Proposta di risoluzione - B8-0300/2017Proposta di risoluzione
B8-0300/2017

PROPOSTA DI RISOLUZIONE sul campo profughi di Dadaab

15.5.2017 - (2017/2687(RSP))

presentata a seguito di una dichiarazione del vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza
a norma dell'articolo 123, paragrafo 2, del regolamento

Elena Valenciano, Maria Arena a nome del gruppo S&D

Vedasi anche la proposta di risoluzione comune RC-B8-0300/2017

Procedura : 2017/2687(RSP)
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B8-0300/2017

Risoluzione del Parlamento europeo sul campo profughi di Dadaab

(2017/2687(RSP))

Il Parlamento europeo,

–  vista la dichiarazione di Nairobi, adottata il 25 marzo 2017 dall'Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD) per l'Africa orientale, concernente una soluzione duratura per i rifugiati somali e la reintegrazione di quanti sono rientrati in Somalia,

–  vista la dichiarazione di New York per i rifugiati e i migranti, adottata dalle Nazioni Unite il 19 settembre 2016,

–  visto il comunicato congiunto emesso il 25 giugno 2016 dalla commissione ministeriale tripartita per il rimpatrio volontario dei rifugiati somali presenti in Kenya,

–  viste le conclusioni del vertice UE della Valletta sulla migrazione, dell'11 e 12 novembre 2015,

–  vista la dichiarazione della Conferenza ministeriale del processo di Khartoum (iniziativa UE-Corno d'Africa in materia di rotte migratorie) formulata a Roma il 28 novembre 2014,

–  visto l'accordo tripartito in materia di rimpatri volontari, firmato il 10 novembre 2013 dai governi di Somalia e Kenya e dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR),

–  visto il Fondo fiduciario di emergenza dell'Unione europea per l'Africa,

–  vista l'iniziativa "Global Compact" delle Nazioni Unite sulla condivisione delle responsabilità per i rifugiati,

–  visto il programma indicativo nazionale per la Somalia e l'Africa orientale nel quadro dell'11° Fondo europeo di sviluppo (FES),

–  visti i finanziamenti umanitari dell'UE in risposta al problema dei rifugiati in Kenya,

–  visto l'articolo 123, paragrafo 2, del suo regolamento,

A.  considerando che la regione del Corno d'Africa, con i suoi quasi 250 milioni di abitanti e una popolazione in rapida crescita, ospita il maggior numero di sfollati interni e rifugiati in Africa e nel mondo; che la regione deve fronteggiare le sfide poste dalla migrazione irregolare, dallo sfollamento forzato, dalla tratta e dal traffico di esseri umani, dal terrorismo e dai conflitti violenti;

B.  considerando che alla base di tali sfide vi sono numerosi fattori, che variano a seconda del contesto locale, ma che affondano tutti le loro radici nella mancanza di opportunità socioeconomiche, nella povertà, nell'instabilità e nei cambiamenti climatici;

C.  considerando che il complesso del campo profughi di Dadaab è stato creato nel 1991 come soluzione temporanea per coloro che cercavano riparo ed erano in fuga dalle persecuzioni, dalla violenza e dall'instabilità nella regione dell'Africa orientale, e in particolare dalla guerra civile in Somalia; che la struttura oggi comprende cinque campi diversi che ospitano cinque popolazioni diverse ed è distribuita su una superficie di 50 chilometri quadrati, e che i campi di Hagadera, Dagahaley e Ifo sono i più vecchi e più densamente popolati;

D.  considerando che, sebbene il campo di Dadaab fosse sorto per accogliere circa 90 000 persone, secondo le stime delle Nazioni Unite esso ha attualmente una popolazione di circa 260 000 persone, di cui il 95 % proviene dalla Somalia e il 60 % ha meno di 18 anni; che nel maggio 2016 il Kenya ha sciolto il suo dipartimento per le questioni relative ai rifugiati, che era competente per la registrazione, il che significa che decine di migliaia di persone non sono state registrate e che quindi tali numeri potrebbero in realtà essere più alti;

