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Resoconto integrale delle discussioni
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Giovedì 13 marzo 2003 - Strasburgo Edizione GU
1. Strategia della politica dei consumatori 2002-2006
 2. Dichiarazione del Presidente
 3. Votazioni
 4. Chiusura delle imprese dopo l’attribuzione di assistenza finanziaria dell’Unione europea
 5. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (articolo 50 del Regolamento del Parlamento)
 6. Cambogia
 7. Myanmar (Birmania)
 8. Nigeria: il caso di Amina Lawal
 9. Votazioni
 10. Interruzione della sessione
 ALLEGATO


  

PRESIDENZA DELL’ON. VIDAL-QUADRAS ROCA
Vicepresidente

(La seduta inizia alle 10.01)(1)

 
  
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  Medina Ortega (PSE).(ES) Signor Presidente, mi dispiace molto che l’amico e collega, l’onorevole Isidoro Sánchez García, lasci il Parlamento. Tuttavia prendo la parola per un’altra ragione. Ieri mattina due deputati, l’onorevole Sturdy per il Regno Unito e l’onorevole Ripoll y Martínez de Bedoya per la Spagna, sono intervenuti per evidenziare i problemi con cui si scontrano i cittadini comunitari per iscriversi nei registri elettorali.

Come l’onorevole Ripoll y Martínez de Bedoya, provengo da una regione turistica, le isole Canarie. Anch’io infatti ho ricevuto numerose lamentele da cittadini comunitari in merito all’iscrizione nei registri elettorali. Ho raccolto tutte le informazioni del caso e il problema è che la legislazione spagnola sulla registrazione sembra essere molto minuziosa; ho con me le due pagine che normalmente vengono distribuite in cui sono indicati i termini per la presentazione delle lamentele, eccetera, ma i moduli sono di difficile compilazione. Il problema sembra essere la generalizzata mancanza di comunicazione tra le autorità spagnole.

Mi associo pertanto all’onorevole Ripoll y Martínez de Bedoya e sollecito le Istituzioni europee ad assicurarsi che i cittadini si iscrivano nei registri elettorali in vista delle elezioni regionali e delle elezioni che si svolgeranno nelle regioni autonome in Spagna.

 
  
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  Presidente. – Non sussistono dubbi sul fatto che l’esercizio del diritto di voto attivo e passivo nelle elezioni comunali ed europee sia una delle caratteristiche principali della cittadinanza europea e in proposito i Trattati sono estremamente chiari. Credo pertanto che le sue osservazioni siano molto importanti e approfondiremo la questione che lei ha evidenziato.

 
  
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  Alyssandrakis (GUE/NGL).(EL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero informare il Parlamento che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha recentemente emesso una sentenza in merito al processo del leader curdo Abdullah Ocalan. La Corte ha concluso che il signor Ocalan non è stato giudicato da un tribunale indipendente e imparziale e che non ha potuto beneficiare di un tempo sufficiente e di strutture idonee per preparare la sua difesa.

Allo stesso tempo, da tre mesi o forse più, Abdullah Ocalan è detenuto in un regime di semiisolamento. Infatti non può comunicare né con i suoi avvocati né con la famiglia. Credo che il Parlamento europeo debba presentare una protesta presso il governo turco – ricordo che la Turchia è un paese candidato – e chiedo che ad Abdullah Ocalan siano garantiti i diritti fondamentali di cui devono godere i carcerati.

 
  
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  Presidente. – Onorevole Alyssandrakis, le sue osservazioni saranno tenute in debito conto.

 
  
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  Uca (GUE/NGL).(DE) Signor Presidente, desidero associarmi a quanto affermato dall’onorevole Alyssandrakis. Ieri in sede di commissione parlamentare mista UE-Turchia ho chiesto all’ambasciatore turco di spiegare i motivi per cui i carcerati non possono vedere il loro avvocato e la loro famiglia. Ci è stato risposto che i rappresentati del Consiglio d’Europa hanno incontrato Abdullah Ocalan circa un mese fa e che dovremmo indirizzare la nostra richiesta di informazioni alla commissione competente del Consiglio d’Europa.

A prescindere dall’atteggiamento che possiamo avere o dal fatto che comprendiamo tali posizioni, riteniamo che tutti i carcerati debbano ricevere un trattamento equo, il che comprende il diritto di vedere il proprio avvocato e i propri familiari. Si tratta di un valore che attiene ai diritti umani e alla democrazia nell’ambito nello Stato di diritto, in cui tutti crediamo. Reitero pertanto la mia richiesta che il Parlamento intervenga presso il governo turco affinché in futuro sia garantito l’accesso all’assistenza legale.

 
  
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  Presidente. – Onorevole Uca, la Presidenza è d’accordo con lei sul fatto che la migliore difesa è lo Stato di diritto, unitamente alle forze di polizia e alle misure antiterrorismo; su questo non vi sono dubbi.

 
  
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  Flemming (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, nella discussione sulla relazione Karas ho ripreso l’onorevole García-Margallo y Marfil per aver usato il termine “Vergreisung” riferendosi agli anziani, suggerendo l’idea che sono troppo vecchi. Pare invece che ci sia stato un errore di traduzione. Il collega spagnolo aveva usato il termine “Alterung”, che significa “invecchiamento”, invece di “Vergreisung”. Signor Presidente, mi scuso per aver frainteso lo spagnolo.

 
  
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  Presidente. – La Presidenza prende atto dei sui sottili commenti linguistici, onorevole Flemming.

 
  

(1)Composizione del Parlamento – Presentazione di documenti: cfr. Processo verbale.

1. Strategia della politica dei consumatori 2002-2006
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta:

– la relazione (A5-0023/2003), presentata dall’onorevole Whitehead a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la politica dei consumatori, sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale sulla strategia della politica dei consumatori 2002-2006 [COM(2002) 208 – C5-0329/2002 – 2002/2173(COS)]

– la relazione (A5-0423/2002), presentata dall’onorevole Patrie a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la politica dei consumatori, sulle implicazioni del Libro verde sulla tutela dei consumatori nell’Unione europea per l’avvenire della politica europea dei consumatori [COM(2001) 531 – C5-0295/2002 – 2002/2151(COS)]

– la relazione (A5-0054/2003), presentata dall’onorevole Thyssen a nome della commissione giuridica e per il mercato interno, sulle prospettive della tutela giuridica dei consumatori alla luce del Libro verde sulla tutela dei consumatori nell’Unione europea [COM(2001) 531 – C5-0294/2002 – 2002/2150(COS)]

 
  
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  Whitehead (PSE), relatore.(EN) Signor Presidente, sono lieto che stamane l’Assemblea possa distogliere l’attenzione dal lontano rullio dei tamburi di guerra per dedicarsi alle esigenze dei cittadini in quanto consumatori. Tali necessità sono state affrontate nel piano d’azione in materia di politica dei consumatori per il periodo 2002-2006 e nel Libro verde nonché nel seguito dato allo stesso sulla tutela dei consumatori. Mi accingo a presentare la mia relazione e quella della collega, l’onorevole Patrie, che oggi non è potuta essere presente.

E’ in corso un importantissimo dibattito sulla politica dei consumatori. In sede di Convenzione sono emersi dubbi – che io condivido – in quanto le priorità dei consumatori rischiano di essere schiacciate dall’accorpamento delle competenze del Consiglio, che dovrà altresì occuparsi di affari sociali, occupazione e sanità. Il dibattito si riflette inoltre nelle difficoltà finanziarie di un settore in particolare, la sicurezza alimentare, che abbiamo voluto affrontare isolatamente e non più all’interno di questo tipo di discussioni generali. Condivido le preoccupazioni espresse circa il finanziamento – di cui il Parlamento è in parte responsabile – dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare, affinché possa finalmente camminare con le proprie gambe.

Dal dibattito traspaiono anche le differenze che ci dividono circa il tipo di direttiva quadro che possa meglio disciplinare la questione delle relazioni dei consumatori e sulle modalità per individuare e porre rimedio alle pratiche sleali.

Per quanto riguarda la mia relazione, desidero ringraziare la Commissione, i relatori ombra di tutti i gruppi politici e tutti coloro che hanno collaborato per produrre una relazione consensuale, soprattutto la mia ex ricercatrice, Michelle Smyth, la cui competenza è ora al servizio dell’Associazione nazionale britannica dei consumatori.

Ho sempre cercato di mantenere un approccio semplice e mirato sulle priorità definite nel piano d’azione. Desidero commentare alcuni emendamenti che in qualche modo hanno creato un po’ di confusione, cercando di inglobare altri dibattiti in ciò che deve essere una chiara dichiarazione di priorità. Ho cercato di scoraggiare gli emendamenti che inserivano altre buone cause nella relazione. Oggi pertanto non posso accogliere – più di quanto non abbia già fatto in sede di commissione – alcuni emendamenti presentati sia da destra che da sinistra, che intendono allargare la discussione all’etichettatura ecologica, alle virtù dei prodotti biologici o, d’altro canto, alle virtù e all’efficacia della tecnologia sui prodotti geneticamente modificati. Come il Commissario sa bene, sono altre le sedi in cui tali questioni saranno discusse. Infatti egli tra breve presenterà proposte in materia che saranno benvenute.

Accolgo peraltro il nuovo emendamento presentato dall’onorevole Thyssen, la cui relazione sarà discussa tra poco, che ha svolto un ruolo molto costruttivo in queste discussioni. Non accetto però che si oltrepassino i confini fissati nelle approfondite discussioni svoltesi in sede di commissione.

Qualcuno ha obiettato ad uno o due altri emendamenti, in particolare sulla versione originale del paragrafo 15, ovvero un emendamento presentato in commissione dall’onorevole Thyssen. Alcuni esponenti del suo gruppo hanno chiesto il motivo della loro presentazione. Sono sicuro che l’onorevole Thyssen – quando interverrà più tardi – entrerà nel merito in modo che il suo gruppo possa capirne le ragioni.

Parlerò ora degli ampi principi del piano d’azione su cui ci accingiamo a deliberare. Essi sono stati formulati in una triplice proposta. In primo luogo si propone un elevato livello comune di tutela dei consumatori. Tutte le relazioni che vi sono state sottoposte concordano su questo punto e sulla necessità di rafforzare la base giuridica nei Trattati per conseguire tale obiettivo. Concordano inoltre sulla questione importante del livello minimo e massimo di armonizzazione che dovremmo considerare caso per caso in maniera ragionevole.

In secondo luogo, quanto all’efficace applicazione delle norme a tutela dei consumatori, anche in questo caso ci troviamo d’accordo, forse con posizioni leggermente diverse. Solo 5 Stati su 15 hanno conseguito gli obiettivi di Barcellona in materia di attuazione. Dobbiamo dimostrare ai paesi candidati che possiamo fare meglio, aiutandoli a seguire il nostro esempio.

In terzo luogo, il coinvolgimento delle organizzazioni dei consumatori nelle politiche comunitarie è di cruciale importanza per l’Unione allargata. Il Commissario deve dirci come verranno stanziati i fondi necessari quest’anno, una volta esauriti i fondi disponibili per i paesi candidati.

Infine abbiamo aggiunto un nuovo principio: l’integrazione degli obiettivi della politica dei consumatori in tutti gli ambiti pertinenti delle politiche comunitarie. Questo punto è stato ribadito con forza ieri da una delegazione dell’Ufficio europeo delle unioni dei consumatori in un incontro con i membri della Convenzione. Nei prossimi tre anni vedremo se riusciremo a soddisfare le esigenze dei consumatori in un’Europa allargata. A tal fine occorre tutta la forza della Commissione e degli Stati membri. Al momento solo la metà dei cittadini conosce i suoi diritti di consumatore. Un consumatore informato è un cittadino emancipato. E’ nostro dovere e privilegio lavorare in questo senso.

Passerò ora alla relazione dell’onorevole Patrie e utilizzerò le sue proposte e i suoi appunti. In relazione al Libro verde sulla tutela dei consumatori, che ci è stato presentato nell’ottobre 2001, siamo finalmente giunti ad un dibattito ambizioso sulle proposte per un vero mercato interno dei consumatori. Attraverso ampie consultazioni con gli Stati membri, con le imprese e con le organizzazioni dei consumatori la Commissione ha esaminato gli strumenti giuridici più atti a garantire un livello elevato di tutela dei consumatori, rimuovendo al contempo le barriere allo sviluppo del commercio intracomunitario.

Il Libro verde afferma che la frammentazione delle norme ha impedito il buon funzionamento del mercato interno. Concordiamo tutti su questo punto. L’esperienza dimostra che la mancanza di fiducia dei consumatori nelle transazioni transnazionali è riconducibile alle divergenze tra gli organi legislativi e al fatto che i consumatori ignorano le garanzie giuridiche di cui si possono avvalere. Dal punto di vista dei consumatori, gli ostacoli allo sviluppo del commercio internazionale risiedono principalmente nella mancanza di certezza nelle relazioni postcontrattuali. Pertanto vogliamo fornire ai consumatori un quadro giuridico semplice e standardizzato, costituito da un numero limitato di norme fondamentali applicabili a prescindere dalla natura della transazione. Pertanto accogliamo con favore l’approccio globale della Commissione.

Tale approccio non deve ridurre la tutela dei consumatori già garantita da accordi nazionali. A questo proposito si deve impedire che la possibilità concessa alla controparte di scegliere il diritto applicabile privi il consumatore di quella tutela che gli viene garantita per legge nel suo paese di residenza, purché sia il paese in cui si sono svolte le fasi preliminari alla stipula del contratto e quello in cui ci si attende che detto contratto venga onorato. L’adozione di norme generali non deve inoltre precludere la possibilità di inserire norme specifiche. Sarà poi necessario fornire ai consumatori una tutela speciale in determinati settori.

Alla luce di quanto sopra esposto, la direttiva quadro deve fissare principi generali sulla condotta dei commercianti in tutte le fasi delle trattative commerciali, in modo da garantire il rispetto dei diritti dei consumatori. Una clausola generale basata sull’esigenza di una condotta commerciale equa sembrerebbe più adatta all’uopo di quanto non lo possa essere un divieto di pratiche fuorvianti e ingannevoli, purché la definizione risulti precisa e applicabile.

In nome della trasparenza dovrebbe essere fatto obbligo ai commercianti di comunicare preventivamente ai consumatori le informazioni sui vari aspetti delle merci e dei servizi offerti. Anche in questo caso l’applicazione di criteri generali non deve precludere la possibilità di inserire disposizioni specifiche sulle informazioni fornite ai consumatori.

Il tentativo della Commissione di definire un criterio basato sulla condotta del consumatore di media intelligenza non è particolarmente convincente. Si tratta di una definizione molto imprecisa e l’idea di misurare l’intelligenza umana in questo modo può essere offensiva. Sarebbe preferibile definire tipi di condotta considerati inammissibili, ovvero le pratiche sleali. A tal fine la Commissione potrebbe compilare una lista nera non esaustiva dei tipi di condotta considerati sleali.

Dobbiamo inoltre tutelare i consumatori particolarmente vulnerabili. Mi riferisco a persone con handicap fisici o mentali che possono essere vittima di pratiche commerciali aggressive o fuorvianti, ai bambini, agli adolescenti e agli anziani. Si devono poter sanzionare i commercianti che violano il dovere di correttezza, non da ultimo attraverso ingiunzioni da parte di organizzazioni dei consumatori. Si dovrebbero poter adire le vie legali come misura preventiva per porre fine a condotte commerciali sleali che – se legittimate a continuare – potrebbero ledere gli interessi dei consumatori.

Infine è opportuno offrire ai singoli consumatori un mezzo per ottenere riparazione, non solo in caso di violazioni gravi e flagranti – come suggerisce la Commissione – ma anche laddove sia stato accertato un danno certo e diretto a seguito di condotte commerciali sleali. A prescindere dai vantaggi derivanti da metodi alternativi di composizione delle controversie, i consumatori non devono essere privati della possibilità di ottenere riparazione.

La Commissione non ha ancora fornito informazioni sufficienti per poter formulare commenti costruttivi sui contenuti delle procedure di autoregolamentazione e di coregolamentazione. Considerando la diversità delle tradizioni nazionali e le incertezze nella definizione dei concetti, è essenziale continuare le consultazioni con gli Stati membri e al contempo assicurare la definizione di norme rigorose per i codici di condotta all’interno delle stesse norme comunitarie.

Si devono creare con urgenza i presupposti organizzativi per una cooperazione tra le autorità nazionali competenti per l’applicazione della normativa per i consumatori. Troppo spesso commercianti privi di scrupoli sono tentati di sfruttare le falle della cooperazione europea. Sarebbe auspicabile istituire banche dati per agevolare lo scambio di informazioni e creare un sistema di allerta in modo da consentire agli Stati membri, in caso di necessità, di intraprendere un’azione concertata a favore di tutti i consumatori. Raccomando entrambe le relazioni all’Assemblea e rinnovo le scuse per l’assenza dell’onorevole Patrie, che è impegnata altrove.

 
  
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  Thyssen (PPE-DE), relatore.(NL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, pur non trattandosi di proposte legislative, l’importanza di questa discussione non va sottovalutata.

Il Libro verde sulla tutela dei consumatori – e mi limiterò a questo tema nei primi cinque minuti a mia disposizione per poi passare alla questione sollevata dall’onorevole Whitehead nei rimanenti due minuti – non riveste soltanto un’importanza giuridica ed economica, ha altresì una rilevanza politica. Può consentirci di sfatare il mito secondo cui il mercato interno si rivolge solo alle imprese e il consumatore non ne può ricavarne nulla. Una buona normativa per i consumatori è uno strumento formidabile per avvicinare l’Unione europea ai suoi cittadini e spetta a noi lavorare in questo senso.

Un altro luogo comune da sfatare è quello della presunta contraddizione di termini tra la realizzazione del mercato interno e il conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori. Entrambi sono obiettivi sanciti dal Trattato e ciascuno può sostenere l’altro. E’ nostro compito adoperarci affinché ciò avvenga. Purtroppo però devo dire che la suddivisione delle competenze tra le commissioni parlamentari non sempre ci aiuta. Credo sia una questione che dovremmo riesaminare nella prossima legislatura.

In terzo luogo, esiste un’altra idea profondamente radicata che vorrei si superasse, ovvero la convinzione diffusa secondo cui le leggi a favore dei consumatori e le normative sulle pratiche commerciali leali siano due ambiti completamente distinti nel contesto della concorrenza. Onorevoli colleghi, la commissione giuridica e per il mercato interno ritiene che spesso si tratti di due facce della stessa medaglia e pertanto chiediamo di svolgere uno studio approfondito sull’impatto delle relazioni tra imprese nonché delle relazioni tra imprese e consumatori. In questo modo favoriremo la giustizia, almeno per quanto concerne le PMI, una maggiore certezza giuridica e una maggiore stabilità nella legislazione: tutti fattori per cui stiamo lottando.

Signor Commissario, la commissione giuridica e per il mercato interno condivide la sua analisi della situazione della legislazione a tutela dei consumatori; riteniamo inoltre che sia giunto il momento di compiere una valutazione e forse di adottare un nuovo approccio. Non dobbiamo però essere troppo sicuri di noi stessi. In definitiva, non tutto quello di cui il consumatore dispone sul mercato nazionale costituisce necessariamente una barriera al mercato interno che deve essere rimossa. Vi sono limiti naturali all’integrazione del mercato – che sono stati sintetizzati nella mia relazione – e dobbiamo accettarli. Dobbiamo invece identificare le vere barriere e concentraci su di esse; in questo modo non mancheremo l’obiettivo.

A giudizio della commissione giuridica e per il mercato interno, il nuovo approccio, se mai si realizzerà, deve puntare ad un livello elevato di tutela dei consumatori – che è un obiettivo sancito nel Trattato – e deve assicurare una sufficiente flessibilità, semplicità e trasparenza nella legislazione nonché testi legislativi di elevata qualità giuridica. Pertanto, e così dev’essere, sosteniamo i suggerimenti contenuti nel Libro verde volti ad introdurre a vantaggio del consumatore una procedura efficiente e realistica per dirimere le controversie.

Non respingiamo nemmeno l’idea di una direttiva quadro, signor Commissario, ma in quanto legislatori responsabili vogliamo assicurarci sin dall’inizio che tale direttiva, con tutte le implicazioni che ne deriveranno, porterà veramente ad una semplificazione, ad una maggiore certezza giuridica e anche ad una più incisiva politica a vantaggio dei consumatori. Per tale ragione le chiediamo di fornirci una presentazione completa, comprendente la direttiva quadro e le proposte di direttiva che la accompagneranno.

In nome della certezza giuridica preferiremmo una clausola generale basata sul divieto di pratiche commerciali sleali. Naturalmente il divieto deve essere definito con precisione. Riconosciamo l’utilità dello strumento di massima armonizzazione, ma, come ha fatto l’onorevole Whitehead nella relazione presentata a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la politica per i consumatori, invitiamo alla cautela e chiediamo che si proceda per casi individuali; altrimenti corriamo il rischio di bruciare le tappe. In ogni caso la commissione giuridica e per il mercato interno è convinta che non sia possibile una piena armonizzazione finché non sarà garantito un livello elevato di tutela dei consumatori, a meno che l’armonizzazione non vada in quella direzione.

Un livello elevato di tutela dei consumatori, a nostro parere, costituisce anche una condizione per la piena attuazione del principio di riconoscimento reciproco e di quello del paese d’origine.

Signor Commissario, noi diciamo “sì” ad una base statutaria che istituisca il codice europeo di condotta, purché siano soddisfatte le condizioni indicate al paragrafo 17 della mia relazione, ma, poiché nessuno ha nulla da guadagnare da una falsa impressione di certezza giuridica, ci opponiamo ad ogni sorta di meccanismo burocratico di approvazione, che può solo fornire un’opinabile certificazione di legalità. Secondo i membri della commissione giuridica è logico che gli obblighi contratti nei codici siano applicabili.

Onorevoli colleghi, avrete notato che la relazione Patrie della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la politica per i consumatori differisce in molti punti da quanto abbiamo esposto in sede di commissione giuridica e per il mercato interno. Noi abbiamo fatto del nostro meglio per concentrarci sugli aspetti giuridici della questione e abbiamo compiuto scelte sulla base di fondate motivazioni giuridiche. Chiedo pertanto ai membri della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la politica per i consumatori di riesaminare questi aspetti prima di esprimersi con il voto e chiedo loro di sostenere le argomentazioni della commissione giuridica e per il mercato interno.

Infine, signor Presidente, mi rimane solo da ringraziare i colleghi per la costruttiva cooperazione e posso dire all’onorevole Whitehead che replicherò alla questione a cui ha fatto riferimento nei due minuti che mi saranno assegnati tra breve.

 
  
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  Byrne, Commissione. – (EN) Signor Presidente, desidero esordire porgendo vivi ringraziamenti e le mie congratulazioni ai relatori, gli onorevoli Whitehead, Patrie e Thyssen per l’impegno profuso e il risultato di grande qualità ottenuto.

Prima di tutto desidero esporre alcune considerazioni sulla nuova strategia per la politica dei consumatori, che è stata adottata dalla Commissione lo scorso maggio e che punta a dare un chiaro senso di direzione politica per i prossimi cinque anni.

La strategia prevede tre obiettivi principali. Il primo consiste nel conseguire un alto livello comune di tutela dei consumatori. Il secondo prevede l’efficace applicazione delle norme a tutela dei consumatori. Il terzo obiettivo verte sul coinvolgimento delle organizzazioni dei consumatori nelle politiche comunitarie.

Desidero sottolineare che questi tre obiettivi sono stati definiti sulla base delle tre idee trasversali che mi accingo ad esporre. Intendiamo infatti dare un contributo per integrare le preoccupazioni dei consumatori in tutte le politiche comunitarie, come la politica sulla concorrenza, i trasporti e la giustizia. Vogliamo massimizzare i vantaggi del mercato unico per i consumatori, a beneficio sia delle imprese che degli stessi consumatori. Infine – obiettivo non meno importante – intendiamo preparare l’allargamento. Tutti e tre gli obiettivi della strategia – un elevato livello comune di tutela dei consumatori, l’efficace applicazione delle norme a tutela dei consumatori e l’adeguato coinvolgimento delle organizzazioni dei consumatori – sono stati definiti nella prospettiva dell’adesione di nuovi paesi nel breve termine e, più in generale, in futuro.

Il piano d’azione e il Libro verde prevedono una serie di opzioni e sollevano alcune questioni sul futuro della politica comunitaria in materia di tutela dei consumatori. In particolare, essi avanzano l’idea di una direttiva quadro sulle pratiche commerciali sleali.

La Commissione ha inoltre proposto di sviluppare uno strumento legislativo di cooperazione tra le autorità preposte all’attuazione.

La risposta positiva che è seguita alla consultazione ci ha incoraggiati a continuare a lavorare all’idea di una direttiva quadro. E’ stato tuttavia rilevato che sono necessarie maggiori informazioni, una chiarificazione e una consultazione sui contenuti di tale direttiva quadro.

Abbiamo inoltre riconosciuto l’esigenza di completare l’esame dei problemi e delle opportunità esistenti. Sia la relazione Patrie che la relazione Thyssen hanno evidenziato tale necessità. Abbiamo pertanto commissionato tre studi importanti. Il primo è un sondaggio su 16 000 consumatori sulla loro esperienza e sul loro atteggiamento in materia di acquisti fuori dai confini del loro paese. E’ stato poi condotto un sondaggio parallelo con domande simili su circa 3 000 imprese, soprattutto PMI, che pubblicizzano e vendono direttamente ai consumatori. In questo modo, possiamo avere un’immagine chiara dell’impatto che la direttiva può avere sulle piccole e medie imprese. Abbiamo poi incaricato un consulente indipendente di svolgere una valutazione sull’impatto delle opzioni legislative definite nel Libro verde.

Le conclusioni di tale valutazione e le indagini svolte possono essere sintetizzate come segue. Ottanta milioni di europei farebbero più acquisti a livello transfrontaliero, se avessero la stessa sicurezza di cui godono per le spese che effettuano nel loro paese. Il 46 per cento delle imprese prevede un aumento delle vendite transnazionali grazie all’armonizzazione. Solo l’1 per cento delle società si aspetta un calo. Il 68 per cento delle imprese europee ritiene che l’armonizzazione in questo settore sia una modalità efficace per agevolare le vendite transnazionali. La valutazione sull’impatto ha concluso che la direttiva quadro basata sulla piena armonizzazione rappresenterebbe il modo più efficace per rimuovere le barriere al commercio transnazionale al dettaglio.

I miei servizi stanno inoltre lavorando sulle barriere legislative che creano ostacoli sia alle imprese che ai consumatori. Innanzitutto stiamo collaborando con un gruppo di esperti nazionali incaricati dai governi di studiare e comparare le normative nazionali sulle pratiche commerciali sleali. In secondo luogo abbiamo costituito un gruppo di studiosi che stanno attualmente completando un esaustivo studio giuridico comparativo. In terzo luogo abbiamo organizzato un seminario di due giorni su molti temi chiave, con la presenza di tutti gli interlocutori interessati.

L’approfondita consultazione e il processo di ricerca hanno permesso alla Commissione di comprendere appieno le varie sfumature delle norme nazionali sul commercio sleale e le preoccupazioni di tutti gli interlocutori interessati. Spero che ci abbia anche permesso di costruire un largo consenso su una direttiva quadro che possa veramente funzionare.

Il parere del Parlamento europeo riveste un’importanza significativa per le decisioni della Commissione. Pertanto apprezzo molto le costruttive relazioni della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la politica dei consumatori e della commissione giuridica e per il mercato interno, che confermano il crescente consenso sulla direzione da seguire. Spero che la discussione di oggi ci consenta di conciliare i rimanenti punti di discordanza tra le due relazioni. Sono ansioso di ascoltare il vostro parere nel corso del dibattito.

 
  
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  Glase (PPE-DE), relatore per parere della commissione per i bilanci. (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, la comunicazione della Commissione e la relazione dell’onorevole Whitehead sulla strategia per la politica dei consumatori 2002-2006 sono documenti di fondamentale importanza. Negli Stati membri i cittadini vedono il Parlamento come il difensore della tutela dei consumatori, che essi considerano un elemento importante, addirittura cruciale del mercato interno. Nei nostri paesi il livello della tutela dei consumatori è un riferimento importante per misurare l’efficacia del nostro lavoro.

Diverse commissioni hanno presentato il loro parere. La commissione per i bilanci ha il compito di esaminare e di valutare il rendiconto finanziario della strategia per la politica dei consumatori. Pur approvando la comunicazione della Commissione, abbiamo proposto una serie di aggiustamenti normativi alla commissione competente. Inoltre deprechiamo il fatto che non sia ancora stato compiuto alcun tentativo per valutare o quantificare gli effetti che le misure oggi proposte nella strategia potranno avere sulle nostre finanze o sul bilancio.

La commissione per i bilanci inoltre rileva che, se le misure previste dalla strategia saranno incorporate nella proposta di un nuovo quadro legislativo che vada oltre il 2006, dovranno essere confermati i finanziamenti sia mediante accordo su nuove prospettive finanziarie o attraverso deliberazioni annuali di bilancio. Spero pertanto che ci sia ancora sufficiente tempo per apportare i necessari aggiustamenti o affinché gli emendamenti proposti possano modificare l’attuazione pratica.

 
  
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  Radwan (PPE-DE), relatore per parere della commissione per gli affari economici e monetari. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, sono lieto che oggi si discuta di questo tema importante, in quanto il Vertice di primavera è ormai imminente; si tratta dell’occasione in cui, a scadenza triennale, possiamo ripensare al modo in cui far diventare l’Europa la regione più competitiva e più innovativa del mondo.

Non sussistono dubbi sull’importanza del tema della tutela dei consumatori. Dobbiamo invece trovare un modo per metterla in pratica. Faccio appello al rigore della Commissione dicendo che sono però fermamente convinto che la tutela dei consumatori non sia contraria ai suddetti principi. Da un lato, ad esempio, stiamo perseguendo l’obiettivo di ridurre la burocrazia in Europa. Ho l’impressione, tuttavia, che stiamo creando ancora più burocrazia, allontanandoci quindi ancor più dall’obiettivo prefissato.

Desidero inoltre approfittare della discussione per parlare dell’immagine che abbiamo dei consumatori e dell’opinione pubblica. Credo molto nella trasparenza nell’ambito della tutela dei consumatori – ovvero devono essere date ai consumatori tutte le informazioni di cui necessitano – ma la politica non deve progressivamente privare i cittadini dei loro diritti e delle loro responsabilità. Mi riferisco ad un esempio specifico in un settore a cui ho lavorato, ossia la direttiva sul credito ai consumatori; in questo caso, in un modo che non condivido pienamente, la Commissione sta abbandonando il principio dell’armonizzazione minima e del riconoscimento reciproco a favore della massima armonizzazione. In tal modo arriva, ad esempio, ad imporre l’inversione dell’onore della prova per le banche, che non dovranno più controllare con il massimo rigore la capacità del creditore di rimborsare il prestito.

Inutile dire che effettuare determinati controlli va a vantaggio di tutti coloro che concedono credito e di coloro che conducono operazioni di leasing, ma alla fine c’è sempre il discorso della responsabilità individuale. In ultima analisi, se vogliamo diventare la regione più competitiva del mondo, è nostro interesse comprendere le forze cui diamo spazio in ambito economico e tra PMI.

Per questo motivo sono lieto che la commissione per gli affari economici e monetari abbia avuto la possibilità di apportare un contributo sotto forma di pareri che possono essere leggermente critici, ma non per questo meno importanti. Sono inoltre lieto che la Commissione in futuro sarà unita nella linea da seguire per conseguire questo obiettivo.

(Applausi)

 
  
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  Thyssen (PPE-DE), relatore per parere della commissione giuridica e per il mercato interno. – (NL) Signor Presidente, sarò breve; innanzitutto desidero ringraziare l’onorevole Whitehead. La commissione giuridica e per il mercato interno ha fatto del proprio meglio per concentrarsi sugli aspetti giuridici del documento strategico sulla politica per i consumatori e l’onorevole Whitehead insieme agli altri membri della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la politica per i consumatori evidentemente lo hanno apprezzato, in quanto vedo che quasi tutti i punti del nostro parere sono stati integrati nella relazione. Pertanto posso solo esprimere la mia gratitudine.

Mi rimane solo da rispondere al commento o alla questione a cui poc’anzi ha fatto riferimento l’onorevole Whitehead in merito al paragrafo 15 della sua risoluzione che si basa su un paragrafo originale della mia relazione. Il paragrafo 15 attiene al diritto privato internazionale. Nel mio parere si afferma che quando nella legislazione per la tutela dei consumatori emergono questioni di diritto privato internazionale, dovremmo far riferimento all’articolo 95 che riguarda il mercato interno. La commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la politica per i consumatori ha aggiunto l’articolo 153 e per quanto mi riguarda non ho obiezioni. Non penso che possano sorgere particolari problemi in merito, onorevole Whitehead. Forse c’è solo un problema di traduzione e non un punto di discordanza. Spero che il mio chiarimento sia stato esauriente. Sarò lieta di restituire mezzo minuto al Presidente per scusarmi di aver ora ecceduto il tempo di parola.

 
  
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  Oomen-Ruijten (PPE-DE), relatore per parere della commissione per i diritti della donna e le pari opportunità.(NL) Signor Presidente, parlerò a nome della commissione per i diritti della donna e le pari opportunità per due minuti e dedicherò il resto del tempo alle relazioni delle onorevoli Patrie e Thyssen. E’ per me un piacere, signor Presidente, cominciare con la strategia per la politica dei consumatori e reagire a quanto scritto dall’onorevole Whitehead.

In quanto relatrice della commissione per i diritti della donna e le pari opportunità, sono grata all’onorevole Whitehead per aver incluso molti dei nostri emendamenti nella sua relazione che come sempre, mi sia consentito dire, è minuziosa. La commissione per i diritti della donna e le pari opportunità vuole che i gruppi vulnerabili siano strettamente coinvolti nella politica dei consumatori e credo che questo sia espresso molto bene. Occorre prestare particolare attenzione ai consumatori e alle loro organizzazioni nei paesi candidati, in quanto riteniamo che il mercato interno possa funzionare al meglio solo quando le parti attive nel mercato si trovano sullo stesso piano. Ciò significa provvedere affinché il consumatore possa operare scelte ponderate.

Le organizzazioni di consumatori nei paesi candidati non sono ancora perfettamente equipaggiate, mi si passi l’espressione, per svolgere il ruolo di rappresentanti dei consumatori. E’ dunque giustificata l’esigenza di prestare particolare attenzione al problema, come da noi spesso richiesto. Nei punti principali della strategia 2002-2006 ritrovo quindi un alto livello di protezione dei consumatori, un efficace potenziamento degli attuali regolamenti e un ruolo per le organizzazioni dei consumatori, come ho già rammentato nello specifico.

Signor Presidente, passo ora al Libro verde, la cui finalità è arrivare alla direttiva quadro sulla politica dei consumatori. Personalmente sarei a favore di una simile direttiva quadro, se venissero soddisfatte varie condizioni. La legislazione attuale è troppo frammentaria e una direttiva quadro potrebbe dunque aiutare a chiarire la situazione. Penso sia un’ottima cosa che in una direttiva quadro vengano raggruppati elementi quali le informazioni necessarie per operare una scelta prima della vendita di un prodotto o servizio, la vendita stessa, il servizio di assistenza postvendita, le procedure di denuncia e l’accesso alla giustizia. Le pratiche commerciali sleali devono essere un punto di partenza e quindi la relazione Thyssen mi soddisfa pienamente.

Le norme di questa direttiva quadro non possono e non devono andare ad aggiungersi all’attuale selva di regolamenti, perché ciò renderebbe il tutto ancor più confuso non solo per i consumatori, ma anche per il commercio. Sostengo con forza che, nel presentare la direttiva quadro, si debbano contestualmente revocare le varie direttive verticali, di cui un ottimo esempio è la direttiva quadro sulle risorse idriche. In tal senso riteniamo che la direttiva quadro possa risolvere qualche problema. A nostro avviso, con questo genere di ambito orizzontale è importante, sia per i consumatori che per il commercio, che gli stessi obblighi si applichino in tutta Europa; ciò mette le cose in chiaro e assicura specie alle piccole imprese maggiori opportunità di trarre beneficio dal mercato interno.

Signor Presidente, vorrei aggiungere che la direttiva quadro dovrebbe presupporre un livello elevato di protezione dei consumatori, sempre basandosi sul principio della massima armonizzazione, ma garantendo un alto grado di tutela. Giudico ciò necessario, perché in caso contrario continuerebbe a regnare la confusione. Vogliamo un mercato interno che funzioni bene con ottimi servizi in tutta Europa; vogliamo che vengano assicurati ottimi servizi e che tutti sappiano esattamente quali sono le condizioni. In tal senso possiamo votare a favore della direttiva quadro. Auspico anche che ci sarà sostegno agli emendamenti alla relazione Patrie, che sono stati presentati dal nostro gruppo e che speriamo allineino il testo con la relazione Thyssen; penso che questo ci aiuti a tracciare una chiara linea di demarcazione. Auguro buona fortuna ai servizi della Commissione, chiedendo loro di coinvolgere sia noi che le parti interessate nell’elaborazione della nuova normativa.

 
  
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  Bushill-Matthews (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, mi compiaccio che stamattina si discutano tre notevoli relazioni sulla protezione dei consumatori, che abbracciano i lavori di diverse commissioni. Ciò mi sembra giusto e appropriato: le questioni relative alla politica dei consumatori non dovrebbero essere prerogativa di una sola commissione, ma risultare fondamentali per tutto il nostro operato.

I commenti che formulerò, pur avendo chiare implicazioni anche per le altre relazioni, si limiteranno in sostanza alla relazione Whitehead. Adam Smith sosteneva che il solo e unico scopo di ogni attività economica fosse il consumo. Il consumatore è sovrano e noi in Parlamento – e anche in Commissione – faremmo bene a ricordarcelo.

La relazione della Commissione “Strategia della politica dei consumatori 2002-2006” e la relazione Whitehead sono entrambe passi assai positivi in questa direzione. Non sono uno di quelli che si complimenta automaticamente con ogni relatore soprattutto, oserei dire, se appartiene al gruppo del PSE; tuttavia, in questa particolare circostanza sono felice di esprimere il mio plauso e il mio appoggio incondizionato al relatore per l’ottimo lavoro svolto.

Con la sua consueta modestia ha anche affermato che gli emendamenti di altri gruppi e colleghi hanno migliorato la sua relazione ed ha accolto le modifiche suggerite da un gran numero di colleghi di diversi schieramenti politici e di altre commissioni. Gli sono grato per aver accolto prontamente alcuni dei miei emendamenti, come quelli relativi al fatto che il filone principale della politica dei consumatori deve essere la massimizzazione della scelta del consumatore, che il completamento del mercato unico è quindi una priorità per i consumatori e non soltanto per le imprese, che la direttiva sui viaggi “tutto compreso” andrebbe considerata come una priorità ai fini di una revisione, e che i paesi che ignorano deliberatamente le norme sulla protezione dei consumatori dovrebbero essere sanzionati in modo più rapido e deciso.

Vorrei inoltre richiamare l’attenzione su tutta una serie di paragrafi – a partire dal paragrafo 5 – relativi all’obiettivo 1, cioè un livello elevato di protezione dei consumatori. In quella sezione il relatore esprime preoccupazione circa la proposta di passare da un’armonizzazione minima a misure di piena armonizzazione – un punto ripreso anche dagli onorevoli Thyssen e Radwan di altre due commissioni. Concordo pienamente nel dire che ciò andrebbe fatto caso per caso, come egli giustamente esplicita nel paragrafo 13 concernente i principi di sussidiarietà, necessità e proporzionalità. Spero che la Commissione faccia suoi questi punti.

Apprezzo in particolare il fatto che la relazione non contenga solo buone intenzioni, ma solleciti anche passi pratici, concreti e intelligenti al fine di assicurare una migliore protezione ai consumatori in tutta l’Unione europea. Spero che la Commissione mi consenta di richiamare l’attenzione anche sul paragrafo 44 riguardante i pericoli del fumo passivo, sebbene possa sorprendere che ciò compaia nella relazione in questione. E’ un diritto fondamentale dei consumatori poter respirare aria pulita. Mi auguro che, assieme ai questori, egli svolga personalmente il suo ruolo nel garantire questo diritto.

Infine mi aspetto che, nella votazione di stamani, la relazione Whitehead riceva un sostegno rilevante – un esito indubbiamente ben meritato. Spero che verrà accolta con altrettanto entusiasmo dalla Commissione e dall’intero Consiglio. Il consumatore deve regnare sempre e ovunque: lunga vita al sovrano!

 
  
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  Corbey (PSE).(NL) Signor Commissario, onorevoli colleghi, come si è detto, i consumatori sono una delle ragioni per cui esiste l’Unione europea. La possibilità di avere prodotti migliori e più convenienti e con più scelta è la molla principale del mercato interno. Ciò non è ancora stato pienamente riconosciuto ai consumatori e certi loro diritti si fermano ai confini nazionali. Ecco perché accolgo con grande favore un’iniziativa generale ed una direttiva quadro per la politica dei consumatori. Inoltre sostengo e mi congratulo con i relatori Whitehead, Patrie e Thyssen.

Vorrei porre l’accento su quattro punti. Il primo riguarda le pratiche commerciali leali, che costituiscono una norma assolutamente fondamentale da applicare in tutta Europa. In quest’intento le normative europee non devono poter sminuire le conquiste nazionali. Servono dunque informazioni sui diritti e ulteriori codici di condotta.

Il mio secondo punto riguarda il diritto all’informazione. Sono infatti cruciali le informazioni sui prodotti e sui metodi di produzione. Certo non tutti i consumatori si recheranno in fabbrica per conoscere i metodi produttivi. Le ricerche dimostrano che solo il 10 per cento dei consumatori è interessato, ma quel 10 per cento indica una tendenza, specie quando sostenuto da forti organizzazioni dei consumatori. Quel 10 per cento ha garantito, ad esempio, che si prestasse maggiore attenzione al benessere degli animali nel settore agricolo o alle condizioni di lavoro nel comparto tessile, e quel 10 per cento contribuirà anche a indirizzare la globalizzazione verso una direzione accettabile.

In terzo luogo, si deve dare voce ai consumatori, sostenerne le organizzazioni specie nei paesi candidati e cercare nuovi modi per rendere meno anonimi i consumatori. Si devono inoltre sperimentare forum pubblici, ove i consumatori possano lanciare idee sullo sviluppo di nuovi metodi e tecniche di produzione.

La mia ultima considerazione riguarda la responsabilità politica. Una forte politica dei consumatori deve naturalmente contribuire allo sviluppo di una situazione in cui i consumatori siano la pietra di paragone della politica europea che spazia dei prodotti chimici al commercio elettronico.

Molto si fa nel nome del consumatore europeo. Si suppone che la liberalizzazione dei servizi pubblici assicuri ai consumatori servizi migliori e più convenienti. Sembra fantastico, ma che cosa si è conseguito realmente? In tutta Europa i passeggeri si lamentano perché la qualità dei trasporti pubblici peggiora e i prezzi della telefonia sono oscuri e confusi; alla fin fine ben pochi consumatori si sono messi in coda per scegliere tra i fornitori di elettricità. Che cosa hanno reso al consumatore i primi dieci anni di mercato unico o l’introduzione dell’euro, tanto per fare due esempi? Si supponeva che l’euro avrebbe reso tutto più conveniente, mentre sappiamo che la nuova moneta ha causato forti aumenti dei prezzi. Naturalmente le cose si possono volgere contro di noi e i consumatori lo sanno bene. Ma se la liberalizzazione, l’euro e il mercato unico non sortiscono l’effetto voluto, a chi possono ricorrere i consumatori? Possono forse rivolgersi alla politica europea, ai governi nazionali, al commercio e all’industria o a nessuno di questi?

I consumatori hanno diritti, ma devono poter disporre dei mezzi di ricorso politico. In altre parole, dobbiamo smetterla di fare vaghe promesse ai consumatori. Gli obiettivi per i consumatori devono essere precisi e concreti e ci deve essere chiarezza su chi ha la responsabilità politica. Vi ringrazio.

 
  
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  Maaten (ELDR).(NL) Signor Presidente, stiamo qui discutendo di tre importanti relazioni. E’ vero che non sono ancora legge, ma attendo con interesse di vedere le normative che scaturiranno da queste relazioni. Lo affermo con molta sicurezza, perché anche a tale proposito abbiamo fiducia nel Commissario. Sono curioso di sapere se ci potrà indicare quanto tempo ci vorrà prima di poter vedere le varie proposte legislative.

La sfida consiste nel coordinare adeguatamente la politica dei consumatori e il completamento del mercato interno. Non si deve permettere di usare la politica dei consumatori come scusa per erigere barriere commerciali. Penso che parlino da sé le cifre forniteci poc’anzi dal Commissario sui vantaggi che noi tutti possiamo trarre dall’armonizzazione.

I consumatori traggono beneficio dal libero scambio in quanto possono comprare prodotti migliori e più convenienti, mentre noi dobbiamo assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori. La fiducia è il motore della crescita economica: i consumatori devono avere fiducia nei prodotti o non li compreranno. L’industria deve aver fiducia nel mercato interno e i consumatori devono avere fiducia nei fornitori; possiamo prendere due piccioni con una fava. Dobbiamo adoperarci per far sì che non ci sia più alcuna differenza per il consumatore che sceglie di comprare un prodotto nei Paesi Bassi piuttosto che in Grecia, ma non sarà facile.

I consumatori spesso non conoscono i propri diritti e le organizzazioni dei consumatori li possono aiutare in questo senso; le riviste per i consumatori hanno un’ampia diffusione e contengono suggerimenti utili. La gente ha molta fiducia in queste organizzazioni. Ritengo quindi – e mi compiaccio che anche il Commissario stia lavorando a tal fine – che l’Unione europea debba coinvolgere direttamente queste organizzazioni nei lavori preparatori per la politica futura.

Le pratiche commerciali sleali, inoltre, minano la fiducia nel mercato: un rivenditore d’auto disonesto rovina il mercato dei suoi concorrenti. Il problema dei commercianti disonesti va affrontato con vigore; ecco perché è positivo che si sia scelto di adottare un approccio europeo per far fronte alle pratiche commerciali indesiderabili. Naturalmente dobbiamo fare chiarezza sul significato di pratica commerciale indesiderabile. Per me non si tratta soltanto di approfittare della vulnerabilità fisica o mentale o di esercitare pressioni fisiche o morali, ma si deve comprendere anche un comportamento ostruzionista – ad esempio, il tentativo di ostacolare i consumatori che desiderino cambiare il proprio prestatore di servizi. Solo quando si può passare facilmente da un fornitore all’altro si può avere una concorrenza ottimale che si traduce in prezzi inferiori e migliore qualità. Pensate a cosa succede quando volete cambiare banca: vi rendono la vita difficile e vi impediscono di mantenere lo stesso numero di conto. Credo che queste siano barriere artificiose.

Infine, signor Presidente, ritengo che la Commissione dovrebbe ricorrere più spesso all’articolo 153 del Trattato quale base giuridica per la protezione dei consumatori. Non per niente abbiamo creato quest’articolo, che favorisce sia i consumatori che il mercato interno.

 
  
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  Caudron (GUE/NGL).(FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, nel prendere stamani la parola, a nome del mio gruppo, nel dibattito sui consumatori e la protezione dei consumatori, come molti miei colleghi vorrei ribadire ancora una volta che, malgrado si possano sottoscrivere gli obiettivi fissati dalla Commissione europea in questo campo, come ad esempio un alto livello di protezione, un’applicazione efficace delle norme ed una partecipazione attiva delle organizzazioni dei consumatori, occorre sempre segnalare come le proposte avanzate sinora siano troppo vaghe e non sufficientemente specifiche.

Ecco perché sono pienamente d’accordo sulle proposte presentate dagli onorevoli Whitehead e Patrie, soprattutto in merito a sicurezza, trasporti, sostanze chimiche, commercio elettronico e accesso a informazioni preventive in ogni caso, al fine di consentire, ove necessario, l’attivazione di meccanismi idonei ed efficaci di difesa e ricorso. Vorrei menzionare specificamente la visibilità dell’etichetta ecologica e, in particolare, l’esigenza di avere informazioni estremamente esaustive sugli OGM che, come tutti sapete, sono per noi motivo di contenzioso. Desidero infine sottolineare l’urgenza di applicare la direttiva sui giocattoli e di controllare il marchio CE.

Essendo stato relatore alcuni anni fa proprio su queste problematiche, so che la direttiva giocattoli va riesaminata con urgenza e che, a causa di controlli insufficienti, in molti casi il marchio CE è stato svuotato del suo significato. Ho più volte scritto alla Commissione in proposito e mi rammarica dover dire di non avere ricevuto una risposta soddisfacente. Tra parentesi, a questo punto della discussione sulla protezione dei consumatori e la relativa politica, vorrei chiaramente esprimere due preoccupazioni che si traducono in altrettante critiche fondamentali. Il mio primo timore è che, a prescindere dai vantaggi, le politiche per la protezione dei consumatori siano legate troppo strettamente e siano quindi troppo dipendenti dall’obiettivo della creazione accelerata del mercato unico. Solo di rado queste politiche sono esse stesse un obiettivo e anzi tendono ad essere, in grande misura, il frutto della libera concorrenza. La mia seconda preoccupazione è che queste politiche siano spesso, per non dire sempre, un semplice pretesto per cancellare, soffocare o addirittura abolire il concetto di servizio pubblico, che è invece assai più ampio della nozione di protezione dei consumatori in quanto si esplica nel lungo termine e comprende la solidarietà e la gestione del territorio, specie attraverso le condizioni di fissazione dei prezzi e di accesso. In alcuni paesi e presso taluni gruppi politici i più grandi fautori della protezione dei consumatori sono spesso coloro che arrecano più danno ai servizi pubblici operando nel nome della libera concorrenza e del predominio del settore privato.

Pertanto stamani, pur apprezzando gli sforzi della Commissione europea e sostenendo le proposte dei nostri relatori, ho voluto segnalare le differenze o addirittura le divergenze di fondo.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. PACHECO PEREIRA
Vicepresidente

 
  
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  Rod (Verts/ALE).(FR) Signor Presidente, il Libro verde elaborato dalla Commissione e le relazioni presentate stamattina vanno nella giusta direzione. Infatti dovremmo fissare senza indugio tutti quegli elementi che garantiscono un elevato livello di protezione ai consumatori, i quali devono essere certi che i loro diritti sono rispettati ovunque in modo totale ed equivalente. Al fine di conseguire questo elevato livello di protezione, è dunque vitale coinvolgere le organizzazioni rappresentative dei consumatori nel redigere le politiche sia comunitarie che internazionali.

Poiché si stanno realizzando alcuni cambiamenti significativi nell’ambito del commercio, è essenziale consultare i nostri cittadini, i quali devono poter partecipare ai dibattiti e influire sulle decisioni che li interessano direttamente. I consumatori devono svolgere un ruolo attivo attraverso i consumi; non si tratta più di consumare in modo inconsapevole, ma di operare scelte informate. I consumatori devono quindi essere protetti, ma anche essere informati. A tale scopo devono poter avere accesso a tutte le informazioni che ritengano essenziali, avendo ad esempio la possibilità di conoscere i processi produttivi, comprese le condizioni di lavoro dei dipendenti. I logo, stabiliti a livello comunitario e relativi al commercio equo o alle imprese che rispettano una carta sociale, sono quindi strumenti preziosi ed efficaci tanto quanto i marchi dell’agricoltura biologica.

Se vogliamo un commercio equo ed etico, dobbiamo ribadire la nostra preferenza per prodotti di qualità – nei settori più disparati come il caffè o i giocattoli – che non mettano a repentaglio la dignità umana e che rispettino tutti i criteri del principio di precauzione. In questo contesto la tracciabilità degli OGM sembra essere ancora una volta uno dei fattori fondamentali. In particolare non dobbiamo permettere che cresca la fiducia dei consumatori negli OGM, come invece implicherebbero taluni emendamenti. Al contrario, è nostro dovere tutelare i consumatori e fornire loro informazioni accurate ed esaustive che consentano di operare scelte pienamente informate, cioè quelle che a loro avviso sono decisioni giuste per sé e per i propri figli. Dovremmo anche porre l’accento sulla partecipazione dei cittadini nello stabilire un modello sostenibile di società. Non dobbiamo ridurre i cittadini a semplici consumatori; i cittadini devono invece fare la propria parte nell’individuare i propri bisogni affinché la società stessa scelga di svilupparsi in un modo corrispondente a tali bisogni.

 
  
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  Nobilia (UEN). – Signor Presidente, nelle relazioni degli onorevoli Patrie, Thyssen e Whitehead, per quanto diverse, si rileva una comune vena di disappunto, che – se esiste veramente – si condivide, insieme al contenuto del loro stesso lavoro. Sono incontestabili, infatti, le affermazioni della Commissione circa la compromissione del funzionamento del mercato interno, a causa della frammentazione delle norme europee e di quelle nazionali; come, del resto, lo è il fatto che la mancanza di fiducia di molti consumatori, ad esempio negli scambi commerciali transnazionali, sia motivata dalle divergenze giuridiche e, forse ancor più, dalla scarsa conoscenza delle tutele. Diviene, pertanto, parimenti incontestabile l’esigenza di un quadro giuridico semplice ed omogeneo, costituito solo da norme essenziali, applicabili a prescindere dalla natura dello scambio commerciale, che esplichino la tutela per tutto il suo svolgimento, incluse le relazioni postcontrattuali e postvendita.

Abbiamo, quindi, plaudito all’indirizzo dichiarato dalla Commissione circa l’esigenza di un approccio globale al problema, da un lato teso a definire obblighi, a cominciare da un comportamento commerciale leale, e, dall’altro, fondato su criteri obiettivi, per evitare differenti interpretazioni da parte degli Stati membri. Ma se tutto quanto sopra ha un senso, non si può non rilevare, a volte, da parte della stessa Commissione, un comportamento eterogeneo: innanzitutto un’eccessiva diluizione dei tempi con i quali si sta affrontando il problema, ma non solo. Il Libro verde sulla tutela dei consumatori del 2001, ad esempio, ha dato il via, com’è noto, ad una stagione di ampie consultazioni e a un prezioso dibattito sul futuro del diritto comunitario dei consumatori. Eppure, senza che fosse intervenuto esito, abbiamo assistito, nel frattempo, alla proposta di regolamento relativa alla promozione delle vendite nel mercato interno che, da un lato, denota una scarsa attenzione al punto di vista dello stesso Parlamento europeo sull’approccio globale e, dall’altro, dà la paradossale impressione che si preferisca continuare a seguire percorsi settoriali

Ancora: mal si conciliano con quanto auspicato i differenti approcci a questioni, tutto sommato, simili, come – ad ulteriore esempio – quello dell’etichettatura dove, a distanza di pochi mesi, viene disciplinata in maniera difforme la presenza di eguali sostanze. Si crede che a nulla valga obiettare sul diverso uso dei preparati avendo come riferimento ultimo quello della salute umana: è il caso recente dei cosmetici e dei detergenti.

Ciò che si crede, per rimanere ancora un attimo in questo ambito, è che i consumatori abbiano la necessità di conoscere i prodotti utilizzati, ma anche che, per far questo, abbiano la necessità di un’informazione fruibile, che possa cioè porli in grado di effettuare scelte, anche “politiche”, in via diretta. E ciò senza nulla togliere, anzi con il massimo apprezzamento, all’opera importante dell’organizzazione di tutela dei consumatori.

Comunque, se il principio è quello di perseguire un elevato livello di tutela, mirando nel contempo ad un’accettabile armonizzazione delle norme nel mercato interno, due appaiono le vie da seguire, l’una consequenziale all’altra: la prima è quella citata dal collega Whitehead nel considerare più opportuna un’analisi caso per caso, per stabilire se, nell’emendare la legislazione esistente o nello stenderne una nuova, siano più indicate misure di armonizzazione minima o massima; una volta stabilito questo, l’altra via riguarda il corretto recepimento e l’applicazione pratica della legislazione comunitaria da parte degli Stati membri. E qui, nuovamente, la Commissione ha un ruolo determinante, se è vero che, sul piano generale, solo cinque Stati hanno finora rispettato gli obiettivi stabiliti dal Consiglio europeo di Barcellona sui tassi di applicazione.

 
  
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  Bernié (EDD).(FR) Signor Presidente, oltre alla tutela giuridica dei consumatori, stiamo affrontando un ampio e ambizioso progetto che dovrà portare ad un livello elevato di protezione. Tale livello non implica necessariamente una protezione uniforme. Crediamo sia infatti essenziale rispettare i principi di sussidiarietà, necessità e proporzionalità.

