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Resoconto integrale delle discussioni
Giovedì 7 settembre 2000 - Strasburgo Edizione GU

7. Diritti dell'uomo
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  Presidente. - L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta, le seguenti proposte di risoluzione:

Rifugiati bhutanesi in Nepal

- B5­0663/2000, presentata dall’onorevole Aparicio Sánchez e altri a nome del gruppo PSE, sul persistere delle difficoltà dei rifugiati bhutanesi in Nepal;

- B5­0673/2000, presentata dall’onorevole Collins a nome del gruppo UEN, sul persistere delle difficoltà dei rifugiati bhutanesi in Nepal;

- B5­0705/2000, presentata dall’onorevole Dupuis e altri a nome del gruppo TDI, sulla situazione dei rifugiati bhutanesi in Nepal;

- B5­0712/2000, presentata dalla onorevole Malmström a nome del gruppo ELDR, sui rifugiati bhutanesi;

- B5­0719/2000, presentata dall’onorevole Thomas Mann a nome del gruppo PPE-DE, sui rifugiati bhutanesi in Nepal;

- B5­0727/2000, presentata dall’onorevole Messner a nome del gruppo Verts/ALE, sul persistere delle difficoltà dei rifugiati bhutanesi in Nepal;

- B5­0740/2000, presentata dall’onorevole Vinci a nome del gruppo GUE/NGL, sul persistere delle difficoltà dei rifugiati bhutanesi in Nepal.

Birmania

- B5­0667/2000, presentata dagli onorevoli Kinnock e Veltroni a nome del gruppo PSE, sulla Birmania;

- B5­0706/2000, presentata dall’onorevole Dupuis e altri a nome del gruppo TDI, sulla situazione in Birmania;

- B5­0716/2000, presentata dall’onorevole Gasòliba i Böhm a nome del gruppo ELDR, sulla Birmania;

- B5­0720/2000, presentata dalla onorevole Maij­Weggen a nome del gruppo PPE-DE, sulla Birmania;

- B5­0728/2000, presentata dalla onorevole McKenna a nome del gruppo Verts/ALE, sulla Birmania;

- B5­0741/2000, presentata dalla onorevole Fraisse e altri a nome del gruppo GUE/NGL, sulla Birmania.

Violazione dei diritti dell’uomo in Colombia, con particolare riferimento al caso di padre Brendan Forde

- B5­0664/2000, presentata dall’onorevole Medina Ortega e altri a nome del gruppo PSE, sulla situazione in Colombia;

- B5­0713/2000, presentata dall’onorevole Cox a nome del gruppo ELDR, sul Piano Colombia e il massacro della Comunità della Pace di La Unión - Uraba;

- B5­0721/2000, presentata dalla onorevole Banotti e altri a nome del gruppo PPE-DE, sulle minacce di morte contro padre Brendan Forde e la sua comunità e la situazione dei diritti dell’uomo in Colombia;

- B5­0729/2000, presentata dalla onorevole McKenna e altri a nome del gruppo Verts/ALE, sul massacro nella Comunità della Pace di La Unión/San José de Apartadó (Antioquia), in Colombia, la situazione del padre francescano Brendan Forde e il Piano Colombia;

- B5­0735/2000, presentata dall’onorevole Collins e altri a nome del gruppo UEN, sulla Colombia e sul massacro della Comunità della Pace di La Unión nella regione di Uraba;

- B5­0742/2000, presentata dall’onorevole Miranda e altri a nome del gruppo GUE/NGL, sulla situazione dei diritti dell’uomo in Colombia.

Soldati britannici tenuti come ostaggi in Sierra Leone

- B5­0665/2000, presentata dalla onorevole Kinnock a nome del gruppo PSE, sui soldati britannici tenuti come ostaggi;

- B5­0714/2000, presentata dalla onorevole Ludford a nome del gruppo ELDR, sul sequestro di soldati del Regno Unito in Sierra Leone;

- B5­0722/2000, presentata dalla onorevole Ferrer a nome del gruppo PPE-DE, sul sequestro di 11 soldati britannici in Sierra Leone;

- B5­0730/2000, presentata dalla onorevole Maes e altri a nome del gruppo Verts/ALE, sui soldati britannici tenuti come ostaggi;

- B5­0743/2000, presentata dagli onorevoli Sjöstedt e Miranda a nome del gruppo GUE/NGL, sui soldati britannici sequestrati in Sierra Leone.

Bombardamenti turchi nell’Iraq settentrionale

- B5­0672/2000, presentata dagli onorevoli Sakellariou e Van den Berg a nome del gruppo PSE, sul bombardamento effettuato dalle forze militari turche nella regione di Kendakor nell’Iraq settentrionale;

- B5­0715/2000, presentata dall’onorevole Duff a nome del gruppo ELDR, sui bombardamenti aerei turchi nell’Iraq settentrionale;

- B5­0731/2000, presentata dall’onorevole Cohn­Bendit e altri a nome del gruppo Verts/ALE, sul bombardamento effettuato dall’esercito turco contro le popolazioni dell’Iraq settentrionale;

- B5­0744/2000, presentata dalla onorevole Uca e altri a nome del gruppo GUE/NGL, sul bombardamento effettuato dalle forze militari turche nella regione di Kendakor nell’Iraq settentrionale.

Rifugiati bhutanesi in Nepal

 
  
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  McCarthy (PSE). - (EN) Signor Presidente, la risoluzione oggi in esame non intende in alcun modo esprimere critiche ai principali attori, ovvero i governi del Bhutan e del Nepal, del processo che dovrà dare una soluzione al problema delle 96.000 persone di lingua nepalese scappate dal Bhutan attualmente ospitate nei campi del Nepal. Negli ultimi dieci anni in questi campi sono nati 17.000 bambini. La risoluzione mira a promuovere iniziative e azioni utili e chiede alla Commissione di contribuire, magari con l’uso di taluni meccanismi finanziari, al sostegno necessario al rimpatrio di queste persone.

Siamo lieti di apprendere che il Giappone ha donato 1,3 milioni di dollari ai rifugiati e che il Programma alimentare mondiale ha reso disponibile un ulteriore milione di dollari. La gente che vive nei campi, tuttavia, preferirebbe fare ritorno alle proprie case piuttosto che ricevere quel denaro.

I rifugiati ci hanno spedito un documento con il quale ci chiedono di sostenere ogni azione che possa dare soluzione al problema e che renda loro giustizia. Essi così si esprimono: ”noi lanciamo un appello, onorevoli membri del Parlamento europeo, perché la giustizia trionfi”. E’ ciò che oggi stiamo facendo. Dobbiamo sperare che la risoluzione consenta che sia resa giustizia - almeno in parte - a queste persone, aiutandole a tornare alle loro case e a ottenere qualche risultato positivo.

 
  
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  Collins (UEN). - (EN) Signor Presidente, all’inizio di quest’anno ho avuto l’onore di far parte di una delegazione del Parlamento europeo in visita a Nuova Delhi e al Nepal. A seguito della visita, in particolare di quella ai campi nel Nepal orientale, la delegazione ha assunto l’impegno a fare quanto sarà possibile per sollevare la questione del perdurare della situazione dei rifugiati bhutanesi in Nepal.

Voglio, inoltre, comunicare ai membri dell’Aula che i rifugiati sono pienamente consapevoli e hanno la più alta considerazione dell’impegno con cui il Parlamento europeo ha cercato di richiamare l’attenzione sulla loro condizione. Ne abbiamo avuto chiara dimostrazione nel corso della visita alla regione e la nostra determinazione ad incoraggiare ulteriormente il raggiungimento di un accordo tra il Bhutan e il Nepal è ora più forte che mai.

L’afflusso di rifugiati bhutanesi verso il Nepal è iniziato alla fine del 1991 e il timore che l’attenzione internazionale possa diminuire è sempre presente. I rifugiati aspettano da dieci anni che la crisi trovi una soluzione amichevole e duratura e, come ha appena detto la onorevole McCarthy, molti di loro vorrebbero fare ritorno alle proprie case. Nonostante i numerosi colloqui bilaterali effettuati, tuttavia, non si è giunti a definire una soluzione politica.

Mentre discutiamo, a New York si sta svolgendo il Vertice del Millennio delle Nazioni Unite, il quale offre ai Primi ministri di Bhutan e Nepal l’occasione per confrontarsi e concordare una pronta soluzione alla questione dei rifugiati, dimostrando così la propria adesione agli ideali di pace e tolleranza. Questo sarebbe il miglior suggello per il Vertice del Millennio dell’ONU. Spero, dunque, che essi verranno incoraggiati a seguire questa linea d’azione.

Uno dei temi cruciali ancora irrisolti riguarda la definizione di gruppo familiare necessaria ad espletare le operazioni di controllo. Il Nepal ha accettato il compromesso proposto dall’UNHCR, il cui ruolo è stato essenziale per sbloccare la situazione di stallo negoziale. Auspico perciò che le autorità del Bhutan vogliano accettare tale compromesso in modo che le operazioni di controllo possano iniziare quanto prima.