E.  considerando che i rifugiati del campo sono a rischio di violenza, mentre le donne e i bambini sono particolarmente vulnerabili;

F.  considerando che, da oltre vent'anni, la Somalia risente di una profonda instabilità e dell'assenza di strutture statali, e che gli effetti di tale situazione sono aggravati da calamità naturali ricorrenti legate ai cambiamenti climatici; che tali problemi hanno messo a dura prova la resilienza e la capacità delle comunità più vulnerabili del paese e sono divenuti fattori importanti per i movimenti di popolazione all'interno della Somalia e verso i paesi vicini;

G.  considerando che la situazione dei rifugiati somali si protrae da tre decenni ed è una delle più annose su scala mondiale, con una terza generazione di rifugiati nata in esilio; che quasi un milione di somali sono sfollati nella regione e un altro 1,1 milione è sfollato all'interno della Somalia stessa;

H.  considerando che, negli ultimi 15 anni, la Somalia è stata tra i primi cinque paesi al mondo per numero di rifugiati prodotti, con 1,1 milioni di rifugiati attualmente registrati, di cui oltre l'80 % ospitati nel Corno d'Africa e nella regione dello Yemen; che il Kenya ospita attualmente circa 500 000 rifugiati, e che tale numero continua ad aumentare a causa della crescente insicurezza nella regione, soprattutto nel Sud Sudan;

I.  considerando che l'intera regione dell'Africa orientale è attualmente colpita da una grave siccità, che in alcune parti del Sud Sudan è stato dichiarato lo stato di carestia e che le persone a rischio potrebbero addirittura essere un milione; che è stato lanciato un allarme pre-carestia per la Somalia, che si trova ad affrontare la terza carestia in 25 anni, con 6,2 milioni di persone che, secondo i dati del governo, necessitano di assistenza alimentare d'emergenza; che il presidente keniota, Uhuru Kenyatta, ha dichiarato lo stato di calamità nazionale per la siccità che ha colpito il paese e che espone 2,7 milioni di persone al rischio della fame; che si prevede che la situazione possa verosimilmente deteriorarsi in tutti e tre i paesi;

J.  considerando che, secondo le Nazioni Unite, la siccità in Somalia ha determinato ulteriori sfollamenti interni e dal novembre 2016 oltre 683 000 persone sono state costrette ad abbandonare le proprie abitazioni; che circa 250 000 persone sono morte durante l'ultima carestia nel 2011;

K.  considerando che il 6 maggio 2016 il governo keniota ha annunciato la sua decisione di chiudere "quanto prima" il campo di Dadaab, adducendo preoccupazioni in materia di sicurezza e la necessità di porre fine alla situazione dei profughi nella regione; che il 30 novembre 2016 il governo del Kenya ha annunciato tuttavia che la chiusura del campo di Dadaab sarebbe stata ritardata di sei mesi, sino al maggio 2017; che dal vertice dell'IGAD del 25 marzo 2017 tutti gli sforzi sono concentrati sull'importanza di trovare una soluzione regionale e sostenibile per i rifugiati somali;

L.  considerando che la comunità internazionale, compresa l'UE, ha espresso comprensione per le preoccupazioni del governo keniota e le ragioni alla base della chiusura del campo, ma ha anche sottolineato che i rimpatri in Somalia devono avvenire conformemente alle norme internazionali, in quanto devono essere volontari e consapevoli e i rifugiati devono avere accesso a informazioni obiettive, neutrali e pertinenti, nonché in condizioni di sicurezza, con dignità e in modo sostenibile, e che i rimpatriati devono essere a conoscenza di cosa succederà qualora decidano di non proporsi volontariamente;

