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Procedura : 2010/2299(INI)
Ciclo di vita in Aula
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Testi presentati :

A7-0166/2011

Discussioni :

PV 11/05/2011 - 4
CRE 11/05/2011 - 4

Votazioni :

PV 11/05/2011 - 5.21
CRE 11/05/2011 - 5.21
Dichiarazioni di voto
Dichiarazioni di voto

Testi approvati :

P7_TA(2011)0228

Resoconto integrale delle discussioni
Mercoledì 11 maggio 2011 - Strasburgo Edizione GU

4. Principali aspetti e scelte fondamentali della politica estera e di sicurezza comune e della politica di sicurezza e di difesa comune (articolo 36 del TUE) - Situazione in Siria e a Camp Ashraf e situazione della comunità cristiano-copta d’Egitto - Relazione Albertini - Relazione annuale del Consiglio al Parlamento europeo sui principali aspetti e le scelte basilari della politica estera e di sicurezza comune (PESC) nel 2009 - Relazione Gualtieri - Evoluzione della politica di sicurezza e di difesa comune a seguito dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona - Relazione Muñiz De Urquiza - UE come attore globale: il suo ruolo nelle organizzazioni multilaterali (discussione)
Video degli interventi
PV
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta:

- la dichiarazione del Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza sui principali aspetti e scelte fondamentali della politica estera e di sicurezza comune e della politica di sicurezza e di difesa comune (articolo 36 del TUE) [2010/2986(RSP)];

- la dichiarazione del Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza sulla situazione in Siria e a Camp Ashraf e sulla situazione della comunità cristiano-copta d’Egitto [2011/2690(RSP)];

- la relazione (A7-0168/2011), presentata dall’onorevole Albertini a nome della commissione per gli affari esteri, sulla relazione annuale 2009 del Consiglio al Parlamento europeo sugli aspetti principali e le scelte di base della politica estera e di sicurezza comune (PESC), presentata al Parlamento europeo in applicazione della parte II, sezione G, punto 43, dell’Accordo interistituzionale del 17 maggio 2006 [2010/2124(INI)];

- la relazione (A7-0166/2011), presentata dall’onorevole Gualtieri a nome della commissione per gli affari esteri, sullo sviluppo della politica di sicurezza e di difesa comune a seguito dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona [2010/2299(INI)]; e

- la relazione (A7-0181/2011), presentata dall’onorevole Muñiz De Urquiza a nome della commissione per gli affari esteri, sull’UE quale attore globale: il suo ruolo nell’ambito delle organizzazioni multilaterali [2010/2298(INI)].

Prima di iniziare vorrei dire qualche parola. Lunedì abbiamo ricordato la giornata dell’Europa, un giorno di festeggiamenti per l’Unione europea. La politica estera e di sicurezza comune è senza dubbio la cosa di cui oggi abbiamo più bisogno. Ci troviamo dinanzi a sfide storiche, e la necessità di sconfiggere la crisi importata in Europa è solo una delle tante. Per il futuro dobbiamo prepararci a situazioni di questo tipo e risolvere anche i problemi della crisi esterni all’Europa, non solo quelli interni.

Assistiamo poi ai crescenti disordini in Siria, Bahrein e Yemen, e alla nuova ondata di sommosse in Tunisia ed Egitto. Non dimentichiamoci i paesi ai confini orientali da cui il lancio, alcuni giorni fa, di Euronest. Disponiamo di una diplomazia comune europea che deve fungere da strumento d’intervento efficace fuori dall’Unione, poiché non è possibile risolvere i problemi odierni dell’UE senza iniziare seriamente a risolvere quelli esterni. L’Unione deve essere più forte a livello politico, non solo a livello economico.

 
  
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  Catherine Ashton, Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. – (EN) Signor Presidente, questo è il primo di tre interventi che in mattinata terrò in presenza degli onorevoli deputati. Inizierò quindi esponendovi il mio punto di vista sulle problematiche attuali, e poi commentando certi dettagli dei temi che gli onorevoli parlamentari hanno portato alla discussione, cosciente dell’importanza che per voi rivestono. Permettetemi di iniziare.

Sui paesi che consideriamo i nostri vicini si è abbattuta una bufera – la primavera araba, il vento del cambiamento, a prescindere dall’immagine che si voglia usare. Nessuno di noi in Aula sa dove finirà e a cosa porterà. Si vuole e si spera fortemente che le rivoluzioni ripaghino di tutto il sangue versato, dei disordini e della paura, del caos economico in un mondo che è già alle prese con i peggiori problemi economici mai avuti da decenni.

Le rivolte in Africa settentrionale e nel mondo arabo pongono grandi sfide all’Europa, ma rappresentano anche opportunità che non possiamo lasciarci sfuggire. Le nostre azioni devono ispirarsi a due principi. Il primo è che in Europa sappiamo quanto lunga e dolorosa possa essere la strada verso la libertà. Il nostro cammino per raggiungere la democrazia liberale del XX secolo è stato molto lento. La stessa Unione europea nasce dalle ceneri di conflitti che ci ricordano quanto possa essere terribile la vita quando crolla la democrazia. Se a questo aggiungiamo il complesso primato degli imperi europei, ci accorgiamo che occorre essere umili, soprattutto nell’affermare che la democrazia è il presupposto necessario al progresso dell’uomo.

Secondo, la democrazia ovviamente riguarda voti ed elezioni, ma è anche molto più di questo. Quello che in Europa abbiamo imparato a nostre spese è che c’è bisogno di una democrazia profonda: rispetto dello Stato di diritto, libertà di parola, rispetto dei diritti dell’uomo, un potere giudiziario indipendente e un’amministrazione imparziale. La democrazia prevede la costituzione di diritti di proprietà e sindacati liberi, e non riguarda solo il cambiamento di governo ma anche lo sviluppo delle istituzioni e degli atteggiamenti giusti. A lungo termine la democrazia di superficie, quella che si vede in apparenza con persone che si recano liberamente alle urne per eleggere il proprio governo, non potrà sopravvivere se la democrazia profonda non riuscirà ad attecchire.

Non vi è però nessuna certezza – non sugli esiti in nessun paese – né nessun rimedio rapido o soluzione a breve termine che possa creare il mondo cui aspirano così tante persone. Nel frattempo incombe lo spettro dell’intolleranza religiosa (pensiamo agli ultimi avvenimenti in Egitto) che si giustifica in periodi di incertezza facendo leva sulla paura e portando lo scompiglio. La libertà religiosa o di culto è un diritto umano universale da proteggere ovunque. Si deve condannare chi cerca di sfruttare il credo religioso come strumento di oppressione, e sostenere chi è a favore della tolleranza in Siria, Pakistan, Egitto e altrove.

L’Europa deve anche scegliere. Pensando ai nostri vicini dobbiamo essere pronti a cogliere le sfide che ci chiedono. Posso fare centinaia di dichiarazioni, e le faccio. Deploro, condanno, esorto, richiedo, ma poi bisogna anche scendere in campo e farlo in diverse maniere.

Ora una parola sulle sanzioni. Imponiamo sanzioni a regimi che trattano la vita dei cittadini come se fosse priva di valore, con persone uccise per mano della polizia o dei servizi di sicurezza che comandano. Ieri sono state imposte sanzioni alla Siria con un embargo sugli armamenti, il congelamento dei beni, il divieto di viaggiare per 13 figure chiave del regime, e il blocco dell’accordo di associazione e della cooperazione attivata con il paese. Cerchiamo di essere franchi e chiari, come lo sono stata ieri con il ministro degli esteri siriano. Gli eventi in Siria manifestano l’aspirazione del popolo alla democrazia e allo stato di diritto, non sono un complotto straniero. Non riuscendo a capirlo il regime perde di legittimità e si allontana dal popolo e dalla comunità internazionale. Le minacce e l’oppressione violenta interne ed esterne sono strumenti di un’epoca ormai defunta. L’Assemblea e l’Unione europea sono preoccupate per il popolo di Deraa dove l’accesso è stato bandito alle Nazioni Unite, di Baniyas dove continua il giro di vite, di Hama dove sono entrati i carri armati. Il popolo siriano non si piegherà di fronte ai carri armati. Al regime intimiamo di cambiare rotta, e di farlo ora.

(Applausi)

Ieri ho detto al ministro degli esteri siriano Moallem che deve dare immediatamente libero accesso all’assistenza umanitaria e ai media. Solo così potrà dare fondamento alle sue dichiarazioni che sostengono la protesta pacifica.

Nella vicina area orientale, in Bielorussia, il Presidente Lukashenko non è riuscito a sfruttare le elezioni presidenziali dello scorso dicembre per dimostrare di essere disponibile al cambiamento e a una società europea più aperta e democratica. Non solo non ha colto l’opportunità ma, usando violenza contro manifestanti pacifici e moltiplicando il numero dei prigionieri politici, ha ignorato la democrazia e lo stato di diritto. Ho incontrato le famiglie di chi è in carcere, e so che non ci ha lasciato altra scelta che rispondere con l’adozione di sanzioni forti contro gli esponenti del regime che hanno usato la mano pesante, compreso lo stesso Presidente Lukashenko. Sono anche consapevole che dovremmo intensificare il sostegno alla società civile e ai contatti tra i cittadini.

Poi c’è il nostro sostegno diretto a Camp Ashraf. L’episodio dell’8 aprile è deprecabile e da sempre lo condanno aspramente. Sono stata irremovibile sulla necessità di una risposta europea forte e congiunta. Ho scritto al ministro degli esteri iracheno e ieri gli ho parlato nuovamente. Pur non mettendo in dubbio la sovranità del paese sul proprio territorio, l’Iraq ha il dovere di tutelare i diritti dell’uomo dei residenti di Ashraf.

Ho condannato quelle violenze e preteso un’indagine, che deve essere tanto circostanziata quanto indipendente dicendoci esattamente cosa è successo. Ma, come gli onorevoli deputati sanno dalle lettere che ho ricevuto a titolo individuale e collettivo non solo in Assemblea, la soluzione non è semplice. Stiamo considerando diverse possibilità per una soluzione a lungo termine, con le Nazioni Unite al comando, e tutte comportano delle sfide. Sono molto grata per il lavoro svolto dall’Aula, da chi si è recato in loco e per i contributi che ho ricevuto. Il tema deve anche essere portato al Consiglio “Affari esteri” e discusso con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Il nostro ambasciatore in Iraq è in arrivo oggi, ed è cosciente dell’importanza che attribuisco alla questione. Bisogna andare avanti e riuscire a trovare la giusta linea d’azione, ma l’indagine e la condanna sono indiscutibili.

Anche in Yemen il Consiglio di cooperazione per gli Stati del Golfo ha avanzato proposte e il Presidente Saleh ha nuovamente esitato. Poco tempo fa ho avuto un colloquio con lui ragionando sulle discussioni che ha avuto con l’opposizione e le proposte presentate. Gli ho detto che sapeva cosa fare nell’interesse del suo paese, e che dovrebbe farlo. Durante i colloqui nel Golfo ho incontrato il re del Bahrein, con il quale abbiamo discusso l’iniziativa sul dialogo senza le condizioni poste dal principe ereditario, e l’ho esortato a portare avanti quel dialogo. L’atteggiamento attuale non è la giusta risposta. C’è bisogno di processi civili e giusti, nel caso in cui ce ne siano in Bahrein, e in ogni caso occorre evitare la pena di morte.

Tutti questi esempi dimostrano il nostro impegno diretto, le pressioni che esercitiamo e la chiarezza del nostro approccio. Non illudetevi: diciamo molto chiaramente, io personalmente dico molto chiaramente a tutti i leader che incontro cosa penso debba succedere, e lo faccio con l’appoggio dell’Assemblea e del Consiglio “Affari esteri” dei 27 Stati membri.

Ovviamente voglio parlare della Libia. Alcuni deputati dell’Assemblea avrebbero voluto una politica di sicurezza e di difesa più decisa. A loro dico che negli ultimi mesi e settimane abbiamo visto quanto abbiamo fatto per alcuni aspetti, ma anche quanto bisogna ancora fare. Insieme ci siamo impegnati per pianificare l’assistenza militare alle esigenze umanitarie: pronti a sostenere i cittadini con risorse provenienti da tutta Europa su richiesta delle Nazioni Unite. Proprio come abbiamo fatto quando Haiti è stata colpita dal terribile terremoto, in quel caso con navi ospedale militari, dotazioni per carichi pesanti, civili e militari che lavoravano fianco a fianco. Non fraintendetemi: so che gli aiuti umanitari sono apolitici e che gli operatori umanitari non devono correre pericoli, ma quando l’obiettivo primario è salvare vite umane qualche volta è solo l’esercito che ha le dotazioni o il personale per farlo – fornire rapidamente assistenza, costruire le infrastrutture – e questo è il motivo per cui saremo pronti a intervenire se richiesto dalle Nazioni Unite.

Dobbiamo diventare più abili e rapidi. Sono la prima a dire e ad ammettere che dobbiamo fare molto di più, e ne parlerò più specificatamente più tardi.

Stiamo migliorando la collaborazione con la NATO, e per la prima volta condividiamo i dettagli delle operazioni continuando a sviluppare i nostri rapporti. Lo scorso venerdì ho presieduto, insieme al segretario generale Rasmussen, la riunione del comitato politico e di sicurezza (CPS) e del Consiglio del Nord Atlantico nel nostro primissimo dibattito sulla Libia. C’è poi la collaborazione con l’Unione africana e il Presidente Jean Ping, con la Lega araba e Amr Moussa e, ovviamente, con il suo successore, e con l’Organizzazione della Conferenza islamica e il professor Insanoglu, sotto la guida dell’inviato speciale delle Nazioni Unite Al-Khatib. È stato nel corso dei colloqui con Ban Ki-Moon che abbiamo deciso di raggruppare le organizzazioni regionali per un incontro al Cairo e dare seguito alla riunione del gruppo di contatto a Roma.

Insieme stiamo discutendo come contribuire al futuro della Libia sostenendo il dialogo nazionale, aiutandola con la costituzione e nei preparativi elettorali. Ho inviato due missioni in Libia per incontrare e lavorare con i giovani e le donne del paese. Come riferitomi dal capogruppo, è la prima volta che discutono di una costituzione: sono termini e ragionamenti che non avevano mai sentito prima. Hanno detto quanto desiderano vedere la fine del regime, quindi cerchiamo anche noi di essere chiari: Gheddafi deve lasciare il potere e mettere fine al regime.

(Applausi)

Ho intenzione di aprire un ufficio a Bengasi per procedere con l’assistenza di cui abbiamo discusso con i cittadini…

(Applausi)

…per aiutare la società civile, per sostenere il Consiglio nazionale ad interim di transizione e il Premier Jibril (l’abbiamo incontrato molte volte), per promuovere la riforma del settore della sicurezza, e per impegnarci in quello che i cittadini ci hanno detto volere. Vogliono essere aiutati nell’istruzione, nell’assistenza sanitaria, nella sicurezza sui confini, con il genere di aiuti che riusciamo e che vogliamo dare. In tutto quello che facciamo, i diritti umani sono il comune denominatore costantemente presente nel nostro lavoro.

Poi c’è la nuova politica di vicinato, con ambizioni e aspirazioni ad altri livelli. Si fonda sulla responsabilità reciproca: l’UE e i paesi limitrofi sono reciprocamente responsabili nel mantenere gli impegni assunti con i paesi vicini, le loro popolazioni e i cittadini europei.

Fondamentale in tutto questo sono la mobilità, l’accesso ai mercati e i soldi, o per dirlo più semplicemente le “tre M” dall’inglese mobility, market access e money. Alcuni aspetti sono estremamente importanti per aiutare questi paesi in futuro. Un esempio è la mobilità dei giovani. Sono giovani società in cui i giovani vogliono più opportunità, e il Parlamento europeo è chiamato a dare un grande contributo per aiutarli a imparare e usufruire dei vantaggi dati dall’Europa. Lo stesso dicasi per gli Stati membri: opportunità di viaggiare, di studiare.

Per donne e imprenditori è importante avere la possibilità di esplorare nuovi mercati, vendere i propri beni e servizi, e per loro gli Stati membri sono una sorta di dono. Alcuni di essi hanno relazioni di lunga data con questi paesi, ma ora devono farsi avanti e garantire queste opportunità.

Per quanto riguarda l’accesso ai mercati sappiamo di dover dare un notevole contributo a stimolare la crescita economica e la ripresa. Conoscete gli effetti della bufera sulle economie di questi paesi. Alcuni di essi contano su di noi come principale mercato d’esportazione e fonte delle loro importazioni. Consentire loro di sviluppare il mercato potrebbe contribuire a cambiare realmente le cose, favorendo non solo l’apertura dei mercati ma anche le modalità di accesso, dando loro la possibilità di adeguarsi ai nostri standard, e garantendo loro opportunità concrete. Questo è vero soprattutto per le piccole imprese, ma da parte nostra ci deve essere la volontà politica di farlo. Dobbiamo avere la volontà politica di impegnarci ad aprire i nostri mercati. Questa è una sfida, e lo è in tutti i sensi. È una sfida in questo periodo economico, e ritengo sia una sfida cui dobbiamo rispondere perché, in caso contrario, il fallimento delle economie dei paesi vicini avrà su di noi un impatto diretto.

Poi ci sono i soldi, o meglio, le risorse. Non solo quello che possiamo fare aiutando direttamente – sebbene importante – ma quello su cui possiamo far leva. Abbiamo già organizzato un incontro di alti funzionari provenienti da tutto il mondo e dai grandi istituti finanziari per vedere in che misura riusciremmo a contribuire qualora richiesto, e lo faremo, ma di concerto con i paesi limitrofi dobbiamo adoperarci di più per raggruppare le risorse con più efficacia.

Molto probabilmente questa politica sarà più incisiva in Tunisia che altrove. L’intervento in televisione del Primo ministro Essebsi può essere utile mentre il paese si avvia alle elezioni del 24 luglio, ma egli ha riconosciuto i problemi di una nazione i cui tassi di crescita economica sono scesi attestandosi tra lo 0 e l’1 per cento. È indispensabile dare sostegno alla Tunisia, alla sua economia e società civile: questo significa non solo pensare a lungo termine, non solo all’importanza di una nuova strategia, ma a quello che stiamo facendo per aiutare i paesi – Egitto, Tunisia e altri – in questo momento con i problemi di bilancio che si ritrovano. È il motivo per cui abbiamo lanciato il dibattito con gli istituti finanziari, gli Stati membri, chi manifesta il desiderio di soccorrere questi paesi, perché è in questo momento che è importante aiutarli a far fronte al deficit, in presenza di un crollo del turismo e del malfunzionamento dell’economia. Gli onorevoli deputati devono capire che l’urgenza è immediata e la strategia a lungo termine, ed entrambe devono rientrare nei nostri interventi.

Per quanto riguarda l’Egitto ci sono stata tre volte nelle ultime settimane, e ho trascorso molto tempo con alcuni giovani leader di piazza Tahrir, incontrando anche alcune donne. Sono soprattutto queste a volere il ruolo più forte che credono sia stato loro promesso nel futuro del paese. Ho conosciuto una donna che sarà candidata alla Presidenza ed è decisa a dimostrare che le donne hanno un ruolo da svolgere in Egitto. Ho parlato con molti ministri di governo e vi citerò l’esempio del ministro della pianificazione, Fayza Aboulnaga, una donna che vuole costruire case per il popolo, che è convinta dell’importanza che potrebbe avere tra venti anni la costruzione di un milione di case per l’Egitto.

Dobbiamo prendere queste grandi idee dai paesi con cui collaboriamo e tradurle in concreto con il nostro aiuto. Parlo di integrare formazione e istruzione, di infrastrutture per programmi abitativi, opportunità di crescita per le piccole imprese, di lavorare con le donne dell’ONU – come sto facendo io – per capire come sviluppare comunità più sicure con progetti di edilizia abitativa, come collaborare alla realizzazione di un sogno molto più grande e ambizioso fondato sui desideri del popolo egiziano. Sto avendo una serie di colloqui con il ministro degli esteri egiziano, Al-Araby, impegnato in una stretta collaborazione con noi sul processo di pace mediorientale, desideroso di sviluppare le forti relazioni che già abbiamo e ansioso di vederci cooperare nella regione in qualità di partner.

L’Egitto sarà chiamato ad affrontare molte sfide nei prossimi mesi e anni. Dobbiamo essere presenti per sostenerli in ognuna di esse e pronti a mettere a disposizione le nostre risorse, conoscenze, competenze e contatti per aiutarli.

Ho sempre affermato, non solo in questa sede, che il servizio per l’azione esterna è uno strumento per la prevenzione e la risoluzione dei conflitti, quindi permettetemi di dire che è questo il motivo per cui il nostro ruolo in Serbia e Kosovo è importante. È la ragione per cui il voto vinto alle Nazioni Unite, la voce che adesso abbiamo, può dare un contributo. È la ragione per cui dobbiamo convincere i leader bosniaci a cambiare visuale, a smettere di pensare unicamente alle proprie comunità per iniziare a considerare le esigenze dell’intero paese, guardando al futuro e all’Unione europea.

È anche la ragione per cui abbiamo un compito nel processo di pace mediorientale. Gli onorevoli deputati sanno bene che la stabilità del Medio Oriente richiede pace. Da decenni la ricerca di un accordo negoziale domina la regione. Negli ultimi mesi abbiamo dato un nuovo impulso al Quartetto. A febbraio ho ospitato un incontro tra i leader del Quartetto per il Medio Oriente e, per la prima volta dalla sua istituzione, alla riunione successiva gli inviati del Quartetto hanno collaborato con negoziatori israeliani e palestinesi.

Ad aprile ho voluto un altro incontro tra i leader e abbiamo elaborato una dichiarazione ricca di contenuti tenendo conto della nostra posizione. Continuo a credere che la soluzione negoziale sia quella giusta; continueremo a impegnarci e, nel corso del mese, avremo un’altra riunione tra gli inviati.

Poiché anche noi abbiamo fortemente sostenuto la costruzione dello Stato palestinese, quando il 13 aprile abbiamo accolto la riunione del comitato di collegamento ad hoc ho ascoltato gli elogi sull’operato di Salam Fayyad, i suoi straordinari successi ottenuti nella governance, nello stato di diritto e diritti umani, nell’istruzione, nella salute e nella previdenza sociale che, secondo la Banca mondiale, sono sufficienti per un governo autonomo. Ho riconosciuto che la riconciliazione palestinese promossa dal Presidente Abbas costituisce un’opportunità e l’occasione che da anni chiede l’Unione europea.

Gli eventi attuali rappresentano, ad ora, lo sforzo più convinto per stabilire l’unità che, di per sé, è fondamentale per raggiungere la soluzione con i due Stati. Sono stata in stretto contatto con il Presidente Abbas, il Primo ministro Fayyad, e anche con l’Egitto, la Lega araba, gli Stati Uniti e Israele. La non violenza, la continuazione del processo di creazione dello Stato e il rispetto degli impegni esistenti saranno di fondamentale importanza, e saranno i risultati a contare. Sono convinta che Israele dovrebbe restituire gli introiti fiscali spettanti ai palestinesi, ma preciso che la nostra posizione su Hamas non è cambiata e che la sicurezza di Israele rimane fonte di grande preoccupazione per noi tutti.

Aggiungo che, a mio avviso, la flottiglia non è la giusta risposta alla situazione umanitaria di Gaza. Ci sono stata due volte. Continuo a ricordare lo stato in cui versa la popolazione, che in particolare chiede più accesso per far decollare l’economia. A dir la verità la situazione è terribile, soprattutto per i bambini. Abbiamo avanzato proposte a Israele per garantire il maggiore accesso. Voglio che la popolazione di Gaza abbia un futuro ma voglio anche che Gilad Shalit, da anni tenuto prigioniero a Gaza, abbia la possibilità di andare a casa dai suoi genitori che ho già incontrato.