Seppure l’Unione europea resti uno dei maggiori donatori, sia l’UNHCR che il Programma alimentare mondiale incontrano difficoltà sempre maggiori a reperire i fondi necessari al mantenimento dei campi. Auspico, perciò, che i donatori internazionali vogliano continuare a sostenere nella misura sufficiente la gestione dei campi nel corso della fase negoziale e di quella di controllo. Allo stesso tempo, mi attendo che i donatori insistano perché il governo del Bhutan agevoli il rapido rimpatrio dei rifugiati. Accolgo davvero con grande piacere la notizia, comunicata all’Aula dalla onorevole McCarthy, riguardante la generosità dimostrata dal popolo giapponese in questa vicenda.

Ci era stata data assicurazione che i negoziati bilaterali si sarebbero rapidamente conclusi e che le operazioni di controllo nei campi sarebbero iniziate alla fine di luglio, ma, purtroppo, non si è giunti ancora ad alcun accordo. Voglio perciò rinnovare il nostro appello alle parti in causa perché adottino tutte le iniziative politiche necessarie e definiscano una soluzione duratura per l’inaccettabile condizione dei rifugiati bhutanesi, 17.000 dei quali sono nati nei campi.

 
  
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  Dupuis (TDI).(FR) Signor Presidente, innanzitutto è doveroso ringraziare il presidente della delegazione per l’Asia sudorientale, l’onorevole Collins, che è appena intervenuto e a cui si deve questa risoluzione; nel corso degli ultimi mesi egli si è adoperato per cercare di risolvere una questione meno marginale di quanto possa sembrare: non dimentichiamo che decine di migliaia di persone hanno perso tutto e versano in questa situazione da molti anni ormai.

Vorrei inoltre aggiungere che l’onorevole Collins è stato sostenuto da tutta la delegazione, dalla onorevole McCarthy, dall’onorevole Mann e da tutti gli altri membri. Auspico che la Commissione dia seguito alla posizione unanime del Parlamento e spero che i risultati si concretizzino presto. La prossima mossa spetta al Bhutan, ma Commissione e Consiglio devono esercitare pressioni sul governo.

Desidero inoltre attirare l’attenzione su una questione che ci investe da vicino e che riguarda il nostro futuro. L’altro giorno abbiamo votato la relazione dell’onorevole Galeote Quecedo sulla diplomazia comune, che si è rivelata una relazione su una futura scuola per la diplomazia comune. E’ un po’ poco. E’ poco quando si sa che in Bhutan non è presente alcuna delegazione della Commissione, quando si sa che in Nepal non c’è nessuna delegazione, ma soprattutto quando si sa che in Bhutan non ci sono ambasciate di nessuno Stato membro. In questo modo non si favoriscono certo né i contatti né le possibilità di agire per vie diplomatiche per arrivare a una soluzione soprattutto per questa vicenda, ma anche per altri problemi di carattere più generale.

Ed è proprio questa, onorevoli colleghi, la relazione che avete votato. Non si tratta della comunitarizzazione, anche parziale, della politica estera e di sicurezza comune. A questo punto mi chiedo se in un paese come il Bhutan, dove non disponiamo di ambasciate, sia possibile ipotizzare che la delegazione della Commissione possa svolgere le funzioni di ambasciata per i quindici Stati membri. Vi sembra impossibile? Questo progetto va forse al di là di qualsiasi immaginazione? E’ questa la domanda che pongo.

 
  
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  Mann, Thomas (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, come delegazione SAARC del Parlamento europeo, in aprile ci siamo potuti rendere conto della situazione nella quale vivono da anni decine di migliaia di profughi nei campi del Nepal orientale. L'assistenza dell'Unione europea e delle organizzazioni internazionali è efficace, ma nessuno è in grado di garantire un tale livello di sostegno a lungo termine. E' ormai venuto il momento di un accordo concreto.

Bhutan e Nepal non sono paesi confinanti, ma sono vicini per mentalità. Sono entrambi dei regni, hanno entrambi una giovane tradizione parlamentare; uno è buddista e l'altro induista. Entrambi sanno che il protrarsi del conflitto ostacola i loro progressi nazionali ed economici. Il Bhutan accusa il Nepal di essere paralizzato dai continui cambi di governo. Ora non è più così. Il Nepal rimprovera al Bhutan la mancanza di disponibilità a soluzioni concrete. Si può sperare che anche questo atteggiamento possa cambiare.

Le promesse fatte dal Ministro degli esteri del Bhutan in occasione della sua visita dell'8 giugno a Bruxelles sono state mantenute, perché alla metà dell'anno è iniziato un negoziato decisivo. C'è accordo sulle quattro categorie di abitanti dei campi profughi. E' tuttavia ancora necessaria una chiara definizione comune del concetto di famiglia ai sensi del compromesso dell'UNHCR, di cui ha parlato l'onorevole Collins, e che il Nepal ha già accettato.

Rivolgiamo però un appello anche all'India, che non deve continuare a tenersi elegantemente in disparte. Questo paese è legato ai suoi due vicini da accordi e da rapporti economici. In India ci sono 6 milioni di lavoratori nepalesi, le frontiere sono aperte, non ci sono problemi per l'asilo. Conosco molto bene la Carta che prevede che i conflitti bilaterali non vengano risolti a livello di SAARC. Eppure la più popolosa democrazia del mondo ha una notevole influenza regionale e ha delle responsabilità umanitarie. Qualcosa si muove. Il gruppo PPE-DE confida nella buona volontà e nella lungimiranza di Timphu e di Katmandu, ma anche di Nuova Delhi. Dai colloqui tenutisi a New York tra l'Alto commissario per i profughi ed i Primi ministri del Bhutan e del Nepal ci aspettiamo ora una svolta decisiva.

 
  
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  Frassoni (Verts/ALE). - Signor Presidente, il gruppo dei Verdi/Alleanza libera europea non può che sostenere con forza questa risoluzione che, come hanno affermato i colleghi che hanno avuto un'esperienza diretta di questa tragica situazione, dimostra l'attenzione riservata dalla nostra Istituzione a una regione certamente da noi lontana, ma le cui tragedie umane colpiscono profondamente il nostro spirito.

Come hanno ricordato i colleghi che mi hanno preceduto, molti passi sono stati compiuti ed altri si faranno, e il nostro auspicio è che i futuri colloqui abbiano un effetto positivo. Da parte mia, mi associo all'auspicio del collega Dupuis affinché anche la Commissione, e in generale l'Unione europea, facciano dei passi diplomatici verso quei paesi maggiormente interessati da questa crisi.

Ritengo non ci sia altro da aggiungere, se non dichiarare che anche noi seguiremo con attenzione gli ulteriori sviluppi della situazione.

 
  
  

Birmania

 
  
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  Dupuis (TDI).(FR) Grazie, signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, ci troviamo nuovamente di fronte a un caso esemplare. Il testo, che è purtroppo l’ennesimo sulla Birmania, è molto buono. La situazione del paese è estremamente chiara: da un lato c’è la dittatura e dall’altro, fatto altrettanto incontestabile, c’è l’opposizione. Da dieci anni non si registra alcun progresso. Questo è il fatto su cui credo dobbiamo riflettere.

La nostra politica nei confronti dell’Asia è criminale, letteralmente criminale. Mettiamo infatti sullo stesso piano paesi che, sebbene con difficoltà, continuano a consolidare e a rafforzare la democrazia, come l’India, ed altri, come la Cina, la Birmania, la Corea del nord, che fanno tutto il possibile per rafforzare la dittatura.

Ritengo che dovremmo istituire degli elenchi e definire categorie in modo da intrattenere relazioni diverse in funzione del paese. Tutto ciò purtroppo non accade. Il Parlamento europeo sostiene questa istanza da molto tempo e anche noi dobbiamo insistere. Non possiamo continuare il dialogo con organizzazioni come l’ASEAN come se fosse un tutto omogeneo. Questa organizzazione riunisce paesi completamente diversi che hanno interessi estremamente diversi e nessuna prospettiva di integrazione. Dobbiamo favorire le integrazioni che si fondano sulla democrazia, e non lo stiamo facendo; dobbiamo sostenere e incoraggiare relazioni bilaterali con paesi che si fondano sulla democrazia, che intendono rafforzare lo Stato di diritto e la democrazia e perseguire una politica estremamente dura nei confronti di paesi come la Birmania.

Vorrei infine aggiungere che la Birmania è un paese occupato dalla Repubblica popolare cinese. Numerose fonti di informazione confermano l’esistenza di decine di basi militari cinesi nel paese. La Repubblica popolare cinese si trova ora a circondare l’India, e questo è un fatto reale, concreto. Tutti sono a conoscenza della situazione in Pakistan. Il supporto strategico che la Cina presta al Pakistan per il riarmo e il rafforzamento delle armi nucleari costituisce una forma di accerchiamento e, se nel XX secolo il grande problema mondiale era la Germania, ovvero il problema franco-tedesco, oggi e anche domani ci troveremo dinanzi al problema indocinese. Se fin d’ora non sosteniamo gli stati che puntano alla democrazia e al rafforzamento dei principi democratici, come l’India, e se invece continueremo a stendere tappeti rossi alle autorità di Pechino, finiremo solo col rafforzare un blocco che inevitabilmente diventerà esplosivo. L’esplosione che seguirà non riguarderà solo l’Asia, ma investirà anche l’Europa e l’Unione europea.

