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Resoconto integrale delle discussioni
Mercoledì 13 aprile 2005 - Strasburgo Edizione GU

20. Politica estera / Sicurezza
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta, le seguenti relazioni:

– (A6-0062/2005), presentata dall’onorevole Brok a nome della commissione per gli affari esteri, sulla relazione annuale del Consiglio al Parlamento europeo sui principali aspetti e le scelte fondamentali di politica estera e di sicurezza comune (PESC), comprese le implicazioni finanziarie per il bilancio generale delle Comunità europee 2003 [8412/2004 – 2004/2172(INI)],

– (A6-0072/2005), presentata dall’onorevole Kuhne a nome della commissione per gli affari esteri, sulla strategia di sicurezza europea [ 2004/2167(INI)].

 
  
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  Brok (PPE-DE), relatore. – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, l’obiettivo della nostra relazione annuale è l’elaborazione di una proposta sulle possibilità di modificare o migliorare le modalità di cooperazione tra il Consiglio e il Parlamento, o tra la Commissione e il Parlamento. Questo obiettivo è particolarmente importante visto che siamo al primo anno della nuova legislatura parlamentare.

Siamo pienamente consapevoli che le responsabilità principali nel contesto della politica estera, di sicurezza e di difesa sono di competenza dell’esecutivo. Il ruolo del Parlamento in questo ambito si limita essenzialmente all’esercizio del controllo, benché i suoi poteri in materia di bilancio gli consentano di esercitare una certa influenza. Per quanto riguarda questo ultimo punto in particolare, sarebbe utile se la Commissione e il Consiglio evitassero in futuro di mettere il Parlamento davanti al fatto compiuto, coinvolgendolo invece in una fase più precoce della procedura. Il Parlamento non dovrebbe essere semplicemente informato degli eventi, ma dovrebbe invece partecipare alla programmazione e allo sviluppo delle strategie, al fine di assicurare che i suoi auspici siano presi in considerazione. Questo semplificherebbe le cose a tutte le parti interessate, poiché avremmo così identificato un approccio in grado di farci fare notevoli progressi.

Questa Assemblea ritiene che, nella politica estera, sia importante mantenere le stesse priorità applicate finora. C’è un antico detto che recita che la guerra rappresenta il fallimento della politica, ed è vero che la guerra dovrebbe sempre costituire l’ultima risorsa. Per questo motivo, pensiamo che sia essenziale rafforzare il braccio preventivo della nostra politica estera, assicurando che le capacità di prevenzione e di gestione delle crisi siano considerevolmente potenziate. Questa è altresì la linea seguita dall’Unione europea nel suo insieme, poiché la prevenzione è esplicitamente citata tra gli obiettivi nel testo del progetto di Costituzione. Dovremmo affermare con estrema chiarezza la nostra posizione in materia, non soltanto per ottenere il sostegno dei cittadini, ma anche per sviluppare posizioni strategiche.

Questo ci porta ad alcune considerazioni eminentemente pratiche su quali dovrebbero essere le priorità. La risposta deve essere il conflitto in Medio Oriente, su cui stiamo intensificando la nostra cooperazione con gli Stati Uniti, la Russia e le Nazioni Unite nell’ambito del Quartetto. L’obiettivo di questa iniziativa non è semplicemente sostenere i palestinesi e gli israeliani e realizzare la pace, ma anche acquisire un maggiore controllo sulle attività di copertura del terrorismo in senso lato, che rappresenta, in effetti, la nostra seconda priorità.

Le misure di solidarietà relative all’assistenza reciproca, contenute nel Trattato costituzionale, rivestono anch’esse una grande importanza in questo ambito, e dobbiamo chiederci come l’Unione europea possa avvalersi di una combinazione di strumenti nuovi per rispondere alle minacce alla sicurezza, sia interne che esterne, e come si possano realizzare ulteriori progressi in questo settore. Occorre assicurarsi che sia attribuita priorità alle questioni attinenti alla non proliferazione delle armi atomiche, per esempio in Iran e nella Corea del Nord, se vogliamo avere una qualche credibilità in questo settore.

Tuttavia, dobbiamo anche garantire che si dia un ruolo maggiore a questo strumento nel contesto della politica europea di vicinato, che rappresenta d’altronde un concetto di sicurezza di per sé, poiché crea dei legami tra paesi per assicurare che non si faranno mai più la guerra. Nel contempo, dobbiamo essere certi di allontanarci dal modello tradizionale di politica di vicinato che abbiamo perseguito negli ultimi anni.

La capacità di azione dell’Unione europea dipende altresì dalle sue frontiere. Occorre quindi far sì che ai nostri vicini, che noi vogliamo avere dalla nostra parte e che per noi sono importanti – e che vogliamo aiutare nello sviluppo e nel consolidamento della democrazia –, venga offerta un’alternativa all’adesione totale, che si potrà chiamare Spazio economico europeo allargato o altro.

Va trovato un punto di partenza multilaterale di questo tipo per poter dare una risposta a paesi come l’Ucraina, non tra 15 o 20 anni, ma adesso, quando ci chiedono come fare per migliorare la loro situazione. Ci auguriamo che il Consiglio e la Commissione saranno più creativi in questo ambito, e che non si limiteranno ai metodi politici provati e collaudati, come hanno spesso fatto in passato. La signora Commissario ha, in effetti, adottato un nuovo approccio, cercando di individuare un punto di partenza di questo tipo.

Ho ancora due osservazioni. Mi compiaccio che la schiacciante maggioranza dei membri di questo Parlamento sia a favore dell’embargo degli armamenti nei confronti della Cina, fino a quando il paese non migliorerà la sua condotta in materia di diritti dell’uomo e non cesserà di approvare leggi che legittimano la guerra. Bisogna trovare un accordo in questo contesto prima che le relazioni transatlantiche siano messe in pericolo.

(Applausi)

Gli approcci multilaterali, come quelli adottati nelle nostre relazioni con gli Stati Uniti, dovrebbero essere integrati da un partenariato che segua obiettivi ben definiti e che sia finalizzato a istituire un mercato transatlantico entro il 2015. Vorrei dire chiaramente ai colleghi che hanno presentato emendamenti che io sostengo le proposte avanzate da vari gruppi volte all’attribuzione all’Unione europea di un seggio presso il Consiglio di sicurezza. Lo dico in particolare in quanto cittadino tedesco.

(Applausi)

 
  
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  Kuhne (PSE), relatore. – (DE) Signor Presidente, desidero innanzi tutto presentare due scenari diversi. Nel corso della discussione in sede di commissione, l’onorevole Ilves ha chiesto che cosa avverrebbe se si verificasse un altro attentato dell’entità di quello di Madrid in uno Stato membro, e se si dovesse poi scoprire che i servizi di sicurezza di un altro Stato membro sapevano che erano in corso i preparativi dell’attentato, ma che non erano stati in grado di avvisare le autorità del paese colpito. Con ogni probabilità, ciò provocherebbe una profonda crisi di legittimità nell’Unione europea.

Passo ora a un altro esempio. L’Unione europea ha assunto il comando delle truppe guidate dalla NATO in Bosnia-Erzegovina. E’ la prima volta che l’Unione europea ha l’opportunità di dimostrare di essere in grado di condurre una politica di sicurezza in questa zona, nonché di acquisire esperienza pratica in materia. Alla luce delle discussioni con i cittadini della mia circoscrizione, so che molti ritengono che l’Unione europea riuscirà a tenersi fuori dai guai se manterrà al minimo il suo coinvolgimento nelle questioni esterne.

Questo tipo di atteggiamento può rivelarsi profondamente errato. L’Unione europea, in realtà, ha bisogno di una strategia in materia di sicurezza. E’ per questo motivo che la grande maggioranza dei membri della commissione si è rallegrata del documento elaborato da Javier Solana nel corso del suo mandato, su cui la commissione ha continuato a lavorare. Siamo altresì soddisfatti del sostegno che i governi degli Stati membri hanno dato al documento.

Sussistono, tuttavia, alcune questioni che meritano un’attenzione particolare, poiché rivelano la natura unica della strategia europea in materia di sicurezza. La prima di queste è la necessità di inserire in un contesto ampio i problemi attinenti alla sicurezza e le loro molteplici cause possibili, tra cui le violazioni dei diritti umani, la povertà e le malattie, evitando di ridurre la strategia ai soli aspetti militari. La strategia di sicurezza rappresenta essenzialmente un concetto politico, che trascende quindi le considerazioni militari.

La seconda questione è la necessità di un impegno verso il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite.

La terza questione riguarda la necessità di rafforzare l’ordine internazionale tramite strutture multilaterali efficaci e di salvaguardare i diritti fondamentali dei cittadini all’interno dell’Unione europea, pur prendendo tutte le misure necessarie per contrastare le minacce terroristiche.

In considerazione di questi fattori, non dovremmo vergognarci a dire che l’Unione europea aspira, effettivamente, ad acquisire strutture e capacità decisionali militari. Il maggiore vantaggio della strategia di sicurezza è che ci consente di attingere a una combinazione di capacità civili e militari di gestione delle crisi, modulandole in funzione di ciascuna situazione.

In seno alla commissione, due campi profondamente divergenti si sono opposti a questo approccio: alcuni membri ritengono impossibile una visione dell’Unione europea come qualcosa di diverso rispetto a una filiale della NATO, mentre altri condannano la militarizzazione sotto forma di nuove modalità e capacità organizzative. Questi campi rappresentano due estremità opposte, ma hanno in comune il fatto che usano le loro argomentazioni per opporsi e fare una campagna contro la Costituzione europea.

Nonostante questa opposizione, è stato tuttavia raggiunto un ampio consenso in seno alla commissione a favore della strategia di sicurezza, che comporta l’istituzione di vari strumenti, come un centro di situazione, una cellula di programmazione civile-militare, i gruppi tattici e l’Agenzia di difesa. Non si tratta di alternative alla NATO, e infatti la maggior parte degli Stati membri aderiscono anche alla NATO. In realtà, questi strumenti forniscono all’Unione europea nuove prospettive che non aveva in passato. Soltanto in questo modo potrà diventare un partner di pari livello, rispetto per esempio ai paesi dell’altra sponda dell’Atlantico come gli Stati Uniti.

In ogni caso, rimane ancora molto da fare. Per esempio, non abbiamo ancora un piano coerente di organizzazione delle forze di gestione delle crisi civili. Mancano capacità permanenti di trasporto aereo e truppe costantemente disponibili e dispiegabili, nonché adeguate capacità di comunicazione e di ricognizione. Anche alla luce di quanto affermato dall’onorevole Brok nel suo intervento introduttivo, l’obiettivo di questa relazione è assicurare che il Parlamento europeo sia in grado di esercitare la sua influenza sullo sviluppo futuro e sull’attuazione pratica della strategia europea di sicurezza nel quadro del dialogo con il Consiglio.

(Applausi)

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare e congratularmi con il Parlamento, e in particolare con i due relatori, per il lavoro svolto e per l’approccio ambizioso, ma realista, che hanno adottato in queste due relazioni.

Da qualche parte si citano due cifre, ossia 60 per cento e il 70 per cento del sostegno accordato dai cittadini, rispettivamente, alla politica estera comune e alla politica di difesa comune. Si tratta probabilmente di uno degli ambiti che godono di maggior sostegno da parte dell’opinione pubblica. Voi rappresentate i cittadini europei, e questa politica può essere perseguita soltanto insieme ai cittadini, ossia con il vostro appoggio, in un contesto di dialogo, come ha appena affermato il relatore, l’onorevole Kuhne.

Il Consiglio europeo ha approvato la strategia di sicurezza europea l’11 dicembre 2003. I quindici mesi che sono trascorsi da allora non ci permettono, ovviamente, di fare un bilancio completo ed esaustivo della sua attuazione, ma sono sufficienti per valutare l’impatto che la strategia ha già avuto e per discutere in merito alla direzione da seguire per la sua applicazione futura.

