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Procedura : 2008/0193(COD)
Ciclo di vita in Aula
Ciclo dei documenti :

Testi presentati :

A7-0032/2010

Discussioni :

PV 18/10/2010 - 13
CRE 18/10/2010 - 13

Votazioni :

PV 20/10/2010 - 6.5
CRE 20/10/2010 - 6.5
Dichiarazioni di voto
Dichiarazioni di voto

Testi approvati :

P7_TA(2010)0373

Resoconto integrale delle discussioni
Lunedì 18 ottobre 2010 - Strasburgo Edizione GU

13. Miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento - Lavoratrici precarie (discussione)
Video degli interventi
Processo verbale
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta, le seguenti relazioni:

- la relazione (A7-0032/2010), presentata dall’onorevole Estrela, a nome della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 92/85/CEE concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento [COM(2008)0637 - C6-0340/2008 - 2008/0193(COD)] e la relazione (A7-0264/2010), presentata dall’onorevole Thomsen, a nome della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, sulle lavoratrici precarie [2010/2018(INI)].

 
  
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  Edite Estrela, relatore.(PT) Desidero innanzi tutto ringraziare il relatore ombra e la relatrice per parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali per la collaborazione e il lavoro svolto congiuntamente. Vorrei porgere altresì i miei ringraziamenti alle numerose organizzazioni non governative e ai sindacati, agli esperti che hanno preso parte al workshop di presentazione sullo studio dell’impatto finanziario, alla segreteria della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere e del mio gruppo politico, al dipartimento tematico del Parlamento europeo e ai miei assistenti. Il loro lavoro è stato instancabile ed hanno dimostrato grande professionalità ed abilità.

Questa direttiva ha già diciotto anni e non è aggiornata. Il riesame è stato lungo e problematico, ma è arrivato il momento che Parlamento risponda alle aspettative e alle necessità delle famiglie europee senza ulteriore indugio.

Le proposte, adottate dalla commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, garantiscono il duplice obiettivo derivante dall’estensione della base giuridica: la difesa della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento e la promozione della parità di genere e della conciliazione tra vita professionale e familiare, contribuendo, al contempo, ad arginare il declino demografico degli ultimi decenni.

Cento anni fa la popolazione europea rappresentava il 15 per cento della popolazione mondiale; si stima che nel 2050 questo dato non supererà il 5 per cento. L’invecchiamento e la conseguente diminuzione della popolazione attiva mettono a repentaglio la sostenibilità dei sistemi di sicurezza sociale e della stessa crescita economica. Proprio per questo, la maternità non deve essere percepita come una malattia o un onere per l’economia, ma piuttosto come un servizio fornito alla società.

La durata del congedo di maternità nei 27 Stati membri si colloca tra le 14 e le 52 settimane; il pagamento del congedo è anch’esso molto diverso con una retribuzione pari al 100 per cento in 13 paesi. Comprendo che l’attuale situazione economica non favorisca l’incremento delle spese sociali, ma questo rappresenta un buon investimento nel nostro futuro comune e, al contrario di quanto affermato, non presenta costi molto elevati. Lo studio dell’impatto economico conclude che i costi indicati nella proposta della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere saranno completamente coperti se si raggiungerà un incremento anche solo dell’1 per cento nella partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Queste proposte sono equilibrate, fattibili e in linea con le raccomandazioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) e dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS).

Venti settimane sono un periodo sufficiente per permettere alle donne di riprendersi dal parto, allattare al seno e creare un legame solido con il figlio. Un periodo di congedo più lungo potrebbe ripercuotersi sul loro reinserimento nel mercato del lavoro. Il pagamento del 100 per cento della retribuzione è giusto, in quanto le famiglie non devono essere penalizzate finanziariamente per avere i figli che desiderano e soprattutto i figli di cui ha bisogno l’Europa per affrontare la sfida demografica.

Il diritto al congedo di paternità è già riconosciuto in 19 Stati membri, che prevedono un pagamento pari all’80 o al 100 per cento della retribuzione media. La partecipazione dei padri nella vita dei figli contribuisce al sano sviluppo psicofisico ed emotivo dei bambini ed è un diritto per entrambi.

Nel corso dell’intero processo, ho espresso la mia completa disponibilità in merito ad un consenso più ampio e mi auguro che chi ha a cuore il benessere delle donne, delle famiglie e dei bambini sosterrà la presente relazione. Alla luce degli obiettivi della strategia Europa 2020, non vi sarà alcuna giustificazione per non accordare un congedo di maternità di 20 settimane pienamente retribuito a partire dal 2020. Vi esorto quindi a sostenere gli emendamenti nn. 126, 127 e 128. Per la stessa ragione, non posso quindi appoggiare gli emendamenti che mirano a ridurre in modo scandaloso i diritti delle famiglie.

 
  
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  Britta Thomsen, relatore. (DA) Signor Presidente, discutiamo oggi delle condizioni di lavoro delle lavoratrici, in quanto uomini e donne sperimentano condizioni diverse nel mercato del lavoro. Le donne sono molto indietro, rispetto agli uomini, in termini di retribuzioni, pensioni, posti manageriali e ruoli dirigenziali. Come mai prima d’ora, si rende necessario l’intervento dell’Unione europea per migliorare la situazione delle donne nel mercato del lavoro al fine di rendere l’Europa conforme al trattato. Dobbiamo garantire la parità nel mercato del lavoro alle donne, siano esse portoghesi, polacche, belghe, bulgare o altro.

Un considerevole e fondamentale passo avanti verso una completa parità è costituito da una nuova e moderna legislazione europea sul congedo di maternità. Esistono diverse buone ragioni per creare una nuova legislazione in Europa sull’argomento: esiste innanzi tutto il rischio che a breve l’Unione europea affronti una crisi demografica, che potrà essere almeno tanto grave quanto la crisi economica che stiamo ancora oggi attraversando. Le donne europee purtroppo non hanno abbastanza figli. Se in futuro vogliamo mantenere la nostra competitività e stimolare la crescita, che è essenziale per salvaguardare il nostro livello di prosperità, deve aumentare il numero di nascite nell’Unione europea. Una legislazione sul congedo di maternità che motivi le famiglie ad avere figli è quindi necessaria.

Uno standard comune elevato per il congedo di maternità è essenziale per un mercato interno efficace. L’obiettivo del mercato interno non deve riguardare soltanto i beni economici, ma deve mirare anche ad assicurare elevati standard sociali per i lavoratori. Non devono esistere condizioni di concorrenza divergenti, che rendano vantaggiosa una riduzioni delle condizioni lavorative delle donne, trasformandole quindi in vittime del dumping sociale.

I padri devono avere diritto ad un congedo di paternità di due settimane pienamente retribuito. Se vogliamo ottenere uguaglianza tra uomini e donne, è necessario comprendere che anche gli uomini, e quindi il congedo di paternità, rivestono un ruolo importante. Questo avrà un effetto positivo sull’uguaglianza, sui bambini e sui padri stessi.

I lobbisti delle associazioni professionali sostengono che sia una pazzia e che non possiamo permetterci una migliore legislazione sul congedo di maternità. Oserei dire che è esattamente il contrario: non possiamo permetterci di non adottare una nuova e moderna legislazione sul congedo di maternità. È una questione che riguarda la sicurezza e la salute delle donne e dei bambini nell’Unione europea e non è uno scherzo.

Dobbiamo aumentare la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro in tutta l’Unione europea, perseguendo l’obiettivo della strategia Europa 2020 di inserire il 75 per cento delle donne sul mercato del lavoro. Questa sarà una delle maggiori sfide poiché, come sappiamo, attualmente solo il 60 per cento delle donne lavora. Dobbiamo però riuscirci e disporre di buone infrastrutture di assistenza ai bambini e la piena retribuzione durante il congedo di maternità sono indubbiamente la via da seguire. Solo se preveniamo la discriminazione contro le donne, riusciremo ad aumentare la loro presenza nel mercato del lavoro.

Un altro passo importante verso una maggiore uguaglianza nel mercato del lavoro è costituito dalla relazione sulle lavoratrici precarie, per la quale sono relatrice. Sfortunatamente, le donne sono sovrarappresentate quando si tratta di questi lavori; in particolare, le donne che lavorano presso privati hanno condizioni di lavoro precarie, caratterizzate, tra le altre cose, da scarsa o nessuna sicurezza del posto di lavoro, dalla mancanza di sicurezza sociale, da un alto rischio di discriminazione e da un ambiente di lavoro difficile. Non possiamo permettere che le donne lavorino in simili condizioni, che ritengo del tutto inadeguate. L’Unione europea deve sostenere gli Stati membri al fine di sostituire i posti di lavoro precari con occupazioni adeguate che offrano condizioni di lavoro dignitose. Per troppo tempo abbiamo trascurato di affrontare la questione delle lavoratrici vulnerabili e mi auguro che la Commissione prenda seriamente in considerazione questo testo e contribuisca a prendersi cura di alcuni cittadini tra i più vulnerabili dell’Unione europea.

 
  
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  Maroš Šefčovič, Vicepresidente della Commissione. (EN) Signor Presidente, sono lieto di sostituire la Vicepresidente Reding questa sera, in occasione di una discussione tanto importante, in quanto affronteremo due relazioni quanto mai attuali su questioni che sono al cuore dei diritti fondamentali e dell’uguaglianza di genere. A nome della Commissione, desidero porgere i miei più sentiti ringraziamenti alle due relatrici, gli onorevoli Thomsen ed Estrela, le quali hanno svolto entrambe un eccellente lavoro.

Queste due relazioni si occupano della situazione spesso difficile incontrata dalle donne nel mercato del lavoro dell’Unione europea. Il contributo delle donne è fondamentale per conseguire il nostro ambizioso obiettivo di un tasso generale di occupazione del 75 per cento entro il 2020, ma questo risultato non può essere ottenuto senza garantire i diritti fondamentali delle lavoratrici. Proprio di questo discuteremo stasera.

Vorrei iniziare parlando delle lavoratrici precarie. Abbiamo compiuto considerevoli progressi negli ultimi anni in merito all’integrazione delle donne nel mercato del lavoro, ma, come sappiamo, è più probabile che siano le donne ad occupare posti di lavoro precari rispetto agli uomini. Certe forme di lavoro precario svolto dalle donne, come il lavoro domestico retribuito e l’assistenza, sono invisibili sul mercato del lavoro. Se le donne non occupano posti dignitosi, non potranno ottenere l’indipendenza economica, un requisito fondamentale per controllare la propria vita.

Dobbiamo affrontare le cause alla base della maggiore probabilità delle donne di occupare posti di lavoro precari: stereotipi, la ripartizione ineguale delle responsabilità domestiche e familiari, la sottovalutazione dei posti di lavoro in cui le donne sono sovrarappresentate. Dobbiamo garantire, al contempo, che la sempre maggiore forza lavoro di donne immigrate, spesso sfruttate nell’economia sommersa, sia integrata nel mercato del lavoro. La nostra nuova strategia per la parità di genere si occupa di tutti questi argomenti e dobbiamo mobilitare tutti gli strumenti a nostra disposizione per compiere dei progressi in merito alla sua attuazione.

Mi permetta di aggiungere alcune considerazioni sulla direttiva sulle lavoratrici gestanti.

È chiaro che standard più elevati per il congedo di maternità nell’ambito dell’Unione europea, così come una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, modelli familiari mutevoli e la gestione della pressione demografica sono elementi fondamentali per garantire la sicurezza e la salute di madre e figlio.

I principali punti delle proposte della Commissione comprendono l’estensione di quattro settimane del congedo di maternità per conformarsi alle raccomandazioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro; l’incoraggiamento a concedere un’indennità più elevata; una maggiore flessibilità per le donne, che permetta loro di lavorare fino a poco prima del parto; il diritto di richiedere un orario di lavoro flessibile.

Con questi obiettivi, la Commissione vuole proteggere i diritti delle donne , concedere il tempo sufficiente per riprendersi dal parto e creare un legame con il figlio, nonché garantire la sicurezza finanziaria delle donne durante il congedo di maternità.

Desidero esprimere i miei complimenti all’onorevole Estrela per questa relazione dettagliata, che migliora, sotto molti aspetti, la proposta originaria della Commissione.

La Commissione condivide, innanzi tutto, l’enfasi posta sul ruolo dei padri. Il rafforzamento del congedo parentale, ottenuto attraverso una nuova direttiva adottata all’inizio di quest’anno, costituisce un importante passo avanti. L’introduzione del congedo parentale all’interno della direttiva sulle gestanti non è tuttavia in linea né con l’obiettivo generale che perseguiamo, né con la base giuridica su cui poggia la proposta, ovvero l’articolo 153 riguardante la sicurezza e la salute sul lavoro delle donne gestanti e l’articolo 157, che permette all’Unione europea di intervenire in materia di parità di retribuzione tra uomini e donne.

Desidero evidenziare che la Commissione continuerà a prendere in esame la questione. È attualmente in corso un approfondito studio dei costi e dei benefici in vista di una eventuale iniziativa separata in questo ambito. Al contempo però, la Commissione non può acconsentire ad indebolire il diritto delle donne di rifiutarsi di lavorare di notte.

Per quanto riguarda la durata del congedo e il pagamento delle donne durante questo periodo, vorrei fare una precisazione. La Vicepresidente Reding ha incontrato alcuni ministri negli ultimi mesi, i quali hanno chiarito che i sistemi nazionali in materia di congedo funzionano bene e che non è possibile, alla luce degli attuali vincoli finanziari, aumentare né la durata né la retribuzione. La Commissione ha tuttavia affermato con estrema chiarezza che non è disposta a ridurre le ambizioni di questa proposta.

Desidero infine evidenziare, alla luce di quanto sinora esposto, che la Commissione vuole fissare il livello minimo di protezione, in considerazione dei diversi modelli di riconciliazione e congedo per motivi familiari negli Stati membri. La Commissione ritiene che la sua proposta costituirà una base valida per un accordo tra Consiglio e Parlamento e desidera ringraziare quest’ultimo per avere introdotto una serie di emendamenti che rafforzano o chiariscono le proposte.

In sintesi, la proposta si prefigge di rafforzare la tutela della sicurezza e della salute delle donne, di aumentare le loro prospettive occupazionali e di contribuire ad affrontare l’invecchiamento demografico. Attendo con impazienza i vostri contributi e suggerimenti in merito a queste due importanti questioni.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ANGELILLI
Vicepresidente

 
  
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  Rovana Plumb, relatore per parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali.(RO) Signor Commissario, onorevoli colleghi, in qualità di relatrice per parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, vi dico che il nostro intento era contribuire, con i miglioramenti apportati in questa relazione, alle politiche che favoriscono il raggiungimento dell’obiettivo sull’aumento del tasso di occupazione e sul miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro.

Quando parliamo di obiettivi della strategia Europa 2020 bisogna pensare alle persone e metterle al primo posto: in questo contesto pensiamo alle donne. In base al nuovo orientamento adottato non si deve più penalizzare la maternità, soprattutto in considerazione del calo della natalità, per non parlare del progressivo invecchiamento e impoverimento della popolazione che creano un urgente problema di sostenibilità dei piani di previdenza sociale.

Tutte le misure che proponiamo proteggeranno le donne sul lavoro, sia in gravidanza sia dopo il parto. Le misure proposte dalla relazione rappresentano inoltre un investimento per il futuro dell’Europa. Vogliamo la garanzia di un congedo di maternità pienamente retribuito. Pensiamo alla necessità di non penalizzare più la maternità nell’Unione europea nel XXI secolo, e di garantire alle donne tutte le condizioni per avere un lavoro decente.

 
  
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  Thomas Händel, relatore per parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali.(DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, indubbiamente negli ultimi anni sono stati compiuti progressi nell’uguaglianza di genere, eppure molte donne sono ancora costrette a svolgere lavori poco qualificati, e non solo per quanto riguarda le tradizionali attività in ambito familiare. La recente deregolamentazione spesso ha portato a un’occupazione dove la previdenza sociale obbligatoria è sostituita da condizioni lavorative atipiche, precarie e incerte. Ne sono state colpite soprattutto le donne. Tra il 2000 e il 2010, in Europa il 60 per cento dell’occupazione è stato rappresentato da lavori nuovi, precari e atipici principalmente – per due terzi – svolti da donne. Esse sono spesso escluse dalla partecipazione democratica nelle aziende per il fatto di essere assunte a tempo parziale e in condizioni di precariato. Eppure, le donne ora si impegnano molto di più e sono molto più preparate rispetto alle scorse generazioni. Ciononostante guadagnano in media il 25 per cento in meno rispetto agli uomini.

La commissione per l’occupazione e gli affari sociali ha esaminato con molta attenzione la questione e sviluppato buone proposte sul tema dell’occupazione femminile: l’inclusione nei sistemi di previdenza sociale a prescindere dalla tipologia di lavoro, la creazione di strutture per l’assistenza all’infanzia, l’allineamento delle pensioni di anzianità e dei sistemi previdenziali a un’organizzazione indipendente della vita, e l’organizzazione del lavoro in base ai principi del “buon lavoro”. Tutto questo, sostanzialmente, è contenuto nella relazione sulle lavoratrici precarie. La nostra commissione è soddisfatta di questi risultati e invita l’Assemblea a votare a favore della relazione presentata.

 
  
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  Anna Záborská, a nome del gruppo PPE. (SK) Questa relazione rappresenta già il secondo tentativo di formulare la posizione del Parlamento sui criteri minimi di tutela delle madri nell’Unione europea.