 
  
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  Gasòliba i Böhm (ELDR).(ES) Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi rincresce dover nuovamente intervenire per difendere la causa di Aung San Suu Kyi. Non si tratta solo della difesa di una persona che continua soffrire a causa della sua lotta per la democrazia e la libertà, ma si tratta anche di ciò che rappresenta nella lotta di tutto un popolo per il raggiungimento di questi beni.

Aung San Suu Kyi ha ottenuto il riconoscimento della comunità internazionale, avendo ricevuto il premio Nobel, il premio Sacharov conferito da questo Parlamento, il premio della Libertà dell’Internazionale liberale. Ora le vengono negate le libertà più elementari, che non sono riconosciute neppure alle persone che la seguono in questo difficile processo di fronte alla dittatura, come ha già ricordato l’onorevole Dupuis. Costoro si trovano tutti in una situazione inammissibile.

Il gruppo ELDR appoggia pertanto le proposte della risoluzione in oggetto; in particolare, richiamo l’attenzione sul paragrafo 8, dove si chiede agli Stati Uniti, alla Commissione e al Consiglio d’imporre le necessarie sanzioni politiche ed economiche fino a quando in Birmania non sarà avviato un processo di democratizzazione.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ONESTA
Vicepresidente

 
  
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  Maij-Weggen (PPE-DE).(NL) Signor Presidente, ci troviamo di nuovo di fronte alla difficile situazione in cui vive la Presidente della Birmania e alle aggressioni perpetrate da parte del governo militare. Mi sembra che negli ultimi due anni siano già state presentate cinque o sei risoluzioni relative alla situazione in Birmania. E’ deplorevole pensare che un presidente eletto dieci anni fa con l’80 percento dei voti, che si oppone in maniera non violenta al regime militare del proprio paese, che è stato insignito del premio Nobel e del premio Sacharov, ottenga l’appoggio verbale, come dimostrato dalle parole del Presidente Clinton di questi ultimi giorni, per la sua resistenza pacifica, ma non possa contare su un sostegno concreto per occupare il posto che gli spetta nel proprio paese. Un paese, non dimentichiamo, in cui vige un regime militare che si è reso responsabile di terribili violazioni dei diritti dell’uomo e delle minoranze.

L’economia nazionale si fonda sul traffico di droga. Si tratta del secondo produttore mondiale di stupefacenti dopo la Colombia, che ha sciolto il Parlamento, che ha fatto assassinare e imprigionare numerosi deputati, che costringe le minoranze al lavoro coatto, in particolare nel settore della costruzione di infrastrutture e che, ciononostante, può contare su investimenti esteri, anche da parte di paesi europei, come quelli della compagnia petrolifera francese Total e dell’industria idrica olandese. Né l’Unione europea né un suo Stato membro hanno bloccato questo tipo di investimenti.

Non sono un’accanita sostenitrice delle sanzioni economiche, ma in taluni casi, come per il Sud Africa e il Cile degli anni ‘80, esse risultano necessarie per porre fine a una situazione insostenibile. Ritengo che l’Unione europea e gli Stati Uniti debbano concordare una politica comune nei confronti della Birmania. Sono dell’avviso che la Birmania debba rimanere isolata dal punto di vista politico ed economico e che debba essere esercitata un’effettiva pressione. In caso contrario, non facciamo che legittimare l’opposizione violenta. Ci sono persone che dicono: guardate Aung San Suu Kyi. Sono dodici anni che conduce un’opposizione pacifica, è ancora ben lungi dal raggiungere il suo obiettivo, viene riportata a casa e i suoi uomini vengono imprigionati. E cosa accade? La comunità internazionale non interviene.

Chiedo all’Unione europea di discutere con gli Stati Uniti l’opportunità di intervenire in suo aiuto, affinché possa lavorare con il Parlamento per trasformare la Birmania in una vera democrazia.

 
  
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  McKenna (Verts/ALE). - (EN) Signor Presidente, voglio esprimere il mio consenso su quanto affermato dagli altri oratori. Ben dieci anni fa, la Lega nazionale per la democrazia ottenne la larga maggioranza dei seggi in elezioni libere e corrette; ciononostante, la democrazia è stata soppressa in ogni modo e circostanza. Ritengo che la recente riammissione della Birmania alle riunioni ASEAN e Ue-ASEAN sia stata un grande errore. La Birmania, infatti, non ha ancora fatto alcunché per mostrare di meritare quella riammissione. Si dovrebbe perciò riconsiderare attentamente tale indirizzo politico ed escludere la Birmania dalle suddette organizzazioni.

Ritengo poi che l’Unione europea possa fare ben più di quanto ha già fatto. Aung San Suu Kyi ha chiesto che si adottino sanzioni, ma noi, a questo riguardo, non abbiamo fatto niente. Persino gli Stati Uniti hanno quantomeno bloccato i nuovi investimenti. Per quale ragione l’Unione europea non si adopera affinché si impongano le sanzioni richieste? Dobbiamo fare quanto possiamo per cercare di eliminare il lavoro coatto e le violazioni dei diritti dell’uomo. Come auspica la risoluzione, dobbiamo scoraggiare ogni forma di turismo verso la Birmania e sono queste le iniziative a cui dovremmo garantire il nostro sostegno.

 
  
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  Callanan (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, concordo con molte delle osservazioni espresse dalle onorevoli McKenna e Maij-Weggen sulla situazione in Birmania. Tuttavia, vorrei anche riferire di un caso particolare riguardante un elettore del mio collegio elettorale, un caso che costituisce un ottimo esempio della brutalità delle autorità birmane.

Nel settembre 1999 James Mawdsley, un cittadino britannico residente nell’Inghilterra nordorientale, è stato condannato in Birmania a 17 anni di reclusione in regime di isolamento da scontare in una prigione locale. La madre, al momento, è in viaggio verso la Birmania, dove spera di poter vedere il figlio.

Il crimine di cui si sarebbe macchiato, secondo le autorità locali, è di essere entrato nel paese e di aver tentato di attirare l’attenzione sulle violazioni ai diritti dell’uomo là perpetrate. Le accuse contro di lui sono state tutte montate ad arte. Egli, per esempio, è stato accusato di essere entrato illegalmente nel paese, ma il personale dell’ambasciata britannica ha potuto visionare il suo passaporto, sul quale vi è un timbro d’ingresso apposto dalle autorità birmane, a riprova che egli è entrato nel paese in maniera assolutamente legale. Le autorità e il personale diplomatico dello Stato britannico hanno tentato senza sosta di richiamare l’attenzione delle autorità birmane sul caso in questione, ma finora non hanno ottenuto alcun risultato.

Chiedo perciò al Parlamento e alla Commissione di fare quanto è possibile per garantire che James Mawdsley venga rilasciato.

 
  
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  Randzio-Plath (PSE).(DE) Signor Presidente, mi consenta di iniziare chiarendo che nel dibattito sui diritti dell'uomo la sostituzione dell'Iran con la Birmania non significa che il mio gruppo non sia estremamente preoccupato per la situazione dei diritti dell'uomo in Iran. Continueremo ad occuparcene anche in futuro. Tuttavia, le attuali circostanze, le scandalose decisioni e lo scandaloso comportamento del governo militare della Birmania, rendono necessario che il Parlamento europeo faccia sentire la propria voce. Dobbiamo esprimere la più profonda ammirazione e rispetto per l'intervento non violento e coerente del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi ed anche dei membri e dei politici della Lega nazionale per la democrazia. Noi siamo dalla loro parte, e l'Unione europea insieme alla comunità internazionale farà tutto il possibile per contribuire al ristabilimento dei diritti dell'uomo o, meglio, per l'affermazione dei diritti dell'uomo, della democrazia e dello Stato di diritto in Birmania.

Sicuramente, San Suu Kyi continua ancora ad essere un vessillo di speranza. Le sue ininterrotte azioni dimostrano che non è possibile far tacere la sua voce, e che quindi anche noi in Europa abbiamo il dovere di fare tutto quello che possiamo fare affinché questa voce sia ascoltata qui in Europa, in America e anche e soprattutto in Asia. E' un vessillo di speranza per i perseguitati, per gli oppressi e anche per le moltissime persone costrette al lavoro coatto. E' un vessillo di speranza anche per gli uomini e le donne che in Europa nel 1990 hanno scelto la democrazia, il regime parlamentare e lo Stato di diritto. Dobbiamo incoraggiare i nostri partner, i paesi dell'ASEAN, ma anche gli altri Stati dell'Asia, a fare il massimo sforzo per favorire un'inversione di rotta di questo governo di transizione, come esso continua cinicamente a definirsi.

