Presidente. - L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta, le seguenti proposte di risoluzione:
- B50660/2000, presentata dalla onorevole Sauquillo Pérez del Arco a nome del gruppo PSE, sul Burundi;
- B50711/2000, presentata dall’onorevole Van den Bos a nome del gruppo ELDR, sull’accordo di pace in Burundi firmato ad Arusha in Tanzania;
- B50718/2000, presentata dall’onorevole Johan Van Hecke a nome del gruppo PPE-DE, sulla situazione nel Burundi;
- B50726/2000, presentata dagli onorevoli Maes e Rod a nome del gruppo Verts/ALE, sulla situazione nel Burundi;
- B50734/2000, presentata dalla onorevole Muscardini a nome del gruppo UEN, sul Burundi;
- B50739/2000, presentata dall’onorevole Vinci a nome del gruppo GUE/NGL, sull’accordo di Arusha e la transizione democratica nel Burundi.
Van den Bos (ELDR). – (NL) Signor Presidente, perché questo squilibrio nella suddivisione del potere presso molti popoli africani? Se più i forti possono prendersi tutto e i più deboli rimangono a mani vuote, c’è qualcosa di fondamentalmente sbagliato. Se i più forti poi rappresentano una minoranza, non si può evitare l’insorgere di conflitti. Fintantoché i gruppi etnici continueranno ad escludersi a vicenda rifiutandosi di collaborare le speranze di pace sono poche. Solo la riconciliazione nazionale offre una prospettiva di salvezza, sicuramente per il Burundi. Dopo gli ammirevoli sforzi operati da Mandela, la pace sembrava essere in vista. Purtroppo non si sono deposte le armi e alcune fazioni si rifiutano di sottoscrivere l’accordo di pace.
E’ necessario fare il possibile per trasformare i nuovi negoziati in un successo. E’ necessario esercitare la massima pressione sui ribelli hutu affinché partecipino al processo di pace e smettano di eseguire gli ordini di distruzione di Kabila e Mugabe. Per garantire il coinvolgimento di tutte le parti in causa è essenziale offrire ai leader politici anche una protezione personale. E’ assolutamente necessario che la violenza perpetrata contro i cittadini indifesi, sia dal governo che dall’opposizione, cessi. Se si continuerà a combattere, se le violazioni dei diritti dell’uomo proseguiranno e le parti non interverranno, non si potrà parlare di un pieno ripristino degli aiuti europei. Una maggiore disponibilità da parte loro ad impegnarsi per la pace condurrà a una maggiore disponibilità da parte nostra a fornire il nostro aiuto. I mediatori devono promuovere iniziative che portino alla smobilitazione delle parti e al loro raggruppamento in un unico esercito. Non appena verrà sancito il cessate il fuoco, i profughi dovranno poter ritornare in tutta sicurezza in Burundi grazie all’aiuto della comunità internazionale.
In conclusione, per una pace duratura in Burundi, è assolutamente necessario che anche nella regione del Congo regni la pace. Solo se gli africani saranno disposti a condividere il potere, vi sarà una prospettiva di salvezza per il continente.
Van Hecke (PPE-DE). – (NL) Signor Presidente, se partiamo dal principio secondo cui “è meglio un accordo imperfetto di nessun accordo”, possiamo affermare che ad Arusha è stato compiuto un passo avanti nel processo di pace in Burundi. Il merito va tutto a Mandela, che per mesi si è impegnato non solo per avvicinare le parti in causa non solo in speaking terms, ma anche per portarle al tavolo delle trattative. L’accordo, tuttavia, è imperfetto. Non è stato ancora proclamato alcun cessate il fuoco e gli scontri intorno alla capitale Bujumbura proseguono. I due principali movimenti ribelli hutu nell’esercito, responsabili della maggior parte delle violenze perpetrate, non hanno partecipato ai negoziati. Per tale motivo la prossima fase di Nairobi, che prevede un incontro tra i gruppi armati il 20 settembre, sarà forse ancora più importante rispetto a Arusha. E’ deplorevole che l’accordo non menzioni affatto un contesto regionale più ampio.
Congo e Tanzania, i paesi limitrofi da cui operano i gruppi armati, devono assumersi le proprie responsabilità. Sorge tuttavia un interrogativo: Mandela non ha forse analizzato il conflitto in Burundi partendo in misura eccessiva dal proprio contesto sudafricano? E’ corretto affermare che alcune fazioni tutsi si servono del pericolo dello sterminio della minoranza come di un pretesto per mantenere la supremazia. Ciò non toglie che tale pericolo in Burundi sia reale. Pertanto, a mio avviso, dobbiamo esigere sufficienti garanzie di sicurezza per la minoranza e fare in modo che, in occasione di eventuali elezioni, non si attizzi l’odio etnico. Ritengo infine, signor Presidente, che l’Europa dovrebbe dare via libera al ripristino degli aiuti semi-istrutturali, soprattutto per quanto concerne l’istruzione e la sanità. In caso contrario, rischiamo di essere considerati corresponsabili per la morte di migliaia di cittadini innocenti e, in quanto cristiano-democratico, non posso rimanere indifferente a tale possibilità.
