vantaggi degli impianti di gas naturale liquefatto. In Galles, abbiamo una struttura all’avanguardia (a South Hook, Milford Haven) che potrebbe fornire un contribuito notevole all’azione per ridurre, in parte, la dipendenza dell’Unione dalle importazioni di gas, che spesso proviene da parti del mondo che non sono né stabili né democratiche.

 
  
  

Relazione Sógor (A7-0231/2010)

 
  
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  Roberta Angelilli (PPE), per iscritto. − Siamo tutti al corrente della recente catastrofe ambientale che ha colpito il Pakistan, gli ingenti danni al territorio, la perdita dei raccolti, gli oltre dieci milioni di sfollati e le migliaia di morti. Il nostro impegno è quello di aiutare questo paese e sviluppare iniziative di solidarietà e coordinamento, per agevolare una rapida ripresa.

Ma non dobbiamo perdere di vista l'esigenza di rendere lo spazio europeo un luogo sicuro, purtroppo compromesso da anni di continui flussi di immigrazione clandestina e traffico illegale. L'accordo sulle procedure di riammissione, raggiunto dopo otto anni di negoziati tra la Commissione europea e il Pakistan, delinea un quadro più chiaro di cooperazione, di corresponsabilità ed è visto come un mezzo inibitorio nei confronti della tratta e del traffico illegale di esseri umani. Tale accordo eviterebbe quelle situazioni di rimpatrio senza la supervisione dell'UE.

Gli Stati membri innanzitutto dovranno ottemperare agli obblighi risultanti dal diritto internazionale, quale quello di "non respingimento" che avrà perciò implicazioni procedurali dal momento che gli Stati saranno tenuti ad effettuare una valutazione del rischio di maltrattamenti nel Paese di origine.

Inoltre, garantiremo al Pakistan la nostra collaborazione duratura e incentiveremo programmi di assistenza tecnica e nell'ambito dello sviluppo economico e sociale e di lotta alla disoccupazione e all'esclusione sociale.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. – La conclusione di un accordo con il Pakistan è un passo positivo che l’Europa deve compiere nella direzione di una politica di deciso contrasto dell’immigrazione clandestina. I cittadini oggi ci chiedono maggiore sicurezza e una politica di rigoroso controllo sui flussi migratori che investono i nostri paesi. Ogni testo che, come questo, faciliti le procedure per il rimpatrio di chi non ha legalmente titolo a rimanere sul territorio comunitario è da accogliere positivamente, come risposta che l’Europa dà collettivamente alle richieste dei nostri cittadini.

Per quanto attiene i rilievi che alcuni colleghi pongono circa le condizioni di vita che i rimpatriati in Pakistan potrebbero riscontrare, ritengo si tratti di argomenti che, pur importanti, non devono ostacolare la conclusione di un accordo che comunque prevede un impegno da parte dell’UE affinché il Pakistan dia in futuro le necessarie minime garanzie in tema di diritti umani e di trattamento dei rifugiati. In questo senso l’Europa dovrà dirigere i suoi sforzi diplomatici e politici, non per questo rinunciando a fare in casa propria quello che la gente chiede: sicurezza e rispetto della legalità. Il mio voto alla relazione è pertanto positivo.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. (FR) Il Parlamento europeo ha approvato un accordo di riammissione fra l’Unione europea e il Pakistan, che faciliterà il rimpatrio di un consistente numero di pakistani in soggiorno irregolare in Europa. Nonostante vi sia la necessità di accordi con paesi terzi volti a definire le procedure di rimpatrio per coloro che risiedono irregolarmente in Europa, il Pakistan rappresenta un caso particolare poiché non ha ancora ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati. L’accordo di riammissione, inoltre, concerne anche le persone che hanno transitato attraverso il Pakistan, molte delle quali sono di nazionalità afghana, che sarà ora più facile rinviare nel paese martoriato dalla guerra dal quale sono fuggiti e ritengo che questo sia inaccettabile. Inoltre, le inondazioni della scorsa estate hanno trascinato il Pakistan in una delle peggiori crisi mai verificatesi nella sua storia. L’attuale situazione del paese, che si trova già a fronteggiare con notevoli difficoltà l’afflusso di sfollati, rende impossibile un rimpatrio sicuro. La definizione di una politica di immigrazione umana e razionale costituisce una delle principali sfide per la società e deve essere effettuata nel debito rispetto delle norme. Non potrò dunque esprimermi a favore di questo accordo di riammissione fino al momento in cui il Pakistan avrà ratificato la Convenzione di Ginevra.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) È risaputo che il Pakistan è il paese di provenienza di un elevato numero di immigrati illegali ed è dunque opportuno definire dei canali di contatto con le sue autorità rapidi ed efficaci.

Comprendo le riserve della sinistra di questa Camera nei confronti dell’accordo, ma ritengo si stia confondendo l’immigrazione clandestina con il diritto di asilo e i buoni propositi personali con una politica pubblica efficace.

Concordo con il carattere della risoluzione poiché l’accordo tra l’Unione e il Pakistan non riguarda soltanto ciò che si definisce “riammissione”, ma contiene anche un accordo bilaterale per l’estradizione o, se vogliamo, l’espulsione di immigrati illegali dai loro rispettivi territori.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE) , per iscritto.(PT) L’accordo vuole migliorare la cooperazione tra i governi degli Stati membri e il Pakistan al fine di snellire le procedure per la riammissione. L’accordo, infatti, contiene una serie di obblighi, stabiliti in maniera pienamente reciproca, per la riammissione dei propri cittadini e, a determinate condizioni, di cittadini di paesi terzi o degli apolidi; contiene altresì le disposizioni tecniche necessarie per disciplinare la procedura di riammissione. Il Pakistan è un importante paese di origine o di transito di emigranti che non soddisfano, o hanno cessato di soddisfare le condizioni in vigore per l’accesso, la presenza o il soggiorno nel territorio di uno Stato membro dell’UE. Nonostante ci siano voluti dieci anni di negoziati, accolgo di buon grado l’adozione di questo accordo, migliore dei precedenti accordi ad hoc in materia e che comporterà degli effetti positivi non solo per le relazioni tra l’UE e il Pakistan ma anche per l’intera regione.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Le giustificazioni del nostro voto a sfavore della firma dell’accordo sulla riammissione delle persone in soggiorno irregolare risiedono, in primo luogo, nell’incertezza di diritto che questo crea, ma soprattutto nella nostra disapprovazione alla politica d’immigrazione definita dall’Unione europea.

La complessità giuridica dell’accordo non garantisce il rispetto dei diritti degli immigrati; li tratta invece come criminali, atteggiamento condannato da diverse organizzazioni. L’accordo obbliga inoltre il Pakistan a ricevere i propri cittadini che si trovano in una situazione di illegalità e cerca di attribuirgli responsabilità di accettare tutti gli afghani che hanno transitato attraverso il paese.

In secondo luogo, questo accordo rappresenta l’ennesimo chiaro esempio dell’ipocrisia alla base delle decisioni dell’Unione, che intende cancellare la propria responsabilità nel peggioramento della situazione sia del popolo afghano dopo l’invasione degli Stati Uniti e nel corso della perdurante guerra di occupazione della NATO, sia della popolazione pakistana nella guerra che ora è stata estesa al paese.

Per l’Unione europea le persone che fuggono da situazioni di conflitto, carestia e miseria in cerca di condizioni di vita decorose per loro stessi e per le loro famiglie, sono immigrati illegali o addirittura terroristi. Per l’Unione europea, gli immigrati che fuggono dai crimini della NATO, attirati da associazioni a delinquere e sfruttati come manodopera a basso costo in condizioni prossime alla schiavitù, sono immigrati illegali e devono essere espulsi. Non è possibile accettare una simile posizione.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto.(FR) Ho votato contro l’accordo di riammissione tra Unione europea e Pakistan. Si tratta del dodicesimo accordo di questo tipo, ma è il primo su cui il Parlamento europeo è chiamato ad esprimersi. Nonostante le numerose richieste avanzate alla Commissione europea, non ci sono state fornite valutazioni o relazioni in merito agli accordi precedenti, che ci avrebbero permesso di avere un’idea chiara delle condizioni che hanno portato all’attuazione di tali accordi. Nel caso specifico del Pakistan, dove la situazione politica è estremamente fragile, questo accordo solleva numerose obbiezioni. Il Pakistan, di certo non rinomato per il coscienzioso rispetto dei diritti umani, non fa parte di convenzioni internazionali in materia di rifugiati o apolidi; questa, invece, avrebbe dovuto essere una condizione indispensabile per i negoziati. L’accordo inoltre presenta numerosi punti oscuri in quanto non garantisce che i minori siano esclusi dal suo ambito e le procedure e le scadenze sono definite in modo poco chiaro. Con l’approvazione dell’accordo, il Parlamento crea uno spiacevole precedente e ha perso un’occasione per presentarsi come un’istituzione sensibile al rispetto dei diritti umani e che richiede una maggiore trasparenza in simili accordi.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Ho votato contro questa raccomandazione perché, nonostante il Pakistan riceva più rifugiati di qualsiasi altro paese nel mondo, non è uno dei paesi firmatari della Convenzione di Ginevra sui rifugiati. L’Unione europea non deve essere coinvolta in procedure di espulsione che non tengano minimamente conto dei diritti fondamentali degli individui. È nostro dovere assicurarci che tali diritti siano invece garantiti.

 
  
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  Marisa Matias (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Mi sono espressa contro questa relazione perché l’accordo di riammissione fra Unione europea e Pakistan consentirà di rimpatriare persone in un paese che non ha ancora firmato la Convenzione di Ginevra del 1951, che non rispetta i diritti umani e la cui situazione interna non offre adeguate condizioni di sicurezza.

Inoltre, se l’Unione europea rinvierà in Pakistan cittadini di altri paesi, quali l’Afghanistan ad esempio, giunti nell’Unione transitando per il Pakistan, non rispetterà il diritto di asilo, esponendo così questi individui a una serie di atti di espulsione da un paese all’altro senza averne controllo. In aggiunta, l’accordo di riammissione non contiene garanzie né meccanismi di monitoraggio; è invece pieno di lacune e ambiguità e non garantisce adeguata protezione dei dati personali.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) Questo Parlamento ha condannato a più riprese il Pakistan per le sue politiche discriminatorie e le persecuzioni messe in atto, nello specifico contro i rifugiati afghani. Inoltre, le tremende inondazioni verificatesi circa un mese fa hanno lasciato milioni di pakistani senza un tetto.

Questo accordo denigra l’intera dimensione della realtà umana. Non solo è in netto contrasto con l’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, come tutti gli accordi di questo tipo, ma addirittura contraddice i principi della protezione dei rifugiati. Votare a favore di questo testo significherebbe negare il diritto internazionale e la dimensione umana. Per queste motivazioni ho votato contro la relazione.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) La lotta all’immigrazione clandestina ha da sempre rappresentato una priorità per l’Unione europea. L’accordo con il Pakistan appena adottato è il risultato di molti anni di negoziati e ritengo sia un testo equilibrato, il cui unico obiettivo è di estradare le persone presenti illegalmente sul territorio dell’Unione. Non riguarda, dunque, quanti richiedono asilo o hanno intenzione di stabilirsi nell’Unione europea e che, a tal fine, si rivolgono alle autorità nazionali per regolarizzare la propria situazione; non dobbiamo confondere gli immigrati clandestini con chi intende invece risiedere legalmente all’interno del territorio dell’Unione. È di fondamentale importanza, quindi, continuare ad esercitare pressioni sul Pakistan affinché ratifichi la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici del 1966 e la Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti delle Nazioni Unite.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) La lotta all’immigrazione clandestina dovrebbe rappresentare una preoccupazione implicita per ogni Stato, piuttosto che una forma di pressione. Gli accordi di riammissione sono fondamentali per assicurare che le procedure di trasferimento siano chiare nel caso in cui una richiesta di asilo fosse respinta. L’esperienza dimostra infatti che, in assenza di tali accordi, le controversie che ne scaturiscono possono durare anni e gli immigrati illegali possono sfruttare questo ritardo per latitare e poi scomparire. È necessario lottare contro l’abuso del sistema di asilo e contro i falsi richiedenti asilo in tutto il territorio dell’Unione; bisogna inoltre conferire maggiori poteri all’agenzia per la sicurezza delle frontiere Frontex. Chi emigra per motivi economici deve essere rimpatriato nel proprio paese d’origine e questo comporta la necessità di definire e mettere in pratica un coerente programma europeo per il rimpatrio. Sono a favore dell’accordo con il Pakistan in quanto rappresenta un ulteriore passo verso il contenimento dell’incontrollabile flusso di migranti per motivi economici spinti dall’illusione di trovare il paradiso.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. (DE) Gli accordi di riammissione con i paesi terzi costituiscono uno strumento cruciale per la lotta all’immigrazione clandestina nell’Unione europea e aiutano a garantirne la sicurezza. Il Pakistan è un importante paese di origine o di transito di emigranti che non soddisfano, o hanno cessato di soddisfare, le condizioni in vigore per l’accesso, la presenza o il soggiorno nell’UE. L’accordo si prefigge di rafforzare la cooperazione tra le amministrazioni degli Stati richiedenti e richiesti per rendere più rapido ed efficace il processo di riammissione. Ho votato quindi a favore della relazione.

 
  
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  Miguel Portas (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Ho espresso voto contrario a questa relazione perché l’accordo di riammissione tra l’Unione europea e il Pakistan consentirà il rimpatrio in un paese che non ha ancora firmato la Convenzione di Ginevra del 1951, che non rispetta i diritti umani e la cui situazione interna non permette un rimpatrio in condizioni di sicurezza. Inoltre, se l’Unione europea rinvierà in Pakistan cittadini di altri paesi, come ad esempio l’Afghanistan, giunti nell’Unione transitando per il Pakistan, non rispetterà il diritto di asilo, esponendo queste persone a una serie di atti di espulsione da un paese all’altro senza averne controllo. Inoltre, l’accordo di riammissione non contiene garanzie o meccanismi di monitoraggio; è invece pieno di lacune e ambiguità e non garantisce adeguata protezione dei dati personali.

Le inondazioni che hanno di recente colpito il Pakistan costituiscono un ulteriore motivo di preoccupazione in merito al destino delle persone rimpatriate. Solo due settimane fa il Parlamento europeo ha manifestato la propria apprensione per la situazione umanitaria in Pakistan in seguito a questo disastro. L’ipocrisia della destra di questa Camera si paleserà se questo inaccettabile accordo di riammissione verrà adottato, ma non contribuirò con il mio voto.

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. (FR) Come gli altri 385 miei onorevoli colleghi, ho votato a favore dell’accordo tra l’Unione europea e il Pakistan sulla riammissione delle persone in soggiorno irregolare.

Dopo otto anni di negoziati tra la Commissione e il Pakistan, questo strumento integra gli altri undici accordi di riammissione che hanno notevolmente migliorato le politiche comunitarie di asilo e di immigrazione che l’Europa intende creare. È un quadro normativo basato sul diritto internazionale e, in particolare, sul principio di non respingimento: nessun rifugiato verrà respinto verso territori uno Stato “in cui la sua libertà sarebbe minacciata a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”.

Agli oppositori dell’accordo vorrei rispondere che questo testo ha quantomeno il merito di essere coerente ed efficace a livello comunitario. Nulla vieta infatti agli Stati membri di concludere accordi bilaterali. La nostra politica di migrazione è di ampio respiro e comprende la lotta contro l’immigrazione clandestina, che deve essere scoraggiata ogni qualvolta sia possibile.

Questo è il modo migliore per tutelare gli aspiranti emigranti che desiderano raggiungere “l’eldorado europeo” e che molto spesso sono vittima di contrabbandieri senza scrupoli, trafficanti di ogni sorta e sfruttamento economico.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (FR) Il voto a favore di questo accordo mi rammarica notevolmente. Il Pakistan già accoglie il più elevato numero di rifugiati al mondo e non ha nemmeno firmato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Con questo accordo gli Stati membri prendono di mira principalmente i cittadini afghani: rimpatriare le vittime di una guerra alla quale prendono parte gli Stati membri stessi è la massima espressione del cinismo e della vergogna.

Inoltre, la Commissione e, alla stessa stregua, le autorità pakistane non si sono dimostrate disponibili a spiegare la fattibilità e l’impatto di tale accordo su di noi: nessuno ha un’idea chiara a riguardo. Ritengo non sia una decisione responsabile che gli onorevoli colleghi accantonino le nostre nuove prerogative garantite dal trattato di Lisbona e accettino ciecamente le scadenti garanzie fornite dalla Commissione europea in merito ad un accordo che potenzialmente viola i diritti umani.

 
  
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  Oreste Rossi (EFD), per iscritto. – Siamo favorevoli alla relazione relativa alla conclusione dell'accordo fra UE e Pakistan sulla riammissione delle persone in soggiorno irregolare. Questo accordo contribuisce a rafforzare la lotta all'immigrazione clandestina verso l'UE facilitando il processo di espulsione dei cittadini pakistani irregolari e la loro riammissione nei paesi d'origine. Bisognerebbe riuscire ad estendere lo stesso tipo di accordo anche con gli altri paesi da cui abitualmente provengano i clandestini.

Spesso nei centri di permanenza temporanea si perde tempo per riuscire, una volta individuata la cittadinanza dell'irregolare, a ottenere il permesso al rimpatrio dal paese di origine superando così i tempi massimi del fermo. Con accordi come quello che approviamo oggi si riducono i tempi di attesa e quindi diventa più facile e meno costoso gestire il rimpatrio degli immigrati irregolari.

 
  
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  Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), per iscritto. (FR) Per la prima volta dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona il Parlamento europeo è chiamato a votare su un accordo di riammissione. Simili accordi sono l’emblema delle politiche di migrazione che creano una fortezza europea e allontanano le persone spinte dalla povertà e dai conflitti a cercare rifugio nel nostro territorio.

Il Parlamento ha ora a disposizione gli strumenti adatti per spingere il Consiglio e la Commissione a tradurre le loro parole in fatti.

L’accordo sul quale siamo stati chiamati ad esprimerci presenta numerosi punti deboli e non prevede alcuna garanzia in merito alla situazione delle persone che saranno rimpatriate in Pakistan. Conosciamo fin troppo bene il modo in cui sono rispettati i diritti umani nel paese, che non ha nemmeno firmato la Convenzione di Ginevra del 1951.

Il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica richiede una valutazione degli accordi di riammissione già esistenti, in modo da mettere in luce gli effetti devastanti di queste politiche irrispettose delle persone che non hanno avuto la fortuna di essere nati nel territorio europeo.

Con questa votazione il Parlamento europeo non migliora la sua posizione e perde la possibilità di far sentire la propria voce in merito alle modalità di tradurre nella pratica tutte le discussioni sui diritti umani.

 
  
  

Relazione Kazak (A7-0238/2010)

 
  
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  William (The Earl of) Dartmouth (EFD), per iscritto. (EN) L’emendamento consente ai cittadini europei e ai loro rappresentanti al Parlamento europeo di esprimere il proprio malcontento e la propria opposizione all’adesione della Turchia e alla concomitante unione politica. Desideriamo che questo non vada a discapito del sostegno del libero scambio con la Turchia, senza barriere tariffarie, e quindi gran parte della relazione è rimasta invariata. Molte scelte sono delicate poiché gli accordi di libero scambio consentono la presenza di barriere tariffarie- Le unioni doganali eliminano queste barriere a livello interno, ma ne permettono l’esistenza e la creazione nelle relazioni con l’esterno. Inoltre, le unioni doganali, ovviamente, limitano e ostacolano la libertà degli Stati membri di portare avanti negoziati commerciali. Nonostante queste riserve circa il concetto delle unioni doganali, per quanto riguarda la situazione della Turchia, abbiamo accettato la relativa parte della relazione poiché permette a quanti sono contrari alla completa adesione della Turchia all’Unione di esprimere il proprio voto. È opportuno notare che, eventualmente, solo 38 deputati su 736 sarebbero contrari all’entrata della Turchia nell’Unione politica.

 
  
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  Roberta Angelilli (PPE), per iscritto. – La Turchia sta compiendo molti passi verso un'evoluzione più aperta e democratica del paese, non solo in termini economici e commerciali, ma anche dal punto di vista del rispetto dei principi dello Stato di diritto.

