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Resoconto integrale delle discussioni
Mercoledì 13 aprile 2005 - Strasburgo Edizione GU

24. Discriminazione nel mercato interno nei confronti di lavoratori e imprese dei nuovi Stati membri
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca l’interrogazione orale (B6-0173/2005) degli onorevoli Protasiewicz e altri a nome del gruppo PPE-DE, alla Commissione, sulla discriminazione contro lavoratori e società dai nuovi Stati membri nel mercato interno dell’Unione europea.

 
  
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  Protasiewicz (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, signor Commissario, tra meno di tre settimane sarà trascorso un anno dall’allargamento dell’Unione europea. Per milioni di cittadini dell’Europa centrale l’allargamento ha significato l’avverarsi del sogno di un’Europa comune retta da principi equi e con pari opportunità per tutti.

Nel prepararsi all’allargamento, i nuovi paesi hanno spalancato i propri mercati, permettendo l’ingresso di un gran numero di società, merci, servizi e manodopera occidentali. Spesso ciò è avvenuto sullo sfondo di accesi dibattiti interni e nonostante le decise proteste di numerosi gruppi, in particolare di quelli che rappresentano i lavoratori. Questi ultimi temevano di perdere il posto di lavoro e affermavano con forza la necessità di proteggere i mercati nazionali dalla concorrenza sleale dell’Occidente. Abbiamo tuttavia pensato che l’appartenenza all’Unione europea significasse essere parte del mercato comune in cui fosse garantita la libertà di intraprendere un’attività economica in qualunque parte del territorio comunitario. Nel contempo eravamo convinti che i Trattati europei stabilissero regole uguali per tutti, a prescindere dal paese d’origine. Purtroppo negli ultimi 11 mesi si sono verificati numerosi casi di discriminazione ai danni di imprenditori dei nuovi Stati membri che desideravano intraprendere un’attività economica in qualche paese della cosiddetta vecchia Unione, discriminazione estesa anche ai loro dipendenti.

I casi più eclatanti di discriminazione hanno luogo nei Paesi Bassi, in Austria e in Italia. I sistemi giuridici di tali paesi consentono un diverso trattamento delle imprese e dei lavoratori a seconda che provengano dai cosiddetti vecchi quindici o dai nuovi dieci Stati membri. Un esempio specifico è l’obbligo imposto a questi ultimi di richiedere permessi per i lavoratori espatriati ancor prima dell’inizio dell’attività economica. Tale procedura, che in Austria può richiedere fino a sei settimane, è molto dispendiosa di tempo e l’obbligo è imposto solo alle imprese e ai lavoratori dei nuovi Stati membri. Alle imprese dei vecchi Quindici non si richiede di presentare domande di questo tipo, ma soltanto di presentare denuncia presso le autorità competenti e di trasmettere a queste ultime un unico foglio contenente informazioni e l’elenco dei lavoratori espatriati. Esse possono iniziare a erogare servizi immediatamente, senza alcun inutile ritardo. Qualora le autorità volessero condurre verifiche, queste potrebbero aver luogo a lavoro già avviato, senza interferire con l’attività economica dell’impresa. Si tratta di un chiaro esempio di discriminazione sancita dal diritto nazionale, che comporta la violazione delle condizioni di concorrenza leale nel mercato comune europeo.

Esistono inoltre alcuni altri paesi in cui, benché non sussistano provvedimenti discriminatori ufficiali, l’amministrazione e i funzionari si comportano in modo tale da rendere impossibile, in pratica, il libero esercizio della propria attività da parte delle imprese provenienti dai nuovi Stati membri.

Ho con me un buon numero di reclami presentati da imprenditori che hanno subito trattamenti particolarmente disdicevoli, sebbene avessero adempiuto a tutte le formalità previste. Il trattamento subito sia dai proprietari che dai dipendenti delle ditte nel corso del loro lavoro comprende l’apposizione di un marchio sulla mano, l’ammanettamento, il vedersi aizzare contro i cani e l’arresto senza alcun valido motivo. Mi spiace dover dire che la Germania e la Francia sono paesi in cui questo tipo di trattamento viene imposto con eccessiva frequenza.

Vorrei pertanto domandare al Commissario Verheugen quali azioni la Commissione intende intraprendere per assicurare che le disposizioni del Trattato in merito alla parità di trattamento delle imprese e dei cittadini vengano rispettate. La Commissione ha già avviato una verifica delle disposizioni negli Stati membri allo scopo di assicurare parità di condizioni per le imprese dei nuovi Stati membri? Se lo ha fatto, quali risultati si sono avuti? Se non lo ha fatto, quando intraprenderà questa verifica delle disposizioni e delle pratiche giuridiche, in modo da prevenire discriminazioni?

Vorrei inoltre richiamare l’attenzione su un parere condiviso da numerosi miei colleghi. Pensiamo che se la Commissione non sarà più attiva nella lotta alla discriminazione ai danni delle imprese e dei lavoratori dei nuovi Stati membri, non riusciremo a raggiungere gli obiettivi economici espressi nella strategia di Lisbona.