Quasi tutte le 27 delegazioni dei sette gruppi hanno pareri divergenti; lo stesso dicasi per il gruppo Democratico cristiano cui appartengo. Ad oggi molti europarlamentari hanno riconosciuto le conseguenze del nostro voto sulle economie nazionali poiché il suddetto studio ha considerato solo 10 Stati membri. Lavoro in politica da 20 anni e raramente ho visto una situazione così complessa. La vita inizia nel corpo della madre, ed è per questo che dobbiamo proteggerne la salute prima e dopo il parto. La tutela della madre, considerata una spesa sociale, non deve diventare un ostacolo alla sua occupazione. La madre non deve entrare in conflitto con la donna lavoratrice. Se raccomandiamo alle donne giovani e istruite di avere figli e, contemporaneamente, ci rifiutiamo di riconoscere la maternità e non diamo loro la possibilità di occuparsi dei figli, non riusciremo mai a invertire il processo di sviluppo demografico.

La tutela della madre deve essere considerata in relazione all’assistenza data dal padre, alla struttura naturale della famiglia e alla necessità dell’amore materno per il neonato. I bambini non sono solo futuri contribuenti. Personalmente sono d’accordo sui criteri massimi proposti dalla relazione. Al contempo auspico siano introdotte disposizioni per sostenere il reintegro delle madri quando decidono di riproporsi sul mercato del lavoro. È comunque fuori luogo parlare di tutela delle madri e pari opportunità insieme. Personalmente preferirei che la Commissione avanzasse una proposta basata su una visione d’insieme della gravidanza, del parto e della successiva assistenza. Questa direttiva potrebbe rimanere in vigore per due decenni; oggi ci troviamo solo agli inizi di un lungo e difficile processo decisionale. Mi chiedo se vogliamo considerare il futuro sviluppo socioeconomico solo in base alla situazione finanziaria in cui ci troviamo. Tutti questi elementi oggi rappresentano la posta in gioco.

 
  
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  Marc Tarabella, a nome del gruppo S&D.(FR) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, benché il Commissario sia intervenuto a nome della Vicepresidente Reding e della Commissione per esprimere la riluttanza di quest’ultima a integrare nel testo il congedo di paternità, oggi vorrei esprimermi soprattutto a nome di tutti i padri in Europa che non hanno ancora diritto al congedo di paternità.

La natura non ci ha concesso il diritto di partorire, ma la società può veramente privarci del diritto di condividere i primi momenti della vita di un figlio? Anche i padri sono genitori, non dimentichiamolo. La società deve permetterci di valorizzare al massimo i nostri figli per tessere con loro un legame speciale sin dalla nascita.

Per questo faccio appello a tutti i colleghi per votare in massa a favore dell’introduzione di un congedo di paternità di due settimane pienamente retribuito in tutta l’Unione europea. Essendo in tema, esorto inoltre la Commissione europea e il Consiglio ad appoggiarci, e lo ripeto: come potete opporvi alla richiesta di creare un nuovo diritto per i padri a livello europeo?

Chiedo inoltre a tutti i colleghi di sostenere la relazione Estrela in ogni suo aspetto. Quanto a chi adduce come scusa la crisi economica per negare alle donne un congedo di maternità di durata più consona e, cosa ancora più importante, una retribuzione adeguata, e agli uomini il congedo di paternità, chiedo francamente: perché tornate sempre sull’acquis sociale in caso di crisi economica?

Non vi rendete conto che tutti i costi economici saranno compensati da un maggiore coinvolgimento della donna nel mercato del lavoro, da meno discriminazione, dall’uguaglianza di genere, da una migliore conciliazione tra vita privata e vita professionale e quindi, a lungo termine, da reali vantaggi economici?

Infine, a chi vuole sacrificare padri e madri sull’altare della crisi economica, lo ripeto: non possiamo permetterci di risparmiare sui diritti fondamentali. Questa è anche una battaglia per una società più umana e, in questo periodo di crisi, la famiglia è sempre più il nostro ultimo baluardo dinanzi ai tormenti della vita.

 
  
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  Siiri Oviir, a nome del gruppo ALDE.(ET) Signor Commissario, onorevoli colleghi, da anni il Parlamento europeo sistematicamente chiede la tutela delle lavoratrici gestanti e l’aggiornamento della normativa in essere sul congedo di maternità. La direttiva in materia esiste da 18 anni. Il futuro demografico dell’Europa non è incoraggiante. Dopo avere discusso la situazione, nel 2008 abbiamo adottato una risoluzione in Assemblea per l’adozione di misure sulla durata e la tutela del congedo di maternità essendo certi che, con una politica adeguata, sia possibile influenzare la curva di fertilità creando un contesto finanziariamente e psicologicamente vantaggioso per la famiglia.

Il vigente trattato dell’Unione europea conferisce al Parlamento la base giuridica per adottare la direttiva oggetto del dibattito. Abbiamo parlato a lungo di pari opportunità tra uomo e donna, di pari diritti nel mercato del lavoro, ed è evidente che l’allungamento del congedo di maternità e il congedo di paternità creeranno basi migliori. È un dato di fatto che la gravidanza e il parto siano un impegno per il corpo della donna. La direttiva mira a tutelare la sua salute, motivo per cui è importante godere di un periodo di congedo che permetta di rimettersi in salute, consentendo anche alla madre di allattare i figli per garantirne la salute e lo sviluppo.

Vorrei dire qualche parola sul congedo di paternità. Chi altri deve sostenere il neonato se non suo padre? Sono a favore dell’introduzione del congedo di paternità, retribuito alla stessa stregua del congedo di maternità. I cittadini spesso reclamano che la normativa dell’Unione europea è complicata, non lo capite? Non complichiamo ulteriormente la situazione, introduciamo il congedo di paternità con la stessa durata del congedo di maternità nella direttiva che lo regolamenta. Per quanto attiene ai costi siamo in un periodo di crisi economica, o meglio, vi stiamo uscendo, ma non è una giustificazione per rifiutarsi di retribuire il congedo di maternità in misura adeguata al XXI secolo. L’analisi ha rivelato che dobbiamo solo aumentare l’occupazione femminile dell’1 per cento e i costi sarebbero equilibrati.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda, a nome del gruppo Verts/ALE.(ES) Signora Presidente, non sono bei tempi per la maternità, ma lo sono ancor meno per la paternità.

Questo perché alcune forze politiche e alcuni gruppi imprenditoriali sono sempre ancorati alla vecchia convinzione che avere figli è un lavoro che compete esclusivamente alle donne.

Bene, onorevoli colleghi, non è così. Non lo è affatto. È una responsabilità sociale che si deve assumere collettivamente l’intera società. Di questo parliamo oggi. Di questo stiamo discutendo: chi deve assumersi la responsabilità e il costo di avere figli, che devono anche essere il nostro futuro?

Ovviamente solo le donne possono rimanere incinta e dare alla luce un figlio, nessuno lo mette in discussione. Quello che mettiamo in discussione è che siano solo le donne a pagarne il prezzo nella vita professionale e ad assumersi la responsabilità nella vita privata.

Alla fine dello scorso mandato abbiamo avuto l’opportunità di fare un enorme passo avanti su questo tema a livello europeo, e non siamo riusciti a farlo perché è stato impedito da una parte considerevole dell’Assemblea, ovvero dalla sezione più conservatrice dell’Aula: fazioni del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) e del gruppo dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa, alcune delegazioni, non tutte, ma alcune delegazioni. Così si è impedito alle madri di godere di più diritti. Non dimentichiamolo.

Quello che oggi abbiamo sul tavolo è una nuova opportunità di correggere parte del problema. La relazione Estrela, già adottata dalla commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, è una buona soluzione di compromesso e di consenso, che credo dovremmo appoggiare mercoledì in fase di votazione.

Conferisce più diritti alle lavoratrici gestanti in Europa, garantisce il mantenimento dei loro stipendi, obbliga i padri ad assumersi le loro responsabilità, assicurando inoltre alle gestanti che non perderanno i loro diritti spostandosi tra paesi dell’Unione europea. Tutto questo è importante e non dobbiamo mai perderlo di vista.

Se durante le votazioni di mercoledì perderemo alcuni di questi punti fondamentali penso sia necessario essere chiari e che ai genitori europei sia chiaro che non è un caso, e che in un contesto tanto importante non si può usare la scusa della crisi economica.

C’è una crisi evidente, e dobbiamo assumercene la responsabilità. Non devono però assumersela le madri. Lo si può capire se ci rendiamo conto che non stiamo parlando di un costo, bensì di un investimento. È un investimento nel futuro e in una società molto più sana.

Questa è la discussione che avremo durante la votazione di mercoledì. Personalmente appoggio la relazione Estrela e auspico che la maggioranza dell’Assemblea faccia esattamente lo stesso perché, in caso contrario, metteremo in pericolo non solo la salute delle madri lavoratrici, ma anche lo stato sociale che abbiamo tanto cercato di raggiungere in Europa.

 
  
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  Marina Yannakoudakis, a nome del gruppo ECR.(EN) Signora Presidente, un famoso imprenditore una volta ha affermato che, se esasperata, la normativa in materia di uguaglianza non fa che diminuire le possibilità di una donna di trovare lavoro.

Alle imprese non è consentito chiedere a una donna se ha intenzione di avere figli, e quindi è facile: non la assumono. Questa, purtroppo, è la triste realtà del congedo di maternità obbligatorio integralmente retribuito di cui si parla nella relazione.

Se a ciò associate gli effetti economici sulle PMI (2,6 miliardi di sterline nel Regno Unito, 1,7 miliardi di euro in Germania) questa relazione rappresenta senza dubbio un pericolo nella realtà economica attuale.

La differenza sarebbe enorme togliendo la clausola sulla maternità: la relazione si concentrerebbe sul tema originale, ovvero la salute e la sicurezza delle gestanti e delle puerpere.

Chiedo ai colleghi della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere di tornare a concentrarsi sui punti fondamentali e di fare ciò che è giusto per le donne. Esse devono avere possibilità di scelta, devono avere gli strumenti per scegliere. I datori di lavoro devono poter sostenere la donna senza che ciò ne comprometta la validità economica. Gli Stati membri devono poi rafforzare le economie creando in tal modo opportunità.

I Conservatori e Riformisti europei hanno presentato un emendamento che affronta molte questioni sollevate dalla clausola sul congedo obbligatorio integralmente retribuito, che chiedo ai colleghi di approvare per garantire la fattibilità della relazione.

L’Unione europea non intende fare un’opera di ingegneria sociale con le sue politiche. È ingenuo pensare che un congedo di maternità retribuito incoraggi le donne ad avere figli. I figli rimangono per tutta la vita, i costi rimangono per tutta la vita. Quindi, per favore, non ditemi che aumenteremo la popolazione dando un congedo di maternità pienamente retribuito per venti settimane.

La relazione presenta molti punti deboli, come dimostrato dalla valutazione d’impatto richiesta dai Conservatori e Riformisti europei. Il punto adesso è se rafforzarla così com’è o ripartire da zero.

 
  
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  Eva-Britt Svensson, a nome del gruppo GUE/NGL.(SV) La discussione sulla direttiva legata al congedo di maternità e sulla relazione di iniziativa sulle lavoratrici precarie spiega il motivo fondamentale per cui il lavoro promuove l’uguaglianza. In tutti gli ambiti politici, l’uguaglianza si basa sull’opportunità e l’esistenza di presupposti che garantiscono l’indipendenza della donna. Il prossimo mercoledì avremo la possibilità di spianare la strada alla piena partecipazione della donna al mercato del lavoro.

Mi rammarico del fatto che, nel 2010, si stia ancora parlando di congedo di maternità e non di congedo parentale. Credo sia evidente il diritto del bambino ad avere entrambi i genitori, e che in questo caso si debba anche considerare la Convenzione sui diritti del fanciullo. Stiamo discutendo i diritti delle madri e dei padri, ma dobbiamo anche discutere il diritto – il diritto incondizionato – del bambino a stabilire un forte legame con entrambi i genitori.

Abbiamo parlato a gran voce dei costi del congedo e usato toni molto diversi da quelli usati per discutere i milioni di euro a sostegno, tra le altre cose, delle banche e dell’industria automobilistica. Talvolta mi chiedo se sia più facile accettare i costi nei settori tradizionalmente maschili che non in relazione alle questioni di uguaglianza e al diritto di un bambino di avere vicino a sé entrambi i genitori.

Inoltre, penso che i costi siano stati discussi senza tenere conto dei vantaggi personali e socioeconomici insiti in questa proposta. Molti hanno fatto riferimento al futuro demografico, al fatto che nascono troppo pochi bambini. Ora, però, possiamo dare la possibilità di avere più figli.

Insieme al gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica appoggio le proposte delle onorevoli Estrela e Thomsen, che abbiamo approvato in seno alla commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere dando maggiori possibilità.

Intravedo però alcuni problemi per certi Stati membri che godono di un congedo parentale di gran lunga migliore. Vorrei che questa fosse una normativa che attribuisca diritti, non che imponga obblighi a un genitore. Vorrei inoltre che la Convenzione sui diritti del fanciullo e il diritto del bambino ad avere entrambi i genitori fossero molto più evidenti.

Vi sono poi problemi sul livello retributivo in alcuni Stati membri. Durante il dibattito qualcuno ha detto che oggi i datori di lavoro chiedono alle donne in età fertile se intendono avere figli. Spero quindi che in futuro, in un futuro molto prossimo, faremo la stessa domanda ai padri perché i figli, lo ripeto, riguardano entrambi i genitori. È un aspetto che bisogna valutare con serietà.

 
  
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  Mara Bizzotto, a nome del gruppo EFD. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, la strada verso un'Europa a misura di donna è ancora lunga e difficile. Le statistiche parlano chiaro: la crisi globale si è abbattuta sul mercato del lavoro mettendo a dura prova l'occupazione femminile, che nel 2008 si è ridotta ulteriormente di sette decimi di punto. Nonostante le provocazioni che, in tema di pari opportunità e occupazione, periodicamente riempiono un'europropaganda in calo di consenso, ad oggi non sono state ancora adottate misure concrete per garantire alla donna una vera realizzazione come lavoratrice e come madre.

L'Europa del futuro ha bisogno di ripensare radicalmente al proprio modello di welfare e non semplicemente cambiarsi periodicamente l'etichetta. Bene, dunque, la direttiva che allinea in Europa l'istituto del congedo di maternità, ma inefficiente la scelta di trattare ai margini di questa materia, nella stessa relazione, quella complementare e ugualmente importante del congedo di paternità.

La maggiore integrazione delle donne non è soltanto un valore morale ma anche un obiettivo strategico per la sostenibilità del tanto pubblicizzato modello sociale europeo, che continua a non convincermi per la mancanza di risultati.

 
  
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  Edit Bauer (PPE). (HU) La proposta sul congedo di maternità è di fatto una disposizione in materia di salute e sicurezza, e il primo motivo per cui occorre modificare la direttiva del 1992 migliorando le condizioni di vita delle madri è che nel 2000 l’Organizzazione internazionale del lavoro ha adottato una convenzione internazionale stabilendo la durata minima del congedo di maternità a 18 settimane. Al tempo stesso, però, tra i vari sistemi assistenziali vediamo situazioni molto diverse per durata del congedo, finanziamenti e livello dei sussidi a causa della compresenza del congedo di maternità e del congedo parentale, tanto che è praticamente impossibile trovare un denominatore comune. Nonostante le buone intenzioni di noi tutti, destra o sinistra, non si riesce a prendere una decisione accettabile e gradita a tutti gli Stati membri.

La soluzione sarebbe stata limitarci nella proposta agli ambiti della salute e della sicurezza, e insistere sulle pari opportunità con una diversa disposizione. Quando ho presentato all’Assemblea la relazione sul divario di retribuzione tra uomo e donna, ho sottolineato la situazione svantaggiosa che vivono le madri quando tornano al lavoro dopo la nascita del primo figlio. Anche le pari opportunità sono quindi problematiche, e dobbiamo risolvere il problema. Comunque, fintanto che padri e madri non potranno assolvere le stesse funzioni nel partorire, poiché i padri non possono dare alla luce un figlio, probabilmente dovremo occuparci delle pari opportunità in altri settori. Dobbiamo sciogliere la questione delle pari opportunità e compiere progressi in materia, ma non in questa direttiva. Abbiamo perso l’opportunità di modernizzare il sistema che utilizza contemporaneamente il congedo parentale e il congedo di maternità.

 
  
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  Silvia Costa (S&D). - Signora Presidente, signor Commissario, credo che oggi il Parlamento abbia una grande opportunità di ribadire che la maternità è un valore sociale e che la tutela della salute della madre e di quella del bambino deve essere rafforzata, che una lavoratrice non deve essere discriminata a causa della maternità nell'accesso e nella permanenza nel lavoro, che la cura dei bambini va maggiormente condivisa con i padri.

Nonostante si sia in tempi di crisi – com'è già stato sottolineato – dobbiamo fare la stessa riflessione già operata da tutti gli economisti più avanzati: la valutazione d'impatto effettuata dimostra la necessità di un approccio più lungimirante e più olistico. I costi di oggi, che possono essere poi eventualmente graduati, sono un investimento sociale ed economico in un maggiore benessere dei bambini, una riduzione delle patologie e una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

Molti affermano che non ci sarà nuova occupazione femminile di qualità e più occupazione femminile se non ci sarà un nuovo welfare e nuove opportunità di conciliazione: condivido appieno e ringrazio le relatrici Estrela e Plumb per il complesso lavoro svolto, così come tutti i colleghi che si sono sforzati di trovare punti di mediazione.

Condivido anche l'impianto che, penso, in tanti abbiamo voluto, cioè quello di prevedere un ampliamento per le madri di bambini disabili, per le adozioni, i parti plurimi, la possibilità di orari flessibili, l'inversione dell'onere della prova contro le violazioni delle norme e una maggiore tutela dai licenziamenti. Ho inoltre proposto, unitamente ad altri colleghi, che, rispetto alle sei settimane obbligatorie dopo il parto, sia prevista però una clausola di salvaguardia per i paesi la cui legislazione prevede questa quota obbligatoria anche prima del parto.

