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Resoconto integrale delle discussioni
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Giovedì 7 settembre 2000 - Strasburgo Edizione GU
1. Sport
 2. VOTAZIONI
 3. Approvazione del processo verbale della seduta precedente
 4. DISCUSSIONE SU PROBLEMI D'ATTUALITA'
 5. Incidenti di sottomarini nucleari
 6. Burundi
 7. Diritti dell'uomo
 8. Centrale nucleare di Temelin
 9. Incendi in Europa
 10. Situazione nelle isole Figi dopo il colpo di Stato


  

PRESIDENZA DELL’ON. VIDAL-QUADRAS ROCA
Vicepresidente

(La seduta inizia alle 10.05)

 
  
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  Rübig (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente, un richiamo al Regolamento: le interrogazioni rivolte al Consiglio non ricevono più risposta nei tempi previsti. Nonostante due richiami, il Consiglio non ha risposto alle interrogazioni del Parlamento europeo. La prego di fare il necessario affinché il Consiglio rispetti i propri obblighi anche in questo campo.

 
  
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  Presidente. – Grazie, onorevole Rübig. La sua richiesta e la sua osservazione saranno tenute in debito conto.

 
  
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  Lipietz (Verts/ALE).(FR) Signor Presidente, vorrei intervenire in merito ad una mozione di procedura. In relazione ai quesiti posti poc’anzi a Commissione e Consiglio, è noto che, a seguito della crisi petrolifera che colpisce la Francia, e tutta l’Europa, il governo francese ha adottato ieri una serie di misure che modificano radicalmente le condizioni della concorrenza così come le condizioni della lotta contro l’effetto serra, e che hanno pertanto immediate e gravi ripercussioni a livello europeo.

E’ risultato di estremo interesse l’intervento, nella mattinata di oggi – riportato dalla stampa francese – del Commissario, signora Loyola de Palacio, su tale crisi europea. Potrebbero lei stessa e/o il Commissario alla concorrenza prendere la parola durante la presente seduta per illustrare al Parlamento come la Commissione si propone di agire rispetto alla crisi petrolifera, e come Commissione e Consiglio intendono impedire lo scatenarsi di un dumping fiscale in Europa e preparare l’Europa ad affrontare questa crisi petrolifera?

 
  
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  Presidente. – Il punto che lei solleva, onorevole deputato, è evidentemente di grande attualità ed urgenza. Tuttavia, l’ordine del giorno è stato già fissato; sarà pertanto difficile soddisfare la sua richiesta, anche se la Presidenza farà tutto il possibile per venirle incontro.

 
  
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  Reding, Commissione. – (FR) Signor Presidente, la domanda dell’onorevole deputato riveste un’indubbia importanza. Il Presidente ha chiaramente affermato che non ci potrà essere un dibattito nella mattinata di oggi. Riferirò ai Commissari de Palacio e Monti che il Parlamento desidererebbe ascoltarli e, insieme alla Presidenza, si fisserà una data.

 
  
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  Presidente. – La ringrazio, signora Commissario, per la sua disponibilità.(1)

 
  

(1) Ordine del giorno: cfr. Processo verbale

1. Sport
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta:

- la dichiarazione del Consiglio sulla lotta contro il doping e funzione sociale dello sport;

- la dichiarazione della Commissione sui trasferimenti di giocatori di calcio;

- la relazione (A5-0203/2000), presentata dalla onorevole Zabell a nome della commissione per la cultura, la gioventù, l'istruzione, i mezzi d'informazione e lo sport, sulla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle Regioni: Piano di sostegno comunitario alla lotta contro il doping nello sport [COM(1999) 643 - C5-0087/2000 - 2000/2056(COS)];

- la relazione (A5-0208/2000), presentata dall’onorevole Mennea a nome della commissione per la cultura, la gioventù, l'istruzione, i mezzi d'informazione e lo sport, sulla relazione della Commissione al Consiglio europeo nell'ottica della salvaguardia delle strutture sportive attuali e del mantenimento della funzione sociale dello sport nel quadro comunitario - Relazione di Helsinki sullo sport, [COM(1999) 644 - C5-0088/2000 - 2000/2055(COS)].

 
  
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  Buffet, Consiglio – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, vorrei innanzi tutto ringraziarvi per aver dedicato la mattinata allo sport. Tra otto giorni avranno inizio a Sydney le Olimpiadi a cui parteciperanno atleti provenienti da tutto il mondo. Il risultato non è scritto, previsto, tutto è circondato da un alone di incertezza: così è lo sport.

I campioni e le campionesse che si apprestano a farvi sognare seguono i propri percorsi. Benché siano molti coloro che si avvicinano allo sport professionistico, è risaputo che tutte e tutti hanno almeno due punti in comune: la loro selezione è il risultato di molti anni di sforzi e di allenamenti tenaci – intorno ad essi peraltro si sono mobilitati volontari, istruttori, mezzi pubblici e privati – ma, soprattutto, essi hanno iniziato a praticare uno sport in un club, in un'associazione o in una scuola.

Per tutelare lo sport, va pertanto difeso, contemporaneamente e nello stesso modo, sia il club amatoriale locale che lo sport di alto livello, nella sua dimensione dilettantistica o professionistica. Lo sport di alto livello fa sognare, contribuisce allo sviluppo di uno sport di massa con un ruolo sociale educativo. Lo sport di alto livello, amatoriale o professionistico, è oggi soggetto ad una divulgazione mediatica su scala planetaria. Un numero sempre crescente di uomini e donne praticano uno sport, a prescindere dalla propria età e condizione sociale. Lo sport ha acquisito una dimensione che tocca l’intera società.

Non c’è pertanto da stupirsi se tale attività umana sia a volte fuorviata da atti di violenza o di razzismo o se essa susciti appetiti finanziari. Lungi da me voler demonizzare l’economia nello sport. Lo sport ha bisogno di mezzi e tali mezzi non possono essere unicamente pubblici. Il punto non sta nel distinguere uno sport senza denaro – che sarebbe puro – da uno sport che beneficia di denaro – che sarebbe corrotto. No, la vera questione è un’altra, che può essere definita nella maniera seguente: il movimento sportivo avrà i mezzi per preservare l’etica dello sport controllando il denaro di cui lo sport beneficia, impedendo a tale denaro di dettar legge allo sport?

Bisogna essere obiettivi: tale problema non si presenterà fra vent’anni, si presenta oggi. Lo spettacolo sportivo è diventato così allettante che alcuni interessi finanziari se ne vogliono servire in un’ottica di redditività, anche a rischio di sacrificare la sua etica e di considerare gli sportivi alla stregua di merci. Chi non ha assistito all’acquisto o alla vendita di sportivi, talvolta molto giovani? Chi non è rimasto sbalordito dalle cifre di alcuni contratti con i mezzi audiovisivi o di alcuni trasferimenti? Chi non è stato messo in allarme da calendari sportivi sovraccarichi? Chi non si è impensierito per il progetto di alcuni gruppi privati di mettere in piedi, al di fuori delle federazioni sportive nazionali ed internazionali, competizioni sportive private sulla base di un unico criterio, vale a dire il budget dei club, come si è visto di recente nel calcio e, successivamente, nella pallacanestro?

Che sport si vuole per il XXI secolo? La risposta a tale fondamentale domanda di ordine generale dipende dalle risposte che vengono fornite su base quotidiana. Esistono due scelte possibili: da un lato, a partire dalla constatazione delle sue deviazioni, si stabilisce che lo sport dipende soltanto dal mercato e gli sportivi dal loro valore aggiunto. In tal caso bisogna applicare le regole della concorrenza, aggiungere la deregolamentazione alle attuali follie e accettare, nel nome della libera circolazione, che giovani di 18-20 anni vengano acquistati e venduti. Oppure, a partire da ciò che rappresentò la costruzione dello sport moderno in Europa, con i suoi valori umanistici e le sue strutture associative, si decide, nel contesto attuale, con tutto ciò che è in gioco sia in termini economici che sociali, di ridare al movimento sportivo gli strumenti giuridici ed istituzionali per tutelare le pratiche sportive nella loro diversità in seno alle federazioni.

Quest’ultima opzione – quella sposata dalla Presidenza francese – non implica lo status quo, presuppone anzi proposte innovative da parte del movimento sportivo – e plaudo al fatto che ciò si stia avverando nel caso dei trasferimenti – e degli Stati per lottare contro le derive a cui è soggetto lo sport e per sviluppare le pratiche e tutelare le strutture associative nella coesione di ciascuno sport.

Onorevoli deputati, il Parlamento europeo ha già profuso un notevole impegno per sviluppare tale possibilità e si iniziano a registrare progressi sul versante del Consiglio. Nel giugno del 1997, i Ministri per lo sport si sono incontrati allo Stade de France, e poi in Germania, Finlandia e Portogallo. A ciò hanno fatto seguito l’allegato al Trattato di Amsterdam, le conclusioni del Consiglio di Vienna, la relazione di Helsinki sullo sport nel dicembre scorso. Successivamente, a Feira in Portogallo, in occasione del Consiglio del giugno del 2000, fu lanciato un chiaro appello affinché le caratteristiche specifiche dello sport venissero prese in considerazione nell’attuazione delle politiche comunitarie.

La Presidenza francese auspica che si riesca a circoscrivere in maniera concreta le specificità sportive e le conseguenze del loro riconoscimento. E’ pertanto opportuno riconoscere, in maniera molto precisa, che lo sport rinvia innanzi tutto alla pratica quotidiana di milioni di uomini, donne, giovani, all’impegno di centinaia di migliaia di volontari, che si tratta di uno strumento insostituibile di istruzione informale, di inserimento, di accesso alla cittadinanza e che lo sport costituisce dunque, prima di qualsiasi altra cosa, uno strumento di sviluppo individuale e di incontro nel rispetto degli altri. Lo sport forma un tutto. La coesione federale è essenziale. Plaudo al fatto che la relazione redatta dall’onorevole Mennea ed adottata dalla Commissione sottolinei tale punto. E’ in nome di tale impostazione che i ministri dei Quindici Stati membri hanno lavorato in stretta collaborazione con il Commissario, signora Reding. In seguito a due riunioni dei gruppi di lavoro istituiti dalla Presidenza portoghese, ad un incontro della Troika e a numerosi contatti bilaterali con i ministri dei Quindici, ecco alcuni degli obiettivi che paiono maggiormente condivisi in seno al Consiglio.

La prima questione concerne la tutela degli sportivi che non hanno raggiunto la maggiore età. Si deve riuscire a porre fine alle transazioni commerciali che riguardano sportivi minorenni. Andrebbero intraprese azioni specifiche volte a tutelare la salute dei giovani atleti, segnatamente per prevenire il ricorso a sostanze dopanti e per assicurare la loro scolarizzazione e formazione professionale. A tal fine, la questione della tutela dei giovani sportivi è stata inserita all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri della gioventù, che si riunirà il 9 novembre. Nutro la viva speranza che, riferendosi alla direttiva del 1994 dedicata alla tutela dei giovani nel mondo del lavoro, si apra la prospettiva di raccomandazioni precise su tale punto.

In secondo luogo, auspico che vengano anche adottate disposizioni volte a preservare le politiche formative delle associazioni sportive. Le federazioni sportive e gli Stati, se lo desiderano, devono poter prendere misure atte a tutelare i club formatori. Si deve consentire l’utilizzo di clausole, quali l’obbligo del primo contratto professionistico con l’associazione formatrice, eventualmente compensate da un indennizzo proporzionale al costo della formazione. Al tempo stesso, alle istituzioni sportive internazionali spetta il compito di adottare misure di controllo sulla gestione dei club, per evitare deviazioni, segnatamente in relazione ai trasferimenti.

In terzo luogo, in linea generale, è impellente, a mio avviso, riconoscere il ruolo centrale unico delle federazioni. Ritengo che sia necessario riconoscere loro un ruolo centrale nell’organizzazione delle competizioni sportive, nella definizione di regole sportive e nell'assegnazione dei titoli. Non si tratta, a mio parere, di garantire diritti alle federazioni senza una contropartita. Prevedo quindi, contestualmente, che siano loro riconosciuti alcuni diritti esclusivi, che i doveri e le responsabilità delle federazioni sportive siano definiti con precisione nella loro missione di interesse generale, nel quadro della ridistribuzione.

Il riconoscimento delle specificità sportive è un ambito alquanto vasto in cui vanno compiuti significativi progressi con urgenza. Credo che si sia scatenata una corsa contro il tempo. La Francia ha deciso che si tratta di una priorità della sua Presidenza. Mi aspetto molto dal contributo del Parlamento europeo. Terrò conto del suo appello per includere nel Trattato un articolo quale manifestazione del suo desiderio che si tenga debitamente conto delle sue preoccupazioni.

Passo ora alla lotta contro il doping, un dossier decisamente prioritario. Ho modo di constatare che il Parlamento europeo, tramite le proprie relazioni o risoluzioni, condivide tale preoccupazione. Si tratta, è risaputo, di una lotta lunga e difficile. Pertanto essa deve essere condotta senza tregua, in nome della salute pubblica e della tutela dell’etica sportiva. Episodi accaduti di recente indicano che non si è ancora giunti al termine dell’opera. Respingo tuttavia l’impostazione fatalistica – tutti dopati – che ci indurrebbe a rinunciare a qualsiasi azione. Occorre la mobilitazione del movimento sportivo ma anche quella dello Stato e dell’Unione europea.

L'Agenzia mondiale antidoping deve la propria nascita alla volontà dell’Unione europea. Tale Agenzia ora esiste. Il CIO ha fissato alcuni obiettivi di lotta al doping durante le Olimpiadi di Sydney. Tuttavia, come è noto, è in corso un dibattito in tutti gli Stati membri dell’Unione europea sull’opportunità di una partecipazione diretta dell’Unione europea agli organi dell’Agenzia mondiale antidoping e, come corollario, al suo finanziamento. Vorrei insistere in modo particolare su tale punto in quanto si evince dagli scambi con la Commissione europea che questa intraprenderà la strada della partecipazione dell’Unione europea in quanto tale soltanto se essa riceverà un segnale politico forte ed unanime.

Personalmente ritengo che esistano le basi giuridiche per una tale partecipazione. In effetti, il doping è una questione di salute pubblica. E’ sufficiente pensare all'aumentato consumo di prodotti dopanti da parte dei giovani sportivi dilettanti. Si tratta altresì di una questione di lotta contro i traffici e pertanto di cooperazione doganale e di polizia. Infine, la lotta contro il doping concerne lo sviluppo della ricerca.

Come propone la relazione della onorevole Zabell adottata dalla commissione parlamentare, lo scopo è di fare in modo che l’Unione europea riesca a parlare con una sola voce, in maniera energica, per garantire l’efficacia dell’Agenzia. In attesa della risoluzione degli aspetti giuridici che concernono il coinvolgimento dell’Unione europea nell’Agenzia, i ministri della Troika hanno istituito un comitato di collegamento la cui utilità sarà notevole. Si tratta altresì di far evolvere lo status dell’Agenzia affinché essa abbia gli strumenti per agire in tutti i paesi. L’opinione pubblica, gli sportivi e le sportive e tutti coloro che si interessano all’attività agonistica, attendono tali decisioni. Ne va della credibilità della lotta contro il doping.

Onorevoli deputati, lo sport europeo si trova oggi ad una svolta. Auspico che esso continui a farci sognare, così come auspico che esso continui ad offrire ai giovani il quadro educativo ed il quadro di inserimento di cui hanno bisogno e che esso rimanga, in definitiva, una scuola di vita per i nostri figli. Bisogna tuttavia prendere sul serio gli interessi che esso suscita e che lo minacciano. Sono convinta che le posizioni chiare che il Parlamento si appresta a prendere adottando le due relazioni in esame gioveranno molto al dibattito sul tema. Ve ne ringrazio e ci tengo a ribadire il mio desiderio che si possa continuare a lavorare insieme.

(Applausi)

 
  
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  Reding, Commissione. – (FR) Signor Presidente, il Parlamento mi ha chiesto di rilasciare una dichiarazione sul sistema dei trasferimenti e sul panico che pervade il mondo dello sport e che ha suscitato una vasta eco nella stampa. E’ evidente che ho debitamente preso atto delle dichiarazioni della Presidente in carica del Consiglio, Buffet. La ringrazio peraltro di tutto cuore per il lavoro che la Presidenza francese sta svolgendo nell’interesse dello sport e per la solidarietà dimostrata nei confronti di Commissione e Parlamento. Auspico vivamente che il bilancio della Presidenza francese sia molto positivo per lo sport a livello europeo.

Signor Presidente, se me lo consente, vorrei esporre le mie considerazioni sulla relazione inerente al doping e sulla dimensione dello sport al termine del dibattito. Per il momento mi limiterei a presentare una dichiarazione sul problema dei trasferimenti.

Nella relazione di Helsinki è descritta l’impostazione adottata dalla Commissione rispetto allo sport. Si vuole che lo sport svolga una funzione sociale. Tale relazione invita il movimento sportivo, gli Stati membri e l’Unione europea a far convergere i propri sforzi per consentire allo sport, nella sua nuova situazione economica, di continuare a svolgere il proprio ruolo di strumento educativo e di integrazione sulla base dei valori del fair play, delle pari opportunità e della valorizzazione del merito.

Va da sé che si possono applicare allo sport le disposizioni della legislazione comunitaria, in particolare i principi della non discriminazione e della libera circolazione delle persone, nonché le regole della concorrenza. E’ altresì evidente – come sottolinea la dichiarazione allegata al Trattato di Amsterdam – che la Comunità europea riconosce la portata sociale dello sport e l’importanza del dialogo con il movimento sportivo. E’ in tale ottica, onorevoli deputati, e sotto la diretta responsabilità del Commissario Monti, che la Commissione esamina molteplici questioni di concorrenza concernenti lo sport.

La Commissione riconosce che il movimento sportivo è libero di determinare le regole del gioco necessarie al suo buon funzionamento. Essa riconosce la specificità dello sport, nel senso che esso ha bisogno di un certo grado di eguaglianza sul piano della concorrenza tra giocatori e club in modo tale da garantire l’incertezza dei risultati, cosa che costituisce l’essenza stessa dello sport, come la Presidente in carica del Consiglio ha poc’anzi rimarcato. La Commissione si occupa soltanto delle questioni che hanno una dimensione comunitaria ed economica.

Per quanto concerne la questione attuale delle regole di trasferimento della FIFA, vorrei ricordare che già nel 1998, in seguito ad alcune lamentele, la Commissione aveva messo in discussione la compatibilità delle regole di trasferimento della FIFA con le regole della concorrenza e le aveva esposto una lista di rimostranze. La Commissione ritiene che le regole della FIFA ostacolino in maniera indebita i trasferimenti. Nello specifico si fa riferimento al caso in cui tali regole fissano le condizioni di un trasferimento alla scadenza del contratto di un giocatore e ciò perfino quando il contratto è cessato, conformemente alla legislazione nazionale in materia di occupazione ed alle clausole contrattuali, e l’indennità pecuniaria da questa prevista è stata determinata e corrisposta.

Contrariamente a quanto affermano alcuni articoli di stampa, la Commissione non ha assolutamente intenzione di abolire tout court il sistema dei trasferimenti né di creare una situazione che consentirebbe ai giocatori di rescindere il proprio contratto in maniera avventata. La Commissione, in veste di custode dei Trattati, auspica che la FIFA applichi un sistema di trasferimenti che rispetti tanto i principi del diritto comunitario quanto quelli della specificità dello sport. Orbene, il sistema attuale non risponde ad alcuna di tali esigenze. Esso ostacola la concorrenza fra club nonché la libera circolazione dei giocatori. Inoltre esso non ha impedito l’eccessiva commercializzazione dello sport, la crescita del divario tra club ricchi e club che dispongono di mezzi finanziari limitati e non ha neanche evitato che i giocatori – ed in particolare i più giovani – divenissero oggetto di speculazione.

Per molti anni, onorevoli deputati, la Commissione ha ”pazientemente” atteso che la FIFA presentasse formule volte a sostituire il sistema attuale che avrebbero consentito di individuare insieme una soluzione soddisfacente ed equa per tutti. Il Commissario Monti ed io abbiamo stabilito contatti con il mondo del calcio. Abbiamo fatto notare che, conformemente alle normative nazionali in materia di occupazione, una forma o l’altra di indennità è giustificata qualora un giocatore rompa il proprio contratto con un club per passare ad un altro. Abbiamo sottolineato che, per evitare di falsare lo svolgimento dei campionati, la Commissione era naturalmente disposta ad accettare regole che limitassero i trasferimenti ad alcuni periodi prestabiliti e, soprattutto, abbiamo ribadito che andavano incoraggiati gli sforzi consentiti nella formazione dei giovani, in modo tale che l'indennità – che riflette le spese sostenute da un club per formare i giovani – potesse essere accettata salvo, beninteso, quando essa generi una situazione di dipendenza eccessiva dei giovani giocatori nei confronti dei club.

Non abbiamo ricevuto alcuna risposta per anni, fino a qualche giorno fa. E’ indubbio che la Commissione non può attendere indefinitamente – motivo per cui il Commissario Monti ed io abbiamo dichiarato in maniera esplicita nel corso degli ultimi mesi che la FIFA deve proporre soluzioni alternative o, in mancanza di esse – cosa che nessuno auspica – accettare il rischio di una decisione di interdizione.

Il Commissario Monti ed io siamo lieti di apprendere che, in questo caso, il nostro appello sembra essere stato inteso. La settimana scorsa, la FIFA ha ammesso che le proprie regole in materia di trasferimenti non sono conformi alle normative comunitarie ed ha annunciato la propria intenzione di istituire un altro sistema. Poiché i dettagli di tale sistema non sono ancora stati definiti, non posso al momento attuale pronunciarmi su di essi. Abbiamo tuttavia ricevuto una prima bozza di proposte. Nel pomeriggio ho un incontro con i dirigenti dell’UEFA e con una delegazione delle leghe nazionali che a loro volta presenteranno alcune proposte. I servizi del Commissario Monti sono pronti ad esaminarle nel più breve tempo possibile con il concorso dei miei servizi e di quelli del Commissario, signora Diamantopoulou. Esiste pertanto la massima disponibilità da parte della Commissione per qualsiasi dibattito, qualsiasi negoziazione che ci permetta di giungere ad un consenso.

Vorrei concludere insistendo sull’impegno della Commissione a favore del modello europeo dello sport e dei suoi valori. Il Parlamento europeo – a cui vanno i miei sentiti ringraziamenti – ha più volte ribadito di condividere una tale impostazione. Ritengo che una riconferma verrà dall’adozione della relazione dedicata al documento di Helsinki. La Presidenza francese – come ho affermato all’inizio del mio intervento – ha espresso lo stesso attaccamento allo sport ed ai suoi valori, a nome del Consiglio. Se non vado errata, siamo pertanto tutti sulla stessa lunghezza d’onda. La Comunità agisce nell’interesse dello sport per la bellezza del gioco e sono quindi convinta che, se ciascuno vi contribuisce per la propria parte, si potrà presto pervenire ad una soluzione soddisfacente per il bene dello sport, per il bene del calcio e per il bene dell’Europa.

(Applausi)

 
  
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  Zabell (PPE-DE), relatore. – (ES) Signor Presidente, il doping non è un problema nuovo, essendo comparso già nel secolo scorso. Nel 1896, infatti, si verificò la prima morte per doping, allorché l’ingestione di stupefacenti causò il decesso di un ciclista.

Le prime misure contro il doping furono prese solo dopo i Giochi olimpici di Helsinki nel 1952; ma si è dovuto aspettare il Tour de France del 1998 perché il caso scoppiasse e fosse avviata una battaglia seria contro il problema. Abbiamo in effetti sentito questa mattina che si tratta di una priorità della Presidenza francese, del Consiglio e anche della Commissione.

Occorre analizzare le cause dell’esistenza del doping e del suo notevole aumento in questi ultimi anni: da un lato, l’eccessiva commercializzazione che circonda lo sport, oltre al sovraccarico dei calendari delle manifestazioni sportive e alle maggiori sollecitazioni a livello sia fisico che mentale cui sono sottoposti gli atleti. Una volta il motto dello sport era quello di Pierre de Coubertin, "l’importante è partecipare". Ora, invece, il primo vince, il secondo perde e tutti gli altri semplicemente partecipano. D’altro canto, occorre ricordare che oggi si effettuano sempre più controlli, spesso al di fuori delle gare; anche questo elemento ha contribuito alla scoperta di un maggior numero di casi di doping.

E’ importante, tuttavia, fare una distinzione tra due tipi di doping: da un lato, quello intenzionale o programmato, quando una squadra stabilisce quali sostanze debba assumere l’atleta e in che occasione, per migliorare le sue prestazioni. Ciò è più frequente negli sport che dispongono di maggiori risorse economiche. Dall’altro lato, esiste un doping accidentale, che molte volte neppure migliora il rendimento. Si tratta di un fenomeno più diffuso negli sport con pochi mezzi e l’opinione pubblica spesso non viene nemmeno a sapere quanto è accaduto.

Occorre evidentemente lottare contro entrambe le modalità di doping, affrontando ciascuna in modo diverso. Lottare contro il doping intenzionale o programmato è molto più difficile. La cooperazione tra le forze di polizia svolge un ruolo fondamentale, dato che il traffico di sostanze dopanti ammonta ad un miliardo di euro all’anno. Inoltre è importante ascoltare l’atleta quando si tratta di elaborare i calendari delle manifestazioni sportive o di pianificare una gara o una prova: a volte gli si chiede più di quanto l’organismo sia in grado di dare senza dover ricorrere ad aiuti esterni. Occorre soprattutto lottare contro il doping su scala mondiale. Non si tratta di un problema limitato ad un unico Stato membro; la presenza dell’Unione europea in seno all’Agenzia mondiale antidoping risulta pertanto imprescindibile.

Lottare contro il doping accidentale è molto più facile. E’ dovuto principalmente alla mancanza d’informazione degli atleti; per questo motivo la relazione propone che sulla confezione dei prodotti farmaceutici figuri un logo formato dai cinque anelli olimpici e da un semaforo. Al momento dell’acquisto di un medicinale, l’atleta potrà vedere chiaramente se sul semaforo della confezione compare il rosso (a indicare il rischio di positività ad un controllo), il verde (assenza di rischio) o l’arancione (possibilità di rischio e raccomandazione di consultare il proprio medico o uno specialista). Si tratta di un aspetto importante, poiché ogni Stato membro ha la sua lista di sostanze proibite e in ogni paese può cambiare il nome commerciale dello stesso prodotto. A tale riguardo si chiede l’intervento dell’Agenzia europea di valutazione dei medicinali.

Anche se i tipi di doping sono diversi, gli atleti si vedono applicare sempre lo stesso trattamento e, in caso di esito positivo ai controlli, sono considerati colpevoli, senza alcun diritto di dimostrare la propria innocenza e senza che sia valutato l’elemento dell’intenzionalità, come avviene in ogni altro settore della vita. Rivolgiamo un appello alla Commissione europea affinché intensifichi, nell'ambito del quinto programma quadro, la ricerca sulle sostanze dopanti, sui metodi di rilevazione e sulle conseguenze dell'uso di tali prodotti per la salute e sui limiti degli ormoni naturali prodotti dal corpo umano.

Per quanto riguarda i laboratori, è di fondamentale importanza che siano osservate alcune norme ISO sull’uniformità delle procedure di raccolta e analisi dei campioni prelevati; ugualmente importante è il criterio della tutela e della riservatezza, sia nella fase di prelievo che nell’iter del dossier, al fine di tutelare il diritto dell’atleta alla vita privata e all’onore.

Desidero infine fare riferimento alle sanzioni. Nel caso in cui oltre all’atleta siano coinvolte altre persone (ad esempio, un club sportivo, un’associazione, una federazione, un medico, un allenatore, eccetera), la sanzione deve colpire anche loro, dal momento che la carriera più corta sarà sempre quella dell’atleta.

 
  
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  Mennea (ELDR), relatore. - Signor Presidente, per quanto riguarda lo sport, l'Unione europea dovrà operare affinché esso abbia il giusto ruolo e la giusta attenzione e sia disciplinato da regole chiare e certe. Il sistema sportivo, al quale deve aspirare l'Europa, deve fare in modo di rendere effettivo il diritto allo sport per tutti i cittadini, mirando a conservarne la funzione sociale e i valori tradizionali, pur tenendo conto dell'evoluzione economica e giuridica dell'attività sportiva.

Per tale ragione, la dichiarazione sullo sport, allegata al Trattato di Amsterdam, non è più sufficiente a garantire il raggiungimento degli obiettivi prestabiliti. Lo sport ha bisogno di una nuova definizione: va considerato, infatti, un'attività inseparabile dall'educazione e dalla formazione dei giovani, dal tempo libero e dal recupero sociale degli emarginati e dei disabili.

Lo sport deve, in sostanza, costituire un elemento essenziale per favorire l'educazione e l'integrazione di tutte le classi sociali. Esso dev'essere, inoltre, in grado di adeguarsi al nuovo quadro commerciale nell'ambito del quale deve evolversi senza perdere la propria autonomia. Affinché l'Unione europea possa essere utile al cambiamento e all'evoluzione del mondo sportivo risultano necessarie alcune innovazioni.

La commissione centrale ha più volte ribadito che non può più garantire la struttura piramidale in cui attualmente sono organizzati gli organismi sportivi e la funzione sociale dello sport. Una base giuridica risulta pertanto indispensabile poiché, in sua mancanza, si rischia di vanificare gli obiettivi conquistati finora.

L'Europa dev'essere più incisiva nella lotta al doping, fenomeno purtroppo in grande espansione, che non riguarda più soltanto l'ambiente sportivo: il diffondersi di questa piaga ha generato l'incremento di attività illecite assai redditizie, a cui hanno attinto molte organizzazioni criminali, e bisogna riconoscere che la lotta al doping, affidata solo alle organizzazioni sportive, è stato un totale fallimento.

L'Europa dovrebbe pertanto prendere in esame la possibilità di promulgare una normativa penale comunitaria valida per tutti gli Stati membri e dovrebbe prendere in considerazione la costituzione di un'Agenzia europea contro il doping, indipendente e trasparente. Inoltre, tutte le attività economiche connesse allo sport devono essere sottoposte alle regole del Trattato. L'attività che gli organismi sportivi esercitano in regime di monopolio ha provocato numerosi problemi e pertanto essa dev'essere sottoposta ad un attento controllo e possibilmente ridotta.

Bisogna incoraggiare l'associazionismo nello sport, purché si prefigga scopi di solidarietà a favore di attività sportive più povere e degli individui meno favoriti per condizioni sociali, segnatamente dei disabili. Occorre cercare di migliorare il ruolo svolto dallo sport e quello dell'insegnamento dell'educazione fisica nei programmi scolastici.

Inoltre, l'attività lavorativa e lo status degli sportivi devono essere adeguatamente tutelati e considerati dagli Stati membri. Credo sia un dovere dell'Unione europea aiutare l'inserimento nel mondo del lavoro di quegli atleti che, una volta terminata l'attività sportiva, non hanno pensato al proprio futuro. Inoltre, l'Europa deve chiedere un riconoscimento a livello europeo delle qualifiche professionali degli sportivi e che sia favorita la loro formazione professionale.

Una lotta decisa e forte va condotta contro il commercio dei giovani sportivi, chiedendo che sia ritardato il più possibile l'ingresso e il tesseramento dei giovani nel professionismo. Inoltre, bisogna far sì che gli statuti delle federazioni sportive nazionali e internazionali prevedano missioni e contengano regole chiare e certe.

Occorre combattere la violenza che si verifica in occasione dello svolgimento di eventi sportivi e garantire la protezione dei propri cittadini. Inoltre, bisogna eliminare il vincolo sportivo a tempo indeterminato vigente in molte federazioni sportive, poiché esso víola i principi più elementari delle costituzioni degli Stati membri.

Per concludere, senza una base giuridica alla parola "sport", l'Europa riuscirà a far ben poco in questo campo e dovrà pertanto considerare la possibilità di assumere in questo settore una certa autonomia, non per sottrarla ad altri organismi ma per dare un contributo indispensabile alla salvaguardia dei valori e delle funzioni dello sport.

(Applausi)

 
  
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  Lehne (PPE-DE), relatore per parere della commissione giuridica e per il mercato interno. - (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la commissione giuridica e per il mercato interno ritiene fondamentale che anche nelle future politiche dell'Unione europea vengano rispettate le disposizioni del Trattato, applicate con la sentenza Bosman. Siamo perciò grati alla commissione competente per avere accolto la richiesta di introdurre nella sua relazione un riferimento in questo senso. In merito a questo tema, noi difendiamo senza riserve anche la posizione della Commissione europea.

Lo rendono necessario il diritto della concorrenza ed il principio della libertà dei lavoratori. Il Commissario, signora Reding, lo ha già spiegato con molta chiarezza. A maggior ragione sono deluso per la mancanza di comprensione e di dialogo dimostrata negli ultimi giorni da alcuni dei responsabili del settore del calcio e delle altre federazioni sportive. Se si considerano le recenti dichiarazioni, si ha l'impressione che venga confermato il pregiudizio secondo il quale certi giocatori hanno migliori qualità nelle gambe che nel cervello.

Di fronte alla richiesta di interpellare i Capi di stato e di governo, i quali dovrebbero per così dire ribaltare il diritto europeo, posso solo affermare che anche ciò dimostra come evidentemente non ci si renda conto di quale sia la situazione giuridica. La questione non è assolutamente di competenza dei Capi di stato e di governo. Assicurare il rispetto dei Trattati è un compito che spetta alla Commissione europea, la quale svolge con esattezza i compiti che le competono. Vorrei ribadire che su questo tema condivido senza riserve la posizione della Commissione europea.

(Applausi)

 
  
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  Papayannakis (GUE/NGL), relatore per parere della commissione per l'ambiente, la sanità pubblica e la politica dei consumatori.(EL) Signor Presidente, a dieci giorni dall’inizio delle Olimpiadi il fantasma del doping aleggia su Sidney. A mio avviso, il CIO ci prende in giro quando parla di Olimpiadi “pulite”, poiché sappiamo bene che un mese fa mille siringhe di eritropoietina sono state rubate in un ospedale di Sidney. Nel frattempo tutti i miti dello spirito olimpico affermano apertamente che i test antidoping possono essere fatti su qualsiasi sostanza proibita, mentre il CIO si guarda bene dal farlo cedendo così alle pressioni dei grandi interessi economici.

Il ministro, signora Buffet, che oggi ci ha fatto un bel discorso, il 4 agosto ha così dichiarato a Le Monde: “quel che manca soprattutto nella lotta contro il doping è una forte volontà politica”. A quanto pare, signor Presidente, è difficile imporre questa volontà di fronte alle pressioni del marketing e allo sconsiderato e superficiale motto olimpico: "più alto, più veloce, più forte". Ancor più difficile è imporre la volontà politica quando il mercato delle sostanze proibite vale moltissimo, con il suo giro d’affari – a quanto ci hanno detto – di un miliardo di euro, che potrebbe essere ancora maggiore se teniamo conto del doping più soft, che continua a diffondersi nelle palestre, nei centri estetici e chissà dove.

Dobbiamo svolgere prontamente il nostro ruolo politico per armonizzare gli elenchi di sostanze pericolose, i metodi di analisi delle nuove sostanze prodotte in continuazione dall’industria, le sanzioni, i metodi d’indagine sui responsabili e l’applicazione delle pene. Naturalmente l’Unione deve partecipare più attivamente nell’Agenzia mondiale antidoping in base a quanto ci ha giustamente detto la Presidente in carica del Consiglio, con la quale concordo. In conclusione, signor Presidente, vorrei dire che quest’organismo a Sidney è un semplice osservatore; fin quando saremo semplici osservatori, non potremo fare nulla per lottare contro il doping.

 
  
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  Martens (PPE-DE). – (NL) Signor Presidente, lo sport è un fenomeno popolare. Sono da poco terminati i campionati europei del 2000. Le Olimpiadi cominceranno fra breve e sono sempre più numerosi coloro che dedicano il loro tempo libero a un’attività sportiva. Lo sport è un’attività sana. Riunisce gli individui, individui di ogni ceto sociale, di ogni classe, di ogni età, di ogni razza. Questa funzione, naturalmente, è di grande importanza in una società altamente individuale come la nostra. Al contempo, come è già stato ricordato, esistono spesso dei risvolti negativi: la violenza in occasione degli incontri, l’uso di sostanze dopanti, un ricorso sempre più frequente a droghe che migliorano la prestazione sportiva – anche a livello amatoriale – e le forti pressioni esercitate sugli sportivi a causa dei grandi interessi economici in gioco.

Per questa ragione ci rallegriamo che la Commissione europea abbia deciso di sottolineare la funzione sociale dello sport e di verificare come la dimensione economica di questo fenomeno possa essere conciliata con le sue diverse funzioni, fra le quali quella educativa. Il PPE appoggia caldamente questa iniziativa e ha presentato degli emendamenti tesi a rafforzare questo aspetto. Lo scopo delle proposte è di appoggiare le organizzazioni sportive affinché queste ultime investano negli individui, nello spirito di squadra. Nello stesso tempo vogliamo migliorare il quadro giuridico che disciplina lo sport. Per il momento esiste solamente la dichiarazione allegata al Trattato di Amsterdam.

Vorrei aggiungere alcune considerazioni in merito ad alcuni problemi concreti che riguardano lo sport e inizierei con la problematica dei trasferimenti. Da quando è stata emessa la sentenza Bosman sono iniziati grandi problemi, soprattutto per le squadre minori - il Commissario lo ha già ricordato – nei paesi più piccoli, come i Paesi Bassi da dove provengo. Tali squadre non trovano un seguito sufficiente e non vengono quindi compensate in modo adeguato per gli investimenti, spesso maggiori, in termini di allenamento e formazione. Ci auguriamo, pertanto, che la Commissione, insieme alle organizzazioni sportive, presenti al più presto delle proposte in questo ambito. Anche federazioni sportive come l’UEFA e la FIFA hanno già avanzato delle proposte a questo proposito.

Il doping è una problematica internazionale molto vasta. Il relatore, che ha elaborato un’eccellente relazione, ha già trattato questo tema. Una collaborazione internazionale è dunque indispensabile. Dovremo concordare una definizione di doping sul piano internazionale e fare riferimento alle attività dell’Agenzia mondiale antidoping. Potrebbero inoltre giovare l’uso di un logo e di una dicitura che indichino la sicurezza di un determinato prodotto farmaceutico sotto il profilo del doping nonché una migliore e più attiva politica di prevenzione.

 
  
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  Barón Crespo (PSE). – (ES) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, il gruppo socialista aveva chiesto che la Commissione facesse una dichiarazione sull’argomento di attualità dei trasferimenti nel calcio e che tale dichiarazione fosse incorporata in questa discussione congiunta. Ben venga la dichiarazione della signora Commissario, che può contare sul nostro appoggio. Le raccomando in futuro di venire qui in Parlamento prima che si moltiplichino le fughe d’informazioni dall’amministrazione della Commissione, obbligando la signora Commissario a presentarsi con coraggio davanti alla stampa per pronunciare verità pesanti come pietre. Tuttavia sarebbe meglio che i Commissari venissero dinanzi al Parlamento, e contassero sul nostro appoggio.

Il tema dei trasferimenti probabilmente esemplifica perfettamente la situazione attuale dello sport. Abbiamo due relazioni, elaborate dagli onorevoli Zabell e Mennea, entrambi medaglie d’oro ai Giochi olimpici. Alla vigilia delle Olimpiadi di Sidney, vorrei ricordare che il primo e forse il più importante contributo alla pace da parte dell’Europa, l’antica Grecia, sono stati proprio i Giochi olimpici. Le due relazioni parlano dello sport come di un diritto dei cittadini, con una funzione sociale e culturale. Nei trasferimenti di calciatori esiste una componente che viene giustificata come contributo alla formazione e alla preparazione dell’atleta. Ciò sembra ragionevole e deve essere regolamentato. Occorre inoltre sostenere i giovani e i piccoli club ai fini di una loro promozione.

Un altro aspetto riguarda il big business, un’attività che in molti paesi sta diventando il secondo settore dell’economia. Si tratta di una speculazione esagerata, insostenibile a lungo termine. Una squadra importante della mia città ha realizzato il trasferimento più costoso nella storia del calcio europeo: 70 milioni di euro. L’interessato ha dichiarato che si trattava di un’assurdità e il presidente del club ha detto di trovarsi in una situazione economica gravissima. Se dovessimo applicare le leggi dell’economia, dovremmo comportarci in modo diverso.

Credo quindi che la Commissione debba agire. Essa è riuscita a far sì che la FIFA cominci a ragionare. Il mio gruppo ed io le assicuriamo il nostro sostegno e auspichiamo un’azione che sia veramente in grado di esprimere e garantire questo diritto degli europei.

C’è chi ha parlato, infine, di collasso del mondo del calcio. Negli Stati Uniti, negli anni ’40, a causa della normativa antitrust, a Hollywood furono applicate misure come quelle proposte dalla Commissione. Eppure Hollywood non crollò, tutt’altro. Oggi abbiamo un problema economico importante per far fronte alla forza dell’industria cinematografica americana.

Quindi, continui su questa strada signora Commissario.

 
  
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  Lynne (ELDR). - (EN) Mi felicito del fatto che la relazione Zabell cerchi di affrontare il problema del doping a livello internazionale basandosi sul principio dalla presunzione di innocenza contemplato dalla Carta dei diritti dell'uomo. Purtroppo agli atleti britannici Linford Christie, Dougie Walker e Gary Cadogan tale diritto è stato negato da parte dell'Associazione internazionale di atletica, nonostante alcune ricerche effettuate dall'Università di Aberdeen dimostrino che il nandrolone può avere origine da una combinazione di integratori alimentari ed allenamenti intensi. Mark Richardson si trova nel villaggio olimpico ed è ancora in attesa di sapere, a otto giorni dall'inizio delle Olimpiadi, se potrà partecipare alle gare. Linford Christie ha sempre lottato contro il doping nello sport nel corso della sua carriera, che sicuramente non metterebbe a repentaglio. Questi esempi dimostrano che è necessario avere un'Agenzia mondiale antidoping che armonizzi le procedure disciplinari in modo da tutelare i diritti degli atleti e allo stesso tempo punire prontamente coloro che assumono consapevolmente sostanze dopanti e sono colpevoli in tal senso.

 
  
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  Messner (Verts/ALE). - (DE) Signor Presidente, prima di tutto vorrei ribadire quanto già detto dall'onorevole Mennea; e inoltre vorrei sapere se, quando parliamo di funzione sociale dello sport, noi intendiamo il vecchio "panem et circenses" o meglio "sport et circenses", oppure pensiamo invece alla sua utilità per la salute pubblica e alla sua funzione di veicolo di valori. Il concetto di funzione sociale dello sport non è mai stato veramente chiarito.

In generale debbo dire che lo sport, quando viene praticato a livello agonistico, non è necessariamente un'attività salutare; come non lo sono gli sport estremi che io ho praticato e pratico. Se lo sport agonistico sia salutare, lo sanno solamente gli dei dell'Olimpo. Noi non lo sappiamo!

Passiamo ora ai fatti. Con la comunicazione globale, nella nostra società dei consumi è cresciuta sempre di più la fame di star, di eventi sensazionali e di nuovi record. I funzionari e i commercianti dello sport hanno trasformato lo "sport et circenses" in un'industria dello spettacolo, oggi una delle più grandi del mondo, la cui commercializzazione viene naturalmente spinta sempre più avanti. L'uso sistematico del doping fa girare il meccanismo di questa macchina commerciale. Questi sono i fatti. Non potremo cambiare questi fatti se non introdurremo più trasparenza, se non creeremo un'Agenzia antidoping indipendente che sia accessibile e comprensibile a tutti.

(Applausi)

 
  
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  Fraisse (GUE/NGL). - (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, tra le due relazioni vi è forse un punto in comune che mi sta a cuore sottolineare - e del quale mi piacerebbe si potesse discutere oggi - relativo alla legittimità della specificità dello sport.

La specificità dello sport deriva innanzitutto dal sistema sportivo, da questa piramide sociale che va dalla creazione del più piccolo circolo sportivo in una regione o in una città alle grandi manifestazioni sportive. Una struttura piramidale che va rispettata e in vari modi: attraverso la competenza esclusiva delle federazioni, attraverso il ruolo di costruzione di quel legame sociale e civile che le federazioni sportive possono promettere ed assicurare alla società. Ma naturalmente anche attraverso la distribuzione solidale del denaro all'interno della piramide federativa, nonché attraverso quella che possiamo chiamare l'etica dello sport veicolata dalle manifestazioni dello spettacolo sportivo. Non dimentichiamo che talvolta si fa confusione tra quanti realizzano le manifestazioni e quanti invece le allestiscono a spettacolo. Vi è uno sforzo da compiere in questo senso anche nella costruzione dello sport, come ha ricordato la relazione Mennea, affinché non sia più possibile confondere quanti producono e quanti offrono contemporaneamente informazione, spettacolo, divertimento, diletto e sogno.

Esiste il sistema, ma esiste anche la persona. Ed esiste pure, naturalmente, la questione del doping, strettamente connessa alla salute dello sport - e ringrazio a questo proposito la relatrice, onorevole Zabell, per l'eccezionale lavoro da lei svolto. Vi è inoltre la questione della formazione degli sportivi. Ma che ne è della persona, a conclusione dell'attività agonistica? Si è detto che lo sportivo non è una merce né un bene. Deve circolare liberamente in Europa, ma non è un prodotto: è una persona, appunto. Che ne è di lui al termine dell'attività sportiva?