In conclusione, vorrei dire che confido che la Commissione europea sia consapevole della situazione. Il fatto che il Commissario Verheugen oggi sia presente in Aula nella sua veste di Vicepresidente della Commissione mi dà motivo di sperare che sia veramente così.

 
  
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  Verheugen, Vicepresidente della Commissione.(DE) Signor Presidente, se in Aula c’è qualcuno che conosce i problemi dei nuovi Stati membri, sono proprio io, che per cinque anni sono stato responsabile dell’allargamento. Non vi è quindi motivo di parlarmene.

Venendo al caso da lei menzionato, la Commissione ha ricevuto reclami che riguardano uno Stato membro in particolare, accusato di violazione del diritto comunitario per aver richiesto permessi di lavoro per lavoratori dei nuovi Stati membri che sono stati o sono in procinto di essere inviati in questo Stato membro per fornire servizi. La Commissione ha pertanto intrapreso l’azione necessaria contro tale Stato, ha tentato di avviare procedure di infrazione contro di esso e farà in modo che la situazione venga riportata alla normalità.

La Commissione non è a conoscenza di altri reclami. In particolare, non vi è stato alcun reclamo riguardo alla libertà di stabilimento, cui lei ha fatto riferimento, che viene attuata non solo dal 1° maggio 2004, ma fin dalla metà degli anni ’90. Se lei è a conoscenza di casi di discriminazione connessi alla libertà di stabilimento, la Commissione le sarebbe grata se potesse comunicarle tali informazioni. Gli unici reclami ufficiali ricevuti dalla Commissione riguardano la libertà di stabilimento in un singolo Stato membro, e in questi casi sono stati presi i provvedimenti necessari.

 
  
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  Handzlik, a nome del gruppo PPE-DE.(PL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il principio della parità di trattamento per le imprese dei diversi Stati membri è una delle colonne portanti dell’Unione europea. Oggi discutiamo di casi di discriminazione ai danni di imprenditori e di lavoratori dei nuovi Stati membri sui mercati della vecchia Europa. Vorrei domandare se è lecito che l’amministrazione francese chieda a imprenditori polacchi che desiderano fornire servizi in Francia in che modo ritengano di essere migliori e possano pertanto giustificare l’ottenimento del permesso di operare in Francia. Ho svolto molte ricerche, scoprendo che nella maggior parte dei casi gli imprenditori di PMI dei nuovi Stati membri raramente presentano reclamo alle autorità competenti in merito alla discriminazione subita. Questi imprenditori dispongono di risorse limitate e decidono consapevolmente di non intraprendere azioni legali lunghe e costose. Temono semplicemente ulteriori ripercussioni da parte dei paesi che li ospitano, visto che l’imprenditore medio si trova in una posizione molto debole quando il suo contendente è l’intero apparato statale.

Uno dei compiti che i nostri elettori ci hanno affidato è intervenire in difesa delle vittime di discriminazioni. Siamo perciò custodi dei principi fondamentali dell’Unione e faremmo bene a chiederci in quale situazione l’Europa potrà venire a trovarsi se non si combatte innanzi tutto la discriminazione. Vi sono due temi d’importanza cruciale per il futuro dell’Unione: la strategia di Lisbona e il progetto di direttiva sui servizi. Tutti comprendiamo che la discriminazione paralizza il mercato interno impedendogli di funzionare correttamente, cosa che a sua volta rende impossibile il raggiungimento degli obiettivi della strategia di Lisbona. Pertanto è nel nostro interesse assicurare che il mercato interno diventi davvero una singola entità economica libera da discriminazioni. Questo risultato non si potrà ottenere se a livello nazionale verranno frapposti numerosi ostacoli.

In conclusione, vorrei sottolineare che i casi di discriminazione sul mercato interno di cui si è discusso oggi in Aula sono purtroppo ostacoli per i nostri comuni sforzi di integrazione. Se permetteremo il permanere di tali ostacoli, tutti ne dovremo pagare le conseguenze.

 
  
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  De Rossa, a nome del gruppo PSE.(EN) Signor Presidente, mi occorrerebbero due ore per esporre nel dettaglio i problemi che i lavoratori migranti si trovano ad affrontare per venire a lavorare in Irlanda. Abbiamo fama di essere uno dei paesi più generosi nel permettere l’accesso dai dieci nuovi Stati membri, il che è vero. In Irlanda vi sono numerosi datori di lavoro corretti che trattano bene i propri lavoratori. Purtroppo, però, in Irlanda vi sono anche datori di lavoro che trattano in modo spaventoso i lavoratori provenienti dai dieci nuovi Stati membri. Abbiamo casi in cui i lavoratori devono lavorare 12 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, per un euro all’ora. Vi sono situazioni riportate dall’Ambasciata polacca, che dice di avere frotte di persone che le si rivolgono in lacrime per essere state licenziate in tronco da datori di lavoro che sanno di avere una lunga fila di lavoratori polacchi pronti a prendere il loro posto.

Il caso specifico che desidero sollevare stasera riguarda un fatto realmente accaduto non in uno Stato membro, ma in un paese candidato. Si tratta di una società turca che impiega lavoratori turchi in Irlanda, votata a frodare sistematicamente i propri dipendenti, trasferendo fondi di loro proprietà a una banca olandese, di cui controlla il conto. Esiste il sospetto che la banca appartenga a questa società.