Concludo, auspicando che si possa raggiungere in queste ore, in questi due giorni, la piena volontà di trovare un punto di mediazione, affinché non si perda anche in questa legislatura l'importante occasione di approvare questa direttiva.

 
  
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  Antonyia Parvanova (ALDE).(EN) Signora Presidente, quando si parla di equa condivisione delle responsabilità familiari tra uomo e donna, con l’obiettivo ultimo di giungere a una società più giusta promovendo gli interessi del bambino nelle politiche di conciliazione, dobbiamo ricordarci che qui in Assemblea rappresentiamo i cittadini e non il parere del Consiglio. Di recente ho visto troppe persone delle rappresentanze permanenti svolgere attività di lobbismo presso gli europarlamentari, e non credo sia accettabile in base al regolamento e al principio di eurodeputati eletti in maniera indipendente.

Si dice che l’aumento del congedo di maternità impone costi più elevati al settore pubblico e privato in un periodo di crisi economica, ma si tratta solo dello 0,01 per cento del PIL e parliamo di 2 miliardi di euro. A questo ho paragonato il bilancio militare dei paesi citati che, a dire il vero, è aumentato di 3 miliardi di euro in un anno e non è stato contestato né dall’Assemblea né dai parlamenti nazionali.

Ad ogni modo, in un momento di crescente incertezza economica e visti i cambiamenti demografici, è di fondamentale importanza sostenere politiche flessibili in materia di congedo che potrebbero contribuire a invertire le attuali tendenze demografiche. Dovremmo adoperarci tutti affinché in Europa le donne diventino parte integrante del mercato del lavoro, e la loro scelta di vita sia presa seriamente con una maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro, dove si attribuisca più valore all’infanzia e all’importanza di conciliare la vita familiare e lavorativa.

Per concludere sottolineo con forza che le misure e il sistema assistenziale europeo previsto da questa direttiva non rappresentano un onere per il mercato europeo, bensì un importante elemento.

 
  
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  Marije Cornelissen (Verts/ALE).(EN) Signora Presidente, è evidente dagli emendamenti presentati da alcuni colleghi dei gruppi ALDE, PPE ed ECR (anche se per fortuna non da tutti) che hanno venduto l’anima a miopi interessi societari e ai lobbisti degli Stati membri che non hanno a cuore i diritti della donna. Se gli emendamenti saranno approvati, le nuove madri e i nuovi padri dell’Unione europea non avranno vita migliore.

Se il congedo non sarà adeguatamente retribuito, solo le donne con un lavoro senza importanza potranno affrontare la maternità. Voi, colleghi della destra, portate avanti un sistema tradizionale in cui l’uomo sostiene la famiglia e sottomette completamente la mogliettina, che ha un lavoretto per arrotondare lo stipendio e a cui non importa a quanto ammonta l’indennità di congedo. Ma ogni donna indipendente che sostiene finanziariamente la famiglia farebbe meglio a tornare al lavoro dopo le sei settimane obbligatorie – se le altre sono mal retribuite – a prescindere dallo stato di salute, e può dimenticarsi di fare iniziare bene il bambino con l’allattamento.

Spero con tutto il cuore che nella votazione vinca chi veramente desidera migliorare la vita delle neomamme e dei neopapà. Questa direttiva potrebbe essere una pietra miliare per una moderna politica del mercato del lavoro in una società sempre più anziana. Il futuro ha bisogno di politici abbastanza coraggiosi da avere un’opinione, che possano guardare un po’ oltre, e che abbiano una visione della società dove molte più madri lavorano e molti più padri si occupano dei figli. Il futuro può certamente fare a meno di chi cede non appena gli amministratori delegati, che pensano solo alla prossima relazione finanziaria, e i ministri nazionali, che pensano solo alle prossime elezioni, iniziano a fare pressioni.

 
  
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  Tadeusz Cymański (ECR). (PL) L’importanza di questa direttiva non si limita al problema dell’uguaglianza di genere e dell’assistenza alle donne durante la maternità. Bisogna analizzare la questione in un contesto più ampio, non solo in ambito sociale ma anche in ambito economico, in un arco di tempo più lungo. C’è un certo paradosso in quanto, cercando ovviamente e logicamente di mantenere le pratiche di gestione finanziaria in essere, potremmo perdere moltissimo a livello economico e finanziario con le generazioni future.

Molti esperti credono che uno dei principali problemi europei, forse il più grave, sia il tracollo demografico. I progressi in ambito medico, il miglioramento delle condizioni di vita e il calo nella crescita naturale della popolazione porteranno, in futuro, a un’Europa molto vecchia e molto costosa. Anche oggi si stima che il costo dell’assistenza agli anziani è pari a quasi il 2 per cento del PIL europeo. I motivi del calo nella crescita demografica sono molto complessi e trascendono le questioni sociali e la sicurezza materiale. Ciononostante, non c’è dubbio che le nuove proposte contenute nella direttiva daranno un significativo impulso che aiuterà molte donne in Europa a decidere di avere figli.

Signora Presidente, il livello di assistenza concessa alle lavoratrici gestanti varia di molto tra i paesi europei. Questa direttiva sarà particolarmente importante per quei paesi in cui la tutela è molto limitata, e ove il sostegno alle famiglie è inesistente o molto basso, anche per l’assistenza ai bambini meno piccoli. Per questo vorrei ringraziare tutti coloro che hanno lavorato a questa direttiva, soprattutto per la sensibilità dimostrata nei confronti delle donne di altri paesi che potranno affrontare il futuro con maggiori speranze. Per quanto riguarda i bambini, ovviamente vogliono una madre felice che non abbia paura di perdere il lavoro, di non poterli nutrire o di non riuscire a crescerli. Rinnovo i ringraziamenti e confido in un compromesso nella votazione di mercoledì. Molte grazie.

 
  
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  Jacky Hénin (GUE/NGL).(FR) Signora Presidente, queste relazioni vanno nella giusta direzione e meritano molta più pubblicità. L’85 per cento dei lavori imposti a tempo parziale e l’80 per cento di quelli mal retribuiti sono di appannaggio delle donne. La retribuzione femminile è inferiore del 27 per cento a quella maschile. Il 50 per cento delle donne ha una pensione inferiore a 600 euro. La maggioranza dei casi scoperti legati a false dichiarazioni o lavoro non dichiarato riguarda le donne. Ancora adesso, nel XXI secolo, scopriamo casi di schiavitù in Europa, che riguardano esclusivamente le donne.

Sì, occorre fare tutto il possibile per riuscire a sradicare le scandalose pratiche usate nei confronti della donna sul luogo di lavoro e nella società. La buona volontà, però, non sarà sufficiente. I guadagni previsti sono talmente elevati e le sanzioni incorse così modeste che, per dire le cose come stanno, ci sono bastardi che non esitano a continuare a sfruttare esseri umani come se non fossero altro che bestiame. Dobbiamo mettere gli Stati membri di fronte alle loro responsabilità il prima possibile ed esigere le sanzioni più severe possibili nei confronti di chi si considera al di sopra delle legge.

 
  
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  Giancarlo Scottà (EFD). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, vorrei richiamare la vostra attenzione su un settore in cui a tutt'oggi persistono condizioni di lavoro femminili precarie. Mi riferisco al settore agricolo, un settore nel quale le donne puntano sull'innovazione e, allo stesso tempo, sul recupero della tradizione e della conservazione del patrimonio agricolo, mantenendo vivo il territorio rurale. Tuttavia, le lavoratrici incontrano diversi ostacoli nelle loro attività lavorative, dovendo conciliare l'attività professionale con quella familiare.

La collega Thomsen, nella sua relazione, fa riferimento a un dato che fa riflettere: nel settore agricolo le donne impiegate a tempo parziale raggiungono l'86 percento delle lavoratrici. Inoltre, l'ingresso di giovani donne in questo settore è difficoltoso e per questo motivo le donne conduttrici d'azienda superano spesso il sessantacinquesimo anno d'età. Alcune altre, invece, assumono la posizione di coniuge coadiuvante, ovvero aiutano nell'attività dell'azienda agricola del marito, senza aver diritto a uno status giuridico e senza essere adeguatamente retribuite.

Ritengo dunque necessario tutelare le donne e il loro impegno in un settore in cui il loro lavoro è spesso temporaneo e stagionale, sostenendole nel campo della sicurezza e della salute e garantendo loro un'equa retribuzione e un adeguato riconoscimento della loro attività.

 
  
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  Licia Ronzulli (PPE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, quando parliamo di conciliazione, intendiamo quelle iniziative che, prendendo in considerazione le esigenze della famiglia e quelle dei lavoratori, permettono un bilanciamento tra la sfera lavorativa e quella familiare. Ci riferiamo quindi a strumenti di aiuto, senza i quali una donna che lavora per piacere, per ambizione di carriera o soprattutto per necessità, è posta davanti a un bivio e la scelta più drastica, e quasi sempre definitiva, è quella dell'abbandono del posto di lavoro. Una volta uscita dal mercato del lavoro, tornare poi indietro è ancora più difficile. Tale situazione porta a un forte senso di frustrazione, da un lato, e a grossi sacrifici economici, dall'altro.

Il testo oggi in discussione propone numerosi strumenti di aiuto per le lavoratrici, ponendo le basi per una certezza giuridica che permetterà la libertà di scelta di una donna e la conseguente vera conciliazione lavoro-famiglia. Desidero anche sottolineare un altro aspetto per quanto riguarda la situazione delle lavoratrici precarie: come è stato detto, troppo spesso le donne continuano a subire disparità per quanto riguarda le opportunità occupazionali, la qualità del lavoro e la retribuzione. A proposito di qualità del lavoro, va rilevato che le donne molto spesso non denunciano e sono costrette ad accettare occupazioni al limite della legalità per poter avere uno stipendio sufficiente al sostentamento della propria famiglia. È ora di porre fine a tutto questo.

Occorre quindi vigilare su tutti i comportamenti scorretti da parte dei datori di lavoro nei confronti delle lavoratrici. Ogni abuso deve essere perseguito e punito senza attenuanti. E l'impegno di tutti noi deve continuare nella direzione di politiche sociali sempre più giuste e incisive.

 
  
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  Zita Gurmai (S&D).(EN) Signora Presidente, la relazione oggetto del dibattito è di fondamentale importanza per genitori e figli europei e per l’Europa in quanto comunità. Le disposizioni di questo testo legislativo garantiscono a tutte le donne europee di godere degli stessi diritti e criteri minimi di assistenza quando decidono di avere un figlio. Inoltre evitano loro di essere finanziariamente penalizzate per avere deciso di essere madri cercando di conciliare questa scelta con il lavoro.

Un fattore molto importante è rappresentato dalla sfida demografica dell’Europa. La natalità in continuo calo e l’invecchiamento demografico, e di conseguenza la riduzione della forza lavoro, stanno mettendo a dura prova la crescita economica, soprattutto in questo momento di crisi.

La soluzione sta nell’incoraggiare le donne a non avere figli, o seguire un modello americano in cui l’assistenza alle donne sia scarsa o nulla e dove devono tornare al lavoro anche prima di essersi riprese dal parto? Se è così dico no. A lungo termine non avere figli si rivela più costoso per la comunità. Le donne devono riprendersi dal parto per essere pronte a rientrare sul mercato del lavoro. Concedere loro 18 settimane è il minimo e non devono essere punite per questo con tagli diretti o indiretti.

In 24 dei 27 Stati membri dell’Unione europea sono i governi che finanziano il congedo di maternità, non le imprese. Le imprese non vogliono forse investire nelle giovani donne che hanno assunto e formato? Dovremmo essere socialmente responsabili. Sapendo che l’Unione europea e gli Stati membri hanno speso moltissimi soldi per salvare le banche, dobbiamo chiederci perché bisogna sempre risparmiare a spese della donna. Anche i padri dovrebbero poter essere esonerati dal servizio per passare del tempo con i neonati.

Continuiamo a parlare di responsabilità condivise e ora possiamo fare qualcosa al riguardo. Qualcuno in Aula pensa che non sia accettabile. Se tutto va bene, il Commissario Šefčovič ci dimostrerà quanto è chiaro e progressista in materia.

 
  
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  Elizabeth Lynne (ALDE).(EN) Signora Presidente, questa direttiva giustamente ha sempre inteso dare le garanzie minime per tutelare le lavoratrici gestanti o in periodo di allattamento. Mi sembra comunque che alcuni emendamenti presentati dalla commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere e dalla commissione per l’occupazione e gli affari sociali si spingano troppo oltre.

Non tengono in considerazione le diverse tradizioni nei vari Stati membri. Alcuni paesi prevedono il congedo di maternità, altri anche il congedo di paternità, e alcuni il congedo parentale. Le persone sono retribuite in modi totalmente diversi e in misura diversa: alcuni mediante il sistema di previdenza sociale, alcuni dalle imprese e altri con una combinazione dei due. Non dobbiamo compromettere certi sistemi che funzionano molto bene.

Gli emendamenti da me presentati cercano di tenere conto della difficoltà di fare qualcosa che giovi a tutti gli Stati membri. A mio avviso introdurre la piena retribuzione farebbe lasciare il lavoro a molti giovani, soprattutto alle giovani donne. Sono lieta che la seconda valutazione d’impatto sia stata quanto meno più dettagliata della prima. Come sapete affermava che l’introduzione della piena retribuzione sarebbe costata più di 7 miliardi di euro all’anno a dieci Stati membri. Non ha nemmeno tenuto conto degli altri 17, e presumo che anche per loro sarebbe problematico passare al pieno stipendio.

Per quanto riguarda il congedo obbligatorio, ho sempre pensato che spetti alla madre decidere quando e come rimanere a casa. Negli anni sessanta e settanta del secolo scorso abbiamo combattuto per l’uguaglianza dei diritti della donna, non per la sua sottomissione, e sembra si stia andando indietro invece che avanti.

 
  
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  Andrea Češková (ECR).(CS) Temo fortemente si stiano confondendo due cose molto diverse sulla tutela della donna: le condizioni lavorative delle dipendenti e la posizione giuridica delle lavoratrici autonome, o imprenditrici. Con riferimento alle dipendenti normalmente si può parlare di tutela, soprattutto durante la gravidanza e dopo il parto, garantita dal diritto del lavoro. Non è invece possibile tutelare le autonome con il diritto del lavoro perché generalmente non applicabile al loro caso. D’altro canto queste imprenditrici danno lavoro a uomini e anche ad altre donne, e sono rimasta inorridita dal fatto che con gli emendamenti la direttiva, che inizialmente doveva riguardare esclusivamente la tutela delle gestanti e delle puerpere, avrebbe dovuto applicarsi anche alle imprenditrici. È impossibile non solo a livello concreto ma anche da un punto di vista giuridico. Spero quindi di tutto cuore che il Parlamento non approvi gli emendamenti, che purtroppo sono stati votati a maggioranza dalla commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere e che, a mio avviso, non hanno nulla a che vedere con questa direttiva, perché non si possono applicare alle lavoratrici autonome.

 
  
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  Joe Higgins (GUE/NGL).(EN) Signora Presidente, la relazione Estrela cerca di migliorare le condizioni lavorative delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, e questi sono obiettivi che appoggiamo con forza.

Vista la grave crisi del capitalismo europeo e globale, bisogna seriamente preoccuparsi del fatto che siano soprattutto le lavoratrici vulnerabili a rimanere vittima di certi datori di lavoro che cercano di mantenere profitti elevati, e di governi che hanno applicato tagli alla spesa sociale e ai servizi pubblici.

Molte lavoratrici della classe operaia sono soggette a un forte sfruttamento, con ad esempio stipendi molto inferiori a quelli degli uomini e un lavoro precario. In simili circostanze c’è un forte pericolo di discriminazione nei confronti delle gestanti o puerpere, la cui posizione è più vulnerabile. Il diritto della donna a tornare allo stesso lavoro, a 20 settimane di congedo di maternità e a un congedo di paternità ragionevole deve essere chiaramente sancito, siamo pienamente d’accordo. Bisogna inoltre sostenere il mantenimento del reddito al 100 per cento.

Non ci si può però solo affidare alla legge. In ogni luogo di lavoro deve esserci un sindacato forte che possa garantire concretamente il diritto della donna a tornare al lavoro dopo il parto, senza timore di essere discriminata.

 
  
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  Elisabeth Morin-Chartier (PPE).(FR) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, ho seguito molto attentamente questo fascicolo all’interno della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, e della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere. È la seconda volta che tentiamo di definire norme minime per l’Unione europea ed è da quaranta anni che, nella mia vita professionale, mi batto per l’uguaglianza tra uomo e donna, l’integrazione delle giovani donne mediante programmi di formazione e la loro integrazione sociale attraverso la partecipazione al mercato del lavoro. In questa sede parliamo di uguaglianza: uguaglianza tra uomo e donna.

Nelle relazione Estrela – basti ascoltare gli interventi di oggi – ritroviamo tutti i temi possibili. Ognuno arriva con il suo piccolo contributo e vuole aggiungere qualcosa. Alla fine ci ritroviamo con un collage senza senso, quando dovremmo invece concentrarci sulla salute e la sicurezza sul lavoro delle gestanti, proprio come dovremo sicuramente concentrarci sull’uguaglianza di genere negli stipendi.

Il congedo neonati è pressoché l’unico aspetto a non essere incluso nella relazione. Vorrei dirvi una cosa: votare oggi a favore di un congedo di maternità di venti settimane pienamente retribuito è irresponsabile e demagogico. Insisto sull’adozione di misure efficaci affinché ciò non abbia effetti controproducenti sulle donne. Più prolunghiamo il congedo di maternità senza valorizzare il ritorno al lavoro della donna e la necessità di conciliare la vita familiare e professionale, più prolunghiamo il congedo di maternità senza adottare misure che la tutelino sul luogo di lavoro, più agiamo contro i suoi interessi.

Il fatto è che quando si mette a punto una politica il nostro dovere è essere coraggiosi e responsabili, e dire la verità. Chi pagherà? Quale Stato membro può permettersi questo aumento? Quale impresa potrà pagare? Alla fine le donne si troveranno intrappolate da un testo che va alla deriva su tutti i punti e che si ritorcerà loro contro. Faccio appello alla vostra responsabilità. Avremo un grande peso in futuro.

(Applausi)

(L’oratore accetta di rispondere a un’interrogazione presentata dagli onorevoli Cornelissen e Jäätteenmäki con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8)

 
  
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  Marije Cornelissen (Verts/ALE).(EN) Signora Presidente, l’onorevole Morin-Chartier non è l’unica ad averlo detto. Un paio di oratori hanno affermato che il congedo di maternità di 20 settimane comprometterebbe le possibilità di una donna nel mercato del lavoro.

Vorrei chiedere da dove arriva questa idea perché, se consideriamo lo studio e quanto succede in Svezia, Norvegia, Islanda o Bulgaria, si vede molto chiaramente che ci può essere una fortissima partecipazione femminile al mercato del lavoro e un periodo giustamente lungo di congedo di maternità.

 
  
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  Elisabeth Morin-Chartier (PPE).(FR) Signora Presidente, due osservazioni in risposta al commento.

La prima è che non esiste un legame matematico tra durata del congedo di maternità e tasso di fertilità della donna. Per provarlo mi basta citare la situazione in Francia, paese che garantisce un congedo di maternità di quattordici settimane e che, oggi, è caratterizzato da uno dei tassi di natalità più elevati in Europa.

Il secondo punto della risposta è che, a ogni nascita, si constata un divario sempre maggiore tra la vita professionale delle donne e quella degli uomini. Per ogni nascita e periodo di congedo di maternità, la donna prima riduce le responsabilità professionali, a meno che ciò non avvenga su iniziativa dell’impresa o del settore pubblico. Con la seconda nascita diminuisce le ore lavorative, che continua a ridurre a ogni nascita successiva, mentre al contrario a ogni nascita gli uomini aumentano le responsabilità professionali. Pertanto, a livello professionale, il divario aumenta nel corso della carriera lavorativa.

Quindi vi prego, fate un po’ attenzione a quanto succede veramente, sia nel settore pubblico che nel settore privato.

 
  
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  Anneli Jäätteenmäki (ALDE). (FI) Onorevole Morin-Chartier, accetta la politica basata su due pesi e due misure secondo cui tutti i dipendenti dell’Unione europea, ovvero della Commissione, del Consiglio, del Parlamento e dei gruppi politici parlamentari, sarebbero pienamente retribuiti per le 20 settimane di congedo di maternità, proponendo invece una cosa diversa per gli altri? Credo che le madri debbano essere messe sullo stesso piano in tutta Europa, e che non dovremmo essere a favore di due pesi e due misure o di due facce della stessa politica.

 
  
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  Elisabeth Morin-Chartier (PPE).(FR) Signora Presidente, non abbiamo detto di essere a favore di due pesi e due misure. La Commissione europea ha presentato una proposta di 18 settimane. Noi proponiamo di introdurre una clausola passerella. Di base è perfettamente possibile, ma c’è una differenza tra quanto possibile e l’idea utopica di proporre 20 settimane pienamente retribuite, tra ciò che è fattibile e quanto si può promettere in Parlamento, che non verrà accettato né dal Consiglio né dai parlamenti nazionali.

Se mercoledì voteremo a favore della relazione Estrela e delle 20 settimane, il Parlamento europeo sarà smentito tre volte: la prima volta dal Consiglio che non potrà dare il suo appoggio – gli Stati membri non potranno dare il loro appoggio; la seconda volta dai parlamenti nazionali – i parlamenti nazionali, con i loro bilanci, non potranno dare il loro appoggio; e la terza volta dalle donne, quando si renderanno conto che abbiamo operato contro i loro interessi.

 
  
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  Emine Bozkurt (S&D).(NL) Signora Presidente, dobbiamo essere vicini alle madri e ai padri nel periodo più caotico della vita. Devono avere pace e quiete per impegnarsi a fondo nelle prime fasi della vita del bambino, per allattare e per riprendersi totalmente dal parto, per potere nuovamente rimboccarsi le maniche dopo il congedo e partecipare pienamente alla vita lavorativa. Madri, padri, sindacati, organizzazioni non governative: tutti lo vogliono.

Chi si oppone fa pagare un prezzo alle donne, e lo fa a torto: nessun costo aggiuntivo può essere imposto alla società europea sempre più anziana. Eppure occorre investire adesso nelle donne come lavoratrici per migliorare l’equilibrio tra vita privata e lavorativa, di modo che la società possa rimanere sostenibile in futuro. Ovviamente è importante un congedo di maternità pienamente retribuito. Perché le donne, essendo le uniche con la possibilità biologica di dare alla luce un figlio, dovrebbero vedersi ridurre lo stipendio durante il congedo?

Diciamo che è importante garantire a uomini e donne un equilibrio tra vita professionale e vita privata, che le donne abbiano pari opportunità sul posto di lavoro, quindi dobbiamo smetterla di litigare e assumerci una responsabilità congiunta. Non dobbiamo permettere che siano i padri e le madri a soffrire.

 
  
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  Nadja Hirsch (ALDE).(DE) Signora Presidente, la domanda che ci dobbiamo chiedere è cosa intende fare questa direttiva? Siamo abbastanza d’accordo sulla necessità di tutelare la salute delle future madri e neomamme. Il grande dibattito riguarda i settori in cui includere anche l’elemento dell’uguaglianza. D’altro canto, come Parlamento europeo, dobbiamo essere coscienti che stiamo adottando una direttiva che rimarrà in vigore non solo per cinque anni, ma forse per i prossimi 20 o 25 anni. Spero comunque che, per allora, le condizioni lavorative della donna saranno sostanzialmente migliorate e che le imprese saranno interessate ad assumere giovani madri – anche per via di una carenza di manodopera qualificata – e, soprattutto, che metteranno a punto le infrastrutture adeguate per farlo. Dobbiamo pensare anche a questo.

Ciononostante mi rendo anche conto che, al momento, non c’è una maggioranza pronta a sposare questa idea. Per questo probabilmente arriveremo a un punto in cui troveremo un accordo su un compromesso come diciotto settimane, una retribuzione obbligatoria più elevata o un pagamento pari al 75 per cento dello stipendio, che in effetti migliorerà la situazione soprattutto in alcuni paesi europei.

Un aspetto molto più importante, che va al di là del congedo di maternità, riguarda le condizioni garantite alle giovani famiglie. Questo significa strutture per l’assistenza all’infanzia; in Germania, ad esempio, non ce ne sono ancora abbastanza. Questa sarebbe una politica di vera uguaglianza che dà alle donne la possibilità di tornare al lavoro.

 
  
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  Julie Girling (ECR).(EN) Signora Presidente, è tipico dei verdi deridere chi osa non essere d’accordo. Noi osiamo dissentire su una piccola parte di queste proposte, e quindi meritiamo di essere derisi. Plaudo all’impegno dimostrato in queste proposte – in realtà mi trovo d’accordo sulla grande maggioranza – ma ci sono un paio di punti che non trovano il mio consenso. Plaudo quindi al vostro impegno ma non alla vostra tolleranza. Tornate tra 30 anni per farmi la predica sull’importanza di promuovere i diritti della donna: per allora vi sarete impegnati tanto quanto ho fatto io.

Non intendo passare da regressiva. Alcuni aspetti di queste proposte sono regressivi: l’idea che le europee debbano avere più bambini europei in un mondo sovrappopolato è socialmente regressiva. Imporre nel Regno Unito un congedo di maternità di 20 settimane retribuito al 100 per cento – in questa sede non riesco a spiegare il nostro sistema abbastanza rapidamente – è finanziariamente regressivo. Da noi un numero esagerato di donne con uno stipendio migliore riceveranno gran parte dei 2 miliardi di sterline inglesi stanziati in via straordinaria. Non andranno a finire nelle tasche delle donne meno pagate che, credo, sono quelle che vorremmo più aiutare.

Dove sta quindi il miglioramento? Gli Stati membri si trovano nella posizione migliore per decidere questi dettagli; occorre applicare il principio di sussidiarietà.

(Applausi)

 
  
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  Christa Klaß (PPE).(DE) Signora Presidente, signor Commissario, le madri hanno bisogno di essere tutelate in maniera speciale, e su questo punto c’è consenso in Aula. Avere un figlio è fisicamente ed emotivamente impegnativo, ed è un’esperienza profonda per qualsiasi donna. I cambiamenti fisici, le nuove condizioni di vita e, soprattutto, il periodo di ripresa e di recupero: tutte queste cose rendono indispensabile tutelare la maternità in maniera adeguata. È una cosa cui deve pensare la società, e non si mette in discussione il principio. Qui si discute come farlo e le condizioni a cui farlo. In tal senso non dobbiamo dimenticare che l’Unione europea stabilisce i criteri minimi ma poi spetta agli Stati membri applicare, organizzare e pagare la maternità. Non partiamo da zero.

Gli Stati membri hanno predisposto il congedo di maternità in maniera molto diversa, in alcuni casi integrandolo con il congedo parentale e includendo i padri. Essi devono partecipare alle responsabilità familiari: con questo non intendo il congedo, bensì la condivisione di responsabilità nella crescita dei figli e della vita familiare. Il congedo di paternità però non fa parte delle disposizioni sulla maternità, in quanto deve sempre rientrare nel congedo parentale. Né i padri si ammalano a causa del parto. Mi congratulo con tutti gli Stati membri che hanno predisposto il congedo di paternità; allo stesso modo, signor Commissario, mi rallegro della proposta della Commissione or ora annunciata. Non possiamo permettere che una questione importante come quella della maternità perda di valore con un ampliamento del congedo parentale. Il congedo di maternità riguarda la salute. Nessuna madre è malata per 20 settimane, neppure le madri che allattano sono malate.

Nei confronti delle donne lavorativamente attive abbiamo la responsabilità di giustificare il congedo di maternità. La nostra proposta è di 18 settimane in tutto, con le ultime quattro settimane soggette a variazioni nazionali in merito agli importi retribuiti. Ciò è previsto negli emendamenti nn. 115 e 116, che vi esorto ad approvare.

Inoltre, invito gli Stati membri a sfruttare l’opportunità di offrire a tutte le famiglie e alle madri maggiori contributi che possono essere approvati su base volontaria. Le madri costruiscono il futuro, e hanno bisogno di tutto il sostegno che possiamo loro dare.

 
  
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  Antigoni Papadopoulou (S&D).(EL) Signora Presidente, onorevoli colleghi, votando la relazione Estrela di fatto rispondiamo alle richieste di milioni di donne che chiedono maggiore tutela delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento e dei loro figli. Aumentando il congedo di maternità a 20 settimane e quello di paternità a 2 settimane, a stipendio pieno, favoriamo la ripresa dalla crisi internazionale e della crescita economica nell’Unione europea, perché contribuiamo alla conciliazione tra vita privata e vita professionale. Tutelando le lavoratrici dal licenziamento in periodo di gravidanza e per sei mesi dopo il parto, incentiviamo l’applicazione dell’obiettivo della strategia comunitaria e, entro il 2020, raggiungeremo il 75 per cento di partecipazione femminile al mercato del lavoro.

Votando a favore della relazione Thomsen cerchiamo di tutelare le lavoratrici dal precariato che alimenta il divario salariale tra i due sessi, compromette lo sviluppo professionale e aumenta il rischio di far perdere alla donna tutte le forme di diritti sociali, pensionistici e sindacali.

Il voto positivo sulle due relazioni è un voto positivo per un’Europa sociale più equilibrata, più antropocentrica e per l’uguaglianza di genere.

 
  
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  Gesine Meissner (ALDE).(DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, oggi parliamo delle condizioni lavorative della donna che vogliamo migliorare in Europa. Mi riferirò nello specifico alla relazione Thomsen, di cui sono stata relatrice ombra, parlando quindi del tema delle lavoratrici precarie.

Questo è l’anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale. È un dato di fatto che la povertà colpisce le donne in maniera smisurata. Ovviamente non si può assolutamente permettere che la situazione rimanga uguale. La povertà femminile può avere diverse cause. Può derivare dal fatto che le donne non sono pagate tanto quanto gli uomini anche se, chiaramente, non è l’unica causa. Ad esempio, quando hanno figli interrompono la carriera più spesso e si prendono del tempo libero per crescerli. Inoltre fanno i lavori meno qualificati. Il problema diventa particolarmente serio per le donne dalle condizioni lavorative precarie, poiché in alcuni casi non hanno nemmeno un contratto di lavoro o hanno un contratto irregolare; non hanno alcuna forma di tutela e hanno accesso limitato alle informazioni. La situazione è particolarmente grave per le donne migranti. Questo può generare una povertà continua, che le fa rimanere povere anche in età più avanzata.

Dobbiamo uscire da questa spirale che colpisce più le donne degli uomini. Uno dei modi per farlo è attraverso l’istruzione e la formazione. Ogni donna – ogni ragazza – deve avere una qualifica, a prescindere dalle proprie origini, e deve avere accesso a una professione che le garantirà un tenore di vita adeguato. L’apprendimento permanente deve essere anche una possibilità femminile. Bisogna poi fare in modo che più donne e ragazze abbiano accesso alle professioni meglio pagate, spesso appannaggio quasi esclusivo degli uomini.

In altre parole occorre garantire sempre l’accesso all’istruzione e ai sistemi di previdenza sociale: in questo modo possiamo migliorare notevolmente la situazione della donna.

 
  
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  Joanna Katarzyna Skrzydlewska (PPE). (PL) È difficile definire criteri minimi per la durata e il pagamento del congedo di maternità nell’attuale contesto socioeconomico europeo. In alcuni paesi il minimo proposto supera i livelli di tutela concessi alle gestanti dalla normativa nazionale. Da una parte stiamo ancora lottando contro le conseguenze della crisi: i governi di alcuni Stati aumentano le imposte e introducono forti tagli di spesa, e il livello di disoccupazione è ancora elevato. Dall’altra dobbiamo affrontare i problemi del calo di natalità, della crescita naturale negativa e, di conseguenza, dell’invecchiamento demografico. In un futuro non troppo lontano incomberà la minaccia del fallimento dei sistemi pensionistici e, forse, del loro totale collasso.

In questa situazione non esistono soluzioni facili o gratuite. Eppure bisogna rendersi conto che investendo nelle donne e creando condizioni a loro favorevoli le incoraggiamo ad avere figli. Ovviamente un congedo di maternità più lungo e pienamente retribuito di per sé non è abbastanza: occorrono anche soluzioni fiscali a favore delle famiglie e un’occupazione stabile. In questo caso non abbiamo alternativa. Non c’è altro modo per aumentare il numero di europei professionalmente attivi tra 30 anni se non investire adesso nella famiglia. Per questo abbiamo bisogno di un criterio minimo equo e giusto per la durata e il pagamento del congedo di maternità in Europa. Così facendo daremo alle donne la possibilità di scegliere e di decidere sulla maternità.

 
  
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  Jutta Steinruck (S&D).(DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, quello che mi sembra manchi nella discussione è la necessaria distinzione tra recepimento nazionale a livello di Stati membri e compito esistente a livello europeo. Ci rendiamo tutti conto che occorre tenere in considerazione le specifiche caratteristiche delle singole nazioni. Ad ogni modo, per quanto riguarda il dibattito in Germania, devo dire che so esattamente come il mio paese potrebbe dare attuazione al documento. Quello che qui ci interessa è definire criteri minimi su scala europea per stabilire le condizioni sociali della donna. Cerchiamo sempre di fare riferimento all’Organizzazione internazionale del lavoro quando si parla di buon lavoro, di tutela sul lavoro e di salute, quindi mi chiedo: perché non in questo caso?

Riguardo al dibattito sui costi ricordo ai deputati in Assemblea che in Germania, e in qualche altro paese europeo, la direttiva antidiscriminazione ha generato forti pressioni da parte delle imprese. Si è parlato di una valanga di costi, di società che falliscono, di oneri per l’economia e per gli stessi lavoratori. Se a distanza di anni ci guardiamo indietro, quanto di tutto ciò si è avverato? Nulla. Questa discussione e questo lobbismo mi ricordano quei tempi. Vi esorto finalmente a mettere da parte l’economia e a mettere le persone al centro del nostro operato.

Non sono una di quelli che vogliono fare solo la predica. Ho detto di sostenere l’Europa sociale che, per me, include le donne. In questa situazione le donne necessitano del nostro aiuto.

 
  
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  Sari Essayah (PPE). (FI) Signora Presidente, in sede di votazione la commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere ha approvato una serie di emendamenti alla proposta di direttiva originariamente presentata dalla Commissione.

Purtroppo, negli emendamenti la commissione ha completamente ignorato il principio di sussidiarietà nella distribuzione dei costi. Il tentativo di armonizzare le norme sul congedo di maternità in 27 diversi Stati membri ha portato a una proposta confusa. Inoltre, in tutto questo c’è anche una proposta sul congedo di paternità che, dal punto di vista giuridico, non rientra nemmeno nell’ambito di applicazione della direttiva, come fortunatamente il Commissario ha chiaramente spiegato sin dall’inizio. Il congedo di paternità deve essere regolamentato insieme al sistema di congedo parentale, non al congedo inteso come recupero dalla gravidanza o dal parto.

Le proposte avanzate dalla commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere poi ignorano i programmi riformisti di congedo parentale e di maternità previsti da altri paesi, tra cui i paesi nordici. Esse confondono questi sistemi di congedo parentale, che garantiscono libertà di scelta a livello nazionale, e per certi versi sminuiscono l’importanza del benessere della madre e del bambino. Secondo la proposta della commissione, ad esempio, se le madri iniziano la maternità obbligatoria di sei settimane solo dopo il parto le gestanti prossime al parto – e quindi i figli – corrono più rischi sul posto di lavoro. Le madri vicine alla scadenza non ce la faranno lavorando per otto ore al giorno, e la proposta porterà a un aumento dei congedi di malattia prima del parto.

La proposta della Commissione non considera come indennità i programmi nazionali che prevedono un congedo di maternità strettamente associato a un congedo parentale molto più lungo, in quanto non dà diritto al pieno stipendio. In Finlandia, ad esempio, i genitori possono rimanere a casa e occuparsi del bambino fino in media ai 18 mesi di età, e noi ce lo possiamo permettere perché i costi sono condivisi, nelle varie fasi, da datori di lavoro, lavoratori e contribuenti. Se l’intero importo gravasse sui datori di lavoro le opportunità lavorative della donna sicuramente diminuirebbero, creando un disservizio per le dipendenti.

 
  
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  Olle Ludvigsson (S&D).(SV) Ora per noi è importante trovare soluzioni flessibili sui dettagli controversi di questa direttiva. Al tempo stesso, dobbiamo anche considerare il quadro generale della situazione. Parlando di uguaglianza, dove vogliamo essere tra 10 anni in Europa? In questo senso, è evidente che le norme proposte migliorerebbero la situazione nell’uguaglianza di genere.

L’uguaglianza di genere e le prospettive in materia farebbero passi avanti. Sarebbe possibile soddisfare l’obiettivo definito nella strategia UE 2020 per aumentare il tasso di occupazione femminile al 75 per cento. Un maggior numero di lavoratrici sarebbe sicuramente un vantaggio per la società. Ci sarebbero più incentivi per fare figli e avere una famiglia, e questo sarebbe un ottimo modo per combattere l’invecchiamento demografico europeo.

Quindi, nei dibattiti, non dimentichiamo il quadro generale della situazione.

 
  
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  Astrid Lulling (PPE).(FR) Signora Presidente, normalmente il tempo porta consiglio. Purtroppo non è così per questa seconda relazione, approvata dalla maggioranza della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere e oggetto di questo dibattito parlamentare 17 mesi dopo la prima relazione. Allo stato attuale questa seconda relazione è confusa, controproducente e sovraccarica di testi che non trovano posto in un atto legislativo tanto quanto la relazione rinviata alla commissione nel maggio 2009.

Abbiamo già perso due anni per migliorare la tutela della maternità. Se votiamo questa relazione nella sua forma attuale, perderemo come minimo altri due anni per discutere con il Consiglio in codecisione, mentre la proposta iniziale della Commissione del 2008 era ragionevole. Essa garantiva sostanziali progressi negli Stati membri che, in materia di durata e retribuzione del congedo di maternità, sono ancora al di sotto della soglia esistente in alcuni paesi: raramente viene concesso un congedo di 20 settimane a retribuzione piena e senza limiti pagata dallo Stato.

Non dimentichiamoci che, in questo caso, lo scopo è stabilire soglie minime e che non è possibile imporre soluzioni radicali ai 27. Infatti per incoraggiare una lavoratrice, soprattutto se qualificata, ad avere figli è più importante concederle il diritto a un congedo meno lungo ma pienamente retribuito che a un congedo di 20 o 30 settimane o più senza garanzia di stipendio pieno. Le proposte della relazione Estrela non sono solo controproducenti per l’occupabilità della donna, ma in alcuni Stati membri sono anche difficili da finanziare per i governi e le imprese. Meglio un passo concreto oggi nella giusta direzione che una promessa per il domani, da realizzarsi tra 10 anni.

Personalmente non voterò a favore della relazione nella sua forma attuale e chiedo ai colleghi di respingere tutti gli emendamenti che non hanno niente a che vedere con la tutela della maternità, come le disposizioni riguardanti le lavoratrici autonome. Appena quattro mesi fa abbiamo votato in Aula a favore di una direttiva sul congedo di maternità per le lavoratrici indipendenti.

Lo stesso dicasi per il congedo di paternità, onorevole Tarabella, e ne sono a favore. I belgi possono introdurre da domani un congedo di paternità di 20 settimane pienamente retribuito se hanno un governo, niente glielo impedisce. Analogamente, essendo questo un altro punto su cui riflettere, le parti sociali stanno discutendo una direttiva sul congedo di paternità. Aspettiamole, e poi interverremo come abbiamo fatto per il congedo parentale: è questo il giusto approccio da seguire.

Esorto i colleghi a votare a favore degli emendamenti che limitano il congedo a 18 settimane e degli emendamenti considerati, signora Presidente, presentati dal suo gruppo e dal mio.

(L’oratore accetta di rispondere a un’interrogazione presentata dall’onorevole Tarabella con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8)

 
  
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  Vasilica Viorica Dăncilă (S&D).(RO) L’eliminazione di qualsiasi forma di discriminazione in tutti gli ambiti della vita sociale ed economica è un presupposto essenziale alla tutela dei diritti dell’uomo e al benessere di ogni cittadino. La promozione del principio della pari opportunità tra uomo e donna, insieme a una maggiore partecipazione delle donne alla vita sociale ed economica come protagoniste a pieno titolo, devono essere una preoccupazione costante. Credo che questo approccio si debba riflettere nella politica agricola comune per garantire un’equa e giusta rappresentanza dei sessi. Esso, inoltre, può portare a un’efficace applicazione delle varie politiche europee in ogni ambito lavorativo, ma soprattutto nell’agricoltura.

Ricordando che il principio di uguaglianza di genere è promosso dalla normativa europea ed è uno dei criteri fondamentali della strategia Europa 2020, ritengo opportuno includere questo aspetto pure nell’agricoltura, anche attraverso l’utilizzo di nuovi strumenti che promuovano questo principio. Sostengo entrambe le relazioni, Estrela e Thomsen, che portano in primo piano i problemi delle donne legati alla maternità e alle condizioni di lavoro, aspetti importanti nella vita di ogni donna e di chi tra noi deve mostrare solidarietà nei confronti dei loro problemi.

 
  
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  Marc Tarabella (S&D).(FR) Signora Presidente, ringrazio l’onorevole Lulling per avere accettato la mia breve interruzione. Vorrei solo segnalare che in Belgio i padri già godono di un congedo retribuito di 10 giorni. Diciannove dei 27 paesi europei fanno altrettanto, con retribuzioni di diversi importi.

Volevo solo sapere se lei è favorevole o contraria a un’armonizzazione verso l’alto a livello europeo. Vero, due settimane non è molto ma è ragionevole: due settimane per tutti i padri europei di modo che possano condividere la responsabilità di accogliere in famiglia il nuovo arrivo. Volevo sapere se è favorevole o contraria a questa armonizzazione. Grazie della risposta, onorevole Lulling.

 
  
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  Astrid Lulling (PPE).(FR) Signora Presidente, sono ovviamente a favore, onorevole Tarabella. Sono a favore di una direttiva europea ma non di risolvere la questione con questa direttiva, che riguarda la tutela di donne e bambini. Le parti sociali, come ho detto, stanno negoziando in questo periodo una direttiva sul congedo di paternità.

Credo si debbano aspettare i risultati. Così facendo avremo una buona proposta come quella che abbiamo avuto per il congedo parentale che, tra l’altro, abbiamo appena migliorato pur non giungendo alla perfezione. Credo che questo sia il giusto modo di procedere. Penso poi che occorra lasciare alle parti sociali il compito di fare proposte nel settore, perché sono quelle meglio in grado di farlo. Sono quindi a favore. Mi congratulo con lei, perché può migliorare la situazione in Belgio.

Volevo semplicemente dirvi, e dire a tutte le donne che non hanno minimamente capito che una direttiva europea presuppone norme minime, e non massime, che tutti possono spingersi oltre, ma che è importante dare ai paesi al di sotto della soglia di 18 settimane – ben al di sotto – la possibilità di adeguarsi.

Inoltre credo che, se io e lei avessimo dovuto redigere questa relazione, avremmo adottato molto tempo fa le giuste misure in Assemblea in codecisione con il Consiglio.

 
  
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  Thomas Mann (PPE).(DE) Signora Presidente, ora so cosa fare per cambiare e allungare il tempo di parola. La commissione per l’occupazione e gli affari sociali ha richiesto un congedo di maternità di 18 settimane, ovvero quattro settimane in più di quanto concordato di comune accordo in Germania. La commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere ha richiesto 20 settimane a stipendio pieno, due settimane di congedo di paternità e l’estensione alle lavoratrici autonome. Quello che si è fatto passare totalmente in secondo piano è che, stando alle dichiarazioni della Commissione, le 20 settimane costeranno alla Francia altri 2 miliardi di euro all’anno e al Regno Unito altri 2,85 miliardi di euro. Per la Germania i costi aggiuntivi si aggirerebbero intorno a 1,7 miliardi di euro. Talvolta bisogna pensare ai costi.

Di recente è stato pubblicato uno studio congiunto delle due commissioni che riportava numerosi errori. I pagamenti come le indennità di maternità concesse dalla Germania non sono stati inclusi. Il quadro di riferimento del congedo parentale tedesco era sbagliato. Le stime dei costi commissionate da alcuni Stati membri non sono state prese sufficientemente in considerazione. Non è possibile attuare una politica responsabile su queste basi. La Germania è esemplare: nel periodo di congedo parentale si continuano a versare due terzi dello stipendio per 14 mesi. Questo estende le 14 settimane di congedo di maternità fino a 170 settimane facendo della Germania un campione europeo nella tutela dei neonati: per questo merita una clausola di esenzione nella direttiva.

Per questo ho presentato un emendamento insieme a 50 colleghi del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano), appoggiato dai Conservatori e Riformisti europei e da gran parte del gruppo dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l'Europa. Lo scopo è tenere in debita considerazione i sistemi nazionali. Speriamo che la maggioranza dell’Assemblea appoggi questo richiamo alla ragionevolezza nella votazione di mercoledì. Vogliamo che le madri siano adeguatamente tutelate ma se la tutela viene esasperata, soprattutto per motivi ideologici, rappresenterà un grande ostacolo all’occupazione femminile, ed è un aspetto da eliminare e non da incoraggiare.

 
  
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  Anna Hedh (S&D).(SV) Molti Stati membri hanno registrato forti reazioni a questa relazione e molti politici hanno cercato di guadagnare punti facendo a pezzi questa iniziativa europea. Si dimentica però il fatto che questa è la revisione di una direttiva in essere. I cittadini possono pensare ciò che vogliono su quello che deve essere regolamentato a livello europeo ma, lo ribadisco, esiste già una direttiva che abbiamo l’opportunità di migliorare.

Il tema dell’uguaglianza di genere ha assunto più importanza con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, e noi abbiamo la responsabilità di svilupparla. Oggi riscontriamo che gli Stati membri dotati di norme ben funzionanti sul congedo di maternità sono anche contrassegnati da un elevato tasso di occupazione femminile. Ciò è in contrasto con la situazione di quei paesi provvisti di meno norme dai risultati meno brillanti.

Se questa direttiva sarà approvata avremo anche maggiori possibilità di raggiungere l’obiettivo fissato dalla strategia UE 2020. Sono d’accordo, ci sono alcuni dettagli controversi nella proposta, ma la cosa importante è che possiamo migliorarla. I critici sostengono che la proposta comporta costi troppo elevati, ma io sono convinta che una maggiore uguaglianza sarà un vantaggio per la società.

 
  
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  Barbara Matera (PPE). - Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, oggi questa Plenaria – rappresentativa di ben 27 Stati – con coraggio e caparbietà ha deciso di affrontare ancora una volta una tematica delicata, ma al tempo stesso attuale, per la crescita sociale dei nostri paesi. Si tratta di una relazione che tocca le politiche sociali, del lavoro ed economiche dei nostri Stati ma che interessa anche tutta l'Europa che vuol crescere all'unisono.

La relazione Estrela, discussa ed emendata, persegue con convinzione il principio della conciliazione tra vita privata e mondo del lavoro e quello delle pari opportunità, e quindi di un sano ed equilibrato progresso. Garantire in tutta Europa una soglia minima di tutela dei suddetti principi equivale a migliorare la qualità della vita delle nostre famiglie e non solo delle nostre donne – e quindi anche noi – ciò che stiamo affrontando con convinzione e con giusti compromessi.

L'equilibrio è necessario nelle finalità come nelle modalità scelte e deve salvaguardare sia la posizione delle donne sul mercato del lavoro che le prerogative degli Stati nell'attuazione delle loro politiche. Monet ci ha insegnato a crescere attraverso piccoli passi. Incominciamo a percorrere questi piccoli passi, senza paura di farne seguire degli altri.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D). (LT) Oggigiorno è veramente molto importante conciliare meglio la vita privata e la vita professionale tendendo alla crescita economica, al benessere e alla competitività nel settore dell’uguaglianza di genere. Essendoci un forte calo del tasso di natalità in quasi tutti gli Stati membri, occorre adottare misure per creare le migliori condizioni possibili in cui le madri possano crescere i figli e avere la possibilità concreta di tornare sul mercato del lavoro. Esorto inoltre gli Stati membri e gli eurodeputati a trovare il modo di coordinare il costo dell’indennità di maternità e dell’assegno per la cura dei figli, cosicché le donne non siano una forza lavoro più costosa degli uomini. La condivisione delle responsabilità familiari e la possibilità di concedere anche agli uomini il diritto a due settimane di congedo di paternità offrirebbero alle donne maggiori opportunità di tornare al lavoro e rafforzerebbero i rapporti familiari. Sono quindi convinta che un congedo di maternità più lungo promuoverebbe anche un aumento dei tassi di natalità, visto soprattutto il rapido invecchiamento della nostra società.

 
  
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  Anne Delvaux (PPE).(FR) Signora Presidente, a mio avviso la necessità di valorizzare il congedo familiare è lampante: alzare la soglia minima del congedo di maternità è un passo avanti, un vantaggio, e non bisogna essere totalmente demagogici paragonando l’impatto economico a un vantaggio qualitativo difficilmente quantificabile.

Il problema, però, si compone essenzialmente di due aspetti: il primo è il contesto economico, è vero, ma non è motivo sufficiente per piantare in asso ancora per decenni milioni di famiglie; il secondo riguarda gli accorgimenti giuridici della relazione, perché il testo prevede diversi tipi di congedi familiari dalle basi giuridiche inconciliabili. Prendiamo il congedo di adozione, che nel testo figura accanto ai congedi di maternità e di paternità.

Personalmente apprezzo, in qualità di madre adottiva e a nome di tutte le donne che rappresento, la volontà di concedere gli stessi diritti di quelli spettanti alle madri biologiche. Di fatto sono il piccolo pacchetto supplementare da aggiungere alla relazione Estrela cui faceva riferimento l’onorevole Morin-Chartier.

Se l’obiettivo è effettivamente consolidare la salute e i diritti delle donne – di tutte le donne – sul mercato del lavoro, le madri adottive diventate madri come le altre devono godere degli stessi diritti e della stessa tutela sul lavoro. Sono madri a pieno titolo come le altre, che adottino un bambino di più o meno di 12 mesi; bisogna evitare le discriminazioni che figurano nel testo.

Per quanto riguarda le adozioni, mi rammarico che il testo entri così poco in dettaglio. Non include nemmeno nessun risultato della valutazione d’impatto Ramboll. Nessun punto è stato trattato in maniera approfondita, e questo è chiaramente un punto debole. Ciononostante, malgrado queste limitazioni, appoggerò la relazione Estrela perché considerazioni economiche a parte ci sono uomini e donne che devono assumersi una maggiore responsabilità genitoriale in una società sempre meno interessata all’educazione dei giovani, senza contare che è nostro dovere fare in modo che nessuno debba scegliere di sacrificare i figli al lavoro, o il lavoro ai figli.

Infine, noi non sediamo al Consiglio ma in Parlamento. Se non siamo ambiziosi noi, rappresentanti eletti dal popolo, chi deve esserlo?

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D).(FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, sono state dette molte cose, soprattutto appena adesso. Ma tutti i vari e diversi sviluppi e controversie della relazione Estrela dimostrano una cosa: che ancora oggi è molto difficile trattare serenamente il tema dell’uguaglianza di genere e, soprattutto, della conciliazione tra vita familiare e vita professionale.

Questo testo legislativo ha conosciuto – perdonatemi l’espressione – un difficile periodo di gestazione, soprattutto perché la mentalità in questo settore deve ancora evolvere di molto. Le valutazioni d’impatto sono senza dubbio necessarie per assicurare una buona comprensione di ciò che è in gioco. Bisogna tuttavia prenderle per quello che sono, e con cautela. Le conclusioni contraddittorie a cui arrivano ne sono, aggiungerei, la prova evidente.

Ovviamente sarebbe stupido non sollevare la questione dei potenziali costi generati da alcuni emendamenti proposti. Però sarebbe altrettanto stupido rifiutarsi di considerare i vantaggi socioeconomici a medio e lungo termine sulla salute di madri e figli, o sull’uguaglianza di genere nel mercato del lavoro. Inoltre, mi sembra che la nostra discussione meriti di più che certe caricature e stereotipi che si sentono ancora oggi.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. KOCH-MEHRIN
Vicepresidente

 
  
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  Regina Bastos (PPE).(PT) L’Europa sta invecchiando e registra bassissimi tassi di natalità. Questi fattori rappresentano un’enorme sfida per l’Unione europea alla quale dobbiamo rispondere con soluzioni concrete. In questo dibattito ci siamo trovati d’accordo su questa constatazione, nonostante i diversi punti di vista evidenziati nella discussione.

