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 Indice 
Resoconto integrale delle discussioni
Mercoledì 19 settembre 2001 - Bruxelles Edizione GU
1. Ripresa della sessione
 2. Approvazione dei processi verbali delle sedute precedenti
 3. Necrologia
 4. Comunicazione del Presidente
 5. Benvenuto
 6. Lotta al terrorismo
 7. Futuro della politica di coesione
 8. Fondo di coesione (1999) - Fondi strutturali (1999)
 9. Mutilazioni genitali femminili
 10. Parità di retribuzione per pari lavoro
 11. Molestie sul posto di lavoro
 12. Inquinamento atmosferico


  

PRESIDENZA DELLA ON. FONTAINE
Presidente

(La seduta inizia alle 15.00)

 
1. Ripresa della sessione
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  Presidente. – Dichiaro ripresa la sessione del Parlamento europeo, interrotta lo scorso mercoledì 12 settembre.

 

2. Approvazione dei processi verbali delle sedute precedenti
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  Presidente. – I processi verbali delle sedute di giovedì 6 e mercoledì 12 settembre 2001 sono stati distribuiti.

Vi sono osservazioni?

 
  
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  Swoboda (PSE).(DE) Signora Presidente, so bene che oggi abbiamo questioni più importanti di cui occuparci, ma vorrei comunque ricordarle che il 6 settembre scorso avevo sollevato una contestazione riguardo al processo verbale della seduta del giorno precedente, chiedendo di incaricare la commissione competente per le questioni procedurali di verificare il risultato della votazione, che era stato modificato a posteriori. La mia richiesta mirava a chiarire non solo quel caso specifico ma anche, più in generale, l’intera materia. Verso mezzogiorno avevo poi presentato un’altra contestazione, in cui facevo riferimento a quelle circostanze. A tutt’oggi non ho però ricevuto alcuna risposta, mentre ritengo che un deputato ne abbia invece diritto.

Le pongo quindi due domande. Crede anche lei che un deputato abbia il diritto di ricevere una risposta alle sue contestazioni? In secondo luogo, quando potrò ricevere tale risposta?

 
  
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  Presidente. – Sì, onorevole Swoboda, non vi è alcun dubbio: ovviamente ritengo che un deputato abbia il diritto di ricevere una risposta alle proprie osservazioni e posso prometterle che le cose saranno sistemate.

 
  
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  Jarzembowski (PPE-DE). – (DE) Signora Presidente, è ovvio che lo stimato collega Swoboda ha il diritto di ricevere una risposta corretta. Vorrei solo chiedere ai suoi servizi di fornire tale risposta corretta sulla base della discussione svoltasi a mezzogiorno. Per usare un linguaggio morbido, aggiungo che avevo la sensazione che l’onorevole Swoboda quel giorno avesse cercato di modificare il risultato della votazione del Parlamento attraverso una modifica del processo verbale. Chiedo pertanto che la discussione che abbiamo avuto a mezzogiorno sia presa come riferimento per la risposta che i suoi servizi daranno all’onorevole Swoboda. Le chiedo inoltre di essere così gentile da inviarmene una copia. Sono assolutamente certo che i suoi servizi hanno compreso correttamente le intenzioni del Parlamento!

 
  
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  Presidente. – Onorevole Jarzembowski, esamineremo il tutto con estrema attenzione.

(I processi verbali sono approvati)

 

3. Necrologia
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  Presidente. – Onorevoli colleghi, il 4 aprile scorso accoglievamo nel Parlamento europeo il comandante Massoud. Oggi prendiamo atto che, qualche giorno prima dei terribili attentati di New York e di Washington, egli è stato vigliaccamente assassinato dagli avversari che combatteva.

Lo avevo invitato perché con sé recava le speranze della stragrande maggioranza del popolo afghano di trovare un avvenire di pace e di libertà. Egli ci aveva messi in guardia contro la collusione del regime talebano con il terrorismo internazionale e lottava con tutte le sue forze contro coloro che traviavano l'Islam facendosi beffe dei diritti più elementari della persona umana. Egli ci aveva rivolto un messaggio molto forte chiedendoci insistentemente di aiutarlo ad instaurare la pace.

Mi rammarica il fatto che allora le cancellerie occidentali non abbiano saputo cogliere tale messaggio e aiutare meglio quell’uomo coraggioso. Molti di voi l’hanno incontrato. Ci aveva colpiti per le sue qualità intellettuali e umane. Vorrei invitarvi a rendergli omaggio osservando un minuto di silenzio.

(Il Parlamento, in piedi, osserva un minuto di silenzio)

 

4. Comunicazione del Presidente
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  Presidente. – Onorevoli colleghi, richiamo la vostra attenzione su una comunicazione che intendo trasmettervi in materia di sicurezza all’interno del nostro Parlamento europeo.

Come certamente saprete, i terribili attentati terroristici perpetrati negli Stati Uniti hanno alimentato sentimenti di preoccupazione assolutamente legittimi all’interno del nostro stesso Parlamento. Il Sunday Telegraph ha persino parlato di gravissime minacce che avrebbero pesato su di noi e che sarebbero state sventate. Io rispondo che il Parlamento europeo non è mai stato al corrente di tali presunte minacce. Avantieri il prefetto del Bas-Rhin si è dato la pena di chiamarmi personalmente per dirmi che opponeva una smentita categorica all’esistenza di tali minacce. Peraltro, come sapete, tale smentita categorica delle autorità francesi è stata confermata da un comunicato ufficiale. Aggiungerò che anche i servizi britannici hanno detto di non esserne a conoscenza. Mi propongo altresì di inviare una lettera al direttore del Sunday Telegraph per protestare contro la divulgazione di informazioni false di una simile gravità.

(Applausi)

Nondimeno posso assicurarvi che la questione della sicurezza del Parlamento europeo è oggetto di attenzione costante da parte dei membri del nostro Ufficio, dei suoi Vicepresidenti e Questori, della Presidenza e del Segretariato generale. Abbiamo adottato una serie di misure di rafforzamento della sicurezza, in particolare lo scorso dicembre, a Natale, quando correvano voci riguardanti la cattedrale di Strasburgo. Poiché essa non si trova molto distante dalla nostra sede, naturalmente all’epoca avevamo adottato una serie di provvedimenti.

Dall’11 settembre scorso il Segretario generale ed io ci siamo messi immediatamente in contatto e abbiamo introdotto, per gli accessi alle tre sedi di lavoro del Parlamento europeo, ulteriori misure tese a rafforzare maggiormente il controllo delle persone e dei bagagli. Aggiungo che, com’è ovvio, siamo continuamente in contatto, da un lato, con le altre Istituzioni europee e, dall’altro, con i governi dei paesi che ospitano il Parlamento europeo.

Infine l’Ufficio si riunisce stasera per studiare una serie di nuovi provvedimenti proposti dal Segretario generale volti a generalizzare - e ribadisco a generalizzare - le misure di sicurezza. Conto sulla comprensione di tutti affinché queste misure indispensabili siano accolte in modo positivo e ve ne ringrazio anticipatamente.

 

5. Benvenuto
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  Presidente. – Mi pregio di porgere il benvenuto al signor Moussa Touré, Presidente dell’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale, che ha preso posto nelle tribune.

(Applausi)

L'UEMAO, la cui struttura si ispira molto a quella dell’Unione europea, svolge un ruolo fondamentale nell’organizzazione della cooperazione regionale in Africa occidentale. Per questi motivi intendiamo rafforzare maggiormente i legami che esistono tra detta organizzazione e l’Unione europea. Questo è il significato della visita del signor Moussa Touré, al quale porgo un calorosissimo benvenuto.(1)

 
  

(1) Composizione delle commissioni – Presentazione di documenti – Autorizzazione ad elaborare relazioni e raccomandazioni – Rinvio ad altra commissione – Esito dato alle risoluzioni del Parlamento – Storno di stanziamenti – Ordine del giorno: cfr. Processo verbale.


6. Lotta al terrorismo
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  Presidente. – Mi pregio di porgere il benvenuto alla signora Neyts-Uyttebroeck, Ministro responsabile degli affari europei, Presidente in carica del Consiglio. Porgo inoltre il benvenuto al Commissario Vitorino.

L'ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione in vista della riunione informale e straordinaria del Consiglio europeo del prossimo venerdì 21 settembre sulle misure da adottare in materia di lotta al terrorismo.

Cedo immediatamente la parola alla signora Ministro.

 
  
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  Neyts-Uyttebroeck, Consiglio.(FR) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, l'Europa, i suoi cittadini e le sue Istituzioni sono profondamente sconvolti dall’attacco terroristico subito dagli Stati Uniti lo scorso martedì 11 settembre.

La Presidenza e il Consiglio hanno immediatamente condannato con estrema fermezza gli esecutori, gli organizzatori e i mandanti di questi atti barbari. Gli attentati perpetrati ai danni del popolo americano attaccano direttamente i valori che gli americani e gli europei condividono e sui quali si fondano le nostre società, pur non avendone noi il monopolio, vale a dire la democrazia, la tolleranza, il rispetto dei diritti dell’uomo e lo Stato di diritto.

Sin dalla sessione di urgenza di mercoledì 12 settembre, il Consiglio dei ministri degli esteri ha espresso la sua profonda solidarietà al popolo americano. Abbiamo affermato che non risparmieremo alcuno sforzo per identificare, portare dinanzi alla giustizia e punire gli autori e, in tal senso, l'Unione dovrà attuare e rafforzare diversi strumenti operativi che rientrano nella politica estera e di sicurezza comune, nonché nel campo della giustizia e degli affari interni. Il terrorismo, proprio perché internazionale, richiederà una risposta globale.

 
  
  

(NL) Signora Presidente, sotto la spinta del Consiglio “affari generali”, il Consiglio “trasporti” si è riunito il 14 settembre. Il Consiglio ha stilato un inventario delle misure urgenti che sono state adottate da ciascuno Stato membro per assicurare la sicurezza del trasporto aereo. E’ stato inoltre istituito uno speciale gruppo di lavoro, composto dagli Stati membri e dalla Commissione, incaricato di rafforzare la cooperazione e il coordinamento tra gli Stati membri al fine di garantire un’applicazione uniforme ed efficace delle misure di sicurezza, compresi i provvedimenti giuridici. Nel corso del Consiglio “trasporti” del prossimo 15 ottobre si dovrà presentare una prima relazione sul tema. I Ministri dei trasporti hanno alla fine deciso di formulare proposte comuni in materia di prevenzione. Tali proposte dovranno poi essere difese, a nome dell’Unione, nel quadro dell’assemblea generale della Conferenza delle organizzazioni del trasporto aereo civile del prossimo 25 settembre.

Il Consiglio “giustizia e affari interni” si riunirà il 20 settembre. In tale occasione verranno esaminati il meccanismo per lo scambio di informazioni e il rispettivo ruolo di istituzioni quali Europol ed Eurojust in tale ambito. Il Consiglio valuterà le due proposte di decisione quadro che la Commissione ha presentato.

La prima proposta riguarda il diritto penale degli Stati membri, che dev’essere armonizzato al fine di giungere ad una definizione comune di “atto terroristico” e di elaborare provvedimenti penali a livello comunitario.

La seconda proposta concerne l’introduzione di un mandato di cattura europeo. Il Consiglio esaminerà anche gli strumenti utilizzati nelle indagini penali e farà sì che si trovi un equilibrio tra la tutela dei dati personali e le esigenze delle autorità penali nelle indagini. Infine i Ministri della giustizia e degli interni vaglieranno una serie di provvedimenti volti a consolidare la cooperazione a livello giudiziario e nel campo della polizia, dell’intelligence e dell’immigrazione.

 
  
  

FR) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli parlamentari, la lotta al terrorismo impone l’uso di vari strumenti che consentano il controllo dei flussi finanziari, l’identificazione dei sospetti, il rafforzamento della sicurezza dei trasporti aerei, il controllo sui traffici di armi e tanti altri elementi ancora.

L'Unione europea è indubbiamente la struttura più in grado di rispondere in maniera globale alla lotta al terrorismo. La battaglia contro il terrorismo internazionale costituisce però un’impresa impegnativa e a lungo termine. Come hanno dichiarato i Capi di stato e di governo, l’Unione dovrà impegnarsi ancor più nella gestione delle tensioni e dei conflitti regionali al fine di spegnere i focolai che alimentano il terrorismo internazionale, così come l’integrazione di paesi fragili e di regioni instabili in un mondo di pace e di diritto potrà potenziare notevolmente la lotta contro il flagello del terrorismo.

Sviluppando la sua politica estera e di sicurezza comune, nonché rendendo operativa al più presto la sua politica comune di sicurezza e di difesa, l'Unione accrescerà la propria efficacia, ma dovrà utilizzare la politica europea di sicurezza e di difesa come uno strumento di prevenzione, non come un mezzo di rappresaglia. La lotta al terrorismo, affinché sia realmente efficace, dovrà essere accompagnata da un rafforzamento delle nostre politiche nei confronti dei paesi e delle regioni del mondo in cui il terrorismo pare trovare le sue origini. Dovremo dunque intensificare e approfondire il dialogo politico e avvalerci di tutti gli strumenti a nostra disposizione per combattere, stroncare e infine sradicare il terrorismo internazionale.

L'Unione, onorevoli deputati, è una potenza globale in fieri. Ciò ci conferisce responsabilità maggiori che dovremo assumerci assieme. I tragici avvenimenti dell’11 settembre scorso ci porteranno anche a sviluppare i nostri rapporti con gli Stati Uniti al di là della cooperazione già ben consolidata e il dialogo transatlantico ci permetterà di scambiarci le informazioni e le analisi rispettivamente in nostro possesso per quel che riguarda la minaccia terroristica in tutti i suoi aspetti.

Il Ministro degli esteri belga Louis Michel si recherà questa sera a Washington per uno scambio di opinioni con il Segretario di stato Powell sulla cooperazione transatlantica, colloquio in merito al quale riferirà al Consiglio europeo straordinario convocato per il prossimo venerdì 21 settembre. Se la convocazione del Consiglio europeo straordinario ha principalmente lo scopo di fare il punto su tutti i mezzi politici, diplomatici, economici, giuridici e finanziari di cui dispone l’Unione per combattere il terrorismo, essa offre anche l’occasione per procedere ad una riflessione sul ruolo diplomatico dell’Unione nella stabilizzazione dei conflitti regionali.

Per essere efficace, la lotta al terrorismo deve basarsi sugli sforzi di tutti i paesi che condividono i nostri valori di libertà, tolleranza e democrazia. Per questo la Presidenza si è preoccupata di coinvolgere i paesi terzi nelle azioni intraprese dall’Unione. Tutti i paesi candidati si sono associati, senza eccezioni, alle dichiarazioni del Consiglio "affari generali" e a quelle dei Capi di stato e di governo. Inoltre, per il tramite delle ambasciate degli Stati membri all’estero, abbiamo invitato anche i paesi terzi a confermare i propri impegni per lottare senza tregua contro il terrorismo. Questa è la via, signora Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, che l’Unione deve seguire per contribuire alla costruzione di un mondo di pace e di diritto per tutti i popoli.

(Applausi)

 
  
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  Vitorino, Commissione.(FR) Signora Presidente, onorevoli deputati, la Commissione sta preparando attivamente la riunione del Consiglio europeo del prossimo venerdì nel cui quadro si inserisce, a pieno diritto, la riunione della troika dell’Unione europea prevista per domani negli Stati Uniti. Per questo il mio collega Chris Patten, che desiderava intervenire soprattutto sulle relazioni esterne in riferimento alla lotta al terrorismo, non ha potuto presenziare a questo dibattito.

Tengo a sottolineare, a nome della Commissione, che sosteniamo il principio secondo cui l’Unione deve compiere uno sforzo ulteriore per parlare all’unisono in materia di lotta al terrorismo e che, in merito, abbiamo bisogno di un’agenda europea che riconosca il ruolo centrale da attribuire all’organizzazione delle Nazioni Unite nella lotta al terrorismo su scala mondiale.

Apprezziamo quindi l’iniziativa della Presidenza belga di convocare per il prossimo venerdì un Consiglio straordinario e informale e siamo lieti di prender parte oggi a questo dibattito del Parlamento europeo. Noi dobbiamo trasmettere la solidarietà di tutta l’Unione al popolo americano e alle autorità americane ma, affinché l’Unione possa influire sugli orientamenti della lotta al terrorismo, dobbiamo necessariamente parlare all’unisono.

Il terrorismo non è un fenomeno recente. Viceversa sono nuovi e più sofisticati gli strumenti, come nuove sono le minacce, di cui si servono i terroristi.

I tragici avvenimenti degli Stati Uniti dimostrano dolorosamente l’attualità di due proposte che la Commissione ha approvato oggi, proposte intimamente legate tra loro e che peraltro rispondono ad una richiesta di questo Parlamento adottata in occasione della sessione plenaria di settembre a Strasburgo.

Tengo a precisare che le nostre proposte non sono una risposta a quanto è accaduto negli Stati Uniti, ma sono semplicemente dovute al fatto che anche noi, nei nostri Stati membri, abbiamo problemi di terrorismo ai quali dobbiamo prestare attenzione.

Da oltre un anno la Commissione lavora su queste proposte in stretta collaborazione con il Parlamento europeo; teniamo a ribadire che queste proposte sono un contributo affinché l’Europa, al suo interno, possa collaborare alla lotta al terrorismo e, così facendo, cooperare alla lotta su scala internazionale.

Il terrorismo costituisce una delle più grandi minacce contro la democrazia, il libero esercizio dei diritti dell’uomo e il libero sviluppo economico e sociale. In questi ultimi anni, occorre sottolinearlo, abbiamo assistito ad un incremento delle attività terroristiche, sia all’interno delle frontiere dell’Unione che a livello mondiale. Questa escalation della potenza del terrorismo è caratterizzata da un mutamento profondo nella natura dei reati terroristici. Gli effetti reali o potenziali degli attacchi armati sono sempre più devastanti e mortali. La maggiore dipendenza della nostra società dallo sviluppo tecnologico fa apparire nuove forme di terrorismo. Sempre più spesso il terrorismo è opera di reti che agiscono a livello internazionale ed hanno legami molto stretti con altre forme di criminalità organizzata con basi in vari paesi, reti che sfruttano le lacune giuridiche risultanti dai limiti geografici delle indagini e che talvolta beneficiano di cospicui aiuti finanziari e logistici.

Pertanto, oggi più che mai, è necessario adottare misure per lottare contro questo flagello. Il Trattato sull’Unione europea prevede esplicitamente che la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia includa la graduale adozione di misure che instaurino norme relative agli elementi costitutivi dei reati penali e alle sanzioni applicabili in materia di terrorismo.

Il Parlamento europeo ha recentemente adottato una risoluzione che esprime la determinazione dei rappresentanti dei cittadini europei affinché la lotta al terrorismo venga condotta con vigore ed efficacia.

In questa fase, la risposta della Commissione consta di due capitoli.

In primo luogo, noi proponiamo una definizione comune degli atti terroristici e la fissazione di livelli di sanzioni che rispecchino, in tutti gli Stati membri, la gravità di questi atti. I terroristi si avvantaggiano di qualsiasi differenza di trattamento giuridico tra gli Stati, soprattutto nel momento in cui il reato non è previsto dal diritto nazionale di uno di essi. La situazione infatti, bisogna riconoscerlo, è molto diversa da un paese membro all’altro. Nella maggior parte dei nostri Stati membri non esistono norme specifiche in materia di terrorismo e gli atti terroristici sono sanzionati come reati di diritto comune. Sei Stati membri, invece, dispongono di leggi o di strumenti giuridici specifici riguardanti il terrorismo nei quali il termine "terrorismo" o "terrorista" compare esplicitamente. La proposta di una decisione quadro sul terrorismo, formulata dalla Commissione, è volta ad un’armonizzazione a questo livello. Essa comprende un elenco di reati che va dall’omicidio ad altre forme d’azione che possono essere altrettanto devastanti, anche se più insidiose, e che vengono considerate terroristiche nel momento in cui sono perpetrate intenzionalmente da individui o gruppi contro uno o più paesi, le loro istituzioni o la loro popolazione, al fine di minacciarli e di arrecare grave danno alle loro strutture politiche, economiche o sociali, o di distruggerle. E’ previsto che questi atti vengano sanzionati con pene privative della libertà particolarmente severe che possono andare da 2 a 20 anni di reclusione a seconda del reato commesso.

In secondo luogo, la Commissione presenta una proposta di tipo orizzontale alquanto ambiziosa, lo riconosco, che consiste nella sostituzione delle procedure tradizionali di estradizione con un sistema di consegna alle autorità giudiziarie basato su un mandato di arresto europeo. Tale proposta, che è peraltro complementare a quella sul terrorismo sebbene il suo campo di applicazione sia più ampio, si fonda sul principio del mutuo riconoscimento delle sentenze dei tribunali, principio che, secondo gli auspici del Consiglio europeo di Tampere, dovrebbe diventare la pietra angolare della cooperazione giudiziaria europea. L’idea di base è che, nel momento in cui l’autorità giudiziaria di uno Stato membro chiede la consegna di una persona oggetto di una condanna definitiva o di procedimenti penali in atto, la sua decisione debba essere riconosciuta ed eseguita su tutto il territorio dell’Unione al fine di semplificare ed accelerare al massimo le procedure. E’ prevista la definizione di un termine di tre mesi e la limitazione del rifiuto di esecuzione ad un numero ristretto di ipotesi. In particolare, dovrebbe essere abolito il principio della doppia incriminazione, così come si dovrebbe abolire l’eccezione basata sulla nazionalità. Infatti il criterio più pertinente nell’Unione non è quello della nazionalità, ma quello del luogo di residenza della persona. Pertanto, la proposta è tesa ad agevolare il più possibile l’esecuzione della pena nel paese dell’arresto, visto che lì è più probabile un buon reinserimento sociale della persona.

Signora Presidente, onorevoli parlamentari, come certamente saprete avrò l’opportunità di presentare domani queste proposte ai Ministri durante il Consiglio straordinario convocato dalla Presidenza belga per discutere del contributo dell’Unione alla lotta contro la minaccia terroristica.

Scopo di questo incontro è avere l’occasione per porre ai Ministri questioni di principio a livello politico, cercando di chiarirle. Ciò riguarda non solo le nostre proposte legislative, ma anche tutta una serie di misure che dovrebbero essere adottate per rafforzare la nostra azione sul piano operativo e per migliorare la nostra collaborazione con i partner rendendola più efficace.

A livello operativo, lo sapete bene, la Commissione non ha competenza, ma essa ritiene che al suo interno l’Unione dovrebbe adottare un certo numero di misure tra cui alcune volte ad assicurare che Europol divenga uno strumento operativo nella lotta contro diverse forme di criminalità, terrorismo compreso. A tal fine, occorre attuare le disposizioni del Trattato di Amsterdam su Europol che prevedono la sua partecipazione a team investigativi comuni e la possibilità di invitare gli Stati ad avviare inchieste, il che richiede tra l’altro una sostanziale revisione del contenuto della convenzione Europol, anche per ciò che riguarda le questioni del controllo giudiziario e del controllo democratico. Sin d’ora sarebbe necessario da parte degli Stati membri un impegno forte per stabilire una cooperazione che sia reale ed efficace tra i loro servizi di intelligence, dimostrando così l’esistenza di una reciproca fiducia tra loro. Ciò è indispensabile, peraltro, per migliorare le condizioni nelle quali i servizi di polizia e di intelligence degli Stati membri forniscono ad Europol le informazioni necessarie per l’assolvimento di questi compiti, tra i quali il più importante è, a mio giudizio, la prevenzione degli atti terroristici.

E’ anche importante che l’Unione rafforzi la cooperazione a livello internazionale; si tratterà quindi di adottare tutte le misure necessarie in materia di assistenza giudiziaria, estradizione, cooperazioni giudiziarie e di polizia per migliorare la capacità di prevedere e di lottare contro il terrorismo su scala internazionale.

Signora Presidente, onorevoli deputati, vi ho esposto solo alcune delle idee elaborate dalla Commissione e proposte al Parlamento e al Consiglio europeo. In questi attimi difficili, in cui sono certo che i cittadini dei nostri Stati membri percepiscono il futuro con incertezza e con un senso di insicurezza, ritengo che il messaggio politico migliore che possiamo loro rivolgere sia che questo momento rappresenta un’occasione unica per dimostrare che l’avventura europea offre un reale valore aggiunto per garantire loro un futuro di libertà, di sicurezza e di giustizia.

(Applausi)

 
  
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  Poettering (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, Presidente del Consiglio Neyts-Uyttebroeck, Commissario Vitorino, onorevoli colleghi, il nostro gruppo, il gruppo del Partito popolare europeo (cristiano-democratici) e dei democratici europei, accoglie con grande favore l’iniziativa della Presidenza belga di convocare per venerdì prossimo un Vertice straordinario dei Capi di stato e di governo europei, in occasione del quale lei, signora Presidente, esprimerà la voce del Parlamento europeo. Come Parlamento possiamo essere veramente orgogliosi di aver approvato nel corso dell’ultima sessione plenaria la relazione Watson, che fungerà a guisa di bussola per la nostra lotta comune contro il terrorismo.

Il Vertice che si terrà venerdì prossimo qui a Bruxelles dovrebbe lanciare una serie di segnali. Una volta di più dovrebbe lanciare ai nostri amici americani il segnale che i terribili attentati di Washington e New York sono stati un attacco non solo contro gli Stati Uniti, ma anche contro l’intero mondo civilizzato, un attacco contro ciascuno di noi! Sono stati un attacco contro i nostri ideali di democrazia, diritti dell’uomo e pace.

Ciò che abbiamo affermato la settimana scorsa in questa sede, nel corso di una seduta emotivamente coinvolgente, vale ancora oggi. Stamani, alla Conferenza dei presidenti, ho chiesto all’Alto rappresentante Solana – che ora è in viaggio per Washington assieme al Presidente del Consiglio Michel e al Commissario Patten – di dire durante le consultazioni con il Segretario di Stato americano Powell che noi, il Parlamento liberamente eletto dagli europei nell’UE, subito dopo quei terribili eventi abbiamo immediatamente espresso la nostra solidarietà.

Ma a Washington noi diremo anche che ci aspettiamo che in quella sede non siano soltanto rese note decisioni già prese, delle quali i nostri responsabili europei vengono semplicemente informati, bensì che si svolgano colloqui e consultazioni veri e propri, affinché le azioni che si renderanno necessarie siano espressione di un agire comune, di un agire la cui responsabilità è comune agli europei e agli americani.

Signora Presidente, nutro il massimo rispetto per l’Alto rappresentante Solana. In futuro, però, dobbiamo far sì che qui, al Parlamento europeo, si possa anche discutere con l’Alto rappresentante dell’Unione europea. Credo che a questo proposito sia ancora possibile migliorare qualcosa.

(Applausi)

Il Vertice di venerdì dovrà lanciare un segnale anche al Medio Oriente. Invitiamo Israele e Palestina a ricominciare a parlarsi. Questo non è il momento di incontri negati o colloqui cancellati; è invece il momento del dialogo e di misure atte a creare la fiducia, se vogliamo che quella regione possa conoscere la pace.

(Applausi)

Dobbiamo dirlo una volta per tutte: chi oggi rifiuta il dialogo comincia a perdere la nostra simpatia e la nostra solidarietà. Nel Medio Oriente, proprio in questi giorni, abbiamo bisogno di far crescere la pace e di adottare misure atte a creare la fiducia!

(Applausi)

E’ necessario inviare un segnale anche al mondo arabo e musulmano. Stamattina, durante la Conferenza dei presidenti, il nostro gruppo ha deciso di invitarla, signora Presidente, ad organizzare quanto prima un incontro del Parlamento europeo con i parlamentari del mondo arabo e musulmano nell’ambito del forum del Mediterraneo, ovvero con quei paesi ai quali siamo legati nel contesto del processo di Barcellona e del dialogo mediterraneo. Ci permetta di lanciare questo segnale, affinché essi sappiano che noi vogliamo partnership e amicizia.

Vorrei ora affrontare un altro aspetto che, credo, dovrebbe essere il vero contenuto operativo del Vertice di venerdì prossimo qui a Bruxelles. Commissario Vitorino, le esprimiamo il nostro grazie per le proposte che ha presentato oggi. E’ proprio vero che dobbiamo trasformare Europol in uno strumento di lotta contro il crimine; invitiamo quindi gli Stati membri a fornire a Europol le informazioni necessarie, a differenza di quanto avvenuto sino ad ora. Sappiamo bene che fino ad oggi solo uno Stato membro ha fornito tali informazioni in misura più o meno sufficiente, mentre gli altri si sono finora rifiutati di farlo.

Siamo senz’altro favorevoli all’istituzione del mandato di arresto europeo, e questo è proprio il momento giusto di agire in tal senso. Chi, di questi tempi, volesse frenare il rafforzamento degli europei e non fosse a favore di una cooperazione europea nel nome di Europol, negherebbe, a ben guardare, la sua solidarietà non solo agli europei, ma anche ai nostri amici americani poiché, nella lotta al crimine, dobbiamo essere uniti anche contro il terrorismo se vogliamo restare a fianco dei nostri partner e amici americani!

(Applausi)

Per tali motivi il nostro gruppo ha presentato un emendamento al bilancio dell’anno 2002. Il nostro intento è quello di mettere a disposizione di Europol i mezzi necessari affinché possa agire ed essere realmente operativa. E’ passato il tempo delle parole ed è venuta l’ora dei fatti, l’ora di agire in quanto europei. Nello stesso tempo, però, dobbiamo agire in modo accorto e soprattutto dobbiamo risolvere i conflitti per vie pacifiche ogniqualvolta ciò sia possibile. Un intervento militare non è mai una rappresaglia; il suo scopo dev’essere sempre quello di creare maggiore sicurezza. Il nostro invito è di agire con avvedutezza, ma anche con coerenza al fine, innanzi tutto, di dare il nostro contributo alla convivenza pacifica dei popoli di questa Terra!

(Applausi)

 
  
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  Barón Crespo (PSE).(ES) Signora Presidente, signora Presidente del Consiglio, signor Commissario, onorevoli colleghi, la scorsa settimana abbiamo espresso in modo solenne il nostro cordoglio per le vittime americane, europee e di tutto il mondo, causate da questi attacchi; abbiamo espresso la nostra solidarietà agli Stati Uniti e ora, con dolore e con fermezza, dobbiamo preparare una risposta al terrorismo globale, a questa miscela di fanatismo e di tecnologia avanzata, una minaccia reale per la nostra civiltà, per la società aperta, democratica e multiculturale.

Credo si debba inviare alle nostre concittadine e ai nostri concittadini un messaggio molto chiaro: il terrorismo può ferire e uccidere, ma nessuna democrazia è mai stata sconfitta dal terrorismo, e in questo consiste il nostro punto di forza. Perciò dobbiamo lavorare insieme: il Parlamento ha elaborato la relazione Watson, la Commissione ha accelerato i suoi lavori e questa settimana è stato convocato un Consiglio straordinario. Voglio sottolineare che, tra ieri e oggi, il Presidente del Consiglio, il Ministro degli affari esteri belga, il signor Michel, l'Alto Rappresentante per la PESC, il signor Solana, e il Vicepresidente della Commissione, il Commissario Patten, hanno partecipato a discussioni in Parlamento su tale questione. Ritengo ci si debba rallegrare di tale condotta, che non fa che accrescere la trasparenza e la comunicazione.

Per i socialisti, la risposta che dobbiamo dare deve partire da un dato fondamentale: si deve trattare di una risposta globale, basata sulla risoluzione 1368 di quest'anno del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la quale stabilisce una collaborazione tra le parti interessate, volta a tradurre davanti alla giustizia gli organizzatori, i mandanti e gli autori degli attacchi, insieme ai loro complici. Si tratta della base su cui stiamo costruendo una coalizione mondiale con gli Stati Uniti, con i paesi candidati, con la Russia e con tutti quegli Stati, a livello mondiale, difensori dei valori universali da noi condivisi. Vorrei aggiungere che è necessario accelerare la ratifica del Tribunale penale internazionale per avere uno strumento giuridico globale proprio in questo campo.

Dobbiamo operare, inoltre, con fermezza e perseveranza, inquadrando la nostra azione in una politica a tutto campo, che si ricolleghi con ciò che stiamo realizzando alle Nazioni Unite. Ciò spiega la decisione della NATO di ricorrere all'articolo 5.

Dobbiamo affermare che non esiste nulla che sia causa di povertà, ingiustizia o conflitti, che possa giustificare la barbarie. Non esiste alcun contrasto tra Oriente e Occidente, tra Islam e Cristianità, tra tradizione e modernità che spieghi come, uccidendo innocenti, si possa progredire nel mondo.

(Applausi)

Credo che il Parlamento europeo, ovvero noi rappresentanti eletti di cittadini con differenti credi, ideologie e religioni, siamo l'espressione di come gli europei abbiamo trovato una risposta al fanatismo e all'intolleranza.

Che cosa possiamo fare per preparare la nostra politica? Qui sono stati dati vari contributi, la Commissione ha anticipato alcuni provvedimenti, e ve ne sono anche altri che la Commissione e il Consiglio potrebbero mettere in pratica più rapidamente – ad esempio, accelerando l'attuazione delle conclusioni del Vertice di Tampere e del Trattato di Amsterdam, accelerando la ratifica delle convenzioni internazionali contro il terrorismo - anche questo di competenza degli Stati membri - e, segnatamente, la convenzione per la soppressione del finanziamento al terrorismo. Non sia mai che, come sembra stia accadendo, si stia aiutando le organizzazioni terroristiche a finanziarsi tramite operazioni speculative in borsa. Si deve inoltre accrescere la cooperazione tra i servizi d'intelligence e potenziare Europol.

Infine, signora Presidente, sulla scorta delle informazioni date stamani dall’Alto rappresentante Solana - e ciò deve essere sottolineato - dobbiamo mettere in pratica e proseguire nella nostra politica di ricerca di uno spiraglio, di un'opportunità di pace in Medio Oriente, basandoci sulla relazione Mitchell. Non si deve pensare che le misure improntate alla fiducia siano una ricompensa; tali misure devono anzi essere parte integrante di questo processo. E dobbiamo farlo insieme agli Stati Uniti. Il messaggio che dobbiamo inviare loro è di non mettersi al riparo di scudi illusori, ma di condividere con noi la responsabilità di conseguire un mondo in pace, giusto, libero e sicuro.

(Applausi)

 
  
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  Watson (ELDR).(EN) Signora Presidente, gli attentati terroristici che la scorsa settimana hanno mietuto vittime innocenti a New York e Washington suscitano la costernazione e lo sdegno dei popoli di tutto il mondo civile. Tali avvenimenti dimostrano quanto sia difficile per qualsiasi Stato - ma soprattutto per una democrazia - difendere i propri cittadini dall'azione dei terroristi. Queste atrocità, con la successiva caccia ai responsabili, hanno inoltre messo in luce la debolezza del nostro sistema di difesa della popolazione civile, e ci hanno anche posto bruscamente di fronte alla penosa lentezza con cui si concreta nell'Unione europea quella cooperazione in materia di giustizia e affari interni che è stata così orgogliosamente sbandierata ad Amsterdam e a Tampere. Gli americani, che ora cercano di ottenere l'arresto di alcuni presunti responsabili che si trovano in Europa, stanno probabilmente scuotendo il capo increduli di fronte al groviglio di accordi di estradizione bilaterali cui dovranno ricorrere.

Apprezzo la dichiarazione del Commissario Vitorino. Le proposte che egli ha avanzato oggi fanno proprie le raccomandazioni essenziali della relazione da noi adottata il 5 settembre - relazione che l'onorevole Poettering ha così gentilmente ricordato. Queste misure meritano di essere immediatamente prese in esame, per un successivo rapido passaggio all'azione, già dai Ministri della giustizia e degli interni nella loro riunione di domani. Se adottate dal Consiglio, esse rappresenteranno un decisivo passo in avanti nell'elaborazione di una politica antiterrorismo comune da parte dell'Unione europea. Sfido qualsiasi Ministro, il quale intenda opporsi a queste proposte nella riservata atmosfera delle riunioni del Consiglio, a spiegare poi in pubblico ai cittadini del proprio paese, o dell'Europa intera, perché mai voglia ritardare l'adozione di efficaci iniziative in questo settore.

(Applausi)

Pur apprezzabili e importanti, le proposte della Commissione sono palesemente insufficienti. Esse forniscono una risposta valida per il mondo com'era prima di martedì scorso; affrontano i reati di terrorismo all'interno dell'Unione, ma non fanno niente per migliorare la cooperazione con i paesi esterni all'UE, né risolvono i conflitti di competenza fra autorità giudiziarie. Infine, come ha fatto notare il Commissario Vitorino, esse fanno dipendere dai veti nazionali la cooperazione e il vitale problema delle attività di polizia. Se l'Unione europea vuole combattere seriamente il terrorismo, deve mettere a punto gli strumenti operativi per un'azione comune; dobbiamo cioè permettere ad Europol di collaborare efficacemente con paesi terzi e dobbiamo conferire ad Eurojust una dimensione esterna. Nella procedura di conciliazione attualmente in corso dobbiamo agire con decisione per stroncare il riciclaggio del denaro sporco; infine, come ha rilevato la signora Ministro Neyts, è necessario elaborare politiche comuni per raccogliere e mettere a disposizione le informazioni relative alle indagini penali.

Urgono inoltre alcuni provvedimenti in materia di politica estera e di sicurezza: una migliore cooperazione nell'ambito delle Nazioni Unite, del G8, del Consiglio d'Europa: Ancora, occorre esortare gli Stati membri a firmare la Convenzione delle Nazioni Unite sui finanziamenti al terrorismo, controllare le esportazioni di prodotti sensibili e concludere poi più stretti accordi d’associazione coi paesi terzi. Dobbiamo però evitare quella confusa applicazione del secondo e del terzo pilastro che la dichiarazione emessa la settimana scorsa dal Consiglio sembrava prefigurare; infine dobbiamo attentamente badare a non stravolgere quel delicato equilibrio tra le esigenze della sicurezza e le libertà civili di cui godono i nostri cittadini.

Chiedo quindi se non sia giunto il momento di consegnare alla pattumiera della storia l'antiquato e farraginoso meccanismo del secondo e terzo pilastro della cooperazione interna all'UE; il contenuto di questi pilastri deve rientrare fra le basilari competenze dell'Unione europea.

(Applausi)

La foglia di fico della sovranità nazionale serve solo a nascondere l'impotenza degli Stati nazionali. La democrazia si trova di fronte a sfide sovrannazionali, che esigono risposte sovrannazionali. Le nostre politiche avranno bisogno del sostegno dell'opinione pubblica, e quindi la loro elaborazione dovrà sottostare a un pubblico controllo democratico. Sono convinto che il nostro Parlamento è pronto a fare la sua parte; dobbiamo spingere i nostri leader nazionali a dar prova del coraggio e della lungimiranza che il momento richiede.

(Applausi)

 
  
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  Lannoye (Verts/ALE).(FR) Signora Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, al di là dell’emozione legittima che proviamo da oltre dieci giorni, al di là dei messaggi di solidarietà e di compassione, dobbiamo guardare al futuro con serenità. Gli attacchi criminali perpetrati ai danni degli Stati Uniti lo scorso 11 settembre, che hanno mietuto migliaia di vittime, inducono infatti ad una riflessione approfondita sulle azioni da condurre per evitare che siffatti atti si ripetano, per smantellare le reti criminali terroriste e per evitare la spirale della violenza, violenza che è peraltro quotidiana per molte popolazioni del mondo. Penso in particolare al popolo afghano poc’anzi ricordato, il quale subisce non solo una guerra che dura da decenni, ma anche un regime politico insostenibile, quello dei talebani.

Mi rallegro, a nome del mio gruppo, per l’atteggiamento del nostro Alto rappresentante per la PESC, signor Solana, in particolare in relazione al conflitto israelo-palestinese, e per le posizioni assunte da diverse settimane, per bocca del signor Michel, dal Consiglio e dalla Presidenza. Il signor Michel si comporta in un modo decisamente interessante per l’Unione europea e per il mondo intero.

Fermezza e determinazione sono necessarie per un’azione politica efficace, ma non si tratta di rispondere ad atti barbari come quelli dell’11 settembre con iniziative militari le cui vittime sarebbero popolazioni civili, gente innocente.

(Applausi)

Credo che i nostri rappresentanti ne siano convinti e penso che tutti gli interventi dei presidenti di gruppo e degli altri deputati siano andati in questa direzione. Auspicherei tuttavia che l’Unione europea, per voce del nostro Presidente del Consiglio, persuadesse di ciò non solo le autorità americane, ma anche il Presidente Bush e il suo entourage, che da qualche giorno prorompono in affermazioni di vendetta, affermazioni che continuano a preoccupare me personalmente, come pure tutti gli europei.

La situazione attuale richiede sicuramente un approccio internazionale e multilaterale. Per gestire problemi planetari abbiamo bisogno di strumenti planetari, ed il terrorismo internazionale è un fenomeno planetario. Se dunque, in primo luogo, occorre ovviamente un approccio europeo, comunitario, non dobbiamo dimenticare che siamo un elemento attivo a livello internazionale e che pertanto dobbiamo agire là dove siamo presenti, cioè ad entrambi i livelli. Ritengo quindi che l’Unione europea debba esprimersi con fermezza affinché azioni criminali come quelle perpetrate l’11 settembre conducano i loro autori e mandanti dinanzi al Tribunale penale internazionale, che sarebbe senza dubbio la sede più appropriata per giudicare atti del genere che sono, l’abbiamo già detto, crimini contro l’umanità.

La multilateralità è ancor più un imperativo perché, nei paesi musulmani, corriamo il grosso rischio di assistere al formarsi di una coalizione contro il mondo occidentale, su istigazione dei regimi più fanatici al potere, e penso soprattutto all’Afghanistan, regimi che potrebbero convincere gli altri della nostra ostilità nei loro confronti. Credo quindi che sia nel nostro interesse stabilire il dialogo più stretto possibile con i paesi arabi ed i paesi musulmani in generale. La proposta che ho avuto il piacere di formulare ieri alla Conferenza dei presidenti, e tutti i presidenti di gruppo mi hanno appoggiato, mi pare positiva. Peraltro è stata preannunciata un’iniziativa dei servizi per la sua attuazione, vale a dire l’organizzazione di un forum internazionale euro-arabo, o ancor meglio euro-musulmano, per dialogare sui problemi internazionali – dialogo che sarebbe sicuramente costruttivo per il futuro dei nostri rapporti e per il futuro del mondo.

Infine, signora Presidente, ringrazio il Commissario Vitorino per le proposte della Commissione sulla lotta al terrorismo, ma ritengo che sia anche necessario affrontare il problema alla radice. Vorrei richiamare in trenta secondi un problema fondamentale. Alla radice del male vi è in realtà il finanziamento delle reti terroristiche e, in questo campo, esistono strumenti che, ahimè, sono in vigore e che consentono il finanziamento di tali reti: mi riferisco al segreto bancario e all’esistenza dei paradisi fiscali. Ritengo che l’Unione europea debba adottare iniziative per eliminare questi due elementi e, così facendo, estirpare il male alla radice.

(Applausi)

 
  
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  Wurtz (GUE/NGL).(FR) Signora Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, la mia convinzione, e quella del mio gruppo, sin dal giorno successivo agli attentati terroristici di New York e di Washington, è che non sia mai stata così palese la necessità per l’Unione europea di dimostrare che ha una sua identità e una sua utilità nella conduzione degli affari del mondo. Il prossimo periodo e forse già i prossimi giorni le forniranno senza dubbio l’opportunità di dar prova della sua volontà e della sua capacità di raccogliere soprattutto tre sfide che le vengono lanciate in queste drammatiche circostanze.

La prima di tali sfide sarà, a mio giudizio, quella di definirsi partner degli Stati Uniti, ma non obbligata nei suoi confronti - "alleata, ma non allineata", come ha detto un collega nel corso del dibattito di ieri alla commissione per gli affari esteri. Ciò non significa, naturalmente, mancare alla necessaria e legittima solidarietà, soprattutto nella lotta comune per ricercare, giudicare, punire i colpevoli di questa barbarie e, più in generale, per smantellare le reti terroristiche. Viceversa ciò significa avere il coraggio di dire chiaramente ai nostri interlocutori americani quale contributo siamo incondizionatamente disposti a dare e ciò che non possiamo in alcun caso avallare. Ieri e anche questa mattina il signor Solana ha sottolineato a ragione che la nostra lotta al terrorismo soprattutto non va interpretata dai popoli del mondo arabomusulmano come una guerra contro la loro civiltà, se non addirittura una crociata, per riprendere una delle espressioni più spaventose utilizzate in proposito dal Presidente Bush. Ieri l’Alto rappresentante per la PESC aveva già raccomandato, nello stesso spirito, "di essere prudenti, di non umiliare nessuno, di evitare qualsiasi confusione, di non creare fratture che rappresenterebbero un grave errore". Mi compiaccio per questo linguaggio responsabile e il mio gruppo auspica che esso si traduca in un rifiuto categorico dell’Unione di lasciarsi trascinare in una logica di guerra, in un meccanismo che aggiungerebbe ancora sangue al sangue e vittime innocenti a vittime innocenti.

La seconda sfida da raccogliere è direttamente legata a quanto ho appena menzionato. Dobbiamo non solo evitare una siffatta frattura, ma anche rivisitare e rilanciare il rapporto euromediterraneo. Non è ancora tempo, a mio giudizio, per parlare di zone di libero scambio con i nostri partner del Sud e dell’Est del Mediterraneo. Dovremmo piuttosto parlare di sviluppo, di dialogo politico, di ravvicinamento delle società e di dignità umana. Tra gli impegni concreti da assumere per corroborare questa scelta strategica, vi è in primo luogo l’azione ferma per risolvere con giustizia il conflitto nel Vicino Oriente. Apprezzo gli sforzi profusi nella regione dal signor Solana e da tutti i rappresentanti dell’Unione europea. Essi stanno producendo i primi effetti, ma tutti ne percepiamo l’estrema fragilità. E’ dunque il momento di far sentire tutto il nostro peso non contro, ma in collaborazione con gli Stati Uniti ed altri attori, soprattutto nella regione.

La terza sfida che ci viene lanciata mi pare sia l’idea di lavorare su un nuovo approccio alla sicurezza internazionale. La tragedia dell’11 settembre non è forse un’esemplificazione terribile del fallimento della maniera in cui il mondo è stato gestito dalla caduta del muro di Berlino? Quanti conflitti irrisolti! Quante potenti forze occulte all’opera! Quante fonti di destabilizzazione! La risposta a questi mali profondi non sta nel protrarsi dell’unilateralità, ma in una vera cooperazione planetaria rispettosa dello spirito e della lettera della Carta delle Nazioni Unite. Essa non consiste nell’optare unicamente per l’intervento militare o per il rafforzamento della sicurezza, ma in una politica ambiziosa e multiforme di prevenzione delle crisi. Ovunque in Africa, nel Mediterraneo, in America latina, ad est del nostro continente e persino negli Stati Uniti, le società e spesso gli stessi Stati manifestano l’aspettativa che la forma di governo del mondo venga rivisitata. Per il momento quest’appello è rivolto in particolare all’Europa. E’ un’opportunità da cogliere e, da questo punto di vista, i prossimi giorni rischiano di essere il momento di verità.