Maes (Verts/ALE). – (NL) Signor Presidente, sono completamente d’accordo con quanto affermato dai colleghi Van den Bos e Van Hecke. Duecentomila morti in Burundi. Signor Commissario, giungere a sottoscrivere la pace, un accordo di pace, è necessario. Temo tuttavia che si sia giunti a un accordo di pace solo perché i Capi di stato, in quel preciso momento, ne avevano bisogno. Forse sarebbe stato necessario prolungare i negoziati per indurre tutti a prender posto intorno al tavolo delle trattative. Sono infatti convinta che, fintantoché gli antagonisti principali sia tra gli hutu che tra i tutsi non parteciperanno ai negoziati, non si potrà parlare effettivamente di pace. Sono lieta che alcuni movimenti tra i più irriducibili in passato si siano seduti al tavolo delle trattative. Per tale motivo non intendo disconoscere i meriti dell’accordo.
Mi chiedo quale sia il modo migliore per l’Unione europea per venire incontro ai desideri di pace espressi da tante persone in Burundi. Ritengo innanzitutto che dovremmo esercitare maggior pressione affinché si possa giungere a una pace globale nella regione dei Grandi Laghi. Penso che molti leader africani abbiano ancora troppi interessi per promuovere in modo coerente la pace in Congo e nella regione dei Grandi Laghi. Un secondo punto è costituito dal famoso ripristino degli aiuti. Sono sempre stata contraria a questo tristemente famoso boicottaggio nei confronti del Burundi, data soprattutto la sua natura così selettiva. Spero che adesso si possa mettere fine a questa situazione con progetti di pace mirati e con una ricostruzione mirata della democrazia da sostenere con aiuti strutturali.
Cauquil (GUE/NGL). – (FR) Signor Presidente, in quanto militante di Lotta operaia in un paese che ha avuto e che tuttora ha un atteggiamento abietto nei confronti del Burundi, del Ruanda e di tutta la regione dell’Africa centrale, non posso tacere dinanzi a una risoluzione che a parole vuole sostenere i popoli di questa regione, ma che in realtà dissimula il ruolo che le grandi potenze hanno avuto nei massacri in cui si sono confrontate le bande armate delle due etnie locali, tutsi ed hutu.
Senza voler risalire alla responsabilità dell’ex potenza coloniale belga nelle ostilità volutamente innescate e alimentate tra le due principali etnie di questi due paesi, il ruolo svolto dagli interessi francesi, da un lato, e da quelli anglosassoni, dall’altro, è ormai di dominio pubblico; inoltre è nota la responsabilità diretta dell’esercito francese che ha mobilitato e armato le frange di estrema destra degli hutu, le quali si sono poi rese colpevoli di un vero e proprio genocidio. I governi francesi che si sono succeduti, di destra o di sinistra, non hanno voluto nemmeno seguire l’esempio del Belgio che, se non altro, ha riconosciuto le proprie responsabilità, sebbene ciò non tolga nulla alla gravità di tali responsabilità.
Intendo ora denunciare l’ipocrisia delle grandi potenze ed esprimere solidarietà per i popoli del Burundi e del Ruanda che, a causa dei tentativi di pulizia etnica o a causa delle responsabilità dei propri esponenti politici, hanno pagato a caro prezzo la dominazione delle grandi potenze imperialiste in Africa.
Khanbhai (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, più di un secolo fa, le potenze coloniali europee frammentarono i territori tribali dell’Africa per istituire nuovi confini nazionali. I paesi africani hanno ereditato il retaggio dei conflitti tribali che esplodevano ogni qual volta le tribù maggiori tentavano di assumere il controllo politico a livello nazionale. Esempi di questa situazione sono i conflitti tra gli afar e gli issa nello Stato di Gibuti, tra i kikuyu e i luo in Kenya e tra gli hutu e i tutsi in Ruanda e Burundi.
Ritengo che l’Unione europea debba concentrare i propri sforzi sui modi utili per convincere l’etnia tutsi, attualmente al potere, a cooperare con la maggioranza hutu per raggiungere la pace. L’Unione europea deve insistere affinché i paesi confinanti non interferiscano nella situazione del Burundi e l’aiuto comunitario a tali paesi deve essere condizionato alla disponibilità a cooperare.
Il nostro Parlamento e la Commissione europea possono essere certamente di aiuto al Burundi e la risoluzione in esame è un ottimo passo in questa direzione.
Imbeni (PSE). - Signor Presidente, intervengo volentieri a nome della collega Sauquillo, su sua richiesta, innanzitutto per ringraziare Nelson Mandela, che anche questa volta ha meritato davvero il Premio Nobel per la pace che gli è stato attribuito.