E' su questi due punti - il sistema e la persona - che le due relazioni chiedono l'attribuzione di una specificità allo sport all'interno della nostra Europa. Entrambe le relazioni hanno insistito sulla nozione di tempo, sul calendario delle manifestazioni, così come sul calendario della vita di uno sportivo, e ringrazio i relatori per aver insistito sul fatto che occorre vivere prima, durante e dopo lo sport e nel corso di tutto l'anno.

Ora capirete perché noi della commissione per la cultura, la gioventù, l'istruzione e i mezzi di informazione chiediamo che lo sport rientri nell'articolo 151 del Trattato, affinché ne venga riconosciuta la specificità e non si debba - per salvaguardare l'unicità della vita sportiva - andare ad attingere qualcosa dalla sanità, qualcosa dall'istruzione e qualcosa dall'occupazione.

 
  
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  La Perriére (UEN). - (FR) Grazie, signor Presidente. Nella società di oggi il doping è la prova dell'attuale stravolgimento di valori dove il fine giustifica i mezzi. Esso costituisce innanzitutto un inganno, nei confronti di se stessi e quindi degli altri. Per questo occorre introdurre un vasto programma di educazione finalizzato a riportare in auge i valori tradizionali dello sport: "lo sport come scuola di vita", "lo sport come esempio per i più giovani".

A tutti i livelli, a cominciare dal più alto, lo sport deve essere un'occasione per insegnare le virtù dello sforzo, del rischio, dello spirito di squadra, del rispetto altrui. Ha fatto bene la Commissione a ricordare che una delle prime cause di diffusione del doping sono gli interessi commerciali legati quotidianamente alla pratica delle attività sportive. Per questo nella nostra riflessione dovremmo intravedere anche la possibilità di comminare pene più severe ai diversi operatori economici che traggono profitto dal doping oppure lo incoraggiano.

Infine, se lo sport ha assunto nella società contemporanea un ruolo di rilievo, è perché rappresenta ormai, per una nazione, l'unica maniera forse per dimostrarsi grande. Sarebbe il caso che le nazioni trovassero altri modi per mostrare al mondo la loro grandezza e fierezza: non posso non pensare - ad esempio - alle valute nazionali, un attributo essenziale della sovranità e della grandezza di un paese. Ora che l'euro - la moneta degli euro-beats - sta crollando, è urgente che ogni nazione possa conservare la propria valuta, così come conserva le sue squadre sportive nazionali, di cui va così fiera, senza doping.

 
  
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  Bernié (EDD). - (FR) Signor Presidente, alla vigilia dei Giochi di Sidney, dove sono finiti l'ideale olimpico e i grandi principi di Pierre de Coubertin? Si direbbe siano quasi svaniti nel nulla, se è vero che alcuni atleti - una minoranza, per fortuna - si sono rifiutati di alloggiare nel villaggio olimpico perché non lo considerano alla loro altezza. Altri dichiarano alto e forte - soprattutto i velocisti - di correre solo per promuovere la loro marca di scarpe. Il fenomeno è preoccupante tra le élite sportive, più motivate dalle prospettive di guadagno che dall'etica dello sport, mentre lo sport di massa, sinonimo di buona salute fisica e mentale, costituisce una vera scuola di vita che infonde i valori dello spirito di squadra, della tolleranza, della solidarietà e di una sana emulazione.

Strumento di educazione nonché fattore di coesione ed integrazione sociale, lo sport partecipa alla lotta contro il razzismo, l'esclusione e la violenza, anche se purtroppo - business oblige - è sempre più inquinato dal doping. Lo sport professionistico, in effetti, è diventato un'attività economica vera e propria, sostenuta da imperativi di redditività. Alcune società calcistiche sono già quotate in borsa. Ma quanto più aumentano gli investimenti, tanto più prevale l'interesse economico sull'aspetto ludico. A quel punto tutto va bene pur di guadagnare, anche e soprattutto il doping, sempre più difficile da smascherare.

Come recuperare l'etica sportiva? Prima di tutto attraverso la lotta al doping, che deve essere generalizzata. Il doping nuoce gravemente alla salute degli atleti nonché alle virtù essenziali dello sport, ossia la lealtà, il fair play, il rispetto dell'avversario, l'amicizia, e via dicendo. Da questo punto di vista non si può che lodare l'istituzione, nel 1999, di un'Agenzia mondiale antidoping, su iniziativa del Comitato olimpico internazionale. C'è da sperare che rimanga indipendente e che diventi al più presto operativa. Starà a noi assegnarle i mezzi per funzionare in conformità alla sua missione. Il doping rimane pur sempre un problema mondiale, e non soltanto europeo.

Per quanto riguarda la normativa, l'Europa non deve imporre le proprie regole del gioco, ma deve avere fiducia nel mondo associativo ed accettare le proposte delle federazioni e degli altri comitati olimpici. La sentenza Bosman, ad esempio, emessa in nome dei grandi principi, ha destabilizzato le società di professionisti ed esacerbato l'effetto del denaro sul calcio europeo. Basti pensare, a questo riguardo, al trasferimento record (solo l'ultimo in ordine cronologico) di Figo alla squadra del Real Madrid. Le società di alcuni paesi vanno avanti ormai praticamente solo con giocatori stranieri. Come a Barcellona, dove si mettono insieme squadre senza nemmeno un giocatore spagnolo, con la conseguenza che i giovani atleti nazionali non hanno la possibilità di giocare ai massimi livelli. Un altro risultato è il saccheggio delle società di formazione. I trasferimenti interessano ora giocatori sempre più giovani: un atleta può essere trasferito sin dall'età di quindici anni.

L'Europa sta cercando ora di legiferare sulle condizioni del trasferimento, come ha ricordato la signora Commissario. Se il progetto attualmente in esame si concretizzerà (e mi auguro di no), si arriverà alla liberalizzazione totale del sistema, a vantaggio ancora una volta delle società più ricche e a scapito dei vivai di formazione, condannati così - a lungo termine - a scomparire. Il rimedio sarà peggiore del male. E' bene dunque sviluppare al massimo lo sport di massa nonché i piccoli club sportivi locali affinché ogni cittadino possa accedere allo sport ed ogni sportivo, attratto dalla competizione, possa progredire ed eventualmente raggiungere i massimi livelli in un mondo agonistico sano e leale.

 
  
  

PRESIDENZA DELL'ON. IMBENI
Vicepresidente

 
  
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  Perry (PPE-DE). - (EN) Questo è un dibattito importante, ed io desidero sottoscrivere le idee che emergono dalle due relazioni e in particolare ribadire l'importanza delle osservazioni della onorevole Zabell sul doping e quelle della onorevole Lynne sulla presunzione di innocenza.

Oggi riconosciamo tutti che lo sport è un grosso business, e ciò è particolarmente evidente per il calcio date le cifre altissime pagate per il trasferimento dei giocatori, il livello pazzesco degli stipendi e le transazioni borsistiche. Ma ciò non vale unicamente per il calcio. Ci sono altri sport che possono contare su ingenti somme di denaro, come ad esempio la Formula 1, che nel Regno Unito ha potuto devolvere al Partito laburista un milione di sterline che aveva da parte. Lo sport dispone di molto denaro e non può aspettarsi di sfuggire alle regole del libero mercato.

Non condivido tuttavia la richiesta contenuta nelle relazioni di inserire nel Trattato una clausola particolare sullo sport.

Il nostro collega Jacques Santer aveva ragione quando ha detto che l'Europa deve fare di meno ma farlo meglio. Cerchiamo quindi di agire ricorrendo unicamente ai nostri mezzi e sfruttando i poteri di cui già disponiamo. Per quando riguarda i trasferimenti di giocatori, è necessario applicare una buona dose di pragmatismo e di buonsenso. Sottoscrivo quanto ha detto questa mattina la signora Commissario, ho la massima fiducia nelle sue capacità e nel suo approccio e le faccio i miei migliori auguri per i prossimi dibattiti.

Vorrei dire, tuttavia, che non c'è fretta. La FIFA ha agito sicuramente in grande ritardo e va per questo biasimata, ma il Commissario dev'essere anche disposto a sentire ciò che hanno da dire le società minori, le organizzazioni dei giocatori e gli spettatori. Cerchiamo quindi di mettere a punto una buona soluzione che sia difendibile piuttosto che una soluzione qualsiasi entro questo pomeriggio, questa settimana o questo mese. Occorre trovare una soluzione che i cittadini europei possano comprendere. L'Europa ha bisogno di amici, non di nemici. Facciamo in modo che chi segue il calcio non vada ad accrescere le fila di coloro che non capiscono che cosa sia l'Europa. Una buona soluzione avrà il sostegno dell'Aula e quella dei tifosi di calcio di tutta Europa.

 
  
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  O'Toole (PSE). - (EN) Signor Presidente, anch'io desidero ringraziare l'onorevole Mennea e la onorevole Zabell per aver sottolineato il ruolo cruciale che ha lo sport nelle nostre vite. Innanzitutto va detto che è nota l'importanza dello sport come industria ma sarebbe un errore e una grossa perdita per la nostra società se lo sport diventasse unicamente un'industria. Viviamo più a lungo e lo sport occupa una fetta più grossa del nostro tempo. Lo sport non ci serve solo a tonificare il corpo, ma anche l'anima e la mente, e la legislazione europea deve riconoscere l'importanza di questo concetto. Appoggio quindi la richiesta di una legislazione che ci dia poteri uguali a quelli delle organizzazioni sportive internazionali più importanti.

Ai cittadini europei piace seguire il calcio e parteciparvi, a Newcastle così come a Dortmund e a Barcellona, ed è importante fare in modo che essi si iscrivano ai club sportivi locali. Le squadre più solide dovrebbero formarsi da sole e non essere comprate. C'è bisogno di un meccanismo ben gestito, costituito da club sportivi di professionisti di ogni forma, ordine e grado e occorre cogliere questa opportunità per riformare il sistema. Condivido quindi le dichiarazioni della Commissione e l'iniziativa del Commissario su questo tema.

Lo sport ha un potenziale enorme, ed è stato dimostrato che può aumentare la comprensione reciproca e combattere il razzismo. Dobbiamo quindi lavorare in questo campo se vogliamo che le nostre comunità siano più unite. Lo sport può incoraggiare gli atleti disabili ad avere successo, e noi dobbiamo dimostrare a questi atleti che condividiamo il loro orgoglio ed organizziamo manifestazioni sportive sia per loro che per tutti gli altri atleti. La violenza sul campo rappresenta il volto negativo dello sport: dobbiamo fare in modo che lo sport se ne liberi.

Il doping, infine, è un sintomo dell'eccessiva commercializzazione dello sport. Partendo per Sydney le nostre squadre sono sotto pressione come non mai. Dobbiamo creare strutture che possano combattere il doping su base internazionale perché, come abbiamo visto, una sola falsa accusa può rovinare o gettare un'ombra su una carriera esemplare come quella di Linford Christie. Diamo quindi il nostro appoggio alle relazioni nella speranza che esse possano fornirci le basi per dare avvio alla prossima fase dello sport europeo, assieme allo spirito comunitario necessario per costruire l'industria e il potenziale dello sport europeo.

 
  
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  Manders (ELDR). – (NL) Signora Commissario, onorevoli colleghi, desidero congratularmi con il relatore, onorevole Mennea, per la sua relazione che riveste grande importanza. Come è noto, lo sport svolge un importante ruolo sociale nella nostra società. Lo stesso ruolo e la stessa grande rilevanza sociale caratterizzano anche lo sport professionistico. Con il consenso dell’onorevole Mennea, naturalmente, ho presentato un emendamento alla sua relazione per proporre una possibile alternativa al sistema dei trasferimenti. Ritengo, infatti, che le prestazioni in campo di cui parliamo, le prestazioni lavorative dunque, non siano più proporzionate al valore e agli importi che sono loro attribuiti. Per questo motivo credo si tratti semplicemente di un’attività economica che dovrebbe essere separata. Vorrei conoscere il suo parere a riguardo.

Secondariamente, a nome di numerosi onorevoli colleghi, ho chiesto un rinvio della decisione definitiva sulla riforma del sistema dei trasferimenti – del quale lei ha già diffusamente trattato – perché proprio l’UEFA, insieme a molte federazioni calcistiche nazionali, organizzerà in ottobre, nel corso della sua prossima sessione, una seduta dedicata a questo tema. Vorrei invitare sia lei che il Commissario Monti a partecipare a tale incontro.

 
  
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  Bautista Ojeda (Verts/ALE). – (ES) Signor Presidente, signora Commissario, colleghi, gli atleti assumono prodotti dopanti solo se hanno un interesse economico. E’ innegabile che il doping sta cambiando lo sport e che lo sport cambierà a causa del doping: il risultato sarà un vero e proprio circo romano se non facciamo nulla per impedirlo.

Il sovrapporsi di spropositati interessi economici, dei mezzi di comunicazione e delle sponsorizzazioni intorno all’atleta nonché l’elevata intensità dello sport esercitano una pressione tale che, per mantenere il proprio livello competitivo e il ritmo imposto dai calendari, l’atleta tende a fare ricorso a sostanze proibite. Se non si limita la durata delle competizioni e se non si rende obbligatorio un periodo di riposo, sarà estremamente difficile debellare il doping. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che l’atleta, come chiunque, può ammalarsi o infortunarsi e avrà pertanto bisogno di qualche medicinale e di un apporto supplementare contro lo stress cui è sottoposto il suo organismo; per questo motivo sono così diffusi i “falsi positivi”, che marchiano per sempre l’atleta.

Occorre unificare i criteri, predisporre un’unica lista di sostanze proibite, armonizzare i controlli, apporre indicazioni di rischio sui medicinali e incrementare la ricerca. Colleghi, abbiamo davanti a noi il compito di reinventare lo sport, che oggi si batte sì per la gloria, ma anche per il denaro e la sponsorizzazione. Affinché non scompaia, dobbiamo tornare ai valori tradizionali dello sport, laddove si gareggia per una sola ricompensa: una medaglia.

 
  
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  Alavanos (GUE/NGL).(EL) Signor Presidente, in questo momento l’Europa è orientata verso una forma federalistica. Possiamo affermare che lo sport costituisce un importante precedente, essendo riuscito a creare strutture che hanno anticipato i nostri sistemi a livello politico, economico o altro.

Dobbiamo ringraziare Olimpia e il patrimonio della Grecia antica, oppure profeti come de Coubertin, se lo sport è da sempre un’occasione di incontro pacifico tra i popoli. Anche in tempo di guerra l’Europa ha sempre avuto strutture e regole comuni per lo sport. Oggi ci troviamo di fronte a un paradosso: ci accingiamo a rivedere i Trattati, moltiplichiamo le norme, i principi e le strutture a nostra disposizione e nel contempo assistiamo al disgregamento delle strutture dello sport.

Ciò accade perché prevalgono i grandi interessi economici, perché dietro ai mass media esistono i grandi finanziatori e influenti centri di potere, perché l’intervento dell’Unione è, a mio avviso, carente e perverso. L’Unione, che sinora è intervenuta nell’ambito dello sport solo nell’ottica della concorrenza, ha sostanzialmente rafforzato tale tendenza.

Credo che ci troviamo a una svolta. E’ molto importante avere oggi una Presidenza francese e un Presidente in carica come la signora Buffet, che penso abbia partecipato in un ruolo da protagonista nell’ambito dell’unificazione e dello sviluppo delle strutture dello sport. Ritengo che anche l’intervento della signora Reding a nome della Commissione sia positivo al fine di modificare le modalità d’intervento dell’Esecutivo. In tal senso credo si possa evitare quanto succede nella federazione della pallacanestro e quanto sta per accadere in tutti gli altri campi, salvaguardando così l’unità e il contatto tra sport e società.

 
  
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  Angelilli (UEN). - Signor Presidente, innanzitutto mi vorrei congratulare con i relatori per il lavoro svolto che, tra l'altro, è ampiamente condivisibile.

Credo che siamo tutti d'accordo sull'importanza e sul ruolo dello sport il quale, a livello sia agonistico che amatoriale, sia come pratica sportiva che come spettacolo, rappresenta un eccezionale strumento educativo e d'integrazione sociale.

Certo, lo sport è anche un fenomeno economico di grande importanza e, in quanto tale, deve seguire e rispettare alcune regole di mercato, come indicato anche nella nota sentenza Bosman. Ma, come è stato ricordato anche questa mattina, lo sport deve mantenere la sua specificità, che è innanzitutto sociale e culturale.

Proprio per evitare che lo sport si riduca ad un mero business, dobbiamo chiedere a gran voce che la prossima Conferenza intergovernativa di Nizza inserisca espressamente nell'articolo 151 del Trattato un importante riferimento di riconoscimento istituzionale dello sport.

 
  
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  Pack (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi abbiamo all'ordine del giorno tre temi che sono strettamente collegati tra loro. Il problema è solo che l'attenzione dei mezzi d'informazione, invece che sulle relazioni degli onorevoli Mennea e Zabell, oggi sarà concentrata su quanto è stato annunciato dalla signora Commissario. Mi sembra un vero peccato. Il gioco preferito dai tedeschi, il calcio, attira l'interesse più di quella che è la vera questione fondamentale.

Non esito a schierarmi a fianco dei due Commissari cui compete il dovere di dare applicazione alla sentenza Bosman. Se la FIFA avesse fatto il proprio lavoro, non sarebbe necessario ora l'intervento della Commissione. Spero che la FIFA se ne sia resa conto e che adesso faccia finalmente qualcosa, in modo che la Commissione possa accogliere le sue proposte, a condizione che non siano in contrasto con la sentenza Bosman. Insomma, ognuno deve fare il proprio lavoro.

Sulle relazioni stesse vorrei dire che deve essere messa in risalto la funzione sociale ed educativa dello sport amatoriale, contrapponendola a questo sport del big business. Corriamo il rischio che un giorno tutto lo sport venga sottoposto alle regole della concorrenza, e lo vorremmo evitare. Perciò la relazione dell'onorevole Mennea chiede a ragione che lo sport venga inserito nell'articolo 151, nel contesto della cultura. Lo avevo già chiesto io stessa nella mia relazione del 1996. Ne è derivata una dichiarazione adottata ad Amsterdam, che però è di gran lunga insufficiente. Sono perciò favorevole alla proposta di inserirlo finalmente nel Trattato.

La relazione di allora chiedeva inoltre alla Commissione di indire un anno dello sport, iniziativa che produrrebbe molteplici e positive ripercussioni. Vorrei che l'attuale Commissario facesse propria questa idea.

Mi compiaccio dell'impostazione a largo raggio data dall'onorevole Zabell alla sua relazione sul doping; e anche che essa parli in tono più incisivo degli abusi cui sono soggetti i giovani atleti, fornendo indicazioni su come condurre una lotta comune contro il doping.

Faccio gli auguri alla Commissione, che adesso è entrata a far parte di questa Agenzia antidoping, nella quale potrà veramente dare impulso alla lotta comune contro il doping a nome dei quindici. Buona fortuna!

 
  
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  Prets (PSE).(DE) Signor Presidente, signora Commissario, in coincidenza con l'inizio dei Giochi olimpici di Sydney il tema dello sport sarà naturalmente all'ordine del giorno delle discussioni nei contesti più vari e nei diversi gruppi della società. Le relazioni presentate in quest'Aula offrono una valida base per il dibattito. Emerge un interrogativo: che cosa ne è stato della concezione ideale dello sport, come esso viene ancora presentato? Nei discorsi solenni viene attribuito allo sport un significativo ruolo sociale ed aggregativo, e lo spirito di lealtà sportiva viene presentato come modello ideale dei rapporti, sia nel mondo del lavoro che nella politica o in altri contesti.

Invece, dalle due relazioni risulta con chiarezza come oggi lo sport sia diventato un settore economico, potente e spietato, i cui strumenti sono gli atleti e le atlete. Costoro vengono programmati per produrre elevate prestazioni in determinati giorni e settimane, con intervalli sempre più brevi tra i vari eventi, e hanno l'obbligo di funzionare. Per ovviare alle debolezze umane, non sempre calcolabili, e per poter funzionare alla perfezione, si fa ricorso alle sostanze dopanti, di cui è sempre più difficile rilevare l'uso.

Usando queste sostanze, i giovani atleti danneggiano sé stessi, la propria salute, il proprio sviluppo personale e, in ultima analisi, anche l'immagine dello sport. Gli atleti agonisti sono un modello per migliaia di giovani e perciò hanno un'importante influenza anche sullo sport amatoriale, che per me rimane il livello dello sport che maggiormente merita di essere sostenuto. Qui lo spirito di lealtà sportiva e la comunicazione sociale esistono ancora. Esempi negativi come le violenze, gli scandali del doping, i contratti milionari e le bancarotte distruggono però anche questo livello.

Devono essere create le basi giuridiche utili a circoscrivere tali tendenze negative. Per combattere il problema globale del doping, l'entrata in attività dell'AMA, e anzi la sua stessa esistenza, costituiscono un fatto positivo. Si deve intervenire contro le violenze ed il razzismo nello sport, per proteggere gli atleti e gli sportivi dalle orde selvagge di teppisti e razzisti. Anche gli sportivi professionisti potrebbero dare un maggiore contributo, sottolineando con più convinzione di quanto non abbiano fatto finora che prendono le distanze da quel tipo di cosiddetti sostenitori.

Il nostro compito deve essere quello di dare allo sport una nuova collocazione in una società che è cambiata, con le sue nuove e moderne possibilità tecniche e mediche, conservandone così i valori. Ritengo che un anno dello sport potrebbe essere molto utile a questo fine.

 
  
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  Flesch (ELDR). - (FR) Signor Presidente, mi congratulo con i colleghi Zabell e Mennea per le loro relazioni - di cui approvo quasi totalmente i suggerimenti - e mi limito a due osservazioni. In primo luogo, vorrei insistere sulla necessità di una partecipazione comunitaria all'Agenzia mondiale antidoping per consentire all'Unione europea di contribuire, in modo incisivo e coerente, alla lotta contro il doping.

In secondo luogo, ribadisco, oggi come ieri, il mio auspicio di veder inserita nel Trattato una base giuridica per l'azione comunitaria nel campo dello sport. Alludo qui ad una clausola di compatibilità del tipo cultura o ambiente che consenta di tenere conto adeguatamente - e insisto sull'avverbio "adeguatamente" - della specificità dello sport nella politica comunitaria o nelle politiche comunitarie.

 
  
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  Lagendijk (Verts/ALE). – (NL) Signor Presidente, signora Commissario, il motivo che ha spinto la Commissione a presentare la propria proposta – che appoggio pienamente – è quello di porre fine alla situazione che vede i giocatori considerati alla stessa stregua di una merce, acquistati dalle squadre perché capaci di giocare bene e, soprattutto, perché possono essere rivenduti con profitto a un’altra squadra.

Questa situazione è naturalmente fonte di problemi – perlomeno nel breve termine – per le squadre minori nei paesi calcisticamente più piccoli come i Paesi Bassi. Tuttavia, il mantenimento del sistema attuale non rappresenta una soluzione al problema. Una soluzione più strutturale consisterebbe in una migliore ripartizione dei milioni erogati dai media. Mi auguro pertanto che i club più importanti si rendano conto di non avere alcun futuro se scompariranno le squadre minori.

Mi si consenta un’osservazione sul sistema dei trasferimenti. Appoggio la proposta della Commissione, ma spero che questa Istituzione sia disposta a prevedere la possibilità di un rimborso dei costi di formazione dei giocatori fra i 18 e i 24 anni di età, così come propongono attualmente la FIFA, la federazione mondiale del calcio, e la FIFPRO, l’organizzazione dei giocatori. Mi auguro che l’UEFA, la federazione europea, si associ a questa richiesta e smetta di essere l’ultimo difensore di un sistema che ha condotto a risultati tanto assurdi.

 
  
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  Alyssandrakis (GUE/NGL). - (EL) Signor Presidente, analogamente alla cultura, all’istruzione e alla sanità, anche lo sport opera in un sistema di mercificazione e di asservimento alle cosiddette regole del mercato. Un giro d’affari per migliaia di miliardi e gli enormi profitti derivanti dalle principali manifestazioni sportive, a tutto vantaggio del grande capitale, hanno sostituito l’ideale dello sport. L’educazione allo sport e all’esercizio fisico come pratica quotidiana - lo sport a livello amatoriale - ne soffre irrimediabilmente. Fin tanto che chi ci guadagna vedrà prosperare l’azienda “sport”, continueranno a espandersi il doping, a crescere il prezzo per aggiudicarsi gli atleti – una forma di tratta degli esseri umani nel capitalismo moderno – e a diffondersi il problema della violenza sui campi da gioco, la corruzione e altri fenomeni degradanti.

Benché la Commissione riconosca che una delle principali ragioni dell’espandersi del doping è un’eccessiva mercificazione, non fa nulla per contrastare il fenomeno. Come potrebbe essere altrimenti visto che l’intera costruzione si fonda sul principio “tutto si vende, tutto si compra”? L’UE si limita a misure parziali, studi e codici deontologici con riferimenti superficiali ai controlli. Se veramente avesse voluto combattere il doping, l’avrebbe già fatto, ma ciò non conviene al CIO, alle federazioni internazionali, agli sponsor che investono nello sport né alle industrie farmaceutiche.

Malgrado taluni spunti positivi, i due testi non vanno molto lontano. La relazione Zabell sostiene che l’industria farmaceutica si preoccupa per la salute degli atleti, mentre nella relazione Mennea si propone agli Stati membri di approvare normative contenenti misure pratiche atte a favorire gli investimenti privati.

Se non si interviene per frenare la mercificazione, se non si frappongono ostacoli alle speculazioni del grande capitale, se non si prendono misure per attuare un controllo sostanziale e sistematico, allora non ci sarà mai nessun cambiamento nel mondo dello sport. Non aspettiamoci nulla del genere dall’Unione, ma impegniamoci per creare un movimento popolare che si batta affinché lo sport moderno torni ad ispirarsi al motto “mens sana in corpore sano”.

 
  
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  Gallagher (UEN). - (EN) Signor Presidente, l'eccessiva commercializzazione dello sport ha ovviamente portato allo sfruttamento di molti giovani atleti. I casi accertati di doping nelle manifestazioni sportive hanno inciso negativamente sull'immagine di molti sport agli occhi del pubblico. Finalmente il Comitato olimpico internazionale ha adempiuto il proprio dovere di combattere l'uso diffuso di sostanze dopanti nello sport, e durante i Giochi di Sydney verranno eseguiti fino a 2500 test antidoping.

Accolgo con favore l'annuncio del Comitato olimpico internazionale che promette l'imposizione di multe salate agli sportivi e alle sportive che faranno uso di sostanze dopanti sia a Sydney questo mese sia in futuro. La lotta all'uso di queste sostanze dovrebbe essere coordinata a livello mondiale, e l'Unione europea dovrà continuare a lavorare tramite l'Agenzia mondiale antidoping in modo da far sì che per tutte le attività sportive vengano applicati orientamenti coerenti e strutturati.

Per concludere, desidero ricordare che il Trattato di Amsterdam sottolinea la rilevanza sociale dello sport, ma non contempla la possibilità che l'Unione europea prenda iniziative in ambito sportivo: questo è un problema che dovrebbe essere affrontato nei dibattiti in corso sulla riforma delle politiche e delle iniziative comunitarie.

 
  
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  Karas (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, mi sembra che il dibattito e le relazioni vadano nella giusta direzione. La società europea conta ben 700.000 associazioni sportive. La Presidenza del Consiglio ha affermato che lo sport è una scuola di vita. Lo sport fa parte del lavoro di assistenza ai giovani, fa parte della politica dell'istruzione, fa parte del tempo libero, fa parte della politica sanitaria,, fa parte della comprensione tra i popoli, fa parte dell'industria dell'informazione, fa parte dell'economia e della concorrenza. Sottolineo questa parola: parte. Ridurre lo sport a fattore dell'economia e della concorrenza equivale a negare il significato che lo sport ha per l'intera società. Dobbiamo constatare che fino ad oggi il diritto comunitario è stato applicato allo sport in maniera indifferenziata, proprio perché lo si è considerato in primo luogo un'attività economica. Ciò significa non tenere sufficientemente in considerazione le particolari caratteristiche dello sport e delle sue 700.000 associazioni, i molti che lavorano senza fini di lucro per esempio nell'assistenza ai minori oppure per allenare i bambini e i giovani. Senza un efficace lavoro sui bambini e i giovani, senza un mondo associativo vitale in Europa non potremo mai realizzare le nostre ambizioni per lo sport di massa.

La onorevole Pack ha già parlato in più occasioni della necessità di inserire lo sport nei Trattati europei e in particolare in quello di Amsterdam. Il significato dello sport viene riconosciuto anche dalle conclusioni del Vertice di Feira. La conseguenza logica ed auspicabile è quindi dare allo sport una base giuridica nel Trattato.

Non intendiamo interferire negli affari interni degli Stati membri. Lo sport rientra nel principio di sussidiarietà. Vogliamo solamente che anche la Commissione ed il diritto europeo riconoscano il significato che lo sport possiede per l'intera società, e che forse gli possa essere attribuita una linea del bilancio e non sia più necessario sostenerlo a forza di progetti pilota.

(Applausi)

 
  
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  Roure (PSE). - (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, tutti sanno che lo sport rappresenta un mezzo di realizzazione personale nonché un momento privilegiato di incontro con gli altri. Ma siamo davvero in grado di scorgere, di riconoscere le diverse finalità della pratica di uno sport? Per alcuni, è un modo per mantenersi in forma; per altri, fa parte del processo di formazione personale e per altri ancora, rappresenta uno spettacolo oppure la ricerca del migliore risultato a qualsiasi costo. Tutti riconosciamo che lo sport è uno straordinario strumento di coesione dei popoli e di appartenenza alla società civile. Tuttavia, sappiamo anche che può essere talvolta accompagnato da violenze inaudite e che può essere espressione di un razzismo riprovevole o di un grave, intollerabile nazionalismo.

Per tutti questi motivi, non possiamo accettare che lo sport venga considerato unicamente nella sua dimensione economica. Anche l'associazionismo e il volontariato fanno parte integrante del mondo sportivo, ed è proprio grazie a loro che lo sport vive nei nostri paesi e che lo sport di massa può sperare in un futuro. Le azioni dell'uomo non si possono valutare ogni volta con la calcolatrice in mano. E' una prassi - questa - troppo pericolosa per i rapporti umani perché si possa rimanere in silenzio. Quando non ci sono somme da guadagnare, e nemmeno l'obbligo di profitti finanziari, ci può essere anche soltanto la voglia di condividere momenti privilegiati in cui lo sport ha un ruolo importantissimo .

Questa ricerca di legami all'interno di una società sempre più mercantile lascia trapelare in nuce una certa opposizione all'attuale mercificazione del mondo e dei rapporti umani. Non possiamo accettare questa volontà di ricercare vantaggi finanziari, a scapito del principio della realizzazione dell'uomo attraverso lo sport. La tutela dei giovani sportivi è una priorità della Presidenza francese, ma è anche la nostra priorità e dobbiamo chiedere che venga vietata qualsiasi transazione commerciale che li interessi.

D'altra parte, dobbiamo anche assolutamente prevedere l'integrazione dello sport nel Trattato, se non a breve, almeno a medio termine. E' una sfida - è vero - ma è necessario raccoglierla in nome delle generazioni future.

 
  
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  De Clercq (ELDR). – (NL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, entrambi i relatori conoscono la materia in esame perché ne hanno esperienza diretta: lo si evince chiaramente dalle loro eccellenti relazioni. Per quanto concerne in particolare la relazione del mio amico Mennea, in alcuni emendamenti, che fortunatamente sono stati accolti nella proposta di risoluzione finale, ho voluto porre l’accento su tre punti. Il primo concerne l’importanza anche psicologica dello sport per l’acquisizione di alcuni valori sociali. Il secondo punto riguarda l’importanza delle attività gratuite per poter lavorare nello sport con alcuni gruppi appartenenti a minoranze, attività che meritano maggiore sostegno anche sul piano europeo. Il terzo punto è un monito che vorrei lanciare, perché possono crearsi enormi differenze fra lo sport ai livelli più alti e le piccole associazioni sportive, da un lato, e lo sport professionistico e quello dilettantistico, dall’altro. In entrambi i casi, gli uni non possono sopravvivere senza gli altri.

Alla domanda se lo sport debba essere di competenza dell’Unione europea la mia risposta è un inequivocabile sì. La partita non si chiude, però, con questa relazione, al contrario. Il ruolo e l’impatto dello sport hanno assunto dimensioni tali nella nostra società e al contempo questo fenomeno ha conosciuto un’evoluzione di tali proporzioni che ci troviamo appena nel girone preliminare del dibattito sociale. Quale Parlamento europeo dobbiamo fare in modo di non rimanere spettatori in questo dibattito, dobbiamo continuare a giocare attivamente in campo per poter influire in modo decisivo sul risultato della partita.

 
  
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  Turmes (Verdi/ALE). - (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, le direzioni in cui lavorare sono tre. Prima di tutto e sopra ogni cosa, lottare fermamente contro il doping. L'adesione finanziaria e politica di tutti i paesi dell'Unione europea all'Agenzia mondiale antidoping è una condizione necessaria, ma non sufficiente. Occorre soprattutto che gli Stati si diano vere e proprie strutture di lotta al doping. La Francia ha indicato la strada da percorrere e sarei curioso di sapere come la Presidenza del Consiglio vede l'interazione tra la suddetta Agenzia e le varie iniziative nazionali.

Occorre altresì lottare contro i possibili effetti perversi del sistema dei trasferimenti, specie nel commercio di giovani professionisti. Infine, occorre potenziare il ruolo dei veri protagonisti dello sport, delle federazioni e dello sport a scuola. Sono favorevole a qualsiasi sforzo che punti a riconoscere il ruolo centrale delle federazioni e a proteggerle dalle offensive dei grandi gruppi finanziari e mediatici.

I giovani devono essere l'obiettivo centrale della rivalorizzazione dello sport. Sostengo l'appello lanciato dal relatore Mennea il quale chiede che venga potenziato il ruolo dello sport nelle scuole e che il Trattato ne riconosca la specificità, se non vogliamo che l'aspetto della libera concorrenza nello sport assuma eccessiva importanza.

Mi chiedo se l'umanità non stia per caso regredendo verso una sorta di decadenza romana. O se lo sport agonistico non stia tornando ad essere un combattimento tra gladiatori rappresentati, questa volta, da uomini robot attrezzati con le ultime novità della biotecnologia e della cybertecnologia e finanziati da interessi politico-finanziari. La politica e gli organismi sportivi devono assumersi le loro responsabilità.

 
  
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  Decourrière (PPE-DE). - (FR) Signor Presidente, signora Commissario, signora Ministro, mi permetto di intervenire oggi sulle relazioni Zabell e Mennea sia in qualità di deputato europeo sia di presidente di un club di basket professionistico che partecipa alle grandi competizioni europee.

Vorrei innanzitutto congratularmi con i due relatori e ringraziarli per lo splendido lavoro realizzato, ma mi permetto anche di insistere sull'azione della nostra collega Doris Pack grazie alla quale è stato possibile negoziare un protocollo sullo sport, allegato al Trattato di Amsterdam.

Il doping è una piaga dalla quale lo sport deve proteggersi. Esso rimette in discussione sia il fair play che l'autenticità della competizione, mettendo contemporaneamente in pericolo gli sportivi che vi si dedicano. Rimango personalmente allibito di fronte alla facilità con la quale i giovani sportivi riescono, senza alcun controllo, a rifornirsi di prodotti dopanti su Internet o in alcuni paesi dell'Unione europea. Il Ministro, signora Buffet, si è occupato a fondo di questo problema in Francia, e me ne congratulo. Una simile piaga, tuttavia, può essere combattuta soltanto a livello europeo e mondiale, per cui incoraggio l'Unione a lavorare con l'Agenzia mondiale.

L'Unione europea deve anche raccogliere la sfida della modernizzazione dello sport. La Commissione europea rimette in discussione il sistema dei trasferimenti tra società in quanto lo ritiene contrario al principio della libertà di circolazione degli sportivi. Ma non considera per nulla la distorsione della concorrenza tra Stati membri, o la disparità sociale e fiscale tra sportivi professionisti che provoca l'emigrazione dei soggetti migliori verso alcuni paesi. In Francia lo sappiamo bene giacché venti dei ventidue giocatori che hanno disputato i campionati europei sono finiti a giocare in altri paesi dell'Unione.

Queste sono pratiche di dumping sociale e fiscale, contro le quali però la Commissione - pur intransigente sui principi - non sta lottando.

Gli sportivi professionisti sono anche vittime in molti casi di procuratori che hanno l'esclusiva di negoziazione dei loro contratti di lavoro. I procuratori si fanno pagare non solo dai giocatori, ma anche dalle società a cui spillano commissioni - e lo dico con cognizione di causa. Poi cedono i loro sportivi al miglior offerente - come volgare merce - dopo aver fatto salire i prezzi alle stelle.

L'eliminazione dei trasferimenti indurrà i procuratori a rescindere i contratti di lavoro degli sportivi più volte nel corso di un anno al fine di spuntare nuove commissioni ad ogni nuovo ingaggio. Il sistema della procura deve essere regolamentato dall'Unione, se non addirittura soppresso.

Concluderò aggiungendo che lo sport deve rientrare nel campo di applicazione del Trattato della Comunità europea. Lancio quindi un appello a tutti i nostri governanti, in particolare al governo francese che in questo momento ha la Presidenza dell'Unione, affinché la Conferenza intergovernativa finale, che si terrà a dicembre a Nizza, assegni all'Unione europea una competenza condivisa in materia, e coinvolga il Parlamento nella sua applicazione attraverso la procedura della codecisione.

 
  
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  Iivari (PSE).(FI) Signor Presidente, lo sport è diventato un’importante forma internazionale d’intrattenimento, entusiasma milioni di persone e rappresenta un giro d’affari a dir poco impressionante. Migliaia di finlandesi sono andati in Ungheria per seguire le imprese di Mika Häkkinen ed il portiere vietnamita di un hotel mi ha chiesto quale fosse l’esatta pronuncia del nome di Jari Litmanen.

L’agonismo e l’aspetto economico dello sport non devono comunque farci dimenticare l’importanza educativa e salutare dell’attività fisica per la società ed il singolo. E poi, l’importante opera del volontariato si basa anche sulla capacità di coesione delle associazioni sportive. Nonostante gli aspetti positivi, bisogna comunque ricordarsi dell’altra faccia della medaglia, il doping, la violenza durante gli eventi sportivi ed il fenomeno negativo legato alla compravendita dei giocatori. Per ostacolare questo tipo di evoluzioni è necessario che l’Unione s’impegni a sviluppare una base giuridica per lo sport. E la futura politica sullo sport dell’UE dovrà tenere in considerazione le diversità delle strutture sportive esistenti. Ecco perché bisogna garantire che si continui ad ascoltare l’opinione delle associazioni sportive nazionali anche dopo la conferenza Olimpia 1999.

Infine, desidererei ricordare l’importanza di migliorare la parità tra i sessi sia nello sport che nell’attività fisica in generale. La conferenza European Woman and Sport, tenutasi lo scorso giugno ad Helsinki, ha fornito delle raccomandazioni che spero verranno tenute in considerazione sia a livello nazionale che all’interno dell’Unione Europea. Desidero ringraziare i relatori per il loro lavoro ed impegno ed esprimere il mio più sincero apprezzamento per gli ottimi interventi iniziali del Presidente del Consiglio e della signora Commissario.

 
  
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  Matikainen-Kallström (PPE-DE).(FI) Signor Presidente l’enorme importanza economica, sociale, sanitaria e culturale dello sport è sicuramente indiscutibile. E quindi, penso sia assurdo il fatto che nell’Unione europea lo sport non abbia una base giuridica. Il Parlamento europeo deve indurre la Commissione ed il Consiglio a farsi un esame di coscienza. Durante la prossima Conferenza intergovernativa si dovrà definire chiaramente lo status dello sport, in modo che le associazioni sportive stesse possano partecipare attivamente al processo decisionale.

Lo sport agonistico è un giro d’affari di miliardi, quindi è importante che vengano definite delle regole generali basate su principi che tengano in considerazione gli interessi degli atleti e degli organizzatori di eventi sportivi. La tutela degli atleti che praticano sport di squadra deve essere garantita nel pieno rispetto del principio della libera circolazione della forza lavoro, senza comunque dimenticare che le cosiddette società vivaio hanno comunque diritto ad un compenso monetario per la loro attività. In merito ai problemi legati alla trasmissione televisiva degli eventi sportivi, è necessario trovare un giusto equilibrio tra il potere economico degli organizzatori ed il rispetto del principio di garanzia del servizio pubblico d’informazione.

Per quanto concerne il doping ed il dibattito generale incentrato sullo sport, bisogna fare una netta differenza tra attività fisica amatoriale e sport a livello agonistico. Sappiamo bene quali sono i problemi etici dello sport agonistico. Una minore attenzione viene rivolta alla diffusione delle sostanze dopanti tra gli sportivi dilettanti: una chiara testimonianza di ciò è il crescente sviluppo del mercato nero di queste sostanze nelle palestre. Questo problema è tanto attuale quanto quello della droga, soprattutto per l’uso di quella sintetica, quindi già dal punto di vista della sanità pubblica, l’Unione europea dovrebbe andare fino in fondo per risolverlo.

 
  
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  Buffet, Consiglio. - (FR) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, a seguito di un dibattito così ricco di spunti, mi limiterò a formulare alcune osservazioni.

Dato che siamo tutti, ovviamente, preoccupati per i nocivi processi d'involuzione a cui assistiamo nel mondo sportivo, facciamo bene a denunciarle, ma dobbiamo anche sottolineare che la stragrande maggioranza degli sportivi - uomini o donne che siano - e dei dirigenti volontari del mondo associativo sportivo sono individui che tengono in massima considerazione i valori dello sport, ne difendono l'etica e ne vogliono fare uno strumento di realizzazione personale e collettiva.

Rifiuto lo slogan "tutti dopati" oppure quella, suggerita poc'anzi, di calciatori capaci solo di correre e non di pensare. Gli sportivi - uomini e donne - sono cittadini comuni: forse dovremmo dare loro più spesso la parola affinché possano esprimere le loro preoccupazioni ed aspettative.

Naturalmente, oltre a questi dannosi effetti, va anche ricordato che - per parlare solo del calcio - il professionismo rappresenta soltanto l'1 percento dei tesserati della Federazione internazionale del calcio. E' tutto lo sport nel suo insieme, quindi, che va difeso e non soltanto uno dei suoi aspetti. Non dimentichiamolo.

Relativamente al doping, condivido pienamente l'idea che il male va affrontato alla radice. Si è parlato di calendari sportivi, ma io parlerei pure dello stato di dipendenza di alcuni sportivi dai risultati e dalle sponsorizzazioni. Oppure si potrebbero ricordare anche le pressioni esercitate dai grandi gruppi mediatici che vogliono sempre aggiungere competizione alla competizione. Vanno quindi affrontate le cause di questo male, ma senza attendere oltre: vanno intensificati i controlli, le sanzioni sportive e le azioni contro le filiere del doping. L'intervento dell'Unione europea non è sufficiente per smantellare queste filiere che propongono sostanze dopanti negli ambienti sportivi.

Per quanto riguarda la domanda specifica che è stata posta, sono del parere che sia assolutamente necessario lavorare Stato per Stato, e quindi a livello dell'Unione europea, su di una sorta di convenzione che potrebbe essere stipulata tra gli Stati e l'Agenzia mondiale antidoping al fine di facilitare il lavoro di quest'ultima in ciascuno degli Stati, indipendentemente dalla loro legislazione.

Circa i trasferimenti, permettetemi di esprimervi la mia posizione nonché quella della Presidenza francese. Non sono favorevole al mantenimento dello status quo attuale, dati i gravi fenomeni a cui assistiamo, privi di qualsiasi giustificazione economica, sociale o sportiva. Ma non sono nemmeno a favore dell'eliminazione totale del presente sistema, in quanto porterebbe a una deregolamentazione ancora peggiore di quella attuale, dove l'unico interesse in gioco tra le società sarebbero gli ingaggi degli atleti.

Nelle ultime quarantotto ore, la FIFA ha formulato alcune proposte estremamente interessanti e costruttive, finalizzate a tutelare la formazione e i diritti degli individui, ma anche la necessità delle società sportive di formare e comporre squadre. Ecco un buon punto di partenza su cui discutere con la Commissione, come ha testé ricordato il Commissario, signora Reding. Sono quindi possibili proposte innovative in questo campo. Basta però che le grandi società, a cui piacerebbe introdurre una vera deregolamentazione al fine di organizzare competizioni private, non decidano di ostacolare la discussione che inizierà ora tra la FIFA e la Commissione.

Qualcuno ha parlato del "ruolo sociale dello sport" chiedendosi se esso coincida con l'oppio dei popoli. No, credo che il ruolo sociale dello sport sia soltanto quello di consentire a ciascuno di ritrovarsi attraverso un'attività, di realizzarsi, di incontrare gli altri e di costruire assieme a costoro qualcosa di positivo per la vita.

Voglio che sappiate che la Presidenza francese, dopo avere ascoltato i vostri interventi, sarà più che mai determinata nel portare avanti lo sforzo di riconoscere su basi concrete la specificità dello sport e di lottare contro il doping.

 
  
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  Reding, Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, signora Ministro, vorrei innanzitutto ringraziare tutti i gruppi politici per il loro sostegno all’azione della Commissione relativa alle norme per i trasferimenti. Ci apprestiamo ora ad avviare il dialogo per trovare, insieme ai responsabili del calcio europeo, un accordo a proposito di nuove norme per il trasferimento dei giocatori che tenga conto degli interessi del mondo del calcio e sia conforme ai Trattati europei.