La Turchia rappresenta per l'UE un partner chiave nelle relazioni economiche e commerciali, figurando oggi al settimo posto tra i maggiori mercati di importazione dell'Unione e al quinto posto tra i mercati di esportazione. Nonostante l'unicità della sua posizione geopolitica e il suo ruolo nel commercio mondiale, la Turchia persiste ancora nel mantenere delle barriere tecniche agli scambi e al ricorrere in modo eccessivo alle misure di salvaguardia.

Molto c'è ancora da fare per contrastare la contraffazione, rendere gli appalti pubblici più trasparenti e aperti alle imprese estere e permettere la libera circolazione delle merci. Altrettanti sforzi dovranno invece esser fatti nel campo dei diritti umani. Infatti, persiste ancora una politica discriminatoria verso la minoranza kurda, la violazione dei diritti delle donne e dei diritti sindacali. Pertanto, il rispetto dell'universalità e l'indivisibilità dei diritti umani e delle libertà fondamentali, sono principi essenziali prioritari e sui quali c'è ancora molto da fare.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Sin dal 1996 la Turchia è parte di un’unione doganale con l’UE che ha permesso a entrambe di sviluppare relazioni economiche e commerciali. La Turchia è infatti il settimo partner commerciale dell’Unione che, a sua volta, è il principale partner commerciale della Turchia. È necessario rafforzare il commercio, che deve tuttavia continuare ad essere redditizio per entrambe le parti. Ho perciò votato a favore degli emendamenti presentati dal mio gruppo, il gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) che richiedono maggiore reciprocità. La Turchia deve porre fine all’utilizzo di strumenti antidumping per fini protezionistici, rivalutare le barriere tecniche al commercio e migliorare l’applicazione dei diritti di proprietà industriale.

 
  
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  George Becali (NI), per iscritto. (RO) Ho votato a favore di questa relazione perché la Turchia è diventata il settimo partner commerciale dell’Unione che è, a sua volta, il suo principale partner commerciale. La Turchia funge da collegamento tra le regioni del Mediterraneo, del Medio Oriente, dell’Asia, del Mar Nero e del Caucaso ed è parte di un accordo doganale di associazione risalente al 1963.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. – L'argomento in questione è evidentemente commerciale ed economico, ma dopotutto non possiamo ignorare che si tratta di un paese in attesa di aderire all’UE e il cui ingresso è oggetto di obiezioni.

Ciò che mi convince a votare contro questa relazione, nonostante possa cogliere gli aspetti positivi dell’approfondimento delle relazioni commerciali con un paese in forte crescita, è tuttavia l'aspetto politico. Il miglioramento dei rapporti economici con un paese non può, come temo in questo caso, diventare il cavallo di Troia per spingere a favore dell'adesione di uno Stato all’UE.

Sospetto che dietro al plauso con cui questo Parlamento saluta il recente referendum costituzionale in Turchia equivalga ad un incoraggiamento politico nei confronti di Ankara. Penso invece che dovremmo seriamente limitarci a stringere rapporti commerciali con la Turchia, pur con la dovuta attenzione alle ricadute sul nostro sistema agricolo e al pericolo che l’Europa sia investita da un'ondata di prodotti contraffatti (materia in cui la Turchia è seconda solo alla Cina).

Ma la Turchia oggi più che mai è un pericolo per l'identità e la solidità politica dell’Europa, e dovremmo tutti convincerci che è di gran lunga preferibile che questo paese continui a restare, com’è naturale, fuori dai confini dell'Europa.

 
  
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  Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. (RO) Le statistiche dimostrano che l’Unione europea è il principale partner commerciale della Turchia. Tuttavia, il volume degli scambi nel corso degli ultimi anni ha subito un calo a favore dei paesi in via di sviluppo. Alla luce di questi dati e degli stabili legami già esistenti tra Turchia e Unione europea, è opportuno prestare attenzione alle relazioni commerciali ed economiche tra le due parti.

Sulla base di quanto fin qui esposto, è necessario intraprendere adeguate misure per sviluppare ulteriormente queste relazioni. L’unione doganale stabilita tra Turchia e Unione quattordici anni fa e non ancora completata, deve essere più efficace e a questo fine è necessario prestare immediatamente attenzione alle questioni non ancora risolte. Turchia e Unione europea devono al contempo allineare le proprie politiche commerciali, soprattutto nell’ambito degli accordi di libero scambio e degli scambi regionali. Queste azioni possono creare una situazione favorevole che va a vantaggio di entrambe le economie. È cruciale che l’Unione presti maggiore attenzione alla Turchia, il cui ruolo ha acquisito sempre maggiore importanza negli ultimi anni, soprattutto grazie all’unicità della sua posizione geopolitica che permette a questo paese di fungere da collegamento tra le regioni del Mediterraneo, del Medio Oriente, dell’Asia, del Mar Nero e del Caucaso.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto. – La Turchia è un partner strategico per l'Unione Europea. È subito al di là dei nostri confini sudorientali, fa parte della stessa alleanza difensiva della maggior parte dei paesi UE, e ci permette l'accesso a risorse energetiche e materie prime, al di là del pur rilevante interscambio commerciale diretto con i nostri paesi. Il recente referendum costituzionale è, inoltre, un passo avanti verso l'adozione del corpo legislativo comunitario, e merita adeguato riconoscimento.

Questa relazione ha l'enorme pregio di focalizzarsi sull'aspetto più importante per l'Unione e ne evidenzia le criticità insieme agli elementi positivi. In particolare, mostra come la relazione con questo paese si giochi su molti livelli, la cui complessità fatica a essere riassunta in un mero giudizio di ammissibilità o meno all'interno di queste istituzioni.

L'insieme di queste considerazioni è la base su cui costruire il percorso di avvicinamento all'Europa, nonché la motivazione per ritenere la Turchia già molto più vicina di quanto i trattati non diano a vedere. Trovo opportuno seguire la direzione indicata dal relatore, a beneficio di ambo le parti.

 
  
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  Robert Dušek (S&D), per iscritto.(CS) Il testo sulle relazioni commerciali con la Turchia indica i maggiori successi e i principali punti critici negli scambi commerciali tra Unione europea e Turchia, che è parte di un accordo di associazione sin dal 1963. Questo accordo ha portato, nel 1996, all’istituzione di un’unione doganale che ha contribuito a creare una maggiore integrazione di mercato, rendendo la Turchia un partner commerciale di fondamentale importanza per l’Unione europea. Nel 2009, ad esempio, la Turchia ha esportato prodotti per un valore di 33,6 miliardi di euro verso l’UE e ha importato dall’Unione prodotti per un valore di 40,4 miliardi di euro. Nonostante questi successi, un ampliamento dell’unione per includere i servizi e gli appalti pubblici e l’eliminazione di alcuni problemi attuali, come le carenze da parte della Turchia nell’applicazione dei diritti di proprietà intellettuale, contribuirebbero a sviluppare ulteriormente le relazioni commerciali e finanziarie tra l’Unione e la Turchia.

Secondo quanto indicato dalla relazione, la candidatura della Turchia per l’adesione all’Unione europea impedisce di portare avanti riforme complete dell’unione doganale. È dunque necessario prendere in considerazione quali delle summenzionate opzioni per l’integrazione e la cooperazione possano rivelarsi più vantaggiose per entrambe le parti in un periodo di crisi economica. Ritengo che il relatore abbia trattato tutte le questioni prioritarie e che la relazione in generale non sia unilaterale; ho quindi votato a favore.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore del testo sulle relazioni economiche e commerciali con la Turchia. La completa attuazione dell’unione doganale tra questi due partner, in vigore dal 1996, sta completando il processo di eliminazione degli ostacoli burocratici e delle barriere tariffarie e non tariffarie. Ritengo che sia in egual misura importante che la Turchia ponga al centro delle sue politiche economiche e sociali l’occupazione femminile, visto lo scarso livello di partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

 
  
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  Nigel Farage (EFD), per iscritto. (EN) L’emendamento consente ai cittadini europei e ai loro rappresentanti al Parlamento europeo di esprimere il proprio malcontento e la propria opposizione all’adesione della Turchia e alla concomitante unione politica. Desideriamo che questo non vada a discapito del sostegno del libero scambio con la Turchia, senza barriere tariffarie, e quindi gran parte della relazione è rimasta invariata. Molte scelte sono delicate poiché gli accordi di libero scambio consentono la presenza di barriere tariffarie. Le unioni doganali eliminano queste barriere a livello interno, ma ne permettono l’esistenza e la creazione nelle relazioni con l’esterno. Inoltre, le unioni doganali, ovviamente, limitano e ostacolano la libertà degli Stati membri di portare avanti negoziati commerciali. Nonostante queste riserve circa le unioni doganali, per quanto riguarda la situazione della Turchia, queste ultime continuano ad essere in vigore per permettere a quanti si oppongono all’entrata della Turchia di esprimersi in tal senso.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) L’Unione europea e la Turchia sono da molti anni partner commerciali di notevole importanza e questo partenariato, che comporta vantaggi reciproci, ha dovuto fronteggiare numerosi ostacoli da parte turca, che ha cercato di limitare l’accesso dei prodotti europei nel mercato nazionale attraverso l’imposizione di obblighi amministrativi e burocratici.

Spero che queste barriere siano state eliminate, che la Turchia prenda azioni determinate nella lotta contro la contraffazione dei prodotti europei e nella tutela dei diritti dei legittimi creatori a ricevere i ricavi dei loro processi creativi. Mi auguro che le relazioni economiche e commerciali tra Unione europea e Turchia possano svilupparsi ulteriormente e rafforzarsi.

Come ho già avuto modo di affermare, mi auguro che, a prescindere dalle evoluzioni future delle relazioni tra l’Unione europea e la Turchia, entrambe le parti convergano e continuino a seguire la strada del dialogo e della cooperazione efficace e che la Turchia prosegua il percorso che ha già intrapreso verso la libertà e la democrazia, secondo i canoni occidentali.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Nel 1963, la Turchia e la CEE siglarono un accordo di associazione che prevedeva la creazione di un’unione doganale (UD) nel 1996. Questo accordo ha permesso di ampliare le relazioni economiche attraverso l’unione doganale, che si applica a tutti i prodotti industriali e a quelli agricoli trasformati. Nel 2009 il valore delle esportazioni turche verso l’Unione ha raggiunto la cifra di 33,6 miliardi di euro, mentre le importazioni dall’UE hanno raggiunto i 40,4 miliardi di euro. Secondo le statistiche della Banca mondiale, la Turchia è divenuta la diciassettesima potenza economica mondiale e la sesta economia in Europa, ed è il ventesimo beneficiario mondiale di investimenti diretti esteri. L’unione doganale creata nel 1996 non si applica ai prodotti agricoli e ad altre aree come gli appalti pubblici, per i quali la Turchia riconosce agli offerenti turchi un vantaggio di prezzo del 15 per cento. Esorto quindi la Turchia a semplificare le procedure burocratiche, a rimuovere le rimanenti barriere tariffarie e non tariffarie e a eliminare gli inutili ostacoli che si interpongono agli scambi commerciali con l’Unione.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Questo testo cerca di rafforzare una relazione economica e commerciale con la Turchia con l’intenzione di soggiogare il paese agli interessi dell’Unione europea. I riferimenti a riguardo sono evidenti e numerosi: l’eliminazione delle rimanenti barriere tariffarie e non tariffarie tra UE e Turchia, il mantenimento del regime di libero scambio e degli investimenti, il rafforzamento dell’abilità del paese di resistere alla tentazione del protezionismo a livello interno e l’estensione dell’applicazione dell’unione doganale ai prodotti agricoli, ai servizi e agli appalti pubblici.

Lo sviluppo di queste relazioni economiche e commerciali va al solo vantaggio dei grandi monopoli dell’Unione e della Turchia, ma è invece dannoso per i lavoratori, che perderebbero i propri diritti in nome di un aumento della competitività, e per le piccole e medie imprese e gli agricoltori, che si troveranno a fronteggiare aumenti nei costi di produzione, minori entrate e prezzi più bassi per i loro prodotti.

La pressione esercitata sulla Turchia affinché rispetti gli accordi definiti rappresenta comunque un elemento positivo e comprende anche la normalizzazione delle relazioni con gli Stati membri dell’Unione europea, inclusa Cipro. Le relazioni economiche e commerciali non devono avere priorità rispetto agli interessi dei cittadini e ogni ulteriore passo in avanti nelle relazioni con la Turchia dovrà essere condizionato al termine dell’occupazione da parte del paese dei territori settentrionali di Cipro.

 
  
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  Lorenzo Fontana (EFD), per iscritto. – La relazione in questione presenta un'imprecisione a mio modo di vedere vistosa, nel momento in cui attribuisce all'economia turca di essere la sesta in Europa. Ebbene, tale asserzione è categoricamente smentita dalla geografia, essendo la quasi totalità del territorio turco situata sul continente asiatico.

Inoltre, l'emendamento con il quale il Parlamento si compiace per l'esito del recente referendum in Turchia inficia la neutralità della relazione, che assume una connotazione maggiormente politica ed esorbita dall'esclusiva valutazione di carattere economico. Per le ragioni esposte, ritengo di non appoggiare l'adozione della relazione del collega Kazak.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. (FR) Abbiamo votato a favore della proposta di risoluzione presentata dal gruppo Europa della Libertà e della Democrazia perché, sebbene il testo non sia del tutto soddisfacente, afferma però chiaramente che l’ampliamento delle relazioni tra l’Unione e la Turchia sostituirà e renderà obsoleta l’adesione del paese all’UE.

Qualunque tipo di ampliamento delle relazioni tra Turchia e Unione dovrà necessariamente dipendere dal riconoscimento di Cipro da parte di Ankara, che continua ancora a negarne l’esistenza e prosegue con un’illegale occupazione militare dei suoi territori. La Turchia, paese fiero ed ex alleato contro la minaccia del comunismo, rappresenta un ponte tra l’Europa e l’Asia, ma non è un paese europeo in termini geografici, demografici, storici o culturali.

Dobbiamo ammettere che le promesse formulate nel 1963 ad Ankara, nel pieno della guerra fredda e per ragioni strategiche, non sono più pertinenti e che noi, europei e turchi, perderemmo meno tempo se prendessimo in considerazione l’opzione di un partenariato privilegiato piuttosto che un’adesione completa, che incontra l’opposizione dei nostri cittadini e di molti turchi.

 
  
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  Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. (DE) La Turchia è un partner commerciale molto importante per l’Unione europea e, in termini di commercio con l’UE a 27, è il settimo paese per quanto riguarda le importazioni e il quinto per quanto riguarda le esportazioni. Nel 2009 il volume totale degli scambi ammontava a circa 80 miliardi di euro. Di contro, l’Unione europea è per la Turchia il principale partner commerciale sia in termini di esportazioni che di importazioni e si posiziona in testa a Russia, Cina e Stati Uniti. Queste buone relazioni economiche e commerciali devono continuare ed essere ulteriormente sviluppate e, a questo scopo, la costituzione dell’unione doganale congiunta nel 1996 ha rappresentato un importante passo in avanti. È comunque indispensabile che la Turchia elimini discrepanze quali le misure antidumping o la discriminazione nei confronti delle imprese estere, misure che sono in opposizione a quanto stabilito dagli accordi in vigore. Rimane ancora molto lavoro da compiere, anche in merito all’applicazione dei diritti di proprietà intellettuale, al fine di ottemperare ai trattati. Sostengo fermamente la relazione di iniziativa presentata dall’onorevole Kazak che mette in evidenza le problematiche nelle nostre relazioni commerciali con la Turchia ed esorta a eliminarle.

 
  
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  Jean-Marie Le Pen (NI), per iscritto. (FR) La relazione dell’onorevole Kazak ci vorrebbe far credere che l’unione doganale, costituta dall’accordo di associazione CEE - Turchia nel 1963, sia un successo in termini di integrazione economica e commerciale tra l’Unione europea dei giorni nostri e la Turchia e che ha consentito, tra l’altro, di sostenere la crescita europea e quindi della Francia. Senza considerare che la Turchia ha tenuto fede solo in minima parte ai propri impegni in questo processo, nel corso dei decenni si sono verificati fenomeni di delocalizzazione e di consistenti perdite di posti di lavoro. Tutto ciò è ben lontano dal rappresentare, in seno all’alleanza internazionalista, una risorsa economica e sociale per il nostro paese e per i nostri vicini europei. Il testo tuttavia, anziché riconoscere questa situazione, si spinge ben oltre arrivando a criticare l’impiego di norme e regolamentazioni tecniche quali strumenti di protezione dei mercati nazionali, che il relatore considera misure antidumping eccessive che limitano gli scambi commerciali turchi con l’Europa. Questa proposta mira chiaramente al rafforzamento del processo di adesione della Turchia all’Unione europea, questa volta però dalla prospettiva dei vantaggi industriali e commerciali di europeisti, internazionalisti e ultraliberali avidi di profitti. Respingiamo naturalmente qualsiasi elemento che possa seguire questa direzione.

 
  
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  Morten Løkkegaard (ALDE), per iscritto. (DA) Vorrei esprimere il mio compiacimento per la capacità di questa Assemblea di invitare a una maggiore cooperazione economica con la Turchia, nonostante il comprensibile e diffuso scetticismo in molte fasce della popolazione europea a riguardo di una maggiore integrazione tra UE e Turchia. Per diversi anni la Turchia ha incontrato molte difficoltà nel soddisfare i requisiti per l’adesione all’Unione, ma l’Europa deve comunque continuare a spingere per la futura entrata della Turchia.

Con una popolazione di circa 75 milioni di abitanti, la Turchia rappresenta un enorme mercato per gli esportatori europei. È già il settimo partner commerciale dell’Europa ed è il paese destinatario di un’ampia fetta delle esportazioni comunitarie, creando così crescita e posti di lavoro in Europa. Acquistiamo prodotti turchi a prezzi contenuti, fornendo ai nostri consumatori una gamma più diversificata di merci nei supermercati. In altre parole, la Turchia è molto importante per l’economia europea.

La crescente integrazione tra la Turchia e l’UE riguarda però solamente lo scambio commerciale di merci, mentre viene trascurato il settore dei servizi. Invito quindi a includere nell’accordo commerciale anche questo aspetto. Al contempo, è necessario esercitare pressione affinché la Turchia elimini le barriere esistenti per la libera circolazione delle merci, elemento fondamentale per il proseguimento dei negoziati per l’adesione. In caso contrario, infatti, sarebbe difficile continuare sulla strada di una cooperazione sempre più stretta con la Turchia, la cui adesione rimane un obiettivo per il lungo termine. È importante risolvere insieme i nostri problemi reciproci e che la Turchia rispetti gli obblighi sanciti nell’accordo di associazione.

Auspico che, nonostante lo scetticismo in merito all’adesione della Turchia presente in ampie fasce della popolazione europea, si riesca a mantenere con questo paese uno stretto partenariato commerciale e di cooperazione e che i numerosi rifiuti in merito alla futura adesione del paese espressi dai leader dei principali Stati membri non intimoriscano Ankara.

Abbiamo bisogno della Turchia e non solo da un punto di vista economico, ma anche perché rappresenta un attore regionale cruciale nel contesto del Medio Oriente e un importante partner di cooperazione per la NATO. Invito quindi a non mettere da parte la Turchia, ma a sviluppare la cooperazione in particolar modo da un punto di vista economico.

 
  
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  Marisa Matias (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Questa relazione è una vera e propria ode all’unione doganale, al libero scambio incondizionato, agli accordi di libero scambio tra la Turchia e i paesi terzi, agli accordi dell’Organizzazione mondiale del commercio e all’attuazione del progetto Nabucco. Non possiamo sostenere una relazione la cui struttura è incompatibile con il nostro punto di vista, malgrado i riferimenti positivi a riguardo degli obblighi della Turchia contenuti nel protocollo aggiuntivo all’accordo di associazione e alcuni miglioramenti apportati dagli emendamenti presentati dalla sinistra, in particolare in merito alla situazione socio-economica, alla disoccupazione giovanile e femminile, ai diritti sindacali. Si vuole rendere la Turchia il ventottesimo Stato nel mercato libero, senza conferirle però i pieni diritti e le responsabilità di uno Stato membro. Ci opponiamo a questa nuova strategia di posticipazione.

