Presidente. – L"ordine del giorno reca la dichiarazione del Consiglio e della Commissione sulla situazione nel Kosovo.
Alavanos (GUE/NGL). – (EL) Signora Presidente, il mio intervento sarà breve. Abbiamo ascoltato le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione in merito al Kosovo ma, visto che è in atto un colpo di stato e che la faccenda ancora irrisolta dell'Albania è legata alla questione del Kosovo, ritengo si debba cogliere l'opportunità oggi – non domani perché potrebbe essere tardi – per conoscere la posizione del Consiglio e della Commissione in merito ai fatti in Albania e il loro sostegno al governo democratico e legittimo di quel paese.
Presidente. – Assolutamente, onorevole Alavanos.
Dupuis (ARE). – (FR) Signora Presidente, prendo la parola per dire che il colpo di stato ha avuto luogo un anno e mezzo fa, con gli scandali che ben sappiamo, e che non fa quindi parte di ciò che è accaduto questa settimana.
Ciò che è accaduto questa settimana è la logica conseguenza di quanto si è verificato in precedenza.
Presidente. – Onorevoli colleghi, direte tutto questo nei vostri interventi e non mi pare che si sia trattato di richiami al regolamento.
Porgo il benvenuto al Presidente in carica del Consiglio, signora Ferrero‐Waldner, alla quale darò immediatamente la parola. Il Commissario Van den Broek è ancora impegnato, ma ricordo il carattere collegiale della Commissione ed il fatto che il Commissario Monti è presente. Non vi è dubbio che egli è competente nella materia da noi trattata e il Commissario Van den Broek ritornerà in Aula appena possibile.
Ferrero‐Waldner, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, onorevoli parlamentari, il conflitto nel Kosovo continua a rappresentare la minaccia più seria contro gli interessi europei in termini di sicurezza e stabilità. Nel corso degli anni la situazione si è aggravata sempre più e continuavano a giungere segnali sul rischio che il conflitto esplodesse. Purtroppo, è evidente che i tentativi compiuti dalla comunità internazionale sono stati insufficienti.
Per sette anni il Presidente Milosevic non ha reagito alla politica pacifica condotta dagli albanesi del Kosovo sotto la guida di Ibrahim Rugova e, una volta abolita la sua autonomia, ha mantenuto la provincia in una situazione di emarginazione quasi da apartheid , finché ora si è giunti ad una radicalizzazione da parte del Kosovo. Le forze di sicurezza serbe hanno risposto con la violenza agli attentati compiuti dalla cosiddetta armata di liberazione del Kosovo, l"UCK.
La spaventosa situazione attuale è la seguente: si contano circa 250.0‐300.000 tra profughi e rifugiati. Di questi, 50.0‐70.000 trascorrono la notte nei boschi e sulle colline. In pratica, ogni giorno si aggiungono nuovi profughi. Il numero dei coraggiosi che negli ultimi giorni e nelle ultime settimane sono tornati nei loro villaggi e nelle loro città è più che compensato da quanti sono costretti dalle forze di polizia serbe ad abbandonare le proprie case e i propri paesi.
Non è certo necessario sottolineare che con l"inverno imminente si rischia una catastrofe umanitaria, se la situazione non migliorerà in fretta. E" ovvio che le condizioni sono particolarmente difficili per la parte più vulnerabile della popolazione, i neonati, i bambini, le donne, gli anziani e i malati. La responsabilità principale per questo alto numero di profughi e rifugiati spetta senz"altro al governo iugoslavo.
Dal canto loro, le autorità serbe e iugoslave continuano a sostenere che si difendono soltanto dai terroristi e dai separatisti e che l"offensiva militare – la quale, tra l"altro, dura ininterrotta dalla fine di luglio – rappresenta solo una risposta agli attacchi e alle provocazioni dell"UCK. Questo può essere vero, ma a chiunque abbia visitato il Kosovo di recente risulta chiaro che le azioni militari e di polizia contro la popolazione civile hanno raggiunto una violenza che non può in alcun modo essere considerata proporzionata.
Chi ha visto le case bombardate, i villaggi distrutti, le fattorie e le scuole bruciate, chi ha assistito agli incendi dolosi di campi di cereali e all"uccisione di bestiame, sa con certezza che la risposta della polizia serba e dei militari iugoslavi alle azioni dell"UCK è eccessiva e senza giustificazioni. Anche all"UCK spetta di sicuro una grande responsabilità per il peggioramento della situazione a livello di sicurezza. Tuttavia, non si devono dimenticare le proporzioni: al momento si trovano nel Kosovo 35.000 soldati dell"esercito iugoslavo, cui si aggiungono 20.000 poliziotti serbi, nonché le famigerate truppe paramilitari di Seselj e Arkan.
Tali truppe dispongono di mitragliatrici pesanti, carri armati e artiglieria che vengono utilizzati senza scrupoli. Dal canto suo, sembra che l"UCK sia costituito da un nucleo centrale di 500‐800 uomini. A questi si aggiungono diverse migliaia o forse addirittura decine di migliaia di volontari. Non sono sempre ben organizzati, ma sono comunque pronti a difendere con le armi quello che ritengono prezioso, si tratti dell"ideale di autonomia del Kosovo o dell"integrità dei villaggi o delle famiglie.
Da queste cifre risulta evidente che, a livello militare, nessuna delle due parti è in grado di vincere il conflitto. Questo è un dato di fatto che la Presidenza dell"Unione europea tenta sempre con insistenza di dimostrare alle due controparti. Purtroppo però sembra che entrambe siano convinte di poter raggiungere i propri obiettivi sul campo di battaglia: la parte serba con l"agognato sterminio militare dell"UCK e quella albanese del Kosovo con la prosecuzione di una guerriglia che dura da anni.
Questo spargimento di sangue deve finire il più in fretta possibile! E" chiaro che l"unica strada praticabile è quella di una soluzione politica. Tre fasi hanno priorità: innanzitutto deve terminare l"offensiva serboiugoslava e si deve rispettare almeno una tregua informale. In secondo luogo, si devono ottenere in tempi rapidi radicali miglioramenti della situazione umanitaria. Soltanto in presenza di queste due condizioni si può pensare di realizzare la terza priorità, vale a dire l"avvio di negoziati ragionevoli.
La Presidenza dell"Unione europea ha compiuti numerosi passi per porre fine alle operazioni militari, dall"appello alla moderazione fino all"adozione di diverse sanzioni in campo economico. Dal momento però che entrambi le parti sembrano continuare a credere nella soluzione militare, tali tentativi non hanno finora avuto successo. E" ovvio che un intervento militare della comunità internazionale potrebbe modificare la situazione, tuttavia non rientra nelle competenze dell"Unione europea.
Inoltre, la maggioranza degli Stati membri è convinta che un"azione militare necessiti di un"autorizzazione da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che almeno per ora non c"è. Per essere realisti, tenuto conto degli schieramenti di potere e degli interessi all"interno del Consiglio di sicurezza, non si può contare in un prossimo futuro su una risoluzione di questo tipo.
Consideriamo ora la seconda priorità, la situazione umanitaria. A fronte di una situazione ogni giorno più insostenibile, l"Unione europea tenta di intensificare le attività umanitarie. Riprendendo un"iniziativa dei Ministri degli esteri Kinkel e Védrine, la Presidenza ha creato alcuni gruppi di lavoro a Belgrado e Ginevra, costituiti dagli Stati membri interessati, dagli Stati Uniti, dalla Russia, dall"ACNUR, dal CICR e dalle missioni di osservazione ECMM e KDOM.
L"obiettivo è quello di identificare, mediante una procedura concertata e definita in loco , i villaggi e i luoghi in cui i profughi, che al momento vivono a cielo aperto, possono fare ritorno in condizioni di vita sicure e dignitose. In questo modo, si faciliterebbero in maniera sostanziale gli aiuti umanitari. L"ostacolo principale al ritorno, a parte la distruzione massiccia di abitazioni ad opera delle azioni militari serbe, è il timore di nuove persecuzioni. Episodi come quello accaduto a Orahovac, dove la polizia ha prelevato i kosovari rientrati – soprattutto gli uomini abili alle armi – per presunti interrogatori ed ha perquisito le loro case, non incoraggiano di certo la volontà di ritorno della popolazione.