Signor Presidente, ciò ha forse un valore simbolico ma, a pochi giorni dall’inizio dei Giochi di Sydney, apriamo la discussione sulla futura politica dello sport in Europa, con due relatori che sono stati campioni olimpici. Quale simbolo migliore per mostrare l’unione, l’intesa tra il mondo politico e il mondo sportivo, di quel che è accaduto stamane in questo consesso! Consentitemi di congratularmi con i relatori, la onorevole Zabell e l’onorevole Mennea, per il loro importante contributo. Consentitemi, inoltre, di ringraziare il presidente e i membri della commissione competente per la loro collaborazione assidua e a tutto campo e di ringraziare il Parlamento, vero portavoce degli sportivi europei, che offre sempre il proprio sostegno alle azioni intraprese sia dalla Commissione che dai Ministri dello sport per rafforzare lo sport in Europa.

Mi fa piacere constatare, signor Presidente, che le due comunicazioni proposte nel dicembre 1999 hanno suscitato vivo interesse e un largo consenso. I pareri della Commissione e del Parlamento sono concordi e coincidono con quelli dei cittadini.

Ho ascoltato con grande attenzione il discorso del Ministro Buffet che ha illustrato in modo pertinente le nostre riflessioni. Se non lo sapessi già, ciò mi confermerebbe che stiamo andando nella stessa direzione, che operiamo insieme nell’interesse dello sport. Le preoccupazioni espresse dalla Presidente del Consiglio sono condivise dal Parlamento e si ritrovano nelle due dichiarazioni della Commissione; ne citerò solo quattro sulle quali ritornerò in seguito: la protezione dei giovani sportivi, il mantenimento della funzione sociale dello sport, la tutela dell’etica sportiva e il principio della solidarietà. Sono direttrici comuni d’azione e tutti noi, singolarmente e congiuntamente, dobbiamo continuare ad impegnarci affinché esse si realizzino.

Auspico che la dichiarazione dalla Presidenza francese, prevista per il Consiglio europeo di Nizza, possa contribuire a comprendere meglio la specificità dello sport.

Al di là delle osservazioni (che condivido) formulate dai relatori, i due progetti di risoluzione richiedono alcuni ulteriori commenti da parte mia. Comincerò esponendo brevemente il piano di sostegno alla lotta contro il doping. Il doping nello sport non è solo un problema etico: è divenuto un problema di sanità pubblica, che richiede il coinvolgimento di tutti i soggetti implicati, ed è per questo motivo che, aderendo all’invito espresso dal Consiglio di Vienna e dal Parlamento, i Ministri dello sport e la Commissione si sono messi al lavoro.

Il piano di sostegno che avete esaminato è, in un certo senso, il risultato di quel lavoro; un risultato provvisorio – certo – perché questa è soltanto la prima tappa. Tuttavia, il piano mira a definire una strategia globale alla lotta contro questa piaga e la Commissione nella sua comunicazione ha optato per un intervento a tre livelli: in primo luogo raccogliere il parere degli esperti sulla dimensione etica, giuridica e scientifica di questo fenomeno; in secondo luogo contribuire alla preparazione della Conferenza mondiale contro il doping e, in terzo luogo, mobilitare le risorse comunitarie al fine di portare a compimento le azioni già intraprese negli Stati membri e di conferire loro una dimensione comunitaria.

Sin d’ora ho iniziato a mettere in atto tale piano e, oggi, vorrei presentarvi brevemente le prime iniziative promosse dalla Commissione in materia di lotta contro il doping. Innanzitutto, per quanto riguarda il primo obiettivo, la Commissione si è rivolta al Gruppo europeo di etica che ha espresso il proprio parere l’11 novembre 1999; alcune misure proposte saranno riprese dalla Commissione nelle sue iniziative future.

Consideriamo ora l’Agenzia mondiale antidoping. Come sapete, e il Ministro Buffet l’ha ricordato poc’anzi, questa Agenzia è nata per volontà dell’Unione europea. Dopo questo buon inizio, occorre fare in modo che la presenza comunitaria in seno all’Agenzia sia forte e coordinata. A tal fine, all’inizio d’aprile ho presentato una comunicazione al collegio dei commissari a proposito di un’eventuale partecipazione comunitaria all’Agenzia. La questione è stata esaminata dalla Commissione che ha assunto una posizione molto ferma e chiara: una partecipazione comunitaria è ammissibile a condizione che la Commissione riceva il sostegno unanime degli Stati membri. Spero, onorevoli colleghi, che gli sforzi intrapresi dalla Presidenza francese porteranno al conseguimento dell’unanimità e che la Comunità potrà partecipare all’Agenzia non solo dal punto di vista finanziario, ma, soprattutto sul piano delle idee e degli indirizzi politici. Ci si aspetta da noi un ruolo trainante e noi siamo pronti ad assumerlo. Devo dirvi che, in attesa del finanziamento per le spese di funzionamento dell’Agenzia mediante i fondi concessi alla Commissione, quest’ultima ha sbloccato 1,5 milioni di euro per finanziare alcune azioni mirate dell’Agenzia mondiale antidoping.

Infine, la Commissione deve mobilitare le risorse di cui dispone per la lotta contro il doping. Ad esempio, sarebbe opportuno garantire il miglior coordinamento possibile tra le politiche e le misure di regolamentazione. I miei colleghi Byrne della Sanità e Busquin della Ricerca stanno lavorando ad alcune importanti iniziative in stretta collaborazione con i miei servizi. L’adozione di una raccomandazione sullo sport e il doping è prevista proprio per quest’autunno. Inoltre, la Commissione finanzia un progetto di ricerca che dovrebbe condurre all’omologazione dei laboratori europei specializzati nella lotta contro il doping. Sono stati stabiliti contatti con i nuovi servizi della Commissione che si occupano della giustizia e degli affari interni poiché, come la vostra relazione giustamente afferma, esistono nuove possibilità di affrontare la questione del doping mediante la repressione del traffico delle sostanze dopanti. Infine, come potete facilmente capire, nei miei servizi e cioè l’educazione, la formazione professionale e la gioventù, i programmi predisposti daranno largo spazio all’informazione, alla sensibilizzazione e alla lotta contro il doping negli ambienti giovanili.

Tuttavia, signor Presidente, il coordinamento va al di là delle azioni che possiamo promuovere in questa sede. In conformità allo spirito della relazione di Helsinki, ho avviato il dialogo sia con i governi che con le federazioni sportive europee sulla questione della lotta contro il doping. In occasione della mia visita a Sydney per i Giochi olimpici, mi propongo, insieme al Ministro Buffet, di incontrare i Ministri dello sport degli altri continenti per ampliare la nostra azione e stringere legami d’intesa con i responsabili politici a livello mondiale.

Vorrei cogliere l’occasione per ringraziare il Parlamento europeo, che ha permesso di avviare alcune azioni pilota. Sono stati stanziati cinque milioni di euro: un milione e mezzo a favore dell’Agenzia antidoping, il resto per finanziare quindici progetti europei. Saranno promosse campagne d’informazione ed alcuni studi (in particolare per analizzare le cause profonde della pratica del doping) in stretta collaborazione con il mondo universitario, i ricercatori e il mondo sportivo.

Onorevoli parlamentari, potete constatare che l’attuazione della relazione è già cominciata e le conclusioni dei vostri lavori mi paiono davvero incoraggianti. A mio avviso questa non è che una prima tappa; ci si aspetta molto di più da noi e sono convinta che la relazione Zabell servirà da filo conduttore e da riferimento alla Commissione sia per le sue attività presenti che per le sue azioni future.

Signor Presidente, mi consenta ora d’insistere sulla relazione di Helsinki, sulla dimensione sociale dello sport. Grazie a questa relazione, per la prima volta la Commissione si è dotata di una “dottrina” nell’ambito dello sport. Da questo punto di vista la relazione di Helsinki è fondamentale e ringrazio il Parlamento che ha svolto un ruolo essenziale in questa evoluzione. Infatti, nel 1997 il Parlamento aveva invitato la Commissione a preparare un’azione comunitaria nel settore dello sport e, sempre nel 1997, era stata allegata al Trattato una dichiarazione sullo sport; essa invitava le Istituzioni a consultare le associazioni sportive riguardo a questioni importanti concernenti lo sport. La Commissione aveva quindi avviato un ampio processo di consultazioni con le organizzazioni sportive, che sta alla base della relazione di Helsinki. Io stessa ho avuto la fortuna di ricevere l’appoggio sostanziale di tre Presidenze: la Presidenza finlandese, la Presidenza portoghese ed ora, la Presidenza francese. Mi auguro che questo concorso di circostanze favorevoli consentirà di progredire in modo tale da conferire allo sport il posto che gli spetta nell’attività comunitaria.

Onorevoli, a mio avviso lo sport gode di buona, anzi ottima salute. Se consideriamo i proventi dei diritti televisivi e della vendita di articoli sportivi, constatiamo che la situazione economica dello sport è quanto mai solida. E’ chiaro che tale buona condizione economica non deve essere messa a repentaglio dalle minacce che abbiamo individuato tutti insieme: il fenomeno del doping, la mancanza di protezione dei giovani sportivi, l’eccessiva commercializzazione, la violenza dentro e fuori gli stadi. Di fronte a questi problemi deve essere adottato un approccio comune e nella sua relazione di Helsinki, la Commissione ha evidenziato con chiarezza che, da sola, essa non può fornire soluzioni a tutti questi problemi. Ci saranno tre livelli d’intervento: il mondo dello sport, i responsabili nazionali e la dimensione comunitaria.

In primo luogo, il mondo dello sport. Dal 1989 la Commissione ribadisce la sua preoccupazione di rispettare l’autonomia delle organizzazioni sportive. Ma chi dice autonomia dice anche responsabilità, dice disponibilità a volere e poter integrare il nuovo quadro economico e ad adattare le strutture esistenti alle nuove realtà del mondo sportivo. Le federazioni devono in effetti fare uno sforzo ulteriore di democratizzazione interna e di adeguamento delle strutture alle esigenze dello sport amatoriale da un lato e professionale dall’altro. Esse devono garantire una maggiore trasparenza nella gestione degli sponsor e dei diritti televisivi. E se i principi della solidarietà e della funzione sociale sottolineati dal Parlamento europeo sono chiaramente rispettati, potremo prevedere una deroga parziale alle regole della concorrenza, ad esempio in materia di vendita collettiva dei diritti televisivi. Deve essere chiaro che una deroga generale a tali regole non potrà in alcun modo essere giustificata. Noi facciamo affidamento sulla trasparenza e il dialogo: per questo ho ricevuto a Bruxelles il 17 aprile scorso tutte le federazioni europee dello sport e con il Ministro Buffet il 26 e 27 ottobre prossimi

 
  
  

organizzeremo un grande forum europeo dello sport a Lille, per un nuovo dialogo tra il mondo politico e le federazioni europee. Il secondo livello è quello delle autorità nazionali. Se l’organizzazione federale dello sport è la stessa ovunque in Europa, il modo in cui è gestita varia radicalmente a seconda delle tradizioni culturali e politiche dei singoli Stati, o regioni. Taluni problemi devono essere risolti su scala nazionale in conformità alle leggi nazionali e alla visione politica dello sport propria dello Stato. Vorrei ricordare qui l’importanza delle collettività locali e dei comuni che hanno un posto di primo piano e devono essere valorizzati. Sempre in questa prospettiva, aggiungerei il rispetto che dobbiamo portare ai piccoli club e agli innumerevoli volontari che vi lavorano: sono essi che conferiscono allo sport un’autentica dimensione civile.

(Applausi)

Il terzo livello è quello comunitario, a cui si deve ricorrere unicamente per risolvere i problemi relativi all’applicazione del diritto comunitario e per potenziare l’azione nazionale, ad esempio nella lotta contro il doping.

Il Consiglio europeo di Feira ha invitato la Commissione e il Consiglio a tener conto delle caratteristiche specifiche dello sport e della sua dimensione sociale. Esistono in Europa circa seicentomila club sportivi e, tra i giovani che fanno parte di un’associazione, il 60 percento è affiliato a un club sportivo. Si tratta di elettori, signor Presidente, e vorrei che coloro che rappresentano tali elettori ascoltassero ciò che intendo dire perché li riguarda tutti.

(Applausi)

Né il Parlamento europeo, né la Commissione, né il Consiglio possono ignorare la forza sociale rappresentata dal movimento sportivo. Possiamo forse condurre politiche comuni efficaci senza tener conto del ruolo delle organizzazioni sportive di base? Io non credo. Tra le vie che mi paiono di maggiore interesse, il ruolo e la qualità dell’insegnamento dell’educazione fisica nelle scuole sono essenziali. La tutela dell’istruzione e il reinserimento professionale dei giovani sportivi sono aspetti che non vanno trascurati; il riconoscimento dello sport nel programma “GIOVENTÚ” sta diventando una realtà.

Condivido il vostro parere quanto al fatto che lo sport e l’attività fisica rappresentano un eccellente contrappeso ad altre attività. Sono convinta che uno sforzo particolare deve essere fatto per protegger meglio i giovani atleti. So che il Ministro Buffet condivide pienamente i punti di vista della Commissione e del Parlamento in questa materia. A tal fine la Commissione ha indirizzato agli Stati membri un questionario, per interrogarli sui metodi adottati per garantire la salute e l’istruzione dei giovani atleti; intendo presentare agli Stati membri una proposta di raccomandazione al fine di garantire ulteriormente la tutela dell’istruzione e della salute dei giovani sportivi.

Infine, oltre al programma GIOVENTÚ, altri programmi comunitari, quali ad esempio “lotta alla discriminazione nel rispetto della parità tra i sessi”, “portatori di handicap”, MINORANZE, come pure i programmi SVILUPPO, devono tener conto dello sport.

Ciò mi conduce, signor Presidente, ad una riflessione conclusiva, importante per l’avvenire. Un articolo in un nuovo Trattato o un protocollo sono forse necessari per far progredire le cose? Ve l’ho detto ripetutamente, per il momento faccio delle acrobazie senza alcuna rete di sicurezza e un articolo potrebbe essere la rete di cui ho bisogno. Occorre tuttavia essere realistici: né un articolo, né un protocollo potranno, da soli, fornire le soluzioni a tutti i problemi dello sport. Non esistono soluzioni miracolose. Occorre innanzitutto riflettere sull’utilità di questi riferimenti giuridici e all’uso che vorremmo farne. Vi comunico una mia riflessione personale.

Non sono favorevole a un protocollo che escluderebbe le federazioni dai grandi principi comunitari e, del resto, un tale protocollo non consentirebbe di tener conto della dimensione sociale delle sport. Parimenti sarei contraria ad un articolo nel Trattato che volesse armonizzare lo sport in Europa: non è questo il nostro obiettivo. Invece, come i vostri relatori e numerosi oratori hanno sottolineato, mi sembra che l’articolo che avete in mente, simile a quello dell’educazione e della cultura, nel pieno rispetto della sussidiarietà, meriti una riflessione approfondita.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione Pack del 1997 proponeva di organizzare un Anno europeo dello sport. Ho colto chiaramente i vostri messaggi. Ritornate sulla questione, insistete ed io vi seguo. Intendo presentare alla Commissione una comunicazione al fine di proclamare l’anno 2004 “Anno europeo dello sport”.

(Applausi)

Perché il 2004? Perché per la prima volta nel nuovo millennio i Giochi olimpici si terranno in Europa, anzi ritorneranno nel loro luogo di origine. Quale occasione migliore per incoraggiare la pratica dello sport, per promuovere i suoi valori autentici, per mettere in risalto i suoi principi etici, per far rivivere lo spirito della tregua olimpica? Un Anno europeo rafforzerebbe il lavoro compiuto dalle autorità greche, sottolineando il legame dell’Europa allo sport e ricorderebbe al pianeta intero il valore aggregante che lo sport deve rivestire. Tale iniziative mostrerebbe inoltre che l’Europa svolge realmente un ruolo trainante quando si tratta di fair play dello sport per tutti, dello sport come espressione di civiltà.

In questa prospettiva, onorevoli, insieme ai vostri relatori, campioni olimpici, mi permetto di augurare a tutti coloro che tra pochi giorni faranno uno sforzo sovrumano a Sydney, di vincere tutti, perché lo sport pulito, lo sport del fair play non è quello di chi arriva primo, ma di colui che supera se stesso. Superiamoci anche noi nella nostra azione per rafforzare lo sport europeo.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. - La ringrazio, signora Commissario.

Riferendomi a poc'anzi, mi rincresce ma - come lei ha potuto constatare - è molto difficile svolgere il proprio intervento quando i colleghi sono in Aula per votare. Mi dispiace, ma molti comunque l'hanno ascoltata con attenzione. Qualcuno anzi mi aveva invitato con dei gesti a far ricorso a una specialità olimpica - il lancio del martello - per fare in modo che vari altri colleghi, che causavano confusione, facessero silenzio. Purtroppo però ho a disposizione un solo martello: me ne sarebbero serviti ottanta o cento per lanciarli contro coloro che non erano attenti al suo intervento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà alle 12.00.

 
  
  

PRESIDENZA DELL'ON. DAVID W. MARTIN
Vicepresidente(1)

 
  
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  Seguro (PSE). - (PT) Signor Presidente, ieri a Timor occidentale, ovvero nella parte indonesiana dell’isola di Timor, sono stati sottoposti a violenti pestaggi e sono stati uccisi per lo meno tre funzionari delle Nazioni Unite del dipartimento per l’assistenza ai rifugiati. In primo luogo, il Parlamento europeo è tenuto ad esprimere la propria riprovazione per questo atto indegno, che secondo quanto riferito dai testimoni si è svolto grazie alla complicità o alla passività delle autorità militari indonesiane.

Secondo: questo atto si è verificato nel giorno in cui la maggior parte dei Capi di stato e di governo si sono riuniti a New York nell’ambito del Millennium Round indetto dall’ONU, il che evidenzia la debolezza di quest’organizzazione e degli strumenti a sua disposizione per poter difendere coloro che, lontano dai rispettivi paesi di appartenenza, lottavano per tutelare i diritti dell’uomo e dei rifugiati.

Signor Presidente, la invito a esprimere sia la nostra solidarietà alle Nazioni Unite sia l’indignazione dei deputati del Parlamento europeo alle autorità indonesiane, insistendo sull’esigenza di rispettare coloro che hanno un unico obiettivo: difendere la pace, i diritti dell’uomo e la dignità degli abitanti di Timor sia occidentale sia orientale.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. - Sono certo che il Presidente vorrà esprimere la propria opinione alle autorità competenti nel modo da lei indicato.

I Capi di stato e di governo che si sono incontrati all'ONU hanno osservato un minuto di silenzio in memoria dei funzionari della forza di pace uccisi, e credo che anche l'Aula dovrebbe fare lo stesso.

(Il Parlamento osserva un minuto di silenzio)

 
  
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  Ribeiro e Castro (UEN). – (PT) Signor Presidente, mi associo a quanto affermato dal collega Seguro e richiamo l’attenzione della Commissione su questo tema. Più volte nel corso di quest’anno ho richiamato l’attenzione sul carattere, forse prematuro, della nuova politica dell’Unione europea nei confronti dell’Indonesia, dato che gli elementi d’incertezza sono assai evidenti. Purtroppo nelle ultime settimane ciò è emerso con particolare chiarezza. Ho rivolto alla Commissione diverse interrogazioni su questo argomento e la gravità degli incidenti di ieri, associati ad altri fatti come l’infiltrazione delle milizie a Timor orientale, indicano che sussistono tuttora pericoli. L’Unione europea, soprattutto attraverso la Commissione, deve ribadire con particolare energia la propria preoccupazione al governo indonesiano.

Comprendiamo la difficoltà della situazione dell’Indonesia, ma è indispensabile esigere dal suo governo che eserciti l’autorità che gli compete sul proprio territorio. Potremo assumere un atteggiamento diverso nei confronti del paese soltanto quando saranno garantite la democrazia in Indonesia e l’autodeterminazione e la pace a Timor.

 
  
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  Figueiredo (GUE/NGL).(PT) Signor Presidente, anch’io mi associo a quanto affermato dai deputati portoghesi in merito alla situazione a Timor e invito la Commissione, il Consiglio e la Presidenza del Parlamento a intraprendere tutti gli sforzi possibili per indurre l’Indonesia a rispettare le risoluzioni approvate in materia e gli impegni assunti a favore della tutela della popolazione di Timor orientale e dei rifugiati a Timor occidentale.

Ringrazio inoltre il Parlamento per le posizioni adottate a difesa della popolazione di Timor orientale.

* * *

 
  
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  Beazley (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, faccio richiami al Regolamento molto di rado ed in particolare evito di farlo quando ci aspetta una votazione importante. Questa volta, però, sono costretto ad intervenire per sottolineare un concetto che ritengo fondamentale.

Il Presidente che l'ha preceduta si è scusato con il Commissario, signora Reding, e credo che tutta l'Aula voglia unirsi alle sue scuse verbali. Questa settimana abbiamo dimostrato qui in Paramento che quando vogliamo richiamare all'ordine un Commissario possiamo farlo e che la Commissione risponde in modo adeguato. Ma nel corso di un discorso estremamente importante del Commissario che sottolineava la mole di lavoro svolto e gli sforzi fatti su un tema che forse riveste qualche interesse per le persone che rappresentiamo, nell'Aula regnava il caos.

Non condivido quanto detto dal suo predecessore, e cioè che era difficile richiamare all'ordine l'Aula, dal momento che ritengo che ciò sia qualcosa che può e deve essere fatto sempre. Chiedo quindi che il Parlamento presenti al Commissario Reding le proprie scuse per iscritto e spero che fatti come questi non abbiano a ripetersi.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. - So che Viviane Reding ha le spalle robuste, sia come deputata sia come Commissario, e sono certo che ha affrontato bene la situazione. Comprendo tuttavia il punto da lei sollevato. Credo che sia giusto presentarle le nostre scuse per iscritto.

 
  

(1) Comunicazione del Consiglio sulle posizioni comuni: cfr. Processo verbale.


2. VOTAZIONI
  

Relazione (A5-0221/2000) della onorevole Hulthén a nome della commissione per l'ambiente, la sanità pubblica e la politica dei consumatori, sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento concernente le sostanze che riducono lo strato di ozono relativamente agli inalatori per la somministrazione di dosi controllate e pompe per la somministrazione di farmaci (COM(2000) 427 - C5-0360/2000 - 2000/0175(COD))

(Il Parlamento approva la risoluzione legislativa)

Relazione (A5-0214/00) della onorevole Lienemann a nome della Delegazione del Parlamento al Comitato di conciliazione sul progetto comune, approvato dal Comitato di conciliazione, di direttiva del Consiglio che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque (C5-347/2000 - 1997/0067(COD))

 
  
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  Provan (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, la prassi avrebbe voluto che ieri sera conducessi il dibattito, ma purtroppo a causa di problemi di orario ciò non mi è stato possibile.

Raccomando all'Aula il documento cui si è giunti in sede di conciliazione. Forse si è trattato della più difficile conciliazione e direttiva quadro di cui l'Aula ha dovuto occuparsi. E' veramente ammirevole il modo in cui la onorevole Lienemann ha guidato tutti i gruppi politici nel processo di intesa, e me ne congratulo senza riserve.

(Applausi)

Ora abbiamo davanti a noi una direttiva giuridicamente vincolante di cui il Parlamento può andare fiero, situazione questa ben diversa da quella della direttiva originale. Abbiamo una direttiva applicabile legalmente che consentirà di migliorare le condizioni ambientali nei prossimi vent'anni.

Il mio solo reclamo, ed è per questo motivo che ho chiesto la parola, è che durante il processo di conciliazione le organizzazioni non governative hanno cercato di influenzare il Parlamento al di là di quanto il Parlamento stesso avesse stabilito in seconda lettura. Molto spesso tali organizzazioni hanno potuto accedere ai documenti prima dei membri del Comitato di conciliazione. Questo non è ammissibile. In sede di conciliazione, dove occorre stabilire un rapporto di fiducia tra il Consiglio dei ministri e il Parlamento, è necessario garantire la riservatezza, e questo è un problema che dovremo affrontare seriamente in futuro.

Mi congratulo con la Presidenza portoghese per il modo in cui ha condotto la conciliazione, ma spero che in futuro il Parlamento possa migliorare la situazione interna.

(Applausi)

 
  
  

(Il Parlamento approva il progetto comune)

Relazione (A5-0212/2000) dell'onorevole Florenz, a nome della Delegazione del Parlamento al Comitato di conciliazione sul progetto comune, approvato dal Comitato di conciliazione, di direttiva del Consiglio relativa ai veicoli fuori uso (C5-258/2000 - 1997/0194(COD))

(Il Parlamento approva il progetto comune)

Raccomandazione per la seconda lettura (A5-0218/00) dell'onorevole de Roo a nome della commissione per l'ambiente, la sanità pubblica e la politica dei consumatori relativa alla posizione comune del Consiglio in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 92/23/CEE del Consiglio concernente i pneumatici dei veicoli a motore e dei loro rimorchi nonché al loro montaggio (5347/2/00 - C5-0220/2000 - 1997/0348(COD))

 
  
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  Reding, Commissione. – (FR) Signor Presidente, come il mio collega, il Commissario Liikanen ha spiegato ieri sera nel corso della discussione, la Commissione non può accettare gli emendamenti nn. 1, 2, 3 e 4.

 
  
  

(Il Presidente dichiara approvata la posizione comune così modificata)

Relazione (A5-0168/2000) dell'onorevole Bakopoulos a nome della commissione per l'ambiente, la sanità pubblica e la politica dei consumatori sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la diciannovesima modificazione della direttiva 76/769/CEE del Consiglio relativa alle restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi (coloranti azoici) (COM(1999) 620 - C5-0312/1999 - 1999/0269(COD))

(Il Parlamento approva la risoluzione legislativa)

Proposta di risoluzione comune(1) sulla Conferenza internazionale sull'AIDS di Durban (Sudafrica)

 
  
  

(Il Parlamento approva la risoluzione)

Proposta di risoluzione comune(2) sulle fusioni nel settore delle telecomunicazioni

(Il Parlamento approva la risoluzione)

Proposta di risoluzione comune(3) sulla clonazione di embrioni umani a fini terapeutici

(Il Parlamento respinge la proposta di risoluzione)

***

 
  
  

Proposta di risoluzione (B5-0702/2000) presentata dagli onorevoli Gebhardt e McNally a nome del gruppo PSE, De Clercq, Wallis e Plooij-van Gorsel a nome del gruppo ELDR, Bonino, Cappato, Turco, Dell'Alba, Della Vedova, Dupuis e Pannella

(Il Parlamento respinge la risoluzione)

Proposta di risoluzione comune sulla clonazione di embrioni umani a fini terapeutici

(Il Parlamento approva la risoluzione)

Relazione (A5-0187/2000) della onorevole Lucas a nome della commissione per la politica regionale, i trasporti e il turismo sulla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni - Trasporti aerei e ambiente: raccogliere la sfida di uno sviluppo sostenibile (COM(1999) 640 - C5-0086/2000 - 2000/2054(COS))

 
  
  

(Il Parlamento approva la risoluzione)

Relazione (A5-0203/2000) della onorevole Zabell a nome della commissione per la cultura, la gioventù, l'istruzione, i mezzi d'informazione e lo sport sulla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle Regioni: Piano di sostegno comunitario alla lotta contro il doping nello sport (COM(1999) 643 - C5-0087/2000 - 2000/2056(COS))

(Il Parlamento approva la risoluzione)

Relazione (A5-0208/2000) dell'onorevole Mennea a nome della commissione per la cultura, la gioventù, l'istruzione, i mezzi d'informazione e lo sport sulla relazione della Commissione al Consiglio europeo nell'ottica della salvaguardia delle strutture sportive attuali e del mantenimento della funzione sociale dello sport nel quadro comunitario - Relazione di Helsinki sullo sport (COM(1999) 644 - C5-0088/2000 - 2000/2055(COS))

 
  
  

(Il Parlamento approva la risoluzione)

Presidente. - La votazione è chiusa.

 
  
  

DICHIARAZIONI DI VOTO

- Relazione Lienemann (A5-0214/2000)

 
  
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  Bordes (GEU/NGL).(FR) Questa relazione contiene alcuni elementi positivi, in particolare l’affermazione del carattere vincolante delle misure previste per tutelare la qualità dell’acqua. Ma concedendo alcune proroghe, e in particolare una proroga di vent’anni per vietare gli scarichi di sostanze pericolose, la relazione vanifica le proprie intenzioni. Tale proroga equivale ad autorizzare le imprese a scaricare nelle acque le loro sostanze tossiche per altri vent’anni. Inoltre, non è stabilito in modo chiaro che sono le imprese che inquinano a dover pagare i danni da loro provocati.

Quanto al prezzo dell’acqua, la sola decisione a favore degli interessi della popolazione sarebbe il divieto di qualsiasi profitto privato sulla fornitura e la distribuzione della stessa. Ma ciò non è nemmeno preso in considerazione dalla relazione che, mettendo alla gogna l’Irlanda a causa del finanziamento pubblico dell’acqua, vuole invece accentuare il carattere mercantile di questa sostanza vitale. Di conseguenza ci siamo astenuti.

 
  
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  De Rossa (PSE), per iscritto. - (EN) Anche se sostengo la relazione desidero rendere note alcune mie riserve sulla stessa.

La deroga per l'Irlanda relativa alle tariffe per l'acqua ad uso domestico non ha la portata che speravo. Le disposizioni chiave, di cui all'articolo 9, paragrafo 4, stabiliscono che gli Stati membri "non violano la presente direttiva" qualora la decisione di non introdurre tariffe per l'acqua ad uso domestico in base a "prassi consolidate non comprometta i fini e il raggiungimento degli obiettivi della presente direttiva".

Ne consegue che la decisione di non imporre tariffe per l'acqua comporterebbe una violazione della direttiva se legata al mancato raggiungimento dei nuovi standard da parte del governo irlandese.

Non credo che il governo irlandese rispetterà gli standard fissati, dal momento che fino ad ora non è riuscito a farlo.

 
  
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  Hyland (UEN), per iscritto. - (EN) Do il mio appoggio all'accordo raggiunto in sede di conciliazione tra il Parlamento e il Consiglio europeo sulla direttiva quadro in materia di acque. La presente direttiva fornisce un quadro per il consolidamento delle leggi già esistenti a livello nazionale ed europeo nell’intero settore della sicurezza delle acque superficiali e sotterranee. Gli elementi centrali della direttiva garantiscono la tutela delle acque superficiali, di quelle costiere, delle acque reflue interne e sotterranee ora come in futuro.

Il Consiglio europeo, che rappresenta i quindici governi dell'Unione europea, originariamente non aveva previsto alcuna disposizione, nella nuova direttiva sulle acque, relativa all'eliminazione delle sostanze pericolose. Appoggio questo accordo raggiunto in sede di conciliazione il quale garantisce che l'eliminazione delle sostanze pericolose figuri nella direttiva colmando questa lacuna.

Dal punto di vista irlandese diamo per scontato che l'eliminazione della sostanze pericolose contempli anche il divieto di scarico di sostanze radioattive.

Il costo dell'acqua sarà sempre un aspetto delicato della presente direttiva. Essa ora chiede agli Stati membri di tenere conto del principio del recupero costi dei servizi relativi all'acqua, compresi quelli a livello di ambiente e di risorse, in linea con il principio secondo il quale chi inquina paga. Gli Stati membri devono far sì che entro il 2010 le politiche tariffarie dell'acqua incentivino adeguatamente gli utenti ad un impiego efficiente delle risorse idriche. Agli Stati membri verrà concesso in casi eccezionali di scegliere di non conformarsi agli obblighi di recupero costi sulla base di prassi consolidate a livello nazionale.

La politica tariffaria dell'acqua è anche una questione fiscale. In base ai Trattati comunitari esistenti qualsiasi modifica a livello fiscale richiede il consenso unanime dei governi dell'Unione europea. E' giusto invece che le questioni fiscali rimangano di competenza dei singoli Stati membri, che devono poter dire l'ultima parola sulle politiche fiscali che intendono perseguire a livello locale e nazionale.

In questo modo l'applicazione della direttiva porterà ad un miglioramento delle condizioni di sicurezza degli standard qualitativi dell'acqua a livello europeo.

 
  
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  Florenz (PPE-DE), per iscritto. (DE) Con la sua comunicazione "Politica dei prezzi come strumento per incentivare un'utilizzazione sostenibile delle risorse idriche", la Commissione intende dare unitaria concretezza alle disposizioni economiche della direttiva quadro dell'Unione europea in materia di acque. La proposta della Commissione europea di assicurare il rispetto del principio del recupero dei costi tramite un controllo sui prezzi, si rivolge agli Stati membri che sovvenzionano ancora in misura elevata il proprio settore idrico. In Germania il principio del recupero dei costi viene già applicato, così come il controllo dell'autorità antitrust ed il controllo municipale. Perciò la direttiva quadro in materia di acque e la proposta della Commissione sui prezzi dell'acqua non devono essere impiegate come argomenti a favore della creazione di nuove istanze amministrative di controllo in Germania.

Anche l'accertamento dei costi ambientali e del consumo di risorse per l'uso delle acque si rivolge agli Stati membri dell'Unione europea che ancora sfruttano in maniera eccessiva ed inquinano le proprie risorse idriche; quindi non alla Germania, dove già si sono compiuti sforzi straordinari. Le relative disposizioni della direttiva quadro non possono perciò motivare l'introduzione in Germania di un'imposta generale sull'acqua o sulle acque reflue.

Considerando il carattere non vincolante delle disposizioni economiche della direttiva in materia di acque e della comunicazione della Commissione, c’è da temere che la loro applicazione negli Stati ai quali sono rivolte subirà un notevole ritardo, se mai verranno applicate. Se la Germania, da "studente modello", dovesse procedere per proprio conto, come già è avvenuto nell'applicazione di altre direttive, l'effetto sarebbe quello di accentuare ulteriormente le distorsioni della concorrenza tra le economie idriche dei paesi dell'Unione europea, in contrasto con gli obiettivi della direttiva che ambisce a creare un sistema armonizzato della gestione idrica in Europa. La Germania deve imparare ad applicare le disposizioni dell'Unione europea secondo gli obiettivi delle direttive, non secondo la volontà dei suoi singoli Stati federali. Ma nell'applicazione della direttiva quadro in materia di acque si seguiranno di nuovo percorsi nazionali individuali.

 
  
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  Grossetête (PPE-DE), per iscritto. – (FR) La direttiva quadro in materia di acque è finalmente adottata e non posso che esprimere il mio plauso.

Dal 1997 il Parlamento europeo chiede che si ponga fine alla frammentazione che caratterizza la legislazione in materia di acque in Europa. Dopo quasi quattro anni, questi lavori di razionalizzazione sono finalmente giunti a compimento.

La procedura di conciliazione tra la nostra Assemblea e il Consiglio dei ministri, ultima fase della procedura legislativa, ha permesso di giungere ad un compromesso che considero equilibrato e soddisfacente. I negoziati sono stati ardui, ma sono lieta che il Consiglio abbia in ultima analisi accettato di rendere vincolanti i principali obiettivi della nuova normativa. Il nostro Parlamento non avrebbe potuto sostenere un testo di carattere puramente dichiarativo.

Il gruppo del PPE-DE ha sempre difeso una posizione ambiziosa e pragmatica. Mi pare essenziale che questo nuovo testo quadro garantisca, per l’avvenire e le generazioni future, un miglioramento della qualità delle acque europee.

La gestione delle acque in Europa sembra ormai basata sul bacino idrografico. Tale entità va al di là del quadro amministrativo degli Stati membri e tiene conto delle realtà idrologiche del territorio europeo.

L’obiettivo prefissato è l’eliminazione graduale degli scarichi di sostanze pericolose, al più tardi entro vent’anni dalla loro individuazione. Si tratta di un compromesso realistico tra la posizione iniziale della onorevole Lienemann, favorevole a un tasso zero di scarichi nelle acque, da una parte, e quella del Consiglio, contrario a qualunque obiettivo vincolante, dall’altra. Un elenco delle sostanze dette “prioritarie” sarà presentato prossimamente al Parlamento europeo. Questa tappa sarà fondamentale e auspico che il Parlamento mantenga la posizione odierna.

In conformità al principio “chi inquina paga”, gli Stati membri dovranno inserire i costi ambientali nel prezzo dell’acqua: ciò rappresenta un vero progresso. L’acqua è una risorsa naturale fragile di importanza inestimabile. In gioco vi sono tanto la sanità pubblica e l’approvvigionamento a lungo termine di acqua potabile quanto la diversità biologica e la tutela del paesaggio.

E’ per tutti questi motivi che ho votato a favore di questo testo.

Deploro, tuttavia, che l’articolo dedicato alla possibilità offerta agli Stati membri di fare trasferimenti d’acqua non sia stato mantenuto nella forma in cui era stato votato in seconda lettura. Questo tipo di progetto è conforme al principio di coesione e solidarietà regionali che abbiamo sempre sostenuto; in quest’ottica, esso deve godere del più ampio sostegno dell’Unione europea, nell’ambito della promozione delle reti transeuropee e della politica regionale.

 
  
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  Isler Béguin (Verts/ALE), per iscritto. – (FR) Tutte le proposte che vanno nella direzione di una miglior tutela dell’ambiente in Europa meritano il nostro plauso. Tentare di riunire nell’ambito di una direttiva quadro le politiche frammentarie in materia di acque rappresenta una sfida difficile. L’impegno giuridicamente vincolante assunto dall’Unione europea, attraverso i suoi Stati membri, di vietare entro vent’anni gli scarichi di sostanze pericolose nelle acque è un vero progresso anche se per taluni prodotti chimici tre anni sono sufficienti.

Se ci si può rallegrare dell’attuazione di piani di gestione delle acque mediante bacini idrografici, occorre restare vigili nell’applicazione di tali politiche, e penso in particolare al progetto di incanalamento delle acque del Rodano verso la Spagna. In questo caso specifico, prima di proporre progetti colossali di trasferimento delle acque da un bacino idrografico ad un altro, bisognerà tener conto della gestione delle acque e dei possibili risparmi d'acqua.

L’Unione europea, inoltre, in questo momento deve riflettere sul prezzo dell’acqua. Non si può permettere che alcune società multinazionali definiscano in modo autonomo il prezzo della stessa, con il pretesto che esse assicurano un servizio tecnico di gestione dell’acqua.

Questa direttiva va nella buona direzione, ma avrà bisogno di regole più precise per ridurre, a monte, i vari tipi d’inquinamento dell’acqua.

 
  
  

- Relazione Florenz (A5-0212/2000)

 
  
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  Fatuzzo (PPE-DE). - Signor Presidente, ho votato a favore di questa decisione definitiva del Comitato di conciliazione sulla direttiva relativa ai veicoli fuori uso. Ho votato a favore non soltanto perché i pensionati e gli anziani che hanno una certa età si sentono vicini, come destinazione, a quello che accade anche alle automobili, ma soprattutto perché è molto corretto e molto giusto che, finalmente, con l'iniziativa dell’Europa, si dia una soluzione al problema di dove mettere le automobili quando non camminano più. Io suggerirei, tuttavia, di migliorare ancora questa nostra decisione, prevedendo il pagamento di una caparra quando si acquista un'automobile nuova e restituendola quando si restituisce l'automobile vecchia.

 
  
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  Hyland (UEN), per iscritto. - (EN) Mi felicito dell'accordo raggiunto su questa direttiva specifica dal Parlamento e dal Consiglio europeo che rappresenta i quindici governi comunitari. Sappiamo che all'interno dell'Unione vengono rottamati ogni anno fino a nove milioni di veicoli. Questa direttiva, che verrà applicata uniformemente in tutta l'Unione, consentirà in futuro di smaltire le automobili in modo più ecologico.

Tutti i veicoli all’intero dell'Unione europea dovranno essere interamente riciclabili entro l'anno 2015. Questo è giusto e doveroso perché l'Unione ha obblighi nazionali ed internazionali che la costringono ad applicare leggi che prevedono un maggior rispetto dell'ambiente. Fino al 75 percento dei componenti metallici dei nuovi veicoli potranno essere riciclati, e questo processo dovrà continuare nello sforzo di promuovere standard ecologici più alti.

La direttiva mira ad incrementare il riciclaggio di veicoli e ad incoraggiare il reimpiego di componenti. Ciò si può ottenere migliorando la costruzione dei vari veicoli commerciali a motore ed istituendo centri per lo smaltimento dei veicoli in tutta l'Unione europea.

La posizione comune ha sancito il diritto di rottamazione gratuita dell'ultimo proprietario del veicolo. Il fabbricante ha l'obbligo di assumersi, interamente o in gran parte, l'onere dei costi per l'applicazione di queste misure e di ritirare i veicoli fuori uso senza addebiti all'ultimo proprietario. In sede di conciliazione il Parlamento europeo e i quindici governi comunitari si sono accordati sulla data del 1° gennaio 2007 per l'applicazione della disposizione, tuttavia tutti gli Stati membri saranno liberi di applicare questa disposizione della direttiva anche prima di tale data.

I produttori di automobili e di attrezzature per auto e i fornitori di materiali devono sforzarsi di limitare l'uso di sostanze pericolose. Occorre fare in modo che i materiali riciclati possano essere utilizzati per la fabbricazione di automobili nella fase di progettazione. Il Parlamento e il Consiglio europeo hanno anche concordato in sede di conciliazione che tutti i veicoli immessi sul mercato dopo il 1° luglio 2003 non debbano contenere metalli pesanti quali il cadmio e il piombo.

I produttori di automobili devono inoltre fornire informazioni sulle percentuali di riutilizzo, riciclaggio e recupero delle auto usate previste per i prossimi anni.

Per finire vorrei sottolineare che in Irlanda molti chiedono il riconoscimento dell'industria delle automobili d'epoca in Europa. Su richiesta del Parlamento europeo, i veicoli da collezione verranno esclusi espressamente dalla direttiva. Ciò è molto importante alla luce del ruolo chiave in campo sociale ed economico che il settore delle auto d'epoca riveste nella promozione del turismo in tutta Europa.

 
  
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  Arvidsson, Carlsson, Cederschiöld, Grönfeldt Bergman e Stenmarck (PPE-DE), per iscritto. – (SV) Noi moderati votiamo raramente contro l'esito di una conciliazione. Non possiamo però appoggiare il compromesso raggiunto in conciliazione sullo smaltimento dei veicoli fuori uso. Questo compromesso contempla provvedimenti retroattivi e noi non possiamo sostenere testi legislativi che modificano a posteriori le regole del gioco. Una legislazione retroattiva non è neutra sul piano della concorrenza ed è inaccettabile sul piano giuridico.

 
  
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  Caudron (PSE), per iscritto. – (FR) Ho già avuto modo di esprimermi in diverse occasioni su questo dossier complesso in cui sono in gioco interessi economici non trascurabili, ma anche e soprattutto la tutela dell’ambiente. La proposta di direttiva concernente i veicoli fuori uso, presentata nel 1997, mira a prevenire la creazione di rifiuti dovuti ai veicoli e a promuovere il riutilizzo, il riciclo e la rivalutazione dei veicoli e dei loro componenti al fine di ridurre le quantità di rifiuti provenienti dai veicoli fuori uso condotti in discarica o inceneriti senza recupero di energia.

La strategia della Commissione europea è basata su misure quali l’aumento della percentuale dei componenti riciclabili; la garanzia di un numero adeguato di centri di raccolta di veicoli fuori uso; la realizzazione di una serie di obiettivi concernenti il reimpiego e il recupero dei veicoli fuori uso; un controllo dell’impiego di determinati metalli pesanti nella fabbricazione di veicoli e la garanzia che i costi per lo smaltimento dei veicoli fuori uso non gravino sull’ultimo proprietario.

I negoziati si sono arenati su diversi punti. Le difficoltà si sono incentrate sulla responsabilità dei produttori e l’eliminazione dei metalli pesanti. Dopo diverse ore di trattative, i negoziatori sono giunti ad un accordo.

Per quanto concerne la responsabilità dei produttori, la direttiva prevedeva che la resa del veicolo fuori uso potesse avvenire senza alcuna spesa per l’ultimo proprietario e che spettava al produttore assumersi una parte significativa dei costi di trattamento dei veicoli fuori uso. Il compromesso raggiunto prevede che per i veicoli nuovi, cioè immessi sul mercato a partire dal 1° luglio 2002, la responsabilità del produttore entrerà in vigore a partire dal 1° luglio 2002. Per quanto riguarda il parco auto esistente, vale a dire i veicoli immessi sul mercato anteriormente a tale data, la responsabilità del produttore viene posticipata dal 2006 al 2007. Inoltre, il testo della direttiva precisa che gli Stati membri hanno la possibilità di applicare le relative disposizioni prima delle date stabilite.

Per quanto concerne i metalli pesanti, il Consiglio e il Parlamento hanno convenuto che tutti i veicoli venduti dopo il 1°luglio 2003 non dovranno più contenere metalli pesanti come il cadmio, il piombo e il cromo esavalente. Le due delegazioni sono giunte ad un accordo sulle deroghe riprese nell’allegato II della direttiva.

D’altro canto, sono lieto che la richiesta del Parlamento europeo relativa all’esclusione dei veicoli da collezione dal campo d’applicazione della direttiva sia stata accolta con favore.

 
  
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  Grossetête (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Il compromesso scaturito dalla procedura di conciliazione, ultima fase legislativa, è l’esito di una trattativa laboriosa tra il Parlamento europeo e il Consiglio dei ministri. Lungi dall’essere soddisfacente, esso rappresenta ai miei occhi un primo passo che, per alcuni aspetti, va tuttavia nella giusta direzione.