Vorrei che il Commissario Verheugen indagasse su questo caso e che la Commissione contattasse le autorità irlandesi per scoprire il motivo per cui ha scelto un deputato al Parlamento per rivelare i fatti, benché si disponga di un dipartimento responsabile delle indagini in merito alle violazioni del diritto del lavoro. Per l’intero Stato abbiamo 21 ispettori, un numero deplorevolmente basso. Ne occorrono almeno 100.

Vorrei altresì che la Commissione indagasse circa l’eventuale coinvolgimento di Gama – la società cui mi riferisco – nel riciclaggio di denaro sporco e nel trasferimento illegale di denaro appartenente ai lavoratori dall’Irlanda a una banca dei Paesi Bassi di cui si sostiene sia anche proprietaria.

Desidero che si compia un’indagine al riguardo. Non ci basta darci pacche sulle spalle e dire che stiamo raggiungendo grandi traguardi, che stiamo creando concorrenza, che stiamo facendo in modo che le persone trovino un lavoro, mentre queste stesse persone vengono sfruttate in modo vergognoso. Non basta. La Commissione deve assumersi la responsabilità di assicurare che la legislazione comunitaria venga rispettata.

 
  
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  Grabowski, a nome del gruppo IND/DEM.(PL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, nel caso di paesi economicamente arretrati, quali la Spagna, il Portogallo, la Grecia e l’Irlanda, che sono entrati a far parte dell’Unione europea in un secondo momento, l’UE ha adottato una politica coerente volta a incoraggiare l’imprenditorialità e la competitività. Parte di questa politica comprendeva la semplificazione dell’accesso al mercato comunitario, che ha portato a un incremento del bilancio commerciale dei paesi in questione. Questo è stato uno dei principali fattori della rapida crescita dei posti di lavoro, delle entrate fiscali per questi paesi, degli investimenti e, di conseguenza, del rapido sviluppo economico. La semplificazione dell’accesso ai mercati dell’Unione ha permesso ai paesi arretrati di ridurre significativamente il divario che li separava dai paesi più sviluppati. Rimetto la questione a voi, onorevoli colleghi: i paesi ex comunisti che aspirano all’adesione all’Unione europea hanno goduto della stessa opportunità? La risposta è no. Invece di dimostrare spirito di solidarietà fornendo assistenza, l’Unione ha sfruttato la propria forza e il proprio ingente vantaggio. Ha anche approfittato della remissività e della corruttibilità dei dirigenti e ha posticipato l’adesione per estorcere ulteriori concessioni. L’esempio più lampante della suddetta politica è stato quello del bilancio negativo degli scambi tra la Polonia e l’Unione europea, che superava i 10 miliardi di euro all’anno. I nuovi posti di lavoro e i nuovi profitti sono stati creati nell’Unione e non in Polonia, ma è stata la Polonia a dover patire l’aumento della disoccupazione e della povertà. Che cosa ha significato per le imprese polacche l’apertura del loro mercato alle imprese comunitarie? Che cosa ha significato per loro l’adesione all’Unione europea? Innanzi tutto, concorrenza sleale da parte delle imprese che godevano di vantaggi tecnologici e di capitale. In secondo luogo, ha fatto sì che le imprese, le banche e le istituzioni finanziarie polacche venissero acquistate a un prezzo irrisorio da società dell’Unione, che spesso non pagavano le tasse o non investivano in Polonia. Quel che è peggio, hanno portato gli utili fuori dal paese. In terzo luogo, ciò ha costretto i polacchi a grossi sacrifici per ammodernare le proprie imprese e sostenere i notevoli costi necessari per rispettare i requisiti, le norme e i regolamenti comunitari. In quarto luogo, tutto ciò ha portato ad accettare procedure burocratiche e amministrative costose e complicate e ad acconsentire a sistemi fiscali che rendevano meno competitive le imprese polacche e accrescevano il costo della manodopera. L’IVA ne è un esempio. Quinta conseguenza: si è dovuta accettare l’imposizione da parte dell’Unione di quote, limiti e restrizioni alla produzione in settori relativamente competitivi e moderni, quali l’industria navale polacca, o in settori che producevano merci di alta qualità, come i prodotti alimentari.

E’ trascorso quasi un anno da quando la Polonia è diventata uno Stato membro dell’Unione, ed è risultato che, nonostante tutte le restrizioni e le difficoltà incontrate lungo il cammino, le società polacche sono riuscite a essere competitive, a esportare e a lavorare meglio. Questo vale anche per i singoli individui. La reazione dei governi e delle amministrazioni locali degli Stati membri è stata quella di ricorrere ad altre misure al fine di restringere l’accesso ai mercati comunitari da parte delle imprese polacche. Esempi di tali misure sono le norme che riguardano la fornitura di servizi, che è il settore del mercato cui si deve il 70 per cento del prodotto nazionale lordo, che ha creato praticamente il 100 per cento dei nuovi posti di lavoro. Le restrizioni imposte alle società polacche e ai lavoratori da queste assunti nel settore dell’industria edile sono un ulteriore esempio. Quel che è peggio, queste disposizioni restrittive vengono attuate da funzionari locali fin troppo zelanti. Si potrebbe scrivere un libro sulle persecuzioni sopportate dalle imprese polacche. I reclami presentati alle autorità locali non vengono presi in considerazione. Non sorprende la notizia che quegli stessi funzionari tanto zelanti non si interessano mai dei casi in cui i lavoratori polacchi vengono sottopagati o impiegati illegalmente, o in cui svolgono lavori di scarsa attrattiva. Viene da chiedersi che cosa sia l’Unione europea e quali siano le sue aspirazioni.