L’esperienza europea ci insegna che la vera democrazia è il presupposto necessario alla tolleranza, alla pace e alla prosperità. Nell’Africa settentrionale e nel mondo arabo non sarà possibile raggiungere l’obiettivo rapidamente né senza battute d’arresto, ma l’unico modo per farlo è costruire una democrazia profonda. Abbiamo l’esperienza per aiutare ogni paese che ce lo chieda ad accompagnarlo nel cammino verso la democrazia. Per questo propongo di sostenere il fondo per la democrazia, che permetterà anche a noi di sfruttare le risorse per promuovere le opportunità, soprattutto per i giovani, di impegnarsi nella vita politica, di incoraggiare lo sviluppo dei partiti politici, di consentire ai cittadini di fare come gli onorevoli deputati di così tanti paesi qui rappresentati, ovvero sviluppare il processo politico creando i partiti politici, la società civile, e radici profonde che portano alla nascita e alla crescita della democrazia.

Quando visito questi paesi, spesso dico che la cosa più importante non è eleggere un governo, quanto piuttosto il diritto di rovesciarlo. Democrazia significa poter dire addio e, al tempo stesso, poter dare il benvenuto, ed è questo l’importante: sapere che hai il diritto di usare l’urna elettorale una, due, tre, quattro volte per cambiare il governo, per pretendere dal governo. È una cosa di importanza assoluta, che si può fare solo in presenza di una democrazia viva e profonda. È il motivo per cui quello che abbiamo visto succedere in Costa d’Avorio è così importante, ovvero l’insediamento a lungo atteso del Presidente Ouattara, e il nostro ruolo in tutto questo è stato significativo. È il motivo per cui è un bene vedere che le elezioni nigeriane procedono e che Goodluck Jonathan viene nominato nel modo giusto. È un bene vedere che la democrazia inizia a far presa, a vivere e a fiorire, ed è questo l’aspetto che dobbiamo prediligere.

Il cambiamento non comporta necessariamente progresso, ma il progresso richiede assolutamente cambiamento. Questo significa che dobbiamo essere più determinati nell’agire. Alcuni punti che ho citato richiedono l’intervento degli Stati membri, altri quello della Commissione, molti necessitano del sostegno dell’Assemblea, e noi dobbiamo decidere di dare il nostro contributo. Se lo faremo solo quando gli occhi dei media saranno puntati addosso a noi o a quei paesi non riusciremo nel nostro intento. Questo deve essere per noi un lungo viaggio, e dobbiamo essere risoluti nel dire ai paesi vicini che non solo devono iniziare il cammino verso la democrazia, ma anche completarlo.

Sono state presentate tre ottime relazioni su cui mi soffermerò nel prossimo intervento, ma desidero comunque ringraziare i relatori. Vorrei concludere con una brevissima citazione di un’antropologa, una donna che ammiro molto, Margaret Mead: “non dubitate che un piccolo gruppo di cittadini coscienti e risoluti possa cambiare il mondo. In realtà è l’unico modo in cui è sempre successo”.

 
  
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  Joseph Daul, a nome del gruppo PPE.(FR) Signor Presidente, Baronessa Ashton, onorevoli colleghi, la politica estera è stata dominata dalle rivoluzioni più o meno pacifiche che hanno investito diversi paesi mediterranei a noi vicini e, più recentemente, da un evento simbolico nella lotta al terrorismo internazionale, ovvero la fine dell’era Bin Laden.

Che ruolo ha l’Europa in tutto questo? Siamo presenti e attivamente coinvolti nella situazione? Certamente sì. L’azione condotta in Libia sotto l’egida delle Nazioni Unite e su iniziativa di alcuni capi di Stato e di governo ha dimostrato che, quando vuole, l’Europa – o una parte dell’Europa – può intervenire con decisione nei momenti difficili.

Forse questo fa di noi un attore internazionale strategico, con un’influenza all’altezza della nostra potenza economica? La risposta è certamente no. L’Europa continua a essere un attore minore, nella migliore delle ipotesi un Pollicino politico e geostrategico, nonostante le sempre crescenti aspettative dell’opinione pubblica europea. L’Europa ha scommesso sulla stabilità e sugli aiuti allo sviluppo nel Mediterraneo. Eppure i popoli rivendicano in maniera del tutto legittima libertà politica, e fuggono dai propri paesi per mancanza di una prospettiva di vita dignitosa e di opportunità per sé e per i propri figli. L’assistenza umanitaria che forniamo da alcuni mesi si è rivelata sicuramente utile.

Baronessa Ashton, bisogna fare di più. Abbiamo iniziato a imparare da questa esperienza? Voglio sperarlo. La cosa peggiore è che le ondate di immigrati che arrivano sulle nostre coste con imbarcazioni precarie, che muoiono in mare – e anche in questo caso non ci sono sufficienti informazioni sul numero dei decessi – si scontrano troppo presto con divisioni, contrasti, confini chiusi, con alcuni paesi che mettono persino in dubbio la zona Schengen, strumento fondamentale della libertà di circolazione.

(Applausi)

Tutto questo è degno dell’Europa e dei suoi valori, principi e ideali? Credo di no e non lo crede nemmeno il mio gruppo, il gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) e neppure, sono convinto, la maggioranza dei colleghi in Aula.

Onorevoli colleghi, il motivo per cui questa mattina incontriamo l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza è perché con il trattato di Lisbona abbiamo voluto dare una voce e un volto all’Europa. Ora dobbiamo andare avanti e agire, e questo significa fare scelte e rispettarle. Ma allora quali sono le priorità dell’Europa? Le relazioni con i paesi limitrofi a est e a sud? La lotta al terrorismo? La soluzione al conflitto mediorientale? La politica commerciale? Non è facile fare tutte queste cose contemporaneamente.

Chi sono i nostri partner privilegiati? Gli Stati Uniti, i paesi emergenti o altri? Come raggiungere i risultati migliori? Lasciando ai singoli Stati membri la libertà di definire la propria politica, come facciamo da 60 anni, o parlando all’unisono, con voce forte?

Onorevoli colleghi, la soluzione intergovernativa non è più la giusta risposta agli affari esteri, alla sicurezza e alla difesa: c’è bisogno di più Europa. Occorre abbandonare gli egoismi nazionali ed essere più efficaci su scala europea.

Baronessa Ashton, avremo una politica estera e di sicurezza solida solo esercitando tutto il nostro peso e concentrando tutte le nostre energie in alcuni obiettivi ben definiti. Onorevoli colleghi, il 2011 deve essere l’anno del Mediterraneo, della lotta al terrorismo, e anche di una svolta nel conflitto mediorientale. Se l’Europa riuscirà a diventare un attore chiave su questo fronte potrà far dimenticare i suoi errori di gioventù.

Vorrei concludere con una frase di un uomo che conosce molto bene: Giovanni Paolo II. “Non abbia paura”, Baronessa Ashton. Abbiamo risparmiato 4 miliardi di euro nel budget europeo. Faccia delle proposte per utilizzare questi soldi, invece di restituirli agli Stati membri.

(Applausi)

 
  
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  Martin Schulz, a nome del gruppo S&D.(DE) Signor Presidente, in un’Unione europea dove assistiamo a spinte nazionalistiche in tutti i settori, il trattato di Lisbona deve fungere da strumento per creare una nuova politica comunitaria: la politica estera, di sicurezza e di difesa comune.

Questa è la prima discussione importante che teniamo con la baronessa Ashton. Se ricordiamo gli inizi, già si capiva che alcuni governi non volevano usare il titolo “ministro degli esteri dell’Unione europea”, e questo alla fine ha portato a scegliere l’appellativo “Alto rappresentante”. È comprensibile giacché, insieme alla politica fiscale e interna, una politica estera indipendente è un aspetto fondamentale, quasi un tratto distintivo della sovranità nazionale. Il passaggio di questa sovranità a un’istituzione sovranazionale, soprattutto nel campo della politica estera, di sicurezza e di difesa comune, è una mossa coraggiosa ma anche difficile.

Noi europarlamentari dobbiamo però, insieme all’Alto rappresentante, porci una domanda molto diversa, ovvero: qual è il ruolo dell’Unione nella politica internazionale in qualità di organismo indipendente? Negli ultimi giorni ho letto alcuni articoli sulla baronessa Ashton che mi hanno stupito, perché ne criticano l’assenza e la mancanza di politiche. Queste critiche sono mosse da persone che attribuiscono massima priorità alla politica estera nazionale e agli interessi nazionali e, senza consultarsi con nessun partner, prendono decisioni unilaterali che a lungo andare divideranno l’Europa invece che unirla.

Basta guardare la missione in Libia. Raramente c’è stata una spaccatura più evidente nella politica e nel coinvolgimento internazionale dell’UE che nella gestione della questione libica. Nelle principali capitali dell’Unione c’è la tendenza a considerare la politica estera, di sicurezza e di difesa comune un’estensione della politica nazionale di ogni paese finanziata con fondi europei. Più grande è l’Auswärtige Amt, il Foreign Office o il Quai d’Orsay, più pronunciata è questa tendenza. Baronessa Ashton, sicuramente il Parlamento sarà con lei se dirà ai deputati che, pur rispettando i loro interessi unilaterali, la politica estera comune europea non può andare nella stessa direzione. Questa politica sarà definita da lei, Alto rappresentante, in tutti i settori dove è possibile un’intesa.

Approvo l’apertura di un ufficio come quello che ha descritto in Libia perché lei in qualità di Alto rappresentante, l’Unione stessa e il Parlamento come organo indipendente avete la credibilità a livello politico e umanitario. Noi siamo più credibili degli Stati intervenuti militarmente in Libia per necessità, i cui esportatori di armi, però, avevano i più grandi stand alle maggiori fiere libiche sugli armamenti lo scorso autunno. Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Belgio sono i principali fornitori di armi per l’esercito del colonnello Gheddafi, che combatte contro i ribelli in Libia. Non è questo il genere di credibilità di cui necessita l’Europa.

(Applausi)

La credibilità di cui necessita l’Europa è quella del soft power che aiuta a instaurare la democrazia, apre un ufficio per incoraggiare lo sviluppo della società civile e non porta avanti una cooperazione internazionale a livello europeo per piegare gli altri agli interessi economici e diplomatici unilaterali dell’Unione, bensì promuove le politiche basate su un partenariato paritario tra le diverse regioni del mondo. Questa è la mia idea di politica estera, di sicurezza e di difesa dell’UE.

Lei ha parlato delle tre M: money, mobility e market access. Nella prossima fase dovrebbe aggiungere le tre C: coherence, concreteness e community method (coerenza, concretezza e metodo comunitario). Secondo me con le tre M e le tre C troverà chi la sostiene al Parlamento europeo. Noi del gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo sappiamo di essere ancora alle prime fasi della collaborazione tra lei e Parlamento, e sicuramente ci sono margini di miglioramento. Per questo rinnovo l’offerta a nome, credo, della maggioranza dei deputati in Aula. Sicuramente troverà più consensi qui sulla sua idea di politica estera e di sicurezza comune che tra i 27 ministri degli esteri. Li rispetto tutti, ma tutti hanno un problema: sono ministri degli esteri di singole nazioni.

(Il Presidente interrompe l’oratore)

Lei, invece, è il rappresentante diplomatico di un intero continente.

(Applausi)

 
  
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  Guy Verhofstadt, a nome del gruppo ALDE. (EN) Signor Presidente, sabato ho avuto un lungo colloquio al Cairo con il nuovo Primo ministro egiziano Sharaf. La conclusione di questo incontro, così come la mia dopo la riunione nella mia seconda visita al Cairo degli ultimi due mesi, è che – come da lei sottolineato – bisogna aiutare enormemente queste rivoluzioni in Africa settentrionale e, soprattutto, gli sviluppi in Egitto. Bisogna smetterla di fare le misere concessioni paternalistiche annunciate sinora.

Farò un piccolo paragone. Sapete quanti soldi sono stati concessi con il piano Marshall degli Stati Uniti? Per anni, senza interruzioni? L’1 per cento del prodotto interno lordo all’anno, cioè 162 miliardi di dollari americani. Di quanto si tratta e cosa promettiamo all’Egitto? Un miliardo. Non 162 miliardi, ma un miliardo. Non nel 2011 e nel 2012, ma nel 2013, quando avremo la possibilità di farlo. Non è niente. Quello che mi aspetto da lei e dalla Commissione, perché sembra si stia parlando di soldi della Commissione, non sono grandi progetti sul rinnovamento della politica di vicinato. È una cosa da fare in futuro, ma ora mi aspetto aiuti a favore dell’Egitto stanziati direttamente dal bilancio il prima possibile, perché per la fine dell’anno non avranno fondi in bilancio e potrebbe essere l’inizio di una controrivoluzione nel paese. Aiuti di bilancio diretti o cancellazione del debito del paese: ecco la soluzione immediata. Un annuncio odierno in questo senso sarebbe indubbiamente di aiuto per l’Egitto e gli egiziani.

Il mio secondo punto riguarda la Siria. Siamo onesti, Baronessa Ashton: la Siria è un gran disastro. Quello che sta succedendo è nientemeno che una Tienanmen araba, non ho altre parole per descriverlo. Una Tienanmen araba. Persone massacrate ogni giorno da carri armati e cecchini. Ad oggi 800 persone uccise. Ad oggi 8 000 persone arrestate. Persone torturate il più brutalmente possibile per svelare le password su Facebook e i nomi dei compagni che lavorano su Facebook. I soldati che si rifiutano di sparare ai concittadini vengono uccisi dai servizi segreti dell’esercito e di Bashar al-Assad. Considerando gli avvenimenti siriani, è più che evidente che c’è un solo modo per descrivere Bashar al-Assad: il dittatore più brutale attualmente esistente al mondo. Questa è l’analisi ovvia oggi possibile.

(Applausi)

Cosa si può fare? Ad oggi vedo 800 cittadini uccisi, 8 000 cittadini imprigionati, alcuni dei quali torturati quotidianamente, e noi congeliamo i beni di 13 persone, ma non di Assad. Credo che l’approccio non sia equilibrato. Di fatto è ridicolo, e non aiuta a fare pressioni sul regime di Assad affinché cambi linea di condotta. Non è sufficiente dire che ci sono 13 persone e uno dei fratelli di Assad, e che uno dei nipoti è sull’elenco. No, ci sono centinaia di persone da inserire subito in lista, il prima possibile, per esercitare pressioni vere e proprie.

Riesco a capire un po’ la sua strategia. Lei pensa che continuando a escludere Assad dalla lista forse gli farà cambiare atteggiamento in futuro. Va bene, lo dica con chiarezza nel dibattito odierno. Dica che concede ad Assad qualche giorno. Se in questi giorni non mette fine a questi episodi, allora congeli tutti i beni, non solo di 13 persone ma di tutta la famiglia Assad.

(Applausi)

Se 800 persone vengono uccise, imponga un divieto di viaggio non a 13 persone, bensì all’intera famiglia Assad, e dica cosa è molto importante. È quello che ci si aspetta.

Ieri abbiamo avuto un collegamento diretto con cittadini siriani che dicono che occorre potenziare le sanzioni, altrimenti non si fermerà. Dichiari che l’UE non considererà mai la famiglia Assad come i veri rappresentanti del popolo siriano, e che sarà ritenuta responsabile dei crimini perpetrati. Lo faccia subito. È questo che oggi ci aspettiamo da lei. Lei può aiutare a fermare questa Tienanmen araba. Non è vero che non abbiamo un compito: noi svolgiamo un ruolo fondamentale e il popolo siriano oggi aspetta questo messaggio preciso. Non domani, oggi.

(Applausi)

 
  
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  Charles Tannock, a nome del gruppo ECR. (EN) Signor Presidente, senza dubbio il grande passo avanti di quest’anno nella politica estera e di sicurezza comune (PESC) è stata la creazione del servizio europeo per l’azione esterna (SEAE). Baronessa Ashton, in qualità di Vicepresidente/Alto rappresentante di recente lei è stata oggetto di pressioni per i risultati poco brillanti ottenuti. Ad ogni modo, lei può essere efficace solo nella misura in cui gli Stati membri glielo consentono e, ovviamente, è restia a ricorrere ai suoi poteri di iniziativa, approccio che condivido pienamente. Da una parte l’Unione europea vuole ritagliarsi un ruolo da gigante mondiale della diplomazia ma, dall’altra, la PESC richiede l’unanimità, il che significa scendere a compromessi per tutelare gli interessi dei singoli Stati membri, soprattutto di quelli grandi.

Questo approccio ibrido e sui generis nella politica estera comunitaria giustifica chi di noi era contrario alla creazione del SEAE in prima battuta, convinto che le ambizioni globali dell’UE avrebbero intaccato la sovranità nazionale. Paradossalmente ora sembra che sia la sovranità nazionale a intaccare le ambizioni globali dell’UE, come abbiamo recentemente visto con gli eventi in Libia. L’ECR, gruppo cui appartengo, mantiene tuttavia un impegno costruttivo con il SEAE. Gli facciamo gli auguri e speriamo che funzioni. Deve sistemarsi e dotarsi di una neutralità di bilancio e di maggiore responsabilità politica.

Nonostante la Vicepresidente/Alto rappresentante abbia nominato funzionari di eccellenza – ne ho incontrati alcuni prima della commissione per gli affari esteri – mi chiedo perché sia stata raggirata dalla Commissione, che sembra avere tenuto per sé una quantità esagerata di risorse per l’allargamento dell’Unione europea e la politica europea di vicinato. Questa politica non rappresenta un buon affare per i contribuenti europei, né persegue gli interessi della nostra politica estera.

Ora mi permettete di avanzare richieste specifiche, in primo luogo sull’imminente flottiglia per Gaza Mark II? Signora Vicepresidente/Alto rappresentante, può fare pressioni alla Turchia per porre fine a questa pericolosa provocazione in un momento in cui Israele è oggetto di enormi tensioni e pressioni, con attacchi missilistici da Gaza e un nuovo passaggio delle navi da guerra iraniane nel canale di Suez? In che modo l’Unione europea affronterà una nuova Autorità palestinese unitaria che conta tra i suoi membri Hamas, un’organizzazione terroristica proibita dall’UE?

In secondo luogo, Signora Vicepresidente/Alto rappresentante, patteggerà una soluzione per la chiusura di Camp Ashraf in Iraq?

E poi, condannerà esplicitamente e pienamente l’approvazione del disegno di legge Bahati in Uganda, che dà il via libera alla pena di morte per gli omosessuali?

Per concludere concordo pienamente con l’onorevole Verhofstadt: applaudo tutte le vostre iniziative per stabilizzare il Medio Oriente e i paesi nordafricani e, in particolare, la condanna per l’uccisione dei cristiani in Egitto. Ma perché, come ricordato dall’onorevole Verhofstadt, il Presidente siriano Assad è stato escluso dall’elenco europeo delle sanzioni dopo il brutale eccidio di manifestanti civili innocenti, di recente perpetrato dalle sue truppe?

 
  
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  Daniel Cohn-Bendit, a nome del gruppo Verts/ALE.(FR) Signor Presidente, Baronessa Ashton, onorevoli colleghi, oggi vorrei semplicemente farle qualche domanda, Baronessa Ashton.

In primo luogo sulla questione siriana. Come l’onorevole Verhofstadt, vorrei sapere: cosa impedisce all’Europa di inserire il Presidente Assad nella lista delle sanzioni UE? Quale paese o paesi oggi impediscono all’Unione di prendere l’unica decisione possibile? La prego, ce lo dica. Se l’ostacolo è il ministro degli Esteri Westerwelle, ci dica che è Westerwelle, almeno in questo modo sapremo come nascono le diverse politiche degli Stati membri.

A differenza del ministero degli esteri tedesco non diremo che il Presidente Assad è la risposta alla dittatura del Presidente Assad. Se è questo che si vuole far credere è veramente incredibile. L’unica soluzione per la Siria è che il Presidente Assad abbandoni il potere: questa deve essere la posizione europea. È quindi ovvio che bisogna mettere in lista il Presidente Assad e tutta la sua famiglia, non domani, non dopodomani, ma oggi. Se è impossibile perché ci vuole una decisione all’unanimità, allora si dica cosa impedisce questa soluzione. Bisogna dirlo pubblicamente perché ci sia un vero e proprio dibattito in Europa.

In secondo luogo, cosa impedisce a Israele di pagare le imposte dovute ai palestinesi e perché? Ovviamente bisogna garantire la sicurezza di Israele, ma non per questo devono soffrire i palestinesi. Non può essere questa la soluzione.

(Applausi)

Ultima domanda: alcuni giorni fa 600 persone sono morte sulla costa libica. C’era una nave nei paraggi; ci è stato detto che non era una nave NATO, che non era il Charles de Gaulle, ma apparentemente era una nave maltese. Quindi vorrei sapere: che nave era e quali sono le informazioni disponibili? Chi non è riuscito a salvare i 600 rifugiati che partivano dalla Libia? Non mi si dirà che nel XXI secolo non è possibile sapere di che nave si trattava. Il mancato intervento rappresenta un reato: il reato di non fornire assistenza alle persone in pericolo.

 
  
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  Lothar Bisky, a nome del gruppo GUE/NGL.(DE) Signor Presidente, Baronessa Ashton, nel corso della discussione non sentirete solo lodi, ma anche critiche. Per dirla tutta è evidente che la politica estera ha fallito in certe zone, compreso il mondo arabo e l’Afghanistan, nel trovare una soluzione al problema palestinese e ai conflitti tra i vicini paesi orientali. Quello che vorrei chiedere è: qual è il motivo? Con 27 nazioni che decidono, com’è possibile raggiungere il consenso nell’Unione europea e nella politica estera e di sicurezza comune?

Ovviamente la politica estera è una politica basata su interessi individuali. Ma l’epoca in cui l’Occidente poteva imporre i propri interessi senza tenere conto delle nazioni partner e dei loro popoli è ormai lontana. L’UE deve dimostrare di essere pronta ad adottare una politica di interessi equilibrati. I principali fattori che hanno contribuito al fallimento sono l’applicazione di due pesi e due misure e la tendenza a pensare in termini militari. I deputati dell’Assemblea hanno quasi gioito quando il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha deciso di intervenire militarmente in Libia. Oggi credo siamo tutti perplessi quando parliamo di cosa succede laggiù. Cosa facciamo per il popolo di Gaza o del Darfur? Come si può conferire il diritto a una vita dignitosa a 1,4 miliardi di persone che vivono con un dollaro al giorno? Il mio gruppo è particolarmente interessato a questa problematica.

Le rivoluzioni dei paesi arabi condividono un’importante richiesta. Tutte invocano giustizia ed equità, sia nella distribuzione della ricchezza nella società sia nella partecipazione democratica al processo decisionale politico, e nelle relazioni internazionali. L’Unione europea deve rispondere a questa richiesta. Per raggiungere l’obiettivo bisogna lavorare insieme allo sviluppo del diritto internazionale, e non limitarsi a interpretarlo e applicarlo unilateralmente.

 
  
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  Bastiaan Belder, a nome del gruppo EFD.(NL) Signor Presidente, Baronessa Ashton, ho una serie di domande scottanti sugli sviluppi del conflitto israelo-palestinese. Che posizione adotterà l’Unione europea, insieme a Regno Unito e Francia, in seno al Consiglio di sicurezza dell’ONU di settembre riguardo agli sforzi unilaterali dell’Autorità palestinese per proclamare uno Stato palestinese senza considerare, si noti, il processo di pace con Israele?

Questa domanda, Alto rappresentante, è ancora più urgente dopo che la scorsa settimana Fatah e Hamas hanno ripristinato l’unità palestinese ignorando totalmente le condizioni delle parti, tra cui l’Unione europea, su un governo palestinese unificato con il riconoscimento dello Stato di Israele, la rinuncia alla violenza e al terrorismo e il rispetto degli impegni precedentemente assunti. Nel frattempo Hamas sta dimostrando di appartenere a tutti gli effetti all’elenco delle organizzazioni terroristiche stilato dall’Unione europea. Da qui urge la domanda: in questo nuovo contesto, in che modo l’Unione europea applicherà i principi del Quartetto? Tenere lo stesso comportamento con Ramallah significa in ogni caso rinunciare a questi principi di pace fondamentali. Tutto questo causerà gravi danni alle relazioni tra UE e Israele ed è di pochissimo aiuto al processo di pace, anzi.

 
  
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  Gabriele Albertini, relatore. Signor Presidente, Alto Rappresentante, onorevoli colleghi, il tema della politica estera e di sicurezza europea è ancora più cruciale in questo particolare frangente storico, caratterizzato da una straordinaria ondata di contestazione che ha preso piede nel Mediterraneo e che si sta espandendo anche nel Medio Oriente.