Se c’è motivo di compiacersi per gli obiettivi stabiliti in termini di cifre (l'85 percento del peso dei veicoli prodotti dopo il 1980 dovrà essere riciclato, reimpiegato o rivalutato entro il 2006, il 95 percento entro il 2015), deploro tuttavia l’ipocrisia di alcune disposizioni sostenute dal PSE e appoggiate dai governi socialisti e socialdemocratici.

Il Consiglio dei ministri è stato irremovibile sulla decisione che il proprietario possa consegnare senza costi il suo veicolo fuori uso. Una misura demagogica che parte da un buona intenzione nei confronti dei consumatori, ma è del tutto irrealizzabile. La direttiva prevede che il costo del trattamento gravi integralmente sui produttori. Questi ultimi non potranno fare altro che far ricadere almeno una parte di tali costi sui prezzi dei veicoli nuovi. Così, invece di incoraggiare l’acquisto di veicoli di nuova generazione meno inquinanti, questa misura è uno sconto camuffato per coloro che possiedono le auto vecchie più inquinanti.

Il Consiglio dei ministri si è infine adeguato alla volontà dei parlamentari europei che chiedevano sin dalla prima lettura che i veicoli d’epoca fossero esplicitamente esclusi dal campo di applicazione di questa direttiva. L’emendamento che ho presentato e difeso è stato infatti ripreso integralmente nel testo finale.

Più in generale, questa direttiva manca di ambizione. Ad esempio, lascia immutato il problema delle carcasse dei veicoli abbandonati che deturpano i paesaggi. A dispetto del principio “chi inquina paga” i loro costi di recupero rimangono a carico dei contribuenti. E’ deplorevole che né questa direttiva né quella relativa alle discariche abbiano affrontato questo problema, che comporta conseguenze disastrose per l’ambiente in gran parte d’Europa.

 
  
  

- Relazione de Roo (A5-0218/2000)

 
  
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  Fatuzzo (PPE-DE). - Signor Presidente, dopo questa direttiva i pneumatici saranno più silenziosi: le automobili, i camion, gli autotreni correranno su strade e autostrade più silenziosi. Molto bene, perché i pensionati hanno piacere di non essere troppo disturbati dal rumore. Tuttavia, quattro settimane fa, Presidente, vicino alla Gare du Nord, a Bruxelles, ho attraversato la strada e subito dopo ho avuto un brivido, perché era notte, c'era silenzio assoluto e ho visto un tram passare dietro di me nel silenzio più totale. Grazie a Dio, il Padreterno voleva che io fossi qui a fare le mie dichiarazioni di voto e non mi è successo nulla. Ma siamo proprio sicuri che meno rumore di pneumatici sia meglio per tutti noi?

 
  
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  Isler Béguin (Verts/ALE), per iscritto. – (FR) Non possiamo che complimentarci e sostenere il collega de Roo per la sua iniziativa volta a includere l’inquinamento acustico nell’ambito della tutela dell’ambiente. L’intensificarsi del traffico stradale, purtroppo, non si limita alle varie forme d’inquinamento (ancora insolute nonostante la loro incidenza planetaria), dovute ai veicoli vecchi e al loro riciclaggio, né ai danni che provocano e alla loro nocività per l’aria che respiriamo, né tanto meno al conseguente riscaldamento del clima su scala mondiale. Il traffico stradale provoca anche un forte e continuo inquinamento acustico che milioni di abitanti in prossimità di strade e autostrade e il singolo pedone devono subire quotidianamente.

Le proposte dell’onorevole de Roo mirano dunque a evidenziare una forma d’inquinamento generalmente occultata e pertanto le sosteniamo pienamente. Non dimentichiamo, tuttavia, che le nostre rivendicazioni devono vertere più in generale sulle forme d’inquinamento provocate dall’automobile, dalla sua invasione nelle società industrializzate e nelle nostre città, e insistiamo presso la Commissione affinché siano messe in atto politiche di riconversione dei trasporti stradali mediante i trasporti su rotaia e i mezzi pubblici. Il tram a Strasburgo ne è un chiaro esempio.

 
  
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  Meijer (GUE/NGL), per iscritto. – (NL) L’utilizzo dell’automobile per il trasporto delle persone e delle merci è dato per scontato ormai da così tanto tempo che non ci siamo fermati a riflettere a sufficienza sulle conseguenze di questo utilizzo per molte persone e per l’ambiente. Contavano solamente il vantaggio economico e la comodità del guidatore; gli svantaggi venivano semplicemente ignorati. Si chiudeva un occhio davanti ai gas di scarico, alla mancanza di sicurezza sulle strade e all’inquinamento acustico provocato dalle autovetture.

Fortunatamente negli ultimi anni la situazione sta mutando. Sono sempre più numerose le città che dedicano maggiore spazio alla circolazione delle biciclette e al trasporto su rotaia, mentre si riduce la libertà di circolazione delle auto. Non per questo possono considerarsi risolti i problemi causati dagli autoveicoli destinati al trasporto delle persone e delle merci. Il numero delle auto continua ad aumentare, proprio come continua ad aumentare la quota di traffico merci trasportata su gomma. Di conseguenza aumenta anche l’inquinamento acustico.

Ovviamente, nell’ottica dell’industria automobilistica e dei suoi interessi, le responsabilità ricadono su altri. Ricadono sulle autorità preposte alla gestione delle strade – in generale lo Stato – che dovrebbero rafforzare la sicurezza e contenere l’inquinamento ambientale. Fino a quando all’industria automobilistica sarà consentito di scaricare con successo ogni responsabilità, essa non si adopererà per ridurre l’inquinamento provocato dai veicoli che produce né si farà carico di alcun onere finanziario in tal senso. L’industria dell’automobile ritiene che l’inquinamento acustico dovrebbe essere contrastato per mezzo di un’asfaltatura detta “aperta”, un manto stradale che tuttavia, in caso di gelo, può diventare estremamente scivoloso.

Occorre oggi fare una scelta fra gli interessi dell’industria automobilistica e dei pneumatici, da un lato, e il benessere dell’uomo e dell’ambiente, dall’altro. Fin troppo spesso constatiamo che, nel breve termine, sono gli interessi dei potenti gruppi industriali a prevalere, mentre la maggioranza dei nostri elettori avanza, con frequenza sempre maggiore, altre richieste al processo decisionale politico. Assume importanza sempre crescente la tutela della qualità della vita rispetto al miope profitto.

Questo conflitto è emerso nuovamente con chiarezza nel dibattito sui pneumatici. L’onorevole de Roo ha giustamente dimostrato che il regolamento proposto dalla Commissione non rappresenta un miglioramento sufficiente e che è tecnicamente possibile ridurre le emissioni sonore di qualche decibel. Serve soltanto la volontà politica di legiferare in modo adeguato, di controllare l’applicazione delle norme emanate e di non consentire inutili margini di superamento. Il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea ha sempre appoggiato in tal senso l’onorevole de Roo. È deplorevole, a nostro giudizio, che le sue proposte, ragionevoli e logiche, non possano contare sul sostegno unanime che meritano.

 
  
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  Thomas-Mauro (UEN), per iscritto. – (FR) L’uomo si muove e fa muovere le cose. Il movimento crea rumore. La nostra straordinaria epoca del movimento (cui del resto attribuiamo il nostro senso di libertà) è rumorosa. La libertà fa rumore.

Gli Stati come l’industria si adoperano per combattere l’inquinamento acustico, potenziale causa di malattie.

L’industria sostiene la volontà del legislatore di rendere il trasporto, lo spostamento degli uomini e delle merci – pietra angolare della libera circolazione – più sicuro e meno inquinante.

Siamo a conoscenza dei progressi realizzati nella tenuta della strada, la resistenza all’usura, la riduzione del consumo di carburante, ma gli investimenti per la ricerca e lo sviluppo non permettono ancora, per palesi ragioni tecniche, di ottemperare a tutte le richieste del relatore. Il risultato complessivo viene valutato a partire da un insieme di criteri spesso contrastanti che il fabbricante di pneumatici ben conosce.

Non abbiamo voluto sostenere il relatore perché le modifiche proposte vengono fatte a scapito della sicurezza, la nostra sicurezza, a scapito della durata dei pneumatici e della loro aderenza. Critichiamo gli emendamenti che provocherebbero quello che definirei un'assurdità industriale.

L’Unione pecca ancora una volta di eccessiva attenzione ai dettagli; d’altro canto non posso non stupirmi quando considero i settori in cui la Commissione riesce a intromettersi e a legiferare.

Sebbene il rumore in tutte le sue forme sia certamente un grave problema in prossimità dei centri urbani, degli aeroporti, delle strade, è tuttavia più importante dare la precedenza alla sicurezza stradale!

E del resto che cosa ci irrita maggiormente nella vita quotidiana? Il rumore sordo dell’attrito dei pneumatici sulla strada o le brusche accelerazioni dei veicoli e lo sfrenato rombare delle motociclette? Bisognerebbe realizzare ricerche approfondite sul rumore e la pericolosità dei rivestimenti.

Non perdiamo il senso delle priorità e di ciò che definirei l’efficacia legislativa.

 
  
  

- Relazione Bakopoulos (A5-0168/2000)

 
  
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  Fatuzzo (PPE-DE). - Signor Presidente, ho votato a favore anche della relazione Bakopoulos perché certamente è giusto avere una certa cautela nella messa in circolazione di prodotti che possono essere nocivi per noi tutti. Ma non esageriamo troppo con queste direttive? Non impegnamo troppo il nostro Parlamento con la discussione di argomenti così tecnici, così tecnicamente importanti? Non è meglio se con un'unica direttiva diamo l'autorizzazione alla Commissione a decidere quali nuovi elementi nocivi vengono messi in commercio, evitando in tal modo di trascorrere così tanto del nostro tempo, ogni volta, a ripetere le procedure per proibire l'immissione sul mercato di nuovi prodotti?

 
  
  

- AIDS:

 
  
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  Cauquil (GUE/NGL).(FR) Abbiamo votato a favore della risoluzione comune sull’AIDS poiché, se fosse messa in atto (evento che non è affatto scontato), essa segnerebbe un progresso. Ciò nonostante non ne condividiamo tutte le formulazioni, in particolare il fatto di far ricadere la responsabilità unicamente sui governi africani o sulle tradizioni culturali e religiose che ostacolano l’adeguata applicazione delle misure per combattere la malattia. Tutto ciò è vero, ma queste affermazioni sono anche un modo di dissimulare la responsabilità di tutto un sistema sanitario dominato da società farmaceutiche e dalla corsa al profitto. Se in Africa, come in molti paesi poveri, si muore di malaria, di bilharziosi, di tubercolosi o semplicemente di rosolia, ciò non avviene a causa di ostacoli religiosi, ma perché taluni malati non possono pagarsi né le medicine né le cure.

 
  
  

- Telecomunicazioni:

 
  
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  Bordes e Cauquil (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Abbiamo votato contro la risoluzione comune concernente le fusioni nel settore delle telecomunicazioni. Ogni idea di servizio pubblico, infatti, è scomparsa da questa risoluzione il cui obiettivo è che questo, come gli altri settori, sia consegnato a “un’economia di mercato aperta, dove vige la libera circolazione”.

D’altronde, il vago accenno a una “garanzia per la crescita e l’impiego” non tutelerà certo i lavoratori dai licenziamenti prevedibili in occasione di future fusioni, dal momento che non è prevista alcuna misura vincolante per impedire alle imprese di licenziare con il pretesto di ristrutturazioni – quando invece si tratta di aumentare i loro profitti.

Inoltre, è chiaro che non abbiamo l’intenzione di unirci all’ode, contenuta in questa risoluzione, all’“efficacia della concorrenza”.

 
  
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  Vachetta (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Ancora una volta, la comunicazione è vista come una semplice merce da cui si vuole trarre il massimo profitto. Contestiamo tale logica che ignora i bisogni sociali delle popolazioni. La sempre maggiore immissione di capitali privati nel settore degli operatori pubblici, diventati delle vere e proprie multinazionali, induce tali operatori a condurre una guerra economica senza esclusione di colpi. Questa guerra comporta una ripartizione dei mercati mondiali che privilegia le aree più redditizie e istituisce un regime tariffario iniquo, senza tener conto delle perdite di posti di lavoro e della precarietà per centinaia di migliaia di lavoratori dipendenti.

Occorre dunque che le istanze politiche nazionali ed europee impongano alcuni vincoli di servizio pubblico all’insieme degli operatori, a prescindere dalla loro origine, ad esempio:

- per la telefonia fissa: riduzione del prezzo dell’abbonamento e delle comunicazioni locali, che rappresentano in Francia l’83 percento della bolletta media dei privati;

- per la telefonia mobile: oltre alla riduzione delle tariffe, una copertura totale del territorio, a costo di utilizzare contatti satellitari nelle aree più difficilmente raggiungibili;

- per l’accesso rapido a Internet: oltre a una riduzione delle tariffe, un calendario per la copertura completa del territorio.

In un’epoca di profitti record scandalosi, in questo modo inseriamo la comunicazione tra i diritti fondamentali che devono venir rispettati da un servizio pubblico di qualità.

 
  
  

- Clonazione umana:

 
  
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  Schörling (Verts/ALE).(SV) Signor Presidente, la maggioranza del gruppo Verts/ALE ha votato a favore della presente risoluzione. Ieri in occasione della discussione in Aula sulla clonazione, ho ascoltato alcuni colleghi che difendevano, in modo più o meno chiaro, la clonazione terapeutica ritenendola del tutto distinta rispetto alla clonazione riproduttiva. Purtroppo esiste la tendenza a questo nuovo dibattito semantico o a questa strategia, che condurrebbe a un indebolimento sul piano morale delle implicazioni della clonazione umana. In altre parole, chi non volesse ammettere alcuna forma di clonazione si comporterebbe in modo immorale, nel senso che lascerebbe altri esseri umani in balia di malattie (come il morbo di Parkinson) che sarebbero curabili, se soltanto si lasciasse carta bianca all'ingegneria genetica.

Si tratta di un'affermazione del tutto assurda, che a mio giudizio deve essere ritirata. I ricercatori di tutti il mondo hanno detto a chiare lettere che il morbo di Parkinson può essere curato, insieme ad altre patologie gravi, con altri metodi. Abbiamo ascoltato anche Emma Bonino affermare che i politici debbono saper rischiare, ma il gruppo Verts/ALE ritiene che il nostro dovere indiscutibile di rappresentanti eletti sia quello di individuare i rischi e agire con cautela.

In questo contesto, desidero domandare al gruppo PSE perché non abbia esortato Tony Blair a ritirare l'intera proposta, anziché accontentarsi di chiedere un comitato sulle biotecnologie. In questo caso più che mai, occorre fare ricorso al principio precauzionale.

E occorre porsi l'interrogativo più importante: a che scopo si vuole clonare l'essere umano? Bisogna rendersi conto che, nel campo delle biotecnologie, è in atto una corsa che rischia di far superare i limiti in modo molto sinistro. L'avanzare di queste tecnologie è oggi incredibilmente rapido e noi non possiamo accontentarci di una discussione come questa, ma dobbiamo spingere ulteriormente il dibattito e imprimergli un colpo di acceleratore, sempre tenendo conto del principio precauzionale.

 
  
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  Fatuzzo (PPE-DE). - Sono stato uno dei 237 deputati europei che hanno votato a favore della risoluzione presentata dal gruppo del Partito popolare europeo-Democratici europei sulla clonazione.

La scienza ha sempre avuto due volti: quello che si scopre può essere usato a favore nostro o contro di noi, da sempre: la ruota serve per muoversi più velocemente o per uccidere qualcuno; il revolver serve per difendersi o per ammazzare; l'energia atomica serve per farci stare meglio o per creare bombe atomiche. In questo caso della ricerca sulla clonazione mi domando: non è che si sia già deciso in anticipo di fare qualcosa contro umanità anziché attendere che la ricerca neutra realizzi qualche risultato scientifico, e si decida poi come usarlo? Meglio sarebbe stato che ci fosse un'Europa a decidere e non un singolo Capo di governo.

 
  
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  Meijer (GUE/NGL). – (NL) Signor Presidente, di fronte ai pareri discordanti circa la clonazione umana a fini terapeutici noi riteniamo che occorra grande prudenza nell’applicare questa nuova tecnica. Giustamente ciascuno di noi reputa inaccettabile la clonazione a fini commerciali e industriali o destinata a creare esseri umani con determinate caratteristiche. Tuttavia, oggi discutiamo di due posizioni contrastanti. All’interno del gruppo GUE/NGL si è deciso di lasciare che il voto sia determinato dalla coscienza dei singoli membri. La differenza fra la posizione dei democratici cristiani e dei verdi, da un lato, e quella dei socialdemocratici e dei liberali, dall’altro, risiede a mio giudizio nel fatto che i primi pongono l’accento sulla punibilità dei medici e i secondi sulla necessità di condurre ulteriori studi sulle conseguenze di questa tecnica. Personalmente propendo per questa seconda posizione.

Una soluzione deve essere trovata per coloro che necessitano di un cuore, di un rene o di un fegato nuovo e per i pazienti affetti dal morbo di Parkinson. Anche questa è una questione di etica. Il mio partito, il Partito socialista olandese, ha un atteggiamento estremamente prudente nei confronti della clonazione e della manipolazione genetica. In quest’ottica ho potuto appoggiare la variante dei socialdemocratici e dei liberali e non quella di chiusura totale sostenuta dai democratici cristiani e dai verdi. Del resto, sembra che, fra alcuni anni, partendo dalle proprie cellule del tronco cerebrale, sarà possibile ottenere organi che, evidentemente, non porranno problemi di rigetto per l’ospite. Il mio sostegno va di gran lunga a questa tecnica rispetto a quella sviluppata in Gran Bretagna che parte dalle metodiche di riproduzione assistita.

 
  
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  Sacrédeus (PPE-DE).(SV) Signor Presidente, ho votato a favore della risoluzione del gruppo PPE-DE insieme con i gruppi Verts/ALE, EDD e UEN, e in ogni sua parte. Sono molto lieto di questa decisione. Al contempo, mi preoccupa la maggioranza risicata con cui il testo è stato approvato: 237 favorevoli, 230 contrari e 43 astenuti.

Ho già presentato una dichiarazione per iscritto sull'unicità, l'uguaglianza e l'inviolabilità della dignità umana nella discussione sulla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, approvata quasi all'unanimità da questo Parlamento. E' fondamentale trarre le conseguenze della visione dell'essere umano che da oltre mille anni caratterizza la nostra Europa. La civiltà e l'umanità mostrano in modo più evidente il proprio carattere col modo in cui tutelano la vita indifesa.

Dobbiamo dire no alla clonazione umana. L'uomo è un soggetto, non un oggetto.

 
  
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  Breyer (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, è un grande successo per i diritti dell'uomo il fatto che con questa risoluzione siamo riusciti ad inviare il messaggio che non si possono deliberatamente creare embrioni destinati alla ricerca. Con questa risoluzione noi affermiamo con fermezza che la vita umana non deve diventare un prodotto di consumo. Tuttavia sono preoccupata per la ridotta maggioranza espressasi a favore della risoluzione. Spero che ciò sia dovuto esclusivamente ai giochi tattici del gruppo socialista. Devo dire che il modo in cui si è agito in questa occasione mi sembra vergognoso. Si chiede la creazione di una commissione a carattere non permanente, senza però dire che Tony Blair deve sospendere la sua decisione in attesa dell'esito dei lavori di questa commissione.

Questo illustra la contraddittorietà. Mi sembra più che vergognoso che per fedeltà a Blair si trascuri qualunque altra considerazione. Vorrei sottolineare che noi abbiamo sempre detto che si tratta di una clonazione cosiddetta terapeutica. Esiste la possibilità alternativa di ottenere gli stessi risultati partendo da cellule madri adulte.

Tuttavia spero anche che la Commissione abbia ora il coraggio di dare applicazione a quanto abbiamo chiesto noi con questa risoluzione: non concedere alcun fondo per la ricerca agli istituti che direttamente o indirettamente utilizzano i prodotti della clonazione.

 
  
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  Korhola (PPE-DE).(FI) Signor Presidente, questa mattina il nostro Gruppo ha discusso sulla posizione da assumere nei confronti al punto 5 della proposta di risoluzione sulla clonazione in cui si afferma che non si può fare una distinzione tra la clonazione che ha come fine la riproduzione e quelle per altri fini. Il problema è sicuramente controverso e si presta a diverse interpretazioni, a seconda dei punti di vista che sono due, per lo più abbastanza simili. Tecnicamente parlando si tratta in effetti della stessa cosa. Dal punto di vista filosofico, cioè esaminando la clonazione dal punto di vista del feto, l’operazione non è diversa. In ogni caso il feto clonato viene considerato come uno strumento, un bene d’uso, non un essere umano con propri valori intrinsechi.

È commovente vedere che siamo tutti d’accordo sul fatto che la clonazione volta alla procreazione è una pratica lontana da qualsiasi etica. La mia preoccupazione maggiore invece riguarda gli argomenti che dovremmo utilizzare per impedirla. E questo lo afferma la sottoscritta che dispone di una formazione filosofica. I nostri argomenti sono tali che in futuro non sarebbero più validi in quanto, tecnicamente parlando, la clonazione viene già praticata. Se l’azione è la stessa, che importanza ha il fine? Ho votato contro l’emendamento 5 solo perché secondo me doveva essere motivato meglio. Sono nondimeno convinta che fare una differenza tra i diversi tipi di clonazione non sia giustificato né dal punto di vista tecnico, né da quello del feto. Ecco perché non è opportuno approvare tale tipo di differenziazione senza un dibattito veramente approfondito.

 
  
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  Alavanos (GUE/NGL), per iscritto.(EL) Il gruppo della Sinistra unitaria europea non ha sottoscritto nessuna delle due proposte di risoluzione. Non accogliamo la proposta del Partito popolare europeo perché dietro il suo netto no alla clonazione umana si cela la sua ben nota posizione contro l’aborto. D’altronde non ci soddisfa nemmeno il testo dei socialisti, perché non prende posizione rispetto alle scelte del governo britannico, che ha aperto la strada alla clonazione per motivi medici, dando così il via libera all’amministrazione americana per svolgere attività analoghe, come chiesto dall’industria delle biotecnologie. Per non perder tempo pensiamo che quel che si può fare oggi, in una materia così difficile e complessa, sia a creare una commissione temporanea per la bioetica del Parlamento europeo, che ci offra una base per una discussione dettagliata e approfondita sulla problematica della ricerca medica basata sull’embrione ottenuto dalla clonazione umana.

 
  
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  Berthu (UEN), per iscritto.(FR) La clonazione terapeutica comporta la creazione di un embrione, mediante clonazione, il quale viene in seguito distrutto, al fine di prelevare alcune cellule destinate alla ricerca medica e, un giorno forse, alla guarigione di alcune malattie incurabili. Non si può dire che l’intenzione sia malvagia, ma il metodo è molto discutibile per due ragioni almeno: in primo luogo si crea una vita (sia utilizzando un embrione in eccedenza, originariamente destinato a far nascere un nuovo essere umano, sia utilizzando un embrione clonato), poi la si distrugge per salvarne un’altra. Abbiamo il diritto di creare, così facendo, una categoria di esseri inferiori manipolabili a piacere? Chiaramente penso di no.

In secondo luogo, se tutti sono concordi nel condannare la clonazione degli esseri umani in generale, taluni vorrebbero introdurre una distinzione tra “clonazione riproduttiva” (volta a riprodurre un individuo nella sua interezza) e “clonazione terapeutica” che potrebbe essere autorizzata sotto sorveglianza, entro certi limiti e a condizione di non dare luogo a transazioni commerciali. Ma tale distinzione è artificiosa, dato che si basa sull’intenzione sottesa alla clonazione, mentre l’atto è identico nei due casi: la clonazione terapeutica si fonda anch’essa sulla riproduzione di embrioni mediante clonazione. Ogni forma di clonazione è per definizione riproduttiva.

La clonazione di embrioni a fini di ricerca, o anche il semplice utilizzo di embrioni in eccedenza per tali fini, ci farebbe oltrepassare un limite invisibile al di là del quale diventerebbe lecito strumentalizzare la vita umana. Entreremmo in un’altra società, contraria ai nostri valori.

Una soluzione per uscire da questo dilemma sarebbe intensificare la ricerca sulla possibilità di ottenere cellule staminali a partire da organismi adulti, che siano differenziabili per scopi terapeutici, come richiede la risoluzione presentata dalle colleghe onorevoli Montfort e Thomas-Mauro. Questa operazione sarebbe accettabile, in quanto assimilabile a una donazione di organi. Una tale prospettiva ci permette d’intravedere che i nostri interrogativi attuali sono legati ad uno stadio transitorio della ricerca, o almeno questo è il nostro auspicio.

Purtroppo, il gruppo di lavoro auto-denominatosi “Convenzione”, che prepara una prima redazione di una Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, sta muovendosi nella direzione sbagliata su questo punto. L’articolo 3 del progetto, allo stato attuale, si limita a vietare “la clonazione degli esseri umani a scopo riproduttivo”, ripropone cioè la distinzione capziosa da noi denunciata. Ho presentato, insieme ad alcuni deputati, un emendamento su questo punto ma, sebbene la nostra proposta sia formulata in modo equilibrato, per il momento non è stata ancora accolta. Da qualsiasi punto di vista si consideri tale Carta, non si riuscirà a trovare in essa un solo aspetto positivo.

 
  
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  Lienemann (PSE), per iscritto. - (FR) In ogni epoca, l’umanità ha dovuto valutare l'orientamento da dare ai progressi scientifici sulla base delle proprie scelte etiche e sociali.

La posta in gioco è ancora più delicata quando si tratta dell’essere umano e dei fondamenti genetici.

Si deve, pertanto, agire con estrema cautela, senza cadere nell'oscurantismo.

Allo stato attuale delle nostre conoscenze e del dibattito etico, e nel caso dell’inaccettabile autorizzazione concessa dal governo britannico in materia di clonazione umana, si deve, in primo luogo, ottenere una moratoria totale ed assoluta di tutte le sperimentazioni nel campo della clonazione umana.

In secondo luogo, è necessario definire, dopo aver ascoltato il parere del Comitato europeo di bioetica, un orientamento chiaro, che sia garante della dignità umana.

Nessuna risoluzione presentata dai gruppi, allo stato attuale dei testi, mi soddisfa.

Il gruppo socialista non è sufficientemente fermo nel richiedere il blocco immediato di qualsiasi forma di clonazione umana.

Il gruppo PPE sembra giungere a conclusioni definitive su dibattiti delicati come la distinzione tra clonazione riproduttiva ed altri tipi di clonazione.

A mio avviso, però, su questo punto l’analisi del Comitato europeo di bioetica sarebbe utile per chiarire le divergenze di opinione.

L'urgenza avrebbe richiesto una reazione efficace, cioè:

- una moratoria immediata e totale

- una riflessione approfondita ed un esteso dibattito sul merito della questione, a cui deve seguire una direttiva volta a recepire la norma prescelta.

Non lo è il voto di oggi.

Pertanto, su questi progetti di risoluzione mi asterrò dal voto.

 
  
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  Montfort (UEN), per iscritto. - (FR) Vi sono temi davanti ai quali dovrebbero tacere le differenze politiche, non per dare l'impressione di un eventuale consenso, ma perché s'impongono a tutti in modo trasversale. E, tra questi, spicca per importanza la difesa e la promozione della vita e della dignità dell'uomo.

La ricerca scientifica ha fatto, nel corso degli ultimi decenni, progressi formidabili, forieri di speranza per gli afflitti da malattie o menomazioni, e per le loro famiglie. Ciò nonostante, una parte di detta ricerca e degli scienziati che vi si dedicano sembra avere perduto, nel contempo, ciò che definirei una giusta e sana scala di valori. Allora è dovere, in particolare dei responsabili morali e politici del bene comune, correggere certe nocive tendenze. Ciò vale per le due decisioni, una britannica e l’altra americana, che autorizzano, la prima la clonazione, e la seconda l'utilizzo di embrioni detti "soprannumerari" e "senza progetto parentale", in entrambi i casi a fini terapeutici.

I problemi qui posti sono molteplici, ma intimamente correlati. Non esistono due tipi di clonazione: una riproduttiva e l'altra terapeutica; la creazione di embrioni umani dotati dello stesso patrimonio genetico di un altro essere umano deve rimanere vietata, indipendentemente dalle sue finalità. Infatti, nessuna legge umana potrà mai, senza essere criminale, negare il fatto che l'embrione costituisce l'inizio della vita. Quindi, distruggere un embrione, anche se per curare un malato, è comunque ingiustificabile; come potremmo giustificare, restando nei limiti della decenza, la distruzione di una vita per guarirne un'altra? Inoltre, e più in generale, la vita è un tutto indivisibile, è presente sin dal concepimento e non è più, da quel momento, condizionata dalla volontà umana. Può forse il riconoscimento della vita dipendere da un "progetto parentale"?

Certo, prima del concepimento, i genitori potenziali devono riflettere, come persone responsabili, sulla venuta di un figlio; ma una volta concepito, egli è presente e qualsiasi manipolazione di cui può essere oggetto, e a maggior ragione, la programmazione della sua eliminazione, indipendentemente dalle motivazioni, costituiscono un attentato ai suoi diritti fondamentali, e, nella peggiore delle ipotesi, un crimine. E' giusto che il nostro Parlamento si pronunci chiaramente su queste tendenze e, in tal modo, faccia una scelta a favore della vita, anche se contro la volontà di una parte dei suoi membri.

 
  
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  Schröder, Ilka (Verts/ALE), per iscritto. - (DE) Nella votazione sulla risoluzione presentata da PPE/Verts/ALE sulla clonazione umana io mi sono astenuta. Considero positivo che si contrapponga qualcosa alla decisione del parlamento britannico. Si è sottolineato che il Parlamento europeo difende la propria decisione di vietare la clonazione (e di conseguenza non dovrà finanziare le ricerche sulla clonazione).

Tuttavia ritengo estremamente pericolosi i paragrafi 6 e 8. In essi si prendono per oro colato le promesse delle biotecnologie in campo medico, benché i risultati finora ottenuti siano da considerare nella migliore delle ipotesi ambigui. Incoraggiando l'approfondimento della ricerca sulle terapie genetiche ed altri metodi basati sulle tecniche genetiche il Parlamento europeo avanza su un terreno pieno di rischi. Tanto più che non vengono mai menzionati e non si sottopongono alla valutazione politica i pericoli e i tentativi falliti, che metterebbero in discussione le prospettive presentate con assoluta certezza come promettenti.

Questo pronunciamento del Parlamento europeo sulla clonazione di embrioni può essere considerato un successo, a breve termine. Temo però che l'incoraggiamento totalmente acritico dell'impiego delle tecnologie genetiche in medicina renda nullo questo successo a lungo termine, e anzi possa produrre l'effetto contrario. Potrebbe infatti aprire ancora di più la porta ad una tecnologia delle cui conseguenze ancora non sappiamo niente.

 
  
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  Theonas (GUE/NGL), per iscritto.(EL) La recente decisione dei governi britannico e statunitense di consentire la clonazione di embrioni umani, da usare come “riserve” di tessuti e organi vitali, solleva enormi problemi e interrogativi. La decisione è stata presa malgrado restino ancora senza risposta varie questioni cruciali di ordine medico, etico e sociale. Nessuno mette in dubbio il fatto che i rapidi sviluppi nel settore della genetica e della biologia molecolare aprano nuove prospettive alla scienza, riducendo la distanza tra l’impossibile e il fattibile e offrendo speranze per la lotta a patologie e malattie che affliggono l’umanità.

Nel contempo, però, proprio perché le scienze biomediche offrono possibilità inimmaginabili e possono penetrare a fondo i segreti della vita e dello sviluppo dell’uomo, trasformando facilmente un sogno in un incubo, si pone un interrogativo cruciale e ineludibile, di cui si deve occupare non solo la comunità scientifica, ma l’intera società a tutti i livelli. Per quali fini e a quali mani affidare questa nuova potentissima “arma” scientifica?

In un sistema di capitalismo sfrenato e spietato e di un’economia di mercato impietosa, i confini tra le motivazioni scientifiche e l’intento speculativo delle multinazionali e dei monopoli farmaceutici sono precari e difficilmente distinguibili. E’ da criminali considerare questioni relative all’esistenza stessa dell’uomo, alla vita e alla morte come oggetto di mercificazione al di fuori di qualsiasi controllo politico e sociale. Mentre rimangono in sospeso e aperti interrogativi cruciali e della massima importanza, la rapidissima evoluzione della problematica comporta rischi incalcolabili se si pensa agli enormi interessi economici che si celano dietro questo esperimento.

Il progetto in corso relativo alla “clonazione terapeutica” è come un vaso di Pandora, poiché nessuno può garantire un utilizzo limitato e specifico della clonazione. La clonazione di embrioni potrebbe rivelarsi un cavallo di Troia nelle mani di chi vuole clonare o contraffare esseri umani, con conseguenze imprevedibili e forse drammatiche per il genere umano. Tutto ciò va impedito.

Il maggior pericolo non risiede nella potenza della scienza, ma in un suo errato e incontrollato utilizzo e applicazione. Quando poi vediamo che le sue coordinate coincidono con le regole del profitto e i suoi biechi interessi, allora dobbiamo stare particolarmente attenti e sempre vigili.

 
  
  

- Relazione Lucas (A5-0187/2000)

 
  
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  Fatuzzo (PPE-DE). - Signor Presidente, è la seconda volta che oggi parliamo di una relazione che facilita il sonno di tutti, in particolare degli anziani. Come non essere a favore di questa relazione che si preoccupa di far diminuire il rumore degli aeroplani che arrivano e partono dagli aeroporti attorno ai quali vivono molte persone che di notte, ma anche di giorno, sono certamente disturbate?

Mi permetto, tuttavia, di lanciare una proposta su questo argomento, e cioè che in futuro si cerchi di costruire molti piccoli aeroporti in zone isolate e disabitate anziché pochi e grandissimi aeroporti nelle capitali degli Stati.

 
  
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  Caudron (PSE), per iscritto. - (FR) Mi rallegro della comunicazione della Commissione che sottolinea come l'impatto del trasporto aereo sull'ambiente stia rapidamente aumentando a livello locale, regionale e planetario. Non è, ovviamente, possibile lasciare che tale tendenza segua il suo corso ed è necessario adottare rapidamente misure volte ad invertirla. Infatti, è in gioco la tutela dell'ambiente, la qualità della vita e la salute degli europei.

Si potrebbero realizzare importanti progressi attuando la proposta della Commissione, volta ad applicare al trasporto aereo in Europa il principio che consiste nel "ricompensare i buoni e punire i cattivi", tracciando una linea di demarcazione più netta tra le diverse attività, in funzione della loro qualità ambientale. Se la comunicazione della Commissione descrive un certo numero di strumenti applicabili, come incentivi economici e norme più rigorose, non contiene, tuttavia, obiettivi quantificabili e scadenze ad essi collegate. Inoltre scarseggiano misure concrete che spingano l'aviazione a rispettare maggiormente l'ambiente. Quindi, è essenziale stabilire degli obiettivi e rispettarne i termini per permettere all'industria aeronautica, alle compagnie aeree ed agli utenti di adeguarsi, in tempo utile, alle disposizioni legislative.

E' questo il compito che ha svolto il Parlamento europeo. La sua relazione tratta numerosi problemi generati dal trasporto aereo, segnatamente quello dell'inquinamento acustico. Tale problema è sempre più fonte di preoccupazione per i cittadini europei. Secondo uno studio effettuato nell'ambito del quinto programma d'azione dell'Unione europea sull'ambiente, 80 milioni di persone sono, oggigiorno, esposti a livelli acustici ritenuti intollerabili dagli scienziati, mentre altri 170 milioni di persone sono esposti a livelli acustici che arrecano disturbo. Recenti studi hanno, inoltre, dimostrato l'esistenza di un nesso tra il rumore degli aerei ed i disturbi del sonno, la salute e la capacità di apprendimento.

Le popolazioni che vivono in prossimità di aeroporti sono particolarmente colpite dal rumore dei velivoli notturni. L'ICAO ha iniziato un processo di revisione del livello dei rumori. L'Unione europea deve appoggiare tale processo. E, se necessario, la Commissione dovrà adottare misure complementari, nel caso in cui l'ICAO non giunga ad un accordo soddisfacente. Il rumore degli aerei può essere limitato in due modi: alla fonte, grazie a norme di certificazione più severe e a programmi di ritiro progressivo dei velivoli non conformi, e grazie a misure volte al riassetto territoriale degli aeroporti.

Un altro problema specifico riguarda le emissioni di gas, che si ritiene, nel caso del trasporto aereo, siano responsabili per il 3,5 percento circa del riscaldamento planetario prodotto dall'attività umana. Secondo alcune proiezioni, tali emissioni aumenteranno ad un ritmo annuo del 3 percento durante il periodo 1992 - 2015. Pertanto, è urgente e vitale, al tempo stesso, adottare iniziative volte a ridurre le emissioni degli aeromobili.

L'elenco dei problemi causati dall'aviazione è lungo. Tale allarmante constatazione ci deve spingere ad agire rapidamente. Per farlo, gli Stati membri devono conferire alla Commissione un mandato negoziale chiaro affinché, in occasione della trentatreesima sessione dell'assemblea dell'ICAO, nel 2001, sia in grado di perseguire energicamente gli obiettivi stabiliti in materia di politica ambientale e dei trasporti.

 
  
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  Isler Béguin (Verts/ALE), per iscritto. - (FR) Mentre in Francia è in atto uno scontro con i principali consumatori di gasolio (camionisti, agricoltori, autisti di ambulanza), che rischia di estendersi a macchia d'olio in Europa a causa della fiammata del prezzo dei carburanti, e mentre si sono aperte a Lione le trattative per l'esecuzione del Protocollo di Kyoto, le cui proposte dovranno essere adottate in gran numero all'Aia per lottare contro le emissioni dei gas ad effetto serra, ci si rende conto di quanta strada si deve ancora percorrere a tutti i livelli per passare da modi di trasporto che inquinano e degradano l'ambiente, a trasporti ecologicamente sostenibili che contribuiscano realmente alla lotta contro le emissioni di gas ad effetto serra.

In tal senso, la relazione della onorevole Lucas prende in esame le misure positive che contribuiranno alla riduzione dell’inquinamento acustico nel trasporto aereo soprattutto mediante il ritiro progressivo degli aerei più rumorosi.

In cambio, solleva alcuni problemi concreti di natura politica, cioè, le carenze delle politiche in materia di trasporto aereo ed il loro impatto negativo sull'ambiente. L'Europa vacilla sulle misure volte a ridurre i gas ad effetto serra, poiché esclude i trasporti aerei, grandi produttori di CO2, dal Protocollo di Kyoto e dai piani di riduzione degli agenti inquinanti. La tassazione del kerosene, le tasse ambientali, l’aliquota zero dell’IVA sui biglietti aerei, sono tutti punti da esaminare al fine di stabilire una concorrenza equa tra i diversi modi di trasporto.

 
  
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  Markov (GUE/NGL), per iscritto. - (DE) Il mio gruppo ha votato a favore della relazione dell'onorevole Lucas in base alle considerazioni seguenti. Recentemente, il WWF ha previsto ancora una volta un massiccio riscaldamento dell'atmosfera terrestre per i prossimi anni, dovuto alle emissioni di CO2 e di altri gas dannosi; ciò richiede una reazione immediata da parte di una politica che sia fondata sulla ragione e di un'economia che non miri solamente al profitto a breve termine. Il traffico aereo è naturalmente solo una delle cause dell'inquinamento atmosferico, al quale si stima esso contribuisca nella misura del 15 percento, e certo non la principale. Se però si considera il raddoppiamento dei voli previsto entro il 2015 solo nell'Unione europea, si impone che il Consiglio, la Commissione e il Parlamento europeo adottino insieme delle misure per limitarne le conseguenze sull'ambiente. Queste misure devono essere rivolte all'intero spettro degli effetti dannosi, cioè le emissioni, il rumore, gli errori nella gestione del traffico aereo e nella pianificazione territoriale e altro, integrando con equilibrio gli interessi economici delle compagnie di navigazione aerea.

Siamo favorevoli all'imposizione di rigidi limiti per le emissioni atmosferiche ed acustiche, e alla richiesta di un'iniziativa dell'Unione europea in occasione della trentatreesima conferenza dell'ICAO. Per questo motivo, in caso di un insuccesso o di un risultato insoddisfacente della conferenza dell'ICAO, saremmo favorevoli all'imposizione di limiti anche per la sola Unione europea. Tali misure possono e devono spingere l'industria aeronautica a sviluppare nuove soluzioni tecnologiche per turboreattori più efficienti, puliti e meno rumorosi.

 
  
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  Meijer (GUE/NGL), per iscritto.– (NL) Il ventesimo secolo ha portato enormi progressi tecnologici, soprattutto nel campo dei trasporti e delle comunicazioni su lunga distanza. Due sono le vacche sacre comparse sulla scena: l’auto e l’aereo. Coloro che si attendono vantaggi materiali da questi mezzi di trasporto, sono disposti a difendere a ogni costo la propria libertà di utilizzarli, trascurando le conseguenze negative per il prossimo e per l’ambiente.

Nel frattempo il trasporto aereo e gli aeroporti sono divenuti un settore privilegiato, che, in gran parte, gode di esenzione fiscale e non è tenuto ad applicare le normative ambientali. Questo settore, pertanto, è in grado di offrire i propri servizi a costi proporzionalmente contenuti anche se rimangono alti i prezzi su quelle tratte per le quali esiste una condizione di quasi monopolio. È solo grazie a privilegi che il trasporto aereo riesce ad avere la meglio nella battaglia sleale contro le ferrovie, che hanno perso una quota significativa del trasporto internazionale di persone a vantaggio di altri mezzi su lunga distanza, soprattutto l’aereo. Le ferrovie transnazionali si trovano così a dipendere in misura sempre maggiore da piani di privatizzazione e dai grandi investimenti nella rete ad alta velocità. A loro volta, anche queste misure comportano conseguenze negative per l’uomo e per l’ambiente, conseguenze che non si sarebbero prodotte senza la concorrenza del trasporto aereo.

È giunto il momento che anche il settore dei trasporti aerei rispetti la normativa ambientale che è stata prevista per tutti gli altri comparti allo scopo di tutelare l’uomo e l’ambiente dall’inquinamento acustico, dall’emissione di sostanze dannose e dal rischio di incidenti. Non è certo un problema ma una necessità il fatto che, di conseguenza, diminuiscano leggermente i profitti dell’industria aeronautica e risulti frenato il formidabile sviluppo del trasporto aereo. La onorevole Lucas ha indicato quelli che potrebbero essere alcuni passi modesti nella direzione giusta, passi che sono in linea con gli obiettivi che si prefigge il mio partito, il Partito socialista olandese.

 
  
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  Herman Schmid, Seppänen e Sjöstedt (GUE/NGL), per iscritto. – (SV) Nella votazione finale sulla relazione Lucas ci siamo astenuti. Condividiamo la maggior parte dei punti di vista contenuti in quel testo in ordine alla necessità di una politica rafforzata per contrastare gli effetti negativi dei trasporti aerei sull'ambiente, ma non possiamo appoggiare i paragrafi 20 e 23. In quei punti del testo si propone una competenza fiscale diretta dell'Unione in questo ambito, nonché una standardizzazione della legislazione nazionale in materia di assetto territoriale. Siamo nettamente contrari a tali proposte.

 
  
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  Theonas (GUE/NGL), per iscritto.(EL) Consideriamo urgente e imprescindibile l’adozione di misure immediate e radicali atte a salvaguardare l’ambiente dalle ripercussioni negative di un sempre maggiore uso del trasporto aereo.

La proposta della Commissione affronta il problema tenendo conto solo della concorrenza e dei profitti per l’industria aeronautica e le compagnie aeree. Essa quindi non riguarda – come invece dovrebbe – le questioni di massima priorità e rimane generica e ambigua circa i livelli massimi ammissibili per l’emissione dei gas che contribuiscono ad aggravare il fenomeno dell’effetto serra, né stabilisce nuovi e migliori modelli e regole da applicare a livello locale e regionale e da promuovere sul piano internazionale.

Il testo appare vago e formula proposte insufficienti in merito alla riduzione dei livelli ammissibili di rumore, specie vicino agli aeroporti durante il giorno e in particolare di notte.

Tutta una serie di questioni, come l’uso dei terreni vicino agli aeroporti, il miglioramento del traffico aereo, eccetera, rimane sostanzialmente senza risposta, mentre esse rappresentano al contrario fattori rilevanti se si vuole far fronte alle conseguenze che il trasporto aereo ha sull’ambiente.

La proposta della Commissione ha un carattere sostanzialmente esattoriale. Invece di obbligare le compagnie aeree a sviluppare la ricerca e l’applicazione di tecnologie innovative ed ecocompatibili, promuove misure volte ad aumentare le entrate mediante l’introduzione di nuove imposte sull’acquisto degli aeromobili o a modificare il regime IVA per le compagnie aeree o l’imposta sul cherosene, il che rappresenta un onere che può essere facilmente scaricato sui consumatori finali.

Qualsiasi tentativo di diminuire il numero o gli orari dei voli, mediante l’aumento del prezzo del biglietto, e i continui sforzi per ridurre il costo del lavoro e gli standard di sicurezza non sono che un mezzo per mantenere – se non addirittura incrementare – i profitti dell’industria aeronautica, non certamente un sistema per limitare l’impatto negativo del trasporto aereo sull’ambiente.