 
  
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  Mario Mauro (PPE), per iscritto. – L’Unione europea rappresenta per la Turchia il primo partner commerciale. Il volume degli scambi è quindi molto ampio, la relazione non esita a delineare le problematiche esistenti nelle nostre relazioni commerciali.

Uno di questi problemi, da non trascurare assolutamente, è il fatto che la Turchia, per il quinto anno consecutivo, non ha ancora rispettato l'obbligo di dare applicazione al protocollo addizionale all'accordo di associazione e non ha rimosso tutti gli ostacoli per la libera circolazione delle merci. Ad esempio restano chiuse le porte per le merci provenienti da Cipro.

Queste ed altre problematiche, in gran parte evidenziate grazie ad emendamenti del PPE, hanno permesso di dare più equilibrio ad una relazione che comunque giustamente non contiene alcun riferimento ad eventuali legami più profondi di carattere politico tra Unione europea e Turchia.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) La Turchia, come tutti gli Stati, è uno Stato sovrano e deve essere rispettato in quanto tale. È inaccettabile che l’Unione europea si prenda la libertà di minacciare la sospensione dei negoziati per quella che, inoltre, rappresenta un’adesione scarsamente auspicabile alla luce della necessaria armonizzazione fiscale e sociale dall’alto verso il basso.

Questa Camera non sarebbe degna dell’amicizia dimostrata dal popolo turco se approvasse una relazione che li obbliga a distruggere i loro posti di lavoro nel settore agricolo (50 per cento in Turchia) a seguito dell’abolizione delle imposte sui prodotti agricoli e che promuove i diritti degli investitori piuttosto che quelli dei cittadini. Esprimo quindi voto contrari in merito a questa relazione.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) È risaputo che la Turchia è uno dei principali partner commerciali dell’Unione europea sin dal 1963, relazione successivamente ampliata nel 1993 con la costituzione di un’unione doganale, già disposta nell’accordo iniziale. Nonostante tutto, vi sono ancora ostacoli che non permettono alle relazioni commerciali ed economiche di essere ancora più vantaggiose per entrambe le parti. Spetta dunque alla Turchia compiere ulteriori sforzi per eliminare tali ostacoli nell’interesse comune.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (LV) Vorrei che il governo turco guardi a questa risoluzione come una sorta di progresso e per questo ho espresso il mio voto a favore. Se, in futuro, la Turchia non dovesse cooperare con le strutture comunitarie in merito alle questioni di Cipro e dell’Armenia, voterò però contro qualsiasi misura distensiva in suo favore. Il mancato riconoscimento da parte della Turchia persino del genocidio armeno all’inizio del secolo scorso, in cui milioni di innocenti furono assassinati, è anomalo e l’attuale blocco turco nei confronti dell’Armenia invia un segnale negativo all’Unione europea. Abbiamo compiuto un passo avanti, ora dobbiamo aspettare dei cambiamenti positivi da parte della Turchia.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) La questione dell’adesione all’Unione europea non avrebbe dovuto essere stata sollevata fin dal principio, alla luce delle inclinazioni culturali e religiose divergenti che già minacciano di mettere a repentaglio la pace sociale all’interno dell’Unione. L’entrata nell’UE non riguarda solo le relazioni economiche, ma anche questioni politiche e culturali e precisamente quei punti di vista religiosi e politico-culturali che risultano essere incompatibili con un’Europa caratterizzata da una tradizione occidentale e cristiana che cerca di trovare affermazione nell’UE. Visto che la Turchia ha ricevuto 1,3 miliardi di euro in contributi comunitari solo tra il 1996 e il 2005, dovrebbe essere possibile avviare un dibattito per un partenariato strategico. Il tentativo di mettere in atto un’unione doganale più funzionale al fine di migliorare le relazioni commerciali con la Turchia sarà solo una perdita di tempo fino a quando il governo turco non terrà fede ai suoi obblighi in merito alla situazione di Cipro. Ho quindi votato contro questa relazione.

 
  
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  Claudio Morganti (EFD), per iscritto. – Ho espresso un voto negativo in quanto l'onorevole Kazak ha studiato in Francia con un contributo dello Stato turco e quindi in palese conflitto di interesse.

Ritengo più appropriato il rinvio della risoluzione in commissione e la sostituzione del relatore. Inoltre nel testo l'economia turca viene indicata come un'economia europea anziché asiatica. Non vorrei che l'aumento degli scambi tra EU e Turchia venisse preso come scusa per un ingresso di quest'ultima nell'unione europea. Non vogliamo l'Eurabia!

 
  
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  Paul Nuttall (EFD), per iscritto. (EN) L’emendamento consente ai cittadini europei e ai loro rappresentanti al Parlamento europeo di esprimere il proprio malcontento e la propria opposizione all’adesione della Turchia e alla concomitante unione politica. Desideriamo che questo non vada a discapito del sostegno del libero scambio con la Turchia, senza barriere tariffarie, e quindi gran parte della relazione è rimasta invariata. Molte scelte sono delicate poiché gli accordi di libero scambio consentono la presenza di barriere tariffarie. Le unioni doganali eliminano queste barriere a livello interno, ma ne permettono l’esistenza e la creazione nelle relazioni con l’esterno. Inoltre, le unioni doganali, ovviamente, limitano e ostacolano la libertà degli Stati membri di portare avanti negoziati commerciali. Nonostante queste riserve circa il concetto delle unioni doganali, , per quanto riguarda la situazione della Turchia, abbiamo accettato la relativa parte della relazione poiché permette a quanti sono contrari alla completa adesione della Turchia all’Unione di esprimere il proprio voto. È opportuno notare che, eventualmente, solo 38 deputati su 736 sarebbero contrari all’entrata della Turchia nell’Unione politica.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. (DE) Nel corso degli ultimi mesi la politica degli Stati membri in merito al rilascio di visti alle persone d’affari turche ha assunto un’importanza notevole. Dopo aver ottenuto concessioni per i requisiti per i visti con la Francia, nel febbraio di quest’anno la camera di commercio di Istanbul (ITO) ha siglato un accordo con l’Italia, secondo cui le persone d’affari avranno diritto a un visto di breve soggiorno multiplo per l’area Schengen valido per cinque anni, previa presentazione di una lettera di referenze dell’ITO. Questo visto consentirà loro di viaggiare in tutti gli Stati Schengen. La Germania è stata successivamente criticata, ingiustamente, per la sua politica restrittiva in materia di visti, mentre sarebbe opportuno che l’Unione europea prendesse seriamente in considerazione i suoi dubbi a riguardo di questa liberalizzazione dei visti. All’interno dell’Unione europea, la Germania è il paese con il maggior numero di immigrati turchi e il rischio che il cosiddetto “visto per persone d’affari” possa diventare una scappatoia per i soggiorni permanenti è elevato. Non spetta alla camera di commercio turca ma al paese di destinazione decidere, caso per caso, se rilasciare il visto per motivi di affari. Il problema è che la politica liberale in materia di visti di Francia e Italia ha aperto le porte anche al resto dell’area Schengen. La Commissione dovrebbe affrontare questa problematica con urgenza, in concomitanza allo sviluppo delle relazioni commerciali con la Turchia.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. (DE) La relazione sostiene che, nell’ambito dei negoziati di adesione all’Unione, bisogna analizzare in primo luogo l’unione doganale, che deve essere quindi estesa ai settori dell’agricoltura e dei servizi, ad esempio, nonché agli appalti pubblici. I negoziati in corso non riguardano solo le relazioni economiche, ma anche le questioni politiche e culturali e precisamente quei punti di vista religiosi e socio-politici incompatibili con un’Europa caratterizzata da una tradizione occidentale e cristiana. Per anni la Turchia ha ricevuto miliardi di euro in aiuti per l’adesione, sostegno più che sufficiente per promuovere un partenariato strategico e commerciale. È di primaria importanza che l’ampliamento dell’unione doganale con la Turchia sia accompagnato da progressi in merito alla questione di Cipro, in ambito di diritti umani, democrazia e libertà di religione e di espressione. La Turchia deve lavorare ancora molto su questi punti e perciò ho espresso voto contrario a questa relazione che rappresenta un ulteriore passo verso l’adesione completa della Turchia all’Unione.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Ho votato a favore della relazione, in quanto contiene alcuni spunti che ritengo importanti. Per il V anno consecutivo, infatti, la Turchia non ha implementato completamente il protocollo aggiuntivo all'accordo di partenariato, né ha rimosso gli ostacoli esistenti al libero scambio di merci.

Inoltre, è necessario che Ankara rinforzi la protezione dei diritti di proprietà intellettuale e applichi gli standard europei relativi alla lotta alla contraffazione. Infine, è necessaria una sostanziale riduzione delle barriere commerciali, in particolare per i prodotti agricoli. La Turchia, infatti, se vuole continuare i colloqui e i negoziati volti al suo ingresso nell'Unione europea deve prima di tutto rispettare alcuni punti fondamentali, prima tra tutti la questione di Cipro, le garanzie e le regole in materia commerciale.

 
  
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  Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. – Il ruolo della Turchia, all'interno del commercio mondiale, è andato sempre più rafforzandosi, data la sua funzione di collegamento tra le regioni del Mediterraneo e le sue regioni limitrofe.

In questo contesto, l'unione doganale (UD) ha permesso di raggiungere un ragguardevole livello d´integrazione tra i mercati dell'UE e della Turchia. L'UD si estende a tutti i prodotti industriali e ai prodotti agricoli trasformati e il suo successo lo si desume dalle cifre: la Turchia è al settimo posto tra i maggiori mercati di importazione dell'UE e al quinto posto tra i mercati di esportazione. L'UD, tuttavia, non può dirsi ancora completa e sembra risentire di problematiche legate al persistere delle barriere tecniche agli scambi e al ricorso eccessivo alle misure di salvaguardia.

In questo contesto, considerata anche l'importanza dei rapporti tra la Turchia e l'UE, la presente proposta mira a prestare la debita attenzione alle relazioni commerciali ed economiche tra le due parti, adottando le iniziative necessarie a potenziare ulteriormente la qualità di dette relazioni e rendendo l'UD più funzionale. Queste azioni possono portare benefici reciproci a vantaggio di entrambe le economie.

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto. (RO) Ho votato a favore di questa relazione visto il notevole volume di scambi commerciali e gli stabili legami esistenti tra Turchia e Unione europea. La prima, infatti, è un partner commerciale di fondamentale importanza per l’UE, diventando il settimo mercato di importazione dell’Unione e il quinto mercato di esportazione. Con due terzi del totale degli investimenti esteri diretti (IED) provenienti dall’UE, la Turchia è divenuta una base di investimento per le imprese europee con una crescente integrazione nella catena di approvvigionamento e produzione comunitaria, spesso in segmenti ad alto valore aggiunto. Nel 2009 la Turchia ha esportato verso l'UE prodotti per un valore di 33,6 miliardi di euro e ha importato dall'Unione prodotti per un valore di 40,4 miliardi di euro. Accolgo di buon grado, in Turchia, le PMI rappresentino il 99 per cento del totale delle aziende e forniscano il 70 per cento delle opportunità occupazionali del paese. La Turchia deve dare rapida attuazione all'accordo intergovernativo su Nabucco, definendo una strategia esterna comune e aprendo i negoziati in materia di energia, nell'ottica di una maggiore cooperazione nel settore energetico. Ritengo che le relazioni commerciali tra Turchia e Unione europea debbano ricevere l’attenzione che meritano.

 
  
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  Miguel Portas (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Questa relazione è una vera e propria ode all’unione doganale, al libero scambio incondizionato, agli accordi di libero scambio tra la Turchia e i paesi terzi, agli accordi dell’Organizzazione mondiale del commercio e all’attuazione del progetto Nabucco. Non possiamo sostenere una relazione la cui struttura è incompatibile con il nostro punto di vista, malgrado i riferimenti positivi a riguardo degli obblighi della Turchia contenuti nel protocollo aggiuntivo all’accordo di associazione e alcuni miglioramenti apportati dagli emendamenti presentati dalla sinistra, in particolare in merito alla situazione socio-economica, alla disoccupazione giovanile e femminile, ai diritti sindacali. Si vuole rendere la Turchia il ventottesimo stato nel mercato libero, senza conferirle però i pieni diritti e le responsabilità di uno Stato membro dell’Unione. Ci opponiamo a questa nuova strategia di posticipazione.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) La votazione odierna su questa relazione evidenzia, in virtù del notevole volume di scambi commerciali e delle radicate relazioni esistenti tra Turchia e Unione europea, la necessità di prestare la dovuta attenzione alle relazioni economiche e commerciali e, in quest’ambito, i passi necessari da intraprendere per migliorarle ulteriormente. Allo stadio attuale numerose questioni tecniche rimangono ancora irrisolte ed è necessario prendere iniziative immediate. L’unione doganale deve essere resa più funzionale; le questioni pendenti richiedono un'attenzione immediata; la Turchia e l'UE devono allineare ulteriormente le loro politiche commerciali, specialmente nell'ambito degli ALS e degli scambi regionali. Queste azioni possono portare benefici reciproci a vantaggio di entrambe le economie.

 
  
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  Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. (NL) Ho votato a favore del testo sulle relazioni commerciali ed economiche con la Turchia, che dimostra l’importanza degli scambi commerciali tra questo paese e l’Unione europea. Nel 2008, il volume degli scambi non era inferiore a 100 miliardi di euro. La relazione mette in evidenza i punti deboli e sottolinea giustamente i numerosi problemi ancora irrisolti, elencandoli in maniera imparziale. Il testo ribadisce il concetto che le politiche dell’Unione cercano di far progredire “[…] la democrazia, lo Stato di diritto, l'universalità e l'indivisibilità dei diritti umani e delle libertà fondamentali, […]”. Inoltre, la Turchia dovrebbe impegnarsi per rispettare pienamente i diritti sindacali in ottemperanza alle norme comunitarie e alle convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro, in particolare in merito al diritto di associazione, di sciopero e di negoziazione.

Anche l’Unione europea deve assumersi le proprie responsabilità per quanto attiene alla liberalizzazione dei visti, non solo per i camionisti ma anche per le persone d’affari, i turisti, gli studenti e gli anziani. La nostra relazione con la Turchia deve essere equa, giusta e sincera e per questo dobbiamo continuare a ripetere forte e chiaro il messaggio che l’Unione terrà fede alla sua promessa di consentire l’adesione della Turchia non appena questa avrà soddisfatto tutti i criteri di Copenhagen.

 
  
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  Rui Tavares (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Questa relazione è una vera e propria ode all’unione doganale, al libero scambio incondizionato, agli accordi di libero scambio tra la Turchia e i paesi terzi, agli accordi dell’Organizzazione mondiale del commercio e all’attuazione del progetto Nabucco. Non possiamo sostenere una relazione la cui struttura è incompatibile con il nostro punto di vista, malgrado i riferimenti positivi a riguardo degli obblighi della Turchia contenuti nel protocollo aggiuntivo all’accordo di associazione e alcuni miglioramenti apportati dagli emendamenti presentati dalla sinistra, in particolare in merito alla situazione socio-economica, alla disoccupazione giovanile e femminile, ai diritti sindacali. Si vuole rendere la Turchia il ventottesimo stato nel mercato libero, senza conferirle però i pieni diritti e le responsabilità di uno Stato membro dell’Unione. Ci opponiamo a questa nuova strategia di posticipazione.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (S&D), per iscritto. (RO) Ho votato a favore della risoluzione sulle relazioni commerciali ed economiche con la Turchia perché non si tratta solamente di un paese candidato, ma anche di un partner strategico. L’unione doganale con la Turchia rappresenta una delle più strette e avanzate relazioni commerciali che l’Unione intrattenga con un paese terzo. L’88 per cento del volume totale degli investimenti esteri diretti in Turchia proviene dall’UE. In virtù della sua posizione geografica strategica, la Turchia è un paese che contribuisce notevolmente alla diversificazione delle risorse e delle rotte di approvvigionamento energetico. A tal riguardo, desidero sottolineare l’importanza del progetto Nabucco e invito la Turchia a dare attuazione all’accordo intergovernativo. Inoltre, incoraggiamo la Turchia ad investire nell’enorme potenziale offerto dalle sue fonti energetiche rinnovabili. La regione del Mar Nero è di importanza strategica fondamentale da un punto di vista geografico per la sicurezza e la diversificazione dell’approvvigionamento energetico dell’Unione, vista la sua vicinanza al Mar Caspio, al Medio Oriente e all’Asia centrale. L’Unione europea, inoltre, è divenuta un attore di fondamentale importanza nella regione in seguito all’adesione di Romania e Bulgaria. In questo contesto, ritengo che l’Unione debba sviluppare una strategia per il Mar Nero in cui la Turchia ricopra un ruolo di primaria importanza.

 
  
  

Relazione de Lange (A7-0241/2010)

 
  
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  Roberta Angelilli (PPE), per iscritto. − La tutela della biodiversità e degli ecosistemi è un’emergenza che stiamo ignorando, o per meglio dire, alla quale non stiamo rivolgendo un adeguato interessamento.

Secondo alcuni studi, la perdita di benessere derivante dal degrado della biodiversità è valutata intorno ai 50 miliardi di euro l’anno, ma non si tratta di una questione essenzialmente economica quanto ecologica. Le Nazioni Unite hanno proclamato il 2010 Anno della biodiversità, sottolineando il carattere internazionale di questo tema e la sua importanza cruciale soprattutto nel raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio. Anche l’UE si è impegnata affinché la protezione della biodiversità fosse inserita in molte politiche comunitarie adottando anche la direttiva “Habitat” che prevede a sua volta l’istituzione di una rete ecologica di zone speciali protette denominata “Natura 2000”.

Ritengo che tutti gli Stati membri debbano migliorare la gestione e il rispetto della biodiversità, preservando le aree paesaggistiche e protette, mantenendo e sviluppando la continuità tra le zone protette, terrestri, marine o agricole di elevato valore naturale. Inoltre, l’UE dovrebbe erogare maggiori finanziamenti a favore di studi e di nuove iniziative e prestare maggiore attenzione nel garantire il rispetto di tutti i regolamenti e le direttive europei riguardanti in particolare la conservazione della biodiversità.

 
  
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  Alfredo Antoniozzi (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore della relazione della collega De Lange perché ritengo che molto si possa ancora fare per la conservazione della biodiversità. In particolar modo condivido pienamente il passaggio della relazione nel quale si afferma che “una soluzione positiva alla triplice crisi della sicurezza dell’approvvigionamento alimentare, della perdita di biodiversità e del cambiamento climatico richiede un approccio coerente e una futura strategia dell’Unione europea per la biodiversità che sia pienamente integrata alle strategie di lotta alla povertà e alla fame e di mitigazione del cambiamento climatico e adattamento ad esso”.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Questa relazione di iniziativa parlamentare deplora la carenza di progressi compiuti in materia di tutela della biodiversità. A causa della mancanza di volontà politica, dell’insufficienza di finanziamenti, dell’incompleta attuazione della normativa europea, eccetera, l’obiettivo minimo assoluto “di arrestare la perdita di biodiversità” entro il 2010 non è stato raggiunto ed è stato rimandato al 2020. La relazione propone una serie di misure da attuare per garantire il raggiungimento di questo obiettivo fondamentale. Poiché sono preoccupata per lo stato in cui versa il nostro ambiente e sono altresì favorevole all’approccio proposto dalla relatrice, onorevole de Lange, ho quindi votato a favore di questo documento.

 
  
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  George Becali (NI), per iscritto. (RO) Ho sostenuto la relazione in esame e votato a favore con piena convinzione. Dobbiamo agire per arrestare la perdita di biodiversità provocata dall’azione dell’uomo. Tutti noi deploriamo che non siano stati raggiunti né gli obiettivi dell’agenda di Göteborg, né quelli di Natura 2000. Ritengo che gli agricoltori svolgano un ruolo importante nel raggiungimento degli obiettivi di biodiversità e credo che bisognerà rendere disponibili ulteriori risorse finanziarie per i programmi di conservazione della biodiversità.