Con questa grave crisi che affligge tutto il sud del Mediterraneo e che si sta espandendo verso la zona della Penisola arabica, il Parlamento europeo deve essere una cassa di risonanza per tutte le espressioni popolari che chiedono a gran voce, a rischio della loro stessa vita, un miglioramento delle condizioni e l’avvio dei processi di democratizzazione, smantellando gli attuali regimi. La nostra Assemblea vuol essere un interlocutore di primo piano nei confronti dell’Alto Rappresentante/Vicepresidente, Lady Ashton, anche e soprattutto per la funzione di controllo di bilancio nelle missioni civili e militari in ambito PESC e PESD.

La prima parte della relazione si sviluppa con particolare riferimento al rapporto tra il Parlamento europeo e le Istituzioni, Consiglio e Commissione in primis, prendendo slancio dall’approccio di politica europea post-Lisbona. Molto importante è anche il tema del multilateralismo dell’Unione europea, traendo soprattutto vantaggio dalla nuova creazione del Servizio europeo di azione esterna, che è diventato finalmente una realtà. Rispetto a questo, non posso che esprimere il compiacimento per la recente risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che, recependo ciò che è stato sancito nel Trattato di Lisbona, riconosce all’Unione europea un ruolo di osservatore all’interno del suo Consiglio di sicurezza.

Abbiamo cercato di dare un’impostazione il più possibile aderente all’attuale condizione, evidenziando nella relazione, com’è giusto che sia, la grande ondata di contestazioni civili in Tunisia, Egitto, Libia, e ancora Siria, Bahrein e Yemen, distinguendo, per ciascuno di questi Stati destini, contesti e aspettative, e ad altri temi di particolare interessi, come la forte alleanza transatlantica e delle relazioni di enorme importanza con la Russia.

Allargamento, supporto dei diritti civili e della creazione dello Stato di diritto, relazioni diplomatiche con i paesi del BRIC, conflitto arabo-palestinese e condanna dei regimi più cruenti, sono alcuni dei temi della relazione che sottopongo al vostro voto.

 
  
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  Roberto Gualtieri, relatore. Signor Presidente, signora Alto Rappresentante/Vicepresidente, onorevoli colleghi, la politica di sicurezza e di sicurezza comune attraversa un momento delicatissimo.

Proprio quando l’evoluzione del sistema internazionale impone all’Unione europea di divenire un attore credibile della sicurezza e della difesa; proprio quando l’approccio europeo alla gestione delle crisi, al sostegno alla democrazia e non all’esportazione della democrazia appare il più adeguato alle sfide del nostro tempo; proprio quando la crisi economica rende inevitabile la strada della costruzione di una difesa comune; proprio quando il Trattato di Lisbona offre strumenti nuovi per sviluppare la PSDC nel quadro di un approccio integrato; insomma proprio quando un salto di qualità della politica di sicurezza e di difesa comune è divenuto necessario e possibile, l’edificio europeo sembra scricchiolare pericolosamente e il rischio di un drastico ridimensionamento delle ambizioni e delle possibilità della PSDC si fa concreto.

La relazione che presento cerca di misurarsi con questa contraddizione e indica delle possibili risposte alle altre Istituzioni. Sulla crisi libica non ci limitiamo a esprimere disappunto per l’incapacità dell’UE di definire una posizione e intraprendere un’azione comune e per i limiti posti al mandato «Eufor Libya». Riteniamo sia giunto il tempo per un’iniziativa politica europea che, di concerto con gli altri partner, punti a favorire un cessate il fuoco e un negoziato che ponga fine al regime di Gheddafi e avvii una transizione democratica e inclusiva. È evidente, infatti, che l’intervento militare della NATO difficilmente potrà essere risolutivo ed è bene che rispetti scrupolosamente il mandato della risoluzione dell’ONU, evitando un uso sproporzionato della forza.

Al tempo stesso auspichiamo un effettivo impiego degli assets PSDC per offrire sostegno umanitario alla popolazione civile sotto attacco e la pianificazione di future operazioni volte a sostenere lo sviluppo della democrazia in Libia. Ma la vicenda libica sollecita anche riflessioni più ampie e credo rafforzi le indicazioni della relazione. È chiaro che la responsabilità principale del futuro dell’Europa, della sicurezza e della difesa è del Consiglio europeo, dei suoi membri e anche del suo Presidente, a cui spetta, a quel livello, la rappresentanza dell’Unione per la politica estera e di sicurezza.

A loro noi diciamo chiaramente che la cooperazione bilaterale e le coalizioni dei volenterosi non possono sostituire la PSDC come politica dell’Unione. La tesi di una rinazionalizzazione di questa politica non ci convince, non perché siamo dei puristi del Trattato ma perché questa politica rinazionalizzata sarebbe inadeguata rispetto alle sfide che ci troviamo di fronte. Noi candidiamo il Parlamento europeo a un dialogo strategico con il Consiglio europeo, che invitiamo a discutere le raccomandazioni del Parlamento, a elaborare una vera strategia di politica estera e a dedicare un incontro straordinario alla sicurezza e difesa europee.

A lei, signora Ashton, chiediamo di intensificare gli sforzi per costruire il consenso tra gli Stati membri e di far leva sulle sue molteplici funzioni per rafforzare la coerenza tra la PSDC, la PESC e gli altri aspetti dell’azione esterna dell’Unione. In questo compito, il Servizio dell’azione esterna rappresenta uno strumento dalle grandissime potenzialità, sul cui ruolo la relazione presenta diverse proposte a partire da quella di un crisis management board, capace di offrire una vera risposta integrata alle crisi, che siamo lieti di constatare stia vedendo la luce. La vicenda libica conferma anche l’inadeguatezza delle capacità militari europee, ben al di sotto dell’elevato livello complessivo dei bilanci della difesa nazionali.

È del tutto evidente che solo l’unione fa la forza. Pooling, sharing, potenziamento dell’Agenzia di difesa, cooperazione strutturata permanente, sviluppo di un mercato europeo della difesa efficiente e competitivo, rafforzamento della base industriale e tecnologica e potenziamento delle capacità comuni di comando e controllo, la cui inadeguatezza ha contribuito a ostacolare una tempestiva risposta europea alla crisi libica, a cominciare dall’istituzione di un quartier generale operativo permanente. Su questo e su altri temi – come quello di un’integrazione delle politiche per la sicurezza esterna e quella interna, che rispetti il primato del metodo comunitario – la relazione formula numerose proposte concrete.

È degno di nota che su questa linea i principali gruppi politici europeisti si presentino uniti e per questa fruttuosa collaborazione ringrazio i relatori ombra e i coordinatori. Il Parlamento europeo è pronto a sostenere lo sviluppo di una PSDC pienamente integrata all’azione esterna dell’Unione e radicata nei valori e nei principi dell’Europa. Ci aspettiamo che lei, signora Ashton, ci dia delle risposte convincenti con le parole, ma soprattutto con i fatti.

 
  
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  María Muñiz De Urquiza, relatore. (ES) Signor Presidente, Baronessa Ashton, Henry Kissinger definì il mondo della sua epoca militarmente bipolare, economicamente unipolare e politicamente confuso.

Oggi l’ordine internazionale è multipolare in tutti i settori e, a causa della globalizzazione, è politicamente complesso. La globalizzazione implica, tra le altre cose, la dispersione dei centri di potere e la gestione collettiva di problemi e interessi comuni. Sono comparsi nuovi spazi di dibattito e organizzazioni internazionali, come ad esempio la diplomazia dei vertici dei gruppi del G20, del G8, del G7 eccetera, e c’è la proposta di riformare le organizzazioni internazionali tradizionali.

In questo contesto di mutamento e data la personalità giuridica internazionale dell’Unione europea, occorre ridefinire con urgenza il ruolo da essa svolto in tale scenario e affidarle lo spazio che merita nell’ordine multilaterale per svolgere il ruolo di attore globale rilevante attribuitole dal trattato e che le richiedono questa istituzione e tutta la società europea, se posso dire.

Questo processo è già iniziato il 3 maggio con l’approvazione della risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU, che permetterà all’Unione europea di partecipare ai lavori dell’Assemblea generale. Si tratta di un evento storico e di un trionfo diplomatico da riconoscere senza indugio e per il quale mi congratulo con lei, Baronessa Ashton. Però, data la natura complicata dei negoziati per l’approvazione della risoluzione 1973, è prevedibile il duro lavoro che l’aspetta per aggiornare e ottimizzare la rappresentanza dell’Unione europea frammentata, dispersa e con uno status ad hoc per ognuno dei 249 accordi multilaterali in cui rientra l’UE.

Ovviamente non dipende solo da lei, ma anche dagli Stati terzi membri delle varie organizzazioni multilaterali. Dipende altresì dall’organizzazione, a livello europeo, della forma più efficace di rappresentanza, e per organizzazione intendo un accordo tra lei – il servizio europeo per l’azione esterna –, il Presidente della Commissione, il Presidente del Consiglio e la partecipazione, ora marginale, delle Presidenze di turno dell’Unione. Dipende poi dal passaggio del potere di rappresentanza dagli Stati membri all’Unione europea, soprattutto nel caso di organizzazioni internazionali dedite alle politiche su cui l’UE ha competenza esclusiva.

Baronessa Ashton, tutti ricordiamo il vertice sui cambiamenti climatici di Copenaghen come esempio dell’inutile cacofonia provocata dalla sovrarappresentanza dell’Unione europea e degli Stati membri. Ricordiamo anche il buon funzionamento della rappresentanza comunitaria nell’Organizzazione mondiale del commercio e nell’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura. Inoltre, possiamo ricordare lo sconcerto generato dalla molteplice rappresentanza delle varie Presidenze dell’Unione europea nella diplomazia dei vertici, o le disfunzioni derivanti dalla mancata applicazione delle disposizioni dell’articolo 34 del trattato di Lisbona sul coordinamento dei membri europei del Consiglio di sicurezza dell’ONU quando si presentano le posizioni comuni dell’UE. L’onorevole Schulz ha menzionato queste evidenti disfunzioni nel suo intervento.

In questo senso mi riferisco più agli Stati membri che a lei, chiamati a definire il ruolo dell’Unione europea in un ordine mondiale multilaterale più strutturato, e a disegnare una vera e propria politica estera comunitaria dimenticando le tendenze e i tentativi di rinazionalizzazione che si manifestano in diversi Stati membri.

Ad ogni modo, mentre ci appelliamo fondamentalmente agli Stati membri per definire il ruolo dell’Unione, facciamo anche appello al suo impegno per usare le sue capacità di iniziativa politica e i suoi servizi per aumentare il livello di rappresentanza esterna dell’Unione europea e ottimizzarla.

Questo è un momento storico per il mondo, e lei ha l’opportunità di guidare il ruolo internazionale dell’UE, ad esempio con iniziative come quella da lei annunciata sull’apertura di un ufficio dell’Unione a Bengasi. Può contare sull’appoggio del Parlamento, ma non solo: anche sul mandato che ha per definire il prima possibile una rappresentanza razionale, strutturata e coerente dell’Unione europea sulla scena internazionale.

 
  
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  Catherine Ashton, Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. – (EN) Signor Presidente, ringrazio i deputati per i loro contributi.

Uno dei temi messi in grande luce nelle parole di tutti i leader dei gruppi – benché l’onorevole Tannock abbia fatto presente che il suo gruppo non è mai stato a favore del SEAE – è stato il desiderio di vedere un approccio congiunto, sempre che ci sia. Sono d’accordo. Non mi mancano ambizioni su cosa può essere l’Europa, ma devo arrangiarmi con quello che effettivamente siamo. Abbiamo approvato un trattato, e per scherzo ho detto che in fase di adozione mi è stato consegnato il trattato insieme a una matita, e quelle erano le risorse con cui ho iniziato. È tutto vero, ma le cose cambieranno. Oggi la sfida è fare in modo che non solo l’Assemblea e gli onorevoli deputati con la passione che noto, ma anche la Commissione, il Consiglio, il Consiglio “Affari esteri”, il Consiglio “Sviluppo” e i ministri della difesa – tutti organi che presiedo e ho la responsabilità di allineare – proseguano con la stessa ambizione. Non sono assolutamente sorpresa, e non credo lo siano nemmeno gli eurodeputati, che durante il percorso, soprattutto mentre succedono così tante cose, si scopra che non necessariamente funziona così bene come vorreste, o come talvolta vorrei.

Quello che dobbiamo fare è coltivare l’ambizione sui risultati che vogliamo raggiungere. Questo vale in tutto quello che facciamo, che si tratti delle sanzioni imposte – dove c’è bisogno dei 27 per via dell’unanimità – o dell’approccio adottato nel sostegno a paesi come Egitto e Tunisia. Come asserito dall’onorevole Verhofstadt, abbiamo bisogno dell’appoggio della Commissione per fare concreti passi avanti, cambiare e dotarci di una nuova strategia e nuove ambizioni a breve e lungo termine.

In questo momento stiamo aiutando delle persone. Tutto questo richiede un mutamento e cambiamenti da parte nostra. Abbiamo imboccato questa strada. Pur non essendone per niente soddisfatta, sono realistica sul punto a cui siamo arrivati. Potete sfidarmi – dovreste farlo tutte le volte che volete – a procedere più rapidamente, e lo farò. Ma non accusatemi di mancanza di iniziativa, di non essere ambiziosa, di non dirlo in maniera forte e chiara al Consiglio “Affari esteri”, ai media o altrove, perché non è vero. Ho veramente ambizioni in questo senso. Sono veramente convinta che l’Europa possa essere molto più di quello che è, ma questo ci obbliga a intraprendere un viaggio e a farlo insieme. Per i singoli Stati membri, che hanno elettorati diversi, è difficile riuscire ad approcciarsi a tutto questo tenendo conto di cosa è meglio per l’Europa nel mondo, e non di cosa è meglio per la loro situazione interna. Capisco anche questo.

Concordo con le parole dell’onorevole Daul sul terrorismo nei paesi a noi limitrofi e sul processo di pace mediorientale, che rappresentano alcuni obiettivi fondamentali per il nostro lavoro di quest’anno. È per questo che ci siamo impegnati così a fondo, ad esempio in Libia, per raggruppare le organizzazioni regionali come l’Unione africana, la Lega araba, le Nazioni Unite e l’Organizzazione della Conferenza islamica. È un’iniziativa molto significativa per riflettere su come procedere in un processo che si rivela estremamente difficile. Come riuscire a costringere Gheddafi ad andarsene? C’è un dialogo in cui le persone riescono a vedere il futuro, e si svolge in maniera costante. È un aspetto di vitale importanza che ci obbliga ad avere un fronte compatto.

L’onorevole Schulz ha detto che la strada da percorrere è lunga. Sono d’accordo. Abbiamo molto più di quanto dobbiamo fare e bisogna fare in modo che lo sviluppo della democrazia sia un aspetto essenziale del viaggio, ma bisogna anche vedere cosa possiamo fare. Mi piacciono le tre C: credo si possa diventare molto più coerenti; credo si possa migliorare nella cooperazione e, ovviamente, so che l’obiettivo di questo Parlamento è di natura comunitaria. Quindi vi prego, continuate a farmi pressioni, ma fatele anche agli Stati membri.

Se parliamo del piano Marshall, reputo che quanto fatto dal generale George Marshall con i primi 13 miliardi di dollari americani avuti dal Congresso nel 1948 sia un ottimo modello. È un buon modello anche per le diverse cose che è riuscito a fare. Ha ottenuto prestiti, servizi, consulenti e tutto quello che poteva essere di aiuto, quindi penso sia un buon modello. Non è il piano di cui parliamo per ovvie ragioni. La gente vuole qualcosa di nuovo per sé, che però sia efficace. Concordo sul tema dell’assistenza e sulle questioni del debito. Per questo stiamo parlando con le nazioni che intrattengono relazioni con quei paesi, ed è anche per questo che stiamo dialogando con la Commissione.

Mi trovo d’accordo sulle terribili violenze in Siria. Sono piena di propositi su quello che dovremmo fare con il paese. Anche in questo caso la strada prevede delle sanzioni. Abbiamo iniziato con 13 persone direttamente coinvolte nella repressione del regime. Onorevole Cohn-Bendit, si è discusso molto sull’eventualità di inserire in lista il Presidente Assad, e le opinioni erano molto divergenti. Non posso semplicemente darvi un elenco degli Stati membri che hanno detto sì o no. C’erano forti posizioni su come procedere tenendo conto di talune situazioni. Si è deciso per il no per la prima lista, ma la riprenderemo in mano questa settimana. Vi garantisco che intendo esercitare tutta la pressione politica possibile sulla Siria per fare in modo – come ho fatto durante l’incontro di ieri con il ministro degli esteri Moallem – che capiscano il significato delle loro azioni e colgano quest’ultima opportunità per cambiare veramente rotta e fare la differenza.

Onorevole Tannock, lei ha parlato di tante cose da fare con il sostegno dei 27, del suo desiderio di vederci usare le risorse adeguate e del fatto che sono stata imbrogliata. Non credo che siamo stati imbrogliati. Tutte le istituzioni europee procedono nella stessa direzione. Dobbiamo riuscire a realizzare in concreto le ambizioni che lei nutre su quanto possiamo fare. Devo trovare le risorse per aprire un ufficio a Bengasi. Aiutare di più le nostre delegazioni in Iraq, come discusso questa mattina con alcuni onorevoli parlamentari, richiede risorse. Dobbiamo trovarle, facendo meglio ed essendo più efficienti – concordo su questo – ma anche riconoscendo cosa dobbiamo fare.

Ho già parlato della flottiglia, di alcune questioni sull’Autorità palestinese e dei colloqui in corso – anche lei lo ha fatto, onorevole Belder – tra Fatah e Hamas. Ho messo in chiaro che la nostra posizione su Hamas non è cambiata, ma anche che appoggiamo il modo in cui il Presidente Abbas può promuovere l’unità con i palestinesi grazie al governo tecnocratico e alle elezioni, aspetto che rivestirà la massima importanza. Non abbiamo cambiato posizione, e non nascondiamo di essere prudenti nell’analizzare la situazione.

Volevo poi fare riferimento alle parole dell’onorevole Bisky quando ha menzionato le popolazioni più indigenti al mondo, parlando di promuovere una vita dignitosa. In questo senso, sono convinta che in futuro saranno molto importanti le nostre azioni nell’ambito degli obiettivi di sviluppo del Millennio e la nostra collaborazione tesa a favorire lo sviluppo.

Non voglio rubare troppo tempo, ma molto rapidamente voglio parlare all’onorevole Albertini della sua relazione e citarne un pezzo. Quando parla di coerenza afferma che “per raggiungere la coerenza è necessaria innanzi tutto la volontà politica degli Stati membri dell’UE di abbandonare le loro prospettive diverse”. Certamente. Sappiamo che per riuscire ad applicare fino in fondo il trattato di Lisbona – ed è quanto asserisce la relazione – abbiamo bisogno di fondi sostenibili anche nel prossimo quadro. Concordo con la relazione per molti versi, ma soprattutto sulla necessità di essere propositivi nel promuovere i valori e sfruttare tutti gli strumenti politici a nostra disposizione. È poi mio desiderio migliorare il dialogo attuale.

Una delle maggiori difficoltà che abbiamo è il tempo – quanto tempo dedicarvi – che voglio essere certa di sfruttare nel miglior modo possibile nei dibattiti con l’Assemblea. Onorevole Gualtieri, ieri noi abbiamo avuto un buon colloquio. Concordo sull’importanza di andare avanti, soprattutto nella condivisione e messa in comune che discuteremo con i ministri della difesa la prossima settimana. Dobbiamo garantire un utilizzo più efficace delle risorse europee. Condividere e mettere in comune è un’idea molto semplice, ma molto valida. Avendo un grande potenziale militare, in gran parte non sfruttato, le decisioni di utilizzare i beni militari e sostenersi reciprocamente nella condivisione e messa in comune sono un’iniziativa da portare avanti. Stiamo altresì cercando di migliorare l’operato dell’Agenzia europea per la difesa e di raccogliere alcune sfide che abbiamo individuato nelle risposte avute nelle ultime settimane, soprattutto in Libia.

Infine, desidero ringraziare l’onorevole Muñiz De Urquiza per questa relazione e il suo sostegno a favore delle Nazioni Unite. Penso che quanto ho fatto all’ONU la scorsa settimana abbia dimostrato il mio impegno personale nel potere dell’azione multilaterale. Dobbiamo guardare all’Unione europea all’interno del sistema ONU e in tutte le altre organizzazioni internazionali. Dobbiamo esprimerci in maniera più chiara ed essere più visibili e creativi in ciò che facciamo.

Non mi resta che ringraziare il primo gruppo di oratori; rimango in attesa dei commenti finali al termine della discussione.

 
  
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  Jörg Leichtfried, relatore per parere della commissione per il commercio internazionale.(DE) Signor Presidente, Baronessa Ashton, nel dibattito sulla politica estera europea e sulla posizione dell’Europa nel mondo riconosciamo la necessità di un miglioramento per tutta una serie di motivi. Potremmo seguire l’esempio di un settore politico che già funziona molto bene, ovvero la politica commerciale esterna. L’Unione europea ha competenza esclusiva in questa politica, essendo l’unico attore e l’unico rappresentante degli Stati membri. La cosa non viene regolarmente ricordata per motivi di orgoglio nazionale. Si può dissentire su altri settori, ma in questo siamo forti e uniti.

È giunta l’ora di fare tutto il possibile cosicché le popolazioni dei paesi partner possano beneficiare dei valori che ci hanno aiutato: diritti umani, previdenza sociale, giustizia e libertà. Questa nuova dimensione della politica estera europea è un aspetto da promuovere in tutti i sensi per rendere il mondo più libero, più giusto e più sociale in futuro.

 
  
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  Krzysztof Lisek (PPE).(PL) Signor Presidente, Baronessa Ashton, mi permetta innanzi tutto di ringraziare il relatore, onorevole Gualtieri, per il grande lavoro svolto, e gli altri relatori ombra con cui ho avuto il piacere di collaborare. Essendo nuovo in questa veste mi aspettavo grandi litigi, soprattutto perché in qualche modo il documento include una componente militare, ma per come si sono svolte le cose il lavoro è risultato procedere in tutta tranquillità.

Nel primo intervento della baronessa Ashton, quando ha parlato dei conflitti scoppiati in Africa settentrionale, ha detto che non sappiamo quando termineranno e a cosa porteranno. Chiaramente non si può dire che la politica di sicurezza e di difesa comune sarà una medicina portentosa per tutti i mali del mondo, ma grazie al suo sviluppo certamente acquisiremo più conoscenze su questi scontri e forse potremo prevenirli o risolverli. Penso, in tal senso, ai conflitti scatenatisi in Africa settentrionale e nel Medio Oriente, ma anche a quelli congelati che ancora serpeggiano nel Nagorno-Karabakh, nella Transnistria e nei territori occupati della Georgia.

È un bene che la relazione Gualtieri verta su numerosi temi; si tratta di un documento piuttosto lungo. Per ragioni di tempo non ne citerò molti, ma vorrei soffermarmi su due punti. In primo luogo il funzionamento delle missioni dell’Unione europea. Nella sottocommissione per la sicurezza e la difesa abbiamo discusso molte volte come imparare dagli errori o da certi limiti per un miglior funzionamento delle missioni in futuro. Rimane aperta la questione sulla pianificazione e gestione delle operazioni EU. I ministri dell’iniziativa Weimar hanno sollevato questo punto in una lettera rivolta a lei, Baronessa Ashton. In tal senso, auspichiamo un intervento specifico.

Per concludere vorrei citare le relazioni UE-NATO. Mi rallegro che lei abbia contatti permanenti con il segretario generale della NATO e il segretario di Stato degli Stati Uniti. Sono contatti che devono continuare per non duplicare le nostre iniziative, a fini di risparmio. Sappiamo che la rivoluzione è impossibile, Baronessa Ashton, ma ci aspettiamo che lei intervenga per contribuire all’evoluzione.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ANGELILLI
Vicepresidente

 
  
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  Véronique De Keyser (S&D).(FR) Signora Presidente, Baronessa Ashton, negli ultimi giorni è stata oggetto di molte critiche, Baronessa Ashton. Alcune non sono altro che calcoli politici di dubbio gusto condannate dal mio gruppo. Altre però non possono essere cancellate di punto in bianco e vorrei condividere con voi le mie preoccupazioni.