E’ indicativo il fatto che non si faccia alcun riferimento alla liberalizzazione del mercato del trasporto aereo, che moltiplica le ripercussioni negative sull’ambiente a causa dei controlli limitati sugli aeromobili, della loro obsolescenza, della carente manutenzione, eccetera. Tutti fattori questi che hanno non un impatto soltanto sull’ambiente, ma anche sulla sicurezza stessa dei voli e dei passeggeri.

 
  
  

- Relazione Zabell (A5-0203/2000)

 
  
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  Fatuzzo (PPE-DE). - Signor Presidente, questa relazione si riferisce alla lotta contro il doping nello sport. Purtroppo le autorità sportive internazionali non hanno saputo bloccare e combattere questa gravissima piaga. Il doping nello sport è come un prete che pecca, è come un musicista che è stonato. Non è possibile che nello sport, che di per sé significa lealtà e competizione, ci siano atleti che vincono perchè soggetti alla pratica del doping. Ho votato perciò questo provvedimento perché non si difende a sufficienza un vero cambiamento nella lotta contro il doping. Si dovrebbe costituire un'agenzia europea contro il doping e non attendere che sia un'agenzia mondiale a fare quello che non riesce a fare un singolo Stato. Come mettere d'accordo così tanti?

 
  
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  Mennea (ELDR). - Signor Presidente, vorrei precisare che sulla relazione Zabell ho votato a favore solo degli emendamenti che richiedono la base giuridica, mentre ho votato contro l'insieme della relazione. E' dimostrato infatti da elementi attuali che la politica intrapresa dall'Agenzia mondiale antidoping è una politica fallimentare, a cui l'Europa non doveva associarsi poiché è una politica fatta da altri e in cui noi non dobbiamo avere alcuna responsabilità.

E' un peccato che l'Europa non abbia capito questo e che oggi e per i prossimi anni si troverà a combattere una lotta durissima, che bisognerà affrontare con mezzi molto più incisivi, più forti e più duri. Io ho cercato, dall'alto della mia esperienza, di farlo capire ai colleghi parlamentari. Mi dispiace che molti di essi non abbiano afferrato fino in fondo quello che in tutti questi giorni ho cercato di far loro capire.

 
  
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  Blokland (EDD), per iscritto. – (NL) L’attività sportiva fa bene all’uomo. Il gioco, infatti, fa parte della natura umana. La salute e il benessere ci guadagnano. Purtroppo, però, l’attività è da decenni sottoposta a forti pressioni. Un’attenzione esclusiva e totale per la prestazione e il coinvolgimento di interessi commerciali sempre più forti sono i principali fattori che inquinano lo sport. L’uso di sostanze dopanti nello sport va visto proprio in quest’ottica. È mia convinzione che non si tratti di un fenomeno isolato, quanto di un elemento che rientra nel contesto della valorizzazione economica di un settore ricreativo. Anche per questo motivo è aumentata in modo eccessivo la differenza fra sport dilettantistico e professionistico.

Nella sua relazione di Helsinki la Commissione si sofferma a lungo sui meriti dello sport. Anche nella risoluzione si incontrano frasi in cui lo sport viene lodato per la sua funzione sociale, di integrazione e di unione. Purtroppo i grandi avvenimenti sportivi dimostrano il contrario. Non per nulla lo chef de mission olandese André Bolhuis aveva definito i Giochi olimpici di Atlanta la "guerra olimpica". Probabilmente l’ispirazione è provenuta dalle migliaia di agenti di polizia schierati e dall’atmosfera ostile che il pubblico e i media americani hanno creato attorno agli atleti stranieri. Se vogliamo contrastare queste manifestazioni, che ritroviamo anche in occasione degli eventi sportivi internazionali nei nostri paesi, dobbiamo lasciare che a prevalere sia ancora il carattere sportivo dell’evento. L’attenzione alla prestazione e gli interessi commerciali devono essere fortemente ridimensionati contribuendo così a creare un clima più favorevole a una lotta efficace contro il doping.

Nel campo dello sport il Trattato non riconosce alle Istituzioni europee alcuna competenza diretta. Il contributo della Comunità alla lotta contro l’uso di sostanze dopanti deve pertanto essere limitato. Il settore dello sport è organizzato secondo regole proprie e le federazioni e le associazioni nazionali svolgono ancora un ruolo significativo in tale organizzazione. Non sono quindi d’accordo con la richiesta di inserire all’articolo 151 del Trattato un riferimento allo sport. Questa insistenza su una politica comunitaria dello sport non si concilia con il principio di sussidiarietà.

Sebbene la risoluzione che è stata appena votata presenti elementi positivi, non posso appoggiarla per le ragioni istituzionali che ho menzionato.

 
  
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  Caudron (PSE), per iscritto. - (FR) Sono molto soddisfatto di avere potuto discutere in questo Emiciclo il doping nello sport, un grave problema di sanità pubblica. Vorrei congratularmi con la Commissione europea per il Piano d'azione che ci ha proposto, nonché con la relatrice e con la signora Buffet, Presidente in carica del Consiglio.

Secondo la Carta olimpica, lo sport deve incarnare "uno spirito di amicizia, di solidarietà e di fair play". Il doping nello sport si trova proprio all'opposto di questo ideale. Eppure, l'utilizzo di sostanze dopanti è molto esteso sia presso gli atleti professionisti sia presso i dilettanti.

Tale piaga, di cui è difficile misurare la portata, è un fenomeno complesso che minaccia gravemente l'integrità fisica e psicologica degli atleti. Si tratta anche di una frode che mette a repentaglio l'etica sportiva.

Questa constatazione deve incoraggiarci a rafforzare l'azione dell'Unione europea nell’ambito della lotta contro tale fenomeno. Appoggio, pertanto, l'inclusione nei Trattati di una base giuridica volta a permettere un'azione comunitaria nel campo dello sport. So che tale questione suscita molte discussioni, le quali, d'altro canto, permetteranno di alimentare il dibattito che si terrà al Forum europeo dello sport, a Lilla, il 26 e 27 ottobre prossimo. Vi parteciperò, naturalmente, per esprimere il mio punto di vista.

Approvo, tra l'altro, l'invito rivolto alla Commissione affinché analizzi le cause del doping nelle diverse discipline sportive, anche se è noto che una delle cause principali dell'ampiezza del fenomeno sta negli interessi commerciali in gioco, ormai indissociabili dall’attività sportiva.

Nell'ambito del quinto programma quadro di ricerca, l'Unione europea dovrà intensificare le ricerche sulle sostanze dopanti, sui metodi di rilevazione e sull'impatto dell'uso di tali sostanze sulla salute.

Mi sembra anche fondamentale lanciare una campagna d'informazione sui rischi collegati ai prodotti dopanti. Tali campagne dovrebbero essere prioritariamente rivolte ai giovani, e condotte con la partecipazione di atleti di chiara fama.

Dovendo condurre tale lotta a livello internazionale, la creazione di un'Agenzia mondiale antidoping (AMA) costituisce certamente, un progresso essenziale. Tale agenzia, creata nel 1999, funziona attualmente secondo delle modalità transitorie che lasciano a desiderare in quanto a trasparenza ed autonomia. La Presidenza francese si è impegnata a migliorarne il funzionamento, e di ciò mi rallegro!

Attribuiamo di nuovo allo sport il suo reale valore! Lo sport deve, innanzi tutto, essere considerato come un'attività educativa e sociale che incoraggia lo spirito di squadra, la solidarietà e la lealtà, e contribuisce a combattere il razzismo e la xenofobia!

 
  
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  Gahrton e Schörling (Verts/ALE), per iscritto. – (SV) votiamo contro i consideranda I, J e K, mentre ci asteniamo sul paragrafo 2. Questi tre consideranda e questo paragrafo esortano in vario modo la Commissione a integrare la politica dello sport nei Trattati. La politica dello sport è una politica caratterizzata da un preciso contesto culturale e, pertanto, non va inserita nei Trattati. E' un chiaro esempio di politica settoriale nella quale la Commissione non dovrebbe avere alcuna influenza. A nostro avviso, essa rientra nell'ambito del principio di sussidiarietà e deve quindi situarsi politicamente a un livello decisionale nazionale o anche inferiore. Ci asteniamo dunque nella votazione finale.

 
  
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  Pittella (PSE), per iscritto. - Vorrei sottolineare la ragione principale che mi ha spinto, nell'ambito del comune intendimento del gruppo del Partito del socialismo europeo, a votare a favore della relazione Zabell. Essa riguarda la priorità data alla prevenzione.

E' giusto, infatti, puntare innanzitutto sulla prevenzione. Nella scuola e nella società occorre sfatare il mito che si possa essere "belli, potenti ed iperattivi" senza sforzo.

Occorre insegnare ai giovani che non esistono scorciatoie, se non terribilmente dannose, al successo e alla realizzazione dei propri progetti. Anche in questo senso andava il progetto pilota, deciso dal Parlamento europeo nel bilancio 2000, per una grande campagna contro il doping.

Ma che fine ha fatto questo progetto? Tutte le scadenze previste non sono state sinora rispettate. La lista delle candidature progettuali andava selezionata proprio ora, a settembre.

E allora, dovremmo iniziare a dare coerenza ai nostri intenti, altrimenti ci eserciteremo in belle elucubrazioni teoriche, assolutamente effimere fuori da quest'Aula.

 
  
  

- Relazione Mennea (A5-0208/2000)

 
  
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  Fatuzzo (PPE-DE). - Signor Presidente, ho votato a favore della relazione Mennea sullo sport per i numerosi elementi positivi che essa contiene, in particolare perchè sottolinea come sia importante continuare ad organizzare delle competizioni sportive per portatori di handicap, cosa che già si fa. Mi auguro che, dopo questo provvedimento, ci sia anche un'agevolazione per le competizioni sportive degli anziani. Suddivisi gli sportivi per età, come avviene in base al peso per gli incontri di pugilato, potremmo organizzare delle competizioni sportive per persone che hanno più di trenta, quaranta, cinquanta, sessant'anni. Il collega Mennea tornerebbe sicuramente ad essere olimpionico quando si tornasse a competizioni in base all'età.

 
  
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  Mennea (ELDR). - Signor Presidente, vorrei ringraziare i colleghi che hanno votato la mia relazione. Credo che oggi l'Europa abbia fatto un passo avanti nell'approccio al mondo sportivo. Molta strada bisogna fare ancora, poiché lo sport si evolve in continuazione e l'Europa non può esimersi dal seguire quest'evoluzione. Mi auguro che in un prossimo futuro il lavoro che è iniziato oggi, qui al Parlamento europeo, sia completato.

Tengo a precisare che alcune tematiche che avevo proposto non sono state approvate, tipo lo statuto degli sportivi, il vincolo sportivo ed altre ancora. Mi auguro che, in un prossimo futuro, l'Europa diventi più matura da questo punto di vista e prenda in considerazione quei punti che non sono stati trattati.

 
  
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  Sacrédeus (PPE-DE).(SV) Signor Presidente, ho votato contro la relazione Mennea, e non certo come atto contro di lui. Ricordo bene l'epoca in cui era un grande corridore, e mi faceva molto piacere che uno sportivo di un paese europeo interrompesse il dominio degli americani.

Ho votato contro la sua relazione perché ritengo, in modo molto convinto, che lo sport, in ossequio al principio di sussidiarietà, non vada trattato in seno al Parlamento europeo. Faremmo allo sport, e all'idea di avvicinare le popolazioni d'Europa fra di loro, un'ingiustizia se lo trasformassimo in una questione politica. A mio avviso è decisamente errato e controproducente creare una base giuridica in questo ambito. In ossequio al principio di sussidiarietà e alla visione dell'uomo per la quale mi batto, io credo nella capacità dello sport di gestire queste problematiche nel quadro di associazioni nazionali e internazionali. Facciamo quadrato intorno a questo pensiero!

Ritengo inoltre che la sentenza Bosman abbia procurato un grave danno al calcio, e che il mondo dello sport abbia ogni ragione di chiedere al Parlamento e all'Unione europea di tenersi lontano da questo ambito in futuro. Che questi argomenti siano affrontati a livello nazionale e in seno al mondo dello sport.

 
  
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  Martinez (TDI), per iscritto. - (FR) Zbigniew Brzezinski, il consigliere del Presidente Carter, aveva teorizzato, durante un vertice di Davos, la necessità di utilizzare gli sport, i grandi spettacoli e la società del divertimento come valvola di sfogo per i milioni di esclusi che il liberoscambismo selvaggio produce ogni anno in un'economia di mercato generalizzata. Era stato persino coniato un termine per designare questa nuova versione del panem et circenses. Si tratta della parola "tittytainment", una combinazione del termine gergale americano per seni e della parola intrattenimento.Quest'idea è stata applicata e, in realtà, lo sport spettacolo, industria e oppio planetario delle masse indigenti, è esploso. Le coppe del mondo proliferano, le coppe europee, i gran premi, i Giochi di Helsinki, Sidney, Olimpia, il calcio, il tennis, le corse, le auto, i cavalli.Tutto ciò è realizzato nel nome della funzione sociale dello sport, al grido di "mens sana in corpore sano", al punto che il Trattato di Amsterdam ha in allegato una dichiarazione sullo sport di cui sottolinea il "ruolo di fermento dell'identità e di tramite tra gli uomini".Tutti sanno, d'altronde, che grazie allo sport ed ai Giochi olimpici, la guerra del Peloponneso non ha mai avuto luogo, Atene e Sparta si adoravano, i giochi circensi creavano quell'unione tra gladiatori a tutti ben nota, e che dallo stadio di Heysel, con i suoi morti, agli hooligan britannici della coppa europea di calcio a Copenaghen o altrove, passando per il gendarme francese Nivel, massacrato dai tifosi tedeschi, senza parlare dei "turisti" turchi, del PSG francese e degli altri, lo sport accresce, manifestamente, la socievolezza, la tolleranza, la collaborazione e tutte le altre qualità che le periferie e le città francesi coltivano, sin dalla coppa del mondo di calcio, coi falò delle auto date alle fiamme.D'altro canto, lo sport ad alto livello non ha forse portato decine di stupri e di aggressioni a sfondo sessuale nel villaggio olimpico di Atlanta? E la campionessa francese di tennis Nathalie Tauziat, che ha denunciato in un libro l'atmosfera particolarmente affettuosa presente tra le quinte dei campi da tennis, non è forse stata eliminata dalla selezione francese di Sydney? In nome, evidentemente, dello spirito di squadra e degli importanti valori sociali che lo sport coltiva, secondo il relatore, onorevole Klaus Heiner Lehne, della commissione per la cultura, la gioventù, l'istruzione, i mezzi d'informazione e lo sport.Una volta addolcita la dura realtà con il miele dei buoni sentimenti, il nostro relatore si rende conto che lo sport non è un fenomeno culturale, ma uno strumento politico e strategico al servizio dell'asservimento del cittadino, che deve dimenticare la privazione dei propri diritti civili, ridotto ormai ad uno stato primitivo di fronte al teleschermo.Le società di capitali, i club sportivi-fabbriche, dal Manchester United al Milan, senza parlare dei circuiti americani di pallacanestro o di golf, il doping, l'industria degli anabolizzanti ed altre eritropoietine, che hanno abbandonato la Germania di Pankov e l'Unione sovietica per il pianeta Adidas, Nike e di altri sponsor che esigono risultati, i trasferimenti, in massa di dollari che non si riesce più neppure a quantificare, le sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, tra cui la celebre sentenza Bosman del 1995, criticata da tutti, ma che ha garantito la libera circolazione degli stalloni, delle puledre e della merce sportiva, la commercializzazione massiccia, i diritti di ritrasmissione pretesi e la collusione tra lo sport ed il mondo degli affari, costituiscono la realtà del pianeta sportivo industrializzato, competenza del diritto comunitario.E' da questo universo manipolato che si deve proteggere lo sport di base, quelle attività sportive dilettantistiche praticate in migliaia di club dai mezzi limitati e che vivono solo della dedizione, della competenza e della generosità di una folla di volontari.Là devono andare i fondi pubblici, invece di essere utilizzati a profitto dei falsi dei degli stadi globali.

 
  
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  Presidente. - Con questo si concludono le dichiarazioni di voto.

(La seduta, sospesa alle 13.36, riprende alle 15.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MARINHO
Vicepresidente

 
  
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  Maes (Verts/ALE). – (NL) Signor Presidente, desidero esprimere la mia preoccupazione perché temo che alcuni elementi possano essere fraintesi. Abbiamo chiesto che la centrale di Temelin potesse essere discussa con urgenza perché il tema è della massima attualità. Vorrei chiederle, tuttavia, di poter aprire al più presto il dibattito sull’Iran. Ritengo indispensabile farlo a causa delle continue violazioni dei diritti dell’uomo. Mi riferisco all’esecuzione della pena di morte tramite lapidazione, ai continui disturbi alle trasmissioni televisive internazionali. Abbiamo votato a favore della procedura d’urgenza per la centrale di Temelin, ma riteniamo che un dibattito dedicato all’Iran sia altrettanto importante.

 
  
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  Presidente. – Onorevole Maes, la questione dell’Iran sarà trattata nell’ambito della discussione sui diritti dell’uomo, come quella della centrale nucleare di Temelin. Pertanto le sue preoccupazioni sono ingiustificate.

 
  

(1) Presentata dagli onorevoli Maij-Weggen e Mantovani a nome del gruppo PPE-DE; van den Berg a nome del gruppo PSE; Maaten e van den Bos a nome del gruppo ELDR; Wurtz e altri a nome del gruppo GUE/NGL; Muscardini a nome del gruppo UEN, volta a sostituire con un nuovo testo le risoluzioni di cui ai docc. B5-0748/2000, B5-0750/2000, B5-0756/2000, B5-0757/2000 e B5-0761/2000.
(2) Presentata dagli onorevoli Chichester a nome del gruppo PPE; McNally e Goebbels a nome del gruppo PSE; Plooij-van Gorsel a nome del gruppo ELDR; Jonckheer a nome del gruppo Verts/ALE, Schmid a nome del gruppo GUE/NGL volta a sostituite con un nuovo testo le proposte di risoluzione di cui ai docc. B5-0654/2000, B5-0655/2000, B5-0661/2000 e B5-0669/2000.
(3) Presentata dagli onorevoli De Clerq e altri a nome del gruppo ELDR, volta a sostituire con un nuovo testo le proposte di risoluzione di cui ai doc. B5-0702/2000, B5-0710/2000, B5-0751/2000, B5-0753/2000, B5-0755/2000, B5-0762/2000, B5-0764/2000, B5-0765/2000


3. Approvazione del processo verbale della seduta precedente
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  Presidente. – Il processo verbale della seduta di ieri è stato distribuito.

Vi sono osservazioni?

(Il processo verbale è approvato)

 

4. DISCUSSIONE SU PROBLEMI D'ATTUALITA'
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione su problemi di attualità, urgenti e di notevole rilevanza.

 

5. Incidenti di sottomarini nucleari
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta, le seguenti proposte di risoluzione:

- B5­0704/2000, presentata dall’onorevole Sakellariou e altri a nome del gruppo PSE, sui sottomarini nucleari;

- B5­0707/2000, presentata dall’onorevole Belder a nome del gruppo EDD, sul naufragio del sottomarino Kursk e il pericolo di contaminazione nucleare nell’ex Unione sovietica;

- B5­0709/2000, presentata dagli onorevoli Thors e Väyrynen a nome del gruppo ELDR, sul naufragio del sottomarino Kursk e il pericolo di contaminazione nucleare nell’ex Unione sovietica;

- B5­0717/2000, presentata dagli onorevoli Posselt e Oostlander a nome del gruppo PPE-DE, sul naufragio del sottomarino nucleare Kursk;

- B5­0725/2000, presentata dalla onorevole Schroedter e altri a nome del gruppo Verts/ALE, sul pericolo dei sottomarini nucleari;

- B5­0736/2000, presentata dalla onorevole Muscardini a nome del gruppo UEN, sugli incidenti con sottomarini nucleari;

- B5­0738/2000, presentata dall’onorevole Sjöstedt e altri a nome del gruppo GUE/NGL, sul naufragio di sottomarini nucleari.

 
  
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  Belder (EDD).(NL) Signor Presidente, mi unisco agli autori della risoluzione congiunta nel porgere le mie più sentite condoglianze alle famiglie dell’equipaggio del sottomarino nucleare Kursk: possano trovare conforto e forza in Dio, che solo percepisce la profondità del loro dolore e lo allevia.

La terribile tragedia umana del Kursk ha ricordato alla popolazione russa e a noi le pericolose conseguenze di un incidente che vede coinvolte installazioni o mezzi a propulsione nucleare e la necessità di osservare scrupolosamente le norme di sicurezza in materia nucleare. A questo processo di sensibilizzazione contribuiscono con il proprio senso di responsabilità – lo voglio sottolineare – le parti interessate più da vicino, ossia i cittadini russi e le organizzazioni sociali. I loro nomi non sono un segreto. Essi meritano non solo il nostro rispetto, ma anche tutto il sostegno che l’Europa può dare loro. Le autorità russe, invece, soprattutto l’apparato militare del paese, seguono una politica irresponsabile in materia di energia nucleare e ciò da sempre.

La contaminazione radioattiva avvenuta – si badi bene – nel 1949 nel sud degli Urali nel villaggio di Muslumovo e provocata dal plutonio è la prova evidente di questo atteggiamento esecrabile. Come racconta un’abitante della zona, in passato le madri venivano colpite da leucemia all’età di cinquant’anni. Lo stesso è accaduto alle loro figlie, ma all’età di vent’anni, e oggi i loro nipoti soffrono di questa malattia mortale già a due anni.

Giustamente la risoluzione congiunta sottolinea i rischi nucleari, non trascurabili, che comportano le decine di sottomarini nucleari della flotta settentrionale sovietica che sono affondati. A questo enorme pericolo potenziale per l’uomo e l’ambiente ne aggiungo un altro che minaccia la città di Murmansk e i suoi dintorni: il mercantile Lepse. Dagli inizi degli anni ‘60 questa nave funge da deposito di scorie nucleari provenienti dai rompighiaccio nucleari. Il cattivo stato in cui versa la nave rende necessari il trasbordo e lo stoccaggio del suo carico radioattivo in speciali contenitori a terra. La situazione si protrae ormai da anni. Perché fino a oggi il trasbordo non è stato effettuato? La risposta è semplice e sta nell’atteggiamento irresponsabile dell’autorità civile che non intende soddisfare due condizioni essenziali poste dal finanziatore del progetto, l’Unione europea: la firma dell’accordo con il quale la Russia si assume la responsabilità delle attività e l’importazione in esenzione fiscale delle attrezzature necessarie all’operazione. Questo illustra l’atteggiamento ufficiale russo di fronte a questioni urgenti in materia di sicurezza nucleare. Un altro episodio significativo riguarda lo scandalo nucleare del 1995 a Mosca. All’epoca il direttore dell’istituto scientifico che aveva sviluppato i reattori nucleari del tipo di Cernobil elaborò un piano “geniale” per incrementare notevolmente il bilancio del suo ente: riscaldare le abitazioni circostanti per mezzo del reattore pilota dell’istituto. Il quartiere lo venne a sapere per tempo. Il progetto fallì e il reattore venne fermato. Che fine ha fatto il direttore Jevgeni Adamov? Oggi è ministro per l’energia atomica della Russia. Ha un altro progetto, molto più redditizio, un progetto miliardario: la Russia dovrebbe divenire il punto di raccolta e di smaltimento delle scorie radioattive provenienti da altri paesi. L’Europa è avvisata.

 
  
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  Plooij-van Gorsel (ELDR).(NL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, grande è la commozione del gruppo ELDR di fronte alla recente tragedia del sottomarino Kursk. Il mio gruppo condivide il dolore delle famiglie e del popolo russo. Nutriamo inoltre forti preoccupazioni per la minaccia nucleare e il disastro ecologico che rischiano di colpire il Mare di Barents dopo l’affondamento del Kursk, a causa dei numerosi relitti che ancora giacciono sui suoi fondali. E’ quindi essenziale che la Russia aderisca alle organizzazioni internazionali che si occupano di sicurezza nucleare. Invito quindi il Commissario a esercitare pressioni sulla Russia affinché si faccia carico delle proprie responsabilità e sottoponga a ispezione e, se necessario, ad adeguamento i sottomarini nucleari ancora in esercizio, adottando criteri di sicurezza migliori. Esistono diversi esperti internazionali che possono aiutare la Russia a inventariare i problemi e a smaltire le scorie nucleari presenti sui sottomarini nel Mare di Barents. Ovviamente, la Russia deve essere disposta a collaborare con la massima apertura. La Russia è responsabile anche sotto il profilo finanziario. La Commissione o il Commissario può indicarmi quale può essere il contributo dell’Unione europea allo smantellamento dei relitti per eliminare il pericolo di contaminazione per i nostri cittadini?

 
  
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  Posselt (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, le nostre preghiere e le nostre espressioni di cordoglio sono rivolte ai 118 marinai e alle loro famiglie. Siamo solidali con loro, ma bisogna anche rendersi conto di una cosa: la catastrofe del Kursk desta grandi preoccupazioni per quanto riguarda la situazione in Russia. E' chiaro che il Presidente Putin, assieme alle autorità russe, ha nascosto vari aspetti di questa disgrazia. I fatti sono stati celati, manipolati o taciuti. In una intervista egli ha però detto una cosa vera: che la disgrazia del Kursk è sintomatica della situazione in cui si trova l'intero paese. Una situazione rispetto alla quale noi dobbiamo prendere una posizione. Dobbiamo guardare in faccia la realtà. Ci preoccupano non solo la sicurezza nucleare e la flotta dei sommergibili nucleari, ma anche tutta una serie di armamenti tecnologici sofisticati, non sottoposti ad un adeguato controllo ed a condizioni di sicurezza.

Perciò è essenziale che noi facciamo tutto il possibile perché in Russia sia introdotta la trasparenza. Dobbiamo al signor Nikitin e alla stampa indipendente, colpita dall'inasprimento della repressione, il fatto di essere stati informati della catastrofe, anche se dopo quattro giorni. Dobbiamo all'assistenza internazionale il fatto di essere almeno riusciti ad evitare il peggio e, speriamo, forse sarà anche possibile trovare una soluzione. Ma la situazione non può essere considerata soddisfacente. Per questo motivo non solo è necessario il nostro aiuto, ma serve anche una nostra posizione chiara. Serve franchezza e un'offerta di cooperazione, che non deve essere fatta esclusivamente di assegni, ma deve mirare anche allo sviluppo dello Stato di diritto, della presenza dello Stato, della libertà di stampa in Russia. Il punto più importante è che tutte le forze democratiche, tutti i mass-media indipendenti, l'amministrazione, la giustizia, la giovane generazione di politici, soprattutto a livello comunale, possano crescere e vengano sostenuti, in modo che la Russia diventi un partner insieme al quale vivere senza pericoli in Eurasia.

Non desidero entrare ora nel merito di questioni come la Cecenia e molte altre. Già di per sé, il caso del Kursk è sintomatico dei diretti effetti, sia ambientali che politici, che possono avere sulla nostra Europa le catastrofi che si verificano in Russia. Perciò è nostro primario interesse fare in modo che la Russia avanzi passo dopo passo verso lo Stato di diritto democratico. Con il Presidente Putin assistiamo ad un regresso per il quale siamo estremamente preoccupati. Su di noi ricade quindi una grande responsabilità.

 
  
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  Schroedter (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, come hanno già detto gli onorevoli colleghi, la tragedia del Kursk ci mostra che anche dieci anni dopo la fine della guerra fredda le ragioni militari vengono ancora poste al di sopra della vita umana. Vorrei esprimere la mia profonda partecipazione al dolore delle famiglie, anch’esse vittime di questa catastrofe, in quanto hanno perduto i loro padri e i loro figli.

Sappiamo che non è escluso che altre persone vengano colpite in futuro da questa disgrazia. Sul fondo del mare, come tutti sanno, giacciono due reattori nucleari. Quanto grande sia il pericolo e quali potenziali rischi per la salute ne possano derivare non lo sa invece nessuno. Secondo me, da questa tragedia si può trarre solo una conclusione: dobbiamo ammettere che dopo la fine della guerra fredda continuiamo a riarmarci e a costruire armi, ad est come ad ovest. Dobbiamo renderci conto che ciò è estremamente pericoloso e che con queste armi verranno uccise delle persone: dobbiamo porre fine a tutto ciò.

A questa catastrofe si può dare solo una risposta: disarmo immediato! Il disarmo sarà effettivo solo se verrà condotto di pari passo sia ad est come ad ovest. Ciò significa anche che lo dobbiamo realizzare insieme, in cooperazione, e che non devono essere messe da parte persone come Alexander Nikitin, che si adoperano contro i pericoli che continuano a incombere sull'umanità in conseguenza della guerra fredda e del riarmo.

Chiedo alla Commissione di far presente con chiarezza al governo russo che non accetteremo l'applicazione di sentenze o l'istruzione di nuovi procedimenti nei confronti di Nikitin.

 
  
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  Marset Campos (GUE/NGL). – (ES) Signor Presidente, il gruppo GUE/NGL condivide appieno sia le considerazioni che le proposte relative agli incidenti di sottomarini nucleari, triste eredità della guerra fredda. Però, non è che dall’altro lato non vi siano problemi: vorrei infatti ricordare la vicenda del sottomarino britannico che ha subito un’avaria in Sicilia lo scorso 12 maggio e che dal 19 dello stesso mese si trova a Gibilterra, l’unica colonia britannica nel Mediterraneo. La situazione continua a suscitare grande allarme tra la popolazione, dato che, secondo le norme della stessa Royal Navy, in un raggio di 10 chilometri c’è pericolo e fino a 100 chilometri sussiste un rischio potenziale; il sottomarino può essere riparato solo in moli classificati “X”. Il molo di Gibilterra è del tipo “Z”. Suscita perplessità l’atteggiamento neocoloniale del Regno Unito, che ha risolto il problema sostituendo la “Z” con la “X” su un documento, con un correttore o con una gomma da cancellare. Ritengo importante che la Commissione e il Consiglio esigano il pronto ritorno di questo sottomarino nel Regno Unito e verifichino il rispetto delle norme di sicurezza.

 
  
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  Oostlander (PPE-DE).(NL) Signor Presidente, l’incidente accaduto al Kursk ci ha messo di fronte ai segni tangibili della terribile eredità di 70 anni di politica sovietica, visto in particolare il modo insoddisfacente con cui il governo russo ha reagito a questo evento. Il secolo d’oro della nomenklatura comunista ha fatto sì che le persone venissero così disprezzate nell’ex Unione Sovietica e che così poco abbia potuto essere salvato nella Russia attuale, da provocare questo terribile disastro. Questo è il punto focale della nostra risoluzione. Ritengo inammissibili gli emendamenti del gruppo GUE/NGL che tentano di distogliere l’attenzione da questo disastro, ponendo l’accento su un problema regionale di natura completamente diversa. Si tratta di un atteggiamento scandaloso. L’Unione europea e questo Parlamento europeo dovranno invece adottare una posizione chiara nei confronti del recupero del Kursk. Anche in questo caso dovremo soffermarci su considerazioni di carattere umanitario. Il recupero del Kursk, inoltre, attira la nostra attenzione su altri problemi, con particolare riferimento ai numerosi sottomarini nucleari russi ormai obsoleti e alle scorie nucleari presenti in quella regione settentrionale.

L’Unione europea e il Parlamento europeo dovranno affermare chiaramente che la risoluzione di tale problema è di vitale importanza per l’Europa e per la Russia. Primo: il Kursk e i parenti delle vittime, del cui dolore siamo partecipi. Secondo: la situazione nucleare in Europa. Di questi problemi tratta la nostra risoluzione.

 
  
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  Pérez Royo (PSE). - (ES) Signor Presidente, stiamo parlando della tragedia del sottomarino russo Kursk e non possiamo che essere d’accordo con tutte le considerazioni della risoluzione comune riguardo a questo tema. Occorre tuttavia aggiungere che, per acquisire credibilità, il Parlamento europeo e l’Unione in generale non possono ignorare che all’interno del proprio territorio esiste una situazione di grave rischio nucleare derivante dall’incidente di un sottomarino, anche se in questo caso non si raggiungono le punte di drammaticità del Kursk. Si tratta del caso ricordato dall’onorevole Marset: il sottomarino britannico Tireless si trova fin dal mese di maggio nel porto di Gibilterra per essere riparato.

Si tratta di un porto che, come già segnalato, non soddisfa le condizioni tecniche o logistiche per procedere alla riparazione di questo tipo d’imbarcazioni. Vi si possono riparare mercantili, ma non navi da guerra, tanto meno un sottomarino nucleare. Il problema non può essere risolto con una semplice modifica della classificazione, che potrebbe incidere sulle caratteristiche tecniche. Il fatto è che le norme di sicurezza prevedono piani di emergenza e interventi speciali per la popolazione in un raggio di dieci chilometri; in questo caso si tratta di circa 200.000 persone. E’ impossibile improvvisare tutto questo da un giorno all’altro, anche perché non si può evacuare la popolazione.

Deploriamo l’atteggiamento del governo britannico e ancor di più quello del governo spagnolo, che ha osservato un vergognoso silenzio al riguardo fino a quando le proteste degli abitanti del posto non lo hanno costretto ad una timida reazione.

Nel concludere, signor Presidente, ribadisco che non sono solito sollevare questioni di politica interna, ma qui non si tratta di politica interna, bensì di sicurezza europea, di decenza europea. Sollevo questo punto in Aula per provocare la reazione dell’Assemblea e delle autorità dell’Unione in generale affinché si ponga rimedio a questa situazione intollerabile.

 
  
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  Gasòliba i Böhm (ELDR). - (ES) Signor Presidente, onorevoli colleghi, a nome del gruppo ELDR e assieme alla collega Plooij-van Gorsel, mi associo al cordoglio espresso per le vittime del sottomarino nucleare russo e alla richiesta di maggiore collaborazione fra l’Unione europea e le autorità russe per evitare una nuova sciagura. Riteniamo che l’Unione europea possieda argomenti sufficienti per assicurare tale cooperazione. Alla luce del gravissimo incidente mortale del sottomarino Kursk, desideriamo esprimere inoltre la nostra preoccupazione, come già hanno fatto altri oratori, per il problema della presenza di un sottomarino nucleare nelle acque del Mediterraneo, nello spazio dell’Unione europea, in una colonia britannica. Tale presenza provoca un serio e giustificato allarme a causa di una grave avaria al reattore nucleare, fra l’altro, in violazione delle direttive dell’Unione europea. E’ necessario un intervento urgente. L’Unione europea deve agire; il sottomarino nucleare in questione deve essere trasferito quanto prima in una base britannica perché sia riparato nelle dovute condizioni.

 
  
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  Bautista Ojeda (Verts/ALE). - (ES) Signor Presidente, onorevoli colleghi, come già sottolineato, un sottomarino nucleare britannico è ancorato nella base di Gibilterra dallo scorso 19 maggio. Un’avaria minima al sistema di refrigerazione di un reattore nucleare non può mai essere considerata insignificante, dato che contiene acqua pesante con isotopi radioattivi. Inoltre il Regno Unito ha ignorato deliberatamente la normativa comunitaria in materia di radioprotezione, esponendo i cittadini di Gibilterra e quelli della baia di Algeciras ad un elevato rischio di contaminazione, visto che solo adesso e non lo scorso maggio ha riconosciuto l’entità dell’avaria. Si tratta di una violazione del diritto comunitario.

Ci lamentiamo della Russia che ha impiegato quattro giorni per avvertire l’Unione europea dell’incidente. A noi ci sono voluti due mesi.

Suppongo che i fischi a noi rivolti nel luglio scorso da alcuni parlamentari britannici quando denunciammo tale situazione fossero indirizzati anche ai cittadini di Gibilterra.

Vogliamo pertanto denunciare la mancanza d’informazioni alla popolazione locale e di notizie attendibili e ufficiali da parte del Regno Unito. Vogliamo denunciare un’altra realtà: il Regno Unito ha deciso, a fronte di forti pressioni sociali nel proprio paese, di trasferire nella baia di Algeciras la sua base di operazioni e riparazioni di sottomarini nucleari, senza rispettare la propria normativa, che vieta la collocazione di queste basi in zone densamente popolate.

Vogliamo inoltre denunciare l’atteggiamento del governo spagnolo, che è restato a guardare e ha reagito solo quando la pressione e l’allarme sociale si sono fatti unanimi.

Per tutte queste ragioni chiediamo al Parlamento, alla sua Presidenza, al di là degli interessi diplomatici bilaterali di due Stati membri, di avviare le consultazioni e i negoziati necessari affinché il suddetto sottomarino sia trasferito immediatamente verso basi che soddisfino le condizioni di sicurezza per la sua riparazione, così da porre fine all’allarme sociale che si è creato.

 
  
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  Nielson, Commissione. - (EN) La Commissione condivide il profondo cordoglio espresso nelle risoluzioni per l’incidente occorso nel Mare di Barents il 12 agosto al sottomarino russo Kursk, nel quale hanno perso la vita 118 marinai. Nei giorni immediatamente seguenti l’incidente abbiamo seguito con particolare attenzione l’atteggiamento adottato dalle autorità russe in merito all’assistenza dall’estero e alle informazioni fornite alla popolazione russa e all’opinione pubblica mondiale. In ultima analisi, compete alla Russia di definire e attuare un piano per la gestione delle scorie nucleari e del combustibile esausto e, giustamente, le risoluzioni invitano la Russia a impiegare tutte le risorse disponibili, ivi compresi i propri specialisti.

La Commissione ritiene che la comunità internazionale debba offrire l’assistenza necessaria alla Russia. E’ già stato avviato un certo numero di progetti di assistenza facenti capo a diversi programmi comunitari. Il nuovo regolamento TACIS, valido per i prossimi sette anni, include tra le sue priorità esplicite il miglioramento della gestione delle scorie radioattive nella Russia nordoccidentale. La Commissione accoglie con favore qualsiasi azione volta ad aumentare i finanziamenti destinati alla riduzione della minaccia ideologica nella suddetta regione e, in particolare, a consentire che i sottomarini in disarmo vengano smantellati più rapidamente. Finora, infatti, si è proceduto allo smantellamento di 10 dei 100 sottomarini nucleari della Flotta del Nord già in disarmo e ancorati presso diverse basi della Russia nordoccidentale.

Il rischio ecologico non è costituito solo dai sottomarini ma anche dal combustibile esausto proveniente dai rompighiaccio a propulsione nucleare. Uno dei maggiori ostacoli alle operazioni di smantellamento nel loro complesso è rappresentato dalla scarsa capacità di stoccaggio del combustile nucleare esausto. L’Unione finanzia gli studi relativi alla progettazione e ai costi di un deposito da collocare nella Russia nordoccidentale o negli Urali meridionali. Alla luce di questi studi, la comunità internazionale, compresa forse l’Unione europea, potrebbe in seguito finanziare la costruzione della suddetta struttura.

Per accelerare le operazioni di smantellamento, l’Unione sostiene la progettazione, la costruzione e la concessione delle autorizzazioni relative a un serbatoio di trasporto e stoccaggio per il combustibile esausto e danneggiato, prodotto dai sottomarini e dalle navi rompighiaccio a propulsione nucleare e attualmente custodito con modalità assolutamente inadeguate. La Commissione partecipa anche ad alcuni studi finalizzati a migliorare la gestione delle scorie radioattive nella Russia nordoccidentale.

Prima di concludere, vorrei sottolineare quanto sia importante che questo enorme impegno possa contare su un coordinamento internazionale. Per citare due esempi, la Commissione ha assunto un ruolo nel gruppo di contatto di esperti finanziato dall’AIEA. Grazie al lavoro di tale gruppo, si potrà forse giungere alla definizione di una strategia complessiva e di una serie di progetti di investimento al cui sostegno dovrebbe partecipare la comunità internazionale. La Commissione, insieme a un certo numero di paesi donatori, sta attualmente conducendo un negoziato con la Russia per raggiungere un accordo, il cosiddetto “Programma multilaterale in materia ambientale e nucleare”, il quale mira ad eliminare i fattori che ancora ostacolano l’aiuto internazionale, quali, per esempio, i privilegi fiscali e la responsabilità in materia nucleare. La Commissione spera che l’incidente del Kursk possa contribuire a far concretamente progredire i negoziati e, in particolare, a rafforzare la determinazione delle autorità russe a concludere il suddetto accordo.

 
  
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  Marset Campos (GUE/NGL). - (ES) Signor Presidente, vorrei sapere se il signor Commissario ha qualcosa da dire sulla questione del Tireless a Gibilterra, che riguarda comunque il tema dei sottomarini nucleari. Il punto è stato sollevato da cinque deputati di questa Assemblea e il Commissario non ha detto una parola. Sono preoccupato: è diventato sordo? Non sa che cosa fare?

 
  
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  Bautista Ojeda (Verts/ALE). - (ES) Signor Presidente, stiamo parlando di sicurezza nucleare e sottoscrivo ciò che ha detto il collega Marset Campos: speriamo che il signor Commissario si esprima sul nostro problema, un problema che esiste nell’Unione europea e che interessa cittadini di due Stati membri.

 
  
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  Nielson, Commissione. - (EN) Mi sono assunto la responsabilità di rispondere, a nome della Commissione, ai temi iscritti all’ordine del giorno e ritengo che ciò rientri nella prassi normale. La discussione su altri argomenti deve seguire altri canali e non può che riferirsi ad un diverso ordine del giorno. Sarà, comunque, mia cura suggerire ai colleghi della Commissione di rispondere per iscritto alle domande poste.

 
  
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  Bautista Ojeda (Verts/ALE). - (ES) Signor Presidente, il tema all’ordine del giorno era “Incidenti di sottomarini nucleari”. La Conferenza dei presidenti ha deciso d’inserire nell’ordine del giorno di oggi anche la questione del sottomarino a Gibilterra.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà oggi, alle 17.30.

 

6. Burundi
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  Presidente. - L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta, le seguenti proposte di risoluzione:

- B5­0660/2000, presentata dalla onorevole Sauquillo Pérez del Arco a nome del gruppo PSE, sul Burundi;

- B5­0711/2000, presentata dall’onorevole Van den Bos a nome del gruppo ELDR, sull’accordo di pace in Burundi firmato ad Arusha in Tanzania;

- B5­0718/2000, presentata dall’onorevole Johan Van Hecke a nome del gruppo PPE-DE, sulla situazione nel Burundi;

- B5­0726/2000, presentata dagli onorevoli Maes e Rod a nome del gruppo Verts/ALE, sulla situazione nel Burundi;

- B5­0734/2000, presentata dalla onorevole Muscardini a nome del gruppo UEN, sul Burundi;

- B5­0739/2000, presentata dall’onorevole Vinci a nome del gruppo GUE/NGL, sull’accordo di Arusha e la transizione democratica nel Burundi.

 
  
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  Van den Bos (ELDR).(NL) Signor Presidente, perché questo squilibrio nella suddivisione del potere presso molti popoli africani? Se più i forti possono prendersi tutto e i più deboli rimangono a mani vuote, c’è qualcosa di fondamentalmente sbagliato. Se i più forti poi rappresentano una minoranza, non si può evitare l’insorgere di conflitti. Fintantoché i gruppi etnici continueranno ad escludersi a vicenda rifiutandosi di collaborare le speranze di pace sono poche. Solo la riconciliazione nazionale offre una prospettiva di salvezza, sicuramente per il Burundi. Dopo gli ammirevoli sforzi operati da Mandela, la pace sembrava essere in vista. Purtroppo non si sono deposte le armi e alcune fazioni si rifiutano di sottoscrivere l’accordo di pace.

E’ necessario fare il possibile per trasformare i nuovi negoziati in un successo. E’ necessario esercitare la massima pressione sui ribelli hutu affinché partecipino al processo di pace e smettano di eseguire gli ordini di distruzione di Kabila e Mugabe. Per garantire il coinvolgimento di tutte le parti in causa è essenziale offrire ai leader politici anche una protezione personale. E’ assolutamente necessario che la violenza perpetrata contro i cittadini indifesi, sia dal governo che dall’opposizione, cessi. Se si continuerà a combattere, se le violazioni dei diritti dell’uomo proseguiranno e le parti non interverranno, non si potrà parlare di un pieno ripristino degli aiuti europei. Una maggiore disponibilità da parte loro ad impegnarsi per la pace condurrà a una maggiore disponibilità da parte nostra a fornire il nostro aiuto. I mediatori devono promuovere iniziative che portino alla smobilitazione delle parti e al loro raggruppamento in un unico esercito. Non appena verrà sancito il cessate il fuoco, i profughi dovranno poter ritornare in tutta sicurezza in Burundi grazie all’aiuto della comunità internazionale.

In conclusione, per una pace duratura in Burundi, è assolutamente necessario che anche nella regione del Congo regni la pace. Solo se gli africani saranno disposti a condividere il potere, vi sarà una prospettiva di salvezza per il continente.

 
  
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  Van Hecke (PPE-DE).(NL) Signor Presidente, se partiamo dal principio secondo cui “è meglio un accordo imperfetto di nessun accordo”, possiamo affermare che ad Arusha è stato compiuto un passo avanti nel processo di pace in Burundi. Il merito va tutto a Mandela, che per mesi si è impegnato non solo per avvicinare le parti in causa non solo in speaking terms, ma anche per portarle al tavolo delle trattative. L’accordo, tuttavia, è imperfetto. Non è stato ancora proclamato alcun cessate il fuoco e gli scontri intorno alla capitale Bujumbura proseguono. I due principali movimenti ribelli hutu nell’esercito, responsabili della maggior parte delle violenze perpetrate, non hanno partecipato ai negoziati. Per tale motivo la prossima fase di Nairobi, che prevede un incontro tra i gruppi armati il 20 settembre, sarà forse ancora più importante rispetto a Arusha. E’ deplorevole che l’accordo non menzioni affatto un contesto regionale più ampio.