Personalmente sono a favore di un’armonizzazione minima, che lasci ciascuno Stato membro libero di stabilire la normativa che più si confà al suo modo di gestire la questione. Sostengo anche il concetto di un uso sistematico dell’articolo 151, paragrafo 3 del Trattato, che dovrebbe diventare l’unica base giuridica per legiferare. Dobbiamo smettere di usare sistematicamente l’articolo 95, che riguarda soltanto il mercato unico. Uno dei nostri principali requisiti è garantire a tutti i cittadini un accesso universale e economicamente abbordabile ai servizi di alta qualità. Dobbiamo pretendere che l’OMC non smantelli i servizi pubblici. Analogamente concordo sul fatto che l’etichetta dell’OMC sia uno strumento per dare informazioni sull’origine e sui metodi di produzione. D’altro canto ho una riserva sulla creazione di un centro europeo dei consumatori, che rappresenterebbe un doppione rispetto al ruolo delle organizzazioni nazionali, le quali sono efficaci e possono trarre beneficio dall’attività in rete.

Mi preoccupano anche i contenuti della relazione Thyssen: non mi sembra realistico chiedere alla Commissione una valutazione d’impatto in merito alla possibilità dell’armonizzazione massima. Nel contempo occorre stabilire un nesso tra la protezione dei consumatori e la regolamentazione della promozione delle vendite. Relativamente alla fissazione di codici di condotta, l’idea espressa nella formulazione attuale non mi sembra essere un’ipotesi da approfondire. Quali sarebbero le basi per la legittimità di un siffatto codice di condotta? Come potremmo garantirne la continuità? Tutte queste domande stanno ad indicare che non è questa la via giusta da seguire.

 
  
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  Ilgenfritz (NI).(DE) Signor Presidente, è logico che il nostro intento sia proteggere i consumatori dalle pratiche commerciali sleali, in quanto è così che si instaura un clima di fiducia. Nel fare ciò non dobbiamo però oltrepassare il limite proteggendo i consumatori da loro stessi e dichiarandoli incapaci di gestire i propri interessi. Prova ne sia la direttiva sul credito al consumo. Tenendo presente tutto questo dovremmo sostenere qualsiasi misura volta a promuovere le vendite e il completamento del mercato interno. Mai e poi mai ci dovranno essere più lungaggini burocratiche a legare le mani alle aziende, in quanto sarebbero proprio le piccole e medie imprese a restarne invischiate. Dobbiamo fare nostro l’obiettivo di creare più fiducia evitando nel contempo di accrescere la burocrazia.

 
  
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  Presidente. – La ringrazio, onorevole Ilgenfritz. C’è una richiesta di parola per un richiamo al Regolamento da parte di un collega che regge di fronte a sé un cartello, nonostante l’Ufficio di presidenza gli abbia già chiesto di toglierlo. Si tratta di dimostrare rispetto all’Ufficio di presidenza e agli onorevoli colleghi, fatto questo che dovrebbe avere la precedenza su qualsiasi richiesta di parola.

L’Ufficio di presidenza ha già chiesto al collega di togliere il cartello. In quest’Aula c’è la consuetudine di rimuovere eventuali cartelli non appena l’Ufficio di presidenza ne faccia richiesta, e questo come segno di rispetto nei confronti della Presidenza e dell’Aula. Se l’onorevole collega desidera fare un richiamo al Regolamento – unica possibilità consentita dal Regolamento stesso – deve prima dimostrare rispetto per l’Ufficio di presidenza e per l’Aula togliendo il cartello che tiene di fronte a sé.

 
  
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  Gorostiaga Atxalandabaso (NI).(EN) Signor Presidente, in questo preciso istante in tutti i Paesi baschi si stanno svolgendo manifestazioni…

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Presidente. – Onorevole Gorostiaga, si suppone che la sua sia una richiesta concernente l’ordine del giorno. L’Ufficio di presidenza non ammette alcun tipo d’intervento che non sia un richiamo al Regolamento.

 
  
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  Grossetête (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, ritengo che oggi dovremmo esprimere apprezzamento per questo dibattito sul Libro verde e sulla strategia propostaci dalla Commissione sulla politica dei consumatori in quanto, con l’allargamento e la conseguente estensione del mercato interno, è chiaramente importante migliorare l’armonizzazione del diritto comunitario concernente i consumatori. Siamo anche consapevoli del ruolo svolto dal consumismo nell’economia; lo sa il cielo quanto ne abbiamo bisogno in questo momento!

Gli studi condotti hanno però dimostrato che, al di fuori delle zone di confine, i consumatori europei non sanno come fare uso dei vantaggi offerti dall’Unione europea. Le ragioni sono semplici: i consumatori non hanno fiducia, non hanno sempre accesso alle informazioni pertinenti sui prodotti e sui servizi, non hanno sempre modo di accertare la qualità dei prodotti o la base di riferimento dei prezzi e, specialmente nel caso di una vertenza, non sanno quale sia l’autorità competente. Ciò significa quindi che i consumatori, pur essendo perfettamente preparati per agire in modo responsabile e rispettare le ecoetichette e cose del genere, non traggono beneficio dalle possibilità offerte dall’Europa e hanno bisogno di informazioni e nozioni.

Per rimediare alla situazione, occorre armonizzare la legislazione e stabilire veri e propri diritti dei consumatori europei, pur continuando a garantire la flessibilità necessaria ai fini dell’applicazione negli Stati membri. Siamo dunque a favore di migliori informazioni, che dovrebbero risultare chiare ed essere scritte nella lingua madre dei consumatori, permettendo loro di operare scelte pienamente informate. Sviluppare una strategia quadro per i consumatori significa anche garantirne la protezione giuridica, mettere fine alle dispute relative alle pratiche sleali attuate dalle imprese e proteggere le aziende stesse.

Siamo quindi d’accordo su un elevato livello di protezione dei consumatori e di trasparenza che possono essere assicurati dalle associazioni. Ci aspettiamo molto dalla Commissione; possiamo garantirle, signor Commissario, che seguiremo le sue mosse per assicurarci che la politica dei consumatori venga effettivamente attuata.

 
  
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  McCarthy (PSE).(EN) Signor Presidente, nel mondo di oggi è chiaro che i consumatori sono meglio informati e più esigenti. Hanno aspettative maggiori e non cercano sempre il prezzo più conveniente; vogliono qualità e servizi di assistenza postvendita e desiderano avere certezze sui loro diritti e sui mezzi di ricorso per essere risarciti.

In un mondo ideale le imprese responsabili dovrebbero rispondere alle esigenze dei consumatori. Secondo alcuni, la stragrande maggioranza delle imprese già lo fa; se fosse così, non ci sarebbe bisogno di legiferare. Dobbiamo invece proteggere i consumatori dalle canaglie che adottano pratiche poco oneste e dai mercanti privi di scrupoli. Il dilemma cui fanno fronte i legislatori è come elaborare leggi efficaci che proteggano i consumatori, pur consentendo alle aziende di prosperare in un ambiente dinamico e competitivo.

L’attuale dibattito sulla responsabilità sociale delle imprese offre loro l’opportunità di migliorare la protezione dei consumatori facendone un modello aziendale e un capitale, nonché di acquisire un margine concorrenziale e di trarne un profitto, pur assicurando un valore aggiunto ai consumatori.

Se vogliamo far funzionare il mercato unico, abbiamo bisogno di misure di accompagnamento per promuovere la fiducia dei consumatori specialmente negli acquisti transfrontalieri, mentre sappiamo che nello shopping online i consumatori tendono ancora ad acquistare sul proprio mercato nazionale.

Nell’introdurre una clausola generale sul commercio leale, il livello di dettaglio della direttiva sarà di vitale importanza, se vogliamo che essa vada a beneficio dei consumatori e non venga vista dalle imprese come ulteriori formalità e burocrazia. Occorre una normativa semplice e meglio mirata, che sia più agevole da applicare. Come lei sa, signor Commissario, il concetto di equità varia da Stato a Stato a seconda del diverso sistema giuridico. Nei paesi ove è in vigore una clausola generale, sappiamo che essa viene applicata in modo diverso. Ciò ci pone di fronte alla sfida di trovare un approccio comune. So che lei, in quanto giurista esperto, si è impegnato ad assicurare la certezza giuridica sia alle imprese che ai consumatori. Dobbiamo assicurare che l’impatto di qualunque direttiva futura non sgretoli, ma piuttosto consolidi il mercato interno, mentre gli Stati membri interpretano, attuano o applicano la direttiva in modo da renderla compatibile con il proprio approccio nazionale. I consumatori devono già confrontarsi con regolamenti applicati in modo frammentario.

Il messaggio di fondo è che i consumatori hanno bisogno di sapere quale risarcimento si possono aspettare qualora siano vittime di pratiche poco oneste o di fregature, mentre le imprese devono operare in un mondo competitivo. Le aziende devono avere le idee chiare circa gli standard e le pratiche cui devono aspirare se vogliono essere in grado di rispettare la direttiva. Personalmente preferisco l’adozione di misure severe contro le pratiche fuorvianti e ingannevoli, piuttosto che il tentativo di trovare una definizione comune di pratica commerciale leale.

Apprezzo la proposta della Commissione di stabilire codici di condotta e autoregolamentazione, non come opzione accomodante o come surrogato di normative, ma quale mezzo che ci consenta di rispondere rapidamente alle pratiche disoneste con cui non sempre la legge riesce a tenere il passo.

Come ha detto il Presidente Prodi, tutte le Istituzioni europee devono intensificare il proprio impegno nel semplificare i regolamenti al fine di ridurre il costo di fare impresa in Europa e di accrescere la certezza giuridica per i cittadini. Con la relazione Thyssen il Parlamento ha detto chiaramente di voler vedere un esauriente studio d’impatto in materia.

Signor Commissario, lei ha menzionato tre studi e ha enunciato chiaramente i vantaggi della direttiva, ma è stato meno preciso riguardo al costo potenziale della direttiva per le imprese. E’ importante spiegare alle aziende quali siano i loro obblighi e che cosa debbano fare per conseguire gli obiettivi di protezione dei consumatori.

 
  
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  Wallis (ELDR).(EN) Signor Presidente, vorrei concentrare le mie osservazioni sulla relazione Thyssen, molto apprezzabile, e complimentarmi con l’onorevole collega per il suo lavoro equilibrato. Conosciamo bene il dilemma che pone una relazione che deve tener conto degli interessi sia delle imprese che dei consumatori.

Abbiamo davanti a noi le idee ottime e innovative della Commissione – una politica complessiva e una direttiva quadro – di cui abbiamo bisogno se vogliamo far funzionare il mercato interno e trasformarlo in un successo. Per conseguire tutto ciò dobbiamo però instillare fiducia nei consumatori. Il punto che mi interessa si ritrova al paragrafo 17 della relazione, che sostengo in toto; riguarda il nesso tra codici di condotta, certezza giuridica e applicazione e come davvero fondere assieme questi concetti per proteggere i consumatori.

Quest’anno elaborerò una relazione sul monitoraggio del diritto comunitario e quindi nutro la profonda convinzione che, nell’optare per i codici di condotta, dovremo assicurarci di avere comunque la certezza giuridica e l’applicabilità o rischieremo di disperdere i guadagni del mercato interno.

Cercherò di spiegarmi con un esempio. Ieri ho ricevuto una lettera da un mio elettore che aveva acquistato una proprietà in un altro Stato membro. Qualcosa non aveva funzionato con la compravendita e una somma era stata erroneamente detratta dall’importo da lui versato. Nel presentare domanda all’organismo professionale competente, aveva scritto il testo nella sua lingua, cioè in inglese, ricevendo una risposta scritta in altra lingua in cui si affermava che il reclamo non poteva essere esaminato se non redatto nella lingua del paese della compravendita. Se davvero vogliamo fare affari assieme in tutta Europa, allora dobbiamo comportarci in modo giusto e ragionevole gli uni con gli altri. I codici di condotta vanno applicati in modo adeguato.

 
  
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  Fiebiger (GUE/NGL).(DE) Signor Presidente, nel prendere qualsiasi decisione sulla protezione dei consumatori si deve prestare la debita attenzione alle aspettative, alle speranze e ai timori di ben 425 milioni di consumatori nell’Unione allargata. Nei suoi atti legislativi il Parlamento ha il dovere di prendere in considerazione le complessità e i futuri effetti della protezione dei consumatori, nonché i rischi connessi.

Le relazioni sul futuro della politica europea in materia di protezione dei consumatori soddisfano queste esigenze, ma nel contempo esigono che si metta fine alla mancanza di disciplina nei rapporti con i consumatori. Molti ritengono che le norme in settori quali sicurezza alimentare, servizi, sanità e sicurezza abbiano già perso la propria innocenza morale rispetto agli sviluppi del mercato.

Per proteggere i consumatori sono estremamente necessarie sia le azioni volte a fermare, ad esempio, gli abusi nel campo delle telecomunicazioni, sia le riforme del diritto della concorrenza e nel campo dei servizi finanziari. La creazione di un diritto d’iniziativa a vantaggio dei consumatori rende imprescindibile trovare una collocazione permanente per la protezione dei consumatori nel sistema pubblico di informazione e consultazione, nonché per l’istruzione e soprattutto per maggiore informazione.

La protezione dei consumatori deve tutelare la gente contro le frodi, i rischi per la salute e le perdite finanziarie. Il principio di efficacia si applica alla protezione dei consumatori così come avviene per altri settori, ma non ci dovrà mai essere un guadagno in termini di efficienza che possa andare a scapito o a svantaggio dei consumatori. Mi associo quindi alla richiesta di limitare l’armonizzazione completa delle norme giuridiche solo a quelli che sono casi palesemente speciali, a patto che non si abusi di questo principio e che ci sia una deregolamentazione degli standard minimi.

 
  
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  Breyer (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, trovo che nel discorso pronunciato stamattina dal Commissario manchi un elemento essenziale, ovverosia la necessità di ripristinare un chiaro ordine di precedenza in base al quale il dibattito deve chiaramente vertere non solo sulla sicurezza e la protezione dei consumatori, ma anche sulla trasparenza. Ritengo che la componente trasparenza abbia svolto un ruolo troppo marginale nell’intero dibattito di stamani. Signor Commissario, la esorto specificamente a compiere un vero sforzo volto all’elaborazione di una direttiva sull’informazione dei consumatori, analoga alla direttiva sulla libertà d’accesso alle informazioni sull’ambiente. Se ci sono problemi, per esempio, ci deve essere un’effettiva divulgazione dei fatti permettendo a tutti di sapere quali aziende stiano causando i problemi. Dobbiamo usare questo strumento anche per introdurre incentivi e spingere gli imprenditori a pianificare in termini di sicurezza.

Abbiamo bisogno di tutto questo. La risoluzione del Parlamento contiene molte linee di impostazione da seguire ai fini di introdurre proprio una direttiva sull’informazione dei consumatori. Non basta semplicemente invocare una maggiore libertà di scelta o informazioni più adeguate; in proposito concordo con quanti hanno già criticato quest’idea. Non stiamo parlando di organizzare varie campagne a sostegno del settore dell’ingegneria genetica; quel che conta è redigere una direttiva sull’informazione dei consumatori, in cui si stabiliscano condizioni chiarissime non solo sul diritto dei consumatori all’informazione, ma anche sull’obbligo delle imprese di rivelare eventuali violazioni. Vorrei dunque esortarla con urgenza ad emanare la direttiva sui giocattoli con grande anticipo.

Non posso esimermi dal fare un ultimo commento alla luce dell’avvertimento lanciato dall’onorevole collega della commissione per i problemi economici e monetari relativamente alle norme per l’erogazione dei finanziamenti. Va da sé che sono a favore di un’armonizzazione minima ad alto livello, ma credo che, sin tanto che ci saranno gravi scandali come quello che in Germania ha coinvolto la Berliner Bank e i membri della CDU che hanno accettato donazioni illegali, permarrà l’effettiva esigenza di pensare a norme da applicare agli istituti di credito. E che nessuno mi venga a dire che la cosa è ovvia!

 
  
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  Blokland (EDD).(NL) Signor Presidente, nell’analizzare le tre relazioni sulla protezione dei consumatori, mi sono chiesto se non si tratti di qualcosa che è più affine alla promozione dei consumi. Il mercato interno è già un corollario del comandamento “consuma”. E’ chiaro che ora dobbiamo aggiungere il comandamento “consuma in tutta Europa”. Come avrà ben capito, signor Presidente, sono alquanto critico in proposito. Non possiamo negare il fatto che la lingua, le distanze e le differenze culturali siano le barriere più significative per i consumatori. Ma ciò viene completamente ignorato quanto si cerca la causa della mancanza di dimestichezza con i regolamenti in altri paesi dell’Unione europea. Come se ciò non bastasse, si presuppone che i consumatori abbiano familiarità con i regolamenti nei rispettivi Stati membri.

Se vogliamo investire nella fiducia dei consumatori, dobbiamo soprattutto investire nell’affidabilità di prodotti e servizi. Sono dell’avviso che i consumatori ben informati sappiano operare le proprie scelte. C’è bisogno di un equilibrio tra la protezione e la responsabilità propria del consumatore. Non credo sia necessario un quadro giuridico uniforme. Cominciamo anzitutto con gli standard minimi nei casi ove vi siano problemi reali. Sarebbe artificioso creare una normativa basata sull’articolo 153, in quanto è stato in pratica usato come base giuridica soltanto in un’occasione. Non mi preoccupa affatto fare discriminazioni tra gli articoli del Trattato semplicemente usandone alcuni meno di altri.

 
  
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  Borghezio (NI). – Presidente, la relazione Whitehead non mi convince completamente per alcuni aspetti, in quanto non riesco a condividere alcune delle priorità indicate nell’azione in difesa dei consumatori, mentre altre vengono, a mio giudizio, non sufficientemente sottolineate o, addirittura, non si trovano nei documenti sottoposti al nostro esame.

Io avanzerei, a tale riguardo, alcune proposte che mi paiono urgenti e necessarie per un’effettiva politica di tutela degli interessi diffusi dei consumatori: anzitutto, la necessità di istituire un osservatorio europeo sull’andamento dei prezzi al consumo e dei servizi pubblici nei vari Stati membri, per controllare entità e modalità degli aumenti, specialmente a far data dall’adozione dell’euro. Poi, per quanto riguarda il tema delicato dei servizi pubblici e dei servizi bancari ed assicurativi, mi pare assolutamente necessaria una linea indirizzata ad aprire i consigli di amministrazione delle società pubbliche che gestiscono tali servizi – agenzie che gestiscono il credito bancario, società assicurative e società di pubblici servizi – a un’adeguata rappresentazione degli interessi diffusi degli utenti. L’Unione europea adotti le misure necessarie per realizzare la partecipazione degli utenti consumatori alla gestione di quest’attività, se si vuole realizzare una vera democrazia economica.

Inoltre, mi sembrano non adeguate né sufficienti le proposte per la difesa, specie dei giovani, dai pericoli gravi del tabagismo. La diffusione del fenomeno, specialmente nelle fasce giovanili, si accompagna a dati crescenti, veramente spaventosi, sull’estensione geometrica dei casi di cancro polmonare, che impone all’Europa uno sforzo ben maggiore nelle azioni già programmate. E’ ora che l’Europa dichiari guerra ai pericoli del fumo, con più adeguate campagne di sensibilizzazione e adeguando la legislazione degli Stati membri al livello più alto nella prevenzione dei pericoli del tabagismo.

 
  
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  Santini (PPE-DE). – Signor Presidente, tre relazioni sulle problematiche dei consumatori riunite in un’unica analisi è davvero un’occasione rara e preziosa dopo gli anni di tiepida attenzione che questo Parlamento e la Commissione hanno dedicato alla categoria dei consumatori. La prima relazione è, come abbiamo sentito, sul Libro verde sulla protezione dei consumatori nell’Unione; la seconda sulla strategia per la politica dei consumatori dal 2002 al 2006; la terza, testo molto robusto, sulla protezione giuridica dei consumatori stessi. La strategia proposta dalla Commissione indica questi tre obiettivi a medio termine, da realizzare attraverso un programma di immediata applicazione ma da verificare periodicamente con documenti della stessa Commissione che ne certifichino il percorso.

Realizzare un livello comune di protezione dei consumatori significa armonizzare non solo la sicurezza dei beni e dei servizi ma soprattutto i diversi aspetti giuridici attraverso i quali i consumatori esercitano il loro ruolo di garanti nelle transazioni commerciali sul mercato interno. L’applicazione effettiva della politica dei consumatori parte dal presupposto che ad essi venga accordata la medesima importanza di una identica garanzia di copertura su tutto il territorio dell’Unione.

Il programma indica anche un piano di azioni prioritarie attraverso le quali i consumatori possono concordare con gli Stati membri le procedure di controllo ed eventualmente di ricorso, grazie ad un sistema di reale cooperazione in campo amministrativo. I consumatori e le loro differenti filiere debbono avere la capacità e le risorse necessarie per promuovere le loro azioni su un piano di pari opportunità e di piena possibilità di intervento rispetto agli altri attori del mercato interno; e questo in tutte le direzioni, nei confronti delle aziende e delle diverse organizzazioni produttive.

Il principio di un’armonizzazione minimale della politica della protezione dei consumatori figura, del resto, nel Trattato. Ora è importante che la minimale diventi, con una politica più incisiva, complessiva e completa, condivisa da tutti. Per ottenere questo occorrono nuove norme che siano condivise e soprattutto abrogative di quelle precedenti.

 
  
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  Myller (PSE).(FI) Signor Presidente, vorrei ringraziare tutti e tre i relatori. E’ stato detto in questa sede che la questione non riguarda le norme, ma, a mio giudizio, tali temi vanno affrontati proprio in questa fase in cui stiamo discutendo con la Commissione ciò che ci aspettiamo dalla futura normativa. Per questo motivo, per quel che mi riguarda, intendo concentrarmi sui principi che ritengo dovrebbero essere integrati nella normativa comunitaria sulla tutela dei consumatori.

Il principio fondamentale, rammentato molto spesso in questa sede, è che i livelli di tutela dei consumatori devono essere quanto più elevati possibile. Ne consegue che, nel momento in cui la Commissione propone una normativa che sia il più possibile armonizzata all’interno dell’Unione, io condivido tale posizione di partenza solo se ciò significa che questi livelli massimi di protezione dei consumatori sono attuati proprio attraverso l’armonizzazione. Non condivido invece l’armonizzazione se ciò significa che anche un solo Stato membro è costretto a rinunciare a livelli superiori. Mi compiaccio pertanto del punto di vista espresso dall’onorevole Whitehead nella sua relazione, vale a dire che ciascun atto va esaminato caso per caso.

Lo stesso principio deve anche valere per il reciproco riconoscimento. In questo caso, occorre tener presente la nozione secondo cui nessuno Stato membro, né attuale né futuro, dovrebbe ridurre i suoi normali livelli di tutela dei consumatori. Il vantaggio di un’armonizzazione minima, quantomeno dal punto di vista della tutela dei consumatori, è che, a livello nazionale, è possibile spingersi oltre in termini di normativa se l’Unione europea non raggiunge quel livello. E’ inoltre necessario che le norme esistenti in materia di tutela dei consumatori siano pienamente attuate in modo che i consumatori possano realmente contare sulla possibilità di intraprendere transazioni commerciali e realizzarsi come consumatori in tutto lo spazio del mercato interno.

La futura normativa dovrà anche essere sufficientemente chiara e tener presenti i principi di sussidiarietà, necessità e proporzionalità. Ritengo altresì importante non promulgare norme troppo dettagliate. Sarebbe invece opportuno concentrarsi sul conseguimento del nostro obiettivo, ossia livelli quanto più alti possibile di tutela dei consumatori. Se si elaborano norme troppo dettagliate, coloro che non vogliono adottare tali principi concentreranno le loro energie sulla ricerca di vie d’uscita, creando problemi in sede giudiziaria.

 
  
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  Paulsen (ELDR). (SV) Signor Presidente, signor Commissario, si potrebbe dire moltissimo sulla futura politica per i consumatori dell’Unione europea, ma nel poco tempo a mia disposizione cercherò di limitarmi ad un unico aspetto riguardante la relazione dell’onorevole Patrie.

Tutti concordiamo sul fatto che la condizione preliminare per un mercato libero ed equo è che i consumatori abbiano accesso ad informazioni utili e corrette. Queste sono relativamente semplici da fornire nel caso in cui si tratti delle “vecchie” richieste dei consumatori in termini di rapporto tra prezzo e qualità. Non ci sono problemi neppure ove si tratti di dichiarazioni di contenuto, istruzioni per il lavaggio e così via. Il consumatore moderno, tuttavia, è un tipo di cittadino diverso, il che vale, ovviamente, anche al momento dell’acquisto. Ciò significa che i consumatori odierni possono richiedere molti tipi diversi di informazioni. Quando compiono acquisti, vogliono risposte a domande riguardanti aspetti etici, ecologici e sociali. Inoltre, adesso vi è tutta una serie di rivendicazioni diverse in tema di salute più o meno importanti.

Come possiamo riuscire a garantire una normativa che risponda a tutte queste esigenze disparate in tema di etichettatura, esigenze che sono nondimeno argomenti del dibattito e che vanno rispettate? Sicuramente dobbiamo fare uso di quel principio che nel linguaggio giuridico legale svedese va sotto il nome di principio di onestà, in virtù del quale è possibile formulare rivendicazioni circa i propri prodotti sempre che si sia in perfettamente in grado di sostanziarle. Ritengo che sia l’unica maniera per realizzare questo nuovo tipo di etichettatura. La regola generale è: fate come volete ma non mentite.

 
  
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  Piétrasanta (Verts/ALE).(FR) Signor Presidente, mi compiaccio per il lavoro approfondito svolto dagli onorevoli Whitehead, Patrie e Thyssen in merito alle implicazioni del Libro verde sulla protezione dei consumatori. Concordiamo con la richiesta di definire misure legislative più semplici e mirate per agevolare l’attuazione di tutte le norme applicabili al mercato interno che, a nostro parere, manca di trasparenza ed è troppo frammentato per ispirare fiducia ai consumatori. Abbiamo apprezzato enormemente l’introduzione del concetto di cittadini-consumatori e vorrei sottolineare che i loro diritti fondamentali sono il diritto alla sicurezza, all’informazione, alla libera scelta, alla rappresentanza, alle vie di ricorso, alla soddisfazione e ad un ambiente non inquinato.

In futuro, il consumo deve tener presenti i tre pilastri dello sviluppo sostenibile, ossia l’aspetto economico, quello ambientale e quello sociale, sebbene gli ultimi due siano troppo spesso trascurati. Io propongo di valutare la fattibilità di una direttiva generale sulla qualità ambientale dei servizi e dei prodotti per i consumatori, prestando particolare attenzione alla necessità di un’etichetta europea e di un alto livello di tutela. Noi riteniamo che i cittadini-consumatori debbano svolgere un ruolo essenziale, non solo come semplici consumatori, ma anche come responsabili delle decisioni, come consumatori propositivi interessati su un piano etico al prodotto che stanno consumando. In tal senso, essi diverranno uno dei fattori decisivi di questo sviluppo che noi vorremmo fosse a lungo termine.

 
  
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  Hager (NI).(DE) Signor Presidente, vorrei fare riferimento al Libro verde, e specificamente a quello sulla protezione dei consumatori. Sull’argomento sarebbe possibile soffermarsi a lungo o essere estremamente succinti e, visto il tempo di parola a mia disposizione, mi vedo costretto ad optare per la seconda alternativa. Io ritengo che vi siano già norme adeguate sui temi essenziali di cui si occupa il Libro verde. Basti pensare alle direttive sulla pubblicità ingannevole e comparativa o al fatto che tutti gli Stati membri dispongono di leggi sulla coercizione e l’uso della forza. Dal punto di vista dell’attuazione pratica, se consideriamo il campo di applicazione delle direttive emendate sulle televendite e del regolamento proposto sulla promozione delle vendite nel mercato interno, gli unici consumatori ai quali tali normative sarebbero applicabili nelle transazioni commerciali transfrontaliere sarebbero i turisti. E ciò non apporterebbe grandi novità.

Non vedo dunque alcuna necessità di una direttiva quadro in questo campo. Per far luce nella giungla di interessi insiti nella tutela dei consumatori, sarebbe più importante una chiarificazione sul modo in cui interagiscono le direttive applicabili in materia. A differenza di alcuni oratori che mi hanno preceduto, ritengo che un’ulteriore direttiva quadro non servirebbe a conseguire tale scopo.

 
  
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  Schnellhardt (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo dedicato più di venticinque anni di lavoro alla protezione dei consumatori europei. Non si conclude seduta del Parlamento senza che si discuta di questioni relative ai consumatori. So di essere in disaccordo con alcuni di coloro che hanno preso la parola oggi nel momento in cui affermo che le norme in vigore da anni hanno dato prova tangibile della loro validità e dei loro effetti, anche se hanno finito con l’assumere la forma di un pacchetto legislativo del quale nessuno potrebbe tracciare i confini e anche se vi sono ancora alcune scappatoie. La Commissione ha dunque ragione nel ricercare, attraverso le proposte sulla tutela dei consumatori, modi per far chiarezza in un quadro confuso, suggerendo alcune strade percorribili.

Io vorrei farmi promotore di una direttiva quadro contenente una clausola di base fondata sui principi di una pratica commerciale sana. Sempre più spesso il mercato interno finisce con l’essere penalizzato per la mancanza di normative o per il margine lasciato scoperto dalle direttive. Soprattutto in vista dell’ampliamento, occorre adottare misure per ovviare quanto prima a questa situazione; bisogna combattere non solo le pratiche commerciali sleali che nuocciono ai consumatori, ma anche quelle messe in atto da tutti gli attori del mercato interno l’uno nei confronti dell’altro.

In quest’ultima categoria rientrerebbero i tentativi compiuti da alcuni Stati membri di servirsi della tutela dei consumatori o della loro salute come scudo per proteggere dalla concorrenza mercati e industrie nazionali. Vi sono anche quelli che, dichiarandosi sostenitori delle campagne per i diritti dei consumatori, si lasciano coinvolgere nella causa e contribuiscono ad estromettere concorrenti dal mercato. Per questo motivo ritengo necessario utilizzare più diffusamente la forma giuridica del regolamento per giungere ad una maggiore certezza giuridica, il che porterà anche all’armonizzazione, cosa di cui abbiamo bisogno nel mercato interno. La Commissione ha stilato un elenco completo e lo ha accluso sotto forma di allegato. Tutti i punti in esso citati sono importanti, ma le nuove priorità della relazione Whitehead introducono una serie di altri punti di diverso grado d’importanza. Ebbene, quanto ha affermato oggi l’onorevole Whitehead contraddice in realtà quell’ordine di priorità.

I consumatori possono esercitare i propri diritti solo nel momento in cui ne sono consapevoli. Il lavoro sulla tutela dei consumatori dovrebbe concentrarsi prevalentemente sulla politica di informazione. Le associazioni di consumatori devono svolgere un ruolo determinante al riguardo e i governi devono sostenerle. Proprio perché esse sono state inadempienti in tal senso ci vediamo costretti, se vogliamo compiere progressi in materia, a costituire i citati centri per consumatori nei nostri Stati membri.

 
  
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  Koukiadis (PSE).(EL) Signor Presidente, la nuova strategia della Commissione per la tutela dei consumatori è una strategia estremamente ambiziosa che simboleggia la qualità della vita dei consumatori proteggendoli dalle pratiche sleali e limitando le differenze di prezzo non garantite tra un paese e l’altro, oltreché ispirando fiducia ai consumatori nell’accesso ad un mercato di 350 milioni di persone e salvaguardando la credibilità delle associazioni di consumatori.

La Commissione merita i nostri complimenti per la sua ricerca approfondita, come li meritano, ovviamente, i nostri relatori per gli emendamenti proposti. Il cammino, tuttavia, non è tutto rose e fiori. Gli ostacoli e le difficoltà tecniche sono molteplici. Innanzitutto, e cosa più importante, dobbiamo convincere il mondo delle aziende e un certo numero di colleghi che un quadro normativo non è incompatibile con l’etica della concorrenza. Esso è invece una delle condizioni preliminari fondamentali per una concorrenza sana.

In secondo luogo, tutti dobbiamo prender coscienza del fatto che una semplice elencazione dei rapporti tra aziende e consumatori o anche tra imprese non equivale ad assicurare una tutela integrata del consumatore, soprattutto se il nostro obiettivo comune è un mercato più efficiente e una maggiore tutela dei consumatori. Per esempio, le proposte del Libro verde devono anche affrontare il regolamento proposto sulle promozioni delle vendite.

Quanto all’approccio, optare prioritariamente per una direttiva quadro coerente, contenente una serie di principi quali il divieto di pratiche immorali, il principio della buonafede e il principio di pratiche commerciali leali, è l’approccio giusto che di fatto riduce la necessità di una normativa dettagliata consentendo di dare una risposta rapida al numero crescente di pratiche e dispositivi sleali. Persino i legislatori dell’Europa centrale, sicuramente avvezzi ad una regolamentazione dettagliata, si affidano sempre più a clausole generali per adeguare le normative a circostanze in continuo mutamento. Tale approccio si è dimostrato valido e ha permesso l’aggiornamento delle norme.

In definitiva, non saremo in grado di evitare una regolamentazione specifica, ma questa dovrebbe svolgere un ruolo complementare. La flessibilità di una direttiva quadro consente inoltre di tenere il passo con una politica volta ad una maggiore autoregolamentazione, alla quale occorrerebbe dare la priorità, ma a due condizioni: in primo luogo, vanno fissate scadenze generali entro le quali le parti interessate devono esprimere il proprio assenso e, in secondo luogo, vi deve essere un quadro comune per stabilire a chi spetta onorare gli obblighi previsti dall’autoregolamentazione.

Un altro problema è la scelta tra armonizzazione massima e minima. E’ difficile scegliere, in primo luogo, perché non vogliamo che l’armonizzazione sfoci in un livello inferiore di tutela e, in secondo luogo, perché le proposte massimaliste solitamente ostacolano i tentativi di armonizzazione. A mio avviso, dovremmo procedere sulla base della massima armonizzazione ricorrendo all’armonizzazione minima solo in modo selettivo in singoli casi.

Vorrei concludere spendendo qualche parola in merito all’attenzione particolare che va prestata alle associazioni di consumatori. Dobbiamo fare in modo che siano rappresentative e trasparenti perché, attualmente, le associazioni di consumatori rappresentano di per sé un problema per la tutela dei consumatori.

 
  
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  Flemming (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, sono molto lieta di essere riuscita a vedere accolti alcuni miei emendamenti, e spero che anche il Commissario ne sia soddisfatto.

L’emendamento riguardante la relazione Patrie attiene alla necessità di tener conto della protezione dei concorrenti da pratiche commerciali sleali, ferma restando la tutela dei consumatori, e nell’interesse di un quadro giuridico omogeneo. Signor Commissario, ritengo che ciò sia della massima importanza, soprattutto per le piccole e medie imprese.

Sono inoltre particolarmente lieta di aver potuto apportare alla relazione Whitehead due emendamenti che ritengo decisamente essenziali. Il primo emendamento è volto a garantire disposizioni ottimali in materia di salute e sicurezza nella valutazione, attualmente in corso, delle sostanze chimiche, assicurando nel contempo l’utilizzo di procedure di test in vitro ogni qual volta sia possibile. Si tratta solo dell’enunciazione di un principio fondamentale, ma la sua formalizzazione rappresenterà un importante passo in avanti.

Nel secondo emendamento la esortiamo, signor Commissario, a promuovere l’uso dell’etichettatura nel quadro dell’OMC come strumento per garantire che i consumatori possano essere informati circa le origini e i metodi di produzione. Se posso citare un semplice esempio, per i consumatori è importante sapere se le uova provengono da galline costrette in gabbie in batteria o se provengono da galline felici, che sono state libere di scorrazzare, anche a costo di pagarle un po’ di più. In questo modo, essi ottengono uova migliori, dal sapore più gustoso. Sapendo che lei, signor Commissario, è un uomo dall’animo molto sensibile, sono certa che accoglierà molto favorevolmente questi emendamenti.

 
  
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  Scheele (PSE). (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, anche se siamo prossimi alla conclusione del dibattito, non posso esimermi, in questo mio intervento, dal porgere un ringraziamento particolare all’onorevole Whitehead, soprattutto per l’approccio mirato cui egli ha fatto riferimento all’inizio, approccio che ci ha consentito di evitare di affrontare una serie di questioni che, altrimenti, sarebbero state sicuramente all’ordine del giorno.

Abbiamo visto come sinora la discussione abbia dimostrato la nostra unanimità in merito all’obiettivo di giungere ad uno standard uniformemente alto di tutela dei consumatori. Sta però diventando sempre più difficile ottenere l’unanimità quando si tratta di chiarire dove si colloca questo obiettivo allorché lo si esamini nel contesto di tutti gli altri obiettivi della politica in materia. Un collega ha detto che dovremmo sostenere tutte le misure che tendono a promuovere le vendite. Quando è in discussione la politica per i consumatori, io ritengo che l’unica risposta che possiamo dare è che il nostro stimato collega ha imboccato una strada sbagliata, perlomeno per quel che riguarda la politica per i consumatori. Questa politica è intesa ad informare i consumatori, garantendo loro la libertà di scelta e, nel contempo, proteggendoli.

Inoltre, è già diventato più difficile raggiungere l’unanimità sulla scelta di una regolamentazione minima o massima. In questo caso, condivido pienamente l’approccio del nostro relatore, l’onorevole Whitehead, e in proposito vorrei anche sottolineare che, all’interno dell’esame di casi specifici, occorre ovviamente valutare se esistono, nei singoli Stati, misure sperimentate e collaudate che l’armonizzazione abolirebbe. Da tutte le relazioni e da quanto è stato detto, emerge con chiarezza, a mio avviso, che siamo lontanissimi dal nostro obiettivo di un elevato standard di tutela dei consumatori nella nostra Comunità; pertanto è coerente e logico chiedersi se il principio del paese di origine e il principio del reciproco riconoscimento debbano restare applicabili in futuro. Vorrei concludere affermando che attribuisco grande importanza al paragrafo 18 della relazione Whitehead, ossia alla disponibilità di servizi di interesse generale accessibili e di alta qualità.

 
  
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  Harbour (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, in primo luogo desidero congratularmi con i nostri tre relatori. Il Parlamento è molto fortunato, poiché può contare su esimi colleghi esperti nel proprio campo, e ciò si riflette nella qualità del lavoro che ci hanno presentato.

Vorrei esporre la situazione così come la vede il relatore per la strategia per il mercato interno della commissione giuridica e per il mercato interno. Sono particolarmente lieto del fatto che, nell’ultima plenaria, i colleghi abbiano appoggiato con grande fermezza la relazione. Noi tutti condividiamo l’idea che consumatori fiduciosi, ben informati e in grado di operare scelte sono il fondamento di un mercato interno riuscito. Noi vogliamo che tali scelte ricompensino le aziende che garantiscono qualità, valore e un servizio eccellente ai clienti, e vogliamo sincerarci che il quadro normativo non scoraggi l’innovazione, stimolando invece le aziende innovative.

Noi vogliamo altresì incoraggiare le imprese responsabili e di successo ad adottare una regolamentazione che le aiuti, ad esaminare i codici di condotta, ad eliminare le aziende irresponsabili. Questo è il quadro in cui tutti dobbiamo giudicare le vostre proposte. Spero che converrete con me sul fatto che per i consumatori è inutile penalizzare imprese responsabili e di successo con costi burocratici eccessivi se ai commercianti scorretti è consentito di ignorare le norme restando impuniti. L’applicazione delle normative è un elemento che esaminerete.

Sono lieto che ci abbiate spiegato quali studi sono stati commissionati, incluso quello sulla valutazione di impatto. Oggi voglio che mi assicuriate che la valutazione di impatto sta esaminando i costi a carico dell’impresa accertandosi che i risultati siano proporzionati e creino benefici reali per il consumatore.

Concludendo, vorrei dire, a nome di tutti i miei colleghi della commissione giuridica e per il mercato interno, che sono realmente interessato alla politica per i consumatori. Vorremmo vedervi più numerosi alla commissione giuridica e per il mercato interno perché riteniamo che alcune delle proposte trasmesse non forniscano benefici al consumatore nel modo che noi auspicheremmo.

Vi propongo dunque, in uno spirito di grande apertura, di venire da noi più numerosi e di trascorrere più tempo con la nostra commissione in modo da costruire insieme un vero mercato interno guidato dal consumatore.

 
  
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  Moreira da Silva (PPE-DE).(PT) Signor Presidente, signor Commissario, vorrei innanzitutto congratularmi con i tre relatori per il lavoro eccellente che hanno svolto e ricordare che, negli ultimi anni, sono stati compiuti passi da gigante, a livello europeo, nel campo della tutela dei consumatori e soprattutto, ovviamente, in materia di sicurezza alimentare. E’ vero che sono stati necessari fin troppi scandali sugli alimenti affinché ciò accadesse ma, ciononostante, abbiamo validi motivi per essere orgogliosi del lavoro legislativo dell’Unione europea in questo settore.

Ora che stiamo iniziando ad elaborare soluzioni per risolvere altri problemi relativi alla tutela dei consumatori, molti hanno manifestato dubbi circa la necessità di trovare soluzioni comuni all’interno dell’Unione. Andrebbe ricordato che il successo della politica dell’Unione europea per la sicurezza alimentare, sia per ciò che riguarda la tutela dei consumatori, sia per quanto concerne il raggiungimento di un mercato interno equilibrato, non è stato conseguito unicamente attraverso l’introduzione di norme più restrittive per gli alimenti destinati al consumo umano ed animale. Tale successo è stato frutto anche dell’armonizzazione a livello comunitario di tali norme. Di conseguenza, vista l’enorme frammentazione e persino l’incompatibilità delle norme a tutela dei consumatori e di quelle a protezione degli scambi esistenti negli Stati membri, che semplicemente distorcono la concorrenza, riducono i livelli qualitativi e minano la fiducia del consumatore, personalmente sono favorevole alla massima armonizzazione possibile di tutte le normative di tutela dei consumatori.

Nell’ottica di questo sforzo di armonizzazione, ritengo che l’Unione europea debba iniziare definendo una direttiva quadro sulle pratiche commerciali che stabilisca chiaramente le responsabilità delle aziende nei confronti dei consumatori. Ritengo, tuttavia, che vi siano altri ambiti in cui Unione europea e Commissione devono proseguire il loro lavoro, in particolare sulla normativa per proteggere la salute umana dagli effetti dei campi elettromagnetici, soprattutto quelli creati dai telefoni cellulari. Il fatto che le più grandi società di telefonia mobile siano europee non dovrebbe impedirci di agire in tal senso.

 
  
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  Byrne, Commissione. – (EN) Signor Presidente, vorrei esordire dicendo che mi rallegro di questo dibattito vivace e costruttivo e che sono lieto dell’appoggio manifestato da più parti in Aula alle posizioni della Commissione. Ciò è motivo di grande soddisfazione non solo per me, ma anche per i miei collaboratori e per tutto il personale che ha lavorato con grande dedizione su questa proposta.

Inizierò dagli aspetti relativi alla direttiva quadro per poi esaminare alcuni punti riguardanti il piano di azione.

Diversi onorevoli hanno parlato di piena armonizzazione. Come certamente saprete, la Commissione è decisa a completare il mercato interno, ma far funzionare il mercato interno per aziende e produttori è solo una faccia della medaglia. Le regole del mercato interno dovrebbero anche promuovere la fiducia dei consumatori incoraggiandoli ad acquistare prodotti e servizi senza essere dissuasi da frontiere nazionali che potrebbero dividere acquirente e venditore.

Respingo l’idea che si possa avere una cosa senza l’altra. Le disposizioni del Trattato sulla tutela dei consumatori e il mercato interno sono dati perfettamente compatibili.

La storia della politica per i consumatori dell’Unione europea è essenzialmente una storia di armonizzazione minima che lascia liberi gli Stati membri di andare oltre il livello di armonizzazione di base ove desiderino farlo, il che ha portato alla frammentazione giuridica, creando peraltro ostacoli al regolare funzionamento del mercato interno.

Sondaggi recenti rivelano che solo il 13 per cento dei consumatori dell’Unione europea ha effettuato un acquisto transfrontaliero negli ultimi 12 mesi. E, come ricordato in precedenza, l’armonizzazione delle normative di tutela dei consumatori è stata citata dal 68 per cento delle aziende come una delle alternative più efficaci tra quelle ipotizzate per favorire le vendite transfrontaliere.

Dobbiamo pertanto batterci a favore di pratiche e regole più semplici e più condivise in maniera da promuovere la fiducia del consumatore nelle transazioni transfrontaliere. L’importanza di tale aspetto è ulteriormente accresciuta dall’ampliamento. Ove fosse trascurato, la frammentazione delle norme di tutela dei consumatori aumenterebbe in modo significativo.

Dobbiamo, più specificamente, superare le barriere reali derivanti dalle leggi e dalla giurisprudenza nazionali in materia di pratiche commerciali sleali. Prendiamo, per esempio, il consumatore di riferimento rispetto al quale viene valutata la pubblicità ingannevole. Questi, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (si pensi ad esempio alla causa Clinique), è il consumatore medio, ragionevolmente ben informato e attento.

Il test, tuttavia, non viene applicato uniformemente in tutta l’Unione europea. Per esempio, nella causa Saint-Brice del 2000, la Cour de Cassation belga ha pronunciato una sentenza secondo cui il consumatore di riferimento rispetto al quale andrebbe valutata la pubblicità ingannevole è il consumatore vulnerabile. Nella causa relativa alla pubblicità Scanner, la Corte suprema tedesca si è espressa affermando che il consumatore di riferimento è l’osservatore casuale anziché il consumatore ragionevolmente circospetto. E’ nostra intenzione, pertanto, provvedere alla piena armonizzazione delle norme sulle pratiche commerciali sleali e alla codifica del test del consumatore medio, eliminando così ostacoli significativi.

Detto questo, passerei brevemente alla questione del reciproco riconoscimento. La direttiva quadro procederà alla piena armonizzazione delle norme sulle pratiche commerciali sleali. Tale convergenza e il livello effettivo di tutela dei consumatori ottenuto dovrebbero stabilire le condizioni politiche per rendere accettabili i principi del reciproco riconoscimento e del paese di origine.

Il livello complessivo di tutela all’interno dell’Unione verrà innalzato, poiché diversi Stati membri non dispongono, al momento, di una normativa completa sulle pratiche commerciali sleali.

Naturalmente, noi riconosciamo che la direttiva quadro deve assicurare un livello effettivamente elevato di tutela dei consumatori, che non equivale al minimo comune denominatore dei regimi nazionali esistenti, né alla mera elencazione di tutte le rigide disposizioni nazionali vigenti. Dobbiamo giungere ad un giusto equilibrio tra gli interessi del consumatore che chiede di essere tutelato dai commercianti scorretti quando effettua acquisti transfrontalieri, e gli interessi delle aziende, che chiedono una riduzione dei costi connessi alla commercializzazione e al rispetto delle leggi.

Diversi onorevoli hanno sollevato la questione della semplificazione. La Commissione cercherà di inserire quanto più è possibile dell’acquis in una direttiva quadro. Gli elementi dell’acquis già precedentemente inclusi in una direttiva quadro verrebbero abrogati. Ovviamente, ciò non riguarderà le disposizioni giuridiche contrattuali, che verranno trattate nel quadro del piano di azione recentemente adottato dalla Commissione. La direttiva quadro semplificherà l’ambiente normativo sulle pratiche commerciali sleali abrogando le disposizioni dominanti in materia di rapporto azienda-consumatore della direttiva sulla pubblicità ingannevole e revocando, per esempio, le disposizioni relative alla vendita per inerzia della direttiva sulle televendite. Tali aspetti, attualmente oggetto di norme di armonizzazione minima, saranno pienamente armonizzati dalla direttiva quadro. Inoltre, la clausola generale contenuta nella direttiva sostituirà tutte le clausole generali divergenti in vigore negli Stati membri e, così facendo, creerà un ambiente normativo più omogeneo. So che la gente lo sta chiedendo a gran voce. E’ un aspetto importante di questa proposta e la renderà in generale più accettabile sia per le aziende che per i consumatori.

In merito alla questione “sleale e leale”, la direttiva quadro farebbe perno su una clausola generale intesa a vietare le pratiche commerciali sleali. La domanda fondamentale è ovviamente: “Cos’è sleale?” Questo è stato uno dei principali temi della consultazione. Dai risultati della consultazione, dal nostro lavoro con esperti governativi nazionali e dallo studio giuridico che abbiamo commissionato è emerso chiaramente che sarebbe più semplice definire ciò che è sleale anziché ciò che è leale.

La definizione di ciò che costituisce una pratica commerciale sleale dovrebbe condurre ad una maggiore certezza giuridica. Le aziende che operano lealmente non dovranno modificare il modo in cui conducono la propria attività. Per contribuire a creare questa certezza giuridica, la clausola generale sarà integrata da un elenco, giocoforza non esauriente, di categorie di comportamenti sleali e da un elenco di esempi di pratiche commerciali vietate.

Alcuni parlamentari hanno menzionato i codici di condotta. Dalla consultazione dell’Unione sono emerse posizioni diverse – di cui alcune favorevoli, altre contrarie –in merito all’idea di approvare codici a livello comunitario. Le relazioni delle onorevoli Patrie e Thyssen rispecchiano queste diverse posizioni. Io vorrei incoraggiare le aziende responsabili a trattare i loro clienti con lealtà e a riconoscere che codici di condotta volontari possono svolgere un ruolo fondamentale in tal senso nei loro specifici settori. Qualsiasi processo di accettazione dovrebbe essere volontario. Il possessore di un codice potrebbe scegliere se richiedere o meno l’adesione e un’azienda sceglierebbe, dunque, se aderirvi o meno.

In merito alla questione dei consumatori vulnerabili, si tratta di un tema di una certa complessità che stiamo vagliando e che comporta una serie di aspetti diversi. Prenderemo posizione al riguardo al momento dell’elaborazione della normativa che, come spero, verrà presentata in un futuro molto prossimo.

Passerei quindi alla domanda formulata dall’onorevole Whitehead in relazione ai fondi. Vorrei sottolineare che è importante sia migliorare la qualità della spesa che incrementarne l’entità. Anche questo è un argomento che stiamo considerando.

Rinnovo infine i miei ringraziamenti agli onorevoli parlamentari per i loro commenti costruttivi e ai relatori per le loro relazioni. Terremo conto delle posizioni espresse stamane in questa sede, nell’elaborazione finale della normativa, che spero di presentare al Parlamento in un futuro molto prossimo.

 
  
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  Presidente. – La ringrazio, Commissario Byrne.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà oggi, alle 12.00.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ONESTA
Vicepresidente

Presidente. – Due deputati hanno chiesto di intervenire per un richiamo al Regolamento. Ha facoltà di intervenire per primo l’onorevole Knolle.

 
  
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  Knolle (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, c’è qualcosa che vorrei venisse fatto in quest’Aula. Oggi ho notato che nel cortile del Parlamento sono appesi alcuni striscioni. Non voglio commentare l’oggetto di tali striscioni, ma il loro posto non è sicuramente all’interno di questo onorevole Parlamento. Se tale precedente dovesse avere un seguito, il Parlamento si vedrebbe presto ridotto ad uno spazio per le affissioni o diventerebbe un tabellone pieno di poster, e ciò sarebbe negativo per la buona reputazione di quest’Aula. Chiedo pertanto che i suddetti striscioni siano rimossi.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Ho preso nota del suo intervento e informerò i servizi competenti.

 
  
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  Evans, Robert J.E. (PSE).(EN) Signor Presidente, mi compiaccio nel vedere che il Commissario Byrne è qui presente questa mattina perché, in qualità di presidente dell’intergruppo sul benessere e la protezione degli animali del Parlamento europeo, mi ha molto deluso il fatto di aver ricevuto una lettera dal Commissario Byrne nella quale si affermava che egli non è in grado di incontrare il nostro intergruppo nei prossimi tre, quattro, cinque o sei mesi per discutere temi relativi al benessere degli animali e, in particolare, al trasporto di animali vivi. Spero che il Commissario riprenda in considerazione la questione e possa trovare un po’ di spazio nella sua agenda che, come è noto, è estremamente densa di impegni.

 
  
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  Presidente. – Onorevole Evans, ritengo che lei avrebbe molte difficoltà nel citare la norma che le consente di muovere un siffatto richiamo al Regolamento. Spero nondimeno che ciò abbia consentito agli altri parlamentari di riprendere posto perché devo fare un annuncio.

 

2. Dichiarazione del Presidente
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  Presidente. – Desidero leggervi un messaggio del Presidente del Parlamento europeo, onorevole Cox, in riferimento all’assassinio del Primo Ministro Zoran Djindjic.

“Sono rimasto profondamente colpito dalla notizia dell’assassinio del Primo Ministro serbo Zoran Djindjic, un atto che condanno decisamente. Mi auguro che i suoi autori siano prontamente consegnati alla giustizia.

Sotto molti punti di vista, Zoran Djindjic è stato il simbolo del nuovo Stato democratico che è diventata la Serbia. Di lui ricorderemo in particolare l’impegno personale a favore della trasformazione del suo paese in senso democratico, nonché il suo ruolo nell’arresto e nel trasferimento di Slobodan Milosevic all’Aia, dinanzi al Tribunale penale.

A nome del Parlamento europeo invierò le mie più sincere condoglianze alla famiglia e agli amici di Zoran Djindjic, nonché al popolo serbo”.

Onorevoli colleghi, propongo un minuto di silenzio.

(Il Parlamento, in piedi, osserva un minuto di silenzio)(1)

 
  

(1) Composizione del Parlamento – Modifiche dell’ordine del giorno della seduta del 26 marzo a Bruxelles – Autorizzazione ad elaborare raccomandazioni – Comunicazione di posizioni comuni del Consiglio: cfr. Processo verbale.


3. Votazioni
  

Relazione (A5-0059/2003) dell’onorevole Avilés Perea, a nome della commissione per i diritti della donna e le pari opportunità, sugli obiettivi della parità di opportunità tra donne e uomini nell’utilizzo dei Fondi strutturali [2002/2210(INI)]

(Il Parlamento approva la risoluzione)

Relazione (A5-0063/2003) dell’onorevole Friedrich, a nome della commissione per i problemi economici e monetari, sulla raccomandazione per una decisione del Consiglio concernente una modifica dell’articolo 10.2 dello statuto del Sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea [6163/2003 – C5-0038/2003 – 2003/0803(CNS)]

 
  
  

(Il Parlamento approva la risoluzione legislativa)

Relazione (A5-0036/2003) dell’onorevole Hernández Mollar, a nome della commissione per le libertà e i diritti dei cittadini, la giustizia e gli affari interni, sulla proposta di regolamento del Consiglio recante modifica, per quanto riguarda le esenzioni dal congelamento dei capitali e delle risorse economiche, per la decima volta, del regolamento (CE) n. 881/2002, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al Qaeda e ai Talibani [COM(2003) 41 – C5-0048/2003 – 2003/0015(CNS)]

(Il Parlamento approva la risoluzione legislativa)

Proposta di risoluzione (B5-0157/2003) dell’onorevole Brok, a nome della commissione per gli affari esteri, i diritti dell’uomo, la sicurezza comune e la politica di difesa, sull’operazione attuata nell’ambito della PESD nell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia

Prima della votazione

Presidente. – Onorevole von Wogau, lei mi chiede la parola. Mi auguro che sia per un richiamo al Regolamento, poiché su un argomento come questo non posso riaprire la discussione, lei comprenderà.

 
  
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  von Wogau (PPE-DE). (DE) Signor Presidente, desidero far presente che la votazione in corso ha una caratteristica peculiare. Il 1° aprile l’Unione europea rileverà dalla NATO la responsabilità per il mantenimento della pace in Macedonia. Si tratterà della prima operazione militare sotto la guida dell’Unione europea. Vorrei precisare che in questa circostanza la questione del controllo democratico assume un’importanza ancor maggiore che in altre, che è richiesto il mandato di un parlamento – segnatamente, del Parlamento europeo – e che sarà necessario altresì sancire il principio del controllo democratico di simili interventi nella futura Costituzione europea.

 
  
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  Presidente. – Onorevole von Wogau, questa non è una mozione di procedura.

(Il Parlamento approva la risoluzione)

Proposta di risoluzione (B5-0187/2003) dell’onorevole Hernández Mollar, a nome della commissione per le libertà e i diritti dei cittadini, la giustizia e gli affari interni, sulla trasmissione dei dati personali da parte delle compagnie aeree in occasione di voli transatlantici

 
  
  

(Il Parlamento approva la risoluzione)

Relazione (A5-0060/2003) dell’onorevole Gröner, a nome della commissione per i diritti della donna e le pari opportunità, sul mainstreaming (integrazione della dimensione di genere) al Parlamento europeo [2002/2025(INI)]

(Il Parlamento approva la risoluzione)

Relazione (A5-0055/2003) dell’onorevole Bösch, a nome della commissione per il controllo dei bilanci, sulla tutela degli interessi finanziari della Comunità e la lotta contro le frodi – Relazione annuale 2001 [2002/2211(INI)]

(Il Parlamento approva la risoluzione)

Relazione (A5-0023/2003) dell’onorevole Whitehead, a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la politica dei consumatori, sulla comunicazione della Commissione “Strategia della politica dei consumatori 2002-2006” [COM(2002) 208 – C5-0329/2002 – 2002/2173(COS)]

Prima della votazione sul paragrafo 15

 
  
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  Whitehead (PSE). (EN) Signor Presidente, stamattina i servizi giuridici del Parlamento ci hanno comunicato che, se conserviamo nel paragrafo 15 la dicitura “compresi i provvedimenti di diritto privato internazionale”, non possiamo menzionare i due articoli del Trattato che sono oggetto di questo emendamento. Propongo pertanto di depennare le parole citate, con il consenso degli onorevoli Thyssen e Bushill-Matthews, che hanno originariamente presentato gli emendamenti alla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la politica dei consumatori.

 
  
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  Presidente. – Vi sono pareri contrari alla presentazione di questo emendamento orale da parte del relatore?

(L’Assemblea manifesta il suo assenso alla presentazione dell’emendamento orale)

(Il Parlamento approva la risoluzione)

Relazione (A5-0423/2002) dell’onorevole Patrie, a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la politica dei consumatori, sulle implicazioni del Libro verde sulla tutela dei consumatori nell’Unione europea per l’avvenire della politica europea dei consumatori [COM(2001) 531 – C5-0295/2002 – 2002/2151(COS)]

(Il Parlamento approva la risoluzione)

Relazione (A5-0054/2003) dell’onorevole Thyssen, a nome della commissione giuridica e per il mercato interno, sulle prospettive della tutela giuridica dei consumatori alla luce del Libro verde sulla tutela dei consumatori nell’Unione europea [COM(2001) 531 – C5-0294/2002 – 2002/2150(COS)]

(Il Parlamento approva la risoluzione)

DICHIARAZIONI DI VOTO

 
  
  

Relazione Avilés Perea (A5-0059/2003)

 
  
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  Lulling (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Non ho votato a favore della relazione Avilés Perea, presentata a nome della commissione per i diritti della donna e le pari opportunità, e ciò non perché io non sia d’accordo con le ampie linee tracciate nella relazione. Ad esempio, condivido pienamente l’affermazione secondo cui è essenziale che i paesi membri attuali e quelli futuri possano trarre il massimo vantaggio dalle opportunità di programmazione offerte dai vari tipi di intervento nell’ambito dei Fondi strutturali, al fine di promuovere un approccio integrato alla questione delle pari opportunità per uomini e donne, nonché di sostenere azioni specifiche a favore della parità. Ritengo inoltre che i Fondi strutturali dovrebbero avere un ruolo importante nel promuovere la ristrutturazione economica e sociale dei paesi candidati, riservando un’attenzione particolare agli effetti di tale ristrutturazione sulla situazione occupazionale delle donne, alla disponibilità di servizi di assistenza all’infanzia e all’assistenza ad altre persone bisognose di aiuto.

Se ho votato contro la relazione è stato perché non approvo il passaggio in cui si afferma che la ristrutturazione economica, ovvero il passaggio dal sistema comunista all’economia di mercato, comporta soltanto conseguenze negative. Si tratta di una glorificazione post mortem dell’ideologia comunista che non condivido. Ho cercato di emendare il testo proponendo una formulazione più attenuata. Non sono riuscita a farlo in commissione e i miei emendamenti sono stati respinti in plenaria. Mi dispiace che sia andata così. Desidero ora precisare qual è la mia posizione in merito.

(Testo abbreviato conformemente all’articolo 137, paragrafo 1, del Regolamento)

 
  
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  Marques (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Mi congratulo con l’onorevole Avilés Perea per l’eccellente relazione che ha preparato sul tema “Obiettivi della parità di opportunità tra donne e uomini nell’utilizzo dei Fondi strutturali”. Appoggio pienamente la relazione, soprattutto laddove richiama la necessità di consolidare l’obiettivo di promuovere le pari opportunità tra donne e uomini in attività cofinanziate dai Fondi (come previsto dal regolamento generale dei Fondi strutturali e come applicato ai programmi dei tre Fondi e delle quattro iniziative comuni).

Desidero poi sottolineare l’esigenza di mettere a punto azioni nell’ambito del Fondo sociale europeo allo scopo non solo di aumentare la presenza femminile nei campi dell’istruzione, della formazione professionale e sul mercato del lavoro, ma anche di ridurre i fenomeni di esclusione dal mercato del lavoro e le differenze salariali, di promuovere il ruolo delle donne nei settori delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e nei processi decisionali, nonché di favorire l’imprenditorialità femminile. Le azioni del Fondo sociale europeo e degli altri Fondi e delle altre iniziative dell’Unione devono essere strutturate in modo tale che, nel quadro della struttura statale, sia possibile attuarle correttamente a livello regionale e locale, non solo a livello nazionale.

 
  
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  Meijer (GUE/NGL), per iscritto. – (NL) La commissione per i diritti della donna ha fatto bene a prendere in esame anche le possibilità e gli obblighi che i Fondi strutturali dell’Unione europea possono comportare in termini di promozione delle pari opportunità. Anche il Trattato di Amsterdam e il regolamento dei Fondi strutturali ne fanno menzione. Nella pratica, però, ben poco di tutto ciò trova attuazione concreta nei settori delle infrastrutture, dei trasporti, dell’ambiente, dello sviluppo urbano e rurale, della pesca, della politica per le imprese, della società dell’informazione, della ricerca, dello sviluppo tecnologico, dell’istruzione e della formazione professionale. La relatrice chiede aiuti per finanziare i servizi di assistenza all’infanzia e agli anziani, una migliore organizzazione degli orari di lavoro e la ridistribuzione dei compiti all’interno delle famiglie. Chiede inoltre che sia promossa un’equa presenza delle donne negli organi competenti per la selezione e la decisione in materia di progetti su scala locale, regionale e nazionale, e che siano imposte sanzioni contro quei progetti che non soddisfano i criteri stabiliti. Sono favorevole a questa proposta poiché tutte le sue richieste sono giuste e bene intenzionate; tuttavia non ritengo che essa sarà in grado di contribuire a risolvere in maniera sensibile i problemi esistenti. L’importanza dei Fondi strutturali andrà diminuendo, laddove non si annullerà completamente, per gli attuali paesi membri dell’Unione, a tutto vantaggio dei progetti nei paesi di nuova adesione. E proprio nel quadro di tali nuovi progetti è bene assegnare sin dall’inizio un ruolo importante ai criteri di promozione della presenza femminile.

 
  
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  Patakis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Per quanto riguarda l’Unione europea, la disoccupazione e la povertà tra le donne non sono causate dallo sfruttamento capitalista, bensì dalla minore qualificazione e dalle maggiori responsabilità familiari che gravano sulle donne, nonché da un atteggiamento reazionario che favorisce la discriminazione di genere. Invece di creare posti di lavoro stabili e a tempo pieno, si propone di estendere l’occupazione a tempo parziale e di favorire programmi di specializzazione diseducativi e mirati ad un apprendimento rapido, il tutto allo scopo di trasformare le donne in forza lavoro flessibile e a basso costo.

Il terzo Fondo strutturale europeo non solo non potenzia il ruolo delle donne, ma concede anche sussidi ai datori di lavoro, con grave pericolo per i diritti dei lavoratori dato che la maggior parte dei finanziamenti sono destinati a opere infrastrutturali che non fanno altro che rendere ancora più forti le grandi società.

L’attuazione, nel quadro delle diverse politiche, del gender mainstreaming nel nome della parità ha annullato disposizioni positive e favorevoli alle donne in quanto parte di una politica economica spietata e non mirata ad affrontare i problemi alla radice, cosicché oggi le donne si ritrovano in una condizione addirittura peggiore rispetto a prima. Le proposte comprendono ulteriori tagli al sistema di previdenze statali per le famiglie e il ricorso a programmi e strutture del settore privato per la fornitura di servizi sociali quali la sanità, l’istruzione e l’assistenza.

Siamo a favore di provvidenze che vadano a beneficio delle donne che lavorano, purché siano gratuite. Non siamo a favore di orari di lavoro flessibili proposti con la scusa di favorire la conciliazione tra gli impegni lavorativi e quelli familiari. Siamo a favore di posti di lavoro stabili e a tempo pieno e di un ampliamento e rafforzamento dei diritti lavorativi e sociali.

(Testo abbreviato conformemente all’articolo 137, paragrafo 1, del Regolamento)

 
  
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  Ribeiro e Castro (UEN), per iscritto. – (PT) Sono d’accordo con quanto affermato in questa relazione poiché, a mio modo di vedere, per garantire la parità tra uomini e donne è necessario che ci sia parità di accesso alle provvidenze dei Fondi strutturali. In concreto, sul tema della prospettiva di genere il Parlamento europeo, anche quando non legifera, definisce linee guida sia per i cittadini in generale sia per gli Stati membri, assolvendo così al suo ruolo di foro privilegiato e di organo rappresentativo dei cittadini, i quali, insieme con i paesi membri, sono i destinatari di alcune misure proposte nella relazione. Pertanto, il Parlamento deve essere in grado di esprimere e rappresentare punti di vista diversi.

La relazione in esame ci offre una buona occasione per promuovere ulteriori passi in avanti verso una maggiore parità di opportunità tra uomini e donne nonché – non va dimenticato – verso una maggiore parità all’interno dell’universo maschile e di quello femminile. Infatti, non si può ignorare la libertà di scelta del singolo individuo, ed è importante porre rimedio alle disuguaglianze proprio laddove è in gioco questa libertà, al fine di assicurarne il rispetto.

Aspetti particolarmente interessanti della relazione sono la proposta di favorire la riorganizzazione degli orari di lavoro per uomini e donne, nonché l’affermazione dell’esigenza di incoraggiare la consapevolezza di un’equa ripartizione dei compiti all’interno della famiglia. Tuttavia, in tale contesto mi pare opportuno e importante tutelare e affrontare in modo adeguato il grande valore del lavoro domestico e in ambito familiare. Se non lo faremo, continueremo a mantenere e ad approfondire le disuguaglianze.

 
  
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  Vairinhos (PSE), per iscritto. – (PT) I Fondi strutturali devono contribuire alla lotta contro le disuguaglianze di genere tuttora esistenti nella politica di sviluppo, anche nei paesi dell’Unione europea.

Gli effetti negativi delle ristrutturazioni economiche e sociali devono tener conto delle peculiarità connesse con il doppio ruolo della donna; occorre inoltre che gli attuali Stati membri dell’Unione nonché quelli candidati attuino politiche a favore dei bambini e degli anziani.

 
  
  

Relazione Friedrich (A5-0063/2003)

 
  
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  Berthu (NI), per iscritto. – (FR) La relazione Friedrich è corretta su due aspetti: primo, laddove afferma che sarà impossibile mantenere l’attuale sistema di voto nel Consiglio direttivo della Banca centrale europea (“un membro, un voto”) dopo l’ampliamento della zona euro; secondo, laddove giudica poco chiara, complessa e persino estremamente difficile da attuare la riforma proposta attualmente dalla stessa BCE (suddivisione dei paesi in gruppi, con rotazioni differenziate).

La relazione, però, trascura due aspetti importanti: primo, il fatto che il sistema “un membro, un voto” è stato deliberatamente inserito nel Trattato di Maastricht a puri fini elettorali, ossia allo scopo di presentare il modello di un’Unione monetaria che agisce in un contesto di uguaglianza e parità; secondo, il fatto che questo modello non funziona bene già ora, prima ancora dell’ampliamento, ed è la causa principale dell’inerzia della BCE di fronte ai problemi della principale economia di quest’area, ovvero della Germania.

La riforma proposta dalla BCE è quindi tutt’altro che innocua, al di là degli aspetti tecnici superficiali. L’alternativa proposta dall’onorevole Friedrich (ponderazione dei voti in base al numero di abitanti) mette in discussione, dal canto suo, un principio fondamentale di parità che è stato solennemente adottato dal popolo. Questo è il motivo per cui chiediamo qualcosa di più di un dibattito affrettato.

 
  
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  Andersson, Färm, Hedkvist Petersen, Karlsson, Sandberg-Fris (PSE), per iscritto. – (SV) Abbiamo deciso di votare contro la relazione sulla riforma della Banca centrale europea e del Sistema europeo di banche centrali. Abbiamo votato anche contro la proposta della BCE.

Noi riteniamo che la proposta di una riforma del funzionamento della BCE non vada preparata in maniera affrettata. L’UEM si amplierà ad oltre quindici membri non prima del 2007; non c’è quindi motivo alcuno per affannarsi a presentare una proposta già ora. Noi crediamo che sarebbe meglio studiare la questione in modo più approfondito e dare agli Stati membri la possibilità di esprimere i loro pareri al riguardo. In tutte le proposte future sarà importante sottolineare l’esigenza di aumentare la trasparenza all’interno della BCE. Purtroppo, in tutte le proposte avanzate finora la trasparenza brilla per la propria assenza.

 
  
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  Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’ampliamento e la necessità di adottare decisioni efficaci sono gli argomenti usati per giustificare un maggiore ricorso alle votazioni a maggioranza qualificata, come è avvenuto a Nizza, nonché per rafforzare l’approccio di stampo federalista e il predominio delle decisioni adottate dai principali poteri europei.

La BCE, ovvero l’Istituzione europea che ha violato il principio secondo cui tutti gli Stati membri devono essere rappresentati nel loro organo esecutivo, e forse anche la meno democratica e la meno trasparente tra tutte le Istituzioni, ha presentato al Consiglio una raccomandazione in cui lo invita a “conservare la propria capacità di adottare decisioni in maniera efficace”. La BCE chiede inoltre che “il numero dei governatori con diritto di voto sia inferiore al numero complessivo dei governatori presenti nel Consiglio direttivo della BCE” ed auspica l’introduzione di un sistema di rotazione per stabilire chi può votare e quando. In tal modo i governatori delle banche centrali perderebbero i loro diritti di voto permanenti, si introdurrebbero criteri di rappresentanza basati sulle dimensioni del settore finanziario e sul valore del PIL dei singoli paesi e si creerebbe un sistema che assicurerebbe la presenza costante degli Stati più forti, a scapito dei paesi più piccoli. Si tratta di una proposta assolutamente inaccettabile. Per ciò rivolgiamo un appello al governo portoghese affinché non la accolga e tenga invece conto della risoluzione del Parlamento europeo che respinge la raccomandazione della BCE.

 
  
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  Flesch (ELDR), per iscritto. – (FR) Non ritengo soddisfacenti né la proposta della BCE sulla riforma delle procedure di voto all’interno del suo Consiglio direttivo, né il modello presentato nella relazione Friedrich.

La proposta della BCE consentirebbe, di fatto, agli Stati membri più grandi di dettare i termini e le condizioni della politica monetaria. Il modello proposto nella relazione Friedrich prevede un solo voto per ciascun membro del Consiglio direttivo, dando così l’impressione di garantire la parità di trattamento tra gli Stati membri.

In realtà, le cose non stanno così poiché sarà il Comitato esecutivo, composto da nove membri, a prendere la maggior parte delle decisioni. Gli emendamenti nn. 3 e 4, presentati dall’onorevole Huhne, costituiscono senza dubbio un notevole miglioramento.

Credo tuttavia che la Conferenza intergovernativa debba trovare l’accordo su una proposta che assicuri un migliore equilibrio tra equità ed efficacia.

 
  
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  Meijer (GUE/NGL), per iscritto. – (NL) Mi associo alla maggioranza che è contraria alla proposta; peraltro, la mia posizione negativa è molto più netta di quella della maggioranza. Ciascuna banca centrale prende decisioni importanti sul livello dei tassi d’interesse e sui corsi di cambio delle monete, decisioni che hanno pesanti ripercussioni sui redditi, l’occupazione, gli investimenti e il livello delle prestazioni sociali. E’ proprio in considerazione dell’importanza di tali decisioni che in passato le banche di emissione sono state poste sotto l’autorità dello Stato, con la conseguenza che le decisioni importanti potevano essere sottratte alla competenza delle banche e affidate alla responsabilità dei governi e dei parlamenti. La Banca centrale europea corre sempre più il rischio di essere estromessa dalla gestione degli Stati membri. Sussiste il forte pericolo che la Banca centrale finisca per diventare un’istituzione avulsa dalla società e si sottragga a qualsiasi tipo di controllo. L’adozione di un sistema a rotazione per l’assegnazione delle cariche nel Consiglio direttivo significherebbe che i rappresentanti dei vari paesi membri non sarebbero più coinvolti nel processo decisionale quando invece i loro paesi si troverebbero a sopportare le conseguenze negative di tali decisioni. L’aumento del numero dei paesi aderenti all’Unione europea e all’Unione economica e monetaria non può portare ad una situazione in cui i vari Stati membri non hanno più alcun rapporto con questa Istituzione, così importante per i cittadini di tutti i paesi interessati. Il controllo pubblico sulla BCE va aumentato, non diminuito.

 
  
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  Moreira da Silva (PPE-DE), per iscritto. – (PT) L’ampliamento dell’Unione europea renderà più difficile il processo decisionale all’interno della BCE, e ciò non solo perché ci sarà un maggior numero di membri del Consiglio direttivo con diritto di voto, bensì anche perché ci sarà una minore omogeneità tra le varie posizioni. E’ quindi comprensibile che la BCE abbia proposto un emendamento al proprio statuto volto a sveltire il processo decisionale. Credo, però, che la soluzione che è stata adottata – un sistema di voto a rotazione in base al PIL di ciascuno Stato – non sia accettabile, innanzi tutto perché cancella il principio attualmente vigente di “uno Stato, un voto” e, in secondo luogo, perché impedisce all’opinione pubblica di capire come viene decisa la politica monetaria dell’Unione europea. Ritengo pertanto che, nell’ambito della necessaria riforma del processo decisionale della BCE, si debba istituire un sistema a doppia maggioranza il quale preveda che: primo, ciascun membro del Consiglio direttivo abbia sempre il diritto di voto; secondo, le proposte approvate dai governatori delle banche nazionali a maggioranza semplice siano da considerarsi come adottate purché tale maggioranza rappresenti almeno il 62 per cento della popolazione. Tuttavia, la riforma del sistema di voto nella BCE va attuata non prima della prossima Conferenza intergovernativa, prevista per il 2004.

 
  
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  Piscarreta (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Profittando della recente entrata in vigore del Trattato di Nizza, la Banca centrale europea ha già utilizzato i suoi nuovi poteri proponendo di modificare le procedure operative del suo Consiglio direttivo. Sebbene non sussista alcun dubbio sulla necessità che la BCE adegui le proprie procedure all’ormai prossimo ampliamento dell’Unione europea, restano pur tuttavia alcuni interrogativi sul nuovo modello che la Banca ha presentato. Al pari delle Nazioni Unite, la BCE vorrebbe avere ora un Comitato esecutivo formato da cinque Stati membri con diritto di voto permanente. Gli altri Stati membri della zona euro, incluso il Portogallo, sarebbero integrati in uno o due gruppi con diritto di voto a rotazione e con i voti ponderati in base al valore del PIL.

In pratica, questa riforma comporta il rischio di emarginare i paesi membri più piccoli, costituisce una violazione del principio “uno Stato, un voto” e renderebbe le procedure all’interno della BCE più complesse e meno trasparenti. La BCE deve essere un organo forte, con maggiore autonomia dai governi degli Stati membri dell’Unione. La posta in gioco in questa vicenda non è il potere che il Portogallo perderebbe, è piuttosto la necessità di dare una risposta al quesito fondamentale su quale tipo di struttura vogliamo creare in Europa.

 
  
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  Sacrédeus (PPE-DE), per iscritto. – (SV) Ho votato contro la relazione poiché non posso appoggiare la proposta di cui al paragrafo 3 in cui si chiede che il Consiglio direttivo della BCE operi sulla base di una doppia maggioranza quando adotta le proprie decisioni, e che tale maggioranza sia “fondata sulla popolazione degli Stati membri, sulle dimensioni assolute delle rispettive economie e, all’interno di queste, sulle dimensioni relative del settore dei servizi finanziari”.

Né posso accogliere la proposta del Consiglio di dividere i paesi aderenti della zona euro in tre gruppi sulla base di un sistema a rotazione.

Entrambe queste proposte non rispettano il principio “un membro, un voto” e pertanto non posso assolutamente approvarle; ritengo infatti che sussistano tutti i motivi per difendere tale principio, fondato sull’uguaglianza tra gli Stati membri e sulla responsabilità solidale di ciascuno.

 
  
  

Relazione Hernández Mollar (A5-0036/2003)

 
  
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  Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Con la scusa di combattere il terrorismo, si continua a sviluppare e a instaurare un vasto e complesso meccanismo volto a limitare le libertà. La mancanza di rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali è dimostrata dalle iniziative promosse a livello di Unione europea e dalle procedure, scandalosamente superficiali, cui si è fatto ricorso per adottare provvedimenti di lotta contro il terrorismo, inclusi l’accordo quadro sul mandato d’arresto europeo e altre misure antiterrorismo.

Sebbene mi dispiaccia che siano stati respinti molti emendamenti proposti dal mio gruppo, che miravano a garantire il rispetto dei principi fondamentali della legge (ad esempio, l’emendamento che prevede che una persona accusata di un crimine debba essere considerata innocente di fronte alla legge fintantoché non ne sia stata provata la colpevolezza, e che siano garantiti il diritto ad un processo equo, il diritto di tutela e di non essere giudicati o puniti due volte per lo stesso reato), riconosco che questa proposta di regolamento ha accolto emendamenti che ci consentono di assicurare la sopravvivenza delle persone il cui nome compare nelle liste dei terroristi o delle persone con legami con il terrorismo senza che venga celebrato alcun processo.

Per tale motivo abbiamo votato a favore della relazione.

 
  
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  Meijer (GUE/NGL), per iscritto. – (NL) Dopo la tragedia dell’11 settembre 2001 a New York si è cercato di impedire il finanziamento internazionale delle attività terroristiche. A tal fine sono stati compilati elenchi con i nomi di persone e di organizzazioni alle quali è stato improvvisamente vietato di compiere viaggi all’estero. A quelle stesse persone ed organizzazioni è stato inoltre impedito di effettuare pagamenti e di ricevere versamenti di denaro tramite banca, e si è arrivati al punto di privarle di tutte le fonti di reddito necessarie per mantenere se stesse e le loro famiglie senza che fossero formulate nei loro confronti accuse alle quali avrebbero potuto difendersi per vie legali. Una volta che il nome di una persona è stato inserito in uno di quegli elenchi – non importa per quale motivo – è poi quasi impossibile cancellarlo; peraltro, tali persone non sono, per lo più, i veri terroristi, poiché questi hanno creato una serie di strumenti illegali che simili disposizioni di legge non riescono a colpire. Le persone iscritte negli elenchi sono invece profughi e oppositori democratici in esilio, invisi al regime che governa il loro paese di origine. Ho già cercato di richiamare l’attenzione su questo problema mediante interrogazioni scritte riguardanti le organizzazioni di persone provenienti dall’ex Somalia e gli esponenti dell’opposizione di sinistra cacciati dalle Filippine. La proposta oggi in esame va nella giusta direzione. Le persone interessate potranno nuovamente disporre dei soldi necessari per pagare la spesa, l’affitto di casa, le medicine e l’avvocato, e non sarà più un’impresa impossibile essere depennati dall’elenco.

 
  
  

Ex Repubblica jugoslava di Macedonia (B5-0157/2003)

 
  
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  Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La “sostituzione” delle forze NATO con una forza militare nell’ambito della politica di sicurezza e difesa comune viene presentata come la prima operazione militare intrapresa nel quadro di questa politica dell’Unione europea, alla quale noi siamo, peraltro, contrari. Questa operazione fa seguito alla dichiarazione congiunta UE/NATO del 16 dicembre scorso sulla politica di sicurezza e difesa comune, nella quale si accolgono con favore “la partnership strategica realizzata tra l’Unione europea e la NATO in relazione alla gestione delle crisi e fondata su valori condivisi, l’indivisibilità della nostra sicurezza e la nostra determinazione ad affrontare le sfide del nuovo secolo”.

Si tratta di una forza militare, sia pure “simbolica”, che può far riferimento alle risorse e alle capacità della NATO e che è posta ai comandi del Vicecomandante supremo di quella organizzazione in Europa – dunque, un’operazione militare nel quadro della politica di sicurezza e difesa comune intesa come il pilastro europeo della NATO.


Questo è un tentativo di compiere un’operazione illegale e illegittima della NATO che è coerente con la politica di ingerenza e di aggressione imperialista già attuata contro i Balcani. E’ dunque un’operazione iniziale, che aprirà la strada ad altre, la prossima delle quali viene presentata come la “sostituzione” delle forze NATO in Bosnia-Erzegovina.

Perciò abbiamo votato contro la relazione.

 
  
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  Meijer (GUE/NGL), per iscritto. – (NL) Gli interventi militari dall’esterno sono di norma una brutta cosa. Con essi, infatti, si cerca di imporre dall’esterno la volontà di una grande potenza alle parti in lotta, senza la loro approvazione; oppure si prende posizione a favore di una delle parti, scelta in base agli interessi o all’ideologia perseguiti dalla potenza esterna. Questa pratica è denominata peace-enforcing, ovvero: imposizione della pace. Ma una pace che non sia sostenuta dalle parti interessate non può che portare alla ripresa degli scontri non appena i nuovi invasori si siano ritirati. Il mio partito, il Partito socialista olandese, ripudia le guerre come quelle combattute per il Kosovo, l’Afghanistan, l’Iraq, e non è favorevole nemmeno all’istituzione di un esercito integrato dell’Unione europea. Siamo invece per una politica di mantenimento della pace su richiesta di entrambe le parti in lotta, volta a tenere separate queste ultime ed evitare nuovi disastri. Per tale motivi appoggiamo questo tipo di presenza militare a Cipro, in Kosovo e in Macedonia. Se le Nazioni Unite non se ne assumono la responsabilità, sarà meglio che lo faccia l’Unione europea piuttosto che la NATO, influenzata com’è dalla politica guerrafondaia degli Stati Uniti. Esprimo quindi un voto che è in contrasto con quello della maggioranza del gruppo GUE/NGL e a favore dell’assunzione da parte dell’Unione europea del compito di mantenimento della pace nella parte nordoccidentale della Repubblica di Macedonia.

 
  
  

– Dati personali (B5-0187/2003)

 
  
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  Ribeiro e Castro (UEN), per iscritto. – (PT) Talvolta ho l’impressione che i nostri peggiori nemici siamo noi stessi.

Le preoccupazioni che questo tema ha sollevato sono giustificate. E’ vero che le procedure sono state migliorate per effetto dell’armonizzazione con i criteri giuridici generali in materia di tutela dei dati. Tuttavia, dopo che nel testo adottato dalla commissione competente – da cui proviene la proposta originaria – è stato trovato un equilibrio, è del tutto deplorevole che i vari emendamenti abbiano minato tale equilibrio, peraltro ragionevole, e modificato il linguaggio del testo in un senso che non può essere definito che fanatico, intriso di demagogia.

Questa “furia” del tutto fuori luogo si può spiegare soltanto con lo scontro delle agende politiche e con il desiderio inconscio di attaccare gli americani o qualsiasi cosa che provenga dagli Stati Uniti o sappia di americano. E’ un dato di fatto che un simile linguaggio isterico risulta, di per sé, assolutamente incomprensibile alla luce delle delucidazioni fornite ieri dalla Commissione durante la discussione in seduta plenaria.

Pertanto, dato che questi emendamenti sono stati approvati non posso che votare contro la relazione finale.

Deploro che la maggioranza abbia voluto offrire ai cittadini questo triste spettacolo per dimostrare che la loro sicurezza sarebbe tutelata meglio se dipendesse dal Parlamento europeo. Ignorando il fatto che tutta questa vicenda è nata dai terribili attacchi terroristici compiuti per mezzo dell’uso civile dell’aviazione civile, il tono offensivo che è stato utilizzato si rivolge contro la polizia invece che contro i terroristi (e invece che contro i rischi reali che esistono), lanciando il deplorevole segnale che non siamo in grado di comprendere la dura realtà e...

(Testo abbreviato conformemente all’articolo 137, paragrafo 1, del Regolamento)

 
  
  

Relazione Gröner (A5-0060/2003)

 
  
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  Lulling (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Nel maggio 2002 l’Ufficio di presidenza autorizzò la commissione per i diritti della donna e le pari opportunità a redigere una relazione d’iniziativa su un approccio integrato alla tematica di genere nel Parlamento europeo.

Devo dire che questo tema, scelto dalla commissione per i diritti della donna e le pari opportunità, non rientrava tra le mie personali priorità, dato che ci sono molti altri problemi che meritano di essere affrontati nell’ambito di una relazione d’iniziativa, e si tratta di problemi che riguardano milioni di donne nell’Unione europea, come, ad esempio, la previdenza sociale autonoma per le mogli che collaborano alla conduzione di piccole e medie imprese e di aziende agricole, dove queste lavoratrici non pagate e invisibili sono discriminate soprattutto in caso di divorzio.

Le donne che sono abbastanza fortunate da lavorare per il Parlamento europeo e quelle che sono riuscite a farsi eleggere in questa Istituzione non sono di certo tra le più discriminate né quelle più meritevoli di compassione tra la popolazione femminile dell’Unione europea, che rappresenta la maggioranza dei cittadini. Ciò non di meno, ci troviamo ora ad affrontare questa relazione, che segue la scia di molte altre, alle quali peraltro si richiama, e che si limita a ribadire una volta di più quanto è stato fatto in passato e quanto è sancito in varie direttive e nello statuto dei dipendenti. C’era proprio bisogno di una relazione d’iniziativa per dire che il Parlamento condivide le disposizioni dell’articolo 13 del Trattato che vietano ogni forma di discriminazione?

(Testo abbreviato conformemente all’articolo 137, paragrafo 1, del Regolamento)

 
  
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  Raschhofer (NI), per iscritto. – (DE) Al giorno d’oggi la nostra società non può fare a meno di provvedimenti volti a promuovere una maggiore parità di opportunità per le donne. A tale riguardo, le Istituzioni europee, e in particolare il Parlamento europeo, possono dare il buon esempio per tutto il mondo del lavoro.

La parità tra uomo e donna è sancita nel Trattato istitutivo delle Comunità europee e nella Carta dei diritti fondamentali. Il gender mainstreaming costituisce, in tale contesto, un’idonea strategia a lungo termine per assicurare che la prospettiva di genere sia integrata nei processi decisionali a livello politico ed amministrativo e che la parità di opportunità sia garantita in tutti i settori politici ad ogni livello.

In quanto donna, però, posso affermare che vorrei essere giudicata per quello che faccio, non per il genere cui appartengo. Il concetto di “discriminazione positiva” è una contraddizione in termini poiché la discriminazione non può essere positiva. Occorre dunque agire con accortezza per evitare di fare di ogni erba un fascio.

 
  
  

– Relazione Bösch (A5-0055/2003)

 
  
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  Berthu (NI), per iscritto. – (FR) Abbiamo votato a favore della relazione Bösch sulla tutela degli interessi finanziari della Comunità poiché è una relazione seria e fondata, che elenca una serie impressionante di problemi e di casi di frode compiuti all’interno della Commissione, confermando così quanto andiamo dicendo da molto tempo.

Durante questa seduta è emerso che non sono stati portati a conoscenza del Parlamento europeo documenti relativi al caso Andreasen (il caso del contestato licenziamento di una dipendente della Commissione responsabile della contabilità che aveva denunciato irregolarità nelle abituali procedure contabili). Vogliamo protestare per il fatto che il Parlamento è stato tenuto all’oscuro. E’ quindi possibile che questo scandalo si aggravi ulteriormente e vada ad aggiungersi alle accuse contenute nella relazione Bösch.

Nutriamo, tuttavia, riserve quanto alla riproposizione dell’annosa richiesta – che, sia pur discretamente, viene in realtà ripresentata nella relazione Bösch – di istituire la figura del procuratore europeo. Senza entrare nel merito della discussione, desidero però ricordare che anche il gruppo di lavoro della Convenzione competente in merito, a dispetto del suo orientamento in senso federalista, ha giudicato tale richiesta discutibile. Possiamo peraltro ottenere lo stesso risultato usando altri strumenti, come Eurojust, che presenterebbero inoltre il vantaggio di non sollevare problemi istituzionali a catena.

 
  
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  Raschhofer (NI), per iscritto. – (DE) Il fatto che nel 2001 i casi di sospette truffe e irregolarità siano diminuiti del 37 per cento rispetto all’anno precedente è un dato ingannevole, che occulta il vero e forte messaggio contenuto nella relazione. In realtà, infatti, facendo un confronto con gli anni precedenti quel dato si colloca al secondo posto della graduatoria dei reati di truffa mai registrati. Questi dati, ricavati dalla relazione, sono motivo di preoccupazione. Nonostante vi siano stati miglioramenti nella lotta contro le frodi, sembra essere pressoché impossibile eliminare gli abusi o un utilizzo non corretto dei fondi dell’Unione europea.

Ribadisco la mia vecchia critica secondo cui gli abusi sono insiti nella struttura stessa del sistema. Rivolgo un appello agli Stati membri affinché s’impegnino maggiormente per porre fine agli abusi in questo campo. La cooperazione con gli altri paesi membri nonché controlli più severi nel proprio paese sono misure d’importanza cruciale, non solo in vista del prossimo ampliamento.

 
  
  

– Relazione Whitehead (A5-0023/2003)

 
  
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  Meijer (GUE/NGL), per iscritto. – (NL) La tutela dei diritti dei consumatori, al pari della tutela della salute, dell’ambiente e della sicurezza sul posto di lavoro, non deve cessare ai confini di un paese. Se l’Unione europea non esistesse, i singoli paesi dovrebbero concludere accordi sull’aiuto reciproco nella difesa di tali diritti. Ma, come sempre, quello che conta veramente è il contenuto degli accordi, non il fatto che l’intera materia sia disciplinata in modo uniforme. Si può mettere tutto su uno stesso piano regolamentando il meno possibile, cancellando le norme nazionali esistenti e lasciando quanto più possibile alla collaborazione volontaria delle imprese interessate. Forse, un’ipotesi del genere ben si coniuga con l’ideologia neoliberista prevalente, ma non fornisce garanzie di tutela e non impedisce a coloro che violano le regole di perseverare nelle loro cattive pratiche. Nelle decisioni riguardanti la strategia e il Libro verde sulla politica europea per i consumatori c’è la forte tentazione di abusare della tutela dei consumatori, ossia di utilizzarla come una leva per imporre maggiore uniformità normativa a livello europeo, senza però risolvere i problemi reali. Concordo con l’avvertimento lanciato al riguardo dall’Associazione dei consumatori dei Paesi Bassi. Quello che occorre fare è lottare contro le pratiche commerciali scorrette. I codici di condotta non possono sostituirsi alla legislazione, possono essere al massimo un’integrazione di dettaglio. Il rispetto di tali disposizioni integrative da parte di tutte le parti interessate deve essere vincolante. Per fortuna, le proposte dei relatori Thyssen, Patrie e Whitehead vanno all’incirca nella stessa direzione. Sulla parte finale del paragrafo 23 ho commesso un errore nell’esprimere il mio voto.

 
  
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  Piscarreta (PPE-DE), per iscritto. – (PT) La relazione Whitehead rappresenta un’iniziativa di fondamentale importanza per la strategia europea della politica di tutela dei consumatori. E’ significativo che la relazione si incentri sul settore del turismo – così rilevante per la sopravvivenza della regione dell’Algarve, che qui rappresento. In tale settore, infatti, la tutela dei consumatori è sinonimo di qualità. In questo quadro di promozione del turismo di alta qualità, la relazione chiede soprattutto che siano garantiti un elevato livello comune di tutela dei consumatori e un più efficace rispetto delle norme vigenti. A dispetto della loro importanza, queste priorità, prese singolarmente, risultano relativamente poco ambiziose.

Concordo quindi pienamente con il relatore quando sottolinea la necessità che l’Unione europea adotti iniziative legislative che sono essenziali per la tutela della vita umana, specificamente nel settore del turismo, e, in particolare, di approvare in tempi rapidi una direttiva sulle misure di protezione antincendio negli alberghi, di rivedere l’attuale sistema del tempo di lavoro condiviso e di estendere la tutela dei consumatori al settore del trasporto aereo.

Accolgo con favore anche le iniziative volte ad informare i consumatori sui loro diritti. Al momento attuale, solo un misero 52 per cento dei consumatori ritiene di essere bene informato. A tale scopo appoggio una maggiore partecipazione delle associazioni dei consumatori all’organizzazione di campagne di sensibilizzazione ed informazione.

 
  
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  Ribeiro e Castro (UEN), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione e rilevo con piacere, in particolare, l’ampio consenso ottenuto su questa materia in sede di commissione competente. Infatti, la strategia della politica dei consumatori per il periodo 2002-2006 porterà a proposte legislative che noi, al pari del relatore, ci auguriamo rispettino gli importanti criteri stabiliti nel pacchetto della Commissione europea su una migliore regolamentazione. Più esattamente, mi riferisco ai principi di sussidiarietà, necessità e proporzionalità, alla presentazione di prove sufficienti che dimostrino l’esigenza di un’azione europea, all’individuazione delle barriere che attualmente ostacolano lo sviluppo del mercato interno, alla diffusione di informazioni adeguate sull’impatto dell’acquis comunitario e sulle principali parti interessate, che sono le imprese e i consumatori, nonché, infine, alla presentazione di prove e garanzie sufficienti della fattibilità e dell’efficacia delle misure destinate all’attuazione degli obiettivi fissati.

Oltre a ribadire l’importanza di dare ascolto alle associazioni dei consumatori – comprese quelle nei paesi candidati – e la forte necessità di coinvolgerle nella preparazione della legislazione futura, ritengo che, a questo punto, sia assolutamente opportuno che la Commissione non solo lanci la discussione avviata dal Libro verde sulla tutela dei consumatori, bensì organizzi anche campagne di sensibilizzazione che si rivolgano direttamente ai consumatori. Come il relatore ha giustamente detto, “un consumatore informato è un consumatore adulto”.

 
  
  

– Relazione Patrie (A5-0423/2002)

 
  
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  Ribeiro e Castro (UEN), per iscritto. – (PT) Come ho affermato nella mia dichiarazione di voto sulla relazione Thyssen, le norme sulla tutela dei consumatori dell’Unione sono state palesemente incapaci di adeguarsi ad un mercato in rapido cambiamento. Pertanto è di estrema importanza assicurare, sostanzialmente, che i consumatori possano fare riferimento ad un quadro giuridico semplice, coerente, affidabile ed efficace, che possa essere attuato indipendentemente dalla natura della pratica commerciale in questione.

Condivido altresì la proposta secondo cui la Commissione dovrebbe prendere in seria considerazione la creazione di basi di dati che consentano lo scambio di informazioni e la realizzazione di un sistema di preallarme tale da permettere agli Stati membri di intraprendere azioni coordinate nei casi di flagrante violazione dei diritti dei consumatori. L’esistenza di un mercato unico e, al suo interno, di una pluralità di operatori commerciali transnazionali rende necessario lo sviluppo di adeguati meccanismi che assicurino tutela e trasparenza.

Infine, anch’io ritengo che, dando seguito alla partecipazione delle associazioni dei consumatori, dovremmo adottare un codice di condotta, stilare un elenco delle pratiche scorrette e, a tempo debito, istituire un quadro legislativo che rifletta il risultato finale della discussione (tra i modelli proposti al riguardo ci sono “armonizzazione massima”, “armonizzazione minima” o “approccio caso per caso”). Tuttavia occorre sottolineare che questo modello dovrà anch’esso tenere nella dovuta considerazione i principi di sussidiarietà e proporzionalità.

 
  
  

– Relazione Thyssen (A5-0054/2003)

 
  
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  Queiró (UEN), per iscritto. – (PT) La relazione Thyssen chiede molto giustamente l’adozione di provvedimenti legislativi più semplici e più mirati per facilitare l’attuazione delle strategie legislative proposte nel Libro verde sulla tutela legale dei consumatori, poiché, nonostante i progressi compiuti, l’arsenale legislativo applicabile al mercato unico manca di trasparenza ed è troppo frammentato per poter ispirare fiducia tra i consumatori.

Come tutti sanno, questo Libro verde della Commissione sulle pratiche commerciali corrette mira a stimolare la discussione sulle possibilità di migliorare il funzionamento del mercato unico nel campo del commercio elettronico tra operatori commerciali e consumatori.

E’ nostro preciso dovere appoggiare questa discussione e adottare norme che possano essere attuate in maniera semplice ed efficace e che tutelino in modo reale i consumatori su un mercato unico in rapido e costante cambiamento. Per tali motivi ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Ribeiro e Castro (UEN), per iscritto. – (PT) Condivido il parere che le norme sulla tutela dei consumatori dell’Unione non sono state capaci di adeguarsi ad un mercato in rapida evoluzione. Questo è il motivo per cui, promuovendo una discussione sulle possibilità di migliorare il funzionamento del mercato unico, il Libro verde è alquanto opportuno.

Approvo anche l’attenzione che il Libro verde riserva alle nuove relazioni tra le imprese e i consumatori, in particolare nel contesto del commercio elettronico. Infatti, l’affermarsi di una nuova realtà commerciale, nata a seguito della crescita esponenziale del commercio elettronico, rende necessaria l’adozione di provvedimenti realistici, più in particolare di misure coerenti con i principi di maggiore sicurezza nel commercio legale, della sicurezza delle transazioni commerciali, della tutela dei consumatori e di pratiche commerciali corrette tra i concorrenti. Al fine di raggiungere questi obiettivi, concordo con la proposta della commissione giuridica, soprattutto laddove sottolinea la necessità che la normativa comunitaria adottata sulla base di questo Libro verde sia chiara, semplice, coerente e di elevata qualità legislativa. Ritengo altresì fondamentale, come già proposto, promuovere studi d’impatto e studi preparatori (a monte), nonché studi sugli effetti (a valle), in modo da consentire la creazione e lo sviluppo graduale di un sistema di tutela dei consumatori e di composizione delle controversie che sia accessibile, efficace e disponibile a costi bassi.

 
  
  

(La seduta, sospesa alle 12.40, riprende alle 15)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. FRIEDRICH
Vicepresidente(1)

 
  
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  Uca (GUE/NGL). (DE) Signor Presidente, oggi la Corte costituzionale turca ha messo fuori legge il partito pro-curdo HADEP (Partito democratico del popolo), e, tra l’altro, ha vietato a 46 dei suoi membri di compiere qualsiasi attività politica nei prossimi cinque anni. La Turchia è un paese candidato all’adesione all’Unione europea. Non è tollerabile che ancora al giorno d’oggi si mettano fuori legge partiti politici.

Signor Presidente, la prego di intervenire al riguardo.

 
  
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  Presidente. – Condivido senz’altro la sua critica; neanch’io comprendo come possano accadere cose del genere. Mettiamo a verbale la sua dichiarazione. Grazie al cielo, oggi non dobbiamo discutere dell’adesione della Turchia.

 
  
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  Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Signor Presidente, desidero porre all’attenzione dell’Ufficio di presidenza il seguente problema: nella risoluzione riguardante il tema su cui voteremo tra poco, ovvero il trasferimento di società, la versione portoghese del paragrafo 8 è diversa da tutte le altre versioni linguistiche. Credo che il paragrafo 8 della versione in lingua portoghese sia sbagliato e che sia corretto quello delle versioni in lingua francese, spagnola, inglese e così via. Chiedo quindi all’Ufficio di presidenza di provvedere affinché questo passo sia corretto e di informare l’Aula sull’avvenuta correzione prima dell’inizio della votazione.

 
  
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  Presidente. – La ringrazio per la sua comunicazione. Chiederemo ai servizi linguistici di occuparsi della cosa.

 
  

(1) Approvazione del processo verbale della seduta precedente: cfr. Processo verbale.


4. Chiusura delle imprese dopo l’attribuzione di assistenza finanziaria dell’Unione europea
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la dichiarazione della Commissione sulla chiusura delle imprese dopo l’attribuzione di assistenza finanziaria dell’Unione europea.

Ha la parola il Commissario Fischler.

 
  
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  Fischler, Commissione. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, il problema della chiusura di imprese che abbiano ricevuto l’assistenza finanziaria dell’Unione europea compare purtroppo con frequenza – anzi, con frequenza sempre maggiore – nei titoli dei giornali. Non è un problema nuovo, ma è comunque vero che negli ultimi tempi le chiusure, spesso seguite dalla delocalizzazione degli impianti, sono aumentate di numero. La Commissione perciò comprende bene il grande significato e la notevole importanza che il Parlamento europeo attribuisce a un problema cui i nostri concittadini guardano con giustificata inquietudine.

I miei colleghi, Commissari Diamantopoulou e Barnier, mi hanno chiesto di illustrarvi il punto di vista della Commissione in merito a questo complesso problema. E’ chiaro che si intrecciano qui svariati aspetti: anzitutto, la politica di coesione economica e sociale, tramite il cofinanziamento effettuato con i Fondi strutturali; in secondo luogo, la politica sociale europea e, in terzo luogo, infine, le regole del mercato interno europeo, che devono consentire alle nostre imprese di svilupparsi in un contesto di equa concorrenza.

Nel mio intervento mi concentrerò sui temi appena menzionati, ma vorrei toccare anche altri due punti. In primo luogo il problema della chiusura di imprese – benché riguardi direttamente anche la Comunità, in virtù degli aiuti finanziari concessi – non è un fenomeno puramente europeo, bensì una questione che deve essere inquadrata anche in un contesto internazionale.

Purtroppo le nostre imprese – trascurando a volte ogni considerazione di carattere sociale ed ambientale – cedono spesso alla tentazione di trasferire i propri impianti in paesi ove i livelli salariali sono più bassi. Per questa dimensione internazionale del problema occorre quindi trovare soluzioni su scala internazionale o globale, che devono anzitutto concretarsi in un’attiva cooperazione con i paesi poveri e nell’elaborazione di un diritto internazionale più rigoroso e più efficacemente applicato.

In secondo luogo, per la Commissione questo problema è particolarmente importante in vista dell’allargamento. Il mio collega, Commissario Verheugen, ha sinteticamente sottolineato il fatto che l’imminente allargamento offre una grande occasione per il futuro dell’Europa, nonostante le difficoltà che l’integrazione di questi paesi, il cui PNL pro capite è mediamente più basso, procurerà inevitabilmente nel breve periodo.

In un mercato interno quale è il nostro, spetta unicamente ai dirigenti dell’impresa interessata decidere sull’ubicazione dei propri impianti. Come sappiamo, gli investitori basano le proprie decisioni sui vantaggi comparativi delle rispettive località: entrano quindi nel calcolo il costo del lavoro, il clima sociale, la qualità delle infrastrutture, il quadro giuridico utilizzabile, ma spesso anche gli aiuti pubblici e le agevolazioni fiscali. Le sovvenzioni che gli investitori possono ottenere vengono liberamente contrattate con le autorità pubbliche, nel quadro delle norme giuridiche che, a livello nazionale e comunitario, regolano gli aiuti statali.

Sul tema “chiusura delle imprese e assistenza finanziaria dell’Unione europea” posso rammentarvi che la politica regionale dell’UE ha l’obiettivo di incoraggiare la coesione economica e sociale, stimolando lo sviluppo delle regioni più povere. Gli aiuti regionali concessi agli investimenti produttivi devono quindi anzitutto compensare gli svantaggi delle regioni che si intende favorire; ciò allo scopo di permettere a tali regioni di affermarsi più efficacemente nella concorrenza con le regioni più sviluppate. In questo campo, la Commissione può garantire unicamente l’attuazione delle disposizioni generali relative ai Fondi strutturali, decise dal Consiglio insieme al Parlamento europeo. Del resto, ciò corrisponde alle pratiche vigenti a livello nazionale, dove ogni regione si adopera per attirare nuove imprese e investimenti diretti.

Tocca inoltre alla Commissione impedire la concorrenza sleale fra Stati, soggetti economici e parti sociali. A tale scopo i Fondi strutturali prevedono, per il periodo 2000-2006, una serie di misure preventive che vorrei brevemente ricordare. Gli orientamenti di massima degli aiuti statali con obiettivi regionali prevedono che i beneficiari di tali aiuti debbano mantenere i propri investimenti per un periodo minimo di cinque anni; tale periodo inizia con la data del primo investimento della rispettiva impresa.

Il regolamento generale dei Fondi strutturali del 1999 va nella stessa direzione, in quanto stabilisce che la partecipazione dei Fondi ad un’attività produttiva può continuare soltanto se il luogo in cui tale attività si svolge resta lo stesso nel corso dei cinque anni successivi alla decisione sul contributo dei Fondi strutturali.

Concludo col nuovo regolamento sulle sovvenzioni all’occupazione, approvato nel 2002; esso è un po’ più flessibile, in quanto prevede l’obbligo di mantenere i posti di lavoro creati per tre anni almeno, nel caso delle grandi imprese, e per due anni almeno nel caso delle piccole e medie imprese.

Tutte queste misure si dovranno applicare anche ai futuri Stati membri dal momento della loro adesione. Per amor di completezza vorrei tuttavia precisare che la clausola dei cinque anni appena menzionata riguarda solo il piano 2000-2006. Per il periodo 1994-1999 è possibile la riduzione o la cancellazione degli aiuti comunitari, qualora non sussistano più i requisiti per l’attuazione delle misure. In ogni caso né la Commissione, né gli Stati membri possono rifiutarsi di concedere una sovvenzione, quando siano rispettati i requisiti necessari. Se però risulta che un’impresa beneficiaria non ha rispettato le prescrizioni comunitarie relative agli aiuti statali, tale impresa dovrà restituire le sovvenzioni illegittimamente ricevute.

La Commissione è quindi pronta a far fronte alle proprie responsabilità, nel caso che un’impresa riceva, nel quadro di un programma di aiuti cofinanziato da un programma comunitario, sovvenzioni che non le spetterebbero. Ciò presuppone tuttavia che le autorità del paese da cui l’impresa si è allontanata abbiano accertato, sulla base dei punti appena descritti, una violazione delle disposizioni.

Consentitemi ora di soffermarmi brevemente sulla dimensione sociale del problema della chiusura delle imprese. Benché la chiusura di un impianto sia indubbiamente una questione che riguarda i dirigenti dell’azienda interessata, non possiamo comunque trascurare il fatto che le numerose ristrutturazioni attualmente in corso in Europa non si possono porre tutte sullo stesso piano. Alcune sono frutto di decisioni chiaramente economiche, apertamente discusse con i dipendenti e con i loro rappresentanti, mentre altre, purtroppo, vengono effettuate in palese spregio delle leggi sul lavoro, precipitando talvolta direttamente i lavoratori nella disoccupazione.

Il punto di vista della Commissione è chiaro: le imprese hanno certamente piena libertà nel prendere le proprie decisioni economiche, ma devono comunque sempre tener presente la dimensione sociale. Qualora i licenziamenti siano inevitabili, occorre compiere ogni sforzo possibile per offrire ai lavoratori colpiti la possibilità di rientrare nel mondo del lavoro. A tale scopo si rende necessaria una saggia e razionale politica da parte delle imprese, le quali devono dare prova di senso di responsabilità sociale.

Nulla però – e su questo punto vorrei insistere in modo particolare – assolutamente nulla può giustificare il fatto che, in occasione di una ristrutturazione, i rappresentanti dei lavoratori non vengano informati e consultati. Il quadro in cui deve svolgersi tale dialogo è fissato da numerose direttive comunitarie. In particolare, la direttiva sulla costituzione di un Comitato aziendale europeo impone ai gruppi multinazionali con sede in Europa precisi obblighi in materia di informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori.

Le misure sociali che si accompagnano alle ristrutturazioni sono, in ultima analisi, un tema importante anche per le parti sociali e per il nuovo Osservatorio europeo sul cambiamento industriale. Anche in questo campo, però, la Commissione dipende dagli Stati membri, ai quali tocca vigilare sul rispetto del diritto del lavoro comunitario. La Commissione intende comunque svolgere in maniera esaustiva la propria funzione di controllo, anzitutto per garantire che le direttive in materia di informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori vengano applicate in modo soddisfacente.

(Applausi)

 
  
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  Bastos (PPE-DE). (PT) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, vorrei congratularmi col Commissario Fischler per la comunicazione che ha appena presentato al Parlamento, ma proprio non posso; me lo impedisce il contorto atteggiamento mentale che si è tradotto in un tardivo approccio ad un problema sul tappeto già da molto tempo – come ha appena ammesso anche il Commissario; e me lo impedisce anche il deludente contenuto di questa comunicazione della Commissione.

Nel migliore dei casi oggi ci sforzeremo di limitare i danni prodotti dagli abusi connessi alla concessione di aiuti comunitari alle imprese multinazionali. Forse, se la Commissione si fosse dimostrata più vigile e previdente, non si sarebbero verificate le chiusure e le ristrutturazioni di aziende che hanno infine condotto all’odierna comunicazione della Commissione. A nome del gruppo PPE-DE e mio personale desidero esprimere incondizionata solidarietà a tutti i lavoratori colpiti – soprattutto in Portogallo – dalle chiusure di stabilimenti effettuate da aziende straniere.

La perdita del posto di lavoro infligge – ai lavoratori che la subiscono e alle loro famiglie – un colpo tremendo. Mi soffermerò su due casi che mi sono molto familiari: quelli della fabbrica di scarpe Clark e dell’azienda di abbigliamento Bawo. Nel gennaio scorso la direzione della Clark ha deciso, di punto in bianco e senza consultare nessuno, di chiudere il proprio stabilimento di Castelo de Paiva, in Portogallo, condannando alla disoccupazione 588 dipendenti. Due anni prima, agendo nello stesso modo, la stessa azienda aveva chiuso il proprio impianto di Arouca – nella stessa regione – lasciando senza lavoro quasi 500 persone. La Clark ha ricevuto sovvenzioni estremamente cospicue sia di provenienza locale, che nazionale e comunitaria; ciononostante, l’azienda ha giustificato questi licenziamenti di massa con la necessità di importare tomaie dall’India e dalla Romania per mantenere i prezzi a livello competitivo. Ho citato testualmente il comunicato stampa emesso dalla Clark il 10 gennaio.

L’altro caso si presenta nei termini seguenti: nel febbraio scorso, i dirigenti della Bawo hanno iniziato a smantellare i macchinari del proprio stabilimento di Estarreja; l’operazione è stata effettuata nottetempo, e a totale insaputa delle lavoratrici. Per puro caso una dipendente si è resa conto di ciò che stava avvenendo ed ha avvertito le compagne di lavoro. Tutte le lavoratrici sono allora rimaste di guardia ai cancelli dello stabilimento, giorno e notte, al freddo e sotto la pioggia, fino a quando il tribunale non ha ordinato il sequestro degli impianti.

Entrambe le aziende intendono delocalizzare l’attività nei paesi candidati e in paesi terzi. Siamo di fronte a due classici cattivi esempi che sollevano le seguenti domande: qual è l’equilibrio tra interessi economici, interessi delle aziende e diritti dei lavoratori e della società? Se questa situazione dovesse persistere, che ne sarà del modello sociale europeo?

Signor Presidente, signor Commissario, siamo favorevoli alla competitività, non avversiamo la globalizzazione, comprendiamo la natura competitiva del mercato mondiale, ma non possiamo accettare che l’economia venga considerata un fine in sé piuttosto che uno strumento al servizio dell’umanità. Non possiamo tollerare che il denaro dei contribuenti europei venga utilizzato per remunerare aziende che passano da un paese all’altro alla ricerca di lauti profitti e manodopera a buon mercato. Queste aziende, peraltro, si comportano in tal modo senza curarsi minimamente delle conseguenze sociali che si abbatteranno sui lavoratori e sulle loro famiglie, né degli effetti economici sulle regioni colpite. Le sovvenzioni devono servire a creare occupazione e non a finanziare le delocalizzazioni. Non intendiamo impedire alle imprese di chiudere o delocalizzare i propri impianti; vogliamo però garantire che le aziende beneficiarie di aiuti finanziari forniscano impegni e garanzie in fatto di stabilità occupazionale.