Per questo motivo secondo me è giusto inasprire le sanzioni economiche imposte a ragione dall'Unione europea. Ora dobbiamo porre i colloqui con la Birmania come priorità all'ordine del giorno del dialogo istituzionalizzato e del vertice in Laos, in modo che sia chiaro che l'ASEAN e anche l'Unione europea sono responsabili dello sviluppo della Birmania.

 
  
  

Violazioni dei diritti dell’uomo in Colombia, con particolare riferimento al caso di padre Brendan Forde

 
  
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  Medina Ortega (PSE). - (ES) Signor Presidente, il Parlamento si è più volte occupato della situazione in Colombia, dove è in corso ormai da vari decenni una larvata guerra civile in cui la violenza ha acquisito carattere strutturale. Questa guerra civile larvata si è notevolmente complicata con lo sviluppo del narcotraffico, in quanto la Colombia è diventata un paese di produzione e transito di stupefacenti diretti verso il resto del mondo. In questa situazione vari gruppi ricorrono alla violenza: non solo le organizzazioni paramilitari e i guerriglieri, ma anche le organizzazioni di narcotrafficanti. A volte, anche le unità militari ricorrono alla violenza e violano i diritti dell’uomo.

In una situazione del genere, ha avuto enormi difficoltà il tentativo d’istituire zone di pace, per esempio mediante le comunità della pace create nella regione rurale di Urabá. Di recente ci sono stati addirittura degli omicidi in queste comunità di Urabá, in particolare nell’area di La Unión. I dirigenti di queste comunità sono stati minacciati di morte e la minaccia di morte in Colombia è una cosa molto seria perché di solito viene portata a compimento.

Questo Parlamento non può fare molto. Appoggiamo gli sforzi del governo colombiano e di altre organizzazioni per il raggiungimento della pace e ribadiamo l’auspicio e l’interesse che le istituzioni europee collaborino con il governo colombiano per il mantenimento della pace.

 
  
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  Gasòliba i Böhm (ELDR). - (ES) Signor Presidente, onorevoli colleghi, come già sottolineato dall’onorevole Medina Ortega, non possiamo che deplorare il conflitto in Colombia e ricordare che nella comunità della pace di La Unión, nella regione di Urabá, sono state uccise tre persone dal 1997. Il governo colombiano ha deciso di cercare i responsabili e di rispondere con le relative condanne. Dal 1997, tuttavia, sono state uccise tre persone, l’ultima l’8 luglio di quest’anno; la comunità della pace di La Unión e la commissione intercongregazionale di giustizia e pace, di cui fa parte il francescano irlandese Brendan Forde, sono state ripetutamente minacciate di morte, nonostante la loro neutralità e il loro contributo alla pacificazione della zona.

Riteniamo che questa situazione richieda nuovamente un intervento quanto mai energico da parte delle istituzioni europee. Sia la Commissione che il Parlamento europeo dispongono di varie possibilità per realizzarlo in collaborazione con l’ufficio diritti umani delle Nazioni Unite nonché mediante l’ufficio dell’Alto commissariato per i diritti dell’uomo dell’ONU in Colombia. Chiediamo che la Commissione, in collaborazione con il Parlamento, metta a disposizione del governo colombiano tutta la nostra forza politica e la nostra capacità di pressione affinché la Colombia consegua la pace tanto agognata e non si ripetano più queste situazioni drammatiche di omicidi, morti e massacri.

 
  
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  Banotti (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, lo scorso anno ho avuto l’onore di visitare questo bellissimo e tormentato paese ed è privilegio di chi siede qui, nel Parlamento europeo, quello di poter alzare la propria voce a difesa dei diritti di persone che vivono a enorme distanza da noi. Sempre lo scorso anno, ho avuto anche l’onore di incontrare molti degli attivisti che operano per il rispetto dei diritti dell’uomo in Colombia.

Nel corso di quest’anno, in Irlanda, come si può evincere dalle preoccupazioni espresse oggi dai colleghi irlandesi in quest’Aula, abbiamo appreso del pericolo a cui è esposto il padre francescano Brendan Forde. Egli vive e opera nel piccolo villaggio di La Unión e là, assieme ai suoi fedeli, ha scelto di restare, pur mettendo in grave pericolo la propria vita. L’area in cui si trova è così isolata che probabilmente egli non saprà nulla del nostro dibattito. Per raggiungere il telefono più vicino e comunicare con qualcuno, deve infatti percorrere ben diciotto miglia. Per questa ragione, considero un privilegio la possibilità di esigere a gran voce che la vita sua e di chi vive con lui in quella piccola comunità sia protetta e che le autorità della Colombia siano informate delle nostre preoccupazioni.

 
  
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  McKenna (Verts/ALE). - (EN) Signor Presidente, voglio innanzitutto esprimere la mia estrema delusione per la risoluzione in esame. Il gruppo Verts/ALE aveva sottoscritto l’emendamento, ma è rimasto allibito di fronte al fatto che tanto l’emendamento quanto la risoluzione sono contraddistinti da eccessiva prudenza. Essi, infatti, non prendono in considerazione un certo numero di temi di grande importanza quali il Piano Colombia e le gravi violazioni dei diritti dell’uomo che avvengono nel paese in questione.

Molte organizzazioni attive nel campo dei diritti dell’uomo hanno affermato che le violazioni compiute dai gruppi paramilitari godono del sostegno delle forze armate e che l’assassinio della povera gente nelle aree rurali è conseguenza di tale appoggio. Molti elementi appartenenti alle forze militari colombiane continuano ad essere coinvolti nelle violazioni di cui ho detto e il sostegno e la complicità con le atrocità commesse dai gruppi paramilitari sono di fatto ignorate dalle autorità colombiane. Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha riferito in maniera puntuale sulle misure punitive adottate dalle forze armate colombiane nei confronti dei membri delle stesse colpevoli di violazioni dei diritti dell’uomo.

Il Piano Colombia si concretizzerà in uno stanziamento, da parte degli Stati Uniti, di 1,3 miliardi di dollari destinato soprattutto a scopi militari. Molte organizzazioni attive nel campo dei diritti dell’uomo ritengono che il piano peggiorerà la condizione di povertà delle popolazioni rurali e produrrà un aumento della violenza a fini politici. Esso causerà danni irreversibili alla popolazione e all’ambiente e non risolverà il problema della droga. Il Piano Colombia, inoltre, è stato predisposto senza consultare la popolazione colombiana e questo è inaccettabile.

Mi sono recata in Colombia lo scorso anno assieme a delle ONG e posso affermare che la situazione è assai grave. I soldati colombiani continuano ad incoraggiare attivamente i gruppi paramilitari responsabili delle violazioni dei diritti dell’uomo ed è evidente che gli Stati Uniti e la Colombia hanno agito contro l’interesse della popolazione. Ritengo che questi fatti dovevano essere inseriti nella risoluzione ma il solo gruppo disposto ad affrontare la questione del Piano Colombia e dell’intera situazione dei diritti dell’uomo in Colombia era il nostro. Considero tale atteggiamento una scelta infelice del Parlamento e una manifesta rinuncia a compiere il nostro dovere nei confronti delle popolazioni di tutto il mondo.

 
  
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  Marset Campos (GUE/NGL). - (ES) Signor Presidente, quando è comparso dinanzi a quest’Aula, il Presidente Pastrana si è impegnato a lavorare per la pace nel suo paese, ma ha dimenticato di fare riferimento a tre questioni abbastanza gravi.

Innanzitutto, la responsabilità primaria del governo, che protegge la violazione dei diritti dell’uomo, le torture, i sequestri e gli omicidi commessi dai gruppi paramilitari con la connivenza dell’esercito.

In secondo luogo, la soluzione di problemi così gravi come la coltivazione di cocaina e la violenza può scaturire solo dai colloqui di pace con le FAR e l’ELN.

In terzo luogo, il Presidente Pastrana non ci ha detto che stava preparando con gli Stati Uniti il Piano Colombia per un intervento militare nella zona, alle spalle del Parlamento colombiano, alle spalle dell’opinione pubblica europea e mondiale.

Per queste ragioni, poiché il Piano Colombia comporta il pericolo di una “vietnamizzazione” dell’America Latina, occorre procedere con tre proposte concrete.

Primo: che qualunque aiuto proveniente dall’Unione europea sia concesso una volta firmata la pace fra il governo, le FAR e l’ELN.

Secondo: che l’Unione europea condanni il piano Colombia e chieda una soluzione negoziata e pacifica al conflitto, per evitare questa escalation di tipo militare.

Terzo: che l’Unione europea chieda al Presidente Pastrana la cessazione di tutte le violazioni dei diritti dell’uomo da parte delle bande paramilitari nel suo paese, per cancellare il triste record mondiale delle migliaia di vittime che si registrano ogni anno.