 
  
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  Alain Cadec (PPE), per iscritto. (FR) L’attuale tasso di perdita della biodiversità è allarmante: secondo le stime della relatrice, l’estinzione delle specie è da 50 a 1 000 volte più elevata della norma. A livello europeo, la rete Natura 2000 intende contribuire alla salvaguardia della biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche. La relatrice tuttavia deplora, giustamente, le differenze esistenti tra gli Stati membri in fatto di attuazione e interpretazione delle direttive su Natura 2000. Anche la frammentazione dei finanziamenti nel campo della biodiversità pone dei problemi: la maggior parte dei costi, infatti, grava sui fondi del FEASR, della politica comune della pesca, della politica di coesione e del settimo programma quadro di ricerca. Sarà necessario individuare delle sinergie nell’ambito del prossimo quadro finanziario pluriannuale. Plaudo infine alla recente comunicazione della Commissione su una strategia a lungo termine per la biodiversità. È auspicabile che tale documento e la relativa consultazione portino alla formulazione di precisi obiettivi politici e all’introduzione di azioni appropriate a livello europeo.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Gli insuccessi registrati nella lotta per la biodiversità richiedono una riposta urgente a livello europeo e credo che questa risoluzione rappresenti un valido contributo in questa direzione. Plaudo pertanto alla netta posizione assunta circa il fatto che arrestare la perdita di biodiversità costituisca l’ambizione minima assoluta da conseguire entro il 2020. Per raggiungere tale risultato sono necessarie diverse misure e la risoluzione ne presenta alcune, tra cui vorrei evidenziare una maggiore cooperazione transfrontaliera e la valorizzazione della biodiversità, non da ultimo dal punto di vista ambientale e biologico. In questo ambito, vorrei sottolineare l’importanza fondamentale della biodiversità e degli ecosistemi resilienti per l’adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici. Ritengo sia poi fondamentale che la risoluzione riconosca che lo sviluppo economico sostenibile e la conservazione della natura debbano procedere di pari passo, elemento importante affinché lo sviluppo di un’infrastruttura verde possa creare posti di lavoro.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’Unione Europea gode di un immenso patrimonio naturale, in termini di boschi, specie arboree, fauna terrestre e acquatica, alimentata da un’ampia gamma climatica ed osteggiata da comportamenti non sempre corretti. Già da tempo, fortunatamente, sono stati fissati alcuni limiti e sono state ridotte le condizioni che impediscono la conservazione di questa enorme ricchezza.

Vale la pena di considerare, tuttavia, che la biodiversità costituisce un perfetto meccanismo di controllo incrociato fra componenti animali, vegetali e minerali della natura. Permette la conservazione di quegli equilibri che facilitano la varietà alimentare, prevengono alcune catastrofi naturali, aiutano la lotta contro il cambiamento climatico e l’eccesso di anidride carbonica. Sono favorevole all’approvazione di questa relazione perché è un primo passo per spostarci dalle dichiarazioni di principio, su cui l’accordo è ovviamente pressoché unanime, alle azioni concrete di salvaguardia della biodiversità.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. (FR) Le cifre relative all’evoluzione della biodiversità sono estremamente allarmanti. Il tasso di estinzione potrebbe aumentare di dieci volte entro il 2050. In Europa, il 42 per cento dei mammiferi, il 43 per cento degli uccelli, il 45 per cento dei lepidotteri, il 30 per cento degli anfibi, il 45 per cento dei rettili e il 52 per cento dei pesci di acqua dolce rischiano l’estinzione. Questa situazione è inaccettabile non solo dal punto di vista etico, ma anche da quello ecologico ed economico. Per questa ragione la Commissione europea deve garantire una migliore integrazione della biodiversità anche negli altri settori di attività, quali l’agricoltura, la politica regionale, l’industria, la cooperazione allo sviluppo, la ricerca e l’innovazione. L’Unione deve mirare a rafforzare l’impegno internazionale per arrestare la perdita di biodiversità e contribuire quindi al conseguimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio entro il 2015. Il Parlamento europeo ha adottato questo documento quasi all’unanimità e dovrà agire allo stesso modo al momento di discutere della riforma della Politica agricola comune, della Politica della pesca o delle nuove prospettive finanziarie.

 
  
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  Anne Delvaux (PPE), per iscritto. (FR) Arrestare la perdita di biodiversità non è solo un nostro dovere etico: il concetto di gestione responsabile ci obbliga a conservare il nostro pianeta, affinché possa sostenere anche le generazioni future. Si tratta di una questione ecologica ed economica. Studi recenti hanno dimostrato che la perdita di benessere derivante dalla perdita di biodiversità si attesterebbe attualmente intorno ai 50 miliardi di euro l’anno (lievemente al di sotto dell’1 per cento del PIL) e nel 2050 giungerà a 14 000 miliardi di euro, ovvero al 7 per cento del PIL annuale stimato. È fondamentale che l’Unione europea svolga un ruolo attivo nelle decisioni adottate a livello mondiale sulla visione e sugli obiettivi in materia di biodiversità dopo il 2010. È dunque necessario, come previsto dalla relazione oggetto della votazione odierna, definire una visione e degli obiettivi di conservazione e sfruttamento sostenibili all’interno dell’Unione europea dopo il 2010.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione sull’applicazione della normativa UE per la conservazione della biodiversità perché necessitiamo di misure ambiziose, che permettano di arrestare la perdita di biodiversità e conservare gli ecosistemi, in particolar modo attraverso un approccio trasversale alle varie politiche settoriali dell’Unione, che riconosca la biodiversità quale elemento fondamentale per l’adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Per citare la relatrice, la perdita di biodiversità minaccia le nostre risorse alimentari, le opportunità di tempo libero e il turismo, la capacità di affrontare i cambiamenti climatici e le risorse di legno, farmaci ed energia. Concordo quindi sulla necessità che l’Unione europea, nel suo insieme, trovi, in particolar modo nei settori interessati da politiche comunitarie, una strategia sostenibile per la tutela della biodiversità e la conservazione degli ecosistemi. Ritengo che questo aspetto assuma particolare importanza nel settore agricolo e della pesca, ragion per cui seguo con particolare attenzione le future riforme della Politica comune della pesca e della Politica agricola comune. Una tutela della biodiversità adeguata e sostenibile, infatti, sebbene fondamentale ed auspicata, non deve rallentare la sostenibilità e lo sviluppo delle attività agricole e di pesca.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Le Nazioni Unite hanno proclamato il 2010 Anno internazionale della biodiversità, ma purtroppo l’Unione europea non raggiungerà il proprio obiettivo in materia di biodiversità entro il 2010. La perdita di biodiversità procede a ritmi preoccupanti ed è stato stimato che il tasso di perdita aumenterà di dieci volte entro il 2050. Nell’UE, il 42 per cento dei mammiferi, il 43 per cento degli uccelli, il 45 per cento dei lepidotteri, il 30 per cento degli anfibi, il 45 per cento dei rettili e il 52 per cento dei pesci di acqua dolce rischiano l’estinzione. Nella sua valutazione intermedia dell’attuazione del piano d’azione comunitario sulla biodiversità del 2008, la Commissione ha affermato che il 50 per cento delle specie e fino all’80 per cento degli habitat di interesse europeo per la conservazione si trova in uno stato di conservazione sfavorevole. Una simile perdita di biodiversità è inaccettabile non solo dal punto di vista etico, ma anche da quello ecologico ed economico, poiché priva le generazioni future degli aspetti legati al benessere di una ricca biodiversità. È necessario che le politiche europee di tutela della biodiversità siano coordinate e integrate ad altre politiche settoriali, come l’agricoltura, le politiche forestali, la pesca, e alle politiche di prevenzione delle catastrofi naturali, al fine di garantire la massima tutela della biodiversità.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La presente relazione attira chiaramente l’attenzione verso questioni importanti come l’incompleta attuazione della normativa, la scarsa e parziale integrazione nelle politiche settoriali, le insufficienti conoscenze scientifiche e la mancanza di dati, la mancanza di volontà politica, l’insufficienza di finanziamenti, la mancanza di strumenti aggiuntivi efficaci mirati ad affrontare problemi specifici come le specie esotiche invasive.

In generale, condividiamo le preoccupazioni e le richieste formulate nella relazione. È positivo che, in diversi capitoli, siano state incluse alcune delle proposte che avevamo avanzato nel corso della discussione in seno alla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, in particolar modo quelle relative al finanziamento e all’inclusione della biodiversità nelle politiche settoriali competenti.

Non possiamo far a meno di segnalare e di opporci con fermezza all’inserimento nella relazione di possibili sistemi innovativi per il pagamento dei servizi ecosistemici, quantunque sotto forma di mero suggerimento di riflessione. Si tratta di un’inaccettabile commercializzazione della natura. La perdita di biodiversità rappresenta una delle conseguenze di un sistema – il capitalismo – che si basa sullo sfruttamento e sulla commercializzazione della natura e delle sue risorse, indipendentemente dalla loro capacità di rigenerarsi.

Non sarà possibile trovare una soluzione giusta ed efficace a questo o ad altri problemi ambientali nel quadro di questo sistema.

 
  
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  Françoise Grossetête (PPE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore di questa relazione d’iniziativa perché l’Unione europea deve adoperarsi in ogni modo per arrestare la perdita di biodiversità entro il 2020 e ripristinare gli ecosistemi. Mi rincresce sinceramente che l’obiettivo di arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010 non sia stato raggiunto. La Commissione europea deve garantire una migliore integrazione della biodiversità nelle altre politiche europee, quali l’agricoltura, le politiche forestali, la pesca, la politica e la coesione regionali, l’industria, i trasporti, il turismo, la cooperazione allo sviluppo, la ricerca e l’innovazione.

Le spese pubbliche, da sole, non permetteranno di raggiungere l’obiettivo principale dell’Unione e per questo che anche le responsabilità aziendali devono integrare l’aspetto della biodiversità.

 
  
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  Elie Hoarau (GUE/NGL), per iscritto. (FR) L’80 per cento della biodiversità della Repubblica francese si trova nei suoi territori d’oltremare (regioni ultraperiferiche e paesi e territori d’oltremare). Il 42 per cento del territorio dell’isola di Riunione è appena stato classificato patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Si tratta di una serie di ragioni oggettive che sostengono la necessità che l’Unione europea si impegni in modo particolare per la tutela della biodiversità e la valorizzazione di questo reale potenziale nelle regioni ultraperiferiche e nei paesi e territori d’oltremare. Attualmente le regioni ultraperiferiche francesi e l’insieme dei paesi e territori d’oltremare europei non sono ammissibili per i programmi Natura 2000 e Life+. È opportuno correggere questa mancanza.

Per questi motivi ho proposto di iscrivere una voce speciale nella bozza di bilancio 2011 che coprirà l’istituzione di un programma specifico, denominato BEST, per la tutela e la valorizzazione della biodiversità di RUP e PTOM. Questo programma era stato promosso alla conclusione della conferenza di Riunione e sostenuto dal Consiglio europeo sotto la Presidenza francese. È giunto il momento di concretizzare quest’iniziativa.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) L’argomento oggetto di questa relazione è enorme e la tutela della biodiversità attraversa una vastissima gamma di settori politici. Diverse questioni ambientali sono di natura tale da giustificare un intervento a livello comunitario, ma molte altre vengono, invece, meglio gestite a un livello più basso e il principio di sussidiarietà deve essere assolutamente rispettato. La relazione in esame invita ad agire in modo chiaro in diversi settori ed è importante che sia la Commissione sia gli Stati membri ne prendano nota.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Concordo con questa relazione perché la perdita di biodiversità è una grave minaccia. La biodiversità, di fondamentale importanza per uno sviluppo equilibrato e per la riduzione della povertà, è indispensabile per il nostro pianeta, nonché per il benessere, la sopravvivenza e l’integrità culturale dell’uomo. Ora, tuttavia, a causa dell’azione di quest’ultimo, la biodiversità sta scomparendo a un tasso senza precedenti. Sarebbe possibile modificare questa tendenza se le popolazioni locali potessero beneficiare della tutela e dell’uso equilibrato della biodiversità. I vari settori provocano perdita di biodiversità soprattutto perché le rispettive politiche settoriali, tra le quali la tutela delle risorse naturali, l’agricoltura, la pesca, la politica regionale e la pianificazione del territorio, le politiche forestali, l’energia e i trasporti, il turismo, lo sviluppo e la cooperazione economica, non prestano sufficiente attenzione agli aspetti della biodiversità. È particolarmente importante e necessario arrestare la perdita di biodiversità in Europa. Al raggiungimento di questo obiettivo contribuiscono diversi tipi di politiche nazionali, comunitarie ed europee, molte delle quali sono volte a speciali misure di tutela delle principali specie e dei principali habitat; per preservare la biodiversità però la cosa più importante è riconoscerne la necessità al momento di redigere e attuare le politiche dei vari settori. Mi compiaccio dell’obiettivo di arrestare la perdita di biodiversità e dei servizi ecosistemici entro il 2020, procedendo quanto più possibile alla loro restaurazione e aumentando il contributo europeo all’arresto della perdita di biodiversità mondiale.

 
  
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  Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. (DE) Il 2010 è stato proclamato Anno della biodiversità. Con la relazione de Lange, il Parlamento europeo è giunto a conclusioni positive per la tutela della biodiversità. Sostengo questa lungimirante relazione, perché sono certa che le iniziative per la tutela della biodiversità siano fondamentali per evitare conflitti futuri. Un ambiente sano, la biodiversità, la tutela di terreni fertili e distese d’acqua pulite sono requisiti fondamentali per garantire l’approvvigionamento di cibo per le future generazioni della popolazione mondiale. Nondimeno, senza agricoltori, la biodiversità è inconcepibile. L’agricoltura apporta già un notevole contributo alla tutela dell’ambiente e del clima, ad esempio grazie all’immagazzinamento di anidride carbonica nel suolo. Per mantenere il servizio agricolo, nel pubblico interesse, è necessario garantire al settore il giusto riconoscimento e un adeguato sostegno in futuro. A fronte dell’aumento delle superfici asfaltate e cementate anche in campagna per la creazione di strade, edifici e installazioni industriali, necessitiamo di misure per salvaguardare l’agricoltura in tutta l’Europa.

 
  
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  Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Ho votato a favore della proposta di risoluzione perché ritengo che la lotta alla perdita di biodiversità e al continuo degrado degli ecosistemi, tramite una strategia di sviluppo sostenibile, debba essere una delle priorità dell’attività legislativa dell’Unione europea. La biodiversità è un patrimonio fondamentale per l’esistenza dell’uomo sulla Terra e per il benessere delle generazioni future. Proprio per questo motivo ho espresso il mio voto a favore della proposta di risoluzione.

Se non saranno adottate le misure necessarie per arrestare la perdita di biodiversità indotta dall’uomo, secondo tutti i dati in nostro possesso, entro il 2050 avremo un impoverimento della natura tale da portare a danni irreversibili. L´UE si è posta l’obiettivo minimo di arrestare la perdita di biodiversità entro il 2020, attraverso una strategia che sia coerente e integrata alle strategie di lotta alla povertà e alla fame e di mitigazione del cambiamento climatico. Inoltre abbiamo chiesto la Commissione di garantire una maggiore rilevanza della biodiversità nelle altre politiche dell’UE.

Oltre al noto programma LIFE, bisogna individuare nuovi strumenti che operino in sinergia con altre politiche inerenti vari ambiti come la pesca, l’agricoltura e l’ambiente in generale. Infine, sono assolutamente d’accordo con l’implementazione di una capillare campagna d´informazione su tale tema tra i cittadini dell’Unione europea.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Il crescente tasso di perdita di biodiversità causata dall’uomo è preoccupante. La biodiversità deve essere considerata il più affidabile indicatore dello stato di salute dell’ambiente. È per questa ragione che, a fronte delle allarmanti cifre relative alla perdita di biodiversità (il 42 per cento dei mammiferi, il 43 per cento degli uccelli, il 45 per cento dei lepidotteri, il 30 per cento degli anfibi, il 45 per cento dei rettili e il 52 per cento dei pesci di acqua dolce rischiano l’estinzione) ritengo fondamentale e imprescindibile l’attuazione della normativa in materia di tutela della biodiversità e persino un suo rafforzamento. Da queste considerazioni deriva la mia decisione di voto.

 
  
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  Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto.(PL) Concordo pienamente con gli autori della relazione: mantenere la biodiversità non è solo un dovere etico, ma è un fattore con una valenza ecologica ed economica di fondamentale importanza per mitigare il cambiamento climatico. Ritengo che le proposte di modifica del programma Natura 2000 siano esattamente ciò di cui abbiamo bisogno.

Mi riferisco, in particolar modo, a quegli emendamenti che insistono sulla creazione di ecosistemi in grado di reagire alle pressioni e che svolgono utili funzioni ecosistemiche, non solo a quelle modifiche incentrate sulla tutela degli habitat e delle specie prevista dal programma. È necessario altresì comprendere la prospettiva di quegli Stati membri che stanno attuando ingenti progetti nel campo delle infrastrutture. Raggiungere un compromesso sensato tra la tutela dell’ambiente e lo sviluppo delle infrastrutture è la priorità del momento. Lo sviluppo non deve avvenire a scapito della natura, ma la natura, a sua volta, non deve impedire lo sviluppo.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Sostengo la relazione della collega, in quanto tratta di un tema delicato, importante e fondamentale per la sopravvivenza del nostro Pianeta e quindi delle generazioni future. La necessità di conservare e preservare le diversità biologiche dalla loro estinzione è alla base anche delle politiche di adattamento ai cambiamenti climatici, come della lotta mondiale contro la fame e a sostegno della sicurezza alimentare.

Occorre perciò una presa di coscienza seria e decisa da parte del Parlamento, soprattutto alla luce del mancato raggiungimento dell’obiettivo 2010 di blocco della perdita di biodiversità, oggi rinviato all’anno 2020 secondo le indicazioni del Consiglio e della Commissione. Concordo, con il monito che la relatrice a tutte le istituzioni, compresi gli Stati membri, chiamati ad essere protagonisti sui territori di serie politiche attuative degli orientamenti comunitari.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Mi congratulo sinceramente per questa relazione sull’applicazione della normativa UE per la conservazione della biodiversità, che ben sottolinea ed è il risultato dell’importanza che riconosciamo all’ambiente, all’economia e al settore sociale, nonché a settori assai diversi fra loro, come l’agricoltura, la pesca, il turismo.

Desidero oggi sottolineare un altro aspetto che, sebbene sia stato trattato nel corso della discussione, non ha ricevuto comunque sufficiente attenzione. Mi riferisco al valore intrinseco della biodiversità e al nostro dovere etico di tutelarla e difenderla. L’uomo ha maggior potere sulla biodiversità e per questo gli spettano le maggiori responsabilità nella sua tutela e nel trasmettere l’eredità ricevuta alle future generazioni affinché anch’esse possano beneficiarne e prenderne cura. L’Unione europea compie il proprio dovere nel momento in cui stabilisce una normativa per la tutela della biodiversità, azione che merita senza dubbio il mio sostegno.

 
  
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  Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − La perdita della biodiversità procede a ritmi preoccupanti: l’attuale tasso globale di estinzione delle specie in tutto il mondo è molto più elevato del tasso di estinzione naturale. La Commissione ha affermato che il 50% delle specie e fino all’80% degli habitat di interesse europeo per la conservazione stanno scomparendo.

L’obiettivo di arrestare la perdita di biodiversità è molto importante ai fini dei cambiamenti climatici, considerando che gli ecosistemi terrestri e marini assorbono circa la metà delle emissioni di CO2 emesse dall’uomo. Purtroppo, a mio parere, le iniziative e gli accordi internazionali ed europei volti a fermare la perdita della biodiversità non hanno prodotto grandi risultati e i cittadini europei non sembrano essere sufficientemente informati a riguardo.

Quest’anno sono state proposte nuove iniziative volte ad arrestare il degrado degli ecosistemi e la Commissione ha presentato quattro opzioni politiche che includono anche il ripristino,della biodiversità a livello mondiale. Entro la fine del 2010 auspico la pubblicazione di una proposta per una nuova strategia UE per la biodiversità che includa anche alcune proposte legislative. Peraltro il Consiglio europeo “Ambiente” del 15 marzo scorso ha concordato il nuovo obiettivo principale di arrestare il degrado degli ecosistemi nell’UE entro il 2020.