Il 2004 è stato cruciale per lo sviluppo politico dell’Unione, le cui ambizioni e responsabilità nel mondo diventano sempre maggiori. I cittadini dell’Unione, così come i partner internazionali, hanno inoltre richiesto che l’Europa rafforzi la sua presenza sulla scena internazionale. L’Unione ha risposto a questo appello cercando di attuare una politica estera più attiva, coerente ed efficace, ispirandosi in particolare ai principi della Carta della Nazioni Unite.

L’Unione europea è un attore mondiale basato su realizzazioni politiche, economiche e di altra natura. Il fatto che il “modello europeo”, di cui si parla molto nel contesto della Costituzione europea, sia molto apprezzato in tutto il mondo è motivo di soddisfazione per noi europei, ma dovrebbe essere altresì uno stimolo forte per fare di più.

La strategia di sicurezza europea traccia una sorta di linea direttrice dello svolgimento quotidiano della politica estera e di sicurezza comune, definendo le sfide e le minacce che dobbiamo affrontare e gli strumenti da utilizzare per risolvere i problemi.

Si è parlato di lotta contro il terrorismo, che rappresenta indubbiamente uno dei problemi fondamentali. Abbiamo predisposto vari meccanismi e rafforzato la collaborazione con Europol e Eurojust. La lotta contro il terrorismo dimostra chiaramente che la nozione di sicurezza non comporta soltanto una dimensione di politica estera e una dimensione militare, ma è molto più estesa, in quanto abbraccia anche lo sviluppo, la difesa e la promozione dei diritti umani. Vi è anche, naturalmente, la questione della soluzione dei grandi conflitti mondiali, in particolare quello in Medio Oriente, senza trascurare la presenza nelle regioni già citate, come la Bosnia-Erzegovina e il resto dei Balcani occidentali.

Alla luce delle principali minacce individuate nella strategia, il Consiglio europeo ha approvato, nel dicembre 2003, una strategia europea contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa, che rappresenta una misura complementare. Ecco un altro settore in cui l’Europa ha dimostrato di sapere agire, in particolare a proposito dell’Iran. Credo che abbiamo fatto un passo importante nella ricerca di soluzioni politiche a questioni estremamente delicate e pericolose per la pace internazionale.

La strategia di sicurezza europea poggia sull’idea secondo cui la maggior parte dei problemi possono essere risolti soltanto in un quadro multilaterale. Concordiamo con i relatori anche su questo punto. L’Unione europea deve evidentemente perseguire i suoi obiettivi in questo contesto multilaterale, in collaborazione con tutti gli attori, soprattutto con l’ONU. L’Unione europea ha quindi interesse a rafforzare le Nazioni Unite e il sistema multilaterale. Occorre sostenere gli sforzi del Segretariato generale volti ad ammodernare e a rendere più efficace il sistema delle Nazioni Unite. La riforma dell’ONU costituisce effettivamente un aspetto molto importante della politica di sicurezza e della politica estera dell’Unione europea. Mi congratulo con il relatore, onorevole Brok, per le sue osservazioni in merito, in particolare su questo punto specifico.

Mi limito a menzionare brevemente l’importanza del partenariato transatlantico, visto che solo qualche settimana fa si è tenuto un dibattito qui al Parlamento proprio su questo argomento. Il partenariato è stato rilanciato, in particolare dopo la visita del Presidente Bush a Bruxelles, e occorre assicurare che questo impeto si mantenga. Abbiamo numerosi, anzi numerosissimi interessi comuni. Abbiamo anche molte occasioni per intensificare la cooperazione, ma ponendoci su un piano di uguaglianza. Insieme agli americani possiamo trovare soluzione a grandi problemi, e soprattutto, come è stato già detto, al problema principale: il conflitto in Medio Oriente.

L’Unione europea si adopera inoltre per rafforzare la cooperazione economica, politica e culturale, non soltanto con i maggiori partner tradizionali, come gli Stati Uniti e il Canada, ma anche con altri paesi come la Russia e il Giappone. Credo che la cooperazione con la Russia, benché non priva di problemi, sia importante per l’Unione europea al fine di assicurare la stabilità e la pace sul nostro continente. Ciò detto, ci sono altri nuovi attori sulla scena mondiale: Cina, India, Brasile, Sudafrica. Vi sono altresì attori regionali, come l’Unione africana, con la quale abbiamo tenuto qualche giorno fa una discussione per rafforzare, come ha detto la Commissione, la nostra politica nei confronti dell’Africa e promuovere la pace e lo sviluppo – due fattori intimamente connessi – in questo continente molto vicino all’Unione europea.

La strategia è altresì volta a promuovere le relazioni con altri vicini a est e a sud. Abbiamo appena tenuto il dibattito sui Balcani. Il partenariato euromediterraneo e la politica europea di vicinato rivestono un’importanza fondamentale per favorire la stabilità nei paesi interessati, ma anche per servire i nostri interessi economici e politici. Ricordo perfettamente quello che è stato detto. Non è sufficiente chiudere gli occhi per evitare di essere contagiati dai problemi. I problemi in cui si dibattono questi paesi diventano ben presto problemi nostri, che assumono la forma di immigrazione selvaggia e illegale, o di terrorismo o minacce di terrorismo.

L’importanza dei diritti umani in un’ottica di sicurezza è un altro elemento essenziale per risolvere i conflitti. Questo aspetto è stato messo particolarmente in risalto dall’ultima relazione del Segretario generale delle Nazioni Unite. Senza rispetto dei diritti umani non c’è né sviluppo né pace. E’ in questo spirito che l’Alto rappresentante ha recentemente designato un rappresentante personale per i diritti umani, al fine di migliorare la coerenza e l’efficacia della nostra politica in materia nel contesto della PESC.

Per quanto riguarda l’aspetto più militare, la strategia suggerisce che l’Unione europea deve diventare più operativa nei vari settori in cui ha un ruolo da svolgere. Dobbiamo dare soluzione ai conflitti, dobbiamo agire, essere più proattivi nel mantenimento e nel ripristino della pace, assicurando una maggiore coerenza tra gli aspetti civili e militari. Dobbiamo soprattutto avere un approccio basato sulla prevenzione dei conflitti. In questo contesto, è importante che ci siano, attualmente, 7 000 soldati europei dispiegati sotto la bandiera dell’Unione europea con il compito di salvaguardare la pace e di favorire il processo di riforma e di riconciliazione. Ne abbiamo parlato in particolare in merito ai Balcani, ma l’Unione europea ha altresì preso in carico importanti operazioni militari in altre zone geografiche, nel sud del Caucaso, in Africa e in Afghanistan.

Sono stati realizzati considerevoli progressi nel campo delle capacità militari. E’ stato creato il primo di tredici gruppi tattici nel quadro della forza europea di intervento rapido. L’Unione europea ha inoltre costituito l’Agenzia europea per la difesa al fine di razionalizzare i costi legati agli acquisti in materia di difesa e aumentare la qualità e la quantità delle capacità militari di cui possono disporre gli Stati europei. La cooperazione civile-militare è stata portata ad un grado operativo più elevato, grazie soprattutto alla creazione di una cellula civile-militare. Tutte queste misure dovrebbero consentire all’Unione di incrementare le sue capacità di gestione delle crisi e di fronteggiare con successo le complesse questioni di sicurezza del XXI secolo. E’ stata sottolineata, in particolare, la cooperazione con la NATO. Credo che si debba pensare a uno sviluppo delle disposizioni di “Berlino più” in uno spirito di collaborazione, e non di sottomissione. Ritengo che, anche in questo caso, il ruolo dell’Unione europea sia molto rilevante.

Si sono quindi incrementate la coerenza e le capacità operative della politica estera e di sicurezza europea, ma non possiamo permetterci di rallentare gli sforzi. Occorre un sostegno istituzionale, impegni chiari, segnatamente per quanto attiene alla solidarietà di fronte alle minacce potenziali, e una maggiore visibilità dell’Unione europea sulla scena internazionale. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, penso che la futura Costituzione, anche in questo caso, comporterà progressi importanti in termini di sviluppo della PESC e della politica esterna in materia di sicurezza. L’istituzione di un ministro degli Esteri dell’Unione europea costituisce un’innovazione considerevole, che conferirà maggiore coerenza alle relazioni esterne dell’Unione. Il fatto che sia destinato a presiedere il Consiglio RELEX assicurerà la coerenza a cui noi tutti teniamo, garantendo così maggiore visibilità e continuità.

Vi è un altro aspetto rilevante, che sta molto a cuore all’onorevole Brok e ad altri, che mi limiterò a menzionare: la creazione del servizio europeo per l’azione esterna, le cui modalità pratiche sono tuttora in discussione.

La Presidenza lussemburghese è molto attenta ai progressi realizzati nell’istituzione di questo servizio europeo per l’azione esterna, nonché al parere del Parlamento in materia. Non vogliamo che la creazione di questo servizio smantelli surrettiziamente certi meccanismi comunitari, privilegiando la via intergovernativa.

Questo servizio è stato concepito per segnare un importante progresso nell’elaborazione e nell’attuazione della politica estera, rafforzandone in particolare l’efficacia e la coerenza, nonché promuovendo una maggiore presenza dell’Unione europea e un migliore utilizzo di tutte le risorse disponibili. Vogliamo che le regole istituzionali e le varie attribuzioni siano rispettate. Occorre coinvolgere maggiormente le diplomazie nazionali. Bisogna, in certa misura, europeizzarle di più, senza tuttavia giungere a una sorta di rinazionalizzazione o di riduzione al metodo intergovernativo di ciò che, attualmente, non segue le regole comunitarie. Sono queste le linee che seguiamo nell’istituzione di questo servizio.

Un’ultima parola sull’aspetto informativo. Sono certo che l’attuale Presidenza, come quelle che l’hanno preceduta, desidera mantenere un dialogo con il Parlamento europeo sulle grandi opzioni e sulle scadenze importanti in materia di politica estera. Noi teniamo a questo dialogo, che è importante, come ho già detto all’inizio del mio intervento. A nome dell’attuale Presidenza, mi impegno a continuare gli sforzi in tal senso e a tenere i contatti e gli incontri che voi riterrete utili per conseguire una politica estera e di sicurezza coerente, che sia realmente sostenuta da tutti gli attori e da tutte le Istituzioni comunitarie.

(Applausi)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MAURO
Vicepresidente

 
  
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  Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, signori relatori, innanzi tutto desidero ringraziarvi vivamente per le vostre relazioni incisive ed equilibrate, e pressoché irreprensibili in fatto di chiarezza.

Vorrei trattare tre aspetti specifici che rafforzano il ruolo internazionale dell’Europa. Uno di questi è un reale multilateralismo, che ritengo sia indubbiamente la risposta giusta all’ulteriore rafforzamento delle nostre relazioni internazionali. Il 2005 sarà decisivo in termini di riforma e di rafforzamento del multilateralismo, del diritto internazionale e, in particolare, della Nazioni Unite. Nel corso del Vertice dell’ONU che si terrà in settembre, il Segretario generale Kofi Annan presenterà l’ultima relazione, che servirà da base a decisioni essenziali in questo settore.

Ritengo essenziale che l’Europa dia il suo contributo a questo dibattito sulla riforma: si tratta di un settore in cui ricopre un ruolo di leadership che va effettivamente svolto. E’ per questo motivo che la Commissione si sta adoperando per produrre proposte dettagliate sulle questioni cui ho fatto riferimento. Come saprete, sto esercitando pressioni affinché all’Unione europea sia assegnato un seggio al Consiglio di sicurezza dell’ONU. Le modalità pratiche sono in corso di discussione, ma ciò che conta è che l’Unione europea svolga il ruolo che le compete in seno ai principali organismi internazionali.

Come ha appena affermato il Ministro Schmit, il multilateralismo può essere efficace soltanto se basato su un forte partenariato transatlantico. Si possono trovare soluzioni efficaci ai problemi del mondo solo se gli Stati Uniti d’America e l’Europa sono in sintonia. La visita del Presidente Bush a Bruxelles ha dimostrato chiaramente che gli Stati Uniti sono pienamente consapevoli del ruolo sempre più rilevante ed esteso svolto dall’Unione europea.