M.  considerando che il 9 febbraio 2017, in risposta a una petizione presentata da due organizzazioni keniote per i diritti umani – la Commissione nazionale del Kenya per i diritti umani e Kituo Cha Sheria –, l'Alta Corte del Kenya ha sentenziato che le direttive del governo del paese per la chiusura del campo profughi di Dadaab erano discriminatorie ed equivalevano a una punizione collettiva, oltre ad essere eccessive, arbitrarie e sproporzionate;

N.  considerando che la discussione sulla chiusura di Dadaab ha messo in luce la lentezza nell'attuazione dell'accordo tripartito tra l'UNHCR e i governi del Kenya e della Somalia, firmato nel 2013 e finalizzato a consentire il rimpatrio su base volontaria dei cittadini somali in zone stabili della Somalia, una questione che è stata apertamente criticata dal governo del Kenya e da altre parti interessate;

O.  considerando che da quando, nel 2014, l'UNHCR ha iniziato a sostenere i rimpatri volontari dei rifugiati somali, le persone che hanno fatto ritorno sono state 65 000, ma che l'obiettivo di aumentare il tasso di rimpatri sostenibili dipenderà dalla situazione in Somalia;

P.  considerando che, alla fine di agosto 2016, le autorità somale del Basso Giuba, trovandosi a far fronte all'afflusso di rifugiati, hanno sospeso i rimpatri verso il capoluogo regionale, Kismaayo; che secondo l'UNHCR circa il 70 % dei soggetti rimpatriati sono bambini;

Q.  considerando che la chiusura di Dadaab avrà ripercussioni in altri paesi vicini come l'Etiopia, che attualmente ospita circa 245 000 rifugiati somali, e determinerà probabilmente un nuovo afflusso di rifugiati; che la situazione dimostra come i temi dei rifugiati, della gestione delle frontiere e della stabilità siano interconnessi fra loro ed evidenzia la necessità di una maggiore cooperazione regionale per far fronte a tali questioni, tanto più alla luce della decisione di chiudere Dadaab;

R.  considerando che per molti rifugiati, specialmente quelli delle zone rurali, la prospettiva di un rimpatrio dipende dalla possibilità di recuperare la propria terra in un paese in cui il regime fondiario è debole e gli espropri forzati sono comuni;

S.  considerando che la comunità di accoglienza della regione di Dadaab in senso lato ha dato prova di grande umanità, generosità e tolleranza per la presenza del campo, ma deve essa stessa affrontare enormi sfide economiche, ambientali e in materia di sviluppo;

T.  considerando che il protrarsi della situazione di Dadaab e il programma di chiusura hanno indotto i donatori a spostare la loro attenzione su altri conflitti e a ridurre i loro contributi e che, di conseguenza, i rifugiati del campo si trovano ad affrontare una serie di problemi, tra cui la riduzione delle razioni di cibo e l'accesso limitato alle forniture mediche, come pure difficoltà per quanto riguarda l'istruzione e la formazione, in particolare per i giovani;

U.  considerando che il cambiamento climatico, in particolare, ha un effetto devastante sullo stile di vita nomade pastorale, da cui dipende la sussistenza di molte persone nella regione, le quali sono inoltre esposte a crescenti minacce dovute, tra l'altro, a siccità, malattie, guerre e al calo del bestiame; che in ragione di tale situazione è necessario accordare particolare attenzione alla comunità pastorale in qualsiasi soluzione regionale alla questione dell'asilo;

V.  considerando che i paesi della regione si trovano attualmente a far fronte alla peggiore siccità degli ultimi sessant'anni, la quale ha causato in Etiopia, Kenya, Somalia e nello Yemen una crisi alimentare che potrebbe provocare una carestia generalizzata;