È vero che non si vede sempre chiaro nella politica esterna dell’Unione europea e, soprattutto, negli obiettivi che intende raggiungere, ovvero nel suo disegno. I suoi comunicati sono approvati ma sono spesso minimalisti, da cui deduciamo possibili divergenze di opinione in seno all’UE, che si per sé è un messaggio sebbene negativo. Poi si mette al lavoro, tiene colloqui, fa telefonate, paga di tasca sua, fa tutto il possibile, non c’è dubbio, ma i risultati di questi sforzi purtroppo si stemperano nel putiferio mediatico, e di conseguenza la politica estera dell’Unione appare estremamente debole di fronte ai rumorosi discorsi di alcuni capi di Stato europei.

Eppure davanti a lei si apre uno spazio politico straordinario grazie alle rivoluzioni arabe, in cui la diplomazia europea dovrebbe giocare un ruolo molto visibile perché, al di là delle particolarità di ogni paese, è vero che è tutto legato. Ad esempio, la riconciliazione Fatah-Hamas sarebbe stata impensabile senza la rivoluzione araba in Egitto, e anche senza la recente sanguinosa repressione in Siria. In effetti, è perché Bashar al-Assad si è spinto troppo oltre che, all’improvviso, Hamas non si sente più a suo agio a Damasco e sta considerando di spostarsi in Qatar e al Cairo, e ha voluto negoziare in extremis quando invece negozia da secoli. Bisogna cogliere queste occasioni!

Qual è quindi la nostra politica attuale nei confronti della Siria e del Medio Oriente? Come ho detto è insufficiente. Inoltre condivido la collera di alcuni colleghi sull’eccezione siriana e, questa volta, sull’eccezione di Bashar al-Assad, che ha evitato sanzioni. In questo senso non ci sono state date abbastanza spiegazioni, Baronessa Ashton.

Un altro punto. A meno che non ci sia una candidatura dell’ultimo minuto da parte di Kuwait o Nepal, spinta dagli Stati Uniti, la Siria potrebbe benissimo presiedere il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite il 20 maggio. Ce la vedete la Siria alla testa del Consiglio per i diritti umani dell’ONU?

Baronessa Ashton, le sanzioni non sono sufficienti. Ha fatto una campagna affinché la Siria non presieda il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite? Ha insistito per un’inchiesta internazionale sui massacri? Anche se non riuscirà a convincere i capi di Stato – e in questo sono d’accordo con l’onorevole Cohn-Bendit – lo dica, non ci lasci indovinare! È questa ambiguità che ci pesa.

Per quanto riguarda il Medio Oriente non sono proprio d’accordo con lei. Lei ha timidamente salutato la riconciliazione Fatah-Hamas, ma si impegnerà in un dialogo con Hamas? Ripeteremo gli errori del 2007? Come sappiamo la situazione è certamente molto complessa, ma credo che l’occasione si debba cogliere. Hamas ha sostenuto l’iniziativa di pace araba. Entrambe le parti hanno fatto incredibili concessioni per formare questo governo. Nell’accordo che regola la formazione di questo futuro governo, che forse si avrà tra un mese, si è accettata l’idea delle elezioni, l’Autorità palestinese, la possibile partecipazione di Mahmoud Abbas ai negoziati e l’idea dei confini del 1967, condizione indispensabile e riconoscimento implicito di Israele. Quindi non mi dica di essere allo stesso punto di due anni fa. Sarebbe impensabile per noi.

Baronessa Ashton, la questione è urgente. La prudenza in politica non può sostituire l’audacia, deve accompagnarla. Il Parlamento sarà sempre pronto a spalleggiarla se lei se avrà il coraggio di dare una visione forte.

 
  
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  Alexander Graf Lambsdorff (ALDE).(DE) Signora Presidente, Baronessa Ashton, siamo ancora molto lontani da una politica estera comune veramente degna di questo nome. Lei viene criticata per questo, ma talvolta mi sembra sia diventata il capro espiatorio in una situazione che esula dal suo controllo, causata dalla mancanza di volontà politica degli Stati membri nel concordare un approccio comune.

Prendiamo l’esempio della Libia. Prima l’Italia ha bloccato l’imposizione di sanzioni, poi la Francia ha riconosciuto il Consiglio di transizione a Bengasi senza consultarsi con nessuno, e alla fine la Germania si è astenuta dal votare la risoluzione nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Lei non può fare niente per cambiare la situazione, che però conferisce un’immagine negativa all’Europa. In Siria avremmo dovuto imporre sanzioni più forti, ma anche in questo caso c’era bisogno di unanimità. Alcuni Stati membri sono contrari: Grecia, Italia e Spagna sono state citate dalla stampa, e anche la Germania potrebbe rientrare nel gruppo. In questo caso bisogna avere il coraggio di dire: “siamo riusciti a metterne solo 13 in lista”.

Il requisito di unanimità ci sta paralizzando. Non funziona più con 27 Stati membri. C’è bisogno di un altro balzo in avanti nella politica estera e di sicurezza comune, e lo dico molto chiaramente all’onorevole Tannock e ai suoi amici Tory.

Cosa può fare? Dica pubblicamente che la cooperazione europea è fallita e individui il responsabile. Utilizzi gli strumenti comunitari, soprattutto per promuovere la democrazia.

Sono rimasto stupito sentendola parlare in Aula così apertamente del Fondo europeo per la democrazia. Stiamo redigendo un documento in materia con l’onorevole De Keyser come relatrice, e valutando i possibili requisiti. Chiarisco che non vogliamo una seconda iniziativa europea per la democrazia e i diritti dell’uomo (EIDHR) che sia burocratica, lenta, eccessivamente complessa e apolitica. Abbiamo bisogno di una soluzione non burocratica, rapida, semplice e politica. Se riuscirà a istituirlo avrà il nostro appoggio incondizionato.

 
  
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  Michał Tomasz Kamiński (ECR).(PL) Signora Presidente, Baronessa Ashton, uno dei momenti più commoventi della mia vita è stato a dicembre 2007, quando ho presenziato all’apertura simbolica del confine tra Polonia e Lituania tenuta dal Presidente Kaczyński e dal Presidente Adamkus, cerimonia che simboleggiava l’adesione dei due paesi alla zona Schengen. Per noi che siamo cresciuti dietro la cortina di ferro, la libertà di viaggiare e un’Europa senza confini sono esempi concreti del successo dell’integrazione europea. Lancio un appello: in nessun caso il ritorno ai confini in Europa deve diventare strumento politico o tentativo di risposta populista a quelli che, forse, potrebbero essere problemi concreti. L’area di Schengen è un grande risultato che dobbiamo proteggere.

La ringrazio, Baronessa Ashton, per avere detto che la nostra posizione su Hamas non è cambiata. Purtroppo, il problema è che è cambiata la posizione dei palestinesi e del Presidente Abbas su Hamas. Faccio appello a lei, Baronessa Ashton, affinché le ingenti somme di aiuti destinate all’Autorità palestinese non siano usate dai nemici di Israele per attaccare l’unica democrazia ora presente nella regione. Ricordo a tutti che Israele è l’unico paese del Medio Oriente in cui la popolazione araba può e si avvale del diritto di eleggere i propri rappresentanti in parlamento.

 
  
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  Franziska Katharina Brantner (Verts/ALE). (EN) Signora Presidente, faccio notare una cosa al Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante: in questo momento la politica estera europea manca di leadership, audacia e metodo comunitario, in un periodo in cui l’Unione può avvalersi più che mai di strumenti di politica estera. Lei, come spesso afferma in prima persona, è in modalità di ascolto: ascolta i governi nazionali e aspetta fino a quando non si sono pronunciati. Poi propone il minimo comune denominatore, spesso quando le cose ormai sono già andate avanti.

Prendiamo ad esempio la Siria: qual è la sua idea? Assad deve essere incluso o no? Che opinione ha? Vorremmo saperlo. Vuole minacciare con sanzioni oppure no? Ci chiede, nella sua risposta, di esercitare pressioni sui governi, ma ci dica quali. Apra il dibattito.

Vero, agli Stati membri spesso manca la volontà politica di agire insieme e con decisione e non vogliono vederla forte; ma mi creda, Baronessa Ashton, non la appoggeranno e non le salveranno il ruolo di Alto rappresentante. Non sono una garanzia per mantenerla in carica, glielo assicuro. Inoltre questo non cambia il fatto che per lei il trattato di Lisbona prevedeva un ruolo più autorevole. Lei è la Presidenza di turno, lei è il Vicepresidente della Commissione, lei può prendere l’iniziativa. Lei deve stabilire le priorità ed esporre chiaramente le sue opinioni, le sue decisioni, e poi aspettare la reazione degli Stati membri.

Se non prende iniziative perlomeno non uccida quelle degli altri. Prendiamo ad esempio la revisione del programma di Goteborg sulla prevenzione dei conflitti: dieci anni fa è stata iniziata da Anna Lindh. La Presidenza ungherese ha iniziato una revisione e voleva che lei la portasse avanti, ma lei l’ha sospesa. Non capisco perché. Posso solo consigliarle di osare di più, di delegare di più. Prenda esempio da Margaret Mead, che ha citato. Sia l’agente di cambiamento di cui abbiamo bisogno. Glielo assicuro: solo questo salverà la sua posizione, nient’altro.

 
  
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  Takis Hadjigeorgiou (GUE/NGL).(EL) Signora Presidente, Baronessa Ashton, penso abbia il diritto di sentirsi offesa dalle critiche mosse contro di lei. Come si può incolpare lei quando è vincolata dalle decisioni adottate dai grandi Stati dell’UE? Poi ho un’altra domanda: le critiche che qui muovono contro i loro governi sono diverse rispetto a quanto condannano quando sono al potere nei rispettivi paesi? Sono poi d’accordo con quanto affermato dall’onorevole Schulz: fino a poco tempo fa, gli Stati europei vendevano armi a chi ora abbiamo scoperto essere un dittatore. Ma politica significa lungimiranza, significa rapida diagnosi dei problemi, altrimenti ci si limita a fare un’autopsia.

Gli Stati europei bombardano quelli che fino a poco tempo fa erano partner, ma al tempo stesso bombardano e distruggono le armi che loro stessi hanno venduto. Ovviamente non si possono vendere nuove armi senza distruggere quelle vecchie. A nostro avviso, se l’Unione europea vuole progredire deve sviluppare una politica basata su principi di pace, dimenticando mezzi e interventi militari, e promuovere la smilitarizzazione delle relazioni internazionali. L’Unione deve liberarsi dalle armi nucleari e aiutare a denuclearizzare il pianeta. Questo sarà un momento di gloria per l’Unione europea.

Una parola su un paese confinante nel Medio Oriente: la Turchia. Decine di giornalisti sono in carcere in Turchia, che ha ancora 40 000 soldati che occupano metà del territorio di Cipro e violano i diritti dei ciprioti greci e turchi. Invito la baronessa Ashton a capire prontamente a Cipro quello che abbiamo visto troppo tardi nella penisola araba.

 
  
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  Fiorello Provera (EFD). - Signora Presidente, Alto Rappresentante Ashton, onorevoli colleghi, gli attacchi alle chiese copte in Egitto e l’uccisione di fedeli mostrano un aggravarsi dell’intolleranza religiosa, che tradisce lo spirito di unità di Piazza Tahrir, dove copti e mussulmani hanno manifestato insieme contro il regime.

Questa mancanza di tolleranza rende impossibile la convivenza e la stabilità sociale, indispensabili per un’ordinata transizione verso la democrazia. È necessario quindi un maggior impegno delle autorità del Cairo a tutela delle minoranze e contro l’estremismo salafita, che rappresenta la negazione dei principi di democrazia moderna cui aspira il popolo egiziano. È impensabile lo sviluppo economico, la ripresa di investimenti esteri e soprattutto del turismo senza tolleranza, ordine e stabilità.

È nell’interesse quindi dell’Egitto e del mondo che l’Europa concede aiuti generosi, ma questi devono essere condizionati a un’effettiva politica di tutela delle minoranze, coerentemente con il principio del "more for more" che lei, Alto Rappresentante, ha proposto insieme al Commissario Štefan Füle.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI).(DE) Signora Presidente, Baronessa Ashton, gli eventi in corso in Siria ci ricordano nuovamente il dilemma dell’Unione europea dinanzi al Medio Oriente e alle vicende in Africa settentrionale. Per molti anni abbiamo appoggiato dittature e regimi dispotici nel mondo arabo. Ora che il Presidente Assad inizia ad adottare misure brutali contro il suo stesso popolo, ligi al dovere ovviamente ne condanniamo le azioni e imponiamo tiepide sanzioni. Questa non è credibilità, secondo me. È chiaro che, per il mondo arabo, democrazia e diritti umani sono sempre e solo stati parole vuote. È evidente che si tenta di nascondere il fatto che Bruxelles, o l’Unione europea che dir si voglia, ha agito nella regione primariamente nell’interesse geopolitico degli americani.

In particolare, l’impotenza dell’UE di fronte agli sviluppi nella zona sud del Mediterraneo è motivo di preoccupazione. Con l’inizio delle sommosse e delle rivolte abbiamo salutato l’avvento della democrazia. Cosa sta succedendo in Tunisia? Nella migliore delle ipotesi la situazione può dirsi caotica, con un governo transitorio che nuovamente sta per essere rovesciato. L’Egitto ha quella che sembra essere una dittatura militare permanente o temporanea che perseguita i cristiani copti. In Libia c’è una guerra civile in cui gli europei, divisi, intervengono con esitazione usando metà delle forze disponibili.

Gli americani però possono pensare che la Siria sia un osso duro. Il Presidente Assad non deve nemmeno preoccuparsi che l’esercito gli si rivolti contro sotto pressioni esterne. Non esiste neppure una forza difensiva che possa farlo cadere. Ciononostante, un cambiamento di regime a Damasco avrebbe indubbiamente conseguenze significative per l’intera regione. I primi rifugiati siriani che stanno arrivando in Turchia potrebbero essere solo l’inizio di una grande affluenza di persone in fuga dal conflitto.

Vista la situazione attuale in Siria e Libia, in Europa e a Bruxelles dobbiamo sviluppare una politica autonoma il prima possibile, che non dipenda né sia influenzata da Washington. A differenza degli Stati Uniti, l’Europa risente direttamente degli eventi nella regione per la sua vicinanza geografica. Non dobbiamo però farci trascinare ulteriormente nella guerra civile libica, o rischieremo di diventare un obiettivo per il terrorismo e l’estremismo.

 
  
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  Eduard Kukan (PPE). (EN) Signora Presidente, riguardo alla relazione sull’UE quale attore globale, gli sviluppi sulla scena internazionale rivelano l’urgenza di un intervento più rapido da parte dell’Unione. Questo significa essere pronti ad affrontare le sfide globali. Il trattato di Lisbona ha creato il quadro e gli strumenti necessari in tal senso.

Bisogna iniziare colmando i vuoti della governance globale. Esempi come il vertice di Copenaghen sui cambiamenti climatici, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite sul rafforzamento dei diritti in materia di partecipazione – congratulazioni alla baronessa Ashton – o la partecipazione dell’UE al Fondo monetario internazionale dimostrano la necessità non solo di affrontare questi problemi, ma anche di trovare una strategia comune.

La relazione indica dove intensificare gli sforzi. Uno dei settori più importanti è il rafforzamento del nostro ruolo e il coordinamento nel sistema delle Nazioni Unite. Lo stesso dicasi per gli istituti finanziari internazionali e le organizzazioni multilaterali per la sicurezza. Non sarà tutto automatico; ci vorrà del tempo e noi dovremo contribuire con azioni coordinate e coerenti. Il punto più urgente è una strategia a lungo termine che definisca chiaramente misure e azioni necessarie per consolidare il nostro ruolo sulla scena globale, che spero sia presto proposta dalla baronessa Ashton e avremo l’occasione di discutere qui in Parlamento.

Ho un ulteriore commento, più che altro sulla relazione Albertini. Questa domenica ci sono state le elezioni amministrative in Albania. Ero a capo della delegazione ad hoc del Parlamento europeo che, insieme ad altri, fungeva da osservatore, e vi porto un messaggio. I cittadini albanesi – non parlo dei politici ma della gente normale – guardano a noi, l’Unione europea, con fiducia e speranza. Sperano che li aiuteremo a trovare una soluzione alla difficilissima situazione politica generata dai leader nel paese. Rispetto alle nostre ambizioni globali qui ci vuole un piccolo passo. Quanto possiamo essere bravi vicino a casa nostra? È una prova che dobbiamo superare a pieni voti e con dignità.

 
  
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  Hannes Swoboda (S&D).(DE) Signora Presidente, Baronessa Ashton, onorevoli colleghi, in qualità di relatore ombra desidero innanzi tutto ringraziare sentitamente il relatore, onorevole Albertini, per la fattiva cooperazione dimostrata su questo documento.

Nella presente relazione, e ovviamente anche in questo dibattito, ci siamo giustamente concentrati prima di tutto sulle zone meridionali e sul Medio Oriente. Non intendo ripetere quanto detto dagli onorevoli Schulz, De Keyser e altri, ma solo fare un breve riferimento alla situazione in Palestina e Israele.

Credo che la riconciliazione tra Hamas e Fatah e la loro disponibilità a creare uno Stato rappresentino un’enorme opportunità, perché creare uno Stato implica impegno e responsabilità. Deve essere assolutamente chiaro. Abbiamo bisogno del riconoscimento di Israele, abbiamo bisogno di pace nella regione e abbiamo bisogno di una rinuncia all’uso della violenza.

(Applausi)

È estremamente importante. Israele però deve anche riconoscere uno Stato palestinese indipendente, proprio come Hamas deve riconoscere lo Stato di Israele. Solo con una soluzione basata sull’esistenza di due Stati si potrà portare anche la pace in Medio Oriente.

Non voglio guardare solo a sud ma anche a est, perché se da una parte ho presieduto una delegazione parlamentare in Turkmenistan, dall’altra ieri sono stato nominato relatore parlamentare per la Russia. È comprensibile che tutta l’attenzione sia concentrata sui problemi al sud, ma non dimentichiamoci dell’importanza dei vicini a est. Anche la Turchia svolge un ruolo rilevante in tal senso. Non dobbiamo considerarla semplicemente un candidato all’adesione: la Turchia deve anche essere un partner, soprattutto per la situazione presente in Mediterraneo. È però anche importante rafforzare i contatti con il paese per la regione del Mar Nero, e includerlo nella politica estera e di sicurezza comune europea. Si noti che questo aspetto non è necessariamente legato alla questione dell’adesione.

In secondo luogo il partenariato con la Russia è un fattore molto importante. Vogliamo definire una partnership con questo paese, ma occorre negoziare da una posizione di forza e di fiducia in noi stessi, cosa che talvolta ci manca. Se la Russia ne ha troppa, noi ne abbiamo troppo poca. Solo in condizioni di parità riusciremo a raggiungere un accordo. Pur essendo molto propenso a questo partenariato, che deve essere di natura strategica, sono molto sorpreso dalle pressioni che esercita il paese, soprattutto in Ucraina. Prima avremmo chiamato amici i funzionari di governo russi e ucraini, ora il comportamento della Russia nei confronti dell’Ucraina è tutt’altro che giusto. Lo stesso dicasi per la sua condotta nei confronti dei fornitori energetici, lo abbiamo visto anche in Turkmenistan. Quindi dobbiamo farle capire che vogliamo un partenariato basato sull’uguaglianza e interessi comuni. Il nostro obiettivo deve assolutamente essere una partnership fattiva e concreta.

Per quanto riguarda l’Asia centrale, Baronessa Ashton, vogliamo essere presenti ma non disponiamo di rappresentanze in zona. So che ci sono problemi finanziari, ma c’è urgente bisogno di avere rappresentanze diplomatiche nella regione. Vogliamo comprare energia da questi paesi, e vogliamo che aderiscano alla democrazia e al rispetto dei diritti dell’uomo, ma di fatto non ci facciamo coinvolgere più di tanto. Pierre Morel è un’ottima persona e sta svolgendo un eccellente lavoro, ma non è abbastanza. Bisogna disporre più rappresentanze in questi paesi dell’Asia centrale a noi limitrofi. Se non avranno almeno una possibilità di guardare all’Europa, questi paesi potranno guardare solo alla Cina e alla Russia. Penso che sia importante.

Infine, voglio ribadire con chiarezza che vogliamo darle tutto il nostro appoggio. Quello che ha detto oggi è giustissimo. Forse noi parlamentari vorremmo che lo dicesse un po’ più ad alta voce e più esplicitamente, anche se non sempre è nel suo stile, perché così potremmo aiutarla ancor più di adesso.

 
  
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  Andrew Duff (ALDE). (EN) Signora Presidente, voglio dire una cosa alla baronessa Ashton. Lei ha parlato con chiarezza dei problemi nel giungere a un accordo tra 27 ministri degli esteri, ma il trattato di Lisbona le consente di non farlo: può dare vita a una coalizione di volenterosi e creare una forma sistematica di cooperazione rafforzata.

Se l’unanimità può concordare solo una lista di 13 siriani da sanzionare, allora è indispensabile accantonarla. Io consiglio di trovare l’avanguardia, dar vita a un nucleo di paesi politicamente volonterosi e lavorare con loro per definire una politica comune.

 
  
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  Geoffrey Van Orden (ECR). (EN) Signora Presidente, la baronessa Ashton non si sorprenderà se esprimo il mio disappunto non per l’operato della Politica di sicurezza e di difesa comune europea (PSDC), ma perché ancora insiste a sprecare il fiato su questo aspetto inutile e particolarmente costoso.

Può dire che l’Unione europea si è impegnata in circa 25 missioni marchiate PSDC. Ebbene, si tratta solo di un marchio: poche missioni superano l’esame. O si tratta di missioni più adeguate alla NATO, semplici missioni civili, o si tratta di missioni passive con la presenza di personale militare. Normalmente vengono effettuate perché l’Unione europea prega qualcuno di invitarla a fare qualcosa. Attualmente la NATO sta conducendo operazioni militari in Libia. Non essendo riuscita a ottenere un mandato per l’applicazione dell’embargo marittimo, l’UE ha disperatamente cercato di convincere l’ONU a invitarla a realizzare un programma di assistenza umanitaria.

Il punto è che né la NATO né l’ONU vogliono che l’Unione finga un coinvolgimento militare. Ovviamente c’è grande necessità di assistenza umanitaria e l’UE potrebbe essere utile in tal senso, ma non cercando solo di incoraggiare un’ambizione militare malriposta. Il problema è che l’esistenza stessa della PSDC e delle relative strutture, che sono doppioni, crea divisioni e porta gli alleati a pensarci due volte prima di impegnarsi a fondo in operazioni NATO.

(L’oratore accetta di rispondere a un’interrogazione presentata con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo 148, paragrafo 8)

 
  
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  Nicole Sinclaire (NI). (EN) Signora Presidente, riguardo alle Nazioni Unite, il collega conviene con me che se per l’Unione europea ci fosse un unico posto al Consiglio di sicurezza dell’ONU – questione molto attuale in questo momento – ci sarebbe un forte passaggio di sovranità dal Regno Unito, e anche dalla Francia, all’Unione? Non crede che l’attuale governo britannico, che egli sostiene, non sarebbe assolutamente contrario a questo passaggio di sovranità?

 
  
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  Geoffrey Van Orden (ECR). (EN) Signora Presidente, ringrazio l’onorevole collega per la domanda.

Ovviamente questa è un’altra conseguenza nefasta del trattato di Lisbona. L’idea che Francia e Regno Unito debbano cedere il seggio all’UE in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per permetterle di sedersi al tavolo consiliare è totalmente inaccettabile. Penso che nessuno dei due Stati membri sia disposto a farlo. Purtroppo il trattato di Lisbona spinge in tal senso e questo, come sostengo, è uno dei motivi per cui lo disapproviamo così fortemente.