Le nostre strutture comuni devono essere in grado di gestire questa Agenda sempre più ampia, pur rimanendo flessibili. La Commissione sta attualmente esaminando se, e in che misura, le nostre Istituzioni devono emendare la nuova Agenda transatlantica. Ciò che emergerà dalle nostre decisioni rappresenterà un contributo al Vertice EU-US di giugno. Ritengo, al pari di altri membri e gruppi di questa Assemblea, che sia necessario rafforzare le relazioni tra il Congresso degli Stati Uniti e il Parlamento europeo a tal fine.

La relazione sottolinea giustamente che la politica estera dell’Europa poggia già su un concetto esaustivo di sicurezza. Penso che per garantire la sicurezza dell’Europa non ci si possa limitare alle operazioni militari o di difesa. Oggi, in particolare, tale sicurezza ha a che fare con la prevenzione dei conflitti, la gestione delle crisi civili e le politiche comuni su commercio, economia, energia, giustizia, sanità e ambiente.

La strategia europea di sicurezza tiene già conto di queste complesse minacce potenziali. La Commissione offre un prezioso contributo alla sua attuazione e nelle relazioni quotidiane con i paesi terzi. Più recentemente, ha inoltre assicurato il suo apporto attraverso varie comunicazioni, non soltanto su questioni quali la lotta al terrorismo e il miglioramento della protezione civile, ma anche sulla riforma della politica di sviluppo, su cui la Commissione ha presentato ieri un’importante comunicazione.

Sono certa che un concetto di sicurezza più ampio debba, in ultima analisi, concentrarsi sulla sicurezza dei cittadini, che è stata una tematica costante nel mio lavoro. Al di là dei rischi strutturali per la sicurezza, si commettono spesso reati contro la libertà e la dignità degli individui. Per ricapitolare, le azioni riprese nella strategia di sicurezza relative a iniziative quali la non proliferazione delle armi di distruzione di massa o la difesa contro il terrorismo, nonché il modo in cui affrontiamo gli Stati in crisi e i conflitti regionali, possono essere efficaci soltanto se sono integrati in una politica più ampia di prevenzione e di soluzione dei conflitti. Un esempio è l’Afghanistan, e speriamo che l’Iraq possa rappresentare un giorno una dimostrazione dei frutti che può dare questo approccio.

E’ qui che la preziosa raccolta di strumenti dell’Unione europea le conferisce un vantaggio comparativo. Tuttavia, se vogliamo essere efficienti, dobbiamo usare tutti gli strumenti – civili, militari e settoriali – in modo coerente. Occorre elaborare piani a lungo termine per le aree di crisi, utilizzando in modo mirato tutti gli strumenti comunitari: non soltanto l’aiuto esterno, ma anche la prospettiva di una cooperazione più stretta con l’Unione europea. Oltre a ciò, c’è l’assistenza che assicuriamo ai fini della non proliferazione nucleare sotto forma, per esempio, degli enormi importi di aiuto che l’Unione europea ha stanziato per la sicurezza nucleare e la non proliferazione sin dall’inizio degli anni ’90, per non parlare del nostro impegno nella lotta contro il terrorismo, la diffusione delle armi di piccolo calibro e delle mine terrestri, e la droga.

Precedentemente ho menzionato un altro strumento chiave ai fini dell’attuazione della strategia europea di sicurezza, ossia la nostra politica di sostegno allo sviluppo, naturalmente. Anche in questo caso, stiamo cercando di compiere progressi, tenendo altresì conto degli obiettivi del millennio, poiché anche in questo settore l’Europa deve fare da battistrada, come ho già avuto modo di dire.

Consentitemi ora di richiamare la vostra attenzione sulle future proposte della Commissione in materia di riforma della gestione delle crisi e della protezione civile in Europa, che saranno presentate la prossima settimana in una comunicazione al Consiglio e al Parlamento e che naturalmente avrete modo di discutere nel dettaglio. Colgo inoltre questa opportunità per ringraziare il Parlamento del suo sostegno al programma europeo di ricerca in materia di sicurezza, che è oggetto di una stretta collaborazione tra la Commissione e l’Agenzia europea per la difesa.

Desidero altresì sottolineare l’importanza che attribuisco alla proposta del Parlamento di tenere un dibattito regolare sulla strategia di sicurezza con il coinvolgimento dei parlamenti degli Stati membri. E’ corretto citare la democrazia e lo Stato di diritto come valori essenziali su cui poggia l’Europa, e quindi come parti integranti della nostra politica estera.

L’Unione europea, tuttavia, può essere forte sulla scena internazionale soltanto se le sue azioni sono veramente coerenti. Di conseguenza, perché l’Europa sia in grado di affrontare le nuove sfide, non basta una politica estera e di sicurezza comune in senso stretto. La politica estera e di sicurezza comune è solo uno dei tanti strumenti di cui dispone l’UE sul piano della politica estera, uno strumento che integra le altre politiche europee. Il successo di questo approccio di ampio respiro trova dimostrazione, a mio parere, nella politica europea di vicinato, che illustra una delle priorità che mi stanno particolarmente a cuore: l’esportazione della sicurezza, della stabilità e della prosperità verso i nostri vicini e il sostegno alle riforme strutturali. Si tratta di iniziative che comprendono chiaramente una dimensione di politica di sicurezza. La politica europea di vicinato è decisamente assimilabile alla politica europea in materia di sviluppo in quanto si tratta di politiche di sicurezza regionali intelligenti e a lungo termine.

Abbiamo già avviato l’attuazione di questi strumenti al fine di rafforzare gradualmente le relazioni con i nostri partner, in particolare tramite circostanziati piani d’azione congiunta che offrono loro chiare prospettive di avvicinamento all’Europa. Ho sempre attribuito grande importanza all’esplicito sostegno del Parlamento alla politica di vicinato, e attendo quindi con interesse di poter esaminare la relazione dell’onorevole Laschet.

La politica europea di vicinato potrebbe essere descritta – e seguirò questo approccio – come la nostra politica di sicurezza su scala regionale. Contribuisce alla promozione della stabilità e delle riforme in regioni con un’influenza geopolitica cruciale tramite l’associazione a lungo termine con l’Unione europea e attività specifiche congiunte, come la cooperazione nella lotta al terrorismo. Per questo motivo, tale politica rappresenta uno strumento essenziale nell’attuazione della strategia europea di sicurezza. Abbiamo già concluso piani d’azione dettagliati e ambiziosi con sette paesi partner, tra cui l’Ucraina, e ve ne sono altri cinque in fase di definizione.

In conclusione, vorrei rilevare che la relazione sottolinea la necessità di realizzare riforme istituzionali, sostenute fermamente anche dalla Commissione. A questo proposito, il nuovo Trattato costituzionale imprimerà un cambiamento fondamentale e positivo. Attendo quindi con interesse le vostre proposte dettagliate, di cui terrò conto. Ci prepariamo da tempo all’attuazione del Trattato, affinché possa divenire operativo subito dopo quella che ci auguriamo sia una ratifica senza intoppi. A tale obiettivo contribuirà anche l’istituzione del Servizio esteri europeo, su cui il Consiglio e la Commissione stanno tenendo approfondite discussioni. Queste sono riforme realmente importanti. E’ indispensabile rendere ancora più efficace la collaborazione tra le Istituzioni comunitarie.

La relazione dell’onorevole Kuhne sottolinea giustamente l’evidente necessità di dotare l’Unione delle risorse finanziarie di cui ha bisogno in quanto attore sulla scena internazionale. Per questo motivo, anch’io sono convinta che troveremo quanto prima un accordo sulla riforma degli strumenti di aiuto estero proposta dalla Commissione. Nel contempo, tuttavia, è chiaro che le riforme e una migliore dotazione finanziaria non possono sostituire la volontà politica necessaria. Ne consegue che l’Europa deve pensare a se stessa ancora di più come attore globale. In quanto forum di discussione ampio, trasparente e democratico, questa Assemblea svolge un ruolo fondamentale nell’articolazione di tale volontà politica.

(Applausi)

 
  
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  Lambrinidis (PSE), relatore per parere della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni. – (EL) Signor Presidente, in qualità di relatore per parere della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni sulla relazione Kuhne, colgo l’occasione per congratularmi vivamente con il relatore per l’arduo processo attraverso cui è passato al fine di giungere a un compromesso tra le varie posizioni in questo testo incisivo ed eccellente.

Desidero trattare quattro punti. La politica di sicurezza, nella sua attuale configurazione, non si concentra – giustamente – sui mezzi militari, ma su strumenti di altra natura cui l’Unione europea può attingere per promuovere la lotta contro tutte le cause di insicurezza in Europa. Una di queste è il terrorismo, ma non è l’unica. Dobbiamo essere molto cauti nell’elaborare questa strategia, per evitare di concentrarci sul pericolo più attuale trascurando tutti gli altri. In questo contesto, è molto importante rispettare i diritti umani quando ci si muove all’estero. L’Unione europea non può tollerare fenomeni tipo Guantánamo. Mi preme sottolineare questo concetto, perché neanche gli Stati Uniti avrebbero immaginato qualche anno fa che tali fenomeni avrebbero potuto verificarsi, e invece sappiamo tutti quello che sta accadendo. Sarebbe meglio premere sul freno sin d’ora, invece di affrontare il problema successivamente, senza la necessaria preparazione.

La mia seconda osservazione è che, in quanto europei, dobbiamo promuovere la democrazia. Sia il relatore che la Commissione hanno giustamente rilevato che la promozione della democrazia in Europa assume forme diverse rispetto a quanto viene fatto dalle altre grandi potenze del pianeta. Continuiamo così, sempre al fianco della Nazioni Unite. Non possiamo agire al di fuori di quel contesto.

La mia terza osservazione è che il Parlamento deve essere tenuto informato e deve discutere delle questioni di politica estera. Non possiamo accettare di essere ignorati nelle procedure che riguardano i diritti fondamentali, come i famosi PNR, cioè i dati forniti agli Stati Uniti presumibilmente per contrastare il terrorismo. Il Parlamento ha avviato una procedura contro la Commissione in materia, e spero che vincerà la causa.

Il mio quarto e ultimo punto riguarda il famoso SITCEN, che è un servizio importante. La mia commissione non sa esattamente come agisce, quali siano i confini delle sue azioni e come raccolga le informazioni, ma i dati e la raccolta di informazioni personali sono questioni sensibili agli occhi del Parlamento, a prescindere dal fatto che se ne occupi il SITCEN o qualcun altro. I principi della disponibilità e dello scambio delle informazioni sono attualmente in discussione in seno alla mia commissione, che non ha ancora preso una decisione. Mi congratulo con l’onorevole Kuhne per l’importanza che attribuisce nella sua relazione alla cooperazione tra le nostre commissioni. La necessità di contrastare il terrorismo non giustifica qualsiasi mezzo. Dobbiamo tenerne seriamente conto in quest’Aula e in questo Parlamento.

 
  
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  von Wogau, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, innanzi tutto vorrei ringraziare vivamente l’onorevole Kuhne per la sua ampia relazione. Ritengo che sia estremamente importante che la linea del Parlamento sulla strategia di sicurezza sia sostenuta dalle quattro principali famiglie politiche di questo Parlamento: i Verdi, i socialdemocratici, i liberali e il gruppo a cui appartengo. Ci troviamo quindi in una situazione impensabile 10 anni fa.

La relazione esamina la strategia in materia di sicurezza definita da Javier Solana, e questo Parlamento ne condivide la visione in merito alle minacce. Le minacce principali sono indubbiamente il terrorismo, le armi di distruzione di massa e i conflitti tra i nostri vicini, che hanno un impatto diretto sull’Unione europea e sui suoi cittadini sotto forma di ondate di profughi. Secondo me e molti altri, dall’analisi di Solana manca la sicurezza del territorio, che generalmente rappresenta il fulcro di qualsiasi politica di difesa. Se consideriamo quanta attenzione prestano gli Stati Uniti alla sicurezza interna e quanto poco si senta parlare dell’argomento nell’Unione europea, ci rendiamo conto che c’è una carenza che va colmata.