 
  
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  Pasqua (UEN).(FR) Signora Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, credo che abbiamo già avuto occasione di discutere il merito del problema e certo l’avremo ancora. Pertanto non interverrò in questo dibattito sul piano della filosofia generale dell’azione da condurre. Vorrei semplicemente ricordare qualche punto che attualmente mi pare non sia presente con chiarezza nella mente di alcuni nostri responsabili. In primo luogo, il problema che ci troviamo a dover affrontare, occorre rendersene conto, è quello di identificare l’avversario. Non facciamoci illusioni: esiste un islamismo fondamentalista che è deciso a proseguire le sue aggressioni contro le democrazie occidentali, e di questo dobbiamo essere consapevoli. Dobbiamo inoltre ricordare che in ognuno dei nostri paesi esistono organizzazioni terroristiche più o meno dormienti che domani potrebbero benissimo passare all’azione.

In proposito vorrei aggiungere questo alle osservazioni e alle riflessioni estremamente interessanti formulate dal signor Commissario: auspico che l’Unione europea smetta di sovvenzionare gli Stati che danno rifugio ai terroristi o che li aiutano. Credo sia una misura pratica che noi stessi possiamo adottare, e possiamo farlo abbastanza rapidamente.

In secondo luogo, è assolutamente evidente che non possiamo pensare di condurre un’azione degna di questo nome se, nel contempo, non vi è cooperazione politica sincera tra gli Stati, e ciò riguarda anzitutto gli Stati membri dell’Unione. Ho conosciuto il periodo non poi così lontano - e non sono certo che sia passato - in cui il gioco dell’ognuno per sé prevaleva sul resto e si accettava la presenza sul proprio territorio di alcune organizzazioni a patto che queste non vi commettessero alcuna azione; poco importa se ne avessero commesse nel paese vicino. Credo dunque che vi debba essere una vera solidarietà e che essa debba manifestarsi con chiarezza.

In terzo luogo, a mio avviso è giunto il momento di rendersi conto che, per essere valida, l’azione contro il terrorismo deve collocarsi a monte. Si tratta quindi di rafforzare l’azione dei servizi d’intelligence. Ho inteso perfettamente tutto ciò che è stato detto poc’anzi sulla necessità dell’efficacia di Europol. Sono assolutamente favorevole al rafforzamento dell’efficacia di Europol, ma non è così che potremo lottare subito contro il terrorismo. Occorre che vi sia una cooperazione reale ed immediata tra i servizi d’intelligence e di sicurezza, che vi sia uno scambio di informazioni sincero e che gli Stati – non dispiaccia ad alcuni, ma per il momento sono gli Stati che, nell’ambito della loro cooperazione, hanno la responsabilità della sicurezza – siano in grado di adottare i provvedimenti necessari.

Non mi dilungherò ulteriormente. Questo è quanto intendevo dire stasera insistendo su un aspetto, ovvero il dibattito filosofico per decidere se l’azione contro gli Stati Uniti sia un atto di guerra o un atto di terrorismo. Tenuto conto della portata di quest’azione, personalmente credo si tratti di un atto di guerra. E se non siamo coscienti del fatto che si tratta unicamente di un primo atto che rischia di essere seguito da altri, allora pagheremo molto cara la nostra cecità.

 
  
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  de Gaulle (TDI).(FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, gli avvenimenti drammatici dell’11 settembre non chiamano solo in causa un’organizzazione criminale che esprimerebbe il proprio odio per l’Occidente attraverso attentati spettacolari. Essi rivelano anche un’immensa frustrazione nei confronti della politica americana condotta in Medio Oriente almeno dal 1991. L’accanimento inglorioso contro l'Iraq a fini strategici mediocri aveva già fatto perdere agli Stati Uniti una parte del loro prestigio. Soprattutto l’allineamento sistematico degli Stati Uniti alla politica espansionista dello Stato di Israele, allineamento che gli americani avevano cercato di compensare con un sostegno più o meno ufficiale alle organizzazioni islamiche estremiste, ha diffuso nei paesi arabi il sentimento di una profondissima ingiustizia.

Così infatti sono state condannate, da un lato, la politica di colonizzazione attuata dalla guerra dei Sei giorni e, dall’altro, la presenza ingiustificata delle truppe americane nella regione. Se lo Stato di Israele non porrà fine alla sua politica razzista ed evacuare le colonie insediate sulla sponda occidentale del Giordano, il mondo arabo, rispondendo ad un appello legittimo, si solleverà e destabilizzerà i dirigenti della Penisola arabica. Perché attribuire peraltro tanta importanza a questo Stato di Israele, le cui capacità militari molto esagerate esistono unicamente per volontà degli Stati Uniti?

Per la Francia e per l’Europa non è neanche ipotizzabile la partecipazione ad una nuova crociata contro il mondo arabo, sia essa in forma militare o in forma di estradizioni e di mandati di arresto europei. La Francia non è membro della NATO. Alla NATO l'Afghanistan non interessa. Da un punto di vista strategico, alla Francia interessa invece essere con fermezza al fianco del mondo arabo nella sua lotta contro il razzismo della politica dello Stato di Israele.

 
  
  

PRESIDENZA DELL'ON. IMBENI
Vicepresidente

 
  
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  Blokland (EDD). (NL) Signor Presidente, quanto accaduto a New York e Washington è terribile. Noi condividiamo il dolore ed esprimiamo il nostro cordoglio agli Stati Uniti. Soltanto adesso ci rendiamo ben conto di quanto è successo. All’interno dell’Unione europea dovremo sviluppare, di comune accordo con gli Stati Uniti, una politica contro il terrorismo: è un nostro preciso dovere nei confronti delle vittime e dei superstiti. Pertanto mi congratulo con il Commissario Vitorino per la rapidità con la quale vengono presentate nuove proposte.

Questa non è una lotta contro l’Islam o contro i suoi sostenitori, bensì una lotta contro coloro che intendono raggiungere i propri obiettivi seminando terrore, a prescindere dalla giustificazione che cerchino di addurre. Dobbiamo esigere che tutti gli Stati e i governi diano il loro incondizionato appoggio a questa politica. Questa lotta mira a difendere l’inviolabilità della vita umana quale principio fondamentale della nostra democrazia.

Signora Presidente, mi auguro che possiamo seguire compatti questa linea.

 
  
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  Souchet (NI).(FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, se veramente vogliamo, come sosteniamo, contribuire in modo effettivo all’attuazione di una politica globale di lotta all’internazionale terrorista, la maniera più efficace per farlo sarebbe sicuramente quella di lanciare un appello solenne al Consiglio affinché esamini una buona volta tutti i testi relativi soprattutto alla circolazione delle persone dal punto di vista della sicurezza, anziché dal punto di vista dell’abolizione sistematica dei controlli.

Questo cambiamento di orientamento, tuttavia, non deve riguardare unicamente i provvedimenti a venire. Esso deve anche tradursi in una revisione sistematica dei testi già adottati alla luce dell’esigenza, ormai prioritaria, di sicurezza e di protezione delle nostre popolazioni. Il Consiglio deve intraprendere rapidamente tale revisione in modo da riformare e, se del caso, eliminare tutte le disposizioni che, per il loro lassismo, potrebbero essere utilizzate dalle reti terroristiche per insediarsi o svilupparsi nei nostri paesi, che si tratti, in particolare, di transito comunitario, di controlli alle frontiere, di ricongiungimento familiare o di applicazione dello status di rifugiato.

Non possiamo, da un lato, chiudere gli occhi sull’ingresso, nei nostri territori, di popolazioni che vivono ai margini del diritto e, dall’altro, lamentarci di vedere reti terroristiche prosperare su questo terreno che noi stessi abbiamo preparato. Da domani avremo modo di rendere i nostri atti coerenti con le nostre dichiarazioni poiché all’ordine del giorno sono iscritte due relazioni le cui indicazioni vanno esattamente in direzione opposta rispetto all’imperativo di sicurezza e di lotta al terrorismo che sosteniamo di voler privilegiare. Non è possibile, domani, votare a favore della relazione Watson, che, senza esporre motivazioni, amplia a 360 gradi le disposizioni relative all’attuazione del diritto d’asilo al punto da snaturare completamente tale diritto fondamentale e da revocare in maniera irresponsabile alle autorità degli Stati membri la possibilità di esercitare un controllo. Apprezzo peraltro il coraggio del relatore iniziale, il nostro collega Schmitt, il quale si è rifiutato di veder associato il suo nome ad una simile deriva. Alla stessa maniera, potremmo chiederci se sia veramente opportuno adottare la relazione Coelho che, al paragrafo 2, chiede al Regno Unito e all’Irlanda di abolire quanto prima tutti i loro controlli alle frontiere. Questa richiesta non pare un po’ anacronistica rispetto agli ultimi avvenimenti?

Onorevoli colleghi, abbiamo la possibilità di essere responsabili ed efficaci, per esempio lanciando questo appello al Consiglio affinché riveda tutta la nostra legislazione alla luce dell’imperativo della sicurezza. Se così non dovesse essere, almeno domani potremmo cercare di non essere completamente schizofrenici.

 
  
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  Galeote Quecedo (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, noi cittadini europei abbiamo assistito attoniti e in diretta a un crimine contro l'umanità, come ha detto tra gli altri il presidente del mio gruppo, volto ad annientare la nostra libertà e la nostra democrazia.

Anzitutto dobbiamo condividere il dolore del popolo nordamericano. Concedetemelo, noi spagnoli capiamo bene la sofferenza delle vittime. Subito dopo, però, si deve reagire con determinazione per difendere la nostra libertà e rendere giustizia alle vittime, dimostrando ai terroristi e ai loro complici che i loro obiettivi non sono stati raggiunti. Come in altre epoche della nostra storia, riaffermare oggi i valori democratici è la chiave per allontanare la via totalitaria cui ci conduce il terrorismo.

Il Parlamento europeo ha dimostrato un impegno inequivocabile nella lotta al terrorismo, e la relazione Watson ne è un esempio lampante. Dobbiamo però continuare a dare, in particolare adesso, il nostro impulso politico e il nostro incoraggiamento alle iniziative concrete presentateci dalla Commissione europea. Il presidente del mio gruppo ha presentato alcune iniziative in materia di bilancio, volte a potenziare il ruolo di Europol. La commissione per le libertà - e lancio un appello al suo presidente - potrebbe magari organizzare, da parte sua, il proprio programma di lavoro in modo da presentare in Aula una proposta già entro l'anno, così da permettere alle Presidenze belga e spagnola di concludere il lavoro nei prossimi mesi.

Le Istituzioni europee hanno l'inderogabile responsabilità di accelerare le procedure, in modo da mettere a disposizione della giustizia strumenti comunitari che rendano più efficace la lotta al terrorismo e al crimine organizzato. La Commissione europea, segnatamente il Commissario Vitorino, deve sapere di poter contare sul sostegno del Parlamento nel garantire la cooperazione e un'azione concertata, volte a perseguire i criminali, perché questa è la strada per sconfiggere il terrore.

 
  
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  Terrón y Cusí (PSE).(ES) Signor Presidente, in effetti, come ricordato, il 5 settembre scorso il Parlamento ha approvato la relazione Watson assieme a diverse misure che rappresentano il minimo indispensabile per affrontare la questione del terrorismo.

Come già detto, una definizione di terrorismo comune a tutti gli Stati membri, un mandato di ricerca e cattura - come è stato definito - in ambito europeo e l'eliminazione dell'estradizione ci sembravano il minimo indispensabile all’epoca della richiesta del Parlamento quel 5 settembre. In quella stessa relazione, però, il Parlamento inviava anche più di un messaggio politico alle altre Istituzioni comunitarie: chiedeva che fossero considerati terroristici anche alcuni atti - e leggo testualmente - "orchestrati ed eseguiti da gruppi organizzati su scala internazionale", sottolineando la presenza di alcuni Stati dietro a tali azioni, situazione che doveva essere contrastata.

Il 5 settembre, signor Presidente, questo Parlamento prendeva l'iniziativa nel chiedere alle altre Istituzioni un atteggiamento fermo su tali questioni. Avevamo già la promessa di una reazione positiva da parte del Commissario Vitorino. Il giorno 11, signor Presidente, pochissimo tempo dopo, ci siamo resi conto di essere arrivati tardi, tragicamente tardi, e che il problema esplodeva non nell'Unione europea, ma negli Stati Uniti, in modo ancora più spettacolare - non dico tragico, perché tragico lo è sempre - di come lo avevamo conosciuto nell'Unione.

L'onorevole Watson afferma modestamente che quanto richiesto nella sua relazione è utile soltanto nell'ambito dell'Unione europea. Non credo sia vero. Ritengo che, attuando tali provvedimenti, si possa agire a livello interno con un'azione che sia, come diceva l'onorevole Poettering, una dimostrazione di solidarietà verso gli Stati Uniti. Se procedessimo rapidamente con l'urgenza impostaci dalla realtà - e già prima eravamo incalzati dal tempo - nel dare l'esempio di come, in un contesto sovrannazionale, si possa reagire operativamente nella lotta contro il terrorismo, daremmo agli Stati Uniti il miglior segnale di solidarietà, daremmo l'immagine migliore e sceglieremmo la migliore alternativa per operare nel contesto sovrannazionale, come ci è stato richiesto dalle Nazioni Unite poco tempo fa, a Palermo, nell'ambito della lotta alla criminalità organizzata.

Spero che per le altre misure, come la lotta contro il riciclaggio di denaro sporco e tante altre che sono all'esame del Consiglio, non s'attenda di dovere agire in fretta, né si aspettino eventi tragici prima di attuarle. Penso che siano tutte misure imprescindibili per la difesa del mondo e, soprattutto, della libertà.

 
  
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  Sterckx (ELDR). (NL) Signor Presidente, quando la scorsa settimana siamo stati a Washington con la delegazione del Parlamento europeo e ci siamo fermati lì un paio di giorni in più del previsto, la consapevolezza di un interesse comune si è rafforzata non soltanto in me, ma anche nei nostri colleghi statunitensi. Ho avuto modo di rilevare che gli americani e il loro governo dimostrano maggiore compostezza di quanto si supponga in generale, come possiamo desumere dalle parole – a volte infelici – scelte dal Presidente.

Alcuni dei nostri colleghi americani ci hanno detto chiaramente che “il tempo delle belle parole è ormai finito” e penso che abbiano ragione. Ciò non vale soltanto per i rapporti tra loro e noi, ma anche per quanto faremo qui, nel Parlamento europeo. Se parliamo di pene per i terroristi, arriviamo in ritardo.

Mi auguro si possa discutere talvolta di prevenzione. Ciò implica la cooperazione tra servizi di polizia, giudici d’istruzione e servizi d’intelligence. Signor Commissario, spero che le sue proposte vengano presentate quanto prima, come di sicuro avverrà. Poi vedremo chi in Parlamento è favorevole o contrario ad una maggiore cooperazione, chi intende davvero compiere passi avanti e chi no.

Signora Presidente del Consiglio, mi auguro che emerga anche dalle sue riunioni segrete chi è favorevole e chi è contrario, chi intende progredire e chi no, in modo da poter trarre le nostre conclusioni e quindi giudicare e condannare, perché adesso siamo tutti scossi, siamo ancora affranti assieme ai nostri amici americani. Ma tra uno o due anni chi parlerà ancora di questo dibattito? Spero che la nostra attenzione sarà ancora desta e che ci ricorderemo di quanto detto quest’oggi.

 
  
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  Maes (Verts/ALE). (NL) Signor Presidente, signora Presidente del Consiglio, signor Commissario, la solidarietà alle vittime degli atroci attentati è la prima cosa che abbiamo espresso e abbiamo dovuto esprimere, ed è un bene che Consiglio e Commissione si siano messi al lavoro con determinazione per presentare proposte concrete.

Abbiamo assistito ad una globalizzazione del terrorismo. Tutti sono vulnerabili, ma possiamo fare del nostro mondo vulnerabile un mondo più sicuro: è questa la sfida cui far fronte. Ciò richiede però cooperazione multilaterale per poter combattere in modo globale contro il terrorismo. Questo è l’aspetto positivo che cerco di intravedere nel ricorso all’articolo 5 del Trattato NATO, che va visto come un segnale di solidarietà. Non si tratta di un assegno in bianco per qualsiasi azione militare che faccia nuove vittime e crei nuovi risentimenti e frustrazioni, ma un invito alla concertazione e al dialogo al di là dell’Oceano, anche se spesso ciò rischia di non essere compreso in questo senso.

Dobbiamo essere consapevoli che i nostri cittadini sono inquieti e che molte persone temono di venir risucchiate nella macchina della guerra. Dobbiamo renderci conto che dobbiamo spiegare quali sono le nostre effettive intenzioni.

Dobbiamo rendere più sicuro questo mondo vulnerabile facendo ricorso a soluzioni politiche per porre fine a conflitti che si trascinano all’infinito, come quello mediorientale. Dobbiamo portare la speranza in molte parti del mondo, costrette a vivere nella disperazione. Senza un ordine mondiale giusto, stabilità e pace rimarranno un’utopia, mentre continuerà a sussistere un terreno fertile per il terrorismo.

Ci rallegriamo per la volontà comune che emerge in questi giorni e che qui viene espressa da Consiglio e Commissione. Ci auguriamo che non ci si fermi alle belle parole, perché in passato, quando si è trattato di attribuire all’Europa gli strumenti per raggiungere gli obiettivi qui descritti, alcuni Stati membri hanno posto continui ostacoli. Da quanto ormai non si attua la cooperazione necessaria per rendere Europol uno strumento efficiente? Tale problema è già stato sollevato ad Amsterdam.

L’estradizione di terroristi è stata definita dal Commissario Vitorino la pietra angolare della lotta contro il terrorismo. Staremo a vedere se troveremo un accordo! La signora Presidente del Consiglio ha citato diversi strumenti per prevenire il terrorismo. Ma riusciremo mai a controllare il flusso di capitali che alimentano il terrorismo in tutto il mondo? Vorremo e potremo mai controllare il traffico di armi? O domani gli argomenti economici avranno di nuovo il sopravvento su quelli legati alla sicurezza e alla prevenzione del terrorismo? Perché il terrorismo esiste, il fanatismo esiste, l’ingiustizia esiste. Ci sono molte armi che finora non sono state utilizzate dai terroristi, ma che sono disponibili grazie alla società tecnologica.

 
  
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  Morgantini (GUE/NGL). – Signor Presidente, "non c'è causa - neanche una causa giusta - che possa fare delle uccisioni di civili innocenti un atto legittimo. Il terrore non lastrica la strada per la giustizia ma il cammino più breve per l'inferno. Noi condanniamo e deploriamo questo crimine orrendo, condanniamo chi l'ha pianificato e perpetrato, con tutta la nostra forza possibile. La nostra partecipazione al dolore per le vittime, al dolore delle loro famiglie e dell'intero popolo americano in questi momenti difficili non è che l'espressione del nostro profondo impegno verso l'unicità del destino umano".

Non sono parole mie ma alcune parole di intellettuali, politici e ministri palestinesi, come Yaser Abed Rabbo, Hanan Ashrawi, Mahmoud Darwish. Sono parole forti che danno speranza perché vengono da persone che vivono e soffrono sotto l'occupazione militare israeliana.

Questi sono tempi in cui tutti - persone, Stati, istituzioni - dobbiamo assumerci il massimo della responsabilità e della determinazione per mettere il terrorismo fuori dalla storia e, insieme a questo, mettere fuori dalla storia la globalizzazione della povertà, dell'ingiustizia e delle guerre.

"Le parole devono sostituire le armi" diceva Xavier Solana. Per questo non devono evocare, incitare all'odio o alla cultura del cowboy, "o vivi o morti": come dicono le donne contro la guerra, tra uccidere e morire c'è una terza via, che è vivere. L'educazione alla pace, al rispetto del diritto non deve escludere nessuno, meno che mai i capi di Stato. Oggi dalla Palestina e da Israele, con l'annuncio della tregua, viene una striscia di futuro, esile, sì, ma è indispensabile aggrapparvisi. L'Unione europea ha contribuito alla possibilità di ripresa del dialogo. Questo ruolo politico deve crescere e, se si accresce, si accresce nella fermezza della difesa del diritto. Come si è detto ad Arafat che deve avere fermezza nel controllare il terrorismo, così si dica chiaramente a Sharon che non può continuare impunemente a confiscare terre palestinesi, a costruire insediamenti, a uccidere e tenere i palestinesi segregati nei villaggi o, come ha fatto nella mattina di ieri, a distruggere il costruendo porto di Gaza, finanziato dai paesi dell'UE.

Ci vogliono misure concrete: dare ai palestinesi fiducia per uno Stato nella sicurezza e dare ad Israele la certezza che nessuno attenta alla sua esistenza, cioè che in discussione è la sua politica coloniale e di espansione, non la sua esistenza.

Ieri, in Libano, insieme a una delegazione italiana ho incontrato il Presidente Lahoud. Egli ha espresso chiaramente il rifiuto del terrorismo, ma ha ribadito con forza quanto sia indispensabile la soluzione della questione palestinese e lo sviluppo della cooperazione politica ed economica con l'Europa e il mondo arabo. Dobbiamo credere in noi stessi, ed essere portatori di pace, portatori del diritto.

 
  
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  Muscardini (UEN). – Signor Presidente, la lotta al terrorismo richiede che ognuno comprenda che la democrazia non può vivere senza regole e senza punizione di chi viola le leggi e distrugge la libertà e la sicurezza. In aprile, venne al Parlamento europeo, a cercare aiuto contro il fondamentalismo dei talebani, il comandante Massoud. Gli abbiamo sorriso con simpatia umana, come abbiamo sorriso con partecipazione alle vittime del fondamentalismo algerino e degli altri paesi dove sono stati trucidati cittadini, uomini politici, giornalisti: pensiamo alla stessa Spagna.

Oggi, Massoud è morto, ucciso da terroristi suicidi, poche ore prima che altri terroristi perpetrassero l'assurda strage, l'orrenda strage, l'abominevole strage negli Stati Uniti. E' evidente che il terrorismo e l'integralismo avevano stabilito una precisa sequenza, eliminando come primo atto il più autorevole referente della lotta antitalebana.

Se vogliamo veramente combattere e debellare per sempre il terrorismo, le sue centrali, la sua potenza economica, il suo messaggio di odio contro la democrazia e la libertà, dobbiamo oggi dare tutto il nostro aiuto al Movimento di liberazione dell'Afghanistan del nord: quello che abbiamo negato a Massoud vivo, lo dobbiamo a Massoud morto; lo dobbiamo agli uomini e alle donne che lottano per la libertà; lo dobbiamo dare a tutti coloro che nel mondo combattono contro il terrorismo e contro l'integralismo.

Chiediamo anche che, forse, l'Unione europea rimediti la necessità di organizzare al meglio i propri confini, anche sospendendo provvisoriamente Schengen, e che, comunque, come ha già ricordato il presidente Pasqua, siano tolti gli aiuti a quei paesi che ospitano, finanziano, proteggono organizzazioni terroristiche e criminali; che sia controllato l'uso di Internet, ponendo finalmente delle regole, perché sappiamo che il terrorismo si aiuta e lavora a livello internazionale anche attraverso l'assenza di regole per l'utilizzo di questo strumento; che siano chiuse le sedi di quelle organizzazioni che professano la lotta religiosa, predicano la violenza e tollerano che i propri aderenti pratichino il terrorismo.

Chiediamo infine, signor Presidente, di avere il coraggio di una Conferenza euromediterranea per confrontarci se si vuole lavorare per la pace, per lavorare insieme, per combattere chi vuole ancora seminare odio e violenza.

 
  
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  Borghezio (TDI). – Signor Presidente, la preoccupazione che la risposta ai grandi attentati non si configuri come una crociata contro l'Islam è condivisibile, ma con alcune precisazioni. E' bene ricordare, intanto, che una delle organizzazioni collegate a Bin Laden si chiama "Fronte islamico contro i crociati e gli ebrei". Vorrei ricordare anche che i flussi finanziari di miliardi di dollari, che giungono annualmente alle organizzazioni caritatevoli o assistenziali musulmane, vedono partirne una parte in direzione del terrorismo fondamentalista. Di più, gli utili di banche, di società finanziarie e coraniche, oggi finalmente controllate e individuate anche sul mercato internazionale, site in paradisi fiscali, contribuiscono a sostenere l'Internazionale del terrorismo islamico. Qui in Europa ci sono centri islamici, moschee, nei quali per anni - e ancora oggi - i fondamentalisti legati al terrorismo hanno trovato ospitalità, coperture, addirittura la fornitura di passaporti falsi, ciò che è documentato. Queste complicità esistono e non credo proprio che qualche generica parola di presa di distanza da Bin Laden possa rassicurarci sulla conversione alla pace, ai diritti umani di questi settori della galassia dell'Internazionale islamica presente in Europa.

Condivido il richiamo al realismo fatto stamani alla Conferenza dei presidenti dalla collega Garaud per una seria politica internazionale ...

(Il Presidente interrompe l'oratore)

 
  
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  Abitbol (EDD).(FR) Signor Presidente, un proverbio cinese dice che “quando il saggio indica la luna l’idiota guarda il dito”. L’Unione europea farebbe bene a meditare su questo proverbio perché in realtà le nostre discussioni odierne sembrano non avere alcun rapporto con lo stupro inaudito dell’integrità americana commesso l’11 settembre scorso.

L’America è stata forse risparmiata perché disponeva di una polizia o di un sistema informativo federale? Certo che l’aveva, ed era il più potente del mondo, ma questo non ha evidentemente permesso di prevedere né di impedire gli avvenimenti di martedì 11 settembre e non si capisce davvero quale sia il ruolo di Europol nella vicenda, né tanto meno quello di questa Unione europea che ancora una volta sembra preoccuparsi unicamente del suo potere e disinteressarsi completamente del merito dei problemi.

Noi che pretendiamo di rappresentare tutti i popoli europei dovremmo semmai riflettere sulla nostra resa e sulla responsabilità di avere lasciato soli gli Stati Uniti nello scontro con il resto del mondo mentre le nostre nazioni potevano contare su oltre mille anni di consuetudini diplomatiche, storiche, militari…

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Gorostiaga Atxalandabaso (NI).(EN) Signor Presidente, vorrei anzitutto ribadire la profonda solidarietà che proviamo per le vittime dell'aggressione terroristica della settimana scorsa. Già ora, ancor prima dell'inizio di una qualsiasi azione militare, stiamo assistendo a una terribile tragedia umanitaria, che in Afghanistan si abbatte su molte migliaia di persone innocenti.

Gli Stati Uniti hanno annunciato che toglieranno ogni limitazione ai servizi d’intelligence, permettendo loro di assoldare anche criminali. Cito le parole del Vicepresidente Cheney: "Per infiltrarsi in queste organizzazioni terroristiche è necessario avere sul libro paga personaggi assai sgradevoli".

Quando il Presidente Bush ha dichiarato la guerra - una guerra tra ricchi e poveri, poiché tale è essenzialmente la lotta sottesa a questa vicenda - egli ha aggiunto che la guerra si vince con gli strumenti dell'azione. Gli strumenti da usare in questo caso, però, devono essere quelli della giustizia: non la sospensione delle norme dello Stato di diritto né la soppressione delle libertà, ma al contrario la loro gelosa conservazione.

Signor Presidente, signora Ministro, signor Commissario, onorevoli deputati di questo Parlamento, se combatteremo una guerra sbagliata saremo destinati a perderla.

 
  
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  McMillan-Scott (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, non dimenticheremo mai le azioni terroristiche che hanno colpito gli Stati Uniti, contro le quali pronunciamo la nostra più ferma condanna. Condividiamo il dolore per le vittime civili e le loro famiglie, così come condividiamo i valori del nostro grande alleato: democrazia e libertà individuale. Il terrorismo crea un'atmosfera psicologica, suscita sdegno e volontà di reagire; dobbiamo perciò essere uniti, determinati e vigili.

Una reazione politica unitaria però non basta; dobbiamo anche rettificare la posizione diplomatica dell'Unione europea. Nel quadro dell'attuale processo di bilancio dobbiamo ripensare il vasto programma di aiuti dell'UE, in particolare nei confronti di quegli Stati che sono in qualsiasi modo coinvolti in trame terroristiche.

L'Unione europea gode fama di essere filoaraba; me ne rammarico, poiché dovremmo essere favorevoli semplicemente alla democrazia. La guerra è stata dichiarata e noi dobbiamo schierarci inequivocabilmente dalla parte dei nostri alleati americani. Il mio partito e il mio gruppo si impegnano a sostenere senza riserve il governo britannico in primo luogo, e inoltre i suoi partner dell'Unione europea e i nostri alleati della NATO. Le dimensioni e la natura dell'atto di barbarie che la scorsa settimana è stato perpetrato contro gli Stati Uniti costituiscono il minaccioso preludio di ciò che potrebbe riservarci il nuovo millennio; dobbiamo quindi esaminare in modo pragmatico le misure che sarà necessario prendere insieme.

Dobbiamo sforzarci di apprendere gli uni dagli altri i metodi più efficaci per garantire la sicurezza dei nostri cittadini, nonché per attenuare quelle tensioni che sfociano nella violenza politica e nel terrorismo. Bisogna consentire per quanto possibile ai nostri elettori di continuare la loro vita normale, ma noi - come rappresentanti politici - non potremo avere tregua fino a quando il terrorismo sopravvivrà.

 
  
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  Read (PSE).(EN) Signor Presidente, la settimana scorsa mi trovavo a Washington, alla guida della delegazione del Parlamento europeo responsabile delle nostre relazioni con il Congresso degli Stati Uniti; abbiamo iniziato la riunione preliminare alla seduta in Commissione alle nove del mattino di martedì 11 settembre, ossia pochi minuti dopo il momento in cui il primo aereo aveva colpito una delle torri, e poco prima che andasse a bersaglio il secondo. Non occorre dire che la nostra riunione è durata ben poco; come gran parte dei cittadini degli Stati Uniti, anche noi ci siamo ben presto ritrovati, in angoscioso silenzio, di fronte a un televisore. Questa era l'atmosfera che si respirava in America martedì; mercoledì - com'è comprensibile - tra la gente prevalevano la rabbia e la paura (gli stessi sentimenti che provavamo anche noi); in seguito sono emerse reazioni più meditate ed equilibrate.

Sono stati molto apprezzati i numerosi messaggi giunti dall'Unione europea e dal nostro stesso Parlamento, oltre al gran numero di messaggi personali che esprimevano simpatia e solidarietà. Abbiamo potuto adempiere una parte del nostro compito di delegazione parlamentare; abbiamo incontrato alcuni esponenti della commissione per gli affari esteri del Congresso e con loro abbiamo avuto discussioni assai utili, anche se velate da grande tristezza. La domanda che essi ci hanno rivolto è stata questa: l'Europa ci darà il suo appoggio? Come ci aiuterà? Un quesito veramente difficile, e sarebbe stato prematuro e inopportuno che una delegazione parziale come la nostra azzardasse una risposta - e naturalmente non sapevamo quale risposta dare. A nome della delegazione ho fatto perciò una dichiarazione che è stata registrata negli atti del Congresso; col suo permesso spero che possa essere registrata pure negli atti del nostro Parlamento. Oltre alla naturale solidarietà che era nostro desiderio esprimere, tale dichiarazione sottolineava essenzialmente il fatto che questo problema andava affrontato con uno sforzo comune da parte degli Stati Uniti, dell'Unione europea e di molti altri paesi.

Diviene sempre più chiaro che la risposta dev'essere calibrata e proporzionata; bisogna inoltre prevederne e pianificarne le conseguenze. S'impongono, con ogni evidenza, iniziative politiche e diplomatiche di grande portata, tese a mantenere la collaborazione coi paesi più prossimi ai possibili obiettivi o più esposti ad azioni militari, nonché con le nazioni che potrebbero più facilmente subirne le conseguenze. Ci aspetta forse un futuro terribile, ma dobbiamo conservare il coraggio e la passione necessari a valutare lucidamente le alternative possibili.

Vorrei ringraziare tutti coloro che in Parlamento hanno espresso la propria preoccupazione per la nostra sicurezza: tra gli altri la Presidente, e in particolare i deputati miei colleghi (tra cui l'onorevole Belder e la onorevole Peijs, i miei due vicepresidenti), gli altri deputati del Parlamento europeo, il personale del Parlamento, gli interpreti facenti parte del personale del Consiglio e della Commissione, e soprattutto il personale della Commissione a Washington. Nel corso di una settimana che è stata veramente tremenda, essi ci hanno dimostrato una gentilezza infinita.

 
  
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  Wiebenga (ELDR). (NL) Signor Presidente, gli attentati contro gli USA mi fanno pensare soprattutto a quello perpetrato a Sarajevo contro l’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria nel giugno 1914. Allora sbucò dal nulla un terrorista che colpì al cuore l’impero asburgico, una potenza ritenute inattaccabile. Tale assassinio suscitò una reazione eccessiva da parte asburgica, che portò alla I guerra mondiale.

E’ importante combattere il terrorismo internazionale. E’ altrettanto essenziale farlo assieme con forza e, lo sottolineo, con ponderatezza.

L’Unione europea deve agire. Grazie, signor Commissario: né lei né il Parlamento sono il problema. Mi rivolgo al mio ex collega, il Ministro che rappresenta la Presidenza belga. Sono passati due anni da Tampere. Invito la Presidenza belga ad abolire il diritto di veto nel terzo pilastro, perché altrimenti continueremo ad arenarci e non potremo affrontare in maniera adeguata il terrorismo.

 
  
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  Schmid, Herman (GUE/NGL). (SV) Signor Presidente, ho fatto parte della delegazione che si è recata in visita a Washington la settimana scorsa. Ho potuto toccare con mano la devastazione, l’orrore e la disperazione causata dall’attacco, e ho provato e condiviso a mia volta quel dolore e quella disperazione. E’ ancora fortissima in me la preoccupazione non solo per gli scomparsi, ma anche per i sopravvissuti.

Signor Presidente, dopo avere ascoltato questa discussione ho deciso di mettere in un cassetto la traccia che avevo preparato per il mio intervento. Vorrei piuttosto parlare di una sensazione che si è fatta strada in me dopo avere ascoltato gli altri intervenuti.

Sono estremamente preoccupato sia per l’accaduto, sia per la reazione che quegli eventi hanno scatenato in America e in Europa. Sono convinto che, proprio mentre noi provavamo orrore, in giro per il mondo milioni e milioni di persone fossero invece in tripudio per questo atto di terrorismo. Credo che molti poveri in Asia, Africa e altri continenti abbiano esultato. Abbiamo letto sui giornali che i giovani palestinesi hanno festeggiato questo attentato. Non penso che fossero i soli; credo invece che, in tutto il mondo, milioni e milioni di persone abbiano reagito nello stesso modo. Questo pensiero mi riempie di un orrore e un terrore inauditi, perché significa che ci incamminiamo verso un mondo in cui vi sono milioni di potenziali terroristi e di violenti di questa risma.

Dobbiamo iniziare a chiederci se non siamo ormai davanti a una sorta di guerra sociale. Che questo abbia qualche analogia con le rivolte coloniali? Quand’ero giovane vi fu la rivolta dei Mau-mau, che venne presentata come terrorismo. Ci ricordiamo tutti della guerra in Vietnam. E’ forse un conflitto sociale quello che si cela dietro gli accadimenti degli ultimi tempi? E’ forse un’avvisaglia? Se così è, non hanno alcun senso né i progetti di bombardamenti massicci sul Medio Oriente, né i controlli di polizia inauditi e folli.

La nostra unica chance risiede in tal caso in una colossale politica di riconversione e di ridistribuzione, una politica che cancelli tutta la disperazione e lo sbando presenti nel mondo che generano terrorismo. Altrimenti non potremo mai vivere in sicurezza, con buona pace dei bombardamenti a tappeto e di tutti i servizi segreti di questa Terra.

 
  
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  Queiró (UEN).(PT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, gli Stati Uniti d'America e il mondo libero sono stati travolti da un'ondata di attentati barbari che hanno colpito diverse migliaia di persone, uomini, donne e bambini originari di oltre 60 paesi, assassinati in circostanze terribili di orrore e brutalità. Ancora una volta le nostre prime parole devono essere, alla pari di tante altre, di solidarietà e di cordoglio. Dobbiamo inchinarci dinanzi a tante vite stroncate e alla sofferenza dei familiari. Tali attentati hanno oltrepassato di gran lunga i limiti dell’immaginabile e hanno confermato il timore che il fanatismo dei gruppi terroristi non cede e non vacilla dinanzi ad alcun tipo di considerazione di compassione, facendo temere il peggio per il futuro, salvo che non venga fatto ciò che è necessario per combattere o sradicare il terrorismo. Lungi da noi agognare un nuovo scisma tra Occidente e Oriente. Distinguiamo bene coloro che professano liberamente e pacificamente la propria fede islamica da coloro che, in modo assolutamente intollerabile, cercano nell’appropriazione di un concetto medioevale di guerra santa l’ispirazione per aggredire a livello internazionale cittadini, popoli e Stati che aspirano a vivere in pace.

È quindi necessario rispondere con fermezza ai responsabili di questi gesti ignobili, veri e propri atti di guerra contro il mondo libero, contro coloro che li preparano direttamente, ma anche contro tutti quelli che li accolgono, proteggono, finanziano o ispirano. In tutto ciò l’Unione europea ha enormi responsabilità in quanto comunità depositaria dei valori universali della vita, della libertà, della pace e della sicurezza. Parallelamente alla promozione delle relazioni di fiducia, di cooperazione e di dialogo culturale con tutti i popoli e i cittadini di religione islamica che condividono questi valori universali, avendo in vista un loro coinvolgimento in un accordo attivo contro il terrorismo e la minaccia che rappresenta, l’Unione europea e gli Stati membri devono stabilire, fra loro e a livello internazionale, nuove e più efficaci forme di cooperazione nel campo della raccolta e del trattamento di informazioni nel settore della polizia, dell’armonizzazione dei sistemi giudiziari e legali e, infine, a livello di sicurezza e difesa comuni, che aiutino a prevenire e permettano di punire severamente tutti coloro che ispirano questa nuova forma di minaccia mondiale o coloro che fungono da agenti del terrorismo.

Qui desideriamo esprimere l’auspicio e la speranza che il dibattito di oggi e le conclusioni del Consiglio europeo di venerdì prossimo costituiscano un passo decisivo di una lotta lunga e difficile contro il terrorismo internazionale, lotta che non può non essere presa in considerazione, vista l’attualità e il persistere della minaccia, come nostra priorità fondamentale sul piano della sicurezza europea, atlantica e mondiale.

 
  
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  Bigliardo (TDI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho ascoltato tanti buoni propositi e anche qualche luogo comune. Devo però dire che non si lotta contro i terroristi se le banche europee accettano i loro depositi per accrescerne il peso finanziario; non si lotta contro il terrorismo se, a seconda degli interessi geopolitici, si vendono armi ai vari paesi che, di volta in volta, accettano il ruolo di ascari di questa o di quella potenza.

Signor Presidente, io credo che non si possa parlare di pace se tutti i giorni si pronuncia la parola "guerra". Il mondo intero è in apprensione per le dichiarazioni, forti - capisco lo stato d'animo e la situazione politica - del Presidente americano, al quale riconosciamo le ragioni di Stato e al quale manifestiamo tutta la nostra solidarietà politica e umana. Ci auguriamo, però, che la parola "guerra" sia mirata contro frange ben individuate di un mondo, quello arabo, che non merita di essere criminalizzato nella sua totalità per i gesti criminali di una criminale e sparuta minoranza di delinquenti, resi apolidi da una lucida, insulsa e barbara follia.

 
  
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  Farage (EDD). (EN) Signor Presidente, a nome del mio partito vorrei porgere le mie più sentite condoglianze al popolo degli Stati Uniti. Data la speciale relazione che ci lega, e le centinaia di cittadini britannici ancora dispersi, partecipiamo anche noi alla tragica perdita che li ha colpiti.

La prima osservazione che devo fare concerne il Primo ministro del mio paese, che si è assunto la responsabilità di rilasciare più di 400 terroristi già condannati; dobbiamo combattere il terrorismo in tutte le sue forme, ed è perciò necessario rifiutare ogni compromesso. Vorrei inoltre ammonire il Consiglio e la Commissione a non sfruttare quest'occasione per portare avanti il progetto dell'integrazione europea. I popoli d'Europa non perdonerebbero quei politici che volessero anteporre i propri interessi particolari alla sicurezza dei cittadini.

Pur di fronte a un futuro incerto e minaccioso, dobbiamo mantenere saldamente il nostro posto a fianco degli Stati Uniti d'America, come quella nobile nazione ha fatto per noi nell'ora più buia della nostra storia. Il nostro impegno nella lotta al terrorismo non dev'essere minore di quello degli Stati Uniti.

 
  
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  Sichrovsky (NI).(DE) Signor Presidente, l’attacco terroristico contro gli Stati Uniti tocca purtroppo anche tutti noi, e non solo perché tra le vittime vi sono probabilmente anche centinaia di europei. Considerando solo i cittadini austriaci, fino ad ora ne risultano dispersi ben trenta. La solidarietà e la cooperazione che ispirano la reazione all’attacco terroristico dovrebbero essere intese come un’offerta illimitata da parte degli europei, e i partner europei farebbero bene a rinunciare ad ogni condizione.

La Spagna, membro dell’Unione europea, ha sicuramente lanciato un segnale in tal senso, al pari della Francia. Entrambi questi paesi hanno infatti inviato prontamente loro esponenti politici negli USA. Rivolgo ora un appello ai partiti politici austriaci affinché rinuncino completamente alla cosiddetta neutralità, poiché di fronte a terroristi e vittime innocenti non vi può essere alcuna neutralità. Nell’ambito di questa collaborazione internazionale, altrettanto importante dei rapporti reciproci tra i paesi democratici sarà la cooperazione con i paesi arabi moderati e con quelli in cui i musulmani sono la parte maggioritaria della popolazione. Un’efficace solidarietà internazionale sarà in questa circostanza l’elemento più importante di una valida contromossa. A coloro che qui si sono riempiti la bocca di “sagge parole” contro un intervento militare e hanno dato sfogo alle loro fantasie pacifiste vorrei dire di andare a New York, di andare nella scuola frequentata anche dai miei figli e di parlare a quei bambini che hanno perso la mamma o il papà o entrambi i genitori a causa di questo attentato!

 
  
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  Nassauer (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, alla solidarietà delle parole deve ora far seguito la solidarietà dei fatti. La CDU-CSU tedesca si pone in ogni caso al fianco degli americani anche nella comune lotta contro il terrorismo. Gli americani hanno avuto un ruolo decisivo nella ricostruzione del nostro paese e nella riconquista della nostra unità. Per ciò abbiamo il dovere di accollarci, assieme a loro, il peso della lotta contro il terrorismo.

Le proposte del Commissario Vitorino rappresentano un primo e giusto passo in tale direzione, ma non sono un programma di immediata applicazione. Le prime delle misure proposte entreranno in vigore appena nel 2002. Per quanto esse siano giuste, noi possiamo e dobbiamo fare di più! Ad esempio, possiamo dotare Europol di maggiori mezzi di quanti ne abbia ora. E’ assolutamente necessario che Europol stipuli, nell’ambito del diritto vigente, un accordo con gli Stati Uniti d’America sullo scambio di dati relativamente alla lotta contro il terrorismo. Si tratta di un progetto che finora non è andato in porto perché abbiamo sempre usato le nostre disposizioni sulla tutela dei dati come lo strumento di misura di ogni cosa. Ma con questo tipo di tutela dei dati abbiamo reso un servizio più ai terroristi che alle loro vittime.

Dobbiamo conferire a Europol senza indugio le capacità necessarie per agire in modo operativo. Dobbiamo finalmente mettere in campo unità investigative congiunte ovunque possibile. Europol dev’essere coinvolta in tutte le indagini sui terroristi e deve favorire uno scambio immediato di informazioni tra gli inquirenti e chi opera nella centrale di Europol. Simili possibilità esistono già oggi ed è nostro dovere sfruttarle: esse rientrano nell’ambito del diritto vigente e non c’è bisogno di aspettare il recepimento di direttive.

 
  
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  Goebbels (PSE).(FR) Signor Presidente, signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, non vi è alcuna scusante per un atto terroristico. Il terrorismo è prima di tutto disprezzo per la vita, disprezzo per la vita di cittadini innocenti e talvolta disprezzo per la propria vita. Tutti i popoli devono innalzare un muro contro il terrorismo; non basta arrestare e giudicare gli autori e i mandanti di atti terroristici, ma occorre soprattutto bonificare il terreno sul quale cresce il terrorismo: povertà, sottosviluppo, ignoranza sono terreno fertile per tutti gli integralismi.

E’ un paradosso che ogni avvenimento imprevedibile possa essere facilmente spiegato a posteriori; ma non basta spiegare il mondo, bisogna cambiarlo.

L’economia mondiale versa in pessime condizioni. Dopo l’attacco contro gli Stati Uniti, la situazione rischia di aggravarsi in particolare in caso di azione militare prolungata. L’Europa, per poter aiutare gli altri, deve prima affrontare i propri problemi economici. Plaudiamo alla recente diminuzione del costo del denaro, ma la BCE avrebbe potuto preparare meglio i mercati, risparmiando così grosse perdite in borsa.

Se non si registrerà una crescita equilibrata a lungo termine, senza risanamento dei disavanzi pubblici, un tale choc esterno, imprevisto ed imprevedibile, dovrà indurre l’Europa a lasciar agire gli stabilizzatori automatici per tutti i Paesi dell’Unione. Non si tratta di lassismo, ma di buon senso economico.

Gli amici americani ci fanno vedere che cos’è il buon senso economico. Hanno appena stanziato un consistente pacchetto di aiuti a favore della loro aviazione civile. L’Europa si lamenterà presso l’OMC per questa distensione della concorrenza? Oppure definirà anch’essa una politica di sostegno ai settori economici scossi dalla barbarie? Per fortuna abbiamo l’euro. Senza moneta comune ci sarebbe stata una tempesta sui mercati monetari che avrebbe spinto talune monete come il marco tedesco verso l’alto e altre monete ritenute più deboli verso il basso con un conseguente scompaginamento del mercato interno.

Tuttavia non c’è solo l’Europa; ci sono i paesi poveri che rischiano di soffrire maggiormente di eventuali inversioni della congiuntura e di una recessione sempre possibile. La nostra priorità assoluta dovrebbe essere la reale integrazione di tutti i paesi nel commercio mondiale. La globalizzazione spesso sbandierata non tocca di fatto che un limitatissimo numero di paesi. I quattro quinti degli scambi mondiali avvengono fra una trentina di paesi. Non ci sarà sviluppo senza commercio. L’economia, per poter esportare, deve favorire una crescita endogena che crei maggiore equità all’interno del paese. Onde permettere tale sviluppo endogeno nei paesi poveri, occorre sciogliere al più presto il nodo dell’indebitamento del terzo mondo. Solo sradicando la povertà e l’ignoranza vinceremo definitivamente il terrorismo.