In Portogallo, ad esempio, il tasso di natalità non è abbastanza elevato per garantire il rinnovamento generazionale ed evidenzia una realtà che compromette il futuro. Questa situazione è presente nel mio paese come nella maggioranza degli Stati membri dell’Unione europea. Sono sicura che politiche più flessibili sul congedo di maternità possano contribuire a invertire queste tendenze. Dobbiamo inviare alle famiglie un costante messaggio di aiuto alla maternità, con misure concrete per una migliore conciliazione della vita professionale, privata e familiare. Le donne devono essere protette per potere scegliere di avere figli senza dovere lasciare il mercato del lavoro. Vincere questa sfida è di fondamentale importanza se vogliamo raggiungere gli obiettivi sociali ed economici definiti nella strategia Europa 2020 e combattere l’invecchiamento demografico.

In Portogallo, ad esempio, il congedo di maternità è già retribuito al 100 per cento per 120 giorni, nel tentativo di contrapporsi al calo delle nascite che subiamo. Credo quindi che lo stipendio delle donne debba essere garantito durante il congedo di maternità nel modo descritto nella relazione oggetto del dibattito. Permettere a ogni Stato membro, entro il 2020, di creare le condizioni per riuscire a pagare uno stipendio pieno durante il congedo maternità sembra essere un passo sensato.

Per concludere mi congratulo con la relatrice, onorevole Estrela, per la perseveranza dimostrata nel difendere le misure volte a proteggere le famiglie, contribuendo parallelamente a contrastare l’invecchiamento della popolazione.

 
  
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  Iratxe García Pérez (S&D). (ES) Signora Presidente, credo siamo tutti coscienti della responsabilità che il Parlamento deve assumersi oggi nel rivedere la direttiva sulle condizioni lavorative della donna; una direttiva che discutiamo dalla precedente legislatura e su cui, a causa di vari punti di vista e difficoltà, non siamo riusciti a procedere.

Per questo dico che oggi dobbiamo assumerci una responsabilità, nell’ambito dei diversi punti di vista che possiamo avere, per progredire sull’uguaglianza dei diritti tra uomini e donne e migliorare le condizioni di vita della donna sul mercato del lavoro.

Questa direttiva non si limita al numero di settimane di congedo di maternità, e certamente siamo tutti d’accordo che 14 settimane non sono sufficienti e che occorre allungare la durata. Ma a parte il numero di settimane, stiamo parlando di considerare ingiusto il licenziamento di una donna che è diventata madre, o di concedere un congedo di paternità per tutelare la salute di una madre lavoratrice.

Non capisco perché si dica che il congedo di paternità non è a vantaggio della salute delle madri lavoratrici. Ovvio che lo è. Permettere al padre e alla madre di condividere la cura dei figli nei primi giorni dopo la nascita è indispensabile e fondamentale per progredire nell’uguaglianza tra uomo e donna. Ci sono paesi come la Spagna che hanno già messo in atto il congedo di paternità indipendente e trasferibile.

Dobbiamo dare agli uomini la possibilità di assumersi la responsabilità insieme alle donne per procedere nella direzione intrapresa. Credo sia importante.

Desidero ringraziare la relatrice, onorevole Estrela, per il lavoro svolto e per la responsabilità del Parlamento nel …

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Godfrey Bloom (EFD).(EN) Signora Presidente, circa cinque anni e mezzo fa ho suscitato reazioni molto indignate dicendo che un piccolo imprenditore con la testa sulla spalle sarebbe un pazzo ad assumere una donna in età fertile.

Da allora le cose sono peggiorate sempre più perché la bilancia che pendeva a favore dei dipendenti e non dei datori di lavoro è totalmente fuori controllo. Uno dei miei elettori di York lo scorso anno mi ha scritto dicendomi che a parte il fatto di assumere donne in età fertile, è pazzo qualsiasi piccolo imprenditore che pensi di assumere.

Ci troviamo di fronte a una situazione straordinaria, non è vero? Ci sono giovani donne che non vedono l’ora di iniziare un lavoro, di lavorare per le imprese soprattutto se piccole imprese – che rappresentano il motore dell’economia del Regno Unito – e ci sono datori di lavoro terrorizzati dall’assumerle. Questo è il nostro problema. Proprio in questa sede, con deputati dalla scarsa esperienza commerciale, stiamo quasi impedendo alle piccole imprese di assumere giovani donne, al contrario di quanto vogliono fare.

In passato, quando in questa sede si impediva all’economia europea di funzionare, pensavo fosse una sorta di congiura cinese, con i cinesi dietro le quinte che peggioravano talmente le cose da costringerci a importare tutto dalla Cina. Ho un’altra ipotesi adesso, e cioè che le donne che siedono nelle commissioni, in Commissione e in Aula rendendo la vita difficile alle imprese nell’assumere giovani donne non vogliono perdere di vista il loro interesse.

Penso che quando l’elettorato, tra qualche anno, le giudicherà e molto giustamente le caccerà per incompetenza e stupidità, riusciranno a tornare al lavoro solo perché saranno di mezza età o di tarda mezza età. Per loro i giochi saranno fatti. Questa è la mia ipotesi. Non riesco a pensare ad altra risposta ragionevole a questa sorta di ridicola interferenza tra datore di lavoro e dipendente. Se pensate sia un’ipotesi strana, paragonabile al modo in cui parlate dei cambiamenti climatici, credetemi, niente è troppo stupido per questa Assemblea.

 
  
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  Salvatore Iacolino (PPE). - Signora Presidente, non v'è dubbio che aver portato in discussione in Parlamento un progetto legislativo dopo diciotto mesi di attività intensa vada certamente registrato con favore. È ovvio che un progetto con queste caratteristiche risenta di sensibilità diverse, dato che le stesse legislazioni degli Stati membri sono profondamente diverse. Tuttavia, la portata innovativa del provvedimento è un risultato da valutare in maniera assolutamente positiva, così come l'affermazione del principio della centralità della famiglia, quello della garanzia di un livello elevato di protezione sociale nei confronti della donna e nei confronti della donna in una condizione particolare come quella del parto.

Deve altresì essere assicurata un'omogeneità nella tutela del parto – e questo lo affermo malgrado ritenga che la portata normativa di questo provvedimento sia già più ampia di quella originariamente prevista – in quanto va sottolineato come in Europa e anche in molti Stati membri vi sia ancora una differenza notevole nella tutela del parto e della vita nascente.

Questa attività deve essere ovviamente conciliata con l'esigenza di eliminare abusi da parte dei datori di lavoro, così come va circoscritto l'ambito degli emendamenti – alcuni dei quali, a mio parere, irrigidiscono il complesso della normativa – a cominciare dal congedo di paternità, che mi sembra essere distante rispetto a un provvedimento emanato fondamentalmente a tutela della donna.

Non v'è dubbio infine che debba essere tenuto in debito conto il problema dei lavoratori immigrati e dei collaboratori domestici, che fanno parte dell'altro elemento integrato a questo – il progetto legislativo sulle lavoratrici precarie – in un mercato flessibile ed elastico, dove la donna, soprattutto oggi, deve essere vista come una risorsa al servizio della comunità.

 
  
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  Nicole Sinclaire (NI).(EN) Signora Presidente, i datori di lavoro e il governo britannico spingono gli europarlamentari britannici a bocciare le proposte per aumentare il congedo di maternità pienamente retribuito da 14 a 20 settimane, anche se penso che sia una vera e propria ipocrisia da parte dei conservatori che, in commissione, hanno presentato un emendamento chiedendo 24 settimane retribuite. Come dico io, a quanto pare l’ipocrisia non conosce confini.

Secondo la Federazione britannica delle piccole imprese si tratta di piani insostenibili, che costerebbero alle aziende del paese oltre 2,5 miliardi di sterline inglesi all’anno. Anche il governo di coalizione del Regno unito, che include i liberaldemocratici, si oppone a questi cambiamenti. Le modifiche proposte costeranno al Regno Unito 2 miliardi di sterline inglesi in un periodo in cui i lavoratori dei settori pubblico e privato vengono licenziati per risparmiare somme meno elevate.

I cambiamenti inoltre potrebbero rivelarsi controproducenti perché, secondo il governo britannico, le lavoratrici meglio retribuite godranno di più vantaggi e quelle peggio retribuite di meno vantaggi. Nonostante le buone intenzioni, essi rallenteranno il processo di uguaglianza per le madri lavoratrici. Senza contare che queste novità incoraggeranno i datori di lavoro a preferire candidati maschi.

Signora Presidente, esistono altri modi per migliorare i diritti delle madri in periodo di allattamento, ad esempio sistemi di congedo più flessibili. Oltre a ciò rispettiamo le varie differenze sociali e culturali dei singoli Stati membri. Una soluzione universale non è semplicemente accettabile. Le famiglie che lavorano e che contano così tanto su di noi per avere una normativa adeguata per vivere, lavorare e crescere i figli vivono nel mondo reale, non in una Eurodisney ideologica.

Questi cambiamenti vengono proposti al momento sbagliato e favoriscono le persone sbagliate. In un momento in cui i governi di tutta Europa cercano di ridurre la spesa pubblica, voi cercate di aumentare i costi del lavoro colpendo un settore in cui le donne sono sottorappresentate e, quindi, più esposte alla possibilità di tagli. Il Regno Unito è già provvisto dei criteri migliori, più giusti e più generosi in materia di congedo di maternità e paternità. Attualmente alle nostre madri spettano sei settimane con uno stipendio al 90 per cento, seguite da 33 settimane di congedo di maternità obbligatorio a 125 sterline inglesi alla settimana.

Voterò nell’interesse del popolo britannico. Seguirò il consiglio del governo di Sua Maestà e voterò contro gli emendamenti sul congedo di maternità.

 
  
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  Ria Oomen-Ruijten (PPE).(NL) Signora Presidente, dopo avere ascoltato quanto è stato detto in plenaria sono certa che non si è raggiunta la parità di trattamento tra uomo e donna che, in effetti, ha richiesto molti sforzi e coraggio e anche molti soldi. Lo dico non solo ad alcuni del mio gruppo, che per inciso hanno lasciato l’Aula, ma anche ad altri. Questo è il primo punto.

Il secondo riguarda l’invecchiamento e la struttura demografica sbilanciata di questa società. È una questione estremamente importante per l’Europa, motivo per cui è indispensabile dare più possibilità di avere figli. Ad esempio, apprezzo molto l’intervista appena rilasciata dal ministro francese per le finanze, signora Lagarde, sulla posizione delle donne sul posto di lavoro, che è stata perfetta. Spero si continui a sposare questa linea.

Il terzo punto è che la parità di trattamento rappresenta un impegno nei confronti dell’Europa sociale. Abbiamo detto che, in questa Europa sociale, uomini e donne devono godere di pari opportunità sul mercato del lavoro e anche avere la possibilità di avere figli. In questo momento miriamo tutti a 18 settimane, e più o meno abbiamo trovato un accordo, ma non sappiamo ancora come potremo permettercelo.

Non ho alcuna obiezione riguardo al compromesso presentato dal mio gruppo sull’imposizione del 75 per cento massimo sulle quattro settimane. Quello che obietto è che il compromesso è anche associato ai costi sanitari. È questa la mia principale obiezione, perché a paesi come Regno Unito e Irlanda – anche in Francia questi costi sono fortemente sovvenzionati – dà la possibilità di evitare il 75 per cento che devono continuare a pagare. Mi chiedo quindi se sia forse possibile bocciare questa parte del compromesso. Per l’Aula ciò significherebbe anche dare un parere comune che potrebbe ottenere l’approvazione della maggioranza del Consiglio.

 
  
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  Pascale Gruny (PPE).(FR) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, abbiamo bisogno di una legislazione europea a tutela della salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, e dobbiamo rispondere alla sfida demografica che ci aspetta e promuovere un incremento del tasso di natalità in Europa. Questi passi avanti però non devono rappresentare un freno all’occupazione femminile.

Vorrei sottolineare tre punti. In primo luogo accolgo con favore la proposta della Commissione europea sulla sicurezza e la salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. Pongo proprio l’accento sul titolo, che rappresenta il quadro giuridico di questa direttiva perché, troppo spesso, tendiamo a dimenticarci di cosa si occupa esattamente il testo. Si parla di donne perché, fino a prova contraria, gli uomini non partoriscono.

Il dibattito tende a smorzare i toni facendo riferimento al congedo di paternità o parentale. Risolviamo innanzi tutto il problema delle donne, occupandoci della loro salute quando mettono al mondo un figlio. Dobbiamo prevedere vere e proprie garanzie per proteggere la salute di queste donne nel mercato del lavoro. Il congedo di paternità e parentale sarà trattato in un’altra direttiva.

In secondo luogo la discussione si incentra sul numero di settimane. Attualmente la durata media è fissata a 14 settimane. La Commissione europea ne propone 18 e la relazione 20. Ovviamente, in qualità di donna e madre di tre figli, vorrei che le madri potessero stare vicino ai neonati il più possibile. Una domanda però sorge spontanea: chi pagherà questa proroga da 14 a 20 settimane? Lo Stato? Le imprese?

Sono convinta che un incremento medio da 14 a 18 settimane sia un importante sviluppo europeo e un investimento concreto della nostra economia nella promozione della natalità in Europa. Venti settimane rischierebbero di avere un effetto negativo sull’occupazione delle donne, perché metterebbero un freno al lavoro. In questo periodo di crisi, le imprese e i nostri Stati non possono sostenere questo ulteriore ed enorme onere finanziario.

In terzo luogo, maggiore priorità deve essere data al miglioramento dell’assistenza all’infanzia affinché le madri possano conciliare la vita professionale e familiare. Sono stati compiuti pochi progressi in materia nonostante i molteplici appelli del Parlamento. Quindi cerchiamo di non essere controproducenti, e di non rimandare le donne a casa.

 
  
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  Elena Băsescu (PPE).(RO) Colgo l’occasione per fare le condoglianze alla famiglia di Maricica Hăhăianu. Questa infermiera rumena di 32 anni era emigrata in Italia in cerca di un lavoro migliore, e la scorsa settimana ha perso la vita dopo l’aggressione di un giovane italiano in una stazione della metropolitana di Roma.

Credo che le condizioni di lavoro precarie debbano essere una preoccupazione per l’Europa. Le donne svolgono perlopiù lavori scarsamente retribuiti e rappresentano la grande maggioranza dei lavoratori a tempo parziale nell’Unione europea. Ci sono però casi in cui la crisi ha avuto un impatto limitato sulle donne attive nel mercato del lavoro. In Romania, ad esempio, la percentuale di donne che ha trovato un lavoro ha continuato ad aumentare nel 2009.

Attiro la vostra attenzione sulla situazione sfavorevole in cui versano le donne che lavorano all’estero. Spesso lavorano illegalmente e non godono di alcun diritto…

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Rovana Plumb (S&D).(RO) Parlerò nuovamente della direttiva sul congedo di maternità. Ho ascoltato con molta attenzione il dibattito di questa sera e vorrei dire che chi si oppone alla proposta, ovvero al prolungamento del congedo di maternità e alla piena retribuzione, può solo fornire un’argomentazione di natura economica. Si tratta però di un’argomentazione semplicistica perché, se si guarda oltre il disavanzo di bilancio, capiamo di avere a che fare con persone. Essi ignorano che i vantaggi andranno perlopiù a favore di questa relazione, sia per i dipendenti che per i datori di lavoro. Sì, anche dei datori di lavoro, nel senso di investire per il futuro.

Inoltre chi è contrario non si rende conto che penalizzare la maternità e il concetto di maternità in un periodo di calo delle nascite, per non parlare dell’invecchiamento e dell’impoverimento della popolazione, influisce sulla sostenibilità dei programmi di previdenza sociale.

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE).(FR) Signora Presidente, anch’io ho ascoltato con attenzione quanto è stato detto sino ad ora e constato che, come molto spesso succede, il troppo stroppia. Le argomentazioni addotte per giustificare questo supercongedo di maternità – 20 settimane, di cui sei obbligatorie prima della nascita del bambino e due dopo a stipendio pieno – non convincono. Sicuramente non è con questo tipo di misura isolata che l’Europa risponderà alle sfide estremamente complesse della demografia e dell’occupazione femminile.

Seriamente, chi può pensare che si decida di avere un figlio, un bambino, per beneficiare di cinque mesi di congedo invece di quattro mesi e mezzo? D’altro canto, non credo che negare alle donne la libertà di scelta contribuisca a migliorare la loro condizione. Inoltre, ricordiamoci per favore gli effetti e i danni collaterali delle decisioni che prendiamo. Proteggere le donne significa innanzi tutto non superare i limiti con le nostre richieste e, quindi, non creare le condizioni per lo sviluppo di nuove forme di discriminazione quando vengono assunte e quando tornano al lavoro, come confermano ad esempio tutti gli esperti dell’OCSE e della Union des Classes Moyennes.

Sono quindi chiaramente a favore del congedo di 18 settimane, del principio del congedo di paternità e, naturalmente, della possibilità di spingersi oltre per gli Stati membri.

 
  
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  Franziska Katharina Brantner (Verts/ALE).(DE) Signora Presidente, ho solo una breve osservazione sul riconoscimento dei periodi di congedo parentale nei singoli paesi. Anche l’onorevole Mann e i suoi colleghi hanno presentato emendamenti in materia, compreso l’emendamento n. 115, la cui prima parte verte sulla necessità o meno di contare le quattro settimane.

