Indice 
 Precedente 
 Seguente 
 Testo integrale 
Resoconto integrale delle discussioni
Mercoledì 13 aprile 2005 - Strasburgo Edizione GU

19. Stato dell’integrazione regionale nei Balcani occidentali
MPphoto
 
 

  Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sullo stato dell’integrazione regionale nei Balcani occidentali.

 
  
MPphoto
 
 

  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, il Consiglio presta sempre molta attenzione ai rapporti tra i Balcani occidentali e l’Unione europea, che rimane, del resto, fortemente impegnata nel processo di stabilizzazione e di associazione di questa regione confinante. Nel quadro della strategia europea in materia di sicurezza, tale regione rappresenta un’alta priorità per l’Unione europea, come è peraltro comprovato, oltre che dagli aspetti civili, dalla presenza della componente militare e di polizia dell’UE nei Balcani occidentali.

Il futuro di questa regione risiede nell’Unione europea. Il Vertice di Salonicco del 21 giugno 2003 ha chiaramente sottolineato la vocazione europea dei Balcani occidentali. Benché l’impegno dell’Unione in loro favore sia inequivocabile, spetta ai paesi della regione farne buon uso. Essi devono dimostrare, mediante politiche e azioni concrete, la capacità e la volontà di diventare, al momento giusto, candidati all’adesione all’Unione europea per entrare, un giorno, a farne parte. L’Unione continuerà a sostenerli attivamente nelle iniziative di riforma politica e istituzionale. Ciò richiede, indubbiamente, perseveranza e un forte impegno da entrambe le parti perché vi sono ancora molte sfide da cogliere.

Tali sfide, tuttavia, possono essere affrontate e superate, perché è nell’interesse dei popoli dei Balcani occidentali che, sicuramente, hanno attraversato periodi oscuri. Favorire il loro cammino verso l’Europa è altresì nell’interesse dell’Unione europea, perché il nostro primo obiettivo deve essere la pace e la stabilità del continente europeo.

Il processo di stabilizzazione e di associazione rimane il contesto generale del cammino europeo dei Balcani occidentali verso la futura adesione. Esso è volto ad aiutare i paesi della regione a instaurare una pace, democrazia, stabilità, prosperità sostenibili e il rispetto dei diritti delle minoranze: questi obiettivi sono gli stessi del progetto europeo che, dopo la più terribile delle guerre, ha saputo riconciliare nazioni nemiche permettendo loro di costruire un futuro comune. E’ importante ricordare che questo stesso ideale, questa stessa visione hanno anche arricchito l’esperienza dell’ultimo allargamento. Questa mattina abbiamo preso una decisione molto importante, o meglio, l’Assemblea ha preso una decisione molto importante al riguardo sulla Bulgaria e la Romania.

Ogni anno il Consiglio svolge, sulla base delle relazioni annuali della Commissione, un’analisi dei progressi realizzati dai paesi del processo di stabilizzazione e di associazione e, al contempo, dei problemi irrisolti. Si tratta di un esercizio importante, che ci ricorda che i Balcani occidentali progrediscono sulla via dell’integrazione nell’Unione europea. Come convenuto al Vertice di Salonicco, nel 2004 l’Unione ha per la prima volta concluso partenariati europei con i paesi della regione, che la Commissione ha presentato insieme alle relazioni sui partenariati e sul processo di stabilizzazione e di associazione. Essi traggono ispirazione dai partenariati per l’adesione dei paesi candidati e fungono da piani d’azione personalizzati, adeguati alle specifiche situazioni di ciascun paese, indicando le specifiche misure da intraprendere in via prioritaria. La Commissione e il Consiglio seguono da vicino i progressi registrati nella loro realizzazione.

L’approccio dell’Unione nei confronti dei Balcani è quindi già fortemente improntato al singolo paese e basato sul principio dei meriti propri del singolo Stato. Tutti i partecipanti al Vertice di Salonicco hanno accettato il fatto che la rapidità con cui i paesi della regione avanzeranno verso la futura adesione dipenderà dal ritmo a cui attueranno le riforme necessarie e si conformeranno ai criteri esistenti di Copenaghen e del processo di stabilizzazione e di associazione. Chi otterrà migliori risultati potrà procedere più rapidamente. Attualmente, solo due paesi hanno concluso un accordo di stabilizzazione e di associazione con l’Unione europea, vale a dire la Croazia e l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia. Al momento, la Croazia è il primo paese della regione a essere diventato paese candidato.

Il processo è quindi globale, ma segue l’approccio orientato ai meriti propri del singolo paese. La prospettiva di adesione, l’unica garanzia che lo sviluppo di questi paesi si traduca in una realtà comune a tutti, si applica in base a questo principio.

Durante l’ultima analisi del Consiglio sul processo di stabilizzazione e di associazione, effettuata nel maggio 2004, il Consiglio si è rallegrato dei progressi compiuti nella regione, potendo constatare una stabilizzazione durevole della situazione in materia di sicurezza. Tuttavia, nonostante i successi degli ultimi anni, purtroppo non si può completamente escludere la possibilità che insorgano situazioni che sfuggono al controllo, che si verifichino episodi di violenza o che vengano messi in dubbio i valori fondamentali su cui poggia la costruzione europea. Per tale motivo occorre rimanere particolarmente attenti e vigili ai possibili sviluppi. La pace e la stabilità non possono essere date per scontate in questa regione. Il retaggio di un passato oscuro, sconvolto da un nazionalismo distruttivo, non è totalmente scomparso.

Il 2005 sarà, per la regione, un anno che porterà grandi opportunità. Il Consiglio seguirà da vicino la continua applicazione dell’accordo quadro di Ohrid nell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, paese che ha presentato richiesta di candidatura all’Unione europea. Inoltre, l’evoluzione politica dell’Albania, soprattutto in vista delle elezioni legislative che si svolgeranno la prossima estate, merita tutta la nostra attenzione.

In riferimento alla Serbia e Montenegro e alla Bosnia ed Erzegovina, durante il semestre in corso il Consiglio deve esprimersi sulla possibilità di negoziare un accordo di stabilizzazione e di associazione. Nel contempo proseguono i negoziati su un accordo analogo con l’Albania e, nella seconda parte dell’anno, il Consiglio dovrà prendere in esame la domanda di adesione dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia in base al parere della Commissione. Per il Kosovo vi sarà una prima occasione di valutare i progressi raggiunti nell’effettiva osservanza delle norme sancite dall’ONU a metà del 2005: dall’esito positivo di questa valutazione dipenderà lo sviluppo di un processo teso a determinare, attraverso il dialogo e la cooperazione tra tutte le parti interessate, il futuro status del paese. Infine, nel caso della Croazia la conferenza intergovernativa sui negoziati di adesione sarà convocata di comune accordo non appena il Consiglio confermerà – e spero lo faccia al più presto – la piena collaborazione del paese con il Tribunale dell’Aia.

La cooperazione incondizionata con il Tribunale è una condizione irrinunciabile per tutti i paesi dei Balcani occidentali. Negli ultimi mesi si sono fatti concreti passi avanti, ma occorre consolidare i progressi compiuti.

Le iniziative dell’Unione europea per promuovere l’integrazione regionale nei Balcani occidentali, in particolare in materia di infrastrutture, istruzione, rientro dei rifugiati, lotta alla criminalità e scambi culturali, sono veramente essenziali.

La cooperazione regionale che dà impulso all’integrazione economica della regione è uno strumento importante per promuovere la riconciliazione, favorire le riforme e, soprattutto, migliorare la situazione economica e sociale locale. In alcune zone dei Balcani occidentali esiste una disoccupazione endemica, che ha raggiunto livelli record ed è in gran parte dovuta alla mancanza di investimenti privati. Essa è uno dei principali fattori di instabilità sia sociale che politica. Per tale motivo il Consiglio attribuisce particolare importanza alla promozione della cooperazione regionale, elemento chiave del partenariato di stabilizzazione e di associazione. Nell’analisi svolta su questo processo nel maggio 2004, il Consiglio si è rallegrato dei sensibili miglioramenti registrati nella cooperazione regionale, soprattutto nell’ambito delle infrastrutture, del commercio e dell’energia.

La Commissione sta ora realizzando alcuni progetti di assistenza nei settori menzionati nell’interrogazione nel quadro del programma CARDS e, specialmente in Croazia, attraverso gli strumenti di preadesione che, in questo senso, rivestono un’importanza particolare. Tra gli obiettivi del regolamento CARDS, infatti, figura la realizzazione di progetti di ricostruzione, la concessione di aiuti a favore del rientro dei rifugiati e della stabilizzazione regionale, nonché la promozione della cooperazione regionale. Il Consiglio sta ora portando avanti un dibattito sul nuovo strumento finanziario per gli aiuti di preadesione proposto dalla Commissione che, a partire dal 2007, rappresenterà il quadro dell’assistenza comunitaria a favore dei paesi candidati e dei potenziali candidati, tra cui rientrano i Balcani occidentali.

 
  
MPphoto
 
 

  Rehn, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, ringrazio il Parlamento e il relatore, onorevole Samuelsen, per la lungimirante risoluzione sui Balcani occidentali e l’impegno che il Parlamento e la commissione per gli affari esteri dimostrano nei confronti di questa regione. Gran parte di questi paesi sta facendo concreti passi avanti nei rapporti con l’Unione europea. Essi devono, tuttavia, risolvere ancora molte questioni, oltre che rafforzare e consolidare i progressi compiuti.

Per i Balcani occidentali, il 2005 e il 2006 saranno anni cruciali per i rapporti con l’Unione europea. Siamo di fronte a una vera e propria svolta. Dobbiamo risolvere alcuni problemi a breve termine per poterci concentrare sullo sviluppo sociale ed economico a lungo termine. I temi più critici e immediati riguardano la conclusione dei lavori del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia – il TPIJ – e la decisione sul futuro status del Kosovo.

In qualità di ex deputato al Parlamento europeo, sono sempre stato orgoglioso degli importanti risultati raggiunti dall’Assemblea nel difendere il rispetto dei diritti umani e dei relativi obblighi internazionali, e nel sostenere il sistema multilaterale basato sulle Nazioni Unite. Per tale motivo accolgo con molto favore i pareri del Parlamento espressi ai paragrafi 37 e 46 in cui si cita la piena collaborazione con il TPIJ, il Tribunale dell’Aia. Il sostegno a favore dei diritti umani, dello Stato di diritto e del quadro multilaterale fondato sull’ONU è il motivo per cui l’Unione europea ha imposto come condizione, nei rapporti con i paesi della regione, la collaborazione con il TPIJ. Quest’autunno, probabilmente a novembre, la Commissione presenterà il “pacchetto allargamento” e riferirà con maggiori dettagli in merito ai progressi compiuti da questi paesi.

Vorrei ora cogliere l’opportunità per descrivere a grandi linee la nostra posizione odierna nei confronti di questi paesi. In merito all’Albania, condivido la preoccupazione espressa nella risoluzione del Parlamento per il clima politico, soprattutto in considerazione delle elezioni legislative della prossima estate. Di recente ho scritto al Primo Ministro Nano per sottolineare che la Commissione potrà proporre la conclusione dei negoziati sull’accordo di stabilizzazione e di associazione solo se le elezioni parlamentari estive si svolgeranno nel rispetto delle norme internazionali. Il paese dovrà, inoltre, raggiungere risultati concreti nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata.

La Bosnia ed Erzegovina si sta adoperando per fare fronte alle priorità da noi individuate nella relazione di fattibilità alla fine del 2003. Quando il paese avrà compiuto numerosi progressi in tutti i settori prioritari, potremo raccomandare l’apertura dei negoziati sull’accordo di stabilizzazione e di associazione. Spero saremo in grado di farlo il mese prossimo.

Si sono registrati molti miglioramenti nella cooperazione con il TPIJ, e occorre proseguire in tal senso per garantire una collaborazione a tutti gli effetti. Per l’apertura dei negoziati ASA, la riforma della polizia è una condizione particolarmente importante per la Bosnia ed Erzegovina.

L’Alto rappresentante e l’Unione sono stati determinanti per lo sviluppo della stabilità e delle riforme nel paese. Credo, tuttavia, che la Bosnia ed Erzegovina sia ora pronta ad assumersi maggiori responsabilità nel decidere del proprio futuro. Considerando la presenza di autorità consapevoli e democraticamente responsabili a livello nazionale, prevedo una tranquilla e graduale uscita di scena dell’Ufficio dell’Alto rappresentante. Con l’approssimarsi del decimo anniversario degli accordi di pace di Dayton, è veramente arrivato il momento di passare dall’era di Dayton all’era di Bruxelles.

Sono deluso dal fatto che la Croazia non sia riuscita a stabilire una piena cooperazione con il TPIJ entro metà maggio. Come sapete, a dicembre il Consiglio europeo ha deciso che i negoziati di adesione avrebbero potuto aprirsi il 17 marzo solo in presenza di una collaborazione incondizionata con il Tribunale dell’Aia.

Qui entra in gioco la volontà e la capacità delle strutture statali croate di rispettare lo Stato di diritto e gli obblighi internazionali. La Croazia deve ora dimostrare piena collaborazione con il TPIJ. Sarò chiaro: il futuro del paese è nell’Unione europea. Tramite l’adozione del quadro negoziale, l’UE ha fatto tutto il necessario per dare il via ai negoziati. L’Unione sarà pronta, quando la Croazia lo sarà.

Passerò ora all’ex Repubblica jugoslava di Macedonia. Insieme al Presidente Barroso ho incontrato il Primo Ministro Bučkowski a febbraio, quando ci ha consegnato le risposte del paese al questionario sottoposto dalla Commissione. I miei servizi stanno ora procedendo all’analisi delle 13 000 pagine – 45 chili – di risposte.

Ci aspettiamo che il governo compia ulteriori progressi nel programma di riforme, rafforzi lo Stato di diritto e dia applicazione all’accordo quadro di Ohrid. Sono preoccupato per le relazioni dell’OSCE che denunciano il ripetersi di irregolarità alle ultime elezioni comunali. Ora le autorità dovranno reagire con decisione e fare in modo che le future elezioni si svolgano nel pieno rispetto delle norme internazionali. In base agli sviluppi politici, ai risultati raggiunti nelle riforme giuridiche, politiche ed economiche, e alla qualità tecnica delle risposte intendiamo adottare un parere entro la fine dell’anno.

Ieri la Commissione ha preso una decisione positiva sullo studio di fattibilità per la Serbia e Montenegro: riteniamo, infatti, che il paese sia sufficientemente pronto a negoziare un accordo di stabilizzazione e di associazione con l’Unione europea.

Dobbiamo riservare ai paesi un trattamento paritario in fasi uguali: per ogni paese, dobbiamo usare lo stesso metro di valutazione durante la stessa fase. Negoziare un accordo di stabilizzazione e di associazione è molto diverso dal negoziare l’adesione all’Unione. Le nostre richieste aumenteranno man mano che la Serbia e Montenegro avanzeranno in questo processo.

La Serbia e Montenegro ha dovuto impegnarsi molto per giungere alla situazione attuale. Mi rallegro per l’accordo concluso la scorsa settimana sulla Carta costituzionale, che garantisce la legittimità del parlamento dell’Unione statale. Sono lieto che, alla fine, il paese abbia registrato significativi miglioramenti nella cooperazione con il Tribunale dell’Aia. Nell’arco dell’anno una dozzina di persone accusate di crimini di guerra sono state inviate all’Aia, ma occorre impegnarsi di più fino a quando nessuno degli imputati sarà più in libertà. Non sarà minimamente possibile considerare l’apertura dei negoziati di adesione sino a quando il paese non avrà garantito piena collaborazione con il TPIJ. Con l’approssimarsi del decimo anniversario di Srebrenica a luglio, Radovan Karadzić e Ratko Mladić devono essere assicurati alla giustizia.

Per la Serbia e Montenegro, questo è l’inizio del cammino verso l’Europa. Il paese ha raggiunto risultati molto importanti negli ultimi anni. E’ ora di proseguire, è ora di premiare i grandi progressi, di dimostrare a questi cittadini che l’adempimento ai principali obblighi internazionali li avvicina all’Unione europea.

Il Kosovo sarà un tema prioritario nei prossimi mesi, poiché alla metà del 2005 si procederà al riesame dell’applicazione delle norme che, con ogni probabilità, sarà seguito dalle discussioni sul futuro status del Kosovo.

Ci stiamo impegnando ad aiutare le autorità kosovare a procedere nell’applicazione delle norme ONU, soprattutto in materia di Stato di diritto e di diritti delle minoranze. Quando sarà presa una decisione sullo status, continueremo a sostenere i progressi del paese verso l’integrazione europea.

La prossima settimana la Commissione intende presentare una comunicazione dal titolo “Un futuro europeo per il Kosovo”, che lancerà un chiaro segnale ai leader e al popolo kosovari sul grande impegno assunto dall’UE per il loro futuro europeo. Ci auguriamo, inoltre, che i leader kosovari diano prova di un atteggiamento costruttivo, incontrando i leader serbi che hanno teso loro la mano.

Anche Belgrado deve operare in maniera positiva per risolvere la questione. Nello studio di fattibilità per la Serbia e Montenegro, abbiamo chiaramente affermato che le aspirazioni europee del paese sono legate a un esito positivo della decisione sullo status del Kosovo.

Per ricapitolare, benché per i Balcani occidentali la via dell’integrazione europea sia irta di insidie e difficoltà, la maggior parte dei paesi sta facendo continui passi avanti. I paesi che combattono per riformare economie antiquate e costruire società moderne basate sul rispetto dei diritti umani e lo Stato di diritto devono, al tempo stesso, far fronte al retaggio della guerra.

In questo contesto vorrei sottolineare l’importanza della cooperazione regionale. I buoni rapporti di vicinato e la cooperazione economica regionale sono alla base dell’Unione europea: essi stimolano la stabilità, la riconciliazione e la normalizzazione delle relazioni politiche.

E’ una grandissima sfida per i paesi della regione e dell’Unione europea. Forse è addirittura chiedere troppo, ma sono certo che siamo sulla buona strada. Meno dovremo concentrarci sulla stabilità e sulla sicurezza, più potremo destinare le risorse allo sviluppo sociale ed economico, come giustamente sottolineato nella relazione Samuelsen.

 
  
MPphoto
 
 

  Pack, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la politica estera dell’Unione europea dovrebbe concentrarsi sull’Europa sudorientale, e l’UE dovrebbe adottare misure coerenti per finire ciò che ha iniziato alla metà degli anni ’90. Sinora, però, le misure intraprese sono state modeste. Con la presente relazione si volevano esercitare pressioni sul Consiglio e sulla Commissione, e oggi abbiamo appreso che questa linea di azione si è rivelata valida, perlomeno in questa fase. Sono lieta delle parole appena pronunciate dal Commissario, secondo cui la Commissione intende finalmente presentare una comunicazione sul Kosovo, mentre il Presidente in carica del Consiglio ha aggiunto che il Consiglio farà il possibile per sostenere con azioni adeguate l’accresciuto interesse per questa regione.

Tuttavia, dobbiamo anche chiederci che iniziative stanno prendendo i paesi stessi. Dai due precedenti interventi è già emerso che l’Albania deve necessariamente garantire, dopo lungo tempo, un adeguato svolgimento delle prossime elezioni senza alcuna manipolazione dei risultati. Il governo albanese, inoltre, deve una volta per tutte affrontare seriamente la questione della governance, con la lotta alla corruzione e l’attuazione della legislazione. E’ risaputo che la Macedonia deve stringere i tempi con il processo di Århus per permettere agli albanesi, che nell’insieme costituiscono il 25 per cento della popolazione, di sentirsi trattati alla pari degli altri cittadini. Sino a quel momento, sarà impossibile per il paese fungere da forza stabilizzante della regione.

Per molto tempo la Commissione e il Consiglio hanno dovuto esercitare pressioni sui politici locali in Bosnia ed Erzegovina per emendare l’accordo di Dayton in maniera tale da potere stabilire una comunità funzionante. Il paese non sarà mai in grado di aderire all’Unione europea allo stato attuale. La cooperazione con il Tribunale dell’Aia è ancora troppo limitata, e un numero insufficiente di rifugiati ha fatto ritorno nella Republika Srpska.

Riguardo alla Serbia, al Montenegro e al Kosovo, la confederazione tra Serbia e Montenegro è ben lungi dall’essere solida, e nel prossimo futuro occorre prendere una decisione in merito a un suo eventuale scioglimento o meno. Belgrado e Pristina devono collaborare sotto l’egida dell’ONU e dell’UE per trovare al più presto una soluzione alla questione del Kosovo, e non c’è motivo di non trovarla dato che tutti i paesi interessati desiderano entrare a far parte dell’Unione europea. Spero che la Croazia possa convincere la missione di monitoraggio della sua piena collaborazione.

Tutti i paesi menzionati devono affrontare enormi problemi nei propri sistemi giudiziari e nella lotta alla corruzione, e sono privi di capacità amministrative. Dobbiamo cercare di aiutarli in questo senso, prestando a tutti assistenza con maggiore coerenza e impegno. Dobbiamo garantire loro l’accesso agli strumenti di preadesione affinché sviluppino sane economie nazionali e democrazie funzionanti. Se si raggiunge tale obiettivo, tutti ne trarranno vantaggi, soprattutto i giovani dei paesi in questione.

 
  
MPphoto
 
 

  Swoboda, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, onorevoli colleghi, oggi abbiamo votato con una maggioranza schiacciante a favore dell’adesione della Bulgaria e della Romania all’Unione europea. Indubbiamente si è insinuata una sensazione di stanchezza nei confronti dell’allargamento sia tra i deputati dell’Assemblea – anche tra alcuni che hanno votato a favore – sia tra l’opinione pubblica. Negli ultimi tempi è stato particolarmente impegnativo discutere delle prossime fasi di allargamento, ma il Consiglio, la Commissione e il Parlamento devono collaborare per spiegare all’opinione pubblica che questo è l’unico modo per stabilizzare la regione. Occorre anche spiegare chiaramente che sviluppi negativi di questi paesi comporterebbero maggiori rischi d’insorgenza di problemi quali la criminalità transfrontaliera, la corruzione o lo scoppio di nuovi conflitti etnici, rischi che possono essere evitati solo se i paesi avranno una chiara prospettiva di integrazione europea. Sono molto grato alla Presidenza e alla Commissione per avere, oggi, sottolineato questo aspetto.

Ora dobbiamo rivolgere con fermezza la nostra attenzione a questa regione, soprattutto alla luce delle decisioni oggi adottate, e ringrazio il Consiglio per avere trovato una soluzione volta ad aiutare la Croazia. Essa prevede un attento monitoraggio delle misure intraprese dal paese per consegnare Gotovina al Tribunale dell’Aia, e spero che entrambe le parti si mettano all’opera senza indugio, consentendoci di aprire i negoziati con la Croazia nel prossimo futuro. Il paese ha compiuto moltissimi progressi con i precedenti governi, e il governo attuale può realmente fare da guida o da traino – in base all’analogia che preferite – al resto della regione. Un eventuale accordo da noi raggiunto con la Croazia, quindi, non deve essere considerato un attacco alla Serbia o a un altro paese, perché sarebbe teso a recare benefici all’intera regione.

Sono ovviamente convinto che saremmo tutti contenti se la Serbia, il Montenegro e il Kosovo si unissero in perfetta armonia per formare un solo paese, ma ciò è altamente improbabile alla luce di quanto è successo, soprattutto se ci riferiamo al Kosovo. Ritengo quindi necessario trovare un modo per questi paesi – o perlomeno per il Kosovo – di acquisire l’indipendenza pur mantenendo i propri legami storici ed etnici. Sia che si assuma a modello la Comunità di Stati indipendenti, sia che venga istituita un’altra forma di cooperazione, chiedo al Consiglio e alla Commissione di essere il più creativi possibile a questo riguardo perché è indispensabile elaborare una soluzione seria al problema della Serbia e Montenegro, nonché a quello del Kosovo, prima della fine del 2006. Posso assicurarvi che l’Assemblea vi darà tutto il suo appoggio se avanzerete buone proposte.

 
  
MPphoto
 
 

  Samuelsen, a nome del gruppo ALDE. – (DA) Signor Presidente, è vero che la regione è ancora afflitta da molti problemi, com’è anche stato sottolineato dai rappresentanti del Consiglio e della Commissione che desidero ringraziare per i loro interventi. E’ anche vero, comunque, che la regione ha molte prospettive, anche riguardo a un’eventuale integrazione nell’Europa odierna.

Vorrei riportare un esempio della Danimarca. L’ultimo allargamento dell’UE ha veramente aperto gli occhi a moltissimi danesi che hanno iniziato a vedere l’Europa sotto una nuova luce: non solo come un club economico per ricchi, ma anche come un club politico basato su valori comuni, che può fungere da motore nello sviluppo delle democrazie e della sicurezza. Di recente abbiamo visto che uno dei partiti danesi che svolgono un ruolo cruciale nel dibattito europeo, il partito socialista popolare, ha cambiato la propria posizione e, da euroscettico, è diventato favorevole all’Europa. Ovviamente, l’ha fatto anche alla luce degli ultimi sviluppi legati all’allargamento.

La prossima grande sfida sarà proprio questa regione e, come abbiamo recentemente visto, ci sono ancora problemi in Albania, Macedonia, Bosnia ed Erzegovina, Serbia e Montenegro, Kosovo e Croazia, che hanno portato al rinvio dei negoziati di adesione. La cosa importante, comunque, è insistere sul fatto che questi paesi abbiano prospettive di integrazione europea, perché proprio queste possono essere la forza propulsiva di cui hanno bisogno. Il resto dell’Europa, inoltre, deve assolutamente dimostrare che si tratta di una zona cruciale per la cooperazione europea.

Ci accingiamo a entrare in un anno emozionante. Sarà l’anno in cui ovviamente – speriamo quanto prima possibile – troveremo una soluzione positiva alla questione croata. Di certo sarà anche l’anno in cui cercheremo di risolvere il problema del nome della Macedonia o dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia e, si auspica, l’anno in cui ci avvicineremo a una decisione sul futuro status del Kosovo.

Vorrei cogliere l’opportunità per ringraziarvi della collaborazione prestata in relazione a questa risoluzione e alla sua stesura. Essa è diventata un utile strumento che contribuirà a mantenere vivi non solo le pressioni e lo slancio che ora sono, com’era auspicabile, parte integrante degli sviluppi, ma anche l’impegno che l’UE deve dimostrare per trovare soluzione ai problemi della regione. Solo così potremo veramente dare il via a questo processo, dandogli un senso per tutte le parti interessate, in modo che appaia evidente in quale direzione ci muoviamo.

 
  
MPphoto
 
 

  Lagendijk, a nome del gruppo Verts/ALE. – (NL) Come è stato sottolineato da molti oratori durante il dibattito, e in tante relazioni e dichiarazioni del Consiglio e della Commissione, i paesi dei Balcani occidentali sono futuri membri dell’Unione europea. Con l’attuale clima sociale, però, è più facile a dirsi che a farsi. L’abbiamo sentito nel dibattito di questa mattina sulla Romania e l’onorevole Swoboda l’ha accennato: c’è una certa stanchezza nei confronti dell’allargamento che, temo, si ripercuoterà soprattutto sulla nostra politica dei Balcani. Sono ancora convinto – per quanto possa essere impopolare, e oggi lo ribadisco per l’ennesima volta – che l’Unione europea necessiti di una strategia per i Balcani. Ieri la Commissione internazionale per i Balcani, composta da moltissimi riguardevoli esperti, ha pubblicato una relazione, di cui vorrei citare una frase sui Balcani occidentali: “le guerre possono essere finite, ma nell’aria si sente ancora odore di violenza”. Viaggiando per la regione, in qualsiasi paese ci si trovi, è questa la situazione: ciò significa che l’Unione europea non può permettersi di pensare che, per il momento, non le conviene, che è meglio lasciare perdere questi paesi. In questa nuova strategia, una strategia per i Balcani volta all’adesione, ci sono due fattori importanti.

Innanzi tutto, e lo ripeto anche se ovvio, l’attuale sviluppo economico e sociale della regione è disastroso, e rappresenta la principale fonte di instabilità. Con forti tassi di disoccupazione è praticamente impossibile, per i giovani, finire gli studi e costruirsi un futuro a livello locale. Questo comporta un aumento della criminalità, dell’incertezza e dell’instabilità, e non è ciò che vogliamo. Dovendo riconoscere qualche merito all’Unione europea, glielo riconosciamo proprio nel rafforzamento dei legami economici tra questi paesi, e tra essi e l’Unione europea.

Un secondo aspetto da non dimenticare è il rispetto delle condizioni fondamentali nel settore dei diritti umani e dei diritti delle minoranze. Benché su questo punto noi, come portavoce sui Balcani, abbiamo avuto opinioni diverse riguardo alla Croazia, credo sia già stato provato che la condizione imposta dal Consiglio per l’avvio dei negoziati, ovverosia la cooperazione con il Tribunale dell’Aia, ha avuto effetti positivi sia in Bosnia-Erzegovina che in Serbia. Ne sono felice e mi congratulo con il Consiglio per avere insistito sulla collaborazione con il Tribunale.

C’è poi una questione che riguarda tutti noi: il Kosovo. Mi sono appena recato sul posto, e sono convinto che la relazione sull’applicazione delle norme e gli eventi accaduti saranno considerati una cosa normale. Sono sicuro che si terrà il dibattito sullo status del paese, durante il quale l’Europa, che lo voglia o no, deve assumere il comando perché ha nelle mani la soluzione giusta. Abbiamo nelle nostre mani il premio per la Serbia e il Kosovo. Questo dibattito sull’indipendenza del Kosovo deve svolgersi alle condizioni che, già ora, sono chiare: nessuna separazione, nessuna cooperazione con l’Albania o la Macedonia e rispetto per la minoranza serba.

Non possiamo permetterci di distogliere lo sguardo e rimanere con le mani in mano, come se per l’Europa ora fosse troppo difficile affrontare la questione dei Balcani. L’inerzia porterà a una situazione intollerabile e pericolosa: non imponiamoci questa passività, e non imponiamola ai paesi dei Balcani!

 
  
MPphoto
 
 

  Meijer, a nome del gruppo GUE/NGL. – (NL) Negli anni ’90 abbiamo pensato di poter risolvere i problemi della ex Jugoslavia istituendo protettorati, inviando amministratori e soldati esterni, e obbligando i rifugiati a tornare nelle zone in cui si era creata una diversa maggioranza etnica. Questo modello americano porta alla stasi. Costringe le persone a rientrare nel ruolo di adolescenti, a dovere aspettare il momento opportuno sino a quando questi impiccioni stranieri se ne saranno andati. L’alternativa è cercare una soluzione pacifica e democratica, partendo dal basso, prendendo in seria considerazione, ad esempio, la visione che i cittadini in Kosovo, Montenegro, nelle diverse entità della Bosnia o nelle due grandi aree linguistiche della Macedonia hanno del proprio futuro, o il modo in cui vogliono chiamarsi. Gli Stati e i gruppi di popolazioni che si sono fatti guerra negli anni ’90 rifiutano ancora la dominazione dei paesi vicini, ma vogliono cooperare con frontiere aperte. Un contributo in tal senso può essere dato con l’inizio anticipato dei negoziati di adesione all’Unione europea, cominciando dalla Croazia e dalla Macedonia. Senza alcun pregiudizio, l’Europa deve ora cercare autentiche soluzioni insieme a tutte le parti interessate.

 
  
MPphoto
 
 

  Belder, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, la Bosnia-Erzegovina è una bomba a orologeria che aspetta di scoppiare! Parole chiare pronunciate da EUFOR, la missione militare dell’Unione europea inviata in quel paese. A quasi dieci anni da Dayton, le parti che erano in guerra continuano inesorabilmente il conflitto etnico a livello politico. La scorsa settimana, la delegazione ad hoc dell’Assemblea non ha per niente visto, a Sarajevo e a Mostar, un quadro rassicurante della situazione in Bosnia-Erzegovina, bensì un quadro che è certamente realistico. Questo ribadisce l’utilità della missione EUFOR a livello locale.

Ci si potrebbe aspettare una posizione conciliatoria da parte delle comunità religiose in Bosnia-Erzegovina, ma i rappresentanti del Consiglio, della Commissione e di EUFOR hanno riferito il contrario. Esorto il Consiglio e la Commissione a continuare a ricordare alle autorità ecclesiastiche e al Reis al-Ulema la loro grande responsabilità in materia. Il recente arresto di bosniaci in Cecenia è un segnale inquietante, perché mostra il pericolo dell’estremismo religioso su cui le fonti EUFOR hanno attirato la nostra attenzione.

La visita della delegazione ad hoc a Sarajevo comprendeva anche un sopralluogo a campi minati. Consiglio e Commissione sappiano che solo lo sminamento di questi campi di morte potrà garantire la transizione a un’esistenza pacifica. Vi prego, fate qualcosa di più per il futuro della Bosnia ed Erzegovina!

 
  
MPphoto
 
 

  Aylward, a nome del gruppo UEN. – (EN) Signor Presidente, sappiamo tutti fin troppo bene che gli ultimi anni hanno portato grande tristezza nella regione dei Balcani e alle molte persone che hanno perso la propria famiglia e i propri cari a causa delle guerre scoppiate in tale area. La fase finale di questo conflitto si è conclusa con l’attacco NATO in Kosovo e il crollo del regime.

Sono pienamente a favore delle politiche dell’Unione europea messe a punto per aiutare a ricostruire le economie dei Balcani occidentali. L’Unione europea perlopiù ha ragione nel considerare l’area dei Balcani un’unica regione. Politicamente si tratta di un tema molto delicato per i futuri rapporti tra Unione europea e Balcani occidentali. In questo momento l’UE è, ovviamente, il maggiore donatore di assistenza economica. I fondi vengono utilizzati per migliorare le principali infrastrutture nel settore dei trasporti, dell’ambiente, dell’energia e delle telecomunicazioni.

Il sostegno dell’Unione europea è diretto anche al consolidamento dell’efficienza delle istituzioni pubbliche, con particolare attenzione rivolta al settore giudiziario, alle forze dell’ordine e alla pubblica amministrazione. Ciò non significa, comunque, che l’Unione europea non critichi gli sviluppi politici della regione. L’UE sta ancora chiedendo la consegna al Tribunale penale internazionale dell’Aia delle persone sospettate di crimini di guerra. Di recente, tuttavia, sono stati registrati sviluppi molto positivi nei Balcani. Accolgo di buon grado la decisione del governo americano di ritirare le truppe dalla Bosnia e di lasciare il controllo delle operazioni di mantenimento della pace alle forze dell’Unione europea.

L’ampia stabilità politica della regione è evidente. Sappiamo che occorre sorvegliare attentamente gli sviluppi politici della zona e appoggio il cosiddetto processo di stabilizzazione e di associazione.

Sono favorevole all’adesione di questi paesi all’Unione europea nel caso in cui soddisfino i criteri di Copenaghen legati al rispetto dello Stato di diritto e alla promozione dei diritti umani. L’Unione europea, come entità politica, conosce e terrà fede ai propri obblighi al riguardo.

 
  
MPphoto
 
 

  Papastamkos (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, i Balcani occidentali sono stati da sempre il banco di prova per sperimentare l’efficacia delle azioni esterne dell’Unione europea.

Sinora la politica europea è stata caratterizzata da una certa frammentarietà, azioni sporadiche, mancanza di coordinamento, e dal fatto di non essere al passo con il potenziale sviluppo della zona. A mio avviso, esistono diversi modi per elaborare una politica europea che dia maggiori risultati nei Balcani occidentali.

Occorre, innanzi tutto, prevedere misure per promuovere la fiducia, la coesione sociale e la sicurezza.

In secondo luogo, l’assistenza europea e le prospettive di integrazione dei Balcani devono essere condizionate all’osservanza di regole severe imposte per l’adeguamento politico, le riforme amministrative e la giustizia.

In terzo luogo, l’UE deve altresì elaborare un piano strategico coeso e all’avanguardia per lo sviluppo dei Balcani, con l’obiettivo a medio termine di crescita integrata e sostenibile e l’obiettivo ultimo di convergenza con l’Unione europea. Il piano delineerà le priorità di ogni singolo paese, evidenzierà i settori di collaborazione e di reciproco vantaggio, indicherà le priorità e le linee d’azione, individuerà e quantificherà i bisogni nei settori principali e destinerà le risorse necessarie alla sua applicazione.

Quarto, è importante sostenere l’integrazione economica regionale, rivolgendo particolare attenzione alle infrastrutture transfrontaliere e alle reti transeuropee.

Quinto, un altro aspetto essenziale riguarda il consolidamento della politica di cooperazione regionale mediante lo sviluppo di un dialogo politico strutturato, ispirato alla precedente Conferenza europea sui paesi dell’Europa centrale e orientale, prima della loro adesione.

Infine, l’emendamento dell’onorevole Samuelsen e simili emendamenti sul nome dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia sono, a mio avviso, inaccettabili per i motivi addotti nella dichiarazione congiunta del gruppo parlamentare Nuova democrazia, copia della quale è stata inviata a tutti i deputati al Parlamento europeo. Volendo dare una minima prova di responsabilità politica e istituzionale, credo che tutti i deputati al Parlamento europeo e i membri delle altre Istituzioni dell’Unione europea debbano usare nomi ufficiali, i nomi delle Nazioni Unite, come il Commissario Rehn ha giustamente fatto.

 
  
MPphoto
 
 

  Beglitis (PSE). – (EL) Signor Presidente, l’iniziativa lanciata dal gruppo Verde/Alleanza libera europea, che propone emendamenti sul nome dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia e chiede il riconoscimento del nome costituzionale del paese da parte dell’Unione europea, mi obbliga da subito a prendere posizione unicamente su questo tema.

Dichiaro nella maniera più categorica possibile che questa iniziativa è in aperto conflitto con le risoluzioni approvate dall’ONU e le decisioni adottate dall’Unione europea e dalle sue Istituzioni, tra cui il Parlamento europeo. E’ un’iniziativa che si oppone apertamente a ogni principio di solidarietà con uno Stato membro dell’Unione europea, la Grecia, che è una delle parti partecipanti al processo negoziale in corso all’ONU teso a trovare una soluzione dignitosa e reciprocamente accettabile, un compromesso logico e onorevole. Tutti noi, compreso questo gruppo, abbiamo denunciato l’azione unilaterale degli Stati Uniti legata al riconoscimento della giurisdizione del Tribunale penale internazionale: oggi, invece, si presentano confermando e accettando l’azione unilaterale degli Stati Uniti d’America, che riconoscono l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia con il suo nome costituzionale. Questa posizione dà vita a un serio problema, mentre oggi dovremmo invece discutere e contribuire a elaborare una strategia europea integrata e congiunta in vista delle grandi sfide e dei pericoli legati a un nuovo confronto e a una nuova instabilità nella zona dei Balcani occidentali. Tale sforzo sarebbe un importante contributo per la difesa degli interessi europei e il rafforzamento delle prospettive di integrazione europea dei paesi della regione. Il conflitto e la guerra nei Balcani devono renderci tutti più attenti, più responsabili e più realistici.

La Grecia è riuscita a trarre insegnamento dal recente conflitto dei Balcani e ha dimostrato, mediante iniziative di pace e cooperazione, di essere un fattore di stabilità. E’ il primo paese europeo per investimenti nella ex Repubblica jugoslava di Macedonia, investimenti che hanno creato oltre 20 000 posti di lavoro. Ha dato prova di un forte senso di responsabilità, di realismo e di volontà di raggiungere un compromesso alle Nazioni Unite per risolvere il problema del nome, cercando un rimedio logico che lasci intatta la dignità di entrambi i paesi. Per questo motivo faccio appello agli amici e onorevoli membri del gruppo Verde/Alleanza libera europea e al relatore, onorevole Samuelsen, affinché ritirino gli emendamenti presentati, almeno per il momento, e invito il Presidente in carica del Consiglio e il Commissario a prendere posizione al riguardo.

 
  
MPphoto
 
 

  Drčar Murko (ALDE). – (SL) Grazie, signor Presidente. Vorrei parlare dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia prendendo in considerazione l’aspetto geostrategico del processo di allargamento dell’Unione europea verso sudest. La posizione geografica del paese nell’instabile regione dei Balcani è estremamente importante per l’Unione europea, soprattutto considerando la mancata decisione sullo status costituzionale del vicino Kosovo e le delicate riforme istituzionali in corso basate sull’accordo quadro di Ohrid.

L’accordo quadro è una prova costituzionale del principio di diversità culturale: in esso il gruppo nazionale di maggioranza, composto da macedoni slavi, esprime l’intenzione di condividere il potere con il gruppo di minoranza, i macedoni albanesi, a tutti i livelli, su scala locale e nazionale. L’accordo si rivela importante per la stabilità della situazione perché segna una svolta nella società civile.

La riforma dei rapporti in seno alla società civile procede di pari passo con la riforma economica. Per continuare in questa direzione, il paese deve avere la possibilità di stabilire rapporti più saldi con l’Unione europea, e necessita del nostro aiuto per consolidare la sua nuova identità. In questo contesto si colloca la domanda posta dal relatore Samuelsen: “Non è forse ora che l’Unione europea consideri di riconoscere il paese con il suo nome costituzionale, Repubblica di Macedonia?”. Grazie.

 
  
MPphoto
 
 

  Kusstatscher (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, l’identità europea di tutte le nazioni e i gruppi etnici dei Balcani che, dopo lunghe sofferenze, ripongono le proprie speranze nell’Unione europea, è evidente. A una più attenta analisi, tuttavia, risulta purtroppo chiaro che le “reti dei vecchi compagni” sono ancora operative in molti Stati balcanici. Le riforme promesse spesso esistono solo sulla carta, e di questo sono colpevoli soprattutto gli ex membri della nomenklatura. Non si fa praticamente nulla per fermare la corruzione, e il divario tra ricchi e poveri cresce sempre più. In alcune zone il tasso di analfabetismo aumenta e la situazione delle minoranze, in modo particolare dei rom, lascia molto a desiderare. Le elezioni vengono manipolate con tangenti e, a volte, addirittura con la violenza.

Tutte le Istituzioni comunitarie devono prestare maggiore attenzione alla situazione reale e non devono lasciarsi ingannare da chi appartiene alle “reti dei vecchi compagni”. Credo che dovremmo prenderci tutto il tempo per esaminare la situazione più attentamente prima di acconsentire a un’adesione di questi paesi all’UE.

 
  
MPphoto
 
 

  Posselt (PPE-DE). (DE) Signor Presidente, contrariamente a quanto affermato da questi documenti, la Croazia non appartiene ai Balcani occidentali. E’ un paese dell’Europa centrale e l’unico, a parte la Svizzera e il Liechtenstein, a non fare ancora parte dell’UE. Poiché soddisfa i criteri di adesione, dovremmo immediatamente aprire i negoziati.

Nei veri Balcani, comunque, rimane ancora moltissimo da fare. La Bosnia-Erzegovina deve essere teatro di una riforma costituzionale per trasformarsi in una forte federazione di tre nazioni con pari diritti, e bisogna porre fine alla dittatura di Lord Ashdown. Prima della fine dell’anno occorre presentare al Kosovo un chiaro piano d’intervento per permettergli di raggiungere l’indipendenza, seppure a determinate condizioni. Qualsiasi altro approccio sarebbe totalmente irrealistico.

La Serbia e Montenegro deve autorizzare, sul territorio nazionale, un attento monitoraggio del rispetto dei diritti umani. A questo proposito, temo che la decisione adottata dalla Commissione questa settimana si basi su troppi equivoci.

In riferimento alla Macedonia occorre risolvere definitivamente la questione del nome e, per quanto rispetti i deputati greci, faccio loro appello affinché rinuncino alle loro vedute così limitate in materia. In Germania la Franconia fa parte della Baviera, e abbiamo anche Francoforte, eppure a nessuno verrebbe mai in mente che la Francia dovrebbe iniziare a chiamarsi Repubblica di Parigi, perché altrimenti potrebbe avanzare rivendicazioni territoriali su Francoforte o sulla Franconia. Siamo nel XXI secolo, e non c’è più spazio per simili stupidaggini.

Dobbiamo definire esattamente dove si trovano i confini dell’UE. L’onorevole Langen appartiene alla schiera di persone che fanno ripetutamente notare che l’UE si allargherebbe eccessivamente acconsentendo all’adesione della Turchia, eppure l’Europa sudorientale è chiaramente europea. Dobbiamo concentrare le nostre energie sulla stabilizzazione dell’Europa sudorientale e della Croazia, un paese dell’Europa centrale che ha ben pochi motivi di essere considerato parte dei Balcani, proprio come la bella città boema di Kaden an der Eger, oppure Monaco o Altenkirchen nella regione del Siegerland. La Croazia appartiene all’Europa centrale e deve essere integrata in Europa. Ciò permetterebbe anche di stabilizzare i vicini Balcani.

 
  
MPphoto
 
 

  Pahor, Borut (PSE). – (SL) Grazie, signor Presidente. Vorrei continuare da dove si è interrotto lo stimato collega, onorevole Posselt.

Concordo con le varie relazioni che si ispirano alla risoluzione, e voterò quindi a favore. Tuttavia, la risoluzione non pone l’accento sul fatto che il ripristino della pace non comporta, di per sé, una soluzione alle complesse e importanti questioni di coesistenza tra i popoli della regione. Sarebbe totalmente sbagliato trarre l’impressione di avere creato Stati totalmente democratici, e pensare di doverci ora, insieme, concentrare esclusivamente su una rapida modernizzazione e integrazione nell’Unione europea.

Credo che l’UE debba adoperarsi con maggiore vigore e responsabilità per garantire una decisione pacifica sullo status fondamentale di alcuni paesi della regione, senza l’uso della forza, mediante un accordo e, cosa ancora più importante, su basi più stabili.

Ad esempio, la mancata riforma dell’accordo di Dayton rappresenta un ostacolo allo sviluppo della Bosnia ed Erzegovina, la questione dello status del Kosovo deve essere risolta, la maggioranza dei serbi e montenegrini desidera vivere in paesi indipendenti, e così via. Penso si tratti di temi fondamentali che meritano una risposta più decisa di quella che possiamo dare in questo momento.

 
  
MPphoto
 
 

  Prodi (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, parlando dei Balcani non possiamo pensare a un assetto stabile se non all’interno dell’Unione. Ma la costruzione dell’Unione può essere attuata solo grazie a una grande spinta popolare, che anche nei Balcani dev’essere il frutto di un processo politico di verità e riconciliazione, che affianchi il processo penale del Tribunale dell’Aia – importante sì – ma non in grado di garantire da solo il raggiungimento della consapevolezza da parte di tutti di chi ha fatto che cosa nella guerra dei primi anni ’90.

Lo scenario che oggi stiamo trattando è quello che può rappresentare la ricomposizione dell’ambito in cui la violenza si è dispiegata e in cui si possono confrontare vittime e carnefici. Solo con questo confronto profondo si può voltare la pagina senza che qualcuno la possa riaprire.

La costruzione di una democrazia ha bisogno di questo passo perché implica il rispetto e la fiducia reciproca; l’Unione ha bisogno di una grande determinazione rivolta al futuro e non può essere ostaggio del passato.

 
  
MPphoto
 
 

  Ibrisagic (PPE-DE). – (SV) Signor Presidente, onorevoli colleghi, non si può dire molto in due minuti, soprattutto se l’argomento è così vasto come quello dei Balcani occidentali. Intendo quindi soffermarmi su alcuni punti comuni a tutti i paesi della regione e sul nostro atteggiamento nei loro confronti.

I Balcani occidentali sono una zona colpita non solo da guerra e distruzione, ma anche da 50 anni di comunismo. Chi come noi ha provato la guerra sa quanto sia facile iniziarla e quanto sia difficile concluderla. Chi come noi ha provato il comunismo sa anche quanto tempo è necessario per costruire la democrazia. In tutti questi paesi di cui parliamo oggi c’è una sorta di divisione: in Croazia tra forze democratiche e non democratiche, in Bosnia tra federazione e Republika Srpska, in Serbia e Montenegro tra i serbi e gli albanesi kosovari. Quando apriamo un dibattito con questi paesi e imponiamo diverse condizioni dobbiamo ricordarcelo, e cercare di aiutare le forze democratiche che esistono nei Balcani occidentali ma che, non sempre, sono così forti e autentiche come crediamo. Quando parliamo, ad esempio, di persone accusate di crimini di guerra nella Republika Srpska o in Serbia che si mettono in fila per venire all’Aia, non molti membri dell’Assemblea sanno che, per farlo, queste persone e le loro famiglie vengono profumatamente pagate dalle autorità. Quando parliamo della Macedonia che partecipa volontariamente ai negoziati sul cambiamento del nome, non molti membri dell’Assemblea sanno che questa è solo una parte della verità, perché solo rappresentanti greci sono presenti ai negoziati, e non rappresentanti macedoni in grado di esprimere la propria opinione al riguardo.

Vorrei anche sottolineare che tutte le decisioni del Parlamento vengono interpretate e attentamente analizzate dalla forze positive e negative presenti nella regione. Dobbiamo quindi stare molto attenti ai segnali che lanciamo a questi popoli, che si tratti delle richieste di ritorno dei rifugiati in Kosovo, del cambiamento del nome della Macedonia o della futura adesione della Croazia all’UE. Qualunque cosa facciamo, dobbiamo sostenere chi combatte per lo sviluppo pacifico e democratico e imporre sanzioni a chi lo ostacola.

 
  
MPphoto
 
 

  Howitt (PSE). – (EN) Signor Presidente, di recente sono stato in Bosnia ed Erzegovina e ho visto il positivo avvio di EUFOR, la missione di mantenimento della pace dell’Unione europea.

Permangono ancora forti rancori tra i gruppi bosniaci, serbi e croati del paese. Nonostante ben 10 000 persone siano implicate in crimini di guerra, solo 34 sono state incriminate pubblicamente. Non sarà possibile intraprendere la via all’integrazione europea sino a quando non sarà garantito il rispetto delle norme comunitarie in materia di giustizia. Per questo è giusto che, oggi, il Parlamento europeo insista sulla piena cooperazione con il TPIJ da parte della Bosnia ed Erzegovina, della Croazia e della Serbia.

Attualmente gli investimenti europei pro capite in Kosovo sono, in termini di finanziamenti, 25 volte e, in termini di truppe, 50 volte maggiori rispetto a quelli in Afghanistan. E’ nell’interesse economico e politico dell’UE integrare i Balcani occidentali, il cui destino storico risiede in Europa.