W.  considerando che l'UE ha stanziato 286 milioni di euro attraverso il Fondo europeo di sviluppo (FES) per il periodo 2014-2020, concentrandosi sull'attuazione del "Patto" e in particolare sul consolidamento dello Stato e della pace, sulla sicurezza alimentare, sulla resilienza e sull'istruzione; che il 12 novembre 2015 è stato firmato al vertice della Valletta il Fondo fiduciario di emergenza dell'UE per l'Africa (EUTF), al fine di affrontare le cause profonde della destabilizzazione, dei trasferimenti forzati e della migrazione irregolare promuovendo la resilienza, le opportunità economiche, le pari opportunità, la sicurezza e lo sviluppo; che l'UE sta rispondendo alle necessità di base fondamentali per la sopravvivenza dei rifugiati ospitati nei campi profughi del Kenya; che l'Unione europea è altresì impegnata a sostenere la missione dell'Unione africana in Somalia (AMISOM) attraverso il Fondo per la pace in Africa, nonché attraverso l'erogazione di finanziamenti significativi per garantire la sicurezza e ridurre la minaccia rappresentata da Al-Shabaab e altri gruppi armati dell'opposizione;

X.  considerando che, a seguito dell'ordinanza esecutiva del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, del 27 gennaio 2017, circa 3 000 rifugiati che nel 2017 avrebbero dovuto essere reinsediati negli Stati Uniti dal Kenya, per la maggior parte provenienti da Dadaab e già sottoposti a rigorosi controlli da parte dei funzionari statunitensi e delle Nazioni Unite, si trovano ora davanti a un futuro incerto, dopo aver atteso sino a 10 anni che il loro reinsediamento fosse approvato;

Y.  considerando che gli sforzi di reinsediamento intrapresi dall'UE sono limitati, soprattutto rispetto a quelli di paesi terzi quali l'Australia o il Canada, nonché ben inferiori a quanto l'UNHCR reputa necessario per garantire un'equa ripartizione dei rifugiati nel mondo;

Z.  considerando che il piano d'azione globale di Nairobi, adottato durante il vertice dell'IGAD del 25 marzo 2017, ha individuato in particolare nella siccità e nei conflitti armati le ragioni dei movimenti di popolazione nella regione;

AA.  considerando che, in seguito all'invio di una missione di monitoraggio elettorale dell'UE in Kenya, è stato ritenuto utile ed efficace inviare una missione di osservazione elettorale dell'UE per le elezioni generali dell'agosto 2017;

1.  plaude al ruolo che il Kenya e la regione di Dadaab hanno svolto nell'accogliere un numero senza precedenti di rifugiati per un periodo tanto prolungato; sottolinea, tuttavia, che la situazione nella regione è attualmente insostenibile e richiede una risposta efficiente e coordinata da parte dei governi locali e della comunità internazionale nel suo complesso, inclusa l'UE, al fine di individuare una soluzione sostenibile alla questione dei rifugiati somali, unitamente a sforzi intesi ad accrescere la sicurezza e pervenire a uno sviluppo socioeconomico di lungo termine nella regione;

2.  prende atto della dichiarazione di Nairobi dell'IGAD su soluzioni sostenibili per i rifugiati somali e la reintegrazione dei rimpatriati in Somalia; si compiace dell'impegno a realizzare un approccio regionale globale, mantenendo nel contempo la protezione e promuovendo l'autonomia nei paesi di asilo, da realizzare con il sostegno della comunità internazionale e in modo coerente con la ripartizione internazionale delle responsabilità, quale delineata nel quadro globale di risposta per i rifugiati (CRRF) della dichiarazione di New York;

3.  si rammarica del fatto che gli Stati membri dell'UE svolgano un ruolo di basso profilo quando si tratta di compiere sforzi per il reinsediamento dei rifugiati provenienti da Dadaab, e invita l'UE ad essere all'altezza delle sue responsabilità nel garantire un'equa ripartizione dell'onere;