La condizione più importante è quindi la creazione di una situazione di sicurezza sufficiente per i kosovari che ritornano, condizione che può tuttavia essere garantita soltanto dalle stesse forze di sicurezza serbe. L"Unione europea e i suoi alleati possono peraltro contribuire con le citate missioni di osservazione che, mediante pattugliamenti frequenti nei luoghi critici, diffondono la sensazione di un monitoraggio internazionale. Per questo motivo, l"obiettivo dei gruppi di lavoro di Ginevra e Belgrado è quello di identificare le località adeguate a progetti di rimpatrio di questo tipo.
Al momento abbiamo individuato quattro aree adeguate a tali progetti, vale a dire Klina, Urosevac, Orahovac e Djakovica. L"iniziativa è resa più difficile dal fatto che anche queste zone continuano ad essere teatro di operazioni militari. Quando, come si è detto, si sarà raggiunta la fine degli scontri e, d"altro canto, un numero considerevole di profughi avrà potuto fare ritorno, sarà possibile aprire negoziati politici tra le parti in conflitto sul futuro statuto del Kosovo.
L"Unione europea ha partecipato fin dall"inizio ai tentativi compiuti dalla comunità internazionale. L"UE ha operato con impegno attraverso molti suoi Stati membri e la Presidenza di volta in volta in carica nel gruppo di contatto, che ha elaborato un documento di opzione in merito al futuro statuto del Kosovo, poi trasmesso alle parti in conflitto. Questo documento considera in che modo potrebbe essere raggiunta una soluzione di autonomia accettabile. Inoltre, la Presidenza dell"Unione europea è in stretto contatto con la cosiddetta commissione di Venezia del Consiglio d"Europa, che si occupa del problema a livello di diritto costituzionale e che intende indicare le diverse possibilità di soluzione.
Infine, l"UE sostiene gli sforzi dell"emissario speciale degli Stati Uniti Chris Hill, il quale al momento sta ventilando l"ipotesi di un accordo interinale di una durata compresa fra tre e cinque anni, dopodiché inizieranno i negoziati sullo statuto definitivo del Kosovo. Nel corso del Consiglio informale a Salisburgo del 5 e 6 settembre, i Ministri degli esteri hanno accolto con prudenza l"approvazione di massima espressa da Milosevic in merito ad un accordo di questo tipo.
La nostra posizione in merito al futuro statuto del Kosovo è la seguente: non siamo favorevoli né all"indipendenza del Kosovo né al mantenimento di questo inaccettabile statu quo . Per essere realisti, una soluzione stabile può delinearsi soltanto nel quadro della concessione al Kosovo di un"ampia facoltà di autodeterminazione. E" di rilevanza secondaria che quest"ultima si traduca poi in autonomia o in altro. Sarà importante che la popolazione del Kosovo possa valutare e gestire in modo autonomo e senza interferenze gli affari interni, che le sia concesso un adeguato diritto di essere consultata in merito alle questioni di portata nazionale e che siano garantiti i diritti di tutte le etnie e di tutte le minoranze nel rispetto degli standard europei.
Spetta alle parti in causa stabilire se l"autodeterminazione si realizzerà nel quadro della Serbia o della Federazione iugoslava. L"Unione europea non ha alcuna preferenza in merito, ma non vuole neanche che una delle due possibilità sia esclusa a priori .
Nel documento di opzione del gruppo di contatto sono descritti diversi esempi europei di autonomia che potrebbero avere una funzione di modello per il Kosovo, dall"Alto Adige, alle isole finlandesi Aland, al Tatarstan russo. E" chiaro che non si potrà assumere un determinato modello nella sua totalità, ma si possono magari estrapolare elementi particolari da modelli diversi, li si può riunire e adottare il modello risultante per il Kosovo.
Entrambe le parti hanno nominato un team per i negoziati, per ultimo il Kosovo il 13 agosto di quest"anno. Sebbene facciano parte di questo team soltanto rappresentanti dell"LDK del cosiddetto Presidente Ibrahim Rugova e dei suoi alleati di coalizione, i partiti politici che sono all"opposizione di Rugova non si sono schierati contro. Questo è incoraggiante e rappresenta un successo, da non sottovalutare, dei tentativi che per mesi la Presidenza dell"Unione europea ha compiuto al fine di indurre i partiti del Kosovo a creare una piattaforma politica unitaria.
Nel corso dei negoziati sarà fondamentale una presenza internazionale ed essi dovranno essere condotti senza precondizioni. Ogni parte dovrà avere, almeno all"inizio, il diritto di poter esprimere tutte le richieste che reputa importanti.
Quali altre iniziative persegue la Presidenza dell"Unione europea? Nel quadro del già citato progetto di rientro si tenta, in questo momento, di potenziare la missione di osservazione dell"UE ECMM. L"ECMM e gli osservatori diplomatici degli Stati membri che lavorano al suo fianco costituiscono il contingente europeo della cosiddetta KDOM, Kosovo Diplomatic Observer Mission , che dispone inoltre di un contingente americano e di uno russo.
Al fine di implementare i progetti di rientro citati, l"attuale presenza europea viene elevata da 28 a 44 osservatori. Non si deve tuttavia dimenticare al riguardo che il solo aumento in termini numerici dei rappresentanti internazionali non è sufficiente per migliorare la situazione della popolazione civile. Potrebbe persino risultare negativo qualora il numero degli osservatori aumentasse in modo visibile, ma nel contempo la situazione umanitaria e le condizioni di sicurezza per la popolazione civile nel Kosovo peggiorassero. Nascerebbero infatti comprensibili sentimenti negativi nei confronti dell"inefficienza della comunità internazionale.
A fronte delle ripetute accuse, sollevate da entrambe le parti, di massicci crimini di guerra, fucilazioni in massa e abusi di donne e bambini, la Presidenza dell"Unione europea ha avviato un"iniziativa allo scopo di inviare nel Kosovo un gruppo di esperti internazionali in materia di medicina legale. In passato Belgrado si è espressa in modo fondamentalmente positivo in merito alle indagini forensi internazionali. Speriamo pertanto che venga accolta la richiesta di visti e di apertura delle fosse che abbiamo presentato di recente.
Al fine di esercitare un"influenza su Belgrado, l"Unione europea ha adottato diverse sanzioni, come per esempio il divieto di rilasciare visti per i responsabili della sicurezza, il congelamento del credito estero del governo serbo e iugoslavo, il divieto di nuovi investimenti in Serbia, nonché da ultimo un divieto di volo e di atterraggio per la linea aerea iugoslava.
La Presidenza è consapevole del fatto che finora le sanzioni non hanno prodotto alcuna modifica sostanziale nell"atteggiamento della Iugoslavia. Misure più decisive potranno essere adottate soltanto se una maggioranza qualificata degli Stati membri dell"Unione europea sarà favorevole, cosa che per ora non si riscontra. Inoltre, vi è un ampio consenso a livello di Unione sul fatto che le sanzioni non debbano riguardare la popolazione civile né gli Stati confinanti che hanno stretti legami economici con la Iugoslavia, i quali potrebbero trovarsi in serie difficoltà a causa di un embargo nei confronti di Belgrado.
In occasione del Consiglio informale dei Ministri degli esteri a Salisburgo, la Commissione europea ha promesso comunque di esaminare entro il Vertice del Consiglio di ottobre le eventuali carenze delle attuali sanzioni e di elaborare proposte di miglioramento.
Gli Stati confinanti con la Repubblica federale iugoslava soffrono già sotto molti aspetti per la crisi del Kosovo, soprattutto l"Albania e l"ex Repubblica iugoslava di Macedonia. Tenuto conto del contesto alquanto instabile, è davvero positivo che Skopje, nonostante le difficoltà, sia riuscita a mantenere un elevato grado di stabilità. Speriamo inoltre che le elezioni del 18 ottobre diano un risultato positivo.
A fronte della situazione attuale, vorrei esprimere ancora qualche considerazione sull"Albania. Dopo i tumulti verificatisi all"inizio della settimana, la situazione è tornata in parte alla calma. Sebbene le dimostrazioni di ieri a Tirana abbiano portato in strada circa duecento persone, non si sono più verificati episodi di violenza. Permane tuttavia un"acuta tensione, non ultimo perché il governo di Fatos Nano, che si è di nuovo attivato, minaccia di arrestare l"ex Presidente Berisha e di sottoporlo ad un processo per alto tradimento che potrebbe concludersi con una condanna a morte.