E’ altresì necessario integrare le conclusioni raggiunte con le azioni da intraprendere. Poiché le conclusioni presentate da questa relazione non possono essere tradotte in azioni pratiche, ritengo che ora vada elaborato un Libro bianco sulla politica europea di sicurezza e di difesa che contenga disposizioni chiare sul merito e sull’orizzonte temporale. Mi riferisco a indicazioni molto più precise di quelle che abbiamo avuto finora.

E’ importante che le forze di intervento in caso di crisi, molto virtuali al momento della loro istituzione nel 1999, siano ora divenute realmente attive in Macedonia, in Congo e in Bosnia-Erzegovina. Mi sono recato nella regione in visita con la sottocommissione per la difesa e quando, per la prima volta, un generale britannico, con l’emblema europeo a stelle sulla spallina, si è presentato come soldato europeo, mi sono reso conto che era avvenuto qualcosa che sarebbe entrato nella storia. Lei, Ministro Schmit, può citare solo incidentalmente le “truppe europee” o le “forze dell’Unione europea”, ma è indubbio che stiamo assistendo a uno sviluppo di portata storica.

L’approccio generale basato sull’idea di non concentrarsi esclusivamente sull’azione militare sta mostrando la sua efficacia in Macedonia. La forza dell’Unione europea risiede nel versante civile del mantenimento della pace, sul quale siamo più attivi degli Stati Uniti. D’altro lato – come abbiamo visto nell’improvvisa emergenza dovuta ai disordini nel Kosovo – è estremamente importante che non si perda di vista il fatto che le nostre forze devono continuare a mantenere le loro capacità di intervento e di intraprendere azioni energiche, se necessario, per proteggere le minoranze. Questi sono due dei compiti, ugualmente importanti e difficili, che le nostre forze devono svolgere nella zona.

Nel corso della nostra visita in Bosnia-Erzegovina abbiamo compreso, tra le altre cose, che le truppe da combattimento attualmente mobilitate, alcune delle quali, ci auguriamo, saranno quanto prima in grado di condurre interventi e dispiegamenti a breve termine, devono essere dotate dei migliori equipaggiamenti. Sono forze chiamate ad intraprendere azioni di mantenimento della pace, ma a prescindere dalla natura delle loro missioni, siano esse di pace o di combattimento, l’equipaggiamento estremamente eterogeneo di cui dispongono rappresenterà senz’altro uno svantaggio. Chiediamo che quelli che chiamiamo gruppi tattici europei, in fase di costituzione, siano equipaggiati nel modo più uniforme possibile, che ricevano per primi gli equipaggiamenti più recenti, e al più presto. Questo punto deve divenire una priorità. Come ci è stato detto durante la nostra visita, sono altresì necessari elicotteri per sorvegliare vaste zone, nonché veicoli a prova di mina. Ci hanno detto che non si riuscirà a liberare la Bosnia-Erzegovina dalle mine prima del 2010. Le operazioni di sminamento stanno procedendo con eccessiva lentezza. Occorre attribuire priorità finanziaria anche a queste operazioni nel contesto del nostro lavoro.

 
  
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  Wiersma, a nome del gruppo PSE. (NL) Oggi è in esame la relazione sulle azioni esterne intraprese dall’Unione europea nel 2003. Approvo in particolare che il relatore, l’onorevole Brok, abbia sottolineato che il coinvolgimento del Parlamento europeo non dovrebbe limitarsi a una discussione a fatti compiuti. Mi prendo quindi la libertà di considerare nello specifico alcune questioni che sono state all’ordine del giorno nell’ultimo anno, guardando al futuro. Lo sviluppo della strategia europea di sicurezza, anch’essa oggetto di discussione nella seduta odierna, dovrà svolgere un ruolo importante in questo ambito. La relazione dell’onorevole Kuhne, con cui desidero congratularmi, presenta un’ottima valutazione dell’impatto concreto di questa strategia di sicurezza fino ad oggi. Vorrei chiedere alla Commissione, ma anche al Consiglio e, naturalmente all’Alto rappresentante, di prendere molto sul serio queste raccomandazioni. Mi preme sottolineare due punti.

Innanzi tutto, c’è la dimensione militare. L’Europa potrà svolgere un ruolo centrale soltanto se sarà disposta e capace di intraprendere, se necessario, azioni militari. Prevenire l’aggravarsi dei conflitti fino al punto in cui occorre intervenire militarmente è e rimane la nostra prima preoccupazione, mentre, per quanto attiene all’uso vero e proprio dello strumento militare, si deve continuare a porre l’accento sull’interazione con altri strumenti: l’azione umanitaria, la garanzia dell’ordine giuridico, le strutture istituzionali, la democratizzazione e lo sviluppo economico. Nella prima missione militare europea di ampio respiro, la missione Althea in Bosnia-Erzegovina, si stanno facendo preziose esperienze di questa combinazione di capacità civili e militari. A parte gli aspetti materiali, lo sviluppo di un braccio europeo di difesa ha anche, anzi soprattutto, implicazioni politiche. L’Unione europea deve sviluppare un quadro politico che ci consenta di utilizzare i mezzi militari quando lo si ritiene necessario.

La mia seconda osservazione verte sulle interfacce tra sicurezza interna ed esterna, che sono molto importanti, in particolare nella lotta contro il terrorismo. Finora, la politica europea non ha sviluppato adeguatamente il collegamento tra queste interfacce. Il Consiglio ha giustamente chiesto all’Alto rappresentante di presentare proposte in questo ambito, e io lo esorto a coinvolgere il Parlamento in questo processo. La relazione Brok, ma anche la relazione Kuhne considerano con attenzione questo aspetto. L’attuazione della politica estera e di sicurezza comune non è sempre, purtroppo, tanto comune quanto auspicherei. Tuttavia, la mia valutazione degli ultimi anni non è del tutto negativa. L’Unione europea ha svolto un ruolo importante nella rivoluzione dell’Ucraina. La sollecita reazione della Presidenza e il buon coordinamento tra Parlamento e Consiglio, oltre all’azione dell’Alto rappresentante e dei capi di Stato della Polonia e della Lituania, hanno dato un considerevole contributo all’esito positivo di questa crisi politica.

Gli sforzi di Francia, Germania e Regno Unito in seno all’UE nel conflitto relativo al programma nucleare iraniano rappresentano, a mio parere, un buon esempio di come si possano affrontare le situazioni secondo modalità europee. Il risultato è incerto, ma l’approccio diplomatico, il modello usato nel processo, secondo noi, è molto rilevante. La base sostiene pienamente i principi essenziali della politica estera e di sicurezza comune dell’Unione: multilateralismo, coinvolgimento preventivo, approccio ampio fondato sulla centralità della democrazia e dello sviluppo economico e sociale, risoluzione dei conflitti e cessazione della proliferazione delle armi di distruzione di massa. Non si insisterà mai abbastanza, tuttavia, sulla condizione dell’azione collettiva, perché soltanto agendo collettivamente l’Europa potrà far sentire il proprio peso politico.

 
  
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  Lambsdorff, a nome del gruppo ALDE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero congratularmi con l’onorevole Kuhne per questa relazione davvero eccellente. Vorrei inoltre esprimergli la mia viva gratitudine per la franca e costante cooperazione, che ha reso possibile il raggiungimento di un ampio accordo tra i gruppi interessati in questo Parlamento.

La strategia europea in materia di sicurezza rappresenta la tabella di marcia della politica estera europea per i prossimi anni e decenni, benché contenga molte domande, oltre che buone risposte. Una politica estera e di sicurezza comune degna di questo nome può effettivamente rappresentare un obiettivo europeo, ma non è ancora una realtà europea. Questa relazione esprime il sostegno del Parlamento agli sforzi del Consiglio e della Commissione volti a superare gli atteggiamenti egoistici delle nazioni in questo settore.

La relazione è incentrata sulla tesi secondo cui i concetti tradizionali di sicurezza non sono più validi. Che cosa si intende per sicurezza interna o esterna? Quali crisi possono essere efficacemente prevenute con mezzi civili? In quale fase di un conflitto che non si è stati in grado di evitare occorre intervenire con mezzi militari, diversi quindi da quelli civili usati nelle fasi precedenti? Quando, in seguito alla fine del conflitto, si possono ritirare le truppe senza mettere a rischio la sicurezza delle persone? Di quali strumenti abbiamo bisogno per farlo?

Sono queste le domande a cui noi europei dobbiamo dare risposta. Questa relazione fornisce le risposte, ogniqualvolta è in grado di farlo, ribadendo l’importanza della cooperazione civile e militare. Per questo motivo ha il nostro sostegno e voteremo a favore.

Nelle deliberazioni in merito a questi argomenti, per il gruppo liberale è evidente che la Carta delle Nazioni Unite rimane il riferimento essenziale. Per questo è assurdo che i comunisti parlino di presunta militarizzazione dell’Unione europea. Tuttavia, alla luce della loro esperienza nel settore del potenziamento militare, devono sicuramente sapere di cosa stanno parlando.

Questa relazione rappresenta un passo intermedio; essa esplicita il fatto che, all’inizio del terzo millennio, non dobbiamo sviluppare soltanto gli strumenti della nostra politica estera, ma anche la filosofia sottostante. Proprio per questo motivo accolgo con estremo favore che la commissione per gli affari esteri e la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni abbiano ricevuto il mandato di riunirsi e di riflettere su come, in un’epoca di lotta contro il terrorismo, si possa assicurare e, se necessario, migliorare, la tutela dei diritti dei cittadini. Se dobbiamo difendere i nostri valori, dobbiamo anche trattarli con rispetto. Vorrei aggiungere che ritengo che dovremmo tenere questo dibattito a Bruxelles e non a Strasburgo.

 
  
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  Beer, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, a nome del gruppo Verde/Alleanza libera europea, cui appartengo, mi rallegro vivamente delle due relazioni e ringrazio i relatori per la cooperazione costruttiva. Vorrei sottolineare un punto della posizione comune del Consiglio.

La relazione dell’onorevole Brok è più incisiva nella sua richiesta di cooperazione attiva con il Parlamento. Non è sufficiente essere informati, in particolare a cose accadute. Lo dico prima del dibattito sulla Costituzione. La strategia europea di sicurezza non si può ridurre a una statistica. Con l’evolversi delle minacce, dovremo continuamente accertarci che non ci siano lacune – come ve ne sono attualmente nel settore civile – e individuare il momento in cui si deve cambiare rotta. Tuttavia, saremo in grado di convincere i cittadini della credibilità della politica di sicurezza europea e di comunicare loro gli aspetti positivi che saranno rafforzati dalla Costituzione soltanto se ci sarà collaborazione con il Parlamento. Se il Parlamento si opporrà, non riuscirete a conseguire questi obiettivi.

Posso assicurarvi che vi sono chiare indicazioni che dimostrano che siamo sulla giusta via, come il tentativo di tre Stati europei di trovare insieme all’Iran una soluzione pacifica al problema della proliferazione, o lo sforzo volto a rafforzare il trattato di non proliferazione delle armi nucleari. La nostra politica multilaterale dipende da queste iniziative.

La seconda di queste indicazioni è l’attuazione del diritto internazionale, cui si è già fatto riferimento. I colleghi che si oppongono alla Costituzione per la presunta militarizzazione che ne deriverebbe trascurano il fatto che il testo include la Carta dei diritti fondamentali, che diverrebbe quindi parte della politica europea estera e di sicurezza. Negano inoltre tutti i progressi realizzati, portandoci indietro a Nizza, al tipo di rinazionalizzazione cui stiamo attualmente assistendo in Germania, che crede che le verrà dato un seggio nel Consiglio di sicurezza dell’ONU, o che riuscirà, da sola, a sciogliere l’embargo alla Cina. Questa non è politica europea di sicurezza comune, bensì un ritorno a una politica che noi, nelle nostre proposte di risoluzione, non sosteniamo ma critichiamo.

Noi europei stiamo imboccando una nuova strada assumendoci responsabilità civili e militari. Il momento decisivo arriverà in Kosovo, nel prossimo futuro. Saremo in grado di utilizzare questi strumenti che, in definitiva, contribuiranno a riconciliare in certa misura le società e a stabilizzare l’Europa soltanto se anche noi – le nostre società e i nostri concittadini – seguiremo la stessa direzione verso un obiettivo di pace e di multilateralismo, grazie alla cooperazione transatlantica. E’ l’obiettivo che i cittadini si aspettano da noi. Lei, che rappresenta il Consiglio, dovrà prestare attenzione alla voce di questo Parlamento. Senza il suo appoggio, i cittadini europei non la sosterranno.

 
  
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  Agnoletto, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, trovo estremamente preoccupante e pericolosa la relazione Kuhne, perché non riconosce il primato dell’ONU e del diritto internazionale nella politica europea di sicurezza e di difesa. La relazione mette l’ONU sullo stesso piano della NATO e di altre organizzazioni e istituzioni, apre la strada all’avallo della teoria dell’intervento militare preventivo che viola il diritto internazionale e assimila gli interventi militari a quelli umanitari, relegando implicitamente gli aiuti umanitari allo sviluppo a un ruolo funzionale e subalterno alle politiche militari e di sicurezza. Afferma inoltre la complementarità fra NATO e Unione europea, ignorando il ruolo subalterno dell’Unione europea all’interno della NATO e la necessità di promuovere una politica estera europea indipendente e non aggressiva.

Infine omette di dire che solo l’applicazione del diritto internazionale, delle risoluzioni dell’ONU e la fine delle occupazioni militari sono la condizione per una pace giusta e durevole in Medio Oriente. Il sostegno dell’Unione europea alla non proliferazione dovrebbe includere anche la richiesta a Israele di aderire al trattato di non proliferazione nucleare.

 
  
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  Batten, a nome del gruppo IND/DEM.(EN) Signor Presidente, questa relazione mostra chiaramente quale direzione sta seguendo l’Unione europea. Il documento chiede di iniziare ad attuare la politica estera di sicurezza comune e la politica di difesa racchiuse nella Costituzione europea senza attendere l’esito dell’inopportuna e imprevedibile questione della sua ratifica da parte degli Stati membri.

La relazione segue la linea di affermare che la lotta contro il terrorismo causa il venir meno della distinzione tradizionale tra politica estera e politica interna. Questo è l’ennesimo esempio del fatto che verrà utilizzata qualsiasi argomentazione per promuovere l’integrazione europea in tutte le sfere della politica.

La minaccia posta dal terrorismo rende ancora più importanti i confini e gli interessi nazionali, anziché sminuirli. Questa relazione è l’ennesimo passo compiuto dall’Unione europea nel tentativo di promuovere la propria politica estera e le proprie ambizioni militari per potere infine competere con gli Stati Uniti d’America sulla scena mondiale. Al contempo, tutto il discorso su una politica estera etica viene ridimensionato dall’intenzione del Consiglio europeo di revocare l’embargo sulla vendita di armi alla Cina, iniziativa giustamente criticata dall’onorevole Brok e promossa dalle esigenze dell’industria bellica francese.

L’opposizione del Parlamento europeo alla revoca dell’embargo sulle armi alla Cina verrà ovviamente ignorata dal Consiglio, il che dimostrerà ancora una volta l’inutilità della nostra Istituzione.

Il Regno Unito deve recuperare il controllo della propria politica estera, di sicurezza e difesa. L’unico modo per farlo consiste nel ricorrere alla politica dell’incondizionato ritiro dall’Unione europea propugnata dal partito per l’indipendenza del Regno Unito.

 
  
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  Kristovskis, a nome del gruppo UEN. – (LV) Signor Presidente, onorevoli colleghi, a nome mio e del gruppo “Unione per l’Europa delle nazioni”, vorrei rendere merito all’onorevole Kuhne per l’ottima relazione sulla strategia europea in materia di sicurezza. Questo documento amplia il concetto di sicurezza tenendo conto della situazione attuale, fornisce un parere ragionevole sui presenti sviluppi nell’ambito della sicurezza europea e ne evidenzia le lacune. Mi soffermerò solo su un aspetto. Credo che, nella sua relazione, l’onorevole Kuhne abbia dimostrato al Parlamento europeo, in maniera pienamente giustificata, che è necessario incoraggiare la partecipazione all’attuazione della strategia europea in materia di sicurezza. Realizzare questo obiettivo è un compito relativamente difficile per i deputati al Parlamento europeo e, ovviamente, anche per le Istituzioni comunitarie. Tuttavia, dobbiamo riconoscere che il Parlamento europeo non dispone della necessaria sicurezza dell’informazione e del sostegno degli esperti per discutere approfonditamente e su una solida base delle attività della direzione generale competente con la Commissione e il Consiglio riguardo all’attuazione della strategia europea in materia di sicurezza, per non parlare della possibilità che i governi nazionali, con le loro azioni reciproche, adottino misure più o meno tolleranti nell’applicare le disposizioni in materia di sicurezza e difesa.

Onorevoli colleghi, dobbiamo ammettere che questo è un problema serio. Di fatto, nell’Unione europea esistono vari problemi riguardo ad aspetti di sicurezza comune. A determinarli sono carenze di natura finanziaria, nonché insufficienze nello sviluppo di capacità militari, una mancanza di sicurezza dell’informazione e lacune di altro genere. Negli ultimi mesi, nei quali ho rivestito per la prima volta l’incarico di deputato al Parlamento europeo, ho avuto occasione di capire gradualmente come sia costituita la politica di sicurezza in Europa e quali siano i suoi principali attori. Pertanto, credo di poter affermare a pieno titolo che la qualità della relazione è sufficientemente elevata. Poiché il 70 per cento dei cittadini europei sostiene la necessità di realizzare un’unica politica europea di difesa, dobbiamo convenire che il controllo dell’attuazione della strategia europea in materia di sicurezza deve essere una delle priorità per l’ampliamento della portata delle attività del Parlamento europeo. Le minacce del XXI secolo – il terrorismo transnazionale, l’illecito proliferare delle armi di distruzione di massa, i conflitti regionali e il fondamentalismo islamico – impongono a tutti il dovere di capire le sfide globali cui dobbiamo fare fronte, e il Parlamento europeo deve partecipare attivamente alla loro prevenzione.

 
  
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  Claeys (NI).(NL) Signor Presidente, la politica estera e di sicurezza comune è costituita da numerosi aspetti primari e secondari ed è ovviamente impossibile riuscire a essere esaustivi in questo breve spazio di tempo. Vorrei tuttavia soffermarmi su un paio di punti.

Innanzi tutto, vorrei evidenziare una lacuna nell’elenco di priorità, ossia il sostegno agli europei o alle persone di origine europea in altre parti del mondo. Mi riferisco in particolar modo all’Africa meridionale, non solo al Sudafrica stesso, ma anche allo Zimbabwe. E’ proprio ora che l’Unione europea inizi ad adottare forti misure per porre fine agli attacchi di cui sono vittime gli agricoltori e alle sistematiche espropriazioni di aziende agricole gestite da europei. Del resto, una simile azione sarebbe nell’interesse dell’intera popolazione locale. Penso ad esempio allo Zimbabwe, il paese che era noto come il granaio dell’Africa e che ora è devastato dalla fame, principalmente a causa del malgoverno del dittatore Mugabe.

Un altro problema che merita una maggiore attenzione è il disarmo nucleare. La relazione pone l’accento sul rispetto del trattato di non proliferazione, ma trascura il colossale rischio per la sicurezza rappresentato dalle strutture nucleari semiabbandonate o scarsamente sorvegliate negli ex Stati sovietici e in diversi altri paesi, nonché l’utilizzo improprio che potrebbero farne organizzazioni terroristiche come Al-Qaeda. Noi, come Unione europea, dobbiamo urgentemente riunirci con i paesi e gli organismi internazionali interessati e fare in modo che vengano erogate le risorse necessarie per disinnescare questa bomba a orologeria.

 
  
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  Klich (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, l’Assemblea è fermamente convinta che l’anno scorso si siano compiuti notevoli progressi in merito alla politica europea di sicurezza e difesa, e che pertanto sia stato possibile superare l’impasse scaturito dal conflitto iracheno. Accogliamo con favore la creazione dell’Agenzia europea per la difesa e riteniamo che essa svolgerà un ruolo importante nella fornitura di nuove attrezzature. Siamo anche lieti che nel Trattato costituzionale siano state incluse disposizioni per il futuro della PESD, in particolare in materia di cooperazione strutturale, ossia la clausola di solidarietà. Un altro sviluppo degno di nota si è avuto quando la Commissione ha annunciato che verrà avviato il Programma europeo di ricerca sulla sicurezza che, a partire dal 2007, opererà con una dotazione di bilancio pari ad almeno un miliardo di euro. Infine, probabilmente il principale evento dello scorso anno si è verificato quando l’UE è subentrata alla NATO nella missione di stabilizzazione della Bosnia. Questa è di fatto la prima importante operazione militare dell’Unione europea.

In tale contesto, siamo anche fermamente convinti che i quattro interrogativi sollevati sei anni fa, quando a Colonia venne proposto per la prima volta il concetto di una politica europea di sicurezza e difesa, continuino a rimanere importanti. Innanzi tutto, quali azioni è necessario avviare per fare in modo che le nostre capacità di difesa siano in linea con le nostre aspirazioni e le nostre sfide, quelle sfide che ora sono state racchiuse nella politica europea di sicurezza? In secondo luogo, in che modo si può garantire la coesione della politica europea di sicurezza e difesa? In terzo luogo, come si può sviluppare la PESD senza pregiudicare gli impegni di difesa della maggioranza degli Stati membri, che sono anche membri della NATO? In quarto luogo, come si possono ragionevolmente gestire le risorse finanziarie sia a livello nazionale che comunitario?

Queste domande sono rivolte essenzialmente alla Commissione e al Consiglio, perché Parlamento, Commissione e Consiglio dovranno lavorare insieme alla formulazione delle risposte. In caso contrario, la PESD sarà solo una politica fittizia, e noi saremo impotenti.

 
  
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  D’Alema (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, voglio unirmi alle espressioni di ringraziamento di molti colleghi ai relatori per due relazioni importanti che presentano un bilancio ricco della politica estera, di sicurezza e di difesa europea, dei passi in avanti compiuti e propongono orientamenti largamente convincenti per una presenza efficace dell’Europa come attore globale sulla scena mondiale.

Il Trattato costituzionale potrà rafforzare il ruolo dell’Europa con innovazioni che garantiscano una più forte integrazione e cooperazione e sin d’ora ritengo giusto anticipare, come si dice, una collaborazione tra Parlamento, Commissione e Consiglio.

L’obiettivo centrale dell’Europa è promuovere un multilateralismo efficace, il che significa garantire sicurezza ma anche espansione della democrazia, dei diritti umani, delle opportunità di sviluppo e di crescita: In poche parole, governare la globalizzazione, dando priorità ai mezzi politici, civili ed economici, non escludendo il ricorso ai mezzi militari come risorsa estrema, con la conseguente disponibilità all’uso della forza in un quadro legittimo.

Perché vi sia legittimità, tuttavia, occorre ripristinare, come dice giustamente la relazione del collega Brok, l’autorità del sistema delle Nazioni Unite. Un’autorità scossa, fra l’altro, indebolita dalla dottrina e dalla pratica della guerra preventiva e unilaterale. Tale dottrina e tale pratica non possono che essere disapprovate dall’Europa e credo che il rilancio di una cooperazione tra Europa e Stati Uniti non può prescindere da questo punto di principio.