Gli slogan sulla solidarietà, l’eliminazione delle differenze, la maggiore rapidità di sviluppo e il mercato comunitario erano tutti specchietti per allodole?

La Polonia e gli altri Stati ex comunisti non possono concedere altro all’Unione europea. Hanno dato tutto ciò che potevano. Per questo motivo gli imprenditori polacchi intendono sostenere la causa del proprio paese e noi, deputati polacchi al Parlamento, saremo al loro fianco. Chiediamo decisioni rapide e inequivocabili per la soluzione dei casi di discriminazione e l’eliminazione delle loro cause. Le nostre richieste non sono irragionevoli. Ciò che vogliamo è condizioni di parità e correttezza da parte di tutti. Lotteremo finché non vinceremo la nostra causa, anche a costo di far crollare l’Unione europea!

 
  
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  Szymański, a nome del gruppo UEN.(PL) Signor Presidente, signor Commissario, innanzi tutto vorrei ringraziare l’onorevole Protasiewicz per aver affrontato questo tema. Egli rappresenta il mio stesso collegio elettorale, e infatti vi sono quattro oratori della Bassa Slesia, il che la rende una sorta di portabandiera di questa causa. E’ un fatto lodevole, di cui sono lieto.

L’allargamento ha portato non solo grandi benefici economici ai nuovi Stati membri, ma anche enormi vantaggi economici all’Unione nel suo complesso, in particolare per quanto riguarda i benefici potenziali. Ciò è avvenuto perché i nuovi paesi offrivano tasse leggermente più basse e manodopera leggermente più a buon mercato, presentando però nel contempo un quadro giuridico per la conduzione delle attività economiche stabilizzato grazie all’integrazione. Questi paesi offrono pertanto opportunità all’Unione europea e non pongono minacce, come alcuni oratori hanno insinuato. Per questo motivo ci preoccupa vedere imprenditori polacchi, cechi e ungheresi imbattersi in ostacoli che le amministrazioni hanno deliberatamente posto sulla loro strada, intralciando la loro attività economica sul territorio della vecchia Unione. Purtroppo questo riguarda tutti e dieci i paesi. Chiudere il mercato comune a questi imprenditori significa danneggiare i nuovi paesi. Anche l’integrazione ne risulta danneggiata, perché si sminuisce il grado di fiducia dei cittadini europei nel processo di integrazione. La cosa più importante, però, è che tale chiusura compromette il benessere dell’Europa. Tutti abbiamo presente il conflitto per le tasse e la politica sociale. Non condividiamo l’opinione socialista secondo cui la concorrenza tra i sistemi sociali e quelli fiscali equivale al dumping ed è dannosa per il benessere di tutti gli europei. Se in Europa non adottiamo un approccio pluralistico nei confronti della tassazione e delle questioni di politica sociale, perderemo terreno rispetto a partner commerciali ben più lontani dei nuovi Stati membri. Mi riferisco alla Cina e all’India.

Si può prendere la decisione di continuare a escludere i polacchi e altri imprenditori, ma va ricordato che questo porterà l’Europa a sprofondare sempre più nel pantano della stagnazione economica. Anziché proporre idee vaghe per l’armonizzazione dei diversi aspetti del diritto economico e fiscale, la Commissione europea dovrebbe concentrare le proprie forze nel portare a termine il compito fondamentale che da circa 50 anni è il più importante, vale a dire la realizzazione del mercato comune.

 
  
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  Belohorská (NI).(SK) La Cortina di ferro è caduta quindici anni fa, e i cittadini dell’Europa centrale erano sinceramente desiderosi di diventare partner con pari diritti, naturalmente dopo aver soddisfatto alcuni criteri economici.

Qual è la verità oggi? Il Commissario Verheugen, come pure molti altri deputati, discuteva con fare compassionevole dei problemi causati dai licenziamenti alla Alstom, parlando delle sorti di 250 persone. Commissario Verheugen, lei dovrebbe sapere meglio di chiunque altro che in Slovacchia non centinaia, ma migliaia di persone sono rimaste senza lavoro a causa delle riforme che abbiamo attuato per diventare membri dell’Unione europea. Per raggiungere questo obiettivo, gli slovacchi hanno compiuto grossi sacrifici. Credo che nessuno se ne sia pentito; tutti siamo stati lieti di diventare, un anno fa, partner con pari diritti, o almeno la pensavamo così in quel momento.

Qual è la verità oggi? Credo fermamente che i vecchi quindici Stati membri, e non noi, fossero tutt’altro che pronti all’allargamento. La libera circolazione delle merci a est è divenuta davvero una realtà – oggi abbiamo negozi belli come i vostri, e la cosa è positiva; gli slovacchi non devono più recarsi in Occidente per acquistare beni di lusso.

Ma qual è la situazione per quanto riguarda la libera circolazione delle persone? Anche se è proibito discriminare i cittadini sulla base della nazionalità, quando si offre un impiego, i lavoratori provenienti dai nuovi Stati membri andrebbero preferiti ai lavoratori di paesi terzi. Ad eccezione di tre paesi, tutti gli altri hanno imposto disposizioni transitorie valide per un periodo da 2 a 7 anni, con la possibilità di riesaminare le questioni in un secondo momento; di conseguenza, questi periodi possono anche essere soggetti a proroghe. Questo aggrava ulteriormente lo stato di incertezza giuridica in cui versano i lavoratori dipendenti. Sappiamo bene che, trovandosi in Occidente, i nostri cittadini – esponenti altamente qualificati della generazione più giovane, istruita e poliglotta – percepiscono stipendi più alti, ma in condizioni sociali indegne di un essere umano. Ecco che cosa vi chiedo: per favore, prestate attenzione anche a questi aspetti.

 
  
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  Kohlíček, a nome del gruppo GUE/NGL.(CS) Signor Presidente, onorevoli colleghi, è ben noto che lavoratori e imprese dei nuovi Stati membri subiscono discriminazioni, che iniziano con il comportamento delle imprese appartenenti ai vecchi Stati membri e ad altri paesi sviluppati, che lavorando in paesi dell’Europa centrale agiscono come se non avessero mai sentito parlare di legislazione in materia di lavoro. Alcuni supermercati cechi, ad esempio, sono noti per le condizioni di lavoro medievali degli addetti alle casse e per il puntuale licenziamento durante il periodo di prova di tre mesi. Esistono numerosi altri esempi di abusi di questo genere, tra cui è particolarmente degna di nota la messa al bando dei sindacati, che, com’è ovvio, non è ufficializzata per iscritto da nessuna parte.

Anche le catene di negozi assumono atteggiamenti tipicamente coloniali nei confronti dei fornitori, e i tempi di pagamento lunghi, le spese di pubblicità, le tasse e i prezzi estremamente bassi che essi impongono sono già stati oggetto di critica in numerose occasioni. Tali pratiche sono abituali nei paesi dell’Europa centrale e orientale, ed è anche consueto che alle merci provenienti dai fornitori locali sia assegnato poco spazio, che ai fornitori venga chiesto di lasciare un deposito in denaro prima di iniziare a fornire le merci e che venga loro chiesto di consegnare merci a qualunque ora del giorno, sette giorni alla settimana.

Numerose questioni restano pertanto irrisolte per quanto riguarda le condizioni di lavoro nei nuovi Stati membri. Nel contempo, tuttavia, i lavoratori dei nuovi Stati membri incontrano enormi difficoltà a ottenere il riconoscimento delle proprie qualifiche quando giungono nei vecchi Stati membri, nonostante il fatto che sono stati conclusi accordi internazionali al riguardo. Infermiere professionali provenienti dalla Repubblica ceca e dalla Slovacchia normalmente lavorano nei vecchi Stati membri come tirocinanti e vengono pagate di conseguenza, anche se hanno tutte le possibili qualifiche per tale impiego. Analogamente, è raro che i nostri operai specializzati abbiano superato un qualche esame riconosciuto dallo Stato, il che comporta che vengano considerati non specializzati e retribuiti di conseguenza, a prescindere dal lavoro effettivamente svolto. Questo è il caso soprattutto dell’edilizia.

Anche il riconoscimento dei titoli universitari è un grave problema, e l’attuale legislazione lascia alquanto a desiderare al riguardo. A titolo di esempio, le tre leggi in vigore in questo campo nella Repubblica ceca sono tutt’altro che perfette. E’ ora di fare qualcosa per questa situazione, perciò mi rivolgo alla Commissione europea e al Commissario Verheugen affinché presentino una proposta che delinei misure legislative adeguate. Grazie per l’attenzione.

 
  
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  Brejc, Mihael (PPE-DE).(SL) Grazie. In quest’Aula il Presidente Barroso ha sottolineato l’importanza della strategia di Lisbona e la necessità impellente di istituire il libero flusso dei servizi, solo l’ultimo degli aspetti fondamentali del mercato interno dell’Unione europea. Da una parte, perciò, vi è un chiaro desiderio di rimuovere gli ostacoli in modo da ottenere il miglior funzionamento possibile del mercato interno, mentre dall’altra parte noi, nuovi Stati membri, abbiamo osservato che le nostre imprese spesso si trovano in una posizione iniqua. Ad esempio, la restrizione applicata alle società di capitali nel mercato interno si esercita nel campo della produzione e dell’installazione di macchinari e attrezzature, nei settori delle costruzioni in metallo, dell’edilizia, della decorazione, della lavorazione della pietra naturale e così via.

Signor Commissario, lei ha detto di avere esperienza delle difficoltà dei nuovi Stati membri. Quest’oggi, tuttavia, non parliamo di queste difficoltà, ma di quelle dei vecchi Stati membri. Lei ha affermato che la Commissione intraprenderà azioni per contrastare le violazioni. Saremmo naturalmente lieti di sapere quando queste azioni avranno luogo e quali risultati daranno. La portata dei comportamenti discriminatori è naturalmente molto grande, mentre l’efficienza di coloro che dovrebbero assicurare il rispetto dell’acquis comunitario è scarsa.

Signor Commissario, ho la sensazione che i nuovi Stati membri dell’Unione europea fossero molto più preparati all’adesione all’UE e al suo allargamento che non le Istituzioni europee. Sarei felice di sentire la sua opinione al riguardo.

 
  
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  Golik (PSE).(PL) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei congratularmi vivamente con lei per la sua elezione e la sua prima apparizione in veste di Vicepresidente. Signor Commissario, l’esito del dibattito odierno non potrebbe giungere in un momento migliore per i numerosi uomini d’affari e cittadini che credono che tutti abbiano pari diritti nell’Unione allargata, e che vogliono vendere il loro bene più prezioso, e cioè il loro lavoro, nei vecchi Stati membri. Vi sono però molte persone che non desiderano più lavorare nell’Unione europea. Costoro hanno già fatto un tentativo, ma sono stati trattati in modo iniquo e si sono scontrati con il governo e le autorità locali, che violano la legge. Tali violazioni assumono la forma di verifiche fin troppo entusiastiche, che spesso prevedono la presenza di cani e poliziotti, oppure arresti nel corso dei quali i singoli individui si vedono apporre un marchio sulle mani e vengono ammanettati. Si tratta di una violazione dei loro diritti personali. Queste società e queste persone non vorranno mai più lavorare né fornire servizi nei vecchi Stati membri. E’ così che dev’essere il mercato dei servizi e del lavoro nell’Europa unita? In qualità di rappresentanti dei nostri elettori, siamo tenuti a difendere i loro diritti nell’Unione europea. Non ho mai sentito nemmeno di un caso in cui qualcuno abbia subito un tale trattamento in Polonia, anche se vi operano molte migliaia di imprese straniere e gran parte dell’industria e la maggioranza delle banche sono controllate da capitale straniero. In Polonia le organizzazioni, gli imprenditori, i ministeri e le ambasciate vengono regolarmente informati di casi in cui imprese e cittadini polacchi che forniscono servizi come subappaltatori delle imprese europee subiscono discriminazioni. Il caso della società Apola, che ha sede a Poznan, è un ottimo esempio di tali discriminazioni, nonché uno dei tanti di cui sono venuto a conoscenza. I dipendenti e i rappresentanti della società sono stati minacciati, arrestati e perseguiti dalla polizia e dalle autorità francesi nella regione del Gard. In molti casi un simile comportamento deriva dal fatto che i funzionari sono umani, anzi inumani, e non conoscono abbastanza le leggi. Non portiamo rancore alle nazioni o ai governi sotto questo aspetto, ma la questione andrebbe discussa in seno all’Assemblea, ed è per questo che al dibattito odierno dovrebbe seguire una risoluzione in cui si condannino tali violazioni del diritto. In conclusione, vorrei illustrare un ulteriore esempio di discriminazione sulla base della nazionalità, che riguarda i nuovi requisiti introdotti dalla Commissione europea, che si applicano solo alle infermiere e alle ostetriche polacche. A queste ultime ora si richiede di aver lavorato almeno 5 anni su 7 per poter ottenere un certificato che confermi le loro qualifiche, senza il quale non possono lavorare come infermiere o ostetriche nell’Unione europea. Ai cittadini di tutti gli altri 24 Stati membri si richiede solo di aver lavorato 3 anni su 5. Oltre a privare queste infermiere e ostetriche della possibilità di lavorare e dei loro diritti precedenti, i requisiti in questione, sanciti dalla legislazione europea, sono un insulto alla loro dignità professionale. Da parecchie settimane attendo una risposta al riguardo da parte della Commissione, e diverse centinaia di migliaia di infermiere e ostetriche attendono una risposta alla petizione presentata al Parlamento europeo.

 
  
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  Libicki (UEN).(PL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’economia comunitaria attraversa un brutto momento, e le economie di Francia e Germania sono quelle più duramente colpite. Sembrerebbe che più o meno tutti siano colpevoli di questa situazione. Gli Stati Uniti sono colpevoli del tasso di cambio del dollaro troppo basso, l’Estremo Oriente di schiavizzare la manodopera e i nuovi Stati membri di perseguire politiche economiche davvero sane e competitive. Si inventano persino nuovi vocaboli, che sono classici esempi di neolingua orwelliana. Per riprendere un concetto espresso dall’onorevole Szymański, ad esempio, si usa la parola dumping, con tutte le sue connotazioni negative, anziché parlare semplicemente di sana competizione economica.

Nonostante i numerosi meriti del progetto di direttiva Bolkestein, tutti i sostenitori di ciò che è noto come “economia sociale” si sono risentiti quando è stato presentato. Sono bastati alcuni brontolii irati da Parigi e da Berlino per far sì che questo eccellente progetto di direttiva venisse accantonato. Senza dubbio sono possibili approcci diversi, uno dei quali è la discriminazione, che in effetti è molto in evidenza, come hanno osservato i precedenti oratori, che hanno elencato un gran numero di individui e di società che ne hanno avuto esperienza.

Il Commissario Verheugen è molto stimato in Polonia, cosa che vorrei sottolineare, però trovo sconvolgente che sostenga di aver ricevuto solo un reclamo riguardante un paese. In qualità di presidente della commissione per le petizioni, ho compilato un lungo elenco di casi di discriminazione, che ho trasmesso al Commissario Verheugen, alla Presidenza olandese e al Commissario Bolkestein. Trovo deplorevole che i Commissari non siano in grado di scambiarsi simili informazioni. Se il Commissario Verheugen, che, come ho detto poc’anzi, in Polonia è molto amato, sostiene di non saperne nulla, restiamo davvero perplessi. Se in seno alla Commissione non vi è alcuno scambio di informazioni, a chi allora dobbiamo trasmetterle?

La strategia di Lisbona e il Patto di stabilità e di crescita miravano a fare dell’economia dell’Unione europea la prima economia al mondo, ma hanno fallito. Adesso si sentono dichiarazioni enigmatiche che suggeriscono che lo scopo è solo quello di fare dell’economia dell’Unione una delle prime al mondo, anche se vi è una differenza fondamentale tra questi due obiettivi. L’Assemblea ha ascoltato numerosi reclami in merito alla chiusura dello stabilimento per la produzione di cellophane di Bridgwater, nel Regno Unito, la cui attività è stata trasferita in Kansas. Questa è la scelta che vi si pone, onorevoli colleghi: o permettete alle imprese di trasferire la produzione in Polonia, nella Repubblica ceca o in Slovacchia, oppure la sposteranno in Kansas o in Estremo Oriente.

La solidarietà all’interno e la competitività all’esterno dovevano costituire le basi su cui fondare l’Europa. Nessuno dei due obiettivi è stato raggiunto, il che a nostro avviso è deplorevole. Come dice il proverbio degli indiani d’America, se scopri di essere a cavallo di una vecchia asina invece che di un mustang, dovresti smontare subito di sella.

Vi invito a smettere di cavalcare una vecchia asina sotto forma di un’economia sociale comunitaria inefficiente, in cui Francia e Germania primeggiano per inefficienza.

 
  
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  Czarnecki, Ryszard (NI).(PL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi esiste una duplice Europa: quella vecchia, di classe superiore, e quella nuova, di ceto inferiore. La prima è avventata, miope e non dà grande importanza alla competitività. In altre parole, taglia il ramo su cui è seduta. La seconda può anche essere stata ufficialmente invitata a sedere al tavolo dell’Unione europea, ma in realtà è vittima di discriminazioni. Se il vostro scopo è mettere queste due Europe l’una contro l’altra, continuate pure con la vostra condotta attuale. Sono curioso di vedere l’esito dei referendum sulla Costituzione nella Repubblica ceca e in Polonia. Si tratta di due questioni non collegate, vi sento dire. Ufficialmente lo sono, ma come pensate di persuadere i cittadini dei nuovi Stati membri dell’Unione che è proprio così? State chiedendo ai parenti più giovani dell’Unione di sostenere la Costituzione per un’Europa unita, e allo stesso tempo li mettete in guardia dall’avvicinarsi troppo al mercato unico dell’UE. Si tratta di un atteggiamento estremamente miope, e i paesi, i governi, le società e le imprese che lo accolgono promuovono l’euroscetticismo in Europa. Invece di superare le antiche divisioni, ne stanno creando di nuove. Non possiamo neppure consolarci al pensiero che si tratti solo dell’egoismo di singole nazioni o industrie, perché in effetti è sempre la stessa stupidità cui siamo abituati, con tutte le disastrose conseguenze che comporta sia a livello politico che economico. Si tratta di un comportamento assai imprudente, inter alia per i consumatori dei vecchi Stati membri dell’Unione.

Onorevoli colleghi, è ora di mettere giudizio.

 
  
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  Fjellner (PPE-DE).(SV) Signor Presidente, come abbiamo sentito oggi in Aula, vi sono parecchi casi in cui è più facile per un martello attraversare il Baltico che non, per esempio, per chi lo porta fare altrettanto e piantare un chiodo. Pertanto mi compiaccio del progetto di direttiva sui servizi, grazie al quale presto potremo parlare di quattro libertà – libertà di circolazione delle merci, dei servizi, delle persone e anche dei capitali – e non più solo di tre, come avviene ora. Ai sensi dell’attuale Trattato, però, numerosi eventi che hanno luogo per esempio nel mio paese, la Svezia, che comprendono palesi atteggiamenti discriminatori sanciti dallo Stato ai danni di persone provenienti dai nuovi Stati membri, sono del tutto inaccettabili.