Congo e Tanzania, i paesi limitrofi da cui operano i gruppi armati, devono assumersi le proprie responsabilità. Sorge tuttavia un interrogativo: Mandela non ha forse analizzato il conflitto in Burundi partendo in misura eccessiva dal proprio contesto sudafricano? E’ corretto affermare che alcune fazioni tutsi si servono del pericolo dello sterminio della minoranza come di un pretesto per mantenere la supremazia. Ciò non toglie che tale pericolo in Burundi sia reale. Pertanto, a mio avviso, dobbiamo esigere sufficienti garanzie di sicurezza per la minoranza e fare in modo che, in occasione di eventuali elezioni, non si attizzi l’odio etnico. Ritengo infine, signor Presidente, che l’Europa dovrebbe dare via libera al ripristino degli aiuti semi-istrutturali, soprattutto per quanto concerne l’istruzione e la sanità. In caso contrario, rischiamo di essere considerati corresponsabili per la morte di migliaia di cittadini innocenti e, in quanto cristiano-democratico, non posso rimanere indifferente a tale possibilità.

 
  
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  Maes (Verts/ALE).(NL) Signor Presidente, sono completamente d’accordo con quanto affermato dai colleghi Van den Bos e Van Hecke. Duecentomila morti in Burundi. Signor Commissario, giungere a sottoscrivere la pace, un accordo di pace, è necessario. Temo tuttavia che si sia giunti a un accordo di pace solo perché i Capi di stato, in quel preciso momento, ne avevano bisogno. Forse sarebbe stato necessario prolungare i negoziati per indurre tutti a prender posto intorno al tavolo delle trattative. Sono infatti convinta che, fintantoché gli antagonisti principali sia tra gli hutu che tra i tutsi non parteciperanno ai negoziati, non si potrà parlare effettivamente di pace. Sono lieta che alcuni movimenti tra i più irriducibili in passato si siano seduti al tavolo delle trattative. Per tale motivo non intendo disconoscere i meriti dell’accordo.

Mi chiedo quale sia il modo migliore per l’Unione europea per venire incontro ai desideri di pace espressi da tante persone in Burundi. Ritengo innanzitutto che dovremmo esercitare maggior pressione affinché si possa giungere a una pace globale nella regione dei Grandi Laghi. Penso che molti leader africani abbiano ancora troppi interessi per promuovere in modo coerente la pace in Congo e nella regione dei Grandi Laghi. Un secondo punto è costituito dal famoso ripristino degli aiuti. Sono sempre stata contraria a questo tristemente famoso boicottaggio nei confronti del Burundi, data soprattutto la sua natura così selettiva. Spero che adesso si possa mettere fine a questa situazione con progetti di pace mirati e con una ricostruzione mirata della democrazia da sostenere con aiuti strutturali.

 
  
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  Cauquil (GUE/NGL).(FR) Signor Presidente, in quanto militante di Lotta operaia in un paese che ha avuto e che tuttora ha un atteggiamento abietto nei confronti del Burundi, del Ruanda e di tutta la regione dell’Africa centrale, non posso tacere dinanzi a una risoluzione che a parole vuole sostenere i popoli di questa regione, ma che in realtà dissimula il ruolo che le grandi potenze hanno avuto nei massacri in cui si sono confrontate le bande armate delle due etnie locali, tutsi ed hutu.

Senza voler risalire alla responsabilità dell’ex potenza coloniale belga nelle ostilità volutamente innescate e alimentate tra le due principali etnie di questi due paesi, il ruolo svolto dagli interessi francesi, da un lato, e da quelli anglosassoni, dall’altro, è ormai di dominio pubblico; inoltre è nota la responsabilità diretta dell’esercito francese che ha mobilitato e armato le frange di estrema destra degli hutu, le quali si sono poi rese colpevoli di un vero e proprio genocidio. I governi francesi che si sono succeduti, di destra o di sinistra, non hanno voluto nemmeno seguire l’esempio del Belgio che, se non altro, ha riconosciuto le proprie responsabilità, sebbene ciò non tolga nulla alla gravità di tali responsabilità.

Intendo ora denunciare l’ipocrisia delle grandi potenze ed esprimere solidarietà per i popoli del Burundi e del Ruanda che, a causa dei tentativi di pulizia etnica o a causa delle responsabilità dei propri esponenti politici, hanno pagato a caro prezzo la dominazione delle grandi potenze imperialiste in Africa.

 
  
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  Khanbhai (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, più di un secolo fa, le potenze coloniali europee frammentarono i territori tribali dell’Africa per istituire nuovi confini nazionali. I paesi africani hanno ereditato il retaggio dei conflitti tribali che esplodevano ogni qual volta le tribù maggiori tentavano di assumere il controllo politico a livello nazionale. Esempi di questa situazione sono i conflitti tra gli afar e gli issa nello Stato di Gibuti, tra i kikuyu e i luo in Kenya e tra gli hutu e i tutsi in Ruanda e Burundi.

Ritengo che l’Unione europea debba concentrare i propri sforzi sui modi utili per convincere l’etnia tutsi, attualmente al potere, a cooperare con la maggioranza hutu per raggiungere la pace. L’Unione europea deve insistere affinché i paesi confinanti non interferiscano nella situazione del Burundi e l’aiuto comunitario a tali paesi deve essere condizionato alla disponibilità a cooperare.

Il nostro Parlamento e la Commissione europea possono essere certamente di aiuto al Burundi e la risoluzione in esame è un ottimo passo in questa direzione.

 
  
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  Imbeni (PSE). - Signor Presidente, intervengo volentieri a nome della collega Sauquillo, su sua richiesta, innanzitutto per ringraziare Nelson Mandela, che anche questa volta ha meritato davvero il Premio Nobel per la pace che gli è stato attribuito.

Intendo ribadire che l'accordo di Arusha non rappresenta ancora la fine della guerra, non costituisce ancora la pace, ma l'accordo esiste e richiede un'iniziativa immediata da parte dell'Unione europea. L'iniziativa deve avere le seguenti caratteristiche: inviare un messaggio a coloro che hanno sottoscritto l'accordo per incitarli ad insistere, a proseguire sul cammino intrapreso; inviare un messaggio a coloro che non hanno firmato l'accordo per ricordare loro che non esiste alternativa alla pace, che l'alternativa alla pace è solo continuare nelle sofferenze dell'eredità coloniale, la morte e l'oppressione; inviare un messaggio anche ai paesi confinanti per invitarli a non interferire nelle altrui vicende interne, ma a contribuire e sostenere questo processo di pace.

Nell'iniziativa dell'Unione europea deve esserci anche naturalmente un conseguente aiuto e contributo finanziario, perché i veri processi di pace, quelli stabili, hanno bisogno di contributi onde trasformarsi in democrazie consolidate.

 
  
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  Nielson, Commissione. - (EN) Dopo gli emendamenti dell’ultima ora e un rinvio di nove ore, il 28 agosto la maggioranza delle parti coinvolte in due anni di colloqui ha sottoscritto ad Arusha un accordo limitato di pace. La Commissione accoglie con favore la firma dell’accordo e ritiene che esso sia un passo importante e preliminare nel lungo e difficile processo di negoziazione che dovrà porre fine al conflitto tra la maggioranza hutu e la minoranza tutsi nel Burundi.

Tuttavia, come è stato rilevato nella discussione, restano irrisolte alcune questioni, quali il cessate il fuoco, che è la lacuna più grave dell’accordo, l’amnistia, la composizione dell’Assemblea nazionale, la durata dell’accordo e la guida del governo di transizione. Non si tratta di questioni di minore rilievo.

Nonostante il numero e il peso di tali questioni, la firma dell’accordo rappresenta un evento importante che pone fine ai colloqui di Arusha, ma non ai negoziati in quanto tali. Essi continueranno, soprattutto a Bujumbura, ed è auspicabile che la popolazione del Burundi possa assumere un ruolo più attivo, perché ciò ha condizionato in misura rilevante e in molte occasioni la lunga fase negoziale.

Il rifiuto di firmare l’accordo da parte dei partiti estremisti è causa di preoccupazione per la Commissione e si deve porre in essere ogni sforzo utile a persuaderli ad aderire all’accordo. Due partiti tutsi hanno aggiunto la loro firma il giorno seguente. I colloqui concernenti il cessate il fuoco, considerati fondamentali dai Presidenti Moi e Thabo Mbeki, prenderanno avvio il 20 settembre a Nairobi. L’esito positivo dei colloqui costituisce una condizione preliminare per l’applicazione dell’accordo di pace, lo schieramento delle forze dell’ONU e la piena ripresa della cooperazione allo sviluppo.

In questa fase, l’Unione europea è pronta, a livello tecnico, a riattivare gradualmente un programma completo di cooperazione in collaborazione con gli altri donatori. Oltre al programma per un importo di 48 milioni di euro a favore della ricostruzione, la cui attuazione è già stata avviata, l’Unione sta completando le procedure necessarie alla concessione di un finanziamento STABEX per 50 milioni di euro finalizzato al rilancio dell’economia rurale. La Commissione sta predisponendo un documento strategico per sostenere l’applicazione dell’accordo di pace, i cui elementi principali sono la smobilitazione dei combattenti, la ricostruzione sociale ed economica del Burundi e la riforma dello Stato.

La Commissione, infine, ha indetto un incontro informale a livello tecnico tra i donatori, che si terrà a Bruxelles il 15 settembre. Lo scopo dell’incontro è di riferire sull’attuazione del programma, di migliorare il coordinamento tra i donatori, di predisporre una strategia comune per contribuire all’applicazione dell’accordo di pace e di preparare una tavola rotonda ad alto livello tra le parti e i donatori, la quale dovrebbe tenersi a Parigi nel corso del prossimo autunno.

Siamo senz’altro pronti ad incrementare il livello concreto di cooperazione. Voglio dire al Parlamento che il caso del Burundi rappresenta, dal nostro punto di vista, un’ottima occasione per mostrare come si possa migliorare la gestione della transizione da una fase di semplice assistenza umanitaria alla definizione e graduale introduzione di una cooperazione allo sviluppo a lungo termine e proiettata verso il futuro. Ci sforziamo di dare tutti i segnali utili alle organizzazioni quali l’UNHCR per cercare, come ho appena indicato, di coinvolgere al meglio altri donatori.

Il coordinamento è un fattore di importanza cruciale, perché ci troviamo ancora in una situazione in cui il giusto equilibrio e la correttezza dei segnali forniti alle parti coinvolte nel processo di pace in Burundi sono importanti tanto quanto i fondi che stiamo erogando. Per cercare di assolvere a questo scopo nella maniera giusta, è necessario uno sforzo estremamente mirato.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà oggi, alle 17.30.

 

7. Diritti dell'uomo
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  Presidente. - L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta, le seguenti proposte di risoluzione:

Rifugiati bhutanesi in Nepal

- B5­0663/2000, presentata dall’onorevole Aparicio Sánchez e altri a nome del gruppo PSE, sul persistere delle difficoltà dei rifugiati bhutanesi in Nepal;

- B5­0673/2000, presentata dall’onorevole Collins a nome del gruppo UEN, sul persistere delle difficoltà dei rifugiati bhutanesi in Nepal;

- B5­0705/2000, presentata dall’onorevole Dupuis e altri a nome del gruppo TDI, sulla situazione dei rifugiati bhutanesi in Nepal;

- B5­0712/2000, presentata dalla onorevole Malmström a nome del gruppo ELDR, sui rifugiati bhutanesi;

- B5­0719/2000, presentata dall’onorevole Thomas Mann a nome del gruppo PPE-DE, sui rifugiati bhutanesi in Nepal;

- B5­0727/2000, presentata dall’onorevole Messner a nome del gruppo Verts/ALE, sul persistere delle difficoltà dei rifugiati bhutanesi in Nepal;

- B5­0740/2000, presentata dall’onorevole Vinci a nome del gruppo GUE/NGL, sul persistere delle difficoltà dei rifugiati bhutanesi in Nepal.

Birmania

- B5­0667/2000, presentata dagli onorevoli Kinnock e Veltroni a nome del gruppo PSE, sulla Birmania;

- B5­0706/2000, presentata dall’onorevole Dupuis e altri a nome del gruppo TDI, sulla situazione in Birmania;

- B5­0716/2000, presentata dall’onorevole Gasòliba i Böhm a nome del gruppo ELDR, sulla Birmania;

- B5­0720/2000, presentata dalla onorevole Maij­Weggen a nome del gruppo PPE-DE, sulla Birmania;

- B5­0728/2000, presentata dalla onorevole McKenna a nome del gruppo Verts/ALE, sulla Birmania;

- B5­0741/2000, presentata dalla onorevole Fraisse e altri a nome del gruppo GUE/NGL, sulla Birmania.

Violazione dei diritti dell’uomo in Colombia, con particolare riferimento al caso di padre Brendan Forde

- B5­0664/2000, presentata dall’onorevole Medina Ortega e altri a nome del gruppo PSE, sulla situazione in Colombia;

- B5­0713/2000, presentata dall’onorevole Cox a nome del gruppo ELDR, sul Piano Colombia e il massacro della Comunità della Pace di La Unión - Uraba;

- B5­0721/2000, presentata dalla onorevole Banotti e altri a nome del gruppo PPE-DE, sulle minacce di morte contro padre Brendan Forde e la sua comunità e la situazione dei diritti dell’uomo in Colombia;

- B5­0729/2000, presentata dalla onorevole McKenna e altri a nome del gruppo Verts/ALE, sul massacro nella Comunità della Pace di La Unión/San José de Apartadó (Antioquia), in Colombia, la situazione del padre francescano Brendan Forde e il Piano Colombia;

- B5­0735/2000, presentata dall’onorevole Collins e altri a nome del gruppo UEN, sulla Colombia e sul massacro della Comunità della Pace di La Unión nella regione di Uraba;

- B5­0742/2000, presentata dall’onorevole Miranda e altri a nome del gruppo GUE/NGL, sulla situazione dei diritti dell’uomo in Colombia.

Soldati britannici tenuti come ostaggi in Sierra Leone

- B5­0665/2000, presentata dalla onorevole Kinnock a nome del gruppo PSE, sui soldati britannici tenuti come ostaggi;

- B5­0714/2000, presentata dalla onorevole Ludford a nome del gruppo ELDR, sul sequestro di soldati del Regno Unito in Sierra Leone;

- B5­0722/2000, presentata dalla onorevole Ferrer a nome del gruppo PPE-DE, sul sequestro di 11 soldati britannici in Sierra Leone;

- B5­0730/2000, presentata dalla onorevole Maes e altri a nome del gruppo Verts/ALE, sui soldati britannici tenuti come ostaggi;

- B5­0743/2000, presentata dagli onorevoli Sjöstedt e Miranda a nome del gruppo GUE/NGL, sui soldati britannici sequestrati in Sierra Leone.

Bombardamenti turchi nell’Iraq settentrionale

- B5­0672/2000, presentata dagli onorevoli Sakellariou e Van den Berg a nome del gruppo PSE, sul bombardamento effettuato dalle forze militari turche nella regione di Kendakor nell’Iraq settentrionale;

- B5­0715/2000, presentata dall’onorevole Duff a nome del gruppo ELDR, sui bombardamenti aerei turchi nell’Iraq settentrionale;

- B5­0731/2000, presentata dall’onorevole Cohn­Bendit e altri a nome del gruppo Verts/ALE, sul bombardamento effettuato dall’esercito turco contro le popolazioni dell’Iraq settentrionale;

- B5­0744/2000, presentata dalla onorevole Uca e altri a nome del gruppo GUE/NGL, sul bombardamento effettuato dalle forze militari turche nella regione di Kendakor nell’Iraq settentrionale.

Rifugiati bhutanesi in Nepal

 
  
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  McCarthy (PSE). - (EN) Signor Presidente, la risoluzione oggi in esame non intende in alcun modo esprimere critiche ai principali attori, ovvero i governi del Bhutan e del Nepal, del processo che dovrà dare una soluzione al problema delle 96.000 persone di lingua nepalese scappate dal Bhutan attualmente ospitate nei campi del Nepal. Negli ultimi dieci anni in questi campi sono nati 17.000 bambini. La risoluzione mira a promuovere iniziative e azioni utili e chiede alla Commissione di contribuire, magari con l’uso di taluni meccanismi finanziari, al sostegno necessario al rimpatrio di queste persone.

Siamo lieti di apprendere che il Giappone ha donato 1,3 milioni di dollari ai rifugiati e che il Programma alimentare mondiale ha reso disponibile un ulteriore milione di dollari. La gente che vive nei campi, tuttavia, preferirebbe fare ritorno alle proprie case piuttosto che ricevere quel denaro.

I rifugiati ci hanno spedito un documento con il quale ci chiedono di sostenere ogni azione che possa dare soluzione al problema e che renda loro giustizia. Essi così si esprimono: ”noi lanciamo un appello, onorevoli membri del Parlamento europeo, perché la giustizia trionfi”. E’ ciò che oggi stiamo facendo. Dobbiamo sperare che la risoluzione consenta che sia resa giustizia - almeno in parte - a queste persone, aiutandole a tornare alle loro case e a ottenere qualche risultato positivo.

 
  
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  Collins (UEN). - (EN) Signor Presidente, all’inizio di quest’anno ho avuto l’onore di far parte di una delegazione del Parlamento europeo in visita a Nuova Delhi e al Nepal. A seguito della visita, in particolare di quella ai campi nel Nepal orientale, la delegazione ha assunto l’impegno a fare quanto sarà possibile per sollevare la questione del perdurare della situazione dei rifugiati bhutanesi in Nepal.

Voglio, inoltre, comunicare ai membri dell’Aula che i rifugiati sono pienamente consapevoli e hanno la più alta considerazione dell’impegno con cui il Parlamento europeo ha cercato di richiamare l’attenzione sulla loro condizione. Ne abbiamo avuto chiara dimostrazione nel corso della visita alla regione e la nostra determinazione ad incoraggiare ulteriormente il raggiungimento di un accordo tra il Bhutan e il Nepal è ora più forte che mai.

L’afflusso di rifugiati bhutanesi verso il Nepal è iniziato alla fine del 1991 e il timore che l’attenzione internazionale possa diminuire è sempre presente. I rifugiati aspettano da dieci anni che la crisi trovi una soluzione amichevole e duratura e, come ha appena detto la onorevole McCarthy, molti di loro vorrebbero fare ritorno alle proprie case. Nonostante i numerosi colloqui bilaterali effettuati, tuttavia, non si è giunti a definire una soluzione politica.

Mentre discutiamo, a New York si sta svolgendo il Vertice del Millennio delle Nazioni Unite, il quale offre ai Primi ministri di Bhutan e Nepal l’occasione per confrontarsi e concordare una pronta soluzione alla questione dei rifugiati, dimostrando così la propria adesione agli ideali di pace e tolleranza. Questo sarebbe il miglior suggello per il Vertice del Millennio dell’ONU. Spero, dunque, che essi verranno incoraggiati a seguire questa linea d’azione.

Uno dei temi cruciali ancora irrisolti riguarda la definizione di gruppo familiare necessaria ad espletare le operazioni di controllo. Il Nepal ha accettato il compromesso proposto dall’UNHCR, il cui ruolo è stato essenziale per sbloccare la situazione di stallo negoziale. Auspico perciò che le autorità del Bhutan vogliano accettare tale compromesso in modo che le operazioni di controllo possano iniziare quanto prima.

Seppure l’Unione europea resti uno dei maggiori donatori, sia l’UNHCR che il Programma alimentare mondiale incontrano difficoltà sempre maggiori a reperire i fondi necessari al mantenimento dei campi. Auspico, perciò, che i donatori internazionali vogliano continuare a sostenere nella misura sufficiente la gestione dei campi nel corso della fase negoziale e di quella di controllo. Allo stesso tempo, mi attendo che i donatori insistano perché il governo del Bhutan agevoli il rapido rimpatrio dei rifugiati. Accolgo davvero con grande piacere la notizia, comunicata all’Aula dalla onorevole McCarthy, riguardante la generosità dimostrata dal popolo giapponese in questa vicenda.

Ci era stata data assicurazione che i negoziati bilaterali si sarebbero rapidamente conclusi e che le operazioni di controllo nei campi sarebbero iniziate alla fine di luglio, ma, purtroppo, non si è giunti ancora ad alcun accordo. Voglio perciò rinnovare il nostro appello alle parti in causa perché adottino tutte le iniziative politiche necessarie e definiscano una soluzione duratura per l’inaccettabile condizione dei rifugiati bhutanesi, 17.000 dei quali sono nati nei campi.

 
  
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  Dupuis (TDI).(FR) Signor Presidente, innanzitutto è doveroso ringraziare il presidente della delegazione per l’Asia sudorientale, l’onorevole Collins, che è appena intervenuto e a cui si deve questa risoluzione; nel corso degli ultimi mesi egli si è adoperato per cercare di risolvere una questione meno marginale di quanto possa sembrare: non dimentichiamo che decine di migliaia di persone hanno perso tutto e versano in questa situazione da molti anni ormai.

Vorrei inoltre aggiungere che l’onorevole Collins è stato sostenuto da tutta la delegazione, dalla onorevole McCarthy, dall’onorevole Mann e da tutti gli altri membri. Auspico che la Commissione dia seguito alla posizione unanime del Parlamento e spero che i risultati si concretizzino presto. La prossima mossa spetta al Bhutan, ma Commissione e Consiglio devono esercitare pressioni sul governo.

Desidero inoltre attirare l’attenzione su una questione che ci investe da vicino e che riguarda il nostro futuro. L’altro giorno abbiamo votato la relazione dell’onorevole Galeote Quecedo sulla diplomazia comune, che si è rivelata una relazione su una futura scuola per la diplomazia comune. E’ un po’ poco. E’ poco quando si sa che in Bhutan non è presente alcuna delegazione della Commissione, quando si sa che in Nepal non c’è nessuna delegazione, ma soprattutto quando si sa che in Bhutan non ci sono ambasciate di nessuno Stato membro. In questo modo non si favoriscono certo né i contatti né le possibilità di agire per vie diplomatiche per arrivare a una soluzione soprattutto per questa vicenda, ma anche per altri problemi di carattere più generale.

Ed è proprio questa, onorevoli colleghi, la relazione che avete votato. Non si tratta della comunitarizzazione, anche parziale, della politica estera e di sicurezza comune. A questo punto mi chiedo se in un paese come il Bhutan, dove non disponiamo di ambasciate, sia possibile ipotizzare che la delegazione della Commissione possa svolgere le funzioni di ambasciata per i quindici Stati membri. Vi sembra impossibile? Questo progetto va forse al di là di qualsiasi immaginazione? E’ questa la domanda che pongo.

 
  
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  Mann, Thomas (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, come delegazione SAARC del Parlamento europeo, in aprile ci siamo potuti rendere conto della situazione nella quale vivono da anni decine di migliaia di profughi nei campi del Nepal orientale. L'assistenza dell'Unione europea e delle organizzazioni internazionali è efficace, ma nessuno è in grado di garantire un tale livello di sostegno a lungo termine. E' ormai venuto il momento di un accordo concreto.

Bhutan e Nepal non sono paesi confinanti, ma sono vicini per mentalità. Sono entrambi dei regni, hanno entrambi una giovane tradizione parlamentare; uno è buddista e l'altro induista. Entrambi sanno che il protrarsi del conflitto ostacola i loro progressi nazionali ed economici. Il Bhutan accusa il Nepal di essere paralizzato dai continui cambi di governo. Ora non è più così. Il Nepal rimprovera al Bhutan la mancanza di disponibilità a soluzioni concrete. Si può sperare che anche questo atteggiamento possa cambiare.

Le promesse fatte dal Ministro degli esteri del Bhutan in occasione della sua visita dell'8 giugno a Bruxelles sono state mantenute, perché alla metà dell'anno è iniziato un negoziato decisivo. C'è accordo sulle quattro categorie di abitanti dei campi profughi. E' tuttavia ancora necessaria una chiara definizione comune del concetto di famiglia ai sensi del compromesso dell'UNHCR, di cui ha parlato l'onorevole Collins, e che il Nepal ha già accettato.

Rivolgiamo però un appello anche all'India, che non deve continuare a tenersi elegantemente in disparte. Questo paese è legato ai suoi due vicini da accordi e da rapporti economici. In India ci sono 6 milioni di lavoratori nepalesi, le frontiere sono aperte, non ci sono problemi per l'asilo. Conosco molto bene la Carta che prevede che i conflitti bilaterali non vengano risolti a livello di SAARC. Eppure la più popolosa democrazia del mondo ha una notevole influenza regionale e ha delle responsabilità umanitarie. Qualcosa si muove. Il gruppo PPE-DE confida nella buona volontà e nella lungimiranza di Timphu e di Katmandu, ma anche di Nuova Delhi. Dai colloqui tenutisi a New York tra l'Alto commissario per i profughi ed i Primi ministri del Bhutan e del Nepal ci aspettiamo ora una svolta decisiva.

 
  
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  Frassoni (Verts/ALE). - Signor Presidente, il gruppo dei Verdi/Alleanza libera europea non può che sostenere con forza questa risoluzione che, come hanno affermato i colleghi che hanno avuto un'esperienza diretta di questa tragica situazione, dimostra l'attenzione riservata dalla nostra Istituzione a una regione certamente da noi lontana, ma le cui tragedie umane colpiscono profondamente il nostro spirito.

Come hanno ricordato i colleghi che mi hanno preceduto, molti passi sono stati compiuti ed altri si faranno, e il nostro auspicio è che i futuri colloqui abbiano un effetto positivo. Da parte mia, mi associo all'auspicio del collega Dupuis affinché anche la Commissione, e in generale l'Unione europea, facciano dei passi diplomatici verso quei paesi maggiormente interessati da questa crisi.

Ritengo non ci sia altro da aggiungere, se non dichiarare che anche noi seguiremo con attenzione gli ulteriori sviluppi della situazione.

 
  
  

Birmania

 
  
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  Dupuis (TDI).(FR) Grazie, signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, ci troviamo nuovamente di fronte a un caso esemplare. Il testo, che è purtroppo l’ennesimo sulla Birmania, è molto buono. La situazione del paese è estremamente chiara: da un lato c’è la dittatura e dall’altro, fatto altrettanto incontestabile, c’è l’opposizione. Da dieci anni non si registra alcun progresso. Questo è il fatto su cui credo dobbiamo riflettere.

La nostra politica nei confronti dell’Asia è criminale, letteralmente criminale. Mettiamo infatti sullo stesso piano paesi che, sebbene con difficoltà, continuano a consolidare e a rafforzare la democrazia, come l’India, ed altri, come la Cina, la Birmania, la Corea del nord, che fanno tutto il possibile per rafforzare la dittatura.

Ritengo che dovremmo istituire degli elenchi e definire categorie in modo da intrattenere relazioni diverse in funzione del paese. Tutto ciò purtroppo non accade. Il Parlamento europeo sostiene questa istanza da molto tempo e anche noi dobbiamo insistere. Non possiamo continuare il dialogo con organizzazioni come l’ASEAN come se fosse un tutto omogeneo. Questa organizzazione riunisce paesi completamente diversi che hanno interessi estremamente diversi e nessuna prospettiva di integrazione. Dobbiamo favorire le integrazioni che si fondano sulla democrazia, e non lo stiamo facendo; dobbiamo sostenere e incoraggiare relazioni bilaterali con paesi che si fondano sulla democrazia, che intendono rafforzare lo Stato di diritto e la democrazia e perseguire una politica estremamente dura nei confronti di paesi come la Birmania.

Vorrei infine aggiungere che la Birmania è un paese occupato dalla Repubblica popolare cinese. Numerose fonti di informazione confermano l’esistenza di decine di basi militari cinesi nel paese. La Repubblica popolare cinese si trova ora a circondare l’India, e questo è un fatto reale, concreto. Tutti sono a conoscenza della situazione in Pakistan. Il supporto strategico che la Cina presta al Pakistan per il riarmo e il rafforzamento delle armi nucleari costituisce una forma di accerchiamento e, se nel XX secolo il grande problema mondiale era la Germania, ovvero il problema franco-tedesco, oggi e anche domani ci troveremo dinanzi al problema indocinese. Se fin d’ora non sosteniamo gli stati che puntano alla democrazia e al rafforzamento dei principi democratici, come l’India, e se invece continueremo a stendere tappeti rossi alle autorità di Pechino, finiremo solo col rafforzare un blocco che inevitabilmente diventerà esplosivo. L’esplosione che seguirà non riguarderà solo l’Asia, ma investirà anche l’Europa e l’Unione europea.

 
  
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  Gasòliba i Böhm (ELDR).(ES) Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi rincresce dover nuovamente intervenire per difendere la causa di Aung San Suu Kyi. Non si tratta solo della difesa di una persona che continua soffrire a causa della sua lotta per la democrazia e la libertà, ma si tratta anche di ciò che rappresenta nella lotta di tutto un popolo per il raggiungimento di questi beni.

Aung San Suu Kyi ha ottenuto il riconoscimento della comunità internazionale, avendo ricevuto il premio Nobel, il premio Sacharov conferito da questo Parlamento, il premio della Libertà dell’Internazionale liberale. Ora le vengono negate le libertà più elementari, che non sono riconosciute neppure alle persone che la seguono in questo difficile processo di fronte alla dittatura, come ha già ricordato l’onorevole Dupuis. Costoro si trovano tutti in una situazione inammissibile.

Il gruppo ELDR appoggia pertanto le proposte della risoluzione in oggetto; in particolare, richiamo l’attenzione sul paragrafo 8, dove si chiede agli Stati Uniti, alla Commissione e al Consiglio d’imporre le necessarie sanzioni politiche ed economiche fino a quando in Birmania non sarà avviato un processo di democratizzazione.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ONESTA
Vicepresidente

 
  
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  Maij-Weggen (PPE-DE).(NL) Signor Presidente, ci troviamo di nuovo di fronte alla difficile situazione in cui vive la Presidente della Birmania e alle aggressioni perpetrate da parte del governo militare. Mi sembra che negli ultimi due anni siano già state presentate cinque o sei risoluzioni relative alla situazione in Birmania. E’ deplorevole pensare che un presidente eletto dieci anni fa con l’80 percento dei voti, che si oppone in maniera non violenta al regime militare del proprio paese, che è stato insignito del premio Nobel e del premio Sacharov, ottenga l’appoggio verbale, come dimostrato dalle parole del Presidente Clinton di questi ultimi giorni, per la sua resistenza pacifica, ma non possa contare su un sostegno concreto per occupare il posto che gli spetta nel proprio paese. Un paese, non dimentichiamo, in cui vige un regime militare che si è reso responsabile di terribili violazioni dei diritti dell’uomo e delle minoranze.

L’economia nazionale si fonda sul traffico di droga. Si tratta del secondo produttore mondiale di stupefacenti dopo la Colombia, che ha sciolto il Parlamento, che ha fatto assassinare e imprigionare numerosi deputati, che costringe le minoranze al lavoro coatto, in particolare nel settore della costruzione di infrastrutture e che, ciononostante, può contare su investimenti esteri, anche da parte di paesi europei, come quelli della compagnia petrolifera francese Total e dell’industria idrica olandese. Né l’Unione europea né un suo Stato membro hanno bloccato questo tipo di investimenti.

Non sono un’accanita sostenitrice delle sanzioni economiche, ma in taluni casi, come per il Sud Africa e il Cile degli anni ‘80, esse risultano necessarie per porre fine a una situazione insostenibile. Ritengo che l’Unione europea e gli Stati Uniti debbano concordare una politica comune nei confronti della Birmania. Sono dell’avviso che la Birmania debba rimanere isolata dal punto di vista politico ed economico e che debba essere esercitata un’effettiva pressione. In caso contrario, non facciamo che legittimare l’opposizione violenta. Ci sono persone che dicono: guardate Aung San Suu Kyi. Sono dodici anni che conduce un’opposizione pacifica, è ancora ben lungi dal raggiungere il suo obiettivo, viene riportata a casa e i suoi uomini vengono imprigionati. E cosa accade? La comunità internazionale non interviene.

Chiedo all’Unione europea di discutere con gli Stati Uniti l’opportunità di intervenire in suo aiuto, affinché possa lavorare con il Parlamento per trasformare la Birmania in una vera democrazia.

 
  
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  McKenna (Verts/ALE). - (EN) Signor Presidente, voglio esprimere il mio consenso su quanto affermato dagli altri oratori. Ben dieci anni fa, la Lega nazionale per la democrazia ottenne la larga maggioranza dei seggi in elezioni libere e corrette; ciononostante, la democrazia è stata soppressa in ogni modo e circostanza. Ritengo che la recente riammissione della Birmania alle riunioni ASEAN e Ue-ASEAN sia stata un grande errore. La Birmania, infatti, non ha ancora fatto alcunché per mostrare di meritare quella riammissione. Si dovrebbe perciò riconsiderare attentamente tale indirizzo politico ed escludere la Birmania dalle suddette organizzazioni.

Ritengo poi che l’Unione europea possa fare ben più di quanto ha già fatto. Aung San Suu Kyi ha chiesto che si adottino sanzioni, ma noi, a questo riguardo, non abbiamo fatto niente. Persino gli Stati Uniti hanno quantomeno bloccato i nuovi investimenti. Per quale ragione l’Unione europea non si adopera affinché si impongano le sanzioni richieste? Dobbiamo fare quanto possiamo per cercare di eliminare il lavoro coatto e le violazioni dei diritti dell’uomo. Come auspica la risoluzione, dobbiamo scoraggiare ogni forma di turismo verso la Birmania e sono queste le iniziative a cui dovremmo garantire il nostro sostegno.

 
  
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  Callanan (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, concordo con molte delle osservazioni espresse dalle onorevoli McKenna e Maij-Weggen sulla situazione in Birmania. Tuttavia, vorrei anche riferire di un caso particolare riguardante un elettore del mio collegio elettorale, un caso che costituisce un ottimo esempio della brutalità delle autorità birmane.

Nel settembre 1999 James Mawdsley, un cittadino britannico residente nell’Inghilterra nordorientale, è stato condannato in Birmania a 17 anni di reclusione in regime di isolamento da scontare in una prigione locale. La madre, al momento, è in viaggio verso la Birmania, dove spera di poter vedere il figlio.

Il crimine di cui si sarebbe macchiato, secondo le autorità locali, è di essere entrato nel paese e di aver tentato di attirare l’attenzione sulle violazioni ai diritti dell’uomo là perpetrate. Le accuse contro di lui sono state tutte montate ad arte. Egli, per esempio, è stato accusato di essere entrato illegalmente nel paese, ma il personale dell’ambasciata britannica ha potuto visionare il suo passaporto, sul quale vi è un timbro d’ingresso apposto dalle autorità birmane, a riprova che egli è entrato nel paese in maniera assolutamente legale. Le autorità e il personale diplomatico dello Stato britannico hanno tentato senza sosta di richiamare l’attenzione delle autorità birmane sul caso in questione, ma finora non hanno ottenuto alcun risultato.

Chiedo perciò al Parlamento e alla Commissione di fare quanto è possibile per garantire che James Mawdsley venga rilasciato.

 
  
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  Randzio-Plath (PSE).(DE) Signor Presidente, mi consenta di iniziare chiarendo che nel dibattito sui diritti dell'uomo la sostituzione dell'Iran con la Birmania non significa che il mio gruppo non sia estremamente preoccupato per la situazione dei diritti dell'uomo in Iran. Continueremo ad occuparcene anche in futuro. Tuttavia, le attuali circostanze, le scandalose decisioni e lo scandaloso comportamento del governo militare della Birmania, rendono necessario che il Parlamento europeo faccia sentire la propria voce. Dobbiamo esprimere la più profonda ammirazione e rispetto per l'intervento non violento e coerente del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi ed anche dei membri e dei politici della Lega nazionale per la democrazia. Noi siamo dalla loro parte, e l'Unione europea insieme alla comunità internazionale farà tutto il possibile per contribuire al ristabilimento dei diritti dell'uomo o, meglio, per l'affermazione dei diritti dell'uomo, della democrazia e dello Stato di diritto in Birmania.

Sicuramente, San Suu Kyi continua ancora ad essere un vessillo di speranza. Le sue ininterrotte azioni dimostrano che non è possibile far tacere la sua voce, e che quindi anche noi in Europa abbiamo il dovere di fare tutto quello che possiamo fare affinché questa voce sia ascoltata qui in Europa, in America e anche e soprattutto in Asia. E' un vessillo di speranza per i perseguitati, per gli oppressi e anche per le moltissime persone costrette al lavoro coatto. E' un vessillo di speranza anche per gli uomini e le donne che in Europa nel 1990 hanno scelto la democrazia, il regime parlamentare e lo Stato di diritto. Dobbiamo incoraggiare i nostri partner, i paesi dell'ASEAN, ma anche gli altri Stati dell'Asia, a fare il massimo sforzo per favorire un'inversione di rotta di questo governo di transizione, come esso continua cinicamente a definirsi.

Per questo motivo secondo me è giusto inasprire le sanzioni economiche imposte a ragione dall'Unione europea. Ora dobbiamo porre i colloqui con la Birmania come priorità all'ordine del giorno del dialogo istituzionalizzato e del vertice in Laos, in modo che sia chiaro che l'ASEAN e anche l'Unione europea sono responsabili dello sviluppo della Birmania.

 
  
  

Violazioni dei diritti dell’uomo in Colombia, con particolare riferimento al caso di padre Brendan Forde

 
  
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  Medina Ortega (PSE). - (ES) Signor Presidente, il Parlamento si è più volte occupato della situazione in Colombia, dove è in corso ormai da vari decenni una larvata guerra civile in cui la violenza ha acquisito carattere strutturale. Questa guerra civile larvata si è notevolmente complicata con lo sviluppo del narcotraffico, in quanto la Colombia è diventata un paese di produzione e transito di stupefacenti diretti verso il resto del mondo. In questa situazione vari gruppi ricorrono alla violenza: non solo le organizzazioni paramilitari e i guerriglieri, ma anche le organizzazioni di narcotrafficanti. A volte, anche le unità militari ricorrono alla violenza e violano i diritti dell’uomo.

In una situazione del genere, ha avuto enormi difficoltà il tentativo d’istituire zone di pace, per esempio mediante le comunità della pace create nella regione rurale di Urabá. Di recente ci sono stati addirittura degli omicidi in queste comunità di Urabá, in particolare nell’area di La Unión. I dirigenti di queste comunità sono stati minacciati di morte e la minaccia di morte in Colombia è una cosa molto seria perché di solito viene portata a compimento.

Questo Parlamento non può fare molto. Appoggiamo gli sforzi del governo colombiano e di altre organizzazioni per il raggiungimento della pace e ribadiamo l’auspicio e l’interesse che le istituzioni europee collaborino con il governo colombiano per il mantenimento della pace.

 
  
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  Gasòliba i Böhm (ELDR). - (ES) Signor Presidente, onorevoli colleghi, come già sottolineato dall’onorevole Medina Ortega, non possiamo che deplorare il conflitto in Colombia e ricordare che nella comunità della pace di La Unión, nella regione di Urabá, sono state uccise tre persone dal 1997. Il governo colombiano ha deciso di cercare i responsabili e di rispondere con le relative condanne. Dal 1997, tuttavia, sono state uccise tre persone, l’ultima l’8 luglio di quest’anno; la comunità della pace di La Unión e la commissione intercongregazionale di giustizia e pace, di cui fa parte il francescano irlandese Brendan Forde, sono state ripetutamente minacciate di morte, nonostante la loro neutralità e il loro contributo alla pacificazione della zona.

Riteniamo che questa situazione richieda nuovamente un intervento quanto mai energico da parte delle istituzioni europee. Sia la Commissione che il Parlamento europeo dispongono di varie possibilità per realizzarlo in collaborazione con l’ufficio diritti umani delle Nazioni Unite nonché mediante l’ufficio dell’Alto commissariato per i diritti dell’uomo dell’ONU in Colombia. Chiediamo che la Commissione, in collaborazione con il Parlamento, metta a disposizione del governo colombiano tutta la nostra forza politica e la nostra capacità di pressione affinché la Colombia consegua la pace tanto agognata e non si ripetano più queste situazioni drammatiche di omicidi, morti e massacri.

 
  
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  Banotti (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, lo scorso anno ho avuto l’onore di visitare questo bellissimo e tormentato paese ed è privilegio di chi siede qui, nel Parlamento europeo, quello di poter alzare la propria voce a difesa dei diritti di persone che vivono a enorme distanza da noi. Sempre lo scorso anno, ho avuto anche l’onore di incontrare molti degli attivisti che operano per il rispetto dei diritti dell’uomo in Colombia.

Nel corso di quest’anno, in Irlanda, come si può evincere dalle preoccupazioni espresse oggi dai colleghi irlandesi in quest’Aula, abbiamo appreso del pericolo a cui è esposto il padre francescano Brendan Forde. Egli vive e opera nel piccolo villaggio di La Unión e là, assieme ai suoi fedeli, ha scelto di restare, pur mettendo in grave pericolo la propria vita. L’area in cui si trova è così isolata che probabilmente egli non saprà nulla del nostro dibattito. Per raggiungere il telefono più vicino e comunicare con qualcuno, deve infatti percorrere ben diciotto miglia. Per questa ragione, considero un privilegio la possibilità di esigere a gran voce che la vita sua e di chi vive con lui in quella piccola comunità sia protetta e che le autorità della Colombia siano informate delle nostre preoccupazioni.

 
  
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  McKenna (Verts/ALE). - (EN) Signor Presidente, voglio innanzitutto esprimere la mia estrema delusione per la risoluzione in esame. Il gruppo Verts/ALE aveva sottoscritto l’emendamento, ma è rimasto allibito di fronte al fatto che tanto l’emendamento quanto la risoluzione sono contraddistinti da eccessiva prudenza. Essi, infatti, non prendono in considerazione un certo numero di temi di grande importanza quali il Piano Colombia e le gravi violazioni dei diritti dell’uomo che avvengono nel paese in questione.

Molte organizzazioni attive nel campo dei diritti dell’uomo hanno affermato che le violazioni compiute dai gruppi paramilitari godono del sostegno delle forze armate e che l’assassinio della povera gente nelle aree rurali è conseguenza di tale appoggio. Molti elementi appartenenti alle forze militari colombiane continuano ad essere coinvolti nelle violazioni di cui ho detto e il sostegno e la complicità con le atrocità commesse dai gruppi paramilitari sono di fatto ignorate dalle autorità colombiane. Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha riferito in maniera puntuale sulle misure punitive adottate dalle forze armate colombiane nei confronti dei membri delle stesse colpevoli di violazioni dei diritti dell’uomo.

Il Piano Colombia si concretizzerà in uno stanziamento, da parte degli Stati Uniti, di 1,3 miliardi di dollari destinato soprattutto a scopi militari. Molte organizzazioni attive nel campo dei diritti dell’uomo ritengono che il piano peggiorerà la condizione di povertà delle popolazioni rurali e produrrà un aumento della violenza a fini politici. Esso causerà danni irreversibili alla popolazione e all’ambiente e non risolverà il problema della droga. Il Piano Colombia, inoltre, è stato predisposto senza consultare la popolazione colombiana e questo è inaccettabile.

Mi sono recata in Colombia lo scorso anno assieme a delle ONG e posso affermare che la situazione è assai grave. I soldati colombiani continuano ad incoraggiare attivamente i gruppi paramilitari responsabili delle violazioni dei diritti dell’uomo ed è evidente che gli Stati Uniti e la Colombia hanno agito contro l’interesse della popolazione. Ritengo che questi fatti dovevano essere inseriti nella risoluzione ma il solo gruppo disposto ad affrontare la questione del Piano Colombia e dell’intera situazione dei diritti dell’uomo in Colombia era il nostro. Considero tale atteggiamento una scelta infelice del Parlamento e una manifesta rinuncia a compiere il nostro dovere nei confronti delle popolazioni di tutto il mondo.

 
  
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  Marset Campos (GUE/NGL). - (ES) Signor Presidente, quando è comparso dinanzi a quest’Aula, il Presidente Pastrana si è impegnato a lavorare per la pace nel suo paese, ma ha dimenticato di fare riferimento a tre questioni abbastanza gravi.

Innanzitutto, la responsabilità primaria del governo, che protegge la violazione dei diritti dell’uomo, le torture, i sequestri e gli omicidi commessi dai gruppi paramilitari con la connivenza dell’esercito.

In secondo luogo, la soluzione di problemi così gravi come la coltivazione di cocaina e la violenza può scaturire solo dai colloqui di pace con le FAR e l’ELN.

In terzo luogo, il Presidente Pastrana non ci ha detto che stava preparando con gli Stati Uniti il Piano Colombia per un intervento militare nella zona, alle spalle del Parlamento colombiano, alle spalle dell’opinione pubblica europea e mondiale.

Per queste ragioni, poiché il Piano Colombia comporta il pericolo di una “vietnamizzazione” dell’America Latina, occorre procedere con tre proposte concrete.

Primo: che qualunque aiuto proveniente dall’Unione europea sia concesso una volta firmata la pace fra il governo, le FAR e l’ELN.

Secondo: che l’Unione europea condanni il piano Colombia e chieda una soluzione negoziata e pacifica al conflitto, per evitare questa escalation di tipo militare.

Terzo: che l’Unione europea chieda al Presidente Pastrana la cessazione di tutte le violazioni dei diritti dell’uomo da parte delle bande paramilitari nel suo paese, per cancellare il triste record mondiale delle migliaia di vittime che si registrano ogni anno.