Purtroppo, ciò è associato nella seconda parte dell’emendamento – ora lo leggerò ad alta voce per essere del tutto chiaro – al fatto che la retribuzione può essere la media della retribuzione concessa per le 18 settimane di congedo di maternità, pari ad almeno il 75 per cento dell’ultima retribuzione mensile percepita o di una retribuzione mensile media come previsto dalla normativa nazionale, entro il limite di un eventuale massimale stabilito dalle legislazioni nazionali. In realtà ciò significa che, nel decidere i finanziamenti al settore e l’importo spettante alle donne in questo periodo, stiamo rinunciando all’armonizzazione europea. È inaccettabile. Sarebbe un grande peccato se l’emendamento dovesse essere approvato nella sua interezza perché, in ultima analisi, non vogliamo rinunciare all’armonizzazione europea, bensì potenziarla per migliorare la situazione di uomini e donne.

 
  
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  Cornelia Ernst (GUE/NGL).(DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, dobbiamo chiederci cosa veramente vogliamo raggiungere con questa discussione. Vogliamo forse migliorare un po’ l’uguaglianza e dare un po’ di assistenza alle famiglie al minor costo possibile? Ovviamente conciliare la vita familiare e la vita professionale costa. Ai colleghi deputati tedeschi vorrei chiedere: cosa sono 1 miliardo di euro spesi in Germania se, al tempo stesso, concediamo 450 miliardi di euro in garanzie bancarie? Qual è il nostro vero obiettivo in questo settore? Lo stipendio pieno per il congedo parentale è giustissimo. Cos’altro dovrebbe essere? Non è tempo libero, non sono vacanze; è un lavoro svolto dalle persone.

Ovviamente vogliamo estendere il periodo a 20 settimane, perché crediamo sia l’unico modo per dare il giusto spazio a questo lavoro.

Inoltre non vogliamo limitarci ad avere un po’ più di uguaglianza nella vita lavorativa. Vogliamo un’uguaglianza totale, per uomini e donne. Occorre prendere misure drastiche se vogliamo garantirla, come uno stipendio minimo obbligatorio in tutti gli Stati membri.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI).(DE) Signora Presidente, la tutela della maternità deve rimanere di competenza degli Stati membri per via delle differenze culturali in Europa. L’Austria prevede 16 settimane di congedo di maternità. Prorogare questo periodo avrebbe un costo annuo di 17,4 milioni di euro per ogni settimana aggiuntiva. Rendere obbligatorio il congedo di 20 settimane costerebbe all’Austria più di 60 milioni di euro. Il costo aggiuntivo sarebbe anche più elevato dando due settimane di congedo di paternità retribuito a ogni padre.

Cerchiamo di essere chiari nelle nostre riflessioni: in primo luogo si tratta di una decisione assolutamente personale da parte dei genitori, in secondo luogo credo che comporti il rischio di ulteriori discriminazioni contro le donne in età fertile. Potrebbe promuovere il precariato, cui il 31,5 per cento delle donne con un lavoro retribuito sono già soggette. Il punto è: è questo che veramente vogliamo?

 
  
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  Seán Kelly (PPE).(GA) Signora Presidente, questa sera il dibattito in Aula è stato eccellente e, in generale, le osservazioni fatte sono state molto buone. I punti sollevati erano idealistici, ma l’onorevole Estrela merita il nostro plauso per averli posti alla nostra attenzione. Al tempo stesso però bisogna essere pratici e realistici. Personalmente ho qualche dubbio. Accettando tutti questi suggerimenti è possibile che le giovani donne, nello specifico, non riusciranno a trovare un lavoro. Valuto la cosa da un punto di vista genitoriale. Ho due figlie e voglio che abbiano la stessa possibilità dei maschi di avere un lavoro. Questa è la cosa più importante! In Irlanda ci troviamo in difficoltà dal punto di vista finanziario. Il 20 per cento dei giovani è disoccupato. Nel settore della piccola e media impresa chiudono quattro aziende al giorno e abbiamo il bilancio peggiore della storia. Quindi, pur essendovi molti suggerimenti validi, credo siano più applicabili in un prossimo futuro. In questo momento non li vedo praticabili.

 
  
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  Marita Ulvskog (S&D).(SV) La discussione è stata emozionante. Credo ci dimostri la possibilità di trovare un compromesso e prendere una decisione in materia.

Penso sarebbe estremamente positivo se riuscissimo a farlo e, ovviamente, è necessario procedere tenendo conto della diversità dei sistemi. Sono stati registrati diversi progressi nei vari Stati membri.

Io vengo dalla Svezia, dove il congedo parentale dura più di un anno dando diritto a una retribuzione elevata e dove il padre è costretto a usufruire di una parte del congedo parentale.

Non credo possibile, su scala europea, raggiungere risultati altrettanto positivi per uomini, donne e bambini e nel livello di partecipazione femminile al mercato del lavoro. Facciamo però in modo di arrivare a una direttiva dai criteri minimi che ci consenta di giungere a un accordo.

 
  
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  Elżbieta Katarzyna Łukacijewska (PPE). (PL) Con riferimento all’attività lavorativa delle donne considererò due fasce d’età: la prima, oggi già a lungo discussa, è costituita da giovani donne con un’ottima istruzione che non riescono a trovare un lavoro poiché i datori spesso diffidano dei costi legati alla gravidanza e al congedo di maternità.

La seconda è rappresentata da donne oltre i 50 anni di età, considerate meno produttive e meno creative. In base alle statistiche le donne di età compresa tra i 59 e i 60 anni costituiscono solo il 25 per cento dei dipendenti in questa fascia di età. La percentuale delle donne attive oltre i 60 è addirittura inferiore. Ecco perché, se parliamo di lavoratrici precarie, dovremmo considerare entrambi i gruppi e fare il possibile per aiutare le donne a trovare il primo lavoro, tornare al lavoro dopo il congedo di maternità e migliorare la propria qualifica.

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Izaskun Bilbao Barandica (ALDE).(ES) Signora Presidente, scopo di questa iniziativa è migliorare la salute e la sicurezza delle lavoratrici gestanti o puerpere e applicare misure per conciliare la vita familiare e lavorativa.

Le donne d’Europa oggi guardano al Parlamento europeo e si aspettano da parte nostra misure moderne, richieste dal XXI secolo. Per questo dobbiamo parlare della possibilità di 20 settimane di congedo, retribuite al 100 per cento con lo stipendio della madre, dell’inclusione delle lavoratrici autonome, della possibilità che i padri prendano il congedo dopo la nascita e dell’uguaglianza di genere nel congedo. L’argomento non riguarda solo le donne.

Parlare dei costi del congedo di maternità non è solo un’ennesima punizione per la donna, ma anche una mancanza di responsabilità vista la crisi delle nascite e l’invecchiamento demografico in corso in Europa, che contribuisce altresì allo sviluppo della crisi economica.

Vi siete mai chiesti, ad esempio, qual è il costo dell’assenteismo in Europa? Non ho sentito neanche una parola in merito. Abbiamo l’opportunità di fare passi avanti nell’uguaglianza tra uomo e donna, quindi non deludiamo i cittadini europei.

 
  
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  Maroš Šefčovič, Vicepresidente della Commissione.(EN) Signora Presidente, ringrazio tutti gli onorevoli parlamentari per avere partecipato a questa importante, stimolante e direi anche appassionata discussione.

Pur analizzando questi temi da diverse angolazioni, la maggior parte dei presenti è d’accordo su molti aspetti. Il congedo di maternità non deve essere penalizzato, dobbiamo impegnarci a fondo per avere una retribuzione uguale, e dobbiamo analizzare molto attentamente le conseguenze economiche delle decisioni qui adottate.

Molti di voi hanno parlato del congedo di paternità o parentale. Voglio solo ricordarvi che la direttiva sul congedo parentale di recente adozione concede ai genitori un minimo di otto mesi per bambino. Per la prima volta i padri europei sono incoraggiati a livello giuridico a prendere il congedo.

Se il padre non si assume le sue responsabilità perde un mese intero di congedo. Questa direttiva entrerà presto in vigore e porteremo avanti i progressi compiuti esaminando attentamente le ulteriori proposte sul congedo di paternità.

Come ho affermato nell’intervento iniziale stiamo vagliando la situazione e molto presto torneremo da voi con i risultati.

Consentitemi un’osservazione personale sull’importanza di incoraggiare i padri a prendersi cura dei figli. Ho avuto la fortuna di essere presente al parto di due dei miei tre figli. Ovviamente, in quei momenti in ospedale la cosa più importante che potessi fare è stata mostrare coraggio e far finta di non essere preoccupato o spaventato cercando di dare a mia moglie tutto l’appoggio morale possibile. Qualche volta però erano mia moglie e le gentili infermiere a prendersi cura di me affinché potessi dare sostegno morale! Non dimenticherò mai i momenti molto importanti dopo il parto e i primissimi giorni in cui ho potuto aiutare mia moglie con il neonato.

È più che evidente che non sono solo le madri a dovere stabilire un forte legame con il neonato. I padri devono fare altrettanto: bisogna incoraggiarli a cambiare il modello genitoriale e creare le condizioni in cui anche i padri possano stabilire un legame affettivo con il figlio.

Tornando alle relazioni oggetto della discussione odierna e in merito alla relazione Thomsen sul lavoro precario, ho preso attentamente nota di quanto affermato. Posso garantirvi che la Commissione sosterrà le misure volte a migliorare le condizioni professionali delle lavoratrici precarie monitorando la politica nazionale del lavoro e, soprattutto, fornendo sostegno con i fondi strutturali.

Per quanto riguarda l’operato dell’onorevole Estrela sulla proposta della Commissione per un rafforzamento della direttiva sul congedo di maternità, stiamo cercando di trovare un equilibrio molto difficile. Occorre garantire i diritti fondamentali delle lavoratrici, ma senza fornire una scusa agli Stati membri per interrompere questi negoziati molto importanti. Dobbiamo studiare i modelli che ci offrono, allo stesso tempo, tassi di occupazione e tassi di natalità elevati.

In questo senso la Commissione accoglie con favore gli emendamenti tesi a mantenere il congedo di maternità minimo a 18 settimane, definire un diverso livello retributivo, mantenere il riferimento al congedo di malattia, e consentire ad altre forme di congedo di essere considerate alla stessa stregua del congedo di maternità.

Tutto questo a condizione che non si arrivi a compromettere la tutela esistente. Tornare indietro su questo tema non può essere una soluzione per l’Unione europea.

Auspico vivamente che Parlamento e Consiglio siano in grado di raggiungere un compromesso. La posizione della Commissione vuole colmare il divario tra le posizioni delle due istituzioni e fornire una solida base giuridica per il futuro dibattito.

Il miglioramento della condizione femminile in Europa deve essere il nostro obiettivo ultimo. Le donne contribuiscono enormemente alla società, e la società deve trovare il modo di ripagarle.

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE).(EN) Signora Presidente, temo ci siano stati molti colleghi cui è stata data la parola, che sicuramente sono arrivati dopo di me e il mio collega. Avevamo già chiesto la parola quando il presidente Buzek ha introdotto il tema questa sera, quindi obietto all’ingiustizia commessa nell’avere concesso la parola con la procedura catch the eye.

 
  
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  Presidente. – Molte grazie della sua richiesta di parola. Come ho detto c’erano molte più persone che hanno chiesto la parola di quelle a cui abbiamo potuto concederla. Ci sono state 19 persone che hanno voluto intervenire in uno spazio di soli cinque minuti. Ho quindi cercato di dare facoltà di parola alle persone sugli elenchi che ho qui.

Ovviamente i suoi commenti saranno messi a verbale. Nelle prossime discussioni faremo il possibile per garantire la procedura più giusta.

 
  
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  Edite Estrela, relatore.(PT) Signora Presidente, signor Commissario, la ringrazio per la sensibilità dimostrata nell’intervento iniziale e nell’intervento conclusivo, e per la sua testimonianza personale. Credo sia molto importante associare tutto questo alle testimonianze di altre persone, ad esempio degli altri deputati intervenuti nel dibattito, perché sicuramente contribuirà a rimuovere determinati preconcetti e a cambiare gli stereotipi ancora esistenti nella nostra società.

Per questo è anche importante includere nella direttiva il congedo di paternità approfittando della duplice base giuridica al fine di promuovere l’uguaglianza di genere e la conciliazione tra vita privata e vita professionale, perché uno degli stereotipi prevalenti nella società è che le donne sono associate alla funzione riproduttiva, mentre gli uomini a quella produttiva. Oltre a essere lavoratori, gli uomini sono padri tanto quanto le donne sono madri, e quindi hanno diritto sia alla realizzazione professionale sia a crescere i figli sin dalla nascita. Non è presente il deputato del Regno Unito che è intervenuto: avrei voluto chiedere se David Cameron è migliore degli altri europei che a loro volta vorrebbero avere un congedo di paternità, ma sono discriminati in almeno otto Stati membri.

Siamo ancora nel processo di prima lettura, e quindi avremo l’opportunità di migliorare le proposte insieme a Commissione e Consiglio. Desidero poi ringraziare i colleghi deputati della partecipazione; questo consenso generalizzato mi sembra molto importante.

Sicuramente viviamo tempi difficili ma è in queste situazioni che le società hanno più bisogno di decisori audaci perché, come notava il poeta romano Orazio migliaia di anni fa, chi ha paura della tempesta finisce per soccombere.

 
  
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  Britta Thomsen, relatore.(DA) Signora Presidente, ringrazio i colleghi deputati per i commenti fatti alla mia relazione sulle lavoratrici precarie, e la Commissione per essersi dimostrata disponibile a prendere iniziative per migliorare la situazione.

Come sottolineato da molti deputati, le donne rappresentano la grande maggioranza di chi lavora in condizioni precarie e a stipendi bassi. Questo non solo significa che in Europa le donne guadagnano meno degli uomini ma anche che le donne ricevono pensioni inferiori, e nell’Europa del futuro vedremo molte più donne povere perché il matrimonio non garantisce più automaticamente sicurezza finanziaria in età avanzata.

La categoria più vulnerabile sul mercato europeo del lavoro è quella delle immigranti donne dove vediamo forti livelli di sfruttamento, soprattutto tra le 11 milioni di donne che lavorano come collaboratrici domestiche. In questo gruppo sono anche comprese le lavoratrici alla pari. Alla pari significa “in condizioni di parità”, ma molte donne provenienti dalle Filippine e dalle ex Repubbliche sovietiche per lavorare alla pari non vengono per fare uno scambio culturale. Vengono per guadagnare soldi, mentre in molte città europee questo programma viene usato per trovare manodopera a basso costo. È una situazione che esorto la Commissione a esaminare. Non dovremmo permettere la legalizzazione di questa forma di sfruttamento in Europa, motivo per cui occorre essere più severi nel programma alla pari.

In base alle statistiche della Commissione in materia retributiva le differenze di stipendio tra uomo e donna compaiono quando arrivano i figli. Se vogliamo raggiungere la totale uguaglianza sul mercato del lavoro, le donne devono essere pienamente retribuite durante il congedo di maternità, e gli uomini devono essere coinvolti nella cura dei figli e, quindi, deve essere loro concesso il congedo di paternità.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione sulla relazione Estrela si svolgerà mercoledì 20 ottobre.

La votazione sulla relazione Thomsen si svolgerà martedì 19 ottobre.

Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)

 
  
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  Sergio Berlato (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'uguaglianza tra uomo e donna rappresenta uno dei principi fondamentali dell'Unione europea. Essa trova definizione già nel 1992 con il trattato di Maastricht e qualche anno più tardi nel trattato di Amsterdam (1997) fino ad arrivare ai nostri giorni con la Strategia UE 2010-2015. L'agenda sociale dell'Unione europea stabilisce tra le priorità la necessità di promuovere politiche volte a favorire la conciliazione di vita professionale, privata e familiare delle donne. In questo contesto, a mio avviso, la maternità rappresenta un diritto fondamentale imprescindibile al fine dell'equilibrio sociale.

Attualmente, l'Unione europea si trova ad affrontare la sfida demografica posta da uno scenario caratterizzato da bassi tassi di natalità e da un costante aumento della percentuale di anziani. Ritengo che il miglioramento delle disposizioni volte a favorire l'equilibrio tra vita professionale e familiare delle donne sia parte della risposta a questo declino demografico. Riconosco l'importanza dell'introduzione del rafforzamento delle tutele contro il licenziamento nel periodo tra l'inizio della gravidanza ed i mesi immediatamente successivi al termine del congedo di maternità.

Pertanto, incoraggio le modifiche introdotte a tal fine tra cui, in particolare, il diritto della donna a riprendere lo stesso lavoro o ad essere assegnata a un posto equivalente.

 
  
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  Zuzana Brzobohatá (S&D), per iscritto.(CS) L’obiettivo principale della relazione è migliorare la sicurezza e la salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. Personalmente, ritengo che la proposta più importante sia il prolungamento della durata minima del congedo di maternità da 14 a 20 settimane, che contribuirà a migliorare la salute e lo stato psicologico della madre, la quale potrà occuparsi a tempo pieno del bambino. Il prolungamento della durata minima del congedo di maternità incoraggerà anche l’allattamento al seno, che ha un dimostrato impatto positivo sulla salute della madre e del bambino. Altrettanto importante è, a mio avviso, l’attuale proposta di garantire che l’indennità di maternità sia pari al 100 per cento della retribuzione delle lavoratrici (ovvero della retribuzione mensile media) o comunque non inferiore all’85 per cento. Si tratta di misure sufficienti a garantire che le famiglie, in particolare quelle monoparentali, non finiscano sotto la soglia di povertà e non diventino vittime dell’esclusione sociale. Parte della relazione è dedicata alla condizione tradizionale della donna. La responsabilità primaria per la cura dei figli e di altri familiari a carico ricade infatti ancora sulle donne, che sono spesso costrette a scegliere tra maternità e carriera professionale. È quindi particolarmente importante che le nuove forme di congedo parentale non riflettano o rafforzino gli stereotipi sociali esistenti. La proposta interessa la Repubblica ceca solo per quanto riguarda l’ammontare dell’indennità di maternità e non per la durata del congedo.