E" inutile discutere se i disordini di domenica e lunedì siano stati davvero un tentativo di colpo di stato da parte di Berisha, come sostiene il governo, o se si sia trattato piuttosto di un"esplosione incontrollabile della rabbia della gente per l"assassinio del popolare membro dell"opposizione Azem Hajdari, come ritiene Berisha. Il fatto è che l"Albania continua a dimostrare instabilità, che permane un elevato potenziale di violenza e ribellione, che in ogni momento possono quindi scoppiare nuovi disordini e che sia il governo di Nano che l"opposizione di Berisha hanno tenuto un comportamento alquanto imprudente. Berisha è comunque in larga misura responsabile dell"inasprimento della situazione.
Gli ultimatum reciproci non contribuiranno a stabilizzare la situazione. E" questo che l"Unione europea tenta di spiegare anche ai politici albanesi. Sosteniamo inoltre i tentativi del Presidente Mejdani di realizzare colloqui tra tutti i partiti per una soluzione della crisi.
La Presidenza in carica del Consiglio ha nominato ieri un presidency special emissary che già oggi è partito per Tirana. Inoltre, la Presidenza partecipa ad una missione comune delle Presidenze di OSCE, Consiglio d"Europa ed Unione europea che partirà per Tirana venerdì.
Proprio in questo momento è importante che la comunità internazionale non abbandoni l"Albania, ma si occupi con il maggior impegno possibile di questo paese. La conferenza internazionale di Tirana prevista per la fine di ottobre – a condizione che possa svolgersi in questa situazione – rappresenta la sede appropriata in tal senso. Dovremo impegnarci ancora a favore della stabilità regionale, non soltanto nel quadro di astratte riflessioni politiche, ma soprattutto al fine di proteggere la popolazione da violenza, persecuzione e oppressione.
Presidente. – La ringrazio, signora Presidente in carica del Consiglio, per questo intervento oltremodo esauriente e molto illuminante e do subito la parola al Commissario Van den Broek che interviene a nome della Commissione.
Van den Broek, Membro della Commissione. – (NL) Signora Presidente, dopo l"esauriente dichiarazione della Presidenza mi posso limitare ad alcune brevi osservazioni. Innanzi tutto, vorrei dire che la Commissione opera in stretta intesa con la Presidenza per coordinare al meglio tutto ciò che possiamo fare dal punto di vista umanitario e non solo con la Presidenza, ma anche naturalmente con un gran numero di organizzazioni internazionali con le quali siamo soliti collaborare in questo campo.
In secondo luogo, riconosciamo che la Commissione ha certamente un ruolo importante per quanto riguarda la presentazione di proposte relative a pacchetti di sanzioni e altri provvedimenti e, al pari della Presidenza, ha già dichiarato che intende verificarne più attentamente la realizzabilità. Inoltre, trovo giusto ed onesto ricordare che la Commissione aveva suggerito in prima istanza alcune misure più decise, riunite poi in un pacchetto, che noi speriamo siano sufficienti, ma che, a nostro giudizio, avrebbero potuto essere anche un po" più severe. Mi auguro che si potranno superare i problemi incontrati da due Stati membri nell"attuazione delle precedenti decisioni sul boicottaggio dei trasporti aerei perché non è credibile che prima si adotti la decisione comune di procedere a tale boicottaggio e poi alcuni Stati membri non abbiano la possibilità di tradurla in pratica. Ad ogni modo, gli ultimi rapporti che ho ricevuto mi inducono ad un certo ottimismo nel ritenere che si riuscirà forse ad eliminare gli ostacoli che sembrano essere insorti a questo proposito. Rimaniamo in attesa dei rapporti da parte degli Stati membri.
In terzo luogo, va ricordato che, da marzo di quest"anno, stiamo assistendo a nuovi sviluppi in Kosovo. Da allora, il numero dei rifugiati e dei profughi è salito a 250.0‐300.000 e la loro situazione diventa sempre più precaria per l"approssimarsi dell"inverno. Questo rappresenta per noi una motivazione ulteriore a non impegnarci soltanto ed esclusivamente dal punto di vista umanitario, e quindi a limitarci a combattere i sintomi – il che è, in effetti, quanto stiamo facendo –, ma anche a intervenire più direttamente sulle cause del conflitto.
In tale ottica, mi sento personalmente incoraggiato – e ritengo lo stesso valga per la Presidenza – dall"iniziativa del Presidente francese di contattare il Presidente russo per comunicargli l"intenzione di indire per la settimana prossima a New York una riunione del Gruppo di contatto al fine di esaminare la possibilità che il Consiglio di sicurezza adotti una risoluzione sulla situazione in Kosovo. Credo che tale iniziativa abbia lo scopo di verificare nuovamente se si possano prendere provvedimenti più incisivi per imporre un cessate il fuoco in quella regione.
Per la Commissione, e penso per tutti noi, è particolarmente frustrante il fatto che da un lato si cerchi, con profonda partecipazione emotiva, di alleviare la situazione umanitaria in una parte del Kosovo, mentre dall"altro lato gli attentati e i combattimenti continuano e provocano sempre nuovi flussi di profughi e di rifugiati. E" proprio in questo circolo vizioso che ci siamo venuti a trovare.
La Commissione, e al proposito abbiamo già parlato con il Consiglio dei ministri, ritiene irrinunciabile aumentare la pressione soprattutto nei confronti del Presidente Milosevic. Dall"esperienza in Bosnia abbiamo importanti lezioni da trarre e in questo momento vediamo formarsi scenari che ci ricordano molto da vicino quanto è successo, a suo tempo, in quel paese – in particolare la tardiva reazione della comunità internazionale. La Commissione ritiene che la cosa non possa ripetersi; anzi, la Commissione ritiene che una simile esperienza non debba ripetersi e che sarebbe compito dell"Unione europea promuovere una presa di posizione chiara e decisa per indurre il Consiglio di sicurezza ad approvare una risoluzione forte, incentrata su sette paragrafi.
Infine, vorrei aggiungere che gli avvenimenti in Kosovo, di cui ha parlato anche il Presidente in carica del Consiglio, signora Ferrero, rendono ancora più urgente la necessità di cercare di porre fine ai combattimenti in quell"area. In Albania è in atto un gravissimo processo di destabilizzazione e tra i rischi più immediati c"è sempre quello di un estendersi dei conflitti nell"una o nell"altra direzione. Pertanto, l"Unione europea dovrà impegnarsi anche in questo senso. Accogliamo naturalmente con estremo favore le iniziative che sono state prese, tra gli altri, dalla Presidenza d"intesa con l"Italia, a quanto ho avuto modo di apprendere, per verificare in che maniera si possano adottare provvedimenti; uno di essi potrebbe consistere nell"invitare l"Unione europea occidentale a considerare l"ipotesi di istituire una forza di polizia con compiti di stabilizzazione, o altre ipotesi simili volte comunque a riportare l"ordine e la tranquillità. Mi permetto di rammentarvi che una discussione dello stesso tenore di questa odierna l"avemmo circa un anno fa, quando lo scandalo delle società finanziarie “a piramide» fece scoppiare disordini nel paese, e anche in quella occasione le nostre decisioni arrivarono troppo tardi. Tre mesi dopo intense consultazioni che non avevano portato ad alcun risultato si giunse alla coalition of the willing , sotto la guida dell"Italia, e fu inviata in Albania una forza di stabilizzazione. Spero che stavolta sapremo prendere decisioni rapide. Questo nostro auspicio deriva, ripeto, da un profondo senso di responsabilità che ci induce ad occuparci con continuità delle conseguenze dei conflitti. Vogliamo contribuire ad alleviare i disagi dei perseguitati, dei rifugiati e dei profughi, ma per i cittadini europei sarebbe incomprensibile se noi concentrassimo il nostro impegno soltanto sulle conseguenze di quella grave situazione trascurandone le cause. Auspico, pertanto, che si affronti con decisione sia il problema dell"Albania sia quello del Kosovo.