4.  sottolinea che, finché la regione rimarrà instabile e minacciata da una nuova carestia, i rifugiati non potranno più far ritorno alle loro case, il che significa che l'UE dovrà, purtroppo, continuare a concentrare le risorse su sforzi umanitari immediati nella regione, anziché affrontare concretamente la questione dello sviluppo a lungo termine; invita pertanto l'UE a intensificare i propri sforzi per impegnarsi a svolgere un ruolo di mediazione nella regione al fine di risolvere i problemi economici, politici, ambientali e di sicurezza di fondo, che sono le cause profonde della povertà estrema, delle attività criminali, della radicalizzazione e del terrorismo e che, in ultima analisi, sono all'origine della situazione dei rifugiati;

5.  sottolinea il fatto che, in ultima istanza, sarà necessaria una risposta regionale per assicurare una protezione costante ai 260 000 rifugiati somali; ricorda che la reintegrazione sostenibile dei rimpatriati necessita di un approccio olistico basato sulla comunità per accrescere la capacità di assorbimento e fornire un migliore accesso ai servizi per i rimpatriati, gli sfollati interni e le comunità locali in Somalia;

6.  accoglie con favore l'adozione del piano d'azione globale e regionale di Nairobi, che prevede la chiusura progressiva dei campi per consentire ai rifugiati di accedere all'occupazione e ai servizi nel paese ospitante e di circolare liberamente; si rammarica, tuttavia, della mancanza di un'azione concreta riguardo a Dadaab; sostiene la creazione di un fondo regionale per i donatori;

7.  ritiene che, date le attuali circostanze caratterizzate da problemi di sicurezza in Somalia e da un elevato rischio di carestia, in ogni caso i rimpatri dovrebbero essere sempre volontari; chiede una maggiore condivisione delle responsabilità quando si tratta di accogliere i rifugiati e di stabilire metodi addizionali per aiutare questi ultimi ad avere accesso ai paesi terzi, compresa l'UE;

8.  ribadisce il proprio sostegno alle finalità dell'EUTF per l'Africa nell'affrontare le cause profonde della migrazione irregolare e del fenomeno degli sfollati nell'Africa orientale; chiede che gli Stati membri onorino i loro impegni relativamente al Fondo; invita tuttavia la Commissione a intensificare gli sforzi di consultazione con gli attori della regione, comprese le popolazioni locali, i governi regionali e le ONG, con l'obiettivo di concentrarsi sui problemi e sulle esigenze individuati a livello locale, promuovere un clima propizio e accrescere la capacità per il rientro dei rifugiati nei rispettivi paesi di origine; sottolinea che il campo di Dadaab ha creato circa 10 000 posti di lavoro, principalmente legati alle attività umanitarie;

9.  sottolinea l'importanza di un approccio incentrato sulle persone e sulle comunità per assistere con le risorse dell'EUTF i rimpatri dal campo di Dadaab e dar vita a misure di sviluppo e resilienza nella regione; è fermamente convinto che l'EUTF dovrebbe concentrarsi non solo sullo sviluppo economico, ma anche su progetti di base nella regione, specificamente volti a migliorare la qualità, l'equità e l'accessibilità universale dei servizi fondamentali nonché la formazione mirata allo sviluppo di competenze locali, come anche a soddisfare le esigenze delle comunità vulnerabili, comprese le minoranze;

10.  è del parere che l'EUTF dovrebbe mettere maggiormente l'accento sulla promozione dello sviluppo sostenibile nella regione, migliorando le opportunità economiche e occupazionali e rafforzando la resilienza; chiede che queste risorse siano utilizzate per promuovere lo sviluppo sostenibile e diffondere ulteriormente il ricorso all'energia solare quale fonte energetica, ad esempio per pompare acqua dolce, un progetto che si è dimostrato valido in alcune parti del campo di Dadaab;