 
  
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  Corina Creţu (S&D), per iscritto.(RO) Le donne sono le vittime preferite della recessione per via dei licenziamenti che colpiscono principalmente il lavoro precario. Le più colpite da licenziamenti, riduzioni salariali e abusi da parte dei datori di lavoro sono le donne con un lavoro domestico retribuito, che prestano assistenza e che lavorano con contratti temporanei. Il lavoro domestico rappresenta quasi un decimo di tutti gli impieghi esistenti nei paesi sviluppati e riguarda un gruppo considerevole di cittadini, soprattutto donne. La loro situazione di vulnerabilità incoraggia gli abusi da parte dei datori di lavoro, specialmente quando si tratta di lavoratori immigrati, provenienti dai nuovi Stati membri dell’Unione europea come la Romania o da paesi terzi.

Ritengo che l’abolizione delle restrizioni all'occupazione per i cittadini rumeni e bulgari debba essere il primo passo verso l’eliminazione dei comportamenti discriminatori che a tutt’oggi li pongono in una condizione di inferiorità e di precariato nella maggior parte dei vecchi Stati membri. Il tragico esempio dell’infermiera rumena recentemente uccisa in una stazione della metropolitana italiana tra l’indifferenza dei passanti deve essere un campanello d’allarme contro i pericoli della discriminazione e della stigmatizzazione collettiva, che possono avere, come in questo caso, conseguenze gravissime e imprevedibili. Desidero inoltre sostenere con vigore il prolungamento della durata minima del congedo di maternità a 20 settimane, in modo che le donne possano avere il tempo necessario per occuparsi adeguatamente dei propri figli.

 
  
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  Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto.(EN) Sostengo la relazione, che tenta di prolungare la durata minima del congedo di maternità nell’Unione europea a 20 settimane con retribuzione piena e di introdurre due settimane di congedo di paternità retribuito. È ora essenziale che il 2 dicembre i governi sostengano le raccomandazioni del Parlamento europeo al Consiglio “Affari sociali” dell’Unione europea. Opporsi a questa misura significherebbe escludere un gran numero di donne dalla forza lavoro e perdere di conseguenza una risorsa preziosa. Anziché penalizzare le donne per il fatto di avere figli, l’Unione europea deve sostenerle e aiutarle a conciliare meglio la vita lavorativa e quella familiare. Un migliore congedo di maternità rappresenta un investimento per la buona salute della nostra società futura. Le prime settimane di vita dei neonati sono fondamentali per lo sviluppo sensoriale e cognitivo e l’instaurazione di un rapporto di fiducia con entrambi i genitori. Numerosi studi hanno anche dimostrato che misure sociali come il congedo di maternità contribuiscono a far crescere l’occupazione femminile del 3-4 per cento. Misure quali garantire un congedo di maternità migliore e introdurre un congedo di paternità retribuito rappresentano un investimento saggio: la valutazione di impatto della misura ha dimostrato che un aumento dell’occupazione femminile appena superiore all’1 per cento coprirebbe i costi di un congedo di maternità retribuito di 20 settimane e di un congedo di paternità retribuito di due settimane.

 
  
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  Jim Higgins (PPE), per iscritto.(EN) Negli ultimi 50 anni le donne europee hanno compiuto enormi progressi avanti verso l’uguaglianza di genere. Tra i principali obiettivi raggiunti va annoverato l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro; rimane pur tuttavia motivo di profonda preoccupazione l’eccessiva rappresentazione delle donne nell'occupazione atipica. Colgo l’occasione per ribadire l’invito formulato nella relazione alla Commissione affinché incoraggi “gli Stati membri a scambiarsi le migliori prassi e a fare pienamente uso delle opportunità di cofinanziamento offerte dai Fondi strutturali […] per garantire l'accesso più ampio a strutture di assistenza all'infanzia e agli anziani economicamente accessibili e di qualità in modo che le donne non siano costrette a svolgere tali mansioni in maniera non formalizzata”. La relazione “sottolinea inoltre la necessità di garantire che i posti di lavoro di assistenza a domicilio precari si trasformino, ove possibile, in posti di lavoro dignitosi a lungo termine”. Il lavoro precario è da tempo fonte di preoccupazione, ma l’attuale crisi economica e finanziaria ha reso quanto mai urgente una soluzione a questo problema e, in particolare, alla questione delle lavoratrici precarie. Esorto pertanto la Commissione a intervenire per proteggere le donne che si trovano in situazioni di vulnerabilità e che lavorano in condizioni di lavoro precario.

 
  
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  Anneli Jäätteenmäki (ALDE), per iscritto. (FI) Le allocuzioni programmatiche evidenziano la necessità di creare condizioni migliori per le famiglie. Promuovere l’uguaglianza è una priorità nell’ambito delle strategie per l’occupazione. È ora di adottare misure a favore delle famiglie, che hanno bisogno di azioni concrete e di una migliore conciliazione di vita lavorativa e vita familiare. I tassi di occupazione e di natalità della popolazione femminile sono più alti nei paesi in cui sistemi di congedo familiare e servizi per la custodia dei bambini di buona qualità alleggeriscono il peso derivante dall’avere un figlio, come dimostrano la Svezia, la Danimarca, l’Islanda e la Finlandia. È dunque possibile coniugare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e tassi di natalità elevati e nell’Unione europea occorre promuovere appunto questa strategia. Sostengo la proposta della commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere di prolungare a 20 settimane il congedo di maternità con retribuzione piena. Non bisogna penalizzare le donne e le famiglie per il fatto di avere figli. Oltre a chiedere la retribuzione piena, la proposta di direttiva prevede che il congedo di maternità venga considerato ai fini del calcolo della pensione, ispirandosi alla richiesta dell’Unione europea di parità di retribuzione. Se la direttiva venisse approvata, si ridurrebbe il divario retributivo tra uomini e donne e migliorerebbe la situazione delle famiglie adottive, con più di un figlio o con bambini disabili. È effettivamente difficile trovare un motivo per non sostenere la proposta di direttiva con gli emendamenti presentati dalla commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere: una migliore conciliazione di vita professionale e privata favorisce il benessere delle famiglie, l’occupazione e lo sviluppo economico.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE), per iscritto. (FI) Concordiamo unanimemente sulla necessità di prevedere una tutela particolare per le donne in stato di gravidanza e per le puerpere all’interno della società e del mercato del lavoro. In ultima analisi si tratta di rafforzare il ruolo della famiglia, l’unità fondante della società. Cionondimeno, non siamo d’accordo sul tipo di legislazione da adottare per raggiungere l’obiettivo negli Stati membri. Sostengo la proposta della Commissione di prolungare la durata minima del congedo di maternità in tutta l’Unione europea dalle attuali 14 a 18 settimane, con una retribuzione pari almeno a quella dei periodi di malattia. Ciò rappresenterebbe un significativo miglioramento per l’Europa. Se consideriamo anche i cambiamenti al congedo parentale dell’anno scorso, possiamo affermare che la tutela della famiglia nell’UE è in continuo miglioramento. La commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere, però, ha approvato emendamenti che non tengono conto delle differenze tra i sistemi nazionali e le diverse realtà economiche. Gli Stati membri presentano, infatti, sistemi di congedo di maternità anche molto diversi e costringerli a coesistere significherebbe adottare una legislazione inadeguata, violando al contempo il principio di sussidiarietà. In Finlandia, per esempio, il congedo di maternità e di paternità, affiancati a un lungo periodo di congedo parentale superiore ai sei mesi, fanno parte di un sistema su grande scala, i cui costi sono ripartiti tra le varie parti. Il sistema presenta poi un’ulteriore componente, ossia la possibilità di un congedo per accudire i figli, durante il quale il contratto di lavoro non cessa. In Finlandia, i costi di un congedo di maternità di 20 settimane con retribuzione piena, come quello proposto, salirebbero dagli attuali 30 milioni di euro a 80 milioni, e addirittura di più in molti Stati membri. Nell’attuale situazione economica, una proposta del genere può essere avanzata solo se non ci si preoccupa minimamente della responsabilità di bilancio. Dal punto di vista della parità, poi, ritengo preoccupante l’eventualità che le possibilità di occupazione delle donne finiscano per diminuire nel caso in cui i datori di lavoro dovessero farsi carico degli enormi costi emergenti.

 
  
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  Jiří Maštálka (GUE/NGL), per iscritto.(CS) Sono trascorsi 15 anni dall’approvazione della piattaforma d’azione di Pechino. Il documento sintetizza la situazione delle donne a livello globale e raccomanda misure per migliorarla, rilevando anche le condizioni di lavoro delle donne, in particolare nell’economia, nella sanità e nell’istruzione. Il Parlamento europeo e il Consiglio hanno approvato diverse direttive per attuare le suddette raccomandazioni. Sulla base dei risultati ottenuti, che sembrano ampiamente positivi, sono state intraprese nuove azioni, presentate dagli Stati membri nella tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010 per la relativa attuazione. La relazione annuale del Parlamento europeo dello scorso febbraio sulla parità tra uomini e donne per il 2009 afferma che, a causa della crisi economica e dei tagli di bilancio nei paesi dell’Unione europea, si è verificata la perdita di posti di lavoro soprattutto tra le donne. Queste ultime cedono spesso alle pressioni dei datori di lavoro, favorendo in questo modo in particolare le catene di distribuzione multinazionali. Il carico di lavoro incide negativamente sulla salute, la famiglia, l’orario di lavoro legale e la formazione delle donne. Sono pochi i datori di lavoro disposti a creare condizioni favorevoli per i dipendenti che permettano loro di conciliare vita lavorativa e familiare. Le donne immigrate si trovano ad affrontare le condizioni di lavoro più difficili, incontrando ostacoli quali barriere linguistiche, nuovi ambienti di lavoro, diverse tradizioni familiari o culturali e così via. La crisi ha reso impossibile il raggiungimento di numerosi obiettivi prestabiliti. L’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere deve valutare senza indugio la situazione attuale, mentre la Commissione europea e il Parlamento europeo devono intraprendere azioni efficaci per arrestare il deterioramento della condizione delle donne.

 
  
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  Erminia Mazzoni (PPE), per iscritto. – La lunga gestazione (é il caso di dirlo!) di questa proposta di direttiva é stata causata dal contrasto tra chi voleva mettere l'impossibile dentro il documento per farne una bandiera e chi aveva l'obiettivo unico di far progredire la nostra società promuovendo realmente alcuni diritti. Alla fine il compromesso non soddisfa pienamente le esigenze di tutela rappresentate: tutela della salute delle gestanti; garanzia di parità di trattamento per le lavoratrici, anche autonome; rafforzamento delle responsabilità condivise tra i genitori e cura dei minori. Le novità introdotte - prolungamento del congedo di maternità a 18 settimane e del periodo obbligatorio di astensione dopo il parto a 6 settimane; introduzione del pagamento di una indennità pari al 100% dell'ultima retribuzione; rafforzamento delle tutele contro il licenziamento; introduzione del diritto alla richiesta di tempi flessibili, fatta salva la facoltà per gli stati membri di fissare tetti diversi e di preservare previsioni più favorevoli, ci fanno compiere comunque un passo avanti. Ho votato a favore della risoluzione, differenziandomi, però, anche dal gruppo su molti emendamenti, nel tentativo di sottolineare la centralità delle misure legate alla tutela della salute e alla sicurezza sul lavoro.

 
  
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  Siiri Oviir (ALDE), per iscritto.(ET) La disparità di genere nel mercato del lavoro è da tempo una tematica di primaria importanza per l’Unione europea, che da anni cerca una soluzione, ma a tutt’oggi non si registrano sviluppi positivi in questo settore. Per fare un esempio, secondo i dati Eurostat il numero di donne nell’occupazione precaria, ovvero con impieghi a tempo parziale, è aumentato in misura ragguardevole, raggiungendo il 31,4 per cento, a fronte dell’8,3 per cento degli uomini. Il fenomeno può essere ragionevolmente ricondotto all’attuale crisi economica e finanziaria, che ha ulteriormente esacerbato i problemi delle donne nell’occupazione precaria. Ritengo che quest’ultima sia non soltanto all’origine del divario retributivo tra uomini e donne, ma che rappresenti altresì un ostacolo alle opportunità di carriera. Dal momento che, ad oggi, la percentuale di donne nell’occupazione precaria è troppo elevata e le conseguenze negative hanno effetti sproporzionati sulla situazione della categoria, ritengo che l’Unione europea debba rafforzare le normative in materia di lavoro temporaneo, a tempo parziale e interinale. Forse un giorno potremo annunciare che l’UE ha finalmente garantito la parità di diritti tra uomini e donne e ha abolito la discriminazione di genere nel mercato del lavoro.

 
  
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  Sirpa Pietikäinen (PPE), per iscritto. (FI) Onorevoli colleghi, desidero ringraziare l’onorevole Estrela per la pregevole relazione sull’emendamento alla direttiva del Consiglio, volta a incoraggiare i miglioramenti alla sicurezza e alla salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. Le riforme previste dalla relazione sono importanti per i diritti e il benessere dei cittadini europei e per creare una concorrenza più sana nel mercato interno. L’Unione europea ha bisogno di una politica sociale coerente e l’armonizzazione dei sistemi di congedo di maternità rappresenta un passo importante verso un’Europa più sociale. La relazione propone un congedo di maternità di 20 settimane con retribuzione piena, che comporterebbe un aumento delle benefici di maternità in molti paesi europei. È dimostrato che un congedo di maternità lungo e ben retribuito ha un impatto positivo sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Quest’ultima, a sua volta, coprirebbe rapidamente i costi della riforma, che molti sostengono essere insormontabili. Benefici di maternità più elevati faranno aumentare anche i tassi di natalità e un’Europa che invecchia ha bisogno di contribuenti per garantire la prestazione di servizi anche in futuro. La richiesta della retribuzione piena durante il congedo di maternità è un altro passo importante per ridurre la disparità di reddito tra uomini e donne. In tal modo, il congedo di maternità non comporterebbe più un reddito inferiore per le donne, ma anzi le favorirebbe in termini di diritti pensionistici. Attualmente, infatti, in Europa le donne più anziane hanno una probabilità più alta di vivere in povertà.

 
  
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  Daciana Octavia Sârbu (S&D), per iscritto.(RO) La maggior parte dei lavori precari sono da sempre svolti dalle donne. Da molto tempo si parla di migliorare le condizioni di lavoro delle donne, ma purtroppo non si registrano cambiamenti. Desidero richiamare l’attenzione sul dramma delle lavoratrici stagionali che raccolgono fragole in Spagna. Conosco bene la loro situazione, non solo per via delle innumerevoli denunce ricevute dalle lavoratrici rumene o dai sindacati, ma anche per esperienza diretta sul posto. Ogni anno migliaia di donne rumene vanno in Spagna a raccogliere fragole per periodi dai tre ai cinque mesi e molte di loro diventano spesso vittime di abusi da parte dei datori di lavoro. I contratti originali vengono sostituiti con contratti in spagnolo, che non capiscono; spesso non hanno un’assicurazione sanitaria, che devono quindi pagare di tasca propria. Il lavoro prevede di raccogliere fragole spesso impregnate di pesticidi senza alcuna protezione, ma ciononostante non possono protestare per paura di essere licenziate e rimpatriate. Ho cercato di richiamare l’attenzione della Commissione europea sulla loro situazione presentando diverse interrogazioni, nelle quali chiedevo una direttiva che regolamentasse i diritti dei lavoratori stagionali dell’Unione europea, ma mi è stato risposto che il problema non rientra nelle priorità dell’istituzione. Per questo motivo chiedo nuovamente alla Commissione di presentare una proposta legislativa sulla questione.

 
  
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  Olga Sehnalová (S&D), per iscritto.(CS) Sostenere le donne nel cammino verso la riconciliazione tra vita lavorativa e familiare rappresenta una delle maggiori sfide dei tempi moderni. La decisione di creare una famiglia o di avere un figlio non si basa ovviamente sull’entità o sulla durata del congedo di maternità, ma le circostanze in cui queste decisioni maturano sono indubbiamente importanti. Mi riferisco al livello di certezza che le donne hanno in quel momento di potersi dedicare in pace e serenità, nelle prime settimane e nei primi mesi, alla maternità. Ciò è anche espressione dell’importanza che la società attribuisce alle donne: si può considerare la maternità uno spiacevole ostacolo nella vita professionale delle donne, che sono alla mercé delle dure condizioni del mercato del lavoro, oppure si può garantire loro la tutela necessaria. Se una maggiore protezione delle donne nel mercato del lavoro, in relazione al parto e alla maternità, rappresenta innanzi tutto un onere economico del quale la società europea non è disposta a farsi carico, allora è il caso di interrogarsi sui valori della nostra società. È una questione di priorità sociali.

 
  
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  Edward Scicluna (S&D), per iscritto.(EN) Molti oratori, com’è comprensibile, hanno menzionato l’impatto economico di un prolungamento del congedo di maternità da 14 a 20 settimane. Purtroppo, si citano spesso i costi perché sono facili da misurare, ma anche i benefici sono misurabili. Anzi, un aspetto che è stato oggetto di numerose ricerc è proprio l’impatto di un congedo di maternità retribuito sul tasso di partecipazione al mercato del lavoro della popolazione femminile più giovane. Uno degli studi econometrici più autorevoli della Banca centrale europea indica chiaramente che il tasso di partecipazione al mercato del lavoro della popolazione femminile più giovane aumenta costantemente fino alle 43 settimane di un congedo di maternità retribuito; solo oltre questa soglia il tasso intaccato. Per molti Stati membri in cui la durata del congedo di maternità si avvicina al minimo legale e, di conseguenza, la partecipazione femminile è bassa, un aumento del congedo di maternità retribuito è economicamente vantaggioso. Per questi Stati membri, il costo del prolungamento del congedo di maternità rappresenterebbe un investimento piuttosto che un onere economico.

 
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