(Applausi)
PRESIDENZA DELL'ON. PODESTÀ Vicepresidente
Swoboda (PSE). – (DE) Signor Presidente, signora Presidente del Consiglio, signor Commissario, in linea di principio posso condividere i punti fondamentali dei vostri discorsi. Nelle parole del Commissario noto però una certa insoddisfazione per il fatto che non si siano applicate misure più rigorose. Vorrei sapere a quali provvedimenti o proposte si riferiva e perché il Consiglio non li ha adottati. Anch"io sono a favore di misure più severe. Ero indignato per le difficoltà emerse per imporre il divieto di volo. Cosa può pensare Milosevic di un"Europa che incontra problemi così rilevanti già nell"applicazione di una misura tanto semplice? Al riguardo concordo con le parole del Commissario.
C"è un punto che desidero chiarire: dobbiamo opporre un chiaro no a tutte – e sottolineo tutte – le forze nazionalistiche perché, in misura maggiore o minore, la responsabilità della situazione attuale è anche loro. Questo vale di certo in primo luogo per le forze iugoslave. Non vi sono dubbi, la responsabilità principale è loro. Vale però anche per l"UCK, la cui corresponsabilità deve essere chiara come il fatto che il suo operato crea notevoli difficoltà in vista di un intervento dell"Europa. Le forze pacifiche, soprattutto quelle organizzate intorno a Rugova, devono essere sostenute. Purtroppo – l"ho già sottolineato più volte – non si è agito a tempo debito.
In secondo luogo, la situazione in Macedonia è molto precaria. Sappiamo bene che l"indipendenza del Kosovo o la creazione di una grande Albania porrebbe a questo paese notevoli difficoltà interne. Nel contempo, dobbiamo però adoperarci affinché si prosegua e – se è il caso – si consolidi, con tutte le sue conseguenze, l"orientamento che in linea di massima prevale in Macedonia, vale a dire il rispetto della minoranza albanese.
In terzo luogo, signora Presidente del Consiglio, vorrei aggiungere una lieve sfumatura alla sua posizione in merito all"Albania. Come ha sottolineato, Berisha sfrutta in modo estremo la situazione nel Kosovo, al fine di destabilizzare anche la situazione in Albania. Sono anch"io dell"idea che Fatos Nano e il suo governo debbano perseguire le violazioni e i crimini adottando metodi conformi allo stato di diritto e non gettare benzina sul fuoco. Deve tuttavia essere chiarito chi ha la responsabilità principale per la situazione creatasi.
In definitiva, anche la richiesta di realizzare una piena autonomia comporterebbe difficoltà e problemi come è accaduto in Bosnia. In questo modo aumenterebbe senz"altro il potere delle forze nazionalistiche che si è delineato con chiarezza alle elezioni.
Ultimo punto, la questione dei profughi. Al riguardo dobbiamo esprimere il nostro pieno sostegno e contrastare qualsiasi tendenza in Europa ad affermare che non possiamo impegnarci per il Kosovo tanto quanto abbiamo fatto a suo tempo per la Bosnia. Dobbiamo fare di tutto per aiutare i profughi del Kosovo.
Pack (PPE). – (DE) Signor Presidente, signora Presidente del Consiglio, da mesi – e alcuni di noi già da otto anni – supplichiamo letteralmente la Comunità perché faccia qualcosa! Tuttavia il Consiglio continua a parlare, senza che venga mai fuori qualcosa di consistente. Non è mai stato capace di agire sul serio. Proprio oggi abbiamo appreso che a Belgrado si sono insediati nuovi gruppi di lavoro. Nessuno sa davvero quali obiettivi si propongano e chi ne faccia parte.
La situazione laggiù – lei ha detto – deve migliorare. Come proposito suona bene, ma in che modo può accadere? Cosa facciamo in realtà noi europei? Cito soltanto il divieto di volo – di cui hanno parlato due colleghi e il Commissario – che è stato deciso a luglio durante il Vertice di Cardiff. Adesso siamo a settembre e non è ancora stato applicato. E" ridicolo! Questo comportamento non ha giustificazioni plausibili.
La nostra politica estera, signora Presidente del Consiglio, ‐ credo che lo abbia detto il suo capo – sembra un autobus con quindici autisti! Ognuno tiene una velocità diversa. Alcuni vogliono addirittura prendere un"altra direzione, mentre Milosevic siede a lato e ci deride indisturbato. Infatti non ne soffre soltanto la popolazione bisognosa del Kosovo, ma anche l"immagine dell"Unione europea agli occhi dei nostri cittadini. Per quanto tempo un capo di Stato criminale può restare impunito negando senza scrupoli ai suoi stessi cittadini persino gli aiuti umanitari? Il 60 % dei 50.0‐70.000 profughi che vivono a cielo aperto nei boschi del Kosovo sono bambini! Mancano loro cibo, acqua e coperte. I primi sono morti di tifo, mentre noi stiamo a guardare e diciamo che deve migliorare qualcosa! Non può essere vero!
Il governo serbo e l"Occidente incoraggiano i profughi a tornare nei loro villaggi. Ma questo cosa significa? Rientrare nei villaggi che Milosevic ha raso al suolo. E" qui che dovrebbero fare ritorno? Cosa faranno una volta tornati in questi villaggi? Chi si preoccuperà per la loro sicurezza? La situazione deve migliorare! Signora Presidente del Consiglio, lei non ne può niente, ma è il nostro interlocutore. Penso pertanto che dovremmo renderci conto che Milosevic ha pianificato un attacco contro la popolazione civile. L"UCK è un sottoprodotto che gli fa comodo, perché così può sostenere di agire contro i terroristi. Ha pianificato e realizzato una persecuzione contro civili, donne e bambini. Non possiamo mandare indietro questa gente senza essere in grado di garantire la loro sicurezza.
E" ora di agire, gli appelli non servono a niente! Anche lei oggi ha di nuovo rivolto numerosi appelli. Lei conosce bene la situazione, ma a Milosevic non interessa affatto. Non ha ancora mantenuto una sola promessa in merito al Kosovo. Crede che manterrà quest"ultima? Il linguaggio di Milosevic è la violenza!
Parliamogli allora nella sua lingua. Solo così avremo la possibilità di trovare una soluzione diplomatica. Purtroppo non ho più tempo di esprimermi sull"Albania, ma spero che un collega colmerà questa lacuna. Intanto, forse avrà la cortesia di dirmi chi è questo simpatico envoyé special che magari adesso otterrà qualche risultato in Albania.
(Applausi)
Cox (ELDR). ‐ (EN) Signor Presidente, come abbiamo sentito ancora una volta oggi, il Vertice di Cardiff ha ribadito le basi della politica estera dell"Unione europea nel Kosovo, che invoca la cessazione della violenza, il ritorno al tavolo dei negoziati e l"impegno in un efficace processo politico, visto come unica soluzione alla crisi della regione. Sono idee buone, corrette, apprezzabili, ma non funzionano.
In questi ultimi mesi il processo politico nel Kosovo ha subito gravi capovolgimenti e non ha compiuto progressi. La situazione è mutata in modo sostanziale. E" giunto il momento di dare una risposta politica qualitativamente diversa.
La triste verità è che oggi Slobodan Milosevic è l"unico leader in Europa ad avere le idee chiare sul Kosovo, nonché la volontà politica ed i mezzi militari per portarle a compimento. Dal suo punto di vista, Milosevic ha imparato le lezioni della Bosnia e le sta mettendo in pratica.
In passato gli atti di genocidio più gravi, come Srebenica, provocavano un"indignazione tale da stimolare la comunità internazionale all"azione. Milosevic ha capito che, con azioni meno clamorose, ma senza mutare il suo obiettivo, può colpire un villaggio al giorno levandosi l"Occidente d"attorno. Ha imparato a suonare a suo piacere la comunità internazionale come un vecchio violino sapendo istintivamente quanta pressione esercitare sulle corde senza che si spezzino. Risulta chiaro dalla repressione etnica degli ultimi mesi che Milosevic non fa che disprezzare le parole studiate, sfumate e impotenti della nostra diplomazia. E" il bullo della regione e, se nessuno lo ferma, continuerà a fare il bello e il cattivo tempo.
Alcuni mesi fa, in un"inutile ed estemporanea dimostrazione di forza che ha forse spinto ulteriormente i kosovari albanesi verso il radicalismo, la NATO, inviando falsi segnali, ha avviato l"operazione Determined Falcon , che si è rivelata nient"altro che un costoso fallimento e come tale è stata considerata e trattata sin dall"inizio da Milosevic. I gesti non fermeranno la sua aggressione più delle parole o delle risoluzioni.
Anche noi dobbiamo imparare la lezione della Bosnia e metterla in pratica. La cessazione della violenza era il presupposto fondamentale per la creazione di un clima favorevole al dialogo politico a Dayton. Ci è voluta una decisa azione internazionale per consentire alla politica di riaffermare il suo primato. Allora, dieci giorni di bombardamenti limitati, mirati e proporzionati hanno fermato l"aggressione. Avrebbe potuto trattarsi di dieci giorni qualsiasi in quei tristi quattro anni. Se non interveniamo in tempi rapidi possiamo prevedere un disastro umanitario nei Balcani il prossimo inverno. Abbiamo il dovere morale, etico e politico di intervenire.
Per il mio gruppo, lo scopo del processo europeo è garantire che questo genere di orrori non si ripeta mai più. Da dieci anni il Kosovo chiede di prestargli un po" di attenzione. Se abbandoniamo questa popolazione indifesa, le nostre aspirazioni di politica estera sono un fallimento.
(Applausi)
Caccavale (UPE). – Signora Presidente del Consiglio, ho ascoltato con interesse la sua relazione, ma ho notato anche che lei ha usato un eufemismo: lei ha detto che è in corso una battaglia, che vuole regolare con la forza il problema del Kosovo, tra l'UCK e le forze regolari jugoslave. Signora Presidente, non è cosi. Ristabiliamo la verità dei fatti: primo, è in corso un'aggressione da parte di un criminale, qual è Slobodan Milosevic, nei confronti della popolazione del Kosovo; è in corso un'epurazione etnica da parte di un criminale, che risponde al nome di Milosevic, che vuole liberare il Kosovo dalla popolazione albanese che, com'è noto, ha il 90 % dell'area. Questo per ristabilire la verità dei fatti.
Secondo: ho sentito, anche da esimi colleghi, che della questione dei profughi non possiamo occuparci perché ci siamo già occupati degli albanesi, e anzi li vogliamo rimandare indietro verso i villaggi che sono stati rasi al suolo da Milosevic. Vorrei sapere da lei, signora Presidente, e dal Commissario come è possibile pensare di rimandare indietro i profughi in quei villaggi che sono stati rasi al suolo e occupati militarmente dalle truppe di Milosevic.
Terzo: ho sentito parlare di un'Europa ferma, Commissario Van den Broek; lei ha detto che dobbiamo dare una risposta ferma. Fino ad ora l'Europa è stata inesistente, impotente, pilatesca; abbiamo fatto ridere tutti per l'ennesima volta, com'è già accaduto per la Bosnia; con la tecnica del rinvio Milosevic continua a fare le sue operazioni di guerra nella totale impotenza della comunità internazionale e dell'Europa. Ora, il Parlamento non ha scrupoli: ha spiegato varie volte quale poteva essere il pericolo per il Kosovo, ma non siamo stati ascoltati né dalla Commissione, né dal Consiglio, né dalla comunità internazionale. Il dramma si espande. Sento ora parlare di gruppi di lavoro e di inviati speciali: mi auguro che non si tratti della solita comitatologia che servirà soltanto a contare i morti e i profughi.
Carnero González (GUE/NGL). – (ES) Signor Presidente, da luglio la situazione in Kosovo continua a complicarsi. E" evidente che le prime vittime sono i rifugiati, la gente che muore. La situazione si complica anche dal punto di vista politico. Si complica all"interno ed anche nei paesi che circondano la regione. Ad esempio in Albania, dove Berisha cerca di sovvertire nuovamente l"ordine democratico e di mettere alle strette un governo che di certo non è stato molto efficiente, ma che rappresenta il governo che gli albanesi, a maggioranza, hanno voluto.
Il problema è che l"Unione europea ancora una volta non è in grado di intervenire. Le ragioni sono varie: assenza, debolezza, dispersione, iniziative scoordinate, nomine diverse, embarghi che non vengono applicati – e in questo caso non si tratta del solito paese che viene denunciato, ma del Regno Unito il quale asserisce che vi sono impegni internazionali vincolanti che gli impediscono di approvare l"embargo sulla navigazione aerea. Come bisogna agire? Aumentando la pressione sul responsabile. E il responsabile è Milosevic assieme al suo governo, per il quale invece la situazione non è complicata, dato che vuole conseguire i suoi obiettivi a tutti i costi.
E" certo, comunque, che il Kosovo deve autodeterminarsi in una Serbia democratica.
Tamino (V). – Signor Presidente, ho ascoltato quanto ci è stato riferito dai rappresentanti del Consiglio e della Commissione ma, a mio avviso, quanto sta succedendo nel Kosovo richiede anche una piccola digressione storica. Per più di dieci anni, nel Kosovo si è assistito al tentativo politico e culturale, da parte della comunità albanese, di modificare uno stato di oppressione ricorrendo ai principi della non violenza. In questi dieci anni, peraltro, le invocazioni di aiuto a livello internazionale dei leader politici albanesi del Kosovo non hanno trovato risposta e la non violenza è stata scambiata per impotenza o succube accettazione dell'oppressione serba. Non ci si può, purtroppo, stupire del fatto che oggi, di fronte ad una colpevole inerzia, anche delle Istituzioni dell'Unione europea, la situazione sia degenerata e si sia passati alla logica delle armi.
Il risultato è un gran numero di morti, villaggi distrutti e 300 mila profughi; le possibilità di una soluzione pacifica sono sempre più scarse. Tutto ciò si aggiunge alla già grave situazione della Bosnia e alla precedente – analoga – logica di pulizia etnica voluta dai dirigenti di Belgrado che si sentono, evidentemente, incoraggiati dalla passività dimostrata dall'Unione europea, priva purtroppo di una reale politica estera e di sicurezza comune.
Di fronte a una situazione così grave, esacerbata dalla crisi in atto in Albania, è necessaria una decisa azione di polizia internazionale, per favorire l'immediata cessazione di qualsiasi azione armata, nell'ambito di un mandato delle Nazioni Unite e sotto gli auspici dell'OSCE, con un'attiva partecipazione degli Stati membri dell'Unione europea.
La cessazione del fuoco è fondamentale sia per evitare l'estendersi del conflitto nei paesi limitrofi sia per iniziare un dialogo finalizzato ad un reale processo di pacificazione, che non può ignorare le legittime aspettative della popolazione del Kosovo in vista di una reale gestione autonoma del proprio territorio. Ma non ci potrà essere pacificazione se non sarà garantito il rientro dei profughi nelle loro case, sotto protezione internazionale – anche in vista delle gravi difficoltà a cui andrebbero incontro nel corso dell'inverno – e senza offrire una casa a quei profughi i cui villaggi sono stati distrutti. A tale scopo, è anche necessario un pieno appoggio alle organizzazioni umanitarie, che devono avere reali libertà di movimento nel territorio del Kosovo.
Un primo atto simbolico che la Commissione potrebbe fare è il progetto della Casa dello studente a Pristina, come visibile appoggio alla riconciliazione tra gli studenti universitari.
In conclusione, signor Presidente, il gruppo dei Verdi si augura una più significativa azione del Consiglio e della Commissione per favorire, in tempi brevissimi, una conclusione pacifica del conflitto in atto.
Dupuis (ARE). – (FR) Signora Presidente del Consiglio, signor Commissario, penso che l"indignazione l"abbiate sentita e risentita. Si sta verificando qualcosa di veramente incredibile. Dopo la Croazia, dopo la Bosnia, ecco lo stesso scenario, esattamente lo stesso scenario che si ripete: una politica di aggressione, ben diversa da un"operazione di polizia, che provoca 250.000 profughi.
In questo caso ci troviamo di fronte alla terza fase di una guerra iniziata in Croazia da Milosevic quasi otto anni fa. Una guerra che egli ha pianificato, che sta organizzando ed attuando poco a poco e che porterà a termine facendo in modo che il 50 o 60 per cento del Kosovo venga completamente liberato da qualsiasi presenza albanese in modo da potersi presentare dinanzi a voi, dinanzi al Consiglio, dicendo: “Sono l"uomo della pace. Concludiamo un accordo come in Bosnia, facciamo una bella spartizione che non si chiamerà così all"inizio, ma che sarà tale di fatto con una pulizia etnica del Kosovo».
Non si tratta di un progetto per il futuro, ma di un progetto attuato giorno dopo giorno. Signora Presidente del Consiglio, signor Commissario Van den Broek, 250.000 profughi sono sufficienti per intervenire con mezzi che non siano semplici missioni d"inchiesta od operazioni di “chirurgia plastica» come quelle cui assistiamo da anni. Si deve andare al cuore della vicenda.
Il cuore del problema è Milosevic, che dovrà rispondere direttamente dinanzi al tribunale dell"Aia dei crimini da lui commessi da otto anni a questa parte in Croazia, in Bosnia e, oggi, nel Kosovo. Non c"è un minuto da perdere. Non serve inviare carri armati. Non serve inviare aerei. Basta inviare un mandato di comparizione dinanzi al tribunale dell"Aia e questo lo si può fare domani mattina stesso per farla finita con questo personaggio che ha causato la morte di 200.000 persone ed è responsabile di due milioni di profughi. Nel Kosovo a tutt"oggi i profughi sono già 250.000.
Certo, possiamo continuare a discutere della PESC, di decisioni da prendere a maggioranza, di corpi europei da inviare, ma ci vogliono due mesi per definire i primi piani di fattibilità. Si deve passare a qualcosa di diverso da questo Trattato di Amsterdam che si rivela per quello che è, il vuoto totale. Si deve agire, si deve creare un"Europa che non sia l"Europa dell"impotenza, come lo è da dieci anni. Non sono solo i deputati presenti in Aula ad averne abbastanza, sono i cittadini a non crederci più. Sono i cittadini! Poi ci stupiamo che votino in un modo o in un altro. Non voteranno più, non hanno più fiducia in quest"Europa.
(Applausi)
Wiersma (PSE). – (NL) Signor Presidente, è ben vero che questa discussione altro non è che una specie di triste esercizio di ripasso. E" infatti l"ennesima volta che parliamo del Kosovo senza che ci sia stato alcun sostanziale cambiamento in positivo. Né ci sono prospettive di una reale soluzione, mentre la situazione di quella regione, invece di chiarirsi, si va facendo viepiù complessa. Siamo tutti un po" in ritardo sugli avvenimenti, avvenimenti scatenati principalmente dalla brutale aggressione dei serbi. E la signora Ferrero‐Waldner, Presidente del Consiglio, ha testé spiegato ancora una volta per filo e per segno di quali avvenimenti si tratta. Come in altre sedi, anche qui in Parlamento si continua ad invocare un più deciso atteggiamento da parte della comunità internazionale. Ma, fino ad oggi, sono state prese soltanto mezze misure; basti pensare, ad esempio, al boicottaggio dei trasporti aerei e alle difficoltà che la sua applicazione comporta. Le idee non mancano, il problema è piuttosto come tradurle in pratica. Mi fa piacere che il Commissario abbia dichiarato che, a parere suo e della Commissione, i provvedimenti contro il governo di Belgrado dovrebbero essere molto più severi. Qui in Parlamento si discute anche del modo in cui la comunità internazionale dovrebbe passare all"azione. Nella risoluzione preparata per la discussione odierna si propone, in sostanza, che l"Unione europea dia inizio ad un intervento militare autonomo. Il mio gruppo è contrario a tale proposta e molto più favorevole all"idea di costringere il Consiglio di sicurezza dell"ONU a fare una dichiarazione che apra la via ad un eventuale intervento militare, come peraltro suggerito dalla Presidente e dal Commissario. Sarebbe quindi il caso di seguire dapprima questa strada e nulla vieta che l"Unione europea aderisca a tale iniziativa per far capire chiaramente a Milosevic che esistono dei limiti. Così facendo si reagirebbe anche alla tattica strisciante attuata da quest"ultimo, cui ha accennato il Commissario nell"accostare gli eventi attuali a quelli verificatisi nel passato in Bosnia.
Secondo noi, occorre giungere ad un cessate il fuoco non solo per rendere possibile il dialogo, ma anche per poter fornire gli aiuti d"emergenza necessari. Il nostro obiettivo, che è nel contempo il punto di partenza del nostro gruppo, rimane quello di cercare uno sbocco politico, poiché crediamo che una situazione del genere non possa risolversi manu militari e che un eventuale intervento militare dovrebbe comunque svolgersi all"interno di un approccio di stampo politico. Quindi, voteremo contro la risoluzione presentata perché propone, senza mezzi termini, che l"UE imponga, attraverso un intervento militare, l"indipendenza del Kosovo. Noi siamo contrari a tale indipendenza perché pensiamo che concederla equivarrebbe a scoperchiare il vaso di Pandora, nel senso che metterebbe in discussione i confini degli stati europei non solo di quella regione, ma anche altrove. Secondo noi, questa proposta, la cui approvazione renderebbe più difficile la ricerca di una soluzione politica, risulta essere, oltre che eccessiva, anche del tutto irrealistica, come peraltro rilevato dalla Presidente del Consiglio.
Habsburg‐Lothringen (PPE). – (DE) Signora Presidente del Consiglio, signor Presidente, credo che adesso nel Kosovo si stia provando una nuova strategia. La scorsa settimana ho avuto la possibilità di vederlo sul posto. Si tratta della strategia della terra bruciata e della pulizia etnica. E" un metodo che non possiamo davvero tollerare. Non dobbiamo permettere che le forze militanti serbe sgomberino le strade principali in un raggio di tre chilometri per avere un campo di tiro, distruggendo ogni casa e abbattendo tutti gli alberi, non lasciando che terra bruciata.
Non possiamo neanche controllare quali flussi di profughi giungeranno da noi poiché non abbiamo alcuna possibilità di accesso sul luogo. Presumiamo che al momento 60.000 profughi vivano nei boschi o in rifugi inadeguati. Tuttavia non conosciamo le cifre precise perché non abbiamo contatti. Dovremmo però ottenerli a qualsiasi condizione e con ogni mezzo.
Dobbiamo precisare meglio le nostre affermazioni. Se oggi discutiamo di autonomia, che è un tema ricorrente, dobbiamo parlare di determinate condizioni minime di base, come per esempio un controllo chiaro della polizia, dell"amministrazione e della giustizia da parte di forze del Kosovo elette in modo democratico. Questa sarebbe una condizione minima, da considerare anche nelle formulazioni teoriche. Dobbiamo inoltre adottare un linguaggio chiaro nei confronti di Milosevic. Un punto vorrei sottolineare in modo inequivocabile: l"esperienza degli ultimi otto anni ha dimostrato che con Milosevic non si può discutere, nella migliore delle ipotesi si può discutere di lui e soltanto all"Aia.
Mi si consenta inoltre di aggiungere alcune considerazioni sull"Albania. Non era la prima volta che veniva compiuto un attentato contro Hajdari. Al terzo tentativo è stato ucciso. Non si deve dimenticare che la prima volta è stato ferito in Parlamento da un rappresentante del partito di governo.
Sono lieto che l"onorevole Swoboda si avvicini di nuovo perché, quando parla di principi dello stato di diritto attribuendoli alla condotta di Fatos Nano, nutro seri dubbi sulla sua idea di diritto. Infatti Fatos Nano non applica alcun principio dello stato di diritto. Penso al blocco del quartiere generale del partito democratico avvenuto ieri sera, anche questo non si pronuncia affatto a favore della sua idea del diritto. Dobbiamo adottare un linguaggio chiaro e agire!
Frischenschlager (ELDR). – (DE) Signora Presidente del Consiglio, signor Commissario, qui possiamo soltanto parlare, ma senza abbellire la situazione e adottando un linguaggio comprensibile per i responsabili. Innanzitutto, non posso davvero più stare ad ascoltare. Dobbiamo trarre qualche conclusione. Questa tragedia dura ormai da otto anni e chiunque abbia seguito con attenzione la situazione in Bosnia sapeva che il Kosovo sarebbe stato la bomba successiva, la prossima catastrofe ad esplodere. Da molti anni non si fa nulla.
In secondo luogo, vengono compiute in piena coscienza persecuzioni per motivi etnici contro la popolazione civile in un clima di terrore militare e con consapevolezza si accetta che essa venga decimata. Questo è senza alcun dubbio un crimine di guerra. Dovremmo dirlo. Terzo, chi è responsabile? Milosevic, è ovvio! Ma di questo si è parlato abbastanza. Dovremmo però affermare con la stessa chiarezza che sono in larga misura corresponsabili i governi nazionali dei nostri Stati membri riuniti all"interno del Consiglio che da anni non trovano misure politiche adeguate per venire a capo della situazione. Questi governi sono corresponsabili, due in modo particolare, vale a dire il governo greco e quello britannico che non sono disposti a sostenere neppure le decisioni di Cardiff in merito alle sanzioni sui voli. Questi sono i principali responsabili della situazione. Nessuno si giustifichi: la vita di 300.000 persone è in pericolo. Chi ne è corresponsabile e non fa nulla e non adotta alcuna sanzione, diventa colpevole. Questo va detto a chiare lettere!