 
  
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  Ulrike Lunacek (Verts/ALE). (EN) Signora Presidente, vorrei dire una cosa al Vicepresidente/Alto rappresentante: apprezzo moltissimo quanto ha detto nel primo intervento riguardo alla sua politica, quanto ha fatto per l’Africa settentrionale – Egitto, Tunisia, Libia – e, in particolar modo, la grande attenzione per i giovani e le donne che vi vivono, così come il suo atteggiamento nei confronti di una democrazia profonda, che deve essere radicata. Penso sia di fondamentale importanza e tutti noi parlamentari condividiamo il pensiero, quindi spero sia un’idea vincente.

D’altro canto mi trovo d’accordo con molti colleghi sul fatto che si sarebbe dovuto includere Assad nelle sanzioni. Come le ha chiesto il collega, onorevole Cohn-Bendit, chi è il responsabile – o i responsabili – che si sono opposti in Consiglio? Si tratta del ministro Westerwelle o di altri? Ce lo dica, e noi la sosterremo se lei sarà onesta e trasparente con noi. Credo che in questo modo sarà appoggiata. Guardi il suo mandato: godrà di maggiore sostegno in Aula se ci racconterà di più cosa succede in Consiglio. Avanti, ce lo dica.

Credo sia così anche per la coerenza, come affermato in Aula da lei e molti altri. Nella relazione Albertini che voteremo questa settimana esortiamo le politiche nazionali a sostenere lei e le posizioni europee. Faccio appello ai colleghi presenti che appartengono ai partiti di governo nei rispettivi paesi: dite ai vostri ministri degli esteri e ai Primi ministri di appoggiare la politica comune europea senza guardare soltanto ai vostri interessi nazionali, anche in politica estera, altrimenti non arriveremo mai a una politica estera comune europea in cui abbiamo bisogno che lei, Baronessa Ashton, prenda il comando, sia ambiziosa e sia audace negli impegni.

A 61 anni dalla Dichiarazione di Schuman, festeggiata due giorni fa, abbiamo più che mai bisogno di Europa. Quello che vogliamo è molto concreto, Baronessa Ashton: prevenzione dei conflitti e gestione delle crisi civili. Chiediamo che il servizio per l’azione esterna usi valutazioni d’impatto indipendenti come procedura standard per la valutazione qualitativa degli aspetti legati alla sicurezza, ai diritti umani, al genere, e agli effetti socioeconomici di ogni missione PSDC. Infine, in queste missioni segnalo la necessità di disporre di più personale civile.

(L’oratore accetta di rispondere a un’interrogazione presentata con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo 148, paragrafo 8)

 
  
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  Nicole Sinclaire (NI). (EN) Signora Presidente, tanto per cominciare rendo omaggio alla collega appena intervenuta per l’instancabile lavoro svolto nel campo dei diritti dell’uomo. Parla di una politica comune europea in materia di affari esteri e non solo, ma condivide con me lo sgomento per l’ipocrisia dell’Unione europea? Come entrambe sappiamo l’UE è contraria alla pena di morte eppure, secondo la dichiarazione congiunta del Presidente Barroso e del Presidente von Rompuy sulla morte di Bin Laden, quest’ultima è la dimostrazione che crimini simili non rimangono impuniti. Questo significa accettare che la pena di morte è una punizione?

 
  
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  Ulrike Lunacek (Verts/ALE). (EN) Signora Presidente, riguardo all’osservazione della collega, la morte di Osama Bin Laden non è stata una pena di morte. È stato un assassinio, e personalmente avrei preferito che gli Stati Uniti lo catturassero e lo portassero in tribunale.

Comunque, questa non vuole essere una critica alla collega.

L’affermazione del Presidente Barroso di cui parla non era ipocrisia, era una dichiarazione. Potrei criticarla e, come detto, sarei stata più favorevole a un processo di Osama Bin Laden da parte di una corte penale internazionale, ad esempio, ma così non è stato. Ad ogni modo non vedo nessuna ipocrisia in questo, perché abbiamo bisogno di una posizione comune europea. Per quanto riguarda la pena di morte penso che le cose siano chiare, perlomeno in questo continente, anche se purtroppo non lo sono in altre parti del mondo.

 
  
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  Patrick Le Hyaric (GUE/NGL) . – (FR) Signora Presidente, Baronessa Ashton, onorevoli colleghi, credo che le parole che ha usato nel primo intervento sull’aspirazione all’esistenza di uno Stato palestinese, dopo la riconciliazione interpalestinese, siano molto importanti.

Questo accordo palestinese è un evento politico di prim’ordine e, contrariamente a quanto appena asserito in Aula, Hamas ha per la prima volta accettato l’Organizzazione per la liberazione della Palestina e l’Autorità palestinese come interlocutori negoziali. Accetta i confini del 1967 e le condizioni del Quartetto, tra cui il rifiuto della violenza. Sarà predisposto un governo transitorio incaricato di preparare le elezioni. Ci sono quindi tutti i presupposti per il riconoscimento dello Stato palestinese all’interno dei confini del 1967, con Gerusalemme est come capitale, presso le Nazioni Unite il prossimo settembre.

A parte quanto ha appena precisato, Baronessa Ashton, quali altri passi farà l’Unione europea per riconoscere lo Stato palestinese e difendere questa idea dinanzi alle Nazioni Unite?

Inoltre, può dirci quali iniziative intende promuovere insieme all’UE affinché il governo israeliano restituisca gli introiti fiscali che spettano all’Autorità palestinese?

(L’oratore accetta di rispondere a un’interrogazione presentata con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo 148, paragrafo 8)

 
  
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  Alexander Graf Lambsdorff (ALDE).(DE) Signora Presidente, onorevole Le Hyaric, sono pienamente d’accordo con lei. L’unità tra Hamas e Fatah è veramente un passo storico in avanti. Forse ora sarà possibile progredire nel processo di riconciliazione tra palestinesi e israeliani. La baronessa Ashton ha detto molto chiaramente che la seconda flottiglia sarà una provocazione del tutto inutile, che rischierebbe di compromettere il processo. Insieme al suo gruppo è disposto a ritirare l’appoggio alla flottiglia, proprio come è successo ieri in Parlamento con il grande coinvolgimento del gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica?

 
  
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  Patrick Le Hyaric (GUE/NGL) . – (FR) Signora Presidente, no, questa flottiglia è un’azione da parte delle società civili europee per togliere un assedio totalmente inutile. Se le autorità pubbliche, gli Stati e noi stessi avessimo fatto rispettare il diritto internazionale, non ci troveremmo in questa situazione e i palestinesi non vivrebbero nel carcere di Gaza come fanno da troppo tempo.

 
  
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  Nikolaos Salavrakos (EFD).(EL) Signora Presidente, mi congratulo con l’onorevole Albertini per la relazione e per avere fatto riferimento ai principi e alle priorità della PESC, la politica di difesa e di sicurezza. Ovviamente il mondo sta cambiando; l’Unione europea è chiamata ad affrontare sfide enormi e, per farlo, deve agire con serietà. Le minacce di crescente povertà, l’esclusione sociale di ampie fasce della popolazione, la disoccupazione in vertiginosa ascesa, i cambiamenti geopolitici nel mondo arabo – attenzione a questi –, le calamità naturali e l’immigrazione sono ora i problemi principali che lasciano presagire future tensioni.

In particolare la questione dell’immigrazione, di recente diventata un punto dolente tra Italia e Francia, ha messo in dubbio l’accordo di Schengen. A mio avviso non si può ignorare il problema dell’immigrazione, che dobbiamo gestire con fermezza e cautela. Sì alla solidarietà, ma sì anche al mantenimento delle strutture sociali. Penso che ogni dibattito sull’accordo di Schengen debba essere accompagnato da emendamenti a Dublino II.

 
  
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  Nicole Sinclaire (NI). (EN) Signora Presidente, ho parole di solidarietà e sostegno per la baronessa Ashton: recentemente stavo guardando un programma della BBC in cui veniva intervistata da Jeremy Paxman, che le rivolgeva domande molto pertinenti e in cui lei si sentiva molto a disagio. Le chiedeva da chi in realtà prende ordini e di quale delle 27 nazioni può veramente parlare. Credo che queste domande siano echeggiate oggi in Aula.

Non esiste una politica comune, vero? L’abbiamo visto con la risoluzione ONU sulla zona di interdizione aerea in Libia, quando la Germania ha votato contro. Com’è possibile avere una politica comune quando uno dei più grandi paesi dell’UE vota contro gli altri due più grandi? È impossibile.

Le mie parole di sostegno – e sono stata sollevata nel leggere sui giornali domenicali che ha negato di volersi dimettere dalla carica – sono le seguenti: essendo io molto critica sulla politica comune europea e sul passaggio di sovranità dal mio paese all’UE, le auguro di rimanere in carica il più possibile perché, finché ci sarà lei, non penso avremo molti problemi con la perdita di sovranità. Dopo tutto, quando presiedeva la Camera dei lord britannica e ha fatto approvare il trattato di Lisbona, che le ha dato questo lavoro di 313 000 sterline inglesi all’anno, continuava a ripetere che si trattava solo di una riorganizzazione, e non di un grande passaggio di sovranità. Lo ha affermato ripetutamente dinanzi alla Camera dei lord. Quindi non serve a nulla farle domande, perché non so se si può ottenere una risposta sincera.

 
  
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  José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra (PPE).(ES) Signora Presidente, Baronessa Ashton, onorevoli colleghi, l’elemento centrale di questa discussione troppo vasta dovrebbe essere la situazione in Africa settentrionale e nel Vicino Oriente.

Dobbiamo affrontare questa discussione senza esaltare virtù – la baronessa Ashton ha giustamente messo in rilievo aspetti positivi; io sottolineerei il buono o migliore flusso di informazioni tra Parlamento e servizio europeo per l’azione esterna – ma anche senza nascondere difetti. Una voce tanto saggia come quella di Giorgio Napolitano, ex collega e Presidente della repubblica italiana, ce lo ha ricordato di recente.

Tra gli aspetti negativi e nonostante gli sforzi della baronessa Ashton, ci sono i diversi parametri con cui si valutano i casi di Libia e Siria in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e al Consiglio dei ministri dell’Unione europea. Tra gli aspetti negativi, Baronessa Ashton, c’è anche la situazione di Camp Ashraf: lei è a conoscenza del positivo e costruttivo ruolo da moderatore che sta svolgendo il mio gruppo nello sviluppo della politica estera, e mi creda quando le dico che non mi è sfuggita l’importanza e la sensibilità del dossier iraniano.

Però, nonostante gli avvertimenti sull’aspetto umanitario lanciati ai suoi servizi, collaboratori, gabinetto e direttore generale, e pur avendole presentato io stesso una bozza di dichiarazione, lei non ha alzato la voce fino a quando ci sono stati 32 morti e più di 300 feriti. Tiri da sola le sue conclusioni.

Lei stessa questa mattina ha affermato che dobbiamo agire ed essere coerenti, soprattutto nella difesa dei diritti dell’uomo: soprattutto assumendosi rischi, Baronessa Ashton, quando ci sono vite in pericolo.

Le voglio chiedere: in relazione al dissidente cubano Juan Wilfredo Soto García, arrestato, picchiato e poi ucciso, è disposta a chiedere un’indagine per far luce sul tragico evento? Se l’indagine dimostra l’esistenza di una relazione causa-effetto tra le percosse e il decesso, è disposta a condannarli?

 
  
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  Kristian Vigenin (S&D).(BG) Signora Presidente, Baronessa Ashton, ho ascoltato il suo intervento con molta attenzione e con grande soddisfazione, e non ho sentito una sola parola su cui non sono d’accordo. Nonostante ciò, sia in Aula sia tra i cittadini europei incontrerà aspre critiche sulla nostra capacità di promuovere un approccio congiunto e azioni comuni.

Il trattato di Lisbona ha creato condizioni importanti permettendo all’UE di parlare all’unisono sulla scena internazionale. Attraverso lei, questa voce si esprime chiaramente. Ma i buoni risultati si raggiungono solo se le altre voci rimangono in silenzio, o perlomeno si fanno sentire meno. Invece regna il baccano. Oggi quello che offriamo al mondo è una cacofonia, in cui ci è spesso difficile sentire il messaggio importante che vuole lanciare l’Unione europea.

Baronessa Ashton, credo che la nostra istituzione, il Parlamento europeo, sia il suo naturale alleato nella battaglia per l’applicazione del trattato di Lisbona. Ci sfrutti il più possibile perché oggi stiamo scrivendo la prossima relazione per la politica estera e di sicurezza comune, e perché la straordinaria dinamicità del 2011 ci dà la possibilità di mettere le cose a posto.

Condivido appieno l’idea secondo cui il nostro sostegno ai paesi dell’Africa settentrionale, Tunisia ed Egitto in testa, debba essere erogato in due fasi. Una fase a lungo termine è già stata ampiamente descritta. Ma Egitto e Tunisia hanno bisogno di aiuti adesso, quest’anno, di entità ben maggiore a quella che stiamo discutendo.

Le rivoluzioni arabe si caratterizzano per due aspetti: la mancanza di libertà e democrazia, e la mancanza di prospettive sociali associata a un senso di disperazione. Le rivoluzioni vinceranno solo risolvendo questi due problemi insieme.

A una conferenza in Tunisia organizzata dal partito dei socialisti europei, cui hanno partecipato rappresentanti di partiti e movimenti dell’intera regione, abbiamo chiesto all’UE un programma di emergenza che sosterrà i processi democratici da subito, immediatamente. Inoltre, il gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo sta aumentando sensibilmente l’impegno nella regione. Lo ricordo per sottolineare quanto è importante per noi muoverci a ogni livello.

Infine, ricordo che la scorsa settimana è stata istituita l’Assemblea parlamentare Euronest. È un chiaro segnale che i nostri partner orientali vogliono un dialogo politico più forte con l’Unione europea. Non dimentichiamoli.

 
  
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  Annemie Neyts-Uyttebroeck (ALDE). (EN) Signora Presidente, le parole sono attrezzi, le parole sono strumenti e le parole possono essere armi nella politica estera. Devono quindi essere utilizzate con prudenza e parsimonia, ma ci sono occasioni in cui devono essere usate con decisione.

Voglio dire all’Alto rappresentante che mi è molto mancata la sua voce nei primissimi giorni degli orrori perpetrati dalle autorità siriane. Credo che ne abbiano sentito ancor più la mancanza i coraggiosi cittadini che stavano e stanno ancora dimostrando in Siria correndo grandi rischi. Ci sono rare occasioni in cui bisogna alzare subito la voce: questa era una di quelle.

Passiamo al Medio Oriente. Credo che la decisione del governo israeliano di trattenere le tasse riscosse in Palestina sia una mossa sbagliata; per di più, è incoerente chiedere prima alle autorità di Gaza e della Cisgiordania di trovare un accordo – un accordo – e, quando lo si trova, decidere in questo senso. Si tratta inoltre di una decisione estremamente cinica, perché con ogni probabilità l’Unione europea dovrà comunque coprire l’ammanco finanziario.

Per questo appoggio tutti i colleghi che hanno invocato – e lo faccio a mia volta – un nuovo slancio nella soluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese che, ovviamente, deve rifarsi a una soluzione basata sull’esistenza di due Stati.

 
  
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  Mirosław Piotrowski (ECR).(PL) Signora Presidente, nonostante l’entrata in vigore del trattato di Lisbona che regola la politica estera e di sicurezza comune sono cambiate poche cose. Gli uffici diplomatici esistenti hanno cambiato nome, ma l’Unione non ha rafforzato la sua posizione di attore sulla scena globale.

Ci si potrebbe chiedere se sia veramente possibile applicare una politica comune per i 27 Stati membri dell’UE. Conclusioni come questa sono evidenti con la relazione Albertini, che denota mancanza di volontà da parte degli Stati membri nel condurre una politica comune, e con le dichiarazioni di alcuni rappresentanti degli Stati membri che hanno dato l’impressione di mancanza di unità. Conclusioni analoghe si trovano nella relazione Gualtieri, che attira l’attenzione sulla forte sovrapposizione dei programmi di difesa e sul conseguente spreco delle limitate risorse finanziarie. La NATO, di conseguenza, continua a essere l’unica forza efficace e le voci parlamentari della sinistra, che si sono espresse per iscritto in un parere di minoranza chiedendo, tra le altre cose, lo scioglimento della NATO, sono pericolose e francamente anarchiche.

 
  
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  Reinhard Bütikofer (Verts/ALE).(DE) Signora Presidente, Baronessa Ashton, l’eccellente relazione dell’onorevole Gualtieri sulla politica di sicurezza e di difesa comune riporta un’attenta analisi della situazione. Desidero mettere in rilievo quattro priorità della politica di sicurezza e di difesa a cui dobbiamo dare seguito l’anno prossimo.

La prima è che dobbiamo effettuare una valutazione realistica delle missioni congiunte e, in particolare, una valutazione esterna, integrandole anche nei concetti di politica regionale. Questo vale soprattutto per il Corno d’Africa.

La seconda è che occorre fare passi avanti nel mettere in comune e condividere le capacità militari. La strada separata imboccata da Francia e Regno Unito deve convergere in una soluzione comune europea. L’Agenzia europea per la difesa ha idee al riguardo. Lei dovrebbe proporle e promuovere un dibattito pubblico, così possiamo fare passi avanti.

La terza è la necessità di una discussione pubblica su una nuova strategia europea di sicurezza. Il documento redatto da Solana nel 2003 è stato un contributo positivo all’epoca, ma il mondo è andato avanti e noi necessitiamo di un dibattito pubblico.

La quarta è l’urgente bisogno di giungere a un accordo con i parlamenti degli Stati membri sulla supervisione parlamentare congiunta della politica di sicurezza e di difesa comune.

Se noi, ovvero lei, Baronessa Ashton, insieme a questo Parlamento riusciremo a progredire nella politica di sicurezza e di difesa comune in questi quattro settori, tra un anno saremo molto contenti dei risultati raggiunti.

 
  
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  Sampo Terho (EFD). (FI) Signora Presidente, anch’io do il benvenuto alla baronessa Ashton, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che oggi ci onora della sua presenza. Essendo questo il mio primo intervento vorrei salutare tutti i colleghi deputati al Parlamento europeo.

Un breve commento sull’istituzione della politica estera comune dell’UE. Sicuramente avere una voce più forte e unita in politica estera è buona cosa, ma non per questo si deve compromettere la politica estera degli Stati membri, né la sua flessibilità o indipendenza. Chiediamoci: chi rappresenta l’Unione se non i suoi Stati membri? E ancora: chi rappresentano gli esponenti degli Stati membri, visto che li rappresenta l’UE?

Le strutture non si devono duplicare e quelle dell’Unione non devono gonfiarsi inutilmente: ecco il principio di base. Questo soprattutto perché è molto discutibile che anche i cittadini europei in generale vogliano l’integrazione nel settore della politica estera.

 
  
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  Béla Kovács (NI).(HU) Signora Presidente, il trattato di Lisbona con le sue modifiche eccessivamente complesse rende difficile la creazione di istituzioni e la definizione dei compiti. Persino le istituzioni in essere non riescono a svolgere le proprie funzioni in maniera adeguata per via dei molteplici cambiamenti. Così il caos regna ovunque, e tutti sono confusi.

Si pone un interrogativo: che senso ha creare e investire di poteri il servizio europeo per l’azione esterna, che non ha ancora iniziato a funzionare? In tutto il mondo difesa e sicurezza sono settori che richiedono reazione e intervento rapidi. Mentre se ne discute la composizione, le sedi e le posizioni l’Unione europea si lascia sfuggire l’occasione di agire con forza in quest’ambito. Una volta istituito dovrebbe funzionare ed essere efficace. Proprio per questo motivo bisogna fare tutto il possibile per far decollare il servizio con la massima rapidità.

Purtroppo nelle relazioni esterne il paese attualmente alla Presidenza non riesce a mettere a punto un programma per gli affari esteri, la difesa e la sicurezza comuni e quindi, onorevoli colleghi, non avete altra scelta che sostenere l’operato della baronessa Ashton, che inizia con grandi difficoltà.

 
  
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  Elmar Brok (PPE). (DE) Signora Presidente, Baronessa Ashton, onorevoli colleghi, la appoggiamo nel voler continuare a sviluppare il servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) e garantirne un funzionamento efficace, Baronessa Ashton. Questo vale soprattutto per la creazione delle rappresentanze, dove c’è bisogno di grandi miglioramenti vista la scarsità dei fondi e del tempo a disposizione.

Inoltre è grave che ogni ministro degli esteri europeo senta la necessità, almeno una volta, di dire la sua su piazza Tahrir. Nonostante questo, però, bisogna garantire una strategia comune chiara. È nostro dovere, e anche suo dovere riuscirci. Dobbiamo sfruttare le posizioni, di fatto ce ne sono tre, raggruppate nel trattato di Lisbona e che lei rappresenta, non per trovare e applicare il minimo comune denominatore tra Stati membri, bensì per acquisire leadership politica, in modo da conferire alla posizione comune un ruolo di maggior rilievo e così convincente da trascinare gli altri paesi con noi. È estremamente importante se vogliamo veramente fare progressi in materia.

Prima si è detta d’accordo con l’onorevole Gualtieri sulla condivisione e la messa in comune. Desidero ringraziare lui, l’onorevole Muñiz De Urquiza e l’onorevole Albertini. C’è però bisogno di un triplice approccio che comprenda il comando, la messa in comune e la condivisione: questi sono i tre elementi indispensabili. Ci sono molte cose di cui potremmo parlare in questa sede e che richiedono una condivisione dei compiti. Che progressi si fanno in Ucraina? Alla fine dell’estate scoppierà la guerra tra Azerbaigian e Armenia? Alcuni segnali dicono di sì. Ovviamente ci sono anche i grandi interrogativi sul mondo arabo, cui molti colleghi hanno fatto riferimento. Come reagire a episodi come quello della flottiglia, che secondo me è un atto provocatorio? Come comportarsi con il Presidente Assad? Come impedire ai Mujaheddin del popolo iraniano di ricevere aiuti, perché personalmente sono contrario ad aiutarli, ma al tempo stesso garantire che Camp Ashraf non sia attaccato di nuovo e i suoi occupanti uccisi? Bisogna agire con intelligenza per individuare una posizione comune.

La aiuteremo a creare il servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), ma ci aspettiamo una leadership che consenta di fare politica a più alto livello e convinca gli Stati membri, nonostante il difficile requisito dell’unanimità. Sarà possibile solo con una leadership convincente. Continueremo ad aspettare i risultati legati allo sviluppo del SEAE.

 
  
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  Richard Howitt (S&D). (EN) Signora Presidente, inizierò congratulandomi con il Vicepresidente/Alto rappresentante per il successo personale riscosso negoziando il compromesso alle Nazioni Unite sul diritto di parola dell’UE, laddove altri hanno fallito. A prescindere dall’opinione sulla politica estera e di sicurezza comune di chi siede in Aula o di qualsiasi altro europeo, è la più straordinaria manifestazione concreta della nostra comune ambizione sul trattato di Lisbona: una politica estera che goda di piena fiducia e rispetto da parte degli interlocutori stranieri.

In qualità di coordinatore socialista per i diritti dell’uomo, desidero altresì congratularmi con l’Alto rappresentante per il riesame strategico sui diritti umani e l’impegno dimostrato con la lettera inviata ai ministri degli esteri per integrare i diritti dell’uomo nello sviluppo commerciale e in altre politiche comunitarie, e per raggiungere “risultati specifici attesi”. In questo Parlamento l’abbiamo esortata a creare una direzione per la democrazia e i diritti dell’uomo e a incontrare i difensori dei diritti umani durante le varie visite, e la ringraziamo di avere risposto positivamente. Quando afferma che porre fine alla pena di morte è una sua priorità anche il Parlamento deve sostenerla con vigore.

Il nostro gruppo appoggia l’onorevole Muñiz De Urquiza nel chiedere maggiore visibilità per l’Unione europea all’interno del Consiglio per i diritti umani. Sosteniamo l’onorevole Albertini quando asserisce che l’UE deve agire ed esprimersi di fronte alle violazioni dei diritti dell’uomo. Sottolineiamo la conclusione dell’onorevole Gualtieri secondo cui il rispetto dei diritti umani non può mai essere oggetto di compromesso. A nome del mio gruppo preciso poi il nostro sostegno sul tema della restituzione degli introiti fiscali ai palestinesi.

Questo è il nostro dibattito annuale sulla politica estera: il prossimo anno speriamo di vedere risultati concreti nel riesame dei diritti umani e considerevoli passi avanti nello sviluppo di una cultura in materia che permei tutte le iniziative del servizio europeo per l’azione esterna.

 
  
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  Anneli Jäätteenmäki (ALDE). (FI) Signora Presidente, ancora una volta gli eventi in Africa settentrionale ci hanno dimostrato che la politica estera comune dell’UE è superata e inefficace. Gli appelli comunitari al rispetto dei diritti umani e della democrazia fanno pensare a un Don Chisciotte delirante in un’armatura arrugginita che combatte contro i mulini a vento, paragonato al proficuo commercio di armi intrattenuto dagli Stati membri dell’UE.

Sette dei principali venditori di armi al mondo sono paesi europei, Stati membri dell’Unione, che vendono armi a Libia, Egitto, Tunisia, Bahrein e Yemen. Baronessa Ashton, non sarebbe forse l’ora di considerare il divieto di esportazione di armi una priorità della politica estera europea?

Il coordinamento di 27 diverse politiche estere e di sicurezza non è il più facile dei compiti, non si può incolpare solo il capitano di un naufragio. Gli Stati membri hanno diritto alla propria politica estera. Ci potremmo però aspettare un paio di cose dal timoniere, ovvero idee e iniziative, e stiamo ancora aspettando.

 
  
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  Struan Stevenson (ECR). (EN) Signora Presidente, dopo l’atroce massacro a Camp Ashraf dell’8 aprile la situazione in loco continua a essere critica. In qualsiasi momento si potrebbe verificare un sanguinoso attacco. Sono appena tornato da Baghdad, dov’ero alla testa di una piccola delegazione di europarlamentari che hanno tenuto colloqui ad alto livello con il Presidente iracheno e i ministri di governo di grado più elevato.

Ora ho negoziato una soluzione alla crisi di Ashraf che lei ha visto, Baronessa Ashton. Prevede il coinvolgimento delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti e dell’Unione europea e necessita del suo attivo incoraggiamento per il reinsediamento dei 3 400 rifugiati di Ashraf negli Stati Uniti, in Canada, Australia, Norvegia, Svizzera e negli Stati membri dell’UE, o ovunque abbiano famiglia o altri legami. Questa è l’unica possibilità di evitare un’altra catastrofe umanitaria, ed è stata concordata direttamente con la popolazione di Ashraf.

Il Parlamento europeo si affida a lei per cogliere questa opportunità di salvare vite innocenti ed evitare ulteriori violenze e spargimenti di sangue.

 
  
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  David Campbell Bannerman (EFD). (EN) Signora Presidente, la giornata dell’Europa di questa settimana doveva essere una celebrazione dell’identità nazionale europea. Non è così. È il simbolo di un governo sovranazionale europeo, al di sopra degli Stati nazione, che continua a sostituirsi a loro. Ciò è in contrasto con il concetto intergovernativo, dove gli Stati nazione collaborano liberamente senza però cedere poteri a un’autorità centrale superiore.

La zona di interdizione aerea in Libia illustra la differenza. Le Nazioni Unite, istituzione intergovernativa, hanno concordato una zona di interdizione aerea collaudata da Stati nazione come Regno Unito, Francia e Stati Uniti, mentre Stati nazione come Germania e Russia si sono astenuti per validi motivi. La NATO, istituzione intergovernativa, sta ora conducendo quell’operazione in base al principio di adesione volontaria.

Al contrario l’Unione europea, entità sovranazionale, si è energicamente opposta alla proposta di David Cameron sulla zona di interdizione aerea. Ironia della sorte la baronessa rossa in persona, Catherine Ashton, ha opposto resistenza a questa proposta, con il suo assistente che continuava a definirla una “disgrazia da prima pagina”. L’insegnamento che possiamo trarne è che le nazioni dominanti agiscono a livello intergovernativo, gli organi sovranazionali invece stanno a gingillarsi mentre la Libia va a fuoco.

 
  
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  Mario Mauro (PPE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, signora Alto Commissario, il suo è un mestiere molto difficile e sulle sue spalle c’è un pesante fardello. Spero voglia accogliere le mie domande non come delle provocazioni, ma come un contributo alla sua riflessione. Signora baronessa Ashton, al termine del nostro dibattito congiunto, voteremo la relazione sul ruolo dell’Unione europea nelle organizzazioni multilaterali.

Due anni fa, nell’audizione che ha preceduto il suo insediamento, le chiesi quale fosse la sua posizione sul seggio unico dell’Unione europea all’ONU. Mi rispose allora che non aveva avuto il tempo di pensarci. Nella relazione Muñiz de Urquiza è contenuto l’emendamento Millán Mon che definisce la posizione del Parlamento sull’argomento. La sua oggi qual è? Ha avuto il tempo di pensarci in questi due anni?

Signora baronessa Ashton, il 17 maggio si celebra a Baghdad lo Europe-Iraq Day. L’Unione europea è presente in Iraq con due funzionari e un’ambasciatrice. Tre persone che operano nel compound britannico. Giustamente, lei vorrebbe trovare risorse per risolvere la situazione. Le segnalo, per aiutarla, che nelle Bahamas ci sono sette funzionari dell’Unione europea. Cosa succede di così infinitamente più decisivo per le sorti dell’Unione europea nelle Bahamas rispetto a Baghdad? E non sarebbe meglio essere a Baghdad il 17, visto che siamo prossimi a siglare il primo accordo Unione europea-Iraq della storia del dopo Saddam? Magari per risolvere in loco anche il dramma di Camp Ashraf che sono certo, con un suo personale intervento, potrebbe trovare facilmente una soluzione positiva?

Signora Ashton, lei è già intervenuta sul tema dei copti egiziani: ma non solo la persecuzione è proseguita ma rappresenta oggi un elemento inquietante dello scenario denominato "Primavera araba". Nelle comunicazioni del Servizio esterno si continua a parlare di conflitto fra estremisti. Ma in Egitto muoiono solo cristiani e vengono bruciate solo chiese. Che cosa ci impedisce di riconoscere la verità, di chiamarla col suo nome e strappare i copti allo scomodo ruolo di ostaggio di un progetto politico fondamentalista?

 
  
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  Pier Antonio Panzeri (S&D). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, le turbolenze che stanno modificando la geografia politica della sponda meridionale del Mediterraneo, con il loro carico di incertezze e speranze, interpellano sempre più l’Europa e la sua politica estera ed è sulla base di ciò che sta avvenendo che dovrebbe essere sempre più essenziale per l’Unione europea poter contare su una politica estera consolidata e coerente, in grado di governare un presente difficile e progettare un futuro problematico, che modificherà i rapporti internazionali e cambierà in profondità il mondo.

Di fronte al riposizionamento strategico di paesi come gli Stati Uniti, la Cina e la Russia e dinanzi a una fame crescente di materie prime e risorse energetiche, l’Europa dovrebbe svolgere una funzione importantissima e decisiva, ma è del tutto evidente che si sta presentando impreparata a questi appuntamenti.

Da tempo si procede troppo lentamente verso un coordinamento delle politiche estere e nazionali dei suoi Stati membri. Non ci sono progressi sostanziali. Ne sono testimonianza, da un lato, l’azione sbiadita che ne deriva della sua politica estera e, dall’altro, la pervicacia con la quale alcuni paesi, nostalgici di un periodo coloniale che non può più tornare, si ostinano a credere che tutelano meglio i loro interessi facendo da soli e non delegando nulla all’autorità europea. Bisogna voltare pagina. Baronessa Ashton, lei ha un ruolo importante, lo eserciti fino in fondo, nella consapevolezza che il tempo a disposizione si sta esaurendo velocemente.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MARTÍNEZ MARTÍNEZ
Vicepresidente

 
  
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  Jelko Kacin (ALDE). (SL) Signor Presidente, Baronessa Ashton, con la politica estera e di sicurezza comune lei incarna le ambizioni politiche dell’Unione europea.

Le chiedo di recarsi di persona in Iraq, il prima possibile. Hanno bisogno di vederla a Baghdad, e anche in Kurdistan.

Gli americani lasceranno il paese prima della fine dell’anno e dopo la loro partenza ci sarà un grande vuoto, mentre l’Unione europea non è presente in Iraq, o meglio, i nostri diplomatici sono così pochi da essere invisibili o incapaci di rendersi visibili.

In Iraq vogliono la nostra e la sua presenza in prima persona, vogliono cooperazione politica e vogliono cooperazione economica.

Saluto la sua dichiarazione odierna sulla Bosnia-Erzegovina: per quanto sia apprezzabile, però, non è riuscita a nominare un capo per la delegazione a Sarajevo.

Non essendoci riuscita, sta facendo il gioco dei tanti che destabilizzano la Bosnia-Erzegovina internamente ed esternamente. La nomina di un capo metterebbe fine a tutto questo.

 
  
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  Paweł Robert Kowal (ECR).(PL) Signor Presidente, oggi l’Europa si trova di fronte a due problemi. Il primo è la necessità di una nuova visione nella politica di vicinato. Recentemente ero in Tunisia e ho capito quanto si aspettano dall’Unione europea. Siamo in costante contatto con l’Ucraina, e so che anche lì sperano in qualcosa di più: più opportunità per lo sviluppo della cooperazione sociale, più contatti, e anche che non ci rinchiuderemo nel nostro egoismo europeo.

So che per lei è difficile svolgere il suo lavoro, Baronessa Ashton, perché è da sola e non è stata lei a deciderlo – così è stato creato il SEAE – ma si ha l’impressione che in autunno dessimo massima importanza alla Bielorussia, mentre oggi – un po’ come bambini che si interessano ad altro – guardiamo all’Africa settentrionale. È indispensabile una nuova visione nella politica di vicinato: questo, ora, è nelle sue mani. Negli ultimi mesi ha dimostrato di essere forte e all’altezza del compito. Oggigiorno forse l’Europa non dovrebbe, come nei giorni dell’antica Roma, difendersi lungo un limes romano, lungo il Reno o altrove, bensì proporre un’audace visione politica che non sia solo sul problema dell’immigrazione, ma sia una visione politica. Si può dire che oggi, in questo storico momento, il destino dell’Europa è nelle sue mani, Baronessa Ashton, e noi ci contiamo molto.

 
  
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  Jacek Saryusz-Wolski (PPE). (EN) Signor Presidente, Camp Ashraf è teatro di atrocità – atrocità che ovviamente condanniamo e per le quali siamo profondamente preoccupati – ma voglio chiedere alla baronessa Ashton: che strumenti stiamo usando a parte le parole? Stiamo prendendo in considerazione misure commerciali, aiuti, e altre misure reali e concrete invece della persuasione, che non dà frutti?

Riguardo alla politica di vicinato con i paesi ai confini dell’Unione, credo sia l’aspetto più importante del suo pacchetto, Baronessa Ashton. È il fondamento della politica estera, perché se sbagliamo qui sbagliamo in tutta la politica estera.

La verità nuda e cruda è che nei paesi vicini a sud e a est ci stiamo ritirando e siamo sulla difensiva. Siamo stati colti di sorpresa. La baronessa Ashton dice che si è abbattuta una bufera sui paesi vicini, questa è la parola che ha usato. Dov’è la nostra tabella di marcia meteorologica? In questa politica il tempo è un fattore chiave e una risorsa limitata. Nella politica di vicinato siamo sempre in ritardo sugli eventi. Anche il riesame della politica europea di vicinato da parte dell’Alto rappresentante e del Commissario Füle è stato posticipato per la terza volta, tra l’altro per decisione del suo ufficio.

Pecchiamo di inerzia. La politica estera si basa su azioni che cambiano il corso degli eventi e non su parole, incontri vari, vana persuasione e valanghe di dichiarazioni. Dovremmo usare strumenti forti e pratici per cambiare le cose in Libia, Siria, a Camp Ashraf e in Bielorussia. Seguire gli Stati membri aspettando il permesso dei ministri degli esteri per fare qualcosa è diventata la dottrina della baronessa Ashton, che lei considera una virtù. È l’approccio sbagliato, che condanna la politica estera al minimo comune denominatore e a essere sempre in ritardo. Vogliamo un Alto rappresentante che sia al comando, non al seguito.

La nostra discussione ha due difetti. Il primo è che molto spesso ci accontentiamo di condannare e togliere il divieto di visto, strumento incredibilmente inefficace. Inoltre chiediamo più soldi per pulirci la coscienza, ma ci sono molti soldi arabi che non vengono investiti in democrazia e prosperità per il mondo arabo.

 
  
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  Libor Rouček (S&D). (CS) Signor Presidente, Baronessa Ashton, onorevoli colleghi, gli sviluppi in Africa settentrionale e nel Medio Oriente sono estremamente importanti per la sicurezza e la stabilità in Europa. Le nazioni arabe e musulmane di questa regione stanno attraversando un processo di emancipazione politica democratica che si potrebbe definire la “primavera araba di Praga”. I giovani di Tunisia, Egitto, Yemen, Siria e Bahrein chiedono più libertà, più democrazia e più diritti umani.

Garantire generosa assistenza agli amici arabi nella lotta per l’emancipazione non è solo nell’interesse politico e della sicurezza dell’UE, ma è soprattutto nostro dovere morale, perché i valori per cui combattono sono anche i nostri, e il rispetto e l’applicazione di questi valori è un requisito indispensabile per una pace, stabilità, sviluppo e prosperità durevoli. Generosa assistenza però non significa ingerenza, perché secondo me lo sviluppo della società civile, della democrazia e dello stato di diritto deve rimanere in mani arabe e musulmane. Solo così queste nazioni e società potranno diventare partner a lungo termine del fenomeno globale …

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Ria Oomen-Ruijten (PPE).(NL) Signor Presidente, Baronessa Ashton, onorevoli colleghi, consentitemi di congratularmi con l’Alto rappresentante per il successo riscosso a New York. Potenziare il ruolo dell’Europa alle Nazioni Unite è buona cosa, ma apre una serie di interrogativi.

Qual è il nostro e il suo messaggio all’Assemblea generale? Come ottenere un’unica posizione comune dagli Stati membri senza tornare al minimo comune denominatore? Inoltre, cosa faremo – l’onorevole Daul ha chiesto la stessa cosa – per tradurre in concreto il nostro messaggio?

Signor Presidente, sono tutte gigantesche sfide cui occorre trovare risposta. Le sfide non si trovano solo in Bahrein, Yemen, Iran e Armenia, ma anche nei paesi a noi più vicini: Bielorussia, Siria, Egitto e Libia. Si tratta di sfide molto reali. Assistiamo a repressione, guerra e violenza contro le minoranze religiose, rifugiati che si riversano da noi, e a un inizio troppo lento nel processo di creazione dello stato di diritto e della democrazia.

Baronessa Ashton, lei è il nostro esponente, l’esponente di spicco dell’Unione europea. Non possiamo permettere che l’Unione europea venga lasciata da parte, nel disaccordo e nell’indecisione. Lei svolge un ruolo cruciale a livello formale e informale non solo dietro le quinte ma anche nelle sale riunione e, soprattutto, al di fuori. So e mi rendo conto che per lei è come camminare sulle uova, ma deve sapere che noi, al Parlamento europeo, la sosteniamo quando insiste nel convincere gli Stati membri che conviene adottare un approccio europeo congiunto, nell’avere una politica estera efficace, coerente e comune e nell’essere il volto di quella politica, nell’avere le persone migliori occupare le posizioni chiave in seno al servizio per l’azione esterna, e nel rafforzare la posizione dell’Europa e quella dei suoi cittadini, che sono la cosa importante. Faccia di più, quindi. Faccia di più in Siria e non appoggi soluzioni incomplete.

 
  
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  Maria Eleni Koppa (S&D).(EL) Signor Presidente, Baronessa Ashton, oggi discutiamo di temi fondamentali della politica estera dell’Unione e di tre importanti relazioni parlamentari sul ruolo dell’Unione europea nel mondo. Ma la domanda che ci poniamo all’unisono nel dibattito odierno è se in realtà esista una politica estera comune. Con l’Europa che stenta a reggersi in piedi e si dimostra vigliacca, debole e a lungo senza voce nell’evento storico dell’ultimo decennio, ovvero le ribellioni nel mondo arabo, con gli Stati membri che non riescono ad adottare una posizione comune sulla risoluzione del 1973 sulla Libia del Consiglio di sicurezza dell’ONU, di cruciale importanza, e con l’Unione che esita sulla Siria, mi chiedo se forse alla domanda non si sia in realtà già risposto.

Dopo il trattato di Lisbona nutrivamo grandi speranze. Ma se il Consiglio non è all’altezza dell’incarico, e se nel processo decisionale prevalgono gli egoismi nazionali e le strategie personali, l’Europa e l’ideale europeo avranno perso l’ennesima battaglia.

 
  
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  Michael Gahler (PPE).(DE) Signor Presidente, sono d’accordo con i colleghi nel dire che i singoli governi hanno adottato un approccio infelice e incoerente dinanzi alle sfide attuali. Mi unisco poi alla baronessa Ashton nel chiedere di allargare il dibattito ai governi nazionali. Nello specifico chiedo che vantaggio spera di ottenere il governo A o il governo B procedendo unilateralmente o bloccando una decisione. Qual è il vantaggio? Deve essere maggiore dell’effetto che possiamo sortire agendo congiuntamente a livello comunitario. Credo che alcuni governi avrebbero difficoltà a spiegare le proprie azioni.

Sono però convinto che stiamo dolosamente imparando dagli errori. La crisi finanziaria e quella del debito hanno avuto, per certi versi, un effetto benefico creando un maggior senso di collaborazione, soprattutto nella politica estera e di sicurezza comune. Altri hanno parlato di condivisione e messa in comune. L’8 aprile lo stato maggiore dell’Unione europea ha presentato 300 progetti proposti in materia dagli Stati membri. Ora vorrei sapere cosa intendete fare con questi. Si intende forse sfruttare l’iniziativa per promuovere la cooperazione strutturata permanente, non ancora attivata? Farà in modo che l’Agenzia europea per la difesa e lo stato maggiore dell’UE siano i principali responsabili dell’attuazione di questa iniziativa?

L’onorevole Bütikofer ha elencato quattro priorità per il prossimo anno che condivido pienamente. In diverse occasioni il Parlamento europeo ha chiesto la redazione di un Libro bianco sulla politica di sicurezza e di difesa. Qual è la sua opinione al riguardo? È pronta a raggruppare le unità del suo servizio che si occupano di questi temi per creare una sezione che potrebbe diventare la sede operativa?

 
  
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  Luis Yáñez-Barnuevo García (S&D). (ES) Signor Presidente, innanzi tutto congratulazioni per il suo lavoro, Baronessa Ashton. Se mi permette, lei è come una formica laboriosa che poco a poco raggiunge il risultato mentre le cicale friniscono e oziano negli Stati membri.

Onorevoli colleghi, mi perdonerete di non aggiungere altro visto che i colleghi del mio e degli altri gruppi hanno espresso le stesse opinioni. Mi limiterò a quattro punti che vogliono spronarvi ad agire, elementi che possono aiutare la politica estera e di sicurezza comune a essere sempre più degna di questo nome.

Primo, a differenza di quanto succede per altri temi l’opinione pubblica europea è per il 65-70 per cento favorevole alla politica estera e di sicurezza comune.

Secondo, questo stesso Parlamento, a parte una piccola minoranza euroscettica, sostiene un’azione europea federale, soprattutto nella politica estera e di sicurezza.

Terzo, gli Stati membri più europeisti, più federalisti che ci siano formano un’alleanza con loro…

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Francisco José Millán Mon (PPE). (ES) Signor Presidente, prima di tutto due osservazioni iniziali. Preferisco i dibattiti specifici a una discussione congiunta. Ci stiamo occupando di temi diversi, che meritano discussioni separate e approfondite. Inoltre condivido le parole dell’onorevole Salafranca Sánchez-Neyra sulla morte del dissidente cubano, il signor Soto.

Permettetemi altri tre commenti.

Purtroppo quando tutti speravamo di dedicarci al ruolo esterno dell’Unione europea in questi anni, la grave crisi economica e finanziaria ha assorbito tutti i nostri sforzi. Ma le molteplici sfide esterne, soprattutto nei vicini paesi mediterranei, ci impediscono di aspettare. L’Unione europea deve essere politicamente ed economicamente presente nei processi di cambiamento del mondo arabo.

Inoltre, Baronessa Ashton, mi rallegro del fatto che la scorsa settimana a New York si sia rafforzata la voce dell’UE nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite grazie a una votazione che ha riscosso ampi consensi. Mi congratulo con lei, dal momento che il disastro dell’anno scorso ha sollevato interrogativi inquietanti sul futuro ruolo dell’Unione nel mondo e nelle organizzazioni internazionali.

Ciononostante, i contrastanti voti europei sulla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite rivelano le enormi difficoltà – lo ripeto, enormi difficoltà – nel giungere a una reale politica di sicurezza e di difesa comune.

Per riassumere, Baronessa Ashton, lei e il Presidente Van Rompuy, che a sua volta detiene molte responsabilità negli affari esteri, avete l’immenso compito di convincere gli Stati membri della necessità di un’azione esterna unitaria e coerente. Voi due dovrete lavorare molto per spingere, tirare e guidare, in un momento storico che intendevamo affrontare con i nuovi strumenti del trattato di Lisbona.

 
  
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  Marek Siwiec (S&D).(PL) Signor Presidente, smettiamola di lamentarci che non abbiamo una politica comune europea. In alcuni settori abbiamo una politica comune, in altri no. Di fatto, nella politica di vicinato esiste una politica comune. I nuovi Stati membri possono sostenere l’Occidente in Africa settentrionale in maniera straordinaria, perché l’Occidente non gode della credibilità necessaria. Quella credibilità è data da chi ha portato avanti le rivoluzioni nei paesi dell’Europa orientale. A est ci interessiamo tutti a queste questioni, a est come a ovest. I vecchi Stati membri però hanno i soldi, i mezzi. Abbiamo bisogno di quei soldi per perseguire una politica comune di vicinato a est come a sud e per costruire la nostra credibilità.

Parliamo di politica nel settore della difesa: che politica di difesa è se l’Europa non dispone di un esercito? In Libia stanno operando sessanta aeromobili europei, 60 velivoli sordi e ciechi. Non ci sono servizi segreti, e i velivoli non sono in grado di effettuare la missione con efficacia. Se all’inizio non si fossero uniti gli americani, la missione non avrebbe portato a niente, e non ci sarebbero stati risultati. Quindi smettiamola di lamentarci che non abbiamo una politica comune. Fino a quando non avremo un esercito comune, non avremo una politica di sicurezza e di difesa comune.

 
  
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  Arnaud Danjean (PPE).(FR) Signor Presidente, Baronessa Ashton, la crisi libica purtroppo ha nuovamente evidenziato la difficoltà dell’Unione europea di esistere a livello diplomatico e militare. Però sarebbe ingiusto accusare solo lei per la mancanza di volontà politica dimostrata dall’Unione, anche se molti di noi ritengono che si sarebbe potuto e dovuto intraprendere iniziative più energiche.

È anche vero che questa incapacità di mettere a punto una politica coerente, efficace e visibile è in larga parte imputabile agli Stati membri, mentre i nostri amici americani hanno fatto molto affidamento sull’Europa per agire. Ad ogni modo, crisi libica a parte dobbiamo essere ben coscienti delle principali evoluzioni strategiche che ci obbligano a non rinunciare all’ambizione di una politica di sicurezza e di difesa comune, sancita nel trattato di Lisbona, di cui lei, Baronessa Ashton, deve essere l’ispiratrice, la garante e la portavoce.

Le limitazioni di bilancio sui budget della difesa, fenomeno senza precedenti, associate alle molteplici crisi internazionali e al riposizionamento strategico degli Stati Uniti sono fattori pesanti che non ci lasciano altra scelta che prendere il destino nelle nostre mani. Di fronte a tutte queste crisi e minacce, non possiamo accontentarci di lasciare le cose in mano ai nostri amici e alleati americani o alla NATO. Ad esempio, né gli Stati Uniti né la NATO sono riusciti a mettere fine al conflitto del 2008 tra Georgia e Russia, né gli Stati Uniti né la NATO possono oggi far rispettare il cessate il fuoco che vi vige. È la missione europea che ha piena legittimità per farlo.