Sarebbe pertanto necessario – come già ricordato, ma bisognerebbe procedere con azioni concrete – che l’Unione europea istituisca in America Latina un osservatorio dei diritti dell’uomo, analogo a quello già esistente dell’ONU. Sono infatti molti i paesi, soprattutto la Colombia, che non rispettano la democrazia e i diritti dell’uomo; a noi spetta il compito di aiutare in modo appropriato questa regione, così importante per noi e per il mondo intero.

 
  
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  Doyle (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, vorrei rivolgermi direttamente al Commissario Nielson per ricordargli che il 18 agosto scorso gli ho scritto per esprimere la mia preoccupazione sulla sorte e la condizione del padre francescano irlandese Brendan Forde, la cui vita è minacciata dalle complesse circostanze politiche in cui è versa la Colombia. Al nome del frate vorrei aggiungere quello di due giovani ambientalisti di cui da luglio non si hanno più notizie: un giovane nato e cresciuto in Irlanda, Tristan James Murray, la cui madre è di Wexford, la mia stessa regione, e il suo collega colombiano, Javier Nova.

Tutti siamo preoccupati dal fatto che il Piano Colombia potrebbe elevare il livello del conflitto e aumentare la diffusione della guerilla nel paese. Invito perciò il Commissario ad assicurare che gli aiuti dell’Unione, e soprattutto quelli americani, vengano impiegati come devono, in altre parole che essi non finiscano per aumentare le aggressioni effettuate dalla milizia nazionale contro le comunità pacifiste con la scusa di cercare di eliminare i gruppi guerriglieri.

Padre Forde ha deciso di restare dove si trova per tentare di proteggere la sua comunità. Oltre ad avere subito numerose minacce di morte, gli sono stati dati venti giorni per lasciare il paese e la Croce rossa internazionale può confermare quanto dico. E’ necessario, insomma, elevare il profilo internazionale di tutte le persone coinvolte, incluse le comunità la cui vita è in pericolo. Confidiamo che lei, Commissario Nielson, vorrà fare quanto in suo potere.

 
  
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  Fava (PSE). - Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, due minuti sono appena sufficienti per raccogliere ed enumerare le terribili cifre che oggi vengono dalla Colombia. Ne citerò solo alcune, risultanti dall'ultimo e-mail ricevuto da Amnesty International: 50 civili uccisi il mese scorso dai paramilitari; 400 massacri di civili perpetrati nel corso del 1999; 3.500 vittime di delitti politici; 1.000 rapimenti; 250.000 civili colombiani rimasti senza casa per ragioni politiche. A tutto ciò si aggiunge ora un massacro nella comunità rurale La Unión, il terzo in tre anni. A noi incombe l'obbligo morale di affermare che questo massacro era perfettamente annunciato, che nulla oggi in Colombia accade per caso.

Che cosa ci resta dunque da fare? Aspettare il prossimo massacro a La Unión o in un altro villaggio per celebrare un'ennesima risoluzione listata a lutto, oppure - come giustamente alcuni colleghi hanno suggerito - dobbiamo far sentire con forza la nostra voce? Ritengo che questo Parlamento oggi debba trovare il coraggio di alzare la voce, facendo proprie ancora una volta le parole di Amnesty International: tutte le parti in conflitto sono responsabili delle violazioni dei diritti umani in Colombia, ma una di esse - i paramilitari - ha una responsabilità preponderante. I gruppi paramilitari stanno infatti stritolando la popolazione civile in una morsa mortale.

Come è stato ricordato, il Presidente Pastrana è comparso in quest'Aula offrendo il suo apprezzabile sforzo per ricondurre tutte le parti al dialogo. A questo parlamento spetta il compito di chiedere che sia ristabilito un alfabeto di regole e di diritti innanzitutto all'interno dello Stato colombiano, oltre a denunciare ciò che oggi avviene in Colombia.

I paramilitari agiscono di concerto, complici, con l'esercito, che spesso - come in questo caso - stila le liste di morte delle persone da colpire. Nessun serio tentativo è stato sinora compiuto per assicurare alla giustizia i capi di questo presunto esercito paramilitare: per citarne uno, Carlos Castaño, che continua a rilasciare impunemente le sue interviste alle reti radiofoniche colombiane.

Ribadiamo pertanto il nostro sostegno a una soluzione pacifica e, senza ipocrisia, chiediamo al governo colombiano di considerare il tragico ruolo svolto dai paramilitari; infine, invitiamo la Commissione e gli Stati membri a mettere in atto tutte le risorse politiche atte a tutelare la sicurezza delle organizzazioni civili impegnate nella difesa dei diritti dell'uomo.

 
  
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  González Álvarez (GUE/NGL). - (ES) Signor Presidente, eccoci di nuovo a parlare della Colombia, come ricordava l’onorevole Medina. In questo caso per chiedere protezione per il francescano irlandese Brendan Forde e il suo gruppo. L’omicidio dell’ultimo difensore dei diritti dell’uomo in Colombia risale al maggio scorso. Si chiamava Ramiro Zapata. Sono 25 i difensori dei diritti dell’uomo uccisi nell’ultimo anno e mezzo. Sono 3.000 i militanti della Unión Patriótica caduti negli ultimi anni.

Luis Guillermo Pérez, anch’egli difensore dei diritti dell’uomo, sostiene che esiste un piano, il cosiddetto Piano dei cento, per assassinare cento difensori dei diritti dell’uomo. Sarebbe una catastrofe per la Colombia. Speriamo che si tratti di una esagerazione, ma se fosse la verità, sarebbe un’autentica sciagura per la Colombia. Ritengo che l’Unione europea debba avere una sua iniziativa, una sua strategia, estranea a qualunque avventura militarista, come appare quella statunitense, per rendere più sopportabile la vita dei colombiani.

 
  
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  Salafranca Sánchez-Neyra (PPE-DE). - (ES) Signor Presidente, il Parlamento europeo, che ha un impegno ineludibile e irrinunciabile per quanto riguarda i diritti dell’uomo in Colombia e in tutto il pianeta, deve nuovamente esprimere la sua preoccupazione per la situazione in quel paese, in particolare per le minacce subite dal religioso irlandese Brendan Forde e dalla sua comunità, minacce che condanniamo con la massima fermezza.

L’Unione europea, signor Presidente, dovrebbe fare qualcosa di più che esprimere la sua preoccupazione, chiedere la sicurezza dei suoi cittadini e ribadire il suo appoggio ai colloqui di pace avviati dal Presidente Pastrana con i gruppi paramilitari. E’ giunto il momento di passare dalle parole ai fatti, altrimenti la nostra non è che retorica.

Vorrei ricordare che il Presidente Pastrana è stato il primo Capo di stato straniero a comparire in questa legislatura dinanzi alla nostra Assemblea. Ora ha bisogno di una risposta specifica e solidale da parte dell’Unione europea sui tre fronti aperti: il processo di negoziazione del conflitto armato, la lotta contro la droga (che dobbiamo considerare in un’ottica di responsabilità condivisa) e il consolidamento istituzionale, con un appello speciale per la difesa dei diritti dell’uomo.

Desidero ricordare le parole del Presidente Pastrana in quest’Aula: “Credo che non sia possibile un futuro degno e democratico senza una cultura di rispetto dei diritti fondamentali. So che durante il lungo conflitto interno colombiano sono state commesse gravi violazioni di tali diritti e questo non deve più succedere. Il mio impegno a favore della difesa dei diritti dell’uomo è totale ”.

Ben diversa, signor Presidente, è la realtà che oggi scuote la Colombia. Per questo motivo, signor Presidente, mi sembra importante che la Commissione ci dica di quali mezzi dispone per dare una risposta comunitaria a tale problema, visto che il progetto preliminare di bilancio per il 2001 non contiene alcun riferimento alla risposta di cui ha parlato poco fa la onorevole González Álvarez: una risposta franca e specifica dell’Unione europea. Quali sono i piani della Commissione per offrire una risposta solidale al conflitto che opprime la Colombia?

 
  
  

Soldati britannici tenuti come ostaggi in Sierra Leone

 
  
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  Ferrer, Concepció (PPE-DE). - (ES) Signor Presidente, purtroppo siamo di fronte ad un altro caso di sequestro di persona in Sierra Leone. Questa volta si tratta del sequestro di undici soldati britannici da parte della milizia dei West Side Boys. Lo stesso gruppo di ribelli ha inoltre effettuato una serie di attacchi volti ad ampliare la propria zona d’influenza; ne sono rimasti vittima tre membri delle forze filogovernative.

Si tratta di azioni che il gruppo PPE-DE condanna con fermezza e che anche il Parlamento europeo dovrebbe condannare, chiedendo l’immediata liberazione senza condizioni dei soldati sequestrati e manifestando il suo appoggio al governo della Sierra Leone, nonché alle forze dell’UNAMSIL e dell’esercito britannico che si adoperano per il consolidamento della pace in questo paese. Una pace che continua ad essere un bene precario, come dimostra questo sequestro. Non possiamo pertanto limitarci a semplici parole di condanna, ma occorre passare all’azione ed esigere che siano rispettati gli accordi di pace di Lomé e che si proceda al disarmo di tutte le milizie.