(Applausi)
Daskalaki (UPE). – (EL) Signor Presidente, non avevo intenzione di parlare della Grecia, ma credo che il mio paese abbia molti problemi, non sempre analizzati con chiarezza, e che i giudizi di questo genere siano molto facili.
Relativamente al Kosovo, è stato detto che i rifugiati sono più di 250.000 e che, con l'arrivo dell'inverno, una parte di essi presumibilmente dovrà affrontare maggiori problemi. Come già affermato dal signor Commissario, è noto che i tumulti durati per mesi hanno avuto gravi ripercussioni sull'agricoltura causando una possibile penuria di grano durante i mesi invernali.
Sinora la comunità internazionale si è limitata al ruolo di osservatore, mentre all'orizzonte si profila un nuovo pericolo, rappresentato dai recenti e preoccupanti fatti in Albania che toccano da vicino la Grecia – un paese con vicini molto strani, di cui spesso qui ci si dimentica. Il protrarsi di simili avvenimenti potrebbe causare una reazione a catena.
In questo quadro è imprescindibile garantire un sicuro ritorno dei profughi, nonché una mediazione per la normalizzazione nella regione. Il problema del Kosovo è secolare ma, viste le proporzioni assunte ora dalla questione, dobbiamo intervenire con tutti i mezzi a nostra disposizione – come sostenuto dalla signora Ministro a nome della Presidenza del Consiglio – per porre fine agli eccessi e sostenere le forze moderate della regione. La violenza assolutamente inaccettabile e insensata perpetrata da Belgrado e le atrocità dell'Esercito di liberazione devono cessare in qualsiasi modo e, come ribadito dalla Presidenza del Consiglio, occorre trovare una soluzione soddisfacente per il Kosovo che non preveda il diritto alla secessione.
Le parti interessate dovranno accordarsi su questa soluzione in modo da scongiurare ulteriori sviluppi negativi.
Theonas (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, ogni volta che il Parlamento ridiscute della situazione nell'ex Iugoslavia o, più in generale, della situazione nei Balcani dopo il crollo della Federazione iugoslava, dove l'UE ha avuto pesanti responsabilità, in Aula si levano numerose le grida dei militaristi e le richieste per una soluzione militare al problema. Dobbiamo ammettere, però, che non esiste una soluzione militare al problema dei Balcani e del Kosovo, ma solo la possibilità di una soluzione politica pacifica. Resta da chiedersi se l'UE appoggi una simile prospettiva.
Di recente Milosevic ha presentato una proposta, poi accolta da Rugova. Per tutta risposta, il Consiglio ha sospeso i voli della compagnia aerea iugoslava nell'Unione. Mi chiedo chi voglia appoggiare l'UE con questa sua presa di posizione; forse le forze intransigenti dell'Esercito di liberazione? Un simile sostegno alle forze intransigenti non ha forse portato ad un potenziamento delle forze inflessibili dell'Albania al punto di rischiare di destabilizzare la stessa Albania di oggi? Signora Presidente in carica del Consiglio, chiediamoci piuttosto chi sia responsabile di tutto ciò.
Sarlis (PPE). – (EL) Signor Presidente, mi corre l'obbligo di osservare che il maggior aiuto umanitario che l'UE possa offrire è la cessazione delle ostilità in Kosovo, dato che il protrarsi della questione pendente in Kosovo ha ripercussioni immediate e spiacevolissime in Albania.
Il protrarsi della situazione o della questione pendente, che dir si voglia, nel Kosovo ha effetti destabilizzanti in Albania, dove esiste un equilibrio estremamente fragile perché gli Albanesi che vivono in Albania hanno convinzioni e credo religioso diversi; di conseguenza, basta poco perché la situazione sfugga di mano.
Alla luce di ciò, desidero porre alcune domande specifiche al Consiglio. Esiste l'iniziativa Hill che, stando alla stampa, ha avvicinato molto la parte di Milosevic e quella di Rugova e merita il nostro appoggio. In Aula non ho sentito nessuno sostenere quest'uomo, anzi quest'eroe, favorendo così il dialogo. Ma il dialogo non basta; è necessario un accordo di principio sul dialogo che sia accompagnato dalla presenza in Kosovo di forze militari di polizia. Occorre attuare quanto stabilito dagli accordi di Dayton. Poiché esiste un precedente, ovvero il successo degli accordi di Dayton, non vedo perché, nell'ambito di un accordo più generale tra l'establishment di Belgrado e Rugova, non si possa assicurare l'applicazione dell'accordo mediante la presenza di forze militari di polizia.
Haarder (ELDR). – (DA) Signor Presidente, se i pluriassassini Arkan e Milosevic fossero seduti nelle nostre tribune e ci ascoltassero, si sfregherebbero soddisfatti le loro mani sanguinarie. La nostra politica vigliacca negli ultimi anni ha sancito di volta in volta la loro vittoria. Sta arrivando l"inverno tra i rifugiati sulle montagne del Kosovo. Non hanno cibo né medicine. Non hanno di che proteggersi dal freddo. Milosevic farà di loro degli ostaggi, consentendo che gli aiuti arrivino solo in particolari riserve che controlla direttamente. Ma come ha detto Emma Bonino: è come lasciare che Dracula faccia la guardia ad una banca del sangue. No, signor Presidente, non dobbiamo permettere che si ripetano gli eccidi di Srebenica, quando la nostra vigliaccheria ha fatto 7.000 vittime. E" già abbastanza triste che i nostri governi abbiano paura e che se ne infischino dei nostri ideali. Ma se nemmeno noi abbiamo il coraggio di aiutare le persone che ne hanno bisogno, allora questa politica è davvero troppo vigliacca. Occorre inviare aiuti d"emergenza utilizzando convogli su strada o via aerea, con o senza l"autorizzazione dell"ONU, e gli aiuti devono essere godere di protezione. Se i convogli saranno oggetto di attacchi con armi da fuoco, dovranno avere il diritto di difendersi e, per farlo, dovranno essere armati. Fu la paura delle democrazie a spingere Hitler a continuare. La NATO e l"Unione europea sono state create per evitare che certi eventi si ripetessero. Ora dobbiamo dare prova di un minimo di coraggio, almeno insistendo affinché vengano aiutate le vittime senza fare di loro e di noi stessi degli ostaggi.
Bianco (PPE). – Signor Presidente, non ci voleva un grande acume politico per capire che la gravissima situazione nel Kosovo avrebbe determinato conseguenze negative e destabilizzanti, com'è avvenuto nell'intera area e in Albania. È una regola antica, storica: il Kosovo rappresenta la scintilla per un incendio che si diffonde in tutta l'area balcanica. Che cosa fare? Le parole non servono, ma Milosevic è stato così astuto da scegliere perfino i mesi nei quali esercitare la sua repressione – luglio e agosto – quando la politica europea va in vacanza. E noi siamo andati in vacanza!
Le dichiarazioni che sono state effettuate, le misure di contenimento e le sanzioni annunciate dal Commissario Van den Broek hanno fallito; è stato ricordato in questa sede che neppure l'accordo di Cardiff è stato raggiunto.
Lei, signora Presidente del Consiglio, ha detto che non è possibile pensare ad un intervento armato. Possiamo essere d'accordo, ma come concretamente esercitare delle pressioni? Contemporaneamente, il Ministro della difesa tedesco ha dichiarato che, entro tre o cinque settimane, previa notifica a Milosevic, interverrà la NATO. Qual è la linea seguita dall'Europa?
Mi domando se non sia possibile intervenire per potenziare una polizia di stabilizzazione, dispiegare truppe lungo la frontiera del Kosovo, esercitare delle pressioni e, soprattutto, giungere ad una stabilizzazione dell'Albania, dove i torti e le ragioni non si possono dividere così facilmente perché, se Berisha ha i suoi torti, tanti ne ha anche il governo Nano. Non dobbiamo optare né per l'una né per l'altra parte. Dobbiamo intervenire per far sì che vengano rispettate le regole della democrazia, ma tali regole comportano anche il rispetto dell'opposizione.