Intendo ribadire che l'accordo di Arusha non rappresenta ancora la fine della guerra, non costituisce ancora la pace, ma l'accordo esiste e richiede un'iniziativa immediata da parte dell'Unione europea. L'iniziativa deve avere le seguenti caratteristiche: inviare un messaggio a coloro che hanno sottoscritto l'accordo per incitarli ad insistere, a proseguire sul cammino intrapreso; inviare un messaggio a coloro che non hanno firmato l'accordo per ricordare loro che non esiste alternativa alla pace, che l'alternativa alla pace è solo continuare nelle sofferenze dell'eredità coloniale, la morte e l'oppressione; inviare un messaggio anche ai paesi confinanti per invitarli a non interferire nelle altrui vicende interne, ma a contribuire e sostenere questo processo di pace.
Nell'iniziativa dell'Unione europea deve esserci anche naturalmente un conseguente aiuto e contributo finanziario, perché i veri processi di pace, quelli stabili, hanno bisogno di contributi onde trasformarsi in democrazie consolidate.
Nielson, Commissione. - (EN) Dopo gli emendamenti dell’ultima ora e un rinvio di nove ore, il 28 agosto la maggioranza delle parti coinvolte in due anni di colloqui ha sottoscritto ad Arusha un accordo limitato di pace. La Commissione accoglie con favore la firma dell’accordo e ritiene che esso sia un passo importante e preliminare nel lungo e difficile processo di negoziazione che dovrà porre fine al conflitto tra la maggioranza hutu e la minoranza tutsi nel Burundi.
Tuttavia, come è stato rilevato nella discussione, restano irrisolte alcune questioni, quali il cessate il fuoco, che è la lacuna più grave dell’accordo, l’amnistia, la composizione dell’Assemblea nazionale, la durata dell’accordo e la guida del governo di transizione. Non si tratta di questioni di minore rilievo.
Nonostante il numero e il peso di tali questioni, la firma dell’accordo rappresenta un evento importante che pone fine ai colloqui di Arusha, ma non ai negoziati in quanto tali. Essi continueranno, soprattutto a Bujumbura, ed è auspicabile che la popolazione del Burundi possa assumere un ruolo più attivo, perché ciò ha condizionato in misura rilevante e in molte occasioni la lunga fase negoziale.
Il rifiuto di firmare l’accordo da parte dei partiti estremisti è causa di preoccupazione per la Commissione e si deve porre in essere ogni sforzo utile a persuaderli ad aderire all’accordo. Due partiti tutsi hanno aggiunto la loro firma il giorno seguente. I colloqui concernenti il cessate il fuoco, considerati fondamentali dai Presidenti Moi e Thabo Mbeki, prenderanno avvio il 20 settembre a Nairobi. L’esito positivo dei colloqui costituisce una condizione preliminare per l’applicazione dell’accordo di pace, lo schieramento delle forze dell’ONU e la piena ripresa della cooperazione allo sviluppo.
In questa fase, l’Unione europea è pronta, a livello tecnico, a riattivare gradualmente un programma completo di cooperazione in collaborazione con gli altri donatori. Oltre al programma per un importo di 48 milioni di euro a favore della ricostruzione, la cui attuazione è già stata avviata, l’Unione sta completando le procedure necessarie alla concessione di un finanziamento STABEX per 50 milioni di euro finalizzato al rilancio dell’economia rurale. La Commissione sta predisponendo un documento strategico per sostenere l’applicazione dell’accordo di pace, i cui elementi principali sono la smobilitazione dei combattenti, la ricostruzione sociale ed economica del Burundi e la riforma dello Stato.
La Commissione, infine, ha indetto un incontro informale a livello tecnico tra i donatori, che si terrà a Bruxelles il 15 settembre. Lo scopo dell’incontro è di riferire sull’attuazione del programma, di migliorare il coordinamento tra i donatori, di predisporre una strategia comune per contribuire all’applicazione dell’accordo di pace e di preparare una tavola rotonda ad alto livello tra le parti e i donatori, la quale dovrebbe tenersi a Parigi nel corso del prossimo autunno.
Siamo senz’altro pronti ad incrementare il livello concreto di cooperazione. Voglio dire al Parlamento che il caso del Burundi rappresenta, dal nostro punto di vista, un’ottima occasione per mostrare come si possa migliorare la gestione della transizione da una fase di semplice assistenza umanitaria alla definizione e graduale introduzione di una cooperazione allo sviluppo a lungo termine e proiettata verso il futuro. Ci sforziamo di dare tutti i segnali utili alle organizzazioni quali l’UNHCR per cercare, come ho appena indicato, di coinvolgere al meglio altri donatori.
Il coordinamento è un fattore di importanza cruciale, perché ci troviamo ancora in una situazione in cui il giusto equilibrio e la correttezza dei segnali forniti alle parti coinvolte nel processo di pace in Burundi sono importanti tanto quanto i fondi che stiamo erogando. Per cercare di assolvere a questo scopo nella maniera giusta, è necessario uno sforzo estremamente mirato.