 
  
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  Caveri (ELDR). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il terrorismo internazionale mostra la volontà di una vera e propria escalation nelle proprie azioni e anche nell'efferatezza delle tecniche applicate, come si è purtroppo visto con gli orribili fatti degli Stati Uniti, mentre altre gravi minacce aleggiano, come le armi chimiche o quelle nucleari. Reazioni coerenti e comuni di difesa e di risposta in ambito europeo sono indispensabili e, con le dichiarazioni rese dal Consiglio e dalla Commissione, siamo nella giusta direzione. Resta tuttavia un nodo cruciale nell'ordine internazionale o, se preferite, nel diritto internazionale: il ruolo di istituzioni come l'Unione europea o anche le Nazioni Unite rispetto agli Stati tolleranti e complici del terrorismo. Su tutto ciò non ci possono essere sconti o mezze misure, come talvolta è avvenuto sino ad oggi. Nulla comunque è più come prima, e il Vertice straordinario di venerdì sarà certamente in grado affrontare anche questo argomento.

 
  
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  Tajani (PPE-DE). – Signor Presidente, signor Commissario, l'Europa e il Parlamento europeo sono al fianco degli Stati Uniti in questo momento buio della storia dell'umanità, certamente il più buio dalla fine della Seconda guerra mondiale. Siamo al fianco degli Stati Uniti anche perché tra le vittime dei vari attentati ci sono decine e decine di europei, molti italiani. L'11 settembre non sono stati colpiti soltanto i simboli della libertà economica e della sicurezza collettiva dell'Occidente: siamo stati colpiti tutti noi.

L'Europa dovrà essere protagonista nella nuova fase politica che si è aperta dopo le ultime tragiche vicende. Le nostre Istituzioni, a cominciare dal Parlamento, dovranno svolgere un ruolo non di secondo piano nelle prossime settimane, nei prossimi mesi. Assieme a tutti i paesi del mondo, l'Unione sarà chiamata ad essere in prima linea, e le scelte che siamo chiamati a fare dovranno concentrarsi su alcune grandi questioni, prima fra tutte l'individuazione dei colpevoli. Questa è indispensabile per arrivare alla reazione contro il terrorismo che gli Stati Uniti, con gli alleati che riterranno di doverlo fare, dovranno effettuare, ma dovrà essere mirata a colpire i responsabili delle stragi di New York e Washington.

Per vincere questa guerra contro il terrorismo serve, signor Commissario, un deciso rinnovamento nel settore dei servizi segreti. Per questo, accanto al potenziamento di Europol, che condividiamo, appare sempre più necessario dar vita a una sorta di intelligence sovrannazionale. E' un argomento di cui si è discusso nel Vertice tra il presidente del Consiglio italiano e il premier inglese: un progetto che ha l'obiettivo di dar vita a un'organizzazione che possa scoprire e contribuire a colpire i tentacoli della piovra del terrorismo.

La strategia e la mobilitazione internazionale dovranno necessariamente coinvolgere tutti i paesi arabi. Sia chiaro che lo scontro che stiamo vivendo in questo momento non è tra l'Occidente e l'Islam: è tra tutto il mondo e la follia terroristica. Per questo consideriamo molto importante l'annuncio della Russia e della Cina, come positive sono le posizioni di Yasser Arafat e certe decisioni del governo israeliano che contribuiscono a fare dei passi incoraggianti per la pace in Medio Oriente.

Una risposta militare e di intelligence deve insomma essere accompagnata da una forte iniziativa politica dell'Unione nelle aree di crisi più calde: un'azione destinata a spegnere i focolai di disperazione e di intolleranza. Il sospetto di speculazioni finanziarie avviate dai terroristi nelle Borse di tutto il mondo e la crisi di molte compagnie aeree, destinata a provocare il taglio di migliaia di posti di lavoro, richiedono alla comunità internazionale anche una serie di interventi per proteggere l'economia.

Signor Presidente, l'Europa con tutte le sue Istituzioni è chiamata a una grande prova. Siamo tutti convinti, però, che, grazie a una straordinaria concentrazione delle coscienze, alla fine prevarranno i valori di libertà, democrazia e tolleranza, nei quali oggi tutti ci riconosciamo, e che il Parlamento europeo, istituzione che rappresenta i popoli d'Europa, fin da venerdì saprà certamente fare la sua parte.

 
  
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  Hume (PSE).(EN) Signor Presidente, senza alcun dubbio l'intera Unione europea si unisce agli Stati Uniti nell'esprimere la più totale e assoluta condanna verso coloro che hanno perpetrato le orribili atrocità verificatesi in quel paese; esprimiamo inoltre la più profonda solidarietà alle famiglie che hanno perduto i propri cari in questa tremenda tragedia. L'Unione europea e tutte le società democratiche del mondo devono unirsi agli Stati Uniti nel tentativo di assicurare alla giustizia i responsabili di tali delitti; in quest'opera bisogna essere certi di colpire effettivamente le organizzazioni terroristiche e i loro affiliati, e non le comunità in cui costoro vivono - cosa che potrebbe procurare gravi sofferenze a persone innocenti.

In generale il terrorismo si sviluppa nelle zone in cui sono in corso conflitti, e in tali situazioni purtroppo molti di coloro che si fanno coinvolgere nell'attività terroristica credono veramente in quello che fanno. L'Unione europea può svolgere un ruolo importante nella soluzione dei conflitti che gravano su numerose zone del mondo, non inviando eserciti, ma con l'esempio di una filosofia di pace basata su saldi principi. Si dimentica spesso che, in tutta la storia mondiale, l'Unione europea costituisce il migliore esempio di soluzione di un conflitto.

Sessant'anni fa chi avrebbe potuto prevedere la nostra attuale situazione? Chi l'avrebbe prevista nel 1941, quando il furore della seconda guerra mondiale mieteva vittime a milioni? Se i nostri genitori o i nostri nonni si fossero detti "Non temete, i nostri nipoti si riuniranno insieme nel Parlamento di un'Europa unita", nessuno avrebbe creduto a un tale sogno; però quel sogno si è avverato, ed è essenziale comprendere come e perché si è avverato. Per queste ragioni l'Unione europea, anziché mantenere un esercito, dovrebbe istituire presso la Commissione un dipartimento per la riconciliazione e la pace, con un Commissario per la riconciliazione e la pace incaricato di diffondere tale filosofia.

In primo luogo in tutte le aree di conflitto le popolazioni sono divise, e tali divisioni non si possono sanare con la violenza: il primo passo dev'essere il dialogo. In secondo luogo vi è il principio del rispetto per le differenze, poiché tutti i conflitti vertono su qualche tipo di differenza, religiosa, nazionale o etnica. In terzo luogo è necessario creare istituzioni che rispettino tali differenze. Il quarto elemento, infine, è la collaborazione in vista di un interesse comune. Ecco i principi basilari dell'Unione europea, che sono riusciti a risolvere i più aspri conflitti della storia del mondo; questi stessi principi andrebbero impiegati per risolvere altri conflitti ovunque si presentino.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. PEREIRA
Vicepresidente

 
  
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  Pirker (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, al momento attuale l’Unione europea è in ogni caso più vulnerabile degli Stati Uniti, e continuerà ad esserlo finché la cooperazione tra i paesi membri contro il terrorismo non sarà ottimizzata sia dal punto di vista giuridico che dal punto di vista operativo. Pur essendo disponibile un’Istituzione - Europol – che è competente anche per la lotta contro il terrorismo, essa è però impotente se non tutti gli Stati membri si attengono alla Convenzione e non forniscono in tempo utile tutte le informazioni che servono per le necessarie indagini e successivamente per aiutare gli stessi Stati membri.

Europol resterà un cane che abbaia, ma non morde se continuerà a non disporre di personale sufficiente - attualmente ci sono solo dodici funzionari che indagano sul terrorismo in Europa - e se non le verrà messa a disposizione la dotazione tecnica necessaria. Per tali motivi è urgente, necessario e doveroso approvare un pacchetto di misure. Riterrei opportuno lanciare un monito agli Stati membri: se non rispetteranno tassativamente la Convenzione su Europol, in particolare l’articolo 4, sarà applicato nei loro confronti un meccanismo cogente riguardo alla fornitura delle informazioni.

In secondo luogo, dobbiamo stanziare fondi di bilancio in misura sufficiente a costituire una sede centrale in cui possa operare un numero adeguato di analisti che si occupino delle indagini sul terrorismo. In terzo luogo, dobbiamo istituire unità investigative congiunte per la lotta contro il terrorismo, nell’ambito della cooperazione tra analisti di Europol e rappresentanti degli Stati membri. Accogliamo con favore l’iniziativa accelerata del Commissario Vitorino con le due decisioni quadro come una nuova base giuridica, di cui abbiamo peraltro urgente bisogno per poter iniziare una lotta efficace contro il terrorismo.

Dall’Europa ci si aspetta molto, ci si aspetta che ora intervenga e agisca contro il terrorismo in modo più che deciso: è questo l’imperativo del momento!

 
  
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  Van den Berg (PSE). (NL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’attacco dell’11 settembre al WTC e al Pentagono è un attacco al cuore della nostra democrazia. Il nuovo terrorismo persegue quale obiettivo principale quello di farci paura, di mettere in subbuglio il nostro mondo e allo stesso tempo di sfruttare l’impotenza degli altri applicando semplici modelli in bianco e nero. Sostanzialmente lo considero un attacco contro il nostro mondo, contro l’intero mondo, e contro il nostro ordine mondiale ed è proprio quest’ultimo che intendo difendere.

Il terrorismo si globalizza e di conseguenza fa uso anche di tecnologie moderne e globali e di strutture criminali internazionali. Pertanto occorre dare una risposta a livello mondiale. Mi riferisco ad una cooperazione più intensa tra i nostri servizi segreti e all’infiltrazione in reti terroristiche. Non ci possiamo permettere di lavorare come Stati indipendenti senza cooperare tra di noi. Dobbiamo intraprendere un’azione comune e con questa nuova azione congiunta dobbiamo spingerci più in là di quanto siamo soliti pensare.

Anche i consorzi finanziari internazionali e le multinazionali devono collaborare attivamente. Produzione di stupefacenti, estrazione petrolifera in aree in cui divampano conflitti e traffico dei cosiddetti “diamanti di sangue” sono forme di finanziamento di azioni illegali, di lotte e di guerre, strettamente collegate con le reti terroristiche.

Dobbiamo bloccare i finanziamenti o dobbiamo smettere di collaborare al commercio di materie prime qualora con tali risorse si alimentino i conflitti e si crei un terreno fertile per il terrorismo. In tal modo possiamo paralizzare in maniera particolarmente efficace il finanziamento delle reti terroristiche. Il nuovo tipo di guerra impone anche uno sforzo continuo nel campo dello scambio di informazioni di carattere economico e sulla criminalità anche se, per motivi di sicurezza, alcuni servizi pubblici diventeranno più costosi o lenti.

Il nostro auspicio di vivere in una democrazia aperta, accessibile a tutti, ci rende vulnerabili, ma la cooperazione è anche la nostra forza. Ciò vale a prescindere dalla razza, dalla fede o dalla nazionalità. Qualsiasi tentativo di un terrorista di dividere il mondo nel loro mondo e nel nostro mondo, di mettere i vari gruppi o le diverse religioni gli uni contro gli altri, è trasparente. I terroristi non sono animati da fede o ideali: la loro è fame di potere. Le loro armi sono la paura e la distruzione. Non vogliono la pace nei Paesi Baschi, in Liberia o nel Medio Oriente: vogliono fare vittime civili. Per questo motivo ci schieriamo dalla parte degli Stati Uniti e di chiunque intenda difendere in maniera pacifica l’ordine internazionale esistente.

 
  
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  Brok (PPE-DE), presidente della commissione per gli affari esteri, i diritti dell’uomo, la sicurezza comune e la politica di difesa. – (DE) Signor Presidente, signora Presidente del Consiglio, signor Commissario, credo si possa constatare come la risposta all’attacco terroristico di cui oggi discutiamo venga preparata – a mio parere – con grande cura. Gli Stati Uniti stanno affrontando questa vicenda con calma e cercano di risolvere il problema nell’ambito di un approccio multilaterale, anche in collaborazione con la NATO. Ciò dimostra come tutto stia procedendo all’insegna dell’accortezza.

Ritengo che, proprio per questi motivi, sia nostro dovere affermare chiaramente che non esiste nessuna ragione che ci esima dalla nostra responsabilità e dai nostri impegni, e non solo per una questione di gratitudine, non solo per garantire il futuro delle relazioni transatlantiche, bensì perché è nel nostro stesso interesse! Questo terrorismo che ha assunto le proporzioni di una guerra e ha provocato distruzioni tali che finora avevamo sperimentato solo in tempi di guerra, questo terrorismo – dicevo – è in grado di colpire allo stesso modo Bruxelles oggi, Londra domani e Madrid dopodomani!

I combattenti sono già in mezzo a noi e quindi nessuno può più chiamarsi fuori! Credo che nessuno dovrebbe cercarsi un alibi per non partecipare alle azioni, quando verrà il momento di attuarle, e saranno azioni che noi dobbiamo sviluppare a partire da una nuova concezione della politica di sicurezza. Dovrà trattarsi di azioni militari accompagnate dal ricorso a tutti gli strumenti della politica estera – anche al fine, per esempio, di impedire il formarsi di alleanze favorevoli alla parte avversa – e collegate con la sicurezza interna, di cui il Commissario Vitorino e molti deputati hanno già parlato.

Riguardo all’ultimo punto dev’essere chiaro che contro il terrorismo transfrontaliero si possono adottare provvedimenti anch’essi transfrontalieri, e che persino la migliore legislazione nazionale e la migliore polizia nazionale nulla possono se non c’è cooperazione in questo campo!

Vorrei dire ancora una cosa: non c’è alcuna ragione che giustifichi il terrorismo; dobbiamo però provvedere affinché siano rimosse le cause che permettono al terrorismo di trovare appoggi. Per tale motivo dobbiamo dare il nostro contributo all’eliminazione, in Medio Oriente come in altre regioni, del terreno fertile su cui il terrorismo cresce.

(Applausi)

 
  
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  Díez González (PSE).(ES) Signor Presidente, gli attacchi terroristici dell'11 settembre hanno reso di grande attualità il nostro dibattito sulla necessità di un'azione comune nella lotta al terrorismo. Siamo ancora atterriti dalle terribili immagini, dalla tremenda realtà, dalle gravissime conseguenze che hanno avuto e da quelle che, immaginiamo e siamo certi, avranno.

A parte le conseguenze sull'economia o sulle relazioni politiche a livello mondiale, però, sono morte migliaia di persone e vi sono migliaia di persone che hanno perso genitori, figli, mariti, amici, persone care. A queste persone afflitte e alle vittime voglio dedicare le mie prime parole: loro, le vittime, devono essere presenti nelle nostre deliberazioni e nelle nostre decisioni future, perché siamo loro debitori. Dovremo agire, in particolare, per fare giustizia ed evitare che, per azione od omissione, vi siano altre vittime innocenti. Sappiamo di dover fare qualcosa, che è necessario dare una risposta giusta, democratica, adeguata - comunque sia una risposta - perché i terroristi non credano di essere o di restare impuniti, e perché abbiamo l'obbligo di assicurare ai cittadini che lo Stato di diritto possiede gli strumenti necessari per tutelare la loro vita, la loro libertà e la loro sicurezza.

Non posso né desidero astrarmi dalla mia condizione di basca. Mi piacerebbe non avere questa esperienza in materia, darei qualsiasi cosa per non averla, ma ce l'ho. So che la cooperazione internazionale è la strada, che le iniziative presentate oggi dal Commissario Vitorino sono la via da seguire: cooperazione politica, cooperazione giudiziaria e cooperazione tra forze di polizia. La corresponsabilità di fronte al terrorismo è la nostra principale risposta politica, la più efficace.

Onorevoli colleghi, il terrorismo - come è già stato detto - non ha confini, né patria, né religione, né ideologia. Ha un obiettivo e un metodo comuni, e non ha mai desiderato la pace. I terroristi hanno sempre tentato di sconfiggerci e di sconfiggere la democrazia. Pertanto vi dico che quanto è stato oggi deciso dalla Commissione, quanto oggi è stato approvato, è un fatto storico. Permettetemi di definirlo come tale. E' stato compiuto il passo che mancava per passare dalla solidarietà, necessaria, ma non sufficiente, all'azione comune di tutti.

La ringrazio moltissimo, Commissario Vitorino, e ringrazio tutti per questa decisione.

 
  
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  Oostlander (PPE-DE). (NL) Signor Presidente, ricchissimi gruppi elitari, i cui membri e complici hanno usufruito di una formazione universitaria, attaccano le nostre istituzioni finanziarie, economiche e di sicurezza. Questo atroce dramma non può rimanere senza risposta. I cittadini chiedono alle autorità di intervenire attivamente.

A livello di politica estera, l’Unione europea lo può fare perché siamo sempre più in grado di rispondere con un’unica voce. Il valore del nostro contributo per eliminare il terreno fertile al diffondersi del terrorismo è aumentato vertiginosamente. Mi auguro che di ciò sapremo renderci conto anche nel prossimo futuro. A livello interno non si riesce ancora a parlare con un’unica voce, in quanto vige ancora il principio “ciascuno per conto suo”. Per fortuna, la Commissione ha capito che non è possibile continuare su questa strada.

Commissario Vitorino, le esprimo il mio apprezzamento per il fatto che sia lei sia la Commissione vi siete resi conto che parlare con un’unica voce a nome dell’Unione europea è assolutamente necessario. Nel lasso di una settimana lei ha presentato un piano contenente proposte pratiche e indispensabili. Ciò si ripercuoterà positivamente con un aumento della fiducia da parte dei cittadini. Mi auguro che nessuno Stato membro abbia il coraggio – del tutto fuori luogo - di prendere le distanze da questo piano così necessario, facendo ricadere su di sé lo sdegno dei propri cittadini.

E’ ovvio che in questo caso è importante fare giustizia perché, in primo luogo, è stato perpetrato un reato, a prescindere dai motivi che possano essere addotti per renderlo meno grave. Lo vediamo anche con l’Irlanda del Nord dove, per definire degli accordi, vengono utilizzati – a torto – dei termini che rappresentano un’offesa per chiunque prenda sul serio la religione.

Possiamo dichiararci soddisfatti della relazione Watson, che offre un primo approccio per gli sforzi del Parlamento e che può essere integrata con affermazioni relative ai preparativi per i reati che vengono compiuti altrove, ossia al di fuori dell’Unione europea.

Facciamo affidamento sul fatto che il signor Commissario non ammetterà proposte di decisioni quadro con formule vaghe, come oggigiorno abbiamo a volte modo di vedere, o con formule prive di qualsiasi significato. Il vero valore aggiunto sta nel fatto che per i cittadini deve diventare chiaro che l’Unione europea è in grado di prendere le redini quando si tratta di garantire la sicurezza interna.

 
  
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  Jarzembowski (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signora Presidente del Consiglio, signor Commissario, da questa vicenda dobbiamo trarre le conseguenze anche per il trasporto aereo. Abbiamo bisogno di misure atte ad impedire il ripetersi di simili attacchi terroristici mediante aerei. Abbiamo urgente bisogno di aumentare la sicurezza dei passeggeri, e meglio sarebbe farlo a livello internazionale. Però ciascuno di noi dovrebbe cominciare con l’aumentare la sicurezza nei suoi aeroporti nazionali. Abbiamo bisogno di controlli più severi sui bagagli, compreso il bagaglio a mano, nonché sul personale degli aeroporti. Ma soprattutto non basta che i controlli negli aeroporti siano intensificati oggi e domani e che tra sei mesi siano di nuovo allentati in determinate regioni d’Europa. No, abbiamo bisogno di controlli severi e duraturi.

In certi casi e su determinate tratte abbiamo probabilmente bisogno di accompagnatori armati, e dobbiamo verificare la necessità di rendere più sicure le cabine di pilotaggio da attentati terroristici, per evitare che gli aerei diventino la più grande arma del mondo. Le nostre preoccupazioni, però, riguardano non solo la sicurezza dei passeggeri – che è di primaria importanza – bensì anche un fenomeno che si sta ora verificando, ovvero l’enorme calo del numero di passeggeri delle linee aeree. Dobbiamo continuare a seguire la situazione. Questa diminuzione nel numero di passeggeri è dovuta forse agli attentati terroristici o ha piuttosto cause congiunturali o strutturali? Le richieste di alcuni governi pubblicate sui giornali di oggi – sovvenzioni, sovvenzioni – non possono essere la risposta giusta!

Il mio gruppo è contrario a concedere aiuti alle compagnie aeree; dobbiamo piuttosto riflettere sui modi per aiutarle, e questi modi possono essere accordi su un code sharing o autorizzazioni per ristrutturazioni, merger e acquisition delle compagnie stesse. Potremo così risolvere il problema in maniera un po’ più elegante e garantire la competitività delle compagnie. Quello che invece non dobbiamo fare è concedere sovvenzioni indiscriminate.

E’ senz’altro possibile che questa situazione cambi. Se gli Stati Uniti daranno copiosi finanziamenti alle loro compagnie aeree, dovremo stare attenti e vedere quali conseguenze ciò avrà sul mercato transatlantico, nel qual caso non potremo abbandonare le nostre compagnie a sé stesse bensì dovremo aiutarle, ma – e questo è il mio invito – con moderazione. Prima di tutto dobbiamo comunque accrescere la sicurezza dei passeggeri!

 
  
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  Morillon (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, martedì scorso ci siamo risvegliati con stupore dinanzi al manifestarsi di una nuova forma di totalitarismo. Il nazismo l’altro ieri, lo stalinismo ieri, il fondamentalismo islamico oggi avevano ed hanno in comune il più profondo disprezzo per l’essere umano che essi intendono piegare al compimento dei propri disegni di dominio universale.

L’11 settembre a New York e Washington non è stata attaccata solo la libertà, ma anche la dignità della persona umana. I mandanti di questo mostruoso attentato hanno deliberatamente sacrificato la vita dei loro stessi uomini al solo scopo di uccidere il maggior numero possibile di vittime innocenti, per suscitare il terrore nella mente degli oppositori e riaccendere il fanatismo dei sostenitori. La risoluzione espressa in tutto il mondo dimostra che non hanno conseguito il primo obiettivo, ma le manifestazioni di giubilo alle quali abbiamo assistito in vari paesi provano forse che il secondo obiettivo potrebbe non essere stato mancato. Dinanzi a questa minaccia saremo costretti a rivedere la nostra difesa comune, ma anche a lavorare sull’istituzione di un nuovo ordine mondiale che permetta in particolare all’Europa di impegnarsi di più nella soluzione dei conflitti regionali che nel Vicino Oriente, come anche in Afghanistan e in Africa, non cessano di insanguinare il pianeta.

Per lottare contro il terrorismo fondamentalista dobbiamo concentrare i nostri sforzi su un sostegno più deciso ai fautori di un Islam moderato e tollerante, siano essi al potere o all’opposizione. In Afghanistan, ad esempio, non abbiamo saputo rispondere alla pressante richiesta del comandante Massoud di distruggere il vespaio che si è creato in quel paese. Dobbiamo appoggiare i suoi sostenitori in seno all’Alleanza del Nord, unici rappresentanti del governo riconosciuto del paese, ed aiutarli con tutti i mezzi a rovesciare il regime barbaro dei talebani. Per lottare contro i terrorismo fondamentalista dobbiamo riformare profondamente la nostra difesa. L’Europa non ne ha i mezzi. Il Congresso ed il Senato americani hanno appena concesso 40 miliardi di dollari al Presidente degli Stati Uniti. Di quale somma disponete oggi, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, per manifestare non solo a parole la nostra volontà di schierarci a fianco del popolo americano nella lotta che ci viene imposta?

Onorevoli colleghi, oggi nulla è più come prima. Spero che nell’approvare in seconda lettura il progetto di bilancio 2002 sapremo trarne le debite conseguenze.

 
  
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  Cushnahan (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, io rappresento un paese che con gli Stati Uniti ha sviluppato una relazione storica assai stretta, anzi unica nel suo genere. Noi irlandesi abbiamo grandemente apprezzato l’aiuto che abbiamo ricevuto dagli Stati Uniti per estirpare la violenza dalla nostra isola.

Ciò che è accaduto a New York e a Washington non è nuovo: attacchi condotti contro obiettivi economici e politici, o contro istituzioni responsabili della sicurezza, con gravi perdite fra i civili, hanno spesso contraddistinto il terrorismo internazionale. Ne abbiamo avuto esempi in Irlanda, Gran Bretagna, Spagna e in altri paesi europei; ecco perché comprendiamo e condividiamo il dolore di coloro che ne hanno sofferto. In Irlanda speriamo che questo crimine ponga fine all’abitudine, invalsa in alcune parti degli Stati Uniti, di trattare alla stregua di celebrità gli esponenti di organizzazioni che si macchiano di simili delitti in Irlanda; si può anche sperare che ne venga diminuita la capacità di raccogliere finanziamenti, soprattutto in quanto la loro sezione paramilitare, oltre ad allacciare stretti legami con altri capi terroristi, detiene ancora armi per l’attività terroristica e addirittura strumenti di distruzione di massa.

Il più grave problema che i leader dei paesi democratici devono affrontare in questo momento è quello di trovare la risposta adatta a quest’ultimo episodio di barbarie. Devo però dire che il linguaggio abitualmente usato dal Presidente George W. Bush desta in me qualche preoccupazione: l’invito a catturare qualcuno “vivo o morto” figurerebbe bene in un film western, ma è del tutto fuori luogo in bocca a un leader mondiale, tanto più nel corso di una crisi internazionale.

Il moto di ribellione che ha fatto seguito agli avvenimenti della settimana scorsa fornisce una spinta capace di raccogliere tutti a difesa degli ideali democratici nella lotta contro il terrorismo internazionale; se però questa tendenza venisse manipolata in modo poco avveduto, potrebbe far precipitare il mondo occidentale in un conflitto col mondo islamico, e ciò avrebbe conseguenze catastrofiche per tutti. La nostra reazione dev’essere quindi meditata e proporzionata; non deve provocare perdite inutili fra i civili, cosa che farebbe nascere un’altra generazione di terroristi.

Abbiamo un’occasione unica per liberare il mondo dalla mala erba del terrorismo e rinvigorire invece la democrazia; le future generazioni non ci perdoneranno se la sprecheremo.

 
  
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  Van Orden (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, il Regno Unito affronta questa tragica circostanza con unità d'intenti, rincuorato dalla solidarietà che i leader politici di tutta Europa hanno espresso nei confronti degli Stati Uniti. In passato l'entusiasmo che numerosi politici del nostro continente dimostravano per l'integrazione europea era in realtà alimentato dall'antiamericanismo; si tratta però di un atteggiamento da abbandonare, poiché raramente l'esigenza dell'unità euroatlantica si è fatta sentire in maniera più imperiosa.

Confido che i leader dell'Unione europea vigileranno affinché nessun governo europeo sia tentato di farsi da parte quando il gioco si farà duro – in precedenti periodi di crisi, la risolutezza di alcuni non tardò a dissolversi. Sarebbe poi veramente inopportuno servirsi di questa crisi per promuovere e accelerare il programma d’integrazione dell'Unione, soprattutto per ciò che riguarda gli elementi della politica di difesa europea, essenzialmente separatisti. Dobbiamo puntare a una seria azione contro il terrorismo, non limitarci a cogliere un'occasione per estendere le competenze dell'Unione europea.

Sul fronte interno, spero che la definizione comune di reato di terrorismo, proposta a livello di UE con la legislazione connessa, sarà abbastanza forte per consentire un'efficace azione contro numerosi individui aderenti alle organizzazioni terroristiche che agiscono in Europa. Devo però confessare che ho i miei dubbi: il fatto è che troppi terroristi trovano chi li giustifica, o riescono a presentarsi con un manto di rispettabilità.

E' necessario individuare i metodi adatti per impedire ai fiancheggiatori del terrorismo di svolgere quelle attività che nei nostri paesi sono ancora considerate legali: reclutamento, indottrinamento ideologico, diffusione di trasmissioni, nonché raccolta di fondi per finanziare azioni illegali commesse altrove. Più specificamente, è ormai ora che i sette Stati membri dell'Unione europea che ancora non lo hanno fatto (tra cui il Belgio, che detiene la Presidenza) si affrettino a ratificare e ad applicare la Convenzione delle Nazioni Unite per la soppressione dei finanziamenti al terrorismo, così da stroncare quelle reti di finanziamento in nero che alimentano le organizzazioni terroristiche.

La società democratica ha bisogno di proteggersi e dev'essere in grado di affrontare i pericoli concreti; negli ultimi anni, invece, la nostra società è stata progressivamente disarmata.

 
  
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  Gemelli (PPE-DE). – Signor Presidente, nell'esprimere la condanna più ferma nei confronti degli atti terroristici e nell'affermare che il terrorismo non ha bisogno di aggettivi né di collocazioni ideologiche per essere esecrato, condivido il pensiero di chi ritiene che bisogna stabilire una fortissima collaborazione con gli Stati Uniti nel formare una larghissima alleanza mondiale contro il terrorismo, con tutti i paesi che vorranno aderire. L'alleanza mondiale contro il terrorismo dovrà affrontare sicuramente gli aspetti militari per garantire la sicurezza, ma dovrà anche prendere in considerazione tutte le forme possibili di terrorismo che potranno essere messe in atto e che vanno dal terrorismo finanziario a quello bancario, dal terrorismo economico e quello alimentare, da quello ambientale a quello elettronico e informatico.

Il dibattito delle assemblee parlamentari del Parlamento europeo, dell'OSCE, dell'UEO, riunite nell'assemblea del Patto di stabilità dell'Europa orientale e meridionale, ha posto l'accento, nella maggior parte degli interventi, da un lato, sulla necessità di accelerare il processo di democratizzazione di quei paesi e, dall'altro, sulla difesa dei diritti umani, che rappresentano i due pilastri fondamentali che sconfiggeranno la povertà e il sottosviluppo attraverso un uso razionale delle risorse economiche.

La difesa dei diritti umani e l'attuazione della democrazia deve, da questo momento, essere una pretesa irrinunciabile, che l'Unione europea deve richiedere a tutti i paesi con i quali intrattiene rapporti. Tale pretesa è rigida e incondizionabile perché rappresenta la garanzia della tutela della difesa della dignità di ogni cittadino nel mondo. L'Unione europea deve ribadire il rispetto di ogni confessione religiosa e, nel contempo, deve richiedere a tutte le confessioni di condannare ed esecrare gli atti terroristici per tracciare un chiaro solco tra società civile e libera di manifestare qualsiasi religione e terrorismo a cui dev'essere negata qualsiasi motivazione religiosa. Condivido l'idea di convocare un forum mediterraneo che condanni il terrorismo, supporti il processo di pace in Medio Oriente e rilanci il partenariato euromediterraneo.

Infine, Europol e Eurojust insieme devono divenire strumenti europei efficaci, ponendo il problema di arricchire il corpus juris europeo e creando così un quadro di riferimento giuridico di fondamento che dia origine al diritto civile, penale e amministrativo europeo.

 
  
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  Atkins (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, vorrei esprimere la mia solidarietà agli Stati Uniti e alle altre vittime di questa terribile tragedia. Da ex Ministro dell'Irlanda del Nord, anch'io sono stato un bersaglio dei terroristi e anch'io mi sono trovato circondato dalle telecamere in mezzo alle distruzioni provocate da un attentato. So perciò quanto sia importante individuare la reazione giusta, ma anche come, per una democrazia, sia essenziale proteggere il più possibile tutti i cittadini.

Come l’onorevole collega Jarzembowski, anch'io mi interesso soprattutto dell'aviazione e di coloro che se ne servono - per lo più gente comune. Come membro della commissione per i trasporti ho scritto al presidente della commissione stessa chiedendogli di esaminare tempestivamente le ripercussioni dell'attuale situazione su questo importante settore. Servono anzitutto provvedimenti di sicurezza negli aeroporti e sui velivoli, e poi il controllo dello spazio aereo già congestionato, in previsione di un probabile incremento dell'attività militare, tenendo in debito conto anche il pericolo di incursioni ostili nello spazio aereo civile europeo e naturalmente il mantenimento della vitalità economica delle compagnie aeree – un aspetto segnalato dallo stesso presidente della commissione. E' essenziale affrontare con coerenza i problemi della sicurezza pubblica e del mantenimento di una serena atmosfera psicologica in tutta l'Unione.

Dobbiamo evitare le reazioni eccessive, che servirebbero solo ad acuire i comprensibili timori dei viaggiatori, compromettendone anche le libertà civili; dobbiamo invece trovare la risposta giusta e agire immediatamente insieme ai nostri amici ed alleati negli Stati Uniti e nell'ambito di organizzazioni internazionali come l'ICAO. Trovare la strada giusta richiede lavoro ed impegno: come ha sottolineato l'onorevole Van Orden, bisogna essere certi che fra sei mesi faremo e diremo le stesse cose che affermiamo ora. Il messaggio, in conclusione, è semplicissimo: dobbiamo scongiurare la vittoria del terrorismo!

 
  
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  Krarup (EDD).(DA) Qualsiasi attacco contro civili è esecrabile e per questo anche la minaccia di guerra che sentiamo a Washington – il Presidente utilizza espressioni come "crociata" – è altrettanto esecrabile. E’ mostruoso, poiché sappiamo che un intervento militare in ogni caso distruggerà la società civile e creerà il terreno più fertile per altri atti terroristici. Il nostro compito più importante è proprio quello di ricordare ai nostri alleati negli Stati Uniti la prudenza, le azioni ponderate; infatti non si combatte il terrorismo con l’intervento militare. Per quanto riguarda le proposte presentate dalla Commissione, vorrei dire brevemente che quello che è necessario per evitare il terrorismo non è contenuto nelle proposte. Le radici sono molto più profonde. Quello che viene proposto non è necessario e nemmeno sufficiente per debellare il terrorismo. Si tratta di fondamentali problemi di ripartizione di natura totalmente diversa. Questa è la cosa importante: evitiamo certe metafore militari, certi scontri, lotte e crociate.

 
  
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  Neyts-Uyttebroeck, Consiglio.(NL) Signor Presidente, onorevoli deputati, ho ascoltato con grande attenzione i numerosi interventi susseguitisi nell’odierno dibattito. Credo che sia stata pronunciata una serie di affermazioni di tutto rilievo.

E’ ovvio che quanto accaduto lo scorso martedì è un campanello d’allarme per l’Europa. Come diversi onorevoli hanno ribadito, in futuro dovremo eliminare le differenze tra primo, secondo e terzo pilastro dell’integrazione, ossia eliminare il secondo e terzo pilastro della costruzione europea. Forse qualcuno si renderà conto in queste circostanze che lanciare un appello in tal senso non è una prova di necessità istituzionale, bensì dimostra la preoccupazione di garantire l’efficacia dell’azione dell’Unione.

In tale contesto ho preso buona nota dell’invito formulato al mio indirizzo dal vostro collega e mio amico Wiebenga. Vorrei dirgli che può già iniziare a svolgere il suo lavoro convincendo il suo partito e il suo governo a lasciar cadere qualsiasi veto in merito al terzo pilastro. Ciò rappresenterebbe un bel passo avanti nella giusta direzione.

Per quanto riguarda la nostra cooperazione con gli Stati Uniti, a nome del Consiglio ho affermato che essa dev’essere potenziata e spingersi più in là delle consuete forme di collaborazione. Assieme a molti di voi mi auguro che la questione americana legata al sostegno da parte dell’Europa, così come ribadito da numerosi deputati, continui ad essere chiara anche in futuro e che si possa sviluppare una cooperazione equilibrata in cui scambiarci mutuamente – su base ugualitaria – informazioni, supporto e aiuto nella maniera più completa possibile, per portare avanti tutte le azioni necessarie per combattere il terrorismo internazionale.

Sulla scia di alcuni vostri interventi vorrei sottolineare, a nome del Consiglio, che sarebbe un errore terribile se vedessimo in quanto accaduto la scorsa settimana una specie di conflitto tra due civiltà o, peggio ancora, un conflitto tra due visioni filosofico-religiose del mondo. Purtroppo il radicalismo non è monopolio di nessuno e non lo è neppure il fanatismo.

Quanto successo la settimana passata è così atroce a causa delle dimensioni di tali eventi e dell’enorme numero di vittime causato. Le immagini rimarranno per sempre impresse nella nostra memoria, ma purtroppo ogni giorno veniamo nuovamente messi a confronto con espressioni di cieco fanatismo - ben più vicino a noi - che non possiamo certo attribuire, come certi fanno, a determinate concezioni del mondo. Voglio lanciare un fermo monito contro tale comportamento. Non possiamo muoverci in quella direzione, anzi dobbiamo far sì che tutti i focolai di conflitti esistenti nel nostro continente, ma anche al di fuori di esso, vengano trasformati quanto prima in processi di pace. Mi riferisco, come molti deputati, al Medio Oriente, ma non solo a quello. Penso anche ai Balcani e all’Africa e proprio stamani ho parlato del programma della Presidenza in relazione all’Africa.

Come ho già affermato nel corso del mio primo intervento, l’Unione europea sta trasformandosi – più velocemente di quanto molti pensino e più lentamente di quanto molti vorrebbero – in una potenza mondiale. Ciò comporta ulteriori responsabilità. Mi auguro che nelle prossime settimane e nei prossimi mesi ci dimostreremo degni di far fronte a queste nuove, pesanti responsabilità.

(Applausi)

 
  
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  Vitorino, Commissione. – (PT) Signor Presidente, onorevoli parlamentari, la Commissione ha gradito i contributi apportati a questo dibattito. Non mancherò di trasmettere al Presidente Prodi e al mio collega, Commissario Patten, le domande che hanno a che vedere direttamente con le loro responsabilità nell’ambito della Commissione. Da parte mia, desidero sottolineare solamente tre punti. Voglio dire anzitutto che condivido totalmente l’idea secondo cui la strategia contro il terrorismo non deve disperdersi tra i pilastri dell’Unione europea. È d'uopo adottare una strategia globale che metta in moto diversi strumenti: la politica di prevenzione dei conflitti, naturalmente, lo sviluppo di un dialogo politico con le regioni più problematiche nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune, naturalmente, la politica di aiuto allo sviluppo, ma anche - sia chiaro - la politica di sicurezza e la politica di cooperazione di polizia e giudiziaria. Non possiamo ignorare le cause profonde del terrorismo, ma non possiamo nemmeno permettere che rimanga la minima ambiguità, per cui affermiamo che non vi è ragione che giustifichi il ricorso al terrorismo e alla violenza che sacrifica vite innocenti. Per questo la miglior forma di lotta al terrorismo nel nome dei valori della democrazia consiste nell’utilizzare le armi della legge, della cooperazione di polizia e della cooperazione giudiziaria.

In ogni caso è ovviamente opportuno sottolineare che ci sono alcune responsabilità in merito alle quali noi stessi dobbiamo interrogarci: la questione del finanziamento del terrorismo, la necessità di applicare rigorosamente la Convenzione delle Nazioni Unite contro il finanziamento occulto del terrorismo, l’esigenza di adottare meccanismi efficaci contro il riciclaggio del denaro e i paradisi fiscali che alimentano finanziariamente i gruppi terroristici, nonché la questione della Convenzione delle Nazioni Unite sul traffico delle armi, ossia il seguito della Convenzione di Palermo sulla criminalità organizzata. Si tratta di forme multilaterali per dimostrare, nell’ambito delle Nazioni Unite, che le vittime dell’11 settembre non sono morte invano. Ciò equivale a dire che gli Stati hanno capito la lezione e che sono disposti a dar prova inequivocabile del rafforzamento della cooperazione nella lotta contro il terrorismo.

Il secondo punto che desidero sottolineare riguarda la sicurezza dei trasporti aerei. Mi fa piacere comunicarvi che il Consiglio dei ministri dei trasporti ha deciso che un gruppo di lavoro presenterà il 15 ottobre prossimo una prima relazione non solo sulle misure di sicurezza più immediate al momento adottate negli aeroporti e sugli aeroplani, ma anche sulla necessità di raggiungere un accordo, soprattutto con i nostri partner americani, per la pronta definizione di queste misure volte al rafforzamento della sicurezza del trasporto aereo. Desidero aggiungere che tali questioni verranno già poste sul tavolo dai rappresentanti dell’Unione europea in seno all’Assemblea generale dell'Organizzazione internazionale dell'aviazione civile che avrà inizio il 25 settembre.

Relativamente alle decisioni politiche (ad esempio alle due decisioni quadro che la Commissione è riuscita ad approvare) è più che evidente che l’unanimità potrà rivelarsi un ostacolo difficile da superare in Consiglio. La Commissione ha già detto a più riprese di essere favorevole all’idea di semplificare e sveltire i metodi di decisione nell’ambito del terzo pilastro. In ogni caso, al di là della questione dell’unanimità, nell’ambito della lotta al terrorismo, la posizione politica della Commissione è chiara: nessuno Stato deve bloccare né tanto meno escludersi dalla lotta al terrorismo. L’efficacia del progetto delle decisioni quadro dipende dalla possibilità che esse siano o meno applicate uniformemente in tutti gli Stati membri dell’Unione senza eccezioni, perché vogliamo che nell’Unione non ci sia alcun paradiso per le attività terroristiche o criminali. A questo riguardo auspico che gli appelli di questo Parlamento e dell’opinione pubblica siano sufficienti affinché si possano trovare le formule di compromesso necessarie a rafforzare la cooperazione di polizia e la cooperazione giudiziaria, formule legittime in democrazia per lottare contro il terrorismo.

 
  
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  Presidente. – Molte grazie, Commissario Vitorino.

 

7. Futuro della politica di coesione
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sul futuro della politica di coesione.

 
  
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  Neyts-Uyttebroeck, Consiglio. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, dal 1988 ad oggi la politica regionale ha riscosso innegabili successi, che non sono certo dovuti al caso, ma sono il frutto di una scelta politica importante a favore della solidarietà, scelta che si è tradotta sul piano del bilancio con lo stanziamento di oltre un terzo delle spese comunitarie alla coesione economica e sociale.

Mentre è in corso il periodo di programmazione 2000-2006, il 31 gennaio scorso la Commissione ha approvato la seconda relazione sulla coesione economica e sociale, ai sensi dell’articolo 159, comma 2, del Trattato. Oltre all’inventario pertinente di studi e indicazioni statistiche nella prospettiva dell’ampliamento, il rapporto contiene conclusioni e raccomandazioni che invitato al dibattito sul futuro della politica regionale. La coesione economica e sociale è una realtà di cui ci si deve preoccupare sin d’ora, poiché dobbiamo trovare risposte per il prossimo periodo di programmazione, ovvero quello che inizierà il 1° gennaio 2007, quando l’ampliamento ai nuovi membri sarà divenuto una realtà.

Alla luce degli elementi statistici della seconda relazione sulla coesione, un fatto colpisce l’immaginazione. Una sfida due volte maggiore ci attende con l’ampliamento, poiché i dati indicano che le disparità regionali sono destinate a raddoppiare. In termini relativi, i ritardi di sviluppo e di riconversione riguarderanno un maggior numero di regioni e presenteranno una maggiore intensità quando saremo 27 Stati. Inoltre, per un semplice effetto meccanico, un certo numero di regioni dell’attuale Unione europea non si ritroverà più nel novero delle regioni in difficoltà, senza però che la loro situazione economica reale abbia registrato un’effettiva evoluzione positiva.

 
  
  

(NL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, dobbiamo rivolgere la nostra attenzione soprattutto a due questioni.

La prima è se sia possibile procedere all’ampliamento senza una forte politica strutturale e di coesione. La seconda riguarda la maniera in cui la politica in materia di contesto economico e sociale debba continuare a rivolgersi alle regioni che accusano un ritardo nello sviluppo degli odierni Stati membri e con quali obiettivi. Entrambe le questioni sono state ampiamente discusse nel corso del Consiglio informale “politica regionale” tenuto a Namur il 13 luglio scorso.

Per quanto riguarda la prima questione, tutti hanno riconosciuto che l’ampliamento comporterà un notevole aumento delle esigenze in materia di coesione sociale ed economica. Ciò è stato anche sottolineato nella seconda relazione della Commissione sulla coesione economica e sociale. I dati riportati nella relazione sono chiari; in seguito all’ampliamento, le differenze aumenteranno in due modi: in primo luogo, raddoppierà la parte di popolazione in regioni con un PIL pro capite inferiore al 75 percento dell’attuale media comunitaria; ciò significa che il numero di cittadini che ricadono nell’obiettivo 1 dei Fondi strutturali passerà dal 19 percento dell’Unione dei Quindici al 36 percento dell’Unione dei Ventisette.

In secondo luogo, le differenze aumenteranno anche di portata. Oggigiorno il PIL medio pro capite nelle regioni che accusano un ritardo è pari al 66 percento della media UE. Se a ciò si aggiungono le regioni con un ritardo nello sviluppo appartenenti ai paesi candidati, il PIL medio pro capite scende a meno della metà della media UE, ossia al 77 percento.

Sulla base di tali dati si può desumere che con l’ampliamento il problema della coesione diventerà due volte maggiore per portata e numero rispetto a quanto sia ora. Povertà e disparità sono un problema assai difficile da risolvere e ci rendiamo conto che ci vorrà molto tempo per sradicarlo. Anche se i paesi candidati crescessero più rapidamente di quanto fatto dai paesi della coesione nello scorso decennio, l’attuale livello del PIL pro capite implicherebbe un processo di convergenza di almeno due generazioni. Persino con un tasso di crescita simile a quello irlandese degli ultimi dieci anni ci vorrebbero vent’anni per giungere al 90 percento del PIL pro capite dell’Unione dei Quindici.

E’ da tale prospettiva che oggi si devono valutare le priorità e gli obiettivi della nostra politica regionale. Anche la gestione tout court del previsto pacchetto di misure rappresenta un elemento importante nel senso che non bisogna perdere di vista il fatto che attualmente la maggior parte dei paesi candidati non dispone di strutture idonee per gestire la politica regionale così come noi per lo più pensiamo.

Ciò premesso, durante il Consiglio informale di Namur si è dato un chiaro segnale, cioè che è necessario continuare a sostenere le attuali aree dell’Unione europea che presentano un ritardo. Il sostegno legato agli odierni obiettivi, previsto per le aree svantaggiate sia degli Stati membri sia dei paesi candidati, deve essere concesso in maniera equa. Ciò dovrà essere necessariamente abbinato ad un impiego ancora più efficace delle risorse comunitarie.

Pertanto vi è unanimità circa la prosecuzione dell’attuale politica regionale a favore delle regioni che continuano a lottare con difficoltà strutturali.

 
  
  

Signor Presidente, onorevoli deputati, i Quindici sono favorevoli ad un rafforzamento della coerenza delle politiche da sviluppare a tutti i livelli, particolarmente tra i Fondi strutturali ed il Fondo di coesione, concentrando ulteriormente gli interventi.