La prospettiva dell’allargamento comunitario ha contribuito alla trasformazione dei paesi dell’Europa orientale. Dobbiamo sperare e fare il possibile affinché lo stesso avvenga per i paesi dell’Europa sudorientale, di modo che anch’essi possano unirsi a noi in questo Parlamento e nella nostra Unione.

 
  
MPphoto
 
 

  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Desidero innanzi tutto congratularmi con il Parlamento per avere proposto lo svolgimento di questo dibattito. Effettivamente, come io stesso e il Commissario abbiamo sottolineato, la situazione nei Balcani occidentali è di interesse capitale per l’Unione europea. Di fatto, non esistono grandi alternative alla prospettiva europea.

Tale prospettiva è l’unico strumento a nostra disposizione per convincere questi paesi a cambiare, ad attuare riforme, a trovare la strada verso l’Europa – il che significa, in primis, la strada verso i valori europei – e a trovare la strada della riconciliazione. Non è assurdo dir loro di trovare la via della riconciliazione, perché noi stessi ne abbiamo dato un esempio sessanta anni fa.

Credo che la “stanchezza nei confronti dell’allargamento” sia un dato di fatto, e che i cittadini si stiano interrogando su questa costante tendenza all’allargamento e alle nuove adesioni. Tuttavia, occorre spiegare che è nel nostro interesse garantire la pace, la stabilità e lo sviluppo economico di questa regione.

Qualcuno ha citato i tassi record di disoccupazione endemica in Kosovo e in Bosnia. Ci troviamo di fronte a una situazione che sembra, a prima vista, impossibile da risolvere. Perché c’è disoccupazione? C’è disoccupazione perché non c’è sviluppo economico; non c’è sviluppo economico perché non ci sono investimenti privati; non ci sono investimenti privati perché non c’è fiducia, né sicurezza: nessuno vuole investire in una regione il cui futuro e sviluppo sono incerti.

Abbiamo quindi una missione fondamentale: consolidare la sicurezza, portare la sicurezza, convincere queste popolazioni che il loro futuro risiede nella sicurezza, nella riconciliazione e nel rispetto dei diritti delle minoranze. A mio avviso, solo in questo modo potremo innescare una dinamica positiva che è, innanzi tutto, una dinamica economica. Senza il rilancio economico della regione, infatti, non avremo una pace veramente stabile. E’ una missione importante per l’Unione europea. Ringrazio ancora una volta l’Assemblea per avere constatato e ricordato quanto fosse urgente agire in questa regione in tutti i modi citati e descritti in questa sede.

Per concludere, concordo sull’esistenza di una minaccia di estremismo. In Europa abbiamo un possibile focolare di estremismo radicale, soprattutto di estremismo islamico. Anche in questo senso occorre prevenire, e l’unica prevenzione possibile è il dialogo: dobbiamo dimostrare che questa parte dell’Europa appartiene all’Europa, che essa condivide i valori europei pur accogliendo persone di fede musulmana. Ritengo, quindi, che oggi si stia lanciando un segnale importante, che dovremo continuare a lanciare negli anni futuri.

 
  
MPphoto
 
 

  Rehn, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, mi unisco al Ministro Schmit nel congratularmi con il Parlamento per avere proposto lo svolgimento di questo dibattito. E’ molto importante che la discussione avvenga in questo momento critico, di modo che i Balcani occidentali continuino a essere un tema prioritario per l’Unione europea e la comunità internazionale, chiamate entrambe ad affrontare molte altre questioni. E’ fondamentale, quindi, discutere dei Balcani occidentali e cercare di migliorare le nostre politiche nella regione.

Uno dei punti sollevati nel dibattito da numerosi oratori riguarda la stanchezza nei confronti dell’allargamento che, credo, sia un problema molto serio. Dobbiamo portare i popoli dell’Unione europea sulla strada dell’allargamento. I prossimi passi, quindi, devono essere graduali, gestiti con attenzione e con prudenza. E’ altresì importante sottolineare che l’allargamento rappresenta, di per sé, una politica di sicurezza. Le riforme politiche e giuridiche, così come lo sviluppo economico stimolato dalla prospettiva comunitaria, ridurranno l’instabilità e i conflitti, ad esempio nei Balcani occidentali. Occorre stimolare il dialogo e spiegarlo ai nostri cittadini, cosicché il futuro della regione non sia pregiudicato da timori infondati.

Cercherò di rispondere a due domande poste in questa sede, la prima riguardante il nome dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia e la seconda inerente alla complessità costituzionale della Serbia e Montenegro. Per quanto riguarda il nome, la Commissione sostiene gli sforzi delle Nazioni Unite tesi a una soluzione reciprocamente accettabile tra Grecia ed ex Repubblica jugoslava di Macedonia.

Auspichiamo che le recenti proposte di Nimetz, mediatore dell’ONU, contribuiscano al raggiungimento dell’obiettivo. La soluzione a questa controversia bilaterale favorirebbe, ovviamente, la stabilità regionale dei Balcani occidentali in un momento delicato.

In riferimento alla Serbia e Montenegro, la Commissione ha deliberatamente sviluppato un duplice approccio in risposta alla complessa struttura dell’Unione statale di Serbia e Montenegro, che consente alle due repubbliche e all’Unione statale di compiere progressi nei rispettivi settori di competenza. L’Unione statale è principalmente responsabile della politica estera e delle questioni di sicurezza, mentre le repubbliche hanno la responsabilità di quasi tutti gli aspetti legati alla politica economica e alle relazioni commerciali. Grazie a questo duplice approccio abbiamo di recente firmato con la Serbia un accordo commerciale bilaterale nel settore tessile, che è di vitale importanza per gli investimenti e l’occupazione nel paese.

Riferiremo in merito ai progressi compiuti dalla Serbia e Montenegro con questo approccio nella relazione annuale della Commissione sul processo di stabilizzazione e di associazione del prossimo autunno. Il quadro costituzionale deve essere rispettato, senza però ostacolare i progressi del paese sulla strada verso l’integrazione europea nel caso in cui vengano soddisfatte altre condizioni di preadesione e, successivamente, di adesione.

Infine, uno dei principali problemi da affrontare nel perfezionamento delle nostre politiche sui Balcani occidentali e nell’avvicinamento di questi paesi all’Unione europea è la debolezza degli Stati di questa regione. Si tratta, perlopiù, di Stati deboli. Se uno Stato non è in grado di garantire il soddisfacimento dei bisogni fondamentali della popolazione, ovviamente non può soddisfare gli standard europei. E’ molto semplice.

Occorre quindi trovare strumenti migliori per creare istituzioni nella regione avvalendosi, ad esempio, dell’approccio sulla creazione degli Stati membri giustamente proposto dalla relazione della Commissione internazionale per i Balcani, ieri pubblicata.

Desidero ringraziare il relatore, onorevole Samuelsen, la commissione per gli affari esteri e il Parlamento, e sono molto impaziente di lavorare con voi per la stabilità, lo sviluppo e la prosperità dei Balcani occidentali.

 
  
MPphoto
 
 

  Presidente. – A conclusione della discussione, comunico di aver ricevuto una proposta di risoluzione ai sensi dell’articolo 103 Regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 12.00.

 
Note legali - Informativa sulla privacy