In questo senso, ritengo di grandissimo valore il pronunciamento di molti colleghi – ed anche del Commissario Ferrero-Waldner – per un seggio europeo alle Nazioni Unite che rappresenterebbe un salto di qualità del rapporto fra Unione europea e Nazioni Unite.

In questo quadro voglio sottolineare una priorità, quella del conflitto israelo-palestinese e della crisi del Medio Oriente. Giustamente abbiamo rilevato le opportunità e le speranze nuove. Vorrei, tuttavia, esprimere una parola di preoccupazione: lo stesso incontro tra Bush e Sharon ha fatto emergere un contrasto piuttosto ruvido a proposito della politica israeliana di allargamento degli insediamenti, che di fatto annuncia un’annessione di Gerusalemme Est e di una parte della Cisgiordania; se andasse avanti questa politica, le speranze di pace verrebbero rapidamente accantonate. Se persino l’amministrazione americana fa sentire oggi una sua voce critica occorre che l’Europa aggiunga la sua, con forza e con nettezza, per fermare scelte che rischiano di compromettere ogni speranza di pace e di distensione.

 
  
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  Neyts-Uyttebroeck, Annemie (ALDE).(NL) In primo luogo vorrei congratularmi con l’onorevole Elmar Brok per l’ottima relazione, che fornisce una visione coerente, lungimirante e realistica della politica estera e di sicurezza comune.

Troppo spesso dimentichiamo quanto sia ancora giovane questa politica. Ricordo nitidamente che vent’anni or sono le espressioni sicurezza, politica estera e soprattutto politica di difesa non potevano neppure comparire nei testi europei o nei programmi dei partiti politici europei. Dieci anni fa nasceva un’embrionale politica estera e di sicurezza comune, ma veniva scrupolosamente inclusa in un pilastro separato, quasi esclusivamente intergovernativo. Oggi disponiamo di una visione e di una strategia separate – ancora in fieri, questo è indubbio –, ma di cui non si può negare l’originalità. Questa originalità si deve soprattutto al fatto che vogliamo assumerci la responsabilità sia degli aspetti civili che di quelli diplomatici e militari di tale politica. Desidero rilevare che il Trattato costituzionale contiene varie richieste particolarmente importanti in questo settore e, del resto, questo è anche uno dei principali motivi per cui la Costituzione merita di essere ratificata.

Questa relazione annuale invita a coinvolgere più da vicino il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali nella preparazione e nell’attuazione della politica estera e di sicurezza comune e a fare in modo che tale partecipazione non si limiti a discussioni post factum. Il trimestrale scambio di opinioni con l’Alto rappresentante e con il Commissario responsabile per le relazioni esterne e la politica europea di vicinato, al quale potranno partecipare rappresentanti dei parlamenti nazionali, costituisce un’ottima occasione a tale proposito. Questo è un aspetto delle proposte che siamo lieti di sostenere.

 
  
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  Pflüger (GUE/NGL).(DE) Signor Presidente, per evitare un’eccessiva monotonia, ecco qui una posizione diversa. La strategia europea in materia di sicurezza afferma che “dinanzi alle nuove minacce la prima linea di difesa sarà spesso all’estero”. La relazione Kuhne non contesta in alcun modo tale dichiarazione.

La strategia europea in materia di sicurezza è intesa a vincolare tutti gli Stati membri dell’UE, ed è intesa a coinvolgere sempre più la politica militare dell’Unione europea nella programmazione della guerra preventiva. La relazione Kuhne chiede di attuare un riarmo addirittura maggiore per fare in modo che l’UE, avvalendosi delle capacità della NATO, possa intervenire militarmente in tutto il globo. Stando a ciò che abbiamo sentito, l’Unione vuole diventare un attore globale, e soprattutto in termini militari.

E’ proprio per questo motivo che il mio gruppo ha elaborato un parere di minoranza. Da un lato, si afferma che nell’Unione europea non è presente alcun concentramento di forze armate; dall’altro, come abbiamo sentito, si fa di tutto per il riarmo, compresa l’elaborazione di piani volti a permettere all’Unione europea di avviare guerre regionali per l’acquisizione di materie prime. Il Trattato costituzionale dell’Unione europea, che mi auguro venga affondato dai francesi, la sua strategia in materia di sicurezza e il “Documento europeo per la difesa” incarnano un’Europa caratterizzata dal riarmo e dalla prospettiva di guerre future.

Considerate seriamente queste critiche. Le polemiche hanno fatto il loro tempo e, come vedrete in Francia, vi faranno solamente incespicare.

 
  
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  Coûteaux (IND/DEM).(FR) Signor Presidente, un minuto e mezzo è più che sufficiente, posto che le vastissime tematiche trattate in questa relazione fiume presuppongono l’esistenza di un ministro degli Esteri, di un servizio diplomatico e di un politica estera comune. Ebbene, da quando è stata deliberata nel 1992, ai sensi del titolo 5 del Trattato di Maastricht, abbiamo visto soltanto un primissimo abbozzo di politica estera comune. D’altronde, una politica non c’è né ci potrebbe essere, per il semplice motivo che non esiste un accordo sui principi, sulle tradizioni, sugli interessi e, quindi, sulle politiche delle nostre nazioni, e questo a partire da una questione chiave, ossia le relazioni con gli Stati Uniti d’America.

Un’altra condizione essenziale è rappresentata dalla creazione di uno strumento diplomatico comune, che presuppone l’approvazione della Costituzione europea. Sono spiacente di dover dire – benché per molti non sia un segreto – che è molto probabile che questo progetto non sarà mai realizzato, e che tutte le vostre impalcature, che mancano totalmente di legittimazione popolare, crolleranno da sole.

Potrei limitarmi a queste considerazioni, rinunciando a parte del mio tempo di parola ed evitando di irritarvi, ma non vorrei impedirvi di sognare, perché i vostri sogni interessano molto ai sostenitori della sovranità che oggi fanno campagne in Francia e altrove. Quando, nel corso delle nostre riunioni, annunciamo ai francesi che a Washington c’è una persona che si fa dare il titolo pomposo di ambasciatore dell’Unione europea presso gli Stati Uniti, le reazioni sono di autentico divertimento. Quando spieghiamo ai francesi che, con la suddetta Costituzione, ci sarà un cosiddetto ministro degli Esteri e che il titolare di tale incarico sarà, come per caso, un ex segretario generale della NATO, risvegliamo ancora più divertimento, o curiosità, o sdegno.

Allora continuate pure, signore e signori eurofili ed euromaniaci di ogni genere, continuate a fornirci argomentazioni così esilaranti.

 
  
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  Czarnecki, Ryszard (NI).(PL) Signor Presidente, la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione non può essere una politica virtuale, come sostengono gli scettici, ma sicuramente si presenta molto meglio sulla carta che nella realtà. Se, come hanno fatto gli autori della proposta di risoluzione, esaminiamo i sondaggi condotti per conoscere l’opinione del pubblico sull’attuazione di questa politica, ci rendiamo conto che il suo futuro sembra nettamente incerto. Se il 60 per cento dei cittadini dell’Unione che è favorevole alla politica estera comune in futuro si ridurrà al 45 per cento, e se il 70 per cento di coloro che sostengono la politica di difesa comune diminuirà fino all’incirca al 47 per cento, dovremmo abbandonare immediatamente questo concetto? Dobbiamo badare a non fare affidamento sui sondaggi di opinione. L’Aula è divisa sulla questione del livello di sostegno da accordare a una politica di sicurezza comune e a una politica estera comune. Dobbiamo affrontare questo aspetto. Tuttavia, siamo tutti d’accordo su diverse questioni. La prima è che il terrorismo islamico è una minaccia concreta. La seconda è che l’azione militare non può essere la prima iniziativa da adottare quando si tratta di far fronte a determinati problemi. La terza è che dobbiamo seguire con attenzione le attività congiunte dell’EUFOR in Bosnia-Erzegovina. Per la verità, l’Unione aveva precedentemente avviato la missione Concordia in Macedonia, ma si era trattato di un’azione di importanza relativamente minore, così come lo erano state le attività di polizia cui abbiamo preso parte, ad esempio, in Bosnia-Erzegovina o, più recentemente, in Africa.

Infine, possiamo parlare con una voce sola quando si tratta di insistere affinché il Consiglio rispetti l’articolo 21 del Trattato sull’Unione europea, relativo alla consultazione del Parlamento in merito ai principali aspetti della politica estera per il prossimo anno. Il punto non è che il Consiglio deve degnarsi di fornire queste informazioni. E’ effettivamente tenuto a farlo.

 
  
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  Zieleniec (PPE-DE).(CS) L’Unione europea è uno dei principali attori internazionali e, pertanto, riveste una responsabilità globale. Alla luce di questo fatto, mi preme sottolineare che il successo della politica estera dell’Unione europea dipende dal nostro partenariato con gli Stati Uniti. Nonostante le differenze che esistono tra noi, gli Stati Uniti sono, di tutti gli attori mondiali, quelli più vicini all’Europa, e non sono solo i valori comuni a unirci. Il partenariato è la naturale conseguenza del comune interesse a raggiungere la stabilità nel mondo intero, a rafforzare lo Stato di diritto e la democrazia e a garantire il corretto funzionamento dei mercati e la disponibilità delle materie prime a livello globale.

L’Alleanza nordatlantica continua a fungere da fondamentale garanzia per la sicurezza dell’Unione europea e degli Stati Uniti, eppure le sfide cui dobbiamo attualmente far fronte hanno esclusivamente a che fare con la sicurezza. A questo punto vorrei dunque esortare la Commissione e il Consiglio a presentare un piano d’azione per un partenariato strategico tra l’Unione europea e gli Stati Uniti, che porrebbe su un piano di parità il nostro dialogo su un’ampia serie di questioni globali. Il partenariato potrebbe occuparsi di un ampio ventaglio di problematiche, dal funzionamento dei servizi finanziari alla stabilizzazione dell’ordine internazionale, nonché dell’agricoltura globale, della lotta contro l’AIDS, della disponibilità idrica, del cambiamento climatico globale e della non proliferazione delle armi di distruzione di massa. Tra i suoi obiettivi rientrerebbe l’istituzione di un’area di libero scambio UE-USA, che potrebbe potenzialmente fungere da economia trainante per l’economia globale.

In occasione della visita di febbraio del Presidente Bush abbiamo appreso che gli americani sono consapevoli della necessità di avere un partner forte sull’altra sponda dell’Atlantico. Credo quindi che l’Unione europea debba cogliere questa occasione per rafforzare un partenariato che potrebbe agire da chiave di volta per l’ordine e la stabilità mondiale.

 
  
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  Gomes (PSE).(PT) La strategia europea in materia di sicurezza ci induce a riflettere sul ruolo dell’Unione nella governance mondiale. Le relazioni degli onorevoli Kuhne e Brok contribuiscono in maniera eccellente a far fronte a questa sfida. Per essere efficaci e coerenti, la politica estera di sicurezza e la politica di difesa dell’Europa devono incentrarsi saldamente sui cittadini, promuovendo i diritti umani, il diritto internazionale e umanitario e il multilateralismo nelle relazioni internazionali. In altre parole, tali politiche devono fondarsi sul concetto di sicurezza umana, come sottolinea la relazione Kuhne, in linea con il rapporto di Barcellona sulla dottrina per la sicurezza umana.

Questo settore è ancor più importante se si considera che la proliferazione delle armi di distruzione di massa e la lotta al terrorismo devono rimanere in cima alle preoccupazioni dell’Europa in materia di sicurezza. Dobbiamo integrare queste preoccupazioni in ogni aspetto delle relazioni esterne, segnatamente nella nuova politica di prossimità e, in tale contesto, è fondamentale che all’Unione europea venga conferito un seggio permanente in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, com’è stato precedentemente affermato.