Del resto, le domande di valutazione complementari, segnatamente sull’efficacia del sistema attuale, sono state formulate da taluni Stati membri prima che essi si impegnassero con più decisione nella determinazione delle modalità e dei meccanismi che disciplineranno in futuro la politica di coesione economica e sociale. Detti meccanismi e modalità saranno oggetto di una proposta globale della Commissione nel 2004, nella sua terza relazione sulla coesione economica e sociale. Comunque sia, è chiaro che i progetti e le azioni sostenuti dalla politica di coesione economica e sociale rivestono un’importanza particolare per i cittadini europei. Ciò contribuisce ad avvicinare i cittadini alle Istituzioni ed alle politiche europee.

Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli parlamentari, nel pubblicare la seconda relazione sulla coesione economica e sociale la Commissione ha compiuto il primo passo nell’importante cammino per il futuro della politica delle azioni strutturali nell’Unione europea. Il Consiglio, in occasione della riunione informale di politica regionale che si è svolta a Namur, ha ascoltato con estrema attenzione la presentazione svolta dal Commissario Barnier. Il Consiglio ne ha poi discusso in un’atmosfera serena basata sull’ascolto reciproco. Le discussioni si sono concentrate su questioni di merito e si è instaurato un clima complessivamente favorevole.

Per il momento, tuttavia, non è stata avanzata alcuna opzione definitiva. Per farlo occorrerà approfondire le questioni sollevate dalla seconda relazione. La Commissione continuerà il lavoro di analisi e alimenterà il dibattito con l’istituzione dei gruppi di lavoro su ogni singola tematica. I risultati di quei lavori saranno messi a profitto per la redazione della terza relazione, prevista per il 2004. Attualmente spetta al Consiglio ed al Parlamento, sulla base delle proposte della Commissione, impegnarsi ulteriormente nell’elaborazione della futura architettura della politica di coesione.

 
  
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  Barnier, Commissione. – (FR) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, onorevoli deputati, sono lieto di poter a mia volta fare il punto su questo grande dibattito apertosi il 31 gennaio scorso in questa stessa Aula, quando sono venuto a presentarvi la seconda relazione sulla coesione economica e sociale che la Commissione aveva appena approvato. In tale circostanza abbiamo avviato un dibattito che, lo ribadisco, si rivelerà franco ed obiettivo, senza questioni tabù, su una delle grandi politiche comunitarie, centrale per l’immagine e per l’idea che abbiamo di questa Unione europea, ovvero la politica di solidarietà. Da allora il dibattito si è arricchito di nuovi contributi. Penso in particolare al Forum sulla coesione tenutosi il 21 e 22 maggio scorsi e organizzato in questa sede grazie al Parlamento europeo, con l’accordo della vostra Presidente ed il concorso dei miei colleghi, Commissari Anna Diamantopoulou e Franz Fischler.

I negoziati per l’ampliamento progrediscono con tutti i paesi candidati. L’ampliamento, come sapete, è una delle tematiche essenziali del dibattito in corso. Ci preme distinguere nettamente tra negoziati di adesione, basati sull’applicazione dell’acquis comunitario nei nuovi Stati membri, e riforma delle politiche strutturali per il periodo successivo al 2006. Il dibattito al quale vi invito a partecipare riguarda il “dopo 2006”. Ben inteso, non si tratta di rimettere in discussione quanto spetterà agli attuali Stati membri fino al 2006 a titolo di Fondi strutturali.

La vostra Assemblea, chiedendo alla Commissione di esprimersi in merito, ha inteso fare il punto della situazione. Vorrei ringraziarvi di questa opportunità ed accennare brevemente ad alcuni temi.

Anzitutto vorrei ricordare il Forum del 21 e 22 maggio scorsi, che è stato un momento di profonda riflessione. Dal 31 gennaio in poi, presentare gli insegnamenti desunti dalla relazione di coesione è stato compito prioritario per me e per i miei collaboratori della Direzione generale della politica regionale. Potete stare certi che farò la mia parte, settimana dopo settimana, sul campo. Venerdì scorso a Helsinki, ad esempio, ho incontrato i venti presidenti delle regioni finlandesi; domani e dopodomani, a Oporto, parteciperò ad un’assemblea della conferenza delle regioni periferiche marittime, dove parleremo di questa futura politica di coesione. Il dibattito deve quindi estendersi e decentrarsi, in modo che rimbalzi verso Bruxelles, ma prima di tutto verso gli Stati membri, un certo numero di idee, istanze e orientamenti. Il Forum del 21 maggio è stato per me un momento molto importante e molto ricco di insegnamenti. Ha visto la partecipazione di numerosi Ministri, ex Primi ministri e Primi ministri in carica e di rappresentanti delle regioni e delle città non solo dei Quindici, ma anche dei paesi candidati, e molti dei contributi sono stati di altissimo livello. Tre sono gli aspetti interessanti di detti contributi e del dialogo di cui ci ha parlato poco fa il Ministro, signora Neyts-Uyttebroeck, che ho avuto il piacere di incontrare a Namur con i quindici Ministri incaricati della politica regionale, su invito della Presidenza belga.

Prima di tutto, sottolineo l’interesse che suscita il futuro di questa politica dopo il 2006 in tutti gli Stati membri e nei paesi candidati, nonché l’insistenza di molti sulla dimensione davvero politica della solidarietà europea. Non è solo una questione di denaro. Come ha detto giustamente a nome della Presidenza il Ministro Neyts-Uyttebroeck, è anche l’espressione forse più concreta, più precisa e più visibile dei valori sui quali si fonda l’Unione, la prova che questa Unione non è solo una grande zona di libero scambio e un grande mercato, ma una comunità solidale che dovrà essere un giorno una potenza politica.

In secondo luogo, non ho raccolto echi negativi riguardo al processo d’ampliamento. Naturalmente, si avverte una certa preoccupazione, ma anche il senso del dovere storico che spetta all’Unione e l’interesse per i nuovi come per i vecchi Stati membri di promuovere lo sviluppo sostenibile ed equilibrato dell’intero continente europeo.

In terzo luogo, per il buon esito del dibattito è fondamentale non dimenticare i fabbisogni delle regioni degli Stati che sono attualmente membri dell’Unione. Ribadisco il mio convincimento: non è perché si faranno entrare nell’Unione regioni molto povere dell’Est – dell’Estonia, della Slovenia, della Polonia, della Bulgaria, eccetera – che le regioni povere o in difficoltà del Nord, del Centro e del Sud, senza parlare delle regioni ultraperiferiche, diventeranno ricche per un colpo di bacchetta magica. Ci saranno ancora, dopo l’ampliamento, problemi e necessità da soddisfare nell’attuale Unione.

Ecco il motivo per il quale dobbiamo promuovere il mantenimento di una politica di coesione consona alle nuove sfide economiche ed alla futura geografia dell’Europa.

Il secondo punto riguarda la procedura da seguire in futuro. Come sapete, a seguito delle richieste espresse dal Consiglio a giugno, la Commissione si è impegnata a presentare regolarmente allo stesso un rapporto sull’andamento dei lavori relativi alla futura politica di coesione. Questa informazione che devo al Consiglio, la devo, naturalmente, anche al Parlamento europeo. Proporrò alla Commissione di adottare il primo di questi rapporti interinali regolari proprio all’inizio dell’anno prossimo, a gennaio, non appena disporremo di nuove statistiche che chiariranno, aggiorneranno e preciseranno le informazioni sin d’ora contenute nella relazione di coesione. Tengo a precisare che queste nuove statistiche, forniteci da Eurostat, riguardano ad esempio il PIL pro capite del 1999 o le statistiche sulla disoccupazione per il 2000. Quindi più le cifre saranno aggiornate, più il dibattito sarà serio ed obiettivo. Questo rapporto interinale di gennaio conterrà pertanto un aggiornamento dei dati e delle analisi della prima parte della relazione sulla coesione consacrata alla situazione delle regioni, ma presenterà anche i risultati dei diversi studi che abbiamo commissionato, nonché l’esito di approfonditi dibattiti e seminari. Posso fornire alcune precisazioni sugli studi complementari da noi commissionati: abbiamo richiesto uno studio sulla situazione insulare, nonché uno studio sull’impatto macroeconomico dei Fondi strutturali. A proposito di quest’ultimo, sarei lieto di fornirvi una serie di dati sull’impatto dei Fondi strutturali in termini di ricadute dirette dell’impegno di questi Fondi nei paesi contributori netti. Ho anche in animo di sollecitare uno studio complementare sulla situazione delle regioni di montagna o delle regioni che presentano perduranti handicap naturali. Per alimentare il dibattito, saranno inoltre organizzati dei seminari nel corso del primo semestre 2002 su ciascuna delle dieci priorità comunitarie individuate nella relazione sulla coesione, con la partecipazione di esperti degli Stati membri e delle regioni che inviteremo in funzione dei diversi temi.

Il terzo punto concerne, sempre a proposito del futuro, il merito del dibattito. A tale riguardo permettetemi di esprimere tre convinzioni. La prima è che con l’imminente prospettiva dell’ampliamento dell’Unione gli Stati membri e le regioni sentono un maggiore bisogno di politica di coesione comunitaria. Non credo che una forma di rinazionalizzazione della politica regionale possa costituire una valida risposta a tale esigenza, a questo bisogno di coesione in un’Unione ampliata ove ci saranno – i dati sono eloquenti – più disparità di oggi. Tuttavia, nel riaffermare il succitato bisogno di coesione e nell’immaginare una nuova politica di coesione e una nuova politica regionale, mi dichiaro altresì risolutamente propenso a cercare di ottenere con il vostro aiuto più decentramento, più semplificazione e meno burocrazia. In materia di procedure europee, mi impegno per quanto possibile ad individuare e proporre tutti i mezzi volti ad ottenere maggiore semplificazione e decentramento.

La mia seconda convinzione è di ordine finanziario. Anche se il dibattito finanziario propriamente detto è oggi prematuro, non sono l’unico a ritenere, come ho già avuto modo di dire a titolo personale in Aula, che uno sforzo finanziario che rappresenti globalmente lo 0,45 percento del PIL dell’Unione costituisca una soglia minima al di sotto della quale la credibilità della politica di coesione futura sarebbe messa in causa. Reputo pertanto di poter affermare che, salvo mettere in discussione la credibilità di questa politica di coesione, non si potrà scendere al di sotto dello 0,45 percento che è la soglia globalmente ammessa dai Capi di stato e di governo a Berlino.

La mia terza convinzione è che la futura politica di coesione deve essere equa e non discriminatoria. Deve pertanto applicarsi a regioni con difficoltà strutturali molto diverse, che affrontano questioni di natura eterogenea, ossia regioni molto arretrate in termini di sviluppo situate per la maggior parte nei paesi candidati, ma anche alle regioni dei Quindici che non hanno ancora completato il processo di convergenza reale e per le quali sarà opportuno trovare il giusto trattamento in modo che non vengano penalizzate da un effetto statistico o meccanico legato alla soglia o ai nuovi mezzi a disposizione nel quadro dell’Unione ampliata. Infine sarà necessario affrontare le difficoltà di talune zone che presentano handicap particolari o questioni sociali preoccupanti quali le pari opportunità o la situazione delle zone urbane.

Per concludere, signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, onorevoli deputati, vorrei ricordare che la relazione che presenteremo all’inizio dell’anno si ispirerà ai risultati degli approfonditi dibattiti che saranno portati avanti nel secondo semestre di quest’anno. Non è che il primo degli appuntamenti che vi ho proposto; ve ne saranno altri prima che io vi presenti la terza relazione di coesione nel 2004. In questo spirito mi dichiaro disponibile oggi e nelle settimane future ad ascoltare i vostri suggerimenti, raccomandazioni o critiche.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MARINHO
Vicepresidente

 
  
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  Hatzidakis (PPE-DE), presidente della commissione per la politica regionale, i trasporti e il turismo.(EL) Signor Presidente, non credo che questa discussione possa dare un contributo nettamente nuovo alla politica regionale in quanto, a mio avviso, il momento attuale non si presta a simili svolte. Ad ogni modo, visto che molti onorevoli colleghi si interessano alla questione e che la politica regionale rappresenta il 35 percento del bilancio, penso che per l’ennesima volta si possa ribadirne l’importanza per l’Unione europea; in tal senso, la discussione può forse essere opportuna.

Vorrei poi aggiungere che sarebbe bello poter discutere – e sicuramente lo faremo in seno alla commissione per la politica regionale – dei progressi nelle opere e nei programmi dei quadri comunitari di sostegno nei singoli paesi. Personalmente non sono affatto certo che in tutti i paesi ogni cosa vada per il meglio e questo non a causa della Commissione, bensì di taluni Stati membri. Non voglio parlare di gravi ritardi, ma indubbiamente ci sono problemi in alcuni paesi.

Relativamente al futuro della politica di coesione, dopo la seconda relazione della Commissione sulla coesione è stato avviato un dibattito che credo abbia già portato ad alcune conclusioni indiscutibili. Infatti, sempre più regioni avranno bisogno di copertura, mentre nelle regioni degli Stati membri che già beneficiano della copertura il PIL crescerà in modo artificioso, senza che ciò comporti automaticamente un aumento della ricchezza, come ha sottolineato il Commissario. Va da sé che servono maggiori dotazioni finanziarie, le quali non verranno reperite in modo necessariamente agevole.

Per me le conseguenze sono quasi ovvie. Anzitutto non dobbiamo affidarci al destino e decidere all’ultimo momento, perché potremmo ritrovarci davanti ad una situazione esplosiva nell’Unione. In secondo luogo, dal 2006 in poi dovremmo invece concentrarci su chi ha veramente bisogno e, in terzo luogo, non si dovrà causare uno choc alle regioni che non riceveranno più la copertura finanziaria, altrimenti le condurremo sulla via dell’euroscetticismo. Ora mi restano da dire due cose spiacevoli che riguardano rispettivamente i paesi più poveri e quelli più ricchi.

Per gli Stati più poveri dovremmo pensare ad un modo per usare meglio i crediti, accompagnato da opportuni strumenti, incentivi e magari sanzioni, se necessario, per evitare che il denaro sia speso invano. Per i paesi più ricchi dovremmo rivedere l’intera logica del bilancio comunitario, in modo da riuscire ad aumentare i fondi visto che l’incremento del fabbisogno sarà enorme e che la politica regionale – come ha detto il Commissario – non sarà credibile se giocheremo al ribasso.

 
  
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  Simpson (PSE).(EN) Signor Presidente, signor Commissario, come sapete, la commissione per la politica regionale, i trasporti e il turismo ha iniziato la discussione sulla coesione economica e sociale con la seconda relazione sulla coesione; tale relazione inaugura il dibattito sui metodi con cui affrontare il problema dei finanziamenti regionali e della politica strutturale nell'Europa allargata. Mentre apprezzo l'odierna dichiarazione del Commissario, devo segnalare che il mio gruppo continua a deplorare l'atteggiamento della Commissione, la quale - come sembra - non ha fatto uso del proprio diritto d’iniziativa e non si è impegnata a fondo su quest'argomento. Si pone quindi il problema dell'effettivo contenuto delle proposte della Commissione.

Il Commissario Barnier ha ricordato la riunione di maggio - cui hanno partecipato molti deputati - ma neppure da quell'incontro, mi pare, è scaturito alcun risultato concreto. Il nostro schieramento politico ha compreso tempestivamente la delicatezza di questo problema; il catalizzatore che ci ha permesso di cogliere questa situazione è stato l'esperienza che abbiamo fatto con Agenda 2000. Ma il Commissario di allora, signora Wulf-Matthies, agevolò l'elaborazione di una posizione comune col Parlamento; a nostro avviso è giunto quindi il momento di iniziare a lavorare insieme alla Commissione, dal momento che quest'ultima sta assumendo un atteggiamento più attivo, concreto e deciso.

Il mio gruppo ha analizzato in dettaglio le questioni da lei poste; i punti essenziali emersi dal nostro dibattito riguardano il mantenimento del concetto di coesione sociale ed economica assieme al suo più importante strumento attuativo, ossia il Fondo di coesione. Prima di prendere qualsiasi decisione sui futuri finanziamenti agli aiuti strutturali è però necessario discutere dettagliatamente la realizzazione degli obiettivi della politica di coesione.

In questo momento siamo di fronte a numerosi e complessi problemi; quindi ogni discussione sulla messa in opera del Fondo di coesione deve accogliere, sotto l'ombrello dello sviluppo sostenibile, anche altri settori, quali l'occupazione e l'agricoltura. Dobbiamo continuare a garantire anche in futuro un equo trattamento alle regioni più povere che attualmente ricevono aiuti strutturali; bisogna inoltre assicurare il mantenimento delle iniziative comunitarie, come INTERREG e URBAN. Ci chiediamo poi se la quota dell'1,27 percento del PIL comunitario, fissata nell'ambito di Agenda 2000, sia sufficiente per il nuovo Fondo di coesione.

Nell'avviare questo dibattito non possiamo fare a meno di notare che, secondo noi, le nostre discussioni sarebbero state più fruttuose e significative se la Commissione avesse avanzato alcune idee di propria iniziativa, in maniera tale da incoraggiare la discussione stessa. Siamo ben consapevoli dell'importanza del problema; per il momento abbiamo in mano solo alcuni questionari, ma possiamo assicurare al Commissario che nei prossimi mesi il nostro gruppo si impegnerà a fondo in queste discussioni.

 
  
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  Pohjamo (ELDR). (FI) Signor Presidente, la discussione sul futuro della politica di coesione è di grande attualità. Ringrazio la Commissione di aver voluto discuterne anche con il Parlamento e ringrazio al contempo per le visite effettuate negli Stati membri. Sono estremamente utili.

Oltre ai mezzi per un'efficace attuazione della politica regionale negli Stati membri attuali e nei paesi candidati, a preoccuparmi è anche la continuazione della politica strutturale negli attuali Stati membri nel prossimo periodo dei Fondi strutturali. La gestione della politica dei Fondi strutturali è attualmente troppo pesante. Ora è il momento di valutare tra l'altro i mezzi per trarre insegnamento dai ritardi delle procedure di preparazione dei programmi, pensando al periodo successivo. Come aumentare l'efficienza, ottenere risultati migliori e ridurre la burocrazia? Desidererei a questo punto sapere quale sia la posizione della Commissione sugli effetti dell'ampliamento per quanto riguarda la quota del finanziamento totale della politica strutturale. Qualora le condizioni della coesione economica e sociale dell'Europa lo richiedano, è la Commissione disposta ad aumentare gli stanziamenti destinati alla politica strutturale nel prossimo periodo dei Fondi strutturali?

Desidererei al contempo far notare alla Commissione anche il fatto che il finanziamento dell'ampliamento a spese delle regioni povere degli attuali Stati membri non è un modello accettabile. Tali regioni presentano tuttora problemi cronici dovuti fra l'altro alle difficili condizioni naturali, alle lunghe distanze o alla scarsa densità abitativa. L'azione dell'Unione europea dovrà essere solidale anche in futuro, in modo da trovare nuove risorse per far fronte alle nuove sfide della politica strutturale tramite un nuovo strumento di finanziamento. Tali risorse dovranno provenire fra l'altro da quelle aree centrali che per prime trarranno vantaggio dall'ampliamento.

 
  
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  Schroedter (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, nel quadro dell’allargamento la politica di coesione costituisce la sfida maggiore che la Comunità si troverà ad affrontare. Allo stesso tempo, la politica di coesione sarà il banco di prova della capacità di un’Unione composta da ventisette membri di trovare stabilità, e di trovarla in tutte le sue regioni. Negli Stati membri si è peraltro diffusa la tendenza a valutare il successo della politica di coesione non dai risultati ottenuti nelle regioni svantaggiate, bensì da quanto i vari paesi riescono a ricavare per sé dalle varie trattative. E’ evidente che tutto ciò dovrà cambiare a partire dal 2006! Dopo di allora, infatti, la stabilità e lo sviluppo proficuo di un’Unione allargata saranno garantiti solo se la condizione per la concessione di fondi sarà l’applicazione di comuni criteri obiettivi, non il mantenimento di una rendita di posizione. Ciò significa che una politica di coesione nuova e comune dovrà essere messa alla prova rispetto a quella vecchia, in tutte le regioni dell’Unione.

La seconda relazione sul Fondo di coesione contiene alcune proposte valide, però si trascina dietro molti errori della politica di coesione e non è una proposta di riforma radicale. Per quanto riguarda le proposte della relazione, dirò ancora che trovo positivo che tutte le regioni dell’Unione allargata vengano giudicate allo stesso modo e che, nel contempo, non si provochi uno choc alle attuali regioni beneficiarie. Concordo quindi pienamente sul principio di phasing out. Aumentare il decentramento e favorire la partnership: questo concetto va bene, ma deve valere anche per i paesi candidati nell’ambito dei Fondi di adesione – e quindi deve valere già ora – affinché le loro amministrazioni si possano impratichire della gestione di tali Fondi. E’ necessario, tuttavia, anche un phasing in per i paesi candidati all’interno di una politica strutturale decentralizzata già a partire dal 2002, anche in questo caso per fare esperienza. Meglio fare un po’ di esercizio prima, per essere poi pronti nel momento che conta. Una politica regionale integrata è l’unico strumento che meriti la fiducia anche da parte del donatore. Per questo la qualità deve avere la precedenza sulla quantità.

 
  
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  Markov (GUE/NGL).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, signora Presidente in carica del Consiglio, ritengo che la politica di coesione economica e sociale sia una delle conquiste assolutamente positive dell’Unione europea poiché testimonia l’attuazione del principio di solidarietà tra le regioni più sviluppate e quelle più deboli. Ciò non di meno, se si valuta con attenzione il modo in cui la politica dei Fondi strutturali ha funzionato finora, non si può fare a meno di rilevare l’esistenza di numerosi difetti.

Anzitutto, pur essendosi ridotte le differenze tra gli Stati membri, sono tuttavia aumentate quelle al loro interno, ovvero tra le regioni più sviluppate e le regioni più deboli.

Il tasso di disoccupazione nelle regioni deboli, in secondo luogo, non è diminuito in misura significativa.

In terzo luogo, il reddito pro capite medio delle regioni più ricche, dove vive il 10 percento dei cittadini dell’Unione, è tuttora 2,6 volte superiore al reddito delle regioni in cui vive il 10 percento più povero della popolazione dell’Unione.

In quarto luogo, le regioni meno sviluppate continuano a non disporre di circuiti economici e sociali in grado di reggersi da soli. Anche per tale motivo esse incontrano grosse difficoltà a ridurre realmente il loro ritardo rispetto alle regioni più sviluppate.

Infine avete notato che alla fine del 1999 gli stanziamenti d’impegno non ancora eseguiti erano pari a quasi 42 miliardi di euro? Ciò vuol dire che l’utilizzo della dotazione dei Fondi strutturali per determinati progetti è inefficiente! Ma vuol dire anche che occorre decisamente scegliere altre misure e altri progetti, e lo si può fare solo in collaborazione con gli Stati membri.

Nonostante questi difetti, non dobbiamo dimenticare che molto è stato fatto. In caso contrario, le differenze sarebbero state ben maggiori. Ne consegue che la politica dei Fondi strutturali deve essere portata avanti. Commissario Barnier, lei ha appena detto che non ci devono essere tabù. Ha ragione! Alla riunione informale di Namur anche tutti gli Stati membri hanno detto, più o meno, la stessa cosa, e sono state presentate proposte. Però, a un dato momento, occorre arrivare al dunque, a un dato momento occorre dire che quelle proposte costano tot soldi; dobbiamo quindi o decidere di stanziare questi soldi, o ammettere che non li stanzieremo.

Non si può andare avanti all’infinito senza prendere una decisione. Sapete che il limite massimo è pari all’1,27 percento del prodotto interno lordo nell’ambito delle previsioni finanziarie per il periodo 2000-2006. A che livello siamo però in realtà? Siamo al livello dell’1,02 percento. Ma non è così che si può mettere in pratica una vera politica strutturale! Dipende anche dal Parlamento...

(Commento dell’onorevole Jarzembowski)

Non ho fatto solo delle critiche al Commissario. Ogni volta dobbiamo sopportare scene come questa! Il mio gruppo ha sempre presentato gli emendamenti necessari. Forse, onorevole Jarzembowski, se la prossima volta il PPE decidesse di essere della partita, potremmo avere quasi la maggioranza! Anche nell’ambito di questa discussione non dobbiamo ovviamente dimenticare che ci sono regioni molto particolari. Il programma stilato dalla Commissione per le regioni di confine – mi spiace doverlo dire, signor Commissario – è del tutto insufficiente! Forse sarebbe il caso, una buona volta, di riflettere se non si possa fare una cosa del genere...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Raschhofer (NI).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, il Fondo di coesione è stato istituito per preparare i paesi dell’Unione strutturalmente deboli all’adesione all’Unione economica e monetaria. I paesi che ne hanno beneficiato hanno registrato negli ultimi anni notevoli progressi e hanno potuto aderire tutti all’Unione economica e monetaria. Posso quindi constatare che l’obiettivo del Fondo di coesione è stato raggiunto. Ciò nonostante, nell’Agenda 2000 è stato deciso di mantenere in vita il Fondo. Non sarebbe stato coerente, piuttosto, non dico interromperne bruscamente l’attività, ma quanto meno ridurla gradualmente secondo un criterio di phasing out? Con l’allargamento a Est, la politica di coesione dell’Unione, così come è strutturata attualmente, non appare più praticabile. Sappiamo tutti che per l’allargamento a est dovremo pagare un prezzo, e lo dobbiamo anche dire apertamente. Credo anch’io, peraltro, che nella politica di coesione dell’Unione ci siano molte cose che non vanno, soprattutto in termini di efficienza, di spese di amministrazione e di vulnerabilità alle frodi. Sarebbe necessario avviare una discussione approfondita sui punti forti e sui punti deboli di questa politica, quindi su una riforma della politica di coesione.

So che una discussione del genere non sarebbe facile perché andrebbe a toccare rendite di posizione; essa però dovrebbe affrontare anche una questione fondamentale, ovvero il significato della solidarietà nell’Unione.

 
  
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  Jarzembowski (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, voglio cogliere anch’io il suo invito ad affrontare la questione senza tabù. Credo che in quest’Aula nessuno, in realtà, sia contrario ad una politica di coesione. L’interrogativo che dobbiamo porci è il seguente: non sarebbe forse meglio praticare una politica di coesione senza un Fondo di coesione?

Ci sono due problemi. Anzitutto, quando entreranno i nuovi paesi membri, a rigor di logica essi dovrebbero aderire tutti al Fondo di coesione, dato che sarebbero gli Stati più poveri. Non si può dire che la politica regionale vale per tutti, ma che il Fondo di coesione vale per quattro paesi e che i dieci membri nuovi si sistemano tutti alla bell’e meglio da qualche parte! No, se si vuole mantenere in vita il Fondo di coesione, esso deve valere per tutti i paesi candidati. Personalmente credo però sia meglio praticare la politica di coesione attraverso una politica regionale e strutturale di carattere generale, senza un Fondo di coesione, tanto più che esso presenta, a mio parere, lo svantaggio di ragionare in termini di Stati e non di regioni. Noi però vogliamo aiutare le regioni, quelle svantaggiate, non gli Stati. Ritengo quindi che tale questione, signor Commissario, dovrebbe essere riconsiderata con grande attenzione.

In secondo luogo, credo che anche noi dovremmo operare una distinzione, come lei ha sempre sostenuto, tra la riforma dei contenuti e l’interrogativo su quanti soldi, alla fin fine, siamo disposti a spendere. Penso che dobbiamo decidere in fretta riguardo alla riforma dei contenuti, dato che i paesi candidati hanno il diritto di sapere da noi entro il 2002-2003 come sarà la politica di coesione dopo che avranno aderito all’Unione.

Signor Commissario, non sono del tutto certo di averla capita bene; ad ogni modo, ritengo che il suo modello possa essere valido di per sé. Lei dice che si applicano gli stessi criteri – diciamo, due o tre – a tutte le regioni e che poi si procede a un phasing out per quelle regioni che finora hanno ricevuto finanziamenti, ma che secondo i criteri nuovi non vi hanno più diritto, oppure perché non ci sono più fondi. Si pone allora una domanda: in base a quali criteri si concederanno i finanziamenti in futuro? Sarei disponibile a discutere di uno o due, forse anche tre criteri; nutro però il vago sospetto – vi ha accennato lei prima – che poi alla fine ci si potrebbe ritrovare con ben dieci criteri. E in tal caso, come si fa a decidere quale criterio applicare ad una data regione? Se ci sono un paio di montagne, applichiamo i criteri per le regioni di montagna? Se è un’isola, applichiamo quelli per le regioni insulari?

Credo piuttosto che sarebbe meglio prendere come riferimento una percentuale, non importa quale, ad esempio il prodotto nazionale lordo più forse il tasso di disoccupazione. Se poi, continuando il ragionamento, si dice che anche la percentuale di uomini e donne e il livello di istruzione di uomini e donne debbano valere come criteri generali, allora la faccenda si fa confusa, se posso esprimermi in questi termini. Quindi continuiamo pure questa nostra discussione, come ci ha detto lei prima. Noi siamo dalla sua parte e siamo ben lieti di continuare a discutere con lei!

 
  
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  Duin (PSE).(DE) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, esprimo il mio fermo appoggio a quanti hanno sostenuto che questa discussione non deve occuparsi di rendite di posizione bensì di aiuti per coloro che ne hanno più urgente bisogno. Voglio anche sottolineare in tutta evidenza che, a mio giudizio, nessuno deve chiudere gli occhi di fronte al fatto che l’ampliamento porrà tutti noi di fronte a grandi sfide, anche di carattere finanziario. I tedeschi hanno fatto l’esperienza della riunificazione; allora si cercò, in un primo momento, di far credere ai cittadini che il processo di riunificazione non avrebbe comportato oneri finanziari. Ma la realtà ha dimostrato che le cose sono andate in modo ben diverso! Perché non sorgano equivoci, dirò subito che noi siamo ovviamente favorevoli all’allargamento, però occorre affrontare le conseguenze che esso avrà sulla politica strutturale. Non ci può essere e, credo, non ci sarà un semplice “avanti come prima”.

Se non vogliamo mettere a repentaglio la fiducia dei cittadini che vivono nelle regioni interessate, abbiamo il dovere di chiarire questi punti preventivamente e onestamente. Onde evitare un brusco risveglio, dobbiamo trovare una via che ci consenta, da un canto, di aiutare appieno i paesi candidati a potenziare le loro infrastrutture e, dall’altro canto, di garantire che le regioni più deboli dei Quindici possano proseguire il loro processo di recupero, cioè la marcia di avvicinamento alla media dell’Unione. Ciò sarà possibile soltanto se si attuerà qualche cambiamento – e dei cambiamenti sarebbero stati comunque necessari, anche senza l’allargamento. Va anzitutto considerato che i paesi beneficiari del Fondo di coesione hanno ottenuto, in alcuni casi, risultati molto diversi tra loro nel processo di recupero, ed è dimostrato che i risultati migliori sono stati ottenuti laddove i protagonisti di questo processo sono legati al territorio e si sono formalmente impegnati ad assicurare la massima efficienza degli aiuti.

Per poter misurare il grado di efficienza dei mezzi impiegati è necessario inoltre migliorare ulteriormente la fase di valutazione dei progetti e premiare più di quanto si sia fatto finora le gestioni economicamente corrette dei mezzi stessi. Un ultimo ma non meno importante aspetto: è imprescindibile agganciare più saldamente questa politica alle altre politiche dell’Unione, in particolare alla PAC. A nostro parere, i decentramenti e le semplificazioni proposti dal Commissario Barnier ci mettono in condizione di raggiungere entrambi gli obiettivi.

 
  
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  Gasòliba i Böhm (ELDR).(ES) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, vorrei anzitutto segnalare una posizione favorevole alle due relazioni, che presentano una buona analisi dell'applicazione dei fondi nell'anno 1999, sia per il Fondo di coesione che per i Fondi strutturali. Partendo dall'analisi offerta da queste due relazioni, vorrei fare riferimento a tre punti.

Il primo è ovvio: nell'ambito della politica dell'Unione europea esiste la politica di coesione, e un elemento fondamentale di questa politica sono i Fondi che stiamo qui esaminando. Non si può prescindere da questi Fondi nelle regioni che possiedono un livello inferiore alla media dell'Unione europea, con o senza ampliamento. Pertanto è insito nella politica di coesione dell'Unione europea il fatto che le regioni meno sviluppate ricevano fondi e risorse volti a eliminare le disparità territoriali esistenti. Come si è detto, esiste ancora un margine finanziario, all'interno del bilancio dell'Unione europea, per poter soddisfare tali necessità.

La seconda questione è che le presenti relazioni si riferiscono all'anno 1999 e che si dovrebbero prendere in considerazione le critiche fatte all'applicazione dei Fondi. Speriamo che nel 2001, grazie all'azione del Commissario e dei suoi collaboratori, i difetti e i limiti riscontrati siano stati superati.

In terzo luogo, si deve considerare che le serie di statistiche analizzate e gli studi realizzati sull'applicazione dei fondi a lungo termine nell'Unione europea dimostrano sempre, tranne pochissime eccezioni, che le aree più sfavorite hanno ridotto il livello di disparità rispetto alla media dell'Unione europea. Pertanto, visto che parliamo del futuro dell'applicazione dei Fondi, si consideri in modo specifico tale dato nelle nuove politiche dell'Unione, elaborate in tale contesto.

 
  
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  Nogueira Román (Verts/ALE).(ES) Signor Presidente, onorevoli colleghi, come tutti, osservo con grande soddisfazione che sia la signora Presidente del Consiglio sia il Commissario responsabile della politica territoriale hanno convenuto, in primo luogo, sulla necessità, in vista del futuro ampliamento, di una doppia politica di coesione anche se di carattere minoritario: una politica di coesione per le regioni che appartengono ai quindici Stati attuali, e una politica di coesione supplementare per gli Stati dell'ampliamento.

Vedo inoltre che sono d'accordo anche su di una questione che mi sembra elementare, al di là di ogni ipocrisia: non c'è Europa politica senza un'Europa economica, non c'è Europa politica senza politica di coesione. Ciò avviene anche negli Stati membri attuali, e l'Unione europea deve assumersi queste responsabilità in futuro.

Come farlo? Come riuscirci e con quali strumenti? Si deve evidentemente migliorare l'applicazione attuale dei Fondi strutturali e del Fondo di coesione. Basta osservare, se permettete, le differenze nei risultati degli scorsi anni tra Irlanda e Spagna, oppure tra Portogallo, da un lato, e Italia o Grecia, dall'altro. L'applicazione è stata diversa, tanto che l'Irlanda ha fatto un balzo in avanti straordinario, e il Portogallo ha saputo sfruttare, meglio di molti altri Stati, i Fondi strutturali. Non è stato così per Spagna, Italia o Grecia; in questi tre paesi, anche se il reddito dello Stato si è avvicinato alla media europea, non così è stato per le regioni interne, e ciò indica che i Fondi sono male applicati, probabilmente perché lo Stato ha approfittato dei Fondi destinati a certe regioni o perché, a livello statale, non è stato applicato il principio di addizionalità.

Commissario Barnier, lei ha detto, e lo aveva già fatto in precedenza, che i Fondi strutturali e il Fondo di coesione non possono essere inferiori allo 0,46 percento del PIL comunitario. Le ricordo che questo è il livello che avevamo nel 1999 e che nel 2006 sarà dello 0,31 percento. Se nel 1999, considerando il risultato, con tali Fondi non siamo stati in grado di eliminare le disparità tra le regioni europee, allora bisogna essere molto più ambiziosi di quanto lei propone, anche se lo fa con spirito positivo.

 
  
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  Musotto (PPE-DE). – Signor Presidente, signor Commissario, la domanda che abbiamo di fronte è quale politica di coesione dobbiamo mirare a disegnare nel nuovo panorama che si apre per l'effetto dell'allargamento. La risposta va articolata a due livelli: da una parte, vanno identificati i principi che dovranno ispirare le politiche di coesione dal 2006 in poi; dall'altra, occorre stabilire le priorità.

Due sono, a mio parere, i principi che devono ispirare la politica di coesione: da una parte, l'egualitarismo delle opportunità; dall'altra, la regionalizzazione. Le moderne teorie economiche ci insegnano, con dovizia di particolari e con il sostegno di un'abbondante evidenza empirica, che il successo delle politiche di sviluppo locale è legato strettamente all'accrescimento dell'autonomia decisionale degli individui e al disegno di istituzione di politiche regionali che siano accettate presso gli stessi elettori.

Allo stesso modo, parlare di regionalizzazione equivale a disegnare le politiche economiche a livello locale, in modo che esse rispettino e stimino i vantaggi comparati di ciascuna regione, e le istituzioni di governo locale, in modo che esse operino scelte collettive con il supporto di una reale base democratica, soggette ad un vincolo di controllo da parte dei elettori che le rende politicamente responsabili.

La realizzazione di questi obiettivi richiede certamente un nuovo tipo di informazione statistica sulle realtà delle economie, a livello sia locale che nazionale e comunitario. Non basta più disporre di dati relativi al reddito pro capite per valutare le opportunità di accesso dei singoli nelle regioni europee; occorre molto di più: servono indicatori sul grado di accesso alle risorse, indicatori che misurino il godimento delle libertà economiche, che diano conto del godimento dei diritti umani fondamentali, che misurino, più in generale, la qualità della vita.

 
  
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  Walter (PSE).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, signora Presidente in carica del Consiglio, la politica di coesione è un fattore integrante dell’Unione europea. Non potremmo registrare alcun passo avanti nel processo d’integrazione dell’Unione europea se ciascuno di questi passi non fosse accompagnato anche da un po’ di solidarietà. Sappiamo tutti che i più forti e i più ricchi devono aiutare quelli che sono più poveri o non sono ancora così forti o sono impegnati in processi di recupero. Oggi discutiamo di quanto è avvenuto negli anni scorsi e, ovviamente, anche delle conseguenze che da quell’esperienza dobbiamo trarre per gli anni a venire.

Vorrei ora prendere in esame molto concretamente la situazione attuale della nostra politica di coesione, ovvero verificare in che modo spendiamo i soldi stanziati per questa politica così importante per l’Unione europea. In passato, fino all’Agenda 2000, le nostre discussioni più vivaci riguardavano la quantità di danaro da spendere; se oggi però analizziamo il modo in cui va avanti la realizzazione della nostra politica, non possiamo non nutrire forti dubbi sulla serietà dell’approccio.

Da un anno a questa parte ci troviamo all’inizio del nuovo periodo di aiuti e, pur essendo naturale che all’inizio il ritmo non sia così veloce come a metà corsa, va tuttavia rilevato che i tassi d’esecuzione nei diversi settori sono penosamente bassi: non ci sono altri termini per descrivere la situazione. In sede di commissione per i bilanci ne abbiamo parlato più volte, e anche la commissione per la politica regionale ne ha parlato e ne parlerà in futuro.

Dalla discussione attualmente in corso nell’ambito delle consultazioni di bilancio – e qui mi devo rivolgere al Consiglio – emerge che il Consiglio prevede per i nuovi impegni del prossimo anno solo l’1 percento, una percentuale che poi va anche tradotta in pagamenti. Ci saranno pagamenti solo per l’1 percento di tutti gli impegni che intendiamo stanziare! Così creeremo anche quest’anno, come già spesso in passato, un backlog. Invece di fornire aiuti immediati, accumuliamo fondi, laddove aiuti immediati sarebbero l’unica misura valida per far sì che molti paesi e molte regioni non abbiano più bisogno di aiuto nel momento in cui sarà realizzato l’ampliamento. Chi intende aiutare veramente questi paesi e queste regioni a uscire dalla loro situazione, chi intende veramente creare uno spazio per poter accogliere i paesi che desiderano aderire all’Unione, deve fornire un aiuto pronto e rapido, un aiuto concentrato: ergo, dobbiamo modificare di conseguenza le nostre previsioni di spesa.

Invito il Consiglio e la Commissione, che ha già presentato proposte in merito, a tradurre le loro parole in fatti concreti, poiché la coesione va bene solo quando raggiunge realmente i suoi destinatari e lo fa nel minor tempo possibile!

 
  
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  Berend (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, onorevoli colleghi, desidero anzitutto ringraziare il Commissario per le sue parole chiare e per la doppia promessa che ci ha fatto, ovvero di dedicare un’attenzione adeguata, nell’ambito della coesione economica e sociale, sia alle difficoltà nuove, quelle dei paesi candidati, sia alle difficoltà vecchie, quelle che persistono tuttora in molte regioni degli attuali quindici Stati membri. La voglio ringraziare, signor Commissario, anche per aver ribadito che nella discussione non ci devono essere tabù. Ci troviamo all’inizio di una discussione su questo tema, durante la quale dovremmo sondare anche tutta la questione della revisione dei Fondi strutturali.

La coesione economica e sociale di ventisette paesi ha connotati indubbiamente diversi da quelli della coesione di quindici paesi. E’ certo che le disparità all’interno dell’Unione europea aumenteranno in modo considerevole a seguito dell’adesione di dodici nuovi membri. Se, da un lato, sarà doveroso dare la priorità a questi ultimi, dall’altro non potremo negare una certa continuità ai beneficiari attuali. Al riguardo sappiamo bene che il Fondo di coesione e i Fondi strutturali sono sempre misure temporanee, che non devono essere trasformate in aiuti stabili e perenni. Ciò nonostante dobbiamo assolutamente evitare che dopo il 2006 le regioni dell’obiettivo 1 perdano tale loro status solo perché, a seguito dell’ampliamento, la loro situazione relativa è migliorata, senza però che si sia avviato uno sviluppo in grado di autoalimentarsi.

Ritengo che la politica di coesione possa essere credibile soltanto se stanzia i mezzi finanziari sulla base di criteri obiettivi, validi per tutti allo stesso modo, e fra tali criteri quelli del benessere nazionale e regionale devono costituire i punti di riferimento. In vista di un’ormai prossima revisione della politica regionale europea, diventa ineludibile trovare soluzioni, e il senso e lo scopo della discussione appena iniziata è quello di considerare su un piano di parità sia le situazioni nei paesi di futura adesione, sia le condizioni delle regioni dell’obiettivo 1 negli Stati membri attuali.

 
  
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  Izquierdo Collado (PSE).(ES) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, credo che, rispetto a quanto diceva un collega, questo sia proprio il momento adatto per parlare di coesione economica e sociale. Magari tale nozione superasse le frontiere europee e fosse applicata in altri contesti regionali! Avremmo trovato, probabilmente, una soluzione a numerosi conflitti.

Se è vero che questo è il momento giusto per affrontare tale discussione, dobbiamo anche ammettere che, almeno a mio parere, le risposte del Consiglio e della Commissione sono insoddisfacenti. Anzitutto stento a credere che si possa parlare di coesione economica e sociale senza fare neanche minimamente riferimento al mercato unico e a tutte le politiche dell'Unione europea. Stiamo attualmente esaminando il sesto programma quadro, un programma che già, sin dall'inizio, non soddisfa le condizioni di coesione disposte dai Trattati. La coesione economica e sociale esige che si prendano in considerazione tutte le politiche dell'Unione.

Signor Presidente, nella sua relazione il Commissario Barnier poneva alcune domande a questo Parlamento. Quando abbiamo formulato le stesse domande al Consiglio, il Consiglio ha dichiarato che non era il momento adatto per rispondervi; tuttavia il Parlamento ha il diritto di porre queste domande alla Commissione e al Consiglio, per conoscere la loro opinione prima di elaborare la sua relazione. Dissento profondamente e radicalmente dall'atteggiamento tenuto dal Consiglio e, in misura minore, dal Commissario poiché ritengo che certi elementi fondamentali debbano ormai essere chiariti. Stiamo parlando di come il progetto 2006 inciderà in futuro sulle diverse regioni. Se non lo facessimo, non faremmo altro che continuare a discutere in linea teorica su questo elemento, senza approfondire la riforma necessaria per la coesione economica e sociale in Europa, perché continueremmo tutti a guardarci in cagnesco: gli uni parlando di eliminare il Fondo di coesione, gli altri della necessità che alcune regioni escano dal Fondo stesso. Questa cortina di fumo impedirà di svolgere fino in fondo l'analisi del problema.

 
  
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  Mastorakis (PSE).(EL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, come tutti sappiamo, l’Unione europea considera la coesione economica e sociale delle regioni come la quintessenza della sua stessa esistenza. Ha quindi quantificato l’obiettivo fissando come limite minimo della coesione desiderata il 75 percento della media del reddito pro capite dei Quindici.

Nel contempo l’Unione ha giustamente deciso di consentire l’adesione di nuovi Stati membri con un reddito pro capite dichiaratamente basso. E’ forse logico, morale e quindi definitivamente accettato che il secondo obiettivo venga perseguito a scapito del primo, visto che l’ampliamento ridurrà sensibilmente la media del reddito pro capite? E’ senza dubbio una fortuna che almeno tutti abbiano compreso che la politica di coesione non può continuare ad essere ancorata al 75 percento; vengono pertanto proposti e discussi vari scenari che, pur lasciando intravedere una via d’uscita, non rappresentano certo la soluzione giusta. E’ dunque opportuno – addirittura ovvio, direi io – che il primo obiettivo rimanga lo stesso anche per l’Unione allargata, ovvero il superamento da parte di tutti i paesi membri, di oggi e di domani, del 75 percento della media del reddito pro capite negli attuali 15 Stati membri. Questa si chiama coerenza.

E’ naturale che l’ampliamento necessiti maggiori fondi di quanti non ce ne siano. Spetta dunque ai responsabili mettere questi nuovi elementi in una prospettiva reale, affrontarli con lo spirito giusto e considerare più a lungo termine il rapporto costi-benefici di una politica regionale riadattata e coraggiosa, senza deludere le regioni che continuano a necessitare l’aiuto dell’Europa – l’Europa così come la immaginano e in cui credono. Devono ricordare le parole pronunciate in greco classico da un grande dell’antica Grecia, Demostene, e cioè: “senza il denaro non si può fare nulla”. Se le relative decisioni sono già state prese, allora ricordatevi che qualunque decisione può sempre essere rivista, qualora fosse necessario.

 
  
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  Darras (PSE).(FR) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, onorevoli colleghi. Come sottolineato dagli onorevoli Marques e Nogueira Román nelle rispettive relazioni, il Fondo di coesione e i Fondi strutturali rivestono particolare importanza nello sviluppo della maggior parte delle regioni dell'Unione sia per quanto riguarda le infrastrutture, sia nell'ambito dell'integrazione sociale. Nonostante gli impegni di bilancio convenuti, le regioni europee versano però in condizioni di sviluppo estremamente diverse e il collega Fruteau si dimostra molto preoccupato per le regioni ultraperiferiche. Capirete quindi perché temo che la prospettiva dell'ampliamento porti l'Unione europea a rivolgere il proprio sguardo esclusivamente verso est. Ciò comporterebbe conseguenze drammatiche per molte regioni europee attualmente beneficiarie.

Sia chiaro: non intendo con questo rimettere in causa l'adeguatezza dell'ampliamento che corrisponde al consolidamento della pace nel nostro continente, un nobile e fragile obiettivo in questo periodo così difficile. Al contrario, intendo dire che bisogna riflettere sulle condizioni di riuscita. Rientro infatti in quella categoria di persone secondo le quali il successo dell'ampliamento dipenderà dal rafforzamento della coesione. Ma la coesione ha un prezzo che non deve essere pagato dai paesi più poveri dell'Unione.