In Libia vediamo bene che gli Stati Uniti non volevano essere in prima linea e che l’impegno minimo della NATO è insufficiente.

Baronessa Ashton, la politica di sicurezza e di difesa comune non è solo un concetto raggiunto dieci anni fa o un’ambizione sancita nei trattati, ma è anche una necessità strategica, e lei deve essere in prima linea per prendere le iniziative necessarie.

(Applausi)

 
  
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  Andrey Kovatchev (PPE). (BG)(cattiva registrazione) Signor Presidente, è sempre più evidente che le amministrazioni di alcuni capitali dell’Unione si stanno rendendo conto del significato del trattato di Lisbona, e trovano difficile sposare un’iniziativa di politica estera che non hanno proposto in prima persona. Proprio per questo abbiamo bisogno di una forte leadership europea che, all’occorrenza, abbia il coraggio di pestare i pugni sul tavolo e chiedere agli Stati membri di adottare una posizione comune. Ovviamente mi appello agli Stati membri anche per non cercare di rinazionalizzare la politica estera e aiutare lei, Baronessa Ashton.

Non occorre unicamente una forte diplomazia europea ma anche efficaci capacità civili e militari, in modo da non essere solo il più grande donatore di sviluppo e aiuti umanitari al mondo, seppure sprovvisto di possibilità, ma anche un serio attore della politica globale. Penso che le capacità militari dell’UE garantiranno assistenza anche agli alleati americani e alla NATO, sia in senso politico che militare, soprattutto pensando ai nostri vicini. Tutti i conflitti lo confermano.

Appoggio la messa in comune e la condivisione delle risorse in materia di difesa e l’integrazione della politica di sicurezza e di difesa. Abbiamo bisogno di una strategia di sicurezza e di difesa comune. Ciononostante, dotarsi di un’efficace politica estera europea e di capacità difensive senza servizi segreti e un sistema di raccolta delle informazioni è come avere una casa senza tetto. Bisogna rivedere la questione. O lo scambio di informazioni tra Stati membri, servizio esterno e Unione europea sarà più efficiente, o l’Unione europea dovrà dotarsi dei propri canali di analisi e informazione.

Per concludere, Baronessa Ashton, voglio anche che affronti il tema legato a una più vigorosa applicazione degli impegni di riammissione dei paesi sicuri con cui l’Unione europea ha siglato i relativi accordi.

 
  
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  Alojz Peterle (PPE). (SL) Signor Presidente, in futuro possiamo solo aspettarci ancora più sfide nella politica estera e nella sicurezza, e questo rende ancora più importante il concetto di credibilità. Senza credibilità non si può essere efficaci.

Credibilità significa, innanzi tutto, adesione ai nostri valori e principi. Baronessa Ashton, convengo con lei che non dobbiamo dimenticare le origini da cui nacque l’Unione europea.

Molti anni fa l’essere umano è stato messo al centro di tutto. Onoriamo quindi la dignità umana e tutte le identità culturali, e diamo un maggiore contributo al dialogo interculturale.

Il mondo si aspetta dall’Unione europea un ruolo più forte, non 27 politiche estere distinte. Maggiore unità non significa perdere la nostra diversità.

Per concludere vorrei attirare l’attenzione su tre temi:

– primo: lo sblocco della situazione in Bosnia-Erzegovina è un’urgente necessità, essendo possibile un nuovo scoppio delle violenze;

– secondo: occorre al più presto trovare un modo per stringere una relazione strategica e unitaria con la Turchia, che oggi non è stata quasi nominata;

– terzo: sono contento di vedere questa determinazione su Camp Ashraf; la nostra posizione contraria alle violenze perpetrate contro i civili deve essere forte e chiara, lì e nel resto del mondo.

 
  
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  Alejo Vidal-Quadras (PPE). (ES) Signor Presidente, il 29 luglio 2009 le truppe irachene hanno fatto una violenta irruzione nel campo dei rifugiati iraniani di Ashraf uccidendo a picchiando a morte 11 residenti. L’attacco si è ripetuto l’8 aprile di quest’anno provocando 35 vittime, per ferite di arma da fuoco o perché schiacciate da veicoli corazzati.

Baronessa Ashton, mesi fa è stata avvertita dai deputati di quest’Assemblea che ci sarebbe stato questo massacro, e le abbiamo ripetutamente chiesto di intervenire.

Per mesi ha ignorato i nostri avvertimenti reagendo solo dopo la catastrofe. Anche se è meglio tardi che mai, la prossima aggressione potrebbe essere un bagno di sangue di proporzioni tremende se non metterà subito questa crisi umanitaria tra le massime priorità della sua agenda.

C’è una soluzione, come l’onorevole Stevenson le ha spiegato. Da lei speriamo un’azione decisa e immediata che la renda fattibile, e accogliamo positivamente l’impegno che ha assunto questa mattina.

3 400 uomini e donne indifesi, circondati da carri armati, guardano a noi, confidando che saremo all’altezza dei nostri valori. Il Parlamento ha fatto, sta facendo e farà tutto quanto in suo potere. Le chiediamo di avere lo stesso interesse a salvare queste vite.

Se agirà come speriamo saremo al suo fianco. In caso contrario la sua coscienza e questa Assemblea le chiederanno spiegazioni.

 
  
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  Dominique Baudis (PPE) . – (FR) Signor Presidente, finalmente l’Unione europea ha imposto sanzioni alla Siria. Purtroppo però sembra averlo fatto con una certa esitazione, stando attenta a non chiedere la testa dei leader del regime siriano.

Ovviamente questa mancanza di determinazione e chiarezza è interpretata dai manifestanti come una forma di abbandono, e dalle autorità come un’indulgenza che permette di intensificare la repressione. Una repressione tanto crudele che non si riesce a immaginare come si possa eleggere la Siria a sedere nel Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, quando oggi stesso le autorità del paese rifiutano agli osservatori ONU l’accesso alla città di Deraa, teatro delle terribili violenze esercitate contro civili disarmati.

Avere la Siria al Consiglio per i diritti umani sarebbe un insulto per le vittime e le loro famiglie, e un incoraggiamento al regime a utilizzare la forza bruta contro il suo stesso popolo, mostrando totale disprezzo per i valori che questo Consiglio dovrebbe difendere.

Quindi, Baronessa Ashton, che alternative diplomatiche ha in mente per evitare un simile disastro?

 
  
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  Anna Ibrisagic (PPE).(SV) Signor Presidente, avendo solo un minuto sarò molto breve. Due colleghi hanno già citato il conflitto in Nagorno-Karabakh e il fatto che la situazione in loco sta diventando sempre più complicata. Tutte le relazioni, inoltre, rivelano che le circostanze sono cambiate drammaticamente nelle ultime settimane. Poiché si osservano alcuni movimenti militari nelle zone dell’Azerbaigian occupate dall’Armenia, cioè in Nagorno-Karabakh, mi chiedo se lei, Baronessa Ashton, sia a conoscenza degli sviluppi nella situazione e stia facendo qualcosa per prevenire una possibile escalation, non solo nel conflitto ma anche nei territori occupati della Georgia. Volevo solo iniziare a sollevare la questione con lei, e poi le invierò anche un’interrogazione scritta. Grazie.

 
  
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  Ana Gomes (S&D). (EN) Signor Presidente, come può l’UE essere paladina della legge e della sicurezza senza smascherare e processare i criminali che hanno lasciato morire i rifugiati nel Mediterraneo? Baronessa Ashton, Bashar al-Assad non dovrebbe essere solo in cima alla lista di chi è soggetto alle sanzioni UE, ma anche incluso nella lista dei criminali perseguibili dalla Corte penale internazionale o dalle corti europee per la brutale repressione del popolo siriano.

Oltre all’ufficio a Bengasi, in Libia l’Unione avrebbe già dovuto avvalersi dell’EUFOR non solo per garantire assistenza umanitaria al popolo attaccato come a Misurata, ma anche per attuare l’embargo sulle armi lungo i confini marittimi o terrestri come raccomandato da questo Parlamento. Per farlo non abbiamo bisogno di altre richieste o risoluzioni ONU, ma solo di volontà politica da parte degli Stati membri. Se prenderà l’iniziativa, Baronessa Ashton, mettendo i governi europei dinanzi alle loro responsabilità il Parlamento la sosterrà con forza. Infine, essendo la riconciliazione palestinese un grande passo...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Antonyia Parvanova (ALDE). (EN) Signor Presidente, mentre i tumulti in Medio Oriente e Africa settentrionale costringono l’Unione europea ad assumere un ruolo più importante nella regione mediterranea, vorrei attirare l’attenzione sulla seconda flottiglia per Gaza.

Ricordiamo tutti il risultato della prima flottiglia e le conseguenze che ha avuto sulle trattative e sui tentativi di rilanciare il processo di pace mediorientale. Come ha accennato, signora Vicepresidente/Alto rappresentante, dubita che una nuova iniziativa di questo genere possa avere esiti positivi. Vorrei chiederle di aggiornarci sulle reali esigenze umanitarie a Gaza, e sull’assistenza e le derrate che vengono fatte passare attraverso i valichi con Israele ed Egitto. Ha forse intavolato discussioni con gli Stati membri e le autorità israeliane, o intende farlo, sullo sviluppo di questa iniziativa ed eventualmente per proporre un contributo positivo da parte dell’Unione europea, che potrebbe portare a esiti più responsabili?

 
  
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  Heidi Hautala (Verts/ALE). (EN) Signor Presidente, le mie osservazioni sono per la baronessa Ashton.

Vicepresidente/Alto rappresentante Ashton, questa mattina ha sentito molto chiaramente che il Parlamento appoggerà senza condizioni la sua leadership, chiedendole di prendere l’iniziativa nella politica estera e di sicurezza comune. Ha anche sentito molti colleghi chiederle chi e quali Stati membri bloccano i nostri sforzi comuni. Il mio suggerimento è questo: ora che il servizio europeo per l’azione esterna sta regolamentando il suo accesso alle informazioni e ai documenti la prego, la renda un’organizzazione moderna accessibile ai cittadini che non si occupa di politica estera come se fosse unicamente prerogativa di alcuni misteriosi diplomatici. Sono convinta sarebbe il modo migliore per potenziare gli sforzi comuni tesi a una vera politica estera e di sicurezza comune.

 
  
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  Peter van Dalen (ECR).(NL) Signor Presidente, Baronessa Ashton, sul Medio Oriente incombe una terribile minaccia. C’è discriminazione, anche strutturale, contro i cristiani in vari paesi islamici. La comunità cristiana in Iraq è già stata più che dimezzata. Ora vediamo succedere la stessa cosa in Egitto. L’antica comunità copta viene attaccata, ogni giorno si registrano numerosi casi di molestie, matrimoni coatti, ed è assolutamente impossibile costruire una chiesa. Lo scorso febbraio sono venuti da me 60 copti in cerca di aiuto.

Quindi ho due richieste per lei, Baronessa Ashton. Dia ai copti massima priorità nella sua politica; bisogna mettere freno alla sistematica discriminazione nei loro confronti. Inoltre il 20 gennaio abbiamo chiesto in Assemblea una strategia comunitaria per la libertà di culto, che sia oggetto di continuo monitoraggio. La prego, faccia in modo che diventi realtà. Gradirei avere una risposta, grazie per la pazienza.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL).(PT) Signor Presidente, la politica estera e quella di sicurezza e di difesa dell’Unione europea sono principalmente politiche a difesa degli interessi economici e geostrategici delle potenze europee. Sono sempre più allineate con gli Stati Uniti e l’Organizzazione del trattato del Nord Atlantico (NATO), relegando in secondo piano la cooperazione e gli aiuti allo sviluppo.

I risultati che ne derivano sono perlopiù catastrofici, come è evidente in Afghanistan, Palestina, Iraq, Libia e altri paesi. In generale prevale una politica di due pesi e due misure a tutela degli interessi economici delle imprese europee produttrici di armi, che hanno guadagnato milioni vendendo armi ai dittatori i quali, successivamente, le hanno usate per massacrare il proprio popolo e quelli degli Stati vicini.

Per questo tra i temi centrali di questo dibattito figura sapere se finalmente si cambieranno le politiche sul commercio di armi, e cosa si farà in concreto per porre fine alle politiche espansionistiche e guerrafondaie di Israele …

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Jaroslav Paška (EFD). (SK) Signor Presidente, Baronessa Ashton, è evidente che non possiamo aspettarci da parte sua iniziative di sicurezza su vasta scala nelle zone di crisi in varie parti del mondo nel breve tempo trascorso dalla creazione del suo ufficio.

D’altro canto, il suo ufficio le dà già ampio margine di manovra per negoziare ovunque l’UE possa svolgere un ruolo utile con le proprie opinioni e influenza politica. Un problema che si ripercuote direttamente sull’Unione e richiede una soluzione da trovare attorno a un tavolo negoziale sensibile è l’occupazione del territorio europeo da parte dell’esercito turco a Cipro.

La Turchia è un partner privilegiato dell’UE e, esternamente, dichiara un preciso interesse a diventare membro a pieno titolo della famiglia europea. Pertanto credo fermamente che lei debba sfruttare tutte le possibilità già conferitegli dal ruolo che ricopre per risolvere questa spinosa situazione, che vede il coinvolgimento diretto dell’UE.

 
  
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  Andrew Henry William Brons (NI). (EN) Signor Presidente, è palese che la Politica estera e di sicurezza è di specifica competenza dello Stato sovrano. Attribuirne la responsabilità a un’autorità sovranazionale significa ignorare e sminuire l’importante questione dei rapporti tra Stati membri, e in realtà è un’ammissione del fatto che non sono più Stati sovrani.

Non c’è niente di sbagliato in una politica comunitaria tesa a evitare qualsiasi guerra europea, ma rifiuto l’idea che per farlo occorra cedere la sovranità. Compito di ogni Stato europeo dovrebbe anche essere difendere i grandi successi dell’Europa dalle distrazioni e dall’indebolimento. Bisogna evitare a tutti i costi guerre aggressive dove le nazioni europee non hanno interessi legittimi. Allo stesso modo, non dobbiamo agitarci dietro le quinte nel tentativo ipocrita di piantare i cosiddetti “valori europei” in suolo inospitale.

Dobbiamo evitare che l’Europa sia il ricettacolo di migranti provenienti dal Terzo mondo. Le loro culture nascono da popoli a se stanti. Portare in Europa la popolazione del Terzo mondo...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Marco Scurria (PPE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio la baronessa Ashton per la relazione espostaci quest’oggi. Desidero però far presente alla baronessa che, purtroppo, nell’opinione pubblica europea la presenza dell’Unione europea non è percepita. La nostra politica estera – com’è stato anche rilevato da molti colleghi – è ancora allo stato primordiale, come si può constatare da alcuni eventi verificatisi in questi giorni.

L’Europa non può essere assente nel campo di Ashraf: è un campo dove si misura non solo la politica internazionale ma anche la tutela dei diritti umani. In questa parte di mondo è nostro dovere intervenire, così come in Siria. Quest’ultimo Paese sta vivendo una situazione davvero molto grave, dove diritti umani e possibilità di contrastare un governo dittatoriale devono vedere l’Unione europea interessata .....

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Boris Zala (S&D). (EN) Signor Presidente, solo un’osservazione: credo che la politica estera di Ankara sempre più attiva ponga nuove sfide e dia nuove opportunità alla politica estera europea. Signora Alto rappresentante, penso sia necessario promuovere un dialogo istituzionalizzato sui temi strategici chiave come la politica energetica, la stabilità dei Balcani occidentali e delle regioni del Caucaso, il fascicolo del nucleare in Iran e il risveglio democratico in atto nel Medio Oriente.

La Turchia, in particolare, può assumere un ruolo costruttivo aiutando l’UE a consolidare i vantaggi derivanti dal recente risveglio democratico in Medio Oriente. Questo dialogo, però, non deve sostituirsi bensì completare e rafforzare il cammino di adesione della Turchia.

 
  
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  Presidente. – Ha ora facoltà di parola l’onorevole Albertini per i due minuti che gli rimangono in qualità di relatore.

 
  
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  Gabriele Albertini, relatore. Signor Presidente, nel primo intervento avevo a disposizione quattro minuti e ne ho usati due. Chiedo la possibilità, ora che ho due minuti, di poterne usare quattro per l’intervento finale.

 
  
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  Presidente. – Lei effettivamente ha quattro minuti. Dice di averne utilizzati due, quindi se è così ne ha a disposizione ancora due.

Ha quattro minuti per il suo intervento.

 
  
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  Gabriele Albertini (PPE). - No, nel primo intervento avevo parlato per due minuti e avevo a disposizione quattro minuti…

 
  
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  Presidente. – Onorevole Albertini, lei ha a disposizione quattro minuti per i due interventi. Ne ha utilizzati due. Prenda la parola e saremo flessibili, però è chiaro che non voglio arrivare al punto in cui nessuno la sente. Voglio che la sentano, perché se sprechiamo ancora cinque minuti nessuno ascolterà quello che ha da dire.

 
  
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  Gabriele Albertini (PPE). - Siccome non riesco a dire quello che dovevo dire in due minuti, rinuncio al mio intervento.

 
  
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  Presidente. – Molte grazie, onorevole Albertini. Le siamo grati ed è un peccato che non possiamo ascoltarla.

 
  
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  Roberto Gualtieri, relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che il presidente Albertini abbia ragione perché, in qualità di relatore, aveva a disposizione quattro minuti per il suo intervento e due per la replica. Mi permetto quindi di ricordare che dovrebbe avere i suoi quattro minuti.

Per quanto mi attiene, ritengo questo sia stato un dibattito utile e importante, che dimostra quanto il Parlamento è unito e pronto a offrire il suo sostegno a un’azione esterna dell’Europa coerente ed efficace. Non si sono sentite solo recriminazioni sugli evidenti limiti mostrati dall’Europa negli ultimi frangenti ma anche proposte che configurano l’offerta di una sorta di partnership strategica tra il Parlamento e le altre Istituzioni per un’Europa attore credibile della sicurezza e della difesa. Una partnership che, credo, non rappresenti soltanto un’opportunità, ma anche una necessità perché – se è vero quanto andiamo affermando, e cioè che l’approccio integrato dell’Europa rappresenta la sua principale potenzialità – per realizzare questo approccio integrato è necessario il supporto di un corpo dotato di cospicui poteri legislativi e di bilancio. Anche per questo ritengo opportuno trovare una soluzione equilibrata al tema della cooperazione interparlamentare.

Dalla discussione è emerso con chiarezza il modo in cui dobbiamo agire. Occorre anzitutto valorizzare le possibilità offerte dal Trattato: dalla cooperazione strutturata permanente e dall’articolo 44, che offre la possibilità di delegare il compito di svolgere una missione a determinati Stati membri ma all’interno di un quadro procedurale dell’Unione europea, che è cosa diversa dalla rinazionalizzazione. Bisogna poi far leva sulle strutture esistenti – a cominciare dal Servizio esterno – e darsi compiti ambiziosi sul terreno delle capacità. Bisogna naturalmente anche saper offrire una capacità di leadership.

Ringraziamo l’Alto Rappresentante Ashton per il suo impegno e per le importanti affermazioni formulate. È bello pensare, come lei ha detto, che un piccolo gruppo può costruire grandi cose: ma l’Europa è una grande potenza civile che non può eludere le proprie responsabilità.

 
  
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  Presidente. – Onorevole Albertini, la prego di accettare le mie scuse. Ho capito esattamente qual era la sua situazione. Lei aveva a disposizione quattro minuti più due. Nel primo intervento ha parlato per tre minuti, quindi ha ancora tre minuti a disposizione e procederemo con la flessibilità necessaria.

 
  
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  Gabriele Albertini, relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel corso di un’audizione in sede di commissione AFET, ci fu un’insidiosa domanda da parte di un collega rivolta all’Alto Rappresentante/Vicepresidente, il quale affermò che Kissinger – quando veniva criticato per la linea isolazionista degli Stati Uniti, soprattutto nei riguardi dell’Unione europea – rispondeva "Non c’è un collega ministro degli esteri né un telefono cui possa rivolgermi per dialogare con l’Europa".

Il collega chiese alla baronessa Ashton "C’è ora un ministro degli Esteri e un telefono cui rivolgersi?". La sua risposta, molto British, fu: "Sì, sono io che svolgo questa funzione, anche se mi chiamo Alto Rappresentante/Vicepresidente e non ministro degli Esteri. C’è anche un telefono, ma risponde una segreteria telefonica indicando al numero 1 la posizione britannica, al numero 2 quella francese, al numero 3 quella tedesca, e così via…"

Signora Ashton, lei ha ascoltato gli interventi di molti colleghi e anche nella mia relazione c’è questo messaggio. Lei ha più voce nel mondo ma si ascolta di più la nostra, quella del Parlamento, perché siamo a supportare una politica europea e non solo quella degli Stati membri, a cui lei risponde in sede di Consiglio, né a quella della Commissione, a cui risponde nelle sedi opportune.

Gradirei ci fosse un terzo luogo in cui lei potesse esprimere la sua terza fedeltà. Questo luogo è in mezzo a quest’Assemblea, dietro il podio, perché lei è Consiglio, Commissione ma anche Parlamento. Credo che per una legittimazione democratica della politica estera, indirizzata e controllata dai cittadini europei, sia necessario che questo dialogo si sviluppi e si rafforzi. Noi l’aiuteremo a svolgere questa funzione.

 
  
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  María Muñiz De Urquiza, relatore. (ES) Signor Presidente, riguardo a Camp Ashraf non possiamo fare a meno di unirci alla condanna delle violazioni dei diritti umani di cui è stato teatro. Ma questa condanna sugli abusi dei diritti umani non deve assolutamente essere confusa con il sostegno politico al movimento di Camp Ashraf.

Esiste un’opposizione democratica in Iran rappresentata dal movimento verde, da vari gruppi politici all’interno del movimento verde, e in nessun caso la condanna sulle violazioni dei diritti umani deve confondersi con l’appoggio politico a questo gruppo.

Inoltre chiedo al Vicepresidente della Commissione e Alto rappresentante, quando inizierà o aprirà le indagini sulla situazione di Camp Ashraf, di indagare anche sulle violazioni dei diritti umani commesse dai Mujaheddin contro la popolazione, cui hanno assistito organizzazioni come Human Rights Watch che le ha documentate.

Riguardo alla mia relazione, Baronessa Ashton, vorrei prendesse particolarmente nota del paragrafo 6, che chiede l’elaborazione di un Libro bianco strategicamente orientato al ruolo dell’Unione europea nelle organizzazioni internazionali fino al 2020.

Desidero ringraziare i relatori ombra per avere collaborato all’elaborazione e redazione di questo documento, e denuncio anche il fatto che alcune forze politiche molto meschine, che siedono in Parlamento, hanno impedito di citare nella relazione un’organizzazione che ha contribuito con uno studio alla sua stesura. Si tratta della Fundación Alternativas, che ha fornito una buona base affinché potessi lavorare, insieme ai relatori ombra e alla segreteria, all’elaborazione del documento. Spero che la relazione sia utile nel determinare e stimolare politicamente la ridefinizione del ruolo dell’Unione europea nelle organizzazioni internazionali.

 
  
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  Presidente. – Vorrei dire all’onorevole Stevenson che si è deciso, prima che assumessi la Presidenza, di non usare la procedura del cartellino blu in questo dibattito proprio per poter dare la parola a tutti i deputati che hanno chiesto di intervenire.

 
  
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  Catherine Ashton, Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. – (EN) Signor Presidente, ringrazio gli onorevoli parlamentari per questa discussione a trecentosessanta gradi. Onorevole Albertini, sono lieta di essere ovunque a condizione di essere in quest’Aula – ho il sospetto che alcune persone preferirebbero che non ci fossi – e sono molto felice di parlare dal podio; è il posto più consono. Esprimo tutto il mio apprezzamento per il lavoro svolto da lei, onorevole Albertini, e dagli altri relatori nel produrre documenti che, a mio avviso, sono veramente utili e opportuni per discutere dell’ampia gamma delle misure europee.

Voglio però dire che c’è più coerenza di quella che, forse, si potrebbe immaginare chiunque ascolti questo dibattito. In effetti abbiamo forti posizioni comuni di politica estera su tutta una serie di problematiche, dalle varie preoccupazioni per i diritti dell’uomo all’opera specifica che stiamo svolgendo in Medio Oriente, nei paesi limitrofi, in Serbia/Kosovo, in Bosnia, o nella nostra strategia in Africa, dove ora vediamo con speranza iniziare a risolversi i problemi in Costa D’Avorio ma una situazione preoccupante in Uganda.