Per l’Unione europea, l’occupazione è una priorità. La strategia di Lisbona si è posta l’obiettivo di raggiungere la piena occupazione entro il decennio in corso. Il Parlamento guarda con preoccupazione sempre crescente alla strada che resta da fare per raggiungere questo traguardo. Il fenomeno delle delocalizzazioni industriali si diffonde in molti Stati membri, genera disoccupazione e mette a repentaglio lo sviluppo economico e sociale delle regioni colpite. Di conseguenza i sistemi di previdenza sociale dovranno sopportare pressioni più gravose, facendosi carico dei costi dell’assistenza sociale fornita ai disoccupati: tutto questo ci allontanerà sempre di più dall’obiettivo delineato a Lisbona.

Occorre agire senza indugio. Invitiamo quindi la Commissione ad elaborare un quadro legislativo che inserisca un elemento di moralità nella concessione dei finanziamenti comunitari alle imprese. E’ necessario fissare norme precise che prevengano e puniscano gli eventuali abusi commessi dalle aziende che ricevono sovvenzioni dall’Unione europea; la Commissione deve rifiutarsi di concedere aiuti a quelle imprese che non rispettano gli impegni sottoscritti con gli Stati membri e costringerle a restituire le somme ricevute. Come misura immediata, esortiamo la Commissione a monitorare le chiusure di impianti attualmente in corso, nonché a redigere un elenco delle aziende che non tengono fede ai propri impegni. Concludo esprimendo il mio apprezzamento per il sostegno offertoci dagli altri gruppi politici del Parlamento, in particolare dai colleghi socialisti, i quali hanno compreso le gravi conseguenze delle delocalizzazioni industriali per tutta la Comunità.

 
  
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  Lage (PSE). (PT) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, permettetemi uno sfogo, oltre ad una domanda e ad un’espressione di rammarico. Comincerò con lo sfogo: chiusure di aziende, ristrutturazioni brutali ed inumane, licenziamenti di massa, delocalizzazioni improvvise; ecco gli imprevisti e – spero – episodici aspetti del capitalismo selvaggio che imperversa in Europa. Signor Presidente, onorevoli colleghi, tutto questo avviene quando si scrivono libri e si pronunciano discorsi su una nuova cultura industriale e quando si discute tanto di etica industriale ed imprenditoriale. Si parla persino di un’etica sociale delle imprese, di un’etica ecologica, e ho letto addirittura – Dio ce ne scampi – di un’etica kantiana degli imprenditori, mentre invece molti di essi sembrano meritare piuttosto gli anatemi di un pensatore del diciannovesimo secolo come Karl Marx. Alcuni imprenditori si comportano da autentici predoni, indifferenti alle crisi sociali che provocano, alle tragedie che causano a individui e famiglie ed alle crisi che cagionano nelle economie locali. Si è persino creata una nuova specializzazione imprenditoriale, consistente nell’ottenere le somme più alte possibili dai Fondi europei, per abbandonare poi, alla prima occasione, le aziende in tal modo sovvenzionate sull’orlo del fallimento o addirittura nella completa bancarotta. Dobbiamo reagire a questa vergognosa usanza, del tutto contraria allo spirito di un moderno mercato imprenditoriale ed al modello di prospera economia sociale che contraddistingue oggi l’Europa.

La mia domanda è questa: dal momento che siamo di fronte ad un fenomeno europeo – da combattere perciò su scala europea – bisogna sottolineare la particolare dimensione che le delocalizzazioni e le chiusure di aziende hanno assunto negli ultimi mesi in Portogallo, ove numerose imprese, quasi sempre multinazionali, hanno annunciato l’intenzione di por fine alla propria attività per trasferirsi altrove. Alcune di esse hanno ricevuto ingenti aiuti finanziari per stabilirsi, ad esempio, nelle regioni di Aveiro, Coimbra e Leiria; a questo scopo hanno anche firmato, con le autorità locali, contratti che le impegnavano a mantenere la propria attività in quei luoghi per un certo numero di anni. Questa vicenda rappresenta una vera e propria catastrofe per le città e le regioni portoghesi che vi sono coinvolte, ove i primi investimenti avevano suscitato grandi speranze ora amaramente svanite.

Il mio rammarico riecheggia le parole con cui l’onorevole Bastos ha stigmatizzato il ritardo della Commissione nell’affrontare un fenomeno, che già da lungo tempo si profilava in molti paesi europei. Anch’io ritengo che la Commissione avrebbe dovuto agire più tempestivamente, non solo garantendo l’applicazione delle disposizioni legislative e delle direttive vigenti, ma elaborando pure un programma d’azione per l’eventualità di una crisi come quella odierna.

Concludo tuttavia congratulandomi col Commissario, il quale ha definito una dottrina e una strategia che, in linea di principio, offrono i mezzi necessari per rispondere – a livello legislativo, finanziario e sociale – a situazioni di tal genere. Desidero anche congratularmi col Parlamento e con tutti i gruppi politici, per la posizione unitaria che è stata assunta su una materia così grave; ciò dimostra che il Parlamento europeo non volge le spalle ai problemi dei cittadini europei ed è capace di comunicare con la società e i cittadini stessi. Tale presa di posizione giova alla dignità e al decoro della nostra Assemblea. Spero perciò, signor Commissario, che saremo ancora in grado di offrire il nostro incoraggiamento a quei lavoratori che sono oggi privi di speranza, fornendo una risposta pratica ed un’alternativa alla loro situazione. Con questo, signor Presidente, obbedisco al suono del suo martelletto che mi invita a concludere.

 
  
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  Figueiredo (GUE/NGL). (PT) Signor Presidente, due brevi osservazioni iniziali: anzitutto, il Commissario Fischler non mi ha deluso perché da molto non nutro più alcuna illusione sul suo operato. La seconda osservazione riguarda la collega, onorevole Bastos, il cui intervento è in netto contrasto con la linea del governo portoghese, presieduto dal massimo dirigente del suo stesso partito, il PSD; me ne congratulo con lei, ma non posso fare a meno di notare la contraddizione.

Onorevoli colleghi, signor Commissario, l’intensificarsi delle delocalizzazioni operate da imprese multinazionali, con la parziale o totale chiusura degli stabilimenti situati in paesi dell’Unione europea – specialmente in Portogallo – incrementa la disoccupazione e soffoca lo sviluppo di quelle regioni in cui mancano possibilità di occupazione alternative: in tal modo si aggravano la povertà e l’esclusione sociale.

Nella gran parte dei casi queste aziende delocalizzano i loro impianti all’unico scopo di massimizzare i profitti, dal momento che produttività, efficienza e sostenibilità economica non sono in gioco. Inoltre, le delocalizzazioni avvengono spesso dopo che le imprese hanno ricevuto sostanziose sovvenzioni comunitarie, nazionali e locali, senza onorare gli impegni presi e trascurando i gravissimi danni sociali ed economici che ne conseguono: è il caso della C & J Clark ad Arouca e a Castelo de Paiva, e di molte altre situazioni analoghe in Portogallo.

E’ una situazione inaccettabile basata su una specie di nomadismo degli investimenti, privo di considerazioni etiche e di responsabilità sociale, teso unicamente a spremere il massimo profitto possibile, costantemente a caccia di maggiori incentivi, di più pingui aiuti finanziari e fiscali e di manodopera a buon mercato con scarsi diritti, pronto a cambiare sede non appena altrove si profili la prospettiva di profitti più alti o di aiuti comunitari più sostanziosi.

Questa situazione è particolarmente grave nei paesi più deboli dal punto di vista economico e sociale. Il caso del Portogallo non si può paragonare a quello di altri paesi, benché, nel complesso, il problema richieda grande attenzione in tutta l’Unione europea. In Portogallo si sono verificati numerosi esempi di questo fenomeno, concretatisi nella chiusura di imprese o comparti di imprese, in reiterate minacce in tal senso e in tagli di posti di lavoro da parte delle multinazionali. Ecco alcuni casi: Eres, Bawo, Schuh-Union, Scottwool, Rhode, Ecco’let, Yasaki Saltano, Philips, Alcoa, Dhelphy, Alcatel. Insomma, un elenco lunghissimo, che bisogna esaminare attentamente. I lavoratori minacciati sono molte migliaia – soprattutto donne, particolare che vale la pena di notare – nei settori tessile, calzaturiero, elettrico, elettronico e dell’abbigliamento. Occorre perciò adottare misure per regolamentare questo tipo di investimenti, tutelando l’occupazione e lo sviluppo locale e regionale.

Da ciò derivano le nostre proposte, relative alla tempestiva creazione di un quadro giuridico – non limitato alle caratteristiche appena descritte dal Commissario Fischler – che faccia dipendere gli aiuti comunitari agli investimenti dal rispetto, da parte delle imprese, di obblighi contrattuali volti a tutelare gli interessi delle comunità e delle regioni coinvolte; in tal modo si potrà sostenere lo sviluppo economico e sociale, garantendo inoltre alle organizzazioni dei lavoratori la possibilità di ottenere informazioni e di intervenire in tutte le fasi del processo, diritto di veto compreso.

E’ di vitale importanza che qualsiasi forma di aiuti sia condizionata ad accordi a lungo termine in fatto di occupazione e sviluppo locale, e che gli aiuti dipendenti da programmi comunitari vengano negati alle aziende che non rispettano tali impegni o fanno cattivo uso dei finanziamenti ricevuti. Non si devono neppure concedere aiuti a quelle imprese che, dopo aver ricevuto un finanziamento in uno Stato membro, trasferiscono la propria attività in un altro senza adempiere pienamente i propri impegni; in caso contrario i fondi ricevuti nel primo paese dovranno essere rimborsati.

Di conseguenza la Commissione deve effettuare una rigorosa valutazione di tutti i casi recenti o ancora in corso, e le aziende che hanno ricevuto finanziamenti comunitari devono essere tutte sottoposte ad una revisione; a queste operazioni deve accompagnarsi un approfondito esame delle chiusure di quelle aziende che hanno ricevuto finanziamenti comunitari, nonché delle delocalizzazioni attualmente in corso. Nell’imminenza dell’allargamento la situazione è infatti ancor più preoccupante.

 
  
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  Isler Béguin (Verts/ALE). (FR) Signor Presidente, signor Commissario, spero che la presenza del Commissario Fischler non dipenda dal fatto che stiamo discutendo di desertificazione industriale. Dissento dall’analisi del Commissario, in quanto reputo che l’Unione europea abbia a disposizione strumenti efficaci per influire su quelle imprese che, pur sovvenzionate dall’Europa, non esitano a delocalizzare gli impianti. D’altra parte, non credo neppure che si possa sempre tralasciare la questione della globalizzazione, perché in ultima analisi questo dibattito riguarda l’evoluzione socioeconomica del nostro spazio comunitario e pone il problema della politica europea, del quadro giuridico da adottare di fronte alle ondate della globalizzazione, di un liberalismo senza frontiere e senza principi.

L’Unione resta l’interlocutore e il soggetto più adeguato a nostra disposizione per affrontare questi fenomeni planetari; occorre dirlo chiaramente, occorre crederci, ma le vostre proposte oggi non sono più sufficienti. Restano ancora da instaurare numerosi quadri legislativi, per offrire agli investitori europei un livello minimo di garanzie e insieme dare un pegno di sicurezza e stabilità occupazionale a milioni di nostri concittadini.

Alla luce dei cataclismi industriali che recentemente hanno sconvolto numerose regioni degli Stati membri, dal Portogallo alla mia Lorena, estendendosi ormai anche ai paesi candidati, risulta chiara la necessità di rovesciare l’attuale situazione di vuoto giuridico in campo economico, instaurando un nuovo equilibrio tra istanze comunitarie e investitori privati. Noi, che siamo stati eletti in queste regioni specifiche, non possiamo più tollerare che l’Unione europea divenga un Far West per cacciatori di premi comunitari che ottengono fondi pubblici per aumentare gli investimenti nei bacini occupazionali e che poi delocalizzano corrompendo ogni tessuto industriale.

Siderurgia e industria tessile non sono gli unici sinonimi della desertificazione industriale: vi si possono aggiungere ormai il settore terziario e aziende ad alto valore aggiunto come Daewoo e Philips. Cosa ci riserva il futuro se l’Unione europea non riesce a padroneggiare i propri flussi d’investimento, se si confessa incapace di elaborare un codice “diritti-doveri” ogni volta che deve negoziare le proprie sovvenzioni? Superate queste crisi industriali, dobbiamo riuscire a trarne un insegnamento per stabilire chiaramente, in fatto di occupazione, obblighi di qualità, di quantità e di stabilità proporzionati a ciascuna sovvenzione comunitaria.

Possiamo per esempio ricordare che tra il 1988 e il 1995 il bacino occupazionale di Longwy, in Lorena, era stato talmente traumatizzato dalla crisi dell’industria pesante, che non aveva preteso alcuna garanzia prima di accogliere Daewoo – azienda peraltro considerevolmente sostenuta da aiuti comunitari; ma oggi Daewoo cancella quei posti di lavoro con spensierata disinvoltura. Il contesto degli aiuti si è da allora irrobustito, ma evidentemente in maniera ancora insufficiente; e neppure le vostre proposte, signor Commissario, bastano a restituire ai nostri concittadini la fiducia nella politica sociale dell’Unione europea e a rafforzare la vigilanza della legislazione comunitaria, per garantire un contesto di lavoro e di vita sociale a quello spazio europeo che è in via di formazione.

L’Unione europea non può ridursi ad essere unicamente una fonte di finanziamenti; dobbiamo invece ripetere con decisione, ai pirati che saccheggiano le finanze comunitarie, una frase che già qualcun altro ha pronunciato anni addietro: I want my money back (“rivoglio i miei soldi”). Lo sviluppo sostenibile del nostro continente – unica prospettiva accettabile nel lungo periodo – deve articolarsi nel triplice significato di politica sociale di progresso, rispetto dell’ambiente e politica economica regolata da solidarietà e norme precise. Dobbiamo abbandonare le nocive abitudini del passato, ma è proprio quel che voi non state facendo, signor Commissario. Costringiamo invece le imprese che non hanno rispettato gli impegni sottoscritti a versare un risarcimento: sarà il prezzo dell’Europa, ma il futuro dell’Europa ha questo prezzo.

 
  
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  Ribeiro e Castro (UEN). (PT) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, devo purtroppo iniziare con una polemica tra colleghi, rammaricandomi che l’onorevole Figueiredo non abbia resistito alla tentazione di concentrarsi, piuttosto che sul problema principale, su un argomento secondario, ossia sul meschino cavillare di cui si pasce l’opposizione in Portogallo. Per di più, le affermazioni della collega non corrispondono a verità, in quanto sia il Primo Ministro che il governo e le autorità locali si sono occupati della questione con instancabile tenacia. La loro azione corrisponde in effetti allo spirito unitario che ha guidato i deputati portoghesi al Parlamento europeo; ciò spiega ampiamente l’orientamento assunto da questo dibattito ed il successo che ha coronato la risoluzione di compromesso su cui voteremo tra breve.

Ci auguriamo che – soprattutto in relazione alla vicenda portoghese della C & J Clark, che ha sconvolto tutto il Portogallo, la Commissione tragga finalmente le conclusioni atte a risolvere un problema che ci affligge già da molto tempo: quello delle aziende che vanno a caccia di sussidi comunitari. Ricordo l’esempio di Thierry Rousell, che dieci anni fa destò molto scalpore in Portogallo: egli condusse, a suo dire, una brillante missione esplorativa nella regione del Brejão, diffuse grandi speranze e infine arraffò svariati milioni di escudos. Questa vicenda non è stata completamente chiarita neppure oggi, né è approdata ad un’aula di tribunale. Si tratta di problemi annosi, che un giorno dovranno trovare una soluzione.

La delocalizzazione e la ristrutturazione industriale, nonché la chiusura di aziende che hanno ricevuto sovvenzioni comunitarie dall’Unione europea, sono fenomeni tutt’altro che nuovi; dimensioni e contesto sono però sensibilmente mutati. Come sappiamo, le motivazioni che inducono le imprese a chiudere e trasferirsi sono molteplici; conosciamo bene, però, anche i dannosi effetti delle delocalizzazioni, soprattutto quando tolgono posti di lavoro a regioni prive di alternative. Il recente caso della C & J Clark a Castelo de Paiva non ha bisogno di commenti.

Queste decisioni provocano un gran numero di esuberi; migliaia di posti di lavoro sono minacciati dall’incombente prospettiva di licenziamenti di massa – il licenziamento, cioè, dei lavoratori sopravvissuti alle precedenti ondate di licenziamenti, con gravissime ripercussioni sulle economie regionali. A tali conseguenze bisogna aggiungere gli effetti indiretti della diminuzione dei posti di lavoro e degli ordini per le aziende subappaltatrici, che quasi sempre sono piccole e medie imprese fragili, sorte dal tronco stesso del progetto principale e da esso interamente dipendenti. Non possiamo quindi rimanere indifferenti; non possiamo ignorare o fingere di ignorare che assai spesso queste aziende, soprattutto nelle regioni dell’Obiettivo 1, beneficiano dell’aiuto finanziario della Comunità e di sovvenzioni finanziarie fornite direttamente o indirettamente dagli Stati membri. Ancora, non possiamo ignorare o fingere di ignorare che assai spesso le aziende che chiudono, delocalizzano o cercano di delocalizzare gli impianti non si trovano affatto in difficoltà, ma sono anzi imprese di successo, dall’invidiabile produttività e rinomate per l’alta qualità della propria produzione. La decisione di chiudere è perciò un crudo segno di insensibilità sociale, ed è dettata da ragioni economiche del tutto esterne.

Dobbiamo accollarci completamente le nostre responsabilità, tenendo presente che, in questo settore, l’Unione europea è il più importante soggetto al mondo, ed in particolare deve garantire la disciplina delle delocalizzazioni aziendali nell’ambito del proprio mercato interno. Desideriamo perciò esprimere la nostra solidarietà ai lavoratori direttamente o indirettamente colpiti da queste vicende. Riteniamo inaccettabile che una multinazionale, dopo aver goduto del sostegno finanziario della Comunità nello Stato membro in cui ha deciso di stabilirsi, possa infrangere gli obblighi derivanti da tale sostegno. Invitiamo la Commissione e gli Stati membri ad ammonire le imprese attive in tutta la Comunità, affinché si astengano da iniziative potenzialmente dannose per l’occupazione, a meno che non sia stata attentamente vagliata ogni possibile alternativa. Chiediamo alla Commissione di esaminare i meccanismi di sostegno – a livello nazionale e comunitario – che essa amministra e di cui le imprese in questione hanno beneficiato. Tutti dobbiamo conoscere ciò che avviene in questo campo e l’opinione pubblica deve poter esercitare il proprio controllo ed imporre le proprie sanzioni.

 
  
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  Sacrédeus (PPE-DE). (SV) Signor Presidente, Gislaved, Bengtsfors e Skövde sono tre delle località svedesi in cui la vita di molte persone è stata sconvolta dal trasferimento di un gran numero di posti di lavoro in altri paesi dell’Unione europea. Tramite l’uso poco chiaro, o talvolta palesemente illecito, degli aiuti statali, gli introiti fiscali sono stati sfruttati per spostare posti di lavoro da un capo all’altro dell’Unione.

Per garantire l’equità delle norme la Commissione potrebbe – e mi rivolgo quindi espressamente al Commissario Fischler che è presente – infliggere punizioni più severe a quegli Stati membri che violino l’articolo 87, paragrafo 1, del Trattato CE. Attualmente le sanzioni che è possibile imporre in base a quest’articolo sono limitate al rimborso, da parte delle aziende e degli Stati membri, degli aiuti illecitamente riscossi. I responsabili, tuttavia, devono rimborsare soltanto la somma ricevuta più l’importo degli interessi; si tratta dunque di una punizione lieve in rapporto alla gravità dei fatti. La scarsa entità della pena, unita al fatto che le violazioni dell’articolo 87, paragrafo 1, vengono raramente alla luce, reca danno al mercato comune della CE; l’idea di mercato interno è lesa dalla distorsione della concorrenza prodotta dagli ingiustificati aiuti ricevuti da alcune aziende e da alcune forme di produzione.

Finora alcune piccole località svedesi hanno fatto le spese del disonesto mercato di posti di lavoro che prospera in Europa. Per la cittadina di Bengtsfors e per la provincia di Dalsland nella Svezia occidentale, ad esempio, gli effetti sono stati disastrosi. Gli Stati membri devono obbedire non solo alla lettera, ma anche allo spirito del Trattato CE; naturalmente, casi come quello di Bengtsfors intaccano gravemente la fiducia dei cittadini nel mercato interno dell’Unione europea.

Desidero ora rivolgere due specifiche domande al Commissario Fischler. In primo luogo vorrei sapere se egli considera adeguate e sufficientemente severe le sanzioni attualmente previste per le imprese cui viene concesso un aiuto di Stato, e che poi trasferiscono posti di lavoro da un paese dell’Unione europea all’altro: in questi casi non si crea nuova occupazione, ma al contrario si spazza via un meccanismo sociale che produce sicurezza.

La mia seconda domanda al Commissario Fischler si riallaccia alla risposta precedentemente data dalla Commissione a una domanda che riguardava il trasferimento di posti di lavoro da Bengtsfors, nella provincia di Dalsland, al Portogallo. Ritiene la Commissione che in futuro sia opportuno ridefinire gli aiuti strutturali, in modo da conferire priorità alle nuove iniziative ed alla creazione di nuovi posti di lavoro, anziché allo spostamento di posti di lavoro già esistenti da un paese all’altro?

 
  
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  Santos (PSE). (PT) (senza microfono) ... per aver affermato la mia cultura e la mia lingua, rappresenta ora, purtroppo, la constatazione che i maggiori problemi sociali prodotti dal fenomeno della delocalizzazione si verificano in Portogallo. Si verificano in Portogallo poiché la Commissione non ha preso le opportune precauzioni a tempo debito, e su questo punto concordo con quanto hanno già affermato alcuni colleghi, ma questo avviene soprattutto perché le normative portoghesi sono subordinate a un cieco dogmatismo finanziario, che trascura completamente l’economia reale e i bisogni dei cittadini.

Signor Presidente, signor Commissario, il rafforzamento dei diritti collettivi ed individuali dei lavoratori, specialmente in un contesto che, come conseguenza del cambiamento industriale, vede licenziamenti di massa, delocalizzazioni di aziende e fallimenti, è sancito da direttive che gli Stati membri devono rispettare, recependo le direttive nella legislazione nazionale con rapidità ed efficacia; ciò purtroppo non sempre avviene, e la Commissione deve agire in materia con particolare fermezza. Quest’opera di armonizzazione e disciplina legislativa si rende tanto più necessaria in quanto – fortunatamente – stiamo assistendo ad un’integrazione della economie europee che a sua volta incrementa gli investimenti esteri nella produzione. Innegabilmente, tutto questo ha avuto un effetto estremamente positivo sullo sviluppo di varie regioni europee: il successo di molte e svariate aziende ha contribuito allo sviluppo economico e sociale di regioni che, senza tali investimenti, sarebbero state condannate alla stagnazione e all’arretratezza.

Malauguratamente, spesso si approfitta slealmente dei guadagni materiali che si possono ottenere, senza curarsi minimamente di contribuire al valore aggiunto prodotto nella regione, e ancor peggio, senza alcuna preoccupazione di carattere sociale. Una forte responsabilità grava chiaramente sugli Stati membri, i quali, attenti solo agli interessi più immediati, facilitano al di là di ogni limite l’installazione e l’avvio operativo delle unità produttive.

L’intensificarsi delle delocalizzazioni industriali, cui assistiamo in alcuni paesi europei e – per generalizzare – soprattutto nelle economie meno sviluppate come il Portogallo, è assolutamente inaccettabile. Nulla, neppure il clima di stagnazione economica che si respira attualmente in Europa, giustifica il comportamento immorale ed illegale tenuto in Portogallo da alcune aziende sostenute dal capitale straniero. Il loro investimento è stato una libera scelta, esse sono state accolte in buona fede e con grandi speranze, le sovvenzioni sono di solito generose e finanziate col denaro pubblico: il costante disprezzo manifestato per gli interessi delle comunità regionali, per i singoli cittadini e per la stessa Unione europea è pertanto intollerabile.

Gli aiuti devono essere condizionati ad accordi di lungo termine in materia di occupazione e sviluppo locale: ciò significa che non si devono concedere aiuti alle imprese che non rispettano tali impegni. Come abbiamo affermato nella proposta di risoluzione, è anche necessario elaborare un codice di condotta che stabilisca le norme per il trasferimento dei posti di lavoro e che ci consenta pure di monitorare il comportamento virtuale delle imprese inadempienti. Per tali ragioni si è assegnato un ruolo speciale all’Osservatorio europeo sul cambiamento industriale, il quale può contribuire alla definizione di politiche alternative nell’eventualità di delocalizzazioni. Diviene inoltre sempre più chiara la necessità di ricorrere con maggiore frequenza ed efficacia al Fondo sociale europeo, indirizzandolo in particolar modo verso l’obiettivo della formazione e della riqualificazione professionale dei lavoratori coinvolti.

Infine, occorre promuovere e articolare – soprattutto da parte delle autorità nazionali dei paesi minacciati –efficaci programmi di ricerca e sviluppo che valorizzino le risorse umane e migliorino le condizioni a cui le economie interessate possono accogliere tali investimenti. Signor Commissario, vorrei cogliere l’occasione per esprimere la nostra preoccupazione per il deterioramento del quadro sociale portoghese a causa del comportamento di alcune aziende che hanno goduto di sovvenzioni stanziate dalla Commissione. Nonostante tutto, sono convinto che la Commissione abbia a cuore la situazione e intenda individuare le misure più adatte a porvi rimedio, tenendo conto delle leggi e degli interessi dell’Unione.

 
  
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  Laguiller (GUE/NGL). – (FR) Signor Presidente, questa risoluzione dà per scontato che le Istituzioni europee concedano aiuti pubblici alle imprese private, sebbene esse auspichino un certo grado di controllo sull’utilizzo di tali finanziamenti. Da parte mia, sono contraria a usare questi fondi per alimentare i profitti privati: il denaro pubblico – che provenga dallo Stato o dalle Istituzioni europee – dev’essere riservato ai servizi pubblici. Esigere il rimborso delle sovvenzioni concesse alle imprese che non rispettano gli obblighi che si sono assunte – in particolare da quelle che licenziano dopo aver ottenuto denaro pubblico – sarebbe naturalmente il minimo, così come sarebbe il minimo rifiutare sovvenzioni alle imprese che, dopo aver goduto degli aiuti di uno Stato membro, trasferiscono la propria produzione in un altro paese.

Ma il nocciolo della questione non è questo; il problema è l’odierno moltiplicarsi dei licenziamenti collettivi. E’ inaccettabile che un datore di lavoro o un consiglio di amministrazione decidano di trasformare i lavoratori in disoccupati unicamente per incrementare i profitti di un’azienda. E’ inaccettabile distruggere vite umane e portare alla rovina regioni intere per garantire dividendi più elevati agli azionisti.

Commissario Fischler, vorrei chiederle questo: a che cosa servono le Istituzioni europee se restano impotenti dinanzi ad un problema così fondamentale? Qual è il loro potere, se non possono o non vogliono costringere almeno le grandi imprese a mantenere gli attuali livelli occupazionali, impedendo loro di effettuare licenziamenti collettivi?

 
  
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  Harbour (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, è interessante che siano stati i colleghi portoghesi a portare questo tema all’attenzione dell’Assemblea, e inoltre che essi abbiano contribuito al dibattito in così folta schiera. Da parte mia, intendo affrontare il problema da un punto di vista differente.

Devo anzitutto sottolineare che non intendo difendere quei dirigenti che si comportano in maniera irresponsabile o che ricevono aiuti statali senza creare posti di lavoro. Se si considerano le condizioni che regolano la concessione di aiuti di Stato – e ho esaminato alcune domande presentate nella mia regione – si nota subito che non mancano le procedure per ottenere il rimborso del denaro; le autorità portoghesi avrebbero potuto agire in molti modi. A quasi tutti i colleghi intervenuti devo dire che si stanno allontanando dal problema reale; è questo il motivo per cui prendo a mia volta la parola.

Ogni mese potrei segnalare al Parlamento altri casi, che comportano perdite di posti di lavoro anche più gravi di quelle di cui stiamo discutendo oggi: aziende che hanno bisogno di una ristrutturazione, aziende che operano sul mercato globale. La parola “mercato” finora non è stata pronunciata da nessuno, ma devo ricordarvi che noi operiamo in una struttura di mercato. Le aziende devono produrre merci ad un prezzo accessibile ai consumatori e ricavarne un profitto, altrimenti non possono continuare ad occupare i lavoratori. Viviamo ora in un mercato globale in cui le aziende devono essere competitive; è del tutto sbagliato affermare – come hanno fatto molti colleghi della sinistra – che ogni chiusura di impianto dipende dal fatto che le aziende “vogliono aumentare i profitti”. Le chiusure di cui sono stato testimone dipendono invece dalla volontà delle imprese di sopravvivere e di impiegare personale in posti di lavoro altamente qualificati.

Ho visitato aziende in cui mi è stato detto: “Questo è il prodotto che noi fabbrichiamo attualmente, e questo è l’articolo corrispondente, che si può trovare in Cina o in Indonesia; la qualità è la stessa, ma potremmo comprare questo prodotto finito al prezzo che, nel Regno Unito, paghiamo per la materia prima”. La realtà è questa; come intendiamo affrontarla?

Le industrie che sono alle prese con questo tipo di concorrenza devono cercare nuove vie per ristrutturare, investire, cambiare i processi produttivi, dare spazio a ricerca e sviluppo. L’onorevole Santos è stato il primo oratore a evidenziare questo aspetto. Disponiamo dei fondi del sesto programma quadro, nonché di fondi di ricerca da destinare alle industrie per definire e ridisegnare radicalmente i processi produttivi; le industrie e i settori vulnerabili devono dare inizio ad una collaborazione ben più efficace.

Sarei lieto se lei trasmettesse al Commissario Monti – che, mi sembra, dovrebbe essere presente – il seguente messaggio: dobbiamo incoraggiare le industrie a collaborare per ridisegnare i processi produttivi e in tal modo migliorare la qualità, la competitività e il prezzo dei prodotti. Sono rimasto sbalordito nel constatare che dalla mia risoluzione era stato tolto il riferimento alla necessità di produrre a costi più bassi, fattore che è invece di cruciale importanza.

Provengo da una regione dove un’industria tradizionale – quella della ceramica – sta appunto attraversando una crisi di questo genere. Per trovare una soluzione, tale industria sta iniziando un’opera di ristrutturazione e di lavoro comune, col sostegno del governo britannico e l’utilizzo di fondi europei.

Nei giorni scorsi ho visitato una fabbrica di articoli in ceramica che si trova a competere con aziende portoghesi che producono a prezzi minori. Quest’impresa ha investito 55 milioni di euro per ridisegnare i processi produttivi; ciò ha implicato un taglio di posti di lavoro, che però è stato effettuato in collaborazione con i sindacati presenti nell’azienda. E’ questo il modello di cambiamenti radicali che auspichiamo e che la Commissione deve incoraggiare. Non vogliamo altre tediose discussioni in Aula sugli interventi statali e siamo stanchi di sentir criticare le dirigenze aziendali. Se non affrontiamo la questione cruciale e non rendiamo competitiva l’industria europea, continueremo ad avere lo stesso problema anche in futuro.

 
  
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  De Keyser (PSE). – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, durante l’ultima sessione di Strasburgo i lavoratori siderurgici erano venuti qui a manifestare la propria angoscia per la ristrutturazione di Arcelor. Quando hanno lasciato il Parlamento, erano sbalorditi e delusi per non aver ricevuto ascolto ed alcuni di loro hanno annunciato che sarebbero tornati, ma solo per sfasciare tutto. I lavoratori portuali ci hanno fatto visita questa settimana e per poco non hanno sfasciato tutto.

Se l’Europa continuerà ad ignorare l’impatto sociale delle politiche di liberalizzazione che applica, queste esplosioni diventeranno sempre più frequenti. L’Europa non è certo responsabile delle ristrutturazioni selvagge, ma potrebbe almeno cercare di regolarle; per ora, invece, ci troviamo di fronte ad una chiusura totale. Il Commissario per l’occupazione e gli affari sociali, signora Diamantopoulou, ha già dichiarato che non è in programma né una direttiva su questo tema, né tanto meno un codice europeo di buona condotta per le imprese: nulla. Ma quando si ha di fronte il vuoto, e non vi è neppure uno sbocco politico alla disperazione, la violenza diventa l’estrema risorsa. Oggi – l’onorevole Harbour non se ne abbia a male – le ristrutturazioni delle grandi imprese sono divenute proattive, ossia non dipendono dalla necessità di adeguarsi alle fluttuazioni del mercato, bensì rispondono a un calcolo puramente finanziario. Tale calcolo si basa sul corso delle azioni e lucra a brevissimo termine sui vantaggi recati da una massiccia riduzione dei costi del personale. Alla resa dei conti, anche quando si applicano costosi piani sociali, si tratta di un calcolo redditizio, che in media garantisce il recupero dell’investimento in due anni. Tuttavia questa speculazione borsistica ignora completamente le donne e gli uomini che ne sono vittime, l’aumento del carico di lavoro e lo stress che provoca tra quelli che di solito vengono chiamati i superstiti; ignora pure i costi esterni come le sovvenzioni pubbliche e i sussidi di disoccupazione.

Quale può essere, ci si chiede, il ruolo dell’Europa in queste trame ordite dagli Stati membri? Forse nessuno, se si considera solamente il suo immenso mercato e le regole della libera concorrenza che aprono spazi dove ogni colpo è lecito. L’esempio del Portogallo, ove le imprese si delocalizzano, è solo una goccia nel mare, ma è comunque significativo. Occorre che l’Europa trovi risposte concrete a queste tendenze, che non rappresentano meri incidenti economici, bensì il frutto di una logica finanziaria – una logica gravida di violenza.

(Applausi)

 
  
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  Fischler, Commissione. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, desidero anzitutto dichiarare che anche la Commissione approva e sostiene l’iniziativa di affrontare questo problema così urgente e grave. Possiamo anche accettare senza riserve gran parte dei punti in discussione e aderire a quelli contenuti nella proposta di risoluzione.

Desidero peraltro articolare in tre parti la mia risposta alle questioni sollevate dai diversi interventi – per i quali mi congratulo, poiché da essi è scaturito un dibattito veramente approfondito. In primo luogo sono convinto che, nonostante le politiche strutturali e le politiche di aiuti, non possiamo ignorare il fatto che operiamo in un sistema ad economia di mercato; il primo compito dev’essere quindi quello di garantire il funzionamento di tale sistema. Ciò non significa ricadere in un liberismo manchesteriano; significa invece, per esempio, che dobbiamo mantenere in Europa le nostre regole di concorrenza, perché se non vigiliamo sul funzionamento della concorrenza, allora tutto l’insieme delle politiche di aiuti, della politica di coesione e delle politiche strutturali perderà di efficacia: e uno sviluppo del genere non possiamo accettarlo. Gli ammonimenti sull’importanza di un’efficiente economia di mercato sono perciò degni della massima attenzione, e non vanno assolutamente trascurati.

Il secondo punto è il seguente: come possiamo garantire che le sovvenzioni concesse vengano utilizzate in maniera pertinente ed efficace, senza che si verifichino abusi?

A questo proposito, nel mio primo intervento vi ho enumerato gli elementi contenuti nelle normative vigenti; naturalmente in questi casi spetta alla Commissione adoperarsi affinché, qualora una regola non venga rispettata – se per esempio un’impresa, in violazione degli impegni sottoscritti nel contratto di sovvenzione stipulato con uno Stato membro o con la Comunità, trasferisce anzitempo la sede del proprio impianto – sia versato poi un rimborso.

Alcuni di voi hanno affermato che, oltre al rimborso, dovrebbero essere previste anche sanzioni. A quest’osservazione devo rispondere che, attualmente, la sanzione si identifica col rimborso; una sanzione supplementare in questo momento non è prevista. E’ una questione che si dovrebbe discutere in sede di Convenzione, in quanto per poter comminare ulteriori sanzioni – per esempio sanzioni finanziarie – bisognerebbe dapprima crearne i presupposti nel Trattato; attualmente il Trattato non prevede una simile possibilità.

Il terzo punto che vorrei affrontare è se sia opportuno concedere un trattamento preferenziale alle nuove imprese. In primo luogo, non sembra molto ragionevole, nel presente contesto, insistere sul fatto che un’impresa debba essere di nuova istituzione; sembra di gran lunga più interessante il numero di nuovi posti di lavoro connessi ad un progetto di sovvenzione. E’ questo l’elemento decisivo: si tratta infatti di incrementare l’occupazione in tali regioni.

Per quanto riguarda il futuro, è stata avanzata una serie di suggerimenti. A tal proposito desidero fare un’osservazione: in uno dei punti della proposta di risoluzione si chiede alla Commissione di redigere un elenco di quelle imprese che abbiano subito condanne giudiziarie. Esistono difficoltà in merito, relative alla tutela dei dati: è un dato di fatto da cui non possiamo prescindere.

Questo dibattito giunge comunque al momento opportuno, perché quest’anno avremo ancora l’occasione di discutere la futura politica strutturale, nel quadro della nuova relazione sulla coesione; in quella sede sarà possibile presentare proposte per il miglioramento delle norme relative all’assegnazione dei Fondi strutturali.

 
  
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  Presidente. – La ringrazio, Commissario Fischler.

Comunico di aver ricevuto cinque proposte di risoluzione ai sensi dell’articolo 37, paragrafo 2, del Regolamento(1).

La votazione si svolgerà oggi, alle 17.30.

 
  

(1) Cfr. Processo verbale.


5. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (articolo 50 del Regolamento del Parlamento)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sui casi di violazioni dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto.

 

6. Cambogia
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta, le seguenti proposte di risoluzione sulla Cambogia:

– (B5-0170/2003) degli onorevoli Corbett e Swoboda a nome del gruppo PSE, sulla preparazione delle elezioni legislative in Cambogia;

– (B5-0174/2003) delle onorevoli McKenna e Isler Béguin a nome del gruppo Verts/ALE, sulla situazione in Cambogia alla vigilia delle elezioni generali del 27 luglio 2003;

– (B5-0176/2003) dell’onorevole Belder a nome del gruppo EDD, sulla situazione in Cambogia alla vigilia delle elezioni generali del 27 luglio 2003;

– (B5-0177/2003) presentata dall’onorevole Vatanen ed altri a nome del gruppo PPE-DE, sulla situazione in Cambogia alla vigilia delle elezioni generali del 27 luglio 2003;

– (B5-0180/2003) presentata dall’onorevole Vinci a nome del gruppo GUE/NGL, sulla situazione in Cambogia;

– (B5-0186/2003) dell’onorevole Maaten a nome del gruppo ELDR, sulla situazione in Cambogia alla vigilia delle elezioni generali.

 
  
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  Gill (PSE).(EN) Signor Presidente, accolgo con favore la presente risoluzione, che sottolinea il deteriorarsi della situazione politica in Cambogia, a cui deve essere posto rimedio prima delle elezioni generali di luglio.

Anche se noi, in quanto democratici, siamo favorevoli alle elezioni, esse saranno prive di significato se si continuerà a molestare ed intimidire gli attivisti politici. Le notizie secondo cui le iscrizioni alle liste elettorali non sono corrette né democratiche sono per noi motivo di grave preoccupazione e devono sfociare in un’azione concreta.

Nella risoluzione, sollecitiamo le autorità cambogiane a permettere che si tengano elezioni libere e leali, a consentire la libertà di espressione, la libertà di stampa e di religione, ed altro ancora. Dobbiamo impegnarci maggiormente per esercitare pressioni sulle autorità al fine di ottenere tali mutamenti. L’Unione europea deve lavorare assieme all’ONU e ad altre organizzazioni internazionali in loco per monitorare la situazione e per trovare soluzioni prima che il paese perda ogni speranza di tenere elezioni libere e democratiche.

Attualmente la libertà di espressione è violata dalle autorità cambogiane. Le violenze scoppiate a Phnom Penh sono solo la reazione ai commenti di un’attrice thailandese, che ha affermato che Angkor Wat dovrebbe essere restituita alla Thailandia. Ciò va condannato. Per ora l’unica soluzione adottata dalle autorità per soffocare la violenza a Phnom Penh è consistita nell’arrestare i giornalisti che hanno riportato la notizia e nel chiudere le frontiere con la vicina Thailandia. Inoltre l’unica stazione radio cambogiana indipendente è stata chiusa con l’accusa di fomentare i disordini. Il governo cambogiano ha reagito al sentimento antithailandese diffuso tra la popolazione espellendo dal paese centinaia di thailandesi. Bisogna porre fine a tali violazioni della libertà e a tali chiare manifestazioni di xenofobia.

Raccomando di approvare la risoluzione; invito tutta l’Unione europea a monitorare attentamente la situazione in Cambogia e a fare quanto è in suo potere per assicurare che quest’estate si svolgano elezioni democratiche.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. IMBENI
Vicepresidente

 
  
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  Isler Béguin (Verts/ALE).(FR) Signor Presidente, signor Commissario, come non deplorare che in occasione di questa nuova risoluzione su un paese del sudest asiatico, il Parlamento debba ancora una volta condannare gravi e crescenti violazioni in materia di democrazia e di diritti umani.

Malgrado il promettente futuro che si sarebbe potuto prevedere ad un certo punto, la Cambogia sta diventando pericolosamente soggetta all’influsso di una giunta autoritaria, simile a quelle dei vicini Laos e Birmania. Se la democrazia disinnesca le guerre, la contrapposizione di regimi dispotici costituisce una grave minaccia in tutta la subregione asiatica. Come interpretare diversamente la crisi tra Cambogia e Thailandia, tradottasi nel saccheggio dell’ambasciata e dei beni thailandesi sul suolo cambogiano e nella chiusura delle frontiere terrestri tra i due paesi? Il conflitto riflette ciò che accade ogni giorno nella società cambogiana, composta da un mosaico di etnie e di diverse culture e religioni, duramente e volontariamente indebolite dal leader golpista Hun Sen: violenze di Stato e persecuzioni di ogni genere, di recente culminate nell’omicidio di Om Radsady, consigliere del Presidente dell’assemblea nazionale, avvenuto in strada.

L’Europa deve utilizzare i molti mezzi a disposizione per stabilizzare il paese e tutta la regione, specialmente in tempo di elezioni. Ricordiamoci che la Cambogia è il primo beneficiario degli aiuti erogati nella regione.

 
  
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  Belder (EDD).(NL) Attualmente la situazione interna della Cambogia richiede la nostra attenzione come pure le sue relazioni con i paesi confinanti. La vigilia delle elezioni generali del 27 luglio è caratterizzata dalle continue tensioni con la Thailandia e da un clima d’intimidazione politica. La presente proposta di risoluzione, quindi, è senz’altro opportuna.

Un’ulteriore fonte di grave preoccupazione è costituita dalla situazione religiosa in Cambogia. Ciò va sottolineato, perché finora il paese spiccava per libertà religiosa rispetto ai vicini Laos e Vietnam. Ma le chiese cristiane sono preoccupate poiché i conflitti tra buddisti e cristiani si stanno intensificando. Inoltre nuove direttive del ministero degli Affari religiosi rischiano di costituire una seria violazione della libertà dei cristiani di professare pubblicamente la loro fede, di impartire un’istruzione cristiana o di costruire nuove chiese. Giustamente, la risoluzione chiede al governo cambogiano di ritirare tali direttive. Mi auguro che Consiglio e Commissione sostengano attivamente questo appello.

Un altro appello contenuto nella risoluzione rivolta alle autorità cambogiane gode di tutto il mio appoggio. Le autorità devono adottare tutte le misure necessarie per evitare gli abusi su bambini. Purtroppo la tratta di donne e bambini è comunque un problema di dimensioni sempre maggiori in Cambogia. Chi conosce bene la situazione sottolinea che le autorità nazionali potrebbero fare di più per combattere tale fenomeno, parere condiviso anche dagli USA, il cui ambasciatore ha di recente lanciato un severo monito alle autorità cambogiane: se non interverranno, verrà apportato un drastico taglio agli aiuti. Proprio in questo momento di freddezza nelle relazioni transatlantiche, Bruxelles dovrebbe formare a tale riguardo un fronte compatto con Washington.

 
  
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  Posselt (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, il Parlamento si occupa intensivamente della Cambogia dal giorno in cui è salito al potere il comunista dell’età della pietra Pol Pot, laureato in filosofia alla Sorbona. Da allora ci siamo impegnati a favore della libertà del popolo cambogiano, anche dopo che l’occupazione vietnamita aveva rimpiazzato i khmer rossi. Persino quando la lotta al regime dei khmer rossi sembrava disperata non abbiamo mai smesso di sostenere i diritti umani dei cambogiani.

Lo abbiamo fatto in stretta cooperazione con un grande vecchio della democrazia cambogiana, Son San, che spesso è venuto a farci visita in Parlamento. Ma a destare ancor più preoccupazione è il fatto che la situazione sta peggiorando proprio adesso, dopo che lo scorso anno c’erano stati segnali di speranza in occasione delle elezioni locali che avevano costituito un punto di riferimento, per quanto generico, per una nascente democrazia che può solo crescere.

A peggiorare ulteriormente le cose, sta aumentando la repressione ad opera dell’amministrazione centrale del governo. Ciò è collegato al timore del regime nei confronti di movimenti democratici e di opposizione; dipende dall’instabilità legata al nodo irrisolto della successione al trono; è legato ai molti conflitti etnici e religiosi. A tale riguardo ribatto alle affermazioni del collega Belder: non si tratta solo di conflitti tra cristiani e buddisti; buddisti credenti e cristiani credenti vengono perseguitati allo stesso modo e noi dobbiamo impegnarci a favore di entrambi.

Desidero pertanto sottolineare che il nostro accordo di cooperazione con la Cambogia era un passo giusto, ma era anche una promessa di fiducia, giustificata solo se lo sviluppo avviato dall’ONU, se lo Stato di diritto e la democratizzazione ora iniziata proseguiranno senza problemi. Se però le elezioni del 27 luglio saranno utilizzate per minacciare i leader dell’opposizione di morte o di mutilazioni, per intimorire le comunità religiose e le minoranze etniche, allora si tratterà di uno sviluppo che purtroppo porterà con sé gravi conseguenze che non possiamo accettare.

Perciò, sì alla cooperazione! Sì al sostegno alla nascente democratizzazione! Ma dobbiamo anche far capire chiaramente ai nostri partner cambogiani che se mettono a rischio la democrazia, mettono anche in pericolo la cooperazione con l’Unione europea!

(Applausi)

 
  
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  Maaten (ELDR).(NL) Signor Presidente, mi rallegro dei progressi registrati nella cooperazione economica con la Cambogia e altri paesi asiatici; sono anche un fautore degli aiuti finanziari che l’Unione europea concede alla Cambogia, ma con un distinguo, sul quale ritornerò tra breve. Ricordo che tra tutti i paesi cui l’Unione europea eroga aiuti finanziari, la Cambogia è quello che riceve i maggiori sostegni pro capite.

Nutro però gravi timori sulla situazione dei diritti umani in Cambogia. Sappiamo tutti che la tortura dei prigionieri, il coinvolgimento di esercito e polizia nella tratta di donne e bambini e un uso eccessivo della detenzione preventiva sono fatti all’ordine del giorno. Mi riferisco in particolare alle recenti notizie sull’omicidio di Om Radsady, ex presidente della commissione per gli affari esteri del parlamento cambogiano, alle minacce rivolte alla principessa Vacheahra, attuale presidente della suddetta commissione, e alle continue violazioni dei diritti dei partiti all’opposizione, in particolare a quello di Sam Rainsy e alle accuse mossegli di essere responsabile dell’attentato all’ambasciata thailandese di Phnom Penh.

Signor Presidente, alla luce di questi fatti insisto affinché gli aiuti dell’Unione europea alla Cambogia non siano incondizionati e affinché i nostri rappresentanti a Phnom Penh esortino esplicitamente il governo cambogiano in modo che quest’ultimo s’impegni a fondo per migliorare la situazione dei diritti umani nel paese. In vista delle prossime elezioni, l’Unione europea deve anche insistere affinché vengano assicurate elezioni libere, eque e democratiche e sia garantita la sicurezza dei leader dell’opposizione perché, in caso contrario, l’Unione europea sarà costretta ad annullare immediatamente l’accordo di cooperazione con la Cambogia. Sarebbe incredibile che l’Unione europea, che sempre si batte per il miglioramento dei diritti dell’uomo e la promozione della democrazia in ogni parte del mondo, fornisse finanziamenti così importanti ad un paese che non è in grado di garantire né l’una né l’altra cosa.

 
  
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  Dupuis (NI).(FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, innanzi tutto ringrazio la Commissione; penso che se abbiamo potuto evitare il peggio nelle ultime settimane è grazie alle azioni della Commissione e soprattutto del Commissario Patten. Quindici giorni fa mi sono recato a Phnom Penh, dove sono stato rimproverato dagli ambasciatori dell’Unione e dai rappresentanti della Commissione che ritenevano esagerate le preoccupazioni che, assieme all’onorevole Maaten e ad altri, avevo espresso quando Sam Rainsy era stato costretto a rifugiarsi presso l’ambasciata americana. Qualche giorno dopo la sorella del re Norodom Sihanouk è stata minacciata in modo molto grave dal Primo Ministro e due giorni dopo Om Radsady, che avevo incontrato assieme al principe Ranariddh, è stato assassinato.

Credo – o almeno spero – che tali avvenimenti abbiano spinto ad ulteriori riflessioni i rappresentanti dell’Unione a Phnom Penh. E’ paradossale che i problemi e i pericoli che minacciano un processo democratico vengano percepiti più nettamente a Bruxelles o a Strasburgo che dalle persone residenti a Phnom Penh. Ritengo che bisognerebbe rimettere in discussione i progetti di cooperazione che gestiamo e i finanziamenti ad essi collegati. Credo che ciò possa incidere sul tipo di relazioni che i rappresentanti dei nostri paesi o delle nostre Istituzioni possono avere in loco, in considerazione dei vari cocktail e dei numerosi incontri intrattenuti con i VIP locali.

La situazione è estremamente preoccupante. Ritengo che la nostra risoluzione, per la quale ringrazio i colleghi, sia valida e penso che la minaccia di annullamento dell’accordo di cooperazione, perché è di questo che si tratta, sia assai importante. E’ un segnale che le autorità di Phnom Penh possono captare e che le può indurre a portare a buon fine il processo elettorale di luglio. Credo però che ciò non sarà sufficiente e, per quanto concerne la missione degli osservatori elettorali, penso che spetti al nostro Parlamento agire. La Commissione ha formulato proposte per nominare il capo della suddetta missione. Ritengo che il Parlamento non debba perdere neppure un giorno per rispondere all’invito della Commissione e designare quanto prima il responsabile della missione affinché possa recarsi immediatamente in Cambogia, tornarvi di frequente e monitorare tutto il processo che si svolgerà da adesso fino a luglio. Questa persona non deve essere un semplice notaio dello spoglio dei voti.

La partita determinante è quella attualmente in corso e riguarda l’accesso ai mass-media, controllati per il 95 per cento dalle autorità di Phnom Penh. Pertanto la missione elettorale dovrà affrontare le autorità di Phnom Penh. Invito le autorità competenti del Parlamento a far sì che la persona che sarà nominata e inviata quanto prima a Phnom Penh sia dotata di grande determinazione.

 
  
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  Fischler, Commissione. (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, la Commissione condivide appieno il parere del Parlamento, secondo cui la recente morte violenta di diversi politici cambogiani, cui hanno accennato diversi deputati, è motivo di gravi preoccupazioni. La Commissione auspica che il clima politico non peggiori ulteriormente, adesso che si tratta di preparare le prossime elezioni parlamentari in Cambogia.

La Commissione esprime inoltre la speranza che l’indagine sui motivi della rivolta del 29 gennaio scorso avviata dal governo monarchico porti ad una maggiore stabilità nel paese. Vi posso assicurare che la Commissione, di concerto con gli Stati membri, sta seguendo con attenzione gli ulteriori sviluppi in Cambogia. La Commissione è inoltre preoccupata per la situazione dei mass-media in Cambogia. La libertà di espressione nella stampa è formalmente ammessa, ma i mass-media pubblici sono sottoposti – ora come prima – ad un enorme controllo da parte del governo.

La commissione di osservatori dell’UE inviata in occasione delle elezioni comunali dello scorso anno ha già fatto presente questo punto. La Commissione lo ha sottolineato nel corso dei colloqui avuti con le autorità cambogiane. Una missione preparatoria guidata dalla Commissione e composta da rappresentanti degli Stati membri e da esperti in materia di elezioni si è trattenuta in Cambogia dal 27 gennaio al 4 febbraio. Le informazioni da essa raccolte fungeranno da base per decidere se, ed eventualmente, come sostenere il processo elettorale e, soprattutto, per stabilire se sia ragionevole, opportuno e fattibile inviare una commissione di osservatori elettorali dell’UE alle elezioni del 27 luglio.

Tutti gli interlocutori cambogiani che abbiamo incontrato si sono espressi a favore di un impegno dell’UE nel processo elettorale e hanno affermato che la missione di osservatori che ha assistito alle elezioni comunali dello scorso anno ha contribuito in misura notevole a creare un clima di fiducia e di trasparenza durante le elezioni. Sulla base dei risultati della missione preparatoria, che ha evidenziato sia aspetti positivi che negativi della preparazione delle elezioni, gli Stati membri dell’UE hanno aderito alla raccomandazione della Commissione di inviare una missione di osservatori elettorali anche in occasione delle prossime elezioni. La Commissione rileva con soddisfazione che tale decisione viene condivisa anche dal Parlamento europeo.

Passerò ora al problema degli ostacoli posti a diverse organizzazioni cristiane. Stando al decreto del 14 gennaio sulla prevenzione di conflitti tra singole comunità religiose, cito, “tutte le attività collegate alla propaganda religiosa e al proselitismo, compresa la diffusione di comunicati e fogli informativi, sono permesse soltanto all’interno di istituzioni religiose”.

L’autorizzazione a svolgere tali attività in pubblico può essere peraltro richiesta presso il ministero per gli Affari religiosi. Tali disposizioni valgono per tutte le associazioni religiose e non esclusivamente per quelle cristiane; sono state adottate per ridurre i rischi di conflitti e di contrasti per motivi religiosi. In mancanza di un’approfondita analisi giuridica, sembra che tale decreto, analogamente ad altre misure adottate dal ministero per gli Affari religiosi, non costituisca necessariamente una violazione della dichiarazione dei diritti dell’uomo e della costituzione cambogiana.

 
  
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  Presidente. – La ringrazio, signor Commissario.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà dopo le discussioni.

 

7. Myanmar (Birmania)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta, le seguenti proposte di risoluzione:

– (B5-0171/2003) degli onorevoli Kinnock, Veltroni e Swoboda a nome del gruppo PSE, sulla Birmania;

– (B5-0173/2003) delle onorevoli McKenna e Isler Béguin a nome del gruppo Verts/ALE, sulla Birmania;

– (B5-0178/2003) degli onorevoli Maij-Weggen e Van Orden a nome del gruppo PPE-DE, sul rinnovo e rafforzamento della posizione comune dell’UE sulla Birmania;

– (B5-0181/2003) dell’onorevole Morgantini a nome del gruppo GUE/NGL, sul rinnovo della posizione comune dell’UE sulla Birmania;

– (B5-0185/2003) degli onorevoli Malmström, Maaten e Van den Bos a nome del gruppo ELDR, sul rinnovo e rafforzamento della posizione comune dell’UE sulla Birmania.

 
  
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  Napoletano (PSE). – Signor Presidente, con questa risoluzione di compromesso il Parlamento intende rivolgere al Consiglio e alla Commissione delle richieste molto precise riguardanti le rispettive competenze, anche perché viene unanimemente constatata una situazione, in Birmania, di totale violazione dei diritti umani, politici e sociali.

Si constata il fatto che il regime militare continua a impedire qualsiasi attività democratica del parlamento eletto nel ’90 e della commissione parlamentare che lo rappresenta, istituita nel ’98; che la signora Aung San Suu Kyi, anche se non più agli arresti domiciliari, è oggetto di pressioni, minacce e attività intimidatorie; che il ricorso sistematico alla tortura, alle esecuzioni extragiudiziarie e al lavoro forzato è di ordinaria amministrazione in quel paese.

Le richieste sono pertanto molto chiare e dirette: si chiede alla Commissione di portare la questione del lavoro forzato in Birmania all’attenzione dell’Organizzazione mondiale del commercio, ricordando che, nella dichiarazione di Singapore, la stessa OMC ha ritenuto che l’OIL dovesse essere competente in materia di rispetto del diritto del lavoro; si chiede altresì al Consiglio di non dare alcun segno di apertura al regime di Rangoon e di mantenere e rafforzare la posizione comune di assoluta pressione sul paese, anche attraverso la pressione sugli investimenti stranieri.

Questo è l’appello, molto chiaro, che il Parlamento lancia: aspettiamo una risposta dalla Commissione; purtroppo, non possiamo averne una dal Consiglio, ma la richiesta è formulata nella risoluzione.

 
  
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  Isler Béguin (Verts/ALE).(FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, considerata la situazione della Birmania che ci è stata descritta dall’onorevole Napoletano, è facile comprendere quali aspettative e speranze questa risoluzione e le forti e decise parole in essa contenute susciteranno nella società civile della Birmania, un paese in cui attualmente non vi è traccia di Stato di diritto. Ed è altrettanto facile intuire i timori che essa solleverà nella giunta militare ora al potere, visto che la risoluzione vuole assumere un valore di indirizzo della politica dell’UE nei confronti della Birmania.

Fino ad ora, le misure adottate dall’Unione europea per migliorare le condizioni di vita nel paese, e per cercare di umanizzare la situazione dei milioni di cittadini che lo abitano, erano limitate a dichiarazioni teoriche e politiche cui non è mai seguita un’azione concreta. Entra ora in gioco la responsabilità morale e politica dell’UE, ad un punto tale da dover prevedere forse l’azione penale. Non è forse vero che la massa molto consistente di investimenti diretta dagli Stati membri verso la Birmania senza alcun riguardo per qualsivoglia evoluzione del regime militare, rappresenta de facto una collaborazione al mantenimento della giunta al potere? Non è forse vero che le imprese europee stanno cinicamente sfruttando la forza lavoro di quello che è ormai uno Stato prigione, ridotto ad un unico campo di lavoro, nel quale il concetto di cittadinanza non ha più alcun significato?

Quanto è lontano questo paese dal continente europeo e dalle sue leggi! Tuttavia, per quanto ci sia nota la natura totalitaria del regime birmano, e benché tutte le parti politiche abbiano presentato proposte di risoluzione, l’attuale contesto, in altre parole l’assenza dello Stato di diritto, perdura indisturbato sotto il sole birmano. Dobbiamo attivare la leva economica e industriale dell’Unione europea per vietare qualsiasi investimento di uno Stato membro in paesi retti da regimi non democratici. E’ necessario che la politica industriale degli Stati membri abbia un contenuto morale. Dobbiamo anche fare uso della forza politica e diplomatica dell’Unione in tutta questa regione dell’Asia, la cui storia si intreccia con quella di alcuni Stati membri e per la quale le relazioni con l’Europa sono ancora molto importanti in termini di sviluppo.

Dobbiamo considerare i criminali al potere in Birmania nel giusto contesto, quello del Tribunale penale internazionale, che ha ora carattere permanente ed è in grado di perseguire tutte le persone accusate di genocidio, di crimini contro l’umanità e di crimini di guerra. Il tempo delle dichiarazioni teoriche è finito. L’Unione europea deve ben altro alla vincitrice del premio Sacharov e del premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, ai 1200 prigionieri politici e, per il loro tramite, ai milioni di cittadini birmani. La risoluzione al nostro esame si esprime con parole forti ed è esauriente. Ogni paragrafo può contribuire a tessere la trama del quadro generale di una concreta politica comunitaria nei confronti della giunta militare, dunque a vantaggio della società civile birmana.

 
  
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  Van Orden (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, quando abbiamo a che fare con regimi malvagi e ripugnanti, siamo spesso posti di fronte a un dilemma. Alcuni invocano il dialogo per manifestare le proprie preoccupazioni e sollecitare il regime a modificare i propri comportamenti. Altri, i realisti, esigono un’azione dura e ritengono più appropriate misure quali l’isolamento del regime e le sanzioni. Ogni situazione rappresenta un caso a sé e richiede misure distinte.

Si può affermare con un buon grado di certezza che i tiranni raramente ascoltano la ragione e rispondono solo quando sono seriamente in pericolo interessi cruciali, che spesso coincidono con quelli personali. L’Unione europea e più in generale la comunità internazionale possono intervenire in modo molto efficace quando agiscono in maniera unita, coerente e determinata. Quando sono divise e lanciano minacce apparentemente vuote, inviando messaggi differenziati attraverso canali separati, il tiranno non ha alcuna necessità di rispondere. Questo è ciò a cui assistiamo nel caso dell’Iraq. Saddam è chiaramente convinto, con ciò sbagliando, di poter agire indisturbato. Talvolta si giunge al punto di prevedere misure forti, ma poi manca la volontà di applicarle o vi è un impegno deliberato a renderle inefficaci, come nel caso dello Zimbabwe, se si considera che ai destinatari delle sanzioni dell’UE vengono concesse specifiche esenzioni, per consentire loro di godersi ogni lusso in una capitale europea.

Ora ci troviamo di nuovo ad affrontare il caso della Birmania, un altro regime abominevole, un altro caso in cui l’impegno dell’Unione europea e della comunità internazionale per promuovere un cambiamento ha prodotto pochi risultati significativi. Questa situazione si protrae da anni. E’ dal 1996 che il Parlamento adotta risoluzioni e che il Consiglio approva posizioni comuni. E cosa abbiamo ottenuto? Dove sono l’impegno e la determinazione a raggiungere qualche risultato concreto? Le sanzioni attualmente in vigore nei confronti del regime birmano decadranno il 29 aprile. Il Consiglio dovrà rinnovarle, valutando tuttavia la necessità di inasprirle e di introdurre nuove misure, come il divieto di effettuare investimenti e l’eventualità di eliminare le esenzioni al divieto di ingresso, estendendo invece la misura a tutti i membri della giunta militare. Le sanzioni devono essere applicate con rigore. Inoltre, chiedo alla Commissione e al Consiglio di indagare i motivi per i quali l’azione si è dimostrata finora inefficace e di presentare proprie raccomandazioni al fine di porre rimedio a questa situazione.

 
  
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  Morgantini (GUE/NGL). – Signor Presidente, sono ormai troppi anni che in Birmania viene perpetrata una sistematica violazione dei diritti umani da parte del regime militare – il parlamento dovrebbe vivere e non c’è – anche se miglioramenti, non c’è dubbio, sono intervenuti nei settori della vita politica e sociale, così come passi positivi sono stati fatti nell’espressione delle libertà individuali, tra tutti la liberazione di una straordinaria donna che, con fermezza e dignità, conduce una resistenza democratica e non violenta – parlo di Aung San Suu Kyi – che però ancora non è libera e non può muoversi liberamente.

Ma, in realtà, la Birmania è ancora oggi caratterizzata da repressioni sulle minoranze etniche, stupri e violenze sulle donne; le eliminazioni di dissidenti politici e le esecuzioni sommarie non sono terminate; le torture, le carceri e i lavori forzati sono all’ordine del giorno. Malgrado le smentite del governo, credo che continui l’arruolamento forzato dei bambini nell’esercito e anche, purtroppo, nelle forze militari ribelli.

Migliaia sono le persone sofferenti, casi non resi noti ai media come, per fortuna, non sono stati i tredici anni di arresti domiciliari imposti al Nobel per la pace. Basti pensare, ad esempio, al tragico regime dei bambini soldato: “Arruolare un bambino conviene perché fa lo stesso lavoro di un adulto, ma non viene notato dall’esercito nemico”, ha avuto il coraggio di dire un ufficiale.

E’ ancora pratica ordinaria il lavoro forzato: da recenti sondaggi di Amnesty International è emerso che circa il 90 per cento della popolazione dello Stato Shan è soggetto al lavoro forzato. Queste persone non hanno scelta: o il lavoro forzato o la prigione. Il loro lavoro, per il quale non ricevono alcuna paga, consiste nella costruzione di infrastrutture militari, strade, edifici, campi militari e anche nell’eseguire prestazioni militari. Lavorano senza sosta da mattina a sera, senza ricevere cibo, ad eccezione di una piccola quantità di riso tostato.

Nonostante il codice penale birmano abbia bandito il lavoro forzato, la situazione non è mutata, così come non è mutata nonostante la presenza dell’Organizzazione internazionale del lavoro. Anche gli ultimi sforzi portati avanti dal governo thailandese sono risultati vani, a causa del netto rifiuto opposto dalle autorità birmane, che non hanno dato agli oppositori politici neppure il permesso di lasciare il paese per parlare dei problemi economici che lo affliggono. Soprattutto, continuano i soprusi dell’esercito birmano, dei servizi segreti, della polizia e di altre forze dell’ordine.

Io credo davvero che, come dicevano anche altri colleghi, l’Unione europea dovrebbe, da una parte, continuare a esercitare la sua influenza per far sì che i negoziati tra le forze democratiche, le minoranze etniche e lo Stato riprendano il prima possibile e, dall’altra, sottoporre le autorità birmane a pressioni, mantenendo, quindi, l’attuale politica commerciale verso la Birmania e adottando, se possibile, misure ancora più incisive soprattutto per frenare la piaga del lavoro forzato, nonché farsi carico di portare avanti...

(Il Presidente interrompe l’oratrice)

 
  
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  Van den Bos (ELDR).(NL) I generali birmani continuano a fare la guerra alla propria stessa popolazione e non tengono in alcun conto la posizione del resto del mondo. Il regime militare ha già battuto ogni precedente in fatto di violazione dei diritti dell’uomo, di prigionieri politici, di lavoro forzato, di bambini soldato, di censura dei mezzi di informazione, di violazione delle libertà religiose e di violenza contro le minoranze. Tutto ciò che Dio ha vietato in Birmania è lecito. Nell’elaborare una nuova posizione comune, l’Unione europea deve esprimersi in termini chiari. I generali avrebbero dovuto già da molto tempo liberare incondizionatamente i 1200 prigionieri politici, detenuti in condizioni atroci e sottoposti a tortura. Il Consiglio e la Commissione devono anche valutare in tutta la sua gravità il sistematico rapimento di donne da destinare alla schiavitù sessuale, oltre a chiedere che la questione sia sottoposta ad un’indagine internazionale. L’OIL deve avere libero accesso a tutte le aree in cui si applica il lavoro forzato. La Commissione europea deve denunciare questi abusi all’OMC. L’Unione europea deve anche esigere che il regime ponga fine al clima di impunità di cui gode chi si è macchiato di reati quali la tortura, l’imposizione del lavoro forzato, le deportazioni e le esecuzioni stragiudiziali.

Infine, signor Presidente, è di vitale importanza che i profughi birmani ospitati in Bangladesh non subiscano il rimpatrio forzato. Per quanto possa essere vero che la libertà di movimento della NLD (National League for Democracy), il partito di Aung San Suu Kyi, sia leggermente aumentata, il fatto va interpretato più come un cambiamento di facciata che come un effettivo mutamento di atteggiamento politico. L’Unione europea deve inasprire le sanzioni contro la Birmania, arrivando ad imporre il divieto di effettuare investimenti in quel paese. Le imprese europee disposte a macchiarsi le mani di sangue birmano a beneficio dei propri azionisti devono essere messe alla gogna. Ci sono purtroppo alcuni Stati membri che danno maggiore peso ai propri interessi commerciali che ad una concreta politica sui diritti dell’uomo. Solo un vasto sostegno internazionale può fare in modo che il popolo birmano abbia la possibilità di cacciare i generali al potere.

 
  
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  Fischler, Commissione. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, i gruppi di lavoro del Consiglio competenti in materia stanno attualmente elaborando una nuova posizione comune dell’Unione europea nei confronti della Birmania, poiché quella esistente decadrà il 29 aprile.

Come gli onorevoli deputati certamente sanno, a partire dal 1996, la posizione comune ha subito una serie di rafforzamenti, tramite i quali la Commissione e gli Stati membri hanno inteso formulare in modo preciso un certo numero di sanzioni mirate, ovvero destinate a colpire coloro che vogliamo colpire, evitando altresì di causare effetti negativi sui cittadini innocenti di quel paese. E’ stato inoltre stabilito che, anche in futuro, il Consiglio possa rispondere nei termini opportuni all’evoluzione della situazione del paese, a seconda che essa sia positiva o negativa.

Ritengo che il Parlamento comprenda la ragione per cui la Commissione non può agire prima che siano noti i risultati del dibattito in corso, ma sono certamente in grado di rassicurare l’Aula sul fatto che procederemo a riesaminare l’intera gamma di interventi a nostra disposizione, se si dovesse giungere ad un ampliamento della posizione comune.

Per quanto riguarda il campo degli aiuti umanitari, la Commissione e gli Stati membri hanno già ribadito, in diverse occasioni, la propria volontà di fornire aiuti umanitari ai settori più bisognosi della popolazione birmana.

Voglio poi confermare, riguardo al tema del lavoro forzato, che la Commissione sostiene in modo incondizionato sia la più recente risoluzione dell’ONU sulla situazione dei diritti dell’uomo in Birmania, che la presa di posizione dell’OIL in difesa delle norme internazionali in materia di lavoro. L’esplicita dichiarazione sulla situazione della Birmania ha portato all’adozione, da parte della Conferenza internazionale del lavoro, di una risoluzione che è ora in corso di attuazione.

Riguardo alla proposta di affrontare la questione del lavoro forzato in sede di OMC, la Commissione esaminerà l’argomento con maggiore attenzione, tenendo conto, vista la priorità del tema, delle discussioni che avranno luogo in seno all’OIL alla fine del mese e in occasione della prossima Conferenza internazionale del lavoro, prevista per il mese di giugno. La Commissione non ha alcuna riserva da esprimere sul fatto di promuovere una più stretta cooperazione tra l’OMC e l’OIL e accoglie con favore la cooperazione informale che, in certa misura, si sta realizzando. La Commissione, inoltre, è favorevole ad un’indagine internazionale indipendente che esamini le accuse mosse alle forze armate, in particolare in materia di violenza sessuale e di altre violazioni dei diritti civili della popolazione.

 
  
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  Presidente. – La ringrazio, signor Commissario.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà dopo le discussioni.

 

8. Nigeria: il caso di Amina Lawal
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta, le seguenti proposte di risoluzione:

– (B5-0172/2003) degli onorevoli Karamanou, Gröner, Ghilardotti, Prets, Veltroni e Swoboda a nome del gruppo PSE, sulla condanna a morte mediante lapidazione per adulterio di Amina Lawal (Nigeria);

– (B5-0175/2003) degli onorevoli Maes, Rod e Lucas a nome del gruppo Verts/ALE, sulla situazione dei diritti umani in Nigeria, in particolare il caso di Amina Lawal;

– (B5-0179/2003) degli onorevoli McCartin, Posselt, Sacrédeus e Scallon a nome del gruppo PPE-DE, sul caso di una donna nigeriana, Amina Lawal, condannata a morte mediante lapidazione in Nigeria;

– (B5-0182/2003) delle onorevoli Ainardi, Eriksson, Morgantini, Fraisse, Uca e Figueiredo a nome del gruppo GUE/NGL, sulla Nigeria: il caso di Amina Lawal;

– (B5-0183/2003) degli onorevoli Collins e Muscardini a nome del gruppo UEN, sul caso di Amina Lawal in Nigeria;

– (B5-0184/2003) degli onorevoli Sanders-ten Holte e Van den Bos a nome del gruppo ELDR, sulla situazione dei diritti umani in Nigeria, in particolare il caso di Amina Lawal.

 
  
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  Karamanou (PSE).(EL) Signor Presidente, signor Commissario, il tema delle donne condannate a morte per lapidazione in Nigeria, che ha sollevato l’indignazione dell’opinione pubblica in tutto il mondo, è stato discusso in Aula nel mese di settembre dello scorso anno. Eppure, signor Commissario, dobbiamo constatare che il nostro è stato un grido lanciato nel deserto.

Amina Lawal, la sfortunata donna colpevole dell’atroce crimine di ritenere di avere il diritto di decidere autonomamente del proprio corpo, dovrà comparire davanti alla Corte d’appello della sharia il 25 marzo. Secondo la legge islamica, è colpevole di tradimento. Come è possibile che nel ventunesimo secolo accada un fatto del genere e che venga ignorato dai potenti del mondo? E’ disdicevole che il Commissario non stia ascoltando. Come è possibile, signor Commissario, che le libertà e i diritti fondamentali delle donne possano essere negati così violentemente e crudelmente e che la loro tutela venga affidata alla pressione esercitata dalle organizzazioni femminili, dalla pubblica opinione e dai mezzi di informazione? Cos’hanno fatto le autorità politiche dell’Unione europea, cos’hanno fatto la Commissione e il Consiglio? A che servono le clausole dell’Accordo di Cotonou in materia di rispetto dei diritti umani delle donne, signor Commissario, se non è prevista alcuna sanzione in caso di violazione? Infine, la Nigeria è guidata da un regime laico e democratico o da un regime teocratico? Il paese è retto da un governo o dai mullah?

 
  
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  Presidente. – Onorevole Karamanou, non so se il Commissario Fischler capisce anche il greco. Gliel’ho chiesto poiché ho visto che non aveva la cuffia.

 
  
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  Karamanou (PSE).(EL) Signor Presidente, ho quasi concluso il mio intervento. Il Commissario non ha ascoltato nemmeno una parola del mio discorso e non è perciò in condizione di rispondere alle domande che gli ho rivolto. Il mio intervento intendeva porre una serie di domande alle autorità politiche europee, che nulla hanno fatto finora per fermare i reati commessi in Nigeria contro le donne. La Nigeria ha sottoscritto l’Accordo di Cotonou, che contiene alcune clausole in materia di rispetto dei diritti dell’uomo e di diritti delle donne, ma la Commissione, per quel che attiene alle proprie responsabilità, si è comportata secondo il proverbio: occhio non vede cuore non duole. Le autorità politiche non hanno fatto nulla e l’intera questione è stata lasciata all’impegno delle organizzazioni delle donne e dei mezzi di informazione; in altre parole, alla pressione esercitata dall’opinione pubblica mondiale. E’ pur vero che la pressione è forte ed è in grado di ottenere qualche risultato ma, in ultima analisi, anche le autorità politiche europee devono fare qualcosa ed esigere che il governo nigeriano adempia il proprio dovere di tutelare i diritti delle donne nel paese.

Voglio infine dire un’ultima cosa al Commissario. In ultima analisi, cos’è la Nigeria? Un regime democratico, un regime laico o un regime teocratico? Lo chiedo perché il 25 marzo il caso di Amina Lawal verrà discusso dalla Corte d’appello della sharia. Siamo colpevolmente distratti. Non abbiamo alcuna idea di cosa stia accadendo in Nigeria. Tre anni fa, abbiamo accolto con gioia il ritorno della democrazia in quel paese e la nascita di un governo eletto democraticamente. Eppure dobbiamo constatare che questo stesso governo non è in condizione di imporre al paese il rispetto della costituzione e della legge. Il paese è governato dai mullah, che condannano a morte per lapidazione le donne accusate di avere avuto relazioni sessuali al di fuori del matrimonio.

Esigiamo che la Commissione e il Consiglio intervengano immediatamente. Le nostre Istituzioni devono assumere una posizione contro questi fatti. Sono queste le nostre richieste, signor Commissario.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Onorevole Karamanou, l’ho lasciata parlare a lungo, in primo luogo perché ho trovato scorretto che il Commissario non l’ascoltasse mentre lei gli stava rivolgendo delle domande – è vero che il Commissario ha preparato un testo scritto, però ascoltare è sempre corretto – e, in secondo luogo, perché stava parlando la presidente della commissione per i diritti della donna e le pari opportunità del Parlamento europeo.

 
  
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  Maes (Verts/ALE).(NL) Signor Presidente, signor Commissario, è facile comprendere quanta preoccupazione susciti in noi questo problema. Condivido non solo l’indignazione dell’onorevole Karamanou per il tête-à-tête che si sta svolgendo presso il suo banco, signor Commissario, e di cui lei non sempre è responsabile, ma anche il contenuto dell’intervento della collega. Grazie alla campagna internazionale, siamo stati in grado di contribuire a evitare che Safya Hoesseini venisse uccisa mediante lapidazione, pena alla quale la donna era stata condannata nonostante fosse stata vittima di uno stupro. L’esecuzione, tuttavia, le è stata risparmiata per ragioni procedurali e ciò significa che il pericolo sussiste ancora per Amina Lawal, alla quale è stato concesso appello il 19 agosto scorso e nei cui confronti, nell’udienza del 25 marzo, si prevede che la sentenza capitale venga confermata. Quindi, signor Commissario, ha ancora un po’ di tempo a disposizione.

La donna è stata condannata nella regione di Katsina, una delle dodici regioni settentrionali in cui la sharia è stata introdotta nel corso degli ultimi 3 anni. La pena di morte, la mutilazione delle donne, la fustigazione e la diffusa discriminazione che si accompagna a tali fatti sono diventate pratica comune. Ciò rende senz’altro lettera morta la costituzione della Nigeria, la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e tutti gli altri trattati che la Nigeria ha sottoscritto.

Tra un paio di settimane, in Nigeria si terranno le elezioni presidenziali. I disordini che hanno accompagnato l’introduzione della sharia hanno già prodotto qualche migliaio di vittime. Solo qualche tempo fa, 220 persone sono rimaste uccise in seguito a tumulti scoppiati a causa di un concorso di bellezza. Il clima del paese è caratterizzato da crisi economica, disoccupazione, mancanza di sicurezza e diffusa corruzione. Su questo enorme e così densamente popolato paese africano incombe, inoltre, il grave rischio di una guerra civile. E oggi ci apprestiamo a votare un’altra risoluzione. Signor Commissario, l’abbiamo già fatto il 15 febbraio 2001, il 15 novembre 2001, l’11 aprile 2002 e, infine, nel mese di settembre 2002. I paesi ACP hanno fatto altrettanto il 21 marzo 2001. Stiamo per approvare l’ennesima risoluzione ma io, al pari dell’onorevole Karamanou, le chiedo di intervenire in modo concreto, non solo per salvare la vita di questa donna sfortunata ma anche per risparmiare a questo popoloso paese conflitti sanguinari che potrebbero causare migliaia di vittime.

(Applausi)

 
  
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  McCartin (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, ho letto di questo caso lo scorso anno e ho fatto l’unica cosa possibile. Ho sollevato la questione all’interno del mio gruppo. Ne abbiamo discusso tra di noi e con altri gruppi del Parlamento e abbiamo approvato una proposta di risoluzione sul caso di Amina Lawal. La risoluzione indica chiaramente cosa deve fare, secondo noi, il governo nigeriano conformemente agli obblighi internazionali e alle disposizioni della costituzione federale del paese. Esso deve esercitare la propria legittima autorità per impedire che Amina Lawal e altre donne nigeriane in condizione simile vengano sottoposte a questo crudele, degradante e disumano trattamento previsto dalle norme della sharia.

Riconosciamo la sovranità del popolo nigeriano e del governo federale e siamo sempre più consapevoli che esiste una comunità mondiale e che ogni cittadino di questa comunità mondiale ha diritto alla nostra solidarietà e al nostro rispetto. Ricordo che, quando venne abbattuto il muro di Berlino, un leader africano espresse preoccupazione per il fatto che l’Unione europea aveva rivolto il proprio sguardo verso est come un uomo attratto dall’ingresso di una nuova, bellissima ragazza e che l’Africa sarebbe stata dimenticata e lasciata a se stessa.

Quando avremo completato il processo dell’allargamento, saremo economicamente e politicamente più forti. Possiamo dunque dirigere di nuovo la nostra attenzione all’Africa ma dobbiamo dire che, riconoscendo senz’altro la sovranità delle nazioni africane, gli aiuti allo sviluppo che noi concederemo saranno vincolati a talune condizioni. Dobbiamo sempre tenere a mente questo e tutti i casi dello stesso genere, nonché la condizione di tutte le donne sottoposte al dettato della sharia nel continente africano.

Non stiamo affatto cercando di imporre la nostra volontà ad uno Stato sovrano. Vogliamo solo dire che c’è un prezzo da pagare. L’Africa ha bisogno del nostro aiuto e noi lo concederemo con generosità, ma l’Africa deve impegnarsi in cambio a trattare i propri cittadini in modo umano.

 
  
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  Morgantini (GUE/NGL). – Signor Presidente, troppe sono le risoluzioni non adempiute, e a volte è anche nostra, come parlamentari, la responsabilità di fare risoluzioni pensando di aver risolto così il problema. Ma io sono una donna e tra i miei archetipi trovo donne che, per avere il coraggio di parlare, il desiderio di ridere o di amare, venivano torturate barbaramente e bruciate vive, in nome di Dio, dalla crudeltà di pii religiosi cristiani.

Ma le religioni, la cultura e le tradizioni si trasformano. Io vengo da un paese dove, ancora nel dopoguerra, esisteva il delitto d’onore, un paese che ha riconosciuto lo stupro come reato contro la persona solo negli anni ’70, quando forte è stato il movimento femminista. Oggi, in Europa, noi donne siamo ancora discriminate, la nostra sessualità mercificata, ma il diritto di esistere è stato conquistato. Le sofferenze, le ingiustizie, invece, subíte dalle donne e dall’umanità sembrano oggi di più lacerare i nostri corpi e le nostre anime. Ancora una volta religioni, tradizioni, culture in nome di un Dio che si dice onnipotente, misericordioso mutilano corpi, infliggono lapidazioni, impongono matrimoni combinati, mutilano con l’infibulazione i corpi di bimbi innocenti.

Dobbiamo impedire l’assassinio di Amina Lawal, donna che ha osato amare, condannata a morte per lapidazione per aver avuto un figlio fuori dal matrimonio. Dobbiamo impedire che la religione, quando è lesiva dei diritti umani, di donna o uomo che sia, possa fungere da legge, anche se secondaria rispetto alle leggi dello Stato. La Repubblica federale della Nigeria ha ratificato le convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo: queste non possono avere rilevanza puramente formale, ma devono essere rispettate ed applicate in concreto.

La Nigeria ha anche adottato una Costituzione che garantisce il diritto alla libertà, senza torture, senza pene. Il Presidente Obasanjo ha manifestato in molte occasioni la sua contrarietà all’applicazione della pena di morte sulla base della sharia, ma egli non può mantenere sempre un doppio standard. E’ vero: i problemi sono complessi ma oggi è in gioco la vita di tante e tante donne – oggi è quella di Amina, ieri quella di Safiya. Ma quante altre donne e quanti uomini giacciono nelle carceri o vengono accusati e impiccati?

Io penso che l’Unione europea debba assumersi un totale impegno – anche noi personalmente – affinché non solo non muoia Amina ma vi sia una ratificazione vera degli accordi internazionali. Dobbiamo pertanto imporre al governo nigeriano che mostri il suo impegno perché ogni assistenza venga data, perché Amina non muoia, perché mai più venga pronunciata una condanna.

Io credo, davvero, che sia estremamente importante che non ci siano doppi pesi e doppie misure. Dobbiamo partire dal nostro presupposto, dal fatto che è fondamentale che anche noi, qui, rispettiamo i diritti umani – penso agli immigrati, penso a tanti altri – e quindi dobbiamo fare tutto il possibile perché non muoia più nessuno.

 
  
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  Maaten (ELDR).(NL) Signor Presidente, nel mese di settembre dello scorso anno, il Parlamento ha approvato una risoluzione per condannare la sentenza di morte per lapidazione inflitta alla signora Amina Lawal. Da allora, da ogni parte è stata esercitata una forte pressione internazionale per aiutare la signora Lawal ed è giusto che sia accaduto. Certo, il suo caso è straordinariamente straziante, trattandosi di una madre condannata a morte.

Il caso Lawal può essere interpretato come un segnale all’interno e all’esterno della Nigeria. Il paese non ha una religione di Stato e così deve continuare ad essere. L’esecuzione della condanna a morte dimostrerebbe che in Nigeria musulmani e cristiani sono sottoposti a leggi diverse e ciò non può essere consentito. Non si può nemmeno tollerare che si crei l’impressione che la violazione dei diritti umani e la pena di morte possano in qualche modo essere accettati. Il governo nigeriano deve garantire il rispetto degli obblighi internazionali in materia di diritti dell’uomo.

Tra meno di due settimane, la signora Lawal affronterà l’appello contro la disumana condanna che le è stata inflitta. E’ auspicabile che riesca a vincere ma, in caso contrario, voglio ricordare al Presidente della Nigeria, signor Olusegun Obasanjo, le sue stesse parole. Nel gennaio di quest’anno, in occasione dei tumulti scoppiati a causa dell’elezione di Miss Universo, egli disse queste parole che cito testualmente: “nessuno verrà lapidato nel mio paese”.

L’appello che gli rivolgo è semplice: rispetti le sue stesse parole. Il governo nigeriano ha i mezzi sufficienti per impedire che questo caso si concluda con una tragedia. Siamo dunque ansiosi di vedere come il governo agirà dopo la sentenza d’appello del 25 marzo. Noi membri del Parlamento riteniamo che i diritti dell’uomo siano la pietra angolare di una buona relazione tra l’Unione europea e un paese terzo. Voglio dunque esprimere l’auspicio che il caso Lawal non oscuri le relazioni tra l’Unione e la Nigeria.

Infine, signor Presidente, qualche anno or sono, quando ancora non era Presidente del suo paese, il signor Obasanjo è stato insignito del Premio della libertà dell’Internazionale Liberale. Continui dunque ad agire in ossequio a quel riconoscimento.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. LALUMIÈRE
Vicepresidente

 
  
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  Tannock (PPE-DE).(EN) Signora Presidente, Amina Lawal, donna nigeriana di trentuno anni e analfabeta, si prepara ad affrontare la morte per il reato di adulterio, pur sostenendo di essere stata violentata da un amico e di essere rimasta gravida in conseguenza di quel fatto. La pena di morte per lapidazione, che viene eseguita seppellendo la donna fino al collo e invitando i presenti a lapidarla, è stata sospesa fino alla nascita del bambino. Cittadini della comunità locale sostengono che anche alcuni membri del tribunale della sharia che ha emanato la condanna hanno avuto relazioni adulterine da cui sono nati dei bambini.

La sharia è stata recentemente introdotta in alcune parti della Nigeria nel quadro del processo di islamizzazione del paese. I gruppi cristiani hanno criticato il fatto che il governo nigeriano non abbia affermato che pene di questo genere sono contrarie al dettato della costituzione federale, anche se il Presidente Obasanjo ha affermato che egli piangerà, se la sentenza verrà eseguita. L’esecuzione è stata sospesa fino al 2004, per consentire alla donna di svezzare il bambino.

Non può esservi dubbio alcuno, a mio parere, che la Nigeria si appresta a violare diversi obblighi previsti dai trattati internazionali, non ultimi la convenzione contro la tortura e la convenzione ONU sui diritti civili e politici, che la Nigeria ha sottoscritto. Persino in Iran, da due anni non viene eseguita alcuna lapidazione e la più alta autorità giudiziaria ha recentemente dichiarato illegale questa pena.

Non stiamo parlando di pena di morte in quanto tale, che è una misura ancora legittimamente prevista nel diritto internazionale per alcuni reati gravi. Siamo di fronte ad una pena sproporzionata e inutilmente crudele contro una giovane madre. Non è nemmeno un tema di impronta femminista. La Nigeria deve comprendere che i suoi rapporti con il mondo civilizzato non potranno restare immutati se la sentenza verrà eseguita e io mi attiverò personalmente per richiedere l’espulsione del paese dal Commonwealth e un programma immediato di sanzioni selettive e di divieti di ingresso per i leader della Nigeria.

Voglio anche chiedere alla Presidenza greca del Consiglio di convocare l’ambasciatore nigeriano e di esprimergli con chiarezza i sentimenti che noi tutti proviamo in quest’Aula nei confronti di una pena così ingiusta.

(Applausi)

 
  
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  Sauquillo Pérez del Arco (PSE).(ES) Signora Presidente, i casi di lapidazione negli Stati settentrionali della Nigeria, che trovano fondamento nell’applicazione della sharia da parte dei tribunali islamici, sono una flagrante violazione dei diritti dell’uomo che dobbiamo condannare con tutta la forza di cui disponiamo, come l’onorevole Karamanou oggi ha già fatto con molta efficacia a nome del Parlamento europeo.

Dobbiamo farlo, in primo luogo perché non possiamo accettare la pena di morte; in secondo luogo, perché l’applicazione della sharia riguarda donne indifese, accusate di azioni, quali l’adulterio, che non possono essere considerate alla stregua di reati e, in terzo luogo, perché, nel caso in questione, ad Amina Lawal non sono state concesse le più elementari garanzie giuridiche nel corso del processo.

Il caso di Amina Lawal è drammatico e urgente perché, dopo una serie di rinvii, la sentenza è ormai imminente, essendo prevista per il 25 marzo. Ma questo non è l’unico di casi simili. Sarimu Mohamed, Safiya Hussaini, Bariya Ibrahima e Adama Yunusa sono state condannate alla prigione dopo una serie di campagne internazionali mirate ad impedire la loro morte per lapidazione. In nessuno di questi casi l’uomo coinvolto nell’adulterio è stato punito.

La vulnerabilità delle donne nel contesto della legge penale islamica, la tortura e i trattamenti umilianti che esse devono subire rappresentano un’inaccettabile violazione dei diritti dell’uomo e ciò non può non riflettersi nelle relazioni che l’Unione europea intrattiene con la Nigeria e con qualsiasi altro paese che applichi la sharia.

La Nigeria presenta uno dei tassi più alti del mondo di analfabetismo. In questo paese si praticano mutilazioni rituali, milioni di persone hanno dovuto abbandonare le proprie case per motivi religiosi e la legge islamica è stata introdotta in alcuni Stati federali, operando così un’evidente discriminazione nei confronti di un settore della popolazione, ma il governo centrale non ha reagito in alcun modo.

L’Unione europea, nel rispetto dei Trattati, che indicano in modo esplicito quali siano i principi che devono guidare le nostre relazioni con i paesi terzi, e senza alcun riguardo per il petrolio nigeriano, deve impiegare tutta la propria forza diplomatica per impedire che venga eseguita la sentenza capitale inflitta a Amina Lawal e deve denunciare tutte le conseguenze dell’eventuale lapidazione.

Più di un milione e mezzo di cittadini ha protestato contro le autorità nigeriane e grazie a queste manifestazioni popolari altre lapidazioni sono state evitate. La posta in gioco, oggi, è salvare Amina Lawal e, a questo fine, la sharia deve essere abolita e, quando sia necessario, perseguita.

 
  
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  Sandbæk (EDD).(DA) Signora Presidente, la lapidazione delle donne deve essere fermata, ora. E’ spaventoso che esistano ancora luoghi nel mondo in cui la lapidazione delle donne è una forma legale e accettata di pena di morte. Il caso di Amina Lawal rende ancora una volta necessaria l’adozione di ogni misura possibile, al fine di ribadire che l’UE rifiuta metodi così barbari e disumani. La Nigeria non è l’unico paese del mondo in cui hanno luogo simili crudeltà. La lapidazione, va da sé, deve essere vietata in ogni paese del mondo ma il caso così terribile di Amina Lawal può darci l’opportunità di manifestare la nostra irremovibile condanna alla lapidazione delle donne. In Nigeria, la differenza tra le leggi in vigore a livello nazionale e quelle in vigore a livello regionale deve essere eliminata. E’ spaventoso che non vi sia alcuna garanzia per Amina Lawal anche di fronte ad un tribunale nazionale, nonostante la costituzione nigeriana tuteli la sua vita e la sua dignità. E’ importante che il Parlamento colga l’occasione per esprimere tutto il nostro orrore e per continuare ad esercitare pressioni sulla società nigeriana. Il caso, infatti, non rimanda solo a una discriminazione assolutamente inaccettabile tra uomini e donne, conseguente all’introduzione della sharia in taluni paesi, perché qui è in gioco un grado minimo di umanità e decenza. C’è ancora un lungo e faticoso lavoro da compiere per garantire che i diritti dell’uomo vengano accolti e rispettati in tutti i paesi del mondo.

 
  
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  Scallon (PPE-DE).(EN) Signora Presidente, accolgo con favore la risoluzione congiunta sul caso di Amina Lawal Kurami. E’ la seconda risoluzione che approviamo su questo caso e non c’è dubbio che la prima volta, nel settembre del 2002, abbiamo fornito un contribuito significativo all’appello internazionale per la grazia, che finora ha consentito ad Amina di restare in vita. All’epoca, mi venne chiesto di lanciare un appello sulla vicenda e voglio ringraziare le migliaia di cittadini che hanno risposto sia all’appello del 2002, che a quello più recente delle ultime settimane. Voglio anche ringraziare l’ufficio europeo che si occupa della situazione dei diritti dell’uomo in Nigeria.

Essere condannate a morte per lapidazione per avere avuto un bambino fuori dal matrimonio è una violazione dei diritti dell’uomo riconosciuti a livello internazionale. Comprendo che il governo nigeriano non desideri affatto che si giunga all’esecuzione della sentenza. Ringrazio in particolare l’ambasciatore nigeriano in Irlanda, signor Elias Nathan, che ha pubblicamente chiesto la grazia per questa madre.

Chiediamo alla Corte d’appello suprema della sharia di Katsina di rispettare e applicare gli accordi internazionali in materia di diritti dell’uomo sottoscritti dalla Nigeria e di garantire che qualsiasi norma della sharia violi questi diritti venga eliminata. Le norme regionali devono conformarsi alle disposizioni internazionali in vigore a livello nazionale in Nigeria. So che la signora Lawal non è stata trattenuta o posta in detenzione dopo la sentenza del marzo 2002. Sono felice che sia così. Ma possiamo solo immaginare il trauma che Amina ha sofferto, dopo avere trascorso un intero anno in attesa dell’esecuzione della sentenza capitale. Sicuramente si è ammalata ed è stata ricoverata in diversi ospedali per farsi curare in questo difficile periodo.

Anche se Amina Lawal ha il diritto di fare appello alla sentenza di fronte a un tribunale non religioso, questa donna ha sofferto a sufficienza. Chiedo che le venga concessa la grazia e la garanzia che in nessun caso la sentenza verrà eseguita. Dobbiamo anche ricordare che Amina non è l’unica donna in questa situazione.

Quando mi venne chiesto di lanciare un appello per Safiya Husseini, che era stata condannata per un reato simile, venni a sapere che almeno quattro donne erano in attesa della stessa esecuzione, Amina Lawal era una di queste, e che diversi giovani di età tra i 12 e 16 anni attendevano l’esecuzione della pena dell’amputazione delle mani dopo la condanna per furto. Pur rispettando la sovranità nazionale, la Nigeria e la sua popolazione meritano un destino migliore. Chiediamo che la nostra risoluzione trovi un’immediata e definitiva risposta.

 
  
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  Gillig (PSE).(FR) Signora Presidente, ancora una volta il Parlamento è indotto e doverosamente costretto a condannare l’orribile caso di Amina Lawal, una donna condannata a morte per lapidazione in Nigeria per avere esercitato la sua libertà.

Cosa posso dire, cosa posso aggiungere a ciò che già hanno detto i colleghi deputati, se non ribadire la mia condanna per la terribile condizione di una donna, una condizione che mostra quanto sia ancora necessaria la lotta che ha luogo nel contesto delle giornate internazionali della donna. Questa intollerabile situazione ci costringe a confermare la nostra radicale opposizione alla pena di morte e a ricordare che un tribunale, in Nigeria come in un qualsiasi altro Stato del mondo, non può basare la propria condotta su principi religiosi e negare tutti i principi che attengono al rispetto assoluto dei diritti dell’uomo e della dignità umana. Questo caso, e mi rattrista doverlo dire, ricorda l’oscurantismo che i nostri paesi hanno conosciuto nel Medioevo. Senza mai smettere di condannare questa intollerabile situazione, dobbiamo ribadire l’importanza che attribuiamo al principio della laicità, sul quale si deve fondare l’organizzazione complessiva degli Stati moderni e democratici.

Signora Presidente, signor Commissario, il governo nigeriano deve affermare che l’applicazione della sharia da parte di un tribunale regionale è contrario alla costituzione del paese. A questo proposito, vogliamo ricordare, in particolare, che il rispetto dei diritti dell’uomo è un elemento fondamentale degli accordi conclusi con i paesi terzi. A prescindere dal caso di Amina Lawal in Nigeria, tutti gli uomini e le donne del mondo cui vengono negati i diritti fondamentali si aspettano che l’Unione europea traduca in azione le risoluzioni che, seduta dopo seduta, approviamo in quest’Aula. Sono anche pienamente d’accordo con le domande poste dall’onorevole Karamanou. Oltre ad approvare risoluzioni, signor Commissario, ma in questo caso ci rivolgiamo anche ai rappresentanti del Consiglio, cos’altro stiamo facendo?

 
  
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  Sacrédeus (PPE-DE). (SV) Signora Presidente, la nostra preoccupazione è di salvare la vita di una persona innocente e di reagire ad una sentenza assolutamente ingiusta. Tuttavia, e mi rivolgo al Commissario Fischler, è anche necessario affrontare la questione dell’introduzione della sharia e dell’islamizzazione di intere parti dell’Africa centrale, dove vi sono molti casi simili a questo che presumibilmente continueranno a ripetersi. Occorre indagare con chiarezza, decisione, pazienza e coerenza, se la sharia sia davvero compatibile con i diritti dell’uomo e con la convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’uomo.

Faccio parte di un gruppo di parlamentari europei che ha scritto alle ambasciate nigeriane dell’Unione europea e del resto del mondo per chiedere un intervento delle autorità su questo caso. Dobbiamo fare quanto ci è possibile per influire sulla decisione della Corte suprema della Nigeria. Come si afferma nella risoluzione, un’altra questione da affrontare riguarda il fatto che tutti i nigeriani devono poter fruire degli stessi diritti e della stessa tutela secondo quanto previsto dalla costituzione, a prescindere dal fatto che siano musulmani, cristiani, aderenti a un’altra fede o non credenti. Dobbiamo poi metterci in condizione di verificare se sia accettabile che la sharia si ponga in sostanziale contrasto con il diritto internazionale e con la dignità umana. E’ necessario fare quanto è in nostro potere per porci la seguente domanda: perché coloro che, in Africa e in Europa, si professano musulmani, non levano la propria voce per affermare che questa situazione è incompatibile con ciò che deve essere il cuore di tutte le fedi religiose, ovvero amore e tolleranza?

 
  
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  Fischler, Commissione. – (DE) Signora Presidente, onorevoli deputati, la Commissione non può che condividere, com’è ovvio, le preoccupazioni espresse riguardo il tipo di pene inflitte nella Nigeria settentrionale secondo i dettami della sharia. In riferimento ad un intero gruppo di casi, tra cui vi è quello di Amina Lawal, la Commissione ha espresso la propria posizione al governo nigeriano e lo stesso Presidente Prodi ha avuto un contatto diretto con il Presidente Obasanjo, il quale ha del pari espresso la sua opposizione a queste pene e ha precisato che tutti gli imputati hanno il diritto di adire la Corte suprema.

La Commissione accoglie con favore quanto affermato lo scorso anno dal ministro della Giustizia nigeriano, ovvero che è ingiusto discriminare tra i musulmani imponendo loro sentenze diverse per un reato assolutamente identico. Come alcuni membri dell’Aula hanno già riferito, l’appello di Amina Lawal verrà discusso il 25 marzo. Ad Amina Lawal è stata concessa l’assistenza legale, la donna avrà inoltre la possibilità di presentare appello a un grado ancora più alto di giudizio, se ciò dovesse rendersi necessario.

Tramite la nostra delegazione ad Abuja, stiamo seguendo l’evoluzione del caso il più strettamente possibile, ma ci asteniamo dal fare riferimento diretto a casi che siano ancora sub judice, preferendo fare pressioni sul governo federale nigeriano per un’abolizione definitiva della pena di morte per tutti i reati.

La sharia rappresenta una questione complessa e delicata in Nigeria e presenta elementi molto problematici in termini di diritto costituzionale, poiché la sharia di Stato contravviene agli obblighi costituzionali e internazionali, che il governo federale della Nigeria è tenuto a rispettare.

In termini sociali, la Nigeria è divisa tra musulmani a nord e cristiani a sud e il fatto che il prossimo anno siano in programma le elezioni rende questo tema carico di implicazioni politiche e molto delicato.

Uno studio finanziato dalla Commissione ha concluso che l’applicazione della sharia in campo penale è reso ancora più problematico dal fatto che le norme penali sono prive di un accettabile quadro generale di riferimento e vengono applicate in modo incoerente da giudici privi di una solida formazione.

L’UE ha elaborato una posizione comune sui diritti dell’uomo in Nigeria, ha manifestato le posizioni della troika sulla pena di morte e ha indirizzato una dichiarazione ufficiale alla Commissione delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo.

Vigiliamo con la massima attenzione, affinché la Nigeria rispetti i principi dell’Accordo di Cotonou. La Commissione stessa, poi, è direttamente coinvolta e, lo scorso anno, ha sottoscritto con la Nigeria un documento di strategia nazionale e un programma di cooperazione, che sono incentrati sulle aree dei diritti dell’uomo e del buongoverno e che contengono disposizioni utili a sostenere la società civile.

La Nigeria, inoltre, è uno dei paesi oggetto dell’Iniziativa europea per la democrazia e i diritti dell’uomo e a breve si procederà all’approvazione di un certo numero di progetti volti a sostenere la riforma istituzionale e del sistema giudiziario. E’ questa la via che ci consentirà, speriamo, di esercitare un influsso positivo sul modo in cui le autorità federali e i singoli Stati della Nigeria interpretano e mettono in pratica i più fondamentali diritti dell’uomo. E’ auspicabile che tale influsso consenta di dare una svolta positiva alla situazione del paese.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – La ringrazio, signor Commissario.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà tra breve.

 

9. Votazioni
  

Proposte di risoluzione concernenti le discussioni su casi di violazione dei diritti dell’uomo, della democrazia e dello Stato di diritto(1)

Proposta di risoluzione comune(2) sulla chiusura di imprese dopo la concessione di aiuti finanziari da parte dell’Unione europea

Sul paragrafo 9

 
  
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  Santos (PSE).(PT) Signora Presidente, desidero informarla, a nome del gruppo del Partito socialista europeo, che ho intenzione di presentare un emendamento orale per aggiungere il nome “EFTEC” ai paragrafi 9 e 16. Si tratta di un’impresa svedese che è alle prese con problemi simili a quelli di imprese cui si fa riferimento nella proposta di risoluzione comune.

 
  
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  Presidente. – Vi sono obiezioni alla presentazione di questo emendamento orale?

(L’Assemblea manifesta il suo assenso alla presentazione dell’emendamento orale)

(Il Parlamento approva la risoluzione)

DICHIARAZIONI DI VOTO

– Risoluzione sulla chiusura di imprese (B5-0160/2003)

 
  
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  Stenmarck (PPE-DE), per iscritto. (SV) La delegazione dei moderati ha oggi votato a favore della risoluzione sulla chiusura di imprese dopo la concessione di aiuti finanziari da parte dell’Unione europea.

Riteniamo positivo che, con questa risoluzione, il Parlamento europeo si occupi delle conseguenze negative che spesso sorgono in relazione alla gestione dei Fondi strutturali dell’UE. E’ nostra opinione che i Fondi strutturali generino una vasta e ingestibile circolazione di sussidi che, nel caso degli aiuti alle imprese, si traduce in un trasferimento di disoccupazione da uno Stato membro ad un altro, oltre che in una distorsione della concorrenza a carico delle singole imprese.

Per giungere alla creazione di nuovi posti di lavoro, sono invece necessarie misure quali la deregolamentazione e la riduzione delle tasse e delle barriere commerciali. Se l’Unione europea vuole davvero avere qualche possibilità di conseguire l’obiettivo di Lisbona, le attività di finanziamento tramite i Fondi strutturali devono cessare il più presto possibile.

 
  
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  Knolle (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, questa mattina ho chiesto che i manifesti appesi ai vetri degli uffici di alcuni deputati venissero rimossi, perché rappresentano un’offesa alla dignità del Parlamento. E ora, poco prima della votazione, noto che alle pareti sono ancora appesi molti di questi manifesti. Se ammettiamo questo genere di condotta, lasciando che diventi pratica comune, le pareti del Parlamento finiranno per somigliare prima o poi a una sorta di spazio destinato alle affissioni pubblicitarie, simile alle colonnine stradali o alle palizzate che recintano dei cantieri. Non mi pare che sia nell’interesse di questa onorabile Istituzione. Le chiedo dunque di intervenire con il massimo rigore.

 
  
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  Presidente. – Onorevole Knolle, sarà nostra premura contattare i servizi competenti per garantire che sia dato seguito all’intervento richiesto.

 
  

(1) Per i risultati della votazione: cfr. Processo verbale.
(2) Presentata dagli onorevoli Pronk e Bastos a nome del gruppo PPE-DE, Lage, dos Santos e Hughes a nome del gruppo PSE, Lambert e Schroedter a nome del gruppo Verts/ALE, Figueiredo e altri a nome del gruppo GUE/NGL e Ribeiro e Castro e Queiró a nome del gruppo UEN, volta a sostituire con un nuovo testo le proposte di risoluzione di cui ai docc. B5-0160, 0165, 0166, 0168 e 0169/2003.


10. Interruzione della sessione
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  Presidente. – Abbiamo esaurito l’ordine del giorno.

Dichiaro interrotta la sessione del Parlamento europeo.

(La seduta termina alle 17.25)(1)

 
  

(1) Rinvio in commissione – Autorizzazione a elaborare relazioni – Cooperazione tra le commissioni parlamentari – Dichiarazioni scritte (articolo 51 del Regolamento) – Trasmissione dei testi approvati nel corso della presente seduta – Calendario della prossima tornata: cfr. Processo verbale.


ALLEGATO
INTERROGAZIONI AL CONSIGLIO
Interrogazione n. 11 dell'on. Per-Arne Arvidsson (H-0091/03)
 Oggetto: Fiducia nei confronti della PESC
 

Lo scopo della politica estera e di sicurezza comune è quello di consentire all'UE di contribuire alla pace e alla sicurezza in Europa e nella sua area circostante attraverso un'azione incisiva e unitaria sulla scena internazionale. Il ruolo degli Stati membri in relazione al conflitto in Iraq è stato l'esatto contrario, ha seguito gli interessi nazionali e ha nuociuto alla credibilità della politica estera e della PESC dell'Unione. Purtroppo la Presidenza ha alimentato le divisioni schierandosi unilateralmente a favore della linea franco-tedesca.

E' compito della Presidenza favorire la ricerca di compromessi e soluzioni comuni che possano contribuire ad un intervento unitario sulle varie questioni. La Presidenza danese ha dato prova di grande competenza in questo campo. Le divergenze sul conflitto iracheno hanno inoltre comportato una calo fiducia nell'UE da parte dei paesi candidati all'adesione.

Quali misure pensa di adottare la Presidenza greca per evitare il ripetersi di situazioni analoghe nel campo della politica estera?

 
  
 

La Presidenza ha compiuto ogni possibile sforzo per far sì che nella crisi irachena l’Unione europea parlasse con una sola voce sulla scena internazionale, in quanto anch’essa, al pari dell’onorevole parlamentare, ritiene che più l’Unione europea è unita, più è forte e più la sua voce viene ascoltata a livello internazionale. Per questo motivo, in occasione della sua prima riunione svoltasi il 27 gennaio, il Consiglio ha adottato conclusioni sostanziali sull’Iraq, che hanno costituito la base sulla quale, allo scopo di inviare un chiaro messaggio alle autorità irachene, il 4 febbraio è stata intrapresa un’iniziativa cui hanno aderito i 13 paesi candidati. La Presidenza ha quindi convocato un Consiglio europeo straordinario per il 17 febbraio, che ha consentito di giungere a una dichiarazione comune alla quale il giorno successivo si sono uniti i paesi candidati. In tale dichiarazione, l’Unione europea ha trovato un accordo sulle questioni centrali della crisi:

Saddam Hussein dev’essere privato di tutte le armi di distruzione di massa.

Le Nazioni Unite devono essere al centro degli sforzi compiuti a tale scopo.

Le ispezioni devono essere efficaci, ma non possono continuare indefinitamente in mancanza di cooperazione da parte dell’Iraq.

La guerra non è inevitabile. L’uso della forza dovrebbe costituire l’ultima risorsa.

La questione è ora nelle mani del Consiglio di sicurezza.

La Presidenza continuerà ad adoperarsi per trovare una linea comune in questa come in altre situazioni.

 

Interrogazione n. 12 dell'on. Francesco Enrico Speroni (H-0096/03)
 Oggetto: Popolazione degli stati membri
 

Nei protocolli allegati al trattato di Nizza è usata l'espressione "popolazione totale dell'Unione", senza precisarne la portata. Per quanto concerne l'Unione, essa si riferisce al totale dei soli residenti con cittadinanza dell'Unione, al totale dei residenti inclusi quelli senza cittadinanza dell'Unione o ad altro? Come sono considerati, ai fini del computo della popolazione totale dell'Unione, i suoi cittadini residenti fuori di essa?

Può il Consiglio far sapere quale delle seguenti ipotesi si applica al calcolo della popolazione dei singoli stati, al fine del quorum del 62%:

a) tutti i residenti nello stato, prescindendo dalla cittadinanza; b) tutti i residenti con cittadinanza dello Stato o di altro paese membro; c) solo i cittadini dello stato ivi residenti; d) solo i cittadini dello stato residenti ivi o in altro stato membro; e) tutti i cittadini dello Stato ovunque residenti; f) un altro criterio ?

 
  
 

Il Consiglio informa l’onorevole parlamentare di non aver ancora discusso tali aspetti specifici, ma che dette questioni e la loro incidenza saranno esaminate in tempo utile entro il 1° novembre del 2004.

 

Interrogazione n. 13 dell'on. Anna Karamanou (H-0100/03)
 Oggetto: Accuse di irregolarità finanziarie a carico di EUROPOL
 

In una sua recente relazione che non è stata ancora pubblicata la Corte dei conti europea accusa EUROPOL, il servizio europeo di lotta contro il crimine organizzato, di irregolarità e mancanza di trasparenza sul piano finanziario. La relazione concentra le sue critiche su un importo di 279 000 euro corrispondente a 18 mesi di entrate salariali dell'ex vicedirettore di EUROPOL David Valls-Russel, importo che gli era stato versato, sebbene mancasse la base giuridica, dopo che aveva rassegnato le proprie dimissioni a seguito di uno scandalo finanziario emerso nella sua Direzione. Inoltre, la relazione fa riferimento a finanziamenti illegali per l'installazione e l'utilizzo di apparecchiature telefoniche e fax nelle residenze private di alcuni funzionari.

Quali misure intende prendere il Consiglio affinché, da un lato, si faccia pienamente luce su questa grave questione e, dall'altro, si creino i presupposti perché EUROPOL serva lo scopo per il quale è stato istituito e funzioni sulla base dei principi di trasparenza, responsabilità e obbligo di rendiconto, che disciplinano tutti gli organi e i servizi dell'Unione europea?

 
  
 

La relazione del comitato di controllo comune dell’Europol cui l’onorevole parlamentare fa riferimento fa parte della procedura di discarico secondo quanto previsto dall’articolo 36 della Convenzione Europol.

Il Consiglio non ha assunto alcuna posizione riguardo alla possibile concessione del discarico al direttore dell’Europol per il 2001. Non appena il Consiglio avrà deciso in merito a questo punto, verranno fornite ulteriori informazioni al Parlamento europeo.

 

Interrogazione n. 14 dell'on. Ulla Margrethe Sandbæk (H-0101/03)
 Oggetto: Diritti dell'uomo in Iran
 

Dal discorso pronunciato dal ministro iraniano degli affari esteri Kamal Kharaszis dinanzi alla commissione per gli affari esteri, i diritti dell'uomo, la sicurezza comune e la politica di difesa si evince che il miglioramento della situazione dei diritti dell'uomo in Iran non rientra affatto nelle competenze del governo iraniano.

Stando così le cose, qual è il tenore del cosiddetto dialogo costruttivo tra l'UE e il governo iraniano?

Può il Consiglio far sapere per quanto tempo ancora accetterà la lapidazione di donne e l’esecuzione di sentenze capitali senza sospendere la cooperazione col governo iraniano?

 
  
 

Per quanto riguarda la dichiarazione cui si fa riferimento nell’interrogazione, esiste una norma in base alla quale il Consiglio non si pronuncia in merito alle dichiarazioni rilasciate dai politici. Il Consiglio non ha dubbi che il governo iraniano sappia quali sono le sue competenze e responsabilità nel campo dei diritti umani. Proprio per questo motivo, infatti, il governo iraniano è impegnato non solo in un dialogo con l’Unione europea e vari altri paesi, quali l’Australia, su questioni inerenti ai diritti umani, ma anche in un rapporto di cooperazione con l’ONU e i suoi vari organi che controllano il rispetto delle norme internazionali in materia di diritti umani da parte degli Stati. In ogni caso, il Consiglio non è a conoscenza di elementi contenuti nel discorso pronunciato dal ministro degli Affari esteri Kharaszis dinanzi al Parlamento europeo che possano dare adito a tale malinteso.

La natura costruttiva del dialogo tra Unione europea e Iran sui diritti umani non può essere qualificata semplicemente come “cosiddetta”. Il dialogo consiste essenzialmente in una discussione su tutte le questioni relative alla situazione dei diritti umani in Iran che sono motivo di preoccupazione per l’Unione europea e in una valutazione del modo in cui quest’ultima può favorire o sostenere il compimento di progressi verso un miglioramento riguardo a tutte le questioni in esame. Per rendere il dialogo il più costruttivo possibile, l’Unione europea ha riconosciuto fin dall’inizio che esso deve coinvolgere non solo tutti gli organi competenti dell’amministrazione iraniana, vale a dire il settore giudiziario, il parlamento e il ministero degli Esteri, ma anche la società civile, ossia il mondo accademico, le ONG e la Commissione islamica per i diritti umani, per promuovere il dibattito interno per un cambiamento in Iran a tutti i livelli. Per questo motivo, l’Unione europea ha deciso di organizzare la prima sessione del dialogo UE-Iran sui diritti umani svoltasi il 16 e 17 dicembre 2002 sotto forma di tavola rotonda con la partecipazione di rappresentanti di tutti gli organi dell’amministrazione e della società iraniani menzionati, seguita da una riunione separata a livello di governo che ha coinvolto il settore giudiziario, il parlamento e il ministero degli Esteri iraniani. La vivacità e la franchezza del dibattito anche in seno alla delegazione iraniana hanno dimostrato all’Unione europea che un approccio globale volto al massimo coinvolgimento possibile di tutte le parti interessate è quello giusto e l’Unione europea intende mantenere tale formula nel prossimo futuro.

L’Unione europea ha sollevato la questione della pena di morte presso il governo iraniano durante la sua missione esplorativa a Teheran nel settembre/ottobre 2002, nonché in occasione della prima sessione del dialogo sui diritti umani tenutasi in dicembre. Il Consiglio fa presente di non aver ricevuto prove fondate di casi di persone lapidate a morte in Iran dall’avvio del dialogo tra l’Unione europea e l’Iran sui diritti umani nell’ottobre dell’anno scorso. A questo proposito, l’Unione europea continuerà ad esercitare pressioni sul governo iraniano finché la situazione non migliorerà, come fa con tutti gli altri paesi che ancora impongono la pena di morte e con i quali intrattiene un dialogo politico.

 

Interrogazione n. 15 dell'on. Maurizio Turco (H-0102/03)
 Oggetto: Priorità della Presidenza Greca e efficacia delle Convenzioni internazionali sulla droga
 

Nel documento "Priorità della Presidenza Greca del 2003" si afferma: "Si dovrebbe riesaminare l'efficacia degli esistenti trattati internazionali sul controllo della produzione e del traffico di stupefacenti".

Considerato che la prima occasione per riesaminare tale efficacia e’ offerta dalla riunione della Commissione narcotici dell’ONU di Vienna dall’8 al 17 aprile prossimi, in che termini intende il Consiglio proporre il riesame dell’efficacia dei trattati?

Intende il Consiglio proporre un futuro appuntamento di revisione delle Convenzioni internazionali, oppure già avanzare delle proposte di revisione per l’appuntamento di aprile? A che punto sono i lavori del Consiglio e dei suoi gruppi di lavoro al riguardo?

 
 

Interrogazione n. 16 dell'on. Benedetto Della Vedova (H-0104/03)
 Oggetto: Classificazione della cannabis nel diritto internazionale
 

La Convenzione delle Nazioni unite sulle droghe narcotiche del 1961 include la cannabis nella tabella I, assieme alle droghe più pericolose, come l’eroina, e nella tabella IV, che comprende le droghe della tabella I che sono ritenute avere limitate virtù terapeutiche ed effetti estremamente pericolosi. La convenzione delle Nazioni unite del 1988 contro il traffico illecito di droghe narcotiche considera il principale principio attivo della cannabis, il THC (tetraidrocannabinolo), come una sostanza psicotropa. La logica di queste classificazioni dà pertanto adito a serie perplessità: in sostanza, una pianta che contiene il 3 % di un principio attivo viene considerata con maggior severità che lo stesso principio attivo, in una concentrazione del 100 %.

Ritiene il Consiglio che la classificazione della cannabis nella tabella I assieme all’eroina sia giustificata? La cannabis è altrettanto pericolosa dell’eroina? E’ giustificata l’inclusione della cannabis nella tabella IV? La cannabis non ha alcuna proprietà terapeutica? Deve la cannabis essere giudicata con maggiore severità che il suo principio attivo? Intende il Consiglio esaminare e presentare emendamenti agli Stati membri intesi a modificare il criterio di classificazione della cannabis nell’ambito delle convenzioni delle Nazioni Unite?

 
 

Interrogazione n. 17 dell'on. Gianfranco Dell'Alba (H-0106/03)
 Oggetto: Lotta alla droga, Convenzioni internazionali e pena di morte
 

Le Convenzioni dell'ONU sulla droga del 1961, 1971 e 1988 impongono la proibizione e la criminalizzazione di una serie di comportamenti collegati alla droga (coltivazione, produzione, esportazione ed importazione, consumo, vendita, etc). Numerosi Stati hanno, nel recepire tali Convenzioni, previsto la pena capitale per tali reati. Tra questi figurano, tra gli altri, Cina, Malesia, Vietnam, Singapore, Kuwait, Iran, Thailandia, Filippine e Indonesia.

Non ritiene il Consiglio necessario nonché conforme alla posizione internazionale dell'Unione europea in tema di pena di morte, rivedere urgentemente tali Convenzioni internazionali al fine di proibire la pena capitale per i reati collegati alla droga? In caso affermativo, intende il Consiglio sollevare tale problema ed avanzare una proposta di emendamento attraverso gli Stati membri dell'UE - tutti firmatari delle Convenzioni - in occasione della prossima riunione dell'ONU sulla droga prevista nell'aprile 2003 a Vienna?

 
  
 

Sono iniziati i preparativi della 46a sessione della Commissione delle Nazioni Unite in materia di sostanze stupefacenti negli organismi del Consiglio di rispettiva competenza a Bruxelles e Vienna. La sessione si terrà dall’8 al 17 aprile e comprenderà una Sezione ministeriale nei giorni 16 e 17 aprile in cui si discuteranno le difficoltà incontrate nel perseguimento degli obiettivi fissati dalla Dichiarazione Politica, approvata dall’Assemblea generale durante la sessione speciale del giugno 1998.

Nella preparazione delle dichiarazioni della Presidenza, alla sessione ordinaria e alla Sezione ministeriale, si terranno nel dovuto conto gli orientamenti contenuti nella nota sulla valutazione intermedia del Piano d’azione UE in materia di droga. Tale nota invita a considerare con maggiore attenzione la minaccia crescente costituita dalla produzione e dal consumo delle droghe sintetiche.

Nel corso dei lavori preparatori dell’UE finora non c’è stata discussione su alcune questioni sollevate da membri del Parlamento europeo, come la modifica della Convenzione, la classificazione della canapa indiana nella legislazione internazionale, la pena di morte.

 

Interrogazione n. 18 dell'on. José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra (H-0112/03)
 Oggetto: Soppressione del sistema di preferenze tariffarie generalizzate per alcuni settori dell'America centrale e della Comunità andina mediante la graduazione
 

Ritiene il Consiglio che la soppressione delle preferenze tariffarie (attraverso l'approvazione, da parte della CE, della proposta (COM/2003/0045 def.) di regolamento del Consiglio concernente l'applicazione dell'articolo 12 del Regolamento (CE) 2501/2001(1)) per il settore delle piante vive, fiori, legumi e frutta commestibile della Colombia mediante l'applicazione del meccanismo di graduazione, darà aiuto a un paese che registra circa 26 milioni di poveri, 30.000 morti violente all'anno e 10 sequestri al giorno, nella sua lotta contro la produzione e il traffico di droga?

Non ritiene il Consiglio che la summenzionata misura possa porre a rischio i fragili progressi economici, sociali e ambientali conseguiti dal Costa Rica in un settore che si concentra in regioni svantaggiate del paese, molto esposte alle calamità naturali e che fornisce occupazione, principalmente, a donne capofamiglia e a immigranti provenienti dal Nicaragua?

Non ritiene il Consiglio che l'applicazione del meccanismo di graduazione ai beneficiari del "SPG-droga" possa distorcere gli obiettivi che hanno portato alla creazione del meccanismo commerciale probabilmente più riuscito rispetto ai restanti adottati dall'UE con i paesi in via di sviluppo, e che sia vitale per i paesi andini e centroamericani proprio adesso che stanno attraversando una crisi regionale?

Ritiene il Consiglio che, durante i mesi in cui è stata ritardata l'entrata in vigore del regolamento, la situazione in tali paesi sia destinata a migliorare?

Non ritiene che ciò possa rappresentare un segnale scoraggiante per tali paesi proprio quando il Vertice di Madrid ha dato il via a una prospettiva di libero scambio per l'America centrale e la Comunità andina? Quali sono state le reazioni dei paesi beneficiari?

 
  
 

Il 13 febbraio 2003 il Consiglio ha ricevuto la proposta di regolamento del Consiglio presentata dalla Commissione cui l’onorevole parlamentare fa riferimento e la sta esaminando, con l’obiettivo di adottare una decisione entro il 14 maggio conformemente al calendario stabilito dalla procedura regolamentare.

La graduazione dei settori è una caratteristica dello Schema di preferenze tariffarie generalizzate dell’Unione europea volta a concedere tali preferenze a paesi diversi da quelli che risultano in grado di affrontare la concorrenza internazionale senza un accesso preferenziale al mercato. Nel 2001 il Consiglio ha deciso che in linea di principio tale graduazione avrebbe dovuto essere applicata anche al regime speciale a favore della lotta contro la produzione e il traffico di droga, come già avveniva per l’SPG in generale.

L’Unione europea ribadisce la propria fedeltà agli impegni assunti al Vertice UE-America latina e Caraibi riguardo alla possibilità di un futuro accordo, compreso un accordo di libero scambio.

L’Unione europea è stata messa al corrente della posizione di alcuni paesi dell’America latina in merito alla proposta di applicazione della graduazione nel quadro dello Schema di preferenze tariffarie generalizzate.

 
 

(1) GU L 346 del 31.12.2001, pag.1.

 

Interrogazione n. 19 dell'on. Antonios Trakatellis (H-0117/03)
 Oggetto: Ritardi nella pubblicazione da parte del Consiglio della posizione comune relativa alla direttiva sulla commercializzazione dei diritti di emissione di gas a effetto serra
 

A seguito dell’accordo politico raggiunto l’11 dicembre 2002, potrebbe il Consiglio spiegare per quale motivo ritarda la pubblicazione della posizione comune sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’adozione di un sistema di commercializzazione dei diritti di emissione di gas a effetto serra nell’Unione europea e sulla modifica della direttiva 96/61/CE(1) del Consiglio, quando tale posizione comune sarà notificata al Parlamento europeo e per quali motivi essa non figura tra le priorità del programma della presidenza greca?

 
  
 

Per quanto riguarda questa interrogazione, vorrei assicurare all’onorevole parlamentare che il Consiglio è fermamente impegnato a promuovere l’attuazione del Protocollo di Kyoto che, com’è ovvio, comprende l’applicazione delle misure necessarie per consentire all’Unione europea di conseguire i relativi obiettivi, una delle quali è costituita dal proposto sistema di commercializzazione dei diritti di emissione di gas a effetto serra.

Il testo della posizione comune è in fase di esame per essere completato sotto il profilo tecnico ed economico in modo da essere formalmente inviato al Parlamento europeo il più presto possibile.

Si prevede che la posizione comune sia pronta per essere trasmessa al Parlamento entro la fine di marzo.

 
 

(1) GU L 257 del 10.10.1996, pag. 26.

 

Interrogazione n. 20 dell'on. Bill Newton Dunn (H-0895/02)
 Oggetto: Riduzione delle emissioni di gas a effetto serra
 

Quali progressi ha fatto il Consiglio con riguardo alla riduzione di consumi energetici nei suoi edifici, allo scopo di dare un buon esempio al resto dell'Unione?

 
  
 

Per quanto riguarda questa interrogazione, desidero assicurare all’onorevole parlamentare che il Consiglio è fermamente impegnato a promuovere l’attuazione del Protocollo di Kyoto e anche interessato alla questione dei consumi energetici.

A questo proposito, vorrei far riferimento all’adozione dell’ultima direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia (direttiva 2002/91/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2002). L’obiettivo fondamentale alla base di tale direttiva è promuovere il miglioramento del rendimento energetico degli edifici nell’Unione europea. L’efficienza energetica negli edifici viene anche promossa attraverso la cosiddetta direttiva SAVE (direttiva 93/76/CEE).

Inoltre, nelle sue conclusioni del 30 maggio 2000 e del 5 dicembre 2000, il Consiglio ha sostenuto il piano d’azione della Commissione sull’efficienza energetica e ha chiesto la definizione di misure specifiche nel settore dell’edilizia.

Il Consiglio ha altresì riconosciuto l’importanza dell’efficienza energetica nelle sue conclusioni del 10 ottobre 2000 sulle politiche e le misure comuni e coordinate nell’Unione europea per ridurre le emissioni dei gas a effetto serra, contribuendo in questo modo agli obiettivi del programma europeo per il cambiamento climatico (ECCP).

Per quanto riguarda la politica di gestione dei propri edifici, già da diversi anni i servizi del Consiglio intraprendono iniziative volte a ridurre i consumi energetici.

Si tratta essenzialmente, per gli edifici occupati dal Consiglio, di una ricerca di risparmio energetico mediante:

spegnimento automatico o a distanza dell’illuminazione dei locali;

sostituzione dei vecchi apparecchi di illuminazione con nuovi apparecchi, più efficienti;

miglioramento degli impianti di produzione e di regolazione del calore e di condizionamento dell’aria.

Per un nuovo edificio in corso di progettazione, oltre all’applicazione di tecniche più economiche in materia di consumo energetico, il Consiglio prevede di installare una centrale di cogenerazione (produzione combinata di elettricità e di calore).

Nel settore dei trasporti, il Consiglio ha intrapreso le seguenti iniziative:

di recente ha indetto una gara d’appalto per la designazione di un consulente che dovrebbe assistere il Consiglio nell’elaborazione e nell’attuazione di un piano di trasporti aziendale;

in connessione con questo punto, il numero degli spazi disponibili nei suoi edifici per il parcheggio di autoveicoli è stato ridotto del 10 per cento circa e al contempo è stato aumentato quello degli spazi riservati alle biciclette.

 

Interrogazione n. 21 dell'on. Yasmine Boudjenah (H-0894/02)
 Oggetto: Situazione nel Sahara occidentale
 

Il 29 dicembre 1998 la Presidenza del Consiglio aveva approvato una dichiarazione sul Sahara occidentale. Da allora la situazione è bloccata specialmente per le manovre di ostruzione del governo marocchino che mira ad impedire lo svolgimento di un referendum. Eppure la mancanza di una soluzione giusta di questo conflitto mina la stabilità di tutta le regione del Magreb.

Il Consiglio è deciso a prendere un’iniziativa forte, ad esempio approvando una nuova dichiarazione, per rilanciare il processo di pace e arrivare allo svolgimento di un referendum libero, regolare ed imparziale di autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale (a cui si era impegnata la Presidenza del Consiglio nel dicembre 1998)?

 
  
 

Il Consiglio segue con attenzione le discussioni che si svolgono in seno al Consiglio di sicurezza dell’ONU e sostiene pienamente gli sforzi compiuti dall’inviato personale del Segretario generale delle Nazioni Unite, James Baker, per cercare di giungere a una soluzione duratura nel pieno rispetto dei diritti umani e della democrazia. L’ONU ha ribadito la sua volontà di intensificare gli sforzi necessari per risolvere il problema e lo scorso gennaio James Baker si è nuovamente recato nella regione.

Nel frattempo, l’Unione europea ritiene indispensabile che vengano adottate senza indugio misure di carattere umanitario tali da consentire anche di ristabilire la fiducia tra le parti. Nel dicembre scorso l’Unione europea ha pertanto sottolineato ancora una volta presso le parti interessate l’urgenza di procedere alla liberazione di tutti i prigionieri di guerra marocchini ancora detenuti nel campo di Tindouf in condizioni fisiche e psicologiche particolarmente difficili.

Nella situazione attuale, il Consiglio non prevede di assumere una posizione come quella suggerita dall’onorevole parlamentare nella sua interrogazione.

 

Interrogazione n. 22 dell'on. Josu Ortuondo Larrea (H-0897/02)
 Oggetto: Consiglio dei ministri di agricoltura e pesca. Bruxelles, 16.12.2002
 

Dal 16 al 19 dicembre 2002 si sta svolgendo a Bruxelles il Consiglio dei ministri di agricoltura e pesca della UE. Tre Regioni dello Stato spagnolo con competenze legislative in materia di agricoltura e pesca, Andalusia, Galizia e Paese Basco, avevano richiesto numerose settimane prima alla Rappresentanza permanente di Spagna alla UE non tanto la partecipazione alla riunione comunitaria ma soltanto la facoltà di accedere allo spazio adiacente alla sala stampa dove si offrono informazioni dirette agli organi d'informazione sull'evoluzione dei negoziati tra i rappresentanti dei differenti governi. Non sfugge certamente al Consiglio l'importanza in questo momento delle decisioni da approvare in detta riunione dei ministri. Tuttavia, la risposta governativa spagnola è stata negativa.

Per questa ragione chiedo alla Presidenza del Consiglio se possa farmi conoscere se a dette riunioni abbiano preso parte nell'ambito delle rispettive delegazioni statali, rappresentanti di enti territoriali intrastatali tra quelli conosciuti come Stati federali, governi regionali, regioni costituzionali, governi autonomi ecc. e caso per caso di quali Stati membri si sia trattato e nel contempo, se vi siano state altre occasioni alle quali siffatti rappresentanti regionali abbiano partecipato ai Consigli dei ministri UE in qualunque riunione settoriale. Non le pare un controsenso che la costituzione dello Stato spagnolo istituisca le regioni e successivamente il governo centrale non consenta alle medesime di difendere le proprie competenze costituzionali nel processo di approvazione di decisioni comunitarie e che neppure possano conoscere di prima mano le misure che le riguardano?

 
  
 

In occasione della riunione del Consiglio “Agricoltura e pesca” svoltosi dal 16 al 20 dicembre 2002 alla quale si riferisce l’onorevole parlamentare, la delegazione belga era composta dal ministro federale responsabile per l’agricoltura nonché dai ministri dell’Agricoltura dei governi vallone e fiammingo.

Più in generale, è in effetti accaduto più volte che in occasione di riunioni del Consiglio nelle quali sono state trattate questioni legislative rientranti, in alcuni Stati membri, nelle competenze degli enti territoriali, tali Stati membri abbiano incluso nella loro delegazione rappresentanti di questi ultimi.

Vorrei richiamare l’attenzione dell’onorevole parlamentare sull’articolo 203 del TCE che stabilisce che il Consiglio è formato da un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale, abilitato ad impegnare il governo di detto Stato membro. Ciò si traduce nella disposizione contenuta nell’allegato 1 del regolamento interno del Consiglio che stabilisce che spetta a ciascuno Stato membro determinare la sua rappresentanza in seno al Consiglio.

 

Interrogazione n. 24 dell'on. Ole Krarup (H-0899/02)
 Oggetto: José Maria Sison/elenco dei presunti terroristi
 

Non è stata sporta alcuna denuncia contro il professor José Maria Sison né in Olanda, nelle Filippine, negli USA né altrove.

Può spiegare il Consiglio il motivo per cui è stato deciso di inserirlo nell'elenco dei presunti terroristi?

 
 

Interrogazione n. 25 dell'on. Jonas Sjöstedt (H-0900/02)
 Oggetto: Organizzazioni filippine ed elenco di terroristi stilato dall'UE
 

Una sentenza pronunciata dalla Corte suprema dei Paesi Bassi, De Raad van State, ha riconosciuto il professor José María Sison quale rifugiato politico ai sensi dell’articolo 1, paragrafo A della Convenzione sui rifugiati. Tale status è stato altresì confermato dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati e da Amnesty International.

Come può il Consiglio, basandosi unicamente sulle parole del Presidente statunitense Bush, dichiarare che José María Sison è un terrorista?

 
 

Interrogazione n. 26 dell'on. Herman Schmid (H-0903/02)
 Oggetto: Organizzazione filippina ed elenco di terroristi stilato dall'UE
 

Il “Nuovo esercito popolare” va eliminato dall’elenco di terroristi stilato dall’UE. Non ha il Consiglio in effetti approvato l’accordo generale relativo al rispetto dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale, che è stato concluso tra il governo filippino e il Fronte democratico nazionale delle Filippine?

 
 

Interrogazione n. 27 dell'on. Marianne Eriksson (H-0001/03)
 Oggetto: Il Nuovo esercito del popolo e la lista di organizzazioni terroriste
 

Ha il Consiglio dell'UE esaminato la dichiarazione del Fronte democratico nazionale delle Filippine di aderire alle Convenzioni di Ginevra e al Protocollo n. 1, sottoscritte tra l'altro dal Nuovo esercito del popolo e depositate presso il Consiglio federale svizzero come pure presso il comitato internazionale della Croce rossa nel luglio 1996? Come può un'organizzazione come il Nuovo esercito del popolo essere denominata terrorista allorquando aderisce alle Convenzioni di Ginevra e al Protocollo n. 1?

 
  
 

Mi sia consentito fornire una risposta comune alle quattro interrogazioni sulle organizzazioni filippine e sull’elenco di terroristi stilato dall’Unione europea presentate dagli onorevoli parlamentari.

Il Consiglio non ha tenuto una discussione su un eventuale accordo relativo al rispetto dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale negoziato tra il governo filippino e il Fronte democratico nazionale delle Filippine (FDNP), né ha discusso la dichiarazione di quest’ultimo di aderire alle Convenzioni di Ginevra e al Protocollo n. 1.

Per quanto riguarda la persona che è a capo del Nuovo esercito popolare, José María Sison, la decisione del Consiglio del 28 ottobre 2002 di includerlo nell’elenco stilato dall’Unione europea era basata su un esame attento e approfondito delle informazioni disponibili nel pieno rispetto dei criteri fissati dall’articolo 1, paragrafo 4 della posizione comune 2001/931/PESC del 27 dicembre 2001.

Il Consiglio desidera rammentare agli onorevoli parlamentari che la presentazione di una denuncia contro una persona non è un prerequisito per inserire tale persona nell’elenco. I criteri di inclusione sono infatti rigorosamente quelli stabiliti all’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune menzionata in precedenza.

Il Consiglio vorrebbe anche chiarire che al signor Sison non è mai stato riconosciuto lo status di rifugiato politico ai sensi dell’articolo 1, sezione A della Convenzione delle Nazioni Unite sullo status dei rifugiati. La richiesta di concessione di tale status presentata dal signor Sison nei Paesi Bassi è stata respinta in tribunale sulla base del fatto che esistevano seri motivi di sospettare che il signor Sison avesse commesso nelle Filippine reati di cui all’articolo 1, paragrafo F della Convenzione sui rifugiati. Tale decisione è stata confermata da tutte le corti d’appello dei Paesi Bassi. Ciononostante, in base alle informazioni di cui il Consiglio dispone, il signor Sison, sebbene privato di status ufficiale, non è stato rimpatriato nelle Filippine.

 

Interrogazione n. 28 dell'on. Lennart Sacrédeus (H-0901/02)
 Oggetto: Criteri di Copenaghen e occupazione di un futuro Stato membro
 

Considerando che la Turchia occupa dal 1974 il 37 per cento della Repubblica di Cipro, potrebbe il Consiglio far sapere se ritiene che ciò sia conforme ai criteri di Copenaghen in materia di diritti umani, democrazia ed economia di mercato? È possibile per un paese come la Turchia avviare negoziati di adesione con l’Unione pur continuando l’occupazione di Cipro, futuro Stato membro?

 
  
 

L’Unione europea ha costantemente ribadito la sua posizione su Cipro. Il Consiglio invita l’onorevole parlamentare a far riferimento alle conclusioni del Consiglio europeo che hanno regolarmente reiterato la posizione dell’Unione europea, in particolare alle conclusioni del Consiglio europeo riunitosi lo scorso dicembre a Copenaghen, che incoraggiano la Turchia a portare avanti con vigore il processo di riforma. Infatti, se nel dicembre 2004 il Consiglio europeo, sulla base di una relazione e di una raccomandazione della Commissione, deciderà che la Turchia soddisfa i criteri politici di Copenaghen, l’Unione europea avvierà senza indugio i negoziati di adesione con la Turchia.

E’ chiaro che l’Unione europea si aspetta che la Turchia cooperi in modo costruttivo nell’individuare una soluzione. Nell’ambito dell’attuale partenariato di adesione, la Turchia deve sostenere fermamente gli sforzi compiuti dalle Nazioni Unite per trovare una soluzione globale. Lo scorso anno, le Nazioni Unite hanno presentato un piano per una soluzione complessiva del problema di Cipro che costituisce la base dei negoziati attualmente in corso tra le due comunità cipriote. Il Consiglio sottolinea che a Copenaghen è stato deciso che, tenuto conto della conclusione dei negoziati di adesione con Cipro, questo paese sarà ammesso come nuovo Stato membro dell’Unione europea e, ai paragrafi da 10 a 12 delle conclusioni della Presidenza, il Consiglio ha rammentato la sua intenzione di prendere in considerazione una soluzione conformemente ai principi su cui si fonda l’Unione europea.

Il nuovo governo turco ha più volte affermato di sostenere il processo negoziale sulla base del piano delle Nazioni Unite, anche se la parte turca non ha ancora intrapreso iniziative sostanziali e costruttive. L’Unione europea auspica la rapida conclusione di un accordo con il sostegno della Turchia, si spera in marzo, in conformità del nuovo calendario delle Nazioni Unite e in tempo per consentire la firma, il 16 aprile 2003, del Trattato di adesione da parte di una Cipro unita.

 

Interrogazione n. 29 dell'on. Brian Crowley (H-0904/02)
 Oggetto: Strategia in materia di turismo e Presidenza greca
 

Alla luce dell'importantissimo ruolo svolto dal settore turistico nell'economia di tutti gli Stati membri, particolarmente nelle zone meno favorite, e tenuto conto dell'imminente ampliamento dell'Unione europea, può la Presidenza greca far sapere se intende sì o no promuovere una strategia turistica per l'attuale e la futura Unione europea?

 
  
 

L’onorevole parlamentare saprà che, a seguito dell’adozione da parte del Consiglio, avvenuta il 21 maggio 2002, della risoluzione su “Il futuro del turismo europeo”, la Presidenza greca intende garantire che si continuino a compiere passi avanti riguardo a una strategia comune per il futuro del turismo europeo e in questo contesto porrà l’accento sui seguenti aspetti:

sviluppo dei meccanismi necessari per integrare gli interessi del turismo nelle politiche comunitarie e in particolare quelle in materia di:

trasporti;

tutela dei consumatori;

occupazione;

rilevanza del turismo europeo per la competitività e lo sviluppo dell’economia europea;

sviluppo sostenibile del turismo a seguito dell’elaborazione e dell’attuazione di una “Agenda 21” per il turismo.

La Presidenza riconosce inoltre la necessità di:

un dialogo tra il settore pubblico e l’industria turistica europea, principalmente nel quadro del Forum europeo annuale;

promozione di reti di cooperazione, soprattutto in casi di cooperazione interregionale a transnazionale con il sostegno comunitario;

intensificazione degli sforzi volti a favorire l’accesso di persone con particolari esigenze a siti e attività turistici, in particolare nella prospettiva della designazione del 2003 quale anno internazionale dei disabili.

Tutti questi aspetti devono assicurare un valido fondamento per lo sviluppo del settore turistico nella futura Unione allargata.

 

Interrogazione n. 30 dell'on. Liam Hyland (H-0906/02)
 Oggetto: Piano d'azione europeo per i prodotti biologici
 

Il Consiglio “Agricoltura e pesca” riunito a Bruxelles nel dicembre 2002 avrebbe dovuto esaminare un documento di lavoro della Commissione che analizza le possibilità di un piano d'azione europeo per i prodotti biologici e l'agricoltura biologica e avrebbe dovuto tenere una discussione sulla politica in tale settore. Può il Consiglio, sotto la Presidenza greca, illustrare il risultato di tale dibattito e far sapere come intende procedere ulteriormente in merito a tale questione?

 
  
 

Nella sua riunione del dicembre 2002, il Consiglio “Agricoltura e pesca” ha preso atto della presentazione da parte della Commissione di un documento di lavoro che analizza le possibilità di un piano d’azione europeo per un’alimentazione e un’agricoltura biologiche. Il Consiglio ha tenuto un dibattito politico sull’argomento, concentrando l’attenzione sulle questioni fondamentali emerse dall’analisi, allo scopo di porre in evidenza possibili elementi per tale piano d’azione. In precedenza, le questioni riguardanti il futuro piano d’azione europeo erano già state esaminate in seno al Comitato speciale dell’agricoltura nonché dallo stesso Consiglio, nella riunione del settembre 2002, quando la Commissione ha presentato lo stato della situazione nel settore.

Il Consiglio ha preso atto del calendario previsto dalla Commissione, che inizia con un’approfondita consultazione degli Stati membri e delle parti interessate sulla base del suo documento di lavoro e di un precedente questionario, cui faranno seguito entro la metà del 2003 l’invio di informazioni al Consiglio in merito allo stato di avanzamento dei lavori in corso ed entro la fine del 2003 la presentazione di proposte di misure adeguate.

Alla luce dell’ampio sostegno espresso dalle delegazioni nei confronti del progetto di un futuro piano d’azione europeo, il Consiglio, sotto la Presidenza greca, seguirà con attenzione i progressi compiuti al riguardo e fornirà, ove necessario, il contributo di esperti, in attesa della relazione della Commissione sullo stato della situazione di cui è prevista la presentazione entro la metà del 2003.

 

Interrogazione n. 31 dell'on. Seán Ó Neachtain (H-0908/02)
 Oggetto: Politica a favore delle isole
 

Con 227 isole abitate, il fenomeno insulare costituisce una caratteristica evidente della Grecia. Tenuto conto della situazione dell'Irlanda come economia insulare e di varie altre comunità insulari nell'UE, la Presidenza greca dispone forse di piani volti a promuovere una politica insulare più attiva a livello UE nei prossimi sei mesi?

 
  
 

Il Consiglio attribuisce considerevole importanza al futuro della politica di coesione economica e sociale e nel corso della Presidenza greca esaminerà con interesse la seconda relazione intermedia sulla coesione presentata dalla Commissione. In questo contesto, la Presidenza promuoverà il dialogo sul futuro della politica di coesione dopo l’allargamento e sulle politiche volte ad aiutare le zone che presentano particolari svantaggi strutturali, quali le isole.

Non vi è l’intenzione di promuovere in questo periodo una politica insulare più attiva in quanto tale, ma la questione sarà inclusa nel programma del Consiglio dopo che la Commissione avrà presentato le sue proposte per la nuova politica regionale dal 2007.

Il Consiglio segue con attenzione e con grande interesse il lavoro svolto dalla Commissione in questo campo, tenuto conto soprattutto del fatto che sta per essere portato a termine uno studio sulle regioni insulari, che contribuirà a un dibattito di ampia portata in grado di fornire alla Commissione indicazioni per l’elaborazione della terza relazione sulla politica di coesione economica e sociale (fine del 2003). Tale relazione contribuirà a sua volta all’elaborazione delle nuove normative.

 

Interrogazione n. 32 dell'on. Gerard Collins (H-0002/03)
 Oggetto: Nomina di un Rappresentante speciale dell'UE in Nepal nel 2003
 

In risposta alla mia precedente interrogazione (H-0808/02(1)) sulla nomina di un Rappresentante speciale dell'UE in Nepal, il Consiglio ha precisato che la questione è stata sollevata ma senza darle ulteriore seguito. Il Consiglio ha anche sottolineato che il 5 dicembre scorso il Gruppo di lavoro sull'Asia ha discusso gli sviluppi politici in Nepal, anche nella prospettiva di un maggiore coinvolgimento internazionale nel conflitto.

Può il Consiglio, sotto la presidenza greca, comunicare se intende considerare ulteriormente la possibilità di nominare un Rappresentante speciale dell'UE in Nepal incaricato di mediare tra il governo del Nepal e i maoisti e può indicare qual è attualmente il suo punto di vista sul crescente coinvolgimento internazionale nella ricerca di una soluzione al conflitto?

 
  
 

Il Consiglio è sempre più preoccupato per il deteriorarsi della situazione in materia di sicurezza in Nepal e per le violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario perpetrate nel paese. Nella sua dichiarazione del 18 dicembre 2002, l’Unione europea pone l’accento sull’esigenza di un “deciso programma di riforme e di sviluppo e sottolinea la necessità improrogabile di affrontare i problemi della povertà, dell’esclusione e della discriminazione, del malgoverno e della corruzione, cause profonde del conflitto”. L’Unione europea ritiene che non sia possibile portare a compimento riforme di rilievo in assenza dello Stato di diritto, in un clima di paura e d’impunità.

Nella stessa occasione, l’Unione europea ha fermamente condannato l’insurrezione in atto e gli abusi sempre più frequenti e ha chiesto ai ribelli maoisti di cessare immediatamente la loro campagna sistematica di omicidi, intimidazioni e distruzioni.

L’Unione europea è disposta a contribuire agli sforzi compiuti a livello internazionale per stabilizzare la situazione per quanto riguarda la sicurezza, disinnescare la crisi, promuovere misure di rafforzamento della fiducia, aiutare a ricercare una soluzione pacifica al conflitto e sostenere una soluzione duratura. Per il momento, tuttavia, il Consiglio non sta considerando la questione della nomina di un Rappresentante speciale dell’Unione europea in Nepal.

 
 

(1) Risposta scritta del 18.12.2002

 

Interrogazione n. 33 dell'on. Niall Andrews (H-0004/03)
 Oggetto: Posizione dell'UE in vista della 46ma sessione della commissione delle Nazioni Unite per gli stupefacenti, prevista per l'aprile 2003
 

La Presidenza sarà a conoscenza della valutazione intermedia del piano d’azione dell'UE in materia di lotta contro la droga (2000-2004), pubblicata il 4 novembre 2002 dalla Commissione, in cui si esprime preoccupazione per il persistente elevato livello del consumo e del traffico delle sostanze stupefacenti, nonché per i danni che la criminalità, i problemi di salute e l'esclusione sociale riconducibili alla droga comportano per la società in generale. Tenendo conto delle conclusioni e delle proposte contenute nella valutazione della Commissione, nonché delle opinioni dei ministri della Giustizia e degli Interni, i quali, nella riunione svoltasi lo scorso settembre in Danimarca, hanno sottolineato i rischi delle droghe sintetiche, può la Presidenza greca far sapere quali preparativi sta facendo per definire una posizione dell’UE prima dello svolgimento della 46ma sessione della commissione delle Nazioni Unite per gli stupefacenti, prevista per l’aprile 2003?

 
  
 

I preparativi della 46a sessione della Commissione delle Nazioni Unite per gli stupefacenti sono iniziati in seno agli organismi del Consiglio di rispettiva competenza a Bruxelles e Vienna, ma sono ancora in fase preliminare. La sessione si terrà dall’8 al 17 aprile 2003 e comprenderà una Sezione ministeriale nei giorni 16 e 17 aprile in cui si discuteranno le difficoltà incontrate nel perseguimento degli obiettivi fissati dalla dichiarazione politica approvata dall’Assemblea generale durante la sua 20a sessione speciale tenutasi nel giugno 1998.

Nell’elaborazione delle dichiarazioni della Presidenza alla sessione ordinaria e alla Sezione ministeriale, si terranno nel dovuto conto gli orientamenti contenuti nella comunicazione sulla valutazione intermedia del piano d’azione dell’Unione europea in materia di lotta contro la droga. Tale comunicazione invita a considerare con maggiore attenzione la crescente minaccia costituita dalla produzione e dal consumo delle droghe sintetiche.

Per quanto riguarda la Sezione ministeriale della 46a sessione della Commissione delle Nazioni Unite per gli stupefacenti, il progetto di proposta di dichiarazione comprende punti specifici sul consumo e sul traffico di droghe sintetiche nonché sui precursori.

Quanto alla sessione ordinaria, nel quadro del gruppo di lavoro orizzontale sulla droga sono state intraprese iniziative che potrebbero portare alla definizione di una posizione comune dell’Unione europea sulle droghe sintetiche, tenendo conto dei progetti di raccomandazioni della Presidenza greca sul “tempestivo intervento per prevenire la tossicodipendenza, i rischi associati e la criminalità tra i giovani che fanno uso di droghe”. Le raccomandazioni sono basate su prove scientifiche secondo le quali l’uso di droghe sintetiche comporta considerevoli rischi per la salute fisica e mentale. Viene prestata particolare attenzione ai giovani che si trovano in una fase iniziale di uso e sperimentazione di tali sostanze, nonché al consumo occasionale, ricreativo o circostanziale.

La Presidenza greca intende organizzare una riunione speciale dell’Unione europea sull’analisi delle caratteristiche dei precursori con la partecipazione di esperti in medicina legale degli Stati membri, che si terrà a margine di quella del gruppo orizzontale sulla droga (probabilmente in marzo).

Per quanto riguarda il seguito dato alla valutazione intermedia del piano d’azione dell’Unione europea in materia di lotta contro la droga (2000-2004), la Presidenza greca, in collaborazione con la Commissione europea, sta valutando la possibilità di definire obiettivi specifici allo scopo di svolgere le attività inerenti alle droghe sintetiche.

 

Interrogazione n. 34 dell'on. James (Jim) Fitzsimons (H-0006/03)
 Oggetto: Inserire nei programmi educativi le problematiche della salute e della sicurezza
 

La Commissione ha dichiarato, e l’interrogante condivide il suo punto di vista, che lo sviluppo di un’autentica cultura della prevenzione in materia di salute e sicurezza sul lavoro rivesta una particolare importanza. Si tratta della necessità di inserire le questioni connesse alla salute e alla sicurezza nei programmi educativi sin dai primi anni di scuola e durante l’intero ciclo degli studi. La Presidenza greca condivide questa posizione e, in caso affermativo, come intende promuovere, insieme agli altri Stati membri, l’auspicata cultura della prevenzione, in particolare per quanto concerne i programmi educativi e la vita scolastica?

 
  
 

Il Consiglio ringrazia l’onorevole parlamentare per la sua interrogazione e lo invita a far riferimento all’articolo 149, paragrafo 1, del Trattato, che stabilisce che la Comunità contribuisce allo sviluppo di un’istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione nel pieno rispetto della responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione del sistema di istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche.

Nella sua risoluzione del 3 giugno 2002 su una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro (2002-2006)(1), il Consiglio ha stabilito che il modello sociale europeo si basa su buoni risultati economici, elevato livello di protezione sociale, istruzione e dialogo sociale, compreso il miglioramento degli aspetti qualitativi del lavoro, per quanto riguarda in particolare la dimensione della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro. Nella risoluzione il Consiglio sottolinea altresì che, per poter instaurare una cultura della prevenzione e modificare i comportamenti, occorre promuovere la cultura della prevenzione già dalle prime fasi dell’istruzione. Il Consiglio ha pertanto invitato gli Stati membri a promuovere la creazione di una vera e propria cultura della prevenzione, inter alia, integrando i principi fondamentali della prevenzione sul lavoro nei programmi educativi e nelle azioni di formazione professionale.

Nella stessa risoluzione, il Consiglio ha rilevato inoltre la necessità di promuovere l’integrazione della salute e della sicurezza sul lavoro nelle altre strategie comunitarie e che, a tale riguardo, occorrerà sviluppare una strategia coordinata con altre politiche che perseguono obiettivi di tutela e che si basano su misure preventive, segnatamente, inter alia, la politica dell’istruzione.

 
 

(1) GU C 161 del 5.7.2002, pagg. 1-4.

 

Interrogazione n. 35 dell'on. Herman Vermeer (H-0009/03)
 Oggetto: Requisiti relativi al servizio pubblico
 

Può il Consiglio comunicare l’esatto stato di avanzamento delle trattative riguardo alla proposta della Commissione per una regolamentazione sugli interventi da parte degli Stati membri in materia dei requisiti e dell’assegnazione degli appalti relativi al servizio pubblico per il trasporto passeggeri su ferrovia, su strada e su idrovie interne?

 
  
 

Il Consiglio informa l’onorevole parlamentare di aver esaminato in modo approfondito la proposta originaria della Commissione per un regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sugli interventi da parte degli Stati membri in materia dei requisiti e dell’assegnazione degli appalti relativi al servizio pubblico per il trasporto passeggeri su ferrovia, su strada e su idrovie interne, nel corso della Presidenza svedese nel primo semestre del 2001. L’esame è stato ripreso sotto la Presidenza spagnola nel primo semestre del 2002, dopo la presentazione della proposta modificata della Commissione. Tale lavoro potrebbe tuttavia non essere concluso.

Per quanto riguarda la futura gestione della proposta, il Consiglio sottolinea che, dopo che sarà ripreso l’esame della proposta di regolamento, sarà necessario affrontare una serie di questioni fondamentali sulle quali i pareri delle delegazioni continuano a divergere.

 

Interrogazione n. 36 dell'on. Ioannis Marinos (H-0013/03)
 Oggetto: Circolazione di banconote false dell'euro
 

Stando ad articoli della stampa greca, in ogni impresa commerciale greca, piccola o grande, sono state individuate, particolarmente negli ultimi cinque mesi, banconote false principalmente da 10, 20, 50 e 100 euro. Recenti informazioni riportano che circolano anche banconote false da 5 euro mentre, soltanto nel dicembre 2002, sono state confiscate 2000 banconote false nel paese, ossia la metà del totale confiscato durante l'anno scorso. Si segnali che le imprese greche sono obbligate a dotarsi di una biro speciale per riconoscere le banconote false nonché di apparecchi speciali di individuazione ottica, il che comporta un costo supplementare per le stesse. Tuttavia, anche così, il sistema non è sicuro perché tali apparecchi vengono "ingannati" da banconote autentiche molto consunte causando ingiustamente un disturbo al loro portatore. In Grecia, tutte le volte che viene individuata una banconota falsa, il suo portatore viene immediatamente condotto al commissariato di polizia dove segue una procedura per direttissima, anche se ha scambiato la banconota all'oscuro di tutto.

Quali misure immediate intende il Consiglio adottare, in collaborazione con la Banca Centrale Europea in modo da affrontare in modo radicale tale fenomeno che ha origine nei centri di falsificazione all'interno e all'esterno dell'Unione europea?

 
  
 

Occorre ricordare innanzi tutto che, in conformità delle competenze stabilite dal Trattato, in particolare all’articolo 106 dello stesso e all’articolo 16 dello statuto del SEBC e della BCE, non spetta al Consiglio, ma alla BCE, stabilire le caratteristiche di progettazione, che comprendono i necessari elementi anticontraffazione, delle banconote emesse dalla BCE e dalle banche centrali nazionali.

Detto questo, va sottolineato che, secondo la recente relazione della Commissione sull’esperienza pratica acquisita dopo un anno di circolazione di banconote e monete in euro (doc. COM(2002) 747 def.), la contraffazione delle banconote e delle monete in euro, dalla loro introduzione avvenuta il 1o gennaio 2002, si è mantenuta a livelli di gran lunga inferiori a quelli cui erano soggette negli anni passati le banconote e le monete nazionali. In base alle relative statistiche della BCE, nel corso dei primi sei mesi del 2002 sono state scoperte solo 22 000 banconote in euro false, pari ad appena il 7 per cento circa del numero totale di banconote nazionali false individuate nello stesso periodo del 2001.

Inoltre, la cifra di 22 000 banconote in euro false scoperte (il 65 per cento delle quali costituito da banconote da 50 euro) deve essere confrontata con il numero totale di 59 milioni di banconote in euro in circolazione.

Come confermato dalla suddetta relazione della Commissione, questa situazione apparentemente soddisfacente è dovuta alle sofisticate caratteristiche di sicurezza che proteggono le banconote e le monete in euro dalla contraffazione.

Gli attuali elementi anticontraffazione delle banconote in euro previsti dalla BCE sembrano pertanto essersi dimostrati soddisfacenti.

 

Interrogazione n. 37 dell'on. Marco Cappato (H-0022/03)
 Oggetto: Violazione di diritti e libertà fondamentali per motivi di tendenze sessuali in Egitto
 

Secondo l'AFP, il 9 gennaio 2003 la polizia egiziana ha arrestato un uomo di trent'anni dopo aver comunicato con lui attraverso un sito Internet da egli stesso messo in opera per cercare potenziali partner. In un'operazione segreta, la polizia ha organizzato attraverso Internet un incontro con l'uomo, facendosi passare per un potenziale amante omosessuale. Al luogo di incontro, l'uomo è stato arrestato. Il 22 dicembre un altro cittadino egiziano, un dentista omosessuale che aveva creato un sito analogo, è stato arrestato allo stesso modo. Inoltre, gli egiziani arrestati nel maggio 2001 ad una festa serale su un'imbarcazione sul Nilo, accusati di pratiche omosessuali, dovranno comparire nuovamente in un nuovo processo il 25 gennaio. Quali iniziative ha preso e intende prendere il Consiglio a proposito delle ripetute e gravi violazioni dei diritti fondamentali dei cittadini in Egitto per motivi di tendenze sessuali? Il Consiglio ha espresso alle autorità egiziane la preoccupazione dell'UE per questi nuovi arresti? Il Consiglio sta seguendo le udienze del processo ai partecipanti alla festa sulla Queen Boat?

 
  
 

Il Consiglio ha seguito e continua a monitorare attentamente il caso Queen Boat, in modo particolare la revisione del processo alle cinquanta persone coinvolte in questa vicenda.

L’UE ritiene che, con la firma dell’accordo di associazione con l’Egitto, si sia raggiunta una nuova dimensione nei rapporti con questo paese che permette di intraprendere un dialogo in materia di diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Così, la troika dei capi di missione in loco, ha avviato un dialogo con le autorità egiziane, in cui ha espresso le proprie preoccupazioni in particolare riguardo ai casi legati all’omosessualità, sottolineando che essi mettono in causa valori universali e riconosciuti universalmente. La parte egiziana ha risposto che l’omosessualità non è proibita dalla legge egiziana, ma che piuttosto sono state la prostituzione pubblica e la provocazione, compreso l’utilizzo di Internet, a portare agli arresti nel caso "Queen Boat".

Il Consiglio continuerà a vigilare in materia e a difendere i valori e i principi che stanno alla base dell’Unione europea.

 

Interrogazione n. 38 dell'on. Arlene McCarthy (H-0025/03)
 Oggetto: Cooperazione giudiziaria UE nei casi di divorzio e di responsabilità dei genitori
 

Il Consiglio presenterà un aggiornamento sui progressi effettuati in sede di Consiglio sulla proposta di regolamento del Consiglio concernente la giurisdizione e il riconoscimento e l'applicazione delle sentenze in materia matrimoniale e in materia di responsabilità dei genitori.

La Presidenza in carica conviene che detto regolamento possa risultare efficace soltanto se gli Stati membri si impegnano nella sua applicazione?

 
  
 

Il Consiglio informa l’autore dell’interrogazione che è in corso un esame approfondito della proposta presentata dalla Commissione il 6 maggio 2002 relativa alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà dei genitori che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000 e che modifica il regolamento (CE) n. 44/2001 per quanto riguarda il pagamento degli alimenti.

La proposta in questione è stata avanzata in seguito ai dibattiti che si sono svolti in merito all’iniziativa presentata dalla Francia il 3 luglio 2000, volta ad abolire l’esecutività per la parte di una decisione sulla potestà dei genitori rientrante nel campo d’applicazione del regolamento (CE) n. 1347/2000 che riguarda i diritti di visita, e in risposta alla proposta iniziale della Commissione del 7 settembre 2001.

In occasione della sua riunione del 28 e 29 novembre 2002, il Consiglio è giunto a un accordo su uno degli elementi più complessi della proposta, vale a dire quello che riguarda la sottrazione di minori. La soluzione che ha incontrato il consenso generale prevede in particolare disposizioni intese ad accertare se le giurisdizioni dello Stato membro nel quale un minore ha la sua residenza abituale mantengono la loro competenza nei casi di illecito trasferimento o di mancato ritorno di un minore nonché le condizioni da verificare quando una decisione in merito al mancato ritorno di un minore viene emessa nello Stato membro in cui quest’ultimo si trova in seguito a uno trasferimento illecito o a un mancato rientro.

A tale scopo, si propone che sia prevista una specifica procedura per la cooperazione tra le autorità competenti degli Stati membri interessati, in particolare quando una decisione in merito a un mancato ritorno viene emessa da una giurisdizione dello Stato membro in cui il minore si trova in seguito a un trasferimento illecito o a un mancato ritorno.

Inoltre, si propongono il ricorso alla Convenzione dell’Aia del 1980 per quanto riguarda le procedure di rientro di un figlio che è stato illecitamente trasferito o trattenuto e disposizioni specifiche per rafforzare l’efficacia di detta Convenzione a livello comunitario.

Infine, l’ulteriore decisione di una giurisdizione dello Stato membro di residenza abituale del minore verrebbe riconosciuta ed eseguita in un altro Stato membro senza che sia richiesta una dichiarazione che ne riconosca l’esecutività e senza che sia possibile opporsi al riconoscimento se la decisione è stata certificata nello Stato membro in cui è stata emessa.

Il Consiglio si aspetta che nel corso del 2003 vengano compiuti sostanziali passi avanti in modo da rendere possibile l’adozione del regolamento in questione entro la fine di quest’anno.

La Presidenza greca ha avviato in seno al comitato competente del Consiglio discussioni sul campo di applicazione del regolamento e sulle definizioni in esso contenute, nonché sulla cooperazione tra le autorità competenti degli Stati membri e ritiene che sia possibile il raggiungimento di un accordo politico sulla proposta nel suo complesso nel corso del proprio mandato.

 

Interrogazione n. 39 dell'on. John Joseph McCartin (H-0032/03)
 Oggetto: Chiesa cattolica di rito ortodosso
 

È a conoscenza il Presidente in carica della discriminazione religiosa nei confronti della Chiesa cattolica di rito ortodosso in Romania e della mancata tutela, da parte delle autorità rumene, dei suoi beni e della sua libertà di culto?

 
  
 

Il Consiglio attribuisce la massima importanza al rispetto, da parte dei paesi candidati, dei diritti umani, compresa la libertà di culto. Per quanto riguarda la Romania, il Consiglio sottolinea che la relazione periodica del 2002 della Commissione sui progressi compiuti dalla Romania verso l’adesione, presentata nell’ottobre 2002, ha concluso che in generale la Romania continua a soddisfare i criteri politici di Copenaghen e che dal 1997 ha compiuto progressi per quanto riguarda il consolidamento e l’approfondimento della stabilità delle istituzioni che garantiscono la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti umani e il rispetto della tutela delle minoranze. I risultati della Commissione sono stati confermati dal Consiglio europeo riunitosi a Bruxelles il 24 e 25 ottobre 2002.

Quanto alla questione specifica sollevata dall’onorevole parlamentare, la relazione periodica sostiene che la libertà di culto in Romania è garantita dalla costituzione e viene osservata nella pratica. Esiste tuttavia una questione particolare che riguarda i beni delle chiese. A questo proposito, la relazione sottolinea che nel luglio 2002 il parlamento ha adottato una normativa che chiarisce la procedura di restituzione dei beni confiscati alle chiese. La normativa estende il campo d’applicazione delle precedenti norme sotto molti aspetti importanti. Tuttavia, sono interessati solo i beni delle chiese e attualmente non esiste un quadro giuridico per la restituzione delle chiese vere e proprie. Si tratta di una questione particolarmente importante per la Chiesa greco-cattolica che ha subito la confisca di un gran numero di beni da parte del regime comunista e non ha ancora ottenuto riparazione giuridica. Il governo si è impegnato a definire una normativa specifica sull’argomento, ma i ritardi registrati nell’elaborazione di tale normativa significano che non sono stati compiuti progressi sostanziali.

La Presidenza desidera assicurare all’onorevole parlamentare che l’Unione continuerà a seguire la situazione in Romania nel quadro della strategia di preadesione e, qualora fosse necessario, discuterà la questione con la parte rumena, in particolare in seno agli organi stabiliti dall’Accordo europeo quali il Consiglio di associazione e il Comitato di associazione.

 

Interrogazione n. 41 dell'on. Richard Howitt (H-0041/03)
 Oggetto: Partecipazione dei ministri per lo Sviluppo al Consiglio "Affari generali e relazioni esterne"
 

Nel corso del Consiglio "Affari generali e relazioni esterne" del 10 dicembre si è creata una certa confusione in merito al momento in cui i ministri nazionali per lo Sviluppo dovessero essere presenti per partecipare al dibattito.

Per quanto riguarda le riunioni del 18 marzo e del 19 maggio, può il Presidente in carica indicare le questioni connesse allo sviluppo che saranno affrontate? Quali disposizioni verranno adottate per stabilire il momento in cui i ministri per lo Sviluppo dovranno essere presenti? Quali sono i criteri applicati per determinare i temi che saranno trattati nell’ordine del giorno relativo allo sviluppo?

 
  
 

Le decisioni adottate dal Consiglio europeo di Siviglia nel giugno 2002 rispondevano all’esigenza per l’Unione europea di adeguare le strutture del processo decisionale nella prospettiva del prossimo allargamento. I capi di Stato e di governo hanno deciso di ridurre il numero delle formazioni del Consiglio e di integrare tutte le questioni relative alle azioni esterne dell’Unione europea nel nuovo Consiglio “Affari generali e relazioni esterne”, allo scopo di rispondere all’obiettivo di migliorare la coerenza tra le componenti delle politiche esterne dell’Unione, evitando al contempo il rischio di frammentare settori politici quali la cooperazione allo sviluppo.

L’integrazione dello sviluppo in questo foro politico allargato dev’essere considerata positiva per la politica di sviluppo. Integrando lo sviluppo nella nuova struttura, il Consiglio sottolinea l’importanza del ruolo svolto dallo sviluppo nell’ambito della politica estera dell’Unione europea. Il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” costituisce altresì un importante sforzo volto a rafforzare la capacità dell’Unione europea di rispondere alle esigenze di sviluppo in modo più coerente.

La Presidenza greca del Consiglio attribuisce considerevole importanza alla piena attuazione delle decisioni adottate a Siviglia, e intende portare avanti ciò che è già stato realizzato dopo Siviglia, vale a dire concentrare i temi da trattare nell’ordine del giorno relativo alla cooperazione allo sviluppo in una o due riunioni del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne”, e ha programmato un dibattito orientativo per esaminare i modi e i mezzi necessari per un ulteriore rafforzamento dell’efficacia delle azioni esterne dell’Unione europea. Nella riunione del 19 e 20 maggio 2003, tra i punti da affrontare sono previste questioni legate allo sviluppo quali lo svincolo degli aiuti come mezzo per aumentarne l’efficacia, l’integrazione delle questioni inerenti alle migrazioni nelle relazioni esterne dell’Unione europea con i paesi terzi e la partecipazione di operatori non statali alla politica comunitaria di sviluppo dell’Unione europea.

La Presidenza, che è responsabile dell’organizzazione dell’attività del Consiglio, attuerà le misure pratiche necessarie per consentire agli Stati membri di decidere nelle condizioni migliori e più adeguate in merito alla composizione della loro delegazione, compresa la possibilità di invitare i ministri per lo Sviluppo a prender parte alle discussioni che si svolgeranno a tale scopo e secondo quanto stabilito dalla Presidenza almeno 14 giorni prima delle riunioni.

Le priorità della Presidenza sono ben note al Parlamento europeo e al Consiglio in tutti i loro aspetti, compresa la politica di sviluppo.