Tuttavia, fino a quando la Sierra Leone continuerà ad essere dominata dalla povertà, fino a quando non si porrà fine una volta per tutte al traffico di diamanti e al commercio delle armi, non ci sarà nessuna pace in questo paese martoriato.

Occorre pertanto che l’Unione europea dispieghi tutti i mezzi a sua disposizione non solo per contribuire al consolidamento del processo di pace, ma soprattutto per rendere possibile la creazione di condizioni di vita tali da fare della pace un cammino irreversibile. Occorre che la politica di cooperazione allo sviluppo sia generosa e coordinata, soprattutto nel campo dell’istruzione. Da qui anche lo sforzo di bilancio che si chiede per questa politica; una politica che contribuisca a mettere fine alla piaga della povertà. Occorre soprattutto un’azione decisa da parte dell’Unione europea, degli Stati membri e di tutta la comunità internazionale per far cessare una volta per tutte il traffico di diamanti nella zona. Fino a quando la ricchezza naturale di un paese continuerà ad andare a beneficio solo dei signori della guerra, fino a quando, cioè, i diamanti permetteranno ai paramilitari di disporre di capitali sufficienti per acquistare armi e proseguire la propria attività, la pace resterà un sogno irraggiungibile. Senza la pace lo sviluppo resterà una semplice utopia.

 
  
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  Maes (Verts/ALE).(NL) Signor Presidente, signor Commissario, chi si è visto passare sotto gli occhi queste tragedie ad ogni sessione a Strasburgo non può non chiedersi che cosa possiamo fare. In Sierra Leone non vengono presi in ostaggio solo soldati delle Nazioni Unite o soldati britannici, ma nel corso degli anni è stata presa in ostaggio un’intera popolazione e abbiamo contribuito anche noi al crearsi di questa situazione, in particolare con il commercio di diamanti.

Il 5 luglio il Consiglio di Sicurezza ha promulgato l’embargo per quanto concerne i diamanti provenienti dalla Sierra Leone. Ora dobbiamo adottare ogni mezzo per tradurre l’embargo in realtà. L’Unione europea deve intraprendere le azioni necessarie per porre fine al commercio di questi diamanti macchiati di sangue. Ritengo quindi che non sia sufficiente limitare il commercio di diamanti dalla Sierra Leone.

Dobbiamo continuare a garantire il nostro sostegno al governo, senza dimenticare il necessario appoggio da fornire al Tribunale di guerra. Dobbiamo dire basta all’impunità di cui godono coloro che, servendosi delle armi, possono togliere la vita ai loro concittadini.

 
  
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  Bordes (GUE/NGL).(FR) Signor Presidente, la mia solidarietà va ai soldati britannici sequestrati da una delle bande armate che imperversano in Sierra Leone. Anch’essi sono stati travolti da una politica la cui vittima principale è la popolazione civile e il cui principale artefice è proprio il governo britannico, sostenuto dalle grandi potenze occidentali, in primo luogo la Francia, e l’ONU.

E’ vergognoso che la risoluzione non faccia menzione del ruolo presente e passato della Gran Bretagna. L’ex potenza coloniale, dopo aver saccheggiato e sfruttato questa regione del mondo, ha imposto con brogli elettorali un governo che rappresenta in primo luogo i propri interessi. Le manovre britanniche sono le cause principali di una guerra civile barbara di cui la Gran Bretagna è responsabile sia direttamente, tramite la sua diplomazia, sia indirettamente, attraverso gli eserciti delle sue ex colonie africane il cui comportamento sul campo è stato altrettanto atroce di quello delle bande armate. Le stesse bande armate, in primo luogo la RUF, non rappresentano certo gli interessi della popolazione, come emerge chiaramente dai loro metodi e dai loro obiettivi. Ma la responsabilità che hanno avuto nelle tragiche sorti del paese, per quanto grandi, non raggiungono il grado di cinismo dimostrato dai ministri e dagli alti funzionari britannici.

Per concludere, voteremo contro questa risoluzione che nasconde una politica coloniale a cui è stata conferita una parvenza di modernità.

 
  
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  Van Orden (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, vorrei ribattere agli sforzi spesi dalla sinistra spagnola per fare di Gibilterra una questione politica sulla scorta della tragedia del Kursk. Il sottomarino Tireless è ben custodito in territorio britannico e le riparazioni verranno effettuate secondo i più elevati criteri di sicurezza.

Per quanto riguarda la Sierra Leone, non sono affatto d’accordo con quanto affermato dall’oratore che mi ha preceduto, ma ritengo di dover esprimere un’osservazione più ampia in merito al ruolo del governo britannico. Abbiamo avvertito già mesi fa il governo laburista in merito ai pericoli connessi ad un impegno a tempo indeterminato delle truppe britanniche nella Sierra Leone. Ad esse doveva essere affidata fin dal principio una missione chiara e dai tempi definiti con una strategia realistica di ritiro. L’attuale, inaccettabile situazione è evidentemente frutto della fase di stallo della missione e dell’indecisione politica e rappresenta un chiaro monito per il futuro.

 
  
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  Martínez Martínez (PSE). - (ES) Signor Presidente, la situazione in Sierra Leone è stata più volte oggetto delle nostre discussioni su questioni urgenti e abbiamo sempre trattato questo tema incoraggiando i colloqui di pace, la riconciliazione nazionale e gli aiuti agli sfollati, nonché invocando una giustizia penale internazionale in grado di giudicare i responsabili del genocidio commesso in quel paese.

Oggi dinanzi a noi non abbiamo una questione puramente politica, ma un atto criminale che rientra nell’ambito del codice penale. Si tratta di un sequestro di persona perpetrato da delinquenti che non hanno alcun legame politico né con i membri dell’ex giunta militare né con alcuno dei gruppi firmatari dell’accordo di pace del luglio 1999. Le loro rivendicazioni si limitano alla richiesta di liberazione di un gruppo di detenuti e alla revisione di un accordo di pace finalizzato a porre ordine in un paese lacerato. Tuttavia, le vittime del sequestro hanno un gran significato politico.

La presenza internazionale in Sierra Leone costituisce un buon esempio della perseveranza della comunità internazionale nella ricerca della pace mondiale. Per tale ragione, assumendoci questa responsabilità, chiediamo che il Parlamento europeo si rivolga al governo della Sierra Leone e lanci un appello per la liberazione immediata e incondizionata dei soldati britannici sequestrati.

 
  
  

Bombardamenti turchi nell'Iraq settentrionale

 
  
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  Duff (ELDR). - (EN) Signor Presidente, la questione di cui trattiamo è davvero grave. Il principio fondamentale su cui poggia l’Unione europea è la pace e coloro che vogliono aderirvi devono cercare di condurre gli affari interni ed esteri nella maniera più pacifica possibile.

La Turchia, e di ciò siamo consapevoli, deve fare i conti con un confine estremamente vulnerabile e ciò rende particolarmente difficile raggiungere la stabilità e la pace che l’integrazione in Europa esige. Nel quadro della fase di preadesione della Turchia, si dovrebbe mirare all’istituzione di un forum nel quale possano essere discussi temi di carattere tanto militare quanto sociale ed economico. Sotto questo aspetto, l’appartenenza della Turchia alla NATO si traduce per molti Stati membri in una responsabilità particolare. Lo sviluppo di una politica comune in materia di sicurezza e difesa dovrebbe costituire ad un tempo pretesto e luogo d’incontro per cercare di elaborare una posizione comune sul modo in cui combattere il terrorismo nel rispetto dei diritti fondamentali.

Se riusciremo a creare davvero il forum di cui dicevo, saremo anche in grado di consegnare definitivamente al passato questo genere di tristi e gravi incidenti.

 
  
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  Maes (Verts/ALE).(NL) Signor Presidente, la Turchia è un paese NATO, si è candidata per l’adesione all’Unione europea e ha firmato ogni tipo di accordo internazionale, tra cui documenti a favore della tutela dei diritti dell’uomo, contro la tortura, eccetera. Eppure la Turchia prosegue con i bombardamenti contro di curdi al di fuori dei propri confini, nella regione settentrionale dell’Iraq. Signor Commissario, ritengo che si debba essere chiari. Senza una precisa soluzione politica e pacifica del problema curdo, la situazione non potrà certo migliorare e la Turchia dovrà accettarlo. Ritengo che non si possa giungere a una stabilizzazione della regione – e noi cui auguriamo che la pace in Medio Oriente possa avvicinarsi sempre più -, se non si trova una soluzione al problema curdo. Partecipiamo al dolore delle famiglie colpite dai bombardamenti, l’ultimo dei quali risale al mese di agosto, e chiediamo il massimo rispetto per i confini internazionali. In caso contrario non potremo che assistere a nuovi tragici episodi. La guerra non condurrà mai alla pace.