Sarebbe pertanto necessario – come già ricordato, ma bisognerebbe procedere con azioni concrete – che l’Unione europea istituisca in America Latina un osservatorio dei diritti dell’uomo, analogo a quello già esistente dell’ONU. Sono infatti molti i paesi, soprattutto la Colombia, che non rispettano la democrazia e i diritti dell’uomo; a noi spetta il compito di aiutare in modo appropriato questa regione, così importante per noi e per il mondo intero.

 
  
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  Doyle (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, vorrei rivolgermi direttamente al Commissario Nielson per ricordargli che il 18 agosto scorso gli ho scritto per esprimere la mia preoccupazione sulla sorte e la condizione del padre francescano irlandese Brendan Forde, la cui vita è minacciata dalle complesse circostanze politiche in cui è versa la Colombia. Al nome del frate vorrei aggiungere quello di due giovani ambientalisti di cui da luglio non si hanno più notizie: un giovane nato e cresciuto in Irlanda, Tristan James Murray, la cui madre è di Wexford, la mia stessa regione, e il suo collega colombiano, Javier Nova.

Tutti siamo preoccupati dal fatto che il Piano Colombia potrebbe elevare il livello del conflitto e aumentare la diffusione della guerilla nel paese. Invito perciò il Commissario ad assicurare che gli aiuti dell’Unione, e soprattutto quelli americani, vengano impiegati come devono, in altre parole che essi non finiscano per aumentare le aggressioni effettuate dalla milizia nazionale contro le comunità pacifiste con la scusa di cercare di eliminare i gruppi guerriglieri.

Padre Forde ha deciso di restare dove si trova per tentare di proteggere la sua comunità. Oltre ad avere subito numerose minacce di morte, gli sono stati dati venti giorni per lasciare il paese e la Croce rossa internazionale può confermare quanto dico. E’ necessario, insomma, elevare il profilo internazionale di tutte le persone coinvolte, incluse le comunità la cui vita è in pericolo. Confidiamo che lei, Commissario Nielson, vorrà fare quanto in suo potere.

 
  
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  Fava (PSE). - Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, due minuti sono appena sufficienti per raccogliere ed enumerare le terribili cifre che oggi vengono dalla Colombia. Ne citerò solo alcune, risultanti dall'ultimo e-mail ricevuto da Amnesty International: 50 civili uccisi il mese scorso dai paramilitari; 400 massacri di civili perpetrati nel corso del 1999; 3.500 vittime di delitti politici; 1.000 rapimenti; 250.000 civili colombiani rimasti senza casa per ragioni politiche. A tutto ciò si aggiunge ora un massacro nella comunità rurale La Unión, il terzo in tre anni. A noi incombe l'obbligo morale di affermare che questo massacro era perfettamente annunciato, che nulla oggi in Colombia accade per caso.

Che cosa ci resta dunque da fare? Aspettare il prossimo massacro a La Unión o in un altro villaggio per celebrare un'ennesima risoluzione listata a lutto, oppure - come giustamente alcuni colleghi hanno suggerito - dobbiamo far sentire con forza la nostra voce? Ritengo che questo Parlamento oggi debba trovare il coraggio di alzare la voce, facendo proprie ancora una volta le parole di Amnesty International: tutte le parti in conflitto sono responsabili delle violazioni dei diritti umani in Colombia, ma una di esse - i paramilitari - ha una responsabilità preponderante. I gruppi paramilitari stanno infatti stritolando la popolazione civile in una morsa mortale.

Come è stato ricordato, il Presidente Pastrana è comparso in quest'Aula offrendo il suo apprezzabile sforzo per ricondurre tutte le parti al dialogo. A questo parlamento spetta il compito di chiedere che sia ristabilito un alfabeto di regole e di diritti innanzitutto all'interno dello Stato colombiano, oltre a denunciare ciò che oggi avviene in Colombia.

I paramilitari agiscono di concerto, complici, con l'esercito, che spesso - come in questo caso - stila le liste di morte delle persone da colpire. Nessun serio tentativo è stato sinora compiuto per assicurare alla giustizia i capi di questo presunto esercito paramilitare: per citarne uno, Carlos Castaño, che continua a rilasciare impunemente le sue interviste alle reti radiofoniche colombiane.

Ribadiamo pertanto il nostro sostegno a una soluzione pacifica e, senza ipocrisia, chiediamo al governo colombiano di considerare il tragico ruolo svolto dai paramilitari; infine, invitiamo la Commissione e gli Stati membri a mettere in atto tutte le risorse politiche atte a tutelare la sicurezza delle organizzazioni civili impegnate nella difesa dei diritti dell'uomo.

 
  
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  González Álvarez (GUE/NGL). - (ES) Signor Presidente, eccoci di nuovo a parlare della Colombia, come ricordava l’onorevole Medina. In questo caso per chiedere protezione per il francescano irlandese Brendan Forde e il suo gruppo. L’omicidio dell’ultimo difensore dei diritti dell’uomo in Colombia risale al maggio scorso. Si chiamava Ramiro Zapata. Sono 25 i difensori dei diritti dell’uomo uccisi nell’ultimo anno e mezzo. Sono 3.000 i militanti della Unión Patriótica caduti negli ultimi anni.

Luis Guillermo Pérez, anch’egli difensore dei diritti dell’uomo, sostiene che esiste un piano, il cosiddetto Piano dei cento, per assassinare cento difensori dei diritti dell’uomo. Sarebbe una catastrofe per la Colombia. Speriamo che si tratti di una esagerazione, ma se fosse la verità, sarebbe un’autentica sciagura per la Colombia. Ritengo che l’Unione europea debba avere una sua iniziativa, una sua strategia, estranea a qualunque avventura militarista, come appare quella statunitense, per rendere più sopportabile la vita dei colombiani.

 
  
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  Salafranca Sánchez-Neyra (PPE-DE). - (ES) Signor Presidente, il Parlamento europeo, che ha un impegno ineludibile e irrinunciabile per quanto riguarda i diritti dell’uomo in Colombia e in tutto il pianeta, deve nuovamente esprimere la sua preoccupazione per la situazione in quel paese, in particolare per le minacce subite dal religioso irlandese Brendan Forde e dalla sua comunità, minacce che condanniamo con la massima fermezza.

L’Unione europea, signor Presidente, dovrebbe fare qualcosa di più che esprimere la sua preoccupazione, chiedere la sicurezza dei suoi cittadini e ribadire il suo appoggio ai colloqui di pace avviati dal Presidente Pastrana con i gruppi paramilitari. E’ giunto il momento di passare dalle parole ai fatti, altrimenti la nostra non è che retorica.

Vorrei ricordare che il Presidente Pastrana è stato il primo Capo di stato straniero a comparire in questa legislatura dinanzi alla nostra Assemblea. Ora ha bisogno di una risposta specifica e solidale da parte dell’Unione europea sui tre fronti aperti: il processo di negoziazione del conflitto armato, la lotta contro la droga (che dobbiamo considerare in un’ottica di responsabilità condivisa) e il consolidamento istituzionale, con un appello speciale per la difesa dei diritti dell’uomo.

Desidero ricordare le parole del Presidente Pastrana in quest’Aula: “Credo che non sia possibile un futuro degno e democratico senza una cultura di rispetto dei diritti fondamentali. So che durante il lungo conflitto interno colombiano sono state commesse gravi violazioni di tali diritti e questo non deve più succedere. Il mio impegno a favore della difesa dei diritti dell’uomo è totale ”.

Ben diversa, signor Presidente, è la realtà che oggi scuote la Colombia. Per questo motivo, signor Presidente, mi sembra importante che la Commissione ci dica di quali mezzi dispone per dare una risposta comunitaria a tale problema, visto che il progetto preliminare di bilancio per il 2001 non contiene alcun riferimento alla risposta di cui ha parlato poco fa la onorevole González Álvarez: una risposta franca e specifica dell’Unione europea. Quali sono i piani della Commissione per offrire una risposta solidale al conflitto che opprime la Colombia?

 
  
  

Soldati britannici tenuti come ostaggi in Sierra Leone

 
  
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  Ferrer, Concepció (PPE-DE). - (ES) Signor Presidente, purtroppo siamo di fronte ad un altro caso di sequestro di persona in Sierra Leone. Questa volta si tratta del sequestro di undici soldati britannici da parte della milizia dei West Side Boys. Lo stesso gruppo di ribelli ha inoltre effettuato una serie di attacchi volti ad ampliare la propria zona d’influenza; ne sono rimasti vittima tre membri delle forze filogovernative.

Si tratta di azioni che il gruppo PPE-DE condanna con fermezza e che anche il Parlamento europeo dovrebbe condannare, chiedendo l’immediata liberazione senza condizioni dei soldati sequestrati e manifestando il suo appoggio al governo della Sierra Leone, nonché alle forze dell’UNAMSIL e dell’esercito britannico che si adoperano per il consolidamento della pace in questo paese. Una pace che continua ad essere un bene precario, come dimostra questo sequestro. Non possiamo pertanto limitarci a semplici parole di condanna, ma occorre passare all’azione ed esigere che siano rispettati gli accordi di pace di Lomé e che si proceda al disarmo di tutte le milizie.

Tuttavia, fino a quando la Sierra Leone continuerà ad essere dominata dalla povertà, fino a quando non si porrà fine una volta per tutte al traffico di diamanti e al commercio delle armi, non ci sarà nessuna pace in questo paese martoriato.

Occorre pertanto che l’Unione europea dispieghi tutti i mezzi a sua disposizione non solo per contribuire al consolidamento del processo di pace, ma soprattutto per rendere possibile la creazione di condizioni di vita tali da fare della pace un cammino irreversibile. Occorre che la politica di cooperazione allo sviluppo sia generosa e coordinata, soprattutto nel campo dell’istruzione. Da qui anche lo sforzo di bilancio che si chiede per questa politica; una politica che contribuisca a mettere fine alla piaga della povertà. Occorre soprattutto un’azione decisa da parte dell’Unione europea, degli Stati membri e di tutta la comunità internazionale per far cessare una volta per tutte il traffico di diamanti nella zona. Fino a quando la ricchezza naturale di un paese continuerà ad andare a beneficio solo dei signori della guerra, fino a quando, cioè, i diamanti permetteranno ai paramilitari di disporre di capitali sufficienti per acquistare armi e proseguire la propria attività, la pace resterà un sogno irraggiungibile. Senza la pace lo sviluppo resterà una semplice utopia.

 
  
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  Maes (Verts/ALE).(NL) Signor Presidente, signor Commissario, chi si è visto passare sotto gli occhi queste tragedie ad ogni sessione a Strasburgo non può non chiedersi che cosa possiamo fare. In Sierra Leone non vengono presi in ostaggio solo soldati delle Nazioni Unite o soldati britannici, ma nel corso degli anni è stata presa in ostaggio un’intera popolazione e abbiamo contribuito anche noi al crearsi di questa situazione, in particolare con il commercio di diamanti.

Il 5 luglio il Consiglio di Sicurezza ha promulgato l’embargo per quanto concerne i diamanti provenienti dalla Sierra Leone. Ora dobbiamo adottare ogni mezzo per tradurre l’embargo in realtà. L’Unione europea deve intraprendere le azioni necessarie per porre fine al commercio di questi diamanti macchiati di sangue. Ritengo quindi che non sia sufficiente limitare il commercio di diamanti dalla Sierra Leone.

Dobbiamo continuare a garantire il nostro sostegno al governo, senza dimenticare il necessario appoggio da fornire al Tribunale di guerra. Dobbiamo dire basta all’impunità di cui godono coloro che, servendosi delle armi, possono togliere la vita ai loro concittadini.

 
  
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  Bordes (GUE/NGL).(FR) Signor Presidente, la mia solidarietà va ai soldati britannici sequestrati da una delle bande armate che imperversano in Sierra Leone. Anch’essi sono stati travolti da una politica la cui vittima principale è la popolazione civile e il cui principale artefice è proprio il governo britannico, sostenuto dalle grandi potenze occidentali, in primo luogo la Francia, e l’ONU.

E’ vergognoso che la risoluzione non faccia menzione del ruolo presente e passato della Gran Bretagna. L’ex potenza coloniale, dopo aver saccheggiato e sfruttato questa regione del mondo, ha imposto con brogli elettorali un governo che rappresenta in primo luogo i propri interessi. Le manovre britanniche sono le cause principali di una guerra civile barbara di cui la Gran Bretagna è responsabile sia direttamente, tramite la sua diplomazia, sia indirettamente, attraverso gli eserciti delle sue ex colonie africane il cui comportamento sul campo è stato altrettanto atroce di quello delle bande armate. Le stesse bande armate, in primo luogo la RUF, non rappresentano certo gli interessi della popolazione, come emerge chiaramente dai loro metodi e dai loro obiettivi. Ma la responsabilità che hanno avuto nelle tragiche sorti del paese, per quanto grandi, non raggiungono il grado di cinismo dimostrato dai ministri e dagli alti funzionari britannici.

Per concludere, voteremo contro questa risoluzione che nasconde una politica coloniale a cui è stata conferita una parvenza di modernità.

 
  
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  Van Orden (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, vorrei ribattere agli sforzi spesi dalla sinistra spagnola per fare di Gibilterra una questione politica sulla scorta della tragedia del Kursk. Il sottomarino Tireless è ben custodito in territorio britannico e le riparazioni verranno effettuate secondo i più elevati criteri di sicurezza.

Per quanto riguarda la Sierra Leone, non sono affatto d’accordo con quanto affermato dall’oratore che mi ha preceduto, ma ritengo di dover esprimere un’osservazione più ampia in merito al ruolo del governo britannico. Abbiamo avvertito già mesi fa il governo laburista in merito ai pericoli connessi ad un impegno a tempo indeterminato delle truppe britanniche nella Sierra Leone. Ad esse doveva essere affidata fin dal principio una missione chiara e dai tempi definiti con una strategia realistica di ritiro. L’attuale, inaccettabile situazione è evidentemente frutto della fase di stallo della missione e dell’indecisione politica e rappresenta un chiaro monito per il futuro.

 
  
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  Martínez Martínez (PSE). - (ES) Signor Presidente, la situazione in Sierra Leone è stata più volte oggetto delle nostre discussioni su questioni urgenti e abbiamo sempre trattato questo tema incoraggiando i colloqui di pace, la riconciliazione nazionale e gli aiuti agli sfollati, nonché invocando una giustizia penale internazionale in grado di giudicare i responsabili del genocidio commesso in quel paese.

Oggi dinanzi a noi non abbiamo una questione puramente politica, ma un atto criminale che rientra nell’ambito del codice penale. Si tratta di un sequestro di persona perpetrato da delinquenti che non hanno alcun legame politico né con i membri dell’ex giunta militare né con alcuno dei gruppi firmatari dell’accordo di pace del luglio 1999. Le loro rivendicazioni si limitano alla richiesta di liberazione di un gruppo di detenuti e alla revisione di un accordo di pace finalizzato a porre ordine in un paese lacerato. Tuttavia, le vittime del sequestro hanno un gran significato politico.

La presenza internazionale in Sierra Leone costituisce un buon esempio della perseveranza della comunità internazionale nella ricerca della pace mondiale. Per tale ragione, assumendoci questa responsabilità, chiediamo che il Parlamento europeo si rivolga al governo della Sierra Leone e lanci un appello per la liberazione immediata e incondizionata dei soldati britannici sequestrati.

 
  
  

Bombardamenti turchi nell'Iraq settentrionale

 
  
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  Duff (ELDR). - (EN) Signor Presidente, la questione di cui trattiamo è davvero grave. Il principio fondamentale su cui poggia l’Unione europea è la pace e coloro che vogliono aderirvi devono cercare di condurre gli affari interni ed esteri nella maniera più pacifica possibile.

La Turchia, e di ciò siamo consapevoli, deve fare i conti con un confine estremamente vulnerabile e ciò rende particolarmente difficile raggiungere la stabilità e la pace che l’integrazione in Europa esige. Nel quadro della fase di preadesione della Turchia, si dovrebbe mirare all’istituzione di un forum nel quale possano essere discussi temi di carattere tanto militare quanto sociale ed economico. Sotto questo aspetto, l’appartenenza della Turchia alla NATO si traduce per molti Stati membri in una responsabilità particolare. Lo sviluppo di una politica comune in materia di sicurezza e difesa dovrebbe costituire ad un tempo pretesto e luogo d’incontro per cercare di elaborare una posizione comune sul modo in cui combattere il terrorismo nel rispetto dei diritti fondamentali.

Se riusciremo a creare davvero il forum di cui dicevo, saremo anche in grado di consegnare definitivamente al passato questo genere di tristi e gravi incidenti.

 
  
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  Maes (Verts/ALE).(NL) Signor Presidente, la Turchia è un paese NATO, si è candidata per l’adesione all’Unione europea e ha firmato ogni tipo di accordo internazionale, tra cui documenti a favore della tutela dei diritti dell’uomo, contro la tortura, eccetera. Eppure la Turchia prosegue con i bombardamenti contro di curdi al di fuori dei propri confini, nella regione settentrionale dell’Iraq. Signor Commissario, ritengo che si debba essere chiari. Senza una precisa soluzione politica e pacifica del problema curdo, la situazione non potrà certo migliorare e la Turchia dovrà accettarlo. Ritengo che non si possa giungere a una stabilizzazione della regione – e noi cui auguriamo che la pace in Medio Oriente possa avvicinarsi sempre più -, se non si trova una soluzione al problema curdo. Partecipiamo al dolore delle famiglie colpite dai bombardamenti, l’ultimo dei quali risale al mese di agosto, e chiediamo il massimo rispetto per i confini internazionali. In caso contrario non potremo che assistere a nuovi tragici episodi. La guerra non condurrà mai alla pace.

 
  
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  Uca (GUE/NGL).(DE) Signor Presidente, "Che colpa aveva il mio bambino?", questa è la domanda della madre di una vittima del bombardamento intervistata dalla televisione. Perché le vittime delle azioni militari devono essere sempre i bambini, le donne e i civili inermi? Nel bombardamento dei villaggi curdi da parte dell'esercito turco il 15 agosto a Kendakor, si sono avuti più di 32 vittime e 40 feriti. Si è trattato di un massacro e di un atto criminale contro l'umanità. E' un segnale dell'atteggiamento che il governo turco ha verso la pace e verso il popolo curdo, proprio in un periodo in cui esso tende la mano in segno di pace.

Come è stato confermato da un rappresentante del Ministero degli esteri turco, la Turchia conduce di tanto in tanto delle operazioni contro il PKK, che per la terza volta ha unilateralmente dichiarato il cessate il fuoco. Mi chiedo come mai proprio durante il processo di avvicinamento all'Unione europea vengano fornite armi alla Turchia e vengano costruite fabbriche di munizioni. Come mai il 1° settembre sono state proibite le organizzazioni dei diritti dell'uomo e le manifestazioni per la giornata mondiale della pace? Forse che il processo di democratizzazione può essere accelerato con le armi e con le munizioni? Non è così!

Una soluzione pacifica del problema curdo ed il rispetto dei diritti dell'uomo sono la strada migliore per la pace. Perché devono continuare a soffrire le madri? Non possiamo contribuire a far sbocciare dei fiori di fratellanza e di pace tra il popolo curdo e quello turco? Saluto con soddisfazione il programma MEDA, nel quale si afferma che deve cessare ogni discriminazione amministrativa, giuridica, politica, culturale e sociale nei confronti del popolo curdo da parte del governo turco. La concessione dei finanziamenti dell'Unione europea alla Turchia dovrebbe essere vincolata ad una soluzione pacifica della questione curda e all'impiego dei fondi per superare il sottosviluppo economico e sociale della regione curda.

In questo secolo non devono più essere consentiti bombardamenti contro le popolazioni civili! Condanno quest'azione disumana, chiedo che si faccia luce su questo crimine e che si puniscano i colpevoli. Chiedo al Consiglio e agli Stati membri di essere coerenti e di condannare il bombardamento dei villaggi curdi. E' necessario intervenire presso il governo della Turchia, anche al fine di incoraggiare l'avvio di un negoziato con i rappresentanti democratici dei curdi alla ricerca di una soluzione politica. E' questa la via più breve per l'Unione europea!

 
  
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  Morillon (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, è la terza volta che intervengo dall’inizio della sessione su questioni riguardanti la Turchia e le relazioni con l’Unione europea.

Colgo pertanto l’occasione di parlare su alcuni punti che saranno ripresi nella relazione che l’Assemblea mi ha chiesto di redigere sull’ampliamento e sull’adesione della Turchia all’Unione europea. Non ritornerò su questo punto, ma desidero esprimere la mia opinione. Se sarà appurato che l’esercito turco ha dato avvio al bombardamento del 15 agosto scorso a Kendakor, potremo solo incoraggiare il governo turco a ridimensionare il ruolo che i militari continuano a svolgere dietro il pretesto di combattere il terrorismo in ambiti che possono pregiudicare la credibilità della volontà della Turchia di aderire all’Unione europea.

Sembra che si stia per vincere la lotta contro il terrorismo e credo che sia giunto il momento di prendere una decisione del genere. Essendo nella posizione di poter esercitare la forza, il potere militare non può e non deve, salvo rare eccezioni, deciderne il ricorso. I miei 40 anni di carriera militare mi hanno convinto che “cedant arma togae”, ovvero che le armi devono cedere il passo alla legge.

 
  
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  Poos (PSE).(FR) Signor Presidente, la proposta di risoluzione comune sui bombardamenti turchi nell’Iraq settentrionale è stata presentata da cinque gruppi politici del Parlamento europeo. Ciò dimostra l’interesse che il Parlamento nutre per il rispetto del diritto internazionale e dei diritti dell’uomo in questa parte del mondo e testimonia la vigilanza che esso esercita quando si tratta di un paese candidato, nella fattispecie la Turchia.

Non possiamo tollerare che la parte settentrionale dell’Iraq, un’area a sovranità limitata ai sensi di decisioni internazionali, diventi una zona di non-diritto in cui tutto è permesso e in cui oltretutto non è consentita la presenza di osservatori. La lotta legittima contro il terrorismo non giustifica punizioni collettive le cui vittime sono le popolazioni curde di interi villaggi. Questo genere di rappresaglia sproporzionata dovrebbe essere proibita a tutti, tanto più all’esercito di un paese civilizzato.

 
  
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  González Álvarez (GUE/NGL). - (ES) Signor Presidente, come ha sottolineato la onorevole Uca, è inaccettabile che un paese candidato all’adesione all’Unione europea effettui bombardamenti colpendo una popolazione indifesa, uccidendo più di 30 civili e provocando più di 40 feriti.

Riteniamo che in simili circostanze il meno che si possa chiedere ad un paese è il rispetto del diritto internazionale. Condanniamo anche l’ipocrisia di alcuni Stati membri che esportano armi in Turchia violando il codice di condotta sull’esportazione di armi verso paesi che possono servirsene come ha fatto la Turchia nel caso in questione. Ci sembra ipocrita condannare i fatti e poi inviare armi perché ciò si ripeta.

Riteniamo che l’Unione europea debba vigilare affinché ciascuno dei paesi candidati rispetti innanzitutto i diritti dell’uomo. Altrimenti la sua candidatura è inaccettabile.

 
  
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  Nielson, Commissione. - (EN) In primo luogo, sulla questione dei rifugiati bhutanesi, la Commissione condivide pienamente la preoccupazione espressa dagli onorevoli deputati sulla condizione dei rifugiati ospitati nei campi del Nepal orientale e auspica che si trovi quanto prima una soluzione definitiva.

La ricerca di una soluzione adeguata richiede ad entrambe le parti nuovi sforzi e nuova iniziativa politica. E’ necessario, prima di ogni altra cosa, accordarsi sulle misure che consentano a chi lo desidera di rientrare nel Bhutan ma, senza la determinazione dei negoziatori a trovare un’intesa, non è certamente possibile definire alcuna soluzione tecnica.

La Commissione esprime il proprio apprezzamento per i risultati che la signora Ogata, attualmente a capo dell’UNHCR, ha conseguito per esempio in occasione della visita al Bhutan e al Nepal nel mese di maggio e accoglie con compiacimento l’impegno delle parti a cercare al più presto una soluzione praticabile. Ho avuto modo di parlare con i rappresentanti dei governi di entrambi i paesi ed essi paiono altrettanto determinati a trovare una soluzione.

La visita della signora Ogata e quella della delegazione del Parlamento europeo, avvenuta nell’aprile scorso, hanno fattivamente contribuito a conseguire un sensibile progresso. Tuttavia, la Commissione esprime il proprio disappunto per il fatto che non sia ancora stata concordata una formula che consenta di effettuare le operazioni di controllo nei campi, nonostante sembrassero ormai mature le condizioni per il raggiungimento di un’intesa.

Nel corso dei contatti regolari che essa intrattiene con le autorità nepalesi e bhutanesi, la Commissione ha sempre sottolineato che la questione deve essere affrontata con la massima urgenza. L’Unione è uno dei maggiori donatori di aiuti umanitari ai rifugiati e finora ha già devoluto più di 11 milioni di euro. Essa ha sfruttato ogni occasione per invitare le parti a conseguire risultati concreti e ha costantemente affermato il proprio impegno a fornire, a fronte di effettivi progressi, le risorse necessarie a facilitare il trasferimento e il reinserimento dei rifugiati. Un certo numero di Stati membri ha espresso lo stesso impegno.

Nel corso dell’attuale esercizio finanziario, la Commissione fornirà, per il tramite dell’UNHCR, 1,5 milioni di euro a titolo di assistenza al funzionamento dei campi. Si deve evitare che i fondi rischino di essere insufficienti e, visti gli importi in questione, il rischio appare controllabile. E’ nostra responsabilità fare in modo che non vi siano problemi.

La Commissione è impaziente di valutare i risultati del prossimo incontro tra il Primo ministro del Nepal, Koirala, e il Presidente del Consiglio dei ministri del Bhutan, Zimba; l’incontro avverrà in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite convocata per l’11 settembre.

Passando ai recenti avvenimenti in Birmania, il 18 maggio la Commissione ha deplorato, in quest’Aula, la continua violazione dei diritti dell’uomo perpetrata dalle forze armate birmane. In quell’occasione abbiamo riferito di esecuzioni extragiudiziali, dell’imposizione del lavoro coatto, del trasferimento forzato di intere comunità, della repressione a danno degli oppositori politici e delle azioni condotte per impedire che i partiti politici legittimamente costituiti possano operare liberamente.

Abbiamo anche condannato sia le restrizioni alla libertà di movimento imposte a Aung San Suu Kyi e ad altri membri della Lega nazionale per la democrazia sia l’ormai consueta pratica degli arresti ingiustificati.

Allo stesso tempo, la Commissione ha manifestato il proprio sostegno alla posizione comune dell’Unione in merito alla Birmania e alla decisione del Consiglio “affari generali” dell’aprile 2000 di rafforzare tale posizione comune. Approfittiamo di ogni occasione possibile per chiedere ai nostri partner asiatici di insistere perché il Consiglio di stato per la pace e lo sviluppo intraprenda un dialogo effettivo con i deputati democraticamente eletti e con le minoranze etniche. Il fine deve essere quello di giungere ad una soluzione reciprocamente concordata dell’attuale situazione, tale da ristabilire nel paese il rispetto delle norme internazionali sui diritti dell’uomo.

Molti oratori nel corso di questo pomeriggio hanno fatto riferimento al turismo. L’Unione ha già chiaramente espresso il proprio sostegno a quanto auspicato da Aung San Suu Kyi, ovvero che i cittadini dei paesi civilizzati non scelgano la Birmania come meta turistica. Non possiamo che incoraggiare i nostri cittadini ad aderire alla richiesta.

Gli eventi più recenti registrati a Rangoon forniscono una perfetta dimostrazione, se mai ce n’era bisogno, di quanto fosse opportuna la condanna da noi espressa per le inaccettabili pratiche messe in atto dal regime militare. L’arresto illegittimo e la successiva detenzione di Aung San Suu Kyi e degli esponenti del suo partito, insieme a quelli dei giovani leader locali effettuati lo scorso sabato, non possono in alcun modo essere giustificati affermando che avessero bisogno di “protezione”. Tale trattamento non può neppure essere motivato con accuse non provate di cospirazione. Si è trattato di un atto criminale da parte di un governo in preda al panico. La Commissione unisce perciò la propria voce alle richieste lanciate da ogni parte del mondo affinché cessi immediatamente il regime di arresti domiciliari a cui sono costretti Aung San Suu Kyi e gli esponenti del suo partito, affinché siano immediatamente ripristinati i normali canali di comunicazione diplomatica con i vertici della Lega nazionale per la democrazia, affinché siano immediatamente rilasciati i giovani leader detenuti senza motivo e perché si ponga immediatamente fine al controllo illegale delle conversazioni telefoniche private dei deputati birmani democraticamente eletti.

Riguardo alla Colombia, l’omicidio di civili innocenti ci ha costretto più volte ad occuparci della situazione dei diritti dell’uomo in questo paese. L’impunità per gli autori di tali atrocità è stata quasi sistematica e abbiamo anche notizia di un drammatico aumento delle minacce di morte nei confronti di quanti forniscono assistenza sul campo ai gruppi più esposti. Siamo stati informati, per esempio, delle gravi minacce di morte lanciate all’indirizzo del frate irlandese Brendan Forde, il quale sta operando in una delle regioni più colpite dalla violenza. La Commissione deplora profondamente e condanna tale situazione e invita le parti coinvolte nel conflitto a rispettare le leggi e i principi umanitari.

La Commissione, inoltre, sostiene l’impegno per la pace profuso dal Presidente Pastrana. Essa farà quanto in suo potere per promuovere il sostegno ad una pace duratura nel paese. Per quanto concerne ciò che è stato affermato nel corso dell’odierno dibattito, dal mio punto di vista l’aumento delle armi da fuoco non avvicina il paese ad una soluzione, anzi non può che aumentare i problemi già esistenti.

La Commissione condivide le preoccupazioni del Parlamento per il recente sequestro di undici soldati britannici nella Sierra Leone. Auspichiamo che gli sforzi avviati per garantire il rilascio degli ultimi sei soldati abbiano successo. Cogliamo l’occasione per esprimere la nostra solidarietà ai soldati e ai loro familiari. La Commissione considera con preoccupazione l’eventualità che gli incidenti di questa natura e il sequestro di addetti dell’ONU possano compromettere i tentativi di rimettere sulla giusta strada il processo di pace. Saremo ben lieti di accogliere qualsiasi decisione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite che miri a rafforzare la presenza dell’ONU nella Sierra Leone.

La risoluzione del 5 luglio di quest’anno del Consiglio di sicurezza, con la quale si vieta il traffico illegale di diamanti provenienti dalla Sierra Leone, è stata trasposta nella normativa comunitaria. Il divieto, al pari di quello riguardante la vendita di armi ad altri gruppi in vigore fin dal 1997, deve essere applicato con rigore. La Commissione invita tutte le parti interessate - tra cui l’industria europea dei diamanti - a sostenere l’azione dei comitati ONU per le sanzioni.

La Commissione mantiene il proprio sostegno all’impegno del governo volto a ripristinare la pace nel paese e ad attuare i programmi di ripresa economica. Il finanziamento garantito dal Fondo europeo di sviluppo è mirato, nel quadro di un più ampio programma di ricostruzione, alla smobilitazione e al reinserimento dei combattenti. L’assistenza alla ripresa economica può contare su un programma di finanziamento del valore di 8,2 milioni di euro mentre al miglioramento della gestione della finanza pubblica dovrebbe contribuire un programma di assistenza tecnica. Nei prossimi mesi, la Commissione chiederà l’approvazione di un programma in materia di ricostruzione e reinserimento per 30 milioni di euro, di un programma di sostegno al settore sanitario per 28 milioni di euro, di un programma di sostegno finanziario da attuarsi a conclusione del conflitto per 34,75 milioni di euro e di un programma di sostegno a favore del Ministero delle finanze per 4,5 milioni di euro.

Per quanto concerne l’assistenza umanitaria, la Commissione, per mezzo di ECHO, continua a finanziare i programmi di sostegno a favore delle comunità di rifugiati e sfollati, la cui attuazione è demandata alle ONG internazionali e all’ONU. A partire dal 1999, ECHO ha fornito circa 26 milioni di euro a titolo di assistenza in materia di cure mediche, alimentazione terapeutica, risorse idriche e impianti sanitari e a titolo di assistenza sociale e psicologica a favore dei bambini coinvolti nella guerra. Quest’ultimo punto è di particolare importanza, considerata la condizione terribile dei bambini soldato e dell’infanzia in generale nella Sierra Leone. In aggiunta a quanto indicato, il finanziamento ha in particolare fornito assistenza ai mutilati, ai rifugiati e agli sfollati.

In relazione alla questione dell’Iraq settentrionale, la Commissione condivide la preoccupazione espressa in diverse proposte di risoluzione in merito alle recenti operazioni condotte dall’aviazione militare turca, responsabili della morte di numerosi civili. La Commissione ha avuto modo di constatare che il Ministero degli esteri turco sta indagando sull’incidente e valutando la possibilità di un indennizzo. Gli sconvolgimenti provocati dalle incursioni dell’esercito turco in territorio iracheno compromettono i tentativi di rendere stabile l’area e sono causa di inutili sofferenze per la popolazione curda, che di sofferenze ne ha già subite fin troppe. Pace, stabilità e sostegno allo sviluppo economico sono gli unici fattori che possono consentire all’area in questione di tornare ad una vita normale. Nel corso degli ultimi anni, l’Unione europea ha ripetutamente sottolineato la necessità di rispettare l’integrità territoriale dell’Iraq, specie lungo il confine con la Turchia. Le recenti incursioni non risolvono né i problemi della Turchia né quelli di alcun altro paese. Dal nostro punto di vista, l’unica via praticabile per dare una stabilità duratura alla regione resta il dialogo pacifico tra le parti. Ho preso nota di quanto gli onorevoli deputati hanno detto nel corso del dibattito riguardo alle prospettive concernenti la Turchia, non ultima quella legata al ruolo che, in futuro, questo paese assumerà nel quadro nella cooperazione europea. Non posso che condividere le osservazioni espresse.

 
  
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  Salafranca Sánchez-Neyra (PPE-DE). - (ES) Signor Presidente, per quanto attiene alla situazione in Colombia, abbiamo rivolto una domanda al signor Commissario, il quale ha risposto che la Commissione sostiene gli sforzi di pace del Presidente Pastrana. Gli ho chiesto se la Commissione intende integrare questo sostegno retorico con qualche tipo di appoggio che vada al di là delle semplici parole. Comprendo che non si tratta del momento opportuno per discutere questo tema, ma vorrei che la Commissione rispondesse, sia pure per iscritto.

 
  
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  Nielson, Commissione. - (EN) Sarò ben lieto di approfondire meglio e per iscritto quanto mi accingo a dire. La mia risposta immediata è che, per dirla in termini chiari e diretti, dobbiamo agire con prudenza ed evitare di assumere un ruolo che si riduca al finanziamento di attività che potremmo anche non condividere del tutto. Dobbiamo anche fare in modo che la nostra azione serva ad alleviare la povertà e fornisca un contributo concreto a favore dei gruppi più svantaggiati. Concludendo, quel che in Colombia già stiamo facendo e quel che faremo, in termini finanziari, dovrà essere adattato con molta attenzione al contesto in questione.

 
  
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  Presidente. – Grazie, signor Commissario.

La discussione congiunta è chiusa.

La votazione si svolgerà alle 17.30.

 

8. Centrale nucleare di Temelin
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta, le seguenti proposte di risoluzione:

- B5-0708/2000, presentata dalla onorevole McNally e altri a nome del gruppo PSE, sulla centrale nucleare ceca di Temelin;

- B5-0723/2000, presentata dagli onorevoli Flemming e Chichester, a nome del gruppo PPE-DE, sul reattore di Temelin;

- B5-0732/2000, presentata dall’onorevole Echerer e altri, a nome del gruppo Verts/ALE, sulla centrale nucleare di Temelin;

- B5-0745/2000, presentata dagli onorevoli Papayannakis e Sjösted, a nome del gruppo GUE/NGL, sulla centrale nucleare di Temelin.

 
  
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  Adam (PSE). - (EN) Signor Presidente, intervengo al posto della onorevole McNally, la quale è dovuta partire per il Regno Unito questo pomeriggio. L’Unione europea, con il sostegno del Parlamento, ha già fatto molto per elevare la sicurezza tecnica e operativa dei reattori nucleari di tipo sovietico e per creare delle autorità indipendenti di controllo. Per quanto è di mia conoscenza, ciò che viene fatto a Temelin è già stato fatto in Finlandia e, con il sostegno di un finanziamento EURATOM, un analogo intervento di adeguamento è in corso d’opera a Kozloduy in Bulgaria.

Gradirei perciò che la Commissione, se possibile, confermasse che le operazioni condotte a Temelin seguono le raccomandazioni espresse dall’Agenzia internazionale dell’energia atomica dopo dodici ispezioni e che, dopo tali operazioni, la centrale di Temelin sarà dotata di livelli di sicurezza equivalenti a quelli imposti agli Stati membri. Sono queste le garanzie e le rassicurazioni di cui ha bisogno l’opinione pubblica europea. Nel corso della settimana, abbiamo ricevuto molte comunicazioni dalle autorità ceche. Esse sostengono che la gran parte delle operazioni da noi richieste con la risoluzione in esame sono state effettuate e che quelle che ancora restano da fare sono già state avviate. E’ in grado la Commissione di confermare oggi queste affermazioni e, in caso contrario, ha intenzione di presentare con sollecitudine il proprio punto di vista in materia alla commissione per l’industria, il commercio estero, la ricerca e l’energia del Parlamento europeo?

 
  
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  Flemming (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, molti Stati membri dell'Unione europea hanno rapporti di amicizia, se non di parentela con la Repubblica ceca. Ritengo però che proprio in una famiglia armoniosa sia anche possibile dire cose non gradite. Le centrali nucleari dell'Unione europea hanno i migliori standard di sicurezza al mondo, ed un paese che vuole aderire all'Unione e che intende mettere in funzione una nuova centrale, deve rispettarli.

E' vero che la valutazione del livello di sicurezza della centrale di Temelin compete all'autorità di controllo nucleare ceca. Però è anche vero che la Commissione ha indicato come priorità del processo di adesione della Repubblica ceca l'applicazione delle disposizioni comunitarie nel campo della valutazione di impatto ambientale, anche a causa di Temelin. Ciononostante, la Repubblica ceca ha firmato nel 1993, ma non ha ancora ratificato, la Convenzione sulla VIA nelle aree transfrontaliere, la cosiddetta Convenzione di Espoo. Ora, in pochi giorni e in tutta fretta, si vuole avviare la prova di funzionamento a Temelin, senza che paesi confinanti come la Germania e l'Austria abbiano ottenuto le informazioni che avevano chiesto e senza aver dato alle loro preoccupate popolazioni la possibilità di pronunciarsi e di esprimere le proprie obiezioni alle autorità ceche. Ma se è proprio questo il contenuto della Convenzione di Espoo! E' questo il diritto comunitario!

Chiedo al governo ceco, anzi lo imploro, di prendere sul serio i timori della popolazione degli Stati limitrofi e anche della propria. I reattori di Temelin sono di costruzione sovietica, del tipo VVER 1000, questo è un fatto che non può essere cambiato nemmeno dalla Westinghause. Pensate a Cernobil!

Rivolgo ancora un appello al governo ceco: agite adesso come dovreste agire se foste già oggi membri dell'Unione europea, membri della nostra grande famiglia europea.

 
  
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  Echerer (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, dapprima vorrei ringraziare gli onorevoli colleghi per la collaborazione costruttiva e concreta che ha permesso di produrre questa proposta di risoluzione comune.

In ben 13 modifiche di progetto non si è tenuta in nessun conto la VIA. Come ha detto l'onorevole Flemming: la Convenzione di Espoo è stata firmata da tempo. Avrebbe dovuto essere ratificata all'inizio dell'anno dal parlamento ceco e avrebbe così potuto essere applicata, ma la ratifica è stata rimandata a tempo indefinito senza spiegazione alcuna.

Le preoccupazioni per la sicurezza che vengono costantemente espresse sia a livello di opinione pubblica, sia tramite i mezzi d'informazione sia in privato, non vengono prese sul serio. Nell'ultimo incontro tra esperti cechi, austriaci e tedeschi, il 2 e 5 settembre di quest'anno, si è constatato ancora una volta che Temelin non corrisponde agli standard di sicurezza tedeschi e perciò non verrebbe autorizzato in Germania.

Quarto: l'energia elettrica prodotta da Temelin non è destinata al consumo interno; si tratta di elettricità destinata all'esportazione, oltretutto a prezzi di dumping.

Quinto: la sicurezza dei cittadini europei e la responsabilità nei loro confronti dovrebbero essere più che sufficienti per motivare un intervento.

La Commissione afferma che giuridicamente non abbiamo nessuna possibilità di intervento in questa faccenda, ma questo le era noto già da tempo. Che cosa si aspettava la Commissione, che qualcuno tirasse magicamente fuori dal cappello una misura giuridica al momento giusto? Non è così! Come tutti sapete, la posizione del gruppo Verts/ALE è che sicurezza e centrali nucleari sono due concetti incompatibili. In Europa abbiamo una realtà fatta di centrali nucleari dell'est e centrali dell'ovest. Anche in questo si manifesta una doppia morale alla quale deve essere posta fine. Con le sole misure giuridiche, cara Commissione, non si possono risolvere tutti i problemi del mondo.

Mi aspetto quindi dalla Commissione e dal Consiglio la dimostrazione di una forte e comune volontà politica, come fa il Parlamento europeo con questa proposta di risoluzione.

Consentitemi ancora di parlare di un emendamento del gruppo TDI, che non contiene richieste né giuste né nuove e risponde a finalità non confessate. Non possiamo accettare questo modo di fare politica! Non si può rimediare ad anni di incapacità o di disinteresse della politica rispetto a questo problema con una demagogica minaccia di veto. Non è in questo modo che possiamo avvicinarci al nostro obiettivo e creare una base costruttiva su cui negoziare!

La sicurezza dei cittadini europei e la fiducia nell'Unione, ad essa legata, devono essere per noi le priorità assolute. La nostra risoluzione ha un importante significato per le popolazioni europee, ma soprattutto per l'opinione pubblica ceca. Spero che non le deluderemo!

 
  
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  Chichester (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, questo tema non dovrebbe neppure essere argomento di discussione urgente. Deploro il fatto che il gruppo Verts/ALE l’abbia cinicamente strumentalizzato, presentandolo in maniera scorretta. Interferire negli affari interni di un paese che ha fatto domanda di ammissione all’Unione europea imponendo un ricatto politico, ovvero la minaccia di porre il veto all’ammissione nell’Unione, è inaccettabile. Mi rammarico che l’opinione pubblica austriaca si sia lasciata guidare dalle emozioni e non da considerazioni scientifiche razionali. I cechi si stanno comportando in maniera responsabile, in armonia con gli standard internazionalmente riconosciuti a tutti i livelli; dovremmo permettere loro di continuare a farlo. Benché abbia sottoscritto la mozione comune secondo le indicazioni del mio gruppo, intendo votare contro la risoluzione.

 
  
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  Scheele (PSE).(DE) Signor Presidente, essendo la terza austriaca che interviene, temevo che non mi rimanesse più niente da dire. Dopo l'intervento dell'onorevole Chichester, però, vale la pena di ribadire che è necessario prendere sul serio le esigenze e le preoccupazioni della popolazione europea, ma anche austriaca, sulla questione dell'energia nucleare, in particolare in relazione alla centrale nucleare di Temelin. Il mio gruppo approva la proposta di risoluzione su Temelin per ragioni di principio, perché noi prendiamo sul serio le preoccupazioni della gente e perché molti di noi sono attivi da anni nella lotta contro l'energia nucleare sia ad est come ad ovest.

Io stessa mi sono formata nella lotta politica condotta in Austria contro la centrale nucleare di Zwentendorf e quindi per me non è stata necessaria l’opera di persuasione effettuata dai conservatori nei mass-media austriaci, che negli ultimi giorni mi ha fatto sorridere, ma mi ha anche sorpreso.

Come l'onorevole collega che mi ha preceduto, anch'io sono contraria alla formulazione poco incisiva dell'unico emendamento, perché ritengo che l'espressione "alto livello" non significhi niente, dato che anche la Repubblica ceca è consapevole della necessità di garantire un elevato livello di sicurezza. Perciò sono pienamente favorevole alla proposta di risoluzione, e sono contraria all’emendamento.

 
  
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  Olsson (ELDR).(SV) signor Presidente, desidero far sapere ai colleghi di sentirmi combattuto davanti a questo argomento: da un lato sono un oppositore di antica data del nucleare, per molti anni sono stato membro della direzione dell'Ispettorato all'energia atomica svedese; dall'altro, sono presidente della delegazione alla commissione parlamentare mista UE-Repubblica ceca.

Desidero per questo fare tre rapide considerazioni. In primo luogo, l'inquietudine verso il nucleare fa sì che il livello di sicurezza non possa soltanto essere buono, ma che debba essere sempre il migliore possibile in ogni situazione. In secondo luogo alla Repubblica ceca si applicano le stesse regole in vigore per gli altri paesi candidati e, a scadenza, le stesse regole in vigore per gli Stati membri. In terzo luogo, questa risoluzione va vista come un tassello in un franco dialogo con i cechi, un dialogo condotto nel quadro della commissione parlamentare mista, ma che potrebbe essere condotto anche nei rispettivi parlamenti.