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto. (RO) Il 2010 è stato proclamato Anno della biodiversità a livello mondiale. La biodiversità, in quanto capitale naturale del nostro pianeta, è fondamentale per l’esistenza dell’uomo sulla terra e per il benessere della società, in modo sia diretto che indiretto attraverso i servizi ecosistemici che fornisce. Desidero sottolineare l’importanza della conservazione della biodiversità nell’attuazione della strategia Europa 2020, non solo per il potenziale occupazionale che ne può derivare, ma anche per il suo contributo a un utilizzo efficiente e sostenibile delle risorse naturali. Sono preoccupata per il mancato raggiungimento dell’obiettivo globale di ridurre il tasso di perdita di biodiversità entro il 2010, definito nel corso del vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile del 2002, e perché non riusciremo a raggiungere entro il 2015 gli obiettivi di riduzione della povertà e della fame e di miglioramento della salute e del benessere dell’uomo, nel rispetto degli obiettivi di sviluppo del Millennio. Ritengo che la principale causa dell’inazione dei cittadini europei nella lotta contro la perdita di biodiversità sia la disinformazione, come sottolineato da una recente indagine di Eurobarometro: solo il 38 per cento degli europei ha familiarità con il termine “biodiversità”, mentre il 28 per cento conosce la parola ma non il suo significato; il 17 per cento, invece, ritiene che la perdita di biodiversità li stia già toccando.

 
  
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  Robert Rochefort (ALDE), per iscritto. (FR) L’attività umana è causa dei folli ritmi che caratterizzano la riduzione della biodiversità. In Europa, è minacciata quasi la metà dei mammiferi e la situazione degli uccelli non è diversa. Se questa tendenza continua al tasso registrato negli ultimi decenni, ci troveremo con un ambiente naturale danneggiato in modo irreversibile. Sono profondamente preoccupato dall’attuale situazione e, mentre l’agenda politica internazionale non attribuisce alla lotta contro la perdita di biodiversità l’urgenza necessaria, io presto il mio sostegno alla relazione della collega, onorevole de Lange. Il documento propone diverse possibilità per rafforzare la lotta contro la perdita di biodiversità in Europa e invita all’adozione di politiche specifiche al sostegno dei finanziamenti, sia pubblici che privati, che possono avere un impatto positivo sulla biodiversità; dobbiamo invece scoraggiare le politiche passibili di comprometterla. Per essere davvero efficace, la lotta dell’Unione europea deve essere chiaramente accompagnata da un’azione a livello internazionale ed è indispensabile che la Commissione e gli Stati membri sostengano l’integrazione della tutela della biodiversità in processi mondiali come gli obiettivi di sviluppo del Millennio.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (FR) L’Unione europea deve assumersi la responsabilità del miserabile fallimento della strategia di lotta contro la perdita di biodiversità del 2010. Spetta ora a tutti i responsabili politici non ripetere gli stessi errori, da adesso al 2020, e andare oltre alle mere dichiarazioni d’intenti e passare ai fatti. Per questa ragione il Parlamento invita in particolar modo all’attuazione di tre misure chiave: adottare un approccio integrato in tutte le politiche settoriali (agricoltura, pesca, trasporti, industria, ecc.), porre fine alle violazioni della legislazione ambientale europea da parte degli Stati membri e destinare lo 0,3 per cento del PIL alle misure di conservazione della biodiversità.

Il voto del Parlamento sulla relazione in esame è un ottimo punto di partenza. Spetta ora al Consiglio e alla Commissione farne tesoro e garantire senza indugi lo sblocco della direttiva quadro sul suolo, un adeguato finanziamento per la gestione dei siti Natura 2000 e l’attuazione della bio-condizionalità degli aiuti pubblici. Non nascondiamo che esistono ancora dei freni legati al fatto che il successo di una strategia di arresto della perdita di biodiversità presuppone un profondo riesame del nostro modello di sviluppo economico.

 
  
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  Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. (NL) Ho fortemente sostenuto la proposta di risoluzione sulla biodiversità e sulla diversità delle specie animali e vegetali perché spingerà i responsabili di governo all’azione. Il 2010 è stato proclamato Anno della biodiversità. Negli ultimi 40 anni, la biodiversità si è ridotta di un terzo e la metà dei mammiferi e degli uccelli è a rischio di estinzione. Il Parlamento europeo vuole che la perdita di biodiversità venga arrestata entro il 2020.

Per questa ragione, d’ora in poi, dobbiamo valutare tutti i sussidi e le politiche dell’Unione europea in base all’impatto che essi hanno sulla biodiversità, in modo che i fondi vengano destinati a misure favorevoli all’ambiente. A metà ottobre si terrà la decima conferenza della Convenzione sulla diversità biologica; il problema è che i ministri dell’Ambiente europei determineranno la posizione dell’Unione europea solo quattro giorni prima dell’inizio della conferenza. A metà marzo, quando si è svolta la conferenza della Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e di fauna selvatiche minacciate di estinzione, è risultato evidente il netto bisogno di una consultazione più approfondita. Concordare una posizione comune europea quattro giorni prima di una conferenza significa non lasciare lo spazio per la formazione di alleanze fra paesi con vedute simili. La questione della biodiversità deve guadagnare posizioni nella lista delle priorità europee e deve essere integrata nelle nostre politiche agricole e di pesca, mettendo a disposizione della tutela della natura sufficienti mezzi finanziari.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. (PT) Il dovere di tutelare la biodiversità delle nostre risorse è di carattere etico, vista la crescente minaccia agli ecosistemi e il rischio di danni irreversibili all’ambiente. Le preoccupazioni relative alla conservazione della biodiversità, tuttavia, hanno anche una base sociale ed economica, in quanto lo sviluppo sostenibile va di pari passo con la stabilità economica. Per questa ragione, è essenziale integrare l’obiettivo di tutela della biodiversità alle varie aree d’azione a livello europeo, soprattutto nel contesto della lotta contro il cambiamento climatico, nei propositi della strategia Europa 2020 e nell’obiettivo di creazione di posti di lavoro, fornendo i relativi e necessari finanziamenti.

Non posso fare a meno di menzionare il ruolo fondamentale della pesca in un paese come il Portogallo, ragion per cui sostengo che la Politica comune della pesca debba favorire il rispetto della legislazione relativa alla biodiversità e volta alla sostenibilità del settore. In altre aree d’azione (come l’agricoltura, le politiche forestali, il turismo, la ricerca e l’innovazione, fondamentali per le regioni ultraperiferiche) il potenziale occupazionale della biodiversità richiede lo sviluppo di un’economia sostenibile e di preoccupazioni ecologiche, con politiche volte a un uso efficiente delle risorse e a un consumo ed una produzione sostenibili.

 
  
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  Derek Vaughan (S&D), per iscritto. (EN) È un peccato che l’Europa non abbia raggiunto il proprio obiettivo di arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010, perché proteggere la biodiversità è fondamentale per ragioni di carattere etico, ecologico e anche economico.

Si tratta di un argomento che non può basarsi esclusivamente sulla spesa pubblica, ma che deve far parte anche di strategie di responsabilità delle imprese in tutta Europa per fermare l’ulteriore distruzione di ecosistemi e ripristinarli, ove possibile. Ho sostenuto la proposta di arrestare la perdita di biodiversità entro il 2020, soprattutto perché la mia circoscrizione elettorale, il Galles, offre una ricchissima varietà di ecosistemi.

Ritengo, inoltre, che raggiungere questo obiettivo permetterà all’Unione europea di occupare ruoli preminenti a livello mondiale nell’impegno per la tutela e la conservazione della biodiversità, dimostrando così alle nazioni in via di sviluppo il nostro impegno verso gli obiettivi di sviluppo del Millennio del 2015.

 
  
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  Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), per iscritto. (FR) Il 2010 avrebbe dovuto essere l’anno in cui l’Unione europea doveva finalmente prendersi cura della biodiversità. Dobbiamo invece constatare che la sua strategia in materia si è dimostrata un terribile fallimento, nonostante i ripetuti impegni presi dal 2001 a questa parte, soprattutto per fronteggiare il rischio d’estinzione di diverse specie.

Ho sostenuto la relazione dell’onorevole de Lange, che il Parlamento europeo ha adottato il 21 settembre, perché condanna gli scadenti risultati raggiunti dall’Unione europea e invita la Commissione e gli Stati membri a passare finalmente dalle parole ai fatti.

Il documento ha adottato tre misure chiave, di cui chiede attuazione immediata: un approccio integrato in tutte le politiche settoriali coinvolte (agricoltura, pesca, trasporti, ecc.), attuazione e rispetto della legislazione ambientale comunitaria da parte degli Stati membri e aumento dei finanziamenti in materia, al di là dello strumento LIFE. Al momento, tuttavia, gli Stati membri non sostengono a sufficienza questo tipo di progetti.

Si tratta soprattutto di far acquisire ai nostri cittadini la consapevolezza dello stato in cui versa la biodiversità e dei gravi rischi che minacciano gli ecosistemi. Solo il 17 per cento dei cittadini europei è consapevole del grave declino che interessa la biodiversità.

 
  
  

Relazione Ferreira (A7-0227/2010)

 
  
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  Roberta Angelilli (PPE), per iscritto. − Abbiamo assistito questa estate a numerose notizie trasmesse dai mezzi di comunicazioni che ci mettevano al corrente riguardo a due catastrofi ambientali che hanno colpito due Paesi differenti, la Russia e il Pakistan.

È vero che ci sono calamità naturali imprevedibili e incontrollabili, ma e anche vero che l’attività dell’uomo a volte contribuisce a peggiorare le situazioni di declino ambientale. L’inquinamento, le piogge acide, le contaminazioni industriali, le frane causate da problemi connessi alla pianificazione urbana e territoriale, la desertificazione di determinate aree, sono solo alcune delle conseguenze dovute alla nostre azioni.

Considerando che le catastrofi naturali compromettono gli ecosistemi e la biodiversità, incidono sullo sviluppo sostenibile e mettono a rischio la coesione sociale, è indispensabile la diffusione delle buone pratiche di prevenzione e di una maggiore conoscenza del locale contesto geografico, economico e sociale.

È inoltre, importante, elaborare realizzare in Europa una mappatura dei rischi e dei pericoli, incoraggiare il ricorso a pratiche agricole e industriali corrette e sostenibili e rafforzare i collegamenti esistenti tra i diversi sistemi di allerta precoce. Ritengo altresì necessaria la possibilità di mobilitare l’attuale Fondo di solidarietà dell’UE nel modo più flessibile e rapido, e semplificare ulteriormente le norme amministrative, in modo da poter gestire le situazioni di catastrofi naturali nel minore tempo possibile.

 
  
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  Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. (RO) Ho votato a favore della relazione Ferreira, che segna un importante passo avanti nella gestione delle catastrofi naturali, perché combina la prevenzione, le cause e i fattori che aumentano la nostra vulnerabilità, con la creazione di un fondo comune europeo. Sappiamo che prevenire è meglio che curare ed è per questa ragione che ritengo che ridurre il rischio di catastrofi ci aiuterà a salvare vite umane.

Ho proposto un emendamento, che è stato approvato, per richiedere lo studio di metodi di finanziamento a sostegno delle azioni necessarie alla prevenzione delle catastrofi, valutando e riducendo i rischi prima che queste di verifichino, e volto a fornire strumenti di microfinanza e forme di assicurazione macroscopiche per i gruppi a basso reddito.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Tempesta Xynthia, inondazioni a Madeira, incendi boschivi in Grecia: gli europei sono costantemente messi alla prova da catastrofi naturali con conseguenze umane ed economiche incalcolabili. Questa relazione d’iniziativa parlamentare ricorda “che un approccio proattivo è più efficace e meno costoso di un approccio basato unicamente sulla reazione alle catastrofi” e stabilisce un elenco di azioni da intraprendere. Ho votato a favore di questa relazione, perché ritengo che sia estremamente utile e credo che la Commissione europea debba trarne quanto prima ispirazione, soprattutto per quanto attiene alla prevenzione degli incendi boschivi. A mio avviso, la prossima tappa sarà l’istituzione di una forza di protezione civile europea che possa aiutare gli Stati membri a fronteggiare gravi catastrofi naturali.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questo documento. Negli ultimi anni gli Stati membri dell’Unione europea sono stati colpiti da un numero considerevole di calamità e dobbiamo quindi attribuire maggiore importanza alla prevenzione. Poiché gli Stati membri sono i primi e principali responsabili della protezione dei propri cittadini e della prevenzione delle calamità, un incremento della cooperazione in materia di prevenzione è pienamente giustificato, come lo sono un migliore coordinamento degli sforzi e un rafforzamento della solidarietà e dell’aiuto reciproci. Concordo con la relazione sulla necessità di creare a livello comunitario un quadro finanziario appropriato per la prevenzione delle catastrofi, sia naturali che causate dall’uomo, in grado di rafforzare e collegare gli strumenti esistenti, inclusi quelli in seno alla politica di coesione, alla politica regionale e alla politica di sviluppo rurale. È di vitale importanza che gli Stati membri aumentino le proprie capacità di ricerca e sviluppo nella prevenzione e nella gestione delle calamità e migliorino il coordinamento e la cooperazione fra loro in questo settore.

 
  
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  George Becali (NI), per iscritto. (RO) La relazione è strettamente legata a quella sulla biodiversità e mi sono naturalmente espresso a favore. Le catastrofi hanno dimensione transfrontaliera e per questo necessitiamo di una rete europea in seno alla quale le autorità nazionali, regionali e locali possano cooperare. Ho sostenuto, con il mio voto, la proposta di riesame del Fondo di solidarietà e ho votato a favore di una metodologia comune per la mappatura dei rischi e dei pericoli.

 
  
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  Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. (RO) Le cifre indicano un forte aumento del numero di catastrofi naturali, negli ultimi anni, con costi sociali ed economici elevatissimi, e sta quindi diventando necessario per gli Stati membri prestare maggiore attenzione a ricerca e sviluppo al fine di prevenire ed evitare il verificarsi di simili eventi in futuro. Con questo obiettivo, gli Stati membri devono avviare specifici meccanismi di coordinamento e cooperazione. Per questo è importante, da un lato, rafforzare i sistemi di allerta precoce negli Stati membri, creare e consolidare i legami esistenti tra essi; dall’altro, elaborare e sviluppare misure di adeguamento, sia a livello rurale che urbano, per far fronte alla crescente frequenza di eventi climatici estremi. La frequenza e l’intensità delle calamità sono spesso amplificate da politiche che generano un rapporto inadeguato dell’uomo con l’ambiente fisico che lo circonda.

La prevenzione di simili catastrofi deve essere integrata nelle politiche settoriali pertinenti per la promozione di un’occupazione equilibrata del territorio e di uno sviluppo economico in accordo con la natura. Bisogna creare a livello comunitario un quadro finanziario appropriato per la prevenzione delle catastrofi, che rafforzi gli strumenti esistenti, anche quelli che figurano nelle politiche europee.

 
  
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  Alain Cadec (PPE), per iscritto. (FR) Nei primi sei anni di esistenza del Fondo di solidarietà dell’Unione europea, sono state presentate 62 richieste di aiuto finanziario; di queste, quasi un terzo riguardavano catastrofi naturali classificate come gravi.

Sono lieto, ad esempio, dell’intervento del Fondo di solidarietà nella mia regione, la Bretagna, a seguito della tempesta Xynthia. La solidarietà europea è fondamentale per gestire al meglio le conseguenze economiche, sociali, ambientali ed umane delle catastrofi naturali.

Il relatore ricorda che la prevenzione delle catastrofi deve essere una priorità nella cooperazione tra gli Stati membri in questo ambito e propone di creare una rete formata dalle autorità nazionali, regionali e locali per lo scambio di buone pratiche sulle misure di prevenzione. Mi unisco al relatore nel chiedere la creazione, a livello europeo, di un quadro finanziario appropriato per la prevenzione delle catastrofi naturali al fine di rafforzare e collegare gli strumenti esistenti.

La politica di coesione svolge un ruolo di primo piano nella prevenzione delle catastrofi e contribuisce di fatto alla diminuzione delle disparità esistenti tra le regioni in materia, in particolare migliorando le capacità di prevenzione dei territori maggiormente a rischio.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Abbiamo assistito, con sempre maggiore frequenza, al potere devastante della catastrofi naturali. La presente risoluzione, per la quale ho espresso voto favorevole, segnala diverse importanti azioni, tra le quali la cooperazione tra gli Stati membri nella condivisione di conoscenze pratiche di gestione delle catastrofi, con particolare attenzione all’aspetto della prevenzione. Anche le istituzioni nazionali di ricerca e sviluppo devono essere munite di meccanismi di coordinamento a questo livello.

Sono lieto del riconoscimento delle caratteristiche e dei vincoli naturali delle regioni isolate, a bassa densità demografica e in fase di spopolamento, di montagna e di frontiera, nonché delle regioni periferiche e ultraperiferiche. Di fatto a queste regioni bisogna prestare particolare attenzione.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) Negli ultimi decenni, si è registrato un forte aumento della frequenza e della gravità di catastrofi naturali e disastri antropici in seno all’Unione europea. Secondo alcuni dati dell’ONU, la vulnerabilità europea è in aumento, ad esempio, a causa dei cambiamenti climatici, dello sfruttamento intensivo del suolo e dello sviluppo industriale e urbano.

Esistono già diversi strumenti comunitari volti ad affrontare vari aspetti della prevenzione, ma che si sono, tuttavia, dimostrati insufficienti. Il loro livello di attuazione ha lasciato talvolta parecchio a desiderare, il che chiama in causa l’applicazione di un vero approccio strategico dell’Unione in materia di prevenzione delle catastrofi.

Sebbene la responsabilità di proteggere la popolazione e prevenire le calamità spetti anzitutto agli Stati membri, i fenomeni in questione non guardano alle frontiere nazionali e, nella maggior parte dei casi, hanno una dimensione transfrontaliera. È dunque fondamentale promuovere a livello europeo un approccio efficace, basato sulla solidarietà, e non dubito che un approccio proattivo sia più efficace e meno costoso di un approccio basato unicamente sulla reazione alle catastrofi.

È necessario prestare particolare attenzione alla questione dell’aumento delle migrazioni forzate di persone provenienti da aree colpite dal degrado ambientale, poiché questo tipo di rifugiati dovrà beneficiare di tutele e di aiuti finalizzati al reinsediamento.

 
  
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  Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. (RO) Ritengo sia necessario che i rappresentanti del settore agricolo abbiamo un ruolo definito nel meccanismo di gestione delle calamità, al fine di valutare la situazione di questo settore e adottare azioni appropriate. Ciò si rende necessario per un coordinamento più efficace delle risorse esistenti, fattore che contribuirà al consolidamento della politica comunitaria e alla sua capacità di fornire risposte immediate.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. (FR) Dopo lo tsunami nell’Oceano Indiano del 2004, il terremoto ad Haiti a gennaio 2010 o la tempesta Xynthia a febbraio, quante altre tragedie dovranno verificarsi prima di ottenere finalmente un approccio comunitario alla prevenzione delle catastrofi naturali? Le calamità naturali e di origine antropica sono sempre più frequenti ed è per questa ragione che bisogna garantire una maggiore efficacia ed un miglior coordinamento delle misure nazionali, nonché una maggiore flessibilità di quelle europee. Al di là della prevenzione, voglio ricordare che abbiamo a disposizione, dal 2006, una relazione del Commissario Barnier per la creazione di una forza di reazione rapida per far fronte alle catastrofi naturali: cosa stiamo aspettando per adottarla? Cosa stiamo aspettando per utilizzarla?