In concreto, signor Commissario, mi auguro che i criteri di eleggibilità riferiti agli obiettivi 1 e 2 siano rivisti con la massima scrupolosità, di modo che la povertà degli uni non comporti la morte delle speranze e l'impoverimento degli altri. L'ampliamento rappresenta una sfida enorme, quella della solidarietà, e potremo vincerla solamente se saremo in grado di comprenderla e di accettarla. Non dimentichiamolo.

 
  
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  Pittella (PSE). – Signor Presidente, le dichiarazioni che abbiamo ascoltato, sia da parte del Consiglio sia da parte del Commissario Barnier, e gli interventi di tutti i colleghi hanno confermato in maniera limpida che le politiche di coesione rimangono uno dei pilastri fondamentali delle politiche dell'Unione e che l'allargamento ne richiede non soltanto la reiterazione ma anche il rafforzamento.

Tuttavia, penso che i nodi siano altri. Ne indico alcuni: primo, è ancora attuale lo strumentario che abbiamo usato in questi anni a governare squilibri che sono sempre di più differenziati? Possono indicatori generici, come il prodotto interno lordo, o percentuali schematiche, come il 75 percento, continuare ad essere gli unici parametri di chiarificazione e di classificazione di eleggibilità? Può ancora reggere un finto paradigma egualitario per il quale si adottano misure uguali per soggetti e contesti solo statisticamente eguagliati?

Secondo: i principi chiave della sussidiarietà e dell'addizionalità significano la stessa cosa oggi rispetto a vent'anni fa, quando c'era un diverso assetto istituzionale nell'Unione europea? E' proprio così lontana dal vero e dal possibile l'idea, lanciata qualche giorno fa dall'onorevole Giuliano Amato, già presidente del Consiglio italiano, di una profonda innovazione che lasci alla Commissione europea la potestà sui grandi investimenti strategici e decentralizzi le azioni di sviluppo sul piano territoriale?

Io spero davvero che il dibattito dei prossimi mesi si doti del coraggio necessario ad affrontare anche questi nodi.

 
  
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  Lage (PSE).(PT) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, la coesione è un pilastro fondamentale dell’Unione europea. Infatti, senza coesione economica e sociale non ci sarà coesione politica, malgrado quel che pensano alcuni federalisti. Ma, d’altro canto, non potrà esserci coesione economica e sociale senza coesione politica, per quanto ciò possa dispiacere ad alcuni difensori della sovranità dello Stato. Il ruolo della politica di coesione, che è diventato significativo in questi ultimi anni, sarà ancora più incisivo in futuro, dopo l’ampliamento. È evidente! La politica di coesione è anche una condizione del successo dell'ampliamento. É evidente! Eppure, signor Presidente, l’ampliamento porta con sé dei paradossi: rendendo l’Unione europea più povera in termini di reddito medio pro capite, si fa sì che i paesi attualmente più svantaggiati diventino più ricchi, quasi si avverasse una sorta di magia numerica. Questo è il problema. Ora, ciò che il mio paese, il Portogallo, e altri paesi della coesione non possono accettare è di essere relegati, in seguito all’ampliamento, ai margini della politica di coesione, vittime di una meccanica statistica che li colloca automaticamente al di sopra della soglia fatale del 75 percento.

Detto ciò, credo che la futura politica di coesione non possa allontanarsi dai seguenti principi:

i) consolidamento dei mezzi finanziari destinati alla coesione; a questo non si può sfuggire, malgrado quanto affermato dall’onorevole Walter;

ii) garanzia che gli interessi delle regioni e dei paesi più sfavoriti non siano toccati e che si troverà una formula adeguata per continuare a beneficiare del livello di aiuti oggi percepiti;

iii) profonda riforma della politica agricola comune e maggiore tutela a favore del mondo rurale;

iv) definizione e applicazione di una strategia di sviluppo del territorio europeo che decongestioni le attuali zone centrali urbane, dense e concentrate, a vantaggio di tutto il territorio europeo.

 
  
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  Neyts-Uyttebroeck, Consiglio.(FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli parlamentari, questo intendeva essere essenzialmente un dibattito preliminare e di orientamento sui futuri sviluppi della politica strutturale e di coesione come da voi auspicata. Ho ascoltato la discussione con estrema attenzione e, chiaramente, terremo conto delle osservazioni da voi fatte. Ma permettetemi, signor Presidente, signor Commissario, onorevoli parlamentari, di limitarmi a questa brevissima risposta.

 
  
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  Barnier, Commissione.(FR) Signor Presidente, come ha appena affermato il Ministro, signora Neyts-Uyttebroeck, anch'io ho ascoltato con estrema attenzione - e ciò non la sorprenderà - le osservazioni fatte. A mia volta mi ero augurato che, in questa fase iniziale del dibattito, ci fosse molta franchezza, che si muovessero alcune critiche, come ho appena detto, o che si fornissero suggerimenti.

Tuttavia mi permetta di dire che sono stato colpito dai commenti dell'onorevole Simpson. Li reputo veramente ingiusti. Per altri versi, anche l'onorevole Izquierdo Collado ha denotato una certa impazienza. Ciononostante vorrei invitarvi a essere giusti nei confronti della Commissione. Poiché l'onorevole Simpson ha voluto a tutti i costi ricordare il precedente citando il nome di una donna per la quale provo molto rispetto e amicizia, la signora Wulf-Matthies, che è stata mio predecessore, vorrei ricordare il calendario del precedente dibattito sull'agenda di Berlino. Il forum che ha aperto il dibattito sull'agenda di Berlino si è svolto nel 1996 per un Consiglio europeo tenutosi nel 1999 che apriva l'agenda per il periodo 2000-2006 - con tre anni di anticipo! Se avessi rispettato lo stesso calendario, non vi avrei dato appuntamento nel gennaio 2001 per aprire il dibattito, ma nel 2003, ovvero tra due anni.

Non mi si venga a dire adesso che la Commissione non è abbastanza aggressiva e che da lei ci si aspettano proposte. Abbiamo anticipato di due anni l’avvio del dibattito senza preconcetti, senza aspettare l'ampliamento. Vi chiedo quindi di essere giusti con la Commissione. Quando sarà il momento, quando vi avrò ascoltati, quando avrò interpellato il Comitato delle regioni, le regioni stesse, gli Stati membri, contate pure su di me per dare prova di audacia, all'occorrenza di aggressività, e per avanzare proposte coraggiose. Ma non chiedetemi oggi di concludere un dibattito che è appena cominciato con due anni di anticipo rispetto alle procedure abituali. Ho dato prova di trasparenza e di apertura nei confronti del Parlamento europeo. E penso sia abbastanza ingiusto che oggi mi si rimproveri per averlo fatto.

Detto questo vorrei dire al presidente Hatzidakis e agli onorevoli Schroedter, Duin, Gasòliba i Böhm e Markov che nei loro discorsi hanno - se ho ben inteso - insistito ulteriormente sulla gestione attuale, che condivido in gran parte le loro osservazioni e i loro appelli per un miglior consumo, per il rispetto degli impegni e per un vero e proprio partenariato nelle regioni. Insieme al gruppo della Direzione generale faccio tutto il possibile affinché queste parole scritte nei regolamenti - partenariato, sano consumo, rigore, parità e altre ancora - si traducano poi in realtà.

Presidente Hatzidakis, tra qualche giorno comparirò davanti alla sua commissione per farvi il punto della situazione sul periodo 1994-1999 e anche sui consumi, spero, definitivi del precedente periodo che registrava ancora eccedenze prima del 1994. Farò anche risuonare un campanello d'allarme sul rispetto degli obblighi finanziari e dei primi stanziamenti di credito nel periodo attuale, e presenterò alla commissione per la politica regionale un resoconto molto preciso ed estremamente obiettivo.

L'onorevole Markov ha di nuovo insistito sulla questione delle regioni transfrontaliere. Riconosco, onorevole Markov, che la risposta data con il Commissario Verheugen non è totalmente soddisfacente se rapportata alla problematica delle regioni transfrontaliere, ma anche in questo caso non mi si chieda oggi di dare più di quanto non possa, perché stiamo lavorando nel quadro che voi conoscete bene, che voi stessi avete approvato, cioè quello di Berlino. Io ho un quadro finanziario da rispettare: utilizzo tutti i margini di flessibilità e di manovra possibili, ma fino al 2006 devo attenermi al quadro di Berlino e non posso distaccarmene.

L'onorevole Pohjamo, così come altri, ha menzionato il finanziamento dell'ampliamento. Non sarà la Commissione a prendere decisioni in merito, onorevole Pohjamo; lo farà il Consiglio, il Consiglio dei Capi di stato e di governo nel 2006, in base alle proposte che presenteremo. A questo proposito vorrei dire - come avrei potuto dire successivamente agli onorevoli Nogueira Román, Walter, Mastorakis e Pittella che hanno ricordato le finalità e i valori dell'Unione iscritti nella politica di coesione - che nel 2006 potremo avere valide decisioni finanziarie se prima avremo avuto un dibattito politico vero e positivo e se, naturalmente, durante lo svolgersi e al termine di questo dibattito la Commissione, nel ruolo che le compete, avrà presentato proposte audaci e coraggiose. Potete contare su di me e sui Commissari Diamantopoulou e Fischler per assumere posizioni e presentare proposte che porteranno avanti la politica di coesione con le debite modifiche e riforme. Permettetemi però di dirvi che per vincere questa sfida nel 2004 o 2005 ho bisogno di un vero e proprio dibattito politico preliminare. Ho bisogno che dimostriate in quest'Aula, nei vostri paesi e dialogando insieme l'utilità di questa politica regionale, la necessità della sua attuazione e dei suoi risultati. Se non ne daremo prova, allora sì che dovremo temere le decisioni finanziarie finali. Vi invito dunque nei vostri gruppi politici, tra di voi, tra paesi, tra regioni, a partecipare a questo dibattito, a reagire alle prime possibilità ventilate dalla Commissione e ad avanzare proposte.

Onorevole Raschhofer, lei ha affermato che è necessario attuare riforme. Non so se ci siamo capiti bene, ma il dibattito è stato aperto proprio per questo motivo e da questa discussione mi aspetto idee di riforma. L'onorevole Raschhofer ha utilizzato una parola che non posso accettare perché bisogna fare attenzione alle parole che si scelgono: ha parlato di frode. Personalmente sono estremamente rigoroso, e addirittura spietato sulla questione legata al rigore nella gestione dei Fondi strutturali. Probabilmente ci sono alcuni errori e ritardi e spesso possono esserci alcune irregolarità. Ma non ho mai notato che nelle relazioni della Corte dei conti, nella commissione per i bilanci e nella commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento si siano individuati molti casi di frode nella gestione dei Fondi strutturali. Si tratta fondamentalmente di errori, di ritardi e di irregolarità che ridurremo progressivamente adottando l'atteggiamento appena descritto.

L'onorevole Jarzembowski è a sua volta entrato nel dibattito e per questo lo ringrazio. Non vorrei che ci fossero malintesi: quando ho parlato della dimensione territoriale della futura politica, come lei stesso potrà vedere, onorevole Jarzembowski, ho inserito nel titolo della relazione sulla coesione "Unità dell'Europa, solidarietà dei popoli, diversità dei territori". In altre parole avanzo l'idea che forse, nella nuova e futura politica dell'obiettivo 2, se come spero questa politica esiste ancora, si possa non fare della burocrazia e dividere il territorio in zone, bensì arrivare a un decentramento di questa politica partendo però da alcune priorità europee che sceglieremo insieme. Al servizio di ogni priorità potrebbe esserci uno strumento finanziario, o meglio alcuni strumenti finanziari al servizio di alcuni grandi obiettivi che voi stessi desiderate raggiungere: aiutare le regioni con svantaggi naturali permanenti, aiutare la politica urbana e favorire la cooperazione transfrontaliera. Ecco alcuni esempi di obiettivi territoriali, ma potremmo anche trovare obiettivi tematici, quali ad esempio la società dell'informazione.

Onorevole Korakas, anche lei ha fatto appello a una maggiore fiducia e a una maggiore regionalizzazione. Sono d'accordo; avanzerò alcune proposte a favore di una maggiore semplificazione e regionalizzazione nella nuova agenda per il 2004. Tuttavia, ritengo che il limite sia non permettere lo sfaldamento o lo smantellamento di questa politica di coesione, che è una delle grandi e più forti politiche comunitarie e che si rivela fondamentale per la solidarietà in Europa.

L'onorevole Berend, come altri, ha mosso una critica che accetto, o che capisco, relativa al criterio attualmente utilizzato del PIL per abitante. Sono aperto ad altre possibilità, ma voglio dire che fino a questo momento tale criterio mi è sembrato il più giusto e il più obiettivo. Viene accettato da tutti gli Stati membri. Siamo in grado di avere statistiche affidabili con gli strumenti messi a nostra disposizione. Prima di cambiarlo, è necessario riflettere per essere giusti e obiettivi proprio come lo siamo con il criterio del PIL per abitante.

Onorevole Darras, mi permetta di dirle chiaramente che al momento opportuno proporrò una politica regionale e di coesione che interesserà tutti i paesi dell'Unione. Naturalmente mi concentrerò, come abbiamo fatto oggi, sulle regioni e sui paesi più poveri, perché è questo che si intende per coesione, che del resto è fatta per essere abbandonata nel momento in cui sono stati raggiunti gli obiettivi. Ma non sono assolutamente intenzionato ad attuare una politica che ignori le altre regioni, che hanno meno difficoltà ma che hanno ancora progetti e problemi specifici, e che a volte sono zone di povertà. Al momento opportuno, quindi, proporrò una politica che interesserà, con diversa intensità a seconda del livello di sviluppo, tutte le regioni dell'Europa e tutti i paesi dell'Europa. Al contempo farò tutto il possibile - e con questo voglio rispondere all'onorevole Lage - per trattare tutte queste regioni su base egualitaria soprattutto per evitare, onorevole Lage, l'effetto meccanico di cui io stesso ho parlato nella relazione sulla coesione e l'effetto statistico che, se applicato brutalmente, potrebbe penalizzare alcune regioni attuali dell'Unione europea.

 
  
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  Izquierdo Collado (PSE).(ES) Signor Presidente, un breve intervento a causa delle allusioni all'origine dell'intervento del Commissario, che mi sembra inappropriato e, in particolare, anomalo per lei, un Commissario che ci ha abituati a rapporti estremamente cortesi con il Parlamento e con ciascun parlamentare. Forse c'è stato un problema di comprensione.

L'unica cosa che ho fatto, signor Commissario, è chiederle quanto lei, a sua volta, aveva chiesto al Parlamento. Non mi può dire perciò che sono impaziente. Lei, in gennaio, nella seconda relazione sulla coesione, ha chiesto quale dei quattro criteri il Parlamento ritenga debba essere adottato. Il Parlamento chiede la stessa cosa al Consiglio e alla Commissione.

In secondo luogo, signor Commissario, c'è di mezzo l'ampliamento. Stiamo parlando di un altro momento e di un'altra epoca. Voglio che sappia, quindi, che tutte le mie osservazioni sono state fatte con spirito costruttivo che, nel mio caso, non è certo una novità, ma è dovuto ai molti anni passati a lottare per la coesione in questa Camera.

 
  
  

PRESIDENZA DELL'ON. PUERTA
Vicepresidente

Presidente. - L'onorevole Izquierdo Collado ha fatto una dichiarazione spiegando la sua posizione e le sue intenzioni. Fino a poco fa non ero presente in Aula. Credo che ciò non debba dar luogo a un dibattito tra deputati. Pertanto chiedo all'onorevole Jarzembowski di attenersi a una mozione di procedura.

 
  
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  Jarzembowski (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente, non è corretto che, dopo che è scaduto il tempo di parola e dopo che il Commissario ha fatto il suo intervento, si ricominci la discussione un’altra volta. La prego di evitare che in futuro si verifichi una cosa del genere, perché altrimenti chiederei anch’io altri due minuti di parola. Ad ogni modo, volevo dire solo che il Commissario ha risposto molto bene a tutte le nostre domande e che gli siamo veramente riconoscenti!

 
  
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  Presidente. - La discussione è chiusa.

 

8. Fondo di coesione (1999) - Fondi strutturali (1999)
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  Presidente. - L'ordine del giorno reca, in discussione congiunta, le seguenti relazioni a nome della commissione per la politica regionale, i trasporti e il turismo:

- A5-0248/2001 dell'onorevole Marques, sulla relazione annuale della Commissione sul Fondo di coesione 1999 [COM(2000) 822 - C5-0109/2001 - 2001/2058(COS)];

- A5-0247/2001 dell'onorevole Nogueira Román, sull'undicesima relazione annuale della Commissione sui Fondi strutturali (1999) [COM(2000) 698 - C5-0108/2001 - 2001/2057(COS)].

 
  
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  Marques (PPE-DE), relatore. - (PT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione della Commissione sulle attività del Fondo di coesione nell’anno 1999 dimostra che il Fondo, come negli anni precedenti, continua a perseguire gli obiettivi più immediati per cui è stato istituito, ossia dotare i cosiddetti paesi della coesione (Portogallo, Spagna, Grecia e Irlanda) di infrastrutture economiche nei settori dell’ambiente e dei trasporti. In questi due settori, il Fondo di coesione è stato cruciale per la realizzazione di infrastrutture indispensabili allo sviluppo della mia regione. Solo nel 1999 ha finanziato l’ampliamento dell’aeroporto di Madeira e un’importante unità di trattamento dei residui solidi.

Abbiamo anche altre ragioni per cui rallegrarci dell'attività svolta dal Fondo di coesione nel 1999. Infatti, l’esecuzione fisica e finanziaria dei progetti appoggiati, la ripartizione delle dotazioni tra ambiente e trasporti, l’adempimento delle leggi comunitarie nel settore ambientale, la distribuzione delle dotazioni da parte dei paesi beneficiari hanno continuato a rispettare le regole di funzionamento del Fondo. D’altro canto, nel 1999 non è stata rilevata alcuna situazione di frode o di doppio finanziamento tra il Fondo di coesione e qualsiasi altro fondo comunitario. E poiché tutto si è svolto normalmente nel corso del 1999, e visto che questo è l’ultimo anno del periodo di programmazione 1993 - 1999, considerando inoltre che la relazione della Commissione fornisce una panoramica generale dell’evoluzione in questo periodo, mi è parso più importante concentrare il mio intervento sul contributo del Fondo di coesione ai fini della realizzazione del principio di coesione economica e sociale della quale è strumento fondamentale.

A questo proposito, va detto che il principio di solidarietà, vero e proprio pilastro del progetto di costruzione europea, ha conosciuto giorni migliori, in particolare in occasione dei due doppi finanziamenti coinvolti nelle politiche strutturali avvenuti nel 1986 e 1992, che hanno avuto lo scopo di permettere ai paesi della coesione di integrarsi meglio nelle dinamiche scatenate dal grande mercato interno e dall’Unione economica e monetaria.

Tuttavia, già nel giugno del 1999, quando al Vertice di Berlino i Capi di stato e di governo dell’Unione europea furono chiamati a decidere sui Fondi strutturali da destinare al periodo 2000-2006 nell’ambito di Agenda 2000, non si registrarono più doppi finanziamenti. Al contrario, si registrò una netta riduzione. Fu il Vertice nel quale gli egoismi nazionali soppiantarono l’interesse europeo di un’Europa più coesa ed equilibrata, che ebbe in Jacques Delors e Helmut Kohl due instancabili paladini.

Oggi, signor Presidente, onorevoli colleghi, con l'ampliamento alle porte e la necessità di combattere gli enormi squilibri regionali che ne deriveranno, è urgente procedere al rilancio della politica di coesione economica e sociale. Siamo certi che la Commissione e in particolare il Commissario Barnier, saranno all’altezza di questa sfida. Teniamo presente che il rilancio della politica di coesione è necessario non solo per rispondere ai paesi che si spera entreranno in breve nell’Unione europea, ma anche perché si possa continuare, anche dopo l’ampliamento, la lotta contro il deficit di coesione dell'attuale Unione europea a quindici che ancora persiste. D'altro canto, le asimmetrie regionali all’interno dell’attuale Europa a quindici potranno perfino aumentare in seguito alle dinamiche introdotte dal processo di ampliamento, in particolare nella relazione tra periferia e centro. Ciò equivale a dire che alcuni paesi, come ad esempio il Portogallo, potrebbero rimanere più periferici e l’attuale centro (Londra, Parigi e dintorni) ne uscirà ulteriormente rafforzato nella sua centralità perché diventerà il centro di un'Europa economicamente integrata dall'occidente fino quasi al confine orientale. E’ importante che siamo coscienti del fatto che eccessivi squilibri regionali costituiscono una minaccia economica e politica per l’Unione europea: una minaccia economica perché, se non saremo capaci di approfittare pienamente e più efficientemente delle risorse delle regioni più depresse, sarà l’insieme dell’Unione europea a perdere; una minaccia politica perché l’Unione europea non è fattibile se assente laddove esistono stridenti disparità territoriali e sociali. L’Europa sarà coesa, oppure non si farà. Non fare l’Europa sarebbe il grande rischio che si correrebbe se ci si trovasse di fronte alla tesi totalmente inaccettabile di una nuova nazionalizzazione delle politiche di coesione.

Ecco perché l’istituzione del Fondo di coesione da parte del Trattato di Maastricht è stata pienamente giustificata. Del resto, ciò è anche dimostrato dal bilancio della prima fase di funzionamento del Fondo di coesione nel periodo 1993-1999. Il Fondo di coesione, possiamo già dirlo, è stato un importante fattore di convergenza reale, nonché un forte incentivo per i paesi beneficiari a rispettare i criteri di convergenza nominale previsti a Maastricht. Di conseguenza, è fondamentale che ci opponiamo a qualsiasi tentativo di abolizione del Fondo di coesione. Ma, d’altra parte, è essenziale fare tesoro di ciò che abbiamo imparato in questo primo periodo di funzionamento al fine di renderlo ancor più efficace.

 
  
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  Nogueira Román (Verts/ALE) , relatore. - (PT) Signor Presidente, signor Commissario, i dati forniti dalla Commissione nell’undicesima relazione sui Fondi strutturali - confermati nella seconda relazione sulla coesione - dimostrano che, nonostante lo sforzo di bilancio realizzato nel periodo 1994-1999, permangono le grandi diseguaglianze sociali e territoriali che esistevano prima del 1994. Le grandi disparità regionali iniziali sono rimaste oppure incrementate, come prova il fatto che il reddito pro capite del 10 per cento della popolazione che vive nelle regioni più prospere dell’Unione è ancora superiore di 2,6 volte al reddito del 10 per cento della popolazione che abita nelle regioni meno sviluppate. Tantomeno sono state corrette le disparità territoriali che esistevano all’interno di determinati Stati con regioni dell’obiettivo 1, come l’Italia, la Spagna e la Grecia. In contrasto con questa realtà, negli ultimi anni si è rafforzato lo spazio che va da Londra a Parigi e Amburgo, una grande regione centrale che, pur occupando solo un settimo della superficie europea, conta un terzo della popolazione e gode di quasi metà del reddito economico totale, di una concentrazione urbana e di un tasso di occupazione tali da mettere in pericolo lo stesso sviluppo sostenibile dell’Unione europea.

Sfortunatamente, non si intravede un'evoluzione di tali tendenze nei prossimi anni. Le previsioni di bilancio approvate in Agenda 2000 per il periodo vigente hanno un carattere molto restrittivo, al punto che, se nel 1999 la percentuale del PIL dell’Unione europea destinata alla politica di coesione raggiungeva lo 0,46 per cento, nel 2006 non supererà lo 0,31 per cento, retrocedendo alle cifre del 1994. Questi dati sono estremamente preoccupanti. E’ sufficiente guardare l’esperienza della riunificazione tedesca per capire che, se non faremo il possibile per porre rimedio alla situazione, il problema si aggraverà nel momento in cui aderiranno gli Stati dell’ampliamento.

Posti di fronte a questa realtà, dobbiamo sapere che quando parliamo di politica dei Fondi strutturali non citiamo l’“ennesimo” problema dell’Unione. Al contrario, parliamo di un problema fondamentale, perché il senso dell’Europa politica dipende in grande misura dell’evoluzione positiva della politica di coesione, sia per quanto riguarda i territori dell’obiettivo 1 dell’attuale Unione che di essa ancora hanno bisogno, sia per quanto riguarda i nuovi Stati membri che necessiteranno di fondi finanziari, fondi che non devono essere aggiuntivi, supplementari. Se non prendiamo questa decisione, si creerà il paradosso inaccettabile per cui la necessaria politica di coesione nei confronti dei nuovi Stati sarà pagata con denaro sottratto al bilancio oggi destinato ai paesi meno sviluppati dell’Unione.

Onorevoli colleghi, non possiamo permettere che l’Unione europea torni indietro nel campo della politica di sviluppo territoriale e sociale. L’Europa politica non sarebbe quella che è se prescindesse dalla politica di coesione. Sarebbe da ipocriti o da irresponsabili pretendere una cosa negando i mezzi economici per renderne possibile un’altra. In questo contesto, credo che non possiamo procrastinare una decisione che assicura un aumento del bilancio dell’Unione per il prossimo periodo di programmazione chiaramente superiore all’1,27 per cento del PIL comunitario.

 
  
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  Kratsa-Tsagaropoulou (PPE-DE), relatore per parere della commissione per i diritti della donna e le pari opportunità. - (EL) Signor Presidente, la commissione per i diritti della donna e le pari opportunità ritiene che un punto saliente della presente relazione sia l’iniziativa della Commissione di presentare azioni a favore delle pari opportunità tra uomini e donne come tematica orizzontale.

Tale iniziativa ha un contenuto sia politico che simbolico, in quanto sottolinea come la parità tra uomini e donne sia una dimensione necessaria nell’ambito dei nostri sforzi per conseguire lo sviluppo economico mediante la coesione sociale e regionale. La nostra commissione si rammarica però del fatto che tale presentazione abbia un carattere descrittivo e non contenga informazioni precise che consentano una valutazione né dell’accesso delle donne ai Fondi strutturali, né dell’impatto delle iniziative comunitarie sulla promozione delle pari opportunità.

Conformemente al nuovo regolamento valido per il periodo di programmazione 2000-2006, l'integrazione del principio delle pari opportunità tra i due sessi costituisce un obiettivo inscindibile dal resto e gli Stati membri devono effettuare una valutazione ex ante dei programmi in una prospettiva di parità tra le donne e gli uomini, mediante indicatori e statistiche. Colgo l’occasione per sottolineare che indicatori e statistiche devono essere accuratamente articolati in base al sesso; è questa una costante richiesta del Parlamento europeo.

Ribadiamo anche la nostra richiesta alla Commissione di fare in modo che si tengano in debito conto il principio della parità tra i sessi e la raccolta di dati statistici non solo durante la programmazione, ma anche per tutta la procedura del follow-up e dell’intervento dei Fondi strutturali nello sviluppare l’occupazione femminile, nel garantire la qualità e la sostenibilità dei nuovi posti di lavoro, nonché nel creare infrastrutture che assicurino la conciliazione tra vita familiare e vita professionale.

Infine, desideriamo sottolineare l’importanza che riveste l’azione concertata tra Commissione europea e Stati membri nell’informare le regioni e tutti i beneficiari in merito alle possibilità offerte dalla politica per la parità dei sessi attraverso i Fondi strutturali.

 
  
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  Avíles Perea (PPE-DE), relatore per parere della commissione per l'occupazione e gli affari sociali. - (ES) Signor Presidente, signor Commissario, il 1999 fu l'ultimo anno del primo periodo di funzionamento del Fondo di coesione istituito dal Trattato di Maastricht. Tale Fondo era pienamente giustificato come importante strumento non solo di coesione economica e sociale, ma anche di sostegno ai paesi con maggiori difficoltà nell'attuazione dei programmi di stabilità e convergenza che avrebbero condotto all'introduzione della moneta unica. Tale Fondo è stato un importante elemento di convergenza reale e un forte incentivo al rispetto dei criteri di Maastricht. L'aiuto è stato destinato alla realizzazione di progetti nel settore delle infrastrutture e dei trasporti, nonché a progetti di carattere ambientale. E' stato impegnato il 99 per cento degli aiuti previsti, cosa in parte deplorevole, dato che si sarebbe dovuto raggiungere il 100 per cento, anche se tale percentuale è stata quasi conseguita alla fine del periodo analizzato, cioè nel 1999.

La recente riforma dei Fondi strutturali è stata in grado di semplificare sensibilmente la programmazione, l'esecuzione e la liquidazione finanziaria degli interventi e abbiamo chiesto, nel parere della commissione per l'occupazione e gli affari sociali, che siano agevolati gli interventi con una maggiore assistenza alle amministrazioni nazionali. Ci sembra molto importante considerare, in futuro, la ripartizione per sesso, ciò permetterà di realizzare azioni specifiche volte alla promozione della donna. La dotazione finanziaria è inferiore a quella della proposta della Commissione e del Parlamento europeo. Rincresce che ciò ostacoli il conseguimento degli obiettivi in materia di occupazione, in particolare se consideriamo l'impegno assunto da tutti gli Stati membri e dalle Istituzioni europee ad intraprendere un'azione decisa a favore dell'occupazione, come stabilito dal Vertice di Lisbona.

E' positivo che, tra gli obiettivi, si consideri l’ottenimento della parità tra uomini e donne nei programmi in materia di occupazione, dato che si tratta di un campo in cui la partecipazione della donna è chiaramente inferiore a quella dell'uomo. Mi rallegra pertanto che in futuro la Commissione abbia deciso di procedere, in conformità degli articoli 2 e 141 del Trattato di Amsterdam, a un'integrazione della parità tra i sessi nel complesso delle politiche e delle azioni comunitarie, al fine di adottare misure orizzontali di azione positiva.

 
  
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  Berend (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, la funzione delle relazioni annuali consiste nell'analizzare un limitato arco di tempo per trarre conclusioni. L'undicesima relazione sui Fondi strutturali ora in esame si riferisce ad un anno di indubbia e particolare importanza per il perfezionamento della politica della coesione in seno all'Unione europea. Il mio gruppo politico condivide alcuni provvedimenti e possibilità di miglioramento identificati nella sintesi del relatore sull'attuazione dei Fondi strutturali, ad esempio l'accelerazione dei pagamenti per le iniziative approvate, l'effettiva concentrazione delle sovvenzioni accordate dai Fondi strutturali alle regioni in ritardo di sviluppo o il miglioramento delle verifiche in loco a fronte di una quota di frodi ancora assai elevata.

Desideriamo però formulare anche alcune osservazioni critiche, segnalando che non incontrano il nostro consenso talune situazioni riferite né certe conclusioni del relatore quali la valutazione eccessivamente negativa dei risultati dei Fondi strutturali nella fase di programmazione o il mancato raggiungimento dell'obiettivo della politica regionale, cioè l'equiparazione delle condizioni di vita, che sarebbe stato conseguito solo parzialmente. Mi sembra, onorevole relatore, che lei utilizzi criteri di valutazione sbagliati per esaminare la politica strutturale europea, impegnata esclusivamente nella riduzione delle disparità. Anche se ritengo che si sia verificato un notevole avvicinamento tra le condizioni di vita delle regioni ricche dell'Unione e quelle delle regioni povere, o addirittura all'interno di uno stesso Stato membro, permarranno sempre disparità. Attendersi una parificazione dalla politica strutturale è solo una visione irrealistica! E in questo settore non dovremmo confondere l'ideale con il fattibile.

D'altro canto, si deve annotare criticamente che, malgrado la grande importanza dell'esercizio 1999, l'undicesima relazione è appunto una relazione annuale e non un catalogo in cui si riesaminino tutte le preoccupazioni dell'Unione e i problemi del passato, del presente e del futuro. Come parlamentari con esperienza pluriennale, sappiamo bene che, per avere un forte impatto, le relazioni devono concentrarsi su pochi temi fondamentali. Ma è proprio questo che la relazione in esame manca di fare! Come già affermavo, le conclusioni del relatore non sono necessariamente sbagliate, ma molti elementi del suo testo non sono affatto pertinenti. Riteniamo dunque che l'Aula debba ulteriormente modificarne alcuni passaggi.

 
  
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  Pittella (PSE). - Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, le relazioni che stiamo discutendo confermano alcuni elementi di preoccupazione circa l'esecuzione dei Fondi strutturali per il periodo 1993-1999 ma, ahinoi, anche per la nuova fase di programmazione che si concluderà nel 2006. Primo fra tutti è l'ingente somma di risorse che risulta non spesa al termine dell'arco temporale 1993-1999 e che può essere utilizzata entro il 31 dicembre di quest'anno. Credo che sia giusto e importante lanciare un forte monito a due mesi o poco più dalla scadenza. Serve un percorso di passione, e invece ci sono regioni e Stati che trascurano irresponsabilmente il pericolo incombente della perdita di tali fondi. Vi è poi - diciamo così - l'utilità di far tesoro degli errori e dei ritardi riscontrati nella fase 1993-1999 per non ripeterli. L'onorevole Mastorakis ha citato il greco, io cito il latino: errare humanum est, perseverare autem diabolicum. La frase è nota, ma pare che molti la dimentichino. I dati sull'annualità 2000, che il Commissario Barnier conosce, non ci tranquillizzano. Nonostante l'azione incalzante proprio del Commissario, le innovazioni contenute nella riforma dei Fondi strutturali vengono assimilate con disagio e con lentezza.

Il Parlamento deve cogliere anche quest'occasione per ribadire il suo diritto/dovere di intervento. Il Parlamento, che è organo eletto direttamente dai cittadini, non può rimanere in silenzio se uno strumento fondamentale per lo sviluppo delle Comunità e per la loro coesione è sottoeseguito. Dobbiamo pertanto lavorare fianco a fianco - Commissione, Parlamento, Consiglio e attori regionali e locali - per imprimere un'accelerazione potente e per finalizzare la spesa verso progetti che facciano crescere la competitività dei territori, soprattutto di quelli più svantaggiati e in ritardo di sviluppo.

Dobbiamo rendere chiaro a tutti che la qualità e la capacità della spesa, la redditività dei vari obiettivi e gli esiti raggiunti dai vari beneficiari rappresenteranno la chiave di volta per determinare la futura strategia di coesione nell'Unione europea.

 
  
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  Ortuondo Larrea (Verts/ALE). - (ES) Signor Presidente, la prima cosa che le relazioni annuali del 1999 constatano sulla politica di coesione è che i risultati ottenuti sono decisamente mediocri. Nei rispettivamente undici e sette anni di funzionamento di questi fondi comunitari, il reddito pro capite in Spagna, Grecia e Portogallo, che nel 1988 era del 68 per cento, nel 1999 è passato al 79 per cento della media europea, ovvero, è cresciuto in media di un punto all'anno. A questo ritmo, ci vorrebbero ancora ventuno anni per raggiungere la media dell'insieme dell'Unione europea.

Ho seri dubbi sulla volontà politica di eliminare le disparità, sulla reale solidarietà dei governi dell'Unione. Lo dico perché, come ha ricordato il mio collega, onorevole Nogueira Román, nel 1999 i fondi della politica di coesione per il periodo 1992-1999 rappresentavano lo 0,46 per cento del PIL, mentre quelli riguardanti il periodo che va da Agenda 2000 al 2006, rappresenteranno soltanto lo 0,31 per cento nel 2006, ossia saranno ridotti di 15 punti. Inoltre, vi è chi vuole evitare un incremento dei propri contributi e realizzare, con tali somme ridotte, anche la solidarietà con i nuovi Stati dell'est che aderiranno con l'ampliamento dell'Unione europea.

Signor Presidente, se crediamo veramente e puntiamo alle pari opportunità, alla solidarietà e ad un’Europa realmente unita, dobbiamo lasciar perdere la taccagneria e investire tutti maggior denaro, soprattutto i ricchi, a favore dei più poveri.

 
  
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  Poli Bortone (UEN). - Signor Presidente, che il Fondo di coesione abbia svolto un ruolo importante per lo sviluppo delle reti transeuropee e per gli interventi ambientali nei quattro Stati beneficiari è fuori discussione, così come certamente è da indicare quale fattore importante per la convergenza dell'economia nell'Unione europea. I risultati conseguiti, tuttavia, non sono omogenei e varrà la pena, in seguito, approfondire le ragioni di tale eterogeneità.

In realtà, vi sono paradossalmente problemi burocratici e meccanismi ancora farraginosi specialmente nei tempi di erogazione e di utilizzo dei fondi: così per il Fondo di coesione che registra il mancato utilizzo di tutti gli stanziamenti di pagamento del 1999, così per i Fondi strutturali che non hanno raggiunto l'obiettivo di spesa del 100 per cento, sia perché buona parte delle risorse è stata impegnata solo prima della scadenza del periodo di programmazione sia per la lentezza dell'erogazione degli stanziamenti disponibili, che rendono più onerosa la realizzazione di programmi ai soggetti attuatori.

I ritardi non contribuiscono certamente al complessivo miglioramento socioeconomico ed occupazionale delle regioni interessate. In tal senso, un momento importante per ambedue i Fondi è rappresentato dalla valutazione, non solo ex ante ma soprattutto da quella ex post, che perde la sua efficacia se non è fatta nei tempi giusti, intendendo per giusto il tempo della programmazione degli interventi successivi, che non può essere fatta in maniera razionale se costretta a prescindere dalla valutazione definitiva dei programmi precedenti.

Peraltro, la valutazione è necessaria per accertare il rispetto del principio di addizionalità, rispetto al quale la Corte dei conti ha dato delle indicazioni ben precise che val la pena tenere in conto.

Legato a questo è il discorso sull'opportunità che la Commissione riesca a fornire un'informazione più articolata e complessa sulla valutazione dei progetti che riguardi essenzialmente un aspetto socioeconomico piuttosto che meramente contabile, evidenziando se si è raggiunto o meno lo scopo di ridurre il differenziale di sviluppo fra regioni: informazione che dev'essere data tempestivamente al Parlamento europeo e non - com'è avvenuto in quest'occasione per il Fondo di coesione - con circa due anni di ritardo, perché ciò impedisce evidentemente una rimodulazione degli interventi attraverso la correzione di disfunzioni in tempo utile. E questa è un'operazione che si rende ancor più necessaria in vista dell'ormai imminente allargamento.

Infine, per estrema sintesi, occorre rivendicare un ruolo più attivo del Parlamento al momento della valutazione dell'efficacia o meno degli interventi e degli obiettivi perseguiti.

 
  
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  Van Dam (EDD). - (NL) Signor Presidente, signor Commissario, indubbiamente negli scorsi anni il Fondo di coesione ha contribuito a rafforzare le regioni meno sviluppate dell’Unione. Sarebbe però sbagliato pensare che non dobbiamo domandarci se l’attuale entità di tale Fondo sia quella giusta.

L’imminente adesione di una serie di nuovi Stati membri costituisce soltanto uno stimolo. E’ corretto che il collega Marques precisi obiettivo e mezzi quale presupposto del Fondo di coesione. Tale Fondo è stato creato per aiutare gli Stati membri a soddisfare ai criteri di convergenza in vista dell’UEM. Ciò è indiscusso. Per sostenere altri obiettivi esistono i Fondi strutturali.

L’adesione ci costringe a valutare e rivedere la politica strutturale, anche quella del Fondo di coesione. A mio giudizio, è necessario un minor numero di modifiche. E’ opportuno che il Fondo sia utilizzato soltanto per ciò per cui è inteso; allora il sistema esistente potrà continuare ad operare con successo per molti anni dopo l’adesione.

 
  
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  Ripoll y Martinez de Bedoya (PPE-DE). - (ES) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli relatori, vorrei brevemente ricordare, a seguito delle relazioni che stiamo attualmente discutendo, e come abbiamo visto in precedenza, che qui siamo impegnati in un grande dibattito, particolarmente importante non solo per il futuro della costruzione europea, ma anche per la costruzione di un'Europa ampliata.

Ci troviamo di fronte a fondi che sono nati in un momento preciso con determinati obiettivi, quelli di una politica di coesione economica e sociale. Se da un lato tale politica ha avuto un evidente successo, dall'altro vediamo che persistono le disparità, come indicano palesemente le relazioni. Ciò significa che questa politica ha fallito? Direi piuttosto che la politica non ha avuto successo soltanto per i paesi della coesione, per le regioni più povere che stanno beneficiando di ingenti aiuti, ma anche per altre regioni, nei paesi ricchi, a cui si estendono tali aiuti. Alla fine, si origina un movimento di espansione in tutta Europa e, tramite i Fondi strutturali e il Fondo di coesione, queste regioni dei paesi più ricchi finiscono per beneficiare degli aiuti perché si stanno comprando tecnologie, perché si stanno effettuando investimenti a partire da quei paesi in cui si realizzano i progressi tecnologici. Forse è questo il motivo per cui persistono tali disparità, dopo i grandi aiuti e i grandi investimenti effettuati attraverso il Fondo di coesione.

Ora ci troviamo di fronte ai problemi sollevati dall'ampliamento. E' necessario modificare il Fondo di coesione? Le regioni più povere cesseranno di riceverne gli aiuti? Cesseranno di ricevere tali aiuti gli Stati che finora ne hanno beneficiato a vantaggio dei nuovi Stati che stanno per aderire? Penso sia questa la grande sfida che il Commissario e noi stessi nel Parlamento dobbiamo affrontare. Penso che i fondi debbano essere mantenuti e che si debba dare libero corso alla nostra immaginazione per fare in modo che continuino ad arrivare a tutte le regioni. Altrimenti, alla fine, il divario aumenterà.

Dobbiamo fare uno sforzo affinché anche i paesi dell'ampliamento diventino motori economici, in grado di permettere a questa politica di coesione economica e sociale di condurre, infine, a un'Europa molto più giusta e molto più libera. Abbiamo esempi recentissimi di cosa possano generare la povertà e il fanatismo.

 
  
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  Izquierdo Collado (PSE). - (ES) Signor Presidente, signor Commissario, nella commissione per la politica regionale abbiamo già detto all'onorevole Nogueira Román che non concordavamo con la sua visione negativa - o perlomeno eccessivamente critica - dell'attuazione della politica di coesione economica e sociale.

Oserei dire che, considerando i brillanti risultati, tale valutazione deve essere come minimo positiva. Vorremmo ora formulare alcune osservazioni molto concrete per quanto riguarda le due relazioni sull'applicazione dei Fondi negli anni di riferimento. Le informazioni sono valide, è vero, proprio perché innanzi tutto si osservano le raccomandazioni del Parlamento. L'equilibrio tra investimenti di tipo ferroviario, investimenti in infrastrutture stradali e investimenti di carattere ambientale è molto vicino a quello raccomandato proprio dal Parlamento. Non esiste alcuna relazione su eventuali frodi nell'applicazione di tali fondi e altri criteri statistici sono stati correttamente rispettati.

Noi, tuttavia, non siamo la Corte dei conti. Ciò di cui sentiamo nostalgia, nelle presenti relazioni, è un carattere maggiormente qualitativo: vogliamo sapere quale effetto, da un punto di vista qualitativo, economico e politico, stanno avendo tali investimenti; in che misura si sta trasformando il metabolismo di queste regioni; in che misura i governi stanno facendo centro con gli investimenti mirando direttamente agli investimenti produttivi, come richiede la politica strutturale. E' di questo che sentiamo la mancanza nelle relazioni sull'applicazione del Fondo di coesione.

E lo dico in tutti i sensi. Il prossimo anno dovremo esaminare le relazioni sull'applicazione dei Fondi strutturali e del Fondo di coesione nel 2000 e nel 2001. I dati non saranno buoni, ma io non li voglio condannare in anticipo, perché se la Commissione dimostrerà che i fondi sono stati ben impiegati rispetto alla programmazione, ecco un elemento qualitativo che il Parlamento dovrà prendere in considerazione.

 
  
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  Esclopé (EDD). - (FR) Signor Presidente, signor Commissario, questa undicesima relazione annuale sui Fondi strutturali sembra essere ricca di insegnamenti, nonostante sia l'ultima per il programma 1994-1999. Innanzitutto, approviamo la constatazione fatta dal relatore, onorevole Nogueira Román, in merito alla mancanza di una precisa analisi quantitativa e di valutazione di questi fondi. L'Europa deve essere opportunamente informata sui finanziamenti che concede, sia per controllare l'effettiva attuazione dei progetti e il giusto utilizzo delle finanze pubbliche sia per ottimizzare i nuovi programmi.

Inoltre, i cittadini della mia regione mi rivolgono sempre le stesse critiche: troppa complessità, troppa burocrazia, troppa lentezza. Ritengo che non privilegiamo abbastanza i piccoli progetti strutturali per i quali semplicità e rapidità devono essere la parola d'ordine per rispondere alle necessità concrete.

Non posso fare a meno di esprimere dubbi sulla contraddizione che esiste nel volere da una parte privilegiare l'occupazione, ricordando soprattutto le dichiarazioni del Consiglio europeo di Lisbona, e dall'altra rimanere estranei ai piccoli progetti delle microimprese e delle PMI, che sono universalmente riconosciute come le principali fonti di nuovi posti di lavoro. E' necessario fare uno sforzo comune, a cominciare dalla Commissione, per essere più vicini ai nostri concittadini.

Infine, vorrei protestare contro una pratica che personalmente ritengo anomala e priva di fondamento. Mi riferisco infatti all'eventuale ricatto esercitato dalla Commissione - e misuro le parole - che consiste nel subordinare la concessione di finanziamenti al rigoroso rispetto degli obblighi ambientali da essa decretati. Sono assolutamente d'accordo sulla crescente necessità di rispettare l'ambiente, tuttavia disapprovo questo diktat apparentemente ecologico. Ritengo infatti che ci potrebbe essere un vero e proprio cambiamento nell'obiettivo perseguito da questi fondi che, dobbiamo ricordarlo, sono mirati a permettere il finanziamento di progetti destinati a creare occupazione e ricchezza per lottare contro gli squilibri economici delle diverse regioni europee.

Sapendo che la coesione economica rimane a livelli insoddisfacenti, concluderò esprimendo un dubbio sulla volontà reale che sta alla base della politica di coesione e dei Fondi strutturali: ci troviamo di fronte a uno strumento di pressione o a un vero e proprio aiuto economico? Vale la pena porsi questa domanda.

 
  
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  Barnier, Commissione. - (FR) Signor Presidente, ringrazio gli onorevoli Marques e Nogueira Román per la qualità delle relazioni presentate e tutti gli intervenuti per le loro osservazioni.

Onorevole Marques, a causa dei problemi di riorganizzazione della nostra Direzione generale, la relazione da lei presentata, relativa al 1999, è stata effettivamente pubblicata in ritardo, nel gennaio 2001. Tuttavia, posso assicurare sin d’ora che la relazione sull’esercizio 2000 è stata completata e, con ogni probabilità, sarà approvata dal Collegio all’inizio del mese di ottobre.

Sono quattro gli insegnamenti che vorrei esaminare rapidamente. In primo luogo, un’esecuzione finanziaria completa nel suo insieme per tutto il periodo di programmazione. E’ vero che l’esecuzione dei pagamenti relativi al 1999 è incompleta, ma solo per il 91,6 per cento degli stanziamenti disponibili. In realtà, tale utilizzo incompleto degli stanziamenti è dovuto al fatto che molte richieste sono giunte alla Commissione nel mese di dicembre 1999. Constato però con soddisfazione che nel 1999 non è stato rilevato alcun caso di frode o di doppio finanziamento fra Fondo di coesione e altre fonti di finanziamento comunitario. Mi sono sempre preoccupato di informare regolarmente il Parlamento sull’evolversi dell’esecuzione finanziaria e continuerò a farlo.