 

Interrogazione n. 42 dell'on. Bill Miller (H-0042/03)
 Oggetto: Dichiarazioni di stupro in Grecia
 

Crede il Consiglio che un cittadino dell’UE possa subire un processo imparziale in un altro Stato membro dell’UE nel caso in cui la documentazione relativa al caso non venga fornita nella lingua dell’accusato?

 
  
 

Il Consiglio, quando adotta qualsiasi misura, ha la responsabilità di garantirne la compatibilità con le norme internazionali in materia di diritti umani, fra cui quelle riguardanti l’equità dei processi. In vari atti recenti nel campo della cooperazione giudiziaria in materia civile e penale, il Consiglio ha assicurato che la documentazione procedurale venga redatta o tradotta in una lingua che la persona interessata possa comprendere.

Tuttavia, non spetta al Consiglio esprimersi in merito alla conduzione di singoli procedimenti negli Stati membri.

 

Interrogazione n. 43 dell'on. Proinsias De Rossa (H-0043/03)
 Oggetto: Regolamento relativo alla sospensione dei dazi doganali applicabili alle importazioni di armi
 

Perché il consiglio ECOFIN ha adottato il 21 gennaio senza discussione il regolamento che sospende temporaneamente i dazi doganali applicabili su talune armi, proposto dalla Commissione europea nel 1988(1), quando questo era stato oggetto di discussione a livello di Consiglio? Quali elementi della proposta originale sono stati modificati e per quale ragione?

 
  
 

Il regolamento che sospende i dazi doganali applicabili a talune armi e attrezzature ad uso militare è stato formalmente adottato dal Consiglio il 1o gennaio 2003 dopo che in dicembre era stato raggiunto un accordo politico in seno al Comitato dei rappresentanti permanenti. Come l’onorevole parlamentare pone in evidenza, la proposta della Commissione era stata presentata nel 1988, ma solo nel secondo semestre dell’anno scorso, sotto la Presidenza danese, sono stati compiuti sforzi per giungere a una conclusione definitiva e positiva della questione.

Per quanto riguarda gli elementi modificati rispetto alla proposta iniziale, si richiama in particolare l’attenzione dell’onorevole parlamentare sui prodotti che rientrano nel campo d’applicazione del regolamento. Nella proposta del 1988 era previsto di concedere una sospensione tariffaria ai prodotti contenuti in un elenco di codici NC a otto cifre.

Tale elenco è stato modificato in un elenco di codici NC a quattro cifre e al contempo è stato stabilito con chiarezza da quale autorità nazionale le merci devono essere importate e che queste possono essere utilizzate dalle forze militari di uno Stato membro o per conto di dette forze. Tutte le modifiche sono state introdotte per chiarire il più possibile l’ambito dei prodotti e le condizioni alle quali esse rientrerebbero nel campo d’applicazione del regolamento.

 
 

(1) GU C 265, 12.10.1988, p.9.

 

Interrogazione n. 44 dell'on. Rodi Kratsa-Tsagaropoulou (H-0053/03)
 Oggetto: Processo di Barcellona
 

Tra le priorità della Presidenza greca figura la promozione della partnership euromediterranea. Può il Consiglio dire quali azioni concrete intende assumere per potenziare e promuovere tale processo?

Intende esso assumere iniziative in merito al neocostituito "meccanismo mediterraneo di investimenti e cooperazione" e in che modo intende fornirlo dell'opportuna struttura in grado di rafforzare l'attività di investimento nell'area del Mediterraneo?

Riguardo agli eccezionali ritardi nella realizzazione del primo programma regionale per la partecipazione delle donne alla vita economica e sociale e allo sviluppo (deciso dalla Presidenza belga nel 2001) intende esso assumere iniziative concrete ai fini della sua promozione?

 
  
 

1. Il partenariato Euromed ha dimostrato la sua capacità di ripresa e ha consentito ai partecipanti di impegnarsi in un dialogo aperto su tutte le questioni di comune interesse. La Presidenza greca ha manifestato l’intenzione di attribuire una particolare priorità all’attuazione del piano d’azione di Valencia, adottato dalla Conferenza euromediterranea dei ministri degli Esteri svoltasi a Valencia il 22 e 23 aprile 2002, che ha consentito di rinnovare l’impegno reciproco allo scopo di approfondire il partenariato euromediterraneo. Il piano d’azione adottato dalla Conferenza ha impresso slancio politico al processo e ha lo scopo di contribuire in misura sostanziale al perseguimento degli obiettivi della dichiarazione di Barcellona rafforzando il senso di appartenenza al partenariato. Nel campo del dialogo tra le diverse culture è stato adottato un programma d’azione ed è stata concordato il principio della creazione di una fondazione euromediterranea. Inoltre, nel corso di quest’anno sarà attuato il programma di cooperazione regionale nel settore della giustizia, nella lotta contro la droga, la criminalità organizzata e il terrorismo nonché nel trattamento di questioni relative all’integrazione sociale dei migranti, alla migrazione e alla circolazione delle persone adottato a Valencia.

2. Per quanto riguarda l’assistenza finanziaria, ha iniziato ad operare il nuovo fondo per gli investimenti e il partenariato euromediterranei istituito nell’ambito della BEI per promuovere gli investimenti nelle infrastrutture e nel settore privato, proposto il 18 ottobre 2002 a Barcellona. A un anno di distanza dall’istituzione di tale fondo verrà valutata la possibilità di creare una filiale della BEI per le operazioni nei paesi partner del Mediterraneo, nella quale la BEI detenga una partecipazione di maggioranza.

3. Durante la Presidenza greca, la Conferenza euromediterranea intermedia dei ministri degli Esteri che si terrà a Creta il 26 e 27 maggio 2003 offrirà l’opportunità di valutare i progressi compiuti nell’attuazione del piano d’azione di Valencia e di imprimere nuovo slancio all’attività del partenariato nel periodo che precede la valutazione che verrà effettuata in occasione della riunione ministeriale in programma a Napoli nel dicembre 2003, alla quale parteciperanno anche gli 8 paesi candidati che non sono ancora membri del Processo di Barcellona e offrirà la possibilità di tenere discussioni politiche sul modo in cui il partenariato euromediterraneo potrà essere rafforzato dopo l’allargamento. La terza Conferenza ministeriale sull’energia, che si svolgerà ad Atene il 20 e 21 maggio, definirà il quadro per un nuovo piano d’azione euromediterraneo nel settore dell’energia. Inoltre, la Presidenza greca favorirà l’istituzione di un’assemblea parlamentare euromediterranea.

4. A livello bilaterale, le relazioni tra i partner mediterranei e l’Unione europea hanno compiuto considerevoli passi avanti. Durante la Presidenza greca, il 1o marzo entrerà in vigore l’accordo interinale tra la Comunità e il Libano e si terranno due riunioni negoziali con la Siria. Il 24 febbraio si è svolta una riunione del Consiglio di associazione con il Marocco e per giugno è prevista una riunione ministeriale con l’Egitto e una riunione a livello di troika con l’Algeria. Si tratta di sviluppi importanti per il conseguimento degli obiettivi della dichiarazione di Barcellona nonché per il rafforzamento della cooperazione sud-sud nella regione mediterranea.

5. Per quanto riguarda il miglioramento delle opportunità per le donne nella vita economica, il relativo programma è incluso nell’elenco delle iniziative da avviare nel periodo 2002-2004 nell’ambito della cooperazione regionale MEDA. A seguito delle informazioni fornite dall’ufficio EuropeAid della Commissione, nel corso del 2004 sarà avviato il programma regionale che si concentrerà sull’accesso e sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro nonché sulla promozione del ruolo delle donne nell’attività imprenditoriale. La Commissione ha comunicato che le procedure necessarie per la scelta dei consulenti cui sarà affidata la responsabilità del programma saranno completate nella prima metà del 2003.

 

Interrogazione n. 45 dell'on. John Walls Cushnahan (H-0057/03)
 Oggetto: Merci contraffatte provenienti dai paesi candidati all'adesione
 

E' stato recentemente reso noto che la Commissione ha proposto nuove normative volte ad affrontare il problema del crescente volume di merci contraffatte che entrano illegalmente nell'Unione europea. La salute e la sicurezza dei cittadini europei sono a rischio, in particolare a causa delle contraffazioni nel campo dei farmaci, dei pezzi di ricambio per automobili e dei cosmetici. Dal momento che è stato riconosciuto che tali merci contraffatte provengono principalmente dall'Europa orientale, compresi alcuni dei paesi candidati all'adesione, quali misure intende adottare il Consiglio per affrontare il problema di merci contraffatte potenzialmente pericolose provenienti dai paesi candidati all'adesione, e quali azioni intende intraprendere contro quei paesi candidati all'adesione che non applicano le misure necessarie?

 
  
 

Il Consiglio sottolinea che già nel periodo di preadesione, nel contesto degli organi istituiti dagli Accordi europei conclusi con i paesi candidati e sulla base delle disposizioni previste in detti accordi, la questione della tutela dei diritti intellettuali, industriali e di proprietà commerciale è stata costantemente affrontata dall’Unione europea con i paesi candidati.

Con l’adesione all’Unione europea, i paesi candidati si assumono tutti gli obblighi derivanti dai Trattati. Come sottolineato dal Consiglio europeo di Copenaghen, il monitoraggio degli impegni assunti fino all’adesione fornirà ulteriori orientamenti agli Stati aderenti nei loro sforzi per assumere le responsabilità derivanti dall’adesione e darà le necessarie assicurazioni agli attuali Stati membri. Il Consiglio continuerà a seguire da vicino tali questioni, in particolare sulla base delle relazioni di controllo che la Commissione presenterà.

Se un nuovo Stato membro non ottemperasse ai suoi obblighi, ad esempio in relazione alla lotta contro la contraffazione, si applicherebbero le procedure d’infrazione previste dai Trattati. Inoltre, per rispondere rapidamente a sviluppi imprevisti che possono verificarsi durante i primi anni dall’adesione, sono state sancite nel Trattato e nell’Atto di adesione clausole di salvaguardia che prevedono misure per affrontare tali sviluppi in modo rapido ed efficace. Due specifiche clausole di salvaguardia riguardano il funzionamento del mercato interno, comprese tutte le politiche settoriali relative alle attività che hanno portata transnazionale nonché il settore della giustizia e degli affari interni.

Le clausole di salvaguardia in questione consentiranno all’Unione europea di adottare misure adeguate per affrontare i casi in cui i nuovi Stati membri non adempiano i loro obblighi e sono volte a garantire il corretto funzionamento del mercato interno e del settore della giustizia e degli affari interni, che è nell’interesse di tutti gli Stati membri attuali e futuri. Si tratta infatti di questioni di particolare interesse per i cittadini dell’Unione europea, in quanto riguardano settori quali la sicurezza alimentare, la sicurezza dei prodotti farmaceutici o la tratta di esseri umani.

 

Interrogazione n. 46 dell'on. Efstratios Korakas (H-0060/03)
 Oggetto: Avvio dell'anno dedicato ai disabili con un ingente dispiegamento di forze di polizia
 

Il 26 gennaio scorso, il comitato di coordinamento della lotta dei disabili ha organizzato una marcia di protesta contro la politica previdenziale del governo ellenico e dell'UE, rivendicando un'assistenza sanitaria e previdenziale uniforme, pubblica, gratuita e di qualità, un'assistenza per tutti, strutture pubbliche di sostegno ai disabili gravi, lavoro per i disabili in grado di lavorare e speciale istruzione pubblica. La marcia sarebbe dovuta passare dinanzi all'edificio nel quale la presidenza greca aveva organizzato la cerimonia ufficiale di avvio dell'anno dedicato ai disabili. Ciò non è stato comunque possibile perché i partecipanti alla marcia sono stati impediti da ingenti forze di polizia, armate di tutto punto, che avevano ricevuto ordini precisi dal governo ellenico.

Intende il Consiglio provvedere al soddisfacimento delle richieste dei disabili e precisare se questo assurdo faccia a faccia dei disabili con forze di polizia molto più numerose come pure il fatto di avere impedito il prosieguo di una marcia assolutamente pacifica si inseriscono nel quadro di una più generale politica in materia di manifestazioni pubbliche, specie durante il periodo in cui un determinato paese ha la presidenza di turno?

 
  
 

Il Consiglio rammenta all’onorevole parlamentare che, conformemente al Trattato, spetta a ciascuno Stato membro garantire il mantenimento dell’ordine pubblico sul proprio territorio.

Il Consiglio non ha pertanto la competenza necessaria per rispondere alla sua interrogazione. Inoltre, il Consiglio assicura all’onorevole parlamentare che, per quanto riguarda le manifestazioni menzionate, non è stata attuata alcuna strategia globale del tipo da lui descritto.

Il Consiglio sottolinea a questo proposito che la decisione di proclamare il 2003 “Anno europeo delle persone con disabilità” mira in particolare a promuovere l’applicazione dei principi di non discriminazione e di integrazione delle persone disabili. Il Consiglio ritiene che tale anno europeo debba servire da catalizzatore per sensibilizzare il pubblico e migliorare la comprensione da parte della società dei diritti, delle esigenze e del potenziale dei disabili.

 

Interrogazione n. 47 dell'on. Camilo Nogueira Román (H-0061/03)
 Oggetto: Conflitto tra la Commissione e il Consiglio in merito alle misure politiche e legislative in materia di trasporto marittimo di prodotti petroliferi e pericolosi
 

La Commissione intende applicare la legislazione Erika, riprendendo gli stessi testi che originariamente fissavano norme più rigorose al fine di garantire la sicurezza nei mari comunitari e inasprendo i testi già approvati dal Parlamento e dal Consiglio, insomma dando sostanzialmente seguito alle posizioni espresse dal collegio dei Commissari, che sollecitano una legislazione specifica dell'UE, analoga a quella introdotta dagli USA dopo l'incidente della Exxon Valdez in Alaska nel 1989. Il Consiglio invece, come dimostrano gli accordi del Consiglio "trasporti" con la partecipazione del primo ministro del governo spagnolo José María Aznar, respinge tali posizioni dato che intende mantenere la legislazione europea nel quadro dell'OMI, organizzazione in cui determinati Stati con interessi nel settore marittimo trovano terreno più favorevole per difendere l'attuale situazione, che consente il predominio delle compagnie petrolifere e del coacervo confuso di gruppi e mafie del trasporto internazionale. Riconosce il Consiglio che esistono posizioni contraddittorie tra gli Stati e la Commissione, a causa delle quali risulta ostacolata l'applicazione di una legislazione rigorosa e efficace per garantire la sicurezza marittima, la cui urgenza assoluta è dimostrata dalla catastrofe della Prestige al largo delle coste della Galizia? Quali iniziative intende il Consiglio adottare per risolvere un simile conflitto politico?

 
  
 

Il Consiglio rammenta all’onorevole parlamentare che, in occasione della seduta plenaria svoltasi nel dicembre 2002 a Strasburgo e del dibattito sulle questioni d’attualità, ha già avuto modo di presentare un quadro completo della sua posizione e delle sue intenzioni in materia di trasporto di prodotti pericolosi per via marittima e di valutare la situazione; sottolinea ancora una volta il contenuto delle conclusioni della Presidenza su questo punto a seguito del Consiglio europeo tenutosi a Copenaghen il 12 e 13 dicembre 2002 e delle conclusioni del Consiglio di dicembre 2002.

Il Consiglio conferma quanto ha già detto e invita l’onorevole parlamentare a rivolgersi direttamente alla Commissione per quanto riguarda la posizione assunta da quest’ultima sull’argomento.

Attualmente il Consiglio sta esaminando la proposta della Commissione relativa all’accelerazione del calendario di ritiro delle petroliere monoscafo e al divieto di ingresso nei porti degli Stati membri per le petroliere monoscafo che trasportano prodotti petroliferi pesanti. Tale proposta è stata presentata dalla Commissione il 27 dicembre 2002 in risposta a dette conclusioni del Consiglio.

Il Consiglio ritiene importante disporre di misure internazionali per rispondere al carattere internazionale del settore dei trasporti marittimi e assicurare a livello globale i massimi livelli possibili di sicurezza marittima e la tutela dell’ambiente. Per questo motivo, il Consiglio attribuisce considerevole importanza all’adozione anche a livello internazionale, attraverso l’OMI, di norme che rafforzino la sicurezza marittima. In quest’ottica, le conclusioni formulate dal Consiglio in risposta all’incidente della petroliera Prestige invitavano anche gli Stati membri e la Commissione a compiere ogni sforzo possibile per eliminare le navi monoscafo più vecchie che trasportano prodotti petroliferi pesanti mediante una modifica della Convenzione MARPOL ed esprimevano il suo sostegno alla definizione in sede di OMI di un codice dello Stato di bandiera e di un sistema modello di audit vincolante per assicurarsi che gli Stati di bandiera eseguano i loro compiti.

 

Interrogazione n. 48 dell'on. Hans-Peter Martin (H-0062/03)
 Oggetto: Statuto dei partiti politici europei
 

Sarà presentata tra breve una proposta di statuto dei partiti politici europei, in base alla quale per il finanziamento dei partiti dovrebbero essere stanziati sette milioni di euro per anno civile.

Ritiene il Consiglio che questa cifra sia congrua? Si attende degli aumenti della stessa una volta che lo statuto sarà stato approvato? In qual modo intende scongiurare aumenti arbitrarî a carico del contribuente europeo?

 
  
 

Il Consiglio rammenta all’onorevole parlamentare che, nel quadro della procedura di bilancio per l’esercizio 2003, l’autorità di bilancio ha iscritto a riserva nell’ambito della linea B-3-500 un importo di 7 milioni di euro.

Spetterà a tale autorità iscrivere l’importo ritenuto opportuno per questa linea nel quadro della procedura di bilancio per l’esercizio 2004.

Il 21 febbraio 2003 la Commissione ha trasmesso al Consiglio la sua nuova proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo allo status e al finanziamento dei partiti politici europei [COM(2003)77 def., adottato il 19 febbraio 2003], che è conforme alla nuova base giuridica derivante dall’entrata in vigore del Trattato di Nizza il 1o febbraio 2003.

 

Interrogazione n. 49 dell'on. Ioannis Patakis (H-0064/03)
 Oggetto: Messa al bando di taluni partiti in Turchia
 

La Turchia, che è paese candidato all'adesione all'Unione europea, è invitata, nel quadro del processo di adesione, a rispettare determinate procedure allo scopo di soddisfare i criteri di Copenaghen.

Come reagisce il Consiglio di fronte al fatto che in Turchia, oltre a numerose altre violazioni dei diritti democratici e dei diritti dell'uomo, continua a registrarsi la messa al bando costituzionale di qualsiasi partito nella cui denominazione figura il termine "comunista"? Inoltre, quali misure intende prendere il Consiglio al riguardo?

 
  
 

Le disposizioni della costituzione turca relative ai partiti politici non contengono alcun riferimento a una messa al bando dei partiti nella cui denominazione figura il termine “comunista”. Il Consiglio non è a conoscenza di un’attuale messa al bando o dissoluzione di un partito politico turco, o di una minaccia in tal senso, basata sulla presenza del termine “comunista” nella sua denominazione.

Nella riunione del Consiglio europeo di Copenaghen, l’Unione europea ha accolto con estrema soddisfazione le importanti iniziative intraprese dalla Turchia per soddisfare i criteri di Copenaghen, in particolare attraverso le recenti riforme legislative e le successive misure di attuazione. A questo proposito, si può sottolineare, tra l’altro, che l’articolo 101 modificato della legge sui partiti politici rende più difficile chiudere un partito politico.

L’Unione europea continua a seguire con attenzione la situazione in Turchia nel settore della libertà di opinione e di associazione. Nel contesto del processo di adesione e del dialogo politico, l’Unione esorta la Turchia a compiere ulteriori progressi verso la garanzia del pieno godimento delle libertà fondamentali senza alcuna discriminazione e a prescindere in particolare dalle opinioni politiche o dalle convinzioni filosofiche, come stabilito nel partenariato di adesione.

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INTERROGAZIONI ALLA COMMISSIONE
Interrogazione n. 61 dell'on. Enrico Ferri (H-0111/03)
 Oggetto: Richiesta di riconoscimento della compatibilità ambientale della "pesca del rossetto"
 

L'esercizio della cosiddetta "pesca del rossetto", nella zona afferente al Comune di Livorno, avviene al momento in deroga al regolamento (CE) 1626/94(1), deroga con termine previsto per il 31 dicembre 2003. Considerato che ricerche ufficiali del Ministero delle Politiche agricole e forestali italiano escludono che tale tipo di attività possa avere alcun impatto negativo sull'ambiente, la Commissione non ritiene di dover intervenire sulla questione e riconoscere tale tipo di pesca come attività consentita e compatibile con la legislazione comunitaria di riferimento? Visti gli ultimi orientamenti in materia di politica della pesca, ed una volta assodato che tale pesca ed il relativo strumento utilizzato, il cosiddetto "sciabichello", non pregiudichino in alcun modo la tutela dell'ambiente e di una specie marina particolare, non ritiene la Commissione di dover dichiarare tale attività legittima, considerando anche che l'incertezza e il precariato, dovuti alla proroga di una deroga già concessa, stanno arrecando danni alle imprese di pesca della zona di Livorno? Se non è a conoscenza di questo problema, la Commissione potrebbe assicurare al Parlamento che lo affronterà come questione urgente e che riferirà in seguito al Parlamento senza ritardi?

 
  
 

L'interrogazione riguarda la pesca al rossetto che viene praticata in diverse regioni del Mediterraneo con reti a sciabichetto nei bassifondi. Il comitato tecnico-scientifico della pesca ha esaminato i dati delle autorità nazionali, comprese quelle italiane, e ha pubblicato le sue conclusioni nella sua XII relazione trasmessa al Parlamento. Secondo tali conclusioni la pesca del rossetto non presenta alcun rischio per altre specie di pesci, può però danneggiare fondali marini sensibili.

La Commissione intende elaborare in futuro nuove norme per l'impiego di reti a strascico, alla luce della relazione scientifica citata e dopo avere consultato i gruppi d'interesse. A metà aprile la Commissione organizzerà un seminario per esaminare le misure necessarie con pescatori e scienziati.

 
 

(1) GU L 171 del 6.7.1994, pag.1.

 

Interrogazione n. 62 dell'on. Carlos Bautista Ojeda (H-0115/03)
 Oggetto: Studi di base per la proposta della PAC
 

Può indicare la Commissione su quali studi si sia basata per elaborare la parte della sua proposta sulla riforma intermedia della politica agricola comune relativa allo sganciamento degli aiuti diretti da quelli diversificati?

Può indicare altresì la Commissione se tali studi, dei quali sarà stata chiarita l’origine, siano stati regionalizzati in base ai territori o alle regioni produttrici dell’obiettivo 1?

Può indicare infine la Commissione se sia stata realizzata altresì una valutazione di impatto socioeconomico e ambientale nelle regioni interessate dalla riforma della PAC, e in concreto nelle regioni dell’obiettivo 1?

 
  
 

Le proposte della Commissione per la riforma della politica agricola comune relative allo sganciamento dei pagamenti e alla modulazione sono state elaborate sulla base di varie analisi interne.

Innanzi tutto, l’introduzione di un unico aiuto al reddito per azienda è stata oggetto di diverse analisi quantitative, effettuate utilizzando strumenti di modellazione interni, per valutarne l’effetto sui mercati e sul reddito agricoli per l’attuale Unione europea e per un’Unione allargata.

La proposta di modulazione e il suo impatto sul settore agricolo sono stati analizzati impiegando i modelli microeconomici basati sulla rete d’informazione contabile agricola della Direzione generale dell’agricoltura.

I risultati degli studi interni sono stati integrati da quattro studi esterni condotti da esperti indipendenti per verificare gli effetti delle proposte di revisione intermedia dal luglio 2002.

Anche se le analisi sono state effettuate a livello comunitario, nazionale o regionale (vale a dire a livello NUTS 2), nessuna di esse era intesa ad esaminare la questione specifica delle regioni dell’obiettivo 1.

Solo una di queste analisi settoriali ha valutato l’impatto delle proposte di riforma sull’ambiente (in particolare per quanto riguarda le emissioni di gas a effetto serra e gli eccessi di nitrati) a livello regionale.

 

Interrogazione n. 63 dell'on. Konstantinos Hatzidakis (H-0120/03)
 Oggetto: Indennizzo di agricoltori greci colpiti da catastrofi naturali
 

Negli ultimi anni la Grecia è stata colpita da ripetute catastrofi naturali. Gli agricoltori greci protestano per il ritardo nel versamento degli indennizzi. Allo stesso tempo, il governo versa anticipi dell’ordine del 50% provenienti da fondi del Quadro comunitario di sostegno per l’indennizzo degli agricoltori.

Può la Commissione far sapere a cosa sono dovuti tali ritardi, quali casi di autorizzazione di prestazione di aiuti statali sono pendenti presso i suoi servizi nonché quali sono i rischi connessi al pagamento di anticipi provenienti dal QCS, se ciò non è a conoscenza dei suoi servizi?

 
  
 

1. I ritardi nei pagamenti sono dovuti in parte al fatto che la Grecia vuole che taluni regimi di indennizzo degli agricoltori siano finanziati da due fonti, vale a dire gli aiuti di Stato e il cosiddetto “programma operativo nazionale – sviluppo rurale (2000-2006)” istituito nell’ambito del quadro comunitario di sostegno (QCS) per la Grecia e pertanto essi devono essere esaminati sulla base di due normative diverse.

Per quanto riguarda gli aiuti di Stato, il metodo di calcolo delle perdite utilizzato per determinare gli importi da versare agli agricoltori ha dovuto essere profondamente modificato per l’esame dei fascicoli greci, richiedendo non poco tempo, anche se va sottolineato che tutti i fascicoli sono stati trattati nel rispetto dei termini previsti dal regolamento (CE) n. 659/99 del Consiglio(1). Inoltre, per tutti i fascicoli esaminati, le modifiche apportate al metodo di calcolo menzionato in precedenza hanno reso necessaria una modifica del progetto di decisione interministeriale greca che costituisce la base giuridica del regime di indennizzo. Per ogni caso, la Commissione ha dovuto esaminare le nuove versioni delle decisioni interministeriali per verificare se le modifiche concordate con le autorità greche erano state correttamente trasposte. A seguito di tale controllo, le autorità greche sono state autorizzate a effettuare i pagamenti degli aiuti di Stato approvati. L’utilizzo dei fondi cofinanziati è stato oggetto di una decisione separata, come indicato al seguente punto 3.

2. Quanto ai fascicoli in sospeso, l’unico regime sul quale la Commissione deve ancora pronunciarsi è quello per l’indennizzo degli agricoltori greci colpiti dagli incendi del 2000.

3. In merito all’utilizzo dei fondi provenienti dal “programma operativo nazionale – sviluppo rurale (2000-2006)” istituto nell’ambito del terzo QCS per la Grecia, prima di versare gli anticipi le autorità greche avrebbero dovuto fornire informazioni su una modifica del programma che comprendeva una revisione delle tabelle finanziarie. E’ opportuno sottolineare che il programma è volto a sostenere lo sviluppo rurale del paese e che il trasferimento illimitato di fondi verso un regime di indennizzo rischia di andare a scapito di altre attività. Per il momento, è difficile determinare se il versamento di anticipi potrebbe avere conseguenze giuridiche, tenuto conto che la Commissione non è ancora stata pienamente informata sull’uso preciso cui tali fondi sono stati destinati, che avrebbe potuto essere la ricostruzione o la compensazione delle perdite di reddito. La Commissione potrà disporre di tali informazioni solo quando la revisione menzionata in precedenza sarà stata completata e le sarà stato comunicato il progetto di modifica del programma in questione.

 
 

(1) GU L 83 del 27.3.1999.

 

Interrogazione n. 64 dell'on. Konstantinos Alyssandrakis (H-0130/03)
 Oggetto: Indennizzi per i recenti danni subiti dalle infrastrutture in Grecia e misure di controllo dei progetti di costruzione
 

Il maltempo che recentemente ha colpito la Grecia ha distrutto gran parte della produzione agricola, causato ingenti danni alla fauna e alla flora del paese e messo in evidenza le carenze e i guasti delle infrastrutture specie quelle stradali.

Intende la Commissione contribuire all'indennizzo dei danni, avvalendosi delle attuali o di nuove risorse del bilancio comunitario, e adottare misure intese a garantire un controllo più efficace della qualità dei progetti e delle opere, in modo da dare agli abitanti di queste regioni le necessarie garanzie che, qualora dovessero verificarsi nuovamente analoghe condizioni climatiche, essi non saranno più vittime a causa di progetti carenti e opere malfatte?

 
  
 

1. La Commissione ha ricevuto una lettera del ministro dell’Economia e delle Finanze Christodoulakis indirizzata al Commissario responsabile per la politica regionale, datata 20 febbraio 2003, nella quale si annuncia l’intenzione delle autorità greche di presentare una richiesta di intervento da parte del Fondo di solidarietà dell’Unione europea; la Commissione non ha ricevuto informazioni o richieste riguardanti la distruzione della produzione agricola causata dalle avverse condizioni meteorologiche che hanno recentemente colpito la Grecia.

2. Sulla base dell’attuale quadro regolamentare, la Commissione desidera informare l’onorevole parlamentare che le sovvenzioni comunitarie che potrebbero essere necessarie per superare i problemi specifici delle zone rurali greche possono essere prelevate dagli stanziamenti totali del terzo quadro comunitario di sostegno (QCS) per la Grecia (2000-2006), compresa la sua riserva di programmazione. Occorre sottolineare che l’intervento del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG) sarà limitato al ripristino del potenziale produttivo e non potrà essere utilizzato per la compensazione delle perdite di reddito, per il cui finanziamento possono essere utilizzati aiuti di Stato a condizione che vengano notificati e approvati dalla Commissione.

In questo contesto, spetta alla Grecia presentare alla Commissione tali richieste basate su parametri obiettivi per sostenere adeguati progetti per il ripristino del potenziale produttivo e per assicurare la qualità delle opere di costruzione. Questa responsabilità ricade sullo Stato membro interessato.

3. Il QCS 2000-2006 per la Grecia prevede che le autorità greche istituiscano un adeguato regime di controllo della qualità degli studi e dell’esecuzione dei lavori, che dovrebbe consentire alle autorità di gestione dei programmi operativi di verificare la qualità degli studi, e contempla la concessione di assistenza finanziaria per aiutare i beneficiari finali ad accrescere la loro capacità di progettazione.

Le autorità greche hanno anche istituito ESPEL (l’organismo greco per il controllo della qualità), che dal 1998 controlla l’esecuzione dei progetti di costruzione per evitare opere di scarsa qualità e violazioni della normativa.

In ogni caso, spetta alle autorità greche assicurare che l’esecuzione di progetti cofinanziati dai Fondi strutturali comunitari sia di alta qualità e avvenga sulla base di studi adeguati, fra cui studi geotecnici per le opere stradali.

In caso di guasti delle infrastrutture stradali in condizioni meteorologiche estreme o di carenze di altri progetti cofinanziati con fondi comunitari, l’esatto motivo di guasti e carenze può essere definito sulla base di analisi che devono essere effettuate dalle autorità greche competenti.

La Commissione si manterrà in contatto con le autorità greche responsabili e sarà informata in merito ai risultati di tali analisi a fini di verifica.

 

Interrogazione n. 65 dell'on. José Manuel García-Margallo y Marfil (H-0121/03)
 Oggetto: Campagne di promozione di agrumi
 

La Commissione propone di creare, nel quadro del capitolo “Sviluppo rurale”, una nuova linea di aiuti per la promozione dei prodotti agricoli destinata ai produttori che già partecipano a regimi di qualità nazionali o comunitari (come denominazioni di origine). La Commissione intende abolire, allo stesso tempo, l'attuale regolamento (CE) 2826/2000(1) relativo ad azioni d'informazione e di promozione dei prodotti agricoli sul mercato interno, benché le misure da esso coperte siano totalmente di altra natura rispetto a quelle che verrebbero finanziate mediante lo Sviluppo rurale. Qualora tale proposta venisse accolta, scomparirebbero le campagne generali che stanno riscuotendo tanto successo in settori come quello degli agrumi, in cui viene data rilevanza alle qualità gustative e salutari di tali prodotti. Altresì, verrebbero esclusi dagli aiuti comunitari un gran numero di agricoltori che non dispongono di marchi di qualità, marchi di agricoltura ecologica o altro tipo di certificazione. Gli aiuti sarebbero canalizzati unicamente attraverso associazioni, per cui rimarrebbero escluse le organizzazioni interprofessionali nonostante l'importante ruolo agglutinante svolto dalle stesse. Può la Commissione dire come intende risolvere tale problema? Può essa dire come intende finanziare tale nuova misura tenendo altresì presente che non si disporrà di mezzi supplementari per lo Sviluppo rurale fino al 2006?

 
  
 

La Commissione ringrazia l’onorevole parlamentare per aver sollevato la questione riguardante la proposta contenuta nel pacchetto di riforma della politica agricola comune (PAC) di introdurre una nuova misura per la promozione dei prodotti alimentari di qualità nell’attuale serie di misure ammissibili al sostegno nel quadro del secondo pilastro. In relazione all’introduzione di questa nuova misura, la Commissione propone di abolire dal 1o gennaio 2005 il regolamento (CE) n. 2826/2000 relativo ad azioni d’informazione e di promozione dei prodotti agricoli sul mercato interno(2).

La Commissione ha proposto l’abolizione di detto regolamento per evitare la possibilità di sovrapposizioni o doppioni tra i due strumenti. La Commissione ritiene altresì opportuno e coerente concentrare il sostegno a favore della promozione sul mercato interno sui prodotti di qualità come indicato nella proposta di modifica del regolamento (CE) n. 1257/1999(3), tenuto conto che concentrare l’attenzione sulla qualità dei prodotti alimentari per rispondere in modo più adeguato alle esigenze dei consumatori è uno dei temi alla base delle proposte di riforma della PAC nel suo complesso.

Pur essendo vero che il campo di applicazione e i beneficiari dei due strumenti non possono in effetti essere identici, il Commissario responsabile per l’agricoltura non è d’accordo con l’onorevole parlamentare sul fatto che non vi sia possibilità di doppioni tra di essi. Ad esempio, le attività di promozione riguardanti i regimi comunitari relativi alle denominazioni d’origine protette, alle indicazioni geografiche protette, alle specialità tradizionali garantite e ai vini di qualità potrebbero, ad esempio, essere potenzialmente ammissibili nell’ambito di entrambi gli strumenti.

La proposta di abrogazione del regolamento (CE) n. 2826/2000 è già stata oggetto di discussione con gli Stati membri nell’ambito del gruppo di lavoro del Consiglio e sono state espresse molte riserve, in particolare per il motivo che, come l’onorevole parlamentare afferma a giusto titolo, a seguito dell’esito del Vertice di Bruxelles, non si disporrà di risorse finanziarie supplementari per il secondo pilastro fino al 2007.

Nel quadro della proposta della Commissione, la promozione generica non sarà abolita, ma d’ora in poi sarà concentrata sulle attività nei mercati dei paesi terzi in cui la Comunità si deve confrontare con una forte concorrenza da parte di altri esportatori in tutte le categorie di qualità. Le organizzazioni interprofessionali continueranno a poter beneficiare di tali misure.

 
 

(1) GU L 328 del 23.12.2000, pag. 2.
(2) Regolamento (CE) n. 2826/2000 del Consiglio, del 19 dicembre 2002, relativo ad azioni d’informazione e di promozione dei prodotti agricoli sul mercato interno, GU L 328 del 23.12.2000.
(3) Regolamento (CE) n. 1257/1999 del Consiglio, del 17 maggio 1999, sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG) e che modifica ed abroga taluni regolamenti, GU L 160 del 26.6.1999.

 

Interrogazione n. 66 dell'on. Linda McAvan (H-0122/03)
 Oggetto: Moria di delfini dovuta a catture accidentali
 

Può la Commissione delineare i suoi progetti immediati per ridurre la moria di delfini dovuta a catture accidentali e assumere un impegno sui tempi entro i quali tali progetti dovranno essere tradotti in realtà? Dispone la Commissione di una strategia di lungo termine per affrontare tale questione?

 
  
 

Ai sensi della direttiva “Habitat”, gli Stati membri devono adottare misure adeguate per prevenire le catture accidentali di delfini.

La Commissione ha pertanto deciso di affrontare il problema delle catture accidentali di delfini nell’ambito della politica comune della pesca e sta elaborando una proposta di regolamento che istituisca misure per controllare e prevenire le catture accidentali di mammiferi marini.

A tal fine, la Commissione ha richiesto agli esperti del Consiglio internazionale per l'esplorazione del mare (CIEM) di elaborare una relazione e ha consultato il Comitato scientifico, tecnico ed economico per la pesca e il Comitato consultivo per la pesca e l’acquacoltura.

Sulla base del documento e delle consultazioni menzionate, la Commissione presenterà le seguenti proposte:

imposizione di limitazioni alla lunghezza delle reti da posta derivanti utilizzate nel Mar Baltico;

uso da parte dei pescatori di attrezzature acustiche in connessione con talune reti da posta;

presenza di osservatori a bordo dei pescherecci da traino in talune zone di pesca in cui il rischio di catture accidentali è elevato.

La Commissione condivide inoltre i pareri degli scienziati che chiedono l’elaborazione di una strategia a lungo termine per lottare contro le catture accidentali. A tale scopo, occorre fissare valori limite per le catture accidentali di mammiferi marini e adottare misure ad hoc qualora tali limiti vengano superati. Per il momento, tuttavia, mancano dati importanti che sono fondamentali per tale strategia.

Tali informazioni saranno raccolte con l’ausilio degli osservatori menzionati in precedenza.

 

Interrogazione n. 67 dell'on. John Walls Cushnahan (H-0123/03)
 Oggetto: Relazione Harbinson e PAC
 

In una recente dichiarazione il Commissario Fischler ha qualificato dinanzi all'OMC la relazione Harbinson sull'agricoltura come "squilibrata", in quanto prevede una riforma minima delle sovvenzioni all'esportazione e favorisce l'agricoltura statunitense. Se la Commissione non riesce a sfruttare le scappatoie esistenti nell'attuale relazione Harbinson, come l'eventuale uso della "clausola de minimis" per abolire le sovvenzioni agricole annue all'agricoltura americana che raggiungono fino a 7,5 miliardi di dollari, non ritiene la Commissione iniquo procedere con la proposta riforma della PAC?

 
  
 

La Comunità non è l’unica a ritenere che la clausola de minimis non può continuare ad essere accettata in quanto fornisce agli Stati Uniti il mezzo per aumentare indebitamente le sue sovvenzioni che provocano distorsioni commerciali. La Comunità inoltre non è neppure la sola a rifiutare che vengano ulteriormente ridotte solo le sovvenzioni dirette all’esportazione senza discipline equivalenti per le altre forme di sostegno all’esportazione quali i crediti all’esportazione e l’uso abusivo degli aiuti alimentari per eliminare le eccedenze. La Commissione ha chiarito con vigore questi punti a Stuart Harbinson e a tutti i membri dell’Organizzazione mondiale del commercio.

Per quanto riguarda la riforma della politica agricola comune, le proposte formulate dalla Commissione sono interamente dettate da interessi comunitari interni, che richiedono un rafforzamento del modello agricolo europeo per rispondere in modo più adeguato alle preoccupazioni della società e migliorare le prospettive di reddito degli agricoltori comunitari nonché la loro posizione agli occhi dell’opinione pubblica. La Commissione continuerà a portare avanti questa riforma, nel migliore interesse degli agricoltori europei.

 

Interrogazione n. 68 dell'on. Proinsias De Rossa (H-0128/03)
 Oggetto: Agricoltura biologica in Irlanda
 

Se la Commissione ritiene che dal 1998 l'agricoltura biologica abbia registrato un incremento annuo pari al 30%, uno studio effettuato da EUROSTAT e pubblicato il 17 febbraio dimostra che le cifre relative a tale agricoltura sono alquanto ridotte, dato che è praticata da meno del 2% degli agricoltori. Reputa la Commissione che il ridotto livello della pratica agricola biologica sia in parte dovuto a una formazione inadeguata? Intende affrontare la questione nella comunicazione relativa a un piano d'azione comunitario per l'agricoltura biologica, da presentarsi nel corso di quest'anno?

 
  
 

L’agricoltura biologica è un settore in rapida crescita. In molti Stati membri rappresenta infatti uno dei settori agricoli che, in netto contrasto con molti altri settori, continua ad espandersi e a tale sviluppo ha senza dubbio contribuito l’esistenza di un quadro normativo comunitario in materia(1).

Come l’onorevole parlamentare sottolinea a giusto titolo, tuttavia, il settore è in termini assoluti ancora relativamente piccolo. Mentre una media del 2 per cento degli agricoltori comunitari utilizza metodi di coltivazione biologici, la superficie in acri coltivata copre più del 3 per cento della superficie agricola. Esistono tuttavia considerevoli differenze tra gli Stati membri. In Austria l’agricoltura biologica è praticata dal 9 per cento degli agricoltori su oltre l’11 per cento della superficie misurata in acri. In Finlandia tali cifre hanno superato il 5 e il 7 per cento. Infine, in Grecia e in Irlanda, l’agricoltura biologica è praticata da meno dell’1 per cento degli agricoltori e su un’analoga percentuale di terreni. Resta pertanto ancora molto da fare e una maggiore e più adeguata formazione potrà costituire un fattore fondamentale per l’ulteriore sviluppo del settore dell’agricoltura biologica, com’è stato riconosciuto nel documento di lavoro della Commissione sulle possibilità di un piano d’azione europeo per un’alimentazione e un’agricoltura biologiche, che è stato discusso in seno al Consiglio nel dicembre 2002 ed ora è stato pubblicato sul sito Internet della Commissione per poter conoscere il parere della società civile in generale. Sulla base delle informazioni pervenute mediante la consultazione on line, e a seguito delle discussioni con gli Stati membri e altre parti interessate, la Commissione elaborerà le proposte per il suo piano d’azione europeo finale.

Già ora gli Stati membri hanno la possibilità di sostenere servizi di consulenza per gli agricoltori biologici e per gli agricoltori tradizionali che valutano la possibilità di convertirsi all’agricoltura biologica. Il cofinanziamento di misure del genere è già disponibile nel quadro dello sviluppo rurale(2).

Per concludere, va sottolineato che sulla base dell’esperienza acquisita risulta evidente come il successo dello sviluppo dell’agricoltura biologica dipenda da molti fattori. La formazione costituisce un elemento importante, ma ve ne sono anche molti altri che devono essere presi in considerazione contemporaneamente per ottenere la massima sinergia tra i vari sforzi compiuti in settori distinti.

 
 

(1) Regolamento (CEE) n. 2092/91 del Consiglio.
(2) Regolamento (CE) n. 1257/1999 del Consiglio.

 

Interrogazione n. 69 dell'on. Rosa Miguélez Ramos (H-0132/03)
 Oggetto: Fermo biologico nella zona di pesca del Gran Sol
 

Tra luglio e ottobre entrerà in vigore, per la flotta spagnola, nella zona di pesca del Gran Sol, un fermo biologico di 45 giorni inteso ad aumentare le popolazioni di merluzzo.

Il settore della pesca è consapevole del fatto che è opportuno introdurre misure tecniche come il fermo in questione per preservare le risorse dinanzi all'approccio "demolitore" della Commissione, emerso ancora una volta con il primo bilancio rettificativo che tale istituzione ha di recente presentato, e che è inteso a destinare alla demolizione di navi altri 32 milioni di euro, precedentemente destinati a sostenere il settore della pesca comunitario.

Considerato che tale fermo biologico è chiaramente necessario, e che un fermo biologico parziale, valido solo per la flotta spagnola, avrebbe effetti molto limitati, quali misure intende prendere la Commissione perché anche le flotte di Francia, Irlanda e Regno Unito, che pescano anch'esse il merluzzo, osservino allo stesso modo il fermo?

 
  
 

La comunità autonoma spagnola delle Asturie ha presentato alla Commissione una richiesta di sospensione temporanea dell’attività di pesca del nasello e attualmente la Commissione la sta esaminando.

Si tratta di un’iniziativa volontariamente intrapresa dalle autorità spagnole e pertanto non è possibile imporre obbligatoriamente una misura del genere ad altri Stati membri. L’unico modo possibile per sancire una norma applicabile allo stesso modo a tutti gli Stati membri è, in ultima analisi, l’adozione di un piano di recupero per il nasello.

La Commissione aveva presentato un piano del genere al Parlamento e al Consiglio già nel dicembre 2001, tuttavia il Consiglio non è riuscito a raggiungere un accordo in merito e ha chiesto invece alla Commissione di presentare un nuovo piano. Attualmente la Commissione è impegnata nell’elaborazione di questo nuovo piano e lo presenterà al Parlamento e al Consiglio nell’aprile 2003.

 

Interrogazione n. 70 dell'on. Camilo Nogueira Román (H-0069/03)
 Oggetto: Decisioni della Commissione per l'estrazione della nafta ancora presente nella Prestige
 

Che decisioni intende assumere la Commissione per garantire l’estrazione di tutta la nafta ancora contenuta nel Prestige? Quali relazioni ha avviato in tal senso con le autorità spagnole?

 
  
 

L’onorevole parlamentare è invitato a far riferimento alla sua precedente interrogazione scritta E-3595/02.

Il 5 marzo 2003 la Commissione ha approvato una relazione riguardante le azioni passate, presenti e future intraprese a livello comunitario per porre rimedio alle conseguenze del disastro della petroliera Prestige e per evitare che in futuro si ripetano incidenti analoghi. Tale relazione sarà presentata al Consiglio europeo nella riunione del 21 marzo 2003.

Infine, attualmente la Commissione sta esaminando la richiesta di assistenza finanziaria trasmessa dalle autorità spagnole e ha chiesto alla Spagna ulteriori informazioni.

 

Interrogazione n. 71 dell'on. David Robert Bowe (H-0074/03)
 Oggetto: Falun Gong
 

Il governo di Hong Kong ha annunciato sostanziali concessioni nell'attuazione delle controverse leggi antisommossa (Articolo 23) in seguito alla preoccupazione diffusa del pubblico per un'eventuale limitazione dei diritti fondamentali sul territorio.

Ciò premesso, quali misure intende la Commissione adottare per monitorare gli sviluppi a Hong Kong e garantire che le restrizioni alla libertà di religione e credo in Cina divengano un punto ricorrente all'ordine del giorno del dialogo UE-Cina sui diritti umani?

 
  
 

Il rispetto della libertà di espressione, di associazione e di culto costituisce uno dei temi centrali del dialogo tra l’Unione europea e la Cina sui diritti umani. Tale questione è stata nuovamente sollevata nel corso dell’ultima sessione di dialogo svoltasi ad Atene il 5 e 6 marzo 2003.

La Commissione riconosce la delicatezza politica della proposta legislativa basata sull’articolo 23 della Legge fondamentale presentata dal governo della Regione amministrativa speciale di Hong Kong (RAS) al consiglio legislativo il 14 febbraio 2003. Si tratta della più importante proposta legislativa dal momento del passaggio di Hong Kong sotto la sovranità cinese.

La Commissione accoglie con favore il fatto che durante il periodo di consultazione un numero record di risposte abbia riguardato aspetti importanti quali la libertà di stampa, il meccanismo di prescrizione e la definizione di pubblicazioni sediziose.

La Commissione spera che il governo della RAS di Hong Kong mantenga la sua promessa di tener conto di ulteriori osservazioni della società civile nel corso della procedura legislativa in seno al parlamento, in modo che il progetto di legge possa essere ulteriormente migliorato.

Il principio “un paese, due sistemi” continua a funzionare ragionevolmente bene e Hong Kong ha mantenuto lo Stato di diritto, il rispetto dei diritti umani, le libertà civili e una società libera e aperta.

La Commissione sostiene vivamente la risoluzione del Parlamento del 19 dicembre 2002 che invita il governo della Regione amministrativa speciale di Hong Kong a garantire che l’articolo 23 non venga utilizzato, inter alia, per mettere un bavaglio all’opposizione, limitare la libertà di parola e di stampa e la libertà di associazione.

La Commissione seguirà da vicino gli ulteriori sviluppi della situazione per quanto riguarda quest’importante argomento, con particolare attenzione per gli eventuali effetti della futura legislazione per i diritti umani e le libertà civili.

La Commissione continuerà a esercitare pressioni sulle autorità cinesi al fine di ottenere un miglioramento del rispetto della libertà di espressione, di associazione e di culto per tutti i gruppi della popolazione cinese compresi i praticanti del Falun Gong.

 

Interrogazione n. 72 dell'on. Cecilia Malmström (H-0075/03)
 Oggetto: Carenza di funzionari svedesi nell'amministrazione dell'UE
 

Nel 1995, al momento dell'adesione della Svezia all'UE, un certo numero di posti dirigenziali della Commissione era stato destinato agli svedesi. Da allora purtroppo molti svedesi hanno cessato le loro funzioni presso la Commissione, per cui attualmente vi sono un solo direttore generale e cinque direttori di nazionalità svedese. Dei 25.000 dipendenti della Commissione soltanto 556 sono svedesi, ovvero il 2,7%, e a quanto pare la Commissione non si è adoperata per porre rimedio a questo squilibrio. A cinque anni dall'ultimo concorso organizzato dalla Commissione per gli svedesi, è ormai praticamente impossibile per uno svedese essere assunto presso questa istituzione.

Ciò premesso, quali misure intende la Commissione adottare per aumentare la quota di funzionari di nazionalità svedese nella sua amministrazione?

 
  
 

Introduzione

L’articolo 27, paragrafo 1, dello Statuto del personale stabilisce che “le assunzioni debbono assicurare all’istituzione la collaborazione di funzionari dotati delle più alte qualità di competenza, rendimento e integrità, assunti secondo una base geografica quanto più ampia possibile tra i cittadini degli Stati membri delle Comunità”. Il paragrafo 3 dello stesso articolo limita il potere discrezionale della Commissione nel senso che “nessun impiego deve essere riservato ai cittadini di un determinato Stato membro”.

Adesione di Austria, Finlandia e Svezia nel 1995

Come nei precedenti allargamenti, venne concordata una deroga temporanea alle disposizioni dell’articolo 27 mediante il regolamento (CE) n. 626/95 del Consiglio, del 20 marzo 1995 che, istituendo misure particolari e temporanee, consentiva l’assunzione di cittadini austriaci, finlandesi e svedesi fino al 31 dicembre 1999.

Per garantire una rappresentanza equa ed equilibrata dei nuovi Stati membri nel personale della Commissione, la comunicazione della Commissione(1) del 19 luglio 1994 fissò obiettivi di assunzione per i tre nuovi Stati membri. Per la Svezia, furono assegnati 400-500 posti per personale non linguistico e 157 posti per personale linguistico (per un totale di 551-657 posti).

Durante il periodo di deroga (1995-1999) furono organizzati speciali concorsi riservati ai paesi candidati all’adesione.

Situazione attuale

La Commissione non ha “25 000” dipendenti. Dei 21 125 funzionari della Commissione (compreso il personale di ricerca e i funzionari in aspettativa per motivi personali), 630 sono svedesi. Il personale proveniente dalla Svezia rappresenta il 2,9 per cento del numero totale di funzionari della Commissione e il 3,5 per cento del personale complessivo di grado A della Commissione. (Come l’onorevole parlamentare saprà, la popolazione della Svezia costituisce il 2,36 per cento di quella totale dell’Unione europea). Questo non rappresenta obiettivamente uno “squilibrio” sfavorevole.

Al 1o gennaio 2003 vi erano 18 343 funzionari in attività di servizio ai sensi dell’articolo 35, lettera a), o comandati presso l’ufficio di un Commissario (articolo 37, lettera a)), di cui 514 sono funzionari svedesi.

A 1o gennaio 2003 vi erano 567 funzionari in aspettativa per motivi personali ai sensi dell’articolo 35, lettera c), di cui 68 sono funzionari svedesi.

Al 1o gennaio 2003 vi erano 141 funzionari comandati (articolo 37), di cui 5 sono funzionari svedesi.

A livello di quadri superiori vi SONO un direttore generale (grado A1) e sei funzionari di grado A2 di nazionalità svedese, uno dei quali è un consigliere principale. A livello di quadri intermedi (gradi A3/LA3) vi sono 20 funzionari, 5 dei quali sono consiglieri di nazionalità svedese. Vi sono altri 14 dirigenti intermedi a livello A4/LA4 di nazionalità svedese.

La Commissione controlla continuamente l’equilibrio geografico complessivo e l’argomento viene periodicamente affrontato a vari livelli nel corso di riunioni bilaterali tra rappresentanti dei governi degli Stati membri, fra cui la Svezia, e la Commissione.

Sebbene, in conformità dello Statuto dei funzionari, la Commissione si sforzi di mantenere nel suo personale un equilibrio di merito e geografico, l’Istituzione non ha e non intende cercare di ottenere il potere di inibire la libertà dei funzionari di lasciare la Commissione se lo desiderano. Va anche riconosciuto che, come tutte le Istituzioni, la capacità della Commissione di assumere e di mantenere personale proveniente dagli Stati membri dipende in larga misura dalla disponibilità dei cittadini degli Stati membri di cercare lavoro nella pubblica amministrazione dell’Unione europea e di continuare a svolgere tale lavoro.

Il parere espresso dall’onorevole parlamentare secondo cui “è impossibile per uno svedese essere assunto presso la Commissione” è difficile da sostenere alla luce delle statistiche fornite in precedenza e tenuto conto del fatto che dal 2000 sono stati organizzati più di 20 concorsi aperti in tutte le categorie e per un’ampia varietà di profili per consentire ai cittadini svedesi, nonché ai cittadini degli altri Stati membri, di entrare a far parte della Commissione. Inoltre, la validità degli elenchi con i nominativi di candidati prescelti compilati nel periodo di transizione verso l’allargamento era stata prorogata fino al 30 giugno 2002 per offrire a tutti i candidati in possesso dei requisiti richiesti la massima possibilità di trovare un posto in una delle Istituzioni.

 
 

(1) SEC (1994) 1249 def.

 

Interrogazione n. 73 dell'on. Mary Elizabeth Banotti (H-0077/03)
 Oggetto: Privatizzazione dei servizi idrici in Africa
 

La Commissione riconosce la necessità di sviluppare una gestione corretta delle risorse idriche in Africa e di realizzare maggiori investimenti, per porre fine allo spreco di acqua per filtrazione da serbatoi e sistemi di raccolta mal conservati o in stato di abbandono. Quali provvedimenti intende la Commissione attuare al fine di proteggere le comunità più povere dell’Africa, che non potranno permettersi di pagare un’acqua sicura e pulita per i loro bisogni primari? Infine come pensa di difendere tali comunità dal pericolo che l’acqua diventi semplicemente una merce, da vendere al miglior offerente?

 
  
 

La comunicazione della Commissione del 12 marzo 2002 sulla gestione delle risorse idriche nella politica dei paesi in via di sviluppo e le priorità della cooperazione allo sviluppo dell’UE(1) stabilisce che occorre dare priorità all’obiettivo di “garantire a tutti gli esseri umani, in particolare i più poveri, una quantità sufficiente di acqua potabile e di buona qualità e mezzi adeguati per lo smaltimento dei rifiuti, con l’obiettivo generale di ridurre la povertà e migliorare lo stato di salute e la qualità di vita delle popolazioni”.

Inoltre, la comunicazione afferma che è importante determinare il prezzo dei servizi idrici in modo da garantire la sostenibilità finanziaria e soddisfare le esigenze di base dei poveri e delle categorie vulnerabili elaborando strutture tariffarie e sistemi di raccolta adeguati e favorisce la promozione di partenariati tra pubblico e privato, assicurandosi che essi restino equi e trasparenti, consentano una scelta libera e reversibile della gestione dei servizi idrici, salvaguardino gli interessi dei consumatori e degli investitori e mantengano elevati livelli di protezione ambientale.

Per quanto riguarda la riforma delle imprese pubbliche in Africa, da alcuni anni i paesi in via di sviluppo subiscono insistenti pressioni, principalmente da parte delle istituzioni di Bretton Woods, volte a ottenere la privatizzazione delle loro imprese afflitte da gravi perdite e inefficienza economica. Pur riconoscendo che le imprese pubbliche africane, soprattutto nel settore idrico, spesso forniscono un servizio inadeguato e di scarsa qualità solo a una parte della popolazione urbana, cresce la consapevolezza che, prima di decidere di adottare una particolare soluzione, quale la privatizzazione, occorre esaminare con obiettività tutte le opzioni per scegliere quella più adeguata. Attualmente la Commissione sta elaborando una comunicazione su quest’importante argomento, incentrata sulla necessità di esaminare senza preconcetti le questioni della riforma delle imprese pubbliche per definire adeguati quadri normativi e istituire meccanismi di controllo per garantire la tutela dell’interesse pubblico.