Se non riusciamo ad intervenire avremo, ancora una volta, seguito una politica deludente, e non vorrei che la colpa fosse attribuita alla Presidenza austriaca. Temo inoltre, signor Presidente, che il costo per l'Europa diventi ancora più alto, com'è avvenuto in Bosnia.
Ferrero‐Waldner, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Onorevoli parlamentari, dalla discussione emerge che non si tratta soltanto di un confronto sul Kosovo, ma anche di un dibattito sulla politica estera e di sicurezza comune e sulle possibilità di cui disponiamo all"interno del quadro istituzionale. Trovo deplorevole che nel settore istituzionale non ci troviamo più avanti, ma sapete che all"interno del Consiglio sussiste il principio dell"unanimità e purtroppo vi sono sempre Stati che non gradiscono determinate misure. Lo stesso discorso vale sfortunatamente per il Consiglio di sicurezza. Anche al suo interno vi sono membri permanenti, e talvolta anche altri, i quali non accettano certe misure che alcuni di noi sarebbero inclini ad adottare. Pertanto continuiamo a trovarci in una situazione in cui la minaccia militare non ha prodotto alcun risultato. Questo non significa che in futuro non si possa ottenere qualche successo. Tuttavia nel mio precedente intervento ho riconosciuto che al momento vi sono davvero poche prospettive. Sono lieta di sentire – non lo sapevo ancora – che i francesi, diversamente da come hanno reagito finora, sarebbero interessati a formulare una nuova risoluzione sulla sicurezza, poiché questo almeno potrebbe modificare la situazione.
Vorrei considerare in breve la questione sollevata in merito all"adozione di misure più severe – di natura diversa da un intervento militare – cui si è fatto riferimento nella discussione e che non sono state accettate. Nel quadro del blocco degli investimenti che abbiamo deciso e del congelamento dei crediti esteri delle banche, le misure che abbiamo adottato risultano piuttosto deboli. Tuttavia, anche questo va attribuito al fatto che è stato il minimo denominatore comune su cui siamo riusciti a trovare un accordo. Devo dire che, come Presidente del Consiglio, in questo momento ho il compito di difendere tale posizione, ma non sono sempre stata concorde.
Desidero inoltre rispondere alla domanda su chi opera nei fatti in Albania come nostro special emissary . Si tratta dell"ambasciatore Grobmeyer, che già l"anno scorso si è recato in Albania come rappresentante dell"ex Cancelliere Vranitzky e conosce molto bene la situazione, è in grado di operare da subito in loco per avviare un dialogo con tutte le parti e lavorerà, com"è ovvio, in accordo con l"OSCE e con le altre istituzioni. Concordo con la Commissione sulla necessità di cercare altre possibilità, ma anche in passato purtroppo non siamo riusciti ad inviare in Albania una missione dell"UEO. In definitiva, l"OSCE ha svolto per breve tempo servizi molto validi sul luogo, ma, come constatiamo, non era certo in grado di creare nuove istituzioni in Albania.
E" stata sollevata la questione del safe havens . Sappiamo di certo che la catastrofe avvenuta in Bosnia non deve ripetersi nel Kosovo. Ho discusso a lungo anche con il Commissario, signora Bonino, sul problema dei profughi e, credetemi, siamo anche noi consapevoli che le proposte avanzate finora sono poca cosa. E" però molto difficile al momento adottare ulteriori misure e tentare di ottenere il massimo. Vi è stato un colloquio tra Unione europea e Stati Uniti. In questo quadro abbiamo anche riflettuto sulla possibilità di formare truppe di polizia multietniche che sorveglino in loco il rientro dei profughi e garantiscano loro una certa sicurezza. Ma al momento – devo dire al momento – neanche questo è ancora possibile. Pertanto, il minimo che abbiamo potuto fare è stato di unire l"ECMM e il KDOM, rafforzando quindi entrambe le missioni di cui ho parlato nel mio intervento, poiché una cosa credo che disturbi comunque Milosevic: essere controllato e vedere che le informazioni circolano.
Vorrei considerare un ultimo punto: è stato affermato che non vi è alcuna possibilità di prendere contatti con i profughi. Questo non è del tutto vero. L"ACNUR e il comitato internazionale della Croce rossa hanno buone possibilità di accesso. E" vero che talvolta si incontrano ostacoli, ma in linea di massima l"operazione funziona abbastanza bene. Me lo ha confermato lo stesso Commissario, signora Bonino, che si è recata di recente sul posto.
Signor Presidente, credo comunque che sia emerso un certo consenso sul fatto che la priorità assoluta deve essere accordata al raggiungimento di una tregua nel Kosovo e al miglioramento della catastrofica situazione umanitaria. Mi sembra inoltre che siamo più o meno tutti d"accordo sul fatto che in presenza di queste due condizioni sarà possibile l"avvio di negoziati ragionevoli sul futuro statuto del Kosovo. Continueremo comunque a lavorare con impegno in questa direzione.
Bianco (PPE). – Signor Presidente, credo che questo sia un dibattito di grande rilievo. Non possiamo pretendere che ci sia tutta l'Aula ad ascoltare la relazione della Presidenza austriaca e del Commissario, ma vorrei pregare la Presidenza di invitare almeno quelli che intervengono ad essere qui a sentire e ad ascoltare la replica fatta dalla Presidenza in carica del Consiglio e dal Commissario. Mi pare un atto doveroso di dignità e di rispetto della dignità del Parlamento. Mi appello alla sua sensibilità, a me ben nota!
Presidente. – Onorevole Bianco, questo è un dibattito particolarmente importante, è vero, ma questa regola dovrebbe comunque valere per qualsiasi discussione.
Van den Broek, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, innanzitutto vorrei annunciare una buona notizia: la Presidenza e la Commissione hanno appena ricevuto una nota di Robin Cook in cui si comunica che il Regno Unito ha ordinato l"interdizione con effetto immediato di tutti i voli di vettori iugoslavi con destinazioni nel Regno Unito. Non era dunque vano l"ottimismo con cui abbiamo previsto progressi in questo ambito.
La mia osservazione conclusiva è che, in base all"esperienza e alle informazioni che tutti abbiamo – l"esperienza della Bosnia e le notizie sul Kosovo – risulta chiaro che, finché non verrà proclamato un cessate il fuoco, finché non cesserà la violenza, non sarà possibile avviare negoziati politici significativi e vi sarà un flusso costante di rifugiati e di profughi. Le sofferenze continueranno. Questa è la nostra esperienza e nulla fa pensare che in questo caso le cose potrebbero andare diversamente.
Vorrei dire a tutti coloro che trovano difficile, come è stato a suo tempo per la Bosnia, distinguere con chiarezza chi debba essere considerato l"aggressore, chi debba essere indicato come causa principale di sofferenza, che le 250.000 persone di cui stiamo parlando non sono serbe. Sono albanesi del Kosovo. Questo non significa che l"UCK non faccia ricorso alla violenza, ma bisogna occuparsi innanzitutto di chi ha la principale responsabilità.
In conclusione, la Presidenza ha descritto con grande franchezza la situazione all"interno dell"Unione europea; nondimeno, è estremamente importante che il Parlamento si esprima per quanto possibile all"unisono e incoraggi l"Unione ad assumersi le proprie responsabilità. Per questa ragione ripeto che ho appreso con grande soddisfazione, se la notizia riportata dalla stampa è corretta, che il Presidente francese ha definito questa situazione intollerabile ed ha espresso al Presidente russo la necessità di riunire il gruppo di contatto e di discutere riguardo al Consiglio di sicurezza. So che la Francia e la stragrande maggioranza dei nostri Stati membri sono convinti che in ogni caso l"uso della forza per porre fine alla violenza debba essere autorizzato mediante una risoluzione del Consiglio di sicurezza. Si tratta di un punto di vista legittimo. Spero, tuttavia, che non richieda troppo tempo adottare tale risoluzione e imporre la pace necessaria per poter avviare i negoziati con cui giungere alla soluzione politica definitiva, perché per Milosevic e l"UCK non esiste alcuna soluzione militare. Temo però che saranno necessarie pressioni esterne per far cessare la violenza e far progredire il processo politico.