In secondo luogo, l’equilibrio fra gli investimenti destinati ai trasporti e quelli destinati all’ambiente; ci tengo anch’io come voi.

In terzo luogo, capisco e appoggio la richiesta di maggiori stanziamenti da parte della Commissione per i controlli in loco. Anche in questo caso, abbiamo risentito delle conseguenze di una riorganizzazione dei servizi e, in particolare, del decentramento delle attività di controllo. La nostra Direzione generale è ormai responsabile dei controlli in loco per gli interventi del Fondo di coesione, ma anche per tutte le azioni cofinanziate nell’ambito dei Fondi strutturali.

In quarto luogo, onorevole Marques, il coordinamento tra Fondo di coesione e Fondi strutturali ha ricevuto un impulso notevole con il nuovo regolamento per il periodo 2000-2006 e, in seno alla Direzione generale, con una gestione integrata dei diversi servizi che seguono il Fondo di coesione e gli altri Fondi strutturali.

Signor Presidente, per rispettare la sua richiesta ho espresso in maniera telegrafica ciò che intendevo evidenziare a caldo sui quattro punti da me rilevati nella relazione dell’onorevole Marques, che ringrazio.

Anche in merito alla relazione dell’onorevole Nogueira Román, che ringrazio per la qualità del lavoro svolto, consentitemi quattro osservazioni. Innanzitutto, per quel che concerne l’esecuzione dei fondi nel 1999, il 99 per cento degli stanziamenti relativi al periodo 1994-1999 è stato impegnato e il 75 per cento pagato; tale cifra è complessivamente soddisfacente. Onorevoli deputati, sapete che ai sensi del regolamento i pagamenti in loco possono essere effettuati fino al 31 dicembre di quest’anno e ritengo che i crediti di pagamento saranno eseguiti nella loro totalità. Da due anni lavoro con gli Stati membri - il lavoro era stato già intrapreso prima del mio arrivo - al fine di assicurare il maggior consumo possibile dei fondi disponibili, come auspicato precedentemente dall’onorevole Pittella. I ritardi registrati nell’avvio di alcuni programmi nel 1994 e nel 1995 sono dunque stati superati per la maggior parte delle azioni in corso di programmazione. Anche i programmi d’iniziativa comunitaria, colpiti in passato dai ritardi più gravi, hanno fatto registrare un miglioramento dell’esecuzione. Come evidenzia giustamente il relatore, è vero che alla fine del 1999 gli importi da liquidare rimangono elevati, essenzialmente a causa dell’accumulo degli impegni alla fine del periodo di programmazione. Voglio comunque precisare che nel 2000 la situazione è decisamente migliorata. Infatti, gli importi ancora da liquidare della fine del 1999 sono stati ridotti del 47 per cento. Alla fine del mese di giugno 2001, la Commissione ha provveduto alla stesura di una relazione completa sugli importi anomali ancora da liquidare riguardanti tutte le categorie di spesa, al fine di completare le informazioni in possesso del Parlamento a questo proposito.

In secondo luogo, il relatore esprime soddisfazione per il tema orizzontale trattato nel 1999, ossia la parità tra donne e uomini nei programmi dei Fondi strutturali. Nell’ambito dei Fondi strutturali del periodo attuale, posso confermare che uno dei criteri per l’ammissibilità dei piani ricevuti dagli Stati membri è stata la parità tra donne e uomini. Come ho sottolineato precedentemente, al riguardo potete contare sulla grande vigilanza della collega Anna Diamantopoulou, come pure sull’onorevole Kratsa-Tsagaropoulou e sulla onorevole Avilés Perea. Tuttavia, per il periodo 1994-1999 gli Stati membri non erano tenuti a fornire informazioni sull’accesso delle donne ai Fondi strutturali e pertanto non disponiamo di informazioni dettagliate in materia per quel periodo di programmazione.

In terzo luogo, l’addizionalità che rappresenta per il relatore, e anche per me talvolta, un tema su cui interrogarsi. A questo proposito, posso confermare che la Commissione ha verificato attentamente il rispetto di tale principio nell’ambito del processo di valutazione ex ante dei nuovi programmi relativi al periodo 2000-2006. Per quanto riguarda il periodo precedente, la Commissione concluderà la verifica finale dell’addizionalità alla fine del 2002 e sono d’accordo con voi sul possibile rafforzamento delle sanzioni nel caso in cui gli Stati membri non rispettino l’addizionalità. Onorevoli deputati, come sapete il regolamento dei fondi per il periodo 2000-2006 non prevede simili sanzioni a causa dell’irremovibile opposizione manifestata al momento della sua approvazione dai legislatori, soprattutto dal Consiglio. Ciononostante, in caso di mancata verifica dell’addizionalità sono disponibili taluni dispositivi e, se necessario e d’accordo con i miei colleghi, vi farò ricorso.

Infine, per quel che concerne la valutazione e il controllo, sapete che il processo di valutazione ex ante, a metà percorso o ex post è stato interamente integrato nel ciclo di programmazione per il nuovo periodo 2000-2006. La Commissione ha da poco avviato il processo di valutazione ex post per gli obiettivi I e II del periodo 1994-1999, come pure le valutazioni tematiche sulla società dell’informazione, lo sviluppo sostenibile e le piccole e medie imprese. Tali valutazioni, alla stregua di quelle che saranno condotte a metà percorso nel 2003, permetteranno di fornire risposte alle domande tuttora in sospeso e, naturalmente, provvederò a comunicarne i risultati al Parlamento europeo.

In quarto luogo, per quel che concerne i controlli la vigilanza rimane la stessa, ma la Commissione svolge ora un ruolo diverso in questo ambito. Come sapete, i controlli in loco spettano ormai a ciascuno Stato membro che ha l’obbligo di fare regolarmente rapporto alla Commissione. Dal canto nostro, verifichiamo e verificheremo l’esistenza in loco di un sistema di controllo completo e affidabile in seno ad ogni Stato membro. Voglio infine sottolineare che anche il numero di missioni di controllo in loco è aumentato nel 1999, con un totale di 120 missioni rispetto alle 100 del 1998.

Signor Presidente, onorevoli deputati, per concludere voglio ricordare nuovamente quanto la Commissione tenga ai principi basilari dei Fondi strutturali: concentrazione, addizionalità e partnership, nonché il miglior coordinamento possibile con il Fondo di coesione.

Onorevoli relatori, nelle vostre relazioni ci chiedete di fare ancora di più e di essere più vigili; confido nella nostra capacità di soddisfare al meglio le vostre aspettative quando studieremo i risultati e la valutazione nel 2000, anno di avvio della nuova programmazione e di alcune nuove regole. Ritengo che saremo in grado di presentare ulteriori risultati positivi che rispondano al vostro appello e alla vostra vigilanza.

 
  
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  Presidente. - La ringrazio molto, signor Commissario.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani alle 11.00.

 

9. Mutilazioni genitali femminili
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  Presidente. - L'ordine del giorno reca la discussione sulla relazione (A5-0285/2001) presentata dalla onorevole Valenciano Martínez-Orozco, a nome della commissione per i diritti della donna e le pari opportunità, sulle mutilazioni genitali femminili [2001/2035(INI)].

 
  
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  Valenciano Martínez-Orozco (PSE), relatore. - (ES) Signor Presidente, signori Commissari, onorevoli colleghi, 130 milioni di donne sono state vittime di mutilazioni genitali in tutto il mondo. Ogni anno due milioni di bambine subiscono una pratica così terribile. Oggi il Parlamento europeo deve levare alta la voce per far conoscere la situazione di cui milioni di donne sono vittime.

Abbiamo cercato di elaborare la presente relazione in accordo con tutti i gruppi politici. Abbiamo potuto contare sull’opinione di esperti, di esperte, dei governi interessati, nonché delle organizzazioni non governative. Occorre assolutamente che le comunità nelle quali si praticano le mutilazioni genitali femminili riconoscano la necessità di eliminare alle radici tale pratica.

L’usanza di eliminare del tutto o parzialmente gli organi sessuali femminili trova origine in una concezione totalmente iniqua del ruolo delle donne in società che le considerano cittadine inferiori e sottoposte al controllo di chi decide, ossia, nella maggior parte dei casi, gli uomini.

La difesa di simili tradizioni si scontra, a nostro parere, con un evidente limite: la difesa dei diritti umani. E’ inammissibile che le donne, in nome di una tradizione, subiscano mutilazioni gravi e irreversibili per il resto della vita. Sono pertanto fondamentali l’informazione, l’educazione e la sensibilizzazione riguardo alle disastrose conseguenze per la vita delle donne di cui, purtroppo, la maggioranza di esse non è a conoscenza. Queste donne accettano di subire una mutilazione irreversibile ignorandone, però, le reali conseguenze.

La relazione da noi elaborata si rivolge alla Commissione, al Consiglio e agli Stati membri affinché mettano a punto una strategia integrata che non si limiti a perseguire tale delitto, ma tocchi tutti gli ambiti interessati dalla questione, vale a dire l’aspetto sociosanitario, giudiziario, giuridico, politico, eccetera. A nostro parere, la mutilazione genitale femminile costituisce un grave attentato ai diritti umani e, a partire da tale convinzione, auspichiamo la concessione del diritto d’asilo alle donne che intendano fuggire da una simile situazione al fine di poterle accogliere ed evitare loro un trauma irreversibile per la vita.

Secondo la Convenzione di Ginevra e lo status dei rifugiati, le persecuzioni per motivi di sesso giustificano la concessione del diritto d’asilo. Non vi sono altre forme di persecuzione per motivi di sesso più evidenti. Chiunque potrebbe rinunciare alle proprie idee politiche, alle proprie idee religiose, ma a nessuno è possibile rinunciare al sesso con cui nasce. Per questa ragione, di fronte ad un’iniqua violazione dei diritti fondamentali, è essenziale garantire la concessione dello status di rifugiate. Ritengo che la direttiva presentata in questi giorni dalla Commissione e concernente le norme relative alle condizioni stabilite per i residenti nei paesi terzi e richiedenti lo status di rifugiato vada in questa direzione ed è un fatto importante. Si tratta di una presa di posizione determinante. E’ una questione di principio e non possiamo non soddisfare una simile richiesta.

La relazione sollecita, inoltre, un sostegno ai paesi africani che abbiano adottato misure legislative e amministrative intese a proibire e condannare tale pratica. Invitiamo altresì la Commissione europea a lavorare in stretta collaborazione con le organizzazioni non governative che operano sul posto con grande impegno, ma spesso con scarsissime risorse. Chiediamo, inoltre, che si ricorra alla clausola sui diritti umani affinché la lotta contro le mutilazioni genitali acquisisca carattere prioritario nelle relazioni con i paesi terzi, soprattutto con in paesi che hanno rapporti stretti con l’Unione europea nel quadro dell’accordo di Cotonou.

Onorevoli colleghi, molte donne, migliaia di donne africane attendono la nostra opinione al riguardo. Tale problema non coinvolge unicamente le donne africane, bensì tutti noi, uomini e donne, in quanto si tratta del rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo. Esse ci stanno aspettando e noi dobbiamo rispondere loro con urgenza.

 
  
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  Dell'Alba (TDI), relatore per parere della commissione per lo sviluppo e la cooperazione. - (FR) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, permettetemi innanzitutto una piccola rettifica poiché intervengo a nome della commissione per lo sviluppo e la cooperazione e non di quella per l’agricoltura e lo sviluppo rurale.

Sono particolarmente lieto della nomina a relatore su questo tema così importante, che riguarda così tante donne sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli dell’Unione, e sono soddisfatto che la mia relazione sia stata approvata all’unanimità dalla Commissione. Le decisioni prese all’unanimità spesso sono mal viste, si sospetta infatti una possibile mancanza di attenzione; ritengo tuttavia che in questo caso la Commissione e i membri della commissione per lo sviluppo e la cooperazione abbiano votato in maniera consapevole i diversi paragrafi che compongono il parere.

Oltre che sul voto all’unanimità, un po’ in contraddizione con il dibattito che tuttora preoccupa alcuni gruppi politici, vorrei richiamare la vostra attenzione su altri due punti.

Il diritto d’asilo innanzitutto. Per quel che concerne le clausole relative a tale diritto, abbiamo raccomandato al Consiglio, alla Commissione e agli Stati membri, come la onorevole Valenciano suggerisce nella sua relazione sul merito, che la minaccia di una mutilazione genitale femminile figuri fra i crimini che possono immediatamente dar luogo al diritto d’asilo nei quindici paesi dell’Unione. Si tratta di un punto estremamente importante che è stato votato all’unanimità. Mi auguro dunque che anche questo paragrafo sia votato domani da una larga parte dei membri del Parlamento.

Signor Presidente, per quel che concerne i fondi, abbiamo chiesto lo stanziamento di 10 milioni di euro per finanziare tutte le iniziative volte ad aiutare i paesi interessati ad uscire da questa situazione terribile. Mi auguro che tale richiesta sarà votata domani dal Parlamento e dalla commissione per i bilanci; la commissione per lo sviluppo e la cooperazione non l’ha ancora fatto.

 
  
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  Turco (TDI), relatore per parere della commissione per le libertà e i diritti dei cittadini, la giustizia e gli affari interni. - Signor Presidente, vorrei innanzitutto ringraziare la collega Valenciano per il lavoro che ha svolto, un lavoro che viene fatto a seguito di una risoluzione che è stata sottoscritta da 316 colleghi. E' forse anche per questo che in seno alla commissione per le libertà pubbliche la relazione è stata approvata all'unanimità. Il passaggio cruciale, di cui parlavano il collega Dell'Alba e la collega Valenciano, del riconoscimento del diritto d'asilo è, anche per la nostra commissione, uno dei punti cruciali, importanti in questa battaglia.

Vorrei ricordare le due cifre già citate: 130 milioni di vittime al mondo; 2 milioni di bambine ogni anno subiscono mutilazioni genitali. Oltre alle diverse iniziative di formazione e informazione, umanitarie, sociali, sanitarie e di sostegno, soprattutto, alle organizzazioni non governative, la nostra commissione ritiene di dover segnalare un'iniziativa in particolare: chiedere agli Stati membri di assicurarsi che le mutilazioni genitali femminili siano represse penalmente attraverso l'applicazione rigorosa delle disposizioni esistenti, che stabiliscono il diritto alla salute e all'integrità personale come un diritto fondamentale, nonché delle disposizioni del codice penale che vietano qualsiasi azione deliberata che lo víoli. Noi chiediamo cioè che non ci possa essere nessun ricorso al concetto di eccezione o di diversità culturale per giustificare la relativizzazione o l'attenuazione di questo diritto fondamentale e della protezione giuridica che ne consegue e che incombe allo Stato.

Ci auguriamo quindi che la Commissione, il Consiglio e gli Stati membri possano e vogliano con urgenza adoperarsi perché le nostre deliberazioni abbiano un seguito in termini di concretezza.

 
  
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  Presidente. - La ringrazio molto, onorevole Turco.

In conformità dell’ordine del giorno, sospendiamo la seduta che riprenderà alle 9.00 di stasera e con essa la discussione. Mi auguro che sarete pronti e puntuali alle 9.00.

La ringrazio molto, signora Commissario. Molte grazie, onorevoli colleghi.

(La seduta sospesa alle 20.00 riprende alle 21.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL'ON. PROVAN
Vicepresidente

 
  
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  Avilés Perea (PPE-DE). - (ES) Signor Presidente, signora Commissario, la relazione presentata dalla commissione per i diritti della donna esamina un problema assai grave, la mutilazione genitale di un elevato numero di donne e bambine. Si tratta di una pratica antichissima, che viola i diritti fondamentali delle donne e delle bambine che ne sono vittime e rappresenta, pertanto, un attentato ai diritti fondamentali dell’uomo sanciti dai Trattati e dalle dichiarazioni delle Nazioni Unite.

La relazione propone l’estensione della protezione e della prevenzione a tutti i paesi nei quali permane tale pratica, nonché all’Unione europea, dove talune comunità di immigrati continuano ad osservarla direttamente sul posto o nel corso di un viaggio nel paese di provenienza. Lì si procede alla mutilazione genitale che, purtroppo, è profondamente radicata nei costumi di numerosi popoli africani e di taluni popoli asiatici.

Soltanto la prevenzione mediante campagne di informazione e di spiegazione chiara delle conseguenze irreversibili di tale pratica consentirà di sradicarla, campagne lanciate dalle ONG, con il sostegno dei governi e l’appoggio deciso dei capi, soprattutto religiosi, campagne di educazione nelle scuole, rivolte a bambini e bambine, come ci ha riferito oggi la First lady del Burkina Faso dove sono stati ottenuti risultati soddisfacenti.

Il fatto di perseguire la mutilazione genitale come un delitto, sia nel paese in cui viene praticata che in altri, vale a dire, l’extraterritorialità del delitto, contribuirà efficacemente alla sua eliminazione. Nei casi gravi, alcuni paesi prevedono il diritto d’asilo, come contemplato nella direttiva che prevede il diritto d’asilo per discriminazione sessuale. Riteniamo che sia inadeguato includere, in generale, il diritto d’asilo per tutte le presunte vittime, ossia per milioni di bambine e adolescenti. Non possiamo permetterci di aprire porte che non potranno poi essere chiuse né possiamo accogliere nell’Unione europea tutte le presunte vittime che intendono lasciare il loro paese per questa ragione. Il fatto è che non possiamo, sebbene ci piacerebbe poterlo fare.

Su questo punto, la posizione del gruppo del partito popolare diverge da quella assunta nella relazione e, in caso di approvazione, potremo esprimerci con un voto finale di astensione. Ce ne rammarichiamo, perché la relazione contiene molti aspetti positivi, soprattutto l’impegno per includere la lotta contro le mutilazioni genitali in tutti i programmi di cooperazione, dotandoli della adeguata copertura in termini di aiuti finanziari, nonché la richiesta ai governi degli Stati in cui tale pratica permane di impegnarsi per la sua totale eliminazione.

Il gruppo del partito popolare esprime una ferma condanna nei riguardi della mutilazione genitale e sostiene il diritto di tutte le donne all’integrità fisica, allo sviluppo della piena sessualità, alla possibilità di scegliere il proprio futuro, anche quando tale decisione si scontra con le tradizioni e la storia del proprio popolo. Sosteniamo il diritto delle donne in quanto esseri umani liberi di vivere pienamente la loro vita, dovunque si trovino. Continueremo ad impegnarci per estirpare una pratica orribile, indipendentemente dalla posizione che assumeremo riguardo alla presente relazione.

 
  
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  Gröner (PSE). - (DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghe e isolati colleghi, la mia gratitudine va oggi in particolare alla relatrice, la onorevole Valenciano, che ha stilato un testo eccellente in cui lancia un messaggio chiarissimo: le mutilazioni genitali sono una violazione dei diritti della persona! Le argomentazioni addotte per giustificare tale violazione dei diritti della persona sono molteplici e invocano sia la tradizione, sia la religione. Di fatto, però, si tratta di uno strumento per perpetuare lo stato di oppressione in cui vivono le donne che, volendo sottrarsi alle mutilazioni genitali, vanno incontro all'emarginazione sociale, cioè ad una povertà e ad un disprezzo di proporzioni inimmaginabili.

Non si presta pressoché alcuna attenzione alla loro esperienza di violenze gravissime, ai danni irreparabili subiti dall'organismo, dalla psiche e dalla salute. Nel 1995 è stata la Conferenza mondiale delle donne di Pechino ad aprire il dibattito mondiale, ad avviare un processo di solidarietà e ad esortare gli ambienti politici ad un'azione internazionale congiunta. Anche in Europa siamo in presenza non solo di donne vittime di mutilazioni genitali, ma pure di un'ampia gamma di colpevoli e di complici. Sebbene le MGF - come sono frequentemente denominate le mutilazioni genitali femminili - siano penalmente perseguibili in numerosi paesi, gli organi di informazione e le organizzazioni delle vittime riferiscono di 5.000 casi stimati solo in Germania e di un numero quasi quadruplo di ragazze ricondotte nei loro paesi d'origine per essere sottoposte a mutilazione.

Vi sono medici e altri personaggi senza scrupoli che incassano dai 1.000 ai 3.000 marchi tedeschi ad ogni intervento. Il gruppo politico dei socialdemocratici esige che si conceda il diritto d'asilo alle donne minacciate, che si puniscano i colpevoli e che si segua il principio dell'extraterritorialità.

Desidero puntualizzare che per il mio gruppo queste richieste sono estremamente importanti. Ci risulta totalmente incomprensibile il motivo per cui una parte, anzi l'intero PPE intende astenersi sulla questione dell'asilo, abbandonando le donne a se stesse. Nella consapevolezza che la lotta contro l'ignoranza e l'asservimento deve essere condotta su scala mondiale, l'Internazionale socialista ha avviato una campagna mondiale contro la violenza ai danni delle donne. Le MGF sono state già vietate in quindici Stati, tra cui nove paesi africani. Ora devono seguire maggiori aiuti. In Germania, il mio governo ha già stanziato 3,8 milioni di marchi destinati all'informazione e a progetti concreti. L'Unione contribuisce con DAPHNE, ma sono solo gocce in un mare!

Insieme dobbiamo lottare in blocco per la salute riproduttiva, contro l'AIDS e contro le mutilazioni genitali. Solo in tal modo avremo la possibilità di raggiungere le donne e di aiutarle.

 
  
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  Van der Laan (ELDR). - (NL) Signor Presidente, innanzitutto esprimo il mio apprezzamento per la collega Valenciano che nella sua splendida relazione ha affrontato questo tema delicato in maniera chiara ed energica. Il gruppo ELDR darà il proprio appoggio a tale relazione.

La mutilazione genitale di donne e bambine costituisce una terribile violazione dei diritti umani fondamentali. Oltre 130 milioni di donne sono state vittime di questa pratica e a tale cifra vanno aggiunti ogni anno altri due milioni. L’Europa deve fare il possibile per combattere questo fenomeno, a prescindere da dove si presenti.

Ho l’impressione che alcuni deputati stiano valutando se votare contro la relazione a causa dei passaggi sull’asilo e l’extraterritorialità. Cercherò di tranquillizzare tutti: se guardiamo alle attuali procedure in materia di asilo, possiamo vedere che nella maggior parte dei quindici Stati membri la mutilazione genitale rappresenta tuttora un motivo per concedere l’asilo. A mio parere, è giusto che sia così. La relazione non fa quindi altro che riferirsi alle procedure in vigore.

Il principio dell’extraterritorialità vale per il momento soltanto nel settore del turismo sessuale che coinvolge l’infanzia, ma dovrebbe anche valere per le donne mutilate in situazione di rischio. Questo è infatti l’unico modo per evitare che i cittadini dell’Unione di origine somala, ad esempio, portino durante le vacanze estive le figlie in Somalia per farle mutilare. Se queste persone sanno che, una volta tornate in Europa, corrono il rischio di essere perseguite dalla legge, allora forniamo ai genitori le armi per difendere le figlie dalle pressioni sociali.

Infine, un’osservazione rivolta a coloro che non vogliono affrontare il problema della mutilazione genitale perché, a loro parere, costituisce l’espressione di una determinata cultura o religione. In tutti i paesi in cui si pratica la mutilazione genitale, gruppi d’azione locali stanno portando avanti campagne per abolirla. Pertanto, non siamo noi ad imporre le nostre norme occidentali. Dobbiamo sostenere queste donne esprimendo la nostra solidarietà domani, in occasione del voto. Pure il Corano non permette la mutilazione, sebbene tale prassi sia diffusa soprattutto nei paesi islamici. E’ anche compito degli imam contribuire a sradicare il fenomeno. Questo aspetto è assai importante, perché, data la delicatezza dell’attuale situazione, non possiamo utilizzare stereotipi negativi dell’Islam. La mutilazione genitale non è un fenomeno religioso, bensì costituisce la violazione di un diritto umano fondamentale.

 
  
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  Sörensen (Verts/ALE). - (NL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, innanzitutto mi congratulo a nome del mio gruppo con la collega Valenciano per l’eccellente relazione e per le raccomandazioni in essa contenute che sottoscrivo al 200 per cento.

La stragrande maggioranza delle donne sottoposte a mutilazioni genitali - stiamo parlando di 130 milioni - vive in Africa. In 28 paesi situati tra l’Equatore e il Tropico del cancro, l’escissione viene praticata sistematicamente. Al di fuori dell’Africa, tali pratiche sono comuni nell’Asia sudorientale, fra l’altro in Indonesia, Sri Lanka, Malesia, Yemen, Oman ed Emirati arabi uniti. Persino in un paese come l’Egitto, pochi dei turisti che vanno a vedere la Sfinge sanno che il 90 per cento delle donne è stato sottoposto a mutilazioni genitali. Alcune di queste donne sono fuggite in Europa per salvare le loro figlie da questo trattamento e per farsi operare e alleviare il dolore. Ma se una di queste donne facesse ritorno nel suo paese, verrebbe ripudiata. Viceversa, una vacanza estiva nel paese d’origine può trasformarsi per le figlie di migranti in un incubo qualora i familiari ritengano che sia necessario portare avanti la tradizione.

Per anni mi sono impegnata per aiutare le donne vittime della tratta di esseri umani. Per esperienza, so che le donne sottoposte ad escissione spesso vengono considerate spazzatura e pertanto vendute per essere avviate alla prostituzione: in questo modo, sono due volte vittime.

Le ragazze africane che giorno dopo giorno lavorano nei postriboli, che sono sottoposte a mutilazione genitale, vendute e rivendute, aspettano clienti per poter ripagare i debiti. Esorto nuovamente gli Stati membri e la Commissione affinché riconoscano la mutilazione genitale o la minaccia di subirla quale motivo, specificatamente legato al genere, per la concessione dell’asilo. Non dobbiamo nasconderci dietro un’eventuale revisione della Convenzione di Vienna.

Chiedo ai colleghi che hanno difficoltà a condividere il nostro punto di vista di guardare i video registrati di queste “feste”, come a volte vengono definite in quei paesi. E’ essenziale che il silenzio attorno a questo argomento tabù venga rotto e per tale ragione devono essere incoraggiati i programmi di formazione in loco e di sensibilizzazione dei migranti che vivono in Europa. Non possiamo tollerare che questa brutale violazione dei diritti dell’uomo e della dignità delle donne e delle bambine continui ad essere perpetrata con il pretesto delle consuetudini e delle tradizioni nazionali.

Colgo l’occasione per ribadire che il mio gruppo, vista l’eccezionale qualità della successiva relazione della onorevole Smet, non prenderà la parola: la relazione è davvero perfetta.

Per concludere, mi congratulo nuovamente con la onorevole Valenciano per l’ottimo lavoro svolto.

 
  
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  Bonino (TDI). - Signor Presidente, colleghe e colleghi, l'importanza e l'originalità di questa relazione coraggiosa, rispetto a relazioni e documenti che pure sono stati numerosissimi in molte istanze internazionali, è che senza ambiguità, senza concessioni ipocrite, pone il problema delle mutilazioni genitali femminili come un problema di libertà, di dignità, di diritto, di diritti umani per centinaia, migliaia di donne nel mondo. Elena Valenciano, spero con l'appoggio di tutti noi, non apre concessioni ipocrite a cosiddetti rispetti alle tradizioni o al relativismo culturale, di cui tanto spesso sentiamo parlare; non apre alcuna breccia neanche alla buona coscienza a buon mercato che tante volte distingue le nostre prese di posizione. Tant'è vero che, pur sottolineando una parte di criminalizzazione, e quindi di penalizzazione, propone tutta una serie di misure propositive che spetterà pure a noi, alle varie Istituzioni - Commissione e Consiglio - rendere operative.

C'è tuttavia una cosa che voglio dire alla collega Perea, che stimo molto. Lei ci ha presentato un caso di specie che non esiste, motivando la questione di rifiutare il diritto d'asilo con il fatto che apriremmo la porta a milioni di donne in cerca di protezione. Vede, collega, se ci fossero milioni di donne, di bambine che sanno o che possono ribellarsi, esporsi, sfuggire al controllo familiare, sociale, maschile, questo problema sarebbe già risolto. Quindi, il problema non si pone: sfortunatamente non ci sono centinaia di migliaia o milioni di bambine e di donne che hanno oggi la possibilità di ribellarsi, di esporre, di andare a bussare a un'ambasciata per chiedere asilo. Siamo in una situazione in cui chi ha questo coraggio sono pochissime, veramente pochissime, e l'idea che persino a queste pochissime riusciamo a chiudere la porta - io la prego ancora di rifletterci - non è responsabile, non è serio. Ci fa tornare nella situazione delle prediche gratis, della buona coscienza a buon mercato, della non assunzione di responsabilità che invece è la nostra, è di quest'Europa libera, civile, democratica, attenta ai diritti di tutti. Questo vogliamo dire - credo - con la nostra relazione domani: vogliamo dire che siamo per un mondo in cui gli esseri umani sono uguali. Io sono convinta che, se questo tipo di mutilazione, così feroce, fosse stata applicata ai nostri colleghi maschi, forse sarebbe già stata risolta da un sacco di tempo. Ma il problema è che il mondo non va ancora così e spetta a noi, a questa Istituzione, dare qualche esempio.

Ultimo punto, e mi rivolgo alle colleghe che fanno parte anche della commissione per lo sviluppo. Oggi ho un incontro con il Segretario generale degli ACP, l'ambasciatore Goulongana, che si è detto disponibile ad inserire questo tema nella prossima riunione dell'Assemblea paritetica ACP-UE che si riunisce a Bruxelles a fine ottobre. So che le agende sono rigide, so che forse è tardi, però ci sarà pure un dato di attenzione politica che fa sì che la flessibilità non si confonda col rigore dell'immobilismo! Ci sarà pure una differenza che potremmo far valere! Io mi auguro che, dopo la nostra Assemblea, sia l'Assemblea paritetica ACP-UE ad approvare questa nostra posizione.

Care colleghe, vorrei ricordare a tutte voi che avete dubbi che sono pochissime, ma veramente pochissime, quelle donne che hanno la possibilità, il coraggio e persino la fortuna di riuscire a ribellarsi.

(Applausi)

 
  
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  Schierhuber (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente, signora Commissario, sono molto lieta che si sia stilata questa relazione di iniziativa. Chiunque tra noi abbia letto il libro di Waris Dirie "Desert flower" ne è rimasto sconvolto e irrimediabilmente colpito. Oggi penso ai 130 milioni di donne e di ragazze sottoposte a mutilazioni genitali. Ogni anno ad esse se ne aggiungono altri 2 milioni. Penso anche alle molte ragazze che vi perdono la vita in modo terribile. Mi sia pertanto consentito anticipare che mi dichiaro favorevole a un'azione ancora più compatta dell'Unione europea e dei suoi Stati membri per abolire tali interventi dannosi alla salute sessuale e riproduttiva delle donne. Sarà necessario che, in sede di elaborazione della politica comune in materia di immigrazione e di asilo, nonché nella politica per l'accoglienza dei profughi, la Commissione ed il Consiglio considerino queste valenze della mutilazione genitale di donne e ragazze. A tale proposito, desidero fare presente che l'asilo è concesso soprattutto laddove sia necessaria una protezione politica per motivi di Stato, fatto perfettamente comprensibile. Le mutilazioni digitali si annidano invece in una zona grigia e sono generalmente perpetrate da privati. Noi tutti dobbiamo svolgere una grande opera di persuasione, di formazione e di informazione della popolazione per giungere ad una trasformazione sociale.

Considero le mutilazioni genitali una violazione dei diritti della persona, intollerabile da parte di chiunque e di qualsiasi istituzione. Per preservare la prossima generazione di donne da queste atroci mutilazioni dobbiamo denunciare il problema in pubblico e sensibilizzare sia la popolazione dell'Unione, sia quella dei paesi in via di sviluppo.

Ma, come già chiedevano alcuni oratori che mi hanno preceduta, dobbiamo soprattutto preoccuparci di vietare tale prassi anche nei nostri Stati membri, dove anche a me risulta sia molto diffusa come pratica illegale. Per impedirla, chiedo pertanto che operiamo in modo davvero congiunto.

 
  
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  Theorin (PSE). - (SV) Signor Presidente, un programma televisivo di attualità molto seguito in Svezia ha mostrato, due settimane fa, come nel paese vi siano capi religiosi, cristiani e musulmani, che raccomandano l’escissione del clitoride, come immigrati residenti in Svezia sottopongano a mutilazione genitale le loro figlie femmine in Kenya e Somalia durante le vacanze estive, come vengano fatte giungere sino in Svezia le praticone che eseguono questi interventi e come un medico svedese abbia omesso di segnalare alle autorità sociali di avere salvato una bambina dal dissanguamento dopo che i genitori l’avevano fatta sottoporre a mutilazione genitale.

Per noi che ci battiamo contro la mutilazione genitale, l’appoggio dato da capi spirituali a questa forma di tortura è a dir poco demoralizzante. I capi religiosi hanno una particolare responsabilità al riguardo. La loro influenza è enorme e la loro voce sarebbe decisiva per porre fine alle mutilazioni.

Saluto l’eccellente relazione della onorevole Valenciano Martínez-Orozco, che chiede una strategia d’insieme per l’eliminazione della mutilazione genitale nell’Unione, anche con estese campagne di informazione e il varo di legislazioni contro tale prassi in tutti gli Stati membri. E’ particolarmente importante anche la richiesta di introdurre legislazioni nazionali specifiche che coprano anche le mutilazioni praticate all’estero, perché ciò consentirebbe, al loro rientro, di perseguire i residenti che si recano all’estero per far mutilare le proprie bambine. Dal 1999 la Svezia è il primo e il solo Stato dell’Unione che si sia dotato di questa forma di legislazione extraterritoriale, ciò che, auspicabilmente, permetterà di punire gli svedesi che, durante le vacanze estive, fanno mutilare i genitali delle loro figlie all’estero.

Un altro aspetto fondamentale della relazione, già ricordato da molti, consiste nella richiesta che la fuga da questa forma di tortura venga presa almeno sul serio quanto la fuga dalle persecuzioni politiche. In più occasioni, Stati Uniti e Canada hanno già bloccato espulsioni di bambine e ragazze che chiedevano asilo nel terrore di essere mutilate. Su questo fronte, l’Europa non può essere da meno.

E’ veramente tempo di prendere decisi provvedimenti per salvare i due milioni di giovani che, in tutto il mondo, rischiano ogni anno di subire una mutilazione genitale. Noi riponiamo le nostre speranze e la nostra fiducia nella signora Commissario, affinché si ripresenti con proposte concrete sulle quali i nostri ministri possano poi pronunciarsi.

 
  
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  Malmström (ELDR). - (SV) Signor Presidente, la mutilazione genitale femminile è un fenomeno terribile, causa di gravi danni sul piano fisico e psichico, di sofferenze che dureranno tutta la vita, ed equivale a una gravissima prevaricazione. La mortalità fra quante vi si sottopongono è elevata. Occorre proprio il pugno di ferro per poter combattere questa insana usanza, questo fenomeno orribile, ovunque esso si presenti.

E’ un problema anche europeo e occorre potenziare in Europa le conoscenze, la ricerca e la documentazione sul fenomeno della mutilazione genitale femminile. Occorre cooperare per mettere a punto strategie comuni contro questa violenza, che in realtà non è prescritta da nessuna religione. Diversi colleghi hanno già sottolineato la necessità di una cooperazione con i capi religiosi.

Le donne che già hanno subito la mutilazione genitale sono bisognose di cure e di riabilitazione; occorre pertanto investire nella formazione di levatrici, assistenti sociali e insegnanti. La onorevole Theorin ha già parlato del fenomeno che in Svezia è noto come “mutilazione estiva”, ossia il fatto che alcune bambine vengano portate all’estero per essere mutilate. Nel mio paese questa prassi è illegale e, pertanto, il gruppo liberale trova del tutto naturale sostenere la proposta di metterla al bando in tutti i paesi. Ciò significherebbe ribadire chiaramente che la mutilazione genitale è un crimine sia in patria, sia all’estero, e che rappresenta una violazione dei diritti umani.

 
  
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  Maes (Verts/ALE). - (NL) Signor Presidente, il ricorso alla mutilazione genitale rappresenta una forma estrema di oppressione delle donne, che a volte risale molto addietro nella storia di alcuni paesi. Sono le donne di quei paesi - Egitto, Somalia - che ci hanno fatto conoscere il loro atroce dolore. Lo hanno denunciato e, per farlo, hanno dovuto sconfiggere un mondo di pregiudizi, ma lo hanno fatto per le loro sorelle - spesso ancora bambine - e per le loro figlie. Esse chiedono a noi di mostrare lo stesso coraggio.

Alcune donne hanno inviato una petizione in tal senso al Parlamento europeo. Sappiamo di godere dell’appoggio delle donne di tutto il mondo. Il rispetto dell’individuo deve essere giudicato alla stessa stregua per uomini e donne: i diritti delle donne sono diritti umani. Non è ammettendo che queste mutilazioni vengano effettuate in condizioni accettabili sotto il profilo medico che la mutilazione diverrà accettabile. Non è neppure perché questa consuetudine disumana è una delle tradizioni più radicate in alcune società - volutamente non parlo di religioni, perché tutto ciò ha poco a che fare con la religione - che dobbiamo assumere un atteggiamento tollerante nei confronti di tale pratica. La mutilazione genitale delle donne deve essere considerata in tutti i paesi, in tutte le società, un reato, come richiesto in varie convenzioni internazionali.

Positivo è, ad ogni modo, che un numero crescente di paesi abbia vietato la mutilazione genitale femminile. Tuttavia, in molti casi, tale divieto resta lettera morta e pertanto dovremmo modificare l’accordo di Cotonou in maniera da poterlo applicare come nel caso di violazioni dei diritti dell’uomo.

Per il resto, concordo con la posizione espressa dai colleghi.

 
  
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  Kauppi (PPE-DE). - (FI) Signor Presidente, l'encomiabile relazione Valenciano Martínez-Orozco sostiene chiaramente che le mutilazioni genitali femminili sono un crimine che l'Europa non deve tacere. Faccio perciò appello a tutti i deputati al Parlamento affinché nella votazione di domani diano il proprio unanime sostegno alla relazione.

Le mutilazioni genitali femminili, a prescindere dalla loro entità, sono un atto di violenza nei confronti della donna e ne violano sia i diritti fondamentali, sia l'integrità fisica e la salute psichica. I diritti delle donne, delle giovani o delle bambine vengono calpestati in nome di una tradizione presente in varie culture, o addirittura di presunte disposizioni religiose. Tuttavia, sullo sfondo c'è sempre uno status sociale e una condizione femminile inferiori a quelli maschili. Ci sarebbe perciò bisogno anche di attività a favore delle pari opportunità.

Purtroppo, le mutilazioni genitali femminili sono state e sono tuttora attuate anche nel territorio dell'Unione europea, nelle comunità di immigrati, benché tale pratica sia vietata dal codice penale degli Stati membri e infranga apertamente i principi della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Nessuna pratica religiosa o culturale deve imporsi sui principi fondamentali dei diritti umani o dell'integrità fisica e psichica della persona, base della democrazia europea. E' altresì necessario opporsi con risolutezza alla richiesta di affidare la mutilazione genitale a un medico, in un ospedale o in altro luogo simile. Tale pratica non dev'essere paragonata alla circoncisione maschile, che taluni Stati membri accettano.

Do il mio sostegno alle valide misure formulate nella relazione e volte a porre fine a tali crimini negli Stati membri dell'Unione europea. E' necessario dare la priorità all'informazione, all'educazione e alla prevenzione, ma dev'essere anche possibile intervenire con misure e sanzioni penali nei casi di mutilazioni genitali già avvenute. In tale contesto, esprimo la mia personale approvazione al principio di extraterritorialità. Esorto le autorità degli Stati membri e, in qualità di deputata finlandese, innanzitutto quelle del mio paese, a porre in essere quanto prima tutte le misure necessarie affinché cessino tali violazioni disumane e medievali dei diritti umani.

(Applausi)

 
  
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  Karamanou (PSE). - (EL) Signor Presidente, anch’io desidero complimentarmi con la onorevole collega Valenciano Martínez-Orozco per la qualità e la completezza della sua relazione. E’ un fatto assodato che per milioni di donne nel mondo le mutilazioni genitali siano un attacco terroristico inevitabile che devono subire per garantirsi la sopravvivenza. L’assenza di un’alternativa e la totale mancanza di informazione sono due dei problemi più difficili per le donne che subiscono questa umiliante mutilazione, che rappresenta la peggior forma di oppressione, terrorismo e sfruttamento ai danni delle donne; è un atto criminale che viola la libertà individuale, l’integrità fisica, la libertà di coscienza e il diritto alla salute, in quanto causa gravi danni fisici e strascichi psicologici, per non parlare delle conseguenze sull’identità sessuale delle donne e sulla loro funzione riproduttiva.

Centotrenta milioni di donne mutilate nel mondo sono una moltitudine spaventosa. Purtroppo questa orrenda pratica è stata introdotta anche nell’Unione europea. Secondo una comunicazione della British Medical Association, ogni anno nel Regno Unito vengono effettuate tremila mutilazioni; anche qualora si trovino nel territorio dell’Unione, i fondamentalisti non esitano ad attuare queste pratiche medievali al fine di tenere sotto controllo le donne e di vigilare sulla loro sessualità.

Ogni essere umano ha il diritto di essere tutelato dalle leggi qualora siano in pericolo le sue libertà fondamentali e i suoi diritti, proprio come nel caso delle mutilazioni genitali. Nell’Unione, però, la legge è gravemente carente e perciò chiediamo che venga attuata una normativa per inserire questo odioso crimine nel diritto penale. L’Unione europea può naturalmente esercitare una maggiore influenza non solo mediante gli accordi economici stipulati con paesi in cui si praticano le mutilazioni, nel quadro dell’accordo di Cotonou, ma anche adottando una legislazione extraterritoriale. In conclusione, vorrei rivolgere un appello alle donne del PPE affinché si uniscano a noi nel testimoniare solidarietà alle migliaia di donne sottoposte a questa orrenda pratica e affinché cambino posizione entro domani.

 
  
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  Junker (PSE). - (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la mutilazione degli organi sessuali femminili è fonte di infinite sofferenze per le donne e le ragazze di almeno 25 paesi africani, la maggior parte dei quali fanno parte degli ACP. Le donne vi sono vittime di violente tradizioni culturali, che ne mettono a repentaglio la vita e devono essere superate perché nel ventunesimo secolo non può più sussistere alcuna tradizione lesiva della dignità della persona e, nella fattispecie, atrocemente spregiativa nei confronti delle donne. Ci rallegra che tale convincimento si stia progressivamente diffondendo anche nei paesi ACP dell'Africa. L'Etiopia, il Ghana, la Guinea, l'Uganda, il Senegal, la Tanzania, il Togo, il Burkina Faso, la Repubblica Centroafricana e la Costa d'Avorio hanno fortunatamente promulgato una normativa contro le mutilazioni genitali di donne e ragazze.

Con il supporto delle organizzazioni di assistenza e di una miriade di organizzazioni non governative cerchiamo parallelamente di porre fine a questa spaventosa consuetudine informando e convincendo la popolazione. In questo spirito, onorevole Bonino, si deve sottolineare come elemento positivo la delibera dell'ultima Assemblea paritetica ACP/EU, tenutasi in Gabon, a Libreville: i responsabili politici sono stati esortati all'unanimità - anche con i voti delle rappresentanti e dei rappresentanti della parte ACP - ad adottare tutti i provvedimenti legislativi, amministrativi e giuridici necessari per interrompere la prassi delle mutilazioni genitali e provvedere alla sua estirpazione tramite campagne di sensibilizzazione.

Dobbiamo inoltre riconoscere che la loro stigmatizzazione come violazione dei diritti della persona, avvenuta nella stessa occasione, rappresenta un notevole progresso rispetto alla precedente tabuizzazione del problema. Ma la battaglia per l'incolumità fisica e psichica delle donne, nei paesi ACP e altrove, non è ancora vinta e continua a richiedere il nostro contributo solidale.

 
  
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  Diamantopoulou, Commissione. - (EL) Signor Presidente, vorrei complimentarmi con la onorevole Valenciano Martínez-Orozco, sottolineando sin dall’inizio l’importanza politica e le conseguenze di questa relazione, che acquisirà ancor più rilevanza se sostenuta da una grande maggioranza. La relazione imprimerà una forza dinamica non solo all’operato della Commissione, ma soprattutto alle organizzazioni femminili in Europa e Africa che cercano di fronteggiare questa barbarie. Come già menzionato da molti eurodeputati, il problema non sussiste solo in Africa. Infatti, secondo i dati del programma DAPHNE, in Europa ci sono circa 700.000 donne originarie di quei paesi. E’ difficile dare cifre precise, ma si sospetta che esse vadano ben al di là della nostra immaginazione.

Si tratta di un problema difficile e spinoso. C’è di mezzo una tradizione culturale radicata da secoli in quelle zone del pianeta, ma è impossibile che una qualsiasi tradizione culturale venga usata come alibi per la violazione dei diritti dell’uomo. Così come affermato anche dalla Conferenza mondiale di Pechino, le mutilazioni genitali costituiscono una violazione dei diritti umani e, in secondo luogo, una discriminazione in quanto colpisce soltanto le donne e le ragazze.

Che cosa può fare l’Unione europea? Anzitutto, in merito alle proposte legislative, vi sono pareri discordanti sul fatto che il Trattato in vigore assicuri una base legale per una normativa europea. La Carta dei diritti dell’individuo, approvata a Nizza, rappresenta una base che non può ancora essere considerata giuridica. La legislazione non è però l’unica soluzione e in tal senso resta ancora molto da fare.

Venendo ora alla questione dell’asilo, molte onorevoli deputate hanno addotto argomenti e la relazione è chiara. Desidero precisare che alcuni giorni fa la Commissione ha presentato una proposta di direttiva al Consiglio volta a definire i requisiti minimi per il riconoscimento dello status di cittadini di paesi terzi, apolidi o profughi, ai sensi della Convenzione di Ginevra. Dopo lunghe discussioni e molti sforzi, ora nel testo c’è un chiaro riferimento al riconoscimento della necessità di offrire protezione alle donne in caso di violenza sessuale o di altro comportamento relativo al sesso. Penso che valga la pena valutare questa proposta della Commissione che può costituire la base per un accordo assai importante per tutti i gruppi del Parlamento europeo.

Oltre al quadro normativo, grazie ai programmi esistenti nell’Unione, oggi è possibile sostenere azioni e campagne per il riconoscimento del problema, per la mobilitazione e la sensibilizzazione della società, nonché per l’aggiornamento e la formazione del personale ospedaliero. Infatti, in almeno cinque Stati membri gli addetti dei servizi sanitari vengono spesso a contatto con casi simili e devono quindi avere un’adeguata formazione e competenze specifiche per aiutare queste donne.