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Oggi risulta evidente che le catastrofi naturali in Europa si verificano con maggior frequenza e questa situazione richiede che prevenzione, reazione e soluzioni siano concertate a livello europeo. A mio parere, questa collaborazione deve basarsi sulla complementarità tra i livelli di risposta a questi flagelli. Ritengo importante valutare il ricorso al Fondo di solidarietà e il modo in cui esso viene mobilizzato, in modo da rendere questo strumento più flessibile e adeguato alle caratteristiche e alle diversità delle regioni cui si rivolge.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Gli Stati membri dell’Unione sono stati colpiti da un crescente numero di catastrofi naturali, molte delle quali di grandi proporzioni. Si noti che, durante i primi sei anni dall’istituzione del Fondo di solidarietà dell’UE, la Commissione ha ricevuto 62 richieste di aiuto finanziario da parte di 21 paesi. Le catastrofi naturali compromettono la biodiversità, incidono sullo sviluppo sostenibile e mettono a rischio la coesione sociale. L’abbandono delle aree rurali e la desertificazione sono tra le cause delle calamità, che a loro volta aggravano questi fenomeni, così come i cambiamenti climatici acuiscono le conseguenze delle catastrofi naturali. La soluzione passa dalla prevenzione e dal sostegno alle regioni più vulnerabili, che devono iscriversi in una logica di cooperazione e coordinamento a livello europeo e in un rafforzamento della solidarietà europea. Per questo motivo sostengo la creazione di un quadro finanziario appropriato per la prevenzione delle catastrofi, che deve rafforzare e privilegiare il collegamento degli strumenti esistenti, quali la politica di coesione, la politica di sviluppo rurale, la politica regionale, il Fondo di solidarietà, il settimo programma quadro e i programmi Life+. Le prossime prospettive finanziarie devono tener conto di questo obiettivo. Sostengo inoltre la necessità di riesaminare il regolamento che istituisce il Fondo di solidarietà, adeguando i criteri di ammissibilità alle caratteristiche di ciascuna regione e tipologia di calamità.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) L’approvazione della relazione in esame assume particolare importanza in un anno in cui diversi paesi europei sono stati colpiti da catastrofi con impatti profondi su popolazioni, territori, economia ed ambiente. Questo fatto ha contribuito a una maggiore percezione da parte del grande pubblico dell’importanza della prevenzione delle calamità e alla consapevolezza diffusa dell’importanza di rafforzarla. Abbiamo recentemente acquisito esperienza da queste catastrofi, dall’analisi delle loro cause e delle loro conseguenze, elementi importanti della relazione in esame.

Abbiamo cercato di inserire nella relazione una vasta gamma di orientamenti e di raccomandazioni che potranno essere applicati alle varie tipologie di calamità; è ora necessario che la Commissione europea e il Consiglio mettano in pratica le misure proposte, accogliendo l’indiscutibile segnale fornito dall’ampio consenso alla relazione, manifestato nel corso della discussione e della votazione.

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (S&D), per iscritto. (EN) Vorrei ringraziare il collega, onorevole Ferreira, per la sua iniziativa di istituire una proposta di risoluzione del Parlamento europeo su una questione di così ampia rilevanza e importanza. Come cittadina polacca, ho vissuto in prima persona i traumatici effetti delle catastrofi naturali (e in particolare delle esondazioni) sul benessere generale del mio paese. Inoltre, come cittadina europea, riconosco l’importanza di un meccanismo di prevenzione europeo basato sulla solidarietà. Permettetemi di cogliere quest’opportunità per sottolineare che disponiamo di strumenti concreti che obbligano gli Stati membri a sviluppare meccanismi di prevenzione contro le catastrofi naturali e, più specificamente, la direttiva sulle alluvioni.

Il recente esempio della Polonia illustra le conseguenze di una errata applicazione di questo documento. Le catastrofi naturali non operano discriminazioni e così dovrebbero agire anche la prevenzione e gli strumenti di risposta alle calamità. Ritengo che, quando in gioco ci sono vite umane, oltre che l’ambiente, l’economia e la sicurezza di uno Stato o di una regione, la questione diventi meno politica e più etica. È in quest’ottica che vorrei unirmi agli onorevoli colleghi nell’esprimere voto favorevole a questa proposta di risoluzione.

 
  
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  Nathalie Griesbeck (ALDE), per iscritto. (FR) Incendi in Portogallo, esondazioni in Sassonia, incendi boschivi in Grecia, la tempesta Xynthia nella Francia occidentale: questi ultimi anni ci hanno dimostrato fino a che punto è necessaria una vera strategia europea per le catastrofi naturali e quanto questa sarebbe positiva; una strategia in materia di prevenzione, ma anche di risposta e capacità di reazione dell’Unione europea a fronte di tali calamità. Ho pertanto votato risolutamente a favore di questa relazione, che chiede un approccio europeo comunitario, globale, coordinato ed equilibrato per questo settore, in virtù del principio fondamentale di solidarietà europea. Spero sinceramente che la Commissione presenti quanto prima proposte concrete per rafforzare la cooperazione e gli scambi di pratiche fra gli Stati membri in questo settore, permettere una migliore comunicazione tra le autorità competenti, migliorare le procedure, velocizzare la mobilizzazione del Fondo europeo di solidarietà e, soprattutto, includere la prevenzione delle catastrofi nelle prossime prospettive finanziarie dell’Unione europea.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) La relazione dell’onorevole Ferreira sottolinea le numerose, potenziali cause di calamità e, di queste, quelle potenzialmente più gravi nel lungo termine sono gli incidenti nucleari. Vaste aree dell’Unione europea stanno ancora subendo le conseguenze del disastro di Chernobyl e personalmente ritengo non esista un’energia nucleare sicura. Diversi governi in tutta Europa stanno costruendo nuove centrali nucleari, aumentando, in questo modo, le possibilità di futuri disastri. Il mio partito e il governo scozzese rimangono fermamente dell’avviso che le nostre necessità energetiche devono essere soddisfatte da energia di provenienza diversa dal nucleare.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Mi sono espresso a favore di questa relazione perché, negli ultimi anni, gli Stati membri dell’Unione europea sono stati colpiti da un numero considerevole di calamità, che hanno avuto un notevole e duraturo impatto sull’ambiente, sull’economia e sulle popolazioni. La quantificazione dei danni è quasi sempre difficile, soprattutto se si tiene conto della perdita di vite umane. La relazione sottolinea la necessità di rivedere il regolamento istitutivo del Fondo di solidarietà e ribadisce la necessità di creare un quadro finanziario appropriato alla prevenzione di catastrofi, con risorse finanziarie sufficienti a prevenire e combattere le catastrofi. In questo modo si potrebbero rafforzare e collegare gli strumenti esistenti, quali la politica di coesione, la politica di sviluppo rurale, la politica regionale, il Fondo di solidarietà, il settimo programma quadro e i programmi Life+. La relazione esorta la Commissione a valutare la possibilità di proporre un più sistematico sfruttamento congiunto delle risorse disponibili, al fine di rafforzare l’efficacia dei meccanismi di prevenzione nell’intera Unione europea. Sono lieto di notare che si riconosca finalmente il bisogno di creare un regime assicurativo pubblico europeo per il settore agricolo. La Commissione deve presentare una proposta di sistema assicurativo pubblico europeo per meglio affrontare i rischi e l’instabilità del reddito degli agricoltori connessi alle catastrofi naturali e provocate dall’uomo. Tale sistema deve essere più ambizioso dell’attuale modello, così da evitare una molteplicità di sistemi assicurativi diversi nell’UE con conseguenti forti squilibri tra i redditi degli agricoltori. Reputo urgente anche rendere accessibile in egual misura agli agricoltori di tutti gli Stati membri un sistema minimo di compensazione per le calamità naturali o causate dall’uomo.

 
  
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  Alan Kelly (S&D), per iscritto. (EN) Il quadro europeo di prevenzione delle calamità è estremamente utile nella prevenzione di catastrofi naturali e antropiche. L’Irlanda meridionale ed occidentale è stata vittima di diverse calamità, lo scorso anno, e pertanto la presente iniziativa è di vitale importanza. Plaudo all’attenzione che viene prestata alle attività di formazione e sensibilizzazione e ai piani di rafforzamento degli strumenti di allerta precoce. La relazione pone l’accento sulla prevenzione e sottolinea l’importanza del ruolo delle autorità nazionali, regionali e locali nelle questioni legate alla prevenzione. Poiché queste sono le autorità più vicine all’azione quando si verificano catastrofi naturali o disastri antropici, esse dovrebbero anche assumere un ruolo centrale nella prevenzione degli stessi.

 
  
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  Marisa Matias (GUE/NGL), per iscritto. (PT) I nostri paesi sono stati colpiti da catastrofi con effetti devastanti sulla vita delle comunità e degli ecosistemi. La dimensione di simili calamità riflette, da un lato, la frequenza sempre maggiore di eventi climatici estremi, dall’altro, la presenza di errori umani in seno a un’equilibrata pianificazione territoriale. Nell’evidenziare l’importanza decisiva della prevenzione a livello comunitario e nell’insistere sulla necessità di cooperazione e coordinamento tra gli Stati membri dell’Unione europea, la relazione procede nella giusta direzione.

È altrettanto importante rafforzare la capacità di risposta specifica dell’Unione, soprattutto investendo su strumenti di prevenzione e lotta a livello europeo, che si articolino con quelli degli Stati membri e con le strategie di prevenzione locale e comunitaria. Se vogliamo ottenere i migliori risultati con un utilizzo più intelligente delle risorse, nessun livello di risposta deve essere omesso, in quanto sono complementari fra loro.

 
  
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  Mario Mauro (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Relazione sulla comunicazione della Commissione “Un approccio comunitario alla prevenzione delle catastrofi naturali e di origine umana” va accolta favorevolmente senza particolari annotazioni. Un continuo reciproco scambio di informazioni e buone prassi permetterebbe un sicuro miglioramento delle conoscenze scientifiche e migliorerebbe le capacità di intervento di tutti.

La cooperazione transfrontaliera a più livelli, come possono essere le macroregioni o le regioni, accrescerebbe l’efficacia dei metodi di prevenzione già esistenti. Fondamentale infine sottolineare l’importanza delle attività di volontariato, per la quale è necessario aumentare la cooperazione tra gli Stati membri.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) La prevenzione di catastrofi naturali o di disastri antropici deve essere una delle priorità dell’Unione europea, quantunque non si tratti certo di un compito semplice. Ci siamo sempre più resi conto che lo sfruttamento intensivo del suolo, la crescita industriale e urbana disordinata, l’abbandono delle aree rurali, la desertificazione, la maggiore frequenza di eventi climatici estremi ed altre cause ancora rendono gli Stati membri più vulnerabili alle calamità, sia naturali che di origine antropica. Ciò che conta in questa sede è riunire gli sforzi di tutti per combattere i fattori sopraelencati ed evitare che in futuro si ripetano con altrettanta frequenza simili catastrofi, responsabili di ingenti danni materiali della perdita di insostituibili vite umane.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (LV) Ho votato a favore della presente relazione, perché ritengo che la questione della prevenzione delle catastrofi di origine antropica sia di estrema importanza. È fondamentale aumentare i finanziamenti dei programmi volti alla tutela delle risorse naturali in Europa. Boschi, laghi, fiumi: tutto è divenuto un bene commerciale. Oltre a questa relazione, dobbiamo definire un quadro comune dell’Unione europea che limiti l’atteggiamento indifferente dei consumatori verso le risorse umane.

Mi sono scontrato con un simile atteggiamento nella mia patria, a Latgale, dove le distese boschive vengono barbaramente distrutte. Il governo lettone sta “bombardando” i progetti comunitari mirati alla tutela di fiumi e laghi, dato che la legislazione del mio paese permette l’eliminazione di specie ittiche rare, e nessuno se ne assume la responsabilità. Ho espresso voto favorevole nella speranza che questo segnale dell’Unione europea raggiunga il governo lettone.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) La maggiore frequenza di condizioni climatiche estreme sta provocando in Europa gravi catastrofi naturali, che colpiscono in modo particolarmente duro le popolazioni rurali. Spetta agli Stati membri mettere a disposizione maggiori risorse per l’assistenza e la prevenzione delle calamità.

È importante, soprattutto, assicurare che le vittime ricevano aiuti rapidi, anche finanziari, quando si trovano in difficoltà. La soluzione ideale sarebbe la cooperazione tra tutti gli Stati membri per la condivisione di esperienze e misure pratiche. Mi sono astenuto dal voto perché, a mio avviso, la relazione in esame si esprime in termini troppo generici e non specifica nessuna azione da intraprendere nel concreto.

 
  
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  Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. (RO) Ho votato a favore della presente relazione perché le alluvioni che hanno colpito quasi tutta l’Europa, questa primavera e quest’estate, per non parlare delle esondazioni che colpiscono alcuni Stati membri ogni anno, hanno dimostrato l’importanza di prevenire le calamità. Ho votato a favore di questa relazione anche perché attribuisce un ruolo chiave al rapporto tra calamità naturali e agricoltura, proponendo soluzioni basilari ad alcune delle problematiche che stiamo affrontando.

 
  
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  Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto.(PL) Negli ultimi anni, gli Stati membri dell’Unione europea sono stati colpiti da catastrofi naturali che hanno avuto esiti tragici. Diversi mesi fa, la Polonia e altri paesi dell’Europa centrale sono stati vittima di una devastante alluvione e non passa mese senza che i media riferiscano di una catastrofe che ha colpito gli abitanti dell’Europa. Nondimeno, dobbiamo sforzarci di pensare a quali passi dobbiamo compiere per prevenire le calamità naturali.

La relazione in esame mostra giustamente che la causa principale di simili catastrofi è l’errato rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale che lo circonda. Sono favorevole alla proposta, contenuta nella relazione, di creare un quadro finanziario appropriato a livello comunitario per la prevenzione delle catastrofi di origine antropica. Ritengo inoltre sensata la proposta di rafforzare la cooperazione tra le autorità nazionali, regionali e locali in materia di lotta contro le calamità naturali.

 
  
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  Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. (EL) Durante la seduta plenaria del Parlamento europeo di quest’oggi, mi sono espresso a favore della relazione relativa alla prevenzione delle catastrofi naturali e di origine umana in seno all’Unione europea. Si tratta di un’iniziativa di particolare rilievo, che compie importanti passi nella prevenzione di incidenti quali incendi boschivi, alluvioni, eventi legati a fenomeni meteorologici estremi o incidenti tecnologici ed industriali. Lo scopo primario è istituire un quadro finanziario appropriato alla prevenzione di calamità, che sia integrato nelle prospettive finanziarie per il 2014-2020 e presti particolare attenzione al sostegno alle regioni europee più isolate e meno densamente popolate. La relazione mira anzitutto a istituire una politica di sviluppo rurale equilibrata, creando un regime assicurativo pubblico europeo per il settore agricolo, in modo da prevenire i problemi legati alla molteplicità di sistemi assicurativi diversi all’interno dell’Unione europea. Al contempo, se vogliamo che gli agricoltori di tutti gli Stati membri possano riprendersi dai danni causati dalle calamità, dobbiamo versare loro una misura minima di compensazione.

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto. (RO) Non dobbiamo dimenticare che le calamità tendono a colpire in misura maggiore i più bisognosi, quanti non dispongono delle risorse per proteggere se stessi, le proprie famiglie e i propri beni. Ho votato a favore di questa relazione in quanto è importante e necessario creare un quadro finanziario appropriato a livello europeo per la prevenzione di catastrofi naturali e di origine antropica, che rafforzi e articoli strumenti esistenti, compresi, tra l’altro, quelli in materia di politica di coesione, politica regionale e politica di sviluppo rurale. Il finanziamento dell’Unione europea dovrà privilegiare un insieme di misure di prevenzione, la cui attuazione sarà di competenza degli Stati membri, volto, in linea generale, a correggere situazioni con fattori di rischio, proteggere le aree abitate, monitorare la sicurezza di grandi infrastrutture ed elaborare e sottoporre a revisione norme in materia di sicurezza per l’edilizia e l’utilizzo del suolo.

 
  
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  Miguel Portas (GUE/NGL), per iscritto. (PT) I nostri paesi sono stati colpiti da catastrofi con effetti devastanti sulla vita delle comunità e degli ecosistemi. La dimensione di simili calamità riflette, da un lato, la frequenza sempre maggiore di eventi climatici estremi, dall’altro, la presenza di errori umani in seno a un’equilibrata pianificazione territoriale. Nell’evidenziare l’importanza decisiva della prevenzione a livello comunitario e nell’insistere sulla necessità di cooperazione e coordinamento tra gli Stati membri dell’Unione europea, la relazione procede nella giusta direzione.

È altrettanto importante rafforzare la capacità di risposta specifica dell’Unione, soprattutto investendo su strumenti di prevenzione e lotta a livello europeo, che si articolino con quelli degli Stati membri e con le strategie di prevenzione locale e comunitaria. Se vogliamo ottenere i migliori risultati con un utilizzo più intelligente delle risorse, nessun livello di risposta deve essere omesso, in quanto sono complementari fra loro.

 
  
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  Robert Rochefort (ALDE), per iscritto. (FR) Negli ultimi anni gli Stati membri sono stati colpiti da un numero considerevole di calamità naturali o di origine antropica: incendi, tempeste, inondazioni, siccità e via dicendo. I costi umani, economici e sociali di tali catastrofi, che generalmente hanno carattere transfrontaliero, sono drammatici. Poiché ritengo fondamentale affrontare la prevenzione di simili calamità a livello europeo, sostengo la relazione del collega, onorevole Ferreira. Se è opportuno aumentare la cooperazione tra gli Stati membri e mutualizzare le loro risorse per rafforzare l’efficacia dei meccanismi di prevenzione in tutta l’Unione, è altresì necessario migliorare l’inclusione trasversale della prevenzione nelle varie politiche comunitarie. Inoltre, bisogna incoraggiare un maggior coordinamento e una maggiore cooperazione tra gli Stati membri per quanto attiene la ricerca e lo sviluppo in materia di prevenzione delle catastrofi naturali o di origine antropica.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Noi verdi abbiamo sostenuto questa relazione in quanto sottolinea che le catastrofi naturali e di origine antropica possono avere conseguenze molto gravi per lo sviluppo economico e sociale di regioni e Stati membri e precisa che il principale obiettivo della prevenzione delle calamità è salvaguardare la vita dell’uomo, la sicurezza e l’integrità fisica dei singoli, i diritti umani fondamentali, l’ambiente, le infrastrutture economiche e sociali, tra cui le strutture di base, l’edilizia abitativa, le comunicazioni, i trasporti e il patrimonio culturale. Il testo sottolinea che un approccio proattivo è più efficace e meno costoso di un approccio basato unicamente sulla reazione alle catastrofi, partendo dalla considerazione che una buona conoscenza del contesto geografico, economico e sociale locale sia fondamentale nella prevenzione di calamità naturali e di origine antropica.

 
  
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  Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − Fermo restando che gli Stati membri sono i primi e principali responsabili per la protezione civile e la prevenzione della calamità, siamo in accordo con l’impostazione del relatore in quanto auspica un migliore coordinamento e una maggiore cooperazione, nel rispetto del principio di sussidiarietà, tra autorità locali, regionali e nazionali.

L’obiettivo primario dell’approccio comunitario dovrà comprendere la diminuzione delle disparità esistenti tra regioni e Stati membri. Inoltre é indispensabile affrontare la prevenzione in materia trasversale alle diverse politiche dell’unione, anche mediante l’istituzione di un piano finanziario adeguato.

 
  
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  Joanna Senyszyn (S&D), per iscritto.(PL) Ho sostenuto la risoluzione sulla comunicazione della Commissione “Un approccio comunitario alla prevenzione delle catastrofi naturali e di origine umana”. Quest’anno, l’Europa ha subito severe ghiacciate, alluvioni, ondate di calore tropicale e tornado. Ne hanno sofferto milioni di europei, ma eventi simili si verificheranno ancora in futuro. A fronte di queste calamità sempre più frequenti, la cooperazione facoltativa tra gli Stati membri e l’aiuto temporaneo dell’Unione europea nel prevenire, reagire e affrontare gli effetti di simili disastri non bastano più: abbiamo bisogno di una strategia globale comunitaria, nell’ambito della quale introdurre un protocollo di misure uniformi per far fronte a particolari tipologie di calamità, specialmente quelle che si verificano con maggior frequenza (incendi boschivi, alluvioni e siccità).