L’Unione europea deve adoperarsi anche per rafforzare i trattati di non proliferazione e di disarmo nucleare e per intensificare i controlli sulle esportazioni di materiale e armi nucleari in generale. L’Unione europea, inoltre, deve prevedere uno stretto coordinamento del piano d’azione per la lotta al terrorismo con la politica estera e di sicurezza e la politica di difesa, nell’ambito della strategia globale integrata di lotta al terrorismo, recentemente annunciata da Kofi Annan.

Occorre anche rispettare gli impegni di sviluppo assunti dai governi europei nella dichiarazione del Millennio. La povertà e l’ingiustizia sono terreni fertili per il terrorismo. Se vogliamo realizzare una politica di sicurezza e difesa che si traduca in una maggiore indipendenza strategica per l’Europa, caratterizzata da più capacità e da una maggiore integrazione dei mezzi di difesa, nonché da un vero e proprio mercato interno, è indispensabile che, per i nostri dibattiti, l’Agenzia europea di difesa ci fornisca informazioni sulle politiche di acquisizione, sviluppo e analisi degli equipaggiamenti. Spetta ora ai governi degli Stati membri stabilire le condizioni di funzionamento di questa nuova agenzia. Dalle prossime prospettive finanziarie deve emergere che i nostri governi si stanno adoperando per il successo della sicurezza europea. Essa, infatti, dipende in larga misura dalle risorse messe a sua disposizione nell’Unione.

Vorrei concludere affermando che la settimana scorsa a Sarajevo, insieme all’onorevole von Wogau e ad altri colleghi parlamentari, ho assistito alla consegna di onorificenze nazionali da parte del generale britannico orgoglioso di essere a capo dell’EUFOR. Non ho potuto fare a meno di pensare che, se quindici anni fa fossero già esistite la politica estera e la politica europea di sicurezza e difesa, l’Europa avrebbe potuto impedire lo scoppio della guerra nell’ex Jugoslavia oppure avrebbe potuto farla finire prima. Oggi l’importante lavoro della missione Althea, in Bosnia-Erzegovina, è la dimostrazione che, con i mezzi adeguati, l’Europa sa e deve assumersi maggiori responsabilità nell’ambito della sicurezza europea e mondiale.

 
  
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  Pafilis (GUE/NGL).(EL) Signor Presidente, entrambe le relazioni in discussione oggi evidenziano chiaramente la natura imperialistica e aggressiva dell’Unione europea. Esse confermano la strategia comune adottata dall’Unione europea e dagli Stati Uniti d’America contro popoli e paesi, la quale si fonderà tra l’altro sulla feroce dottrina della guerra preventiva, che viene menzionata nelle relazioni e cui viene fatto chiaramente cenno nel Trattato costituzionale. Le relazioni stabiliscono come priorità immediata una migliore preparazione dell’Unione europea a nuovi interventi strategici, sia congiuntamente alla NATO e agli Stati Uniti d’America che indipendentemente da essi.

In nome della sicurezza dell’Unione europea, sono stati individuati paesi e aree in cui effettuare nuovi interventi che, partendo dai Balcani, dal Caucaso e dal Medio Oriente, si estenderanno fino alla quasi totalità del pianeta col pretesto di rafforzare l’ordine internazionale.

La filosofia sottesa alla politica estera comune, alla politica di difesa e alla strategia europea in materia di sicurezza è la versione europea della dottrina imperialistica degli Stati Uniti d’America per la protezione degli interessi statunitensi, nel cui nome sono stati effettuati centinaia di interventi che hanno portato distruzione e morte in ogni angolo del pianeta.

Noi crediamo che la gente si stia svegliando. Opporrà resistenza e non permetterà l’attuazione di questa politica. In ultima analisi, la domanda che formuliamo è questa: chi minaccia chi? L’Unione europea ha forze armate dispiegate in moltissimi paesi al mondo. Fa parte di un’infinita rete di basi, ha partecipato a tre guerre e, inoltre...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Mölzer (NI).(DE) Signor Presidente, signora Commissario, per quanto io possa essere scettico su alcuni singoli aspetti del Trattato costituzionale europeo, reputo importante rafforzare la politica estera e di sicurezza comune. Se l’Europa vuole affermarsi come potenza per la pace mondiale, dovrà parlare al mondo esterno con una voce sola, oltre a essere in grado di farsi valere in questioni di politica militare e di sicurezza.

Pur essendo fermamente convinto che occorra respingere con forza qualsiasi tendenza finalizzata allo sviluppo di uno Stato europeo centralizzato, penso davvero che sia opportuno nominare un unico ministro degli Esteri europeo dotato di ampi poteri e responsabilità e di una forte posizione all’interno dell’UE. Sono pertanto favorevole alla creazione di un Servizio europeo per l’azione esterna.

Tuttavia, è inammissibile che tale Servizio sia dominato e sostenuto solo dai maggiori Stati membri dell’UE. Gli Stati membri più piccoli, tra cui l’Austria, devono essere coinvolti nella formulazione della politica estera europea, così come il Parlamento europeo deve godere degli stessi diritti del Consiglio nello stabilire di quale politica si debba trattare.

Se gli Stati membri più piccoli devono contribuire allo stesso modo dei più grandi alla politica di difesa comune europea e al funzionamento della forza di reazione rapida europea, analogamente, devono anche avere lo stesso diritto di essere consultati.

 
  
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  Jarzembowski (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, questa relazione contiene due dichiarazioni del Parlamento su cui vorrei ritornare, che riguardano la situazione della politica estera e di sicurezza in Estremo Oriente. Ritengo che la Repubblica popolare cinese, adottando la legge antisecessione, abbia posto la regione in una posizione molto più precaria. La legge antisecessione è una disposizione che dobbiamo respingere con fermezza; approvandola, la Repubblica popolare cinese sta tentando di legittimare, senza alcuna giustificazione, le proprie minacce militari contro Taiwan e di arrogarsi il diritto di attaccare questo paese. Quest’azione viola il diritto internazionale ed è assolutamente inaccettabile. I 23 milioni di cittadini di Taiwan hanno l’inalienabile diritto di decidere democraticamente del loro futuro, ossia stabilire se vogliono riunirsi alla terraferma o continuare a essere uno Stato indipendente e sovrano.

Noi tutti dobbiamo esortare la Repubblica popolare cinese a smettere di compiere gesti intimidatori e ad avviare invece un dialogo diretto con Taiwan sulla base del riconoscimento reciproco. In questo modo si potrà giungere a una distensione delle relazioni tra i due paesi e garantire la pace in Estremo Oriente. Mi rivolgo ai rappresentanti del Consiglio nel dire che, se ciò dovesse accadere, l’embargo sulle armi alla Cina non dovrà essere revocato. Il Consiglio europeo lo aveva giustamente imposto nel 1989, e possiamo constatare che la posizione sui diritti dell’uomo e sui diritti delle minoranze è effettivamente migliorata, nonostante questi siano tutt’altro che adeguati. L’Assemblea ha più volte rilevato che in Cina la situazione dei fondamentali diritti civili, culturali, religiosi e politici non soddisfa nemmeno gli standard internazionali riconosciuti dallo stesso governo cinese.

Mi auguro che il Presidente in carica del Consiglio ne tenga in certo qual modo conto. Soprattutto in questo momento, e alla luce delle continue violazioni dei diritti umani da parte della Cina, la revoca dell’embargo invierebbe assolutamente il segnale sbagliato e sembrerebbe inoltre una ricompensa per la legge antisecessione.

 
  
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  Siwiec (PSE).(PL) Signor Presidente, abbiamo ricevuto un documento sulla politica europea nell’ambito della sicurezza, ossia la politica più difficile da affrontare per qualunque paese od organizzazione internazionale. Questa relazione costituirà un punto di riferimento o una base da cui partire quando si tratterà di stabilire il modo migliore di consolidare le politiche degli Stati membri e di garantire una maggior efficacia della politica estera. Faremmo bene a ricordare che il modo più costoso di gestire la politica estera consiste nel non averne una. L’Unione non sta cogliendo le opportunità di cui dispone in diversi settori, proprio perché è priva di politiche. Permettetemi di esprimere un’altra ovvia verità, e in questo caso mi rivolgo in particolar modo a coloro che, in quest’Aula, pontificano da tempo sulla militarizzazione. La capacità di difesa è una conditio sine qua non di una politica efficace. La capacità militare è essenziale. Faremmo anche bene a ricordare che la formulazione di principi relativi alla tutela della nostra sicurezza nel senso più ampio del termine può costituire un ottimo punto di partenza per l’avvio del dialogo con il nostro partner americano, nonché la base su cui creare un nuovo genere di relazione transatlantica. Da un lato vi sarebbero gli Stati Uniti, incerti sulla differenza tra leadership ed egemonia, e dall’altro l’Unione europea, che ha appena iniziato a definire il proprio ruolo in questo settore particolare. In tale processo saranno necessarie pazienza e creatività, ma occorrerà anche competenza. A tale proposito credo che la relazione Kuhne rappresenti un valido impegno per tutte le Istituzioni comunitarie, poiché contribuisce a far prendere loro in considerazione la sicurezza europea. Inoltre, è significativo che si discuta della relazione Kuhne contestualmente alla relazione annuale sulla politica estera dell’Unione europea. Si tratta di un’ottima iniziativa e di un valido contributo da parte del Parlamento, grazie al quale è finalmente possibile parlare di una politica europea vera e non virtuale.

 
  
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  Van Orden (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, se si ritiene che l’Unione europea debba diventare una sorta di Stato europeo integrato, ne consegue logicamente e necessariamente che essa deve avere la propria moneta, il proprio sistema giudiziario e di polizia, la propria rappresentanza diplomatica, la propria dotazione di bilancio per l’esercito e la difesa e tutto il resto della panoplia statale prevista dal quadro giuridico di una costituzione.

Le due relazioni oggi in esame traggono ispirazione proprio da questo impulso. Devo dire che la posizione dei conservatori britannici è alquanto diversa. Siamo sostanzialmente contrari a promuovere l’integrazione politica europea. Di fatto, vorremmo attenuare e rimpatriare molti degli eccessivi poteri accumulati da Bruxelles. Pertanto non è una sorpresa che siamo contrari all’idea stessa di una Costituzione europea nonché ai dettagliati elementi che la compongono.

Le relazioni s’incentrano in particolar modo sulla politica di sicurezza e difesa. Esse cercano di accrescere le credenziali militari dell’Unione europea stravolgendo il ruolo e la natura della NATO per poi mettere in secondo piano tale organizzazione, raddoppiandone al contempo smodatamente le strutture. Tentano così di destituire le nazioni dal ruolo di attori nelle relazioni per la sicurezza transatlantica, rivendicando al contempo l’assunzione di responsabilità per le loro capacità e sottoscrivendo le erronee idee di organizzare socialmente le nostre forze armate.

Non credo che le nazioni europee abbiano interessi di sicurezza strategica che devono essere distinti da quelli dei loro alleati, transatlantici e non. Talvolta gli europei dovrebbero assumersi la primaria responsabilità di fornire forze militari nella propria regione. Questo è proprio ciò che è accaduto negli ultimi dieci anni e oltre nell’ex Jugoslavia, in cui è solo un semplice escamotage affermare che l’operazione militare EUFOR in Bosnia è fondamentalmente diversa da quella che vi veniva svolta prima. Dei 7 000 soldati della forza NATO SFOR, oltre 6 000 erano europei. Pertanto è disonesto affermare che l’Unione europea sta contribuendo all’aumento della sicurezza quando la maggior parte dei suoi Stati membri sta riducendo anziché aumentare la spesa per la difesa e la stessa Unione europea sta semplicemente replicando i sistemi decisionali, di programmazione, comando e controllo utilizzati da quell’organizzazione di grande successo che è la NATO.