Tutte queste posizioni sono definite con i 27 ministri del Consiglio “Affari esteri” cui rendo omaggio. Credo ci stiamo inesorabilmente muovendo verso un senso di coerenza più forte. C’è ancora molto da fare, non lo nego, e ancora molto che ci chiedete di fare, ma non sottovalutiamo quanto siamo già riusciti a raggiungere e il cammino intrapreso per riuscirci. Quindi rendo omaggio a loro e al fatto che, spesso, parlano anche a nome di tutti: non possiamo essere sempre dappertutto nel mondo. Oggi abbiamo ministri degli esteri in diverse parti del mondo che portano messaggi a nome mio e dell’Unione europea. Anche questo è un aspetto importante del nostro operato.

Aggiungo inoltre che siamo quasi sempre i primi a rilasciare dichiarazioni, i primi a esprimerci dicendo cosa secondo noi dovrebbe succedere. È stato il mio ufficio a produrre il documento di lavoro sulle sanzioni in Siria; siamo noi alla guida. Non sempre riportato, se posso dire, non sempre evidenziato dalla stampa in ambito comunitario, ma in realtà siamo i primi a pubblicare le dichiarazioni, che produciamo a centinaia per far capire con coerenza l’importanza delle nostre azioni; e la coerenza è un fattore critico nella discussione odierna.

Nel corso del dibattito ci siamo concentrati su alcune regioni del mondo, ma durante altri interventi gli onorevoli deputati hanno affrontato un’ampia gamma di temi diversi di cui dobbiamo continuare a occuparci.

L’onorevole Salafranca ha accennato a quanto è successo a Cuba nel fine settimana con il signor Soto, ed è una cosa di cui ci stiamo occupando. Abbiamo chiesto maggiori informazioni in materia perché, chiaramente, il tema è della massima rilevanza.

Alcuni onorevoli deputati hanno chiesto di Gaza, dell’importanza che gli aiuti arrivino concretamente, di continuare a sostenere la popolazione locale. Tutte cose che facciamo, ma ci siamo impegnati in un dialogo per migliorare la situazione.

Poi ci sono i conflitti in corso tra Azerbaigian e Armenia in Nagorno-Karabakh, dove abbiamo intrattenuto colloqui con entrambe le parti, e dove intendiamo sostenere la Francia per portare avanti questo processo.

In Albania abbiamo avuto colloqui con il Primo ministro e l’opposizione per cercare di far decollare il dialogo.

Nel continente africano ho citato due paesi ma ovviamente potrei parlare di molti altri, non da ultimo di quanto sta nuovamente accadendo in Sudan e dell’importanza di creare il Sudan meridionale con una procedura che abbia le migliori possibilità di successo.

Poi c’è l’Ucraina, un importante paese a noi vicino che, credo, sia stato menzionato dall’onorevole Saryusz-Wolski e anche da altri.

Abbiamo tutta una serie di cose da fare e dobbiamo continuare a farle tutte. Quindi, onorevoli deputati, mi limito a dirvi che è importante riconoscerlo.

Negli ultimi minuti a mia disposizione permettetemi di cancellare alcuni miti che si sono venuti a creare. Non sono in cerca di un seggio al Consiglio di sicurezza. Ho cercato di ottenere uno status adeguato all’UE in seno all’Assemblea generale dell’ONU, e l’abbiamo ottenuto senza che nessuno vi si opponesse. Gli onorevoli parlamentari sanno che ha richiesto molto lavoro e ringrazio chi vi si è dedicato, ma ora abbiamo la voce più forte a cui aspiravamo.

Penso sia anche importante considerare quello che stiamo facendo con la PSDC: non confondiamoci con descrizioni che non corrispondono a verità. Nella sola Libia, con la nostra assistenza siamo riusciti ad aiutare 55 000 persone a fare ritorno a casa. In sede di Consiglio europeo non mi sono opposta a una zona di interdizione aerea e il Primo ministro Cameron ve lo potrà confermare; non è assolutamente quanto ho detto. Quello che ho detto è che affinché fosse efficace e di rapida attuazione, chi poteva intervenire rapidamente doveva farlo subito.

Per quanto riguarda le delegazioni sono propensa a rafforzare le nostre che aprono a Bengasi e la nostra posizione in Iraq. Ma non paragoniamolo a quanto succede in altri paesi come le Bahamas. Alle Bahamas è presente il personale della Commissione addetto allo sviluppo che lavora su programmi rurali, agricoltura, una fascia della popolazione più indigente, e secondo me non dobbiamo necessariamente decidere in un senso o nell’altro.

Onorevoli deputati, dobbiamo fare il possibile per sostenere i paesi dell’intero pianeta. Quindi finirò come ho iniziato dicendo che l’ambizione non ci manca, ma che abbiamo bisogno delle risorse per svolgere un buon lavoro, dobbiamo riuscire a essere coerenti, dobbiamo sviluppare e migliorare quello che facciamo, e questo è quello che faremo unitamente ai 27 membri dell’Unione europea, qualche volta al comando, qualche volta nelle retrovie e qualche volta lavorando fianco a fianco, e il vostro sostegno sarà impagabile.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione sulle tre relazioni si svolgerà oggi alle 12.30.

(La seduta è sospesa per alcuni minuti)

Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)

 
  
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  Elena Băsescu (PPE), per iscritto.(RO) Mi congratulo con il collega, onorevole Albertini, per la stesura di questa minuziosa relazione. Ancora una volta tocca temi che richiedono una partecipazione più attiva dell’UE. Vorrei qui citare il Partenariato orientale e la Sinergia del Mar Nero, due iniziative che svolgono un ruolo essenziale sia nel rafforzamento dei rapporti con gli Stati a noi più vicini sia per la sicurezza energetica.

L’organizzazione del vertice del Partenariato orientale il prossimo autunno e l’istituzione dell’Assemblea parlamentare Euronest sono segnali promettenti sull’effettiva attuazione di queste linee guida.

Le priorità della politica estera comune prevedono anche il rafforzamento delle relazioni con la Repubblica moldova in vista della firma dell’accordo di associazione con l’UE. Ricordarlo avrà un effetto positivo sul progresso dei negoziati tra le due parti.

In quest’Aula voglio sottolineare l’importanza attribuita alla risoluzione dei conflitti in sospeso, soprattutto nella Transnistria. Saluto questa misura, specialmente in seguito al fallimento del dialogo di Vienna dello scorso mese. Sono favorevole alla continuazione dei negoziati con il formato 5 + 2.

 
  
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  Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. (EN) L’Europa non deve deludere il popolo palestinese per l’ennesima volta. Dopo l’inatteso accordo di riconciliazione tra Fatah e Hamas, che vincola alla creazione di un governo tecnico, ad interim e apartitico e a elezioni anticipate, l’Europa deve cogliere questa opportunità per svolgere un ruolo positivo nella regione. Può farlo collaborando con il governo ad interim che sarà formato nei prossimi giorni, sostenendo le elezioni anticipate e, cosa ancora più importante, impegnandosi a rispettare pienamente l’esito elettorale e a cooperare con la nuova amministrazione dopo le elezioni. L’Europa non può collaborare con i movimenti democratici in Libia, Siria, Tunisia ed Egitto, e contemporaneamente rifiutarsi di aiutare un governo democraticamente eletto dal popolo palestinese. La prima risposta israeliana alla riconciliazione, ovvero la non restituzione delle imposte dovute all’Autorità palestinese, è illegale e potenzialmente catastrofica per la pace, e compromette gli sforzi compiuti dal Primo ministro Salem Fayyad sulla creazione di uno Stato. L’Unione europea deve intervenire coprendo interamente la perdita di questo reddito, dichiarando chiaramente che recupereremo i soldi da Israele congelando tutti i fondi comunitari ad esso destinati per un uguale importo, fino a quando non porrà fine a questa ulteriore violazione del diritto internazionale.

 
  
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  Ágnes Hankiss (PPE) , per iscritto. (EN) Nel 2010 ho presentato un’interrogazione scritta al Commissario Malmström per capire che misure avesse preso la Commissione per scoprire il ruolo delle organizzazioni non governative nel finanziamento del terrorismo. La questione è tornata nuovamente alla ribalta giacché gli organizzatori della flottiglia dello scorso anno stanno progettando di ripetere l’azione nel suo anniversario, e gli eurodeputati del gruppo confederale della Sinistra unitaria europea e del gruppo Verde/Alleanza libera europea hanno organizzato un’audizione parlamentare il 10 maggio. Se l’obiettivo ultimo di noi europei è la pace, la democratizzazione in Medio Oriente, l’eradicazione dell’estrema povertà e il miglioramento delle condizioni di vita a Gaza, gli strumenti adeguati per la realizzazione di questa nobile causa non sono la flottiglia, come ha prima sottolineato la Vicepresidente/Alto rappresentante Ashton. Non possiamo chiamare intervento umanitario quello che non necessariamente sembra esserlo. Judge Bruguière, illustre e stimato esperto del controterrorismo, ha dimostrato che chi ha organizzato la flottiglia, IHH, aveva mantenuto i contatti con al-Qaeda. La confederazione dell’IHH, Unione del bene, sostiene l’attività degli estremisti radicali vendendo loro armi. Chiedo ai colleghi eurodeputati di astenersi dallo sfruttare la crisi mediorientale per i propri scopi politici, che non hanno niente a che vedere con il processo di pace e la diffidenza che ricorda molto il linguaggio e il meccanismo dell’atteggiamento comunista e sovietico nei confronti di Israele.

 
  
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  Jiří Havel (S&D), per iscritto. (CS) La proposta di risoluzione dimostra chiaramente che permangono gravi limiti all’adempimento delle disposizioni del trattato di Lisbona. Agli Stati membri non sta bene quando il Parlamento europeo “richiede con urgenza” al Consiglio europeo di sviluppare una “strategia di politica estera europea”, o quando invita il Consiglio europeo “ad affrontare questo compito sulla base di un dialogo politico con il Parlamento europeo”. Se già esistesse una strategia di politica estera europea l’Unione sarebbe molto più equilibrata, ad esempio sui movimenti presenti nel mondo arabo e sulla politica dei due o addirittura tre pesi e tre misure applicata ai paesi della regione.

Le posizioni adottate dall’UE sugli eventi sempre più turbolenti nei Balcani rappresentano un altro problema. L’Unione non ha ancora scoperto il modo per approcciarsi alla regione e manca di una strategia sistematica. Nei paesi dei Balcani occidentali questo porta, tra le altre cose, alla forte perdita del prestigio UE e dell’interesse per un’eventuale adesione. Le idee di Valentin Inzko, Alto rappresentante della comunità internazionale e rappresentante speciale dell’Unione europea per la Bosnia-Erzegovina, sull’approccio da adottare con la Serbia non risolveranno la situazione, al contrario.

 
  
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  Danuta Jazłowiecka (PPE), per iscritto.(PL) La scorsa settimana si è verificato un episodio particolarmente significativo. Dopo lunghi negoziati, siamo finalmente riusciti a convincere i partner delle Nazioni Unite a concedere un nuovo status all’UE all’interno dell’organizzazione. Indubbiamente si tratta di un successo, vista soprattutto l’iniziale resistenza dell’Assemblea generale. Ciononostante non dobbiamo cadere nella trappola del trionfalismo e pensare che, d’ora in poi, l’UE adotterà un punto di vista uniforme alle Nazioni Unite. Il fatto che ora saremo rappresentati dal Presidente del Consiglio europeo o dall’Alto rappresentante non significa che gli Stati membri si presenteranno con un’opinione comune su temi particolarmente controversi. L’esempio della Libia dimostra quanto sono profonde le nostre divisioni, anche su temi che sembrerebbero ovvi come la tutela della popolazione civile. Quindi si affermi con chiarezza che senza la volontà politica degli Stati membri questa decisione sarà priva di significato. Ecco perché non sono d’accordo con la baronessa Ashton quando afferma che il mondo sentirà l’UE esprimersi chiaramente all’unisono. Temo invece che per molto tempo dovremo fare i conti con molte voci, poiché il parere uniforme dell’Unione sarà indebolito non solo dai membri permanenti del Consiglio di sicurezza, ma anche dalla Presidenza, che si sta ritagliando una nicchia dopo il trattato di Lisbona. In che modo la baronessa Ashton intende far esprimere l’UE all’unisono alle Nazioni Unite, e come intende creare una buona immagine dell’Unione al suo interno?

 
  
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  Tunne Kelam (PPE) , per iscritto. (EN) Sono incoraggiato dall’atteggiamento del Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza: la presa di coscienza del fatto che, oltre alle parole, contano i fatti. Le ricordo, Baronessa Ashton, il consiglio dell’onorevole Daul: non abbia paura, e avrà l’appoggio di questo Parlamento.

È nostra responsabilità comune far credere a chi governa in maniera autoritaria che prendiamo seriamente i nostri valori fondamentali. Questo significa, prima di tutto, condizionalità: essere pronti non solo a suggerire e supplicare, ma anche a infliggere punizioni, ovvero ad applicare reali sanzioni ai regimi che non rispettano nemmeno la vita della popolazione sottomessa. Sono d’accordo che in Siria si debbano infliggere sanzioni a centinaia di persone, non solo a una decina.

Grazie di avere condannato il massacro di Camp Ashraf dell’8 aprile 2011. In questo caso, suggerisco di seguire il chiaro messaggio lanciato dal Parlamento europeo ad aprile 2009: l’Unione deve comunicare con chiarezza e convinzione di tenere seriamente alla vita dei 34 membri disarmati dell’opposizione iraniana, e che non tollererà più la brutale soppressione della loro libertà e dignità. Chiedo alla Commissione di prendere l’iniziativa sulla questione del reinsediamento proposto.

 
  
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  Jaromír Kohlíček (GUE/NGL), per iscritto. (CS) La politica estera e di sicurezza comune è sempre un grande problema nell’Unione europea. D’altro canto i grandi Stati sono da sempre stati abituati a contare sulle proprie forze, con Francia e Regno Unito che si sentono ancora grandi potenze. Lo si può vedere nell’approccio che adottano per risolvere i problemi di politica estera, di recente orientato a una soluzione militare per qualsiasi tipo di controversia, favorendo l’intervento alle soluzioni pacifiche. Penso ci sia motivo di credere che il mondo moderno si stia spingendo verso la multipolarità, con una politica estera pacifica conforme al diritto internazionale e alla Carta delle Nazioni Unite. Invece che di imprese militari, con l’ultima che si sviluppa dinanzi ai nostri occhi in Libia, il mondo odierno deve concentrare tutti gli sforzi sulla lotta alla povertà e all’analfabetismo, e sulla soluzione di altri gravi problemi. A tal fine è assolutamente indispensabile predisporre il controllo delle armi e il disarmo, con accordi generici sullo smantellamento delle armi nucleari. Altro elemento importante della politica estera UE dovrebbe essere l’assistenza tesa a ridurre gli effetti delle calamità naturali. Queste operazioni non devono prevedere il dispiegamento di forze militari. Il ricorso alla polizia è possibile solo in casi estremi in base a una risoluzione dell’ONU per tutelare i lavoratori nei settori dei servizi pubblici, sociali e sanitari, e per formare le forze di polizia. La politica estera e di sicurezza comune deve essere rigorosamente separata dalla NATO. Per questi motivi, il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica si rifiuta di appoggiare la presente relazione.

 
  
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  Mariya Nedelcheva (PPE), per iscritto.(FR) Una settimana fa l’Assemblea generale dell’ONU ha autorizzato l’Unione europea a esprimersi all’unisono nelle sue riunioni. D’ora in poi i rappresentanti di alto livello potranno riferire il messaggio dell’Unione nell’organismo internazionale più importante. Questa disposizione è un considerevole passo avanti nell’applicazione del trattato di Lisbona, ma non è sufficiente. L’UE ha bisogno di una vera strategia per poter effettivamente applicare i poteri conferitigli dal trattato di Lisbona. Che si tratti di Consiglio di sicurezza, Consiglio per i diritti umani, NATO, Organizzazione mondiale del commercio o G-20, l’UE non deve più restare dietro le quinte. Inoltre, dobbiamo prendere l’iniziativa nell’istituzione di un sistema parlamentare globale. La diplomazia ad alto livello è sicuramente necessaria, ma deve essere fatta in consultazione con i cittadini. Cosa c’è di meglio per farlo che permettere ai cittadini di tutto il mondo di essere rappresentati all’ONU? C’è il Parlamento europeo ma esistono anche i parlamenti regionali, come l’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE. Oggigiorno è di un parlamento mondiale che abbiamo bisogno. Baronessa Ashton, l’Unione europea deve essere più ambiziosa. Spero che questa proposta figuri nel Libro bianco.

 
  
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  Kristiina Ojuland (ALDE) , per iscritto. (EN) Vorrei innanzi tutto esprimere la mia più profonda gratitudine alla baronessa Ashton per il pieno appoggio che l’UE ha dato all’Estonia nel cercare di risolvere la crisi degli ostaggi in Libano. Gli estoni sequestrati, comunque, sono ancora alla mercé dei loro rapitori. Le saremmo quindi grati se continuasse a mostrare interesse contribuendo a risolvere la situazione.

Passando al futuro della politica estera e di sicurezza comune, chiedo maggiore coerenza e consistenza quando trattiamo con i regimi non democratici. Abbiamo applicato sanzioni in Bielorussia ma non l’abbiamo fatto nel caso Magnitski in Russia, benché sia stato ricordato dal Parlamento europeo nel rapporto annuale sui diritti umani nel mondo 2009 e nella politica attuata in materia dall’Unione europea.

Continuiamo a portare avanti la politica unica per la Cina, ma ultimamente Pechino è diventata più oppressiva e violenta sia in Tibet che nella regione di Uyghur. Invece di corteggiare Pechino, dovremmo concludere un accordo di libero scambio con Taiwan, fiorente democrazia. La politica unica per la Cina è ormai superata e compromette moralmente l’immagine dell’Unione europea. Cerchiamo di allineare le politiche ai nostri valori.

 
  
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  Ioan Mircea Paşcu (S&D) , per iscritto. (EN) Il trattato di Lisbona ci da la grande opportunità di procedere nel campo della difesa e della sicurezza. Ma come dimostrano i fatti non è sufficiente. Nonostante le iniziative relativamente numerose, c’è ancora un’evidente distinzione tra gli strumenti di cui ci dotiamo – ad esempio i gruppi tattici armati – e la scelta improvvisata dei mezzi nazionali che poi dispieghiamo quando è richiesto l’intervento dell’UE. Prendiamo ad esempio la Libia: per mancanza di consenso politico e di mezzi militari adeguati si è dovuta formare una “coalizione dei volenterosi” – concetto a cui eravamo categoricamente contrari quando prima lo usavano altri – ed è stata chiamata la NATO a prendere il comando! In pratica la Libia ha messo fuori gioco la PSDC proprio nel momento in cui era necessaria, che solo così ha avuto la possibilità di farsi avanti! Credo quindi occorra rivedere la PSDC per capire di cos’ha veramente bisogno per diventare un concetto funzionale, sia a livello politico che militare, di modo che la prossima volta che ce ne serviremo non ci deluderà come in questa occasione.

 
  
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  Sirpa Pietikäinen (PPE) , per iscritto. (FI) La politica estera e di sicurezza comune è a un bivio. Grazie al trattato di Lisbona le relazioni estere dell’Unione possono svilupparsi con modalità prima impossibili. Ma ad ora i progressi sono stati abbastanza lenti. I valori comuni europei tuttavia ci consentono di creare una politica estera europea fondata sullo sviluppo sostenibile e i diritti dell’uomo.

L’Unione europea ha bisogno di un chiaro programma esterno per promuovere con decisione una politica globale basata sul multilateralismo, con il sostegno all’operato dell’ONU e il chiarimento della posizione europea rispetto all’ONU come elementi cruciali.

 
  
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  Cristian Dan Preda (PPE), per iscritto.(RO) La situazione in Siria è molto preoccupante. Essendo stato rifiutato l’accesso alla stampa estera non disponiamo di informazioni complete e affidabili. Ma le misure repressive prese dal regime di Assad si stanno intensificando e hanno già portato, in base alle cifre fornite dalle organizzazioni non governative, all’uccisione di 600-700 civili e all’arresto o alla scomparsa di altre 8 000 people. I cittadini siriani manifestano da quasi due mesi e non devono essere lasciati soli a combattere per la democrazia. La repressione brutale è inaccettabile e deve essere fermata. L’UE deve assumere un ruolo guida nella ricerca di una rapida soluzione. Per questo saluto le misure restrittive adottate dal Consiglio all’inizio della settimana contro il regime siriano. Occorre però fare di più, in collaborazione con i partner dell’Unione, per spingere le autorità siriane a mettere fine alla repressione. Assad è isolato. In questo momento solo il regime di Gheddafi condanna “il complotto internazionale che attacca la sicurezza nazionale della Siria”, una dichiarazione che la dice lunga sulla situazione nel paese. Per concludere, sottolineo che nelle circostanze attuali la richiesta siriana di un seggio al Consiglio per i diritti umani dell’ONU è inaccettabile.

 
  
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  Traian Ungureanu (PPE) , per iscritto. (EN) Le ripetute violenze contro la chiesa copta in Egitto e, soprattutto, contro i cristiani in Medio Oriente richiedono una risposta immediata da parte dell’Unione europea. Una componente essenziale del patrimonio cristiano-europeo è in pericolo. Centinaia di migliaia di persone vengono perseguitate a causa del loro credo religioso. Le nuove autorità egiziane hanno usufruito della grande solidarietà e del sostegno finanziario e politico diretto dell’Unione europea. Ma adesso, dopo le chiese bruciate e i cristiani uccisi in una nuova ondata di attacchi, è giunta l’ora che l’Unione faccia chiaramente capire alle autorità egiziane di essere responsabili della sicurezza interna del paese, della tutela dei diritti e della sussistenza di tutti i cittadini egiziani. Bisogna fugare i sospetti che le autorità egiziane abbiano chiuso un occhio o addirittura incoraggiato la violenza religiosa promettendo sicurezza per la comunità cristiana in Egitto. L’UE deve chiedere spiegazioni alle autorità egiziane e precisare che sospenderà gli aiuti finanziari e umanitari in caso di ulteriori episodi di violenza. Questo specifico avvertimento deve condizionare tutti gli accordi esistenti ed essere incluso in tutti i futuri accordi con i governi del Medio Oriente.

 
  
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  Zbigniew Ziobro (ECR), per iscritto.(PL) Durante la discussione di gennaio sulla situazione in Tunisia ed Egitto e la libertà di credo religioso ho ricordato la tragica situazione dei cristiani nei paesi arabi, in particolare dei cristiani copti egiziani perseguitati. Ho evidenziato la radicalizzazione dell’Islam, che sfoga la sua aggressività contro i seguaci di Cristo. Oggi si può vedere che i miei sospetti erano fondati. Gli scontri nelle vicinanze della chiesa di San Mena sono solo la punta dell’iceberg rispetto alla tragedia dei cristiani egiziani e al silenzio delle organizzazioni internazionali. In questo contesto vale la pena ricordare gli attacchi al monastero di San Bishoi a marzo di quest’anno, ignorati dal Parlamento e dalla baronessa Ashton, quando l’esercito egiziano ha sparato contro un monastero pieno di rifugiati del Cairo, e i gesti della comunità musulmana salafita che ha visioni estremiste. Ad aprile hanno compiuto una serie di attacchi contro edifici cristiani a Beni Ahmad, Bashtil e Kamadir. Come si può vedere, l’Unione europea non riesce ancora a elaborare una risposta strategica alle violazioni dei diritti umani in Asia e Africa settentrionale e misure di prevenzione. Dobbiamo esercitare più pressioni sulle autorità egiziane per difendere i cristiani copti. È indispensabile rafforzare l’unità di prevenzione dell’intolleranza religiosa in seno alla sottocommissione per gli affari politici del servizio europeo per l’azione esterna, concentrandosi in particolare sui cristiani perseguitati.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. LAMBRINIDIS
Vicepresidente

 
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