La solidarietà tra paesi è fondamentale ed è necessario prestare particolare attenzione alle regioni meno privilegiate in termini di ubicazione geografica, densità demografica e condizioni economiche e sociali. Tale strategia deve trovare corrispondenza nel nuovo quadro finanziario 2014-2020. In un simile contesto, è importante collegare gli strumenti esistenti, quali la politica di coesione, la politica di sviluppo rurale, la politica regionale, il Fondo di solidarietà, il settimo programma quadro e i programmi Life+. Facendo seguito a precedenti risoluzioni del Parlamento europeo, bisognerebbe valutare l’istituzione di un Osservatorio europeo sulla siccità e sviluppare un’iniziativa specifica nel settore della tutela delle zone boschive e della protezione dagli incendi. Rinnovo il mio appello al Parlamento e alla Commissione per la redazione tempestiva di una nuova proposta volta a una maggiore semplificazione delle norme amministrative e a una maggiore flessibilità del Fondo di solidarietà dell’Unione europea.

 
  
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  Rui Tavares (GUE/NGL), per iscritto. (PT) I nostri paesi sono stati colpiti da catastrofi che hanno avuto ripercussioni devastanti sulla vita delle comunità e degli ecosistemi. La dimensione di simili calamità riflette, da un lato, la frequenza sempre maggiore di eventi climatici estremi, dall’altro, la presenza di errori umani in seno a un’equilibrata pianificazione territoriale.

Nell’evidenziare l’importanza decisiva della prevenzione a livello comunitario e nell’insistere sulla necessità di cooperazione e coordinamento tra gli Stati membri dell’Unione europea, la relazione procede nella giusta direzione.

È altrettanto importante rafforzare la capacità di risposta specifica dell’Unione, soprattutto investendo su strumenti di prevenzione e lotta a livello europeo, che si articolino con quelli degli Stati membri e con le strategie di prevenzione locale e comunitaria. Se vogliamo ottenere i migliori risultati con un utilizzo più intelligente delle risorse, nessun livello di risposta deve essere omesso, in quanto sono complementari fra loro.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. (PT) Se è vero che la responsabilità della prevenzione e gestione delle catastrofi è innanzi tutto degli Stati membri, ritengo che le istituzioni europee debbano promuoverne la cooperazione attraverso la sistematizzazione e ottimizzazione delle risorse disponibili e una maggior complementarità delle azioni, a livello comunitario e regionale.

Tale strategia deve mirare alla riduzione delle differenze tra regioni in termini di capacità di protezione della popolazione, investimento nella ricerca, prevenzione, anticipazione e risoluzione dei fenomeni, con particolare attenzione alle regioni ultraperiferiche. Queste regioni, che molto spesso affrontano un insieme di rischi legate ai propri vincoli naturali, come nel caso di Madeira, devono poter ricorrere, in caso di calamità, ai vari strumenti finanziari della politica di coesione e le relative condizioni di accessibilità devono essere rese più flessibili.

Mi sembra evidente che il Fondo di solidarietà deve essere riesaminato per garantire una maggior rapidità di mobilizzazione e una minore rigidità dei criteri di ammissibilità. La relazione in esame, che ho sostenuto, riflette tali preoccupazioni. Vorrei ricordare le vittime della gravissima catastrofe naturale verificatasi a Madeira a febbraio 2010 e i loro familiari e ribadire l’estrema urgenza di attivare il Fondo di solidarietà per la ricostruzione dell’isola.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (S&D), per iscritto. (RO) Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo su un approccio comunitario alla prevenzione delle catastrofi naturali e di origine umana perché credo sia fondamentale che l’Unione europea intervenga in questo settore. È necessario investire in misure di prevenzione delle calamità, in quanto sono decisamente meno costose delle misure necessarie per rimediare in seguito.

Considerata la dimensione transfrontaliera delle catastrofi, come nel caso delle esondazioni del 2002, degli incendi boschivi del 2007 e delle alluvioni di quest’estate, necessitiamo di un pacchetto di strumenti efficaci per prevenire, intervenire e mitigare gli effetti delle calamità. Le misure specifiche previste dalla Commissione mirano a identificare aree a rischio e ripristinare condizioni naturali nei letti dei fiumi, recuperare e proteggere i bacini idrografici, le zone umide e i relativi ecosistemi, pulire e riordinare i boschi, promuovere il rimboschimento, proteggere e difendere i litorali, prevenire e mitigare gli effetti dei terremoti e stilare una lista di buone pratiche volte a facilitare lo scambio di informazioni tra i soggetti coinvolti.

Per migliorare l’efficacia degli strumenti dell’attuale politica di prevenzione delle catastrofi è fondamentale aumentare la flessibilità delle procedure e la rapidità di accesso al Fondo di solidarietà dell’Unione europea in modo che le risorse richieste raggiungano quanto prima le popolazioni colpite.

 
  
  

Relazione Theocharous (A7-0192/2010)

 
  
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  Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. (RO) Ho votato a favore della presente relazione poiché ritengo necessario porre maggiore enfasi sui sistemi di protezione sociale volti a prevenire la povertà e affrontare i disagi sociali, contribuendo così a stabilizzare l'economia e a mantenere e promuovere l'occupabilità. La priorità deve essere attribuita al sostegno dei fabbisogni sociali di base, alla promozione della protezione dei bambini e delle donne vulnerabili duramente colpiti dalla crisi, dei giovani a rischio, dei lavoratori a basso reddito, non qualificati e migranti, dei lavoratori rurali e delle persone diversamente abili.

 
  
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  Liam Aylward (ALDE), per iscritto. (GA) Desidero esprimere il mio sostegno all’appello rivolto ai paesi in via di sviluppo contenuto nella presente relazione, affinché sottoscrivano l'Agenda per il lavoro dignitoso dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) e affinché venga data attuazione al diritto alla libertà dal lavoro forzato dal lavoro minorile, senza eccezioni.

Si stima che il lavoro minorile interessi 218 milioni di bambini in tutto il mondo, di cui 126 milioni impegnati in lavori pericolosi. La povertà sarà conseguenza diretta dell’impossibilità di accesso all’istruzione per tutti quei minori che vengono costretti a lavorare contro la loro volontà. È quindi necessario adottare misure efficaci che promuovano la lotta al lavoro minorile, allo scopo di creare al suo posto occupazione per gli adulti e permettere ai minori di ricevere un'istruzione adeguata.

La comunità internazionale deve impegnarsi al massimo per debellare la piaga del lavoro minorile tramite un’azione mirata e precisa.

Condivido inoltre quanto affermato nella relazione circa la necessità di soddisfare i bisogni di base della popolazione nei paesi in via di sviluppo, nonché la priorità attribuita alla sicurezza alimentare e all’accesso all’acqua potabile.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Concordo pienamente con la presente relazione: ridurre la povertà nei paesi in via di sviluppo richiede la creazione non soltanto di mera occupazione, bensì di nuovi posti di lavoro sostenibili. A tale scopo è necessario promuovere il coordinamento delle politiche macroeconomiche, concentrandosi sulla stabilità della produzione, dei redditi e dell'occupazione reali. Piccole e medie imprese, in particolare nel settore agricolo, necessitano di finanziamenti adeguati, come ad esempio microcrediti, microassicurazioni e finanziamenti pubblici. Si esortano Commissione e i paesi donatori ad indagare approfonditamente sulle possibilità esistenti in materia di fonti innovative e aggiuntive di finanziamenti allo sviluppo; al contempo è necessario identificare nuove fonti di reddito, che consentano ai paesi in via di sviluppo di diversificare e di attuare programmi di spesa efficaci, concreti e operativi. È inoltre fondamentale rivolgere maggiore attenzione ad uno dei problemi più gravi che affliggono i paesi in via di sviluppo: la lotta al lavoro minorile e la possibilità per tutti i minori di accedere all’istruzione elementare. Tutto questo sarà possibile solamente dando attuazione al diritto alla libertà dal lavoro forzato.

 
  
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  George Becali (NI), per iscritto. (RO) Ho espresso il mio sostegno e il mio voto favorevole alla presente relazione. La lotta alla povertà è uno degli obblighi sanciti dal trattato UE. I paesi in via di sviluppo devono affrontare enormi sfide a livello sociale e sono convinto che i governi debbano attribuire la priorità alla protezione dei bambini, delle donne vulnerabili, dei lavoratori rurali e delle persone diversamente abili. Sostengo inoltre la richiesta che i bilanci nazionali dei paesi in via di sviluppo e gli aiuti europei allo sviluppo prevedano che almeno il 20 per cento della spesa venga devoluto alla sanità e all'istruzione di base.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Mi sono espressa a favore della presente relazione, che contiene l’appello del Parlamento europeo alla riduzione della povertà nei paesi in via di sviluppo, dove fame, malnutrizione e esclusione dall’accesso al cibo e ai servizi pubblici di base colpiscono milioni di persone.

Un ulteriore problema in questi paesi è che la maggioranza della popolazione non gode di una protezione sociale adeguata, sebbene i relativi sistemi si siano dimostrati strumenti efficaci per la riduzione della povertà e per la coesione sociale.

Desidero insistere sul problema del lavoro minorile, in quanto rappresenta uno dei maggiori ostacoli all’istruzione elementare universale e alla riduzione della povertà, e mina la sana educazione e la necessaria istruzione dei bambini.

Condivido quindi l’appello del Parlamento affinché si promuovano i sussidi all’istruzione e vengano attuate le disposizioni sul lavoro minorile mediante il rafforzamento della task force comune sul lavoro minorile e l’istruzione per tutti. È fondamentale, inoltre, che la comunità internazionale, tutti gli Stati interessati e l'Unione europea facciano quanto prima tutto il possibile per debellare il lavoro minorile. Infine, le strategie per lo sviluppo, nella loro totalità, dovrebbero dedicare maggiore attenzione ai soggetti più vulnerabili ed emarginati, soprattutto donne, bambini, anziani e persone diversamente abili.

 
  
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  Alain Cadec (PPE), per iscritto. (FR) In questo momento a New York è in corso un vertice internazionale sul raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio. Considerando che il Parlamento europeo ha adottato la relazione sulla riduzione della povertà nei paesi in via di sviluppo, ritengo che questa sia l’occasione giusta per sottolineare l’importanza del ruolo che il microcredito può svolgere in questo ambito. Il microcredito prevede lo stanziamento di piccole somme di denaro a quegli imprenditori che non hanno sufficienti credenziali per accedere ai prestiti presso banche convenzionali. Nei paesi in via di sviluppo il microcredito contribuisce alla realizzazione di un grande numero di microprogetti che promuovono la creazione di ricchezza e, dunque, di sviluppo. Il finanziamento di base di questi progetti coinvolge gli attori locali e permette di creare una rete economica nei paesi interessati, che si possono in questo modo assumere la responsabilità del proprio sviluppo e di emanciparsi, anche solo parzialmente, dagli aiuti allo sviluppo convenzionali. Inoltre, interessando aree molto varie, tra cui i settori agricolo, manifatturiero e dell’economia sociale, il microcredito favorisce un impatto tangibile sullo sviluppo locale. Invito dunque la Commissione europea e gli Stati membri a tenere in maggiore considerazione questo mezzo responsabile di aiuto allo sviluppo.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Affinché i paesi in via di sviluppo possano affrontare la piaga della povertà, è necessario che vi siano delle condizioni economiche adeguate. La presente relazione ribadisce la necessità di rendere le procedure meno burocratiche, incoraggiare e promuovere il risparmio e l’accesso al credito e consolidare l’integrazione a livello regionale. Riafferma altresì come priorità il coinvolgimento delle organizzazioni della società civile nel processo di formulazione e monitoraggio delle politiche pubbliche, rinforzando sia il ruolo degli organi di rappresentanza, sia la condizione giuridica e sociale delle donne. Le politiche di occupazione dovrebbero prevedere investimenti nel “lavoro verde” e nell’industria verde, ad esempio sviluppando le fonti di energia rinnovabili e l’efficienza energetica. Infine, tra le sfide per i paesi donatori, la relazione sottolinea la necessità di semplificare l’architettura e le procedure di sussidio, nonché l’introduzione di fonti di finanziamento innovative. Considero entrambe le questioni di fondamentale importanza.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, le cifre diffuse dagli istituti competenti sulla povertà e sulla malnutrizione non possono essere considerate solo come dei numeri. Dietro quelle percentuali e quei valori assoluti vi sono individui che faticano a sbarcare il lunario o soffrono di gravi patologie dovute alla nutrizione scarsa o di cattiva qualità.

L'impegno della riduzione della povertà va assunto con la massima responsabilità e non può ridursi ad una serie di slogan e di luoghi comuni. Bisogna studiare a fondo i problemi e trovare delle soluzioni che mettano d'accordo gli interessi dei paesi meno sviluppati con quelli sviluppati, gli interessi delle imprese e quelli dei consumatori, gli industriali e gli agricoltori, e tutte le categorie coinvolte. Non è certo tarpando le proprie ali che si permette agli altri di volare, ma assumendosi oneri proporzionati alla propria forza e alle proprie capacità. Pertanto è importante mostrare le buone pratiche dell'economia di mercato per innescare meccanismi di crescita e di sviluppo, ma allo stesso tempo fornire i giusti incentivi e la giusta formazione per uscire dalla trappola della povertà.

 
  
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  Corina Creţu (S&D), per iscritto. (RO) Per la prima volta a memoria d’uomo il numero delle persone che soffrono la fame è salito a un miliardo; soltanto quest’anno ben 64 milioni di persone sono andate ad ingrossare le fila quanti soffrono di fame estrema. Questa realtà ci chiama a concentrarci sulla creazione di posti di lavoro nei paesi in via di sviluppo, poiché solo in questo modo povertà ed esclusione sociale possono essere eliminate. A tale scopo è necessario adottare un approccio più coerente per promuovere l’istruzione ed arginare l’esodo di forza lavoro qualificata. La recente crisi dei prezzi alimentari ha riportato l’attenzione sulla tensione dovuta alla mancanza di sicurezza alimentare nei paesi poveri. È pertanto fondamentale riconoscere la cruciale importanza del settore agricolo, che, nei paesi in via di sviluppo, rappresenta attualmente l’unica fonte di sostentamento per la maggioranza della popolazione, concentrata per il 75 per cento nelle aree rurali.

 
  
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  Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. (EN) Sono a favore della presente relazione, che fornisce un quadro delle maggiori sfide per la creazione di posti di lavoro e la riduzione della povertà, mentre si avvicina la scadenza per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio. Si rinnova così l’appello agli Stati membri dell’Unione europea, affinché onorino i propri impegni di spesa relativi agli aiuti. Si fa riferimento anche all’importanza della governance e della costruzione di capacità, promuovendo al contempo una maggiore partecipazione di tutte le parti coinvolte. La relazione include anche un riferimento all’assistenza alle piccole e medie imprese (PMI) nei paesi in via di sviluppo, attraverso la creazione di infrastrutture e il trasferimento di tecnologie, per creare non soltanto occupazione, ma posti di lavoro di qualità. È opportuno che i paesi in via di sviluppo sottoscrivano l'Agenda per il lavoro dignitoso dell'OIL e l’iniziativa delle Nazioni Unite per una base minima di protezione sociale (Social Protection Floor), in modo da assicurare norme lavorative soddisfacenti ed elevati livelli di protezione sociale, anche per le persone più povere ed emarginate. È necessario prestare particolare attenzione alla lotta al lavoro minorile. La presente relazione chiede infine accesso completo e libero ai sistemi scolastici, ovvero all’istruzione elementare, secondaria e professionale, affinché la popolazione locale possa acquisire le competenze necessarie per un lavoro qualificato. Senza istruzione, infatti, i minori sono condannati a una vita di stenti e l’economia alla stagnazione.

 
  
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  Anne Delvaux (PPE), per iscritto. (FR) La relazione su cui ci siamo espressi oggi sottolinea l’importanza per i paesi in via di sviluppo dell’applicazione di standard lavorativi internazionali nonché delle azioni volte a garantire l’accesso a finanziamenti adeguati per le microimprese, in particolare nel settore agricolo, a promuovere la lotta alla corruzione e sensibilizzare le parti sociali in merito allo sviluppo economico.

La relazione sancisce inoltre l’accesso universale all’istruzione, poiché lo sviluppo delle risorse umane, indispensabile per la creazione di posti di lavoro, deve diventare parte integrante di tutte le strategie di sviluppo. Per quanto riguarda i paesi donatori, la relazione esorta ad onorare l’impegno relativo agli aiuti allo sviluppo, ovvero lo stanziamento dello 0,7 per cento del PIL entro il 2015, e ribadisce la necessità di coordinamento tra Commissione e Stati membri in merito alle politiche allo sviluppo.

Desidero ricordare che, secondo le stime della Banca mondiale, nel 2005 ben 1,4 miliardi di persone vivevano in condizioni di povertà estrema, ovvero con meno di 1,25 dollari al giorno. I dati si riferiscono principalmente all’Africa sub-sahariana (51 per cento), seguita dall’Asia meridionale (40,3 per cento). A questi si aggiungono i 2,5 miliardi di persone che vivono in condizioni di cosiddetta povertà moderata, ovvero con meno di 2 dollari al giorno.

 
  
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  Harlem Désir (S&D), per iscritto. (FR) Si è aperto ieri il vertice delle Nazioni Unite sulla realizzazione degli obiettivi di sviluppo del Millennio. Nonostante i progressi compiuti, il traguardo relativo alla riduzione della povertà entro il 2015 è ancora lontano.

La realizzazione di tali obiettivi impone innanzi tutto la creazione di posti di lavoro nei paesi in via di sviluppo. Secondo una recente relazione congiunta dell’FMI e dell’OIL, attualmente in tutto il mondo si contano oltre 210 milioni di disoccupati, a seguito della crisi economica che, dal 2008 ad oggi, ha causato la perdita di 30 milioni di posti di lavoro. L’OIL esorta a considerare l’occupazione non più come il risultato collaterale di altre politiche, ma come un obiettivo primario e un pilastro delle strategie di crescita.

Sviluppo sostenibile, promozione dell’occupazione e di condizioni di lavoro dignitose richiedono una diversificazione dell’economia, l’adeguamento agli standard dell’OIL, il diritto universale alla protezione sociale, investimenti nei servizi pubblici e sostegno dei fabbisogni di base, come accesso all’acqua, alla salute ed alla sicurezza alimentare. Un aumento dell’occupazione costituisce un ulteriore requisito di stabilità e consolidamento della democrazia. Tutto questo è l’essenza della relazione Theocharous.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Mi sono espressa a favore della presente relazione, in quanto promuove il rafforzamento della condizione giuridica e sociale delle donne, per prevenire qualsiasi forma di discriminazione e sfruttamento del potenziale femminile nello sviluppo economico e sociale dei paesi in via di sviluppo. Perseguire la parità di genere significa garantire il progresso economico in questi paesi. È fondamentale, inoltre, garantire che l'accesso all’istruzione di base ed alla sanità pubblica sia alla base delle politiche allo sviluppo. L'attuale crisi economica non giustifica alcuna riduzione degli aiuti internazionali in questi settori.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Non si può trattare quest’argomento senza fare riferimento al ruolo fondamentale che l’Unione europea svolge nell’erogazione di aiuti ai paesi in via di sviluppo. Nonostante gli sforzi compiuti, rimane ancora molto da fare, mentre povertà e disoccupazione continuano innegabilmente ad affliggere questi paesi. Una volta conquistata l’indipendenza, i leader di molti paesi in via di sviluppo si sono scagliati contro di noi con invettive antieuropee, ma è evidente che le loro argomentazioni risultano oggi piuttosto antiquate. Purtroppo le informazioni che ci giungono dai paesi in questione riguardo al livello di corruzione e il rispetto dei diritti umani, della libertà e della protezione sono scoraggianti.