Occorre ampliare questo dibattito, poiché fa parte della nostra democrazia. Ciò non può tuttavia condurre ad animosità fra la Repubblica ceca e gli Stati membri dell'Unione. Spero che i cechi potranno rispondere costruttivamente a tutti gli interrogativi, e che questo tema trovi così uno sbocco positivo.

 
  
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  Raschhofer (NI).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, dopo la catastrofe di Cernobil si potrebbe pensare che se non altro tutti hanno imparato la lezione. Allora, la contaminazione radioattiva non rimase confinata all'Ucraina e non fu nemmeno possibile ridurla alla dimensione di un problema bilaterale. So bene che sulla questione dell'energia nucleare in Europa c'è una contrapposizione di schieramenti e manca una linea unitaria. Ma soprattutto manca un'insieme di norme comuni per la sicurezza delle centrali nucleari. Urge intervenire, anche nell'interesse della nostra credibilità.

Tuttavia, vorrei sapere se dopo l'esperienza di Cernobil è accettabile che a Temelin, nel cuore dell'Europa, si metta in funzione una centrale nucleare che presenta ancora notevoli deficienze sul piano della sicurezza. Con l'attivazione di Temelin la Repubblica ceca cerca di metterci davanti al fatto compiuto. Questo modo di procedere non ha niente a che fare con un rapporto costruttivo tra partner. Edmund Stoiber lo ha detto bene oggi: è necessario attenersi alle regole.

Martedì di questa settimana, nel parlamento austriaco è stata adottata una decisione da parte di tutti - sottolineo tutti - i partiti. In essa si afferma che la conclusione del negoziato di adesione potrà essere approvata solo se verrà migliorata la sicurezza a Temelin. Lasciatemi chiarire una cosa: siamo favorevoli all'adesione della Repubblica ceca all'Unione europea. Ma le condizioni devono essere quelle giuste. Chiedo quindi all'Aula di sostenere la nostra proposta di risoluzione, il cui contenuto corrisponde alla decisione dei quattro partiti del parlamento austriaco. In fin dei conti l'obiettivo di tutti noi deve essere quello di garantire il massimo livello di sicurezza per le centrali nucleari.

 
  
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  Linkohr (PSE).(DE) Signor Presidente, io voterò a favore di questa risoluzione perché la ritengo giusta. Se potrà contribuire a ridurre il tono della guerra di parole tra i due schieramenti, avrà già soddisfatto il suo scopo. E' un peccato che la Repubblica ceca non abbia qui modo di difendersi e di esporre la propria posizione: in questioni complicate come questa sarebbe sempre bene poter ascoltare entrambe le parti.

Con la stessa franchezza vorrei anche dire che non mi sembra positivo che il governo austriaco e il Parlamento europeo pongano qui una specie di ultimatum. Non è questo il modo in cui abbiamo lavorato finora nell'Unione europea. E' chiaro che esiste un problema. Ma se iniziamo con gli ultimatum, finiremo per avere la visita di una delegazione che ci dirà che la Repubblica ceca diventerà membro dell'Unione europea solo quando verranno ritirati i decreti Benesch. Poi arriverà un altro gruppo per chiedere un'altra cosa, e così via. Stiamo attenti con gli ultimatum! Esistono altre possibilità di risolvere problemi come questo. Comunque, vorrei anche raccomandare alla Repubblica ceca di prendere seriamente le preoccupazioni, in particolare quella espressa dalla popolazione tedesca, per la sicurezza della centrale nucleare.

L'ultimo importante punto del mio intervento riguarda la Commissione. Si parla sempre della sostenibilità ambientale, ed è una cosa giusta. Ma noi abbiamo anche un Trattato EURATOM, nel quale c'è l'articolo 97. Esso dispone che la Commissione deve venire informata in merito a qualunque progetto di sviamento di materiali radioattivi. Inoltre la Commissione ha l'obbligo di valutare la possibilità che le acque, il terreno o l'atmosfera di un altro Stato membro venga inquinato.

So che la Repubblica ceca non è ancora membro dell'Unione europea. Però mi interesserebbe sapere quale sia la posizione della Commissione su questo articolo, e se essa ritiene che la Repubblica ceca ne rispetti le disposizioni. Sarebbe interessante sapere, come ha chiesto anche l'onorevole Adam, che cosa pensi la Commissione della VIA.

 
  
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  Flemming (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, è necessaria una rettifica a quanto detto dall'onorevole Linkohr. Metto volentieri a vostra disposizione il testo della decisione del parlamento austriaco, che non contiene né un ultimatum né un ricatto. Anch'io ho detto esplicitamente che non dobbiamo né vogliamo costringere nessuno. Rivolgiamo un appello, una preghiera, al governo ceco di comportarsi secondo i dettami del diritto comunitario, attenendosi alla Convenzione di Espoo, anche se non l'ha ancora ratificata.

 
  
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  Nielson, Commissione. - (EN) La Commissione ha seguito il dibattito politico sulla centrale nucleare di Temelin con estrema attenzione. Ha spesso evidenziato l’importanza del rispetto di alti livelli di sicurezza nucleare da parte dei paesi candidati, in armonia con le risoluzioni del Consiglio sull’argomento. La Commissione partecipa attivamente alle delibere del Consiglio che si prefiggono di valutare e assicurare che l’alto livello di sicurezza nucleare nei paesi candidati sia un requisito fondamentale per l’adesione all’Unione Europea.

La responsabilità della certificazione della sicurezza delle centrali nucleari spetta all’ente ceco per il nucleare. La Commissione ha collaborato con le autorità ceche allo scopo di aumentare le competenze di tale ente. Le autorità ceche hanno assicurato che l’autorizzazione all’apertura dell’unità 1 della centrale nucleare di Temelin non sarà rilasciata finché non saranno risolte tutte le questioni aperte secondo il parere dell’ente per il nucleare.

Sulla base delle leggi vigenti nella Repubblica ceca, la concessione dell’autorizzazione è subordinata ad una valutazione dell’impatto ambientale. La Commissione ritiene che le autorità ceche rispetteranno tale disposizione. L’onorevole Adams chiede se i cechi abbiano tenuto in considerazione le ispezioni e le opinioni dell’AIEA. La risposta è “sì”. L’AIEA ha riesaminato le modifiche apportate ai sistemi di sicurezza dai cechi sulla base dei programmi dell’agenzia. L’AIEA ha concluso che i cechi hanno affrontato le questioni delicate in maniera appropriata.

Queste sono le informazioni che sono in grado di fornire sull’argomento.

 
  
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  Presidente. – La discussione congiunta è chiusa.

La votazione avrà luogo tra qualche minuto, alle 17.30.

 

9. Incendi in Europa
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta, le seguenti proposte di risoluzione:

- B5-0703/2000, presentata dalla onorevole Malliori e altri, a nome del gruppo PSE, sugli incendi delle foreste in Europa;

- B5-0724/2000, presentata dall’onorevole Hatzidakis e altri, a nome del gruppo PPE-DE, sugli incendi in Europa settentrionale;

- B5-0746/2000, presentata dalla onorevole Ainardi e altri, a nome del gruppo UEN, sugli incendi nelle regioni mediterranee;

- B5-0747/2000, presentata dall’onorevole Korakas e altri, a nome del gruppo GUE/NGL, sugli incendi in Grecia.

 
  
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  Malliori (PSE). - (EL) Signor Presidente, senza voler ignorare i casi di dolo, va sottolineato che gli incendi, che anche quest’estate hanno distrutto molti boschi del Mediterraneo, sono stati causati soprattutto dall’innalzarsi delle temperature e da una prolungata siccità.

Il rapido mutamento climatico si ripercuote sull’intero ecosistema. Gli scienziati segnalano il pericolo derivante dai nostri sconsiderati interventi sulla natura, che hanno come conseguenza anche fenomeni atmosferici di particolare violenza. Negli ultimi anni l’Europa meridionale è stata flagellata da incendi sempre più frequenti e il bacino del Mediterraneo è diventato una regione ad alto rischio, che necessita di un approccio particolare. Quest’anno nel mio paese, la Grecia, sono stati registrati più di 500 incendi, che per la maggior parte hanno avuto conseguenze limitate. Ci sono però stati casi in cui l’incendio è sfuggito ad ogni controllo, causando vittime e danni ingenti. Vorrei esprimere il mio cordoglio ai familiari delle vittime e alle persone colpite da tali problemi nell’intera regione.

Signor Presidente, credo che adottare una strategia europea per la salvaguardia dei boschi sia una responsabilità politica e una priorità immediata. Ritengo anche che sia imprescindibile reintrodurre la linea di bilancio per le catastrofi naturali. Penso che la Commissione debba esercitare tutta la sua influenza sugli Stati membri per rendere più rigorosa la normativa sul cambio di destinazione dei terreni, per imporre il rimboschimento dopo un incendio, per provvedere ad un’opportuna formazione dei responsabili locali e regionali delle attività di spegnimento, nonché per avviare una campagna d’informazione sui vantaggi offerti dai boschi e sui metodi di salvaguardia e per incoraggiare la partecipazione di volontari allo spegnimento degli incendi.

 
  
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  Trakatellis (PPE-DE). - (EL) Signor Presidente, come sempre a settembre tracciamo un tragico bilancio delle vittime e degli ettari di bosco distrutti dagli incendi. Gli incendi sono certamente dovuti al mutamento delle condizioni climatiche e al tempo atmosferico che caratterizza il Mediterraneo d’estate, ma sono anche la conseguenza di atti criminosi. Possono avere anche altre cause – come ad esempio la combustione in discarica – e la mancanza di strutture amministrative o di una strategia complessiva e coordinata aggrava l’effetto distruttivo degli incendi.

Quali sono le proposte che possiamo avanzare? Anzitutto gli Stati membri e la Commissione dovrebbero adeguare i programmi di sviluppo regionale e applicare le misure di prevenzione, reintegrazione dei danni e rimboschimento, usando ad esempio l’iniziativa comunitaria INTERREG. Inoltre la creazione di un catasto dei boschi sarebbe determinante e contribuirebbe alla tutela e al potenziamento del patrimonio ecologico, nonché alla lotta contro le speculazioni sui terreni.

Sono però necessari coordinamento e cooperazione a livello europeo, signor Presidente, e quindi invito la Commissione a proporre la creazione di un centro europeo per la prevenzione degli incendi e per lo studio sistematico e l’adozione di nuove tecnologie per la prevenzione e la lotta agli incendi. Mi voglio spingere più in là: è giunto il momento che la Commissione elabori una strategia integrata di difesa per coordinare le azioni e le misure nazionali contro le catastrofi naturali e quelle causate dall’uomo. Una simile attività dovrebbe sempre essere svolta nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà.

Signor Presidente, mi auguro che queste proposte troveranno positiva accoglienza da parte della Commissione, in modo da garantire una salvaguardia più efficace per i nostri boschi.

 
  
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  Isler Béguin (Verts/ALE).(FR) Signor Presidente, come se si trattasse di una malattia cronica e stagionale, anche l’estate del 2000 è stata segnata dagli incendi, le cui ferite per i nostri paesi e per il nostro continente si estendono su migliaia di ettari, diventando persino luoghi di morte per coloro che si battono contro il fuoco e per i residenti, vittime di una fine tragica.

Questo flagello ha un’origine criminale, è imputabile a piromani irresponsabili, a cui devono essere inflitte sanzioni dissuasive, o a mandanti senza scrupoli che sono pronti a tutto per impossessarsi delle aree non edificabili, per i quali la moltitudine di strumenti giuridici repressivi deve fungere da deterrente. Sono però individuabili anche altre cause, come la mancanza di attività agro-pastorali in Corsica, ad esempio, o la mancanza di strategie concrete, basate su banche dati geografiche, per la gestione dello spazio rurale che valorizzi le risorse naturali limitando il pericolo di incendio. Manca inoltre una vera educazione all’ambiente che vada al di là delle campagne di prevenzione e di sensibilizzazione.

L’epidemia estiva è curabile, signor Presidente. E’ fondamentale riequilibrare gli orientamenti di determinate politiche di sfruttamento del suolo, come quelle sull’allevamento in Corsica, e di valutare le assegnazioni dei premi in funzione dei contesti economici e della prevenzione. Queste disposizioni che agiscono a monte non possono soppiantare gli investimenti necessari in adeguate attrezzature antincendio per coprire tutti i paesi dell’Unione situati nell’area a rischio. I cittadini interessati contano su misure concrete da parte della Commissione.

 
  
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  Papayannakis (GUE/NGL). - (EL) Signor Presidente, quest’anno gli incendi nel bacino del Mediterraneo, e soprattutto in Grecia, hanno segnato un record storico. Credo che sia andato bruciato il doppio degli ettari degli anni precedenti e numerose sono state le vittime umane, malgrado il governo greco si fosse preparato e la Grecia potesse vantare potenti mezzi in termini di attrezzature, aerei e risorse umane – tra i migliori al mondo ai fini della lotta agli incendi. Si è dovuto constatare, però, che un intervento repressivo non basta e che si deve pensare alla prevenzione. Lo diciamo tutti, ma non facciamo niente. Si tratta indubbiamente di una questione complessa che riguarda anche le autorità locali e il governo nazionale.

Che cosa può fare l’Unione? Può rendere più attiva la politica di base, potenziando il coordinamento e gli interventi e prestando attenzione ai punti deboli della politica agricola comune, che spinge ad andarsene coloro che vivono nei boschi e che da essi dipendono economicamente. Mentre il bosco cerca di rigenerarsi e ricrescere in modo naturale, la PAC sovvenziona il pascolo degli animali sui terreni andati bruciati. L’Unione deve quindi rivedere i suoi orientamenti e le priorità di investimento. Da tempo chiediamo a gran voce un catasto e una carta dei boschi, che andrebbero considerati come prioritari rispetto a tutto il resto, e reclamiamo misure di sviluppo e di investimento che rientrino nel progetto di sviluppo dei boschi in quanto tali e non come oggetto di consumo; in altre parole, si deve consentire a chi vive grazie ai boschi di continuare a vivere in quest’ambiente, perché questa è la migliore strategia di prevenzione e salvaguardia.

Gli incendi continueranno a scoppiare a causa dei mutamenti climatici e saranno sempre più gravi, ma almeno così potremo cercare di fare il possibile per scongiurare le cause che ci sono note.

 
  
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  Coelho (PPE-DE). (PT) Signor Presidente, anche il Portogallo è stato colpito dai terribili incendi boschivi scoppiati sia per cause naturali sia per dolo, in particolare per riprovevoli motivi di interesse economico.

Sappiamo che si tratta di un campo di competenza soprattutto degli Stati membri che devono organizzarsi e rafforzare i mezzi di lotta e di prevenzione in loro possesso e che devono dare la priorità sia a tali azioni sia all’opera di rimboschimento nell’ambito dei programmi nazionali di sviluppo regionale. Occorre inoltre consolidare una strategia forestale europea con mezzi tecnici e finanziari in grado di potenziare e integrare le risorse nazionali. In tal senso sottolineo la proposta che il Parlamento formula al punto 12 della risoluzione a favore della creazione di un centro europeo per la prevenzione degli incendi e suggerisco di istituirlo con sede in Portogallo.

 
  
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  Nielson, Commissione. - (EN) La Commissione si rammarica molto per le perdite di vite umane, nonché per i danni ecologici ed economici causati dai recenti incendi forestali in Europa.

Nel corso di questa discussione è stato citato il principio di sussidiarietà. Dobbiamo evitare di creare aspettative eccessive, dando alla Commissione un numero troppo elevato di compiti. Dobbiamo prestare attenzione a non promettere cose che non siamo in grado di mantenere; sinceramente, l’abbiamo visto fare anche troppo in passato. Dovremmo stare attenti, quando affrontiamo discussioni come questa, a non dare per scontato che la Commissione risolverà il problema. Possiamo e dobbiamo fare qualcosa; tuttavia, mi premeva esporre questa considerazione a titolo cautelativo.

Per arrivare al punto principale di questa discussione, ovvero l’istituzione di una voce di bilancio per gli aiuti d’emergenza, la Commissione sta ora vagliando l’opportunità di proporre una base giuridica per tale voce.

Tuttavia, la Commissione potrebbe considerare l’opportunità di offrire sostegno finanziario per il ripristino della piena produzione forestale sulla base del Regolamento per lo sviluppo rurale n. 1257/1999. Secondo le autorità greche, i contributi finanziari offerti dai fondi agricoli non sono sufficienti ad apportare un contributo significativo al rimboschimento.

La Commissione dunque invita le autorità greche a presentare proposte di modifica del programma di sviluppo, in modo che sia possibile valutare l’ammontare degli stanziamenti necessari.

Vorrei richiamare la vostra attenzione sul regolamento CE n. 2158/1992, in base al quale possono essere finanziate azioni preventive in relazione agli incendi nei boschi. Ogni Stato membro dovrebbe verificare che siano state adottate tutte le misure preventive possibili per ridurre al minimo il rischio di incendi. Sono già in vigore o stanno per entrare in vigore nuove iniziative della Commissione. La Commissione si accinge a valutare una proposta relativa ad una decisione del Consiglio che istituirebbe un meccanismo comunitario per il coordinamento delle azioni di protezione civile in situazioni d’emergenza, allo scopo di migliorare l’assistenza reciproca tra Stati membri. Tale strumento avrebbe anche un importante effetto collaterale, nel senso che aiuterebbe i paesi terzi a gestire emergenze inaspettate o disastri che non sarebbero in grado di affrontare da soli. Attraverso questo meccanismo di coordinamento gli Stati membri saranno invitati a segnalare gruppi pronti ad intervenire in tempi molto brevi.

La Commissione ha da poco avviato un progetto che si avvale di un sistema satellitare per migliorare le informazioni sui centri operativi antincendio nella regione del Mediterraneo allo scopo di valutare i livelli di rischio in breve tempo. Vedremo se questo potrà portare a un sistema per la rilevazione tempestiva degli incendi nei boschi. La Commissione sta inoltre incoraggiando gli Stati membri a rafforzare la loro capacità d’intervento. Il Fondo regionale e il Fondo di coesione hanno già contribuito in maniera significativa nel periodo 1994-99. Gli organismi nazionali dovrebbero fornire le risorse finanziarie necessarie a consolidare questa azione per il periodo 2000-06.

In linea di massima, la decisione sull’acquisizione di tali attrezzature antincendio continuerà a spettare agli Stati membri. Sono previsti seminari di autoapprendimento dedicati alla lotta agli incendi nei boschi. Tuttavia, la Commissione non ha a disposizione risorse sufficienti per estendere ulteriormente le sue attività. E’ possibile utilizzare i Fondi strutturali per la ricostruzione a seguito di catastrofi naturali; altre volte negli ultimi anni ci si è avvalsi di tale risorsa.

 
  
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  Presidente. – Grazie, signor Commissario.

La discussione è chiusa.

La discussione su pronlemi di attualità, urgenti e di notevole rilevanza è chiusa.

Passiamo ora alla votazione.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. INGO FRIEDRICH
Vicepresidente

 
  
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  Morillon (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, come altri colleghi, sono appena stato informato dell’evoluzione della situazione nell’Afganistan settentrionale dove, dopo due mesi di offensiva continua i talebani hanno preso la città di Toliqan, mietendo moltissime vittime tra i civili e i militari. E’ troppo tardi per introdurre una risoluzione in proposito con la procedura d’urgenza. Signor Presidente, la invito a domandare alla Conferenza dei presidenti di chiedere al Consiglio e alla Commissione di presentare una dichiarazione, da presentare nel corso della prossima sessione di Bruxelles, sull’azione che l’Unione potrebbe perseguire per favorire una soluzione politica in Afganistan e per mettere fine all’inutile bagno di sangue.

 
  
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  Presidente. – Grazie onorevole Morillon, la sua richiesta verrà trasmessa.

 
  
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  Sakellariou (PSE).(DE) Signor Presidente, vorrei dichiararmi d'accordo con la proposta dell'onorevole Morillon. Anche a nome del mio gruppo sottolineo l'importanza che attribuiamo alla dichiarazione del Consiglio su questo argomento, e le chiedo di volerne informare la Conferenza dei presidenti.

 
  
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  Presidente. – Lo farò volentieri, onorevole collega.

 
  
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  Sakellariou (PSE).(DE) Signor Presidente, in relazione alla votazione, vorrei pregare il presidente della commissione per i bilanci di farci sapere se dispone de i mezzi finanziari richiesti dagli articoli 12 e 14 della proposta di risoluzione sugli incendi in Europa che abbiamo appena votato.

 
  
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  Wynn (PSE), presidente della commissione per i bilanci. - (EN) Signor Presidente, questo dimostra quanto sia insensato prendere decisioni a caldo. La questione non è mai stata discussa a livello di commissione. Ci sono richieste di fondi, che non esistono; nessuno ha detto da dove andrebbero attinti. Si tratta di un’urgenza che è stata votata da questo Parlamento. Lo accettiamo, ma è assurdo.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Ho compreso molto bene il suo messaggio, onorevole Wynn.

 

10. Situazione nelle isole Figi dopo il colpo di Stato
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  Presidente. – L'ordine del giorno reca la dichiarazione della Commissione sulla situazione nelle isole Figi dopo il colpo di Stato. Do la parola al Commissario Nielson.

 
  
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  Nielson, Commissione. - (EN) Il rilascio degli ostaggi il 13 luglio, l’arresto del leader ribelle e dei suoi principali sostenitori il 26 luglio, nonché gli sforzi del governo per ripristinare l’ordine pubblico sono certamente elementi di soddisfazione. Tuttavia, permangono serie preoccupazioni riguardo al futuro delle Figi.

In primo luogo, il ricorso alla violenza da parte di certi gruppi etnici per imporre il loro dominio sulle altre comunità è inaccettabile. In secondo luogo, deve essere ristabilito il governo democratico; l’attuale governo ad interim non ha una base democratica. Dovrebbe esserci un progetto preciso per il completo ripristino dei principi e delle pratiche democratiche; bisogna reintrodurre la costituzione del 1997, che sancisce il principio dell’uguaglianza dei diritti per tutti i cittadini delle Figi. Tale processo andrebbe portato a termine molto rapidamente; i tempi proposti fino a questo momento, ovvero due o tre anni, sono decisamente troppo lunghi.

Dev’essere posto fine all’antagonismo etnico nelle Figi; la cooperazione e l’armonia fra le diverse razze devono diventare una realtà. Il raggiungimento di questo obiettivo potrebbe richiedere una mediazione internazionale. Se vogliamo essere realistici, dobbiamo appoggiare qualunque passo verso la stabilità senza perdere di vista lo scenario fin qui descritto. La comunità internazionale e i donatori di aiuti alle Figi concordano su questi principi.

Per quanto riguarda l’Unione europea, il Consiglio ha informato le Figi della sua richiesta di dare inizio alle consultazioni sulla base dell’articolo 366 della Convenzione di Lomé, che prevede un attento esame della situazione sulla base di informazioni che devono essere fornite dalle Figi. La relazione della missione esplorativa dei ministri ACP nelle Figi, svoltasi a metà agosto e guidata dal Ministro degli esteri di Papua Nuova Guinea, fornirà ulteriori dati. Inoltre, la Commissione ha ricevuto informazioni direttamente dal Primo ministro legittimo Chaudhry, il 31 agosto scorso.

Siamo nella fase iniziale delle consultazioni. Se tali consultazioni non porteranno a una soluzione accettabile per entrambe le parti, si ricorrerà alle misure previste dall’articolo 366. Tutto ciò che si può dire al momento è che qualunque misura si adotti - se se ne adotteranno - non dovrà colpire i poveri e coloro che soffrono a causa della grave crisi economica scatenata dai recenti avvenimenti. Dunque, i progetti destinati alla lotta contro la povertà dovrebbero continuare. In conclusione, auspico che gli sforzi coordinati della comunità internazionale di donatori sortirà l’effetto desiderato sull’attuale governo delle Figi.

Anche se dovessimo raggiungere lo scopo che ci prefiggiamo, ovvero il ripristino dei principi democratici e di un governo scelto grazie ad elezioni eque e corrette nel giro di meno di due anni, si tratterà solo del primo passo verso la soluzione della questione delle Figi. Sarà necessario un grande impegno a lungo termine da parte di tutte le parti in causa e in primo luogo da parte del governo e delle comunità delle Figi per lavorare sui pregiudizi e sulle paure ormai radicati in modo che la cooperazione e l’armonia tra le razze nelle Figi possano essere ripristinate e diventare una realtà. Ciò è essenziale e non ci sono alternative.

 
  
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  Van Hecke (PPE-DE).(NL) Signor Presidente, gli avvenimenti che si sono verificati nelle isole Figi nel corso degli ultimi mesi sembrano tratti da una soap opera. Purtroppo si tratta della realtà nuda e cruda, per di più in un paese ACP che gode di considerevoli vantaggi nel quadro del protocollo sullo zucchero siglato con l’Unione europea. E’ paradossale che il nuovo accordo di partenariato, che pone l’accento sul valore della democrazia, sia stato firmato nelle isole Figi proprio nel momento in cui si assisteva un colpo di stato, ennesimo segno della fragilità della democrazia anche in quei paesi in cui rappresenta una realtà consolidata.

La storia delle Figi, tuttavia, è ancora più complessa! I rapporti di potere tra la popolazione autoctona e gli abitanti di origine indiana, che rappresentano il 44 percento della popolazione, sono delicati. Il ruolo svolto dall’esercito è poco chiaro. Gli attacchi alle proprietà indiane sono stati perpetrati senza che le forze dell’ordine intervenissero e l’esercito si è schierato dalla parte dei responsabili del colpo di stato. Non dimentichiamo le recenti rivelazioni in merito al ruolo di Speight nella lucrativa industria del legno, che gettano nuova luce sull’intera vicenda. Secondo recenti informazioni, è stato destituito dalla carica di presidente dall’industria di stato che gestisce le piantagioni di mogano. Quest’anno aveva minacciato di accaparrarsi un importante contratto per lo sfruttamento del legno tropicale. Tutto ciò fa nascere il sospetto che alla base del colpo di stato vi siamo interessi personali di natura economica e non politica. A prescindere da tutto ciò, con il suo operato antidemocratico, Speight ha condotto il paese ad una profonda crisi politica ed economica. Il turismo, che rappresenta un quinto del prodotto interno lordo, è sceso a meno di un terzo. I rapporti tra i diversi gruppi etnici sono sempre più tesi. Migliaia di abitanti di origine indiana sono in fuga; inoltre gli avvenimenti delle Figi mettono una seria ipoteca sulla promettente dinamica in atto nella regione che doveva trovare il proprio coronamento nel Pacific Regional Trade Agreement. Il Parlamento, che nei propri accordi con i partner ACP ha posto rigorose condizioni in termini di democrazia e diritti dell’uomo, non può assolutamente accettare una situazione del genere. Dobbiamo continuare ad esigere la garanzia della sicurezza per tutti i cittadini e la punibilità di qualsivoglia forma di divisione o istigazione all’odio tra le varie etnie. Speight non può continuare ad agire indisturbato. Dobbiamo promuovere soprattutto il ripristino della democrazia nel quadro della costituzione del 1997, che garantisce pari diritti a tutti gli abitanti delle Figi, e l’organizzazione di elezioni il prima possibile. Un periodo di transizione di tre anni è inaccettabile. Qualora il governo ad interim non riesca entro un termine ragionevole a garantire il ritorno all’ordine democratico, dovremmo intraprendere la via delle sanzioni - dando la precedenza alle smart sanctions - e del blocco degli aiuti strutturali. Le consultazioni prenderanno il via in settembre. Spero che, in ogni caso, la Commissione si atterrà ai propri principi e non cederà a pressioni di carattere politico o economico. Ora che siamo all’inizio di un nuovo accordo di partnership tra l’Europa e i suoi partner tra i paesi ACP è fondamentale non creare alcun precedente.

 
  
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  Ford, Glyn (PSE).(EN) Signor Presidente, nel complesso sono soddisfatto per quanto detto sia dall'oratore precedente che dal Commissario Nielson a nome della Commissione.

Tuttavia non condivido la sua convinzione che le violenze siano terminate nelle Figi. Insieme ad altri onorevoli colleghi, la scorsa settimana ho avuto un incontro con il Primo ministro Mahendra Chaudhry, che ci ha informato del fatto che nelle Figi gli atti di violenza contro gli indo-figiani continuano. In secondo luogo, non sono d'accordo sul carattere fondamentalmente etnico dell'antagonismo nelle Figi. Considerando la genesi del colpo di stato, mi sembra che le cause siano di natura economica più che etnica. Ritengo positivo che sia stato invocato l'articolo 366 della Convenzione di Lomé.

Esaminiamo quello che è avvenuto. C'è stata una schiacciante vittoria elettorale del Partito laburista figiano nelle elezioni politiche del 1999, nelle quali insieme ai partiti di coalizione ha conquistato 58 dei 71 seggi e ha spodestato il governo di destra. In seguito, vi sono stati sistematici tentativi di destabilizzazione del nuovo governo ad opera di elementi dell'ex partito di governo e di gruppi di estremisti nazionalisti, con l'inconsistente pretesto di proteggere gli interessi indigeni. E' interessante notare che, anche se Mahendra Chaudhry è di origini indo-figiane, di fatto 12 dei 18 membri del suo gabinetto sono figiani indigeni e il suo governo è sostenuto da una maggioranza di parlamentari di origine figiana.

L'operazione di destabilizzazione è stata finanziata da alcuni settori del mondo imprenditoriale privato, spaventati dal radicale programma di riforma sociale e di lotta contro la povertà del governo, e dalle sue strette relazioni con il movimento sindacale. Tra i principali finanziatori si trovavano gruppi industriali interessati ai diritti di sfruttamento del mogano e delle foreste vergini di latifoglie.

Singolarmente, la polizia e l'esercito non sono riusciti a proteggere e difendere il governo. Quando il 19 maggio il governo di coalizione eletto dal popolo è stato sequestrato, accanto a Speight e alla sua banda c'erano i membri del corpo speciale controrivoluzionario delle forze armate. Quello che è avvenuto nelle Figi non è niente di meno di un colpo di stato dell’apparato militare e industriale. Di fatto si tratta di un altro Cile, anche se su scala ridotta.

Di conseguenza, la costituzione del 1997 è stata stracciata, e l'esercito ha posto al potere un governo effettivamente controllato dai sostenitori del golpe. L'esercito tenta di scaricare le proprie colpe perseguendo una piccola parte dei responsabili, cioè il gruppo che fa capo a Speight.

Ritengo che il Parlamento europeo, la Commissione ed il Consiglio dei ministri debbano sostenere le proposte della coalizione popolare condotta dal partito laburista: ripristinare la costituzione del 1997 e, in uno spirito di conciliazione nazionale, formare un’ampia coalizione di governo. Se ciò non avvenisse, se non si ponesse fine alla deriva verso una forma di apartheid nelle Figi, dove gli indo-figiani, che rappresentano quasi la metà della popolazione, stanno diventando dei cittadini di seconda classe cui vengono espropriate le case e sottratti i posti di lavoro, noi allora dovremmo cercare sostegno per l'imposizione di sanzioni contro l'attuale governo.

Dobbiamo appoggiare le iniziative del Premier neozelandese Helen Clark a favore di un'azione concertata a livello bilaterale, regionale e mondiale. Come ha detto l'onorevole Van Hecke, tale azione deve includere aspre sanzioni mirate ai responsabili del colpo di stato, privandoli del diritto di lasciare il paese, congelando i loro beni all'estero e applicando loro, una volta catturati, quanto prevede la Convenzione sugli ostaggi delle Nazioni Unite.

Secondo: le Figi devono essere escluse da tutti gli eventi sportivi e culturali internazionali. Terzo: si deve rifiutare ogni assistenza economica e militare diretta all'attuale governo oppure realizzata tramite di esso. La questione delle Figi è importante, non solo in sé, ma perché stabilirà un precedente per le possibilità di successo di simili gruppi di aspiranti golpisti semiclandestini e per la disponibilità dell'Europa e del mondo sviluppato ad affrontare la questione dei diritti indigeni, la variante del terzo mondo del razzismo che ci minaccia tutti.

 
  
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  Maes (Verts/ALE).(NL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, il colpo di stato nelle Figi del maggio di quest’anno non è stato il primo, ma segue quello del 1987, conclusosi con l’esclusione del paese dal Commonwealth. Di fronte a questo nuovo avvenimento risulta evidente che le tensioni, in particolare di natura etnica, sono molto più radicate di quanto si potesse credere. Tali tensioni tra gli abitanti delle Figi e la popolazione di origine indiana sono state la causa anche del precedete colpo di stato. Con il 44 percento di indiani contro il 64 percento di autoctoni non ci si trova certo di fronte a una situazione equilibrata. Posso immaginare che il liberarsi dai pregiudizi, come ricordava lei, signor Commissario, in situazioni del genere non sia così semplice. La disoccupazione alimenta le tensioni e il governo, eletto democraticamente, è stato destituito dal golpe militare. Ciò che trovo particolarmente preoccupante è la possibilità che il conflitto si estenda ad altre isole con i medesimi problemi e tensioni simili. E’ il contrario di quanto avevamo in mente e cui si è già accennato: la creazione di un grande Pacific Regional Trade Agreement tra 14 nazioni. Se non prestiamo sufficiente attenzione, ci potremmo trovare di fronte al primo grande conflitto nel Pacifico, in grado di influire sulla situazione nella regione per decenni.

Mi chiedo dunque se questo colpo di stato non preannunci l’insorgere di una situazione ancora più grave. Inoltre mi domando: in cosa consiste la politica di prevenzione comunitaria? Quali azioni si intraprendono per condurre un paese come questo sulla strada verso uno Stato di diritto democratico, lontano da situazioni di emergenza, punire i colpevoli, come giustamente richiesto, sicurezza per i cittadini, mi sembra elementare, in un paese in cui migliaia di persone sono in fuga a casa loro; un parlamento che dovrebbe essere convocato di nuovo in autunno, un governo riorganizzato in senso democratico. In alcune delle nostre risoluzioni si legge: un governo cui possa partecipare anche l’opposizione, ma ciò presuppone un accordo, un accordo che non è nulla di più della costituzione multirazziale del 1997, che all’epoca venne approvata da tutti, ma che non viene applicata.

Signor Commissario, l’Unione europea è il partner commerciale più importante delle Figi e anche il principale donatore. Come possiamo tradurre questo ruolo in un efficace strumento di pace? Non potremmo nominare un mediatore o istituire un’istanza di mediazione di concerto con le Nazioni Unite e il Commonwealth? Gli accordi di Kotonu prevedono un partenariato per lo sviluppo e la pace. Anche la Convenzione di Lomé prevede una serie di procedure, in particolare l’articolo 366, cui si è già fatto riferimento. Tali procedure dovrebbero essere applicate in modo scrupoloso e sensato, mettendo da parte ogni ingenuità. Auspichiamo che la Commissione possa ripresentarsi di fronte a questa Assemblea alla fine dell’anno presentando una relazione sugli sviluppi nelle isole Figi e nell’intera regione, nonché sugli sforzi compiuti dall’Unione europea.

 
  
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  Meijer (GUE/NGL).(NL) Signor Presidente, gli avvenimenti accaduti nelle Figi negli scorsi mesi non costituiscono un incidente isolato. Non ci troviamo di fronte a un uomo d’affari razzista impazzito, a un esercito infedele, agli interessi dell’industria del legno e a uomini politici che accettano l’abolizione di una costituzione democratica. Questi avvenimenti sono strettamente legati ai rapporti tra popolazione e Stato in generale e alla storia e alla composizione etnica della popolazione delle Figi in particolare.

Il colonialismo europeo ha reso possibile l’immigrazione di forza lavoro da un’altra zona dell’impero coloniale britannico, per cui ora gli abitanti di origine indiana, pari al 44 percento della popolazione, rappresentano quasi la maggioranza. La popolazione autoctona di per sé non si è mai espressa a favore dell’immigrazione, ma non si può negare che la composizione della popolazione è considerevolmente mutata. I discendenti dei nuovi arrivati si sentono giustamente parte della popolazione locale con gli stessi diritti, mentre gli abitanti originari delle isole non accettano di buon grado questa situazione. Una situazione comparabile a quella che si riscontra in Suriname, Guyana, Trinidad e Sud Africa, paesi in cui sono giunti popoli di origine molto diversa a seguito del colonialismo europeo. Si tratta di gruppi etnici le cui lingue, culture, religioni e tratti somatici hanno ben pochi punti in comune, che convivono in comunità chiuse sullo stesso territorio, sebbene, per la maggior parte, in insediamenti e quartieri cittadini distinti.

In questi paesi le tensioni tra i vari gruppi etnici sono spesso evidenti. Talvolta alcuni membri di un gruppo ritengono di valere di più degli altri, ma spesso si tratta della vigorosa difesa dei propri interessi e delle scarse risorse nei confronti del gruppo rivale. Rivali che vivono sullo stesso territorio, esercitano le stesse professioni e hanno bisogno delle stesse case, quando in realtà manca tutto. In Sud Africa questa situazione ha condotto alla nascita di un terribile regime di ineguaglianze e repressione, l’apartheid.

Nel frattempo gli abitanti di questi paesi sono giunti sempre più alla conclusione che nessuno vale più di un altro e che non esiste altra scelta se non andare avanti insieme. Ciò non toglie che vi siano sempre gruppi chiusi che vivono uno accanto all’altro senza riuscire ad integrarsi in un unico popolo. Gli uomini politici e gli avventurieri che istigano questi gruppi al contrasto hanno a loro disposizione un terreno fertile. Questa è l’enorme differenza rispetto agli attuali Stati europei, che si sono uniti in una sola popolazione, che hanno una storia comune, parlano una lingua e condividono, più o meno, la stessa cultura. Questo vale per paesi antichi, come i Paesi Bassi, la Danimarca e il Portogallo, ma anche per stati relativamente giovani, come la Polonia, l’Italia, la Romania e la Germania, o giovanissimi come la Repubblica ceca, la Slovenia o la Lituania. Proprio per il fatto che esiste un legame indissolubile tra lo stato e la popolazione che rappresenta la maggioranza dei suoi abitanti, essi sono aperti nei confronti delle minoranze e dei nuovi arrivati e possono mantenere viva la democrazia.

Tuttavia, anche i paesi europei conservano un brutto ricordo dei primi stranieri che hanno messo piede sul loro territorio e che si presentavano come soldati, briganti o oppressori. Si tratta di gruppi che hanno causato solo danni per la popolazione locale, che preferiva quindi vedere partire i loro discendenti o saperli adattati completamente, tanto da diventare irriconoscibili.

L’Europa riconosce il diritto dello Stato di Israele e della Palestina di vivere l’uno accanto all’altro, come è risultato evidente ancora una volta questa settimana dalla visita dei Presidenti di entrambi i Parlamenti. I due popoli non possono vivere pacificamente in un solo Stato, ma possono farlo come buoni vicini.

Signor Presidente, l’Europa è colpevole e dovrebbe contribuire a risolvere i problemi esistenti. Ciò non toglie che l’attuale situazione nelle Figi sia assolutamente inaccettabile. I pari diritti della minoranza indiana, la costituzione e una democrazia parlamentare devono tornare ad essere realtà concrete. Coloro che sfruttano il razzismo devono essere puniti e devono essere come minimo esclusi dal potere politico. I profughi devono poter ritornare a casa e la violenza deve cessare. La costituzione multirazziale del 1997, oggetto di lunghi negoziati all’epoca dopo un altro colpo di stato, deve entrare in vigore.

 
  
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  Wynn (PSE).(EN) Signor Presidente, parlo da amico delle Figi, da persona che ne ha seguito gli eventi da molti anni. In questo paese ho amici e conoscenti. L'ultima volta che ci sono stato, tre o quattro anni fa, ho parlato con i politici, e la cosa che soddisfaceva tutti era proprio la nuova costituzione che aveva richiesto quattro anni di stesura. Così ho assistito con sgomento ai recenti eventi, perché ne conosco le conseguenze per il paese.

Vorrei un chiarimento da lei, signor Commissario. Da quello che lei ha detto, desumo che lei è contrario alle sanzioni, che si tratta di stare a vedere e di dare ai figiani il tempo di risolvere da soli la questione prima di intraprendere qualsiasi azione da parte nostra. Vorrei chiarezza su questo punto. Non vorrei lasciare quest'Aula con una mera supposizione: gradirei se lei potesse essere più esplicito.

L'onorevole Ford ha invocato l'esclusione delle Figi da tutti gli eventi sportivi. Si dà il caso che il mio sport preferito sia uno sport di minoranza, il rugby, e in ottobre o novembre nel Regno Unito e in Francia si terrà la Coppa del mondo, cui prenderà parte anche una squadra figiana. Il governo australiano vuole che le Figi vengano escluse e ritiene che non debbano partecipare a questa competizione. Se lo si chiede con i giocatori, siano essi asiatici, polinesiani o melanesiani, essi desiderano giocare.

La domanda specifica che le rivolgo, signor Commissario, è: in questo caso la Commissione è favorevole ad un’esclusione dagli eventi sportivi oppure no?

 
  
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  Nielson, Commissione.(EN) Può essere molto utile per noi politici confrontarci con la questione se sport e politica debbano aver qualcosa a che fare l'uno con l'altra oppure no. Chiedersi se vi siano attività umane che debbano essere totalmente indipendenti dalle altre è un utile esercizio di analisi dei nostri principi. Oggi lo sport non è solo sport, è anche un business. Per tale ragione il mondo dello sport risente di maggiori difficoltà di quanto non avvenisse in tempi più innocenti.

Per quanto ne so io gli australiani, diversamente dalla linea che lei mi dice stanno seguendo con il rugby, tengono rigorosamente distinti politica e sport per quanto riguarda la partecipazione ai Giochi olimpici. La Commissione non ha una posizione specifica per l'uno o l'altro evento. Attualmente, siamo impegnati nel dialogo nell’ambito della Convenzione di Lomé e in questa fase non siamo ancora pervenuti a delle conclusioni.

In risposta alla sua domanda più generale, è possibile anche arrivare a delle sanzioni più ampie, ma tutto dipenderà dal risultato del dialogo. Tale dialogo si fonda su basi solide e sistematiche grazie alle eccellenti relazioni di cui godiamo con i paesi ACP. Non si tratta solo di una relazione tra donatore e ricevente. Lavoriamo in base a un sistema che viene applicato nella specifica situazione attuale. Le opzioni sono ancora aperte e noi abbiamo in mano sia il bastone che la carota. Stiamo attivamente coinvolgendo nel dibattito i partner ACP della regione e diamo alle autorità del paese la possibilità di partecipare alla discussione. Tuttavia, la situazione è assai critica, con tutti i problemi che situazioni difficili come questa presentano normalmente.

Non è facile sapere che cosa sia più corretto fare, ma stiamo facendo di tutto per mobilitare le pressioni a favore di un rapido ritorno alla democrazia.

Questa è anche la risposta per la onorevole Maes. In quanto partner commerciale e donatore delle Figi, abbiamo un ruolo importante e questo costituisce un terreno solido per il dialogo in corso con gli attuali detentori del potere.

Per quanto riguarda i miei contatti con il Parlamento europeo, posso dire che sono sempre disponibile a presentarmi alla commissione per lo sviluppo e la cooperazione per discutere qualunque tema. Prima della fine dell'anno, mi farebbe piacere avere la possibilità di entrare maggiormente nei dettagli, se la commissione lo desidera.

Sono d'accordo con quanto ha detto l'onorevole Ford. Quello che sta avvenendo è davvero tragico. Nel decidere la nostra linea di azione è anche necessario tenere in considerazione il rischio di ripercussioni negative nella regione, come hanno detto anche altri onorevoli.

All'onorevole Van Hecke risponderò che un'importante misura che è stata adottata è stato l'annullamento della cerimonia della firma prevista per le Figi. Quindi non sarà l'Accordo di Suva a governare le nostre future relazioni con i paesi ACP. Durante l'estate, invece che alle Figi siamo andati nel Benin. Di fatto si è trattato si una misura forte da parte sia dell'Unione europea sia dell'ACP, adottata tenuto conto che non sarebbe stato possibile firmare il nuovo accordo nelle Figi. In termini politici si è trattato quindi di un messaggio forte.

 
  
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  Ford, Glyn (PSE). (EN) Signor Presidente, nella proposta comune di compromesso si fa riferimento alla fissazione alla fine di novembre di una scadenza per il ripristino della democrazia. Il Commissario la considera accettabile come obiettivo? Il rischio è che altrimenti l'attuale governo delle Figi continui a negoziare indefinitamente, senza mai arrivare ad una conclusione.

 
  
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  Nielson, Commissione.(EN) Se pensiamo agli aspetti etici della scelta di una data, quella scadenza è di gran lunga troppo lontana. Tuttavia le ragioni operative e pratiche inducono ad esercitare pressione sulla controparte. Non sono però sicuro che quella particolare data sia particolarmente significativa.

Nel gruppo ACP abbiamo paesi che partecipano ai tentativi di convincere e fare pressioni sulle Figi perché facciano quello che è giusto. Non vorrei dettare una data in questo modo. Preferisco contare sulla partecipazione dei miei partner del sud, anche in considerazione dei rischi di ripercussioni nella regione. In questa fase non sarei favorevole alla fissazione di una data specifica. C'è l'esigenza tattica di non creare questo tipo di problema.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

Sono state ricevute, ai sensi dell'articolo 37, paragrafo 2 del Regolamento, cinque proposte di risoluzione(1).

La votazione si svolgerà domani, alle 9.

(La seduta termina alle 18.40.)(2)

 
  

(1) Cfr. Processo verbale.
(2) Ordine del giorno della prossima seduta: cfr. Processo verbale.

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