Per quanto riguarda l’istruzione e il sostegno alle immigrate, di certo alle donne che si possono mantenere e fare la propria rivoluzione devono comunque essere offerte possibilità economiche. La questione del sostegno alle immigrate in Europa è una questione assai rilevante. L’appoggio alle donne e il loro inserimento nel mercato del lavoro, assieme al finanziamento di campagne di informazione e sensibilizzazione, possono essere portati avanti mediante i programmi in corso di cui abbiamo già discusso in Parlamento. Attendiamo ora le proposte delle organizzazioni non governative che operano in questo campo.

In merito ai nostri rapporti con il Terzo mondo, nel quadro degli aiuti allo sviluppo si è già compiuto uno sforzo importante per porre come condizione il rispetto dei diritti dell’uomo da parte dei governi specie in questo campo, tenuto conto degli sforzi profusi dai governi per applicare politiche in materia di istruzione, formazione, sensibilizzazione e sostegno alle donne e alle famiglie. In collaborazione con il settore dello sviluppo e con il Commissario competente, abbiamo già intenzione di accrescere il sostegno economico ai paesi che si impegneranno nel debellare questo fenomeno. Penso che la realizzazione del programma in Etiopia ci permetterà di trarre conclusioni soddisfacenti in merito a quanto si possa riuscire a fare quando vi è cooperazione tra Unione europea e governi mediante gli aiuti allo sviluppo.

Riteniamo infine che le ONG possano svolgere un ruolo determinante sia nell’Unione che nei paesi africani, poiché esse sono anche i principali interlocutori e collaboratori della Commissione in quest’opera.

 
  
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  Presidente. - La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani alle 11.00.(1)

 
  

(1) Comunicazione delle posizioni comuni del Consiglio: cfr. Processo verbale.


10. Parità di retribuzione per pari lavoro
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  Presidente. - L'ordine del giorno reca la relazione (A5-0275/2001) presentata dalla onorevole Smet, a nome della commissione per i diritti della donna e le pari opportunità, sulla parità di retribuzione per lavoro di pari valore.

 
  
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  Smet (PPE-DE), relatore. - (NL) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, sebbene tutti gli strumenti giuridici in vigore a livello europeo e negli Stati membri vietino le discriminazioni sul piano retributivo, continuano ad esserci notevoli e persistenti differenze nella retribuzione di uomini e donne. Stando ai dati che ci vengono forniti da studi europei, peraltro molto interessanti, il gap retributivo oscilla tra il 25 e il 28 per cento e, in alcuni paesi, raggiunge addirittura il 30 per cento. Tale divario è più pronunciato nel settore privato che in quello pubblico, è maggiore nel comparto industriale che nell’agricoltura o nel settore dei servizi e il massimo viene registrato in quei ambiti in cui le donne sono sottorappresentate.

Non è sempre facile valutare esattamente il significato di questi dati. In generale, si parte dal presupposto che circa la metà di tale disparità sia da addebitare alla diversa progressione della carriera di uomini e donne (ad esempio, le donne interrompono più facilmente la carriera rispetto agli uomini, accumulando un conseguente ritardo professionale), ai titoli di studio meno elevati (soprattutto delle lavoratrici anziane), al fatto che le donne che lavorano in media sono più giovani dei lavoratori maschi, in altri termini a diverse differenze strutturali.

L’altra metà del divario non può però essere spiegata in maniera oggettiva e lascia pensare alla presenza di meccanismi discriminatori nascosti che conducono ad una sottovalutazione delle funzioni e delle professioni in cui domina la componente femminile. Il principale meccanismo in tal senso è costituito dalla cosiddetta job evaluation a seconda del peso, dove le diverse funzioni vengono classificate, collocate in una determinata categoria e dove la retribuzione viene assegnata in base alla categoria. Nella maggior parte dei casi tale job evaluation viene effettuata dalle parti sociali, avvalendosi o meno di un sistema elaborato da un ufficio di consulenza.

La discriminazione in fase di job evaluation si esprime sottovalutando caratteristiche associate con funzioni tradizionalmente femminili, quali competenze sociali, maggiore capacità di concentrazione e maggiore destrezza manuale. Poiché ricevono meno punti, ossia sono meno valutate, tali mansioni vengono collocate in un posto troppo basso delle classifica delle funzioni e nella griglia salariale, per cui le donne ricevono una retribuzione inferiore. A ciò si contrappone una sopravvalutazione delle caratteristiche associate alle funzioni tradizionalmente maschili, quali capacità tecniche, capacità di svolgere lavori pesanti o responsabilità finanziarie.

In generale, i lavoratori non sono a conoscenza del modo in cui è stata classificata la mansione loro affidata. Ci si può addirittura chiedere in che misura le parti sociali attive all’interno delle aziende conoscano la maniera in cui è stata effettuata tale classificazione. Inoltre, in linea di massima le donne non sono coinvolte nella job evaluation, in quanto non sono tra i negoziatori delle parti sociali.

Si pone allora la questione: che cosa può fare l’Europa per cambiare la situazione? Signora Commissario, penso che in primo luogo si debba assolutamente migliorare la raccolta di dati statistici sulle retribuzioni di uomini e donne e di dati che spieghino le differenze retributive. In questo momento, la raccolta di dati è insufficiente a livello sia europeo sia di Stati membri. Questo è il primo punto da affrontare. So che la Commissione ha costituito un gruppo di esperti per iniziare tale attività, ma ciò che chiedo è che essi cerchino anche una spiegazione per il gap retributivo.

In secondo luogo, l’Unione europea potrebbe esaminare in maniera più approfondita la problematica legata alla discriminazione nella job evaluation. A tal fine, si potrebbe adottare un’iniziativa, ad esempio, per integrare la direttiva del 1975 sulla parità di retribuzione con un allegato in cui venga esposta una serie di norme e criteri che assicurino una job evaluation neutrale rispetto al genere.

Gli Stati membri hanno bisogno di una guida. Anche le parti sociali ne hanno bisogno. Penso che l’Europa possa fornire un contributo al riguardo. Inoltre, si deve far sì che le parti sociali s’impegnino per garantire la trasparenza in materia di scale di valori applicate ai fini del processo di formazione della retribuzione. Come può un lavoratore sapere se viene discriminato a livello retributivo nel momento in cui non c’è trasparenza per quanto riguarda il modo in cui si forma la retribuzione? Le parti sociali si dovrebbero altresì impegnare per coinvolgere un maggior numero di donne nei negoziati salariali, soprattutto per eliminare le discriminazioni e collocare finalmente la discriminazione retributiva quale primo punto del loro ordine del giorno, come finora non è mai accaduto.

Anche gli orientamenti per l’occupazione devono essere resi più rigorosi, aggiungendo obiettivi quantitativi e target. Essi non compaiono neppure nei nuovi orientamenti, sebbene siano migliori di quelli precedenti. Bisogna inoltre vigilare con più attenzione. Non ho mai sentito la Commissione lamentarsi del fatto che i piani d’azione nazionali rivolgano troppo poca attenzione a tale problema.

In sintesi, occorre una strategia politica globale. Tutti questi elementi ne costituiscono parte integrante, inclusa la campagna che la Commissione intende condurre e che potrebbe costituire un elemento utile per portare avanti alcuni di questi temi.

La prego quindi, signora Commissario, di fare di questo problema il primo punto all’ordine del giorno a favore delle donne.

 
  
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  Attwooll (ELDR), relatore per parere della commissione per l'occupazione e gli affari sociali. - (EN) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, vorrei congratularmi con la onorevole Smet per la sua relazione e ringraziare la commissione per i diritti della donna e le pari opportunità, che ha accolto un numero così grande delle conclusioni formulate dalla commissione per l'occupazione e gli affari sociali. Tre fattori sono evidenti: primo, in tutti i settori dell’occupazione le retribuzioni delle donne sono in media inferiori a quelle degli uomini; secondo, le donne trovano impiego per lo più in quei settori dove il lavoro gode tradizionalmente di minore considerazione; terzo, la percentuale di lavoratori a tempo parziale è notevolmente più alta tra le donne che tra gli uomini. Si tratta quindi di un problema che ha radici profonde e che non si potrà risolvere se non con l'azione concertata di tutte le parti in causa: ciò, tra l'altro, significa l'introduzione di sistemi di valutazione funzionale obiettivi e neutri sotto il profilo del genere, così da por fine all'attuale sottovalutazione delle competenze femminili. Si sente però anche il bisogno - e la onorevole Smet lo ha notato - di un ventaglio di iniziative assai più vasto, teso a superare quegli svantaggi strutturali che pesano sulle donne nel mercato del lavoro.

La commissione per l'occupazione e gli affari sociali apprezza l'approccio di ampio respiro con cui la Commissione (tramite le proprie proposte per gli orientamenti sull'occupazione del 2002) sta affrontando il problema; siamo particolarmente lieti per l'importanza attribuita al mainstreaming del genere, e all'irrobustimento dell'orientamento 17. Siamo inoltre ansiosi di conoscere le eventuali proposte della Commissione per la revisione e l'aggiornamento della direttiva del 1975 sulla parità retributiva; nel frattempo, invitiamo gli Stati membri e le parti sociali a impegnarsi attivamente nell'elaborazione di quelle misure di cui si sente il pressante bisogno al fine di superare il divario retributivo fra uomini e donne.

 
  
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  Avilés Perea (PPE-DE). - (ES) Signor Presidente, signora Commissario, vorrei congratularmi con la onorevole Smet per aver elaborato una relazione tanto necessaria e per aver dato prova di grande professionalità, dimostrando di conoscere a fondo un problema per il quale si è molto impegnata.

Nonostante la qualità del lavoro, che ha permesso di approfondire i vari aspetti che incidono sulla disparità retributiva tra uomini e donne, occorre porre l’accento su un problema ancora fortemente radicato e per il quale non siamo in grado di prevedere una soluzione. Le donne accedono al posto di lavoro con maggiori difficoltà rispetto agli uomini, incontrano maggiori ostacoli per quanto riguarda la formazione e la carriera professionale e percepiscono una retribuzione inferiore a quella degli uomini. Tale problema non riguarda unicamente le donne presenti già da tempo sul mercato del lavoro, bensì anche le giovani donne, molto preparate, spesso più preparate degli uomini e che, pur svolgendo in modo brillante il proprio lavoro, percepiscono una retribuzione inferiore a quella dei loro colleghi uomini.

Non vi è alcuna giustificazione né legislazione che lo consenta in nessun paese dell’Unione europea. Tuttavia, è una realtà con cui ci scontriamo e che non sappiamo affrontare. Probabilmente spetta soprattutto agli interlocutori sociali, vale a dire alle organizzazioni degli imprenditori e ai sindacati, impegnarsi al fine di risolvere tale problema. Sono persuasa che, se ai vertici delle organizzazioni vi fossero più donne, la questione sarebbe già risolta da tempo. Mi rammarico invece del fatto che, proprio nel momento in cui lottiamo contro forme di discriminazione spesso difficili da identificare, non siamo in grado di dare una risposta risolutiva a una forma di discriminazione tanto evidente e che ogni mese si riflette nei dati riguardanti le nomine.

Ritengo che la mancata valorizzazione del lavoro della donna, il fatto di aver sempre considerato il suo lavoro come subordinato a quello dell’uomo, l’aver sempre pensato che essa non possieda i requisiti per accedere ai posti di massima responsabilità costituiscano pregiudizi tuttora presenti nella mentalità comune, pregiudizi che ostacolano la parità e l’accesso al mondo del lavoro, nonché una maggiore promozione delle donne.

Chiedo al Commissario, signora Diamantopoulou, di avviare iniziative al fine di risolvere tale questione. Se in uno Stato membro dell’Unione europea una persona che subisce tale discriminazione sporge denuncia, ottiene il riconoscimento dei propri diritti. Se lavora nel settore pubblico, dovrà unicamente sopportare il malcontento dei suoi colleghi uomini; se invece lavora nel settore privato, prima o poi sarà costretta a lasciare il proprio posto di lavoro. Ciò fa sì che molte donne non intraprendano neppure questa via legale alla quale possono avere accesso.

 
  
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  Honeyball (PSE). - (EN) Signor Presidente, la questione di cui stiamo discutendo è di grande rilevanza perché questa forma di discriminazione colpisce tutte le donne, non solo nell'Unione europea ma in tutto il mondo. Accogliamo quindi con favore questa relazione, vista la gravità delle informazioni in essa contenute. Come ha affermato la relatrice il divario medio tra le retribuzioni maschili e quelle femminili nell'Unione è pari al 20-25 per cento e in alcuni Stati membri la situazione è assai peggiore. Questa è una relazione di natura essenzialmente pratica, in cui si propongono misure molto concrete per risolvere il grave problema in discussione. Appoggiamo perciò le misure indicate dalla relazione e chiediamo un intervento tempestivo; le donne infatti subiscono queste discriminazioni ormai da molto tempo, da centinaia di anni, ed è giunto il momento di agire per porvi fine. Mi dichiaro quindi a favore di qualsiasi richiesta volta a far diventare questo problema una priorità per l'Unione europea e la Commissione.

In particolare, desidero sottolineare il fatto che nei tre Stati membri menzionati nella relazione la situazione è significativamente peggiore, tanto da essere posta in evidenza nella relazione. Questi Stati membri hanno dunque il dovere di agire per raggiungere quanto prima la media dell'Unione.

Vorrei ora ricordare altri due elementi della relazione. Innanzi tutto le campagne di informazione che gli Stati membri possono attuare senza grandi difficoltà. Esse non affronteranno i veri problemi del mondo del lavoro, ma i governi potranno comunque realizzarle abbastanza facilmente. L'altro elemento indicato dalla relazione, e sul quale vorrei richiamare la vostra attenzione, è che gli stessi governi possono offrire un modello; invito quindi i governi degli Stati membri ad esaminare le proprie politiche occupazionali per capire come diventare datori di lavoro migliori.

 
  
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  Dybkjær (ELDR). - (DA) Signor Presidente, vorrei anch’io ringraziare la onorevole Smet per la relazione davvero eccellente. Tuttavia, non posso astenermi dal dire che ritengo vergognoso, nel 2001, discutere ancora di questi problemi, sapendo peraltro che, con l’ampliamento, le cose non andranno meglio in ogni caso, tanto per usare un eufemismo. Conclusione? Non solo le donne svolgono lavori pagati meno, ma esse non raggiungono nemmeno le funzioni dirigenziali giuste, funzioni dirigenziali giuste che sono uno dei presupposti per poter cambiare la situazione.

Ad ogni modo, se questa sera mi è venuta voglia di intervenire è perché vorrei segnalare uno studio appena pubblicato in Danimarca che mostra che la "disparità di retribuzione" trova origine nelle stanze dei figli. Lo studio mette in evidenza come le bambine ricevano paghette molto inferiori a quelle dei bambini, dispongano di meno beni di consumo dei loro coetanei maschi e guadagnino meno di loro, il che significa che i ragazzi risparmiano già quando sono piccoli, ed in questo modo già si stabilisce la disparità. Ciò vale per tutte le fasce d’età, fatta eccezione per la fascia dai 16 ai 18 anni. In tutte le altre fasce, le ragazze ricevono paghette inferiori a quelle dei ragazzi. Sono i genitori stessi, sono le stesse madri che danno alle loro figlie somme inferiori a quelle dei ragazzi. A ciò si può aggiungere che i ragazzi svolgono lavori molto migliori e quindi guadagnano anche di più. La situazione è uguale per quanto riguarda i beni di consumo. Emerge con chiarezza che i ragazzi nelle loro stanze hanno più apparecchi televisivi, più computer, eccetera. Forse dovremmo cominciare da noi stessi. I genitori devono pensare a come trattano i propri figli ed impedire che vengano trattati in modo impari sin dalla culla. Vorrei raccomandare che venga distribuita la relazione danese. Credo che sia molto interessante.

 
  
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  Fraisse (GUE/NGL). - (FR) Signor Presidente, ringrazio la onorevole Smet alla quale dobbiamo l’iniziativa di questa relazione. Intendo evidenziare tre problemi, ma non prima di aver ricordato che, quando si parla di differenze retributive del 25 per cento, il dato riguarda indistintamente tutte le professioni e che, a parità di lavoro, le differenze corrispondono al 15 per cento. Il motivo che mi ha spinta a ricordare queste due cifre e queste due nozioni è la necessità di insistere principalmente sulle difficoltà attuali, come hanno fatto i miei colleghi. La situazione è estremamente difficile e le soluzioni non sono né molto chiare né molto efficaci.

Vorrei ricordare tre cose. Innanzitutto, in Francia le donne ricoprono il 10 per cento dei posti di lavoro degli uomini; 30 professioni su 300 sono ricoperte dalle donne che quindi accedono al 10 per cento di tutte le mansioni proposte e, in questo caso, si tratta certamente di un problema di orientamento.

In secondo luogo, nella relazione si parla del lavoro atipico detto anche lavoro part-time. Alcuni paesi credono che questo tipo di lavoro sia adatto alle donne, ma, per quanto mi riguarda, non lo trovo affatto positivo. Non è così che giungeremo alla parità di retribuzione e all’uguaglianza economica. Infatti, non può esservi la parità salariale senza quella economica.

In terzo luogo, è necessaria una parità di rappresentazione in seno agli organi decisionali delle parti sociali. Sarei certo la prima a battermi per una parità fra uomini e donne nel processo decisionale delle parti sociali, ma vi sono moltissime professioni per le quali le parti sociali non esistono, cioè tutti i posti di servizio. Allora, come faremo? In Francia esiste una legge secondo la quale sono le parti sociali a doversi occupare del lavoro notturno. Tuttavia, non vi sono parti sociali per i posti di lavoro in questione e ciò pone gravi problemi.

Signora Commissario, vorrei chiederle forse solo una cosa, tenuto conto di tutte queste grandi difficoltà, e cioè che si possa insistere sulla questione della parità di retribuzione in occasione della seconda lettura della direttiva del 1976 che, con la Commissione e il Consiglio, stiamo rivedendo. Non mi sembra che tale punto sia accolto particolarmente bene nelle discussioni con il Consiglio, ma ritengo che sia assolutamente essenziale se vogliamo che l’aggiornamento della direttiva del 1976 abbia un senso.

 
  
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  Sandbæk (EDD). - (DA) Signor Presidente, se parliamo ancora una volta di parità di retribuzione, sebbene sia un principio già introdotto dal Trattato di Roma, deve essere ormai giunto il momento di chiederci se non occorrono altre strategie per eliminare il divario retributivo tra uomini e donne, visto che l’impegno comune dell’Unione europea si è rivelato insufficiente. Ritengo che, d’ora in poi, secondo il principio di sussidiarietà, dovremo trasferire sempre di più la responsabilità ai singoli paesi membri. E’ nei singoli posti di lavoro che vengono acquisite le esperienze. Deve essere compito concreto dei singoli paesi, tramite le parti sociali, integrare il principio della parità retributiva nei contratti collettivi nazionali. Dobbiamo tenere conto del fatto che v sono differenze tra i contratti collettivi e i sistemi di contrattazione salariale nei paesi membri. Invece di una regolamentazione diretta del settore da parte dell’Unione, questa deve formulare orientamenti e raccomandazioni, ed il principio deve essere integrato più di quanto sia stato fatto in passato nei piani d’azione nazionali per l’occupazione e la parità di trattamento. Il mercato del lavoro nei prossimi anni avrà bisogno di più manodopera ed è perciò importante che noi utilizziamo più forze per creare condizioni migliori per le donne. Tutto considerato, posso appoggiare tutte le iniziative presentate nella relazione Smet.

 
  
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  Martens (PPE-DE). - (NL) Signor Presidente, dal 1951 si lavora a livello europeo per garantire la pari retribuzione di uomini e donne che svolgono un lavoro di pari valore. Nel 1957 questo aspetto è stato preso come punto di partenza del Trattato di Roma e sancito nel 1975 in una direttiva. Sebbene la discriminazione salariale sia vietata per legge, come già detto più volte quest’oggi, nell’Unione continua a sussistere un divario retributivo. Ciò è inaccettabile. Capisco che in certi casi sia difficile individuare un metodo per la formazione della retribuzione o un sistema di job evaluation oggettivo, ma non toglie che sia possibile garantire maggior trasparenza e neutralità rispetto al genere. Giustamente nella relazione si parla di discriminazione del valore. E’ qui che devono intervenire sia le autorità sia le parti sociali, che, come già detto, ricoprono un ruolo importante.

E’ anche essenziale coinvolgere maggiormente le donne nei negoziati salariali e nel processo decisionale in generale, al fine di assicurare più posti per le donne in seno agli organi decisionali. E’ vergognoso che il materiale statistico disponibile a livello europeo sul gap retributivo tra uomini e donne sia vecchio e incompleto. Saluto con favore l’iniziativa di raccogliere nuovi dati e sostengo l’idea di condurre ulteriori studi sui fattori che incidono sulla formazione del salario e sulle cause della disparità di retribuzione per lo stesso lavoro. Uno scarto salariale del 15 per cento dopo aver tenuto conto di elemento quali età, formazione e livello professionale è, come detto, inaccettabile.

L’argomento in esame non deve essere analizzato separatamente da altre questioni legate alle donne e alla partecipazione delle donne al lavoro. Esso è strettamente collegato ad aspetti quali l’accesso al lavoro, le opportunità di carriera, la possibilità di coniugare vita professionale e familiare, eccetera. La parità di retribuzione per un lavoro di pari valore può contribuire a spezzare il circolo vizioso di continue disparità: una retribuzione minore implica una pensione minore o una maggior quantità di lavoro per ricevere la stessa pensione; più lavoro significa spesso maggiori esigenze di strutture ricettive per i figli, meno tempo per realizzarsi e rilassarsi al di fuori del lavoro, eccetera.

Sono lieta che la Presidenza belga consideri questa problematica una priorità e mi auguro che questa volta gli Stati membri prendano sul serio il nostro appello. Mi aspetto inoltre che la campagna del 2002 su questo tema dia un consistente impulso.

La relazione in esame è una relazione d’iniziativa. Mi congratulo con la relatrice Smet per il lavoro svolto: è soprattutto grazie al suo impegno che la relazione è stata elaborata; essa ribadisce chiaramente diversi punti e fornisce suggerimenti per soluzioni concrete.

 
  
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  Torres Marques (PSE). - (PT) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, l’Unione europea ha svolto un ruolo decisivo nella denuncia e nel tentativo di risolvere il problema delle disuguaglianze salariali tra uomini e donne nei quindici paesi dell’Unione. Sia i Trattati che, attualmente, le leggi nazionali impongono il principio del pari trattamento economico tra uomini e donne. Ma nessun paese rispetta le leggi adottate in merito. Le differenze variano a seconda dei paesi, ma i risultati sono comuni. La femminilizzazione dei settori di attività si traduce nella svalorizzazione delle remunerazioni. La società accetta che le peggiori remunerazioni vadano proprio alle professioni che in genere sono svolte da donne. Perfino nei paesi scandinavi, dove le donne hanno ottenuto la parità addirittura nella vita politica, per una donna è difficile accedere ai luoghi dove vengono prese le decisioni nell’ambito delle imprese private che assicurano salari più alti.

Assistiamo a un'incongruenza: le leggi impongono la parità, ma la società continua a interiorizzare il modello che sminuisce le funzioni svolte dalle donne. Affinché si possano gettare le fondamenta della vera democrazia, affinché si possa creare un nuovo modello di società che interiorizzi l’uguaglianza, è necessario concedere più diritti agli uomini nella sfera della loro vita privata. Le leggi adottate e le proposte avanzate in questo settore sono molto rivelatrici. In Portogallo, ad esempio, il governo ha recentemente presentato in Parlamento una proposta di legge per rendere obbligatorio il congedo parentale per un periodo di almeno cinque giorni. E’ una legge che non esiste in nessun paese europeo, dove tale congedo è facoltativo, e con essa si intende contribuire a rivoluzionare la mentalità.

Il fatto che la società continui ad accettare che l’uomo si astenga dai doveri della vita familiare è una vera e propria concorrenza sleale a scapito della donna nella sua vita professionale. Se vogliamo modificare questo svantaggio che le donne continuano a subire nel mondo del lavoro è necessario cambiare quello che c’è nella testa delle persone e nelle pratiche delle parti sociali. In quest'ambito, l’Unione europea deve continuare a svolgere un ruolo decisivo. Al vertice di Lisbona, l’Europa ha riconosciuto che, attraverso l’aumento dell’occupazione femminile, si riuscirà a raggiungere entro dieci anni il livello di sviluppo economico e sociale desiderato. L’Europa deve riconoscere che ha bisogno non soltanto di un numero maggiore di donne che lavorano, ma anche di professioni svolte da donne.

A questo riguardo, la Commissione ha proposto, e il Consiglio ha accettato, la parità di trattamento economico come priorità per il 2001 nel suo programma per l’uguaglianza. Inoltre, la Confederazione europea dei sindacati ha eletto questo tema come sua priorità per quest’anno. Il Parlamento europeo, redigendo la relazione di iniziativa...

(Il Presidente interrompe l’oratrice)

... Vorrei soltanto congratularmi nuovamente con la relatrice, onorevole Smet e dire che sono favorevole alle sue proposte.

 
  
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  Laguiller (GUE/NGL). - (FR) Signor Presidente, il differenziale salariale fra donne e uomini, stimato nella relazione al 28 per cento, è tanto più rivoltante perché, per gran parte dei lavoratori dipendenti, anche le retribuzioni degli uomini sono lungi dal permettere di vivere in modo dignitoso nel XXI secolo. Non possiamo però limitarci a fare constatazioni. Se il Parlamento volesse veramente porre fine a quest’ingiustizia, adotterebbe misure vincolanti, imponendo a tutti gli imprenditori, senza eccezioni, il rispetto della parità di retribuzione fra uomini e donne, pena pesanti sanzioni. Vi sono ambiti in cui il Parlamento è in grado di adottare misure vincolanti. Le proposte velleitarie contenute nella relazione, tuttavia, non fanno prevedere misure coercitive nei confronti degli imprenditori e, a queste condizioni, anche un voto favorevole del Parlamento europeo sarebbe un buco nell’acqua. Saranno le stesse donne lavoratrici a dover imporre da sole la parità, unendosi ai lavoratori uomini per chiedere stipendi adeguati per tutti.

 
  
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  Kratsa-Tsagaropoulou (PPE-DE). - (EL) Signor Presidente, la relazione della onorevole collega Smet è frutto di studio approfondito, esperienza politica e impegno personale, ed è quindi stata approvata con entusiasmo e a grande maggioranza dalla nostra commissione.

Essa tratta un fenomeno generale e comune a tutti i sistemi economici e sociali dell’Europa - una dura realtà che annulla qualsiasi progresso giuridico a livello nazionale o europeo. Le donne si trovano ad affrontare difficoltà non solo nell’accesso, ma anche nella carriera e nella remunerazione del loro lavoro. Nell’ultima relazione sull’occupazione si dice che nella maggior parte degli Stati membri si è rinunciato a porre rimedio a questa ingiustizia e che in molte nazioni la questione non viene sollevata al tavolo del dialogo sociale.

Preghiamo la signora Commissario di chiedere una seria valutazione agli Stati membri, così come proposto dalla relatrice. Pur volendo evitare di ripetere i concetti già espressi dai colleghi, che personalmente condivido in toto, vorrei proporre alla signora Commissario di affrontare la questione in modo globale sia nella sua politica che in quella degli Stati membri. Le prassi politiche nel campo del lavoro, della tutela sociale e del pensionamento delle donne, in vigore in molti paesi dell’Unione, spingono le donne ai margini della vita professionale attiva, cioè ai margini dell’ambizione, dell’impegno, della competizione, delle rivendicazioni e persino della retribuzione. Il nostro compito, così come quello della signora Commissario, è arduo: convincere l’opinione pubblica e le stesse donne che queste problematiche sono interconnesse. Dobbiamo persuaderle che i cosiddetti diritti acquisiti in materia di tutela vanno nella direzione opposta rispetto ai loro interessi e alla qualità, alla sostenibilità e alla rimunerazione del loro lavoro. Signora Commissario, aiuti anche i governi ad assumersi il costo politico che, in gran parte dei paesi, un simile sforzo e un simile cambiamento presuppongono.

 
  
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  Ghilardotti (PSE). - Signor Presidente, vorrei anch'io congratularmi con l'onorevole Smet per questa relazione d'iniziativa e per il lavoro approfondito e completo che ci propone. La differenza di retribuzione fra donne e uomini è un fenomeno noto che riguarda, anche se in percentuali diverse, tutti gli Stati dell'Unione, e su cui da tempo si interviene: sono già stati ricordati, in interventi precedenti, la convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro del 1951, l'articolo del Trattato di Roma, la direttiva del 1975, il Trattato di Amsterdam. Sono state fatte molte cose, anche dal punto di vista degli interventi. Ormai son più di dieci anni che la Commissione presenta raccomandazioni, anche su sollecitazione del Parlamento; ricordo inoltre il codice di condotta che è stato predisposto dalla Commissione e che si prefiggeva lo scopo di sensibilizzare gli Stati membri, le parti sociali per intervenire, attraverso azioni concrete, su questo terreno.

L'analisi del fenomeno, nonostante i dati siano ancora incompleti, ci permette però di capire le ragioni dell'esistenza di questo differenziale. Ci sono ragioni strutturali, che sono state ricordate: differenze di età, formazione, livelli professionali, lavori precari e parziali in cui prevalentemente sono occupate le donne. Persistono però anche vere e proprie discriminazioni, discriminazioni dirette - in alcuni casi la retribuzione è diversa anche in presenza di lavoro uguale - ma soprattutto discriminazioni di valutazione di valore: il lavoro delle donne è considerato ancora di minor valore rispetto a quello degli uomini, a parità di qualifiche e di responsabilità.

Voglio ricordare un esempio del mio paese: solo a metà degli anni '80, nel contratto collettivo nazionale dei lavoratori tessili si è riusciti, dopo quindici anni di battaglie, a riconoscere un aumento di categoria alla figura professionale "maestra", che è prevista nelle strutture tessili delle confezioni, cioè quando questa professione, che era tipicamente femminile, dopo le ristrutturazioni, dopo la perdita del posto di lavoro da parte delle donne, ha cominciato a diventare una professione anche maschile. Credo che questo sia un esempio concreto di un problema che in Italia è stato risolto nel settore tessile solo a metà degli anni '80, ma che sussiste ancora oggi in moltissime altre situazioni.

Le proposte della relatrice sono molte e a mio giudizio sono quelle le indicazioni da seguire. La signora Commissario e la Commissione sono molto sensibili e gli orientamenti sull'occupazione per il 2002 fanno anche di questo il centro del nostro lavoro.

 
  
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  De Sarnez (PPE-DE). - (FR) Signor Presidente, innanzitutto voglio anch’io ringraziare la onorevole Smet per l’eccellente lavoro svolto e, in particolare, per l’ottima qualità della motivazione.

Quanto alla relazione, tutti e tutte oggi constatiamo tristemente che, malgrado le numerose iniziative prese da anni e malgrado l’azione positiva della Commissione, il divario retributivo fra uomini e donne nell’Unione europea non è stato ancora colmato. Non solo le donne guadagnano in media il 28 per cento in meno rispetto agli uomini per un lavoro di eguale valore, ma spesso occupano posti di lavoro più precari e faticosi, e non se ne parla abbastanza. Il numero di donne disoccupate è maggiore, le donne sono più frequentemente colpite dalla disoccupazione cronica e, infine, il più delle volte hanno a carico i figli e talvolta anche altre persone.

Certo, occorre muoversi in più direzioni ed è per questo che condivido lo spirito e le proposte della relazione. La creazione di un gruppo d’esperti per migliorare la raccolta dei dati statistici è necessaria, l’organizzazione di una grande campagna europea nel 2002 è una buona cosa e sarebbe certo utile diffondere ampiamente, in quest’occasione, un quadro comparato della situazione nei diversi Stati membri. Allo stesso modo occorre rivedere la direttiva del 1975, come propone la relatrice, e lavorare sui problemi di formazione per permettere alle donne di beneficiare realmente del diritto alla formazione nel corso di tutta la vita. Occorre invitare le parti sociali a rafforzare la partecipazione delle donne alle trattative salariali e, infine, adottare misure appropriate per conciliare meglio la vita professionale e quella familiare.

Affinché tutto ciò non rimanga a livello di intenzioni, è necessario che tutti i dirigenti politici dell’Unione si impegnino veramente ed esprimano chiaramente una volontà. Infatti, nel momento in cui entriamo in un mondo nuovo nel quale ci aspettano sfide terribili, chi ci governa deve capire che questa situazione non è solo discriminatoria e ingiusta, non è solo controproducente, ma contraddice quotidianamente i valori nei quali crediamo e il modello di società che l’Europa deve difendere.

 
  
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  Diamantopoulou, Commissione. - (EL) Signor Presidente, anche io desidero complimentarmi di cuore con la onorevole Smet poiché leggendo la relazione è possibile comprendere la sua personale competenza ed esperienza in materia.

La problematica della diversa retribuzione per uomini e donne è ormai una chiara dimostrazione della disparità tra i sessi. Non ripeterò quanto già detto in termini di dati e analisi delle cause cui si deve l’attuale disuguaglianza, ma farò riferimento a quanto si fa oggi in termini di politiche e progetti. Come sapete, il quarto asse della strategia per l’occupazione, concernente le pari opportunità, si occupa della questione della disparità di retribuzione sin dall’attuazione della strategia suddetta, avviata nel 1999. A partire da quell’anno in poi, la Commissione ha valutato le politiche di ciascuno Stato membro relative alla parità di retribuzione. Quel che si può affermare con riferimento agli ultimi tre anni è che in molti Stati membri - ma non in tutti - la differenza è sotto gli occhi di tutti: il problema è ormai riconosciuto e sono state proposte politiche e misure per fronteggiarlo. Ogni anno la Commissione, nella sua relazione comune, parla specificamente della questione sulla scorta degli elementi in suo possesso e formula raccomandazioni agli Stati membri concernenti le loro politiche.

Viene ora da chiedersi quali siano gli strumenti a disposizione della Commissione per effettuare tale valutazione; proprio qui sta il problema degli indicatori e delle statistiche già menzionato dalla onorevole Smet. Servono nuovi obiettivi, da valutare in senso statistico, per inquadrare perfettamente il problema. La Commissione ha già compiuto passi in questa direzione. A titolo d’esempio, citerò uno di questi obiettivi: occorre studiare in termini statistici il rapporto tra uomini e donne in termini di paga oraria per impiegati dipendenti che lavorino per più di 15 ore. Si devono analizzare le retribuzioni nette e lorde nel settore pubblico e in quello privato, con una scomposizione per età, livello d’istruzione, professione, attività economica, tipologia di lavoro e regime lavorativo. Come già detto, questi dati sono disponibili per pochissimi paesi. Oltre alla questione dell’obiettivo dello studio statistico, c’è anche il problema del metodo per la realizzazione delle ricerche statistiche. In alcuni paesi membri, tra il momento in cui si raccolgono i dati e il momento in cui si pubblica il risultato finale può passare molto tempo; ciò non avviene solo con le statistiche degli Stati membri, ma anche con quelle dell’Unione stessa. Pertanto il perfezionamento delle statistiche, in quanto strumento essenziale per il miglioramento delle politiche, è una nostra priorità. Come potrete vedere, quest’anno nelle raccomandazioni a molti Stati membri si fa preciso riferimento alla necessità di migliorare i sistemi statistici.

Un secondo elemento fondamentale è costituito dagli orientamenti per il 2002 che, a mio avviso, formano una strategia molto chiara; in essa si invitano gli Stati membri a fissare obiettivi concreti per ridurre la disparità delle retribuzioni tra uomini e donne. Un’altra nostra finalità è collaborare con tutti i paesi membri in modo da assicurare uno scambio di buone pratiche, facendo sì che si possa imparare da chi è già sulla buona strada.

La mia terza osservazione è che nel quinto programma di imminente avvio - si va completando la fase di valutazione delle proposte avanzate - la prima priorità nella scelta delle proposte presentate riguarda proprio la parità di retribuzione. Abbiamo suddiviso in cinque singoli settori tutte le priorità da dare ai programmi in modo da concentrarci sulla parità di retribuzione e di conseguire quanto sottolineato da molte onorevoli deputate, ovvero la necessità di una strategia integrata. Alcuni giorni fa - il 13 settembre -, la Presidenza belga e la Commissione hanno organizzato una grande conferenza sulla problematica della parità di retribuzione.

Signor Presidente, onorevoli deputati, tenuto conto dei risultati di tutte queste azioni e della valutazione delle politiche menzionate, devo aggiungere che prenderemo anche una decisione finale sul riesame della direttiva in vigore.

 
  
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  Presidente. - La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani alle 11.00.

 

11. Molestie sul posto di lavoro
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  Presidente. - L'ordine del giorno reca la relazione (A5-0283/2001) presentata dall'onorevole Andersson, a nome della commissione per l'occupazione e gli affari sociali, sul mobbing sul posto di lavoro.

 
  
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  Andersson (PSE), relatore. - (SV) Signor Presidente, questa relazione riguarda un problema certo non nuovo, anche se ora è oggetto di rinnovata attenzione. L’estensione del mobbing sul luogo di lavoro è, secondo la Fondazione di Dublino, considerevole. L’8 per cento dei cittadini dell’Unione, vale a dire 12 milioni di persone, riferisce di essere stato oggetto di mobbing negli ultimi 12 mesi.

Da che cosa dipende? Ci sono forse legami da chiarire? Ebbene, sappiamo per esempio che l’incertezza nelle condizioni di lavoro ha a che vedere con il fenomeno. Sappiamo inoltre che le vittime del mobbing sono più colpite dallo stress di quanto non lo siano gli altri e che chi ha un lavoro molto stressante è più esposto al mobbing. E’ quindi una questione di sicurezza delle condizioni di lavoro e di organizzazione del medesimo.

Quali sono le conseguenze del mobbing? Il mobbing naturalmente ha un impatto sul singolo individuo che sta peggio, diviene più assenteista e si ammala più frequentemente. Ma anche l’intero gruppo di lavoro, ossia anche chi non è vittima del mobbing, rende meno. Il mobbing ha conseguenze anche per le imprese, sotto forma di minore produttività, minore redditività e peggiori condizioni di lavoro in azienda.

Mi è stato domandato perché l’Unione dovrebbe occuparsi di questi temi e che rapporto abbiano questi con l’Unione. Ebbene, il mobbing sul luogo di lavoro rappresenta un problema diffuso in tutti gli Stati membri. Eppure, vi si presta un’attenzione molto diversa in luoghi diversi. Negli ultimi anni si è iniziato a parlare sempre più di più numerosi e migliori posti di lavoro, ossia di qualità della vita lavorativa. La qualità del lavoro è fatta di salute e sicurezza e di organizzazione e, pertanto, il mobbing sul luogo da lavoro rappresenta un problema. Da lungo tempo l’Unione si è data una legislazione in materia di salute e sicurezza del lavoro.

Che fare, dunque? Per iniziare, dobbiamo rivedere la definizione e, in tale sede, mirare a una definizione comune. Dobbiamo dotarci di una base statistica molto migliore; a tale proposito, la Fondazione di Dublino ed Eurostat avranno un compito in futuro.

Dobbiamo inoltre lavorare in base al metodo di coordinamento aperto. Gli Stati membri debbono sviluppare la propria legislazione, le proprie disposizioni, eccetera, e a tale proposito deve regnare sovrana la migliore prassi, ossia la necessità di soffermarsi ciascuno sulle soluzioni adottate dagli altri. Il processo di Lisbona prevede anche indicatori qualitativi.

Qual è il ruolo della legislazione? Dobbiamo forse affermare in partenza che non occorrono altre leggi in questo campo perché ha a che fare con un settore in cui l’Unione legifera già oggi, ossia quello della salute e della sicurezza? E’ ora in corso un ampio dibattito sulla salute e la sicurezza dal quale emerge l’importanza non soltanto dell’ambiente di lavoro fisico, ma anche di quello psicosociale che avrà sempre più importanza nei cambiamenti che registrerà, in futuro, il mondo del lavoro. Ad essere colpite dal problema dei contratti atipici, dall’incertezza delle condizioni di lavoro, eccetera, sono soprattutto le donne.

La relazione pone l’accento sulla legislazione in due punti, anche se non afferma perentoriamente la necessità di una legislazione e non ne prescrive le modalità. La Commissione viene esortata a tener conto - nelle sue comunicazioni sulla strategia comunitaria per la salute e la sicurezza sul posto di lavoro e sul rafforzamento della dimensione qualitativa nell’occupazione, nonché nel Libro verde sulla responsabilità sociale delle imprese - della problematica del mobbing e a valutare la necessità di iniziative di legge. Naturalmente, può darsi che la Commissione si risolva per la superfluità di siffatta legislazione. In tal caso, occorrerebbe condurre un’analisi, ma troverei del tutto incomprensibile la scelta di escludere a priori l’ipotesi legislativa.

E’ plausibile che la direttiva quadro sulla salute e la sicurezza sul luogo di lavoro copra anche gli spetti inerenti l’ambiente di lavoro psicosociale, ma su questo punto vorremmo un chiarimento. Se lo riceveremo, tanto meglio; ma in caso contrario si renderà necessaria, per esempio, l’estensione del campo di applicazione della direttiva quadro per includervi anche questo importante “nuovo” ambito. In tale contesto, occorrerà anche accertare la necessità di disposizioni di varia natura o di iniziative di legge in materia di mobbing sul luogo di lavoro.

Posso citare un esempio offerto dal mio paese. La Svezia si è data una legislazione quadro che stabilisce l’obbligo del datore di lavoro di contrastare il mobbing sul luogo di lavoro, ove esso si presenti. Non viene specificato in dettaglio con quali mezzi, ma la responsabilità del datore di lavoro è enunciata chiaramente.

Al paragrafo 24 della relazione, la Commissione viene esortata a presentare un Libro verde contenente un’analisi dettagliata della situazione del mobbing sul posto di lavoro e a presentare successivamente un programma d’azione. E’ probabilmente questo il paragrafo più importante dell’intera relazione.

 
  
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  Smet (PPE-DE), relatore per parere della commissione per i diritti della donna e le pari opportunità. - (NL) Signor Presidente, innanzitutto mi congratulo con il relatore d’iniziativa, l’onorevole Andersson: egli ha affrontato un nuovo tema che è più o meno disciplinato soltanto in alcuni Stati membri. E’ positivo che, come spesso accade, l’Europa sia all’avanguardia su diversi punti. Le mie congratulazioni.

Perché la commissione per i diritti della donna ha formulato il suo parere al riguardo? Si tratta di un problema che interessa sia uomini che donne, ma la nostra commissione ha ritenuto che le donne siano spesso, anzi molto più spesso, vittime di molestie, le quali sfociano il più delle volte in molestie sessuali, e che pertanto doveva intervenire. Questo è il motivo per cui la nostra commissione ha elaborato un proprio parere.

Penso che dobbiamo essere tutti consapevoli che si tratta di un nuovo problema. Possiamo trarre un insegnamento dalle misure che numerosi Stati membri hanno adottato in materia di violenza sessuale perché non è così facile e semplice concepire una politica per contrastare l’intimidazione morale sul posto di lavoro. Ci sono tuttavia alcuni Stati membri che cercano di farlo e in molti Stati membri abbiamo avuto esperienze nell’ambito della lotta alla violenza sessuale.

Che cosa possiamo fare? In primo luogo, possiamo agire a livello preventivo, vale a dire che le aziende devono mettere bene in chiaro ai propri dipendenti che non accettano molestie sul posto di lavoro. Questa è un’azione preventiva. In secondo luogo, è possibile nominare una persona di fiducia che funga da intermediario tra le due parti in caso di problemi. In un’impresa è sempre preferibile giungere ad una soluzione attraverso la mediazione piuttosto che una delle parti adisca le vie legali. Io preferisco questo tipo di soluzione. In terzo luogo, qualora risultasse difficile trovare una soluzione, la direzione aziendale può applicare sanzioni. In quarto luogo, deve sempre rimanere aperta la possibilità di adire le vie legali.

Mi sembra che si tratti di una serie di suggerimenti pratici che possiamo attuare.

 
  
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  Glase (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, già da tempo il problema del mobbing avrebbe dovuto essere discusso in quest'Aula, al Parlamento europeo. Ma abbiamo dovuto attendere a lungo, perché si riproponeva costantemente il quesito se fosse questa la sede appropriata. Alcuni colleghi del mio gruppo parlamentare respingono la relazione perché ritengono che non tratti una tematica di interesse europeo. La maggioranza, tuttavia, seguirà la mia raccomandazione e voterà a favore perché è davvero un argomento e un problema di portata europea. Le molestie sul luogo di lavoro esistono in tutti gli Stati dell'Unione europea, in tutti gli ambiti e anche nelle istituzioni dell'Unione europea. E’ un tema terribile, di cui molti si vergognano, ed è per questo che molta parte del fenomeno rimane sommersa. Nessuno ne vuole davvero parlare apertamente. Le vittime stesse si sentono umiliate, sfruttate e ricattate.

Questo doloroso percorso ha spesso gravi conseguenze non solo per il corpo e la psiche delle vittime, ma anche per l'economia di una nazione: assenteismo per malattia, spese mediche, fluttuazione degli organici, minore produttività, riduzione del livello qualitativo, perdita di immagine dell'azienda o dell'ente, che comporta anche una perdita di clienti. Queste sono le conseguenze del mobbing.

La dignità di ogni singola persona non dovrebbe ritrovarsi solo sulla carta e nei diritti fondamentali, ma anche nella convivenza quotidiana. Un po’ di rispetto e di correttezza in più e un po’ di egoismo in meno probabilmente potrebbero risparmiarci un dibattito sul mobbing. Una legislazione europea non è idonea né efficace nell'estirpare tutte le cause delle molestie sul posto di lavoro. Ringrazio pertanto il relatore per l'ottima collaborazione e per aver ripreso le mie riflessioni nel suo testo.

La lotta più accanita contro le molestie sul posto di lavoro dovrebbe avvenire a livello nazionale e coinvolgere attivamente le parti sociali. Le aziende dovrebbero nutrire un proprio interesse ad evitare al loro interno fatti di tale natura. Le difficoltà nel concordare la definizione del fenomeno non faciliteranno neppure la presentazione del preannunciato Libro verde della Commissione. Ma, dato che l'Unione europea vanta già alcuni pochi buoni esempi di lotta contro il mobbing, dovremmo tutti poter imparare anche dagli altri. Una buona suddivisione dei compiti a tutti i livelli più appropriati accresce anche la necessaria volontà di attivarsi e il rispetto necessario per questa delicata tematica.

 
  
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  De Rossa (PSE). - (EN) Signor Presidente, in primo luogo, a nome del mio gruppo, desidero ringraziare il relatore per il suo lavoro; si tratta di una relazione davvero importante, poiché le molestie sono un problema che si presenta assai di frequente nei luoghi di lavoro. Il mio gruppo sosterrà la relazione nella sua attuale formulazione e nella sua interezza, senza aspettarsi o chiedere alcuna eliminazione di parti di paragrafi o singole frasi. E' amaro constatare che la Fondazione di Dublino ha registrato più di 15 milioni di casi di violenza, molestie sessuali o mobbing sul posto di lavoro. Non possiamo tollerare il protrarsi di una tale situazione, dal momento che questo genere di mobbing e molestie può avere conseguenze fatali; in molti casi, infatti, è avvenuto che le persone coinvolte si siano tolte la vita, oppure siano rimaste uccise in seguito a zuffe o litigi scoppiati sul posto di lavoro. Siamo quindi, mi pare, di fronte ad un problema che la Commissione e il Parlamento devono affrontare senza indugio. In Irlanda esistono già, nel quadro della legislazione in materia di salute e sicurezza, provvedimenti atti a garantire che le grandi aziende elaborino codici di condotta per combattere il mobbing.