Mantenendo il livello attuale di aiuti e battendosi per l’adozione delle migliori pratiche, l’Unione fa la cosa giusta. Non è il momento di scendere a compromessi, né di trattare con quanti traggono profitto dalla sofferenza altrui.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) La lotta contro la povertà e l’esclusione sociale richiede un chiaro impegno alla piena realizzazione dell’essere umano in quanto tale e all’adozione di una prospettiva morale per quanto concerne le relazioni economiche e di potere. È necessario promuovere una più ampia definizione di povertà, che comprenda il disagio, l'esclusione sociale e la mancanza di partecipazione, secondo quanto suggerito nella relazione delle Nazioni Unite dal titolo “Rethinking Poverty – Report on the World Social Situation 2010” (ripensare la povertà – relazione 2010 sulla situazione sociale mondiale). I governi dei paesi in via di sviluppo devono diversificare le proprie economie, perseguendo uno sviluppo sostenibile e favorendo le imprese (in particolare le piccole e medie imprese), combattendo corruzione ed eccessiva burocrazia. I paesi donatori e i partner, a loro volta, hanno il compito di garantire che l'agricoltura, e in particolar modo le piccole aziende agricole e le agroindustrie piccole, medie ed ecocompatibili, abbiano la priorità nell'agenda dello sviluppo. È altresì fondamentale l’impegno nel campo dell’istruzione e della formazione professionale, contro il lavoro minorile e a favore dell’istituzione di standard lavorativi soddisfacenti e di una maggiore estensione della protezione sociale. Il lavoro minorile rappresenta infatti uno dei principali ostacoli all’istruzione elementare universale e alla riduzione della povertà. È d’obbligo, quindi, promuovere coordinamento e allineamento tra le agenzie, e all’interno di esse, nelle politiche relative al lavoro minorile e agli aiuti all’istruzione. Infine un maggiore impegno volto a garantire la parità di genere è, a mio avviso, prioritario.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La versione finale della presente relazione contiene punti negativi e positivi, che si contraddicono a vicenda.

La prima contraddizione si trova già nella parte iniziale, in cui si subordina una crescita economica robusta e sostenibile alle esigenze del mondo degli affari. La ragione alla base della crescita economica va ricercata nella persona; sono i lavoratori a creare ricchezza e crescita economica e pertanto la produzione deve essere modellata su di loro e sulle loro esigenze a livello sociale, e non certo in base al profitto. L’approccio contrario genera povertà e disoccupazione, che si presume la relazione voglia combattere.

Risulta tuttavia positivo il suggerimento di una rivalutazione delle politiche di privatizzazione riguardanti i servizi pubblici come l'acqua, le reti fognarie e i servizi di interesse generale, il sostegno del settore terziario e la necessità di eliminare i paradisi fiscali.

A nostro avviso sarà possibile realizzare gli obiettivi qui proposti soltanto attraverso una revisione dei rapporti economici e commerciali, abbandonando immediatamente ogni istanza neoliberalista e cessando gli accordi di liberalizzazione sanciti dall’Organizzazione mondiale del commercio o gli accordi di libero scambio, esistenti o in corso di trattativa. Ulteriori condizioni necessarie sono la cancellazione del debito estero e del servizio di debito dei paesi in via di sviluppo, nonché l’abolizione delle politiche di adeguamento strutturale imposte dagli istituti finanziari mondiali.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Tra gli aspetti positivi della relazione in merito ai paesi in via di sviluppo vi è la rivalutazione delle politiche di privatizzazione, in particolare per quanto concerne i servizi pubblici, come l’acqua e la sanità. Una simile rivalutazione andrebbe applicata anche ai paesi sviluppati: l’acqua è un bene estremamente prezioso, tanto che dovrebbe esistere esclusivamente per l’interesse pubblico e non per il profitto privato.

 
  
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  Juozas Imbrasas (EFD), per iscritto. (LT) Mi sono espresso a favore della presente relazione, in quanto la riduzione della povertà e la creazione di posti di lavoro sono le maggiori sfide che il mondo odierno si trova ad affrontare. Sono altresì requisiti per uno sviluppo equilibrato e per la crescita economica, specialmente nei paesi in via di sviluppo. Sono lieto che si faccia riferimento alla necessità di ripensare le politiche di privatizzazione, in particolare in ambiti come lo smaltimento e la gestione dei rifiuti, l’acqua, i sistemi di riscaldamento, il mantenimento della proprietà ed altri servizi fondamentali a livello sociale. L’erogazione di tali servizi deve avvenire sotto l’attento controllo di enti pubblici e governi e l’accesso deve essere quantitativamente e qualitativamente equo, senza distinzioni sulla base del reddito o dell’appartenenza a un determinato gruppo sociale. La crescente privatizzazione di istituzioni preposte all’erogazione dei servizi pubblici è fonte di grande preoccupazione, come dimostra il caso di Vilnius. È facile smantellare i servizi esistenti e le infrastrutture degli erogatori, ma cosa accade quando si interrompe la fornitura di un determinato servizio, o la si mantiene, ma ad un prezzo altamente inflazionato? Le parti interessate mirano a dimostrare che lo Stato o l’ente pubblico responsabile di un determinato servizio non è in grado di erogarlo in modo efficiente, come invece saprebbe fare un’impresa privata, e a quel punto scatta la privatizzazione. Chi può dire di non avere toccato con mano questa situazione? I servizi pubblici sono un bene troppo sensibile e universalmente prezioso perché possano essere ceduti a privati. La loro tutela e il loro sviluppo devono essere prioritari.

 
  
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  Alan Kelly (S&D), per iscritto. (EN) La presente relazione delinea le principali sfide per la creazione di posti di lavoro e per la riduzione della povertà nel contesto della crisi finanziaria. Il testo richiede che gli Stati membri dell’Unione europea onorino gli impegni di spesa per aiuti assunti nell’ambito della realizzazione degli obiettivi di sviluppo del Millennio. La relazione promuove altresì una maggiore partecipazione da parte dei grandi portatori di interesse alla proprietà fondiaria su bassa scala, contestualmente ad un rinnovato sostegno alle piccole e medie imprese (PMI) dei paesi in via di sviluppo, mediante la creazione di infrastrutture ed il trasferimento di tecnologie.

 
  
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  Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. (DE) L’Unione europea ha il dovere di dare nuovo slancio alla lotta globale contro la fame e la povertà, poiché a livello mondiale le persone che vivono in condizioni di povertà estrema sono ormai quasi 1,4 miliardi. Le cause sono molteplici. È però triste che, a causa della situazione politica, delle carenze negli ambiti di democrazia e stato di diritto, e degli svantaggi legati alla posizione geografica, i paesi in via di sviluppo si trovino nell’impossibilità di cogliere le opportunità che si presentano loro. Affinché gli aiuti allo sviluppo siano davvero efficaci, è necessario agire mirando alla radice del problema. La presente relazione sottolinea l’importanza di promuovere il settore manifatturiero e ridurre l’eccessiva burocrazia e la corruzione nei paesi in via di sviluppo, promuovendo l’istruzione, implementando gli standard internazionali a livello sociale e di produzione, ed istituendo strumenti di finanziamento per le microimprese, in particolare nel settore agricolo. La sicurezza alimentare è vitale per ogni paese e per la sua popolazione: uno Stato in grado di provvedere alla propria popolazione è più autonomo e può ridurre il potenziale di conflitto. A questo scopo è necessario un requisito fondamentale: il mantenimento e la promozione della produzione agricola, nonché la protezione del suolo e delle risorse idriche.

 
  
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  Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. (RO) Mi sono espresso a favore della presente relazione in quanto ritengo che la riduzione della povertà richieda non soltanto la generazione di occupazione, ma anche la creazione di posti di lavoro qualificati. Le piccole imprese e le microimprese, in particolare nel settore agricolo, necessitano di finanziamenti adeguati e microcredito per mantenere i posti di lavoro esistenti e crearne di nuovi.

A questo proposito, desidero esprimere il mio sostegno alla richiesta rivolta alla Commissione ed agli Stati membri di aumentare il sostegno finanziario pubblico a piccole imprese e microimprese e agli agricoltori dei paesi in via di sviluppo, come richiesto dal Patto globale per l'occupazione dell'OIL.

 
  
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  Mario Mauro (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, accolgo favorevolmente la relazione sulla riduzione della povertà e la creazione di posti di lavoro nei paesi in via di sviluppo, soprattutto per l’incentivo a riconoscere il contributo dell'economia sociale, per esempio delle cooperative, alla creazione di posti di lavoro e alla promozione di un lavoro dignitoso nei paesi in via di sviluppo e a includere l'economia sociale nei programmi di sviluppo e nelle strategie di cooperazione dell'UE.

È importante inoltre che i paesi in via di sviluppo partecipino all’agenda per il lavoro dignitoso dell’OIL affinché finalmente i lavoratori di questi paesi possano godere di standard lavorativi adeguati.

È urgente fermare la folle corsa allo sfruttamento del lavoro minorile e promuovere al contrario l’istruzione come fondamento per il futuro delle nuove generazioni.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) La presente relazione è accettabile. Sebbene non faccia riferimento alla liberalizzazione degli scambi commerciali e si affidi in larga misura all’Organizzazione mondiale del commercio, gran parte delle misure proposte rappresentano un potenziale miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini dei paesi del sud del mondo.

Tra i numerosi punti fondamentali affrontati nella relazione, desidero ricordare i seguenti: la promozione dei sistemi di protezione sociale, l’integrazione dell’economia sociale negli accordi di cooperazione, la garanzia di accesso completo e libero ad un sistema sanitario di qualità, ai sistemi scolastici (ovvero all’istruzione elementare, secondaria e professionale) ed all’acqua potabile, nonché incentivi europei volti a promuovere il rispetto delle scelte elettorali della popolazione.

La relazione sostiene inoltre l’istituzione di parlamenti indipendenti con reali poteri a livello legislativo, amministrativo e di supervisione. L’applicazione di tali raccomandazioni potrebbe forse contribuire alla realizzazione delle lodevoli intenzioni di questa relazione di iniziativa.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) L’Unione europea è un’area di solidarietà, che si preoccupa per la povertà e la creazione di posti di lavoro nei paesi in via di sviluppo. Noi tutti sappiamo che un tale obiettivo si può raggiungere soltanto attraverso una crescita robusta e sostenibile in un ambiente stabile. È quindi necessario che i paesi in via di sviluppo diversifichino le proprie economie mediante lo sviluppo del settore manifatturiero, evitando al contempo che un'eccessiva burocrazia gravi sulle aziende, soprattutto sulle PMI, affinché possano davvero generare occupazione e crescita. Se questi valori verranno trasmessi in modo efficace ai paesi in via di sviluppo, l’Unione europea avrà un ruolo decisivo nella riduzione della povertà e nella creazione di posti di lavoro. Questi sono i motivi alla base del mio voto.

 
  
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  Alexander Mirsky (S&D), per iscritto. (LV) Dobbiamo partecipare ad un processo volto a mettere i paesi in via di sviluppo nella condizione di generare loro stessi il proprio PIL, incoraggiando così il loro sviluppo economico. In questo modo sarà possibile fermare l’immigrazione in Europa di interi gruppi etnici. È fondamentale che la popolazione dei paesi in via di sviluppo comprenda che deve ricostruire la propria patria e non partire alla ricerca di un paradiso in Europa. Dal canto nostro, abbiamo il dovere di aiutarli a conquistare indipendenza e prosperità. È necessario condividere la nostra conoscenza e la nostra esperienza e per questo ho votato a favore della presente risoluzione.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) La relazione della commissione per lo sviluppo sulla riduzione della povertà e la generazione di occupazione nei paesi in via di sviluppo rappresenta il giusto approccio al problema. I paesi industrializzati occidentali devono intraprendere una serie di misure che permettano ai paesi meno sviluppati di provvedere autonomamente al proprio fabbisogno e di consolidare le proprie economie. Significativa a questo proposito è l’autosufficienza a livello di produzione alimentare, contestualmente alla possibilità di diversificare le proprie economie per affrancarsi dalle importazioni.

A tale scopo è fondamentale il contributo delle piccole e medie imprese, importante fonte di occupazione. Dobbiamo esaminare con occhio critico e, se necessario, rimuovere alcuni sussidi all’esportazione che promuovono l’agricoltura nell’Unione europea, ma che sono parzialmente responsabili del declino del settore agricolo nei paesi in via di sviluppo. Altro punto cruciale è l’abolizione dei paradisi fiscali. Sebbene la presente relazione contenga misure positive, mi sono astenuto dal voto, poiché le misure proposte non saranno vincolanti in materia di aiuti allo sviluppo. La situazione attuale non cambierà di fronte a semplici dichiarazioni di intenti, mentre enormi somme di denaro destinate agli aiuti continueranno a svanire nel nulla a causa della corruzione.

 
  
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  Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto.(PL) Il problema della riduzione della povertà richiede che il Parlamento europeo ponga maggiore enfasi sugli standard sociali, che influenzano fortemente il tenore di vita della popolazione nei paesi in via di sviluppo. L’Unione europea ha il dovere di lottare contro il lavoro minorile e il lavoro forzato. Non possiamo dimenticare che l’agricoltura è la principale fonte di sostentamento per milioni di persone che vivono nei paesi in via di sviluppo.

Desidero inoltre esprimere la mia piena approvazione riguardo alla proposta di sostegno alle piccole aziende agricole contenuta nella presente relazione, nonché l’appello ad un maggior rispetto delle tradizioni locali relative all’uso comune dei terreni a fini agricoli, che per secoli ha garantito un tenore di vita dignitoso alla popolazione.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − L'Unione europea ha la prerogativa di legiferare e concentrarsi sulle necessità e istanze del proprio territorio, ma non può e non deve dimenticare le responsabilità che ha nei confronti del resto del mondo, in particolare verso i paesi in via di sviluppo.

La relazione della collega si pone proprio questo obiettivo: la riduzione della povertà e la creazione di posti di lavoro nei paesi in via di sviluppo hanno un'importanza per le popolazioni di questi paesi ma anche per le nostre. Nella maggior parte dei casi, infatti, sono proprio la povertà e la ricerca di un lavoro che spingono migliaia di disperati a compiere viaggi della speranza per cercare un futuro migliore.

Ritengo, quindi, che una strategia volta a creare in loco, sul territorio certe condizioni sia da sostenere e rappresenti un beneficio per i paesi che la ricevono e per l'Unione europea che la sostiene.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) L’oggetto della presente relazione è estremamente attuale ed urgente, nonché strategico. È attuale ed urgente, poiché è risaputo che i tassi di povertà sono aumentati a livello globale, contestualmente ad un incremento del divario tra ricchi e poveri. È però anche strategico, poiché gli investimenti europei volti alla riduzione della povertà e alla creazione di occupazione nei paesi in via di sviluppo svolgono un ruolo decisivo da molti punti di vista: in ambito sociale promuovono la soddisfazione sociale; in ambito economico stimolano l’economia; in termini morali danno espressione ai valori in cui crediamo.

La mia approvazione della presente relazione nella sua forma attuale, tuttavia, non sminuisce l’urgenza di realizzare tutto questo anche in Europa. E non soltanto per le ragioni attribuite ai paesi in via di sviluppo, ma soprattutto per la nostra profonda convinzione che abbiamo un maggiore dovere di solidarietà reciproca, e poiché ritengo che noi europei non saremo in grado di aiutare nessun altro se prima non miglioriamo la nostra situazione.

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto. (RO) Una crescita economica robusta e sostenibile in un ambiente stabile contribuisce a creare ricchezza e lavoro qualificato, ponendo allo stesso tempo le basi per debellare la povertà in modo definitivo e sostenibile. Fame, malnutrizione e mancanza di accesso ai beni alimentari e ai servizi pubblici di base per milioni di persone, sono conseguenze di politiche economiche, agricole e commerciali fallimentari, promosse e attuate nei paesi in via di sviluppo. Le strategie di sviluppo dovranno concentrarsi principalmente sui gruppi più vulnerabili ed emarginati, quali donne, bambini, anziani e persone diversamente abili.

Alla luce di quanto illustrato, sono fermamente convinta che i paesi in via di sviluppo debbano concentrare i loro sforzi nella lotta al lavoro minorile, a cui deve seguire la creazione di posti di lavoro qualificati e sostenibili per gli adulti, nonché l’accesso universale ad un’istruzione adeguata per i minori. Devono inoltre dare priorità al sostegno dei fabbisogni sociali di base e alla promozione della protezione dei bambini e delle donne vulnerabili, duramente colpiti dalla crisi, dei giovani a rischio, dei lavoratori a basso reddito, non qualificati e migranti, dei lavoratori rurali e delle persone diversamente abili.

 
  
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  Miguel Portas (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Mi sono espresso a favore della presente risoluzione, perché, tra le altre cose, pone l’accento sulla lotta al lavoro minorile; esorta l’Unione europea a riconoscere il contributo dell’economia sociale; invita i paesi in via di sviluppo ad estendere la proprietà fondiaria ai poveri e ai soggetti espropriati, concedendo per esempio agli abusivi delle baraccopoli il diritto di proprietà sul terreno che occupano; difende la libertà di associazione dei sindacati ed il diritto alla negoziazione collettiva; si oppone a diverse forme di discriminazione; richiede una revisione delle politiche di privatizzazione, in special modo per quanto riguarda i servizi pubblici come l'acqua, le reti fognarie ed i servizi di interesse generale; invita infine a riconsiderare il ruolo sociale degli Stati nella governance per lo sviluppo, compreso il ruolo delle imprese statali in qualità di datori di lavoro e fornitori di servizi.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) La nostra astensione dal voto è dovuta al fatto che è stata adottata la versione originale del paragrafo 94, in cui si esortano la Commissione e gli Stati membri ad “adottare un approccio coerente che rispetti i principi del libero mercato e che garantisca la reciprocità nel settore del commercio”.

 
  
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  Oreste Rossi (EFD), per iscritto. − Pur essendo un testo positivo che individua nel motto "Aiutarli a casa loro" la via migliore per sostenere le popolazioni povere del mondo, il provvedimento si spinge oltre arrivando a chiedere la rendicontazione fiscale paese per paese, ulteriori finanziamenti contro gli effetti del cambiamento climatico, una revisione delle politiche di sussidio per l'agricoltura.

È stato anche approvato dall'Aula un emendamento che accusa gli aiuti agli agricoltori europei, concessi dall'UE, di aver distrutto i mercati dei paesi in via di sviluppo. Pur essendo favorevole alla maggior parte dei propositi della risoluzione in cui si evidenzia anche la necessità di coordinare gli aiuti in modo globale, esprimo il voto contrario.

 
  
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  Joanna Senyszyn (S&D), per iscritto.(PL) Mi sono espressa a favore della relazione sulla riduzione della povertà e la creazione di occupazione nei paesi in via di sviluppo. La lotta alla povertà è al primo posto tra le priorità della strategia Europa 2020, che indica le aree in cui l’Unione europea dovrà concentrare i propri sforzi nei prossimi anni. Tale obiettivo riguarda 120 milioni di europei che attualmente vivono in povertà. Per debellare la piaga della povertà nei paesi in via di sviluppo, è necessario eliminarla prima dall’Europa.

L’istruzione è un aspetto importante, così come la qualificazione professionale, in quanto sono i mezzi più efficaci per trovare lavoro e dare una svolta ad una vita di povertà e stenti. È cruciale garantire l’accesso all’istruzione, nei paesi in via di sviluppo, a tutti i bambini, senza distinzione di genere. Perfino in paesi caratterizzati da un reddito pro capite relativamente alto, l’accesso all’istruzione è spesso precluso ad alcuni gruppi sociali (minoranze e bambine); nei paesi più poveri, invece, solo il 50 per cento dei bambini frequenta la scuola.

Nell’ambito dei progetti di aiuto, l’Unione europea deve prestare maggiore attenzione al materiale didattico, ai pasti, ai pulmini scolastici. È essenziale introdurre una legislazione specifica per l’istruzione, l’assistenza sociale ai bambini ed il sostegno agli studenti che desiderano recarsi a studiare all’estero, contestualmente a programmi che ne incoraggino il ritorno in patria per mettere le proprie qualifiche a disposizione del bene del proprio paese. È infine fondamentale una campagna di sensibilizzazione sul problema del lavoro forzato dei minori.

 
  
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  Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), per iscritto. (FR) Ho deciso di astenermi dalla votazione sulla relazione, in quanto contiene disposizioni a dir poco contraddittorie.

Da una parte invita a rivedere le politiche di privatizzazione, in particolare per quanto riguarda i servizi pubblici; sostiene le relative misure di investimento; sottolinea l’impatto positivo sullo sviluppo della proprietà concessa agli abusivi e dell’economia sociale, ed evidenzia la necessità di implementare le convenzioni dell’OIL sugli standard di lavoro internazionali.

Allo stesso tempo, però, la maggioranza in Parlamento ha adottato un paragrafo, che ritengo inaccettabile, nel quale esorta gli Stati membri e la Commissione a rispettare i principi fondamentali del libero mercato.

 
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