Vorrei offrirvi un breve, ma decisamente spaventoso e, purtroppo, non unico esempio del modo in cui i sindacati e le autorità insieme neghino ai nuovi Stati membri dell’UE l’accesso al mercato interno. Il caso della Svezia inizia con un’autorità locale che doveva costruire una scuola e, poiché aveva seguito le norme europee sugli appalti pubblici, aveva assunto un’impresa di costruzioni lettone (LP-Bygg). Ben presto è arrivato il sindacato degli operai edili, che ha impedito l’accesso al luogo di lavoro, bloccando i lavori, portando striscioni e cantando “A casa, a casa”. Sostenevano che il motivo di questo comportamento era che la società lettone aveva la responsabilità di aver firmato un accordo collettivo specificamente svedese e che quello lettone non era valido, sebbene fosse più remunerativo di quello svedese. La decisione era stata presa: i lettoni se ne dovevano andare. La società ha presentato ricorso alle autorità, e il Tribunale del lavoro, di cui il sindacato fa parte, naturalmente ha assunto una posizione favorevole al movimento sindacale. Anche il nostro ministro del Lavoro – che di recente è stato a capo del movimento sindacale – ha assunto una posizione ad esso favorevole. E’ in momenti come questo che mi vergogno di essere svedese.

Esattamente una settimana fa, la società lettone è stata costretta a dichiarare fallimento. Di conseguenza, abbiamo scolari senza una scuola, contribuenti con ulteriori tasse da pagare e lettoni disoccupati. Tutto questo perché il cartello del mercato del lavoro svedese possa continuare a operare. Galvanizzato dal proprio successo, ora il sindacato, con il sostegno del governo, sta conducendo una campagna in tutto il paese, chiedendo che le persone che “non sembrano svedesi portino chiare tessere di riconoscimento”.

E’ inaccettabile, e mi domando che cosa intenda fare la Commissione per porre un freno a questi episodi di razzismo e di protezionismo così diffusi in Europa.

(Applausi)

 
  
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  Geringer de Oedenberg (PSE).(PL) Onorevoli colleghi, in quest’Aula si è già fatta menzione in molte occasioni di problemi legati alla discriminazione dei lavoratori e delle imprese dei nuovi Stati membri sul mercato interno dell’Unione. Io stesso ho richiamato l’attenzione dell’Assemblea sulla questione più di sette mesi fa, ma devo notare con rammarico che da allora non è cambiato nulla. Per questo motivo abbiamo sentito tanti deputati dei nuovi Stati membri parlare ancora oggi di palesi violazioni della legislazione comunitaria in questo campo. Oltre ai cosiddetti periodi di transizione che sono stati imposti ai 10 nuovi paesi, i vecchi Stati membri collocano un numero crescente di ostacoli giuridici e amministrativi sul nostro cammino. Tali pratiche ledono la libertà di stabilimento e la libertà di prestazione di servizi, che si applicano entrambe a qualunque entità registrata legalmente nell’Unione europea e che sono entrambe sancite dal Trattato. Esistono già le prove di numerosissimi casi in cui si riscontrano disposizioni discriminatorie, che di nuovo sono in contrasto con la normativa comunitaria, nella legislazione nazionale dei vecchi Stati membri. L’accesa opposizione manifestata da paesi quali la Francia, il Belgio e la Germania nel corso dei dibattiti sulla liberalizzazione dei servizi, come si illustra con dovizia di dettagli nella direttiva Bolkestein, è un’ulteriore prova dei tentativi di discriminazione ai danni delle imprese dei nuovi Stati membri. Trovo alquanto sorprendente che i paesi che hanno acconsentito all’allargamento dell’Unione europea e all’integrazione con i paesi dell’Europa centrale e orientale, pur sapendo che lo scopo di tale integrazione era la creazione di un’unità socioeconomica singola e potente, ora ostacolino i tentativi di raggiungere l’obiettivo. Questa non è l’Unione europea in favore della quale abbiamo votato nel corso dei referendum tenutisi prima dell’allargamento dello scorso anno. Vorrei perciò rivolgermi alla Commissione europea affinché intervenga e renda note le sue opinioni al riguardo, e affinché compia i passi adeguati per fermare le pratiche discriminatorie ai danni dei nuovi Stati membri.

 
  
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  Verheugen, Vicepresidente della Commissione.(DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei ribadire che la Commissione ha ricevuto reclami ufficiali relativi solo a un singolo Stato membro. La Commissione non può intervenire sulla base di informazioni sentite qua e là; se deve agire, dev’esserci un reclamo formale. Ciascun deputato dell’Assemblea conosce le regole.

A quegli onorevoli deputati che oggi hanno parlato di centinaia di casi di discriminazione, posso dire solo che dovrebbero suggerire a coloro che si ritengono vittime di discriminazioni di presentare un reclamo formale. La Commissione seguirà ogni singolo caso, poiché è tenuta a farlo.

Vi chiederei di cuore di non rivolgermi accuse secondo le quali la Commissione non ha considerato alcun reclamo diverso da quelli contro questo singolo Stato membro. Vi chiedo di non dubitare della veridicità di quanto vi dico. Se affermo che abbiamo ricevuto reclami rivolti a un solo paese, allora è proprio così. Fate dunque in modo che coloro che ritengono di essere stati discriminati utilizzino i canali appropriati, e si interverrà. La Commissione ha già intrapreso le azioni necessarie per affrontare lo Stato membro nei confronti del quale è stato mosso un reclamo. Non ho detto che avremmo fatto qualcosa; lo abbiamo già fatto, e la conseguenza di tale intervento è che questi problemi stanno per essere risolti.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 12.00.

 
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