 
  
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  Uca (GUE/NGL).(DE) Signor Presidente, "Che colpa aveva il mio bambino?", questa è la domanda della madre di una vittima del bombardamento intervistata dalla televisione. Perché le vittime delle azioni militari devono essere sempre i bambini, le donne e i civili inermi? Nel bombardamento dei villaggi curdi da parte dell'esercito turco il 15 agosto a Kendakor, si sono avuti più di 32 vittime e 40 feriti. Si è trattato di un massacro e di un atto criminale contro l'umanità. E' un segnale dell'atteggiamento che il governo turco ha verso la pace e verso il popolo curdo, proprio in un periodo in cui esso tende la mano in segno di pace.

Come è stato confermato da un rappresentante del Ministero degli esteri turco, la Turchia conduce di tanto in tanto delle operazioni contro il PKK, che per la terza volta ha unilateralmente dichiarato il cessate il fuoco. Mi chiedo come mai proprio durante il processo di avvicinamento all'Unione europea vengano fornite armi alla Turchia e vengano costruite fabbriche di munizioni. Come mai il 1° settembre sono state proibite le organizzazioni dei diritti dell'uomo e le manifestazioni per la giornata mondiale della pace? Forse che il processo di democratizzazione può essere accelerato con le armi e con le munizioni? Non è così!

Una soluzione pacifica del problema curdo ed il rispetto dei diritti dell'uomo sono la strada migliore per la pace. Perché devono continuare a soffrire le madri? Non possiamo contribuire a far sbocciare dei fiori di fratellanza e di pace tra il popolo curdo e quello turco? Saluto con soddisfazione il programma MEDA, nel quale si afferma che deve cessare ogni discriminazione amministrativa, giuridica, politica, culturale e sociale nei confronti del popolo curdo da parte del governo turco. La concessione dei finanziamenti dell'Unione europea alla Turchia dovrebbe essere vincolata ad una soluzione pacifica della questione curda e all'impiego dei fondi per superare il sottosviluppo economico e sociale della regione curda.

In questo secolo non devono più essere consentiti bombardamenti contro le popolazioni civili! Condanno quest'azione disumana, chiedo che si faccia luce su questo crimine e che si puniscano i colpevoli. Chiedo al Consiglio e agli Stati membri di essere coerenti e di condannare il bombardamento dei villaggi curdi. E' necessario intervenire presso il governo della Turchia, anche al fine di incoraggiare l'avvio di un negoziato con i rappresentanti democratici dei curdi alla ricerca di una soluzione politica. E' questa la via più breve per l'Unione europea!

 
  
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  Morillon (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, è la terza volta che intervengo dall’inizio della sessione su questioni riguardanti la Turchia e le relazioni con l’Unione europea.

Colgo pertanto l’occasione di parlare su alcuni punti che saranno ripresi nella relazione che l’Assemblea mi ha chiesto di redigere sull’ampliamento e sull’adesione della Turchia all’Unione europea. Non ritornerò su questo punto, ma desidero esprimere la mia opinione. Se sarà appurato che l’esercito turco ha dato avvio al bombardamento del 15 agosto scorso a Kendakor, potremo solo incoraggiare il governo turco a ridimensionare il ruolo che i militari continuano a svolgere dietro il pretesto di combattere il terrorismo in ambiti che possono pregiudicare la credibilità della volontà della Turchia di aderire all’Unione europea.

Sembra che si stia per vincere la lotta contro il terrorismo e credo che sia giunto il momento di prendere una decisione del genere. Essendo nella posizione di poter esercitare la forza, il potere militare non può e non deve, salvo rare eccezioni, deciderne il ricorso. I miei 40 anni di carriera militare mi hanno convinto che “cedant arma togae”, ovvero che le armi devono cedere il passo alla legge.

 
  
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  Poos (PSE).(FR) Signor Presidente, la proposta di risoluzione comune sui bombardamenti turchi nell’Iraq settentrionale è stata presentata da cinque gruppi politici del Parlamento europeo. Ciò dimostra l’interesse che il Parlamento nutre per il rispetto del diritto internazionale e dei diritti dell’uomo in questa parte del mondo e testimonia la vigilanza che esso esercita quando si tratta di un paese candidato, nella fattispecie la Turchia.

Non possiamo tollerare che la parte settentrionale dell’Iraq, un’area a sovranità limitata ai sensi di decisioni internazionali, diventi una zona di non-diritto in cui tutto è permesso e in cui oltretutto non è consentita la presenza di osservatori. La lotta legittima contro il terrorismo non giustifica punizioni collettive le cui vittime sono le popolazioni curde di interi villaggi. Questo genere di rappresaglia sproporzionata dovrebbe essere proibita a tutti, tanto più all’esercito di un paese civilizzato.

 
  
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  González Álvarez (GUE/NGL). - (ES) Signor Presidente, come ha sottolineato la onorevole Uca, è inaccettabile che un paese candidato all’adesione all’Unione europea effettui bombardamenti colpendo una popolazione indifesa, uccidendo più di 30 civili e provocando più di 40 feriti.

Riteniamo che in simili circostanze il meno che si possa chiedere ad un paese è il rispetto del diritto internazionale. Condanniamo anche l’ipocrisia di alcuni Stati membri che esportano armi in Turchia violando il codice di condotta sull’esportazione di armi verso paesi che possono servirsene come ha fatto la Turchia nel caso in questione. Ci sembra ipocrita condannare i fatti e poi inviare armi perché ciò si ripeta.

Riteniamo che l’Unione europea debba vigilare affinché ciascuno dei paesi candidati rispetti innanzitutto i diritti dell’uomo. Altrimenti la sua candidatura è inaccettabile.

 
  
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  Nielson, Commissione. - (EN) In primo luogo, sulla questione dei rifugiati bhutanesi, la Commissione condivide pienamente la preoccupazione espressa dagli onorevoli deputati sulla condizione dei rifugiati ospitati nei campi del Nepal orientale e auspica che si trovi quanto prima una soluzione definitiva.

La ricerca di una soluzione adeguata richiede ad entrambe le parti nuovi sforzi e nuova iniziativa politica. E’ necessario, prima di ogni altra cosa, accordarsi sulle misure che consentano a chi lo desidera di rientrare nel Bhutan ma, senza la determinazione dei negoziatori a trovare un’intesa, non è certamente possibile definire alcuna soluzione tecnica.

La Commissione esprime il proprio apprezzamento per i risultati che la signora Ogata, attualmente a capo dell’UNHCR, ha conseguito per esempio in occasione della visita al Bhutan e al Nepal nel mese di maggio e accoglie con compiacimento l’impegno delle parti a cercare al più presto una soluzione praticabile. Ho avuto modo di parlare con i rappresentanti dei governi di entrambi i paesi ed essi paiono altrettanto determinati a trovare una soluzione.

La visita della signora Ogata e quella della delegazione del Parlamento europeo, avvenuta nell’aprile scorso, hanno fattivamente contribuito a conseguire un sensibile progresso. Tuttavia, la Commissione esprime il proprio disappunto per il fatto che non sia ancora stata concordata una formula che consenta di effettuare le operazioni di controllo nei campi, nonostante sembrassero ormai mature le condizioni per il raggiungimento di un’intesa.

Nel corso dei contatti regolari che essa intrattiene con le autorità nepalesi e bhutanesi, la Commissione ha sempre sottolineato che la questione deve essere affrontata con la massima urgenza. L’Unione è uno dei maggiori donatori di aiuti umanitari ai rifugiati e finora ha già devoluto più di 11 milioni di euro. Essa ha sfruttato ogni occasione per invitare le parti a conseguire risultati concreti e ha costantemente affermato il proprio impegno a fornire, a fronte di effettivi progressi, le risorse necessarie a facilitare il trasferimento e il reinserimento dei rifugiati. Un certo numero di Stati membri ha espresso lo stesso impegno.

Nel corso dell’attuale esercizio finanziario, la Commissione fornirà, per il tramite dell’UNHCR, 1,5 milioni di euro a titolo di assistenza al funzionamento dei campi. Si deve evitare che i fondi rischino di essere insufficienti e, visti gli importi in questione, il rischio appare controllabile. E’ nostra responsabilità fare in modo che non vi siano problemi.

La Commissione è impaziente di valutare i risultati del prossimo incontro tra il Primo ministro del Nepal, Koirala, e il Presidente del Consiglio dei ministri del Bhutan, Zimba; l’incontro avverrà in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite convocata per l’11 settembre.

Passando ai recenti avvenimenti in Birmania, il 18 maggio la Commissione ha deplorato, in quest’Aula, la continua violazione dei diritti dell’uomo perpetrata dalle forze armate birmane. In quell’occasione abbiamo riferito di esecuzioni extragiudiziali, dell’imposizione del lavoro coatto, del trasferimento forzato di intere comunità, della repressione a danno degli oppositori politici e delle azioni condotte per impedire che i partiti politici legittimamente costituiti possano operare liberamente.

Abbiamo anche condannato sia le restrizioni alla libertà di movimento imposte a Aung San Suu Kyi e ad altri membri della Lega nazionale per la democrazia sia l’ormai consueta pratica degli arresti ingiustificati.