 
 

(1) COM(2002) 132 del 12.3.2002.

 

Interrogazione n. 74 dell'on. Marialiese Flemming (H-0079/03)
 Oggetto: Avvelenamento di cani e gatti randagi in Grecia
 

Pochi giorni prima dell’assunzione da parte della Grecia della Presidenza del Consiglio, il 30.12.2002, ad Atene si è verificato l’ultimo avvelenamento di massa di cani e gatti randagi. Un episodio simile era già accaduto nel periodo immediatamente precedente la scorsa Presidenza greca del Consiglio.

Il 30.01.2003, l’organizzazione non governativa CIDAG (Coalition in Defense of Animals in Greece), ha fatto pervenire all’ambasciata greca a Bruxelles una petizione recante 47.000 firme che chiedeva di fare luce su questa inaccettabile situazione e porvi fine al più presto.

Intende la Commissione avviare un’indagine urgente per scoprire chi sia il mandante di tali azioni criminali e adoperarsi per porvi rimedio con urgenza eventualmente in collaborazione con la Presidenza greca del Consiglio?

 
  
 

La Commissione invita l’onorevole parlamentare a far riferimento alla sua risposta all’interrogazione scritta E-0177/03 dell’onorevole Papayannakis(1).

 
 

(1) GU C.

 

Interrogazione n. 75 dell'on. Nuala Ahern (H-0081/03)
 Oggetto: Contenitori di scorie altamente radioattive
 

Secondo quanto affermato durante la mostra ufficiale di divulgazione aperta al pubblico – denominata “Sparking Reaction” e ideata dall’autorevole Museo britannico delle Scienze presso il sito di produzione e riprocessamento delle scorie nucleari di Sellafield, gestito dalla BNFL nella Cumbria occidentale, sulla costa nordoccidentale inglese, i contenitori delle scorie altamente radioattive provenienti dal riprocessamento “rappresentano una delle concentrazioni di materiale radioattivo ad alto tempo di decadimento più pericolose del mondo e sono pertanto un obiettivo primario nel mirino dei terroristi. Un attacco a tali contenitori, simile a quello avvenuto a New York, potrebbe avere conseguenze estremamente gravi per gran parte del Regno Unito e dell’Irlanda."

Alla luce di quanto ammesso sul fatto che questo sito militare industriale potrebbe avere conseguenze devastanti per l’ambiente e la salute del vicino Stato membro, l’Irlanda, la Commissione ha intenzione di inviare con urgenza un gruppo di ispettori sulla sicurezza nucleare a Sellafield al fine valutare l’eventuale rischio rappresentato da tale impianto?

 
  
 

La responsabilità dei contenitori di scorie altamente radioattive cui si fa riferimento nell’interrogazione e, soprattutto in considerazione di un eventuale attacco terroristico, della loro sicurezza spetta al gestore dell’impianto sotto il controllo dell’autorità nazionale di regolamentazione nel settore nucleare.

In questo contesto, e per quanto riguarda la specifica questione sollevata, si invita l’onorevole parlamentare a far riferimento alla relazione(1) del Nuclear Installations Inspectorate (NII – ispettorato degli impianti nucleari) del Regno Unito del febbraio 2000 sulla sicurezza dello stoccaggio di residui liquidi altamente radioattivi a Sellafield. Inoltre, nella sua relazione annuale del 2002 relativa alla sicurezza nucleare civile, l’Office for Civil Nuclear Security (ufficio per la sicurezza nucleare civile britannico), che fa capo al ministero del Commercio e dell’Industria, ha incluso una sezione(2) riguardante le implicazioni degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001.

 
 

(1) Disponibile su Internet all’indirizzo http://www.hse.gov.uk/nsd/bnfl.pdf.
(2) Pagina 11.

 

Interrogazione n. 76 dell'on. Seán Ó Neachtain (H-0083/03)
 Oggetto: Sostegno UE per le forniture idriche pubbliche di Connemara (Rep. d'Irlanda)
 

Può la Commissione confermare che è in procinto di esaminare una proposta relativa al sostegno UE per il progetto relativo alle forniture idriche pubbliche di Connemara, nell'ovest dell'Irlanda e, in caso affermativo, può indicare qual è la presente situazione di tale progetto?

 
  
 

Gli importi stanziati nel quadro del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) per sostenere progetti relativi alle forniture idriche pubbliche nella zona di Connemara sono resi disponibili mediante il programma operativo per la regione frontaliera, le Midlands e la regione occidentale, nel quale è prevista una misura riguardante l’approvvigionamento idrico nelle zone rurali che fissa gli obiettivi strategici generali per l’attuazione dei progetti. Per quanto riguarda la selezione e l’approvazione dei progetti da finanziare, le decisioni sono decentrate agli organi di attuazione a livello locale a meno che il costo del progetto superi 50 milioni di euro, nel qual caso il progetto è soggetto a un’analisi del rapporto costi-benefici e la decisione in merito al livello degli aiuti è demandata alla Commissione. Nel caso delle forniture idriche pubbliche i progetti sono tutti di portata limitata (costo ammissibile inferiore a 50 milioni di euro) e l’adozione delle relative decisioni resta a livello locale. Alla Commissione non è stata pertanto presentata alcuna richiesta in relazione al progetto specifico di Connemara. L’autorità responsabile della gestione del programma operativo menzionato in precedenza è il Border, Midland and Western Regional Assembly, Ballaghaderreen, Contea di Roscommon (Direttore: Gerry Finn – tel.: 353 0 90762970).

 

Interrogazione n. 77 dell'on. Sylviane H. Ainardi (H-0085/03)
 Oggetto: Bandiere di comodo
 

Nella sua risoluzione concernente il disastro della petroliera Prestige, approvata il 19/12/02, il Parlamento ha chiesto "la messa la bando delle bandiere di comodo nelle acque territoriali dell'Unione europea". Può dire la Commissione quali misure intende adottare per dare un seguito immediato a tale raccomandazione del Parlamento europeo?

 
  
 

La comunicazione sul rafforzamento della sicurezza marittima adottata il 3 dicembre 2002 illustra in modo dettagliato le misure proposte dalla Commissione.

Per quanto riguarda le bandiere di comodo e le navi pericolose che navigano nelle acque territoriali dell’Unione europea, la Commissione ha deciso di pubblicare una “lista nera” indicativa delle navi che sarebbero state bandite dai porti europei se le disposizioni del pacchetto Erika I fossero già state in vigore nel periodo considerato. Mediante tale pubblicazione si intende inviare un messaggio di avvertimento alle parti interessate (armatori e Stati di bandiera) affinché adottino le misure necessarie per porre rimedio alle carenze constatate prima dell’effettiva entrata in vigore delle nuove disposizioni della direttiva relativa al controllo da parte dello Stato di approdo.

Come richiesto dal Parlamento, tuttavia, la Commissione ritiene necessario adottare forti misure di sicurezza marittima a livello internazionale riguardanti le bandiere cosiddette di comodo, in particolare tramite norme di navigazione più rigorose nonché il rafforzamento del controllo degli Stati di bandiera. Su quest’ultimo punto, la Commissione collabora all’istituzione, nell’ambito dell’Organizzazione marittima internazionale (OMI), di una procedura di audit delle funzioni afferenti agli Stati di bandiera.

Infine, l’Unione europea deve intraprendere l’iniziativa di proporre una revisione della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, per far sì che gli Stati costieri possano tutelarsi in modo più adeguato, anche nella zona economica esclusiva delle 200 miglia, dai rischi legati al passaggio delle navi che rappresentano un pericolo per l’ambiente e che non rispettano le norme di sicurezza.

 

Interrogazione n. 78 dell'on. Neil MacCormick (H-0088/03)
 Oggetto: Discriminazione nei confronti dei lettori di lingue straniere
 

Ritiene la Commissione che una risposta di due righe a un’interrogazione di un deputato del Parlamento europeo, in cui viene semplicemente ripetuta la domanda dell’interrogante (H-0796/02(1)), sia adeguata?

Questa sembra essere una forma di oltraggio nei confronti del Parlamento. Potrebbe il Presidente rispondere a tale comportamento oltraggioso da parte della Commissione?

 
  
 

Nella sua risposta all’interrogazione orale H-0796/02 presentata dall’onorevole parlamentare nell’ambito del Tempo delle interrogazioni della seduta plenaria del Parlamento del dicembre 2002, la Commissione ha fatto riferimento alla sua decisione del 16 ottobre 2002 sul principio di emettere un parere motivato.

La risposta italiana alla lettera di notifica formale chiariva che, pur essendo state intraprese alcune iniziative per conformarsi alla sentenza della Corte, erano necessari ulteriori chiarimenti e spiegazioni per completare il processo di elaborazione del parere motivato. L’onorevole parlamentare è stato di conseguenza informato di tale decisione.

La risposta all’interrogazione H-0796/02 dev’essere vista anche alla luce del fatto che già durante il Tempo delle interrogazioni della seduta plenaria del Parlamento del maggio 2002 la Commissione aveva risposto alla precedente interrogazione orale (H-0302/02) dell’onorevole parlamentare in modo dettagliato riguardo alle azioni che stava intraprendendo, o avrebbe intrapreso in futuro, per far sì che l’Italia si conformasse alla sentenza pronunciata dalla Corte di giustizia nella causa C-212/99.

La risposta all’interrogazione H-0796/02 può essere sembrata troppo breve, ma era sostanzialmente corretta, e ha fornito all’onorevole parlamentare un preciso aggiornamento delle azioni intraprese dalla Commissione nel tempo intercorso dalla risposta alla precedente interrogazione.

 
 

(1) Risposta scritta del 17.12.2002.

 

Interrogazione n. 79 dell'on. Samuli Pohjamo (H-0092/03)
 Oggetto: Attività legislativa per una classificazione delle navi in base ai loro dispositivi contro il ghiaccio
 

Quest'inverno nel mar Baltico, e in special modo nel golfo di Finlandia, si sono verificate condizioni di ghiaccio particolarmente difficili. Data la pressione esercitata dai banchi di ghiaccio sulle navi, senza l'aiuto dei rompighiaccio la navigazione è stata in genere estremamente difficoltosa.

Nel golfo di Finlandia circolano anche navi assai mal equipaggiate contro il ghiaccio. Destano particolare preoccupazione le petroliere in provenienza dal porto russo di Primorsk, alcune delle quali non dispongono di sufficienti rinforzi contro il ghiaccio, mentre altre sono rinforzate a prua ma non lungo le fiancate.

Si prevede che il trasporto di greggio dal porto di Primorsk raddoppi nei prossimi anni. I russi stanno inoltre progettando due terminali di oleodotti all'estremità del golfo di Finlandia.

Se nel golfo di Finlandia si verificasse un disastro petrolifero, rimediarvi sarebbe molto più difficile di quanto non lo sia ad esempio in Spagna, per via della conformazione ad arcipelago della zona e della fragilità dell'ambiente naturale. Inoltre, in molti paesi della costa i dispositivi per arginare un eventuale inquinamento da idrocarburi sono inadeguati. A parte la Finlandia, gli altri paesi non dispongono di attrezzature operative in caso di ghiaccio.

Può la Commissione far sapere in che modo intende favorire l'introduzione, in tutta l'area del Baltico, di efficaci criteri di classificazione delle navi in base ai loro dispositivi contro il ghiaccio ? Cosa farà la Commissione affinché nella regione del Baltico vi siano sufficienti attrezzature per la bonifica dell'inquinamento da idrocarburi che siano operative in ogni condizione climatica? A che punto si trova la legislazione in proposito?

 
  
 

Nel quadro delle misure già adottate dall’Unione europea per evitare il verificarsi di incidenti di petroliere (pacchetto legislativo Erika II), la direttiva sul controllo del traffico marittimo si applica alle navi che transitano al largo delle coste comunitarie. La direttiva prevede l’istituzione di un sistema di notifiche che riguarda anche le navi che non fanno scalo nei porti comunitari e permette inoltre alle autorità competenti di impedire la partenza di navi in condizioni meteorologiche sfavorevoli.

A seguito dell’entrata in vigore della direttiva, agli Stati membri saranno forniti maggiori poteri per intervenire in caso di minaccia di incidente o di inquinamento.

D’altro canto, la direttiva ha definito misure di cooperazione volte a rafforzare il monitoraggio delle navi nelle acque dell’Unione europea. A tale scopo, potrebbero essere previste eventuali proposte di miglioramento dei dispositivi di circolazione delle navi nel Mar Baltico e la loro adozione potrebbe essere sostenuta dall’Organizzazione marittima internazionale.

Inoltre, nel quadro dell’accordo che lega l’Unione europea alla Russia, sono stati stabiliti contatti con le autorità russe allo scopo di garantire il rispetto delle misure previste dall’Unione per rendere sicuro il trasporto di idrocarburi per via marittima, e in particolare per impedire il trasporto di oli carburanti pesanti mediante petroliere monoscafo.

Va tuttavia ricordato che sul piano giuridico l’Unione europea non dispone di competenze per regolamentare il passaggio in acque internazionali di navi che trasportano carichi potenzialmente pericolosi, anche se tale passaggio è in prossimità delle coste degli Stati membri e se avviene nelle condizioni di ghiaccio generalmente presenti durante l’inverno nel Mar Baltico.

Per questo motivo, l’Unione europea deve intraprendere l’iniziativa di proporre una revisione della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, per far sì che gli Stati costieri possano proteggersi in modo più adeguato, compreso nella zona economica esclusiva delle 200 miglia, dai rischi legati al passaggio delle navi che rappresentano un pericolo per l’ambiente e non rispettano le norme di sicurezza.

Inoltre, in caso di incidenti, gli Stati membri e i paesi candidati possono attivare il meccanismo comunitario per favorire una cooperazione rafforzata negli interventi di assistenza della protezione civile. In questo modo, qualsiasi paese colpito può avere accesso immediato, attraverso il centro di risposta europeo, a tutte le attrezzature specializzate disponibili in Europa.

Per quanto riguarda le azioni intraprese per contrastare l’inquinamento marino nel Mar Baltico, la Commissione segue con attenzione i lavori svolti nel quadro della convenzione di Helsinki dalla commissione di Helsinki (Helcom).

Infine, l’iniziativa comunitaria INTERREG cofinanzia un programma di cooperazione transnazionale tra gli 11 paesi che si affacciano sul Mar Baltico. Fra le attività che possono essere finanziate sono comprese le azioni di sicurezza marittima e di tutela dell’ambiente. La dotazione finanziaria del programma è di 190 milioni di euro fino alla fine del 2006.

 

Interrogazione n. 80 dell'on. Catherine Stihler (H-0093/03)
 Oggetto: Interventi oculistici con l'impiego del laser
 

Ogni anno nell'Unione europea centinaia di migliaia di pazienti si sottopongono ad interventi oculistici con l'impiego del laser. Sebbene questa nuova tecnica sia stata annunciata come la soluzione che avrebbe soppiantato lenti a contatto e occhiali, uno studio pubblicato questa settimana dall'Associazione britannica dei consumatori mostra chiaramente che i medici sottovalutano gli effetti collaterali risultanti dall'intervento chirurgico. Tali complicazioni si rivelano molto gravi dato che i pazienti sono per lo più ignari dei rischi cui vanno incontro. Lo studio evidenzia la carente formazione dei chirurghi, che nella maggior parte dei casi non dura che alcuni giorni, e i fatti dimostrano che alcuni pazienti che si sottopongono a tali interventi non sono informati del fatto che dovranno continuare a portare occhiali.

Sa la Commissione se esiste una banca dati che mostri esattamente quanti pazienti si sono sottoposti a questo tipo di interventi e con quale percentuale di successo? Come può la nostra legislazione sulla protezione dei consumatori aiutare le vittime di interventi non riusciti? Quali azioni propone la Commissione di intraprendere per tutelare i cittadini dell'Unione?

 
  
 

Il Trattato stabilisce che l’azione comunitaria nel settore della sanità pubblica rispetta le competenze degli Stati membri in materia di organizzazione e finanziamento di servizi sanitari e assistenza medica. Spetta principalmente agli Stati membri garantire la tutela dei pazienti contro gli errori medici.

Il programma d’azione comunitario nel campo della sanità pubblica potrebbe fornire un quadro per uno scambio di informazioni tra Stati membri sulle prassi attualmente seguite per assicurare la qualità nei servizi sanitari.

Nel contesto della strategia della politica dei consumatori 2002-2006(1), la Commissione ha sottolineato la necessità di fornire ai consumatori dati accurati sulla sicurezza dei servizi, in modo da consentire loro di decidere in modo consapevole. Attualmente, tuttavia, tali dati non vengono raccolti in modo sistematico. La Commissione non è a conoscenza dell’esistenza di una banca dati che indichi il numero di cittadini che si sottopongono a interventi oculistici con l’impiego del laser e la percentuale di successo di questo tipo di intervento medico. Non è previsto l’obbligo di riferire alla Commissione in merito agli incidenti che si verificano in questo settore.

La mancanza di dati sulle lesioni e di una valutazione dei rischi sarà discussa più in generale nella prossima relazione della Commissione sulla sicurezza dei servizi destinati ai consumatori conformemente alla richiesta del Parlamento e del Consiglio riportata all’articolo 20 della revisione della direttiva 2001/95/CE relativa alla sicurezza generale dei prodotti(2).

In assenza di una normativa comunitaria in materia di responsabilità civile dei fornitori di servizi, il risarcimento dei danni subiti in seguito a interventi non riusciti è assicurato dai regimi nazionali di responsabilità civile in vigore negli Stati membri.

 
 

(1) GU C 137 dell’8.6.2002.
(2) GU L 11 del 15.1.2002.

 

Interrogazione n. 81 dell'on. Erik Meijer (H-0094/03)
 Oggetto: Posizione della Commissione su una relazione di un vicedirettore generale offensiva per il Parlamento
 

Da quando è nota alla Commissione la relazione "L'attualità del pensiero di Robert Schuman nell'ambito della Convenzione sul futuro dell'Europa" presentata, nell'agosto 2002, dal vicedirettore generale, Gómez-Reino, al Miami European Union Center?

Quali passi intende compiere la Commissione per correggere l'impressione sollevata da Gómez-Reino in ordine alla caduta della Commissione Santer nel marzo 1999 sostenendo che "le accuse di frode e corruzione erano del tutto sleali oltre che sproporzionate ed in gran parte addirittura inesistenti" (pag. 14 della relazione)?

Come intende reagire la Commissione per rettificare presso il pubblico l'opinione sostenuta da questa personalità, considerata autorevole, che con le sue asserzioni getta il discredito sul Parlamento europeo, e per far sì che negli Stati Uniti si abbia dell'Unione europea un'immagine che non travisi la realtà?

 
  
 

Come l’onorevole parlamentare sa, la relazione intitolata “L'attualità del pensiero di Robert Schuman nell'ambito della Convenzione sul futuro dell'Europa” è stata pubblicata nell’agosto del 2002.

Il completamento di una borsa di studio in qualità di ricercatore nell’ambito di una Cattedra Jean Monnet comporta necessariamente la pubblicazione di documenti. L’accettazione della borsa di studio implica la presentazione e la pubblicazione dei risultati dei lavori di ricerca svolti in relazione a detta borsa di studio.

La Commissione è del parere che appare estremamente esiguo il rischio che l’asserzione dell’autore cui l’onorevole parlamentare fa riferimento possa essere considerata attinente all’attività effettiva della Commissione, in quanto l’articolo contenuto nella rivista accademica è stato scritto da un funzionario che attualmente non svolge mansioni direttive ed è rivolto agli specialisti che leggono la collana di pubblicazioni dedicate a temi inerenti a Jean Monnet/Robert Schuman dell’Università di Miami.

In queste circostanze, non sembra ragionevole pensare che si dovesse concedere l’autorizzazione prevista dall’articolo 17.

 

Interrogazione n. 82 dell'on. Antonios Trakatellis (H-0097/03)
 Oggetto: Applicazione di un modello matematico nell'aggiudicazione di opere pubbliche
 

In un articolo pubblicato da un autorevole quotidiano greco è riportata una rappresentazione grafica da cui risulta che, nel settore edile delle opere pubbliche, si è venuta a creare una situazione di quasi-monopolio a seguito dell'applicazione di un modello matematico per la scelta del responsabile dei lavori. Considerato che le autorità dell'Unione europea avevano condiviso, nel 1996, l'idea dell'allora ministro dell'Ambiente, dell'Assetto territoriale e dei Lavori pubblici di applicare il modello in questione, che è valido solo in Grecia, intende la Commissione riesaminare detto modello? Inoltre, quali misure intende prendere per quanto riguarda le denunce presentate in relazione al suo mancato rispetto?

 
  
 

La Commissione desidera informare l’onorevole parlamentare di aver scritto alle autorità greche in più occasioni tra il 1994 e il 1996, invitandole ad adottare misure volte a risolvere il problema, grave all’epoca, del gran numero di offerte anormalmente basse esistenti nel quadro dell’aggiudicazione di appalti pubblici e dei contratti irrealistici che ne derivavano. Per porre rimedio a tale situazione, che costituiva un problema per il finanziamento comunitario dei progetti, la Grecia ha adottato il modello matematico attualmente in uso. All’epoca, la Commissione era stata informata dalle autorità greche della loro intenzione di procedere a una riforma legislativa che avrebbe introdotto l’applicazione di un sistema basato su una formula matematica per individuare le offerte anormalmente basse in occasione dell’aggiudicazione di opere pubbliche. La Commissione non è stata tuttavia formalmente consultata sul contenuto dei relativi testi legislativi.

Del resto, la Grecia non è l’unico Stato membro che applica un modello matematico per individuare le offerte anormalmente basse nel quadro dell’aggiudicazione di appalti pubblici, in quanto tale modello è utilizzato anche, tra gli altri, in Italia e in Spagna. Dal canto suo, la Corte di giustizia ha emesso una sentenza sullo stesso argomento nell’ambito di due casi di cui era stata investita(1). Dalla sentenza pronunciata dalla Corte risulta che l’utilizzo di un criterio matematico per individuare le offerte anormalmente basse non costituisce di per sé una violazione del diritto comunitario. La specificità del sistema greco potrebbe tuttavia creare alcuni problemi di conformità alla normativa comunitaria e alla giurisprudenza della Corte di giustizia.

Per chiarire la situazione e far seguito alle relative denunce, la Commissione ha inviato una lettera alle autorità greche chiedendo loro di presentare le loro osservazioni in merito al modo in cui esse applicano il criterio matematico per individuare le offerte anormalmente basse. Tenuto conto che le autorità greche hanno appena risposto alla lettera, la Commissione sta esaminando la risposta per decidere il seguito da dare al caso in esame.

 
 

(1) Cause C-285/99 e C-286/99.

 

Interrogazione n. 83 dell'on. Lennart Sacrédeus (H-0098/03)
 Oggetto: Aiuti di Stato e perdita di posti di lavoro in Svezia
 

Grazie all'erogazione di aiuti di Stato da parte del Regno Unito per un importo pari a 200 milioni di corone svedesi (circa 20 milioni di euro), la Ford ha deciso di impiantare la fabbricazione di un secondo motore a sei cilindri nel Galles invece che a Skövde in Svezia, sebbene tale motore sia stato sviluppato proprio a Skövde, città ubicata nel polo automobilistico della regione di Västra Götaland.

Un altro aiuto di Stato di circa 100 milioni di corone (approssimativamente 10 milioni di euro) è stato concesso ad un altro fabbricante di automobili a Valencia. Anche questo contributo ha comportato la perdita di posti di lavoro a Skövde.

L'opinione pubblica svedese e i lavoratori colpiti dell'impianto automobilistico di Skövde sono indignati per il modo in cui gli aiuti di Stato erogati da altri Stati membri consentono di spostare posti di lavoro all'interno dell'UE.

Ritiene la Commissione che, in generale e nei due casi in questione, gli aiuti di Stato comportino distorsioni della concorrenza e che sia pertanto necessario inasprire la normativa? Quali misure adotta la Commissione per impedire che nell'Unione l'erogazione di aiuti di Stato si traduca nella delocalizzazione di posti di lavoro da uno Stato membro all'altro e quali misure pensa di prendere in relazione ai due casi in parola?

 
 

Interrogazione n. 87 dell'on. Jonas Sjöstedt (H-0108/03)
 Oggetto: Ford investe nella sua fabbrica di motori nel Galles
 

La stampa svedese ha riferito che il contributo dell’UE, pari a circa 200 milioni di corone svedesi, all’investimento della Ford in una fabbrica di motori nel Galles ha fatto sì che il motore di sei cilindri messo a punto dalla Volvo anziché in Skövde, Svezia, sarà fabbricato nel Galles. Se la Ford avesse investito nella fabbrica di Skövde, dove i costi salariali sono del 10% inferiori a quelli del Galles, non avrebbe ricevuto alcun aiuto strutturale dall’UE.

I contribuenti dell’UE, tra cui gli svedesi, parteciperanno pertanto all’operazione pagando affinché le grandi imprese, a tutto loro vantaggio, delocalizzino i posti di lavoro e i centri di produzione da un paese all’altro. Con l’ampliamento dell’Unione si corre altresì il rischio di vedere dette grandi imprese trasferire i centri di produzione in Stati membri dove il livello di formazione è alquanto elevato ma, per contro, i costi salariali sono soltanto un sesto di quelli registrati, per esempio, in Svezia.

È la Commissione conscia di siffatti rischi? Quali provvedimenti ventila essa per evitarne le conseguenze?

 
  
 

La Commissione viene regolarmente interpellata sulla coerenza della politica di concorrenza in occasione di operazioni di delocalizzazione di stabilimenti di produzione all’interno dell’Unione europea. La Commissione desidera sottolineare che le delocalizzazioni sono innanzi tutto il risultato di decisioni adottate a livello dell’impresa allo scopo di migliorarne la competitività, mediante la riduzione dei oneri che gravano su di essa (costi salariali, spese di trasporto, costo delle materie prime, imposizione fiscale) o una razionalizzazione dei propri strumenti di produzione. Le decisioni riguardanti il luogo di destinazione di un nuovo investimento possono quindi essere influenzate da numerosi fattori e non unicamente, né principalmente, dalla possibilità di disporre di finanziamenti pubblici per la realizzazione di nuovi investimenti. In ogni caso, qualsiasi sostegno pubblico di questo genere, sia esso concesso a livello nazionale o comunitario, deve rispettare la normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato.

Il principio di base delle regole applicabili agli aiuti di Stato è la loro incompatibilità con il mercato interno. E’ tuttavia possibile derogare a tale principio, a condizione che l’incidenza sugli scambi e la distorsione della concorrenza che derivano dalla concessione di aiuti di Stato siano compensate da un adeguato contributo allo sviluppo di una regione svantaggiata.

Per questo motivo, uno degli obiettivi della politica di coesione, nonché lo scopo principale degli aiuti a finalità regionale, è fornire un livello adeguato di incentivi necessari per lo sviluppo della regione assistita. Per quanto riguarda il controllo degli aiuti di Stato, questa politica si traduce in pratica in un sistema di massimali del livello di aiuto in funzione della gravità e dall’urgenza dei vari problemi regionali.

La Commissione tiene conto dei possibili problemi di delocalizzazione nell’applicazione delle regole comunitarie in materia di aiuti di Stato in modo da garantire che gli effetti negativi degli aiuti sulle condizioni di concorrenza siano compensati da effetti positivi, soprattutto in termini di coesione. Quando ha adottato gli orientamenti in materia di aiuti di Stato a finalità regionale, la Commissione ha pertanto proceduto a una riduzione generale delle intensità di aiuto autorizzate al fine di diminuire le possibilità di una gara tra le regioni e limitare gli aiuti allo stretto necessario. Al contempo, la concessione di aiuti regionali è stata più strettamente legata a condizioni relative al mantenimento nel tempo degli investimenti e dei posti creati nella regione interessata. Infine, i grandi progetti d’investimento sono soggetti a una disciplina ancor più rigorosa alla luce delle disposizioni definite nella recente comunicazione della Commissione sulla disciplina multisettoriale degli aiuti regionali destinati ai grandi progetti d’investimento(1).

In base a tali norme, l’intensità massima d’aiuto per gli aiuti regionali all’investimento a favore dell’industria automobilistica, concessi nell’ambito di un regime autorizzato a favore di progetti che comportano spese ammissibili superiori a 50 milioni di euro o aiuti superiori a 5 milioni di euro in equivalente sovvenzione lordo, sarà pari al 30 per cento del corrispondente massimale d’aiuto regionale.

Ne consegue che gli aiuti concessi a un produttore di motori in Galles dopo il 1o gennaio 2003 potrebbero raggiungere un’intensità massima del 10,5 per cento dei costi d’investimento, contro un’intensità d’aiuto del 35 per cento fino al dicembre 2002. In ogni caso, la Commissione contatterà le autorità britanniche per confermare che qualsiasi aiuto concesso a produttori di motori sia conforme alla normativa comunitaria in vigore.

Per quanto riguarda gli aiuti concessi a un produttore automobilistico di Valencia, in Spagna, nel maggio 2002, dopo un’approfondita indagine la Commissione ha approvato un importo di 11,11 milioni di euro di aiuti agli investimenti a favore di Ford España per il suo stabilimento di Almusafes (Valencia), con una riduzione del 30 per cento dell’importo inizialmente previsto dalle autorità spagnole. L’indagine della Commissione ha portato alla conclusione che gli aiuti approvati erano necessari per compensare gli svantaggi della regione di Valencia ed erano pertanto compatibili con il mercato comune.

Per quanto riguarda la possibilità di una delocalizzazione della produzione verso i paesi candidati a seguito della concessione di aiuti di Stato, la Commissione è sempre stata del parere che i paesi candidati possono essere considerati pronti per l’adesione solo se le loro imprese e autorità pubbliche si sono adeguate a una normativa in materia di concorrenza e di aiuti di Stato simile a quella comunitaria molto prima della data di adesione. Ai paesi candidati viene chiesto di conformarsi ai criteri dell’acquis comunitario in materia di aiuti di Stato già nel periodo di preadesione.

La Commissione ha invocato l’adozione di un approccio così rigoroso non solo per salvaguardare la disciplina del mercato interno dopo l’allargamento, ma anche per mantenere condizioni di parità di trattamento tra gli attuali Stati membri e quelli futuri nel mercato interno allargato. Tale approccio rigoroso si applica in particolare a una questione tanto delicata quale gli aiuti concessi al settore automobilistico. Viene ribadito pertanto il principio che in questo settore le intensità d’aiuto devono essere mantenute basse, a prescindere dal fatto che il beneficiario investa negli Stati membri attuali o in quelli futuri.

 
 

(1) GU C 70 del 19.3.2002.

 

Interrogazione n. 84 dell'on. Maurizio Turco (H-0103/03)
 Oggetto: Priorità della Presidenza Greca e efficacia delle Convenzioni internazionali sulla droga
 

Nel documento "Priorità della Presidenza Greca del 2003" si afferma: "Si dovrebbe riesaminare l'efficacia degli esistenti trattati internazionali sul controllo della produzione e del traffico di stupefacenti".

Considerato che la prima occasione per riesaminare tale efficacia e’ offerta dalla riunione della Commissione narcotici dell’ONU di Vienna dall’8 al 17 aprile prossimi, in che termini intende la Commissione contribuire al summenzionato obiettivo del Consiglio di riesame dell’efficacia dei trattati?

Intende la Commissione proporre agli Stati membri e al Consiglio un futuro appuntamento di esame e revisione delle Convenzioni internazionali, oppure già avanzare delle proposte di revisione per l’appuntamento di aprile? A che punto sono i lavori della Commissione al riguardo?

 
  
 

La Commissione ha preso atto del documento “Priorità della presidenza ellenica 2003” dal quale risulta che i trattati internazionali in vigore in materia di lotta alla droga dovrebbero essere rivisti. Attualmente la presidenza greca non ha proposto alcuna iniziativa a riguardo.

La riunione della Sezione ministeriale della Commissione delle Nazioni Unite in materia di sostanze stupefacenti, che si terrà a Vienna il 16 e 17 aprile 2003 avrà la finalità di valutare i progressi compiuti e le difficoltà incontrate nell’attuazione degli obiettivi e delle azioni approvate nel corso dell’Assemblea generale nel 1998. Alla Commissione risulta che il riesame delle convenzioni internazionali non figuri all’ordine del giorno della riunione dell’aprile 2003.

 

Interrogazione n. 85 dell'on. Benedetto Della Vedova (H-0105/03)
 Oggetto: Classificazione della cannabis nel diritto internazionale
 

La Convenzione delle Nazioni unite sulle droghe narcotiche del 1961 include la cannabis nella tabella I, assieme alle droghe più pericolose, come l’eroina, e nella tabella IV, che comprende le droghe della tabella I che sono ritenute avere limitate virtù terapeutiche ed effetti estremamente pericolosi. La convenzione delle Nazioni unite del 1988 contro il traffico illecito di droghe narcotiche considera il principale principio attivo della cannabis, il THC (tetraidrocannabinolo), come una sostanza psicotropa. La logica di queste classificazioni dà pertanto adito a serie perplessità: in sostanza, una pianta che contiene il 3 % di un principio attivo viene considerata con maggior severità che lo stesso principio attivo, in una concentrazione del 100 %.

Ritiene la Commissione che la classificazione della cannabis nella tabella I assieme all’eroina sia giustificata? La cannabis è altrettanto pericolosa dell’eroina? E’ giustificata l’inclusione della cannabis nella tabella IV? La cannabis non ha alcuna proprietà terapeutica? Deve la cannabis essere giudicata con maggiore severità che il suo principio attivo? Intende la Commissione proporre emendamenti al Consiglio ed agli Stati membri affinché il criterio di classificazione della cannabis nell’ambito delle convenzioni delle Nazioni Unite venga modificato?

 
  
 

Dal 1961, anno in cui fu approvata la prima Convenzione delle Nazioni Unite sui narcotici, denominata Convenzione Unica, si pone la questione della coerenza delle classificazioni. La canapa indiana si ritrova di fatto equiparata all’eroina. La difficoltà deriva dal fatto che il concetto di sostanza stupefacente non viene definito chiaramente nei testi; quindi, le classificazioni si fondano essenzialmente sulle proprietà curative di tali sostanze.

Il dibattito su una eventuale riclassificazione della canapa indiana è complesso. Pronunciarsi spetta alle parti della Convenzione. La Commissione non si trova nella posizione di intervenire in questo campo, considerato il suo statuto di ‘osservatore’ alla “commissione per gli stupefacenti” delle Nazioni Unite. Pertanto essa non può proporre emendamenti al riguardo. Quanto alla possibilità di una iniziativa del Consiglio volta a una riclassificazione della canapa indiana, la Commissione non intende al momento presentare alcuna proposta.

 

Interrogazione n. 86 dell'on. Gianfranco Dell'Alba (H-0107/03)
 Oggetto: Lotta alla droga, Convenzioni internazionali e pena di morte
 

Le Convenzioni dell'ONU sulla droga del 1961, 1971 e 1988 impongono la proibizione e la criminalizzazione di una serie di comportamenti collegati alla droga (coltivazione, produzione, esportazione ed importazione, consumo, vendita, etc). Numerosi Stati hanno, nel recepire tali Convenzioni, previsto la pena capitale per tali reati. Tra questi figurano, tra gli altri, Cina, Malesia, Vietnam, Singapore, Kuwait, Iran, Thailandia, Filippine e Indonesia.

Non ritiene la Commissione necessario nonché conforme con la posizione internazionale dell'Unione europea in tema di pena di morte, rivedere urgentemente tali Convenzioni internazionali al fine di proibire la pena capitale per i reati collegati alla droga? In caso affermativo, intende la Commissione sollevare tale problema ed avanzare una proposta di emendamento attraverso gli Stati membri dell'UE - tutti firmatari delle Convenzioni - in occasione della prossima riunione dell'ONU sulla droga prevista nell'aprile 2003 a Vienna?

 
  
 

La politica dell’Unione relativa all’abolizione della pena di morte è sostenuta attivamente dalla Commissione, insieme agli Stati membri, nelle relazioni con i paesi terzi in cui tale tipo di pena è ancora in vigore. L’Unione persegue orientamenti specifici in merito a tale azione.

La Commissione sostiene tale politica anche per mezzo di programmi di collaborazione, soprattutto con organizzazioni non governative (ONG), nell’ambito dell’Iniziativa europea per i diritti umani e la democrazia. La Commissione ha recentemente deciso di destinare circa 4,9 milioni di euro a progetti che sostengono l’abolizione della pena di morte.

La richiesta di emendare le convenzioni delle Nazioni Unite relative alla droga del 1961, 1971 o del 1988 non figura all’ordine del giorno della riunione della commissione per gli stupefacenti che avrà luogo a Vienna tra l’8 e il 17 aprile 2003. La Commissione da parte sua non è in grado di intervenire in questo campo, in quanto beneficia solamente dello status di osservatore presso la commissione per gli stupefacenti.

 

Interrogazione n. 88 dell'on. Robert J.E. Evans (H-0110/03)
 Oggetto: Scommesse e gioco d'azzardo nel mercato interno
 

A parere della Commissione in che misura il mercato interno si estende al settore delle scommesse e del gioco d’azzardo? Quali sono i progetti della Commissione per lo sviluppo di questo settore?

 
  
 

Le attività relative alle scommesse e al gioco d’azzardo comprendono aspetti legati alla libera circolazione delle merci e dei servizi. I giochi, le macchine da gioco e altri articoli analoghi sono prodotti ai quali si applicano gli articoli 28 e 30 del Trattato CE. Inoltre, le scommesse e il gioco d’azzardo possono essere considerati servizi se vengono forniti per scopo di lucro. Quando i servizi in questione sono servizi transnazionali, vale a dire vengono offerti in uno Stato membro diverso da quello in cui l’operatore ha la propria sede, rientrano nell’ambito dell’articolo 49 del Trattato CE.

La Commissione desidera sottolineare che gli Stati membri possono imporre alcune restrizioni alla fornitura transnazionale di servizi e alla libera circolazione di macchine da gioco nella Comunità per salvaguardare obiettivi di interesse generale quali la tutela dei consumatori o il mantenimento dell’ordine pubblico nella società. Conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee le restrizioni sono compatibili con il Trattato CE se sono non discriminatorie e se sono proporzionate a tali obiettivi.

Per quanto riguarda le nuove normative nazionali intese a regolamentare i servizi della società dell’informazione che assumono la forma di servizi di scommesse o di giochi d’azzardo o a regolamentare le macchine da gioco, esse devono essere notificate alla Commissione e agli Stati membri in conformità della direttiva 98/34/CE del 22 giugno 1998(1) modificata dalla direttiva 98/48/CE del 20 luglio 1998(2). La Commissione e gli Stati membri possono quindi intervenire se il progetto di normativa nazionale contiene elementi tali da poter creare problemi per il mercato interno.

 
 

(1) GU L 204 del 21.7.1998.
(2) GU L 217 del 5.8.1998.

 

Interrogazione n. 89 dell'on. Christos Folias (H-0114/03)
 Oggetto: Ufficio della Commissione a Salonicco
 

Gli sviluppi politici, economici e sociali registratisi nei paesi balcanici negli ultimi anni hanno creato nuove prospettive per l'UE ma anche per questi stessi paesi proprio perché alcuni di essi in futuro aderiranno alla famiglia europea. In tale contesto, la Grecia settentrionale riveste una particolare importanza per il ruolo protagonistico dell'Unione europea nei Balcani.

Per conseguire questo obiettivo uno strumento può essere anche quello di creare un ufficio di rappresentanza periferico della Commissione europea a Salonicco. Com'è noto, oltre che nelle capitali siffatti uffici esistono anche in altre città degli Stati membri.

Esiste la possibilità di creare un Ufficio di rappresentanza della Commissione europea a Salonicco? In caso affermativo, quale procedura devono seguire sia la Grecia sia la Commissione europea?

 
  
 

La creazione di uffici di rappresentanza regionali è un atto che spetta unicamente alla Commissione e può essere giustificato solo se i cittadini di una regione specifica hanno un’esigenza considerevole e chiaramente individuata di informazioni in merito a questioni europee e non esiste altro modo per soddisfare tale esigenza. Il decentramento dell’informazione consente di rispondere efficacemente a tale necessità fornendo dati di prima mano adeguati alle condizioni locali e tenendo conto della particolare situazione geografica e degli ampi poteri devoluti a determinate amministrazioni regionali.

La politica di creazione di uffici di rappresentanza regionali negli Stati membri è vincolata a limitazioni di carattere amministrativo e finanziario. Nel contesto dei preparativi amministrativi per l’allargamento nel 2004, è prioritaria l’apertura di nuovi uffici di rappresentanza in ciascuno dei futuri Stati membri. Le esigenze in termini di capacità amministrativa e di risorse finanziarie sono tali che per il momento non è possibile prevedere l’apertura di un ufficio di rappresentanza regionale a Salonicco.

Per quanto riguarda quest’ultimo punto in particolare, i centri d’informazione costituiscono un’alternativa agli uffici di rappresentanza regionali, com’è avvenuto proprio nel caso di Salonicco, dove nel 1999 è stato aperto un centro europeo di comunicazione, informazione e cultura, che successivamente è stato oggetto di un accordo concluso nel 2002 tra la Commissione e le autorità regionali, avente validità triennale.

 

Interrogazione n. 90 dell'on. María Rodríguez Ramos (H-0116/03)
 Oggetto: Tariffe relative al rimborso di opere di infrastruttura idraulica eseguite con la partecipazione di fondi del FESR
 

Il Ministero per l’ambiente spagnolo ha realizzato opere di canalizzazione e deviazione di acque provenienti dal bacino di Riaño finanziate per il 65% attraverso fondi del FESR. L’amministrazione spagnola chiede alla comunità di irrigatori del Carrión, beneficiaria dell’opera di canalizzazione, una tassa a fini di rimborso per il 100% del costo delle opere, cui lo Stato spagnolo ha partecipato solo per il 25%.

Trattandosi inoltre di una zona dell'obiettivo 1, può la Commissione indicare se uno Stato membro possa, attraverso una tariffa di sfruttamento, come nel caso in questione, farsi rimborsare un investimento finanziato in gran misura attraverso fondi del FESR?

La normativa europea consente forse che uno Stato membro faccia gravare sui cittadini di zone dell’obiettivo 1 il rimborso di fondi che il FESR ha erogato a queste stesse zone?

 
  
 

Alla Commissione risulta che le autorità spagnole applicano tasse e prelievi alle infrastrutture idriche per sostenere i costi d’esercizio e di manutenzione e il deprezzamento del capitale.

Il regolamento (CE) n. 1260/1999(1) del Consiglio recante disposizioni generali sui Fondi strutturali non include alcuna disposizione o limitazione riguardo alle misure che gli Stati membri possono adottare per finanziare i costi d’esercizio, di manutenzione e di deprezzamento relativi a progetti per i quali l’investimento iniziale è stato finanziato dai Fondi.

 
 

(1) GU L 161 del 26.6.1999.

 

Interrogazione n. 91 dell'on. Karin Riis-Jørgensen (H-0119/03)
 Oggetto: Monopolio delle poste
 

La General Logistic Systems (GLS) è una filiale della Royal Mail Group plc. che distribuisce in tutta Europa pacchi provenienti da paesi non comunitari.

In Germania si esige un dazio doganale GLS sul valore del pacco prima che venga inoltrato verso le varie destinazioni europee. Detto dazio doganale non viene evidentemente imposto a pacchi analoghi distribuiti dagli uffici postali pubblici.

Intende la Commissione far sapere se ritiene che tale trattamento discriminatorio tra i due prestatori di servizi (nazionale e privato) sia conforme alla normativa comunitaria in vigore? Quali passi intende intraprendere per ovviare a detta situazione, qualora il trattamento discriminatorio non sia conforme alla normativa UE in vigore?

 
  
 

In base alle disposizioni del codice doganale comunitario e alla tariffa doganale comune, i dazi all’importazione vengono applicati sul valore in dogana delle merci importate. Fatta eccezione per una disposizione di importanza secondaria(1) che riguarda solo l’inclusione di talune tasse postali nel valore in dogana, non esistono norme particolari per la determinazione del valore in dogana applicabili specificamente all’importazione di merci contenute in pacchi.

I dazi all’importazione sono esigibili nel momento in cui le merci sono immesse in libera pratica. Nel caso delle merci contenute nelle spedizioni inviate da un privato a un altro privato, quando il loro valore non supera i 45 euro(2) possono beneficiare di una franchigia, mentre è prevista l’applicazione di un dazio forfettario del 3,5 per cento per le merci il cui valore non è superiore a 350 euro se vengono soddisfatte determinate condizioni(3). Non esiste pertanto alcuna discriminazione riguardo all’importo del dazio da pagare.

In conformità del diritto doganale comunitario, l’amministrazione delle poste di uno Stato membro può essere considerata dichiarante e, all’occorrenza, debitrice(4). Inoltre, le merci introdotte nella Comunità non devono essere condotte all’ufficio doganale di importazione a condizione che la vigilanza doganale e le possibilità di controllo doganale non risultino compromesse(5) e possono circolare nella Comunità ed essere dichiarate per l’immissione in libera pratica con un documento CN22 o CN23 come stabilito dall’Unione postale universale(6). Attualmente la Commissione sta valutando se, e come, queste norme procedurali debbano essere modificate per garantire condizioni di parità per tutti gli operatori che importano pacchi.

 
 

(1) Articolo 165 delle disposizioni d’applicazione del regolamento che istituisce il codice doganale comunitario.
(2) Articoli da 29 a 31 del regolamento (CEE) n. 918/83 del Consiglio.
(3) Titolo II, lettera D delle disposizioni preliminari della nomenclatura combinata (regolamento (CE) n. 2568/87 del Consiglio, modificato da ultimo dal regolamento (CE) n. 1832/2002).
(4) Articolo 237, paragrafo 2, delle disposizioni d’applicazione del regolamento che istituisce il codice doganale comunitario.
(5) Articolo 38, paragrafo 4, del codice doganale comunitario.
(6) Articolo 237, paragrafo 1, punto A, delle disposizioni d’applicazione del regolamento che istituisce il codice doganale comunitario.

 

Interrogazione n. 92 dell'on. Efstratios Korakas (H-0126/03)
 Oggetto: Gravi problemi di sussistenza per i palestinesi che vivono e studiano negli Stati membri dell'UE
 

I palestinesi che studiano negli Stati membri dell'Unione europea si trovano a dover affrontare problemi di sussistenza particolarmente gravi che, secondo quanto denunciato, sarebbero legati al fatto che le loro borse di studio vengono continuamente ridotte, cosa che rende ancora più difficili le già problematiche condizioni in cui essi si trovano, visto che, contemporaneamente, a causa della situazione in Medio Oriente e dei continui attacchi delle forze di repressione israeliane nei territori palestinesi, non possono far ritorno nel loro paese.

Intende la Commissione prendere le misure indispensabili per permettere a tali studenti di portare a termine i loro studi, tramite un sostegno economico diretto e offrendo loro possibilità di occupazione nel paese in cui già risiedono?

 
  
 

Le questioni relative alle borse di studio concesse agli studenti rientra nella sfera di competenza degli Stati membri e non in quella comunitaria. Lo stesso vale pertanto anche per la riduzione delle borse di studio alla quale l’onorevole parlamentare fa riferimento, nel cui caso la Commissione non può intervenire.

 

Interrogazione n. 93 dell'on. Paul Rübig (H-0127/03)
 Oggetto: Studio analitico sugli effetti di Basilea II - disponibilità dei risultati
 

Dato che la direzione generale della ricerca partecipa attivamente all'elaborazione dello studio analitico sugli effetti delle nuove disposizioni Basilea II, aggiudicato dalla direzione generale per il mercato interno in quanto servizio responsabile e basato su una decisione del Consiglio europeo di Barcellona, può la Commissione precisare quando saranno disponibili i relativi risultati, specialmente per quanto riguarda le conseguenze estremamente rilevanti di Basilea II sulle attività di ricerca e sviluppo delle PMI europee? La pubblicazione dello studio analitico su Basilea II, prevista dal Consiglio europeo nel tardo autunno 2003, appare troppo tardiva, in quanto sarebbe assai importante che i risultati dallo studio siano disponibili già nella terza fase di consultazioni di Basilea II da maggio a agosto 2003. Può la Commissione comunicare già nel corso della terza fase di consultazioni almeno risultati provvisori dello studio analitico sugli effetti di Basilea II?

 
  
 

Nella riunione svoltasi a Barcellona nel 2002, il Consiglio europeo ha chiesto alla Commissione di “presentare una relazione sulle conseguenze delle deliberazioni di Basilea per tutti i settori dell’economia europea con particolare riguardo alle PMI”.

La Commissione ha accolto con favore l’opportunità offerta da tale richiesta e ritiene estremamente auspicabile e importante valutare le possibili conseguenze dei nuovi requisiti patrimoniali, che rivestono una considerevole importanza e costituiscono un vantaggio potenziale per l’economia dell’Unione europea.

Le questioni trattate in tale relazione sono, com’è ovvio, molto complesse. La Commissione ha messo a punto una gara d’appalto dettagliata ed equilibrata, che è stata indetta nel luglio 2002 suscitando considerevole interesse.

L’intenzione della Commissione è sempre stata quella di completare e rendere disponibile la relazione di cui trattasi prima dell’adozione di una proposta di direttiva. Si tratta di un obiettivo necessario e auspicabile per poter favorire la definizione della proposta e il completamento delle successive procedure legislative, dando in questo modo un contributo significativo al processo democratico.

In una fase avanzata della procedura d’indizione della gara d’appalto è stata rilevata un’irregolarità formale e, di conseguenza, è stato deciso di chiudere la gara e di indirne una nuova. L’organizzazione di tale gara è imminente e per il suo svolgimento verrà seguita la procedura accelerata d’indizione di gara d’appalto.

E’ intenzione della Commissione che la relazione sia ultimata entro la fine del 2003. Si tratta di un ritardo contenuto rispetto alla data di completamento finale originariamente prevista del settembre 2003 e ciò significa che la relazione sarà disponibile, come previsto, prima dell’adozione della proposta di direttiva nella prima parte del 2004.

In questo contesto, occorre ricordare che è estremamente importante, come lo stesso Parlamento ha affermato, che il nuovo quadro sia attuato negli Stati membri tenendo conto della scadenza della fine del 2006 stabilita a Basilea. Questo è necessario per garantire che il settore europeo dei servizi finanziari non sia svantaggiato rispetto ai concorrenti globali.

Va detto altresì che la Commissione ha appena concluso, nell’ambito del dialogo strutturato, una riunione molto positiva con il settore, comprese le PMI, e nel prossimo futuro intende mettere a disposizione del pubblico sul suo sito Internet le osservazioni espresse in tale occasione.

 

Interrogazione n. 94 dell'on. Ioannis Patakis (H-0129/03)
 Oggetto: Riduzione degli interessi sui depositi e ripercussioni negative per i piccoli risparmiatori
 

La riduzione degli interessi sui depositi si ripercuote in modo particolarmente negativo sui piccoli risparmiatori specie in paesi, come la Grecia, in cui l'indice di inflazione continua ad essere elevato, e dà luogo a un evidente spreco di risorse. Allo stesso tempo, le banche, i cui introiti derivanti dall'attività di borsa sono in calo, colpiscono nuovamente i ceti popolari e, per aumentare i loro profitti, accrescono il divario esistente, mantenendo elevati i tassi in particolar modo sui prestiti per l'acquisto della casa e per uso personale.

Poiché gli istituti di credito, che operano in regime di oligopolio e godono di una posizione dominante, sfruttano i suddetti ceti per aumentare i profitti e usano la variabilità dei tassi per far pesare la crisi su di loro, intende la Commissione, per quanto è di sua competenza, prendere le necessarie misure per tutelare i piccoli risparmiatori e quanti accendono piccoli prestiti dagli abusi delle banche?

 
  
 

La Commissione ringrazia l’onorevole parlamentare per la sua interrogazione che riguarda la riduzione dei tassi di interesse sui depositi, in particolare in Grecia, e le ripercussioni negative per i piccoli risparmiatori.

La liberalizzazione dei mercati finanziari nella Comunità è già in gran parte realizzata e, a questo proposito, il successo dell’introduzione dell’euro ha svolto una funzione di catalizzatore.

In questo contesto, i mercati finanziari sono estremamente competitivi e i singoli istituti, pur essendo influenzati da fattori comuni quali una variazione dei tassi attivi/passivi di mercato, adeguano le condizioni applicate ai loro clienti in base alla propria strategia individuale, al bilancio e ad altre considerazioni.

Anche se di tanto in tanto sono state effettuate indagini ad hoc in merito a presunti casi di collusione o di coordinamento tra istituti per quanto riguarda le condizioni applicate ai clienti, finora non sono emerse prove di collusione o di abuso di una posizione collettivamente dominante in Grecia.

Per il momento non esistono pertanto indicazioni concrete di una violazione degli articoli 81 o 82 del Trattato, tuttavia la Commissione ha sottoposto la questione all’attenzione dell’autorità greca competente in materia di concorrenza che si trova nella posizione migliore per controllare il mercato greco dei servizi bancari destinati ai privati.

 

Interrogazione n. 95 dell'on. Rodi Kratsa-Tsagaropoulou (H-0131/03)
 Oggetto: Controlli sul Centro nazionale greco di pronto soccorso (EKAB)
 

Negli ultimi 25 mesi il Centro nazionale greco di pronto soccorso (EKAB) ha registrato tre incidenti aerei che hanno causato 14 vittime. Mentre prevale l'indignazione, sono numerosissimi gli interrogativi che restano senza risposta quanto alle cause degli incidenti, nonché alle responsabilità degli organismi governativi e della DRF e della sua filiale Helitalia, le quali hanno assunto lo sfruttamento operativo degli elicotteri adibiti al salvataggio aereo.

Qual è l'importo delle risorse comunitarie che sono state spese per l'equipaggiamento e il funzionamento dell'EKAB, nonché per la formazione del personale? Dopo i tragici avvenimenti di cui sopra, sono stati chiesti controlli intesi ad accertare che l'EKAB applichi le disposizioni europee in materia di sicurezza dei voli? Intende la Commissione finanziare l'imminente acquisto dei nuovi elicotteri e aerei dell'EKAB, e quali misure conta di prendere (raccomandazioni, controlli, ecc.) per garantire la buona gestione e la sicurezza dei servizi di quest'ultimo?

 
  
 

In base alle informazioni pervenute dalle autorità greche, due dei tre elicotteri precipitati negli ultimi mesi erano stati cofinanziati dalla Comunità mediante il quadro di sostegno comunitario 1994-1999 per la Grecia, in particolare nell’ambito del programma operativo “Sanità e previdenza sociale”. Per essere più precisi, il programma menzionato ha finanziato l’approvvigionamento di cinque elicotteri per un costo totale di 17,8 milioni di euro, di cui 13,3 milioni di euro costituiti da fondi comunitari. La consegna degli elicotteri era iniziata il 24 dicembre 1999 (primo elicottero) ed è stata completata il 29 marzo 2000 (quinto elicottero).

In base alla direttiva 94/56/CE del 21 novembre 1994 che stabilisce i principi fondamentali in materia di inchieste su incidenti e inconvenienti nel settore dell’aviazione civile(1), ogni incidente o inconveniente grave deve essere sottoposto a inchiesta da parte di un organo indipendente istituito in ciascuno Stato membro al solo fine di prevenire futuri incidenti. Se possibile entro un anno dall’incidente, deve essere pubblicata una relazione che contenga, ove opportuno, raccomandazioni di sicurezza e una copia deve essere inviata alla Commissione. Spetta esclusivamente allo Stato membro far applicare la possibile raccomandazione di sicurezza per evitare il ripetersi di tali incidenti.

Inoltre, in conformità dell’articolo 3 del regolamento (CE) n. 1681/94 della Commissione dell’11 luglio 1994 relativo alle irregolarità e al recupero delle somme indebitamente pagate nell’ambito del finanziamento delle politiche strutturali nonché all’organizzazione di un sistema d’informazione in questo settore(2), se alla luce delle circostanze in cui si sono verificati gli incidenti le autorità greche concludono che la spesa sostenuta per gli elicotteri costituisce un’irregolarità a causa di lacune nella procedura di gara o di aggiudicazione (escluse le questioni operative), lo Stato membro ha la responsabilità di comunicare alla Commissione tale irregolarità prima della presentazione della richiesta del pagamento finale per il relativo programma (“Sanità e previdenza sociale”).

 
 

(1) GU L 319 del 12.12.1994.
(2) GU L 178 del 12.7.1994.

 
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