Non è ancora chiaro però in che misura le aziende si siano già conformate a tale legislazione. Di recente, mi sono imbattuto nel caso di un giovane lavoratore, appena assunto in un'azienda pubblica, il quale subiva un sistematico mobbing da parte dei colleghi più anziani: si trattava di uomini - non di donne - che non lo accettavano come compagno di lavoro semplicemente perché si sentivano minacciati dalla sua presenza; non sono riusciti a costringerlo ad abbandonare il lavoro, ma è veramente sconcertante che un episodio del genere si sia verificato ai nostri giorni. E' un fatto - e lo dimostrano le rilevazioni della Fondazione di Dublino - che dalle tendenze degli ultimi dieci anni emerge un incremento del fenomeno; è altrettanto evidente che ciò è in larga parte dovuto all'insicurezza diffusa nei luoghi di lavoro e ai mutamenti nella natura del lavoro stesso. I tipici lavori odierni sono causa di stress e tensioni che facilmente sfociano in vessazioni del tipo che stiamo esaminando; mi associo quindi all'invito che il relatore ha rivolto alla Commissione affinché elabori una comunicazione nel corso del 2002 e metta poi a punto un programma d'azione entro la fine dello stesso anno.

Permettetemi di concludere il mio intervento con un'osservazione che riguarda un argomento del tutto diverso, legato però al lavoro della Commissione; vorrei chiedere alla signora Commissario di intervenire presso i suoi colleghi affinché cerchino di mitigare le norme e i regolamenti in materia di aiuti statali all'industria dell'aviazione; altrimenti, in un futuro non troppo lontano, avremo a che fare con decine di migliaia di disoccupati in tutta Europa.

 
  
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  Lynne (ELDR). - (EN) Signor Presidente, ecco un ottimo esempio di molestie sul posto di lavoro: mentre parlo, dietro di me c'è qualcuno che fuma e mi sta per venire un attacco d'asma; per me queste sono molestie. Mi congratulo con l'onorevole Andersson per la sua relazione, che costituisce un passo importante nella prospettiva di un'azione a livello sia nazionale che europeo; infatti, come abbiamo appreso, ogni anno 12 milioni di persone subiscono molestie o mobbing sul posto di lavoro. Esistono molteplici forme di molestie, tra cui, come ho appena notato, l'abitudine di fumare sul posto di lavoro nelle aree riservate ai non fumatori; gli effetti possono essere devastanti, sia dal punto di vista fisico che da quello psicologico. Il livello di stress causato dal mobbing sul posto di lavoro è terribile: i portatori di handicap, le donne e, in particolare, le minoranze etniche ne soffrono profondamente, poiché possono essere oggetto di una doppia discriminazione e subire molestie solo perché provengono da tali gruppi svantaggiati e discriminati.

Sono inoltre lieta che l'onorevole Andersson abbia menzionato i lavoratori assunti in base a contratti a termine, poiché abbiamo le prove che anche questi ultimi sono vittime del mobbing. Vorrei però rapidamente spiegare il motivo per cui il gruppo ELDR ha chiesto una votazione per parti separate sui paragrafi 8 e 13: ritengo che spetti all'Unione europea fissare orientamenti comuni, migliori prassi e benchmarking per gli Stati membri, ma non stimo necessario introdurre un'ulteriore legislazione vincolante; questo invece - in base al principio di sussidiarietà - spetta agli Stati membri. Quindi, benché approvi gran parte della relazione dell'onorevole Andersson, sono contraria all'introduzione di provvedimenti legislativi vincolanti: per tale motivo, abbiamo richiesto la votazione per parti separate.

 
  
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  Lambert (Verts/ALE). - (EN) Signor Presidente, anche il mio gruppo desidera congratularsi con l'onorevole Andersson per la sua eccellente relazione d'iniziativa: è stata questa una serata veramente positiva. Come è già stato osservato, non è il caso di sottovalutare gli effetti che le varie forme di molestie hanno sulla vita e la salute delle persone che le subiscono, per non parlare dei problemi mentali e psicologici a lungo termine che abbiamo udito descrivere. Esaminiamo le cifre e prendiamo come esempio il nostro Parlamento: la percentuale di coloro che subiscono molestie equivarrebbe all'incirca alle dimensioni di un gruppo come il liberaldemocratico. Finora però si è fatto ben poco per dare una risposta complessiva al problema delle molestie; questa relazione giunge quindi particolarmente opportuna, poiché consente di avviare un franco dibattito su un tema troppo spesso ignorato.

Secondo uno studio realizzato in Francia, il 70 per cento delle vittime di molestie è costituito da donne, e ciò vale per tutti i segmenti della scala occupazionale; non solo le donne vengono pagate meno, ma subiscono anche molestie (inoltre le connotazioni maschiliste e sessiste, rivolte più spesso contro le donne che contro gli uomini, possono frequentemente sfociare in fenomeni più gravi). La Commissione quindi dovrebbe esaminare con particolare attenzione i metodi per combattere quest'intollerabile situazione, di cui sono vittima le donne europee. L'onorevole Andersson nota giustamente che i datori di lavoro devono assumersi la responsabilità di prevenire le molestie sul luogo di lavoro, non rendersene complici (o addirittura praticarle). Tuttavia, la direttiva quadro sulla salute e la sicurezza sul luogo di lavoro non chiarisce se i datori di lavoro siano responsabili per l'ambiente di lavoro anche dal punto di vista mentale, sociale o psicosociale: mi sembra dunque opportuno attivarsi per modificare la direttiva includendovi questa definizione.

 
  
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  Pérez Álvarez (PPE-DE). - (ES) Signor Presidente, vorrei a mia volta congratularmi con il relatore per il lavoro svolto. Tuttavia, non disponiamo ancora di una definizione di maltrattamento, forse perché esso assume varie forme ed è difficile, appunto, definirlo. La onorevole Lynne, alla quale trasmetto la mia solidarietà e simpatia, parlava poc’anzi di una nuova forma di maltrattamento. E’ possibile, a mio parere, accettare la definizione proposta dal gruppo di lavoro irlandese per la prevenzione del maltrattamento secondo cui si tratta di una condotta inappropriata e reiterata, diretta o indiretta, verbale, fisica o di altro tipo rivolta da una o più persone contro un terzo o terzi sul posto di lavoro, eventualmente nel corso del lavoro stesso, e che possa ledere in modo evidente il diritto dell’individuo alla dignità nel lavoro. Naturalmente, un incidente isolato di comportamento come quello descritto nella definizione può costituire un affronto alla dignità nel lavoro; tuttavia, in quanto puntuale e isolato, tale incidente non potrebbe essere considerato un maltrattamento.

Accogliamo questa o altre definizioni. Il fatto è che dodici milioni dell’Unione europea affermano di aver subito maltrattamenti morali negli ultimi dodici mesi e che le donne rivelano di esserne vittime più spesso degli uomini, in modo particolare in alcuni settori di attività. Il maltrattamento si ripercuote sull’economia dell’impresa in quanto causa di assenteismo, di scarsa efficienza e produttività. Per la società, il maltrattamento può essere causa di costi medici e psicologici, assenze per malattia, pensionamenti anticipati, eccetera. Inoltre, esso riguarda soprattutto il lavoratore e costituisce un fattore di rischio assieme alla violenza fisica e alle questioni ergonomiche. Resta d’altronde molto da fare per eliminare i rischi per la salute, sia di origine fisica che chimica. Il maltrattamento morale, la persecuzione - per citare alcune tra le definizioni più comuni - è incompatibile con la dichiarazione dell’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”.

Il maltrattamento rappresenta pertanto un rischio per la salute, ma soprattutto un’aggressione alla dignità della persona. Benvenuta quindi tale iniziativa mirante a prevenire ed impedire i maltrattamenti nella vita lavorativa e ad evitare che lavoratori o lavoratrici soffrano impotenti.

 
  
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  Koukiadis (PSE). - (EL) Signor Presidente, il problema del mobbing sul posto di lavoro è direttamente connesso al rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo, nonché al diritto alla dignità e alla partecipazione alla vita economica e sociale a parità di condizioni.

Con questa sua iniziativa, l’onorevole collega Andersson ci rivela nuovi aspetti di cui dobbiamo tener conto ai fini di una sostanziale applicazione della Carta dei diritti fondamentali e di un approccio integrato alla politica per la qualità dell’occupazione. Dovremmo plaudere a questa iniziativa soprattutto perché ci dà l’occasione, a proposito di una problematica sottovalutata e solo occasionalmente richiamata all’attenzione, di comprenderne la grande importanza per l’esito positivo di tutta una serie di politiche - la politica contro le discriminazioni, la politica contro l’emarginazione, la politica per i disabili, la politica contro la disoccupazione e la politica per la qualità del lavoro. Se ciascun lavoratore si sente al sicuro dal comportamento di colleghi e superiori sul posto di lavoro, se si sente ben accolto nell’ambiente di lavoro e non colpevolizzato per i suoi handicap, allora tutti i numerosi gruppi, che sono vittime di atti di mobbing, potranno entrare nel mercato del lavoro e i vantaggi della loro offerta supereranno di gran lunga qualsiasi loro punto debole.

E’ facile comprendere la dimensione politica del problema se si pensa che, secondo le statistiche, la quota delle persone che appartengono a questi gruppi vulnerabili supera l’8 per cento. Nel contempo, la definizione dei relativi gruppi che sono vittime di mobbing ha molte componenti: dalle donne ai disabili, dagli stranieri alle persone di culto diverso. Questo ci dà un’idea anche della dimensione qualitativa del problema.

Sulla base della relazione dovremo ideare un piano per lottare contro il mobbing a ogni livello, partendo da semplici battute scherzose e rimproveri per arrivare a intimidazioni, umiliazioni e boicottaggi, che degenerano in azioni violente. Si tratta di un progetto da attuare a prescindere dal fatto che si tratti di mobbing verticale - da superiore a subalterno o viceversa - od orizzontale. Il piano d’azione dovrà prevedere, oltre a misure che vietino il mobbing, anche l’obbligo dei datori di lavoro di instaurare un clima anti-mobbing tra colleghi di lavoro, accompagnato da misure d’incentivo al lavoro tra queste persone. Giacché nessuno è cattivo di per sé, ci dovranno essere anche misure che eliminino diffidenze e prevenzioni rispetto alle persone che formano questi gruppi.

 
  
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  Hermange (PPE-DE). - (FR) Signor Presidente, la relazione di cui oggi discutiamo riguarda 12-15 milioni di persone in Europa, ossia l’8-10 per cento dei lavoratori europei. Si tratta di un male moderno con tre aspetti. Un aspetto economico, poiché, secondo il rapporto della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, il deterioramento delle condizioni di lavoro in dieci anni è dovuto all’accelerazione del ritmo di lavoro e alla flessibilità in tutte le sue forme. Un aspetto sociologico, segno dell’accentuarsi dell’individualismo che domina nella nostra società. Un aspetto psicologico, che rende la violenza morale particolarmente odiosa e permette a volte di distruggere qualcuno senza lasciare tracce.

Attualmente, vi è un grande vuoto giuridico a livello nazionale e una grande disuguaglianza a livello europeo che, comunque, regredisce grazie anche al contributo di una giurisprudenza sempre più solida. Per questa ragione, la relazione, molto documentata e rigorosa, rappresenta una risposta molto incoraggiante e un segno forte per l’ambiente lavorativo. Al paragrafo 12, fra le misure previste, si sottolinea in particolare la necessità di un dialogo approfondito su questo tema fra tutte le parti sociali e la nomina di un mediatore esterno indipendente, come raccomanda l’emendamento da me presentato, che mi sembra un’importante garanzia di progresso reale in questo ambito. Tuttavia, è compito di tutte le Istituzioni europee proseguire la lotta contro un male ormai saldamente radicato, come invita a fare la Carta sociale europea. Accolgo perciò con favore la proposta del relatore di chiedere alla Commissione, per il prossimo anno, la redazione di un Libro verde e la presentazione di un programma d’azione comunitario. Appoggio inoltre, a nome del mio gruppo, l’inserimento di questa problematica negli scambi relativi al Libro verde sulla responsabilità sociale delle imprese.

Dobbiamo tutti appoggiare questa lotta, ciascuno al proprio livello, convinti che un equilibrio sociale e individuale sarà proficuo per la società nel suo insieme.

 
  
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  Mann, Thomas (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente, si stima che nell'Unione europea le persone esposte a molestie sul posto di lavoro siano circa 12 milioni, anche se i casi non dichiarati sono ben più numerosi. Si emargina, si vessa, si fanno circolare voci, si priva di informazioni specifiche, si stigmatizzano persone trasformandole in capri espiatori. Che si sia direttori o semplici dipendenti, ognuno può essere vittima o colpevole. Sebbene sia un serio problema del mondo del lavoro, il mobbing è ancora totalmente sottovalutato, cosicché non si sono ancora elaborati efficaci strumenti di contrasto. Il mobbing origina aggressività e depressioni, assenze per malattia, licenziamenti e ristrutturazioni degli organici che gravano per alcune centinaia di milioni l'anno sui sistemi economici e sociali.

I quindici Stati membri dell'Unione devono tracciare un bilancio congiunto. Grazie allo scambio di esperienze dei singoli e alla collaborazione, le migliori prassi ci aiuteranno a dare vita ad iniziative utili. Ma le soluzioni dovranno essere modulate in funzione delle forme assunte dal mobbing, a seconda del sesso della vittima, dunque, della sua età e della sua origine. Jan Andersson ha approntato una relazione eccellente, che ha meritato l'adozione unanime della commissione per l'occupazione. Sono stati recepiti pressoché tutti gli emendamenti del PPE, come, ad esempio, il coinvolgimento delle parti sociali europee nell'elaborazione di strategie congiunte di contrasto. In concreto, ciò si traduce in una gestione attiva dei conflitti, nel miglioramento della comunicazione interna all'azienda e nella creazione di reti di sostegno per aiutare le persone colpite dal mobbing. Suggeriamo inoltre che nelle aziende si identifichi un referente a cui le vittime possano rivolgersi a titolo confidenziale.

Signora Commissario Diamantopoulou, confidiamo che nel corso del prossimo anno l'Esecutivo possa pubblicare un Libro verde sulla problematica del mobbing per consentirci di elaborare un programma d'azione preciso con un effetto duraturo.

 
  
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  Diamantopoulou, Commissione. - (EL) Signor Presidente, vorrei complimentarmi con l’onorevole Andersson per l’ottima relazione. Sono perfettamente d’accordo nel dire che il mobbing è un problema estremamente grave; esso costituisce un pericolo sul posto di lavoro ed ha importanti ripercussioni di carattere sociale ed economico sia sul lavoratore e sull’azienda, sia sull’economia in generale, in quanto è una delle cause essenziali della riduzione della produttività.

Voglio rassicurare l’Aula dicendo che la Commissione è perfettamente consapevole del problema, ragion per cui tale fenomeno rappresenta uno degli elementi portanti della comunicazione sulla qualità, pubblicata dalla Commissione a giugno, per il quale stiamo anche valutando gli indicatori.

Tengo a sottolineare che, visti gli strumenti esistenti, c’è l’esigenza di maggiore tutela da parte delle parti sociali, le quali possono svolgere un ruolo cruciale in proposito. Ricordo poi la direttiva 89/391/CE ove si dice chiaramente che, per quanto concerne la prevenzione dei rischi sul posto di lavoro, si devono prendere in considerazione anche le coercizioni psichiche e fisiche, che non sono sempre facili da individuare.

Vi comunico che è già operante un comitato consultivo, formato da rappresentanti degli Stati membri, preposto ad esaminare la questione della salute e della sicurezza, ed è stato costituito un sottocomitato che si occupa in particolare della violenza sul posto di lavoro. Questo comitato, che ha concluso i suoi lavori soltanto ieri, ha prodotto una definizione concernente in generale la questione della violenza sul posto di lavoro. La proposta di intraprendere un’iniziativa per la redazione di un Libro verde in materia non è praticabile e spiego subito il perché. Come sapete, la Commissione ha assunto un’iniziativa per il riesame complessivo della strategia sulla salute e la sicurezza sul luogo di lavoro; questa relazione avrà un ruolo importante e contribuirà alla formulazione di una nuova strategia sulla salute e la sicurezza, per cui ringrazio sinceramente il relatore.

 
  
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  Presidente. - La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani alle 11.00.

 

12. Inquinamento atmosferico
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  Presidente. - L'ordine del giorno reca, in discussione congiunta, le seguenti relazioni:

- A5-0293/2001, presentata dalla onorevole Oomen-Ruijten a nome della delegazione del Parlamento europeo al comitato di conciliazione, sul progetto comune, approvato dal comitato di conciliazione, di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la limitazione delle emissioni nell'atmosfera di taluni inquinanti originati dai grandi impianti di combustione, e

- A5-0292/2001, presentata dalla onorevole Riitta Myller a nome della delegazione del Parlamento europeo al comitato di conciliazione, sul progetto comune, approvato dal comitato di conciliazione, di una direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai limiti nazionali di emissione di alcuni inquinanti atmosferici.

 
  
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  Oomen-Ruijten (PPE-DE), relatore. - (NL) Signor Presidente, sono passati quasi tre anni da quando la Commissione ha presentato una proposta di direttiva di modifica delle norme relative alle emissioni di sostanze inquinanti da parte di grandi impianti di combustione. Dopo tre anni, questa settimana portiamo finalmente a completamento il dossier che, a mio giudizio, riveste grande importanza. Nessuno si offenderà se affermo che abbiamo percorso un cammino molto difficile e a volte doloroso.

Si è avuta una forte opposizione, non soltanto da parte di alcuni Stati membri, ma anche da parte di alcuni colleghi. Sono stati ricevuti forti moniti e vibrate proteste da parte degli interessati, anche dal settore dell’energia elettrica di alcuni Stati membri. Tuttavia, siamo riusciti ad adeguare senza problemi il documento originale, così come era stato presentato e che, a parere mio e di diversi colleghi, era troppo debole. Le possibilità tecniche sono in larga misura disponibili e in numerosi Stati membri le norme che abbiamo inserito in prima lettura sono ormai da tempo in vigore e quindi fanno parte di una politica del tutto normale.

La proposta originale della Commissione di modificare la direttiva del 1998 non rappresentava, a giudizio della maggioranza del Parlamento, un grande successo. Le norme erano troppo poco stringenti e inoltre gli impianti esistenti venivano tenuti al di fuori della portata della direttiva. In qualità di Parlamento europeo, abbiamo dato tutti assieme un vero contenuto alla politica ambientale e ringrazio nuovamente i colleghi che vi hanno contribuito. Abbiamo fatto vedere ciò che significa voler fare davvero qualcosa per combattere l’inquinamento atmosferico, nocivo anche per l’uomo. In prima lettura, il Parlamento ha fissato norme molto più rigide per le emissioni ed ha ricondotto sotto la portata della direttiva anche gli impianti di combustione esistenti.

Poi è giunta la posizione comune del Consiglio, che è stata peraltro messa a punto tra enormi difficoltà. La normativa veniva leggermente inasprita, ma veniva anche accolto l’auspicio del Parlamento europeo di far ricadere sotto la direttiva anche gli impianti esistenti. Purtroppo, ogni paese ha nuovamente inserito proprie deroghe e, se fosse stato per il Consiglio dei ministri, avremmo continuato in eternità - fino alle calende greche, si potrebbe dire - ad utilizzare impianti inquinanti, obsoleti, non adeguati allo stato della tecnica.

A nostro parere, alla posizione comune mancava qualsiasi visione globale. Era diventata un’accozzaglia per accontentare tutti. Se la comparo con le disposizioni in vigore attualmente in Giappone e negli Stati Uniti, noi, che vogliamo sempre fare bella figura, abbiamo fatto una figuraccia per quanto riguarda i requisiti per le emissioni proposti dal Consiglio in occasione dei colloqui su Kyoto.

Si è molto detto che non è necessario imporre requisiti agli impianti di combustione perché sarebbe stata elaborata la splendida relazione Myller sui limiti di emissione e che quindi, in quanto autorità europea, ci si sarebbe dovuti occupare di ciò soltanto una volta fissati tali limiti, perché in tal modo sarebbe stato tutto regolamentato e ogni Stato membro sarebbe stato costretto ad applicarli in maniera vincolante. Alla fine, tuttavia, la situazione si è evoluta diversamente.

Riteniamo che, se andassimo incontro alle aspettative dei fautori della liberalizzazione del mercato dell’energia, se non ponessimo alcuna esigenza o ammettessimo deroghe permettendo di generare elettricità con centrali obsolete ed inquinanti, causeremmo una distorsione del meccanismo di mercato e premieremmo coloro che trascurano l’ambiente dando loro un vantaggio, perché con le vecchie centrali potrebbero applicare prezzi più bassi.

Poiché il Consiglio non intendeva accogliere gli emendamenti del Parlamento, siamo dovuti ricorrere alla procedura di conciliazione, dove questa relazione è stata trattata assieme alla relazione della onorevole Myller, che ringrazio in quanto, nel corso dei negoziati, si è dimostrata un’ottima collega.

Durante il dialogo trilaterale con la Presidenza svedese e la Commissione svoltosi nel maggio e giugno di quest’anno, sono stati immediatamente registrati notevoli progressi in merito alla riduzione delle emissioni di SO2, l’anidride solforosa, e anche su una serie di importanti aspetti tecnici. Per gli ossidi di azoto, gli NOx, l’auspicato inasprimento è stato ottenuto con grande fatica. Nel quadro del dialogo trilaterale si è raggiunto provvisoriamente un accordo sull’obbligo della Commissione di ampliare le misurazioni permanenti alle emissioni di metalli pesanti, e ciò grazie all’apporto dell’onorevole Blokland.

Inoltre, il Consiglio è venuto incontro al Parlamento per quanto riguarda la cancellazione di determinate deroghe, in particolare quelle per certi impianti alimentati con combustibili solidi e lignite. Purtroppo, in occasione della prima riunione non abbiamo ancora raggiunto un’intesa sul punto più importante a mio giudizio, ossia gli NOx.

Dopo la prima lettura, avevamo compiuto un notevole passo avanti quando il Consiglio ha accettato di far ricadere nell’ambito della direttiva anche i vecchi impianti. Ciò era essenziale, perché tali impianti spesso sono i meno efficienti a livello energetico ed emettono una quantità spropositata di gas a effetto serra. Con il compromesso conseguito nel corso della procedura di conciliazione, il Parlamento europeo è riuscito a inasprire, in particolare, i valori soglia proposti per SO2 e NOx. Il Consiglio ha subito approvato una considerevole riduzione dei limiti di SO2, soprattutto per gli impianti di combustione di medie e grandi dimensioni, che sono i maggiori produttori di tali emissioni.

In relazione alle emissioni di NOx, il Parlamento ha insistito sulla riduzione del valore soglia degli NOx per i grandi impianti portandolo a 650 mg per metro cubo e a 200 mg per gli impianti alimentati con combustibili solidi. Tali valori limite saranno però in vigore appena dal 2016 per gli impianti nuovi e già esistenti: è troppo tardi! Come ho detto, alcuni Stati membri hanno già introdotto analoghe norme circa tre anni fa. Noi non abbiamo detto no perché rappresentava comunque un grosso passo avanti, oltreché un presupposto fondamentale a cui in seguito potranno essere vincolati anche i paesi candidati.

Inoltre, siamo anche riusciti a ridurre le deroghe che il Consiglio voleva introdurre per gli impianti di punta, per cui le emissioni inquinanti potranno essere tenute a freno anche a tale riguardo.

In sintesi, ritengo che nel quadro della conciliazione si sia raggiunto un accordo soddisfacente e che ci siamo spinti molto più in là di quanto ritenuto possibile in seconda lettura. Ringrazio la Presidenza svedese e tutti i colleghi, in particolare la onorevole Myller, così come ringrazio la Commissione per il suo contributo costruttivo. Raccomando, anche a nome della delegazione, di accogliere la proposta.

 
  
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  Myller (PSE), relatore. - (FI) Signor Presidente, signora Commissario, per quanto riguarda la presente direttiva, l'obiettivo del Parlamento era quello di stabilire limiti di emissione il più possibile rigorosi per gli inquinanti responsabili dell'acidificazione. L'acidificazione, la formazione di ozono a livello del suolo e l'eutrofizzazione del suolo sono problemi connessi e causano emissioni di biossido di zolfo, di ossidi di azoto, di composti organici volatili e di ammoniaca. E' opportuno analizzare tali problemi insieme, dato che ciò consentirebbe di giungere a una riduzione delle emissioni più efficace dal punto di vista dei costi.

Su tale base, nella sua proposta la Commissione aveva calcolato i limiti da raggiungere entro l'anno 2010 per ogni Stato membro. Sia nel quinto programma d'azione per l'ambiente che nella strategia contro l'acidificazione, l'obiettivo della Comunità, ossia dell'Unione europea, è quello di garantire la protezione delle persone da tutti gli inquinanti atmosferici noti. Nella proposta la Commissione affermava di non essere in grado, in quella fase, di stabilire obiettivi finali per quanto riguarda i carichi e i livelli critici. L'obiettivo finale a lungo termine doveva essere invece raggiunto tramite il conseguimento degli obiettivi intermedi che essa ha stabilito per il 2010.

In seconda lettura, il Parlamento ha approvato il livello degli obiettivi della Commissione, tranne per quanto riguarda l'ammoniaca, e vi ha aggiunto un obiettivo a lungo termine. Il Parlamento ritiene che gli obiettivi intermedi debbano essere raggiunti entro il 2010, mentre quello finale, ossia la protezione delle persone in tutto il territorio comunitario da tutti gli inquinanti atmosferici noti, dovrebbe essere raggiunto entro il 2020. All'inizio della conciliazione, le posizioni erano chiare e il Consiglio aveva apertamente lasciato intendere che non poteva modificare le cifre adottate nella posizione comune. Non era disposto ad adottare nemmeno l'obiettivo a lungo termine, sostenendo che il non superamento di livelli e carichi critici in nessuna regione era, a giudizio suo e della Commissione, un requisito tecnicamente irrealizzabile. Quanto ai limiti di emissione, la posizione comune del Consiglio era relativamente lontana dalle cifre della Commissione e tuttavia migliore delle cifre di Göteborg, nei cui confronti la maggior parte degli Stati membri riteneva non ci fosse alternativa.

Adottare la posizione comune del Consiglio avrebbe significato arrendersi nella battaglia per il miglioramento della qualità dell'aria e la tutela della salute dei cittadini. In sede di conciliazione, dopo un notevole braccio di ferro e grazie all'attività della Commissione per giungere a compromessi, il Parlamento è riuscito a far prevalere il proprio punto di vista per quanto riguarda le questioni fondamentali della direttiva. In sede di conciliazione, sono stati adottati i limiti di emissione più rigorosi proposti da Commissione e Parlamento sotto forma di cifre indicative, nonché la posizione comune del Consiglio, vincolante per gli Stati membri. Cifre indicative vuol dire che, nelle relazioni del 2004 e del 2008, la Commissione è tenuta ad effettuare un riesame della direttiva considerando gli sviluppi della scienza e della tecnica, nonché la possibilità di stabilire limiti più rigorosi, riesame che dovrà anche tenere conto della misura in cui è possibile raggiungere, entro il 2020, gli obiettivi a lungo termine. I risultati della conciliazione hanno fornito alla Commissione gli strumenti per irrigidire il livello degli obiettivi della direttiva, oltreché la possibilità di analizzare la riduzione delle emissioni a lungo termine affinché livelli e carichi critici non siano superati e le persone siano effettivamente ed efficacemente protette dall'inquinamento atmosferico. L'inserimento di questo obiettivo a lungo termine nel testo della direttiva costituisce un importante risultato, probabilmente il più importante fra quelli ottenuti in sede di conciliazione. Per quanto riguarda, invece, le emissioni responsabili dell'acidificazione, quel che è più complicato è intervenire nelle emissioni di aerei e di navi. Anche in tale ambito, si registrano progressi e la Commissione è stata invitata a presentare misure al riguardo.

Per concludere, desidero ringraziare l’onorevole Ria Oomen-Ruijten per la sua valida collaborazione nel corso della conciliazione. La direttiva sui grandi impianti di combustione rappresenta uno strumento essenziale con cui applicare la presente direttiva sui limiti di emissione ed è davvero il caso di compiacersi del fatto che sia stata adottata senza difficoltà. Desidero altresì ringraziare il presidente della delegazione parlamentare, i membri e i rappresentanti della Commissione, nonché la Svezia, in qualità di paese che detiene la Presidenza di turno, per l'ottima cooperazione.

 
  
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  Jackson (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, vorrei congratularmi con le due relatrici del Parlamento: esse hanno compiuto uno sforzo durissimo, del cui risultato possono andar fiere, e che costituisce il frutto di un'enorme mole di lavoro protrattasi fino a tarda notte. Tuttavia, parlando da deputata britannica del Parlamento europeo, devo dire che queste direttive (soprattutto quella sui grandi impianti di combustione) ci hanno procurato enormi difficoltà; la principale di tali difficoltà - vorrei sottolineare questo punto - è il fatto che né la Commissione né il Consiglio hanno mai chiaramente ammesso l'impatto delle proposte che andavano avanzando, né ci hanno fornito una precisa valutazione (o elementi per formulare una valutazione) dell'impatto di quanto veniva proponendo il Parlamento europeo.

L'onorevole Bowe ed io, in quanto deputati britannici del Parlamento europeo, siamo stati interpellati da gruppi d'interesse del nostro paese, i quali in sostanza ci hanno detto che, se adottassimo gli emendamenti del Parlamento, le miniere di carbone ancora attive in Gran Bretagna dovrebbero tutte chiudere. Ci siamo quindi trovati di fronte all'eventualità di votare per emendamenti e per relazioni della nostra stessa commissione che avrebbero avuto gravissime conseguenze economiche sul nostro Stato membro.

Quando poi abbiamo partecipato alla riunione del Consiglio dei ministri, ci siamo resi conto che altri Stati membri avevano esattamente gli stessi problemi; penso per esempio a paesi come la Finlandia, in cui ministri e governi non hanno mai preso seriamente contatto con i propri deputati europei per illustrare le difficoltà che, a loro avviso, potevano manifestarsi in futuro. Inoltre, ci siamo imbattuti in una situazione davvero sconcertante in sede di procedura di codecisione: in quella riunione, infatti, quattro funzionari ministeriali hanno pronunciato interventi che avremmo dovuto sentire dai rispettivi ministri.

Voglio dire in sostanza che si avvertono due distinte esigenze: anzitutto c'è bisogno di maggiore onestà da parte degli Stati membri e della Commissione in merito all'effettivo impatto, negli Stati membri, delle proposte che vengono avanzate per la discussione; ci dovrebbe essere perlomeno qualche forma di consultazione. In secondo luogo, dobbiamo dire basta a riunioni per la procedura di codecisione cui partecipano quindici deputati europei, un ministro e quattordici funzionari: questa è veramente una farsa. Gran parte delle osservazioni che abbiamo udito formulare in merito alle relazioni delle onorevoli Oomen-Ruijten e Myller sarebbero dovute venire personalmente dai ministri e quando andiamo alle riunioni per la codecisione vogliamo parlare coi ministri.

 
  
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  Bowe (PSE). - (EN) Signor Presidente, in qualità di deputato britannico vorrei anzitutto dichiarare che mi unisco alle parole della onorevole Jackson.

Solo le persone presenti in quest'Aula sono in grado di valutare compiutamente la mole di lavoro che le due relatrici hanno svolto per giungere a questa posizione finale, formulando le due relazioni proposte da presentare in Parlamento per un voto finale. Siamo vostri colleghi, siamo ben consapevoli dell'arduo lavoro che avete compiuto e ve ne siamo grati; è stata un'opera che ha richiesto molto tempo, e questa è una delle relazioni di più difficile elaborazione che abbia visto nei miei dodici anni di esperienza al Parlamento europeo.

Alla fine, tuttavia, nonostante le difficoltà di percorso e la conciliazione finale, abbiamo ottenuto una proposta pratica e funzionale, ma ciò non significa che il resto del cammino sarà facile; sarà anzi estremamente aspro, soprattutto per ciò che riguarda alcuni requisiti. La soluzione raggiunta segna comunque un soddisfacente punto di equilibrio fra la salvaguardia dell'ambiente da un lato e dall'altro il bisogno sociale di un’affidabile e sicura fonte di energia a costi contenuti (anche questa è un'esigenza che non possiamo ignorare).

Per soddisfare i requisiti di questa proposta sarà necessario introdurre alcuni cambiamenti. L'industria energetica sarà senza dubbio obbligata a sostituire alcuni vecchi impianti, ricorrendo - speriamo - a fonti di produzione energetica più moderne. Si prevede una forte riduzione delle emissioni di anidride solforosa e ossido di azoto (cioè delle sostanze che sono le principali responsabili delle piogge acide e dell'ozono a livello del suolo), riduzione che dovrebbe a sua volta condurre ad un miglioramento delle condizioni ambientali connesse alla salute umana. Tra i possibili effetti collaterali vi potrebbe essere, col generale miglioramento delle condizioni operative degli impianti energetici, una riduzione complessiva delle emissioni di anidride carbonica in proporzione alla quantità di energia generata: ecco come questi provvedimenti legislativi potrebbero generare effetti collaterali utili e preziosi.

Non sarà facile attuare tutti questi provvedimenti: le scadenze temporali sono alquanto prolungate, ma viste le circostanze si tratta di un particolare accettabile e comprensibile. A nome del gruppo socialista, esprimo dunque parere favorevole su queste proposte che sosterremo domani col nostro voto.

 
  
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  Evans, Jillian (Verts/ALE). - (EN) Signor Presidente, accolgo con favore entrambe le direttive e, come altri colleghi hanno già fatto, mi congratulo con le due relatrici. Ho seguito con particolare attenzione il dibattito sulla limitazione delle emissioni dei grandi impianti di combustione; questi impianti sono tra i maggiori responsabili di emissioni di inquinanti atmosferici in Europa (dopo le emissioni causate dai trasporti), ed è quindi estremamente importante che siano controllati da una legislazione rigorosa. L'inserimento nelle direttive degli impianti esistenti rappresenta un notevole passo in avanti rispetto alla legislazione precedente: in tal modo, le regole del gioco saranno uguali per tutti gli impianti, compresi quelli che provocano l'inquinamento più grave, nonché alcuni impianti dei paesi candidati che riescono a produrre elettricità a prezzi inferiori perché sono sottoposti a un minor numero di controlli e non devono rispettare standard altrettanto rigidi.

Possiamo inoltre garantire all'opinione pubblica (e anche in questo caso ripeto le parole di altri colleghi) che, grazie alle varie deroghe e ai permessi di mantenere standard più bassi inseriti nel definitivo testo di compromesso, le centrali elettriche attualmente operanti (come quella di Aberthaw nel mio collegio elettorale) non corrono alcun pericolo. Negli ultimi tempi la centrale a carbone di Aberthaw ha richiamato l'attenzione della stampa e degli altri media per la minaccia che, si temeva, questa direttiva avrebbe portato alla vitalità economica e alla redditività della centrale stessa. In effetti, è vero il contrario: a lungo termine, la direttiva tutelerà i posti di lavoro dell'industria energetica e carbonifera gallese.

Questo è stato un dibattito di grande importanza, poiché ci ha dimostrato che occupazione e migliori standard di qualità dell'aria non sono fattori che si escludono a vicenda, come qualcuno vorrebbe farci credere: la lotta contro l'inquinamento può benissimo accompagnarsi alla tutela dei posti di lavoro e delle comunità locali.

Il mio gruppo giudica favorevolmente anche il compromesso che introduce valori più rigidi per l'anidride solforosa e l'ossido di azoto, fissando inoltre standard più severi. Il gruppo sostiene inoltre i risultati della conciliazione sulla relazione della onorevole Myller (concernente la direttiva sui limiti nazionali di emissione); anche in questo caso esprimeremo quindi voto favorevole.

 
  
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  Blokland (EDD). - (NL) Signor Presidente, mi limiterò all’inquinamento atmosferico provocato dai grandi impianti di combustione. Continuo a pensare che il risultato della procedura di conciliazione è assai scarso, date le attuali possibilità tecniche di ridurre le emissioni inquinanti. Nella direttiva sono rimaste strane deroghe, come la disposizione che permette a grandi e vecchi impianti di combustione di inquinare per 2.000 ore all’anno, nonché le deroghe previste per Spagna, Creta e Rodi.

Gli impianti esistenti continueranno ad inquinare gravemente l’atmosfera con anidride solforosa e ossidi di azoto. L’esito della procedura di conciliazione è desolante soprattutto per quanto concerne gli ossidi di azoto, visto che gli Stati Uniti già in questo momento si spingono ben oltre le norme che entreranno in vigore nell’Unione europea appena tra alcuni anni.

Inoltre, vediamo che nelle centrali a carbone viene anche combusta una notevole quantità di biomassa, per la quale sono previste in materia di emissioni norme molto meno severe che per gli inceneritori. Mi sarei aspettato che, in seguito alla liberalizzazione del mercato dell’energia, venissero applicati requisiti ambientali analoghi per evitare distorsioni della concorrenza.

Signor Presidente, in conclusione, voterò a favore delle direttiva non perché grazie ad essa si combatte in maniera efficace l’inquinamento atmosferico, ma semplicemente perché è meno peggio della direttiva precedente.

 
  
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  Korhola (PPE-DE). - (FI) Signor Presidente, nelle tre fasi dell'esame della direttiva sui grandi impianti di combustione, la collega Ria Oomen-Ruijten ha effettuato un encomiabile lavoro in qualità di relatrice. Disponiamo ora di una direttiva rinnovata che, pur tenendo conto della realtà della vita pratica, potrà avere importanti conseguenze sulla riduzione delle emissioni dei grandi impianti di combustione. Mi compiaccio di aver potuto partecipare all'elaborazione di emendamenti di compromesso, approvati prima dalla relatrice e quindi dal Parlamento. Grazie a tali emendamenti, visibili nella direttiva anche dopo la conciliazione, è possibile la produzione combinata di calore e di energia, essenziale dal punto di vista dello sviluppo sostenibile. All'inizio, sussisteva il rischio che la direttiva rendesse tale produzione combinata improduttiva: ciò avrebbe significato un evidente regresso.

La relazione Oomen-Ruijten, come del resto quella della collega Myller, è un esempio di come nella codecisione sia possibile raggiungere un risultato definitivo anche nel caso di questioni difficili e impegnative. Tali sono indubbiamente queste due direttive.

I limiti di emissione nazionali e le emissioni dei grandi impianti di combustione sono questioni che hanno tradizionalmente visto gli Stati membri difendere i propri interessi e opporsi a obiettivi che potrebbero compromettere la competitività propria e quella di tutta l'Unione europea. La Commissione ha dovuto tenerne conto già in sede di elaborazione della proposta, laddove il Parlamento ha nel proprio idealismo dovuto tener conto delle realtà politiche. Il risultato può tuttavia considerarsi ambizioso e, ai fini della qualità dell'aria in Europa, ha un'importanza immediata. Esso è inoltre una testimonianza per quanto riguarda un'importante questione futura: l'Unione europea è pronta anche nella prassi politica ad operare affinché siano raggiunti gli obiettivi formulati negli accordi di Kyoto.

La Commissione dovrebbe presentare, già nel corso di quest'autunno, diverse e importanti proposte in relazione alla lotta contro il cambiamento climatico. Le due relazioni ora all'esame sono promettenti. Le Istituzioni comunitarie sono in grado di operare in modo equilibrato e foriero di ambiziosi risultati finali. Dinanzi alla realtà del cambiamento climatico, non possiamo accontentarci di meno.

 
  
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  Lange (PSE). - (DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, desidero associarmi ai cordiali ringraziamenti rivolti alle due relatrici per la loro tenacia e il loro impegno, che si sono rivelati certamente necessari in particolare nella trattativa con il Consiglio - mi riferisco in particolare alla trattativa sui grandi impianti di combustione. Il Parlamento voleva ottenere l'introduzione nella direttiva anche dei vecchi impianti e ci è riuscito. In questo importante settore siamo riusciti a riportare una vittoria.

Dobbiamo però anche ammettere che la vittoria non è stata completa. Abbiamo dovuto piegarci a molte deroghe, proroghe e soglie meno rigorose. Ciò non è avvenuto perché non vi erano altre possibilità tecniche, perché in tal caso ci sarebbero state mosse più spesso obiezioni di questo tenore: quello che volete, cari parlamentari, è tecnicamente impossibile! In questo caso, invece, è assolutamente evidente che migliorare gli impianti esistenti per raggiungere il livello dei nuovi impianti non presenta alcuna difficoltà di natura tecnica. Nella realtà pratica di alcuni settori ciò sta già avvenendo. Le resistenze si basavano esclusivamente su considerazioni fondate sull'economicità di singoli impianti di grandi dimensioni. Si tratta di un'impostazione miope, perché dobbiamo avere una visione economica globale, considerando anche i costi derivanti dall'acidificazione e dalle sostanze tossiche che raggiungono la popolazione. Non posso pertanto comprendere né accettare la posizione negoziale assunta dal Consiglio su questa materia. Ad ogni modo, visto che in ultima analisi sono stati inseriti i vecchi impianti, anch'io approvo il compromesso.

 
  
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  Hulthén (PSE). - (SV) Signor Presidente, l’ora e l’atmosfera non invogliano certo a lanciarsi in una polemica né con il presidente della commissione, né con altri deputati britannici di questo Parlamento, tesa a stabilire chi abbia maggiormente a perdere dall’acidificazione o dalla lotta contro questo fenomeno.

Cercherò invece di esprimermi in termini un po’ più positivi, ringraziando i colleghi britannici per avere affrontato fino in fondo la trattazione di questa direttiva, tanto che domani si potrà prendere una decisione, decisione grazie alla quale, per dirlo in termini drastici, la mia regione tornerà in vita e la silvicoltura, la pesca e la biodiversità potranno vedere riparati i danni subiti in decenni o forse in un intero secolo.

E’ questo un eccellente esempio dell’utilità di una cooperazione europea solida e concreta, che rende possibile nella mia regione un risultato che non avremmo potuto ottenere da soli: quello di porre freno all’acidificazione. Non possiamo arrestarla completamente, ma possiamo quantomeno tenerla a freno e tentare di porre rimedio ad alcuni dei danni che essa ha causato.

Attendo con impazienza la revisione che dovrà essere condotta, perché so che tutto ciò non basta. L’acidificazione continuerà a dispetto della decisione presa domani. Ringrazio i colleghi e la Commissione europea per il lavoro svolto congiuntamente.

 
  
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  Wallström, Commissione. - (EN) Signor Presidente, onorevoli deputati, constato con estremo piacere che queste due importanti aggiunte alla legislazione comunitaria sull'inquinamento atmosferico stanno entrando nella fase finale dell'approvazione. Mi unisco quindi a voi per ringraziare entrambe le relatrici, le onorevoli Oomen-Ruijten e Myller, per il loro impegno, e per congratularmi con loro. Desidero inoltre ringraziare il presidente della delegazione parlamentare, onorevole Friedrich, per il ruolo svolto nel condurre i negoziati ad una felice conclusione (purtroppo egli non è con noi questa sera), nonché l'onorevole Provan che è intervenuto all'ultimo momento in quella che si è dimostrata una delle più belle serate dell'estate.

Le proposte relative ai limiti nazionali di emissione e ai grandi impianti di combustione costituiscono un progresso sostanziale nella legislazione comunitaria sull'inquinamento atmosferico. Come sapete, la proposta sui limiti nazionali contribuirebbe a realizzare un programma permanente per affrontare il problema dell'inquinamento atmosferico transfrontaliero; in tal modo, infatti, si imporrebbe agli Stati membri di limitare le emissioni che provocano più danni, non solo a loro stessi, ma anche, come ha affermato la onorevole Hulthén, ai loro vicini.

La prima fase fissa limiti di emissione giuridicamente vincolanti che gli Stati membri dovranno rispettare entro il 2010. Saranno fissate alcune revisioni periodiche (che avranno luogo nel 2004, nel 2008 e nel 2012) per ridurre ulteriormente i futuri limiti di emissione: questo sistema di revisioni è stato notevolmente irrobustito in risposta ai timori espressi dal Parlamento. La prima revisione cercherà di ovviare alle carenze entro il 2010, considerando le emissioni totali della Comunità secondo la proposta originaria della Commissione. Tutte le revisioni dovranno individuare il modo per raggiungere il nostro obiettivo di lungo periodo: restare al di sotto dei livelli critici ambientali dopo il 2010. Il 2020 verrà quindi considerato un parametro di riferimento. Nelle successive revisioni, la Commissione riferirà soprattutto in merito ai progressi compiuti rispetto ai nostri obiettivi di lungo periodo e, in considerazione di tutto ciò, definiremo le ulteriori misure da adottare per raggiungere gli obiettivi in questione "preferibilmente entro il 2020", come ha detto la relatrice.

Allo stesso tempo, grazie alla proposta sui grandi impianti di combustione, nel settore della produzione di energia si introdurranno standard di emissione più rigorosi, soprattutto per le centrali più vecchie che rappresentano la causa principale di acidificazione e inquinamento da ozono. Nella sua analisi della posizione comune sui grandi impianti di combustione, la Commissione ha dimostrato che sia le emissioni di anidride solforosa che quelle di ossido di azoto si ridurranno sensibilmente grazie a questi provvedimenti legislativi.

Il compromesso raggiunto sui grandi impianti di combustione permetterà di ottenere, nel medio periodo, una flessibilità che tenga conto delle diverse situazioni degli Stati membri, nonché dei notevoli vantaggi ambientali di cui potrà beneficiare, a lungo termine, una Comunità ampliata.

Il Parlamento ha ottenuto risultati importanti in questo dibattito e dev'essere orgoglioso del proprio contributo; anche la Commissione è soddisfatta dell'esito raggiunto. Con l'approvazione di questo provvedimento legislativo, nel 2004 la Commissione dovrà tornare a rivedere entrambe le direttive e presentare le proprie proposte miranti a ulteriori progressi. Abbiamo già spiegato come intendiamo prepararci per questa prima revisione nella comunicazione sull'aria pulita per l'Europa che abbiamo presentato nel maggio 2001 e abbiamo già cominciato a lavorare in questo senso.

Per concludere, invito il Parlamento ad adottare il risultato della procedura di conciliazione e a unirsi ai nostri sforzi in quest'impresa; attendo con ansia il sostegno del Parlamento per CAFE.

 
  
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  Presidente. - La discussione congiunta è chiusa.

La votazione si svolgerà domani alle 11.00.(1)

(La seduta termina alle 23.30)

 
  

(1) Ordine del giorno della prossima seduta: cfr. Processo verbale.

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