Allo stesso tempo, la Commissione ha manifestato il proprio sostegno alla posizione comune dell’Unione in merito alla Birmania e alla decisione del Consiglio “affari generali” dell’aprile 2000 di rafforzare tale posizione comune. Approfittiamo di ogni occasione possibile per chiedere ai nostri partner asiatici di insistere perché il Consiglio di stato per la pace e lo sviluppo intraprenda un dialogo effettivo con i deputati democraticamente eletti e con le minoranze etniche. Il fine deve essere quello di giungere ad una soluzione reciprocamente concordata dell’attuale situazione, tale da ristabilire nel paese il rispetto delle norme internazionali sui diritti dell’uomo.

Molti oratori nel corso di questo pomeriggio hanno fatto riferimento al turismo. L’Unione ha già chiaramente espresso il proprio sostegno a quanto auspicato da Aung San Suu Kyi, ovvero che i cittadini dei paesi civilizzati non scelgano la Birmania come meta turistica. Non possiamo che incoraggiare i nostri cittadini ad aderire alla richiesta.

Gli eventi più recenti registrati a Rangoon forniscono una perfetta dimostrazione, se mai ce n’era bisogno, di quanto fosse opportuna la condanna da noi espressa per le inaccettabili pratiche messe in atto dal regime militare. L’arresto illegittimo e la successiva detenzione di Aung San Suu Kyi e degli esponenti del suo partito, insieme a quelli dei giovani leader locali effettuati lo scorso sabato, non possono in alcun modo essere giustificati affermando che avessero bisogno di “protezione”. Tale trattamento non può neppure essere motivato con accuse non provate di cospirazione. Si è trattato di un atto criminale da parte di un governo in preda al panico. La Commissione unisce perciò la propria voce alle richieste lanciate da ogni parte del mondo affinché cessi immediatamente il regime di arresti domiciliari a cui sono costretti Aung San Suu Kyi e gli esponenti del suo partito, affinché siano immediatamente ripristinati i normali canali di comunicazione diplomatica con i vertici della Lega nazionale per la democrazia, affinché siano immediatamente rilasciati i giovani leader detenuti senza motivo e perché si ponga immediatamente fine al controllo illegale delle conversazioni telefoniche private dei deputati birmani democraticamente eletti.

Riguardo alla Colombia, l’omicidio di civili innocenti ci ha costretto più volte ad occuparci della situazione dei diritti dell’uomo in questo paese. L’impunità per gli autori di tali atrocità è stata quasi sistematica e abbiamo anche notizia di un drammatico aumento delle minacce di morte nei confronti di quanti forniscono assistenza sul campo ai gruppi più esposti. Siamo stati informati, per esempio, delle gravi minacce di morte lanciate all’indirizzo del frate irlandese Brendan Forde, il quale sta operando in una delle regioni più colpite dalla violenza. La Commissione deplora profondamente e condanna tale situazione e invita le parti coinvolte nel conflitto a rispettare le leggi e i principi umanitari.

La Commissione, inoltre, sostiene l’impegno per la pace profuso dal Presidente Pastrana. Essa farà quanto in suo potere per promuovere il sostegno ad una pace duratura nel paese. Per quanto concerne ciò che è stato affermato nel corso dell’odierno dibattito, dal mio punto di vista l’aumento delle armi da fuoco non avvicina il paese ad una soluzione, anzi non può che aumentare i problemi già esistenti.

La Commissione condivide le preoccupazioni del Parlamento per il recente sequestro di undici soldati britannici nella Sierra Leone. Auspichiamo che gli sforzi avviati per garantire il rilascio degli ultimi sei soldati abbiano successo. Cogliamo l’occasione per esprimere la nostra solidarietà ai soldati e ai loro familiari. La Commissione considera con preoccupazione l’eventualità che gli incidenti di questa natura e il sequestro di addetti dell’ONU possano compromettere i tentativi di rimettere sulla giusta strada il processo di pace. Saremo ben lieti di accogliere qualsiasi decisione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite che miri a rafforzare la presenza dell’ONU nella Sierra Leone.

La risoluzione del 5 luglio di quest’anno del Consiglio di sicurezza, con la quale si vieta il traffico illegale di diamanti provenienti dalla Sierra Leone, è stata trasposta nella normativa comunitaria. Il divieto, al pari di quello riguardante la vendita di armi ad altri gruppi in vigore fin dal 1997, deve essere applicato con rigore. La Commissione invita tutte le parti interessate - tra cui l’industria europea dei diamanti - a sostenere l’azione dei comitati ONU per le sanzioni.

La Commissione mantiene il proprio sostegno all’impegno del governo volto a ripristinare la pace nel paese e ad attuare i programmi di ripresa economica. Il finanziamento garantito dal Fondo europeo di sviluppo è mirato, nel quadro di un più ampio programma di ricostruzione, alla smobilitazione e al reinserimento dei combattenti. L’assistenza alla ripresa economica può contare su un programma di finanziamento del valore di 8,2 milioni di euro mentre al miglioramento della gestione della finanza pubblica dovrebbe contribuire un programma di assistenza tecnica. Nei prossimi mesi, la Commissione chiederà l’approvazione di un programma in materia di ricostruzione e reinserimento per 30 milioni di euro, di un programma di sostegno al settore sanitario per 28 milioni di euro, di un programma di sostegno finanziario da attuarsi a conclusione del conflitto per 34,75 milioni di euro e di un programma di sostegno a favore del Ministero delle finanze per 4,5 milioni di euro.

Per quanto concerne l’assistenza umanitaria, la Commissione, per mezzo di ECHO, continua a finanziare i programmi di sostegno a favore delle comunità di rifugiati e sfollati, la cui attuazione è demandata alle ONG internazionali e all’ONU. A partire dal 1999, ECHO ha fornito circa 26 milioni di euro a titolo di assistenza in materia di cure mediche, alimentazione terapeutica, risorse idriche e impianti sanitari e a titolo di assistenza sociale e psicologica a favore dei bambini coinvolti nella guerra. Quest’ultimo punto è di particolare importanza, considerata la condizione terribile dei bambini soldato e dell’infanzia in generale nella Sierra Leone. In aggiunta a quanto indicato, il finanziamento ha in particolare fornito assistenza ai mutilati, ai rifugiati e agli sfollati.

In relazione alla questione dell’Iraq settentrionale, la Commissione condivide la preoccupazione espressa in diverse proposte di risoluzione in merito alle recenti operazioni condotte dall’aviazione militare turca, responsabili della morte di numerosi civili. La Commissione ha avuto modo di constatare che il Ministero degli esteri turco sta indagando sull’incidente e valutando la possibilità di un indennizzo. Gli sconvolgimenti provocati dalle incursioni dell’esercito turco in territorio iracheno compromettono i tentativi di rendere stabile l’area e sono causa di inutili sofferenze per la popolazione curda, che di sofferenze ne ha già subite fin troppe. Pace, stabilità e sostegno allo sviluppo economico sono gli unici fattori che possono consentire all’area in questione di tornare ad una vita normale. Nel corso degli ultimi anni, l’Unione europea ha ripetutamente sottolineato la necessità di rispettare l’integrità territoriale dell’Iraq, specie lungo il confine con la Turchia. Le recenti incursioni non risolvono né i problemi della Turchia né quelli di alcun altro paese. Dal nostro punto di vista, l’unica via praticabile per dare una stabilità duratura alla regione resta il dialogo pacifico tra le parti. Ho preso nota di quanto gli onorevoli deputati hanno detto nel corso del dibattito riguardo alle prospettive concernenti la Turchia, non ultima quella legata al ruolo che, in futuro, questo paese assumerà nel quadro nella cooperazione europea. Non posso che condividere le osservazioni espresse.

 
  
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  Salafranca Sánchez-Neyra (PPE-DE). - (ES) Signor Presidente, per quanto attiene alla situazione in Colombia, abbiamo rivolto una domanda al signor Commissario, il quale ha risposto che la Commissione sostiene gli sforzi di pace del Presidente Pastrana. Gli ho chiesto se la Commissione intende integrare questo sostegno retorico con qualche tipo di appoggio che vada al di là delle semplici parole. Comprendo che non si tratta del momento opportuno per discutere questo tema, ma vorrei che la Commissione rispondesse, sia pure per iscritto.

 
  
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  Nielson, Commissione. - (EN) Sarò ben lieto di approfondire meglio e per iscritto quanto mi accingo a dire. La mia risposta immediata è che, per dirla in termini chiari e diretti, dobbiamo agire con prudenza ed evitare di assumere un ruolo che si riduca al finanziamento di attività che potremmo anche non condividere del tutto. Dobbiamo anche fare in modo che la nostra azione serva ad alleviare la povertà e fornisca un contributo concreto a favore dei gruppi più svantaggiati. Concludendo, quel che in Colombia già stiamo facendo e quel che faremo, in termini finanziari, dovrà essere adattato con molta attenzione al contesto in questione.

 
  
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  Presidente. – Grazie, signor Commissario.

La discussione congiunta è chiusa.

La votazione si svolgerà alle 17.30.

 
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