 
  
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  Rouček (PSE).(CS) Onorevoli colleghi, dalla fine della guerra fredda sono emerse nuove minacce per la sicurezza. Tra queste rientrano il terrorismo internazionale, la proliferazione delle armi di distruzione di massa, la criminalità organizzata e un’intera serie di conflitti regionali. Sta diventando evidente che nessun paese, a prescindere dalle sue dimensioni, è in grado di affrontare queste minacce alla sicurezza da solo, ed è per questo motivo che occorre ampliare e rafforzare la politica estera, di sicurezza e difesa comune. Questa è la convinzione non solo della maggior parte dei deputati al Parlamento europeo, e non solo dei rappresentanti del Consiglio e della Commissione, ma anche, e soprattutto, dei cittadini d’Europa. Si tratta di un punto che l’Assemblea ha già rilevato.

Un altro aspetto che sta diventando evidente è che non possiamo sconfiggere alcuna di queste minacce ricorrendo esclusivamente a mezzi militari, ma, al contrario, dobbiamo utilizzare una combinazione di risorse militari e civili. Entrambe le relazioni presentate oggi e i rispettivi relatori forniscono risposte chiare e dettagliate sul modo in cui tale obiettivo può essere realizzato. Il successo e il futuro sviluppo della politica estera, di sicurezza e difesa comune dipendono dal rispetto di due condizioni: occorre ratificare la Costituzione europea e si devono stanziare i necessari finanziamenti. Non si può avere più sicurezza europea con meno soldi.

 
  
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  Kauppi (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, mi soffermerò su due questioni fondamentali. Innanzi tutto vorrei spendere alcune parole sul Servizio europeo di azione esterna. E’ estremamente importante che il servizio sia integrato all’interno della Commissione. Dobbiamo evitare tutti i tentativi di attenuare l’importanza del nuovo servizio collocandolo principalmente in seno al Consiglio. Non si dovrà mai permettere che il servizio diventi un’incontrollabile agenzia intergovernativa dotata di vita propria.

Solo la massima responsabilità parlamentare potrà garantirci che vengano realizzati i nobili obiettivi dell’Europa per il resto del mondo. La lotta alla povertà, la difesa della democrazia e il sostegno dei diritti umani sono tutte questioni in cui possiamo e dobbiamo cooperare sulla base di valori comuni. Un servizio intergovernativo correrebbe il rischio di essere preda di molti e maggiori interessi strategici e settoriali, e i nostri valori e obiettivi comuni si perderebbero in questo miscuglio.

In secondo luogo, dovremo adottare un approccio sia realistico che ambizioso nei confronti della politica estera europea ai sensi della nuova Costituzione, se e quando ne disporremo. La Costituzione permette alla politica estera e di sicurezza europea di compiere progressi in molti settori fondamentali e noi dobbiamo fare in modo che questi impegni vengano rispettati. Sebbene gli sviluppi racchiusi nella clausola di solidarietà della Costituzione – nonché nella maggiore capacità di risposta rapida – rispecchino la prassi attuale anziché essere innovazioni, dobbiamo fare in modo che, quando entreranno in vigore, vengano interpretati in maniera ambiziosa, concreta e vincolante.

Occorre accogliere con favore e consolidare anche l’inclusione delle garanzie di sicurezza reciproca nella Costituzione. L’opposizione di alcuni Stati membri può essere contrastata con alcune semplici argomentazioni. La NATO è, e rimarrà, la spina dorsale della difesa europea, questo è indubbio. Proponiamo di introdurre le garanzie europee semplicemente allo scopo di integrare le disposizioni NATO con un’indispensabile dimensione europea. Tali garanzie sostengono e consolidano decenni di cooperazione politica e di sicurezza europea, realizzata esternamente all’ambito dell’Unione. Esse non riscrivono in maniera radicale le ambizioni europee in materia di politica estera e di sicurezza, ma affermano solo che l’Europa deve finalmente avere la maturità necessaria per iniziare a far corrispondere alla propria forza economica un certo impegno politico e a levare la propria voce in quest’ambito.

 
  
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  Pinior (PSE).(PL) Onorevoli colleghi, negli ultimi tempi l’Unione europea è diventata sempre più una forza trainante nella creazione di un nuovo ordine internazionale, e questa affermazione è particolarmente appropriata soprattutto da quando è stato portato a termine l’allargamento l’anno scorso. Il successo dell’integrazione europea indica che il sistema politico europeo sta diventando sempre più allettante per i cittadini dei paesi che non fanno parte dell’Unione. Ora alcuni analisti statunitensi parlano del cosiddetto soft power europeo e del sogno europeo che sta divenendo realtà proprio dinanzi ai nostri occhi.

Il terrorismo, la proliferazione delle armi di distruzione di massa, i conflitti regionali, il fallimento dello Stato e la criminalità organizzata, sono tutti fenomeni che rendono necessario dotare di una dimensione globale le azioni esterne dell’Unione europea. Inoltre, essi richiedono una maggiore responsabilità democratica nei confronti di queste azioni. A tal fine, dobbiamo fare riferimento alla lettera e allo spirito del Trattato costituzionale in merito a questioni inerenti alla politica estera e di sicurezza comune. Il futuro Servizio esteri europeo deve svolgere un ruolo fondamentale in quest’ambito, aiutando i ministri degli Esteri europei. Non appena entrerà in vigore il Trattato costituzionale, sarà indispensabile compiere ogni sforzo per dotare di significato concreto la clausola di solidarietà in merito alle questioni inerenti alla difesa previste dal Trattato.

 
  
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  Landsbergis (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, la relazione dell’onorevole Brok contiene molte idee originali, accorte e incoraggianti. Vorrei aggiungere alcune osservazioni sul nuovo terrorismo non di Stato. Innanzi tutto, quali altre raccomandazioni potremmo fornire rispetto a quelle presentate dall’onorevole Brok?

La lotta contro il cosiddetto terrorismo richiede una chiara definizione di terrorismo politico. E’ finalizzata al raggiungimento di concreti obiettivi politici, ma quali sono questi obiettivi? Occorre tracciare una distinzione tra il nuovo terrorismo politico non di Stato, che è presumibilmente privo di un’esatta collocazione statale, e il tradizionale terrorismo di Stato, che si riscontra essenzialmente laddove viene a mancare la democrazia. Questo genere di terrorismo politico tende a provocare reazioni vendicative da parte di determinati gruppi e organizzazioni, come avviene attualmente nel caso della guerra terroristica – o terrorizzante – condotta dalla Russia in Cecenia.

La comunità democratica non può combattere con successo alcun concetto astratto di terrorismo di per sé, poiché si tratta di una nozione che affonda le proprie radici solo nell’ideologia e nel fanatismo. No, i veri nemici da combattere sono le organizzazioni terroristiche e gli Stati che utilizzano tali metodi e sostengono queste organizzazioni. Sono stati compiuti due sforzi recenti per individuare il terrorismo in Afghanistan e in Iraq. Questi sono gli unici paesi in cui le organizzazioni terroristiche sembrano essere sulla difensiva. Nell’ambito della difesa, questo risultato esaudirebbe appieno il desiderio dell’Europa di competere con gli Stati Uniti.

Infine, si può trarre una sorta di diabolico profitto dal fenomeno del terrorismo non statale, poiché forse ora le democrazie potranno comprendere più chiaramente quali dei loro valori sono in pericolo. Nel creare i concetti e le strutture della politica europea di sicurezza e difesa, dovremmo concentrarci sempre più sulla seguente domanda: per che cosa, per quale Europa stiamo lavorando? Sicuramente non per un’Europa consumistica e suicida che sta perdendo la propria identità e il senso dei valori, nonostante il gran parlare che se ne fa, vero? In questo modo si difende l’indifendibile.

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, penso che, anche questa volta, questo dibattito abbia dato prova dell’inestimabile contributo offerto dal vostro Parlamento ai grandi orientamenti e concetti della politica estera e di sicurezza comune. Ha inoltre dimostrato che questo dialogo, così caro al Parlamento, esiste in termini molto concreti. Capisco perché il Parlamento richiede questo contatto, questo confronto con il Consiglio e con la Commissione. Il dibattito ha dimostrato che questo dialogo non esiste soltanto a posteriori, per parlare del passato, ma anche per esaminare le politiche presenti e future.

Inoltre, come ha già detto qualcuno, ritengo che non si debba condurre una politica estera contraria agli auspici del Parlamento. Da quando ho il piacere di rappresentare la Presidenza, non ho mai avuto l’impressione che il Consiglio portasse avanti una politica contro il Parlamento. Mi è parso invece che la politica fosse condotta insieme, e le discussioni di oggi, ma anche quelle delle sedute precedenti, sul Medio Oriente, sul Libano, e sui Balcani soltanto qualche ora fa, dimostrano che il Parlamento è coinvolto non soltanto nell’analisi della nostra politica, ma anche nel suo concepimento e negli orientamenti futuri di tale politica.

Osservo un ampio consenso sui grandi orientamenti di questa politica, in tutti i suoi aspetti, sulla concezione che l’Europa deve avere in materia di sicurezza, sul fatto che questa sicurezza non vada intesa soltanto in termini politici e militari, ma che si tratti di una sicurezza globale che abbraccia questioni quali l’ambiente e i diritti umani. Sono inoltre particolarmente sensibile a ciò che è stato detto sui simboli: sul fatto che l’incontro con i militari che portano le stelle europee sulla spallina provochi una forte emozione e dimostri nel concreto che l’Europa è in marcia, che l’unificazione dell’Europa procede e che abbiamo appena completato un’altra fase, tramite soprattutto la politica di sicurezza e di difesa.

Avrei ancora un’osservazione sulla Cina. Onorevole Jarzembowski, durante una riunione della commissione per gli affari esteri ho assunto una posizione, che si sta gradualmente confermando. Penso che si debba guardare in faccia alla realtà: è necessario stabilire una relazione con la Cina, perché è un paese che assume sempre maggiore importanza. Occorre quindi avviare con la Cina un dialogo generale che contempli tutti gli aspetti.

Molte grazie per i vostri contributi. Penso che la discussione sia stata proficua e abbia dimostrato che il dialogo tra le varie Istituzioni europee funziona.

 
  
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  Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, penso anch’io, come il collega, che questo sia stato un dibattito interessante ed esaustivo perché ne è emerso che sono state affrontate molte questioni specifiche a titolo della PESC e della PESD. Molte delle singole questioni riemergeranno nei prossimi dibattiti. Ovviamente non abbiamo dimenticato i diritti umani. Siete stati in molti a parlarne e credo che i diritti umani siano già intrinseci alla nostra intera politica. E’ molto importante che riusciamo a diventare un attore globale con una Carta europea dei diritti dell’uomo e molto presto, si spera, anche con una Costituzione.

Nel dibattito non si è fatto riferimento a una questione, ma io vorrei affrontarla perché si tratta di un aspetto importante per la sicurezza e lo sviluppo. Si tratta della questione di genere, che viene ampiamente promossa in Europa, anche nell’ambito delle nostre politiche di sviluppo e prossimità, e rientra nella politica generale che perseguiamo.

Vorrei inoltre schierarmi dalla parte di chi afferma che l’Unione europea deve lavorare con i propri partner per evitare che i materiali nucleari e altri materiali sensibili cadano nelle mani dei terroristi. Questo è un obiettivo fondamentale del nostro piano d’azione comune.

Come l’onorevole von Wogau e altri, penso anch’io che esista un importantissimo legame tra la sicurezza interna ed esterna. Ritengo che esso sia fondamentale anche per una stretta cooperazione tra le varie direzioni della Commissione e la DG Relazioni esterne.

Infine, è stata sollevata la specifica questione dello sminamento. Non si tratta di un problema che interessa solo la Bosnia, ma di una questione che riguarda il mondo intero, e pertanto siamo molto lieti che Conferenza di revisione della Convenzione di Ottawa sulla messa al bando delle mine antiuomo si sia tenuta in Kenya, paese in cui abbiamo constatato che la questione, promossa dall’Unione europea, ha preso fortemente piede. Sono molte altre le cose da fare, ma partiamo da una base valida ed esaustiva. Lavoriamo insieme su questa base.

 
  
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  Presidente. – Dichiaro chiusa la discussione.

La votazione si svolgerà domani alle ore 12.00.

 
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