11.  elogia le autorità somale per i progressi che hanno compiuto negli ultimi mesi, non ultimo per l'organizzazione delle elezioni; sottolinea, tuttavia, che la sicurezza e le condizioni socioeconomiche in molte parti della Somalia continuano ad essere estremamente problematiche per un ritorno su vasta scala; invita quindi l'UE e i suoi Stati membri a collaborare con le autorità somale per intensificare gli sforzi intesi a ripristinare la stabilità nel paese prima di procedere a rimpatri su vasta scala;

12.  invita l'UE e i partner internazionali a rispettare gli impegni nei confronti della Somalia, in particolare adoperandosi a favore della sicurezza alimentare, onde evitare l'incombente carestia, promuovere la sicurezza e la riconciliazione delle vertenze pubbliche, migliorare la gestione delle finanze pubbliche e contribuire al completamento della revisione costituzionale, al fine di raggiungere una stabilità di lungo termine;

13.  invita l'UE a garantire che i programmi di ricollocazione nella regione prestino particolare attenzione a che le categorie di persone vulnerabili siano ricollocate in maniera responsabile in regioni sicure, e che i diritti dei rifugiati siano rispettati; invita altresì l'UE e i partner internazionali a contribuire alla costruzione di infrastrutture in tutto il paese, cosicché i rifugiati che vi fanno ritorno possano essere reinseriti in modo sicuro e permanente nella società somala, al riparo da minacce provenienti da elementi terroristici come al-Shabaab;

14.  sottolinea la necessità di una migliore gestione delle frontiere tra la Somalia e i paesi vicini, che sono considerate terreno d'azione per le reti di passatori e trafficanti di esseri umani, armi, droga e altri beni illeciti, e che quindi contribuiscono a finanziare le attività criminali e terroristiche; si attende che la missione di formazione dell'UE in Somalia collabori strettamente con l'AMISOM e le autorità somale per condividere le migliori prassi in vista di una migliore gestione delle frontiere al fine della cattura di trafficanti e passatori;

15.  riconosce che, in assenza di un miglioramento della sicurezza nella regione, non può esistere alcuno sviluppo; sottolinea tuttavia con forza il fatto che i fondi provenienti dal FES e da fonti APS devono essere destinati a obiettivi di sviluppo economico, umano e sociale nella regione, con un'attenzione particolare alle sfide di sviluppo identificate nella decisione sul Fondo fiduciario; condanna qualsiasi utilizzo dei fondi FES e APS per la gestione e il controllo della migrazione o per azioni che non prevedano obiettivi di sviluppo;

16.  evidenzia la necessità di rafforzare la resilienza e promuovere lo sviluppo delle comunità ospitanti interessate nella regione keniota di Dadaab, prestando attenzione a che i mezzi di sussistenza non risentano negativamente della graduale riduzione del campo profughi e dei servizi pubblici forniti nella città, e allo shock economico che ciò può provocare alla popolazione; sottolinea il fatto che la popolazione accolta nel campo di Dadaab ha esercitato una forte pressione ambientale sulla regione, influendo sull'accesso della popolazione locale alle risorse naturali; sottolinea altresì che tale questione dovrebbe essere affrontata sia dal governo keniota che mediante il Programma indicativo nazionale dell'UE per il Kenya; si aspetta che il governo keniota e l'UE riconoscano le esigenze specifiche di questa fragile regione;

17.  constata con profonda preoccupazione i gravi effetti del cambiamento climatico sulla regione, che rammentano con prepotenza all'UE, ai suoi Stati membri e alla comunità internazionale nel suo complesso la necessità di dare attuazione ai termini dell'accordo di Parigi, rilevando nel contempo gli effetti diretti che dette azioni hanno sulla guerra e la carestia nella regione;

18.  incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, al vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ai governi e ai parlamenti degli Stati membri, al governo del Kenya, al governatore della regione di Garissa, al presidente del parlamento keniota, al governo della Somalia, al presidente del parlamento somalo, all'IGAD, ai governi dei paesi membri dell'IGAD, al Segretario generale delle Nazioni Unite e all'alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati.