Indice 
Resoconto integrale delle discussioni
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Mercoledì 13 aprile 2005 - Strasburgo Edizione GU
1. Apertura della seduta
 2. Riunione del Consiglio europeo (Bruxelles, 22-23 marzo 2005)
 3. Turno di votazioni
 4. Calendario delle tornate del Parlamento europeo – 2006
 5. Implicazioni finanziarie dell’adesione della Bulgaria e della Romania
 6. Domanda di adesione della Bulgaria
 7. Domanda di adesione all’UE della Bulgaria
 8. Domanda di adesione della Romania
 9. Domanda di adesione all’UE della Romania
 10. Legislazione sociale nel settore dei trasporti su strada
 11. Armonizzazione di disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada
 12. Progettazione ecocompatibile dei prodotti che consumano energia
 13. Tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo
 14. Commercializzazione e utilizzo del toluene e del triclorobenzene
 15. Strategia politica annuale della Commissione (2006)
 16. Riunione del Consiglio europeo (Bruxelles, 22-23 marzo 2005)
 17. Dichiarazioni di voto
 18. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 19. Stato dell’integrazione regionale nei Balcani occidentali
 20. Politica estera / Sicurezza
 21. Tempo delle interrogazioni (Consiglio)
 22. Licenziamenti presso la Alstom
 23. Dumping fiscale e ambientale
 24. Discriminazione nel mercato interno nei confronti di lavoratori e imprese dei nuovi Stati membri
 25. Riutilizzabilità, riciclabilità e recuperabilità degli autoveicoli
 26. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
 27. Chiusura della seduta


  

PRESIDENZA DELL’ON. BORRELL FONTELLES
Presidente

 
1. Apertura della seduta
  

(La seduta inizia alle 9.05)

 

2. Riunione del Consiglio europeo (Bruxelles, 22-23 marzo 2005)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione del Consiglio europeo e la dichiarazione della Commissione sulla riunione del Consiglio europeo (Bruxelles, 22/23 marzo 2005).

Interverrà per primo, a nome del Consiglio, il Presidente in carica Juncker.

 
  
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  Juncker, Presidente in carica del Consiglio.(FR) Signor Presidente, signor Presidente della Commissione, onorevoli deputati, il 12 gennaio in quest’Aula avevo presentato il programma della Presidenza lussemburghese per i successivi sei mesi.

Oggi, come vuole la tradizione, vi presenterò brevemente i risultati del recente Consiglio europeo. Sarò breve in quanto, vista la nutrita presenza in Aula, temo che il dibattito non potrà essere molto articolato. Ecco perché non contribuirò a farlo lievitare e mi limiterò a dirvi che abbiamo raggiunto un accordo sulla riforma del Patto di stabilità e di crescita dopo aspri dibattiti, dopo scambi prettamente maschili e virili, anche se occasionalmente in mezzo a questo burrascoso dibattito si sono fatte sentire anche delle voci femminili. Il risultato cui siamo giunti è equilibrato, in quanto attribuisce la giusta importanza alla stabilità e cerca di far sì che l’applicazione delle regole di stabilità non ostacoli le possibilità di crescita che ci sono e che devono esserci in Europa. A tal fine non abbiamo modificato i principi fondamentali del Patto, ma ne abbiamo arricchito il quadro per cui d’ora in poi il Patto di stabilità e di crescita si applicherà in modo differenziato a ogni fase del ciclo economico.

La riforma cui siamo finalmente giunti è frutto di un’eccellente cooperazione, desidero sottolinearlo, tra Commissione e Consiglio e più precisamente tra il Collegio dei Commissari e la Presidenza del Consiglio, tra il Commissario responsabile per gli affari monetari e il Presidente del Consiglio dei ministri delle Finanze. E’ stato per me un vero piacere poter lavorare gomito a gomito con la Commissione.

Si è detto di tutto sulla riforma del Patto e molte delle affermazioni fatte rasentano la menzogna. Quanti affermano che a seguito della riforma del Patto sarà lecito qualsiasi deficit, quanti sostengono che è stato dato il via libera alla deriva dell’Europa verso l’indebitamento a go go si sbagliano di grosso. Non sono state cambiate né le regole fondamentali del Trattato né quelle del Patto. I criteri del 3 e del 60 per cento restano le pietre angolari di un sistema che continuerà a fondarsi su regole chiare e su disposizioni giuridiche logiche.

Vorrei ribadire in questa sede che, non appena verrà rilevato un superamento del valore limite del 3 per cento, la Commissione elaborerà una relazione e lo Stato membro in questione sarà soggetto a un più stretto controllo. Desidero chiarire che, come è sempre stato, il superamento del valore di riferimento per il deficit, vale a dire il 3 per cento, non implica automaticamente l’avvio della procedura di infrazione. Chi ritiene che questa misura sia un’innovazione dimostra di non conoscere bene il Trattato di Maastricht, che ha introdotto questa norma nel 1992. I poteri della Commissione non sono stati diminuiti dalla riforma del Patto, ma realmente rafforzati. Di conseguenza adesso non c’è più motivo di essere preoccupati, occorre invece vigilare con serietà affinché le nuove regole siano applicate in modo logico. Faremo tutto il possibile per dimostrare nei prossimi mesi e con le decisioni che adotteremo che il Patto non è morto, ma continua a essere applicato e applicabile.

Il secondo punto che figurava all’ordine del giorno del Consiglio europeo di Bruxelles era la revisione intermedia della strategia di Lisbona. Ricorderete la forte preoccupazione espressa nella discussione del 12 gennaio dai deputati che ritenevano che il Consiglio stesse cercando di disfare l’equilibrio fondamentale della strategia di Lisbona. Dopo che la Commissione ha presentato la comunicazione del 2 febbraio sulla strategia di Lisbona e la comunicazione sull’agenda sociale, Commissione e Consiglio, agendo di nuovo insieme, sono riusciti a mantenere l’equilibrio fondamentale della strategia di Lisbona. Certo, abbiamo riorganizzato la strategia di Lisbona incentrandola maggiormente sulla crescita e sulla competitività, senza però abbandonare la dimensione sociale e quella ambientale.

Come avevo fatto alcuni mesi fa, devo di nuovo constatare che gli europei non sempre capiscono l’importanza della strategia di Lisbona, perché parliamo di competitività, produttività e crescita, concetti e termini, questi, che non fanno breccia nei nostri cittadini. Gli europei di fatto vogliono un posto di lavoro, desiderano avviare imprese e trovare i finanziamenti necessari per farlo, avere mercati aperti per merci e servizi, nonché sistemi di comunicazione e di trasporto efficienti. Gli europei vorrebbero poter riconciliare vita professionale e familiare, riuscire a restare al passo con i nuovi sviluppi tecnologici e del mondo di Internet. Gli europei vogliono che i loro figli possano avere accesso a una buona istruzione; vogliono disporre di servizi di interesse generale e di servizi pubblici di elevata qualità; vogliono avere pensioni decenti; vogliono poter vivere in un ambiente salubre. Di questo tenore sono gli obiettivi della strategia di Lisbona. Al fine di dare credibilità all’idea che i governi e la Commissione d’ora in avanti saranno più proattivi e coerenti nell’attuare le decisioni scaturite dalla strategia di Lisbona, abbiamo raggruppato le azioni da intraprendere attorno a tre dimensioni che coprono 10 ambiti d’azione che a loro volta sono illustrati da 100 misure singole.

Gli attori della strategia di Lisbona sono numerosi, vale a dire la Commissione, il Parlamento europeo, i parlamenti e i governi nazionali, gli enti locali e regionali. Tutte queste istituzioni ed enti devono poter trarre maggiore beneficio dalla strategia di Lisbona. Mi riferisco soprattutto ai governi nazionali cui spetta la responsabilità di ottimizzare gli effetti dei vari elementi della strategia di Lisbona, visto che sono responsabili dinanzi ai parlamenti nazionali e all’opinione pubblica europea.

Dirò solo qualche parola sulla direttiva che porta il nome di un ex Commissario. Il 12 gennaio vi avevo annunciato che la Presidenza avrebbe detto di sì all’apertura dei mercati dei servizi e no al dumping sociale e che avrebbe voluto eliminare dalla proposta di direttiva che tutti i rischi di violazione delle norme sociali. Il Consiglio europeo di marzo ha confermato questa linea, in quanto ha invitato gli attori della procedura legislativa ad apportare alla proposta di direttiva le sostanziali modifiche necessarie al pieno rispetto di tutti i requisiti previsti dal modello sociale europeo.

Su questo, come su altri punti, vorrei fugare l’impressione, se non il sospetto alimentato dall’ignoranza, che l’attuale Commissione consideri se stessa come il motore di un’Europa neoliberale. Quando ho discusso con i vari membri della Commissione, in particolare sulla direttiva relativa al mercato interno dei servizi, non ho avuto affatto questa impressione. L’attuale proposta di direttiva è frutto delle decisioni della Commissione precedente. La nuova Commissione, insieme alle altre Istituzioni europee, vi apporterà i cambiamenti richiesti dal modello sociale europeo.

Signor Presidente, era nostra intenzione chiarire un quiproquo creatosi negli ultimi anni in quanto, con le azioni da noi compiute abbiamo voluto dimostrare che esiste una differenza tra la strategia per lo sviluppo sostenibile e quella di Lisbona. E’ errato affermare che lo sviluppo sostenibile costituisce il terzo pilastro della strategia di Lisbona, in quanto è una strategia trasversale che interessa tutte le altre politiche e che quindi comprende tutti gli aspetti della strategia di Lisbona, ovvero l’ambiente, la pesca, l’agricoltura, le finanze pubbliche e la sicurezza sociale. Lo sviluppo sostenibile è quindi quello che in inglese si chiama overarching principle e bisognerà applicarlo nell’attuazione di tutte le politiche perseguite dall’Unione. Per questo motivo la Presidenza farà in modo che il Consiglio europeo di giugno approvi una dichiarazione sui principi guida dello sviluppo sostenibile. Tale dichiarazione sarà la base del rinnovamento della strategia sullo sviluppo sostenibile approvata al Consiglio europeo di Göteborg nel 2001.

Alla luce di una decisione adottata dai ministri dell’Ambiente, abbiamo esaminato tutte le politiche di cui occorrerà tenere conto nell’affrontare il tema del cambiamento climatico. Avrete constatato che il Consiglio europeo ha accolto con favore l’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto e in particolare la sua ratifica da parte della Federazione russa. Adesso occorrerà elaborare una strategia dell’Unione a medio e lungo termine per contrastare il cambiamento climatico. Tale strategia dovrà essere compatibile con l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura mondiale annuale a un massimo di due gradi rispetto ai livelli preindustriali. In vista delle riduzioni delle emissioni richieste a livello planetario, tutti gli Stati dovranno compiere sforzi congiunti nei prossimi decenni. L’Unione ritiene che entro il 2020 i paesi sviluppati dovrebbero adeguarsi a profili di riduzione dell’ordine del 15-30 per cento, in relazione ai valori di riferimento di Kyoto; l’obiettivo a lungo termine, secondo le conclusioni del Consiglio dei ministri dell’Ambiente, sarebbe ottenere riduzioni dell’ordine del 60-80 per cento entro il 2050.

Nel corso del Consiglio europeo di Bruxelles abbiamo parlato di alcune questioni attinenti agli affari esteri. Ho notato che a stento avete trattenuto la vostra gioia per quello che abbiamo detto sulla riforma delle Nazioni Unite. Abbiamo inoltre colto l’occasione del Consiglio per ritornare sul doloroso argomento del Libano, paese che passa di sventura in sventura e che merita la solidarietà degli europei. Abbiamo di conseguenza sollecitato la Siria ad attuare rapidamente la promessa di ritirare dal Libano tutte le sue truppe e tutti gli agenti dei servizi di informazione.

Signor Presidente, avrei voluto essere più esaustivo, ma cercherò di colmare le lacune alla fine della discussione, se è prevista.

(Applausi)

 
  
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  Barroso, Presidente della Commissione.(PT) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli deputati, sono lieto di essere qui oggi per illustrarvi l’analisi della Commissione sulle conclusioni del Consiglio europeo di primavera e per spiegare come la Commissione intende dare seguito alle importanti decisioni costì adottate.

Accolgo con grande favore le conclusioni del Consiglio di primavera. Si è trattato di un risultato particolarmente importante in quanto il Consiglio si è tenuto in un momento decisivo e, inoltre, l’UE doveva dimostrare di essere in grado di affrontare le principali sfide economiche e sociali che l’Europa ha dinanzi a sé.

Mi sembra che abbiamo risposto in modo soddisfacente a questa sfida e che la Commissione abbia impresso l’impulso e l’orientamento politico che erano necessari. Devo cogliere l’occasione per lodare l’impegno e le capacità di cui ha dato prova nel corso di questo processo il Presidente Juncker e in generale la Presidenza lussemburghese. A questo punto vorrei richiamare la vostra attenzione su un’idea emersa in questo Consiglio, che considero essenziale sia oggi che per l’Unione del futuro: l’idea della convergenza tra le principali Istituzioni.

Il primo paragrafo delle conclusioni è infatti chiaro sugli obiettivi strategici della Commissione per il periodo 2005-2009, da me formulato: “I capi di Stato e di governo ne hanno preso atto e si sono compiaciuti della profonda consonanza di vedute tra il Consiglio, il Parlamento europeo e la Commissione circa le priorità dell’Unione, segnatamente per quanto concerne l’attività legislativa dei prossimi anni”. Questo spirito ci aiuterà a superare le difficoltà che l’Unione dovrà affrontare in futuro.

Mi piacerebbe mettere concretamente in rilievo che le decisioni adottate al Consiglio europeo sul Patto di stabilità e di crescita e sul rilancio della strategia di Lisbona permetteranno agli Stati membri di raddoppiare i loro sforzi intesi a completare il trittico nel Consiglio europeo di giugno e auspicabilmente a concludere l’accordo sulle future prospettive finanziarie dell’Unione.

(EN) Ora vorrei commentare più in dettaglio tre importanti temi che, come sapete, sono stati discussi al Consiglio europeo di primavera.

Primo, il Patto di stabilità e di crescita. Come tutti sapete, il consenso sul Patto è venuto meno nel novembre 2003. Ora è stato raggiunto un nuovo consenso su un adeguato quadro fiscale. La Commissione ha dato un contributo di capitale importanza a tal fine. La Commissione ha avviato dibattiti nella sua relazione sulle finanze pubbliche 2004 e, nel settembre 2004, ha adottato una comunicazione intesa a rafforzare e chiarire il Patto di stabilità e di crescita. Da quel momento in poi la Commissione ha attivamente contribuito alla discussione sulla riforma del Patto e ha sostenuto gli sforzi profusi dalla Presidenza al fine di trovare un consenso, pur preservando l’essenza del nostro quadro finanziario.

L’accordo raggiunto in seno al Consiglio europeo è stato un esito molto positivo, che ha ridato credibilità al Patto preservando le prerogative della Commissione. L’accordo non modifica i principi del Trattato. Il deficit finanziario degli Stati membri non può superare il 3 per cento del PIL e il debito pubblico resta limitato al 60 per cento. Al fine di evitare deficit eccessivi il superamento di questi limiti è tollerato solo se temporaneo e imputabile unicamente a circostanze eccezionali.

Una delle novità è che gli Stati membri devono esercitare maggiore disciplina. Devono intensificare i loro sforzi al fine di ridurre i deficit nei periodi di crescita, mentre è stata prevista una certa flessibilità per i periodi di difficoltà economica.

La Commissione intende presentare proposte volte a modificare i pertinenti regolamenti entro la fine del mese in modo da completare la riforma entro giugno. E’ nell’interesse di tutti compiere rapidi progressi per portare a termine la riforma del Patto al fine di garantire maggiore trasparenza e prevedibilità in materia di finanze pubbliche e sviluppi finanziari.

Questo è un calendario ambizioso, ma potrà di certo essere rispettato con la cooperazione di tutte le parti interessate: gli Stati membri, il Parlamento europeo e la Banca centrale europea. Sono sicuro di poter contare sulla vostra collaborazione per raggiungere questi obiettivi. La Commissione farà quello che è necessario per garantire la riuscita di questo progetto congiunto ed è disposta a lavorare a stretto contatto con voi, come richiesto nella proposta di risoluzione comune. Il Patto, per poter essere efficace, deve contare sul più ampio appoggio politico, motivo per cui un vasto sostegno in seno al Parlamento è della massima importanza.

(FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, grazie all’attivissimo ruolo della Presidenza, il recente Consiglio europeo ha impresso l’impulso politico necessario a rilanciare il perseguimento degli obiettivi di Lisbona. Abbiamo rimesso in carreggiata questa strategia dandole obiettivi chiari, vale a dire la crescita e l’occupazione, unitamente ad azioni mirate ed efficaci e strumenti semplificati, naturalmente nel rispetto degli obiettivi permanenti dell’Unione, in particolare lo sviluppo sostenibile. La Commissione è estremamente soddisfatta di questo risultato in quanto le sue proposte sono state alla base delle decisioni e delle conclusioni del Consiglio europeo.

Personalmente mi rallegro che i capi di Stato e di governo abbiano approvato e avallato il nostro approccio così unanimemente. Tale esito dimostra in modo chiaro il ruolo trainante che la Commissione, naturalmente sostenuta dal Parlamento europeo – di cui occorre ricordare l’importante risoluzione che ha approvato – può svolgere in settori che, dobbiamo riconoscerlo, rientrano per lo più nella sfera di competenza dei governi nazionali.

Il contenuto dei nostri messaggi è stato accolto favorevolmente. Le discussioni tra i capi di Stato e di governo hanno dimostrato che gli Stati membri hanno realmente accolto le nostre idee. Così gli Stati membri con la decisione di rilanciare la strategia di Lisbona hanno dato seguito alla relazione Kok che era stata discussa al Consiglio europeo di novembre. Adesso gli Stati membri devono nominare coordinatori nazionali e preparare, entro la fine dell’anno, programmi di riforma che enuncino nel dettaglio le misure da adottare per promuovere la crescita e l’occupazione.

La rifocalizzazione della strategia sulla crescita e l’occupazione nel quadro dello sviluppo sostenibile ha riscosso ampio sostegno. Al fine di raggiungere tali obiettivi occorre sfruttare tutti i mezzi nazionali e comunitari delle tre dimensioni, economica, sociale e ambientale. Il Consiglio europeo ha fornito il chiarimento necessario in merito agli obiettivi di Lisbona e alla loro relazione con la strategia per lo sviluppo sostenibile. Anche una governance migliore, ritenuta essenziale per l’attuazione da parte degli Stati membri, è un aspetto importante, in quanto permette davvero di testare la credibilità della nuova strategia di Lisbona e di capire se gli Stati membri sono davvero disposti ad accettare un sistema rafforzato di governance. La risposta è stata positiva.

Gli elementi principali di questo sistema saranno gli orientamenti integrati e i programmi nazionali che verranno presentati alla fine del 2005. La Commissione ora ha il compito di proseguire questo lavoro dando seguito alle conclusioni del Consiglio europeo. Individuo quattro tappe principali per i prossimi mesi.

La prima tappa è stata raggiunta ieri, 12 aprile, con l’approvazione da parte della Commissione degli orientamenti di massima che nel pomeriggio sono stati presentati all’Assemblea dal Vicepresidente Verheugen e dai Commissari Almunia e Špidla. Questa è una dimostrazione importante, con la quale la Commissione conferma la rinnovata centralità della crescita e dell’occupazione e fornisce agli Stati membri un quadro d’azione coerente e unico per la preparazione dei rispettivi programmi. Il Consiglio europeo di giugno sarà chiamato ad esprimere il proprio consenso politico al riguardo.

Il nostro approccio crea valore aggiunto in tre aspetti. Innanzi tutto, permette di rafforzare la coerenza delle azioni e delle riforme da effettuare nelle sfere micro e macro economiche e nel settore dell’occupazione. Esso apporta un necessario chiarimento al processo di governance economica e salvaguarda l’essenziale equilibrio tra strategia operativa e visibilità politica. In secondo luogo, tale approccio avvia la preparazione del primo elemento del nuovo ciclo triennale di Lisbona. Infine, esso fornisce il quadro politico e strategico all’interno del quale gli Stati membri devono costruire i propri programmi nazionali di riforma.

La seconda tappa di questo processo sarà la presentazione di un programma comunitario di Lisbona. Il Consiglio europeo ha auspicato che la Commissione presenti un programma comunitario d’azione che accompagni i programmi nazionali. Questo testo, che dovrà essere pronto per l’estate prossima, riprenderà le azioni già enumerate nel documento che accompagnava la nostra comunicazione del 2 febbraio sulla revisione della strategia di Lisbona. La Commissione inoltre attuerà rapidamente questo programma comunitario presentando le numerose e importanti iniziative da noi indicate e confermate dal Consiglio europeo, quali la riforma degli aiuti di Stato, la creazione dell’Istituto tecnologico europeo e l’iniziativa i2010.

La terza tappa sarà una comunicazione in guisa di guida metodologica per la stesura delle relazioni nazionali. La Commissione fornirà così a monte un orientamento per la preparazione delle relazioni nazionali. La quarta e ultima tappa sarà la preparazione e l’analisi dei programmi nazionali, la cui attuazione è prevista per il secondo semestre. Abbiamo dunque visto, e ora possiamo confermarlo, che si trattava tutt’altro che di una mera dichiarazione politica e che il Consiglio europeo ha davvero voluto ridare vita alla strategia di Lisbona, intenzione, questa, che stiamo già traducendo in concreto.

A margine della discussione sulla strategia di Lisbona, il Consiglio europeo ha ribadito l’importanza del mercato interno dei servizi per conseguire l’obiettivo centrale della crescita e dell’occupazione, pur facendo presente la necessità di preservare il modello sociale europeo. Il Consiglio europeo ha chiesto di profondere il massimo impegno nell’iter legislativo sulla direttiva sui servizi al fine di trovare un ampio consenso che risponda a tutti questi obiettivi. Desidero ancora una volta sottolineare, come avevo già detto il 2 febbraio, che la Commissione reputa possibile raggiungere tale consenso. In proposito il Parlamento ha naturalmente un ruolo centrale da svolgere.

Il terzo importante punto di questo Consiglio europeo è stato lo sviluppo sostenibile. Sono lieto che le conclusioni del Consiglio europeo di primavera abbiano permesso di ribadire l’importanza della strategia per lo sviluppo sostenibile chiarendo che la strategia di Lisbona contribuisce al raggiungimento del più ampio obiettivo dello sviluppo sostenibile.

In proposito è altrettanto importante rilevare che il Consiglio europeo ha preso atto dell’ampiezza della sfida del cambiamento climatico, confermando tra l’altro che l’aumento della temperatura mondiale non deve superare i 2 gradi celsius rispetto al periodo preindustriale. Mi rallegro inoltre per le positive reazioni suscitate dalla comunicazione della Commissione “Combattere il cambiamento climatico” e per l’invito rivolto alla Commissione a portare avanti l’analisi del rapporto costi-benefici delle strategie di riduzione delle emissioni di CO2. Tale analisi aiuterà l’Unione ad elaborare una strategia a medio e lungo termine, finalizzata a ridurre le emissioni dei paesi industrializzati del 15-30 per cento entro il 2020. La Commissione intende proseguire la sua attività attraverso la seconda fase del programma europeo sul cambiamento climatico.

Infine, sono lieto che il Consiglio europeo abbia espresso con forza la volontà dell’Unione di imprimere un nuovo slancio ai negoziati internazionali valutando le opzioni in vista di un accordo per il dopo 2012. Il Consiglio europeo auspica l’approvazione di una dichiarazione sui principi guida dello sviluppo sostenibile e intende esaminare la revisione della strategia di sviluppo sostenibile nel secondo semestre di quest’anno. Anche in questo ambito la Commissione avanzerà proposte adeguate per conseguire gli obiettivi del Consiglio.

Signor Presidente, onorevoli deputati, in conclusione converrete senz’altro che l’esito del Consiglio europeo di primavera costituisce un’eccellente base per il rilancio dell’economia dell’Unione nel più vasto ambito della ricerca dello sviluppo sostenibile. Resta tuttavia ancora molto lavoro da fare per attuare e rispettare pienamente le decisioni e gli obiettivi adottati dal Consiglio europeo. A tal fine è necessaria la mobilitazione di tutte le parti interessate. Io posso assicurarvi che la Commissione, per parte sua, si è mobilitata in toto per dare rapidamente il proprio contributo. Conto sulla vostra partecipazione e sul vostro attivo sostegno.

Concludo parlando, come ho fatto all’inizio, dell’idea di convergenza tra le Istituzioni, convergenza sugli obiettivi a medio termine. Credo che in futuro debba affermarsi questo stesso spirito di convergenza, che del resto era presente anche ieri, quando mi sono rivolto alla commissione temporanea sulle sfide politiche e i mezzi finanziari dell’Unione allargata nel periodo 2007-2013. Il Consiglio europeo di primavera è riuscito a ottenere importanti progressi, quali la revisione della strategia di Lisbona e del Patto di stabilità e di crescita. Il prossimo ostacolo che dobbiamo superare sono le prospettive finanziarie. A tal fine sarà essenziale la cooperazione tra Commissione e Parlamento, nonché, naturalmente, il lavoro che svolgiamo in stretta collaborazione con il Consiglio europeo.

(Applausi)

 
  
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  Poettering, a nome del gruppo PPE-DE.(DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei reputa positivi i risultati del Consiglio di primavera sulla Strategia di Lisbona. Riteniamo che il Consiglio abbia trovato una via adeguata per esprimere il proprio pensiero, enunciando obiettivi che sono ambiziosi, ma al contempo realistici.

Al pari del Consiglio e della Commissione siamo del parere che sia necessario migliorare la competitività dell’Unione europea e aumentare la crescita, nonché utilizzare nel corso di tale processo la migliorata competitività e la maggiore crescita per creare nuovi posti di lavoro. A tal fine Commissione, Consiglio e Parlamento hanno il dovere comune di formulare una legislazione europea all’altezza dell’obiettivo. Ciò vale principalmente per tutta la legislazione REACH, in altre parole per la legislazione sulle sostanze chimiche, ambito in cui noi, come Parlamento europeo, e il Consiglio abbiamo un immenso lavoro legislativo da portare a termine. Sollecito anche la Commissione a dare il proprio contributo al riguardo.

Nel quadro della strategia di Lisbona, ci siamo espressamente rallegrati per la buona cooperazione emersa non solo tra Commissione, Consiglio e Parlamento, ma anche, e soprattutto, con i parlamenti nazionali. Il Presidente dell’Assemblea ha proposto, iniziativa a mio parere ottima, che il Parlamento europeo consulti le controparti nazionali sulla strategia di Lisbona. E’ un’iniziativa positiva per la questione in discussione, per la strategia di Lisbona, nonché per la collaborazione tra il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali. Tale iniziativa dovrebbe essere presa ad esempio anche in altri settori politici.

Per quanto riguarda la stabilità della moneta europea, la grande maggioranza del nostro gruppo sarebbe stata favorevole al rispetto delle regole precedenti. Sottolineiamo con forza che la fiducia nella stabilità della moneta europea è la base per la fiducia reciproca tra europei e nel processo di unificazione europea.

Tuttavia – e mi rivolgo in particolare al Presidente in carica del Consiglio europeo con la sua esperienza; penso infatti che sia il solo qui ad essere stato presente a Maastricht alla firma del Trattato –, occorre dare atto dell’impegno a non operare sconti sui criteri del 3 per cento e del 60 per cento. L’interpretazione secondo cui potremmo superare il 4 per cento o forse anche più è dunque assolutamente scorretta. Le conclusioni affermano espressamente che, nel caso in cui sia superiore al 3 per cento, il debito deve avvicinarsi a tale massimale, e che questo non è un assegno in bianco o un pretesto per un nuovo debito senza limiti.

A nome del nostro gruppo sollecito la Commissione a continuare risolutamente a svolgere in futuro il proprio ruolo di custode del diritto e della stabilità.

Quanto alla Croazia, sebbene il nostro gruppo ritenga che a questo paese non venga riservato un trattamento equo, accogliamo positivamente gli sforzi compiuti, in particolare dal Presidente in carica del Consiglio, onde garantire che finalmente il Tribunale internazionale dell’Aia si pronunci o emetta una sentenza preliminare in merito all’avvio dei negoziati, e che venga istituita una commissione per esaminare la situazione croata. Auspico un rapido avvio dei lavori cosicché i negoziati con la Croazia possano iniziare.

Sostengo pienamente quanto è stato detto su Kyoto. Appoggiamo tutti coloro che promuovono con determinazione la riduzione delle emissioni. Nella nostra risoluzione comune, vale a dire nella risoluzione di compromesso del Parlamento, al paragrafo 35 prendiamo inoltre posizione sull’embargo sulle armi imposto alla Cina. Vogliamo dire ai capi di Stato e di governo che il Parlamento, e credo ci sia unanimità su questo punto, o almeno il nostro gruppo, non accetterà di revocare l’embargo sulle armi per motivazioni legate ai diritti umani di altra natura.

(Applausi)

La massima priorità delle prossime settimane è l’approvazione della Costituzione europea. Esortiamo tutte le parti interessate a dare il proprio contributo, così da poter ottenere la maggioranza nei referendum in Francia e nei Paesi Bassi. Un esito positivo costituirebbe un buon punto di partenza per le successive consultazioni referendarie, visto che la Costituzione è la massima priorità e che abbiamo bisogno della Costituzione europea per il futuro dell’Europa.

(Applausi)

 
  
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  Schulz, a nome del gruppo PSE.(DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, illustre Aula vuota, ho ascoltato con emozione l’onorevole Poettering. Il gruppo socialista al Parlamento europeo è soprattutto interessato a vedere come l’onorevole Poettering se la caverà con la divergenza di opinioni tra alcuni capi di governo cristianodemocratici e la stragrande maggioranza del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei al Parlamento. Ha tirato fuori giri di frasi piuttosto eleganti per nascondere la spaccatura esistente all’interno della famiglia dei partiti conservatori tra la posizione dei capi di governo e quella assunta dal gruppo parlamentare, a sua volta più eterogeneo che omogeneo.

Quali sono i punti in discussione? L’onorevole Poettering ha esordito con Lisbona e ha espresso un giudizio molto positivo su tale strategia, punto su cui siamo assolutamente d’accordo. A ragione ha detto, come peraltro hanno fatto il Presidente della Commissione e il Presidente in carica del Consiglio, che il Vertice ha lanciato segnali su Lisbona e sull’attuazione degli obiettivi della strategia. Anche noi ci auguravamo questo, vale a dire di ricevere buone notizie dal Vertice, la qual cosa ci incoraggia. Su questo siamo assolutamente d’accordo.

Onorevole Poettering, il Vertice e il suo esito possono essere correttamente compresi solo associando la riforma del Patto di stabilità – nonché la necessità di maggiore flessibilità che ne deriva per i governi nazionali – ai precisi obiettivi del processo di Lisbona, in quanto coloro che vogliono e devono investire su tali obiettivi, come si afferma, devono poter essere in grado di farlo.

Il particolare fascino dell’esito del Vertice risiede nella combinazione tra gli strumenti necessari a garantire maggiore flessibilità, ora inseriti nel Patto, e gli obiettivi del processo di Lisbona, come è stato illustrato. Per questo motivo il gruppo PSE sottoscrive pienamente i risultati, come si afferma anche nella risoluzione odierna, che approveremo a larga maggioranza; presumo che gli scettici del gruppo PPE-DE ora approveranno la formulazione del Patto di stabilità e di crescita, che è pressoché identica a quella da noi richiesta prima del Vertice. Ci auguriamo che il gruppo PPE-DE agisca in tal senso, decisione di cui saremmo particolarmente lieti.

Onorevole Poettering, l’ho ascoltata con uguale attenzione, quando lei si è espresso a favore di un rapido avvio dei negoziati con la Croazia, e ne comprendo perfettamente il motivo. Oggi pomeriggio vedremo quanta affidabilità accordare alle dichiarazioni del gruppo PPE-DE quando nel corso dei negoziati di adesione verrà il momento di trarre le conclusioni. Se, però, questo pomeriggio quanti in Croazia ripongono le loro speranze nell’affidabilità delle sue dichiarazioni verranno trattati alla stregua della Bulgaria e della Romania, allora dovremmo avvertirli in anticipo a Zagabria che dovrebbero riparlare con l’onorevole Poettering.

(Applausi)

Il gruppo PSE si rallegra per il fatto che le conclusioni del Consiglio creino speranze soprattutto in un altro settore. Negli ultimi anni, come socialdemocratici, abbiamo posto l’accento sulla necessità che l’Europa svolga un ruolo mondiale sulle questioni dello sviluppo sostenibile e del cambiamento climatico. Le risoluzioni in fase di approvazione, cui ha di nuovo fatto riferimento il Presidente della Commissione, indicano la via da seguire. Dobbiamo dire ai cittadini, e mi riferisco alle sue opportune dichiarazioni sul referendum in Francia, che nessun paese al mondo e nessun paese europeo, neppure il più industrializzato, può rispondere da solo alle sfide del XXI secolo. L’Europa può affrontare tali sfide solo a livello comunitario, nella comunità economica, monetaria e sociale e nella comunità che l’Europa può sviluppare come forza, come comunità impegnata nello sviluppo sostenibile e nella riduzione dei pericoli ambientali. Queste sfide sono globali e né la Francia, né la Germania, né la Gran Bretagna, né il Belgio, né il Portogallo possono fronteggiarle da sole. E’ compito dell’Europa in quanto continente e dell’Unione europea come organizzazione politica contrastare questi rischi. Questo messaggio del Vertice di primavera non deve essere sottovalutato. I socialdemocratici al Parlamento europeo si rallegrano di questo messaggio, motivo per cui possiamo approvare la nostra proposta di risoluzione sperando che ottenga, in buona coscienza, un ampio sostegno sia dai membri del gruppo PPE-DE che da quelli del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa.

(Applausi)

 
  
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  Watson, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signor Presidente, spesso sembra che spetti ai piccoli Stati membri salvare l’Europa dai problemi creati dai partner più grandi. Presidente Juncker, temo che su di lei ricadano di nuovo elevate aspettative. L’Unione europea sta affrontando sfide capitali che metteranno alla prova non solo la sua capacità di rispondere alle speranze e alle necessità dei cittadini, ma anche la sua effettiva capacità di coesione.

Il Consiglio europeo si è occupato della sfida di rivitalizzare il nostro potenziale di crescita economica. La nostra economia è in fase di stallo da quando è stata avviata la strategia di Lisbona nel 2000; è come se un millennium bug di proporzioni continentali abbia colpito la nostra competitività e ridotto la nostra determinazione di assumere decisioni ferme.

Si è parlato di questo Vertice come del rilancio dell’agenda decennale di Lisbona, eppure ai liberali e ai democratici è rimasta l’impressione che i leader europei continuino a procedere in preda al sonnambulismo. Il solenne linguaggio delle conclusioni del Consiglio non è sostenuto dalla dignità di una disciplina di pensiero. Il testo brilla sul piano retorico, ma è carente su quello dell’azione. Le conclusioni del Consiglio, da una parte, incoraggiano le imprese a produrre nuovi fattori competitivi, i consumatori a usufruire di nuove merci e servizi e i lavoratori ad acquisire nuove competenze e, dall’altra parte, paradossalmente richiedono alla Commissione di riscrivere una parte cruciale della legislazione sul mercato interno per permettere la crescita del settore dei servizi. Il progetto di direttiva sui servizi è migliorabile, tuttavia i miglioramenti verranno apportati con serietà dal Parlamento e dai pertinenti Consigli settoriali, più che dai capi di Stato che cercheranno di fare colpo sul pubblico e di speculare sul nazionalismo.

Le conclusioni del Consiglio europeo parlano di prospettive finanziarie volte a dotare l’Unione dei fondi necessari all’adempimento degli impegni politici assunti, in particolare le priorità di Lisbona, eppure gli Stati membri, da un lato, continuano a chiedere un bilancio restrittivo, mentre dall’altro, sottoscrivono stanziamenti per la spesa estera per sette anni.

I liberali e i democratici di questa Assemblea non condividono la soddisfazione del Presidente Barroso per il Vertice di Primavera. Presidente Juncker, manifestiamo alla sua Presidenza un tiepido entusiasmo per una missione impossibile: la sua leggendaria abilità di artefice di compromessi ha salvato i cocci del Patto di stabilità e di crescita. Eppure la formulazione approssimativa del Patto e le sue clausole di esclusione hanno fatto tremare gli economisti ortodossi. Inoltre l’utilizzo della ritrovata flessibilità del Patto da parte di Silvio Berlusconi per concedere tagli fiscali a ridosso di elezioni generali dimostra il disprezzo con cui leader irresponsabili tratteranno i partner della zona euro.

Che cosa è successo al ruolo guida dell’Europa? Dov’è il senso dello scopo comune? C’è da stupirsi che i cittadini francesi e britannici mostrino scarso entusiasmo per un nuovo Trattato, visto che due dei nostri leader di più lunga data sono stati vergognosamente incapaci di spiegare e giustificare l’Unione ai loro concittadini? Il vuoto di leadership a livello nazionale ed europeo minaccia di far fallire non solo il Trattato costituzionale, ma l’intero progetto. Se la Costituzione non verrà ratificata, la colpa ricadrà a pieno titolo sui leader che sacrificano l’obiettivo a più lungo termine dell’unità europea a quello a breve termine della popolarità nazionale.

Signor Presidente in carica del Consiglio, non posso fare a meno di concludere che il Partito popolare europeo sta voltando le spalle alla nostra Unione. Lei non ha sfruttato la sua maggioranza in seno al Consiglio per costruire una strategia economica coerente in patria. Lei non è in grado di dispiegare le sue truppe per adempiere l’impegno assunto nei confronti della Bulgaria e della Romania, per non parlare poi del comportamento verso la Croazia di cui abbiamo appena parlato. Veniamo umiliati all’estero quando l’Unione rinuncia opportunisticamente ai suoi scrupoli per assicurarsi uno status commerciale privilegiato con i regimi totalitari di Russia e Cina, quando chiudiamo un occhio sulle sofferenze del Sudan, quando non diciamo niente di fronte alle eccessive reazioni degli americani che incarcerano i nostri cittadini senza alcun capo di imputazione e negano lo spazio aereo alle nostre compagnie aeree. In simili circostanze l’Unione europea rende un cattivo servizio ai suoi cittadini. L’Europa ha bisogno e merita di meglio.

(Applausi)

 
  
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  Frassoni, a nome del gruppo Verts/ALE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, per una volta, anche per il gruppo dei Verdi e Alleanza libera europea ci sono alcune buone notizie nelle conclusioni di un Consiglio europeo. Non capita spesso, forse per questo il Presidente Barroso ha detto che i Verdi sono fuori dal sistema o antisistema. Non lo credo e spero di utilizzare gli anni e i mesi che ci separano dalla fine della legislatura per convincerlo del contrario.

Anche perché non ci fa particolarmente piacere notare che, proprio sui quattro punti di questo vertice che abbiamo ritenuto relativamente positivi, la Commissione è rimasta indietro perché aveva assunto una posizione diversa. I punti sono: la riforma del Patto di stabilità, precisi obiettivi numerici per quanto riguarda il protocollo di Kyoto, che la Commissione ha deciso sfortunatamente di non citare, il riequilibrio della Strategia di Lisbona in termini di sostenibilità ambientale e sociale – pur se in modo ancora vago e impreciso – e una sorta di ritrovata sintonia con la realtà per quanto riguarda la direttiva Bolkestein: nonostante si fatichi molto, ad ammettere, anche in questo Parlamento, che prima di approvare la direttiva Bolkestein, bisogna elaborare una direttiva sui servizi di interesse generale.

Anche noi riteniamo che la riforma del Patto di stabilità sia stata positiva e sia maggiormente in grado di tenere conto della situazione economica generale e delle situazioni nazionali specifiche. Certo, questi aspetti positivi vengono fortemente controbilanciati dal fatto che le indicazioni rimangono troppo vaghe per quanto riguarda la qualità della spesa. Scegliere, ad esempio, di investire fino a 700 milioni di euro all’anno sulla costruzione del reattore termonucleare sperimentale internazionale, quando anche i più ottimisti non prevedono che lo si possa usare – semmai si potrà farlo – prima del 2050, significa non riconoscere l’urgenza di applicare il protocollo Kyoto né le potenzialità delle energie rinnovabili e non investire in questo settore. Questo ci sembra un grave errore.

Inoltre, purtroppo, dobbiamo constatare che durante il Consiglio europeo non si è assolutamente tenuto conto del fatto che un ambiente macroeconomico sano deve includere una riforma fiscale che trasferisca sul degrado ambientale l’onere fiscale che oggi grava sul lavoro, contribuendo a rendere più interessante l’occupazione regolare. E’ quanto affermava Jacques Delors nel ‘92, e da allora non abbiamo fatto nessun passo avanti.

Presidente Barroso, Commissario Verheugen, penso che dovrebbe veramente insegnare qualcosa la triste parabola dell’economia italiana e del suo governo, che è arrivato al potere promettendo un nuovo miracolo economico, tagliando tasse, regole ambientali, e oggi il paese sta all’ultimo posto per crescita e competitività in Europa. Riteniamo necessario, Presidente Barroso, che l’Unione europea si esponga, anche per vincere il referendum sulla Costituzione in Francia e per convincere i cittadini che esiste un valore aggiunto europeo, affinché l’iniziativa della Commissione nel quadro della Strategia di Lisbona si traduca in nuove norme. Non siamo contenti del fatto che la Commissione si accontenti di svolgere un ruolo di coordinamento. Ciò non ci basta perché significa, per gli elettori francesi ma non solo, che l’unico messaggio che arriva dall’Europa è quello della direttiva Bolkestein, della brevettabilità del software e del laissez faire in materia economica e sociale.

Non ci siamo! Noi crediamo che sia necessario agire in un’altra direzione e, soprattutto, invitiamo la Presidenza e il Presidente Barroso a prestare maggiore attenzione a quella che noi, ma anche la Commissione, abbiamo chiamato "la rivoluzione della ecoefficienza". In questo momento questa industria, le imprese di questo tipo, crescono del cinque per cento l’anno e noi crediamo che bisogna investire e scommettere molto di più su questo settore. Infine, concordo con quanto affermato dal Presidente Watson, con una sola eccezione: io non credo, insieme al mio gruppo, che affrettare, spingere, mettersi con le spalle al muro per quanto riguarda l’adesione di Bulgaria e Romania ci aiuterà a convincere i bulgari, i rumeni e gli europei della fattibilità del progetto.

 
  
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  Figueiredo, a nome del gruppo GUE/NGL.(PT) Signor Presidente, signor Presidente della Commissione, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, la recente revisione al ribasso delle stime di crescita annunciata dalla Commissione e la conseguente capitolazione ai già bassi tassi di crescita registrati nel 2004 dimostrano che le politiche finanziarie e monetarie restrittive sia a livello europeo che di Stati membri hanno fatto diminuire la domanda interna, gli investimenti pubblici e la ripresa economica.

Tale situazione ha avuto un impatto negativo sulla disoccupazione, la povertà, l’esclusione sociale e l’aumento delle disuguaglianze sociali e territoriali, come conferma l’esistenza di 20 milioni di disoccupati e di circa 70 milioni di persone che vivono sotto la soglia di povertà, mentre le grandi imprese dell’UE hanno registrato un aumento del profitti del 78 per cento nel 2004 e attualmente stanno sfiorando gli utili più elevati degli ultimi 25 anni in rapporto al PIL della zona euro.

Alla luce di questa situazione, come si può accettare il cosiddetto rilancio della strategia di Lisbona, visto che si fonda sulla competitività e sulla creazione di una forza lavoro più attrattiva per le imprese, visto che si incentra su un’estensione della liberalizzazione in settori come quello dei servizi, sull’aumento della flessibilità dei mercati, sulla riduzione dei diritti dei lavoratori, sull’estensione dei settori scarsamente remunerati, visto che cerca di presentare proposte di direttiva sull’organizzazione dell’orario di lavoro e sulla creazione di un mercato interno per i servizi? Noi non accettiamo tale rilancio.

Come si può accettare che le conclusioni del Consiglio facciano solo un rapido riferimento all’inclusione sociale limitandosi a parlare dei bambini poveri e senza presentare un programma interdisciplinare e integrato per combattere la povertà e l’esclusione sociale? Come si può accettare che, nonostante l’annunciata revisione del Patto di stabilità e di crescita, si continui a insistere sul raggiungimento di obiettivi restrittivi, sebbene piuttosto flessibili, dando priorità allo smantellamento della sicurezza sociale pubblica e universale, quando è noto che gli investimenti pubblici e il mantenimento dei sistemi pubblici di sicurezza sociale sono elementi essenziali per combattere la povertà e l’esclusione sociale?

Di conseguenza desideriamo mettere in rilievo la necessità di ritirare le proposte di direttiva sull’orario di lavoro e sul mercato interno dei servizi e di revocare il Patto di stabilità e di crescita per sostituirlo con un Patto di crescita e di occupazione. In tal modo sarà possibile dare priorità alla creazione di 22 milioni di posti di lavoro qualificati e tutelati in termini di diritti entro il 2010, al fine di conseguire gli obiettivi fissati al Consiglio europeo di Lisbona e di dimezzare la povertà e l’esclusione sociale, come deciso nella strategia di Lisbona del 2000.

Crediamo che la lotta contro le disuguaglianze di reddito, a favore della parità di diritti e di opportunità e a sostegno di una vera convergenza dovrebbe essere in cima all’agenda sociale ed economica dell’Unione europea.

 
  
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  Clark, a nome del gruppo IND/DEM.(EN) Signor Presidente, dopo tutte le dichiarazioni rilasciate dal Presidente Juncker un mese fa in Parlamento e altrove, secondo cui il Patto di stabilità e di crescita era morto o, nella migliore delle ipotesi, doveva continuare a trascinarsi così com’era, adesso apprendiamo dal Consiglio europeo che è ancora vivo. Lazzaro colpisce ancora. Ma non è vivo, è un trucco. Tempo un anno e questo Patto in decomposizione verrà eluso o abbandonato, come ho detto la volta scorsa.

Tuttavia, è notevole il fatto che il Vertice non abbia discusso di un punto: la correzione di bilancio a favore del Regno Unito. Il Presidente Chirac, almeno, ha fatto un commento in proposito dopo la riunione, dicendo ai giornalisti che tale eccezione non era più giustificabile e che apparteneva al passato. Il Presidente della Commissione Barroso ha fatto eco a queste dichiarazioni.

Forse a lei piacerebbe giustificare il fatto che senza la riduzione il Regno Unito corrisponderà all’UE un importo 14 volte superiore rispetto alla Francia e che, anche a seguito di uno sconto, il contributo britannico supererà di due volte e mezza quello francese. Il Presidente Barroso ha inoltre detto che il 70 per cento della spesa effettuata dalla Commissione era destinata all’agricoltura quando è stata concordata la riduzione, mentre le nuove proposte la ridurrebbero a un terzo. In realtà le proposte prevedono che i tre quarti della spesa futura siano destinati all’agricoltura delle regioni povere, settore in cui risiedono le priorità della Commissione. Che ci sia una riduzione o meno, non vi è alcun beneficio per il Regno Unito. Il nostro ministro degli Affari esteri ha detto che la proposta della Commissione potrebbe comportare un rialzo del 35 per cento del bilancio, ma ha precisato che la riduzione britannica resta fuori discussione.

Il 5 maggio nel Regno Unito si terranno le elezioni. Vi sconsiglio di cercare di prendere il volo da Londra a Bruxelles il giorno dopo. Incappereste in funzionari di partito e ministri di governo di ogni colore, che si precipitano a Bruxelles per cercare un compromesso. Sarà una pietra miliare sulla via dell’uscita della Gran Bretagna. Tanto peggio, tanto meglio poiché, in termini monetari, l’UE allora sarà 14 volte negativa sia per il Regno Unito che per la Francia. E’ risaputo che, nonostante i disperati sforzi del Presidente Chirac, gli attuali sondaggi indicano che l’UE è vista sempre meno di buon occhio in Francia.

 
  
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  Muscardini, a nome del gruppo UEN. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, è proprio il caso di dire che finalmente i governi hanno capito che il Patto di stabilità non deve essere uno strumento frenante, o addirittura un fattore di blocco, della crescita dell’economia.

I risultati del Consiglio europeo di Bruxelles hanno sottolineato la necessità per l’Europa di rendere più flessibili le regole che paralizzano l’economia con un’interpretazione troppo rigida e schematica del Patto di stabilità, che alla fine ha imbrigliato lo sviluppo di molti Stati membri.

Era necessario che con il peggioramento dell’economia mondiale e con i nuovi scenari internazionali l’Europa finalmente si decidesse a superare la sua incapacità di guardare al futuro con la necessaria flessibilità.

Non si può più pensare a un’Europa competitiva nello scenario internazionale quando il suo tasso di crescita corrisponde alla metà di quello americano; non si può più credere che il valore, di per sé positivo, della stabilità possa garantire il superamento delle rigidità che, nell’ultimo decennio, hanno ingessato la crescita.

Ci rallegriamo che il Consiglio europeo abbia raggiunto un largo consenso sulla riforma del Patto e poniamo l’accento sull’accordo raggiunto sulle riforme strutturali nella definizione della politica di aggiustamento che gli Stati dovranno perseguire per rispettare i parametri del Patto in caso di eccesso del deficit.

Il sistema pensionistico, il settore della ricerca e dell’innovazione, la formazione e le grandi opere strutturali e infrastrutturali rappresentano impegni d’investimento non sempre contabilmente compatibili con i limiti espressi dai parametri.

Se è indubbio che il Patto deve essere applicato in maniera equa nei paesi che l’hanno sottoscritto, è altrettanto vero che l’economia dell’Unione europea a 25, caratterizzata da una considerevole eterogeneità e diversità, necessita di una cornice comune più arricchita e articolata, che permetta una migliore comprensione delle differenze, senza negare gli obiettivi indicati nei parametri di riferimento.

Vorrei ricordare al collega Watson – che ho ascoltato con molta attenzione – che non c’è strategia economica perché non c’è strategia politica e perché, di fronte alle nuove frontiere di questo secolo, continuiamo a utilizzare le regole economiche e finanziarie del secolo scorso.

(Il Presidente chiede all’oratore di concludere)

Signor Presidente, altri colleghi hanno superato il tempo a loro disposizione in misura maggiore, quindi le regole vanno fatte rispettare da tutti o da nessuno.

 
  
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  Presidente. – Le regole valgono per tutti allo stesso modo, onorevole Muscardini.

 
  
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  Czarnecki, Ryszard (NI).(PL) Signor Presidente, al Consiglio europeo piace molto dichiarare che la strategia di Lisbona è la sua principale priorità e, fedele alla regola, anche questa volta non si è smentito. Mi viene in mente un detto che si legge tra le righe dell’opera di Nikolai Gogol, secondo cui il vecchio non è ancora morto, il giovane non è ancora nato, ma entrambi sono una minaccia per chi vive. La vecchia strategia è agonizzante, quella nuova è ancora acerba, ma entrambe minacciano gli europei con assegni a vuoto, priorità contraddittorie e parole vuote. Oggi il Presidente del Consiglio ha affermato che gli europei non si prendono la briga di leggere la strategia e che non la apprezzano, ma la colpa non è da imputare a loro. La reazione a molte delle proposte del Consiglio è “sì, ma...” e, a una lettura più attenta, il “ma” viene addirittura rafforzato. Tale affermazione vale ad esempio per il programma quadro per la ricerca e lo sviluppo, che dovrebbe spalancare le porte alla ricerca in tutta la nuova e vecchia Unione, senza però diventare un modo per reintrodurre di straforo la rinazionalizzazione dei contributi di adesione dei paesi più ricchi. La competitività è un elemento di punta degli ultimi documenti del Consiglio. La priorità della concorrenza è sulla carta, ma, di fatto, nella vita reale la direttiva sui servizi è stata accantonata, pur riguardando il rafforzamento e l’attuazione della competitività. Il Consiglio vuole salvare la capra e i cavoli? L’Asia avrebbe motivo di rallegrarsi, visto che il suo principale concorrente, l’Europa, si sta indebolendo. E’ palese quello che bisognerebbe fare invece di alimentare la paura in seno all’Unione europea. Le piccole imprese in Polonia, Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia e Lituania dovrebbero ricevere lo stesso trattamento di quelle della vecchia Unione. Onorevoli deputati, è noto a tutti che le cose non stanno così. Il Consiglio ha parlato di ridistribuzione degli aiuti, e temo che questa operazione di fatto possa tradursi in una diminuzione dei finanziamenti per i nuovi Stati membri. Il Consiglio non ha dissipato tali timori. Il Consiglio ha parlato della riforma del sistema degli aiuti regionali. Per dirla francamente, temo che questo possa essere un pretesto per consolidare la divisione dell’Europa in una nuova Unione povera e in una vecchia Unione ricca. La vecchia Unione non aspetta altro che potersi dimenticare del principio della solidarietà su cui dovrebbero fondarsi le Comunità europee.

 
  
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  Lulling (PPE-DE). (FR) Signor Presidente, Signor Presidente in carica del Consiglio, signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, vista la situazione, ho a disposizione solo due minuti di tempo per parlare, e pertanto mi soffermerò esclusivamente sul Patto di stabilità e di crescita, dicendo che il fatto che in seno al Consiglio esista un accordo politico per modificarne alcuni aspetti è una buona notizia. La Presidenza lussemburghese può vantare un successo che non era affatto scontato.

Ciò detto, l’accordo sulla riforma crea una situazione piuttosto paradossale in quanto, se da un lato la nuova versione del Patto introduce innovazioni molto assennate, soprattutto sull’aspetto preventivo, dall’altro è giocoforza constatare che esso riscuote solo una tiepida approvazione. Al fine di vincere le reticenze è opportuno dedicarsi in via prioritaria al compito essenziale di ristabilire la fiducia e la credibilità in un Patto a lungo bistrattato.

Permangono ancora troppe zone d’ombra, e pertanto, riemergeranno inevitabilmente con rinnovata forza divergenze d’interpretazione in virtù delle quali ciascun governo interpreterà le regole a proprio piacimento. Sussistono ancora troppi dubbi sulla volontà degli Stati membri di rispettare un corpus di principi che si sono essi stessi dati. Signor Presidente, è in primo luogo la Commissione che ha il compito di chiarire questi principi inserendo gli emendamenti fondamentali decisi dal Consiglio nei regolamenti del 1997, che costituiscono la struttura portante del Patto.

Date le circostanze, riveste particolare importanza lavorare su tali proposte ed è indispensabile prestare maggiore attenzione ai dettagli. Mi limiterò a citare due esempi. Quali impegni concreti deriveranno dalle misure preventive del Patto che sono, in un certo senso, la moneta di scambio per un’applicazione meno rigida delle regole in altri settori? Come conciliare in questi strumenti la riaffermata esigenza di semplicità, trasparenza ed equità nella procedura per affrontare i deficit eccessivi con la crescente complessità dei meccanismi che si stanno delineando?

Per quanto riguarda la fiducia e la credibilità spetta naturalmente agli Stati membri rendere i conti ed esigere coerenza. Anche al più benevolo degli osservatori non sarà sfuggito che le discussioni sulla riforma del Patto si sono per lo più ridotte ad arringhe da tribunale per le vertenze di lavoro anziché essere discussioni improntate a un minimo di obiettività. Devo dire che questo comportamento odioso ha avuto effetti psicologici devastanti: non solo ha gravemente compromesso il principio di parità di trattamento per tutti gli Stati membri ma, a quanto pare, ha scosso anche le fondamenta di una comunità fondata sullo Stato di diritto.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. TRAKATELLIS
Vicepresidente

 
  
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  Goebbels (PSE).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Vertice di primavera è stato un successo. La Presidenza merita i nostri complimenti per aver strappato un compromesso valido sul Patto di stabilità e di crescita e per aver rilanciato la strategia di Lisbona.

L’Unione si trova in una situazione bizzarra. Siamo il primo esportatore mondiale e il principale mercato per il resto del mondo. La nostra Unione è un porto di pace, un’allettante entità politica cui vogliono aderire sempre più paesi. Nello stesso tempo pratichiamo una sorta di autoflagellazione: ci lamentiamo dell’annunciato declino della casa europea.

I fatti, tuttavia, confutano questa posizione pessimista. La nostra Europa vista da fuori è un modello di benessere. L’Europa ha un tenore di vita elevato insieme a norme sociali e ambientali pressoché senza precedenti. L’Europa crea posti di lavoro: 6,5 milioni nei quattro anni scorsi. Cionondimeno, il tasso di disoccupazione resta troppo elevato un alcuni grandi paesi.

Sì, la nostra crescita è più lenta di quella cinese, ma un’economia che rappresenta quasi un quarto del PNL mondiale crescerà sempre più lentamente di una nuova economia che esce da un secolo di stagnazione. Anche solo con un tasso di crescita del 2 per cento, l’economia dell’Unione conosce ogni anno un’espansione equivalente per dimensioni all’intera economia di Taiwan.

La teoria dominante afferma che l’Europa non sta al passo degli Stati Uniti in termini di concorrenza e produttività. Da un’analisi più attenta emerge che gli aumenti di produttività americana derivano soprattutto da alcune branche del settore dei servizi che, come il commercio all’ingrosso, la vendita al dettaglio, il settore immobiliare e l’intermediazione finanziaria, non sono affatto in concorrenza diretta con i settori europei omologhi.

Di contro l’Europa accusa un vero e proprio ritardo nel settore dei semiconduttori e delle macchine da ufficio. In modo piuttosto sorprendente le nostre imprese hanno vantaggi produttivi nei settori delle comunicazioni e dei servizi informatici. Di fatto, le prestazioni dell’Europa sono migliori di quelle americane in 37 settori economici su 56. Certo, l’Europa è in ritardo nell’ambito della ricerca, e la responsabilità maggiore ricade sul settore privato: mentre negli Stati Uniti su un milione e duecentomila ricercatori l’80 per cento lavora per il settore privato, solo il 48 per cento dei ricercatori europei è assunto da imprese private.

La nuova strategia di Lisbona può e deve dare una risposta a tutti questi problemi. Per ottimizzare i propri risultati, l’Unione ha bisogno di un quadro macroeconomico favorevole. Il rinvigorito Patto di stabilità e di crescita contribuirà a promuovere la crescita, in quanto permetterà alla politica della spesa pubblica di adeguarsi in relazione agli andamenti congiunturali e accrescerà l’efficacia degli investimenti.

La stabilità è indiscutibilmente un bene pubblico. Tuttavia, l’Unione e soprattutto la zona euro non hanno mai avuto un livello così elevato di stabilità. L’inflazione non è più un problema, la moneta è forte e i tassi di interesse sono più bassi che mai. Abbiamo bisogno di maggiore crescita, di una più ampia domanda interna, soprattutto in alcuni grandi paesi. Il fatto che Regno Unito, Svezia e Danimarca, pur avendo tassi di interesse maggiori, registrino una crescita più rapida rispetto alla zona euro, dovrebbe fare riflettere la Banca centrale europea.

I socialisti certo sostengono il Presidente in carica del Consiglio, anche se è un esponente di spicco del Partito popolare europeo, quando ricorda che la Banca centrale europea è l’unica responsabile della politica monetaria, ma che la gestione della politica economica europea spetta ai governi nazionali. Anche in questo settore occorre ribadire la “separazione tra Chiesa e Stato”.

(Applausi)

 
  
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  Klinz (ALDE). (DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, mi congratulo con il Presidente in carica del Consiglio del Lussemburgo per aver portato a termine il mese scorso il lavoro di riforma del Patto di stabilità e di crescita. La nuova versione del Patto presenta alcuni aspetti positivi.

L’aspetto preventivo del Patto è stato rafforzato; gli Stati membri sono incentivati a mettere da parte le risorse in vista dei periodi di magra. Nello stesso tempo si è prestata maggiore attenzione al livello di indebitamento degli Stati membri.

Rispetto al passato si sono tenute in maggiore considerazione le diverse situazioni economiche dei singoli Stati membri. Al riguardo vi è una buona possibilità di lavorare in futuro su soluzioni realistiche ai problemi, qualora i criteri relativi al deficit e al debito vengano superati. La riforma del Patto dovrebbe aiutare a riconciliare le politiche economiche degli Stati membri e nello stesso tempo mettere in luce la necessità di una politica finanziaria sostenibile.

Nutro tuttavia dei dubbi sul fatto che questi aspetti positivi siano sufficienti a fare avanzare la zona euro. Temo che queste riforme non saranno sufficienti a rimediare alla perdita di fiducia dei cittadini. A mio avviso il Patto riformato ha troppi punti deboli. In futuro solo la Banca centrale europea sarà responsabile di garantire la stabilità dell’euro, in quanto il Patto non sarà più in alcun modo il secondo pilastro della stabilità.

L’accresciuto margine di interpretazione e la mancata specificazione delle circostanze eccezionali indurranno molti Stati membri a cadere nella tentazione di contrarre nuovi debiti, il che potrebbe ben presto costringere la Banca centrale europea ad alzare i tassi di interesse mettendo a repentaglio la già debole crescita della zona euro.

A mio parere la Commissione è uscita dal processo di riforma indebolita piuttosto che rafforzata. Mi sembra discutibile la sua effettiva capacità di essere custode del Patto. Una coerente applicazione del meccanismo di sanzioni previsto dal Patto in caso di violazioni dello stesso mi sembra oggi più improbabile che mai. Mi auguro che, nonostante questi cattivi presentimenti, la Commissione riesca a evitare eventuali danni alla zona euro.

La revisione dei regolamenti n. 1466 e n. 1467 deve apportare un chiarimento delle formulazioni oscure. Il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa si aspetta che il Parlamento europeo sia attivamente coinvolto nel processo di elaborazione di questi regolamenti e di controllo della loro conformità al Patto.

 
  
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  Hudghton (Verts/ALE).(EN) Signor Presidente, ieri in Scozia è stato pubblicato un sondaggio contenente una domanda sul progetto di Costituzione europea. Il 35 per cento degli scozzesi si è dichiarato a favore della ratifica della Costituzione, mentre il 49 per cento si è dichiarato contrario.

Cinque anni fa la Scozia avrebbe espresso una risposta molto più positiva. Storicamente, infatti, la Scozia è stata molto più favorevole ad impegnarsi con gli altri membri dell’UE rispetto ad altre parti del Regno Unito. Tuttavia, nonostante tutti i discorsi sulla necessità di recuperare il contatto con i cittadini, che si sono sentiti dopo la caduta della Commissione Santer, molte delle nostre politiche e direttive sono considerate ancora insensate e non adeguate alla vita reale delle nostre comunità, non da ultimo in Scozia con il disastroso fallimento della politica comune della pesca. Penso tuttavia che la direttiva sui servizi rischi di indebolire ulteriormente la fiducia dei cittadini e ritengo che finora Consiglio e Commissione non abbiano affrontato la questione in modo ragionevole.

E’ ampiamente diffusa l’opinione che tale testo costituisca un ulteriore attacco ai servizi pubblici essenziali. Molto è stato detto sui potenziali effetti del principio del paese di origine, ma, a ben vedere, questa è solo la punta dell’iceberg. Ad esempio, nel Regno Unito l’ordinamento giuridico e legislativo scozzese è nettamente distinto da quello inglese e gallese e così via. Vorrei vedere maggiore considerazione di quella che c’è stata finora sia rispetto alle varie sensibilità degli Stati membri che delle loro differenze.

 
  
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  Adamou (GUE/NGL).(EL) Signor Presidente, anche se il Presidente in carica del Consiglio se ne è andato e il Presidente della Commissione è impegnato in una conversazione, dirò quello che ho da dire. Purtroppo Lisbona mette in secondo piano la politica sociale. I cambiamenti proposti al Patto di stabilità e alla strategia di Lisbona non produrranno una strategia favorevole agli strati popolari. E’ paradossale e assurdo parlare della creazione dell’economia più produttiva del pianeta e, d’altro canto, voler ridurre i bilanci, in altre parole avere meno coesione. Solo con una serie di misure radicali, che comprendono anche altri livelli, Lisbona potrebbe diventare una strategia a favore degli strati più bassi.

Il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica è totalmente in disaccordo. Chiediamo che venga introdotto in Europa un vero Stato sociale con l’obiettivo della piena occupazione. Chiediamo una strategia finalizzata a garantire un tenore di vita elevato, che non sia sacrificato alla necessità di aumentare la competitività. Sollecitiamo l’abolizione dei cosiddetti orari di lavoro flessibili, che danneggiano il tessuto sociale, l’introduzione di una settimana adeguata di 35 ore senza alcuna riduzione salariale, il che comporterebbe l’assunzione di più persone. Siamo contrari a una strategia di crescita unilaterale a vantaggio delle grandi imprese e del settore privato. Continueremo ad adoperarci affinché i membri della Commissione europea e del Consiglio mettano finalmente da parte l’approccio contabile a favore di un approccio incentrato sui cittadini. Un simile approccio si può ottenere solo modificando radicalmente il Patto di stabilità e la strategia di Lisbona.

 
  
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  Blokland (IND/DEM). (NL) Signor Presidente, il Consiglio europeo ha dichiarato che la direttiva sui servizi dovrebbe avere una maggiore dimensione sociale. In fin dei conti non è legittima l’intenzione di sfruttare i lavoratori degli Stati membri con condizioni di lavoro meno rigide né quella di competere slealmente con i fornitori di servizi presenti in Stati membri che applicano condizioni lavorative severe. Il mancato rispetto dell’attuale diritto del lavoro creerà situazioni indesiderate e questa preoccupazione ha seminato apprensione tra i cittadini. La direttiva prevede che i fornitori di servizi, in conformità delle normative europee, ottemperino al diritto del lavoro applicato in loco. Questo, tuttavia, comporta un’effettiva applicazione del diritto del lavoro, altrimenti i lavoratori verranno davvero sfruttati e la concorrenza sarà sleale. Finora le garanzie di applicazione previste dalla proposta di direttiva sono state inadeguate. Nella proposta il compito di fare applicare il diritto è stato assegnato al paese d’origine invece che a quello di destinazione, fattore che crea una situazione ingestibile. Non ci si può aspettare ad esempio che le autorità polacche controllino se i lavoratori polacchi nei Paesi Bassi lavorano secondo le condizioni di lavoro olandesi. Occorre adottare un approccio differente per creare un efficace sistema di applicazione delle condizioni di lavoro vigenti in tutti gli Stati membri. Il paese di origine dovrà almeno dichiarare che i propri cittadini diventeranno attivi nel paese di destinazione. Ne consegue che lo scambio di informazioni è il primo passo da compiere per rendere possibile l’applicazione del diritto del lavoro. Presumo che la Commissione inserirà questo compito nella direttiva.

Otto organizzazioni ambientali hanno richiamato l’attenzione, e a ragione, sulle implicazioni della direttiva sulla natura, l’ambiente e la salute. Sembra che il concetto di integrazione nel Trattato UE, che indica lo sviluppo sostenibile quale ultimo obiettivo, sia stato temporaneamente ignorato.

In ultima analisi il Consiglio non ha chiarito quale direzione intende imboccare e come intende conferire alla direttiva una maggiore dimensione sociale e ambientale, aspetto che in definitiva è l’obiettivo del processo di Lisbona. Il fatto è che spettava al Parlamento, e non al Consiglio, compiere la successiva mossa dell’iter legislativo. Nonostante questo, il Consiglio ha messo in agenda la direttiva sui servizi per rispondere agli specifici interessi dei singoli Stati membri, il che ha fatto saltare l’equilibrio del quadro istituzionale. Attualmente il Consiglio fa mostra di tenere in maggiore considerazione la dimensione sociale, visto il dibattito sulla Costituzione europea in Francia, anche se vi sono argomentazioni più appropriate che potrebbero essere utilizzate contro la Costituzione.

 
  
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  Krasts, a nome del gruppo UEN.(LV) Signor Presidente, purtroppo siamo costretti a concludere che la discussione sulla direttiva sui servizi fa da protagonista nella valutazione dei risultati del Consiglio europeo. L’esito della discussione sulla direttiva sui servizi, lasciata in eredità dalla precedente Commissione, ha avuto l’effetto di raffreddare notevolmente gli entusiasmi per la raggiungibilità degli obiettivi della strategia di Lisbona nella forma in cui sono stati riformulati dalla Commissione attuale. La direttiva era intesa ad aumentare la competitività in settori aperti alla concorrenza, al fine di attirare i consumatori e supportare le PMI che al momento sono tagliate fuori dalle operazioni transfrontaliere. Nella formulazione proposta la direttiva è stata respinta in quanto minaccia al modello sociale europeo. La maggior parte delle critiche è stata rivolta in misura sorprendente all’applicazione del principio del paese d’origine alla fornitura di servizi. Questo è il principio guida di tutta la normativa sul mercato interno e la Corte europea di giustizia lo ha ribadito con coerenza nelle proprie sentenze. La Commissione perde uno dei pochi strumenti esistenti di cui dispone e che attualmente costituisce uno dei principali fondamenti della rinnovata strategia di Lisbona. La riforma del Patto di stabilità e di crescita è comprensibile dal punto di vista economico, ma sarebbe pienamente giustificabile solo se l’Unione europea fosse uno stato unificato. Come si dice, è difficile per l’affamato capire chi è sazio. Dunque il Patto di stabilità e di crescita, che è stato adottato in tempi di vacche grasse, non è adatto ai periodi di magra. Nelle congiunture economiche positive i responsabili politici non hanno risparmiato in vista dei tempi cattivi, mentre nelle congiunture economiche difficili non hanno la volontà di intraprendere riforme strutturali. Non rimane pertanto altra alternativa, se non cambiare le condizioni del Patto. La riforma del Patto riduce la disciplina fiscale degli Stati membri e non li incoraggia a migliorare nei tempi positivi. Le difficoltà che deriveranno da una moneta comune più debole e dall’aumento dei tassi di interesse ricadranno tuttavia su tutti gli Stati membri, anche su quelli che si sono comportati bene sia nelle congiunture negative che in quelle positive. Le decisioni del Consiglio europeo avranno un effetto a catena su tutti gli aspetti. Mi piacerebbe poter sperare che il Consiglio accolga la strategia di Lisbona in modo diverso dalla direttiva sui servizi. Vorrei inoltre che gli aspetti positivi contenuti nella strategia di Lisbona imprimessero lo slancio auspicato e che la mancanza di disciplina fiscale e di riforme strutturali non mettessero in pericolo il modello sociale europeo.

 
  
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  Vanhecke (NI).(NL) Signor Presidente, lo scorso Consiglio europeo di fatto è stato innegabilmente dominato da un fattore esterno, ovvero dai previsti referendum sulla Costituzione europea che si sono svolti in vari paesi europei. La decisione di rivedere la direttiva sui servizi va considerata in relazione ai referendum. E’ infatti tutto da vedere, se la direttiva Bolkestein verrà davvero rivista o modificata una volta conclusi i referendum. In fin dei conti è un fatto assodato che le decisioni europee vengono prese quasi d’ufficio scavalcando i cittadini europei e che in passato in più di un’occasione non sono stati presi del tutto sul serio concetti antiquati come la verità e la democrazia.

La direttiva Bolkestein, va detto, è piena di ambiguità. Persino gli specialisti di diritto europeo hanno pareri sostanzialmente diversi su come tale materia potrà o sarà effettivamente applicata in concreto. Senza dubbio la definizione molto ampia del concetto di “servizio” e il principio del paese di origine comporteranno drastici cambiamenti per i poteri e le responsabilità degli Stati, anche di quelli federali. La proposta si ripercuote inoltre innegabilmente sui poteri e le responsabilità degli Stati in termini di sicurezza sociale, cure sanitarie e istruzione, tutti settori in cui, a mio modesto parere, occorrerebbe una rigida applicazione del principio di sussidiarietà. Secondo l’ex Commissario Bolkestein, ai fornitori di servizi si applicano solo le norme del paese di origine. Mi è del tutto misterioso come sia possibile evitare distorsioni alla concorrenza o persino dumping sociale con tali norme. Mi chiedo inoltre se comportino reali vantaggi per il consumatore europeo.

Permettetemi inoltre di esprimere il mio personale scetticismo sulle centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro che la direttiva dovrebbe creare in Europa. Al pari di tutti sto ancora aspettando i milioni di posti di lavoro che, secondo le promesse degli stessi economisti, sarebbero dovuti scaturire a seguito dell’introduzione dell’euro. Desidero ribadire che non ho alcuna fiducia nella promessa del Consiglio di apportare cambiamenti intelligenti alla direttiva Bolkestein. Non ho alcuna fiducia nell’improvvisa conversione al principio di precedenza accordata ai cittadini del proprio paese, invocato da tanti politici di sinistra preoccupati per l’esito dei referendum sulla Costituzione europea. Come per la Turchia, la politica europea è spesso una sequela di sotterfugi e spudorate menzogne. Temo che oggi, con la direttiva Bolkestein, siamo di nuovo alle solite.

 
  
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  Grossetête (PPE-DE). (FR) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto complimentarmi con il Presidente in carica del Consiglio per il ruolo svolto al Vertice di primavera al fine di trovare il consenso necessario tra tutti gli Stati membri in un periodo estremamente delicato per la storia dell’Europa.

Per quanto riguarda il Patto di stabilità e di crescita, ritengo che sia importante poiché garantisce la stabilità necessaria alla moneta unica. L’Europa, però, ha bisogno di criteri e non di dogmi, e in molti in quest’Aula abbiamo invocato maggiore flessibilità. Abbiamo davvero bisogno di una governance economica. Il Patto è anche di crescita, perché allora i paesi che investono più di altri nella ricerca, nella difesa o nelle infrastrutture dovrebbero essere penalizzati? Questo è un controsenso ed è in totale contraddizione con la strategia di Lisbona.

D’altro canto, l’aumento incontrollato e ingiustificato dei deficit e dell’indebitamento deve essere punito con severità; i parlamenti nazionali devono svolgere appieno il proprio ruolo di supervisori dell’attività finanziaria dei governi. Si tratta di quegli stessi governi con cui dobbiamo discutere dell’avvento di una generazione di cittadini sempre più anziani. Ci saranno sempre più centenari. Non possiamo che rallegrarcene, ma questo cambiamento comporta una trasformazione dei nostri sistemi sociali ed economici.

Signor Presidente in carica del Consiglio, signor Presidente Barroso, presteremo molta attenzione alle proposte che verranno avanzate al Consiglio di giugno sulla strategia di sviluppo sostenibile unitamente al rilancio economico e sociale richiesto dal processo di Lisbona. Il cambiamento climatico rappresenta un’altra sfida per l’Europa. Infine vorrei dire che accolgo positivamente la decisione di avviare la costruzione del reattore termonucleare sperimentale internazionale ITER a Cadarache entro il 2005.

Dobbiamo recuperare la fiducia dei cittadini europei che temono il rischio di dumping sociale e fiscale. In Parlamento ci impegneremo in tal senso in relazione alla direttiva sui servizi; mi stupisco che il precedente oratore abbia dei dubbi sul ruolo che può svolgere il Parlamento al riguardo. Onorevoli colleghi, vorrei ricordarvi che il potere legislativo è esercitato congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio.

In realtà all’Europa mancano l’entusiasmo e la fiducia in se stessa. Spetta a tutti noi rassicurare e convincere i nostri concittadini, in tal modo la gente potrà riconoscersi nella Costituzione che è indispensabile per un’Unione con 25 Stati membri.

 
  
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  Swoboda (PSE).(DE) Signor Presidente, Signor Presidente in carica del Consiglio, Signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, raramente un documento del Consiglio ha ricevuto un’accoglienza così positiva – anche in quest’Aula – e ciò si riflette anche nella nostra risoluzione. Vedo, infatti, una certa convergenza tra le conclusioni del Consiglio, le conclusioni della Commissione e i pareri della maggioranza del Parlamento. Si tratta di un’Europa sociale nella concorrenza mondiale. Tale aspetto va sottolineato, perché negli ultimi anni molti cittadini hanno avuto l’impressione che ci si preoccupasse solo della concorrenza, non di un’Europa sociale, e che si stesse perdendo di vista questa Europa sociale. Oggi un oratore ha espresso l’opinione che, se in molti paesi la Costituzione è vista in una luce così negativa o critica, la colpa è dei leader politici. Tuttavia, ritengo che ciò è accaduto forse anche perché molte persone non si sono identificate con questa Europa, ritenendo che l’aspetto sociale venisse trascurato o escluso.

Con la riforma del Patto di stabilità – e a questo proposito vorrei congratularmi vivamente con la Presidenza lussemburghese –, il Consiglio non ha raggiunto il risultato di aprire la porta a un maggiore indebitamento, ma di valutare la situazione individuale di alcuni paesi e di prevedere una maggiore flessibilità. Ciò che è stato detto in merito al mercato dei servizi – come viene riconosciuto a livello mondiale – riguarda l’apertura di un mercato comune, non il dumping sociale, come ha già affermato l’ultima volta il Primo Ministro Juncker. Questa è anche la nostra linea. Sono lieto – oltre che per quanto ha detto l’onorevole Grossetête, che spero vada oltre la data del referendum in Francia – che stiamo trovando qui una linea comune per realizzare un’apertura per l’Europa che tenga conto del modello sociale.

Forse troppo poco è stato detto sul Patto per i giovani. E’ molto importante che inviamo ai giovani il segnale che la loro Europa dovrebbe essere un’Europa dell’occupazione e un’Europa sociale. Tenere conto delle questioni sociali non esclude il fatto che dobbiamo procedere con varie riforme.

Un punto che vorrei ancora menzionare in conclusione è il settore ricerca e sviluppo. Abbiamo una nuova proposta per un programma di ricerca e sviluppo. Spero, signor Presidente in carica, che lei e, soprattutto, i suoi successori, riusciate a investire sufficienti risorse, iniziative ed energia in questo programma di ricerca, perché, se vogliamo tenerci al passo della concorrenza, dobbiamo promuovere ricerca e sviluppo.

(Applausi)

 
  
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  Ek (ALDE).(EN) Signor Presidente, siamo molto preoccupati per l’attuale tasso di crescita dell’economia europea, per gli elevati tassi di disoccupazione e per tutti i problemi sociali e ambientali che dobbiamo affrontare. Sono lieta, quindi, che un paio di settimane fa il Parlamento abbia adottato una risoluzione sul processo di Lisbona e che gran parte delle sue proposte siano state prese in considerazione al Vertice di primavera. Tuttavia, sono comunque molto preoccupata. Farò alcuni esempi riguardanti la legislazione e le politiche.

In primo luogo, è molto importante che perveniamo a una decisione riguardo al programma REACH. Lo ha dichiarato unanimemente il Parlamento un paio di settimane fa. L’incertezza ha un costo molto alto.

In secondo luogo, il Parlamento è molto più concorde del Consiglio sulla necessità della direttiva sui servizi sociali. Abbiamo bisogno di una linea ferma su questo tema perché il tasso di disoccupazione è una catastrofe sia per i cittadini che per l’economia.

Riguardo ai vari settori politici, parliamo delle PMI e produciamo bellissimi documenti su tale argomento e sull’importanza di ridurre la burocrazia. Ora, il capitale di rischio è essenziale per il lavoro delle PMI. Mentre parliamo delle PMI, della disoccupazione e così via, come risultato della relazione Lamfalussy esistono ora 240 sottogruppi che lavorano su una nuova legislazione per i mercati finanziari. Questo va proprio nella direzione opposta rispetto a una riduzione della burocrazia e all’obiettivo di offrire sufficiente capitale di rischio per le PMI.

Il secondo settore è l’energia. Sappiamo di avere problemi ambientali, problemi di disoccupazione e problemi di sviluppo regionale e che abbiamo bisogno della produzione di biomassa, del teleriscaldamento e della trigenerazione. Eppure, non c’è ancora alcuna cooperazione tra politica agricola, politica energetica e politica industriale. Questa cooperazione è necessaria ed estremamente importante.

Il Parlamento e – credo – la Commissione sono determinati, ma il Consiglio non è abbastanza deciso. Lei deve essere più deciso, Presidente Juncker.

 
  
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  Turmes (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, il gruppo Verde/Alleanza libera europea non vuole un’Europa che gioca d’azzardo con le nostre conquiste sociali e ambientali, che fanno parte della nostra identità europea. Né la vogliono i cittadini. Accogliamo quindi con favore la chiarezza della Presidenza lussemburghese del Consiglio e il suo impegno nei confronti della triade delle questioni economiche, ambientali e sociali.

Le conclusioni del Vertice di primavera costituiscono un buon risultato per l’Europa, hanno chiaramente messo al suo posto la Commissione Barroso, mostrandole l’errore delle sue tendenze neoliberiste. Ora queste dichiarazioni solenni devono, tuttavia, essere seguite da azioni concrete, specialmente in due settori: per quanto riguarda l’ambiente, dobbiamo deciderci a compiere uno sforzo europeo per la protezione del clima, che si deve riflettere sia nelle prospettive finanziarie che nella Banca europea per gli investimenti. Gli investimenti nei trasporti pubblici, nel risanamento degli edifici e in reti di teleriscaldamento riducono i danni a carico del clima e la nostra dipendenza dal petrolio. Durante il Vertice si è parlato poco del problema del petrolio e di come questo metta un freno alla crescita europea.

Nella politica sociale, questo significa che dobbiamo deciderci ad adottare una direttiva sulla protezione dei servizi pubblici. Una delle priorità dei mesi rimanenti della Presidenza lussemburghese dovrebbe essere l’avvio di questa direttiva sui servizi pubblici, perché altrimenti lo spirito di Bolkestein continuerà a incombere sull’Europa.

 
  
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  Wagenknecht (GUE/NGL).(DE) Signor Presidente, se una casa ha le fondamenta marce, è impossibile farla resistere all’inverno riparandone il tetto. Il Patto di stabilità non merita di essere riformato, merita di essere abolito. In particolare, la nuova disposizione, volta a tenere conto delle cosiddette riforme strutturali, rivela chiaramente ciò che questo Patto è sempre stato: non uno strumento per la stabilità dei prezzi e per la solidità finanziaria degli Stati, ma un modo per giustificare la corsa ai piani neoliberisti di privatizzazione e liberalizzazione, la cui attuazione già nel 2004 aveva fatto aumentare i profitti dei gruppi industriali europei del 78 per cento. Tuttavia, coloro che mietono i profitti sono ovviamente lungi dall’essere soddisfatti.

La proposta di una direttiva sui servizi è un nuovo tentativo di sancire definitivamente il modello sociale europeo. Anziché a un’armonizzazione verso l’alto degli standard, assisteremo a una corsa continua al dumping, al minimo denominatore comune; anziché al welfare laddove necessario, alla commercializzazione di tutti i settori della vita umana. Questa è la visione per l’Europa che hanno in mente gli esperti dei grandi gruppi industriali, la lobby imprenditoriale.

A marzo 70 000 persone hanno dimostrato a Bruxelles contro la brutalità del progetto neoliberista. Essi attendono di vedere se la critica del Consiglio fosse mirata solamente all’imminente referendum sulla Costituzione in Francia o se seguiranno azioni serie.

 
  
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  Piotrowski (IND/DEM).(PL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, nella sua ultima riunione il Consiglio europeo ha riconosciuto che i risultati intermedi della strategia di Lisbona sono modesti. Di fatto si è trattato di un fallimento totale. Ricordo all’Assemblea che l’Unione non ha realizzato l’obiettivo che si era preposta della crescita economica al 3 per cento e il divario tra Unione europea e Stati Uniti riguardante il PIL pro capite è di fatto aumentato, mentre avrebbe dovuto scomparire. Si è registrato solamente un lieve aumento della spesa nel settore chiave della ricerca e sviluppo e la crescita dell’occupazione nei settori individuati dalla strategia di Lisbona è stata di gran lunga al di sotto delle aspettative. Esistono ancora ostacoli significativi alla libera circolazione di beni e servizi all’interno dell’Unione.

Una condizione per quella crescita sostenibile ed equilibrata che ora sembra essere solo un pio desiderio sarebbe la liberalizzazione del mercato dei servizi. Non a caso uso il condizionale, considerando che la libertà dell’attività economica rimane teorica, nonostante da tempo nel Trattato siano contenute disposizioni a tale scopo. Il processo di liberalizzazione ha incontrato forte opposizione da parte di funzionari e associazioni commerciali nei paesi della vecchia Unione. I suoi oppositori sostengono che la qualità dei servizi prestati dalle imprese nei nuovi Stati membri è inferiore e che questi ultimi stanno attuando un dumping sociale. Allo stesso tempo, gli oppositori della liberalizzazione stanno discriminando i loro concittadini costringendoli a pagare prezzi indebitamente alti per i servizi di cui necessitano.

Sono fermamente convinto che un altro catalizzatore chiave per la crescita economica sarebbe trasformare la politica di coesione in qualcosa di più di uno slogan propagandistico. Se vogliamo salvare la strategia di Lisbona, il Consiglio, la Commissione e soprattutto i funzionari dell’Unione devono ricordare il vero significato del principio della solidarietà e come funziona veramente un mercato libero.

 
  
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  Dillen (NI).(NL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, è sorprendente come talvolta, nell’imminenza delle elezioni, i politici cambino rotta e giungano persino a negare i loro principi. Per esempio, provo un piacere perverso nell’assistere alla triste telenovela che si sta rappresentando in Europa in risposta alla direttiva Bolkestein. In fondo, prima del 1° maggio 2004, non abbiamo sentito nessuno lamentarsi per la liberalizzazione dei servizi, perché i piani del Commissario olandese corrispondevano alla logica europea secondo cui anche i prestatori di servizi dovrebbero poter lavorare liberamente nell’Unione europea. Per accontentare il Presidente Chirac, tuttavia, e per evitare che subisca una sconfitta umiliante nel referendum del 29 maggio, ora si annuncia che la direttiva – approvata, ovviamente, dai socialisti Lamy e Busquin – sarà nuovamente modificata, se non riscritta. Ora si scopre che per il momento la direttiva è congelata per non dare alla fazione del “no” in Francia altre carte vincenti da giocare.

La sinistra europea ha scoperto che il dumping sociale mette a rischio i posti di lavoro dei cittadini. Ha riscoperto anche l’importanza di sostenere gli interessi nazionali e sovrani. La sinistra francese, ancora una volta fedele alle tradizioni del Front Populaire anteguerra, ha riscoperto il principio di “precedenza ai cittadini del proprio paese”, prima aborrito, e rifiuta il principio del paese di origine contenuto nella direttiva. Rimane da vedere, naturalmente, se questa ipocrisia sarà sufficiente a evitare che i sostenitori del “no” si aggiudichino una vittoria schiacciante il 29 maggio. Contrariamente a quello che possono pensare i luminari della Commissione, l’elettorato non è stupido. Uno scenario simile si sta dispiegando in Germania; l’Herald Tribune di oggi riporta che il Cancelliere socialdemocratico, preoccupato per le elezioni che si terranno il mese prossimo nella Renania settentrionale-Westfalia, vuole imporre misure severe per evitare che la manodopera a basso costo proveniente dall’Europa orientale sottragga posti di lavoro ai tedeschi. Chi avrebbe mai pensato che questo ex marxista internazionalista fosse capace di una cosa simile? Non possiamo che congratularci con lui.

 
  
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  Thyssen (PPE-DE).(NL) Ogni generazione ha le sue sfide da affrontare. Negli anni ’80 ci venne detto come migliorare la nostra competitività, negli anni ’90 ci siamo concentrati sulla riorganizzazione del finanziamento pubblico. Ora che ci troviamo ad affrontare una concorrenza mondiale sempre più aggressiva, oltre a un mondo in costante cambiamento e all’invecchiamento della popolazione, dobbiamo rispondere alla ulteriore sfida di salvaguardare il nostro modello sociale, che presuppone in primo luogo la crescita economica. Nel frattempo, tutti ora comprendono che non è sufficiente rispondere a queste sfide con dichiarazioni e promesse non mantenute. La gente è disillusa; vuole vedere azioni e risultati. Dopo il Vertice europeo, possiamo dire che esiste un accordo interistituzionale e una sorta di impegno a rilanciare la strategia di Lisbona, e per questa ragione le conclusioni del Vertice costituiscono un nuovo inizio pieno di speranza e la Presidenza merita fiducia. Diamone questa interpretazione ai cittadini, come ha suggerito il Presidente del Consiglio, esprimendola nelle loro rispettive lingue. Inutile dire che speriamo che le nuove norme sul Patto di stabilità offriranno una prova convincente del messaggio trasmessoci dal Presidente del Consiglio e che possiamo contare su criteri chiari e su una sufficiente possibilità di esecuzione. Siamo altresì lieti che le conclusioni abbiano posto l’accento sull’importanza delle piccole e medie imprese e speriamo che non siano solo parole.

Riguardo alla direttiva sui servizi, dobbiamo concludere che, pur avendo perso un’importante battaglia di comunicazione, non abbiamo perso la guerra. Come colegislatori, faremo tutto ciò che è in nostro potere per rendere possibile la libera circolazione dei servizi, in modo coerente con il compito della nostra generazione, ossia garantire il nostro modello sociale con le sue tre dimensioni. Signor Presidente, il gruppo di coordinamento del Parlamento sulla strategia di Lisbona ha deciso ieri di lavorare a pieno regime e, da parte nostra, posso assicurare alla Presidenza del Consiglio, alla Commissione, nonché ai colleghi deputati al Parlamento europeo e ai deputati ai parlamenti nazionali che continueremo a impegnarci fermamente per la realizzazione degli obiettivi e che possono contare a tale scopo sulla nostra cooperazione.

 
  
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  Rasmussen (PSE). (DA) Signor Presidente, vedo che l’onorevole Watson non è presente in Aula e me ne dispiace. Devo infatti dissociarmi dalle critiche da lui mosse al Presidente Juncker. Infatti, non è evidentemente colpa del Presidente Juncker se la Francia ora ha un governo così impopolare da non essere in grado di convincere la popolazione francese a votare a favore del Trattato. La verità è che lo stesso Presidente Juncker, al Consiglio europeo dello scorso marzo, si è preoccupato affinché almeno noi fossimo in condizione di spiegare alla popolazione francese che ora abbiamo un Patto di stabilità e di crescita ben strutturato, che gli equilibri nel processo di Lisbona sono stati mantenuti e che ora siamo in grado di compiere il prossimo passo, come indicato dal Commissario per gli affari economici e finanziari Almunia, il quale ha detto che, utilizzando i due strumenti, insieme a iniziative macroeconomiche, siamo di fatto in grado di creare nuovi e più numerosi posti di lavoro in Europa.

Vorrei dire all’onorevole Watson, al gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei e ad altri, presenti o meno in Aula, che il punto in discussione è una responsabilità condivisa da noi e da loro, nonché dal Presidente della Commissione Barroso, dall’intero Esecutivo, dal Presidente Juncker e dal Consiglio. Dobbiamo dimostrare ai cittadini francesi che ora il compito principale dell’Unione europea è contribuire a creare nuovi, migliori e più numerosi posti di lavoro. La Francia non può fare questo da sola. La Francia e i francesi hanno bisogno di un nuovo Trattato costituzionale e questa nuova struttura europea, insieme all’approccio politico definito ora dal Consiglio europeo di marzo e che sarà, auspicabilmente, portato avanti dal Consiglio europeo di giugno, ci fornisce qualche valida argomentazione per compiere progressi nel nostro lavoro sull’Europa. L’Europa non offre eventi spettacolari quotidiani né è fatta di grandi rivoluzioni. E’ piuttosto una questione di duro lavoro, prudente e determinato, e a tale proposito oggi desidero congratularmi con il Presidente Juncker.

 
  
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  Letta (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’accordo sul Patto di stabilità ha aspetti positivi, ma rimangono grandi preoccupazioni. Innanzitutto è fondamentale un rafforzamento e non un indebolimento del ruolo della Commissione nella gestione del Patto, sia sul lato dei conti che su quello degli investimenti, cioè sia sulla stabilità che sulla crescita.

In secondo luogo, deve essere chiaro che il nuovo patto è per la crescita è per la crescita dell’economia e non per la crescita dei deficit: le due cose non possono essere collegate come sembrano invece fare governi nazionali come l’attuale governo italiano. Per questo invitiamo le Istituzioni europee a lavorare per evitare rinazionalizzazioni pericolose e a operare con determinazione per una crescita dello spirito comunitario. Altrimenti il futuro stesso dell’Unione sarà grigio, se non si mantiene un approccio comunitario, sia nell’applicazione del Patto che delle altre principali politiche, in primis la fondamentale strategia di Lisbona.

 
  
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  Musacchio (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il 19 marzo scorso, a Bruxelles, c’è stata un’enorme manifestazione sindacale e del movimento pacifista contro la direttiva Bolkestein, contro il liberismo e la guerra, a favore di un’Europa sociale.

Di fronte al paradosso in cui ci troviamo, caratterizzato da una moneta forte con un’economia debole e una società in crisi; di fronte alla crisi dell’impianto di Maastricht e della Strategia di Lisbona, a nostro avviso da questa manifestazione – cui hanno partecipato decine di migliaia di lavoratori di tutta l’Europa, e sottolineo tutta, compresi i nuovi paesi dell’est – è scaturita la netta richiesta di una necessaria svolta. E ciò nonostante l’idea che alcuni hanno di un’Europa a due livelli, cioè del dumping interno, cioè dell’Europa della direttiva Bolkestein. La manifestazione indicava, invece, l’esigenza di un’armonizzazione dei diritti, naturalmente verso l’alto.

Occorre dunque un’Europa che respinga la direttiva Bolkestein – nefasta direttiva sull’orario di lavoro – e in grado di rompere da sinistra la gabbia del liberismo monetarista e di rilanciare – e non ridurre – investimenti di qualità, diritti, sviluppo, lavoro e ambiente: capace cioè di trasformarsi in un’Europa sociale, l’unica possibile.

Noi vogliamo provare a tradurre in quest’Aula tale aspirazione mediante le nostre proposte e contribuendo a portare dentro il Parlamento quella grande passione che ha animato le strade di Bruxelles, a cui questo Parlamento non può non dare una risposta.

 
  
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  Karas (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, Signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, devo davvero dire che siamo diventati estremamente modesti nel valutare i risultati delle riunioni dei capi di Stato e di governo. Godremmo di maggiore fiducia e credibilità fra i cittadini se le azioni intraprese dai governi degli Stati membri fossero più spesso in linea con le decisioni adottate. Al momento, ai Vertici occupiamo il tempo a correggere decisioni anziché conformarci e procedere con quello che è stato concordato. Il Presidente in carica è probabilmente l’unica persona a portare avanti risoluzioni comuni in questa fase. Qualsiasi tipo di accordo è per noi positivo, perché altrimenti si rischia il fallimento.

Vi chiedo di guardare un attimo al passato. Per me il problema che abbiamo di fronte sta nella contraddizione tra i Trattati europei e l’azione politica.

Prendete ad esempio il Patto di stabilità e di crescita: insistiamo sulla necessità di rispettarlo, neghiamo qualsiasi rilassamento, ma le infrazioni e i margini di interpretazione sono in aumento. Si organizzano misure di blocco e la Commissione viene ostacolata nella sua capacità di intervenire e di imporre sanzioni.

Riguardo alla Croazia, decidiamo che i negoziati con questo paese cominceranno il 17 marzo, ma poi ne posticipiamo l’inizio, anche se le condizioni sono rispettate.

Per quanto riguarda le prospettive finanziarie, vogliamo giungere a un accordo con la Presidenza lussemburghese, ma non riceviamo alcun segnale che qualcosa sia cambiato nella posizione dell’1 per cento sulla proposta della Commissione.

Riguardo alla Bulgaria e alla Romania, è disponibile una relazione della Commissione sullo stato di avanzamento, che indica chiaramente quali punti delle condizioni non sono stati ancora soddisfatti, ma è stata fissata una data per la firma dei Trattati. Al Parlamento viene chiesto di dare il suo assenso, ma allo stesso tempo lunedì i suoi diritti sono stati ignorati.

Per quanto riguarda Lisbona, vogliamo il mercato interno e quindi anche un mercato interno dei servizi, ma alcuni di noi stanno fuorviando i cittadini, riducendo la direttiva sui servizi al principio del paese d’origine.

Rivolgo un appello a tutti noi, ma soprattutto agli Stati membri: dobbiamo tornare a essere più responsabili, dobbiamo avere fiducia nelle decisioni e attenerci alle regole che ci siamo posti. Dobbiamo apportare meno correzioni a ciò che già esiste, rispettando invece più scrupolosamente le decisioni dei capi di Stato e di governo, i Trattati e le direttive.

(Applausi)

 
  
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  Rosati (PSE).(PL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, nella sua ultima riunione il Consiglio europeo ha adottato numerose importanti decisioni che modificano le disposizioni del Patto di stabilità e di crescita. Sono favorevole a tali cambiamenti. E’ vero, queste decisioni indeboliscono alcune disposizioni del Patto e ne riducono il carattere restrittivo, ma questo non deve comportare un rilassamento della disciplina di bilancio negli Stati membri. Siamo tutti consapevoli del fatto che le regole del Patto venivano ormai da tempo sistematicamente violate. Attualmente si registra un disavanzo eccessivo in un terzo degli Stati membri. E’ una situazione molto deprimente e nell’intera Unione la fiducia è minata alla base. La riforma del Patto e in particolare una maggiore flessibilità degli elementi preventivi ne rafforzeranno di fatto il potere disciplinare. E’ di gran lunga preferibile avere regole meno restrittive realmente rispettate da tutti senza eccezione, piuttosto che regole più restrittive che però vengono ignorate e violate.

Accolgo anche con favore le decisioni del Consiglio volte a rilanciare la strategia di Lisbona e sono lieto che tali decisioni tengano conto dei risultati del gruppo ad alto livello guidato da Wim Kok. E’ essenziale attuare le riforme contenute nell’agenda di Lisbona al più presto, se vogliamo creare una maggiore crescita economica sostenibile e più posti di lavoro e preservare il modello sociale europeo. Va ricordato, comunque, che la principale responsabilità per l’attuazione delle riforme strutturali fondamentali è ora degli Stati membri. Dipende dai governi e dai parlamenti nei singoli paesi dimostrare coraggio e lungimiranza in ambito politico. Devono convincere i cittadini che l’attuazione rapida ed efficace della strategia di Lisbona è nel loro interesse a lungo termine. Le Istituzioni europee possono e devono sostenere i governi degli Stati membri in questo difficile processo. La Commissione deve rafforzare il suo ruolo di organismo responsabile dell’applicazione delle decisioni del Consiglio e deve seguire il progresso delle riforme nei singoli paesi in modo trasparente. Deve esistere una costante cooperazione tra il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali degli Stati membri.

Signor Presidente, propongo di creare un forum permanente nel quale i rappresentanti del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali possano svolgere riunioni regolari e ben mirate per discutere delle sfide che l’attuazione della strategia di Lisbona comporta. Tale iniziativa promuoverà un maggior senso di responsabilità per la realizzazione della strategia a livello parlamentare e rafforzerà la consapevolezza della sua importanza per la società europea.

 
  
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  In ‘t Veld (ALDE).(NL) Ritengo che non vi sia alcun motivo per essere soddisfatti di questo Vertice, che è stato uno spettacolo vergognoso caratterizzato da contrattazioni politiche, mentre ora quegli stessi politici versano lacrime di coccodrillo sul cinismo dell’opinione pubblica. A mio parere, ha inferto un altro colpo alla credibilità dell’Unione europea.

Questo Vertice avrebbe dovuto preparare l’economia europea per il XXI secolo e introdurre una maggiore disciplina di bilancio e un libero mercato dei servizi, invece siamo rimasti legati alla vecchia formula dell’indebitamento e del protezionismo. Definire politica sociale questo approccio è una vergogna. Qualcuno dice che il Patto di stabilità è stato salvato, ma a mio parere non c’è altro che demagogia nelle formulazioni vaghe, nelle clausole scappatoia e negli artifici contabili, per non parlare del modo in cui i leader politici trattano la direttiva sui servizi. I nuovi Stati membri, invece di indulgere come noi nell’autocompiacimento, sono di gran lunga più dinamici e attuano le riforme: sono un esempio da imitare.

In conclusione, signor Presidente, spero che dopo i vari referendum ed elezioni, possano prevalere ancora una volta la lungimiranza, il coraggio, il senso di responsabilità e la capacità di direzione politica.

 
  
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  Montoro Romero (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, l’economia europea sta attraversando una fase molto delicata. Il recente Vertice europeo coincide con una revisione al ribasso delle previsioni di crescita economica della Commissione europea e, di conseguenza, con una revisione non solo della crescita, ma anche della creazione di posti di lavoro.

Ci viene annunciato che nell’Europa del 2005 aumenterà il tasso di disoccupazione e avremo una stagnazione economica. E’ un fatto negativo al quale dobbiamo rispondere inviando messaggi chiari, messaggi di fiducia per i consumatori e per gli investitori. Il problema dell’economia europea è la mancanza di fiducia, che deriva da politiche economiche che non sono in grado di ispirare tale fiducia.

L’agenda di Lisbona, il Patto di stabilità e la liberalizzazione dei servizi sono elementi chiave per rafforzare tale fiducia. A questo proposito, a marzo abbiamo perso un’occasione. Abbiamo perso l’occasione di promuovere finanze pubbliche sane e se ne riscontrano gli esempi all’interno dell’Europa. I paesi che hanno compiuto uno sforzo di risanamento del bilancio sono quelli che registrano una crescita e che creano occupazione in Europa. I paesi che hanno attuato le riforme strutturali contenute nell’agenda di Lisbona sono di fatto i paesi che crescono e creano posti di lavoro all’interno dell’Unione europea.

Non possiamo parlare del modello sociale europeo senza guardare a tali paesi e non possiamo indugiare nell’autocompiacimento quando la revisione del Patto di stabilità è stata attuata sulla base degli interessi politici di grandi paesi che non stanno crescendo e non stanno creando occupazione, e quando si sollevano dubbi sulla natura stessa del Patto di stabilità e vi è sfiducia riguardo alle riforme economiche di cui ha bisogno l’Unione europea.

Questa è l’opportunità che ha dinanzi, Presidente Barroso, per rendere fattibile il suo progetto di realizzare in Europa la crescita e l’occupazione che tutti desideriamo.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. FRIEDRICH
Vicepresidente

 
  
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  Berès (PSE).(FR) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, è una questione che non abbiamo ancora menzionato, ma credo che le condizioni in cui ha dovuto negoziare all’interno dell’eurogruppo e in seguito in seno all’ECOFIN dimostrano che esiste forse un problema di coordinamento tra i poteri dei due organismi. Lei ha menzionato anche il 3 per cento e il 60 per cento, indicando che tali valori non erano stati cambiati. Ha ragione. Sarebbe stato difficile cambiarli, perché queste due cifre sono inserite in un protocollo allegato ai Trattati, ripreso in un protocollo annesso alla Costituzione.

Vorrei tornare sugli elementi essenziali di questa riforma. I primi punti, che, a mio giudizio, non sono stati discussi a sufficienza, ci permettono di procedere nell’armonizzazione delle basi su cui ciascuno Stato membro elaborerà il suo bilancio in futuro, individuando le prospettive macroeconomiche di cui tenere conto e migliorando gli strumenti statistici per valutare i risultati dei singoli Stati membri. L’idea di coinvolgere maggiormente i parlamenti nazionali è ricorrente. Credo tuttavia che, riguardo alle competenze che rimangono essenzialmente agli Stati membri, sia il modo giusto di procedere ed è in questo spirito che, il 25 aprile, svolgeremo al Parlamento europeo una discussione con i parlamenti nazionali sulle sfide della politica economica in Europa e negli Stati membri.

Quando analizzo la realtà di questa riforma, vi sono aspetti deludenti. Ogni Stato membro ha presentato le sue richieste, e abbiamo assistito, come spesso accade, a una forma di mercanteggiamento in cui ciascuno ha ricercato il proprio interesse, senza creare in fin dei conti un valore aggiunto europeo o una reale prospettiva di uno strumento per la crescita e l’occupazione. Abbiamo ancora del lavoro da fare in questo senso. So che lei condivide la preoccupazione di rendere possibile in futuro un reale coordinamento delle politiche economiche, che ci permetta di approfittare di tutti i vantaggi derivanti dall’introduzione dell’euro.

Per concludere – se me lo permette, signor Presidente – le riforme strutturali, e quindi le pensioni, in fondo risultano, purtroppo, le grandi dominatrici di questa riforma, poiché sia nella fase preventiva che nella valutazione dei disavanzi, sarà necessario tenerne conto. Ricordo il suo intervento in seno alla commissione per gli affari economici e monetari. Non sembrava che lei condividesse necessariamente l’idea che una riforma delle pensioni debba essere guidata da principi contabili.

 
  
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  Matsakis (ALDE).(EN) Signor Presidente, la stabilità e la crescita dipendono da un’economia sana. L’economia dell’Unione europea soffre quotidianamente, talvolta nell’ordine di milioni di euro, le conseguenze dell’embargo imposto dalla Turchia sulla navigazione dell’Unione europea. Tale embargo era inteso in teoria contro Cipro, ma in pratica è contro l’intera Unione europea. Spiegherò perché con il seguente esempio. A una nave tedesca battente bandiera francese che trasporta beni del Regno Unito per una società spagnola sarà impedito di entrare in un porto turco se risulta che un membro del consiglio d’amministrazione della società responsabile del trasporto delle merci ha avuto in precedenza rapporti commerciali con una società cipriota. E’ un provvedimento illegale e assurdo e il Consiglio e la Commissione non hanno scuse per tollerare un giorno di più un comportamento così aggressivo da parte di un paese candidato.

Vorrei sollevare brevemente un altro problema. Due giorni fa Hurriyet, un quotidiano a grande diffusione portavoce del governo turco, ha riportato che il Consiglio e la Commissione avevano lavorato congiuntamente per attuare una sorta di cospirazione volta essenzialmente a isolare e destabilizzare il governo cipriota, al fine di costringerlo ad accettare una soluzione impopolare al problema di Cipro. Io so che questa notizia non ha alcun fondamento, ma è stata utilizzata per gli scopi della propaganda turca e ha provocato la preoccupazione dei miei elettori. La invito qui oggi a dichiarare che si tratta di una notizia del tutto falsa e ridicola.

 
  
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  Langen (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Presidente della Commissione, il Patto di stabilità e di crescita è stato molto elogiato. Tuttavia, sono convinto che sia stato un parto molto difficile e che il risultato non sia affatto soddisfacente. Senza nulla togliere ai risultati conseguiti dal Presidente Juncker e dal Presidente Barroso nel conciliare gli egoismi nazionali, di fatto ne è scaturito un fattore dannoso a medio termine per la stabilità dell’euro. Non ce ne accorgiamo adesso, perché al momento gli Stati Uniti e il Giappone presentano un indebitamento molto più grave. Non appena i loro debiti diminuiranno, la stabilità e il tasso di cambio dell’euro saranno messi in discussione. Ovviamente i criteri del 3 e del 60 per cento sono stati mantenuti. Tuttavia, non si discute neppure più il fatto che le risoluzioni del Patto di stabilità e di crescita richiedono di compiere sforzi per pareggiare il bilancio. Già la prima verifica è fallita per i due grandi Stati di Francia e Germania. Se non si riesce a rispettare un patto nei periodi di difficoltà, quale motivazione vi può essere per rispettarlo nei periodi prosperi? Non mi sembra un concetto realistico. La differenza tra lo zero e il 3 per cento equivale a 250 miliardi nella zona dell’euro. Sono risorse che avrebbero potuto essere utilizzate per cicli economici a breve termine, per catastrofi naturali o per impegni internazionali. A quel punto, erano già perse.

Per tale ragione credo che anche il riferimento alla Banca centrale europea sia insufficiente, perché, per quanto indipendente, è in posizione sussidiaria rispetto alle banche nazionali. La Banca centrale europea ha un consiglio direttivo, ma è dominata per due terzi dai governatori delle banche centrali nazionali. Finché la Banca centrale europea non sarà in condizione di orientare la propria attività di rifinanziamento secondo la valutazione positiva o negativa delle obbligazioni statali nella zona euro, non potrà aiutare la moneta unica a raggiungere la stabilità necessaria a lungo termine.

 
  
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  Andersson (PSE).(SV) Signor Presidente, accolgo con favore il risultato del Consiglio europeo di primavera. Vorrei soffermarmi su quattro punti. In primo luogo, il processo di Lisbona è equilibrato, il che implica anche che i vari pilastri sono interdipendenti. In secondo luogo, viene dato grande rilievo al modello sociale europeo, che non significa soltanto più occupazione, ma anche posti di lavoro di qualità, sistemi di previdenza sociale sicuri e modernizzati e la conciliazione della vita lavorativa e familiare. In terzo luogo, accolgo con soddisfazione le osservazioni riguardanti la direttiva sui servizi. Credo che esista un crescente consenso in proposito tra il Consiglio e, ne sono certo, la maggioranza del Parlamento. Abbiamo bisogno di una direttiva sui servizi, che però deve essere diversa dalla proposta esistente. Dobbiamo riuscire a mantenere il modello sociale europeo. Dobbiamo riuscire a stabilire requisiti ambientali elevati e forti diritti per i consumatori. Sono convinto che formulare una proposta con queste caratteristiche sia possibile. In quarto luogo, lo sviluppo sostenibile costituisce un principio trasversale, che riguarda il settore ambientale, ma anche – in misura altrettanto importante – quello economico e sociale.

In conclusione, vorrei sottolineare che naturalmente non tutto è negativo. E’ troppo facile essere pessimisti. Non ci siamo conformati appieno al processo di Lisbona, ma vi sono comunque numerosi paesi che hanno soddisfatto molti dei requisiti. Non voglio elencare questi paesi, ma a un attento esame emerge che hanno combinato crescita, un alto tasso di occupazione, forti sistemi sociali e severi requisiti ambientali. Abbiamo tutte le ragioni di essere ottimisti per il futuro.

 
  
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  Malmström (ALDE).(SV) Signor Presidente, purtroppo devo dire che il Consiglio europeo ha dato un’eccezionale dimostrazione di incapacità di assumere un ruolo di guida. In un momento in cui l’economia europea ha una reale necessità di riforma, in cui la disoccupazione sta aumentando – anche in Svezia, onorevole Andersson – e l’euroscetticismo si sta diffondendo sempre di più, cosa fa il Consiglio? Invece di difendere l’Europa e di porsi pubblicamente alla guida, i leader dell’Unione europea evitano completamente una delle questioni più importanti nel processo di Lisbona, vale a dire la direttiva sui servizi.

Per il timore dei vari referendum, alimentano le menzogne e i miti coltivati da potenti forze a sinistra in relazione a questa direttiva. Se la direttiva sui servizi sarà approvata, non vi sarà fine ai danni che subiranno i consumatori e i lavoratori europei. Nondimeno, il Consiglio e la Commissione sanno che questa direttiva, che non ha niente a che fare con la nuova Costituzione, è incredibilmente importante per la crescita europea, per l’occupazione e per i consumatori. Naturalmente, nessuno vuole che la direttiva sui servizi causi un dumping sociale, ma, invece di sostenere la direttiva che essi stessi hanno disposto, contribuiscono a fomentare una moltitudine di percezioni false, con il risultato di aumentare la sfiducia. Come possono i cittadini credere nell’Europa quando neanche noi che lavoriamo con l’Europa ogni giorno osiamo crederci?

(Applausi)

 
  
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  Kirkhope (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, il Vertice di marzo avrebbe dovuto rilanciare l’agenda di Lisbona. Invece, penso con rammarico che lo si possa solo ricordare come approssimativo e inconcludente. L’evidente attacco alle economie liberali da parte del Presidente francese e altri non è stato uno spettacolo edificante. Essere citato per aver definito la liberalizzazione delle economie europee il nuovo comunismo della nostra epoca, seppure sia vero, è stato piuttosto straordinario. Qualsiasi tentativo di minare alla base la direttiva sui servizi è purtroppo un chiaro segnale che le forze contrarie alla riforma in Europa sono sempre attive.

Di recente il Presidente Barroso ha detto che alcuni attribuiscono alla Commissione europea la funzione di proteggere i 15 vecchi Stati membri dai dieci nuovi paesi. Non è così. Egli ha assolutamente ragione; la direttiva sui servizi è una componente fondamentale di un’economia dinamica e di successo. Coloro che cercano di minare il progresso del mercato interno non aiutano i milioni di disoccupati nei loro paesi. Al contrario, come hanno dimostrato chiaramente i nuovi Stati membri, sono le economie che liberalizzano ad avere i migliori risultati nella creazione di occupazione.

Il cosiddetto modello sociale europeo ha assunto un tale rilievo fra alcune nazioni che sembra quasi impossibile avviare una riforma adeguata. Temo che questo nuovo modello, per quanti meriti abbia avuto in passato, sia ora una sorta di tallone di Achille per la nostra economia. Ha perpetuato un elevato tasso di disoccupazione – 19 milioni secondo le ultime cifre; ha favorito culture anti-imprenditoriali; ogni giorno che rimaniamo senza riforme la competitività di Cina, Stati Uniti e India aumenta a nostro svantaggio.

Come ho accennato al Presidente Barroso, a mio giudizio egli è molto sincero negli sforzi che compie per realizzare le necessarie le riforme, ma è stato tradito da altri, da capi di governo, incluso il nostro Primo Ministro britannico, la cui mancanza di lungimiranza ha reso molto più difficile al Presidente Barroso compiere progressi.

Le conclusioni del Consiglio contengono alcuni punti validi, ad esempio riguardo al Protocollo di Kyoto e allo sviluppo sostenibile, ma temo che le tattiche di alcuni leader che usano la mano pesante, cercando di mettere un freno alla riforma economica e facendosi gioco di un Patto di stabilità e di crescita sempre più screditato, servano a ricordare a noi tutti che, se non stiamo attenti, i nostri interessi potrebbero essere sacrificati a interessi politici a breve termine.

 
  
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  Sacconi (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, i nostri dibattiti sono spesso ripetitivi, vorrei dunque partire da una notizia che ho letto ieri e che mi ha molto colpito. Qualche giorno fa, a Huang-Kan-Tun nel sud della Cina, c’è stata una rivolta popolare che ha causato, purtroppo, anche due vittime per la brutale repressione della polizia. Si è trattato di una rivolta dell’intera popolazione di quel villaggio contro un insediamento chimico, di recente installazione, che ha prodotto nel giro di poco tempo un gravissimo inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo.

Cosa voglio dire con questa notizia? Voglio dire che ormai, anche in queste nuove potenze economiche per effetto della crescita industriale emergono nuove istanze ambientali, ecologiche, sanitarie e sociali. Ciò indica chiaramente il nostro ruolo nella futura divisione internazionale del lavoro: progettare e vendere le tecnologie per consentire a questi paesi di crescere senza ripetere i nostri errori del passato, come l’inquinamento e la compressione sociale. Alla luce di tutto ciò il risultato del Vertice mi pare positivo, perché ha rilanciato davvero la Strategia di Lisbona sulla base dell’interdipendenza dei tre pilastri, ha rilanciato il ruolo globale dell’Unione europea come leader nel campo dello sviluppo sostenibile ed ha prospettato un protocollo di Kyoto 2, molto ambizioso ed importante proprio in questa chiave.

Mi sembra buona soprattutto la riforma politica della gestione della strategia di Lisbona secondo questo principio: ognuno svolga pienamente il proprio ruolo – Stati membri, Comunità, comunità locali, Unione europea e così via. Anche il Parlamento deve fare la propria parte, ed è stato affermato con chiarezza. La faremo meglio, signor Presidente, se, come lei ha auspicato, troverà conferma la collaborazione che si sta manifestando negli ultimi tempi fra le Istituzioni, sul compito che ci spetta: elaborare una legislazione avanzata. Io penso che uno dei principali campi dove si proporrà questa sfida sarà la direttiva REACH. La collaborazione auspicata, ne sono sicuro, ci sarà nei prossimi mesi per conseguire questo risultato.

 
  
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  Sterckx (ALDE).(NL) Come presidente della delegazione del Parlamento per le relazioni con la Repubblica popolare cinese, desidero rivolgermi al Presidente del Consiglio sul tema della revoca dell’embargo sulle armi. Faccio notare che, pur sapendo che una vasta maggioranza del Parlamento è contraria, il Consiglio rimane deciso a procedere in questa direzione. Comprendo persino i cinesi quando lo mettono in discussione come gesto politico e sostengono che, in un partenariato strategico come il nostro, non c’è spazio per embargo di questo tipo. Tuttavia, se vogliamo compiere un gesto politico, dobbiamo chiederne uno in cambio, mentre non stiamo ancora ottenendo nulla. Anzi, la legge anti-secessione, adottata in Cina il mese scorso, invia un messaggio sbagliato. Questo mese, una delegazione dell’Assemblea popolare cinese spiegherà al Parlamento europeo quale fosse, precisamente, l’intenzione sottesa a questo atto, e ascolterò tale spiegazione con vivo interesse. A mio parere, dovremmo chiedere un gesto anche in relazione ai diritti umani individuali, perché ultimamente si riscontrano troppo scarsi miglioramenti in questo campo in Cina. Signor Presidente in carica del Consiglio, se il Consiglio vuole compiere un gesto politico, la esorto quindi a chiedere in cambio al governo cinese un gesto analogo. Spero che il Consiglio sia disposto ad adottare questa linea di condotta, che ha l’appoggio di una vasta maggioranza del Parlamento.

 
  
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  Saryusz-Wolski (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, il risultato del Vertice di primavera indica che purtroppo l’Unione europea ha compiuto un passo indietro. Sta diventando più difficile che mai raggiungere legittimi obiettivi economici. La meta sembra sempre più lontana. L’allentamento dei principi che governano il Patto di stabilità e di crescita è molto preoccupante. L’introduzione di una sorta di controllo manuale e l’applicazione dei principi del Patto solo a certi paesi e non ad altri che li violano con disinvoltura costituisce un approccio miope. In questo modo, che tipo di messaggio si invia agli Stati membri che hanno deciso di attuare riforme dolorose per conseguire gli obiettivi di disciplina finanziaria e soddisfare i criteri di convergenza? Che esempio si offre ai nuovi Stati membri?

Purtroppo, le dichiarazioni della strategia di Lisbona rimangono sulla carta. Gli Stati membri e l’Unione nel suo insieme devono trascendere la retorica e dare forma concreta alle belle dichiarazioni con azioni specifiche e coerenti. E’ impossibile non essere d’accordo con le conclusioni della Presidenza, laddove si afferma che il completamento del mercato unico riguardo alla libera circolazione dei servizi sosterrà gli obiettivi comunitari in materia di crescita economica, occupazione e competitività. La direttiva sui servizi è una delle parti migliori della strategia di Lisbona. Un’azione coerente, mirata a realizzare il mercato unico, è il miglior modo di sostenere la strategia di Lisbona. Tutti questi obiettivi saranno raggiunti con maggiore rapidità ed efficacia se la direttiva sui servizi attualmente in discussione non verrà ammorbidita, indebolita e rimandata, discostandola dalla sua forma originale. Dobbiamo garantire la prestazione libera e senza restrizioni di servizi in tutto il territorio dell’Unione. Lavorando su questa direttiva, dobbiamo fare in modo che contenga il massimo buon senso e il minor numero di restrizioni possibile.

L’Unione ha bisogno di potenti catalizzatori economici per raggiungere i suoi obiettivi economici. Uno di tali catalizzatori è stato l’adesione di dieci nuovi Stati membri nell’allargamento avvenuto lo scorso maggio. Ora siamo chiamati ad andare oltre. Dobbiamo lavorare nell’interesse delle generazioni future e non pensare solamente agli attuali intrallazzi politici, alle elezioni e ai referendum. I cittadini degli Stati membri si aspettano che facciamo il nostro dovere. Le belle parole non trasformeranno né faranno sparire per magia la realtà attuale, caratterizzata dalla mancanza di volontà di cambiare, di aprire i mercati, e anche da un indebolimento della disciplina macroeconomica. Dobbiamo trovare il coraggio di affrontare il futuro.

 
  
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  van den Burg (PSE).(NL) Il vantaggio di intervenire al termine di una discussione è che è possibile riflettere su una serie di argomenti che sono già stati discussi. In questo senso vorrei quindi menzionare tre idee sbagliate che hanno dominato la presente discussione. La prima riguarda la riforma del Patto di stabilità e di crescita. Non si è trattato solo di un argomento di contrattazione fra quegli Stati membri che hanno lottato per soddisfare i requisiti del Patto; si è discusso anche di politica economica e degli obiettivi economici del Patto nel contesto della politica macroeconomica. Forse questo aspetto non è emerso in modo adeguato dalle notizie riportate dai mezzi di informazione, ma certamente la Presidenza lussemburghese vi ha dedicato attenzione. Spero che la Commissione, da questo punto di vista più macroeconomico, saprà utilizzare la riforma del Patto come uno strumento per una migliore politica macroeconomica europea.

Un secondo punto riguarda l’integrazione degli indirizzi di politica economica e degli orientamenti in materia di occupazione, nonché della politica microeconomica, presentata ieri dalla Commissione. Tutto questo si colloca, naturalmente, nel quadro della strategia di Lisbona e il mio gruppo sostiene che dovremmo semplificare questi processi e optare per un approccio integrato. Dobbiamo evitare, tuttavia, di creare una gerarchia di procedure, in modo che non predomini alcuna particolare formazione del Consiglio, alcun Commissario, comitato di esperti o struttura integrata in questo Parlamento. Non vogliamo un super Commissario, un super Consiglio né un comitato di esperti che non si occupi di altro.

Un terzo punto riguarda la direttiva sui servizi. A tale proposito, vorrei sottolineare ancora una volta che con l’opposizione a tale direttiva non s’intende impedire la libera circolazione di servizi e manodopera, ma piuttosto le condizioni in cui si suppone avvenga tale circolazione. La Commissione non ha svolto bene il proprio dovere e dobbiamo renderci conto che la migrazione della manodopera è strettamente legata alla libera circolazione dei servizi e che, a tale riguardo, si dovrebbe fare molto più di quanto è stato fatto sinora, a prescindere da questa direttiva.

 
  
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  Radwan (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Presidente della Commissione, signor Presidente in carica del Consiglio, i giochi sono fatti. Si è tenuto il Vertice, il Patto di stabilità e di crescita è stato riformato – come dicono molti – o abolito – come dicono altri – ed è stato sferrato un attacco alla direttiva sui servizi. Non vi sono più ostacoli alla prosperità e alla ripresa dell’Europa. Ora ce la faremo. Questo potrebbe essere un messaggio.

Le sono grato, signor Presidente della Commissione, per aver detto all’inizio del suo intervento che la discussione sul Patto di stabilità era stata avviata perché era venuto meno il consenso sul rispetto delle regole, e l’unica alternativa era quindi procedere in una nuova direzione. In seguito era emersa la questione di come attuare questa decisione. Nel frattempo, si sono diffuse voci secondo cui qualcuno non diceva la verità. In ogni caso, non mi trovo a disagio a seguire la Banca centrale europea e la Bundesbank tedesca nel valutare il Patto di stabilità e di crescita. Se si tiene presente poi che molti Stati hanno minacciato, in concomitanza con una maggiore crescita, di smettere di applicare la legge applicata sino a quel momento, mi chiedo se ora accadrà proprio questo. In futuro prenderemo decisioni di questo tipo in Europa?

Sulla strategia di Lisbona, vorrei dire che spero in una Commissione forte. Sono consapevole, signor Presidente della Commissione, che è più difficile per lei di quanto non fosse per Jacques Delors mettere in atto una visione, perché Jacques Delors aveva al suo fianco diversi capi di governo. A quell’epoca, aveva l’appoggio di Mitterrand e Kohl, che sostennero attivamente il progresso europeo. E’ importante che la Commissione si concentri sui risultati che l’Europa può realizzare e non produca troppa carta. Per il Consiglio, è importante che gli Stati membri si impegnino a conseguire gli obiettivi da essi stessi regolarmente fissati e facciano il proprio dovere in patria, in modo che anche noi possiamo giungere ai risultati voluti.

Riguardo alla direttiva sui servizi, ho solo una cosa da dire: probabilmente voteremo sulla Romania e sulla Bulgaria oggi pomeriggio. A coloro che, in seno al Consiglio, si oppongono a questa direttiva vorrei soltanto dire che abbiamo problemi con i 10 nuovi Stati riguardo alla libera circolazione dei servizi, perché non è stata inclusa nei trattati di adesione. Non dobbiamo ripetere lo stesso errore e prendercela con altri; al contrario, la libertà dei servizi dovrebbe essere corretta nei piani di Bulgaria e Romania conformemente alla volontà di chi è favorevole. Altrimenti, ci troveremo di fronte allo stesso problema.

 
  
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  Bersani (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, le decisioni del Vertice di primavera ci sembrano buone ma sappiamo che il giudizio lo daranno i fatti. Ci sono grandi opportunità e anche dei rischi in quello che decidiamo. Nell’insieme noi consegniamo all’organo di decisione politica delle nuove responsabilità e dobbiamo lavorare perché queste responsabilità vadano nel senso dell’integrazione e non della dissociazione.

Le direttive integrate e i programmi nazionali di riforma non devono essere fatti solo di parole generiche, ma di scelte vere convergenti e misurabili. La flessibilità del Patto deve essere sempre più leggibile e gestita esclusivamente a fini di crescita, secondo dei saldi criteri comuni. A questo proposito si è aperto un delicato caso italiano e voglio dire che noi chiediamo al governo, alla Commissione, al Consiglio e ad Eurostat che ciascuno faccia il suo mestiere con serietà, trasparenza e lealtà: perché i cittadini italiani hanno diritto ad avere chiarezza e verità sui conti pubblici, cioè sul proprio futuro.

Con le decisioni del Vertice di primavera non saremo più nella situazione di prima: se non avremmo più Europa ne avremo di meno. Ecco perché sono molto importanti le scelte che possono garantire l’integrazione e quindi ruolo della Commissione per il coordinamento delle politiche macroeconomiche, il miglioramento delle basi statistiche, il coinvolgimento dei parlamenti nazionali, l’integrazione vera degli strumenti di programmazione nazionali ed europei, la forza del bilancio dell’Unione, gli investimenti infrastrutturali e di ricerca, la dimensione europea e così via. Su tutto questo dovremo metterci alla prova. Per ora, comunque, complimenti vivissimi alla Presidenza lussemburghese.

 
  
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  Toubon (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, innanzi tutto, vorrei complimentarmi con il Presidente in carica del Consiglio Juncker, con il Presidente della Commissione Barroso e con i suoi colleghi, nonché con i capi di Stato e di governo. Grazie a voi questo Consiglio del 22 e 23 marzo è stato, a mio parere, determinante per fare avanzare l’Europa. Per il suo contenuto e per la sua forma, è stato probabilmente uno dei migliori che io ricordi.

Questo Consiglio ha infatti fornito soluzioni a diverse questioni che da tempo erano rimaste in sospeso. Innanzi tutto, una riforma intelligente del Patto di stabilità e di crescita: penso che in politica, e anche nella politica europea, ci sia bisogno di intelligenza. In secondo luogo, miglioramenti e nuovi orientamenti affinché la legislazione in corso sia equilibrata, e mi riferisco alla direttiva sui servizi, REACH. In terzo luogo, l’ambiente, nel momento dell’attuazione del Protocollo di Kyoto. Infine, le nostre relazioni con la Cina e lo sforzo europeo in materia di ricerca. A questo proposito, sottolineo in modo particolare la decisione storica che è stata presa per il lancio di ITER.

Da questo punto di vista, spero che l’Unione europea non attenderà troppo a lungo la buona volontà del Giappone; e che si svolgano negoziati con i giapponesi, a condizione che, signor Presidente, il 14 luglio sia avviato il progetto, perché si tratta di una questione fondamentale per l’Europa, per il futuro dell’energia e per i giovani, vale a dire per coloro che fra 30 o 50 anni vivranno nei nostri paesi.

Per tali ragioni, signor Presidente, sostengo pienamente la risoluzione comune che esprime il parere positivo del Parlamento riguardo a questo Consiglio estremamente importante e molto proficuo.

 
  
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  Myller (PSE).(FI) Signor Presidente, la buona notizia riguardo al Vertice di primavera è che si è deciso di formulare una strategia a lungo termine per ridurre le emissioni a effetto serra. E’ stato deciso anche di considerare la possibilità di stabilire obiettivi vincolanti a medio e a lungo termine. Ora è assolutamente indispensabile elaborare proposte ambiziose per il periodo successivo al 2012.

Purtroppo, la storia recente ha dimostrato che per l’Unione europea è stato notevolmente più facile definire e concordare obiettivi ambiziosi piuttosto che realizzarli. Se vogliamo rilanciare con successo la strategia di Lisbona, dobbiamo cercare una nuova leadership in tutti i settori delle politiche dell’Unione europea. Dobbiamo tenere conto degli interessi della Comunità, attenerci alle decisioni convenute e agire in modo che tutti gli Stati membri ottengano un valore aggiunto dalla cooperazione europea.

 
  
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  Oomen-Ruijten (PPE-DE).(NL) Signor Presidente in carica del Consiglio, signor Presidente della Commissione, il processo di Lisbona ha fatto la parte del leone nei discorsi di entrambi. Il Presidente del Consiglio ne ha parlato in termini ampi e ponendo l’accento sul pareggio e sulla crescita economica, che non possono essere realizzati senza responsabilità ambientale e sociale. Lei ha illustrato la necessità di questi tre elementi, signor Presidente del Consiglio, con l’approccio integrato testimoniato anche dalle conclusioni del Consiglio. Vorrei altresì esprimere il mio apprezzamento per l’attenzione prestata alle PMI. Non ho mai visto ricorrere tanto spesso nelle conclusioni del Consiglio le parole PMI, innovazione e ambiente. Nella risoluzione su cui voteremo oggi, chiediamo di imprimere un nuovo dinamismo alla strategia di Lisbona con un “nuovo approccio focalizzato”.

Signor Presidente della Commissione, ora vorrei rivolgermi a lei. Questo dinamismo e questa leadership possono essere realizzati solo se agirà in stretta collaborazione con gli Stati membri, le regioni e le parti sociali. Nel discorso di questa mattina, non ho avuto l’impressione che questa stretta collaborazione di mano in mano, secondo l’espressione del Presidente del Consiglio, fosse molto evidente. Potrei sbagliarmi, ma ho l’impressione che venga inflitta agli Stati membri un’enorme quantità di burocrazia e che si presti meno attenzione all’agenda della politica sociale, alla quale non vengono dati strumenti concreti. Ho anche l’impressione che questa collaborazione con il Parlamento lasci un po’ a desiderare riguardo a politiche integrate in materia di occupazione, settore in cui vorrei assistere a un certo grado di consultazione in futuro.

 
  
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  Hatzidakis (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, la Presidenza lussemburghese è, a mio giudizio, una buona Presidenza, che già annovera tra le sue conquiste il creativo compromesso sul Patto di stabilità, che consente agli Stati membri nella zona euro di procedere sulla base delle regole di prudenza finanziaria, ma con il necessario grado di flessibilità.

Allo stesso tempo, la Presidenza lussemburghese è riuscita, durante il Consiglio europeo di Bruxelles, a rendere più specifica la strategia di Lisbona, ma è davvero un peccato che in quell’occasione non sia stato possibile indicare gli Stati membri che non riescono a promuovere questa strategia.

Un altro problema importante che abbiamo di fronte nel quadro della strategia di Lisbona è la direttiva sui servizi, che spero sarà esaminata in modo razionale, soprattutto sforzandosi di chiarire i malintesi, in modo da disperdere la nebbia che ci impedisce di vedere la sostanza del problema, perché talvolta si ha l’impressione che nell’Unione europea di parlare di questioni del tutto diverse.

Infine, vorrei augurare alla Presidenza lussemburghese di raggiungere d’ora in avanti un risultato positivo riguardo a un importantissimo problema che stiamo affrontando, vale a dire le prospettive finanziarie, in particolare il bilancio per la politica regionale dell’Unione, per le politiche di coesione. Si tratta di una questione molto importante e difficile. Personalmente ritengo che siamo costretti a giungere a un accordo entro giugno, perché altrimenti saranno i programmi della politica regionale a fare le spese di un eventuale disaccordo a livello europeo.

 
  
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  Sudre (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, l’ultimo Consiglio europeo ha impresso una nuova direzione all’economia europea nel senso del pragmatismo, della flessibilità e dell’incentivo all’innovazione.

Quanto al Patto di stabilità e di crescita, mi rallegro che il realismo e la flessibilità abbiano prevalso sul dogma e sul rispetto cieco di regole che sono state decise durante un periodo di crescita economica molto più sostenuta di quella che conosciamo oggi. Alcune regole sono necessarie, ovviamente, perché da esse dipende la stabilità della nostra moneta comune, ma la riforma del Patto è positiva nella misura in cui permette di conciliare il principio essenziale del rispetto dello Stato di diritto e la flessibilità minima richiesta nella gestione del denaro pubblico degli Stati membri. Vorrei ringraziare il Presidente Barroso e il Presidente Juncker per la loro perspicacia e la loro forza di persuasione su questo argomento spinoso.

Questo pragmatismo è stato utile anche in relazione al progetto di direttiva sulla liberalizzazione del mercato europeo dei servizi. Riconoscendo che la redazione attuale della direttiva non soddisfa appieno le esigenze e chiedendo che siano compiuti tutti gli sforzi per rendere pienamente operativo il mercato interno dei servizi preservando al contempo il modello sociale europeo, il Consiglio ha scontentato la Francia – come i media hanno troppo spesso rilevato. Ha riconosciuto piuttosto che il principio del paese di origine poneva problemi evidenti di rischi di dumping sociale e fiscale e si è rimesso alla saggezza del Parlamento europeo per decidere una soluzione accettabile. Questo è il tipo di atteggiamento che i cittadini aspettano da Bruxelles.

Il futuro della nostra economia sarà in pericolo se non compiremo uno sforzo potenziato e massiccio in termini di investimento nel campo dell’istruzione e della formazione e in quello della ricerca e dello sviluppo. Siamo più che in ritardo su questi due aspetti rispetto ai nostri partner americani e asiatici. I Venticinque hanno confermato la loro volontà di fare dell’Unione uno spazio più interessante per l’investimento e la creazione di posti di lavoro, per promuovere la conoscenza e l’innovazione e per sostenere la crescita. Sono obiettivi ambiziosi, necessari e realizzabili se i nostri Stati vi dedicheranno la volontà politica e i finanziamenti necessari.

 
  
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  Posselt (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, la strategia di allargamento del Consiglio è sbagliata. Viene perpetrata una discriminazione contro la Croazia, un paese dell’Europa centrale che soddisfa i criteri meglio di molti Stati membri. La Romania, un paese palesemente europeo, ma ancora ben lungi dall’adempiere i criteri per l’adesione, viene invece spinto avanti in tutta fretta, come se invece vi ottemperasse. L’Ucraina, certamente un paese europeo, che però non sarà pronto per l’adesione ancora per decenni e che neanche noi saremo pronti ad accettare nei prossimi anni, è stata rimandata a data da destinarsi, senza una strategia specifica. Eppure, con un paese chiaramente non europeo come la Turchia, i negoziati di adesione saranno avviati quest’anno.

Devo davvero esortare il Consiglio a ripensare completamente questa strategia e a dare il via libera in primo luogo ai negoziati di adesione con la Croazia senza ulteriori indugi – entro il 21 maggio al più tardi – e che il gruppo di lavoro generosamente istituito a seguito del suo intervento, signor Presidente in carica, giunga immediatamente a un risultato. In secondo luogo, vorrei chiederle di consentire a Romania e Bulgaria di entrare nell’Unione alla data fissata, dandoci però la possibilità di aspettare fino all’autunno, finché non saranno disponibili le corrispondenti relazioni di avanzamento. In terzo luogo, la esorto, dopo l’adesione di Romania, Bulgaria e Croazia, a concedere all’Unione europea una lunga pausa per il consolidamento interno di cui ha urgente bisogno.

Vorrei inoltre chiederle di non avviare i negoziati di adesione con la Turchia nel prossimo autunno, che imporranno ulteriori imposte e richiederanno uno sforzo supplementare all’Unione, e di sviluppare una buona strategia di vicinato, nonché un piano per l’Ucraina. Diversamente, i risultati ottenuti dalla Rivoluzione arancione cadranno nel nulla, con gravi ripercussioni per l’Europa.

(Applausi)

 
  
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  Juncker, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, al termine di questo dibattito, in gran parte molto disorganizzato, vorrei chiarire alcuni punti.

Sono lieto che, per quanto riguarda le decisioni del Consiglio europeo relative alla strategia di Lisbona, vi siano state poche controversie. Mi sembra del tutto normale, coerente e logico, poiché – e qualcuno farebbe molto bene a leggerla – la risoluzione del Parlamento europeo che è stata adottata sulla strategia di Lisbona si riflette quasi integralmente nelle conclusioni del Consiglio europeo. Che oggi se ne critichino certi elementi dipende da un eccessivo senso di autocritica. Questa è la mia constatazione!

Peraltro, credo che sia essenziale riconoscere almeno un merito alla decisione del Consiglio europeo sulla strategia di Lisbona, vale a dire che ha posto una pesante responsabilità sulle spalle degli Stati membri. Eravamo abbastanza concordi a gennaio, quando abbiamo discusso dell’argomento, nell’affermare che spetta ai governi nazionali fare della strategia di Lisbona un successo non solo per ciascuno dei paesi, ma per l’intera Europa.

D’ora in poi i governi nazionali dovranno rendere conto dei programmi nazionali di riforma dinanzi ai rispettivi parlamenti nazionali, il Consiglio sarà responsabile dinanzi al Parlamento europeo e la Commissione svolgerà il ruolo che è sempre stato suo, vale a dire un ruolo di agevolazione e di incoraggiamento, ruolo che consiste nel trascinare in uno stesso slancio tutti gli Stati membri per raggiungere gli obiettivi della strategia di Lisbona, che è stata concepita per fare in modo che, in futuro, il modello sociale europeo resti accessibile alla maggior parte degli europei.

Vorrei rilevare che, in certi gruppi più ecumenici che cattolici, emergono dichiarazioni nettamente divergenti sugli elementi essenziali che l’azione politica deve assumere a livello europeo. E’ più facile, onorevole Radwan, raggiungere un compromesso sul Patto di stabilità e di crescita che assicurare la coerenza del gruppo al quale appartenete. L’ho constatato sia ieri che oggi.

(DE) Riguardo al Patto di stabilità, voglio dire che mi stupisce soprattutto che tutte le fasi intermedie della riforma del Patto siano state accompagnate dalla stessa retorica feroce e dalle stesse osservazioni. Quando alcuni governi avevano suggerito di escludere interi blocchi di spesa dal Patto di stabilità, le critiche erano state esattamente le stesse che vengono formulate ora che questa proposta non è stata accolta. Ci dev’essere qualcosa di sbagliato. La parte preventiva del Patto è stata sensibilmente rafforzata. Perché si è reso necessario? Perché questo aspetto era semplicemente – e piuttosto colpevolmente – trascurato dal vecchio Patto, alla cui gestazione ho partecipato in notevole misura. Alcuni governi non sono riusciti neppure nei cosiddetti periodi prosperi a seguire la politica corretta per ridurre il disavanzo e l’indebitamento. Naturalmente questo aspetto potrebbe migliorare dopo alcune imminenti elezioni, anche se nutro seri dubbi in proposito.

La parte correttiva del Patto ha subito solo cambiamenti di scarsa entità, rispetto a quanto stabilito dal Trattato e dal Patto stesso sulla questione. Ovviamente, se pensavate che, ai fini del Patto, il 3,0 per cento avrebbe significato davvero il 3,0 per cento, che si sarebbero avviate procedure d’infrazione contro i paesi con un disavanzo superiore al 3,0 per cento e che questi paesi sarebbero stati soggetti a sanzioni se l’anno seguente non fossero scesi al di sotto del 3,0 per cento, allora la riforma del Patto di stabilità non è all’altezza delle aspettative. Sarebbero stati necessari emendamenti considerevoli al Trattato e, di conseguenza, non avremmo più potuto utilizzare il vecchio Patto di stabilità come guida in importanti settori.

Il Trattato non dice che qualsiasi disavanzo superiore al 3,0 per cento è un disavanzo eccessivo. Chiunque affermi questo sta dando un’interpretazione sbagliata del Trattato. Non è affatto questo che stabilisce il Trattato e non posso accettare che dobbiamo agire come se fosse così e che chi sta tornando a un’interpretazione corretta del Trattato venga ora trattato come un peccatore della stabilità. Come ci si può assumere la responsabilità esclusiva di interpretare il Trattato e il Patto di stabilità? Leggo – e lo trovo anche piuttosto divertente – che il Consiglio, i 25 ministri delle Finanze e i 25 capi di Stato o di governo si sono inchinati di fronte alla Germania e alla Francia. E’ ridicolo e, peraltro, offensivo per gli altri 23 Stati.

(Applausi)

L’idea che sia sufficiente una voce perentoria da Berlino o un chiaro segnale da Parigi per far cedere gli altri 23 governi è una percezione del tutto antieuropea e contraddice la necessità ricorrente di creare relazioni corrette ed efficaci in Europa e trovare soluzioni di compromesso. Non voglio chiedermi quanto sarebbero state dure le critiche in quest’Aula se avessimo fallito nella strategia di Lisbona, se non fossimo riusciti a realizzare gli equilibri che ci vengono ricordati dal Parlamento o se avessimo fallito totalmente nella riforma del Patto di stabilità. Qualcuno ritiene che il vecchio Patto di stabilità fosse talmente valido da non richiedere di essere modificato. Tale parere, tuttavia, non è condiviso da nessun governo dei 25 Stati membri. L’idea che i 25 capi di Stato o di governo e i 25 ministri delle Finanze abbiano imboccato la strada del disavanzo e di un indebitamento in vertiginosa ascesa è un’idea assurda che desidero confutare energicamente.

(Applausi)

(FR) Per il resto, signor Presidente, si è parlato molto della credibilità dell’Europa. Credo che talvolta sia minacciata pesantemente e non ho capito del tutto le affermazioni dell’onorevole Watson, in particolare se si rivolgesse a me o a un gruppo di Stati membri. Non voglio credere che mi rimproveriate di non avere saputo convincere i deputati del PPE-DE ad adottare lo stesso atteggiamento su tutte le questioni, perché qui non rappresento il PPE-DE. Rappresento il Consiglio europeo.

A coloro che hanno richiamato l’attenzione di tutti su una mancanza di credibilità dell’Europa, dirò questo: vorrei ringraziare molto calorosamente i deputati che, dalle 9 di stamani, assistono a questa discussione. I visitatori al Parlamento europeo oggi sono stati sorpresi di non vedere un maggior numero di deputati in un’occasione in cui l’Europa discute di argomenti fondamentali.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Grazie, signor Presidente in carica del Consiglio. Spero – o dovrei dire mi aspetto – che la sua critica sia stata ascoltata.

 
  
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  Barroso, Presidente della Commissione. (FR) Signor Presidente, concludo, molto brevemente. Per quanto riguarda la riforma del Patto di stabilità e di crescita, dobbiamo francamente riconoscere – se vogliamo un dibattito onesto – che i problemi non sono emersi con questa riforma, ma esistono già da un certo tempo. Fin dal novembre 2003 non c’era più un consenso sul Patto di stabilità e di crescita. Quella che abbiamo realizzato, quella che hanno attuato gli Stati membri con il sostegno attivo della Presidenza e della Commissione europea, è una riforma credibile del Patto.

Posso darvi tutte le garanzie – mi rivolgo soprattutto a coloro che hanno espresso preoccupazioni, peraltro legittime – che la Commissione intende applicare, in modo obiettivo e su un terreno di parità tra tutti gli Stati membri, queste stesse regole del Patto di stabilità e di crescita. Posso garantirvi anche che il ruolo della Commissione non è stato ridotto da questa riforma, al contrario. Infatti, il ventaglio delle situazioni in cui la Commissione sarà chiamata a dare il suo parere o a prendere l’iniziativa di un’azione si è allargato considerevolmente. Ora abbiamo quindi un Patto che potrà essere molto più credibile nella sua applicazione di quello che avevamo prima di questa riforma.

Inoltre, per quanto riguarda Lisbona, esiste chiaramente – l’ho constatato nella discussione di questa mattina – un consenso molto ampio su un sistema volto a rafforzare la governance, che prevede una migliore distinzione tra ciò che rientra tra le competenze dell’Unione e ciò che rientra tra quelle degli Stati membri. Gli Stati membri hanno accettato questa governance rafforzata e, ancora una volta, questo rafforza anche la credibilità degli obiettivi di Lisbona.

Vorrei tuttavia tornare su un punto importante delle conclusioni del Consiglio europeo che non ho menzionato nella mia introduzione alla presente discussione: la politica di sviluppo nel contesto degli obiettivi di sviluppo del Millennio. Il Consiglio europeo, nella sua ultima riunione, ha chiesto alla Commissione di accelerare i suoi lavori per definire le posizioni dell’Unione in vista degli importanti appuntamenti del prossimo settembre in seno alle Nazioni Unite.

Ho il piacere di comunicarvi che la Commissione ha adottato ieri, qui a Strasburgo, un importante pacchetto di proposte che il Commissario Michel e io stesso abbiamo annunciato ieri. Comprende nuovi obiettivi intermedi, un accento più marcato sulla qualità dell’aiuto e una maggiore coerenza tra le politiche. In questo pacchetto sullo sviluppo, un’attenzione particolare è accordata anche all’Africa subsahariana. Onorevoli parlamentari, la Commissione accorda una priorità importante a queste proposte. Stiamo lavorando attivamente con gli Stati membri per la riuscita di questo appuntamento riguardante gli obiettivi del Millennio e contiamo molto sul vostro appoggio.

Ho dato questo esempio, signor Presidente, anche per illustrare un punto che mi sembra importante: noi lavoriamo veramente su decisioni operative. In seno al Consiglio europeo abbiamo fissato gli obiettivi e i nuovi strumenti della strategia di Lisbona rinnovata e abbiamo appena approvato gli orientamenti integrati, tra cui figurano la politica macroeconomica, la politica microeconomica e l’occupazione. Li abbiamo appena presentati qui al Parlamento europeo. Il Consiglio europeo ha formulato una richiesta riguardo allo sviluppo e abbiamo risposto presentando proposte concrete.

So bene che, nei momenti difficili che conosciamo attualmente in Europa, l’attenzione è molto spesso concentrata più sugli aspetti controversi, su ciò che non suscita né l’accordo né l’unanimità tra gli Stati membri. Ma ciò che vorrei sottolineare è che, malgrado queste differenze e malgrado, talvolta, le divergenze, siamo capaci di arrivare, come è avvenuto in occasione del Consiglio di primavera, a consensi molto importanti.

Tengo quindi a sottolineare ciò che ha appena detto il Presidente del Consiglio. Quale sarebbe la vostra reazione se non ci fossimo presentati qui con risultati che riflettono malgrado tutto un consenso e quale sarebbe il segnale che trasmetteremmo all’opinione pubblica? Per tale motivo, allo stadio attuale, sebbene condivida molte inquietudini e preoccupazioni che alcuni di voi hanno espresso, si tratta di sapere se vogliamo porre l’accento sugli aspetti che non raccolgono un consenso unanime o, al contrario, se non dovremmo porre l’accento su ciò che siamo capaci di fare insieme.

Perché è questa la cultura del compromesso che abbiamo in Europa e insisto molto su questo punto. Non avanzeremo in un’Unione europea a 25 se non spiegheremo ai cittadini che in Europa non si può averla vinta su tutto. Nessuno Stato membro la spunterà al 100 per cento su tutte le posizioni che difende. La nostra Europa è sempre più complessa! Tocca quindi a noi che occupiamo un ruolo guida, al Consiglio, alla Commissione o al Parlamento europeo, che esercitiamo una funzione politica, tocca a noi spiegare ai cittadini che è necessario scendere a compromessi, che l’Europa è il compromesso. L’Europa significa lavorare insieme per obiettivi che sono molto più importanti delle questioni a breve termine o delle ipersensibilità nazionali.

Questo è il significato della responsabilità, la prima condizione per una leadership effettiva, una leadership di cui l’Europa ha bisogno in questa fase.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Grazie, Presidente in carica del Consiglio e Presidente della Commissione. A conclusione della discussione, comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione ai sensi dell’articolo 103 del Regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà alle 12.00.

(La seduta viene sospesa per alcuni minuti)

DICHIARAZIONE SCRITTA (ARTICOLO 142 DEL REGOLAMENTO)

 
  
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  Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Il Consiglio europeo del 22 e 23 marzo è stato caratterizzato da un punto che non era all’ordine del giorno, ma che gli è stato imposto suo malgrado.

I recenti sondaggi che indicano una possibile vittoria del “no” nel referendum sulla cosiddetta “Costituzione europea”, che si svolgerà in Francia il 29 maggio, hanno fatto scattare l’allarme.

La destra e i socialdemocratici si sono uniti e mobilitati, incoraggiando qualsiasi ingerenza più o meno aperta nella campagna referendaria in Francia.

Il Parlamento europeo sta spendendo 8 milioni di euro per la campagna a favore del “sì”: ciò è inaccettabile.

I capi di Stato e di governo e tutti coloro che ritengono di poter influenzare il risultato del referendum si accalcano per tentare di convincere i cittadini francesi dei “vantaggi” – ipotetici e inesistenti – della cosiddetta “Costituzione europea”.

La grande industria e le direzioni sindacali dominate dai socialdemocratici e dalla destra – con in testa la Confederazione europea dei sindacati – stanno facendo tutti l’impossibile per difendere questo progetto, che danneggia la sovranità dei popoli e incoraggia il capitalismo neoliberista e il militarismo.

La Commissione e il Parlamento europeo stanno rinviando decisioni per evitare di offrire ulteriori validi argomenti per votare “no”.

Malgrado le contraddizioni, un voto negativo in Francia sarà la migliore risposta.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. BORRELL FONTELLES
Presidente

 

3. Turno di votazioni
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.

(Risultato e ulteriori dettagli delle votazioni: cfr. Processo verbale)

 

4. Calendario delle tornate del Parlamento europeo – 2006
  

Prima della votazione

 
  
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  Daul (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, a nome della Conferenza dei presidenti delle commissioni, desidero portare alla sua attenzione, prima della votazione sul calendario delle tornate per il 2006, la nostra più viva preoccupazione per questo progetto di calendario.

Con questo programma, la ripartizione delle settimane di seduta delle commissioni e il numero dei giorni di lavoro delle commissioni raggiungeranno il più basso livello dal 1994, che era un anno non elettorale. Malgrado l’incremento del lavoro parlamentare e l’aumento del numero dei deputati, delle commissioni e degli emendamenti, sappiamo tutti che, rispetto al 1994, sono aumentate le competenze del Parlamento in materia di codecisione e che il concatenarsi delle tornate di Strasburgo e di Bruxelles e delle settimane di circoscrizione non permetterà alle commissioni parlamentari di rispettare le scadenze previste dal codice sul multilinguismo per l’adozione e la presentazione delle relazioni in vista delle sedute plenarie. Un esempio lampante: per la tornata dell’11 e 12 ottobre 2006, le relazioni dovranno essere votate in sede di commissione parlamentare al più tardi in luglio.

Vogliamo un Parlamento dinamico nell’adempimento delle sue competenze legislative? Con un calendario come questo, non mi sembra possibile. E per quanto riguarda il metodo, vorrei semplicemente avvertire i deputati che avremo enormi problemi nel 2006, perché abbiamo rispettato il calendario delle vacanze della scuola europea.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Onorevole Daul, a giudicare dagli applausi, deduco che la sua preoccupazione è condivisa da molti membri del Parlamento. Mi permetto di segnalare a lei e a tutti i deputati che per il momento stiamo solo votando il calendario delle sedute plenarie.

Più tardi la Conferenza dei presidenti deciderà quali settimane attribuire a commissioni, gruppi e così via. So bene che queste decisioni risulteranno abbastanza predeterminate, ma in ogni modo la votazione di oggi non determina i periodi di riunione delle commissioni, bensì unicamente dell’Assemblea.

Prima della votazione sull’emendamento n. 5

 
  
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  Goebbels (PSE).(FR) Signor Presidente, volevo proporre un emendamento orale all’emendamento in esame del collega Alvaro, ovvero aggiungere ancora che non si lavorerà di martedì e mercoledì, così potrebbe esserci inviato del denaro a casa.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Onorevole Goebbels, la Presidenza apprezza molto le sue osservazioni ironiche, ma lei ha interrotto la procedura delle votazioni.

 
  
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  Manders (ALDE).(NL) Signor Presidente, avevo presentato in tempo utile e con un numero sufficiente di firme un emendamento in merito al calendario, che lo respingeva in toto affinché l’Ufficio di presidenza formulasse una nuova proposta, in quanto le commissioni parlamentari non sono più in grado di funzionare, la qual cosa erode i poteri della nostra Assemblea. Tuttavia non trovo tale emendamento nella lista.

 
  
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  Presidente. – Lei ha presentato un emendamento di reiezione totale del calendario. Tale eventualità non è prevista, tuttavia, ed è per questo che il suo emendamento non è stato posto in votazione. E’ possibile votare solo su emendamenti parziali del calendario.

 

5. Implicazioni finanziarie dell’adesione della Bulgaria e della Romania
  

Prima della votazione

 
  
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  Lewandowski, Janusz (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, vorrei proporre, anche se all’ultimo minuto, un costruttivo emendamento orale alla relazione, che ha l’appoggio del Consiglio. In esso si dice che approviamo la dichiarazione allegata alla relazione, così come concordata nel trilogo tenutosi proprio poco fa con il Consiglio. Tale paragrafo della dichiarazione congiunta verrebbe quindi a sostituire la relazione in quanto tale. Si tratta di un messaggio che esprime l’accordo con il Consiglio sulle implicazioni finanziarie dell’adesione di Bulgaria e Romania.

Nella sostanza il testo è il seguente: “approviamo la dichiarazione congiunta allegata alla relazione, come definito di comune accordo con il Consiglio pochi minuti fa.”

 
  
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  Presidente. – Il Consiglio può confermare la modifica apportata con l’emendamento che ci ha presentato l’onorevole Lewandowski?

 
  
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  Juncker , Presidente in carica del Consiglio.(FR) Signor Presidente, dopo essere riusciti a stabilire una serie di contatti e grazie alla collaborazione con i membri del Parlamento che hanno partecipato a quest’attività, ci è stato possibile raggiungere un accordo sui termini finanziari e di bilancio relativi all’adesione di Bulgaria e Romania. Abbiamo appena concluso un trilogo durante il quale ho potuto annunciare con soddisfazione che esiste pieno accordo su questo punto. Desidero esprimere le più vive congratulazioni a tutti coloro che vi hanno contribuito.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Giusto per fare chiarezza, se ho ben capito, questo vuol dire che nel paragrafo 1 della proposta di risoluzione, invece di “deplora che il Consiglio non abbia dato la sua approvazione”, si dovrà scrivere “si compiace che il Consiglio si sia dichiarato d’accordo sull’adozione della dichiarazione congiunta”.

 
  
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  Poettering (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, abbiamo ascoltato una dichiarazione del Presidente del Consiglio dell’Unione europea davvero molto importante e desidero ringraziare la Presidenza lussemburghese, nella persona di Jean-Claude Juncker, e anche il Ministro Schmit, per aver messo da parte le riserve avanzate in precedenza dal Consiglio e aver salvaguardato i diritti finanziari e non del Parlamento europeo. Questo successo è davvero importante.

Per coloro che non sanno cos’è successo nelle ultime ore, noi, come gruppo, ieri sera abbiamo deciso di chiedere la posticipazione del nostro voto in merito all’adesione di Bulgaria e Romania, in considerazione del fatto che i diritti del Parlamento, ovvero i diritti finanziari, non sono stati salvaguardati. Visto che adesso ci risulta che la Presidenza sia riuscita a superare questa riserva, il nostro gruppo non chiederà di rimandare la decisione, al contrario ognuno voterà secondo coscienza. La ringrazio, signor Presidente in carica, per gli sforzi fatti nelle ultime ore.

(Applausi)

 
  
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  Cohn-Bendit (Verts/ALE). (FR) Signor Presidente, una mozione di procedura molto semplice. Abbiamo il diritto o no di sapere quale decisione è stata presa? Che sia comunicata a tutti, visto che eravamo assenti. Sarebbe davvero utile sapere cosa è stato deciso.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Al momento non è stata presa nessuna decisione perché il Parlamento non ha ancora votato.

(Si ride, reazioni diverse)

E’ stato proposto un emendamento che il Consiglio approva e che ho illustrato poco fa.

 
  
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  Schulz (PSE).(DE) Signor Presidente, ritengo che ciò che ha appena detto l’onorevole Poettering sia molto utile. In effetti, in conseguenza delle discussioni molto tese e piuttosto vivaci che si sono svolte, in particolare ieri sera all’interno del gruppo PPE-DE, possiamo concordare sul metodo con il quale procedere.

Il Presidente in carica ha annunciato che adesso il Consiglio accetta il progetto di relazione. Mi rivolgo all’onorevole Cohn-Bendit: il primo punto del progetto sul quale siamo chiamati a votare, nella versione attuale, afferma che il Parlamento europeo deplora il fatto che non si sia concretizzata la dichiarazione congiunta, contenuta in allegato a questo progetto di relazione, secondo la quale le tre Istituzioni devono trovare un accordo in merito alle ripercussioni dell’adesione di Bulgaria e Romania. Ora questa parte è stata sostituita, e vorrei proporre un emendamento orale in tal senso, poiché abbiamo accolto con favore, come ha dichiarato il Presidente in carica, il raggiungimento di un accordo, cosicché tutte le prerogative del Parlamento nei confronti del Consiglio sono state rispettate, e quindi possiamo votare a favore.

 
  
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  Presidente. – Vorrei che risultasse chiaro che la dichiarazione congiunta della Presidenza e del Consiglio, che finora non era stata accettata e ora lo è, è contenuta nell’allegato al progetto di risoluzione.

 
  
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  Lewandowski, Janusz (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, l’emendamento orale è stato presentato nell’intento di sostituire la risoluzione nel suo insieme con la dichiarazione del Parlamento europeo, nella quale si afferma che il Parlamento approva la dichiarazione congiunta allegata alla relazione, in virtù degli accordi raggiunti nel trilogo del 13 aprile 2005.

Se me lo consente, darò lettura della dichiarazione congiunta sulla quale hanno raggiunto un accordo la Presidenza del Consiglio e la delegazione negoziale del Parlamento. E’ molto breve:

“1. Fermo restando il progetto di trattato che adotta una Costituzione per l’Europa

a. I rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio dichiarano che gli importi iscritti al titolo III “Disposizioni finanziarie” dell’atto di adesione allegato al progetto di trattato di adesione, trasmesso al Parlamento europeo nel quadro della procedura del parere conforme, sono indicati fatti salvi i diritti del Parlamento europeo nonché i poteri e le prerogative dell’autorità di bilancio a norma dell’articolo 272 del trattato CE e delle relative disposizioni dell’accordo interistituzionale del 6 maggio 1999.

b. Il Consiglio, la Commissione e il Parlamento europeo confermano che le spese di cui agli articoli da 30 a 34 del titolo III “Disposizioni finanziarie” dell’atto di adesione allegato al progetto di trattato di adesione saranno classificate come spese non obbligatorie a partire dal 2009.”

Il secondo paragrafo è quello che ha suscitato più controversie e recita:

“2. La Commissione conferma che la sua proposta relativa a un quadro finanziario per il periodo 2007-2013 si basa sull’ipotesi dell’adesione della Bulgaria e della Romania il 1° gennaio 2007. Il Parlamento europeo e il Consiglio prendono atto degli importi indicativi per la Bulgaria e la Romania previsti dalla Commissione nel marzo 2004 ed esaminati dal Consiglio nelle sue conclusioni del 22 marzo 2004 sul pacchetto finanziario per i negoziati di adesione con la Bulgaria e la Romania. Il finanziamento dell’adesione della Bulgaria e della Romania sarà garantito senza pregiudicare gli impegni relativi ai programmi pluriennali già in corso o le decisioni relative alle prossime prospettive finanziarie.

3. Il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione ricordano l’importanza dell’accordo interistituzionale del 6 maggio 1999 per il buon funzionamento della procedura di bilancio, che può essere garantito solo a condizione che tutte le istituzioni rispettino pienamente detto accordo.”

Questa è la dichiarazione congiunta allegata al paragrafo emendato.

 
  
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  Böge (PPE-DE) , relatore(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, avremmo potuto ottenere tutto questo molto prima.

(Applausi)

In questi negoziati, la delegazione del Parlamento è giunta ai limiti della sopportazione. Sono lieto che il Consiglio sia riuscito, all’ultimo minuto, a dare la sua approvazione a questa dichiarazione congiunta, intesa come dichiarazione del Consiglio e del Parlamento. Per quanto riguarda la procedura in quanto tale, l’onorevole Dührkop Dührkop e io, alla fine del trilogo, abbiamo concordato quanto segue: l’emendamento orale proposto dal presidente della commissione per i bilanci, come avete appena sentito, va a sostituire l’intera relazione. Questa è l’unica strada da seguire. Vi chiediamo di votare l’emendamento orale proposto dall’onorevole Lewandowski, invece della nostra relazione; in tal modo oggi il Parlamento, in seduta plenaria, potrà accettare anche la dichiarazione congiunta del Consiglio e del Parlamento che garantisce i poteri di bilancio.

(Applausi)

 
  
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  Juncker , Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, l’onorevole Böge ha giustamente fatto notare che sarebbe stato meglio, più ragionevole, più intelligente e più saggio da parte nostra far passare la risoluzione appena adottata in tempi più brevi. Vorrei far notare che il ritardo non è da attribuire a una mancanza di buona volontà della Presidenza.

(Applausi)

Trasmetterò il nostro comune rammarico, del Parlamento e della Presidenza, alle tre capitali con le quali abbiamo dovuto trattare fino a cinque minuti fa.

(Vivi applausi)

 
  
  

(Il Parlamento accoglie l’emendamento)

 

6. Domanda di adesione della Bulgaria
  

Prima della votazione

 
  
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  Stenzel (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, riguardo all’articolo 5, paragrafo 3, del Regolamento in rapporto alla relazione Van Orden, mi compiaccio del buon esito del trilogo e del fatto che la Bulgaria e la Romania non siano rimaste imbrigliate in un braccio di ferro tra Consiglio e Parlamento.

Per quanto riguarda l’emendamento n. 5, trovo scandaloso che il gruppo Verde stia togliendo il sostegno individuale dei singoli membri del nostro gruppo a questo emendamento n. 5 alla relazione Van Orden per darlo a una proposta presentata a nome del gruppo del PPE. Questo comportamento mi pare indice di una certa manipolazione politica e vorrei sottolineare chiaramente che questa proposta è stata sostenuta individualmente dalla mia delegazione nazionale. Ringrazio il nostro gruppo e il presidente per aver rispettato e accolto le diverse opinioni riguardo alla centrale nucleare di Kozloduj.

 
  
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  Presidente. – La Presidenza non capisce in cosa consista il suo richiamo al Regolamento.

(Si ride e si applaude)

 
  
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  Stenzel (PPE-DE).(DE) L’intervento su una questione di procedura è stato fatto perché un emendamento alla relazione Van Orden sulla Bulgaria – su cui stiamo per esprimere il nostro voto – è stato proposto a nome del gruppo del PPE, pur essendo sostenuto solo da singoli membri del nostro gruppo, compresa la mia delegazione. Volevo fare questa precisazione prima che la relazione venisse sottoposta al voto.

 
  
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  Presidente. – Onorevole Salafranca, mi auguro che la sua questione di procedura sia più intelligibile.

 
  
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  Salafranca Sánchez-Neyra (PPE-DE).(ES) Anch’io me lo auguro, signor Presidente, e credo che quando ne darò spiegazione, risulterà facile da capire, soprattutto per una persona della sua intelligenza.

Signor Presidente, vorrei solo dire che, visto l’emendamento orale per il quale abbiamo votato poc’anzi riguardo alla relazione Böge/Dührkop, gli emendamenti n. 2 che si riferiscono all’opinione favorevole da parte dell’onorevole Van Orden e dell’onorevole Moscovici, presentati dal nostro gruppo, non hanno più alcun senso, e prima della votazione desidero precisare che abbiamo intenzione di ritirarli poiché incompatibili con ciò che abbiamo appena votato.

 
  
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  Harms (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, onorevole Stenzel, per maggior chiarezza, vorrei sollevare un’altra questione di procedura. Per sbaglio non abbiamo presentato la proposta di una data per la chiusura della centrale nucleare di Kozloduj. Sono perfettamente consapevole che per quanto riguarda l’adempimento del protocollo su Kozloduj non tutti i membri del gruppo del PPE-DE hanno la medesima opinione di alcuni esponenti austriaci del gruppo. Non sono così ingenua. Non voglio però che un errore di procedura – che ovviamente è stato fatto dall’Ufficio di presidenza – comprometta questa importante posizione.

Ringrazio espressamente ancora una volta i singoli deputati per la loro iniziativa a sostegno di questa proposta riguardante la tempestiva chiusura di Kozloduj.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Vorrei chiarire che l’emendamento in questione esiste e che è presentato dal gruppo Verde/Alleanza libera europea e da altri deputati.

Sull’emendamento n. 9

 
  
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  Wiersma (PSE).(EN) Signor Presidente, su richiesta del relatore, l’onorevole Van Orden, vorremmo aggiungere il termine “illegalmente” tra le parole “abbattere” e “gli alberi” nell’ultima riga dell’emendamento.

 
  
  

(L’Assemblea manifesta il suo assenso alla presentazione dell’emendamento orale all’emendamento n. 9)

Prima della votazione sull’emendamento n. 7

 
  
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  Wiersma (PSE).(EN) Signor Presidente, avrei un emendamento orale che si applica ai quattro emendamenti. Nelle relazioni Moscovici e Van Orden, nonché nelle raccomandazioni, vorremmo inserire un riferimento allo scambio epistolare tra lei e il Presidente della Commissione riguardo alla piena associazione del Parlamento europeo all’imminente processo, che avrà luogo nei prossimi 20 mesi, riguardante le clausole di salvaguardia. L’emendamento originale non è abbastanza preciso riguardo all’eventuale differimento. Pertanto, in questi quattro punti, propongo di sostituire l’emendamento con un nuovo testo, che leggerò soltanto una volta, ma a cui si può fare riferimento negli altri tre casi.

Il nuovo testo si leggerà: “…visto lo scambio di lettere tra il Presidente del Parlamento europeo e il Presidente della Commissione sulla piena associazione del Parlamento europeo nell’eventuale esame dell’attivazione di una delle clausole di salvaguardia nel Trattato di adesione”. Tale modifica si applicherà a tutti e quattro i testi.

 
  
  

(L’Assemblea manifesta il suo assenso alla presentazione dell’emendamento orale all’emendamento n. 7)

Prima della votazione sulla raccomandazione Van Orden (A6-0082/2005)

 
  
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  Cohn-Bendit (Verts/ALE).(FR) Signor Presidente, ai sensi dell’articolo 170, paragrafo 4, del Regolamento, il gruppo Verde chiede un rinvio della votazione sul parere conforme per la Bulgaria. Mi spiegherò in termini molto semplici. Abbiamo due situazioni diverse: quella della Bulgaria e quella della Romania.

Per quanto riguarda la Bulgaria, riteniamo che vi siano ancora problemi da risolvere e che, poiché parliamo di un’adesione nel 2007, non sia utile che la votazione abbia luogo oggi. Il gruppo Verde al Parlamento europeo dichiara solennemente di essere favorevole all’adesione, di non desiderare un voto contrario, ma, per quanto riguarda il parere conforme, di poter solo dire sì o no o di non poter prendere parte al voto. Poiché però non desideriamo votare no, e poiché dichiariamo di non poter votare sì a causa, per esempio, della situazione dell’energia nucleare in Bulgaria, chiediamo semplicemente che la votazione sul parere conforme venga rinviata. Chiediamo inoltre che innanzi tutto, in conformità delle clausole dell’accordo con la Commissione, la commissione per gli affari esteri produca una relazione sui progressi compiuti per far sì che il voto sul parere conforme possa avere luogo all’inizio del 2006, un anno prima dell’adesione.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Ai sensi del Regolamento, avendo ascoltato le argomentazioni del proponente, un deputato può intervenire a favore e uno contro.

 
  
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  Watson (ALDE).(EN) Signor Presidente, vorrei richiedere che, se il gruppo Verde presenta una richiesta simile per la Romania, l’eventuale rinvio si voti per appello nominale.

 
  
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  Presidente. – Dobbiamo rispettare il Regolamento. Gli appartenenti al gruppo Verde sanno che cosa devono fare. Sono adulti.

L’onorevole Swoboda può pronunciare il suo intervento a favore.

 
  
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  Swoboda (PSE).(DE) Signor Presidente, a nome del mio gruppo vorrei oppormi a questa proposta. All’onorevole Cohn-Bendit dev’essere sfuggito che nel corso delle ultime settimane abbiamo affrontato proprio questo dibattito – in modo molto approfondito, fra l’altro – con il Consiglio e con la Commissione.

Ciò che abbiamo ottenuto, come dimostra la proposta dell’onorevole Wiersma, e con il consenso del Parlamento, è questo: secondo quanto assicurato dalla Commissione e dal Consiglio – vorrei menzionarli entrambi e ringraziare anche il Commissario Rehn – potremo partecipare a pieno titolo alle ulteriori consultazioni e all’eventuale applicazione della clausola che dovrebbe permettere il rinvio dell’adesione.

Vorrei cogliere l’occasione per esprimere sinceri ringraziamenti all’onorevole Lagendijk. Onorevole Cohn-Bendit, se gli avesse parlato con maggiore attenzione, avrebbe capito quanto duro lavoro abbiamo dedicato, insieme all’onorevole Brok, a questo tema, riuscendo così a ottenere un risultato positivo. Per questo motivo desidero votare contro la proposta.

 
  
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  Presidente. – La parola all’onorevole Nassauer, che esprimerà parere contrario.

 
  
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  Nassauer (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, non ho notizia che vi sia qualcuno, di qualunque appartenenza politica, in questa Assemblea che non sia favorevole ad accogliere Bulgaria e Romania in seno all’Unione europea. So però di numerosi deputati che, per le ragioni espresse dall’onorevole Cohn-Bendit, sono riluttanti a prendere una decisione al riguardo quest’oggi. Rinviare la decisione odierna sarebbe pertanto una mossa decisamente ragionevole, poiché ci permetterebbe di affermare che, pur essendo ancora molto favorevoli all’adesione della Bulgaria e della Romania all’Unione europea, desideriamo attendere la prossima relazione della Commissione sui progressi compiuti prima di prendere davvero una decisione definitiva al riguardo.

(Applausi)

Questo sarebbe un possibile modo di affrontare molti dei problemi di cui si è parlato, senza sollevare dubbi circa la nostra disponibilità e determinazione ad accogliere questi paesi nell’Unione europea. Pertanto, dichiaro la mia totale sintonia sulle opinioni espresse dall’onorevole Cohn-Bendit.

(Applausi)

 
  
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  Van Orden (PPE-DE), relatore.(EN) Signor Presidente, in qualità di relatore per la Bulgaria, sarei profondamente contrario a qualunque rinvio della procedura di parere conforme.

(Applausi)

Abbiamo superato il problema interistituzionale riguardante il bilancio. Le clausole di salvaguardia sono state incorporate nel Trattato di adesione. Non esiste un valido motivo per rinviare la concessione del nostro parere conforme. Ritengo che sarebbe un gesto irresponsabile da parte dell’Assemblea provocare oggi un qualche rinvio. Mi rivolgo al Parlamento affinché voti a favore del parere conforme.

(Applausi)

 
  
  

(Con votazione per appello nominale, il Parlamento respinge la richiesta di rinviare la votazione sulla raccomandazione (A6-0082/2005) dell’onorevole Van Orden)

 

7. Domanda di adesione all’UE della Bulgaria
  

Sull’emendamento n. 1

 
  
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  Wiersma (PSE).(EN) Signor Presidente, presento lo stesso emendamento modificato che avevo proposto prima per la relazione dell’onorevole Van Orden. Il testo è identico a quello che intendo inserire nella raccomandazione.

 
  
  

(L’Assemblea manifesta il suo assenso alla presentazione dell’emendamento orale all’emendamento n. 1)

Prima della votazione sull’emendamento n. 3

 
  
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  Salafranca Sánchez-Neyra (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, credevo che avesse capito la mozione di procedura che avevo sollevato precedentemente per chiedere che venissero ritirati gli emendamenti n. 2 a questo parere conforme e al parere conforme dell’onorevole Moscovici.

 
  
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  Presidente. – D’accordo, onorevole Salafranca. L’emendamento è stato ritirato e non è necessario votare su di esso.

 

8. Domanda di adesione della Romania
  

Prima della votazione sull’emendamento n. 2

 
  
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  Wiersma (PSE).(EN) Signor Presidente, questo è lo stesso testo che abbiamo adottato nella raccomandazione e nella relazione Van Orden e lo ripresenteremo nelle due votazioni sulla relazione e sulla raccomandazione Moscovici.

 
  
  

(L’Assemblea manifesta il suo assenso alla presentazione dell’emendamento orale all’emendamento n. 2)

 

9. Domanda di adesione all’UE della Romania
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  Cohn-Bendit (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, vorrei chiedere che la votazione sull’adesione della Romania venga aggiornata ai sensi dell’articolo 170, paragrafo 4, del Regolamento. La stragrande maggioranza dell’Assemblea si è appena pronunciata a favore della risoluzione. Se i deputati la leggessero davvero, però, scoprirebbero che, sebbene i progressi compiuti dalla Romania in campo economico siano ammirevoli, quelli riguardanti questioni politiche, quali la libertà di stampa e la corruzione, sono tali da impedire a chiunque di sostenere che questo paese, allo stato attuale, possa entrare a far parte dell’Unione europea, almeno non se vogliamo credere a tutto ciò che abbiamo scritto nella nostra stessa relazione.

In precedenza spesso si è detto – e ora lo ripetiamo – che siamo favorevoli all’adesione e che abbiamo fiducia nel nuovo governo. Ciò che dobbiamo chiederci, tuttavia, è il motivo per cui dovremmo concedere il beneficio del dubbio a un paese la cui democrazia soffre di problemi cruciali, quali la corruzione e la mancata difesa della libertà di stampa. Nessun paese può superare simili problemi in breve tempo.

Pertanto proponiamo che…

(Il Presidente interrompe l’oratore)

Durante una riunione del nostro gruppo è stato indicato che nel corso della votazione sarà chiesto ai deputati di pronunciarsi a favore o contro, senza la possibilità di astenersi, com’è richiesto da una procedura di parere conforme. Vorrei chiedere al Presidente se sia possibile astenersi dal voto nel corso di una tale procedura, in quanto in precedenza, in casi analoghi, il Regolamento permetteva ai deputati solo di esprimersi a favore o contro. Vorremmo anche chiedere all’Ufficio di presidenza di darci spiegazioni in merito alla legislazione elettorale.

 
  
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  Presidente. – Questa procedura di voto prevede la possibilità di votare a favore, contro, di astenersi o di non partecipare alla votazione.

La parola va all’onorevole Wurtz, che si esprime a sfavore della proposta.

 
  
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  Wurtz (GUE/NGL).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Romania presenta alcune effettive mancanze in materia di diritti umani e lotta alla corruzione. Le autorità si sono assunte impegni rivolti in tal senso ed ovviamente è necessario, a mio avviso, imporre controlli severi sulla loro attuazione. Ritengo tuttavia che le giustificazioni addotte per il differimento della votazione non si fondino su tale punto, poiché è stata avanzata la stessa richiesta anche per la Bulgaria, che presenta una situazione diversa.

Per tale motivo il mio gruppo desidera attirare l’attenzione su una delle conseguenze di un possibile rinvio, che porterebbe, nostro malgrado, alla cancellazione in extremis della firma del Trattato di adesione, prevista per il 25 aprile. Nostro malgrado daremmo al popolo romeno un messaggio che avrebbe conseguenze estremamente pericolose. Per questo la stragrande maggioranza del mio gruppo non sostiene la richiesta di differimento e voterà a favore del parere conforme.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – L’onorevole Voggenhuber prenderà la parola per esprimersi a favore della proposta.

 
  
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  Voggenhuber (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi, per la prima volta nella storia dell’Unione europea, ci troviamo a votare per decidere se accogliere un paese nell’UE 20 mesi prima della data prevista per l’adesione – un paese, per di più, in cui si commettono gravi violazioni dei diritti umani e delle norme democratiche, com’è risultato evidente in seguito al dibattito tenutosi ieri.

E’ indubbio che, ai sensi dell’articolo 7, verrebbero avviati procedimenti contro qualunque Stato membro che violasse a tal punto le norme democratiche e i diritti umani, cosa che oggi dovrebbe essere evidente per tutti. La grande maggioranza dei deputati al Parlamento, me compreso, sarà lieta di vedere la Bulgaria e la Romania fare il loro ingresso nell’Unione europea, e aspetta con ansia il giorno in cui saranno in grado di farlo. Non vi è però alcun valido motivo per cui si debba dare carta bianca alla Romania 20 mesi prima della data di adesione, soprattutto perché ciò costituirebbe un precedente nella storia dell’Unione europea, e avrebbe l’effetto di eliminare le pressioni esercitate sul paese dai negoziati. Dobbiamo intervenire per impedire tali gravi violazioni della democrazia e dei diritti umani.

La Francia sta per pronunciarsi sulla Costituzione. Il nostro messaggio non dev’essere …

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Nicholson of Winterbourne (ALDE).(EN) Signor Presidente, sarebbe possibile per il segretariato ricordare all’onorevole Cohn-Bendit che è stato il Parlamento europeo a suggerire il 2007 come data di adesione della Romania, e che pertanto ora è tempo di rendere attivo tale suggerimento?

 
  
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  Moscovici (PSE), relatore.(FR) Signor Presidente, credo davvero che in concomitanza con le discussioni che si stanno tenendo in Francia sul Trattato costituzionale, non si debba mandare un segnale di scetticismo riguardo all’allargamento. L’allargamento dell’Unione europea non è una costrizione, ma un progetto, un desiderio comune. Ed è soprattutto per questo motivo che oggi dobbiamo votare. Ritengo che un differimento non sia giustificato. Che ciascuno arrivi a una decisione in linea con le proprie convinzioni, pronunciandosi a favore o contro, ma non a favore di un rinvio.

Tuttavia, vi è un’altra argomentazione molto efficace. Nel corso dei dibattiti ho sentito molti deputati esprimere il timore che oggi il Parlamento firmi un assegno in bianco o pronunci la propria parola definitiva sulla questione. A dire il vero, grazie a uno scambio di lettere intercorso tra lei, signor Presidente, il Presidente del Consiglio e il Presidente della Commissione, abbiamo ricevuto ogni possibile garanzia che il Parlamento verrà coinvolto appieno in tutte le decisioni che andranno prese in futuro, e sappiamo che esiste la possibilità di invocare la clausola di salvaguardia. Pertanto ritengo che oggi tutti i deputati possano votare sia con cognizione di causa che con serenità d’animo, poiché il Parlamento svolgerà appieno il proprio ruolo nella procedura che si avrà di qui al 1° gennaio 2007. Pertanto chiedo a mia volta che la proposta di differimento venga respinta.

(Applausi)

 
  
  

(Con votazione per appello nominale, il Parlamento respinge la richiesta di rinviare la votazione sulla raccomandazione (A6-0083/2005) dell’onorevole Moscovici)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. VIDAL-QUADRAS ROCA
Vicepresidente

 

10. Legislazione sociale nel settore dei trasporti su strada

11. Armonizzazione di disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada

12. Progettazione ecocompatibile dei prodotti che consumano energia
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  Rübig (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, vorrei soltanto far rilevare che, di solito, concludiamo il turno di votazioni alle 13.30, in quanto tutti noi, naturalmente, abbiamo ospiti e dobbiamo occuparci dei nostri impegni pubblici.

(Applausi)

 

13. Tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo

14. Commercializzazione e utilizzo del toluene e del triclorobenzene

15. Strategia politica annuale della Commissione (2006)

16. Riunione del Consiglio europeo (Bruxelles, 22-23 marzo 2005)
  

Prima della votazione

 
  
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  Swoboda (PSE).(DE) Mi scuso, signor Presidente. Sono intervenuto sulla base dell’articolo 160, poiché il gruppo Verde ha richiesto che su numerosi emendamenti si votasse per appello nominale. Noi avevamo però concordato che avremmo accettato il compromesso trovato con gli altri gruppi. Il gruppo socialista al Parlamento europeo voterà pertanto contro questi emendamenti, anche se concorda con parte dei contenuti.

 

17. Dichiarazioni di voto
  

Calendario delle tornata del Parlamento europeo 2006

 
  
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  Duff (ALDE), per iscritto. – (EN) “Il gruppo ALDE ha presentato un emendamento al calendario del 2006 che prevedeva il termine di tutte le sessioni plenarie all’ora di pranzo del giovedì e l’inizio delle sessioni di Bruxelles alle 10.30 del mercoledì. L’obiettivo della proposta era facilitare la trasferta dei parlamentari da Strasburgo e abolire le sessioni finali del giovedì pomeriggio. Purtroppo tale emendamento è stato considerato irricevibile dalle autorità.”

 
  
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  Kirkhope (PPE-DE), per iscritto. – (EN) Io e i miei colleghi conservatori britannici appoggiamo da tempo i tentativi volti a dotare il Parlamento europeo di un’unica sede ufficiale, nella fattispecie a Bruxelles. In base alle stime, i costi sostenuti dai contribuenti per la sede di Strasburgo si aggirano attorno ai 150 milioni di sterline all’anno. Si tratta di un enorme spreco di fondi pubblici. I contribuenti britannici meritano un investimento adeguato delle loro risorse. La nostra proposta di abolire le giornate di Strasburgo non implica una volontà di ridurre le ore lavorative, bensì il desiderio di svolgere il nostro lavoro laddove è più efficace ed efficiente dal punto di vista dei costi, vale a dire a Bruxelles. I costi associati al mantenimento delle operazioni parlamentari sia a Strasburgo che a Bruxelles sono divenuti insostenibili, e noi continueremo a batterci a favore di un’unica sede del Parlamento a Bruxelles per il futuro.

 
  
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  Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il mio voto a favore del calendario proposto, che mantiene i periodi di sessioni plenarie nel rispetto delle esigenze di un’attività parlamentare di qualità quale è quella che ci si attende da un’istituzione come il Parlamento europeo, non pregiudica la mia convinzione della necessità di razionalizzare il lavoro del Parlamento e i costi ad esso associati, non da ultimo mediante l’adozione di Bruxelles quale unica sede permanente.

 
  
  

– Relazione Böge (A6-0090/2005)

 
  
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  Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il processo di adesione della Bulgaria e della Romania deve essere accompagnato da una valutazione realistica delle implicazioni finanziarie, come nelle precedenti ondate di allargamento. In caso contrario, l’allargamento si trasformerà in un processo di riduzione dei livelli di prosperità e di sviluppo di cui godono gli Stati membri dell’Unione.

Una valutazione accurata non è un gesto egoista da parte di coloro che già fanno parte dell’Unione, bensì è un esempio di comportamento responsabile da parte di un’istituzione.

 
  
  

– Relazione Van Orden (A6-0078/2005)

 
  
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  Fatuzzo (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, esprimo il mio benvenuto alle cittadine e ai cittadini della Bulgaria che con questo voto vedono coronato il loro desiderio di entrare a far parte dell’Unione europea. Oltre a congratularmi con i cittadini e con l’attuale governo che ha raggiunto questo risultato, vorrei ricordare l’importante impegno dei precedenti esecutivi e in particolare del governo di Ivan Kostov che ha avviato nel primo, più difficile, momento il negoziato con l’Unione europea. Infine esprimo l’augurio che le pensionate e i pensionati della Bulgaria, insieme alle giovani e ai giovani, possano costruire un mondo migliore insieme a tutti noi nell’Unione europea.

 
  
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  Vanhecke (NI). (NL) Onorevoli colleghi, io e gli altri membri del Vlaams Belang abbiamo votato contro le relazioni sull’adesione della Bulgaria e della Romania, ma, per non dare adito a dubbi, vorrei chiarire che consideriamo questi due Stati alla stregua di paesi europei a tutti gli effetti, che fanno legittimamente parte della comunità culturale europea e nei confronti dei quali, tra l’altro, avvertiamo una sorta di debito d’onore per i decenni di sofferenza subita sotto la dittatura comunista. Siamo pertanto convinti che – a differenza della Turchia, per esempio – in un prossimo futuro la Bulgaria e la Romania verranno entrambe accolte all’interno della nostra comunità politica. L’amicizia che ci lega alla Romania e la solidarietà verso Romania e Bulgaria non ci devono indurre a firmare un assegno in bianco. Dobbiamo avere il coraggio di dire – e ciò spiega il motivo per cui abbiamo espresso questo voto – che purtroppo, in moltissime aree, compresa quella politica ed economica, la Romania e la Bulgaria non sono ancora pronte a diventare membri a pieno titolo.

 
  
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  Martin, David (PSE), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore il voto del Parlamento europeo che esprime il parere conforme all’adesione della Bulgaria all’UE; tuttavia ribadisco che le autorità bulgare devono proseguire sulla via della riforma giudiziaria, in quanto qualsiasi cedimento in questo senso si tradurrà in una revisione della posizione del Parlamento europeo.

 
  
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  Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il processo di adesione della Bulgaria, che deve essere sottoposto a una valutazione individuale, sta procedendo al ritmo previsto. Il paese non soddisfa ancora i criteri per avviare il processo di adesione.

Siamo molto lontani – e non è una sorpresa – dal poter affermare che la Bulgaria rispetta le condizioni necessarie all’adesione all’Unione europea. Occorre attuare riforme, ci sono abitudini che si acquisiscono solo col tempo, ed è in corso un processo di adeguamento legislativo che deve essere portato a termine in modo tale da non spersonalizzare l’Unione e da non rendere la Bulgaria incapace di onorare i nuovi impegni futuri.

Detto ciò, la situazione attuale lascia intravedere che le condizioni potranno essere soddisfatte entro i termini previsti. Dobbiamo pertanto gioire del fatto che sia stato compiuto un altro passo avanti sulla via dell’allargamento.

 
  
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  Ribeiro e Castro (PPE-DE), per iscritto. – (PT) A causa dei progressi insufficienti realizzati dalla Bulgaria rispetto ai 15 Stati candidati all’allargamento del 1° maggio 2004, il piano di adesione all’UE di questo paese è stato rinviato a una data successiva.

Ciononostante, oggi è evidente che la Bulgaria ha compiuto sforzi ingenti per soddisfare i criteri comunitari e per avvicinarsi all’Unione in termini politici, economici e sociali. Mi preme sottolineare i progressi compiuti a livello di politica e di bilancio, che garantiranno al paese la stabilità necessaria per il percorso che ancora deve compiere per conformarsi agli standard europei – un viaggio che non sarà né breve né semplice.

Alla luce di tali antefatti, il Consiglio europeo del 17 dicembre 2004 si è espresso a favore dell’adesione della Bulgaria il 1° gennaio 2007. La Commissione ha adottato una decisione analoga il 22 febbraio 2005, dopo aver prodotto relazioni periodiche sullo stato di avanzamento del processo. Il Parlamento dovrebbe fare altrettanto.

Naturalmente l’adesione all’Unione di un paese quale la Bulgaria comporterà inevitabilmente dei costi, che si auspica verranno controbilanciati da un impegno sempre più efficace nei confronti della coesione interna e, cosa ancor più importante, dal rafforzamento della capacità della Bulgaria di interagire e di relazionarsi col mondo – in altre parole, da una maggiore diversità.

Ho votato a favore.

 
  
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  Stenzel (PPE-DE), per iscritto. – (DE) Ho votato a favore dell’emendamento 5 sulla centrale nucleare di Kozloduy a nome della delegazione del partito popolare austriaco, e non a nome del Partito popolare europeo.

 
  
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  Toussas (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il partito comunista greco è contrario all’Unione europea, perché è un’unione di Stati capitalisti che salvaguardano gli interessi delle grandi imprese e creano condizioni migliori affinché le stesse possano competere con gli altri centri imperialisti. Per questo stesso motivo, il partito è sfavorevole all’adesione della Bulgaria, in quanto il fine di tale operazione è annettere il paese in questione, saccheggiare le sue ricchezze e la sua economia, sfruttare i lavoratori e trasformarlo in un satellite della NATO, alla mercé della sua politica aggressiva. Vogliamo richiamare l’attenzione sui termini particolarmente onerosi fissati per l’adesione della Bulgaria all’UE.

La procedura di preadesione e il processo di ripristino del capitalismo hanno già causato un peggioramento della situazione occupazionale, stipendi da fame da 61 euro al mese, povertà e tagli drastici ai danni dei servizi sociali, con conseguenze dannose per le classi operaie e rurali del paese, mentre i profitti del grande business dell’unificazione europea sono aumentati.

Il partito comunista greco esprime la propria solidarietà alla classe operaia e al popolo della Bulgaria nella loro lotta contro la politica comunitaria antipopolare e contro gli agenti politici di questa grande operazione.

 
  
  

– Relazione Van Orden (A6-0082/2005)

 
  
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  Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La Destra e i Socialdemocratici del Parlamento – e non solo qui – continuano a voler imporre il capitalismo neoliberale ai paesi che si candidano all’adesione.

L’esempio della Bulgaria parla da sé. Il Parlamento “elogia” le cosiddette “riforme strutturali” nel quadro del “mercato” e della “concorrenza” capitalista, che si ritiene abbiano avuto luogo in Bulgaria. Esprime la propria “soddisfazione” per “l’ampliamento del settore privato” e per “i progressi realizzati nella liberalizzazione delle industrie vitali”. Come se non bastasse, “sollecita” l’introduzione di “maggiore flessibilità nel mercato del lavoro” e incita a mantenere il ritmo della privatizzazione. Perché queste parole?

L’intero processo di adesione è stato caratterizzato da altre imposizioni che riteniamo inaccettabili, quali la discriminazione in merito alla circolazione dei lavoratori e la parità di accesso ai finanziamenti comunitari, nonché l’esistenza di clausole unilaterali di salvaguardia che possono essere fatte valere contro gli interessi di questi paesi, e soltanto di questi paesi.

L’allargamento procede all’interno di un quadro politico e finanziario che non tiene conto degli interessi del Portogallo, né delle esigenze dei paesi candidati.

Malgrado la nostra ferma opposizione al modo in cui si sta svolgendo l’allargamento, non siamo assolutamente contrari all’adesione di nuovi Stati membri, a condizione che ciò rappresenti di fatto la volontà del popolo e che vengano tutelati gli interessi portoghesi.

 
  
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  Ribeiro e Castro (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Sembra certo che la Bulgaria sarà in grado di aderire all’Unione il 1° gennaio 2007, in linea con le decisioni adottate dalle altre Istituzioni europee. Di conseguenza, ritengo che ai pareri già espressi debba aggiungersi anche quello del Parlamento, che si dovrebbe dichiarare pubblicamente a favore dell’adesione del paese in oggetto.

Al di là di questa posizione di principio, emergono con chiarezza alcune lacune che occorre colmare con efficacia, in particolare per quanto riguarda i sistemi giudiziari e di polizia, allo scopo di migliorare l’efficienza della lotta contro la criminalità e di garantire una maggiore trasparenza e garanzie procedurali, che rivestono un’importanza essenziale nello Stato di diritto.

Nell’attuale fase preparatoria, è altrettanto importante attribuire una rilevanza particolare ai diritti delle minoranze etniche e alla necessità di garantire la loro identità e di proteggere le fasce sociali più fragili e più vulnerabili, quali i bambini e gli anziani, soprattutto in una società in via di cambiamento.

Ho votato a favore, nella speranza che la Bulgaria possa entrare a far parte dei 25 e di un’Europa sempre più grande e pluralistica.

 
  
  

– Relazione Moscovici (A6-0077/2005)

 
  
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  Ferber (PPE-DE), per iscritto. – (DE) I membri della CSU al Parlamento europeo sono pienamente convinti che la Romania debba entrare a far parte dell’UE. La CSU ha tuttavia sempre insistito sul fatto che i paesi devono soddisfare taluni criteri prima di aderire all’Unione. Ci opponiamo a qualsiasi tentativo di allentare tali criteri, e non riteniamo che sia attualmente possibile svolgere una valutazione finale sul loro effettivo adempimento.

Le ultime relazioni della Commissione sui progressi compiuti dalla Romania confermano che il paese ha ancora molta strada da fare per soddisfare i criteri di adesione, in particolare per quel che concerne la lotta alla corruzione e l’istituzione di un potere giudiziario che operi nel rispetto dello Stato di diritto.

Un’altra questione che desta preoccupazione tra le file della CSU è la salvaguardia dei diritti del Parlamento, sanciti nei Trattati. Tali timori si riferiscono in particolar modo ai diritti che competono al Parlamento in materia di bilancio, e ora abbiamo appreso che verranno rispettati.

A nostro parere, sarebbe stato più opportuno posticipare la decisione sull’adesione fino alla presentazione da parte della Commissione della prossima relazione sui progressi compiuti. Il fatto che manchino ancora 20 mesi alla data prevista per l’adesione avrebbe giustificato ulteriormente un tale rinvio.

Per tutte le ragioni suddette, in questo momento i membri della CSU non possono votare a favore dell’adesione della Romania all’Unione europea.

 
  
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  Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Continuiamo ad astenerci, in linea con la posizione già adottata in occasione dell’ultimo allargamento dell’UE, ad eccezione di Cipro: avevamo votato a favore di questa adesione come gesto di protesta contro l’inaccettabile occupazione del nord dell’isola da parte della Turchia.

In linea di principio non siamo contrari all’adesione di nuovi Stati membri, a patto che ciò rappresenti la volontà del popolo e non pregiudichi gli interessi del Portogallo.

Il fatto è che, benché non conosciamo il sentire del popolo rumeno, l’adesione suscita comunque aspettative, a seguito di pretese e imposizioni immani che secondo noi sono inaccettabili, non da ultimo le riforme strutturali per agevolare le privatizzazioni, che hanno avuto ripercussioni negative sulla vita dei cittadini.

Le nuove pretese che vari deputati di questa Assemblea hanno tentato di introdurre ci sembrano eccessive e inammissibili.

Tuttavia, la verità è che le imposizioni ci sono già, quali le deroghe che bloccano la libera circolazione dei lavoratori. Disapproviamo inoltre la scarsità delle risorse finanziarie messe a disposizione, soprattutto per l’agricoltura.

Infine, non concordiamo nemmeno con le proposte – attualmente in fase di trattativa – che riguardano le nuove prospettive finanziarie e che non tengono conto dei paesi in difficoltà, quali il Portogallo, né delle esigenze dei paesi che ambiscono a entrare nell’Unione.

 
  
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  Isler Béguin (Verts/ALE), per iscritto. – (FR) L’onorevole deputata Marie Anne Isler Béguin non si è attenuta alle istruzioni del presidente del suo gruppo, l’onorevole deputato Daniel Cohn-Bendit, che chiedeva di pronunciarsi a favore del rinvio del voto del Parlamento europeo sull’adesione della Romania.

Ritiene che il suo voto non rappresenti assolutamente un assegno in bianco intestato alla Romania. Al contrario, il voto deve incoraggiare questo futuro Stato membro a impegnarsi in maniera doppiamente efficace per accelerare le riforme, in particolare nella lotta contro la corruzione, nella difesa dei diritti civili, nella protezione delle minoranze etniche e nel controllo delle frontiere. Rammenta che sarebbe la prima volta – grazie a una proposta formulata dal gruppo Verde/Alleanza libera europea e accettata dalla commissione per gli affari esteri – che il Parlamento europeo viene coinvolto a pieno titolo nel processo decisionale, soprattutto se dovesse essere applicata la clausola di salvaguardia – che consiste nel far slittare l’adesione di un anno, se uno dei due paesi non dovesse essere pronto per il 2007.

Infine, l’onorevole deputata Marie Anne Isler Béguin constata con piacere che la relazione finale votata in plenaria contiene i suoi emendamenti:

– che sollecitano l’adozione di disposizioni chiare e lungimiranti sulla coesistenza, allo scopo di impedire la disseminazione di varietà geneticamente modificate;

– che sottolineano l’apprensione del Parlamento europeo a proposito del progetto Rosia Montana, chiedendo lo svolgimento di valutazioni complete che ne misurino l’impatto ambientale.

 
  
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  Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) La valutazione sull’eventuale adempimento dei criteri di adesione all’Unione europea deve essere effettuata caso per caso, anche se un paese entra a far parte dell’Unione contemporaneamente a un altro. Ciò non deve tuttavia far passare in secondo piano il fattore più importante sulla via dell’adesione, vale a dire la necessità che i criteri a cui conformarsi siano realistici. E’ l’unico modo per garantire che l’Unione – compresi tutti gli Stati membri – e i paesi candidati traggano tutti i potenziali vantaggi derivanti dall’adesione. Affinché ciò accada – consentitemi di ribadire questo punto – la valutazione deve essere fatta al momento giusto, utilizzando criteri obiettivi e realistici.

Alla luce di ciò, sono lieto che l’adesione possa essere rinviata in caso di necessità, anche se non mi auguro che ciò accada. Per motivi di politica interna, la Romania ha dato inizio al proprio processo di riforma in ritardo rispetto a ciò che sarebbe stato nel suo interesse. Lo slancio con cui si stanno attualmente svolgendo le riforme alimenta la nostra speranza e la nostra convinzione che l’adeguamento possa concludersi entro il termine previsto da entrambe le parti.

 
  
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  Ribeiro e Castro (PPE-DE), per iscritto. – (PT) L’adesione della Romania all’Unione europea è in corso dal 1995. I negoziati intrapresi e gli sforzi compiuti dalle autorità rumene hanno determinato cambiamenti ingenti nel paese nel corso degli ultimi anni. Di conseguenza, nel dicembre 2004 il Consiglio ha deciso di portare a termine i negoziati in vista dell’adesione nel 2007.

Cionondimeno, mi preme ricordare le preoccupazioni da me sollevate al tempo della relazione dell’onorevole baronessa Nicholson of Winterbourne (A5-0103/2004), circa un anno fa. Avevo messo in luce problemi gravi, non da ultimo l’assenza dello Stato di diritto, i livelli elevati di corruzione, la mancanza della libertà di stampa e la carenza di un potere giudiziario indipendente. Tali fattori hanno impedito alla Romania di aderire all’Unione contemporaneamente agli altri nuovi Stati membri dell’Europa orientale nel 2004.

Sono a favore di questa proposta di risoluzione, in quanto alcune delle preoccupazioni da essa sollevate rispecchiano le mie. Le porte dell’UE sono aperte per la Romania, ma il paese deve rendersi conto che vi è la necessità impellente di individuare soluzioni attuabili per i problemi più seri.

Ho votato a favore.

 
  
  

– Raccomandazione Moscovici (A6-0083/2005)

 
  
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  Hennis-Plasschaert (ALDE), per iscritto. (NL) Oggi ho votato contro la richiesta della Romania di aderire all’Unione, e devo dire che l’ho fatto con enorme rammarico. Dopo tutto, il nuovo governo sta dando prova di un impegno politico lodevole e in poco tempo ha dimostrato chiaramente quali sono le sue priorità. E’ una buona notizia. Ora non rimane che tradurre questo impegno in azioni concrete i cui effetti siano misurabili, perché sono i risultati che contano.

Tutto sembra indicare che la Romania ha ancora molti progressi da compiere nei settori della corruzione, della tutela delle minoranze, della concorrenza, degli aiuti statali e dell’ambiente, eppure a questa Assemblea è stato chiesto di esprimere il proprio verdetto con addirittura 20 mesi di anticipo rispetto all’adesione. E’ inaudito, e la logica di ciò mi sfugge completamente. In un momento in cui l’Unione gode di un sostegno limitato e la sua legittimità è fragile, è importante che le Istituzioni europee si attengano agli accordi stipulati.

Non sono contraria all’adesione della Romania. La Romania è Europa e diventerà membro dell’Unione europea. Auspicherei tuttavia che l’adesione si svolgesse sulla base di ciò che abbiamo convenuto in passato.

 
  
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  Maaten (ALDE), per iscritto. – (NL) A causa degli scarsi progressi realizzati sotto il precedente governo socialista, la Romania riscontra tuttora grosse difficoltà a soddisfare tutti i criteri in tempo utile per aderire all’Unione nel 2007. In particolare, suscita non poca preoccupazione la situazione in materia di corruzione e stabilità giuridica e amministrativa. Mi sembra decisamente probabile che, al momento di decidere, si dovrà constatare la necessità di rinviare tutto di un anno. Il Parlamento europeo è stato posto nella condizione inaccettabile di pronunciare un giudizio 20 mesi prima dell’adesione. Al momento possiamo tuttavia constatare che il nuovo governo sta mettendo tempestivamente in pratica le riforme richieste e che la Commissione europea, come è accaduto di recente nel caso della Croazia, adotta una linea severa nella valutazione dei paesi candidati. Sono pertanto disposto a concedere al governo rumeno e alla Commissione europea il beneficio del dubbio. Auspico un proseguimento dei progressi al ritmo attuale, in quanto solo in questo caso potrò continuare ad appoggiare l’adesione della Romania nel 2007.

 
  
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  Ribeiro e Castro (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il Parlamento tiene sempre sotto controllo la situazione dei paesi che manifestano formalmente un interesse a diventare membri dell’Unione europea, e ovviamente ha fatto lo stesso anche nel caso della Romania.

Va sottolineato che la Romania è stata sottoposta a un controllo particolarmente severo, alla luce della situazione delicata in cui si trova il paese e dell’inevitabile lentezza dei negoziati di adesione.

Negli ultimi anni la Romania ha dato prova di notevole impegno e ha adottato misure importanti. La speranza è che si possano attuare ulteriori soluzioni atte a permettere alla Romania di diventare membro dell’Unione europea. A tal fine, la commissione per gli affari esteri ha prodotto numerose relazioni, tra cui quella dell’onorevole Moscovici (A6-0077/2005). Anche il nuovo governo rumeno necessita di indicazioni chiare e di segnali di incoraggiamento.

Dopo numerosi rinvii e il fallimento dell’ipotesi di inserire la Romania tra i dieci paesi che hanno aderito lo scorso anno, non ho alcun dubbio che la Romania, se soddisferà i restanti criteri, sarà uno dei prossimi paesi – insieme alla Bulgaria – a entrare a far parte dell’UE.

Ho votato a favore.

 
  
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  Fatuzzo (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, anche per quanto riguarda il voto a favore dell’ingresso della Romania nell’Unione europea, esprimo i miei complimenti, le mie congratulazioni e la mia soddisfazione alle cittadine e cittadini romeni e al loro governo per questo importante passo avanti per un futuro migliore. In particolare, sottolineo quanto sia importante che si impegnino, insieme ai governi, i cittadini tutti, sia anziani e pensionati che giovani della Romania, perché si realizzino concretamente dei passi avanti per il benessere collettivo, anziché limitarsi, al pari di molti governi in Europa e in tutto il mondo, a molte promesse cui seguono pochi fatti concreti.

 
  
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  Korhola (PPE-DE).(FI) Signor Presidente, oggi ho votato contro la raccomandazione per l’adesione della Romania sulla base dei seguenti motivi.

Da tutte le relazioni emerge con evidente chiarezza che la Romania non è essenzialmente ancora in grado di soddisfare le condizioni di adesione. Deploro il fatto che non abbiamo deciso di posporre la decisione. Data la situazione, non mi resta che votare contro, anche se in linea di principio sono molto favorevole all’adesione di questo paese. Tuttavia, mi oppongo tenacemente alla “svendita di liquidazione” delle condizioni di adesione promossa oggi dal Parlamento mediante la propria raccomandazione. L’adempimento dei criteri concordati congiuntamente e ribaditi nuovamente ai cittadini europei durante i dibattiti sull’allargamento dovrebbe essere una procedura normale, non un evento eccezionale o straordinario. Se non ci atterremo ai principi da noi convenuti, finiremo per trovarci a tradire gli ideali della democrazia rappresentativa e ridurremo drasticamente le probabilità future di adempiere agli accordi stipulati.

 
  
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  Hennicot-Schoepges (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, vorrei spiegare le ragioni che mi hanno portato a esprimere un voto positivo sulla Romania. Ho l’impressione che alcuni abbiano preso in ostaggio un intero popolo, in quanto hanno mostrato il più gran rispetto per la propria situazione politica interna, per meglio dire delle rispettive questioni istituzionali che erano all’ordine del giorno, invece che sostenere gli sforzi della Romania verso la democrazia, come sarebbe stato doveroso. L’Europa, a cui spetta un ruolo di capitale importanza, potrà rendere molto più agevoli tali sforzi.

Vorrei inoltre rivolgermi al popolo rumeno per ricordargli che tra le file del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei vi sono molti eurodeputati che si sono schierati dalla sua parte e che appoggiano gli sforzi volti a istituire una democrazia cristiana autentica in Romania. Vorrei rendere omaggio all’iniziatrice della democrazia cristiana in Romania, Cornelia Coposu, che, dopo la rivoluzione, ha fondato questo partito. Vorrei aggiungere che l’adesione della Romania rappresenterà un notevole arricchimento culturale per l’Europa.

 
  
  

– Relazioni Van Orden (A6-0078/2005) e Moscovici (A6-0077/2005)

 
  
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  Berend (PPE-DE), per iscritto. – (DE) Sono pienamente convinto che la Bulgaria e la Romania debbano entrare a far parte dell’Unione. La loro adesione è tuttavia subordinata al rispetto di determinati criteri che devono continuare ad avere validità.

Il Consiglio si è rifiutato di adeguare le prospettive finanziarie, benché l’accordo interistituzionale lo prescriva in caso di allargamento. Questa mi sembra una violazione inaccettabile dei diritti del Parlamento in quanto autorità di bilancio.

Le ultime relazioni della Commissione sui progressi realizzati confermano che entrambi i paesi hanno ancora molta strada da fare per poter soddisfare i criteri di adesione, in particolare per quel che concerne la lotta contro la corruzione e l’istituzione di un potere giudiziario che operi nel rispetto dello Stato di diritto.

Sarebbe prematuro adottare una decisione in materia in questo momento, considerato che entrambi i paesi sono ancora molto lontani dal soddisfare i criteri di adesione, e alla luce dell’esito negativo del trilogo sugli adeguamenti delle prospettive finanziarie.

Sarebbe stato più opportuno rinviare la decisione sull’adesione fino alla presentazione della prossima relazione della Commissione sui progressi realizzati. Il fatto che manchino ancora 20 mesi alla data prevista per l’adesione avrebbe giustificato ulteriormente tale rinvio.

Mi rammarico di non poter votare a favore dell’adesione in questo momento.

 
  
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  Caspary (PPE-DE), per iscritto. – (DE) Ribadisco la mia convinzione che Bulgaria e Romania debbano entrare a far parte dell’Unione. La loro adesione è tuttavia subordinata al rispetto di determinati criteri che devono continuare ad avere validità.

Il Consiglio si è rifiutato di adeguare le prospettive finanziarie, benché l’accordo interistituzionale lo prescriva in caso di allargamento. Questa mi sembra una violazione inaccettabile dei diritti del Parlamento in quanto autorità di bilancio.

Le ultime relazioni della Commissione sui progressi realizzati confermano che entrambi i paesi hanno ancora molta strada da fare per poter soddisfare i criteri di adesione, in particolare per quel che concerne la lotta contro la corruzione e l’istituzione di un potere giudiziario che operi nel rispetto dello Stato di diritto.

E’ per questo motivo che accolgo con particolare favore gli sforzi intrapresi dal nuovo governo rumeno, che sta proseguendo risolutamente sulla via delle riforme per recuperare i ritardi causati dal precedente governo.

Sarebbe prematuro adottare una decisione in materia in questo momento, considerato che entrambi i paesi sono ancora molto lontani dal soddisfare i criteri di adesione, e alla luce dell’esito negativo del trilogo sugli adeguamenti delle prospettive finanziarie.

A mio parere, sarebbe stato più opportuno rinviare la decisione sull’adesione fino alla presentazione della prossima relazione della Commissione sui progressi realizzati. Il fatto che manchino ancora 20 mesi alla data prevista per l’adesione avrebbe giustificato ulteriormente tale rinvio.

Mi rammarico di non poter votare a favore dell’adesione in questo momento.

 
  
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  Goebbels (PSE), per iscritto. – (FR) Non credo che la vocazione dell’Unione europea sia mai stata quella di restare un club riservato ai ricchi. Sono a favore degli allargamenti futuri. Tutto sembra indicare che Bulgaria e Romania otterranno presto un posto all’interno dell’Unione.

Deploro tuttavia il modo in cui i governi, specialmente quelli di Chirac, Blair, Schroeder e affini, gestiscono tali questioni. Il motto sembra essere discorsi magniloquenti e portafogli chiusi. Siamo reduci da un allargamento senza approfondimento preventivo. Ora, alcuni Stati membri desiderano imporci nuovi allargamenti con meno fondi nel bilancio europeo.

Cionondimeno ho votato sì, per non mescolare le mie rimostranze a quelle degli oppositori dell’allargamento.

 
  
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  Goudin e Lundgren (IND/DEM), per iscritto.(SV) In linea di principio appoggiamo l’adesione all’UE della Bulgaria e della Romania. E’ una conseguenza naturale dell’allargamento di 10 Stati membri verificatosi lo scorso maggio 2004. La cooperazione ampliata – se attuata in modo adeguato – può favorire lo sviluppo economico, la democrazia e i diritti umani in Europa.

Allo stesso tempo, non dobbiamo chiudere gli occhi di fronte ai gravi problemi che potrebbero emergere a causa dell’allargamento se i paesi candidati non sono sufficientemente preparati. Le relazioni degli onorevoli Moscovici e Van Orden confermano l’entità di tali problemi. Secondo le benevole valutazioni espresse dalla Commissione e dal Parlamento europeo, è stato soddisfatto solamente il criterio politico. Il criterio economico o amministrativo non è stato pienamente rispettato, anche se ci si attende che lo sarà entro il 1° gennaio 2007.

Un’obiezione importante alle risoluzioni è stata espressa dalla commissione per l’agricoltura, che rileva che i costi dell’adesione di Bulgaria e Romania all’Unione non sono stati considerati nel bilancio comunitario a lungo termine per il periodo 2007-2013. E’ necessario intervenire e correggere tale situazione.

I negoziati e il processo di adattamento all’Unione proseguono da circa otto anni, il che significa che l’adesione della Bulgaria e della Romania rappresenta ormai una sorta di fatto compiuto. Nel contempo, è importante consentire al processo di adeguamento di fare il proprio corso. Se tuttavia si dovesse reputare che questi paesi non sono conformi ai requisiti, il Consiglio non deve esitare a invocare la clausola di salvaguardia per ritardare l’adesione all’UE di un anno.

 
  
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  Gröner (PSE), per iscritto. – (DE) Nessuno dei due paesi candidati ha conseguito i progressi previsti nell’attuazione dell’acquis communautaire. Nel corso dei negoziati di adesione la questione dei diritti femminili è stata trascurata sia in relazione al mercato del lavoro che alla partecipazione ai processi sociali o alla violenza contro le donne. I miglioramenti della situazione dei bambini lasciano molto a desiderare, soprattutto in Romania.

A mio avviso, i diritti umani e le questioni umanitarie sono molto più importanti dei problemi relativi al quadro istituzionale dell’Unione, per esempio della questione dei diritti del Parlamento in materia di bilancio, anche se si è giunti a un compromesso dell’ultimo minuto solamente quando il Parlamento ha avuto la certezza che tali diritti sarebbero stati rispettati incondizionatamente. Inoltre, come ho già affermato in altre occasioni, non me la sento di votare a favore di un altro allargamento prima dell’entrata in vigore della Costituzione.

E’ per questi motivi che voto contro l’adesione della Romania e della Bulgaria all’UE, soprattutto perché mancano ancora 20 mesi al 2007, la data prevista per l’adesione.

 
  
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  Klaß (PPE-DE), per iscritto. – (DE) Ribadiamo la nostra convinzione che la Bulgaria e la Romania debbano entrare a far parte dell’Unione. La loro adesione è tuttavia subordinata al rispetto di determinati criteri che devono continuare ad avere validità.

Le ultime relazioni della Commissione sui progressi realizzati confermano che entrambi i paesi hanno ancora molta strada da fare per poter soddisfare i criteri di adesione, in particolare per quel che concerne la lotta contro la corruzione e l’istituzione di un potere giudiziario che operi nel rispetto dello Stato di diritto.

E’ per questo motivo che accogliamo con particolare favore gli sforzi intrapresi dal nuovo governo rumeno, che sta proseguendo risolutamente sulla via delle riforme per recuperare i ritardi causati dal governo precedente.

Sarebbe prematuro adottare una decisione in materia in questo momento, considerato che entrambi i paesi sono ancora molto lontani dal soddisfare i criteri di adesione.

Sarebbe stato più opportuno rinviare la decisione sull’adesione fino alla presentazione della prossima relazione della Commissione sui progressi realizzati. Il fatto che manchino ancora 20 mesi alla data prevista per l’adesione avrebbe giustificato ulteriormente tale rinvio.

Ci rammarichiamo di non poter votare a favore dell’adesione in questo momento.

 
  
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  Lauk (PPE-DE), per iscritto. – (DE) Ribadisco la mia convinzione che la Bulgaria e la Romania debbano entrare a far parte dell’Unione. La loro adesione è tuttavia subordinata al rispetto di determinati criteri che devono continuare ad avere validità.

Il Consiglio si è rifiutato di adeguare le prospettive finanziarie, benché l’accordo interistituzionale lo prescriva in caso di allargamento. Considero ciò alla stregua di una violazione inaccettabile dei diritti di bilancio del Parlamento.

Le ultime relazioni della Commissione sui progressi realizzati confermano che entrambi i paesi hanno ancora molta strada da fare per poter soddisfare i criteri di adesione, in particolare per quel che concerne la lotta contro la corruzione e l’istituzione di un potere giudiziario che operi nel rispetto dello Stato di diritto.

E’ per questo motivo che accolgo con particolare favore gli sforzi intrapresi dal nuovo governo rumeno, che sta proseguendo risolutamente sulla via delle riforme per recuperare i ritardi causati dal precedente governo.

Sarebbe prematuro adottare una decisione in materia in questo momento, considerato che entrambi i paesi sono ancora molto lontani dal soddisfare i criteri di adesione, e alla luce dell’esito negativo del trilogo sugli adeguamenti delle prospettive finanziarie.

A mio parere, sarebbe stato più opportuno rinviare la decisione sull’adesione fino alla presentazione della prossima relazione della Commissione sui progressi realizzati. Il fatto che manchino ancora 20 mesi alla data prevista per l’adesione avrebbe giustificato ulteriormente tale rinvio.

Mi rammarico di non poter votare a favore dell’adesione in questo momento.

 
  
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  Louis (IND/DEM), per iscritto. – (FR) I rappresentanti francesi del gruppo Indipendenza/Democrazia hanno votato contro le relazioni Van Orden e Moscovici per svariate ragioni che hanno a che vedere con l’interesse che nutrono nei confronti della Bulgaria e della Romania, paesi membri dell’Organizzazione francofona internazionale, nonché amici di lunga data della Francia. Abbiamo una considerazione troppo alta di questi paesi per permettere che cadano vittime della trappola eurocratica, che promette molto, offre poco e si prende la cosa più essenziale – la sovranità.

Per di più, la “sovranità limitata” di stile sovietico imposta dall’Unione incontra la resistenza di alcuni cittadini autorevoli di quei paesi, che si rifiutano di vedere la loro nazione “comprata” dalle sovvenzioni comunitarie, e che ci chiedono di appoggiarli con un voto negativo.

Al di fuori del giogo imposto dall’Unione, sarà possibile costruire con loro una Grande Europa basata sulla cooperazione. Tale cooperazione verrà forgiata su misura in base agli interessi di ciascun partecipante, al servizio della libertà dei popoli.

D’altro canto, va detto che l’adesione della Romania e della Bulgaria garantisce una continuità territoriale verso la Turchia, favorendo l’ingresso di quest’ultima. Ciò completerebbe lo sviluppo dell’Unione quale agglomerato culturalmente diviso, un’entità impotente se non politicamente schiavizzata.

Questo voto non nega pertanto il carattere europeo della Bulgaria e della Romania, che sono sempre stati paesi europei.

 
  
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  Manders (ALDE), per iscritto. – (NL) Ho preferito votare contro un ulteriore allargamento, non perché io ritenga che la Romania non sia pronta per l’adesione, bensì per il fatto che non reputo che l’Unione stessa sia pronta ad affrontare un ulteriore allargamento. Ciò emerge con chiarezza dall’attuale impasse del processo decisionale e dall’atteggiamento sospetto di diversi Stati membri “vecchi” nei confronti dei “nuovi” Stati membri su questioni quali la direttiva sui servizi. Di conseguenza, i nuovi Stati membri hanno scarse opportunità di trarre pienamente vantaggio dal mercato interno. Il perseguimento sfrenato dell’allargamento senza approfondimento porterà all’impotenza democratica e probabilmente persino a un’implosione. Nessuno trarrà vantaggio da ciò, soprattutto gli Stati candidati all’adesione, che negli ultimi anni hanno dovuto accettare compromessi enormi per soddisfare i criteri di adesione. Esprimo il desiderio ardente che, con l’adozione del Trattato costituzionale, la risolutezza amministrativa e l’assorbimento economico aumentino tanto da giustificare la collaborazione tra gli Stati membri e i candidati per promuovere un ulteriore allargamento. Far intravedere a questi paesi una carota appetitosa per poi rifilare loro una delusione causerà enorme insoddisfazione e, in vista degli obiettivi della stabilità politica e della prosperità economica, questa non può certo essere la nostra intenzione.

 
  
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  Mulder (ALDE), per iscritto. – (NL) Il mio voto a favore dell’adesione di Bulgaria e Romania è stato accompagnato da forti dubbi, in quanto le relazioni sulla corruzione, che dilaga soprattutto in Romania, non mi rassicurano affatto sull’idoneità di questo paese ad aderire all’Unione europea. Anche il modo in cui il Consiglio ha deciso il finanziamento dell’adesione di questi due paesi, riconoscendo i poteri in materia di bilancio del Parlamento europeo solamente all’ultimo momento, riduce la necessità di decidere sull’adesione di questi paesi con 20 mesi di anticipo. Tuttavia, a mio avviso, il fattore decisivo è rappresentato dai vantaggi geopolitici rappresentati dall’adesione di questi due Stati. Inoltre, l’Unione europea offre ormai da molti anni la prospettiva di un’adesione e sono state apportate modifiche notevoli alla legislazione. Non si possono prevedere le reazioni negative che potrebbe scatenare un eventuale rifiuto dell’adesione all’Unione europea. I trattati di adesione contengono anche clausole di salvaguardia che possono essere applicate per posporre l’adesione. Tutto ciò mi ha indotto a esprimere un “sì” con riserva.

 
  
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  Niebler (PPE-DE), per iscritto. – (DE) La Bulgaria e la Romania appartengono alla famiglia delle nazioni europee, e pertanto il loro futuro è nell’Unione europea. Tuttavia, prima di potervi aderire, devono conformarsi a determinati criteri.

Dopo la caduta del comunismo, la Bulgaria e la Romania hanno entrambe compiuto sforzi ingenti per attuare le riforme, e tali sforzi devono essere riconosciuti.

Allo stesso tempo, le ultime relazioni periodiche della Commissione sui progressi realizzati confermano che entrambi i paesi hanno ancora molta strada da fare per poter soddisfare tali criteri di adesione, in particolare per quel che concerne le questioni spinose della lotta contro la corruzione e dell’istituzione di un potere giudiziario che operi nel rispetto dello Stato di diritto. Il processo di riforma deve proseguire, e deve essere portato a termine prima dell’adesione. Nell’interesse di entrambe le parti, ai due paesi candidati dovrebbe essere concesso più tempo per attuare i criteri di Copenaghen.

Alla luce di tali considerazioni, sarebbe stato più opportuno rinviare la decisione sull’adesione fino alla presentazione della prossima relazione sui progressi realizzati, invece di assumere oggi un impegno del genere.

Mi rammarico pertanto di non poter votare a favore dell’adesione in questo momento.

 
  
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  Pack (PPE-DE), per iscritto. – (DE) Ritengo che la Bulgaria e la Romania debbano entrare a far parte dell’Unione. La loro adesione è tuttavia subordinata al rispetto di determinati criteri. Nella nostra veste di europarlamentari, dobbiamo assicurarci che i due paesi si conformino a tali criteri. I nostri elettori si aspettano questo da noi.

Le ultime relazioni della Commissione sui progressi realizzati confermano che entrambi i paesi hanno ancora molta strada da fare per poter soddisfare i criteri di adesione, in particolare per quel che concerne la lotta contro la corruzione e l’istituzione di un potere giudiziario che operi nel rispetto dello Stato di diritto.

E’ per questo motivo che accogliamo con particolare favore gli sforzi intrapresi dal nuovo governo rumeno, che sta proseguendo risolutamente sulla via delle riforme per recuperare i ritardi causati dal governo precedente.

Sarebbe prematuro adottare una decisione in materia in questo momento, considerato che entrambi i paesi sono ancora molto lontani dal soddisfare i criteri di adesione.

Secondo me, sarebbe stato più opportuno rinviare la decisione sull’adesione fino alla presentazione della prossima relazione della Commissione sui progressi realizzati. Il fatto che manchino ancora 20 mesi alla data prevista per l’adesione avrebbe giustificato ulteriormente tale rinvio.

Mio malgrado, mi sento obbligata a votare contro l’adesione. Ciò non è dovuto ad alcuna mancanza della qui presente Assemblea.

 
  
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  Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Appoggiamo l’ingresso della Bulgaria nell’Unione europea. Il Portogallo si rende pienamente conto dei vantaggi della propria adesione, e dovrebbe rientrare nel novero di quei paesi membri che maggiormente apprezzano i benefici dell’adesione e che la appoggiano con grande convinzione.

 
  
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  Schwab (PPE-DE), per iscritto. – (DE) Ribadiamo la nostra convinzione che la Bulgaria e la Romania debbano entrare a far parte dell’Unione. La loro adesione è tuttavia subordinata al rispetto di determinati criteri che devono continuare ad avere validità.

Le ultime relazioni della Commissione sui progressi realizzati confermano che entrambi i paesi hanno ancora molta strada da fare per poter soddisfare i criteri di adesione, in particolare per quel che concerne la lotta contro la corruzione e l’istituzione di un potere giudiziario che operi nel rispetto dello Stato di diritto.

E’ per questo motivo che accogliamo con particolare favore gli sforzi intrapresi dal nuovo governo rumeno, che sta proseguendo risolutamente sulla via delle riforme per recuperare i ritardi causati dal governo precedente.

Sarebbe prematuro adottare una decisione in materia in questo momento, considerato che entrambi i paesi sono ancora molto lontani dal soddisfare i criteri di adesione, e alla luce dell’esito negativo del trilogo sugli adeguamenti delle prospettive finanziarie.

Secondo noi, sarebbe stato più opportuno rinviare la decisione sull’adesione fino alla presentazione della prossima relazione della Commissione sui progressi realizzati. Il fatto che manchino ancora 20 mesi alla data prevista per l’adesione avrebbe giustificato ulteriormente tale rinvio.

Ci rammarichiamo di non poter votare a favore dell’adesione in questo momento.

 
  
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  Sommer (PPE-DE), per iscritto. – (DE) La Bulgaria e la Romania devono entrare a far parte dell’Unione. La loro adesione è tuttavia subordinata al rispetto di determinati criteri.

Le ultime relazioni della Commissione sui progressi realizzati confermano che entrambi i paesi hanno ancora molta strada da fare per poter soddisfare i criteri di adesione, in particolare per quel che concerne la lotta contro la corruzione e l’istituzione di un potere giudiziario che operi nel rispetto dello Stato di diritto.

E’ per questo motivo che accogliamo con particolare favore gli sforzi intrapresi dal governo rumeno, che sta proseguendo risolutamente sulla via delle riforme per recuperare i ritardi causati dal governo precedente.

Considerato che entrambi i paesi sono ancora molto lontani dal soddisfare i criteri di adesione, e alla luce del fatto che mancano ancora 20 mesi alla data prevista per l’adesione, mi rammarico di non poter votare a favore dell’adesione della Bulgaria e della Romania all’Unione europea.

 
  
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  Tannock (PPE-DE), per iscritto. – (EN) Io, in linea con i miei colleghi conservatori britannici, appoggio l’adesione della Romania e della Bulgaria e deploro il tentativo perpetrato per 11 ore da alcuni deputati di negare l’accesso a questi paesi per conflitti interistituzionali e considerazioni di bilancio, che ora si sono comunque risolte. Benché la discrepanza temporale di 20 mesi tra il nostro parere conforme e l’eventuale adesione in data 1° gennaio 2007 sia assurdamente lunga, ora è troppo tardi per questo dibattito e la nostra posizione in materia sarebbe dovuta emergere prima con chiarezza.

Mi rincuora l’impegno assunto dal nuovo governo del Presidente Basescu secondo cui la corruzione è da considerarsi una minaccia per la sicurezza nazionale e va contrastata con determinazione. Inoltre, mi rassicura l’impegno assunto in sede di plenaria dal Commissario Rehn per un pieno coinvolgimento del nostro Parlamento nella remota ipotesi di decidere di invocare la clausola di salvaguardia e di ritardare l’adesione di un anno.

Non concedere la nostra approvazione significherebbe inviare il segnale sbagliato al popolo e al governo rumeno e bulgaro, e sarebbe un errore grave; do il benvenuto a entrambi i paesi nell’UE.

 
  
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  Ulmer (PPE-DE), per iscritto. – (DE) Ribadiamo la nostra convinzione che la Bulgaria e la Romania debbano entrare a far parte dell’Unione. La loro adesione è tuttavia subordinata al rispetto di determinati criteri che devono continuare ad avere validità.

Il Consiglio si è rifiutato di adeguare le prospettive finanziarie, benché l’accordo interistituzionale lo prescriva in caso di allargamento. Questa mi sembra una violazione inaccettabile dei diritti del Parlamento in materia di bilancio.

Le ultime relazioni della Commissione sui progressi realizzati confermano che entrambi i paesi hanno ancora molta strada da fare per poter soddisfare i criteri di adesione, in particolare per quel che concerne la lotta contro la corruzione e l’istituzione di un potere giudiziario che operi nel rispetto dello Stato di diritto.

E’ per questo motivo che accogliamo con particolare favore gli sforzi intrapresi dal nuovo governo rumeno, che sta proseguendo risolutamente sulla via delle riforme per recuperare i ritardi causati dal governo precedente.

Sarebbe prematuro adottare una decisione in materia in questo momento, considerato che entrambi i paesi sono ancora molto lontani dal soddisfare i criteri di adesione, e alla luce dell’esito negativo del trilogo sugli adeguamenti delle prospettive finanziarie.

A nostro parere, sarebbe stato più opportuno rinviare la decisione sull’adesione fino alla presentazione della prossima relazione della Commissione sui progressi realizzati. Il fatto che manchino ancora 20 mesi alla data prevista per l’adesione avrebbe giustificato ulteriormente tale rinvio.

Ci rammarichiamo di non poter votare a favore dell’adesione in questo momento.

 
  
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  Ebner (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, anche se – come la maggior parte dei colleghi – sono favorevole a che l’Unione europea accolga al proprio interno la Romania e la Bulgaria, e che tali paesi diventino membri a pieno titolo, sono del parere che ciò debba accadere a tempo debito e rispettando le regole. Per questo motivo mi sono astenuto dal votare su entrambe le relazioni; ritengo infatti che i paesi in questione non rispondano ancora ai criteri stabiliti. In effetti si tratta di un problema diffuso, poiché gli Stati membri stessi non si conformano ai criteri del Patto di stabilità, e le condizioni applicate alla Turchia sono diverse da quelle effettivamente approvate da noi. La Croazia è soggetta a standard molto più rigorosi, mentre alla Bulgaria e Romania si dovrebbe ora assicurare l’approvazione anticipata. Ritengo che ci facciano difetto sufficiente prevedibilità e coerenza, ed è per questo che mi sono astenuto dall’esprimere un voto.

 
  
  

– Relazione Markov (A6-0073/2005)

 
  
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  Ribeiro e Castro (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il Consiglio, nella sua posizione comune, ha apportato varie modifiche alla posizione del Parlamento in prima lettura e ha finito con l’allontanarsi anche dalla proposta iniziale della Commissione.

Sembra che sia stato raggiunto un accordo sugli obiettivi di migliorare le condizioni di lavoro, impedire distorsioni del mercato – dovute alla diversità di condizioni di lavoro nei singoli paesi – e incrementare la sicurezza stradale, da cui deriva la necessità di effettuare controlli realistici e ragionevoli sugli orari di lavoro. Il Consiglio ha riscontrato considerevoli difficoltà di carattere pratico che ostano alla piena realizzazione – o quanto meno limitano l’attuazione rispetto alle previsioni della Commissione europea – di controlli obbligatori relativi all’applicazione della direttiva sull’organizzazione dell’orario di lavoro.

Orbene, questo equilibrio fra l’imprescindibile rispetto della normativa sulle condizioni di lavoro e i periodi di guida e di riposo (la Commissione nelle sue relazioni biennali sull’applicazione del regolamento (CEE) n. 3820/85 ha registrato un costante aumento del numero di infrazioni) e l’auspicata adozione di meccanismi di controllo pratici e realistici è difficile da conseguire. Il relatore si è sforzato di andare incontro alla posizione comune del Consiglio e pertanto ritengo che il suo lavoro meriti il mio sostegno.

 
  
  

– Relazione Ries (A6-0057/2005)

 
  
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  Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Abbiamo votato a favore di questa seconda lettura nonostante alcune divergenze di opinione riguardanti taluni aspetti della nuova direttiva per l’elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti che consumano energia elettrica.

Riteniamo necessario puntare sulla massima efficienza energetica e sull’informazione del consumatore, pur assicurando, nel contempo, che la nuova normativa non sovraccarichi di costi le piccole imprese.

La direttiva riguarda apparecchiature che utilizziamo tutti i giorni, come asciugacapelli, lavatrici e computer, che sono responsabili del 40 per cento circa delle emissioni di biossido di carbonio nell’atmosfera. Solo le automobili restano escluse, in quanto rientrano in una normativa specifica.

La relazione contiene importanti proposte di tutela delle microimprese, delle PMI e dei consumatori. Vedremo quale sarà la posizione del Consiglio.

 
  
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  Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Condivido l’obiettivo che sta alla base della proposta in esame, che consiste nel garantire la libera circolazione di determinati prodotti che consumano energia, migliorare la qualità delle loro prestazioni ambientali e promuovere la riduzione del consumo di energia. In proposte di questa natura, tuttavia, è necessario essere molto realistici, affinché un buon proposito non si traduca in norme insostenibili o troppo gravose per l’industria. E’ indispensabile assicurare un buon equilibrio fra il desiderio di migliorare la qualità ambientale e quello di ridurre il consumo di energia.

 
  
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  Ribeiro e Castro (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Lo scopo di questa raccomandazione per la seconda lettura è definire le specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti che consumano energia tenendo conto di tutto il loro ciclo di vita, con l’obiettivo principale di ridurre l’impatto negativo di tali prodotti sull’ambiente. E’ una materia di cruciale importanza e per questa ragione il Parlamento ha presentato in prima lettura tutta una serie di emendamenti riguardanti, inter alia, la valutazione della conformità dei prodotti, le specifiche di progettazione ecocompatibile cui devono rispondere, l’istituzione di un sistema di vigilanza affidabile ed efficace del mercato, il sostegno alle PMI e l’informazione dei consumatori.

Nella posizione comune, la Commissione e il Consiglio hanno accettato una parte degli emendamenti proposti dal Parlamento, trascurando tuttavia alcune importanti preoccupazioni.

Sostengo la proposta della relatrice che a mio parere è realistica e ha buone possibilità di essere attuata. Ricordo, a titolo di esempio, il chiarimento di concetti quali quelli di importatore e di fabbricante nonché il maggior rigore raccomandato in materia di controlli, le preoccupazioni nei confronti delle PMI e l’ipotesi di prevedere un margine di adattamento delle norme alle caratteristiche specifiche degli Stati membri.

Ho votato a favore dei nuovi emendamenti, che ripristinano in forma equilibrata posizioni già precedentemente assunte dal Parlamento.

 
  
  

– Relazione Hassi (A6-0056/2005)

 
  
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  Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il progressivo sviluppo del trasporto marittimo offre vari vantaggi anche dal punto di vista ambientale, ma deve essere accompagnato da un impegno costante per la riduzione delle conseguenze ambientali negative che sono comunque inevitabili. In questo senso, e tenuto conto degli interessi e delle preoccupazioni opportunamente espressi dal Portogallo, ritengo di poter votare a favore di questa direttiva.

 
  
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  Ribeiro e Castro (PPE-DE), per iscritto. – (PT) La proposta della relatrice rispecchia la posizione originale del Parlamento in prima lettura. Secondo gli emendamenti proposti dal Parlamento, rispetto all’anno 2000 le emissioni dei combustibili per uso marittimo registrerebbero una diminuzione pari a circa l’80 per cento, mentre la posizione del Consiglio determinerebbe solo una riduzione del 10%.

Fra le proposte presentate, desidero mettere in evidenza la raccomandazione della relatrice sull’opportunità di realizzare progressi in seno all’Organizzazione marittima internazionale (IMO) e, in particolare, sul ruolo che l’Unione europea potrà svolgere per il raggiungimento di questo obiettivo. Anche gli Stati Uniti d’America, nonché il Canada e il Messico, stanno cercando di rendere più severi gli accordi in seno all’IMO e l’UE, soprattutto a seguito dei recenti disastri ambientali di cui è stata vittima, può e deve poter esprimere la sua opinione in materia.

E’ inoltre interessante l’idea della relatrice di promuovere lo sviluppo di una tecnologia ambientale attraverso la creazione e lo sviluppo di un mercato specifico. I suggerimenti proposti configurano, in quest’ambito, una soluzione più efficace per la protezione della salute umana e dell’ambiente.

 
  
  

– Relazione Florenz (A6-0005/2005)

 
  
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  Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore degli emendamenti proposti in quanto condivido le preoccupazioni (e gli obiettivi) di questa proposta di direttiva volta ad assicurare una sufficiente armonizzazione per lo sviluppo del mercato interno e, nel contempo, il rispetto di regole che salvaguardano la salute pubblica.

 
  
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  Ribeiro e Castro (PPE-DE), per iscritto. – (PT) La relazione in esame segnala il pericolo che può rappresentare per la salute pubblica l’uso di talune sostanze, sia come materia prima che come semilavorati.

Il toluene e il triclorobenzene, a seguito dell’esecuzione dei più svariati esperimenti, sono stati ritenuti sostanze chimiche che rappresentano un grave pericolo per la salute umana.

La proposta della Commissione, che il relatore, presentando un solo emendamento, chiede di appoggiare, intende limitare l’utilizzo non solo del toluene e del triclorobenzene, ma anche dei preparati che li contengono.

L’Unione europea, in linea con l’articolo 93 del Trattato CE, si è sempre preoccupata di queste questioni, che sono della massima importanza per la vita dei cittadini.

Ho votato a favore perché sono evidenti i benefici per la salute dei cittadini europei che deriveranno dall’approvazione della proposta.

 
  
  

– Relazione Pittella (A6-0071/2005)

 
  
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  Martinez (NI), per iscritto. – (FR) L’esercizio 2006 conclude la “programmazione” di bilancio 2000-2006. Con un importo totale che non raggiunge i 120 miliardi di euro, resta 20 volte inferiore al bilancio degli Stati Uniti, per un’Europa che vuole darsi una costituzione di stampo americano, senza avere i mezzi, e nemmeno il desiderio, di cambiare la vita dei 450 milioni di uomini e donne che rappresenta.

In questo bilancio si ritrova tutta una serie di argomenti triti e ritriti: risorse non utilizzate da ricuperare, polverizzazione di finanziamenti ai Balcani, kit antizanzara per i bambini colpiti dalla malaria, attuazione finanziaria della riforma della PAC, chiacchiere sullo sviluppo rurale in una campagna quasi deserta, stanziamenti ridicoli per la pesca e via dicendo.

Ci troviamo di fronte a una strategia di bilancio senza originalità perché è al servizio dell’assenza di idee. Nel perseguire gli obiettivi di sviluppo del Millennio le autorità di bilancio non hanno pensato, per esempio, a un diverso funzionamento dei diritti doganali, i quali, se fossero resi deducibili, consentirebbero al paese africano che esporta merci sfuse di beneficiare di un diritto di rivalsa sulle economie importatrici pari all’importo dei diritti doganali versati.

Per il 2006 nulla è cambiato: l’immaginazione in materia di bilancio non è prioritaria a Bruxelles.

 
  
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  Ribeiro e Castro (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il bilancio 2006 assume carattere strategico in vista della necessità di sostenere una crescita dinamica dell’Europa, non solo perché è l’ultimo bilancio delle prospettive finanziarie attuali e costituisce il quadro strategico entro il quale il Parlamento deciderà le sue priorità per il periodo 2007/2013, ma anche perché il 2006 sarà un anno fondamentale per concretizzare l’obiettivo di un’Europa che registri una crescita dinamica e sostenibile, in grado di creare nuovi e migliori posti di lavoro.

L’anno 2006 porrà grandissime sfide all’Europa. Oltre al fatto che sarà indispensabile dare risposta alle necessità finanziarie dell’Unione a 25, è fondamentale che alle modifiche istituzionali e politiche risultanti dal nuovo Trattato costituzionale venga data attuazione nel miglior modo possibile. In questo senso è indispensabile che l’Europa sappia far fronte a queste sfide con azioni coerenti, ben coordinate e sufficientemente finanziate e in quest’ottica il bilancio 2006 dovrà essere in grado di fornire una risposta adeguata.

Tuttavia, le sfide con cui si troverà confrontata l’Europa nel 2005/2006 non si esauriscono con il consolidamento dell’allargamento e con il nuovo Trattato; è infatti necessario aggiungere alla lista le decisioni su vari processi di allargamento in corso, il rafforzamento dell’UE sulla scena internazionale e l’adozione di nuove misure per rilanciare la strategia di Lisbona, tutti obiettivi per cui occorre la disponibilità di risorse sufficienti a consentirne la realizzazione e la sostenibilità.

Ho votato a favore.

 
  
  

– Relazione Markov (A6-0076/2005)

 
  
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  Cederschiöld, Fjellner, Hökmark e Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. (SV) La delegazione dei moderati ha votato contro le proposte sulle disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada e sulle condizioni minime per l’attuazione di tali disposizioni. In entrambi i casi si tratta di norme estese molto dettagliate, che non necessariamente migliorano la sicurezza stradale. Inoltre, pensiamo che le questioni riguardanti le normative in materia sociale debbano essere trattate dai singoli Stati membri e non possano essere affrontate direttamente dall’Unione europea.

 
  
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  Lienemann (PSE), per iscritto. (FR) Cogliendo l’occasione della relazione Markov, vorrei protestare contro la situazione della legislazione europea, che risulta notoriamente carente (sia rispetto agli orari di lavoro che alle condizioni di lavoro e alle retribuzioni) nel garantire un’adeguata sicurezza stradale in assoluto.

L’Unione europea ha scelto un metodo che fissa i limiti massimi applicabili per l’orario di lavoro e alcune norme sociali minime. Tuttavia, prevede la possibilità che taluni Stati membri abbiano normative migliori. Di fatto, però, questo sistema provoca un dumping sociale in quanto la libera concorrenza di servizi porta a penalizzare i trasportatori di paesi in cui vige un migliore quadro sociale complessivo. Il risultato è che la ricerca di competitività determina pressioni che si traducono in un peggioramento delle condizioni di lavoro e di retribuzione, il che non è accettabile.

L’Unione europea avrebbe dovuto avviare un processo diverso, di armonizzazione verso l’alto, con un sistema di progressiva conversione sociale. In questa strategia si sarebbe dovuto legare in maniera inscindibile la creazione di un livello di base (che fosse più favorevole di quello attualmente in uso) all’obbligo di progressivo adeguamento verso il massimo livello. Non è quanto previsto, e la situazione che deriva dalla legislazione europea non è più accettabile.

 
  
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  Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Mi sono espresso a favore della relazione in esame perché in sede di votazione dei vari emendamenti, pur senza compromettere i requisiti di sicurezza, si sono trovate varie soluzioni che vanno incontro agli interessi specifici di un paese periferico rispetto ai grandi centri di produzione e di consumo. Inoltre, i lavoratori risulteranno tutelati da una normativa di questo tipo, in quanto consente una flessibilità che va certamente a loro vantaggio.

 
  
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  Ribeiro e Castro (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Mi compiaccio per la prevedibile approvazione finale della proposta volta ad abrogare il regolamento (CEE) n. 3820/85 e a sostituirlo con un nuovo testo che servirà a chiarire, semplificare e aggiornare le disposizioni della normativa attualmente in vigore. Lo scopo principale è evitare interpretazioni divergenti, che in passato hanno dato luogo a controversie giuridiche. Il testo espone inoltre con maggiore chiarezza le obbligazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, con l’obiettivo ultimo di migliorarne l’osservanza.

Ancora una volta il relatore si è adoperato per avvicinarsi alla posizione comune del Consiglio, accelerando così l’iter di adozione di questo importante testo normativo. Entreranno in vigore emendamenti di grande rilevanza in materia di obbligatorietà dei periodi di sosta giornalieri e di numero massimo di ore di guida. E’ inoltre prevista l’adozione di un quadro giuridico per consentire agli Stati membri di comminare sanzioni in caso di infrazioni gravi.

Si spera che in tal modo sarà possibile conseguire l’obiettivo principale, che è quello di migliorare la sicurezza stradale.

Vorrei anche appoggiare l’auspicio del relatore di promuovere un clima di concorrenza leale nel quale vengano tutelati gli interessi sociali degli operatori del trasporto stradale. Per quanto riguarda gli emendamenti, ho votato a favore delle proposte che tengono conto in modo equilibrato delle necessità e degli interessi dei paesi che, come il Portogallo, si trovano alla periferia dell’Unione.

 
  
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  Titley (PSE) , per iscritto. – (EN) I parlamentari europei del partito laburista accolgono con favore la direttiva sugli orari di lavoro dei conducenti. Siamo certi che tale normativa rappresenterà un grosso passo avanti nella sicurezza stradale.

Tuttavia abbiamo alcune riserve sull’emendamento n. 11 riguardante il settore delle spedizioni espresse.

Pur riconoscendo che ciò potrebbe rappresentare un problema in alcuni paesi, riteniamo che la soluzione proposta sia impraticabile e che quindi possano sorgere controversie sulla direttiva. Pertanto abbiamo scelto di astenerci su questo emendamento.

 
  
  

– Proposta di risoluzione (B6-0223/2005)

 
  
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  Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Abbiamo votato contro la risoluzione comune sul Consiglio europeo di primavera perché non sono state accettate le posizioni da noi sostenute né le proposte che abbiamo presentato e che elencherò qui di seguito.

– Il Parlamento europeo prende nota dell’accordo del Consiglio europeo sulla riforma del Patto di stabilità e di crescita, e lo considera un’ammissione implicita del fatto che il Patto di stabilità e di crescita del 1997 ha prodotto conseguenze negative per l’occupazione, gli investimenti pubblici e la convergenza reale e perpetua la stagnazione dell’economia europea; ritiene pertanto indispensabile abrogare il Patto di stabilità e di crescita.

– Critica fortemente il fatto che si terrà conto delle “riforme strutturali” in sede di valutazioni di bilancio, in quanto ciò costituirà per gli Stati membri un incentivo antisociale e perverso a smantellare la previdenza e lo stato sociale per ottenere valori inferiori ai fini della procedura di deficit.

– Rimarca l’affermazione del Consiglio secondo cui l’attuale versione della direttiva sui servizi nel mercato interno non è del tutto idonea a preservare il Modello sociale europeo; si rammarica che il Consiglio non abbia colto l’opportunità per respingere in toto la proposta.

– Considera che la lotta contro le diseguaglianze di reddito e la promozione della convergenza reale devono figurare in testa all’agenda economica e sociale dell’UE.

 
  
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  Gollnisch (NI) , per iscritto. – (FR) Il Consiglio europeo tenutosi lo scorso marzo è stato occasione di una nuova dimostrazione d’ipocrisia da parte dei vertici dell’Unione europea, allarmati all’idea di una possibile vittoria del “no” al referendum francese.

Malgrado i toni tranquillizzanti con cui si discute, la direttiva Bolkestein non è stata integralmente rivista, né ritirata, e prosegue il consueto iter legislativo, con un’unica concessione: il Consiglio dei ministri cercherà di trovare consensi. Vogliono farci credere in una grande vittoria diplomatica, quando altro non è se non l’applicazione di un metodo vecchio di 40 anni, “il compromesso di Lussemburgo.”

La riforma del Patto di stabilità e di crescita, dannosa imposizione a livello di bilancio, è una pura illusione. I negoziati sulla Costituzione europea avrebbero potuto essere l’occasione per una riforma radicale dei parametri di Maastricht, che risultano quasi del tutto privi di significato economico, e per imporre alla Banca centrale europea il sostegno alle priorità dell’occupazione e della crescita. Non si è fatto nulla di tutto questo. Invece, abbiamo ottenuto questi miseri ritocchi, mentre il Patto continua ad accrescere, se non addirittura a provocare, difficoltà economiche e sociali nei nostri paesi.

Queste manovre sono ridicole. Non riusciranno a ingannare coloro che, in numero sempre maggiore, rifiutano lo sviluppo dell’Europa di Bruxelles.

 
  
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  Kirkhope (PPE-DE) , per iscritto. – (EN) Io e i miei colleghi del partito conservatore britannico ci siamo astenuti dal voto, a causa della nostra forte delusione per l’esito del Consiglio europeo del 22-23 marzo. Continuiamo a sostenere l’impegno del Presidente della Commissione a portare avanti l’essenziale riforma economica in Europa, ma riteniamo che i suoi sforzi siano stati disattesi dalle decisioni dei capi di Stato e di governo al Consiglio europeo del marzo scorso. Il tentativo di attenuare la direttiva sui servizi in ragione di considerazioni politiche a breve termine ha compromesso l’agenda delle riforme e impedito qualsiasi tentativo di favorire la competitività europea. Le modifiche proposte al Patto di stabilità e di crescita dimostrano che i fattori politici hanno maggior peso delle valutazioni economiche, e in tal modo il Patto va screditandosi sempre più.

Accogliamo con favore alcuni punti delle conclusioni della Presidenza, fra cui l’impegno per uno sviluppo sostenibile e il protocollo di Kyoto, e le dure parole della risoluzione contro la revoca dell’embargo sulle armi imposto alla Cina. Inoltre, riteniamo importante che si stia considerando con la dovuta urgenza la necessità di cautelarsi contro il rischio di un’eventuale pandemia influenzale.

 
  
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  Lang (NI) , per iscritto. – (FR) Contrariamente a quanto affermato in Francia dai sostenitori della Costituzione europea, il 23 marzo a Bruxelles il Presidente Chirac non ha ottenuto il ritiro della direttiva Bolkestein. Nelle sue conclusioni il Consiglio europeo dichiara che la direttiva non sarà ritirata, precisando tra l’altro che deve restare nell’agenda europea, poiché la strategia applicata in materia di crescita, occupazione e competitività implica l’apertura del mercato dei servizi.

Tuttavia, questa non è l’unica menzogna degli ipocriti nello schieramento del sì. Lo stesso ex Commissario Bolkestein ha fatto notare che, fino a quest’anno, né il Presidente Chirac, né il Primo Ministro Raffarin avevano espresso la benché minima riserva sulla direttiva, approvata dai Commissari francesi, il socialista Pascal Lamy e il sostenitore di Chirac, Michel Barnier. L’ex Commissario Bolkestein, a buon diritto, non ha fatto altro che attuare una decisione presa nel 2000 all’epoca del Vertice di Lisbona, in cui la Francia era rappresentata dal Presidente Chirac e dal Primo Ministro Jospin.

Peraltro questa direttiva è solo un assaggio di ciò che ci attende, se la Costituzione europea sarà adottata. Gli articoli 144, 145 e 148 del testo sono chiari. Vi piaceva la direttiva Bolkestein? Adorerete la Costituzione europea.

Votando “no”, il 29 maggio, i francesi difenderanno i loro posti di lavoro e i loro diritti sociali.

 
  
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  Lulling (PPE-DE) , per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione sui risultati del Consiglio europeo, ma, tengo ancora a precisare un punto rispetto al Patto di stabilità e di crescita: deploro che i dibattiti sulla riforma del Patto si riducano ad arringhe in difesa di interessi particolari, anziché vertere su questioni oggettive.

Avevo fatto notare che questo atteggiamento ha avuto effetti psicologici distruttivi. Non solo il principio di parità di trattamento tra Stati membri ne ha sofferto di conseguenza, ma anche le basi di una comunità fondata sullo Stato di diritto sembrano essere state scosse.

Il clima di sfiducia che circonda la riforma è il risultato di tale comportamento. Sarebbe stato più utile riaffermare il carattere di inviolabilità delle regole comuni che sono state decise, piuttosto che sentire noiose dichiarazioni trionfanti da parte dei vari capi di Stato a chiusura del Consiglio europeo. Bisogna chiedersi se sono tutti ben consapevoli che è in gioco la gestione di un bene comune, la moneta unica.

Vorrei ricordare quanto ho detto l’autunno scorso: preferisco un Patto riformato a un Patto moribondo, perché sarebbe più rispettato. Per continuare con le metafore, vorrei mettere in evidenza che oggi il Patto sta meglio, ma è convalescente, molto debole e incapace di sopportare altri traumi.

 
  
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  Mann, Thomas (PPE-DE), per iscritto. (DE) Ho votato a favore della risoluzione sul Vertice del Consiglio di marzo. Era urgentemente necessario stabilire nuove priorità per il processo di Lisbona, alla luce della crescita che attualmente registra un misero 1,7 per cento e di un tasso di occupazione del 63 per cento anziché del 70 per cento.

Dalla rifocalizzazione della strategia su crescita e occupazione trarranno vantaggio soprattutto le PMI, che assicurano l’80 per cento dei posti e lavoro e il 70 per cento dei posti di formazione. Le critiche di "neoliberalismo" sono sbagliate, poiché non si tratta di abbassare gli standard minimi, ma di ottenere nuovi e migliori posti di lavoro. Il modello sociale europeo va reso stabile grazie a investimenti nel capitale umano e nella moderna previdenza sociale e con un maggiore coinvolgimento delle parti sociali.

A tale riguardo riveste particolare importanza il “Patto europeo per la gioventù”, che persegue obiettivi di inserimento duraturo nel mercato del lavoro, migliore formazione generale e professionale e maggiore mobilità per i giovani. Per gli anziani è importante la campagna “Invecchiamento attivo”. Esperienza, competenza e capacità di questi lavoratori meritano di essere valorizzate. Occorre intraprendere azioni affinché questa categoria di lavoratori possa mantenere un’occupazione più a lungo e beneficiare di una più ampia partecipazione a misure di formazione e specializzazione. Inoltre si deve migliorare nel complesso l’integrazione degli anziani nella società. Conto sulle presentazione di proposte concrete in risposta al Libro verde della Commissione sulla situazione demografica nell’Unione.

 
  
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  Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) La riforma del Patto di stabilità e la revisione intermedia della strategia di Lisbona sono le due armi con cui saranno vieppiù attaccati i popoli, in particolare i giovani.

Si sta preparando un nuovo attacco contro la base. Il Patto di stabilità riformato non rivede gli obiettivi della politica contro i lavoratori che si oppone ai movimenti di base. Al contrario, a braccetto con la strategia di Lisbona, viene impresso un notevole slancio alle grandi società e si esaudiscono le richieste dell’asse franco-tedesco.

Tagli agli stipendi e alle pensioni nonché più povertà e disoccupazione non sono che le dirette conseguenze di decisioni quali la riduzione dei sistemi previdenziali, l’abolizione dei contratti collettivi, la generalizzazione del lavoro a tempo parziale e temporaneo, la liberalizzazione dell’orario di lavoro, la riduzione degli aiuti di Stato e dei sussidi, la piena liberalizzazione del mercato con maggiori privatizzazioni, i tagli drastici ai contributi di previdenza sociale dei datori di lavoro nonché la diffusione delle assicurazioni private.

In particolare, il Patto europeo per la gioventù e la promozione dei tirocini e dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita comporteranno analfabetismo permanente e flessibilità a favore delle grandi imprese.

La strada da percorrere per i cittadini e i giovani è la resistenza e la disobbedienza alle decisioni antipopolari adottate dal Consiglio europeo.

 
  
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  Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa risoluzione, ma non posso fare a meno di esprimere una certa delusione per i risultati del Consiglio europeo del 22 e 23 marzo 2005.

Sia la revisione della strategia di Lisbona che la riforma del Patto di stabilità e di crescita hanno peccato di scarsa ambizione. Le finanze pubbliche devono essere ottimizzate, gli investimenti richiedono razionalità ed efficacia, non un maggiore indebitamento.

D’altro canto la strategia di Lisbona doveva essere rivista perché occorreva renderla più realistica e più orientata a un’autentica competitività. I posti di lavoro non si creano per decreto, li crea un’economia sana, e da questo punto di vista non si può dire che l’Unione abbia fatto granché.

 
  
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  Ribeiro e Castro (PPE-DE), per iscritto. – (PT) A una prima analisi pare evidente che il Consiglio europeo di Bruxelles rimarrà indissolubilmente legato alla revisione dei criteri del Patto di stabilità e di crescita che in quest’occasione sono stati modificati a seguito di vari casi di inadempimento. Tali modifiche, che intendono porre rimedio all’eccessiva rigidità del testo originale, devono tuttavia evitare ad ogni costo di mancare di chiarezza, perché, in caso contrario, potrebbero influire negativamente sulla credibilità internazionale dell’euro e sulla stabilità delle finanze pubbliche degli Stati membri.

Un altro aspetto significativo su cui si è concentrata l’attenzione del Consiglio è stato il rilancio della strategia di Lisbona, che in questa fase intermedia registra esiti negativi. Credo che la strategia di Lisbona sia stata vittima della sua stessa ambizione e del carattere vago, quasi declamatorio, di alcuni degli obiettivi proposti, per il cui raggiungimento non erano state definite tabelle di marcia precise. E’ indispensabile che un maggiore realismo si accompagni all’ambizione.

Nonostante qualche riserva su alcune formulazioni della direttiva sui servizi, dovuta soprattutto all’enunciazione e alla difesa a oltranza del cosiddetto principio del paese d’origine, resto dell’opinione che questo testo normativo contenga aspetti ampiamente positivi, che meritano di essere adottati e messi in pratica su scala europea.

Ho votato a favore della proposta di risoluzione presentata dal gruppo PPE/DE poiché ritengo che individui in modo critico e chiaro i principali effetti delle proposte del Consiglio europeo.

 
  
  

(La seduta, sospesa alle 14.00, riprende alle 15.05)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. OUZKÝ
Vicepresidente

 

18. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale

19. Stato dell’integrazione regionale nei Balcani occidentali
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sullo stato dell’integrazione regionale nei Balcani occidentali.

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, il Consiglio presta sempre molta attenzione ai rapporti tra i Balcani occidentali e l’Unione europea, che rimane, del resto, fortemente impegnata nel processo di stabilizzazione e di associazione di questa regione confinante. Nel quadro della strategia europea in materia di sicurezza, tale regione rappresenta un’alta priorità per l’Unione europea, come è peraltro comprovato, oltre che dagli aspetti civili, dalla presenza della componente militare e di polizia dell’UE nei Balcani occidentali.

Il futuro di questa regione risiede nell’Unione europea. Il Vertice di Salonicco del 21 giugno 2003 ha chiaramente sottolineato la vocazione europea dei Balcani occidentali. Benché l’impegno dell’Unione in loro favore sia inequivocabile, spetta ai paesi della regione farne buon uso. Essi devono dimostrare, mediante politiche e azioni concrete, la capacità e la volontà di diventare, al momento giusto, candidati all’adesione all’Unione europea per entrare, un giorno, a farne parte. L’Unione continuerà a sostenerli attivamente nelle iniziative di riforma politica e istituzionale. Ciò richiede, indubbiamente, perseveranza e un forte impegno da entrambe le parti perché vi sono ancora molte sfide da cogliere.

Tali sfide, tuttavia, possono essere affrontate e superate, perché è nell’interesse dei popoli dei Balcani occidentali che, sicuramente, hanno attraversato periodi oscuri. Favorire il loro cammino verso l’Europa è altresì nell’interesse dell’Unione europea, perché il nostro primo obiettivo deve essere la pace e la stabilità del continente europeo.

Il processo di stabilizzazione e di associazione rimane il contesto generale del cammino europeo dei Balcani occidentali verso la futura adesione. Esso è volto ad aiutare i paesi della regione a instaurare una pace, democrazia, stabilità, prosperità sostenibili e il rispetto dei diritti delle minoranze: questi obiettivi sono gli stessi del progetto europeo che, dopo la più terribile delle guerre, ha saputo riconciliare nazioni nemiche permettendo loro di costruire un futuro comune. E’ importante ricordare che questo stesso ideale, questa stessa visione hanno anche arricchito l’esperienza dell’ultimo allargamento. Questa mattina abbiamo preso una decisione molto importante, o meglio, l’Assemblea ha preso una decisione molto importante al riguardo sulla Bulgaria e la Romania.

Ogni anno il Consiglio svolge, sulla base delle relazioni annuali della Commissione, un’analisi dei progressi realizzati dai paesi del processo di stabilizzazione e di associazione e, al contempo, dei problemi irrisolti. Si tratta di un esercizio importante, che ci ricorda che i Balcani occidentali progrediscono sulla via dell’integrazione nell’Unione europea. Come convenuto al Vertice di Salonicco, nel 2004 l’Unione ha per la prima volta concluso partenariati europei con i paesi della regione, che la Commissione ha presentato insieme alle relazioni sui partenariati e sul processo di stabilizzazione e di associazione. Essi traggono ispirazione dai partenariati per l’adesione dei paesi candidati e fungono da piani d’azione personalizzati, adeguati alle specifiche situazioni di ciascun paese, indicando le specifiche misure da intraprendere in via prioritaria. La Commissione e il Consiglio seguono da vicino i progressi registrati nella loro realizzazione.

L’approccio dell’Unione nei confronti dei Balcani è quindi già fortemente improntato al singolo paese e basato sul principio dei meriti propri del singolo Stato. Tutti i partecipanti al Vertice di Salonicco hanno accettato il fatto che la rapidità con cui i paesi della regione avanzeranno verso la futura adesione dipenderà dal ritmo a cui attueranno le riforme necessarie e si conformeranno ai criteri esistenti di Copenaghen e del processo di stabilizzazione e di associazione. Chi otterrà migliori risultati potrà procedere più rapidamente. Attualmente, solo due paesi hanno concluso un accordo di stabilizzazione e di associazione con l’Unione europea, vale a dire la Croazia e l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia. Al momento, la Croazia è il primo paese della regione a essere diventato paese candidato.

Il processo è quindi globale, ma segue l’approccio orientato ai meriti propri del singolo paese. La prospettiva di adesione, l’unica garanzia che lo sviluppo di questi paesi si traduca in una realtà comune a tutti, si applica in base a questo principio.

Durante l’ultima analisi del Consiglio sul processo di stabilizzazione e di associazione, effettuata nel maggio 2004, il Consiglio si è rallegrato dei progressi compiuti nella regione, potendo constatare una stabilizzazione durevole della situazione in materia di sicurezza. Tuttavia, nonostante i successi degli ultimi anni, purtroppo non si può completamente escludere la possibilità che insorgano situazioni che sfuggono al controllo, che si verifichino episodi di violenza o che vengano messi in dubbio i valori fondamentali su cui poggia la costruzione europea. Per tale motivo occorre rimanere particolarmente attenti e vigili ai possibili sviluppi. La pace e la stabilità non possono essere date per scontate in questa regione. Il retaggio di un passato oscuro, sconvolto da un nazionalismo distruttivo, non è totalmente scomparso.

Il 2005 sarà, per la regione, un anno che porterà grandi opportunità. Il Consiglio seguirà da vicino la continua applicazione dell’accordo quadro di Ohrid nell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, paese che ha presentato richiesta di candidatura all’Unione europea. Inoltre, l’evoluzione politica dell’Albania, soprattutto in vista delle elezioni legislative che si svolgeranno la prossima estate, merita tutta la nostra attenzione.

In riferimento alla Serbia e Montenegro e alla Bosnia ed Erzegovina, durante il semestre in corso il Consiglio deve esprimersi sulla possibilità di negoziare un accordo di stabilizzazione e di associazione. Nel contempo proseguono i negoziati su un accordo analogo con l’Albania e, nella seconda parte dell’anno, il Consiglio dovrà prendere in esame la domanda di adesione dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia in base al parere della Commissione. Per il Kosovo vi sarà una prima occasione di valutare i progressi raggiunti nell’effettiva osservanza delle norme sancite dall’ONU a metà del 2005: dall’esito positivo di questa valutazione dipenderà lo sviluppo di un processo teso a determinare, attraverso il dialogo e la cooperazione tra tutte le parti interessate, il futuro status del paese. Infine, nel caso della Croazia la conferenza intergovernativa sui negoziati di adesione sarà convocata di comune accordo non appena il Consiglio confermerà – e spero lo faccia al più presto – la piena collaborazione del paese con il Tribunale dell’Aia.

La cooperazione incondizionata con il Tribunale è una condizione irrinunciabile per tutti i paesi dei Balcani occidentali. Negli ultimi mesi si sono fatti concreti passi avanti, ma occorre consolidare i progressi compiuti.

Le iniziative dell’Unione europea per promuovere l’integrazione regionale nei Balcani occidentali, in particolare in materia di infrastrutture, istruzione, rientro dei rifugiati, lotta alla criminalità e scambi culturali, sono veramente essenziali.

La cooperazione regionale che dà impulso all’integrazione economica della regione è uno strumento importante per promuovere la riconciliazione, favorire le riforme e, soprattutto, migliorare la situazione economica e sociale locale. In alcune zone dei Balcani occidentali esiste una disoccupazione endemica, che ha raggiunto livelli record ed è in gran parte dovuta alla mancanza di investimenti privati. Essa è uno dei principali fattori di instabilità sia sociale che politica. Per tale motivo il Consiglio attribuisce particolare importanza alla promozione della cooperazione regionale, elemento chiave del partenariato di stabilizzazione e di associazione. Nell’analisi svolta su questo processo nel maggio 2004, il Consiglio si è rallegrato dei sensibili miglioramenti registrati nella cooperazione regionale, soprattutto nell’ambito delle infrastrutture, del commercio e dell’energia.

La Commissione sta ora realizzando alcuni progetti di assistenza nei settori menzionati nell’interrogazione nel quadro del programma CARDS e, specialmente in Croazia, attraverso gli strumenti di preadesione che, in questo senso, rivestono un’importanza particolare. Tra gli obiettivi del regolamento CARDS, infatti, figura la realizzazione di progetti di ricostruzione, la concessione di aiuti a favore del rientro dei rifugiati e della stabilizzazione regionale, nonché la promozione della cooperazione regionale. Il Consiglio sta ora portando avanti un dibattito sul nuovo strumento finanziario per gli aiuti di preadesione proposto dalla Commissione che, a partire dal 2007, rappresenterà il quadro dell’assistenza comunitaria a favore dei paesi candidati e dei potenziali candidati, tra cui rientrano i Balcani occidentali.

 
  
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  Rehn, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, ringrazio il Parlamento e il relatore, onorevole Samuelsen, per la lungimirante risoluzione sui Balcani occidentali e l’impegno che il Parlamento e la commissione per gli affari esteri dimostrano nei confronti di questa regione. Gran parte di questi paesi sta facendo concreti passi avanti nei rapporti con l’Unione europea. Essi devono, tuttavia, risolvere ancora molte questioni, oltre che rafforzare e consolidare i progressi compiuti.

Per i Balcani occidentali, il 2005 e il 2006 saranno anni cruciali per i rapporti con l’Unione europea. Siamo di fronte a una vera e propria svolta. Dobbiamo risolvere alcuni problemi a breve termine per poterci concentrare sullo sviluppo sociale ed economico a lungo termine. I temi più critici e immediati riguardano la conclusione dei lavori del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia – il TPIJ – e la decisione sul futuro status del Kosovo.

In qualità di ex deputato al Parlamento europeo, sono sempre stato orgoglioso degli importanti risultati raggiunti dall’Assemblea nel difendere il rispetto dei diritti umani e dei relativi obblighi internazionali, e nel sostenere il sistema multilaterale basato sulle Nazioni Unite. Per tale motivo accolgo con molto favore i pareri del Parlamento espressi ai paragrafi 37 e 46 in cui si cita la piena collaborazione con il TPIJ, il Tribunale dell’Aia. Il sostegno a favore dei diritti umani, dello Stato di diritto e del quadro multilaterale fondato sull’ONU è il motivo per cui l’Unione europea ha imposto come condizione, nei rapporti con i paesi della regione, la collaborazione con il TPIJ. Quest’autunno, probabilmente a novembre, la Commissione presenterà il “pacchetto allargamento” e riferirà con maggiori dettagli in merito ai progressi compiuti da questi paesi.

Vorrei ora cogliere l’opportunità per descrivere a grandi linee la nostra posizione odierna nei confronti di questi paesi. In merito all’Albania, condivido la preoccupazione espressa nella risoluzione del Parlamento per il clima politico, soprattutto in considerazione delle elezioni legislative della prossima estate. Di recente ho scritto al Primo Ministro Nano per sottolineare che la Commissione potrà proporre la conclusione dei negoziati sull’accordo di stabilizzazione e di associazione solo se le elezioni parlamentari estive si svolgeranno nel rispetto delle norme internazionali. Il paese dovrà, inoltre, raggiungere risultati concreti nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata.

La Bosnia ed Erzegovina si sta adoperando per fare fronte alle priorità da noi individuate nella relazione di fattibilità alla fine del 2003. Quando il paese avrà compiuto numerosi progressi in tutti i settori prioritari, potremo raccomandare l’apertura dei negoziati sull’accordo di stabilizzazione e di associazione. Spero saremo in grado di farlo il mese prossimo.

Si sono registrati molti miglioramenti nella cooperazione con il TPIJ, e occorre proseguire in tal senso per garantire una collaborazione a tutti gli effetti. Per l’apertura dei negoziati ASA, la riforma della polizia è una condizione particolarmente importante per la Bosnia ed Erzegovina.

L’Alto rappresentante e l’Unione sono stati determinanti per lo sviluppo della stabilità e delle riforme nel paese. Credo, tuttavia, che la Bosnia ed Erzegovina sia ora pronta ad assumersi maggiori responsabilità nel decidere del proprio futuro. Considerando la presenza di autorità consapevoli e democraticamente responsabili a livello nazionale, prevedo una tranquilla e graduale uscita di scena dell’Ufficio dell’Alto rappresentante. Con l’approssimarsi del decimo anniversario degli accordi di pace di Dayton, è veramente arrivato il momento di passare dall’era di Dayton all’era di Bruxelles.

Sono deluso dal fatto che la Croazia non sia riuscita a stabilire una piena cooperazione con il TPIJ entro metà maggio. Come sapete, a dicembre il Consiglio europeo ha deciso che i negoziati di adesione avrebbero potuto aprirsi il 17 marzo solo in presenza di una collaborazione incondizionata con il Tribunale dell’Aia.

Qui entra in gioco la volontà e la capacità delle strutture statali croate di rispettare lo Stato di diritto e gli obblighi internazionali. La Croazia deve ora dimostrare piena collaborazione con il TPIJ. Sarò chiaro: il futuro del paese è nell’Unione europea. Tramite l’adozione del quadro negoziale, l’UE ha fatto tutto il necessario per dare il via ai negoziati. L’Unione sarà pronta, quando la Croazia lo sarà.

Passerò ora all’ex Repubblica jugoslava di Macedonia. Insieme al Presidente Barroso ho incontrato il Primo Ministro Bučkowski a febbraio, quando ci ha consegnato le risposte del paese al questionario sottoposto dalla Commissione. I miei servizi stanno ora procedendo all’analisi delle 13 000 pagine – 45 chili – di risposte.

Ci aspettiamo che il governo compia ulteriori progressi nel programma di riforme, rafforzi lo Stato di diritto e dia applicazione all’accordo quadro di Ohrid. Sono preoccupato per le relazioni dell’OSCE che denunciano il ripetersi di irregolarità alle ultime elezioni comunali. Ora le autorità dovranno reagire con decisione e fare in modo che le future elezioni si svolgano nel pieno rispetto delle norme internazionali. In base agli sviluppi politici, ai risultati raggiunti nelle riforme giuridiche, politiche ed economiche, e alla qualità tecnica delle risposte intendiamo adottare un parere entro la fine dell’anno.

Ieri la Commissione ha preso una decisione positiva sullo studio di fattibilità per la Serbia e Montenegro: riteniamo, infatti, che il paese sia sufficientemente pronto a negoziare un accordo di stabilizzazione e di associazione con l’Unione europea.

Dobbiamo riservare ai paesi un trattamento paritario in fasi uguali: per ogni paese, dobbiamo usare lo stesso metro di valutazione durante la stessa fase. Negoziare un accordo di stabilizzazione e di associazione è molto diverso dal negoziare l’adesione all’Unione. Le nostre richieste aumenteranno man mano che la Serbia e Montenegro avanzeranno in questo processo.

La Serbia e Montenegro ha dovuto impegnarsi molto per giungere alla situazione attuale. Mi rallegro per l’accordo concluso la scorsa settimana sulla Carta costituzionale, che garantisce la legittimità del parlamento dell’Unione statale. Sono lieto che, alla fine, il paese abbia registrato significativi miglioramenti nella cooperazione con il Tribunale dell’Aia. Nell’arco dell’anno una dozzina di persone accusate di crimini di guerra sono state inviate all’Aia, ma occorre impegnarsi di più fino a quando nessuno degli imputati sarà più in libertà. Non sarà minimamente possibile considerare l’apertura dei negoziati di adesione sino a quando il paese non avrà garantito piena collaborazione con il TPIJ. Con l’approssimarsi del decimo anniversario di Srebrenica a luglio, Radovan Karadzić e Ratko Mladić devono essere assicurati alla giustizia.

Per la Serbia e Montenegro, questo è l’inizio del cammino verso l’Europa. Il paese ha raggiunto risultati molto importanti negli ultimi anni. E’ ora di proseguire, è ora di premiare i grandi progressi, di dimostrare a questi cittadini che l’adempimento ai principali obblighi internazionali li avvicina all’Unione europea.

Il Kosovo sarà un tema prioritario nei prossimi mesi, poiché alla metà del 2005 si procederà al riesame dell’applicazione delle norme che, con ogni probabilità, sarà seguito dalle discussioni sul futuro status del Kosovo.

Ci stiamo impegnando ad aiutare le autorità kosovare a procedere nell’applicazione delle norme ONU, soprattutto in materia di Stato di diritto e di diritti delle minoranze. Quando sarà presa una decisione sullo status, continueremo a sostenere i progressi del paese verso l’integrazione europea.

La prossima settimana la Commissione intende presentare una comunicazione dal titolo “Un futuro europeo per il Kosovo”, che lancerà un chiaro segnale ai leader e al popolo kosovari sul grande impegno assunto dall’UE per il loro futuro europeo. Ci auguriamo, inoltre, che i leader kosovari diano prova di un atteggiamento costruttivo, incontrando i leader serbi che hanno teso loro la mano.

Anche Belgrado deve operare in maniera positiva per risolvere la questione. Nello studio di fattibilità per la Serbia e Montenegro, abbiamo chiaramente affermato che le aspirazioni europee del paese sono legate a un esito positivo della decisione sullo status del Kosovo.

Per ricapitolare, benché per i Balcani occidentali la via dell’integrazione europea sia irta di insidie e difficoltà, la maggior parte dei paesi sta facendo continui passi avanti. I paesi che combattono per riformare economie antiquate e costruire società moderne basate sul rispetto dei diritti umani e lo Stato di diritto devono, al tempo stesso, far fronte al retaggio della guerra.

In questo contesto vorrei sottolineare l’importanza della cooperazione regionale. I buoni rapporti di vicinato e la cooperazione economica regionale sono alla base dell’Unione europea: essi stimolano la stabilità, la riconciliazione e la normalizzazione delle relazioni politiche.

E’ una grandissima sfida per i paesi della regione e dell’Unione europea. Forse è addirittura chiedere troppo, ma sono certo che siamo sulla buona strada. Meno dovremo concentrarci sulla stabilità e sulla sicurezza, più potremo destinare le risorse allo sviluppo sociale ed economico, come giustamente sottolineato nella relazione Samuelsen.

 
  
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  Pack, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la politica estera dell’Unione europea dovrebbe concentrarsi sull’Europa sudorientale, e l’UE dovrebbe adottare misure coerenti per finire ciò che ha iniziato alla metà degli anni ’90. Sinora, però, le misure intraprese sono state modeste. Con la presente relazione si volevano esercitare pressioni sul Consiglio e sulla Commissione, e oggi abbiamo appreso che questa linea di azione si è rivelata valida, perlomeno in questa fase. Sono lieta delle parole appena pronunciate dal Commissario, secondo cui la Commissione intende finalmente presentare una comunicazione sul Kosovo, mentre il Presidente in carica del Consiglio ha aggiunto che il Consiglio farà il possibile per sostenere con azioni adeguate l’accresciuto interesse per questa regione.

Tuttavia, dobbiamo anche chiederci che iniziative stanno prendendo i paesi stessi. Dai due precedenti interventi è già emerso che l’Albania deve necessariamente garantire, dopo lungo tempo, un adeguato svolgimento delle prossime elezioni senza alcuna manipolazione dei risultati. Il governo albanese, inoltre, deve una volta per tutte affrontare seriamente la questione della governance, con la lotta alla corruzione e l’attuazione della legislazione. E’ risaputo che la Macedonia deve stringere i tempi con il processo di Århus per permettere agli albanesi, che nell’insieme costituiscono il 25 per cento della popolazione, di sentirsi trattati alla pari degli altri cittadini. Sino a quel momento, sarà impossibile per il paese fungere da forza stabilizzante della regione.

Per molto tempo la Commissione e il Consiglio hanno dovuto esercitare pressioni sui politici locali in Bosnia ed Erzegovina per emendare l’accordo di Dayton in maniera tale da potere stabilire una comunità funzionante. Il paese non sarà mai in grado di aderire all’Unione europea allo stato attuale. La cooperazione con il Tribunale dell’Aia è ancora troppo limitata, e un numero insufficiente di rifugiati ha fatto ritorno nella Republika Srpska.

Riguardo alla Serbia, al Montenegro e al Kosovo, la confederazione tra Serbia e Montenegro è ben lungi dall’essere solida, e nel prossimo futuro occorre prendere una decisione in merito a un suo eventuale scioglimento o meno. Belgrado e Pristina devono collaborare sotto l’egida dell’ONU e dell’UE per trovare al più presto una soluzione alla questione del Kosovo, e non c’è motivo di non trovarla dato che tutti i paesi interessati desiderano entrare a far parte dell’Unione europea. Spero che la Croazia possa convincere la missione di monitoraggio della sua piena collaborazione.

Tutti i paesi menzionati devono affrontare enormi problemi nei propri sistemi giudiziari e nella lotta alla corruzione, e sono privi di capacità amministrative. Dobbiamo cercare di aiutarli in questo senso, prestando a tutti assistenza con maggiore coerenza e impegno. Dobbiamo garantire loro l’accesso agli strumenti di preadesione affinché sviluppino sane economie nazionali e democrazie funzionanti. Se si raggiunge tale obiettivo, tutti ne trarranno vantaggi, soprattutto i giovani dei paesi in questione.

 
  
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  Swoboda, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, onorevoli colleghi, oggi abbiamo votato con una maggioranza schiacciante a favore dell’adesione della Bulgaria e della Romania all’Unione europea. Indubbiamente si è insinuata una sensazione di stanchezza nei confronti dell’allargamento sia tra i deputati dell’Assemblea – anche tra alcuni che hanno votato a favore – sia tra l’opinione pubblica. Negli ultimi tempi è stato particolarmente impegnativo discutere delle prossime fasi di allargamento, ma il Consiglio, la Commissione e il Parlamento devono collaborare per spiegare all’opinione pubblica che questo è l’unico modo per stabilizzare la regione. Occorre anche spiegare chiaramente che sviluppi negativi di questi paesi comporterebbero maggiori rischi d’insorgenza di problemi quali la criminalità transfrontaliera, la corruzione o lo scoppio di nuovi conflitti etnici, rischi che possono essere evitati solo se i paesi avranno una chiara prospettiva di integrazione europea. Sono molto grato alla Presidenza e alla Commissione per avere, oggi, sottolineato questo aspetto.

Ora dobbiamo rivolgere con fermezza la nostra attenzione a questa regione, soprattutto alla luce delle decisioni oggi adottate, e ringrazio il Consiglio per avere trovato una soluzione volta ad aiutare la Croazia. Essa prevede un attento monitoraggio delle misure intraprese dal paese per consegnare Gotovina al Tribunale dell’Aia, e spero che entrambe le parti si mettano all’opera senza indugio, consentendoci di aprire i negoziati con la Croazia nel prossimo futuro. Il paese ha compiuto moltissimi progressi con i precedenti governi, e il governo attuale può realmente fare da guida o da traino – in base all’analogia che preferite – al resto della regione. Un eventuale accordo da noi raggiunto con la Croazia, quindi, non deve essere considerato un attacco alla Serbia o a un altro paese, perché sarebbe teso a recare benefici all’intera regione.

Sono ovviamente convinto che saremmo tutti contenti se la Serbia, il Montenegro e il Kosovo si unissero in perfetta armonia per formare un solo paese, ma ciò è altamente improbabile alla luce di quanto è successo, soprattutto se ci riferiamo al Kosovo. Ritengo quindi necessario trovare un modo per questi paesi – o perlomeno per il Kosovo – di acquisire l’indipendenza pur mantenendo i propri legami storici ed etnici. Sia che si assuma a modello la Comunità di Stati indipendenti, sia che venga istituita un’altra forma di cooperazione, chiedo al Consiglio e alla Commissione di essere il più creativi possibile a questo riguardo perché è indispensabile elaborare una soluzione seria al problema della Serbia e Montenegro, nonché a quello del Kosovo, prima della fine del 2006. Posso assicurarvi che l’Assemblea vi darà tutto il suo appoggio se avanzerete buone proposte.

 
  
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  Samuelsen, a nome del gruppo ALDE. – (DA) Signor Presidente, è vero che la regione è ancora afflitta da molti problemi, com’è anche stato sottolineato dai rappresentanti del Consiglio e della Commissione che desidero ringraziare per i loro interventi. E’ anche vero, comunque, che la regione ha molte prospettive, anche riguardo a un’eventuale integrazione nell’Europa odierna.

Vorrei riportare un esempio della Danimarca. L’ultimo allargamento dell’UE ha veramente aperto gli occhi a moltissimi danesi che hanno iniziato a vedere l’Europa sotto una nuova luce: non solo come un club economico per ricchi, ma anche come un club politico basato su valori comuni, che può fungere da motore nello sviluppo delle democrazie e della sicurezza. Di recente abbiamo visto che uno dei partiti danesi che svolgono un ruolo cruciale nel dibattito europeo, il partito socialista popolare, ha cambiato la propria posizione e, da euroscettico, è diventato favorevole all’Europa. Ovviamente, l’ha fatto anche alla luce degli ultimi sviluppi legati all’allargamento.

La prossima grande sfida sarà proprio questa regione e, come abbiamo recentemente visto, ci sono ancora problemi in Albania, Macedonia, Bosnia ed Erzegovina, Serbia e Montenegro, Kosovo e Croazia, che hanno portato al rinvio dei negoziati di adesione. La cosa importante, comunque, è insistere sul fatto che questi paesi abbiano prospettive di integrazione europea, perché proprio queste possono essere la forza propulsiva di cui hanno bisogno. Il resto dell’Europa, inoltre, deve assolutamente dimostrare che si tratta di una zona cruciale per la cooperazione europea.

Ci accingiamo a entrare in un anno emozionante. Sarà l’anno in cui ovviamente – speriamo quanto prima possibile – troveremo una soluzione positiva alla questione croata. Di certo sarà anche l’anno in cui cercheremo di risolvere il problema del nome della Macedonia o dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia e, si auspica, l’anno in cui ci avvicineremo a una decisione sul futuro status del Kosovo.

Vorrei cogliere l’opportunità per ringraziarvi della collaborazione prestata in relazione a questa risoluzione e alla sua stesura. Essa è diventata un utile strumento che contribuirà a mantenere vivi non solo le pressioni e lo slancio che ora sono, com’era auspicabile, parte integrante degli sviluppi, ma anche l’impegno che l’UE deve dimostrare per trovare soluzione ai problemi della regione. Solo così potremo veramente dare il via a questo processo, dandogli un senso per tutte le parti interessate, in modo che appaia evidente in quale direzione ci muoviamo.

 
  
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  Lagendijk, a nome del gruppo Verts/ALE. – (NL) Come è stato sottolineato da molti oratori durante il dibattito, e in tante relazioni e dichiarazioni del Consiglio e della Commissione, i paesi dei Balcani occidentali sono futuri membri dell’Unione europea. Con l’attuale clima sociale, però, è più facile a dirsi che a farsi. L’abbiamo sentito nel dibattito di questa mattina sulla Romania e l’onorevole Swoboda l’ha accennato: c’è una certa stanchezza nei confronti dell’allargamento che, temo, si ripercuoterà soprattutto sulla nostra politica dei Balcani. Sono ancora convinto – per quanto possa essere impopolare, e oggi lo ribadisco per l’ennesima volta – che l’Unione europea necessiti di una strategia per i Balcani. Ieri la Commissione internazionale per i Balcani, composta da moltissimi riguardevoli esperti, ha pubblicato una relazione, di cui vorrei citare una frase sui Balcani occidentali: “le guerre possono essere finite, ma nell’aria si sente ancora odore di violenza”. Viaggiando per la regione, in qualsiasi paese ci si trovi, è questa la situazione: ciò significa che l’Unione europea non può permettersi di pensare che, per il momento, non le conviene, che è meglio lasciare perdere questi paesi. In questa nuova strategia, una strategia per i Balcani volta all’adesione, ci sono due fattori importanti.

Innanzi tutto, e lo ripeto anche se ovvio, l’attuale sviluppo economico e sociale della regione è disastroso, e rappresenta la principale fonte di instabilità. Con forti tassi di disoccupazione è praticamente impossibile, per i giovani, finire gli studi e costruirsi un futuro a livello locale. Questo comporta un aumento della criminalità, dell’incertezza e dell’instabilità, e non è ciò che vogliamo. Dovendo riconoscere qualche merito all’Unione europea, glielo riconosciamo proprio nel rafforzamento dei legami economici tra questi paesi, e tra essi e l’Unione europea.

Un secondo aspetto da non dimenticare è il rispetto delle condizioni fondamentali nel settore dei diritti umani e dei diritti delle minoranze. Benché su questo punto noi, come portavoce sui Balcani, abbiamo avuto opinioni diverse riguardo alla Croazia, credo sia già stato provato che la condizione imposta dal Consiglio per l’avvio dei negoziati, ovverosia la cooperazione con il Tribunale dell’Aia, ha avuto effetti positivi sia in Bosnia-Erzegovina che in Serbia. Ne sono felice e mi congratulo con il Consiglio per avere insistito sulla collaborazione con il Tribunale.

C’è poi una questione che riguarda tutti noi: il Kosovo. Mi sono appena recato sul posto, e sono convinto che la relazione sull’applicazione delle norme e gli eventi accaduti saranno considerati una cosa normale. Sono sicuro che si terrà il dibattito sullo status del paese, durante il quale l’Europa, che lo voglia o no, deve assumere il comando perché ha nelle mani la soluzione giusta. Abbiamo nelle nostre mani il premio per la Serbia e il Kosovo. Questo dibattito sull’indipendenza del Kosovo deve svolgersi alle condizioni che, già ora, sono chiare: nessuna separazione, nessuna cooperazione con l’Albania o la Macedonia e rispetto per la minoranza serba.

Non possiamo permetterci di distogliere lo sguardo e rimanere con le mani in mano, come se per l’Europa ora fosse troppo difficile affrontare la questione dei Balcani. L’inerzia porterà a una situazione intollerabile e pericolosa: non imponiamoci questa passività, e non imponiamola ai paesi dei Balcani!

 
  
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  Meijer, a nome del gruppo GUE/NGL. – (NL) Negli anni ’90 abbiamo pensato di poter risolvere i problemi della ex Jugoslavia istituendo protettorati, inviando amministratori e soldati esterni, e obbligando i rifugiati a tornare nelle zone in cui si era creata una diversa maggioranza etnica. Questo modello americano porta alla stasi. Costringe le persone a rientrare nel ruolo di adolescenti, a dovere aspettare il momento opportuno sino a quando questi impiccioni stranieri se ne saranno andati. L’alternativa è cercare una soluzione pacifica e democratica, partendo dal basso, prendendo in seria considerazione, ad esempio, la visione che i cittadini in Kosovo, Montenegro, nelle diverse entità della Bosnia o nelle due grandi aree linguistiche della Macedonia hanno del proprio futuro, o il modo in cui vogliono chiamarsi. Gli Stati e i gruppi di popolazioni che si sono fatti guerra negli anni ’90 rifiutano ancora la dominazione dei paesi vicini, ma vogliono cooperare con frontiere aperte. Un contributo in tal senso può essere dato con l’inizio anticipato dei negoziati di adesione all’Unione europea, cominciando dalla Croazia e dalla Macedonia. Senza alcun pregiudizio, l’Europa deve ora cercare autentiche soluzioni insieme a tutte le parti interessate.

 
  
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  Belder, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, la Bosnia-Erzegovina è una bomba a orologeria che aspetta di scoppiare! Parole chiare pronunciate da EUFOR, la missione militare dell’Unione europea inviata in quel paese. A quasi dieci anni da Dayton, le parti che erano in guerra continuano inesorabilmente il conflitto etnico a livello politico. La scorsa settimana, la delegazione ad hoc dell’Assemblea non ha per niente visto, a Sarajevo e a Mostar, un quadro rassicurante della situazione in Bosnia-Erzegovina, bensì un quadro che è certamente realistico. Questo ribadisce l’utilità della missione EUFOR a livello locale.

Ci si potrebbe aspettare una posizione conciliatoria da parte delle comunità religiose in Bosnia-Erzegovina, ma i rappresentanti del Consiglio, della Commissione e di EUFOR hanno riferito il contrario. Esorto il Consiglio e la Commissione a continuare a ricordare alle autorità ecclesiastiche e al Reis al-Ulema la loro grande responsabilità in materia. Il recente arresto di bosniaci in Cecenia è un segnale inquietante, perché mostra il pericolo dell’estremismo religioso su cui le fonti EUFOR hanno attirato la nostra attenzione.

La visita della delegazione ad hoc a Sarajevo comprendeva anche un sopralluogo a campi minati. Consiglio e Commissione sappiano che solo lo sminamento di questi campi di morte potrà garantire la transizione a un’esistenza pacifica. Vi prego, fate qualcosa di più per il futuro della Bosnia ed Erzegovina!

 
  
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  Aylward, a nome del gruppo UEN. – (EN) Signor Presidente, sappiamo tutti fin troppo bene che gli ultimi anni hanno portato grande tristezza nella regione dei Balcani e alle molte persone che hanno perso la propria famiglia e i propri cari a causa delle guerre scoppiate in tale area. La fase finale di questo conflitto si è conclusa con l’attacco NATO in Kosovo e il crollo del regime.

Sono pienamente a favore delle politiche dell’Unione europea messe a punto per aiutare a ricostruire le economie dei Balcani occidentali. L’Unione europea perlopiù ha ragione nel considerare l’area dei Balcani un’unica regione. Politicamente si tratta di un tema molto delicato per i futuri rapporti tra Unione europea e Balcani occidentali. In questo momento l’UE è, ovviamente, il maggiore donatore di assistenza economica. I fondi vengono utilizzati per migliorare le principali infrastrutture nel settore dei trasporti, dell’ambiente, dell’energia e delle telecomunicazioni.

Il sostegno dell’Unione europea è diretto anche al consolidamento dell’efficienza delle istituzioni pubbliche, con particolare attenzione rivolta al settore giudiziario, alle forze dell’ordine e alla pubblica amministrazione. Ciò non significa, comunque, che l’Unione europea non critichi gli sviluppi politici della regione. L’UE sta ancora chiedendo la consegna al Tribunale penale internazionale dell’Aia delle persone sospettate di crimini di guerra. Di recente, tuttavia, sono stati registrati sviluppi molto positivi nei Balcani. Accolgo di buon grado la decisione del governo americano di ritirare le truppe dalla Bosnia e di lasciare il controllo delle operazioni di mantenimento della pace alle forze dell’Unione europea.

L’ampia stabilità politica della regione è evidente. Sappiamo che occorre sorvegliare attentamente gli sviluppi politici della zona e appoggio il cosiddetto processo di stabilizzazione e di associazione.

Sono favorevole all’adesione di questi paesi all’Unione europea nel caso in cui soddisfino i criteri di Copenaghen legati al rispetto dello Stato di diritto e alla promozione dei diritti umani. L’Unione europea, come entità politica, conosce e terrà fede ai propri obblighi al riguardo.

 
  
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  Papastamkos (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, i Balcani occidentali sono stati da sempre il banco di prova per sperimentare l’efficacia delle azioni esterne dell’Unione europea.

Sinora la politica europea è stata caratterizzata da una certa frammentarietà, azioni sporadiche, mancanza di coordinamento, e dal fatto di non essere al passo con il potenziale sviluppo della zona. A mio avviso, esistono diversi modi per elaborare una politica europea che dia maggiori risultati nei Balcani occidentali.

Occorre, innanzi tutto, prevedere misure per promuovere la fiducia, la coesione sociale e la sicurezza.

In secondo luogo, l’assistenza europea e le prospettive di integrazione dei Balcani devono essere condizionate all’osservanza di regole severe imposte per l’adeguamento politico, le riforme amministrative e la giustizia.

In terzo luogo, l’UE deve altresì elaborare un piano strategico coeso e all’avanguardia per lo sviluppo dei Balcani, con l’obiettivo a medio termine di crescita integrata e sostenibile e l’obiettivo ultimo di convergenza con l’Unione europea. Il piano delineerà le priorità di ogni singolo paese, evidenzierà i settori di collaborazione e di reciproco vantaggio, indicherà le priorità e le linee d’azione, individuerà e quantificherà i bisogni nei settori principali e destinerà le risorse necessarie alla sua applicazione.

Quarto, è importante sostenere l’integrazione economica regionale, rivolgendo particolare attenzione alle infrastrutture transfrontaliere e alle reti transeuropee.

Quinto, un altro aspetto essenziale riguarda il consolidamento della politica di cooperazione regionale mediante lo sviluppo di un dialogo politico strutturato, ispirato alla precedente Conferenza europea sui paesi dell’Europa centrale e orientale, prima della loro adesione.

Infine, l’emendamento dell’onorevole Samuelsen e simili emendamenti sul nome dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia sono, a mio avviso, inaccettabili per i motivi addotti nella dichiarazione congiunta del gruppo parlamentare Nuova democrazia, copia della quale è stata inviata a tutti i deputati al Parlamento europeo. Volendo dare una minima prova di responsabilità politica e istituzionale, credo che tutti i deputati al Parlamento europeo e i membri delle altre Istituzioni dell’Unione europea debbano usare nomi ufficiali, i nomi delle Nazioni Unite, come il Commissario Rehn ha giustamente fatto.

 
  
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  Beglitis (PSE). – (EL) Signor Presidente, l’iniziativa lanciata dal gruppo Verde/Alleanza libera europea, che propone emendamenti sul nome dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia e chiede il riconoscimento del nome costituzionale del paese da parte dell’Unione europea, mi obbliga da subito a prendere posizione unicamente su questo tema.

Dichiaro nella maniera più categorica possibile che questa iniziativa è in aperto conflitto con le risoluzioni approvate dall’ONU e le decisioni adottate dall’Unione europea e dalle sue Istituzioni, tra cui il Parlamento europeo. E’ un’iniziativa che si oppone apertamente a ogni principio di solidarietà con uno Stato membro dell’Unione europea, la Grecia, che è una delle parti partecipanti al processo negoziale in corso all’ONU teso a trovare una soluzione dignitosa e reciprocamente accettabile, un compromesso logico e onorevole. Tutti noi, compreso questo gruppo, abbiamo denunciato l’azione unilaterale degli Stati Uniti legata al riconoscimento della giurisdizione del Tribunale penale internazionale: oggi, invece, si presentano confermando e accettando l’azione unilaterale degli Stati Uniti d’America, che riconoscono l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia con il suo nome costituzionale. Questa posizione dà vita a un serio problema, mentre oggi dovremmo invece discutere e contribuire a elaborare una strategia europea integrata e congiunta in vista delle grandi sfide e dei pericoli legati a un nuovo confronto e a una nuova instabilità nella zona dei Balcani occidentali. Tale sforzo sarebbe un importante contributo per la difesa degli interessi europei e il rafforzamento delle prospettive di integrazione europea dei paesi della regione. Il conflitto e la guerra nei Balcani devono renderci tutti più attenti, più responsabili e più realistici.

La Grecia è riuscita a trarre insegnamento dal recente conflitto dei Balcani e ha dimostrato, mediante iniziative di pace e cooperazione, di essere un fattore di stabilità. E’ il primo paese europeo per investimenti nella ex Repubblica jugoslava di Macedonia, investimenti che hanno creato oltre 20 000 posti di lavoro. Ha dato prova di un forte senso di responsabilità, di realismo e di volontà di raggiungere un compromesso alle Nazioni Unite per risolvere il problema del nome, cercando un rimedio logico che lasci intatta la dignità di entrambi i paesi. Per questo motivo faccio appello agli amici e onorevoli membri del gruppo Verde/Alleanza libera europea e al relatore, onorevole Samuelsen, affinché ritirino gli emendamenti presentati, almeno per il momento, e invito il Presidente in carica del Consiglio e il Commissario a prendere posizione al riguardo.

 
  
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  Drčar Murko (ALDE). – (SL) Grazie, signor Presidente. Vorrei parlare dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia prendendo in considerazione l’aspetto geostrategico del processo di allargamento dell’Unione europea verso sudest. La posizione geografica del paese nell’instabile regione dei Balcani è estremamente importante per l’Unione europea, soprattutto considerando la mancata decisione sullo status costituzionale del vicino Kosovo e le delicate riforme istituzionali in corso basate sull’accordo quadro di Ohrid.

L’accordo quadro è una prova costituzionale del principio di diversità culturale: in esso il gruppo nazionale di maggioranza, composto da macedoni slavi, esprime l’intenzione di condividere il potere con il gruppo di minoranza, i macedoni albanesi, a tutti i livelli, su scala locale e nazionale. L’accordo si rivela importante per la stabilità della situazione perché segna una svolta nella società civile.

La riforma dei rapporti in seno alla società civile procede di pari passo con la riforma economica. Per continuare in questa direzione, il paese deve avere la possibilità di stabilire rapporti più saldi con l’Unione europea, e necessita del nostro aiuto per consolidare la sua nuova identità. In questo contesto si colloca la domanda posta dal relatore Samuelsen: “Non è forse ora che l’Unione europea consideri di riconoscere il paese con il suo nome costituzionale, Repubblica di Macedonia?”. Grazie.

 
  
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  Kusstatscher (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, l’identità europea di tutte le nazioni e i gruppi etnici dei Balcani che, dopo lunghe sofferenze, ripongono le proprie speranze nell’Unione europea, è evidente. A una più attenta analisi, tuttavia, risulta purtroppo chiaro che le “reti dei vecchi compagni” sono ancora operative in molti Stati balcanici. Le riforme promesse spesso esistono solo sulla carta, e di questo sono colpevoli soprattutto gli ex membri della nomenklatura. Non si fa praticamente nulla per fermare la corruzione, e il divario tra ricchi e poveri cresce sempre più. In alcune zone il tasso di analfabetismo aumenta e la situazione delle minoranze, in modo particolare dei rom, lascia molto a desiderare. Le elezioni vengono manipolate con tangenti e, a volte, addirittura con la violenza.

Tutte le Istituzioni comunitarie devono prestare maggiore attenzione alla situazione reale e non devono lasciarsi ingannare da chi appartiene alle “reti dei vecchi compagni”. Credo che dovremmo prenderci tutto il tempo per esaminare la situazione più attentamente prima di acconsentire a un’adesione di questi paesi all’UE.

 
  
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  Posselt (PPE-DE). (DE) Signor Presidente, contrariamente a quanto affermato da questi documenti, la Croazia non appartiene ai Balcani occidentali. E’ un paese dell’Europa centrale e l’unico, a parte la Svizzera e il Liechtenstein, a non fare ancora parte dell’UE. Poiché soddisfa i criteri di adesione, dovremmo immediatamente aprire i negoziati.

Nei veri Balcani, comunque, rimane ancora moltissimo da fare. La Bosnia-Erzegovina deve essere teatro di una riforma costituzionale per trasformarsi in una forte federazione di tre nazioni con pari diritti, e bisogna porre fine alla dittatura di Lord Ashdown. Prima della fine dell’anno occorre presentare al Kosovo un chiaro piano d’intervento per permettergli di raggiungere l’indipendenza, seppure a determinate condizioni. Qualsiasi altro approccio sarebbe totalmente irrealistico.

La Serbia e Montenegro deve autorizzare, sul territorio nazionale, un attento monitoraggio del rispetto dei diritti umani. A questo proposito, temo che la decisione adottata dalla Commissione questa settimana si basi su troppi equivoci.

In riferimento alla Macedonia occorre risolvere definitivamente la questione del nome e, per quanto rispetti i deputati greci, faccio loro appello affinché rinuncino alle loro vedute così limitate in materia. In Germania la Franconia fa parte della Baviera, e abbiamo anche Francoforte, eppure a nessuno verrebbe mai in mente che la Francia dovrebbe iniziare a chiamarsi Repubblica di Parigi, perché altrimenti potrebbe avanzare rivendicazioni territoriali su Francoforte o sulla Franconia. Siamo nel XXI secolo, e non c’è più spazio per simili stupidaggini.

Dobbiamo definire esattamente dove si trovano i confini dell’UE. L’onorevole Langen appartiene alla schiera di persone che fanno ripetutamente notare che l’UE si allargherebbe eccessivamente acconsentendo all’adesione della Turchia, eppure l’Europa sudorientale è chiaramente europea. Dobbiamo concentrare le nostre energie sulla stabilizzazione dell’Europa sudorientale e della Croazia, un paese dell’Europa centrale che ha ben pochi motivi di essere considerato parte dei Balcani, proprio come la bella città boema di Kaden an der Eger, oppure Monaco o Altenkirchen nella regione del Siegerland. La Croazia appartiene all’Europa centrale e deve essere integrata in Europa. Ciò permetterebbe anche di stabilizzare i vicini Balcani.

 
  
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  Pahor, Borut (PSE). – (SL) Grazie, signor Presidente. Vorrei continuare da dove si è interrotto lo stimato collega, onorevole Posselt.

Concordo con le varie relazioni che si ispirano alla risoluzione, e voterò quindi a favore. Tuttavia, la risoluzione non pone l’accento sul fatto che il ripristino della pace non comporta, di per sé, una soluzione alle complesse e importanti questioni di coesistenza tra i popoli della regione. Sarebbe totalmente sbagliato trarre l’impressione di avere creato Stati totalmente democratici, e pensare di doverci ora, insieme, concentrare esclusivamente su una rapida modernizzazione e integrazione nell’Unione europea.

Credo che l’UE debba adoperarsi con maggiore vigore e responsabilità per garantire una decisione pacifica sullo status fondamentale di alcuni paesi della regione, senza l’uso della forza, mediante un accordo e, cosa ancora più importante, su basi più stabili.

Ad esempio, la mancata riforma dell’accordo di Dayton rappresenta un ostacolo allo sviluppo della Bosnia ed Erzegovina, la questione dello status del Kosovo deve essere risolta, la maggioranza dei serbi e montenegrini desidera vivere in paesi indipendenti, e così via. Penso si tratti di temi fondamentali che meritano una risposta più decisa di quella che possiamo dare in questo momento.

 
  
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  Prodi (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, parlando dei Balcani non possiamo pensare a un assetto stabile se non all’interno dell’Unione. Ma la costruzione dell’Unione può essere attuata solo grazie a una grande spinta popolare, che anche nei Balcani dev’essere il frutto di un processo politico di verità e riconciliazione, che affianchi il processo penale del Tribunale dell’Aia – importante sì – ma non in grado di garantire da solo il raggiungimento della consapevolezza da parte di tutti di chi ha fatto che cosa nella guerra dei primi anni ’90.

Lo scenario che oggi stiamo trattando è quello che può rappresentare la ricomposizione dell’ambito in cui la violenza si è dispiegata e in cui si possono confrontare vittime e carnefici. Solo con questo confronto profondo si può voltare la pagina senza che qualcuno la possa riaprire.

La costruzione di una democrazia ha bisogno di questo passo perché implica il rispetto e la fiducia reciproca; l’Unione ha bisogno di una grande determinazione rivolta al futuro e non può essere ostaggio del passato.

 
  
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  Ibrisagic (PPE-DE). – (SV) Signor Presidente, onorevoli colleghi, non si può dire molto in due minuti, soprattutto se l’argomento è così vasto come quello dei Balcani occidentali. Intendo quindi soffermarmi su alcuni punti comuni a tutti i paesi della regione e sul nostro atteggiamento nei loro confronti.

I Balcani occidentali sono una zona colpita non solo da guerra e distruzione, ma anche da 50 anni di comunismo. Chi come noi ha provato la guerra sa quanto sia facile iniziarla e quanto sia difficile concluderla. Chi come noi ha provato il comunismo sa anche quanto tempo è necessario per costruire la democrazia. In tutti questi paesi di cui parliamo oggi c’è una sorta di divisione: in Croazia tra forze democratiche e non democratiche, in Bosnia tra federazione e Republika Srpska, in Serbia e Montenegro tra i serbi e gli albanesi kosovari. Quando apriamo un dibattito con questi paesi e imponiamo diverse condizioni dobbiamo ricordarcelo, e cercare di aiutare le forze democratiche che esistono nei Balcani occidentali ma che, non sempre, sono così forti e autentiche come crediamo. Quando parliamo, ad esempio, di persone accusate di crimini di guerra nella Republika Srpska o in Serbia che si mettono in fila per venire all’Aia, non molti membri dell’Assemblea sanno che, per farlo, queste persone e le loro famiglie vengono profumatamente pagate dalle autorità. Quando parliamo della Macedonia che partecipa volontariamente ai negoziati sul cambiamento del nome, non molti membri dell’Assemblea sanno che questa è solo una parte della verità, perché solo rappresentanti greci sono presenti ai negoziati, e non rappresentanti macedoni in grado di esprimere la propria opinione al riguardo.

Vorrei anche sottolineare che tutte le decisioni del Parlamento vengono interpretate e attentamente analizzate dalla forze positive e negative presenti nella regione. Dobbiamo quindi stare molto attenti ai segnali che lanciamo a questi popoli, che si tratti delle richieste di ritorno dei rifugiati in Kosovo, del cambiamento del nome della Macedonia o della futura adesione della Croazia all’UE. Qualunque cosa facciamo, dobbiamo sostenere chi combatte per lo sviluppo pacifico e democratico e imporre sanzioni a chi lo ostacola.

 
  
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  Howitt (PSE). – (EN) Signor Presidente, di recente sono stato in Bosnia ed Erzegovina e ho visto il positivo avvio di EUFOR, la missione di mantenimento della pace dell’Unione europea.

Permangono ancora forti rancori tra i gruppi bosniaci, serbi e croati del paese. Nonostante ben 10 000 persone siano implicate in crimini di guerra, solo 34 sono state incriminate pubblicamente. Non sarà possibile intraprendere la via all’integrazione europea sino a quando non sarà garantito il rispetto delle norme comunitarie in materia di giustizia. Per questo è giusto che, oggi, il Parlamento europeo insista sulla piena cooperazione con il TPIJ da parte della Bosnia ed Erzegovina, della Croazia e della Serbia.

Attualmente gli investimenti europei pro capite in Kosovo sono, in termini di finanziamenti, 25 volte e, in termini di truppe, 50 volte maggiori rispetto a quelli in Afghanistan. E’ nell’interesse economico e politico dell’UE integrare i Balcani occidentali, il cui destino storico risiede in Europa.

La prospettiva dell’allargamento comunitario ha contribuito alla trasformazione dei paesi dell’Europa orientale. Dobbiamo sperare e fare il possibile affinché lo stesso avvenga per i paesi dell’Europa sudorientale, di modo che anch’essi possano unirsi a noi in questo Parlamento e nella nostra Unione.

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Desidero innanzi tutto congratularmi con il Parlamento per avere proposto lo svolgimento di questo dibattito. Effettivamente, come io stesso e il Commissario abbiamo sottolineato, la situazione nei Balcani occidentali è di interesse capitale per l’Unione europea. Di fatto, non esistono grandi alternative alla prospettiva europea.

Tale prospettiva è l’unico strumento a nostra disposizione per convincere questi paesi a cambiare, ad attuare riforme, a trovare la strada verso l’Europa – il che significa, in primis, la strada verso i valori europei – e a trovare la strada della riconciliazione. Non è assurdo dir loro di trovare la via della riconciliazione, perché noi stessi ne abbiamo dato un esempio sessanta anni fa.

Credo che la “stanchezza nei confronti dell’allargamento” sia un dato di fatto, e che i cittadini si stiano interrogando su questa costante tendenza all’allargamento e alle nuove adesioni. Tuttavia, occorre spiegare che è nel nostro interesse garantire la pace, la stabilità e lo sviluppo economico di questa regione.

Qualcuno ha citato i tassi record di disoccupazione endemica in Kosovo e in Bosnia. Ci troviamo di fronte a una situazione che sembra, a prima vista, impossibile da risolvere. Perché c’è disoccupazione? C’è disoccupazione perché non c’è sviluppo economico; non c’è sviluppo economico perché non ci sono investimenti privati; non ci sono investimenti privati perché non c’è fiducia, né sicurezza: nessuno vuole investire in una regione il cui futuro e sviluppo sono incerti.

Abbiamo quindi una missione fondamentale: consolidare la sicurezza, portare la sicurezza, convincere queste popolazioni che il loro futuro risiede nella sicurezza, nella riconciliazione e nel rispetto dei diritti delle minoranze. A mio avviso, solo in questo modo potremo innescare una dinamica positiva che è, innanzi tutto, una dinamica economica. Senza il rilancio economico della regione, infatti, non avremo una pace veramente stabile. E’ una missione importante per l’Unione europea. Ringrazio ancora una volta l’Assemblea per avere constatato e ricordato quanto fosse urgente agire in questa regione in tutti i modi citati e descritti in questa sede.

Per concludere, concordo sull’esistenza di una minaccia di estremismo. In Europa abbiamo un possibile focolare di estremismo radicale, soprattutto di estremismo islamico. Anche in questo senso occorre prevenire, e l’unica prevenzione possibile è il dialogo: dobbiamo dimostrare che questa parte dell’Europa appartiene all’Europa, che essa condivide i valori europei pur accogliendo persone di fede musulmana. Ritengo, quindi, che oggi si stia lanciando un segnale importante, che dovremo continuare a lanciare negli anni futuri.

 
  
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  Rehn, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, mi unisco al Ministro Schmit nel congratularmi con il Parlamento per avere proposto lo svolgimento di questo dibattito. E’ molto importante che la discussione avvenga in questo momento critico, di modo che i Balcani occidentali continuino a essere un tema prioritario per l’Unione europea e la comunità internazionale, chiamate entrambe ad affrontare molte altre questioni. E’ fondamentale, quindi, discutere dei Balcani occidentali e cercare di migliorare le nostre politiche nella regione.

Uno dei punti sollevati nel dibattito da numerosi oratori riguarda la stanchezza nei confronti dell’allargamento che, credo, sia un problema molto serio. Dobbiamo portare i popoli dell’Unione europea sulla strada dell’allargamento. I prossimi passi, quindi, devono essere graduali, gestiti con attenzione e con prudenza. E’ altresì importante sottolineare che l’allargamento rappresenta, di per sé, una politica di sicurezza. Le riforme politiche e giuridiche, così come lo sviluppo economico stimolato dalla prospettiva comunitaria, ridurranno l’instabilità e i conflitti, ad esempio nei Balcani occidentali. Occorre stimolare il dialogo e spiegarlo ai nostri cittadini, cosicché il futuro della regione non sia pregiudicato da timori infondati.

Cercherò di rispondere a due domande poste in questa sede, la prima riguardante il nome dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia e la seconda inerente alla complessità costituzionale della Serbia e Montenegro. Per quanto riguarda il nome, la Commissione sostiene gli sforzi delle Nazioni Unite tesi a una soluzione reciprocamente accettabile tra Grecia ed ex Repubblica jugoslava di Macedonia.

Auspichiamo che le recenti proposte di Nimetz, mediatore dell’ONU, contribuiscano al raggiungimento dell’obiettivo. La soluzione a questa controversia bilaterale favorirebbe, ovviamente, la stabilità regionale dei Balcani occidentali in un momento delicato.

In riferimento alla Serbia e Montenegro, la Commissione ha deliberatamente sviluppato un duplice approccio in risposta alla complessa struttura dell’Unione statale di Serbia e Montenegro, che consente alle due repubbliche e all’Unione statale di compiere progressi nei rispettivi settori di competenza. L’Unione statale è principalmente responsabile della politica estera e delle questioni di sicurezza, mentre le repubbliche hanno la responsabilità di quasi tutti gli aspetti legati alla politica economica e alle relazioni commerciali. Grazie a questo duplice approccio abbiamo di recente firmato con la Serbia un accordo commerciale bilaterale nel settore tessile, che è di vitale importanza per gli investimenti e l’occupazione nel paese.

Riferiremo in merito ai progressi compiuti dalla Serbia e Montenegro con questo approccio nella relazione annuale della Commissione sul processo di stabilizzazione e di associazione del prossimo autunno. Il quadro costituzionale deve essere rispettato, senza però ostacolare i progressi del paese sulla strada verso l’integrazione europea nel caso in cui vengano soddisfatte altre condizioni di preadesione e, successivamente, di adesione.

Infine, uno dei principali problemi da affrontare nel perfezionamento delle nostre politiche sui Balcani occidentali e nell’avvicinamento di questi paesi all’Unione europea è la debolezza degli Stati di questa regione. Si tratta, perlopiù, di Stati deboli. Se uno Stato non è in grado di garantire il soddisfacimento dei bisogni fondamentali della popolazione, ovviamente non può soddisfare gli standard europei. E’ molto semplice.

Occorre quindi trovare strumenti migliori per creare istituzioni nella regione avvalendosi, ad esempio, dell’approccio sulla creazione degli Stati membri giustamente proposto dalla relazione della Commissione internazionale per i Balcani, ieri pubblicata.

Desidero ringraziare il relatore, onorevole Samuelsen, la commissione per gli affari esteri e il Parlamento, e sono molto impaziente di lavorare con voi per la stabilità, lo sviluppo e la prosperità dei Balcani occidentali.

 
  
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  Presidente. – A conclusione della discussione, comunico di aver ricevuto una proposta di risoluzione ai sensi dell’articolo 103 Regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 12.00.

 

20. Politica estera / Sicurezza
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta, le seguenti relazioni:

– (A6-0062/2005), presentata dall’onorevole Brok a nome della commissione per gli affari esteri, sulla relazione annuale del Consiglio al Parlamento europeo sui principali aspetti e le scelte fondamentali di politica estera e di sicurezza comune (PESC), comprese le implicazioni finanziarie per il bilancio generale delle Comunità europee 2003 [8412/2004 – 2004/2172(INI)],

– (A6-0072/2005), presentata dall’onorevole Kuhne a nome della commissione per gli affari esteri, sulla strategia di sicurezza europea [ 2004/2167(INI)].

 
  
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  Brok (PPE-DE), relatore. – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, l’obiettivo della nostra relazione annuale è l’elaborazione di una proposta sulle possibilità di modificare o migliorare le modalità di cooperazione tra il Consiglio e il Parlamento, o tra la Commissione e il Parlamento. Questo obiettivo è particolarmente importante visto che siamo al primo anno della nuova legislatura parlamentare.

Siamo pienamente consapevoli che le responsabilità principali nel contesto della politica estera, di sicurezza e di difesa sono di competenza dell’esecutivo. Il ruolo del Parlamento in questo ambito si limita essenzialmente all’esercizio del controllo, benché i suoi poteri in materia di bilancio gli consentano di esercitare una certa influenza. Per quanto riguarda questo ultimo punto in particolare, sarebbe utile se la Commissione e il Consiglio evitassero in futuro di mettere il Parlamento davanti al fatto compiuto, coinvolgendolo invece in una fase più precoce della procedura. Il Parlamento non dovrebbe essere semplicemente informato degli eventi, ma dovrebbe invece partecipare alla programmazione e allo sviluppo delle strategie, al fine di assicurare che i suoi auspici siano presi in considerazione. Questo semplificherebbe le cose a tutte le parti interessate, poiché avremmo così identificato un approccio in grado di farci fare notevoli progressi.

Questa Assemblea ritiene che, nella politica estera, sia importante mantenere le stesse priorità applicate finora. C’è un antico detto che recita che la guerra rappresenta il fallimento della politica, ed è vero che la guerra dovrebbe sempre costituire l’ultima risorsa. Per questo motivo, pensiamo che sia essenziale rafforzare il braccio preventivo della nostra politica estera, assicurando che le capacità di prevenzione e di gestione delle crisi siano considerevolmente potenziate. Questa è altresì la linea seguita dall’Unione europea nel suo insieme, poiché la prevenzione è esplicitamente citata tra gli obiettivi nel testo del progetto di Costituzione. Dovremmo affermare con estrema chiarezza la nostra posizione in materia, non soltanto per ottenere il sostegno dei cittadini, ma anche per sviluppare posizioni strategiche.

Questo ci porta ad alcune considerazioni eminentemente pratiche su quali dovrebbero essere le priorità. La risposta deve essere il conflitto in Medio Oriente, su cui stiamo intensificando la nostra cooperazione con gli Stati Uniti, la Russia e le Nazioni Unite nell’ambito del Quartetto. L’obiettivo di questa iniziativa non è semplicemente sostenere i palestinesi e gli israeliani e realizzare la pace, ma anche acquisire un maggiore controllo sulle attività di copertura del terrorismo in senso lato, che rappresenta, in effetti, la nostra seconda priorità.

Le misure di solidarietà relative all’assistenza reciproca, contenute nel Trattato costituzionale, rivestono anch’esse una grande importanza in questo ambito, e dobbiamo chiederci come l’Unione europea possa avvalersi di una combinazione di strumenti nuovi per rispondere alle minacce alla sicurezza, sia interne che esterne, e come si possano realizzare ulteriori progressi in questo settore. Occorre assicurarsi che sia attribuita priorità alle questioni attinenti alla non proliferazione delle armi atomiche, per esempio in Iran e nella Corea del Nord, se vogliamo avere una qualche credibilità in questo settore.

Tuttavia, dobbiamo anche garantire che si dia un ruolo maggiore a questo strumento nel contesto della politica europea di vicinato, che rappresenta d’altronde un concetto di sicurezza di per sé, poiché crea dei legami tra paesi per assicurare che non si faranno mai più la guerra. Nel contempo, dobbiamo essere certi di allontanarci dal modello tradizionale di politica di vicinato che abbiamo perseguito negli ultimi anni.

La capacità di azione dell’Unione europea dipende altresì dalle sue frontiere. Occorre quindi far sì che ai nostri vicini, che noi vogliamo avere dalla nostra parte e che per noi sono importanti – e che vogliamo aiutare nello sviluppo e nel consolidamento della democrazia –, venga offerta un’alternativa all’adesione totale, che si potrà chiamare Spazio economico europeo allargato o altro.

Va trovato un punto di partenza multilaterale di questo tipo per poter dare una risposta a paesi come l’Ucraina, non tra 15 o 20 anni, ma adesso, quando ci chiedono come fare per migliorare la loro situazione. Ci auguriamo che il Consiglio e la Commissione saranno più creativi in questo ambito, e che non si limiteranno ai metodi politici provati e collaudati, come hanno spesso fatto in passato. La signora Commissario ha, in effetti, adottato un nuovo approccio, cercando di individuare un punto di partenza di questo tipo.

Ho ancora due osservazioni. Mi compiaccio che la schiacciante maggioranza dei membri di questo Parlamento sia a favore dell’embargo degli armamenti nei confronti della Cina, fino a quando il paese non migliorerà la sua condotta in materia di diritti dell’uomo e non cesserà di approvare leggi che legittimano la guerra. Bisogna trovare un accordo in questo contesto prima che le relazioni transatlantiche siano messe in pericolo.

(Applausi)

Gli approcci multilaterali, come quelli adottati nelle nostre relazioni con gli Stati Uniti, dovrebbero essere integrati da un partenariato che segua obiettivi ben definiti e che sia finalizzato a istituire un mercato transatlantico entro il 2015. Vorrei dire chiaramente ai colleghi che hanno presentato emendamenti che io sostengo le proposte avanzate da vari gruppi volte all’attribuzione all’Unione europea di un seggio presso il Consiglio di sicurezza. Lo dico in particolare in quanto cittadino tedesco.

(Applausi)

 
  
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  Kuhne (PSE), relatore. – (DE) Signor Presidente, desidero innanzi tutto presentare due scenari diversi. Nel corso della discussione in sede di commissione, l’onorevole Ilves ha chiesto che cosa avverrebbe se si verificasse un altro attentato dell’entità di quello di Madrid in uno Stato membro, e se si dovesse poi scoprire che i servizi di sicurezza di un altro Stato membro sapevano che erano in corso i preparativi dell’attentato, ma che non erano stati in grado di avvisare le autorità del paese colpito. Con ogni probabilità, ciò provocherebbe una profonda crisi di legittimità nell’Unione europea.

Passo ora a un altro esempio. L’Unione europea ha assunto il comando delle truppe guidate dalla NATO in Bosnia-Erzegovina. E’ la prima volta che l’Unione europea ha l’opportunità di dimostrare di essere in grado di condurre una politica di sicurezza in questa zona, nonché di acquisire esperienza pratica in materia. Alla luce delle discussioni con i cittadini della mia circoscrizione, so che molti ritengono che l’Unione europea riuscirà a tenersi fuori dai guai se manterrà al minimo il suo coinvolgimento nelle questioni esterne.

Questo tipo di atteggiamento può rivelarsi profondamente errato. L’Unione europea, in realtà, ha bisogno di una strategia in materia di sicurezza. E’ per questo motivo che la grande maggioranza dei membri della commissione si è rallegrata del documento elaborato da Javier Solana nel corso del suo mandato, su cui la commissione ha continuato a lavorare. Siamo altresì soddisfatti del sostegno che i governi degli Stati membri hanno dato al documento.

Sussistono, tuttavia, alcune questioni che meritano un’attenzione particolare, poiché rivelano la natura unica della strategia europea in materia di sicurezza. La prima di queste è la necessità di inserire in un contesto ampio i problemi attinenti alla sicurezza e le loro molteplici cause possibili, tra cui le violazioni dei diritti umani, la povertà e le malattie, evitando di ridurre la strategia ai soli aspetti militari. La strategia di sicurezza rappresenta essenzialmente un concetto politico, che trascende quindi le considerazioni militari.

La seconda questione è la necessità di un impegno verso il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite.

La terza questione riguarda la necessità di rafforzare l’ordine internazionale tramite strutture multilaterali efficaci e di salvaguardare i diritti fondamentali dei cittadini all’interno dell’Unione europea, pur prendendo tutte le misure necessarie per contrastare le minacce terroristiche.

In considerazione di questi fattori, non dovremmo vergognarci a dire che l’Unione europea aspira, effettivamente, ad acquisire strutture e capacità decisionali militari. Il maggiore vantaggio della strategia di sicurezza è che ci consente di attingere a una combinazione di capacità civili e militari di gestione delle crisi, modulandole in funzione di ciascuna situazione.

In seno alla commissione, due campi profondamente divergenti si sono opposti a questo approccio: alcuni membri ritengono impossibile una visione dell’Unione europea come qualcosa di diverso rispetto a una filiale della NATO, mentre altri condannano la militarizzazione sotto forma di nuove modalità e capacità organizzative. Questi campi rappresentano due estremità opposte, ma hanno in comune il fatto che usano le loro argomentazioni per opporsi e fare una campagna contro la Costituzione europea.

Nonostante questa opposizione, è stato tuttavia raggiunto un ampio consenso in seno alla commissione a favore della strategia di sicurezza, che comporta l’istituzione di vari strumenti, come un centro di situazione, una cellula di programmazione civile-militare, i gruppi tattici e l’Agenzia di difesa. Non si tratta di alternative alla NATO, e infatti la maggior parte degli Stati membri aderiscono anche alla NATO. In realtà, questi strumenti forniscono all’Unione europea nuove prospettive che non aveva in passato. Soltanto in questo modo potrà diventare un partner di pari livello, rispetto per esempio ai paesi dell’altra sponda dell’Atlantico come gli Stati Uniti.

In ogni caso, rimane ancora molto da fare. Per esempio, non abbiamo ancora un piano coerente di organizzazione delle forze di gestione delle crisi civili. Mancano capacità permanenti di trasporto aereo e truppe costantemente disponibili e dispiegabili, nonché adeguate capacità di comunicazione e di ricognizione. Anche alla luce di quanto affermato dall’onorevole Brok nel suo intervento introduttivo, l’obiettivo di questa relazione è assicurare che il Parlamento europeo sia in grado di esercitare la sua influenza sullo sviluppo futuro e sull’attuazione pratica della strategia europea di sicurezza nel quadro del dialogo con il Consiglio.

(Applausi)

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare e congratularmi con il Parlamento, e in particolare con i due relatori, per il lavoro svolto e per l’approccio ambizioso, ma realista, che hanno adottato in queste due relazioni.

Da qualche parte si citano due cifre, ossia 60 per cento e il 70 per cento del sostegno accordato dai cittadini, rispettivamente, alla politica estera comune e alla politica di difesa comune. Si tratta probabilmente di uno degli ambiti che godono di maggior sostegno da parte dell’opinione pubblica. Voi rappresentate i cittadini europei, e questa politica può essere perseguita soltanto insieme ai cittadini, ossia con il vostro appoggio, in un contesto di dialogo, come ha appena affermato il relatore, l’onorevole Kuhne.

Il Consiglio europeo ha approvato la strategia di sicurezza europea l’11 dicembre 2003. I quindici mesi che sono trascorsi da allora non ci permettono, ovviamente, di fare un bilancio completo ed esaustivo della sua attuazione, ma sono sufficienti per valutare l’impatto che la strategia ha già avuto e per discutere in merito alla direzione da seguire per la sua applicazione futura.

Il 2004 è stato cruciale per lo sviluppo politico dell’Unione, le cui ambizioni e responsabilità nel mondo diventano sempre maggiori. I cittadini dell’Unione, così come i partner internazionali, hanno inoltre richiesto che l’Europa rafforzi la sua presenza sulla scena internazionale. L’Unione ha risposto a questo appello cercando di attuare una politica estera più attiva, coerente ed efficace, ispirandosi in particolare ai principi della Carta della Nazioni Unite.

L’Unione europea è un attore mondiale basato su realizzazioni politiche, economiche e di altra natura. Il fatto che il “modello europeo”, di cui si parla molto nel contesto della Costituzione europea, sia molto apprezzato in tutto il mondo è motivo di soddisfazione per noi europei, ma dovrebbe essere altresì uno stimolo forte per fare di più.

La strategia di sicurezza europea traccia una sorta di linea direttrice dello svolgimento quotidiano della politica estera e di sicurezza comune, definendo le sfide e le minacce che dobbiamo affrontare e gli strumenti da utilizzare per risolvere i problemi.

Si è parlato di lotta contro il terrorismo, che rappresenta indubbiamente uno dei problemi fondamentali. Abbiamo predisposto vari meccanismi e rafforzato la collaborazione con Europol e Eurojust. La lotta contro il terrorismo dimostra chiaramente che la nozione di sicurezza non comporta soltanto una dimensione di politica estera e una dimensione militare, ma è molto più estesa, in quanto abbraccia anche lo sviluppo, la difesa e la promozione dei diritti umani. Vi è anche, naturalmente, la questione della soluzione dei grandi conflitti mondiali, in particolare quello in Medio Oriente, senza trascurare la presenza nelle regioni già citate, come la Bosnia-Erzegovina e il resto dei Balcani occidentali.

Alla luce delle principali minacce individuate nella strategia, il Consiglio europeo ha approvato, nel dicembre 2003, una strategia europea contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa, che rappresenta una misura complementare. Ecco un altro settore in cui l’Europa ha dimostrato di sapere agire, in particolare a proposito dell’Iran. Credo che abbiamo fatto un passo importante nella ricerca di soluzioni politiche a questioni estremamente delicate e pericolose per la pace internazionale.

La strategia di sicurezza europea poggia sull’idea secondo cui la maggior parte dei problemi possono essere risolti soltanto in un quadro multilaterale. Concordiamo con i relatori anche su questo punto. L’Unione europea deve evidentemente perseguire i suoi obiettivi in questo contesto multilaterale, in collaborazione con tutti gli attori, soprattutto con l’ONU. L’Unione europea ha quindi interesse a rafforzare le Nazioni Unite e il sistema multilaterale. Occorre sostenere gli sforzi del Segretariato generale volti ad ammodernare e a rendere più efficace il sistema delle Nazioni Unite. La riforma dell’ONU costituisce effettivamente un aspetto molto importante della politica di sicurezza e della politica estera dell’Unione europea. Mi congratulo con il relatore, onorevole Brok, per le sue osservazioni in merito, in particolare su questo punto specifico.

Mi limito a menzionare brevemente l’importanza del partenariato transatlantico, visto che solo qualche settimana fa si è tenuto un dibattito qui al Parlamento proprio su questo argomento. Il partenariato è stato rilanciato, in particolare dopo la visita del Presidente Bush a Bruxelles, e occorre assicurare che questo impeto si mantenga. Abbiamo numerosi, anzi numerosissimi interessi comuni. Abbiamo anche molte occasioni per intensificare la cooperazione, ma ponendoci su un piano di uguaglianza. Insieme agli americani possiamo trovare soluzione a grandi problemi, e soprattutto, come è stato già detto, al problema principale: il conflitto in Medio Oriente.

L’Unione europea si adopera inoltre per rafforzare la cooperazione economica, politica e culturale, non soltanto con i maggiori partner tradizionali, come gli Stati Uniti e il Canada, ma anche con altri paesi come la Russia e il Giappone. Credo che la cooperazione con la Russia, benché non priva di problemi, sia importante per l’Unione europea al fine di assicurare la stabilità e la pace sul nostro continente. Ciò detto, ci sono altri nuovi attori sulla scena mondiale: Cina, India, Brasile, Sudafrica. Vi sono altresì attori regionali, come l’Unione africana, con la quale abbiamo tenuto qualche giorno fa una discussione per rafforzare, come ha detto la Commissione, la nostra politica nei confronti dell’Africa e promuovere la pace e lo sviluppo – due fattori intimamente connessi – in questo continente molto vicino all’Unione europea.

La strategia è altresì volta a promuovere le relazioni con altri vicini a est e a sud. Abbiamo appena tenuto il dibattito sui Balcani. Il partenariato euromediterraneo e la politica europea di vicinato rivestono un’importanza fondamentale per favorire la stabilità nei paesi interessati, ma anche per servire i nostri interessi economici e politici. Ricordo perfettamente quello che è stato detto. Non è sufficiente chiudere gli occhi per evitare di essere contagiati dai problemi. I problemi in cui si dibattono questi paesi diventano ben presto problemi nostri, che assumono la forma di immigrazione selvaggia e illegale, o di terrorismo o minacce di terrorismo.

L’importanza dei diritti umani in un’ottica di sicurezza è un altro elemento essenziale per risolvere i conflitti. Questo aspetto è stato messo particolarmente in risalto dall’ultima relazione del Segretario generale delle Nazioni Unite. Senza rispetto dei diritti umani non c’è né sviluppo né pace. E’ in questo spirito che l’Alto rappresentante ha recentemente designato un rappresentante personale per i diritti umani, al fine di migliorare la coerenza e l’efficacia della nostra politica in materia nel contesto della PESC.

Per quanto riguarda l’aspetto più militare, la strategia suggerisce che l’Unione europea deve diventare più operativa nei vari settori in cui ha un ruolo da svolgere. Dobbiamo dare soluzione ai conflitti, dobbiamo agire, essere più proattivi nel mantenimento e nel ripristino della pace, assicurando una maggiore coerenza tra gli aspetti civili e militari. Dobbiamo soprattutto avere un approccio basato sulla prevenzione dei conflitti. In questo contesto, è importante che ci siano, attualmente, 7 000 soldati europei dispiegati sotto la bandiera dell’Unione europea con il compito di salvaguardare la pace e di favorire il processo di riforma e di riconciliazione. Ne abbiamo parlato in particolare in merito ai Balcani, ma l’Unione europea ha altresì preso in carico importanti operazioni militari in altre zone geografiche, nel sud del Caucaso, in Africa e in Afghanistan.

Sono stati realizzati considerevoli progressi nel campo delle capacità militari. E’ stato creato il primo di tredici gruppi tattici nel quadro della forza europea di intervento rapido. L’Unione europea ha inoltre costituito l’Agenzia europea per la difesa al fine di razionalizzare i costi legati agli acquisti in materia di difesa e aumentare la qualità e la quantità delle capacità militari di cui possono disporre gli Stati europei. La cooperazione civile-militare è stata portata ad un grado operativo più elevato, grazie soprattutto alla creazione di una cellula civile-militare. Tutte queste misure dovrebbero consentire all’Unione di incrementare le sue capacità di gestione delle crisi e di fronteggiare con successo le complesse questioni di sicurezza del XXI secolo. E’ stata sottolineata, in particolare, la cooperazione con la NATO. Credo che si debba pensare a uno sviluppo delle disposizioni di “Berlino più” in uno spirito di collaborazione, e non di sottomissione. Ritengo che, anche in questo caso, il ruolo dell’Unione europea sia molto rilevante.

Si sono quindi incrementate la coerenza e le capacità operative della politica estera e di sicurezza europea, ma non possiamo permetterci di rallentare gli sforzi. Occorre un sostegno istituzionale, impegni chiari, segnatamente per quanto attiene alla solidarietà di fronte alle minacce potenziali, e una maggiore visibilità dell’Unione europea sulla scena internazionale. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, penso che la futura Costituzione, anche in questo caso, comporterà progressi importanti in termini di sviluppo della PESC e della politica esterna in materia di sicurezza. L’istituzione di un ministro degli Esteri dell’Unione europea costituisce un’innovazione considerevole, che conferirà maggiore coerenza alle relazioni esterne dell’Unione. Il fatto che sia destinato a presiedere il Consiglio RELEX assicurerà la coerenza a cui noi tutti teniamo, garantendo così maggiore visibilità e continuità.

Vi è un altro aspetto rilevante, che sta molto a cuore all’onorevole Brok e ad altri, che mi limiterò a menzionare: la creazione del servizio europeo per l’azione esterna, le cui modalità pratiche sono tuttora in discussione.

La Presidenza lussemburghese è molto attenta ai progressi realizzati nell’istituzione di questo servizio europeo per l’azione esterna, nonché al parere del Parlamento in materia. Non vogliamo che la creazione di questo servizio smantelli surrettiziamente certi meccanismi comunitari, privilegiando la via intergovernativa.

Questo servizio è stato concepito per segnare un importante progresso nell’elaborazione e nell’attuazione della politica estera, rafforzandone in particolare l’efficacia e la coerenza, nonché promuovendo una maggiore presenza dell’Unione europea e un migliore utilizzo di tutte le risorse disponibili. Vogliamo che le regole istituzionali e le varie attribuzioni siano rispettate. Occorre coinvolgere maggiormente le diplomazie nazionali. Bisogna, in certa misura, europeizzarle di più, senza tuttavia giungere a una sorta di rinazionalizzazione o di riduzione al metodo intergovernativo di ciò che, attualmente, non segue le regole comunitarie. Sono queste le linee che seguiamo nell’istituzione di questo servizio.

Un’ultima parola sull’aspetto informativo. Sono certo che l’attuale Presidenza, come quelle che l’hanno preceduta, desidera mantenere un dialogo con il Parlamento europeo sulle grandi opzioni e sulle scadenze importanti in materia di politica estera. Noi teniamo a questo dialogo, che è importante, come ho già detto all’inizio del mio intervento. A nome dell’attuale Presidenza, mi impegno a continuare gli sforzi in tal senso e a tenere i contatti e gli incontri che voi riterrete utili per conseguire una politica estera e di sicurezza coerente, che sia realmente sostenuta da tutti gli attori e da tutte le Istituzioni comunitarie.

(Applausi)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MAURO
Vicepresidente

 
  
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  Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, signori relatori, innanzi tutto desidero ringraziarvi vivamente per le vostre relazioni incisive ed equilibrate, e pressoché irreprensibili in fatto di chiarezza.

Vorrei trattare tre aspetti specifici che rafforzano il ruolo internazionale dell’Europa. Uno di questi è un reale multilateralismo, che ritengo sia indubbiamente la risposta giusta all’ulteriore rafforzamento delle nostre relazioni internazionali. Il 2005 sarà decisivo in termini di riforma e di rafforzamento del multilateralismo, del diritto internazionale e, in particolare, della Nazioni Unite. Nel corso del Vertice dell’ONU che si terrà in settembre, il Segretario generale Kofi Annan presenterà l’ultima relazione, che servirà da base a decisioni essenziali in questo settore.

Ritengo essenziale che l’Europa dia il suo contributo a questo dibattito sulla riforma: si tratta di un settore in cui ricopre un ruolo di leadership che va effettivamente svolto. E’ per questo motivo che la Commissione si sta adoperando per produrre proposte dettagliate sulle questioni cui ho fatto riferimento. Come saprete, sto esercitando pressioni affinché all’Unione europea sia assegnato un seggio al Consiglio di sicurezza dell’ONU. Le modalità pratiche sono in corso di discussione, ma ciò che conta è che l’Unione europea svolga il ruolo che le compete in seno ai principali organismi internazionali.

Come ha appena affermato il Ministro Schmit, il multilateralismo può essere efficace soltanto se basato su un forte partenariato transatlantico. Si possono trovare soluzioni efficaci ai problemi del mondo solo se gli Stati Uniti d’America e l’Europa sono in sintonia. La visita del Presidente Bush a Bruxelles ha dimostrato chiaramente che gli Stati Uniti sono pienamente consapevoli del ruolo sempre più rilevante ed esteso svolto dall’Unione europea.

Le nostre strutture comuni devono essere in grado di gestire questa Agenda sempre più ampia, pur rimanendo flessibili. La Commissione sta attualmente esaminando se, e in che misura, le nostre Istituzioni devono emendare la nuova Agenda transatlantica. Ciò che emergerà dalle nostre decisioni rappresenterà un contributo al Vertice EU-US di giugno. Ritengo, al pari di altri membri e gruppi di questa Assemblea, che sia necessario rafforzare le relazioni tra il Congresso degli Stati Uniti e il Parlamento europeo a tal fine.

La relazione sottolinea giustamente che la politica estera dell’Europa poggia già su un concetto esaustivo di sicurezza. Penso che per garantire la sicurezza dell’Europa non ci si possa limitare alle operazioni militari o di difesa. Oggi, in particolare, tale sicurezza ha a che fare con la prevenzione dei conflitti, la gestione delle crisi civili e le politiche comuni su commercio, economia, energia, giustizia, sanità e ambiente.

La strategia europea di sicurezza tiene già conto di queste complesse minacce potenziali. La Commissione offre un prezioso contributo alla sua attuazione e nelle relazioni quotidiane con i paesi terzi. Più recentemente, ha inoltre assicurato il suo apporto attraverso varie comunicazioni, non soltanto su questioni quali la lotta al terrorismo e il miglioramento della protezione civile, ma anche sulla riforma della politica di sviluppo, su cui la Commissione ha presentato ieri un’importante comunicazione.

Sono certa che un concetto di sicurezza più ampio debba, in ultima analisi, concentrarsi sulla sicurezza dei cittadini, che è stata una tematica costante nel mio lavoro. Al di là dei rischi strutturali per la sicurezza, si commettono spesso reati contro la libertà e la dignità degli individui. Per ricapitolare, le azioni riprese nella strategia di sicurezza relative a iniziative quali la non proliferazione delle armi di distruzione di massa o la difesa contro il terrorismo, nonché il modo in cui affrontiamo gli Stati in crisi e i conflitti regionali, possono essere efficaci soltanto se sono integrati in una politica più ampia di prevenzione e di soluzione dei conflitti. Un esempio è l’Afghanistan, e speriamo che l’Iraq possa rappresentare un giorno una dimostrazione dei frutti che può dare questo approccio.

E’ qui che la preziosa raccolta di strumenti dell’Unione europea le conferisce un vantaggio comparativo. Tuttavia, se vogliamo essere efficienti, dobbiamo usare tutti gli strumenti – civili, militari e settoriali – in modo coerente. Occorre elaborare piani a lungo termine per le aree di crisi, utilizzando in modo mirato tutti gli strumenti comunitari: non soltanto l’aiuto esterno, ma anche la prospettiva di una cooperazione più stretta con l’Unione europea. Oltre a ciò, c’è l’assistenza che assicuriamo ai fini della non proliferazione nucleare sotto forma, per esempio, degli enormi importi di aiuto che l’Unione europea ha stanziato per la sicurezza nucleare e la non proliferazione sin dall’inizio degli anni ’90, per non parlare del nostro impegno nella lotta contro il terrorismo, la diffusione delle armi di piccolo calibro e delle mine terrestri, e la droga.

Precedentemente ho menzionato un altro strumento chiave ai fini dell’attuazione della strategia europea di sicurezza, ossia la nostra politica di sostegno allo sviluppo, naturalmente. Anche in questo caso, stiamo cercando di compiere progressi, tenendo altresì conto degli obiettivi del millennio, poiché anche in questo settore l’Europa deve fare da battistrada, come ho già avuto modo di dire.

Consentitemi ora di richiamare la vostra attenzione sulle future proposte della Commissione in materia di riforma della gestione delle crisi e della protezione civile in Europa, che saranno presentate la prossima settimana in una comunicazione al Consiglio e al Parlamento e che naturalmente avrete modo di discutere nel dettaglio. Colgo inoltre questa opportunità per ringraziare il Parlamento del suo sostegno al programma europeo di ricerca in materia di sicurezza, che è oggetto di una stretta collaborazione tra la Commissione e l’Agenzia europea per la difesa.

Desidero altresì sottolineare l’importanza che attribuisco alla proposta del Parlamento di tenere un dibattito regolare sulla strategia di sicurezza con il coinvolgimento dei parlamenti degli Stati membri. E’ corretto citare la democrazia e lo Stato di diritto come valori essenziali su cui poggia l’Europa, e quindi come parti integranti della nostra politica estera.

L’Unione europea, tuttavia, può essere forte sulla scena internazionale soltanto se le sue azioni sono veramente coerenti. Di conseguenza, perché l’Europa sia in grado di affrontare le nuove sfide, non basta una politica estera e di sicurezza comune in senso stretto. La politica estera e di sicurezza comune è solo uno dei tanti strumenti di cui dispone l’UE sul piano della politica estera, uno strumento che integra le altre politiche europee. Il successo di questo approccio di ampio respiro trova dimostrazione, a mio parere, nella politica europea di vicinato, che illustra una delle priorità che mi stanno particolarmente a cuore: l’esportazione della sicurezza, della stabilità e della prosperità verso i nostri vicini e il sostegno alle riforme strutturali. Si tratta di iniziative che comprendono chiaramente una dimensione di politica di sicurezza. La politica europea di vicinato è decisamente assimilabile alla politica europea in materia di sviluppo in quanto si tratta di politiche di sicurezza regionali intelligenti e a lungo termine.

Abbiamo già avviato l’attuazione di questi strumenti al fine di rafforzare gradualmente le relazioni con i nostri partner, in particolare tramite circostanziati piani d’azione congiunta che offrono loro chiare prospettive di avvicinamento all’Europa. Ho sempre attribuito grande importanza all’esplicito sostegno del Parlamento alla politica di vicinato, e attendo quindi con interesse di poter esaminare la relazione dell’onorevole Laschet.

La politica europea di vicinato potrebbe essere descritta – e seguirò questo approccio – come la nostra politica di sicurezza su scala regionale. Contribuisce alla promozione della stabilità e delle riforme in regioni con un’influenza geopolitica cruciale tramite l’associazione a lungo termine con l’Unione europea e attività specifiche congiunte, come la cooperazione nella lotta al terrorismo. Per questo motivo, tale politica rappresenta uno strumento essenziale nell’attuazione della strategia europea di sicurezza. Abbiamo già concluso piani d’azione dettagliati e ambiziosi con sette paesi partner, tra cui l’Ucraina, e ve ne sono altri cinque in fase di definizione.

In conclusione, vorrei rilevare che la relazione sottolinea la necessità di realizzare riforme istituzionali, sostenute fermamente anche dalla Commissione. A questo proposito, il nuovo Trattato costituzionale imprimerà un cambiamento fondamentale e positivo. Attendo quindi con interesse le vostre proposte dettagliate, di cui terrò conto. Ci prepariamo da tempo all’attuazione del Trattato, affinché possa divenire operativo subito dopo quella che ci auguriamo sia una ratifica senza intoppi. A tale obiettivo contribuirà anche l’istituzione del Servizio esteri europeo, su cui il Consiglio e la Commissione stanno tenendo approfondite discussioni. Queste sono riforme realmente importanti. E’ indispensabile rendere ancora più efficace la collaborazione tra le Istituzioni comunitarie.

La relazione dell’onorevole Kuhne sottolinea giustamente l’evidente necessità di dotare l’Unione delle risorse finanziarie di cui ha bisogno in quanto attore sulla scena internazionale. Per questo motivo, anch’io sono convinta che troveremo quanto prima un accordo sulla riforma degli strumenti di aiuto estero proposta dalla Commissione. Nel contempo, tuttavia, è chiaro che le riforme e una migliore dotazione finanziaria non possono sostituire la volontà politica necessaria. Ne consegue che l’Europa deve pensare a se stessa ancora di più come attore globale. In quanto forum di discussione ampio, trasparente e democratico, questa Assemblea svolge un ruolo fondamentale nell’articolazione di tale volontà politica.

(Applausi)

 
  
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  Lambrinidis (PSE), relatore per parere della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni. – (EL) Signor Presidente, in qualità di relatore per parere della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni sulla relazione Kuhne, colgo l’occasione per congratularmi vivamente con il relatore per l’arduo processo attraverso cui è passato al fine di giungere a un compromesso tra le varie posizioni in questo testo incisivo ed eccellente.

Desidero trattare quattro punti. La politica di sicurezza, nella sua attuale configurazione, non si concentra – giustamente – sui mezzi militari, ma su strumenti di altra natura cui l’Unione europea può attingere per promuovere la lotta contro tutte le cause di insicurezza in Europa. Una di queste è il terrorismo, ma non è l’unica. Dobbiamo essere molto cauti nell’elaborare questa strategia, per evitare di concentrarci sul pericolo più attuale trascurando tutti gli altri. In questo contesto, è molto importante rispettare i diritti umani quando ci si muove all’estero. L’Unione europea non può tollerare fenomeni tipo Guantánamo. Mi preme sottolineare questo concetto, perché neanche gli Stati Uniti avrebbero immaginato qualche anno fa che tali fenomeni avrebbero potuto verificarsi, e invece sappiamo tutti quello che sta accadendo. Sarebbe meglio premere sul freno sin d’ora, invece di affrontare il problema successivamente, senza la necessaria preparazione.

La mia seconda osservazione è che, in quanto europei, dobbiamo promuovere la democrazia. Sia il relatore che la Commissione hanno giustamente rilevato che la promozione della democrazia in Europa assume forme diverse rispetto a quanto viene fatto dalle altre grandi potenze del pianeta. Continuiamo così, sempre al fianco della Nazioni Unite. Non possiamo agire al di fuori di quel contesto.

La mia terza osservazione è che il Parlamento deve essere tenuto informato e deve discutere delle questioni di politica estera. Non possiamo accettare di essere ignorati nelle procedure che riguardano i diritti fondamentali, come i famosi PNR, cioè i dati forniti agli Stati Uniti presumibilmente per contrastare il terrorismo. Il Parlamento ha avviato una procedura contro la Commissione in materia, e spero che vincerà la causa.

Il mio quarto e ultimo punto riguarda il famoso SITCEN, che è un servizio importante. La mia commissione non sa esattamente come agisce, quali siano i confini delle sue azioni e come raccolga le informazioni, ma i dati e la raccolta di informazioni personali sono questioni sensibili agli occhi del Parlamento, a prescindere dal fatto che se ne occupi il SITCEN o qualcun altro. I principi della disponibilità e dello scambio delle informazioni sono attualmente in discussione in seno alla mia commissione, che non ha ancora preso una decisione. Mi congratulo con l’onorevole Kuhne per l’importanza che attribuisce nella sua relazione alla cooperazione tra le nostre commissioni. La necessità di contrastare il terrorismo non giustifica qualsiasi mezzo. Dobbiamo tenerne seriamente conto in quest’Aula e in questo Parlamento.

 
  
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  von Wogau, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, innanzi tutto vorrei ringraziare vivamente l’onorevole Kuhne per la sua ampia relazione. Ritengo che sia estremamente importante che la linea del Parlamento sulla strategia di sicurezza sia sostenuta dalle quattro principali famiglie politiche di questo Parlamento: i Verdi, i socialdemocratici, i liberali e il gruppo a cui appartengo. Ci troviamo quindi in una situazione impensabile 10 anni fa.

La relazione esamina la strategia in materia di sicurezza definita da Javier Solana, e questo Parlamento ne condivide la visione in merito alle minacce. Le minacce principali sono indubbiamente il terrorismo, le armi di distruzione di massa e i conflitti tra i nostri vicini, che hanno un impatto diretto sull’Unione europea e sui suoi cittadini sotto forma di ondate di profughi. Secondo me e molti altri, dall’analisi di Solana manca la sicurezza del territorio, che generalmente rappresenta il fulcro di qualsiasi politica di difesa. Se consideriamo quanta attenzione prestano gli Stati Uniti alla sicurezza interna e quanto poco si senta parlare dell’argomento nell’Unione europea, ci rendiamo conto che c’è una carenza che va colmata.

E’ altresì necessario integrare le conclusioni raggiunte con le azioni da intraprendere. Poiché le conclusioni presentate da questa relazione non possono essere tradotte in azioni pratiche, ritengo che ora vada elaborato un Libro bianco sulla politica europea di sicurezza e di difesa che contenga disposizioni chiare sul merito e sull’orizzonte temporale. Mi riferisco a indicazioni molto più precise di quelle che abbiamo avuto finora.

E’ importante che le forze di intervento in caso di crisi, molto virtuali al momento della loro istituzione nel 1999, siano ora divenute realmente attive in Macedonia, in Congo e in Bosnia-Erzegovina. Mi sono recato nella regione in visita con la sottocommissione per la difesa e quando, per la prima volta, un generale britannico, con l’emblema europeo a stelle sulla spallina, si è presentato come soldato europeo, mi sono reso conto che era avvenuto qualcosa che sarebbe entrato nella storia. Lei, Ministro Schmit, può citare solo incidentalmente le “truppe europee” o le “forze dell’Unione europea”, ma è indubbio che stiamo assistendo a uno sviluppo di portata storica.

L’approccio generale basato sull’idea di non concentrarsi esclusivamente sull’azione militare sta mostrando la sua efficacia in Macedonia. La forza dell’Unione europea risiede nel versante civile del mantenimento della pace, sul quale siamo più attivi degli Stati Uniti. D’altro lato – come abbiamo visto nell’improvvisa emergenza dovuta ai disordini nel Kosovo – è estremamente importante che non si perda di vista il fatto che le nostre forze devono continuare a mantenere le loro capacità di intervento e di intraprendere azioni energiche, se necessario, per proteggere le minoranze. Questi sono due dei compiti, ugualmente importanti e difficili, che le nostre forze devono svolgere nella zona.

Nel corso della nostra visita in Bosnia-Erzegovina abbiamo compreso, tra le altre cose, che le truppe da combattimento attualmente mobilitate, alcune delle quali, ci auguriamo, saranno quanto prima in grado di condurre interventi e dispiegamenti a breve termine, devono essere dotate dei migliori equipaggiamenti. Sono forze chiamate ad intraprendere azioni di mantenimento della pace, ma a prescindere dalla natura delle loro missioni, siano esse di pace o di combattimento, l’equipaggiamento estremamente eterogeneo di cui dispongono rappresenterà senz’altro uno svantaggio. Chiediamo che quelli che chiamiamo gruppi tattici europei, in fase di costituzione, siano equipaggiati nel modo più uniforme possibile, che ricevano per primi gli equipaggiamenti più recenti, e al più presto. Questo punto deve divenire una priorità. Come ci è stato detto durante la nostra visita, sono altresì necessari elicotteri per sorvegliare vaste zone, nonché veicoli a prova di mina. Ci hanno detto che non si riuscirà a liberare la Bosnia-Erzegovina dalle mine prima del 2010. Le operazioni di sminamento stanno procedendo con eccessiva lentezza. Occorre attribuire priorità finanziaria anche a queste operazioni nel contesto del nostro lavoro.

 
  
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  Wiersma, a nome del gruppo PSE. (NL) Oggi è in esame la relazione sulle azioni esterne intraprese dall’Unione europea nel 2003. Approvo in particolare che il relatore, l’onorevole Brok, abbia sottolineato che il coinvolgimento del Parlamento europeo non dovrebbe limitarsi a una discussione a fatti compiuti. Mi prendo quindi la libertà di considerare nello specifico alcune questioni che sono state all’ordine del giorno nell’ultimo anno, guardando al futuro. Lo sviluppo della strategia europea di sicurezza, anch’essa oggetto di discussione nella seduta odierna, dovrà svolgere un ruolo importante in questo ambito. La relazione dell’onorevole Kuhne, con cui desidero congratularmi, presenta un’ottima valutazione dell’impatto concreto di questa strategia di sicurezza fino ad oggi. Vorrei chiedere alla Commissione, ma anche al Consiglio e, naturalmente all’Alto rappresentante, di prendere molto sul serio queste raccomandazioni. Mi preme sottolineare due punti.

Innanzi tutto, c’è la dimensione militare. L’Europa potrà svolgere un ruolo centrale soltanto se sarà disposta e capace di intraprendere, se necessario, azioni militari. Prevenire l’aggravarsi dei conflitti fino al punto in cui occorre intervenire militarmente è e rimane la nostra prima preoccupazione, mentre, per quanto attiene all’uso vero e proprio dello strumento militare, si deve continuare a porre l’accento sull’interazione con altri strumenti: l’azione umanitaria, la garanzia dell’ordine giuridico, le strutture istituzionali, la democratizzazione e lo sviluppo economico. Nella prima missione militare europea di ampio respiro, la missione Althea in Bosnia-Erzegovina, si stanno facendo preziose esperienze di questa combinazione di capacità civili e militari. A parte gli aspetti materiali, lo sviluppo di un braccio europeo di difesa ha anche, anzi soprattutto, implicazioni politiche. L’Unione europea deve sviluppare un quadro politico che ci consenta di utilizzare i mezzi militari quando lo si ritiene necessario.

La mia seconda osservazione verte sulle interfacce tra sicurezza interna ed esterna, che sono molto importanti, in particolare nella lotta contro il terrorismo. Finora, la politica europea non ha sviluppato adeguatamente il collegamento tra queste interfacce. Il Consiglio ha giustamente chiesto all’Alto rappresentante di presentare proposte in questo ambito, e io lo esorto a coinvolgere il Parlamento in questo processo. La relazione Brok, ma anche la relazione Kuhne considerano con attenzione questo aspetto. L’attuazione della politica estera e di sicurezza comune non è sempre, purtroppo, tanto comune quanto auspicherei. Tuttavia, la mia valutazione degli ultimi anni non è del tutto negativa. L’Unione europea ha svolto un ruolo importante nella rivoluzione dell’Ucraina. La sollecita reazione della Presidenza e il buon coordinamento tra Parlamento e Consiglio, oltre all’azione dell’Alto rappresentante e dei capi di Stato della Polonia e della Lituania, hanno dato un considerevole contributo all’esito positivo di questa crisi politica.

Gli sforzi di Francia, Germania e Regno Unito in seno all’UE nel conflitto relativo al programma nucleare iraniano rappresentano, a mio parere, un buon esempio di come si possano affrontare le situazioni secondo modalità europee. Il risultato è incerto, ma l’approccio diplomatico, il modello usato nel processo, secondo noi, è molto rilevante. La base sostiene pienamente i principi essenziali della politica estera e di sicurezza comune dell’Unione: multilateralismo, coinvolgimento preventivo, approccio ampio fondato sulla centralità della democrazia e dello sviluppo economico e sociale, risoluzione dei conflitti e cessazione della proliferazione delle armi di distruzione di massa. Non si insisterà mai abbastanza, tuttavia, sulla condizione dell’azione collettiva, perché soltanto agendo collettivamente l’Europa potrà far sentire il proprio peso politico.

 
  
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  Lambsdorff, a nome del gruppo ALDE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero congratularmi con l’onorevole Kuhne per questa relazione davvero eccellente. Vorrei inoltre esprimergli la mia viva gratitudine per la franca e costante cooperazione, che ha reso possibile il raggiungimento di un ampio accordo tra i gruppi interessati in questo Parlamento.

La strategia europea in materia di sicurezza rappresenta la tabella di marcia della politica estera europea per i prossimi anni e decenni, benché contenga molte domande, oltre che buone risposte. Una politica estera e di sicurezza comune degna di questo nome può effettivamente rappresentare un obiettivo europeo, ma non è ancora una realtà europea. Questa relazione esprime il sostegno del Parlamento agli sforzi del Consiglio e della Commissione volti a superare gli atteggiamenti egoistici delle nazioni in questo settore.

La relazione è incentrata sulla tesi secondo cui i concetti tradizionali di sicurezza non sono più validi. Che cosa si intende per sicurezza interna o esterna? Quali crisi possono essere efficacemente prevenute con mezzi civili? In quale fase di un conflitto che non si è stati in grado di evitare occorre intervenire con mezzi militari, diversi quindi da quelli civili usati nelle fasi precedenti? Quando, in seguito alla fine del conflitto, si possono ritirare le truppe senza mettere a rischio la sicurezza delle persone? Di quali strumenti abbiamo bisogno per farlo?

Sono queste le domande a cui noi europei dobbiamo dare risposta. Questa relazione fornisce le risposte, ogniqualvolta è in grado di farlo, ribadendo l’importanza della cooperazione civile e militare. Per questo motivo ha il nostro sostegno e voteremo a favore.

Nelle deliberazioni in merito a questi argomenti, per il gruppo liberale è evidente che la Carta delle Nazioni Unite rimane il riferimento essenziale. Per questo è assurdo che i comunisti parlino di presunta militarizzazione dell’Unione europea. Tuttavia, alla luce della loro esperienza nel settore del potenziamento militare, devono sicuramente sapere di cosa stanno parlando.

Questa relazione rappresenta un passo intermedio; essa esplicita il fatto che, all’inizio del terzo millennio, non dobbiamo sviluppare soltanto gli strumenti della nostra politica estera, ma anche la filosofia sottostante. Proprio per questo motivo accolgo con estremo favore che la commissione per gli affari esteri e la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni abbiano ricevuto il mandato di riunirsi e di riflettere su come, in un’epoca di lotta contro il terrorismo, si possa assicurare e, se necessario, migliorare, la tutela dei diritti dei cittadini. Se dobbiamo difendere i nostri valori, dobbiamo anche trattarli con rispetto. Vorrei aggiungere che ritengo che dovremmo tenere questo dibattito a Bruxelles e non a Strasburgo.

 
  
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  Beer, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, a nome del gruppo Verde/Alleanza libera europea, cui appartengo, mi rallegro vivamente delle due relazioni e ringrazio i relatori per la cooperazione costruttiva. Vorrei sottolineare un punto della posizione comune del Consiglio.

La relazione dell’onorevole Brok è più incisiva nella sua richiesta di cooperazione attiva con il Parlamento. Non è sufficiente essere informati, in particolare a cose accadute. Lo dico prima del dibattito sulla Costituzione. La strategia europea di sicurezza non si può ridurre a una statistica. Con l’evolversi delle minacce, dovremo continuamente accertarci che non ci siano lacune – come ve ne sono attualmente nel settore civile – e individuare il momento in cui si deve cambiare rotta. Tuttavia, saremo in grado di convincere i cittadini della credibilità della politica di sicurezza europea e di comunicare loro gli aspetti positivi che saranno rafforzati dalla Costituzione soltanto se ci sarà collaborazione con il Parlamento. Se il Parlamento si opporrà, non riuscirete a conseguire questi obiettivi.

Posso assicurarvi che vi sono chiare indicazioni che dimostrano che siamo sulla giusta via, come il tentativo di tre Stati europei di trovare insieme all’Iran una soluzione pacifica al problema della proliferazione, o lo sforzo volto a rafforzare il trattato di non proliferazione delle armi nucleari. La nostra politica multilaterale dipende da queste iniziative.

La seconda di queste indicazioni è l’attuazione del diritto internazionale, cui si è già fatto riferimento. I colleghi che si oppongono alla Costituzione per la presunta militarizzazione che ne deriverebbe trascurano il fatto che il testo include la Carta dei diritti fondamentali, che diverrebbe quindi parte della politica europea estera e di sicurezza. Negano inoltre tutti i progressi realizzati, portandoci indietro a Nizza, al tipo di rinazionalizzazione cui stiamo attualmente assistendo in Germania, che crede che le verrà dato un seggio nel Consiglio di sicurezza dell’ONU, o che riuscirà, da sola, a sciogliere l’embargo alla Cina. Questa non è politica europea di sicurezza comune, bensì un ritorno a una politica che noi, nelle nostre proposte di risoluzione, non sosteniamo ma critichiamo.

Noi europei stiamo imboccando una nuova strada assumendoci responsabilità civili e militari. Il momento decisivo arriverà in Kosovo, nel prossimo futuro. Saremo in grado di utilizzare questi strumenti che, in definitiva, contribuiranno a riconciliare in certa misura le società e a stabilizzare l’Europa soltanto se anche noi – le nostre società e i nostri concittadini – seguiremo la stessa direzione verso un obiettivo di pace e di multilateralismo, grazie alla cooperazione transatlantica. E’ l’obiettivo che i cittadini si aspettano da noi. Lei, che rappresenta il Consiglio, dovrà prestare attenzione alla voce di questo Parlamento. Senza il suo appoggio, i cittadini europei non la sosterranno.

 
  
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  Agnoletto, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, trovo estremamente preoccupante e pericolosa la relazione Kuhne, perché non riconosce il primato dell’ONU e del diritto internazionale nella politica europea di sicurezza e di difesa. La relazione mette l’ONU sullo stesso piano della NATO e di altre organizzazioni e istituzioni, apre la strada all’avallo della teoria dell’intervento militare preventivo che viola il diritto internazionale e assimila gli interventi militari a quelli umanitari, relegando implicitamente gli aiuti umanitari allo sviluppo a un ruolo funzionale e subalterno alle politiche militari e di sicurezza. Afferma inoltre la complementarità fra NATO e Unione europea, ignorando il ruolo subalterno dell’Unione europea all’interno della NATO e la necessità di promuovere una politica estera europea indipendente e non aggressiva.

Infine omette di dire che solo l’applicazione del diritto internazionale, delle risoluzioni dell’ONU e la fine delle occupazioni militari sono la condizione per una pace giusta e durevole in Medio Oriente. Il sostegno dell’Unione europea alla non proliferazione dovrebbe includere anche la richiesta a Israele di aderire al trattato di non proliferazione nucleare.

 
  
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  Batten, a nome del gruppo IND/DEM.(EN) Signor Presidente, questa relazione mostra chiaramente quale direzione sta seguendo l’Unione europea. Il documento chiede di iniziare ad attuare la politica estera di sicurezza comune e la politica di difesa racchiuse nella Costituzione europea senza attendere l’esito dell’inopportuna e imprevedibile questione della sua ratifica da parte degli Stati membri.

La relazione segue la linea di affermare che la lotta contro il terrorismo causa il venir meno della distinzione tradizionale tra politica estera e politica interna. Questo è l’ennesimo esempio del fatto che verrà utilizzata qualsiasi argomentazione per promuovere l’integrazione europea in tutte le sfere della politica.

La minaccia posta dal terrorismo rende ancora più importanti i confini e gli interessi nazionali, anziché sminuirli. Questa relazione è l’ennesimo passo compiuto dall’Unione europea nel tentativo di promuovere la propria politica estera e le proprie ambizioni militari per potere infine competere con gli Stati Uniti d’America sulla scena mondiale. Al contempo, tutto il discorso su una politica estera etica viene ridimensionato dall’intenzione del Consiglio europeo di revocare l’embargo sulla vendita di armi alla Cina, iniziativa giustamente criticata dall’onorevole Brok e promossa dalle esigenze dell’industria bellica francese.

L’opposizione del Parlamento europeo alla revoca dell’embargo sulle armi alla Cina verrà ovviamente ignorata dal Consiglio, il che dimostrerà ancora una volta l’inutilità della nostra Istituzione.

Il Regno Unito deve recuperare il controllo della propria politica estera, di sicurezza e difesa. L’unico modo per farlo consiste nel ricorrere alla politica dell’incondizionato ritiro dall’Unione europea propugnata dal partito per l’indipendenza del Regno Unito.

 
  
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  Kristovskis, a nome del gruppo UEN. – (LV) Signor Presidente, onorevoli colleghi, a nome mio e del gruppo “Unione per l’Europa delle nazioni”, vorrei rendere merito all’onorevole Kuhne per l’ottima relazione sulla strategia europea in materia di sicurezza. Questo documento amplia il concetto di sicurezza tenendo conto della situazione attuale, fornisce un parere ragionevole sui presenti sviluppi nell’ambito della sicurezza europea e ne evidenzia le lacune. Mi soffermerò solo su un aspetto. Credo che, nella sua relazione, l’onorevole Kuhne abbia dimostrato al Parlamento europeo, in maniera pienamente giustificata, che è necessario incoraggiare la partecipazione all’attuazione della strategia europea in materia di sicurezza. Realizzare questo obiettivo è un compito relativamente difficile per i deputati al Parlamento europeo e, ovviamente, anche per le Istituzioni comunitarie. Tuttavia, dobbiamo riconoscere che il Parlamento europeo non dispone della necessaria sicurezza dell’informazione e del sostegno degli esperti per discutere approfonditamente e su una solida base delle attività della direzione generale competente con la Commissione e il Consiglio riguardo all’attuazione della strategia europea in materia di sicurezza, per non parlare della possibilità che i governi nazionali, con le loro azioni reciproche, adottino misure più o meno tolleranti nell’applicare le disposizioni in materia di sicurezza e difesa.

Onorevoli colleghi, dobbiamo ammettere che questo è un problema serio. Di fatto, nell’Unione europea esistono vari problemi riguardo ad aspetti di sicurezza comune. A determinarli sono carenze di natura finanziaria, nonché insufficienze nello sviluppo di capacità militari, una mancanza di sicurezza dell’informazione e lacune di altro genere. Negli ultimi mesi, nei quali ho rivestito per la prima volta l’incarico di deputato al Parlamento europeo, ho avuto occasione di capire gradualmente come sia costituita la politica di sicurezza in Europa e quali siano i suoi principali attori. Pertanto, credo di poter affermare a pieno titolo che la qualità della relazione è sufficientemente elevata. Poiché il 70 per cento dei cittadini europei sostiene la necessità di realizzare un’unica politica europea di difesa, dobbiamo convenire che il controllo dell’attuazione della strategia europea in materia di sicurezza deve essere una delle priorità per l’ampliamento della portata delle attività del Parlamento europeo. Le minacce del XXI secolo – il terrorismo transnazionale, l’illecito proliferare delle armi di distruzione di massa, i conflitti regionali e il fondamentalismo islamico – impongono a tutti il dovere di capire le sfide globali cui dobbiamo fare fronte, e il Parlamento europeo deve partecipare attivamente alla loro prevenzione.

 
  
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  Claeys (NI).(NL) Signor Presidente, la politica estera e di sicurezza comune è costituita da numerosi aspetti primari e secondari ed è ovviamente impossibile riuscire a essere esaustivi in questo breve spazio di tempo. Vorrei tuttavia soffermarmi su un paio di punti.

Innanzi tutto, vorrei evidenziare una lacuna nell’elenco di priorità, ossia il sostegno agli europei o alle persone di origine europea in altre parti del mondo. Mi riferisco in particolar modo all’Africa meridionale, non solo al Sudafrica stesso, ma anche allo Zimbabwe. E’ proprio ora che l’Unione europea inizi ad adottare forti misure per porre fine agli attacchi di cui sono vittime gli agricoltori e alle sistematiche espropriazioni di aziende agricole gestite da europei. Del resto, una simile azione sarebbe nell’interesse dell’intera popolazione locale. Penso ad esempio allo Zimbabwe, il paese che era noto come il granaio dell’Africa e che ora è devastato dalla fame, principalmente a causa del malgoverno del dittatore Mugabe.

Un altro problema che merita una maggiore attenzione è il disarmo nucleare. La relazione pone l’accento sul rispetto del trattato di non proliferazione, ma trascura il colossale rischio per la sicurezza rappresentato dalle strutture nucleari semiabbandonate o scarsamente sorvegliate negli ex Stati sovietici e in diversi altri paesi, nonché l’utilizzo improprio che potrebbero farne organizzazioni terroristiche come Al-Qaeda. Noi, come Unione europea, dobbiamo urgentemente riunirci con i paesi e gli organismi internazionali interessati e fare in modo che vengano erogate le risorse necessarie per disinnescare questa bomba a orologeria.

 
  
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  Klich (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, l’Assemblea è fermamente convinta che l’anno scorso si siano compiuti notevoli progressi in merito alla politica europea di sicurezza e difesa, e che pertanto sia stato possibile superare l’impasse scaturito dal conflitto iracheno. Accogliamo con favore la creazione dell’Agenzia europea per la difesa e riteniamo che essa svolgerà un ruolo importante nella fornitura di nuove attrezzature. Siamo anche lieti che nel Trattato costituzionale siano state incluse disposizioni per il futuro della PESD, in particolare in materia di cooperazione strutturale, ossia la clausola di solidarietà. Un altro sviluppo degno di nota si è avuto quando la Commissione ha annunciato che verrà avviato il Programma europeo di ricerca sulla sicurezza che, a partire dal 2007, opererà con una dotazione di bilancio pari ad almeno un miliardo di euro. Infine, probabilmente il principale evento dello scorso anno si è verificato quando l’UE è subentrata alla NATO nella missione di stabilizzazione della Bosnia. Questa è di fatto la prima importante operazione militare dell’Unione europea.

In tale contesto, siamo anche fermamente convinti che i quattro interrogativi sollevati sei anni fa, quando a Colonia venne proposto per la prima volta il concetto di una politica europea di sicurezza e difesa, continuino a rimanere importanti. Innanzi tutto, quali azioni è necessario avviare per fare in modo che le nostre capacità di difesa siano in linea con le nostre aspirazioni e le nostre sfide, quelle sfide che ora sono state racchiuse nella politica europea di sicurezza? In secondo luogo, in che modo si può garantire la coesione della politica europea di sicurezza e difesa? In terzo luogo, come si può sviluppare la PESD senza pregiudicare gli impegni di difesa della maggioranza degli Stati membri, che sono anche membri della NATO? In quarto luogo, come si possono ragionevolmente gestire le risorse finanziarie sia a livello nazionale che comunitario?

Queste domande sono rivolte essenzialmente alla Commissione e al Consiglio, perché Parlamento, Commissione e Consiglio dovranno lavorare insieme alla formulazione delle risposte. In caso contrario, la PESD sarà solo una politica fittizia, e noi saremo impotenti.

 
  
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  D’Alema (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, voglio unirmi alle espressioni di ringraziamento di molti colleghi ai relatori per due relazioni importanti che presentano un bilancio ricco della politica estera, di sicurezza e di difesa europea, dei passi in avanti compiuti e propongono orientamenti largamente convincenti per una presenza efficace dell’Europa come attore globale sulla scena mondiale.

Il Trattato costituzionale potrà rafforzare il ruolo dell’Europa con innovazioni che garantiscano una più forte integrazione e cooperazione e sin d’ora ritengo giusto anticipare, come si dice, una collaborazione tra Parlamento, Commissione e Consiglio.

L’obiettivo centrale dell’Europa è promuovere un multilateralismo efficace, il che significa garantire sicurezza ma anche espansione della democrazia, dei diritti umani, delle opportunità di sviluppo e di crescita: In poche parole, governare la globalizzazione, dando priorità ai mezzi politici, civili ed economici, non escludendo il ricorso ai mezzi militari come risorsa estrema, con la conseguente disponibilità all’uso della forza in un quadro legittimo.

Perché vi sia legittimità, tuttavia, occorre ripristinare, come dice giustamente la relazione del collega Brok, l’autorità del sistema delle Nazioni Unite. Un’autorità scossa, fra l’altro, indebolita dalla dottrina e dalla pratica della guerra preventiva e unilaterale. Tale dottrina e tale pratica non possono che essere disapprovate dall’Europa e credo che il rilancio di una cooperazione tra Europa e Stati Uniti non può prescindere da questo punto di principio.

In questo senso, ritengo di grandissimo valore il pronunciamento di molti colleghi – ed anche del Commissario Ferrero-Waldner – per un seggio europeo alle Nazioni Unite che rappresenterebbe un salto di qualità del rapporto fra Unione europea e Nazioni Unite.

In questo quadro voglio sottolineare una priorità, quella del conflitto israelo-palestinese e della crisi del Medio Oriente. Giustamente abbiamo rilevato le opportunità e le speranze nuove. Vorrei, tuttavia, esprimere una parola di preoccupazione: lo stesso incontro tra Bush e Sharon ha fatto emergere un contrasto piuttosto ruvido a proposito della politica israeliana di allargamento degli insediamenti, che di fatto annuncia un’annessione di Gerusalemme Est e di una parte della Cisgiordania; se andasse avanti questa politica, le speranze di pace verrebbero rapidamente accantonate. Se persino l’amministrazione americana fa sentire oggi una sua voce critica occorre che l’Europa aggiunga la sua, con forza e con nettezza, per fermare scelte che rischiano di compromettere ogni speranza di pace e di distensione.

 
  
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  Neyts-Uyttebroeck, Annemie (ALDE).(NL) In primo luogo vorrei congratularmi con l’onorevole Elmar Brok per l’ottima relazione, che fornisce una visione coerente, lungimirante e realistica della politica estera e di sicurezza comune.

Troppo spesso dimentichiamo quanto sia ancora giovane questa politica. Ricordo nitidamente che vent’anni or sono le espressioni sicurezza, politica estera e soprattutto politica di difesa non potevano neppure comparire nei testi europei o nei programmi dei partiti politici europei. Dieci anni fa nasceva un’embrionale politica estera e di sicurezza comune, ma veniva scrupolosamente inclusa in un pilastro separato, quasi esclusivamente intergovernativo. Oggi disponiamo di una visione e di una strategia separate – ancora in fieri, questo è indubbio –, ma di cui non si può negare l’originalità. Questa originalità si deve soprattutto al fatto che vogliamo assumerci la responsabilità sia degli aspetti civili che di quelli diplomatici e militari di tale politica. Desidero rilevare che il Trattato costituzionale contiene varie richieste particolarmente importanti in questo settore e, del resto, questo è anche uno dei principali motivi per cui la Costituzione merita di essere ratificata.

Questa relazione annuale invita a coinvolgere più da vicino il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali nella preparazione e nell’attuazione della politica estera e di sicurezza comune e a fare in modo che tale partecipazione non si limiti a discussioni post factum. Il trimestrale scambio di opinioni con l’Alto rappresentante e con il Commissario responsabile per le relazioni esterne e la politica europea di vicinato, al quale potranno partecipare rappresentanti dei parlamenti nazionali, costituisce un’ottima occasione a tale proposito. Questo è un aspetto delle proposte che siamo lieti di sostenere.

 
  
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  Pflüger (GUE/NGL).(DE) Signor Presidente, per evitare un’eccessiva monotonia, ecco qui una posizione diversa. La strategia europea in materia di sicurezza afferma che “dinanzi alle nuove minacce la prima linea di difesa sarà spesso all’estero”. La relazione Kuhne non contesta in alcun modo tale dichiarazione.

La strategia europea in materia di sicurezza è intesa a vincolare tutti gli Stati membri dell’UE, ed è intesa a coinvolgere sempre più la politica militare dell’Unione europea nella programmazione della guerra preventiva. La relazione Kuhne chiede di attuare un riarmo addirittura maggiore per fare in modo che l’UE, avvalendosi delle capacità della NATO, possa intervenire militarmente in tutto il globo. Stando a ciò che abbiamo sentito, l’Unione vuole diventare un attore globale, e soprattutto in termini militari.

E’ proprio per questo motivo che il mio gruppo ha elaborato un parere di minoranza. Da un lato, si afferma che nell’Unione europea non è presente alcun concentramento di forze armate; dall’altro, come abbiamo sentito, si fa di tutto per il riarmo, compresa l’elaborazione di piani volti a permettere all’Unione europea di avviare guerre regionali per l’acquisizione di materie prime. Il Trattato costituzionale dell’Unione europea, che mi auguro venga affondato dai francesi, la sua strategia in materia di sicurezza e il “Documento europeo per la difesa” incarnano un’Europa caratterizzata dal riarmo e dalla prospettiva di guerre future.

Considerate seriamente queste critiche. Le polemiche hanno fatto il loro tempo e, come vedrete in Francia, vi faranno solamente incespicare.

 
  
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  Coûteaux (IND/DEM).(FR) Signor Presidente, un minuto e mezzo è più che sufficiente, posto che le vastissime tematiche trattate in questa relazione fiume presuppongono l’esistenza di un ministro degli Esteri, di un servizio diplomatico e di un politica estera comune. Ebbene, da quando è stata deliberata nel 1992, ai sensi del titolo 5 del Trattato di Maastricht, abbiamo visto soltanto un primissimo abbozzo di politica estera comune. D’altronde, una politica non c’è né ci potrebbe essere, per il semplice motivo che non esiste un accordo sui principi, sulle tradizioni, sugli interessi e, quindi, sulle politiche delle nostre nazioni, e questo a partire da una questione chiave, ossia le relazioni con gli Stati Uniti d’America.

Un’altra condizione essenziale è rappresentata dalla creazione di uno strumento diplomatico comune, che presuppone l’approvazione della Costituzione europea. Sono spiacente di dover dire – benché per molti non sia un segreto – che è molto probabile che questo progetto non sarà mai realizzato, e che tutte le vostre impalcature, che mancano totalmente di legittimazione popolare, crolleranno da sole.

Potrei limitarmi a queste considerazioni, rinunciando a parte del mio tempo di parola ed evitando di irritarvi, ma non vorrei impedirvi di sognare, perché i vostri sogni interessano molto ai sostenitori della sovranità che oggi fanno campagne in Francia e altrove. Quando, nel corso delle nostre riunioni, annunciamo ai francesi che a Washington c’è una persona che si fa dare il titolo pomposo di ambasciatore dell’Unione europea presso gli Stati Uniti, le reazioni sono di autentico divertimento. Quando spieghiamo ai francesi che, con la suddetta Costituzione, ci sarà un cosiddetto ministro degli Esteri e che il titolare di tale incarico sarà, come per caso, un ex segretario generale della NATO, risvegliamo ancora più divertimento, o curiosità, o sdegno.

Allora continuate pure, signore e signori eurofili ed euromaniaci di ogni genere, continuate a fornirci argomentazioni così esilaranti.

 
  
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  Czarnecki, Ryszard (NI).(PL) Signor Presidente, la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione non può essere una politica virtuale, come sostengono gli scettici, ma sicuramente si presenta molto meglio sulla carta che nella realtà. Se, come hanno fatto gli autori della proposta di risoluzione, esaminiamo i sondaggi condotti per conoscere l’opinione del pubblico sull’attuazione di questa politica, ci rendiamo conto che il suo futuro sembra nettamente incerto. Se il 60 per cento dei cittadini dell’Unione che è favorevole alla politica estera comune in futuro si ridurrà al 45 per cento, e se il 70 per cento di coloro che sostengono la politica di difesa comune diminuirà fino all’incirca al 47 per cento, dovremmo abbandonare immediatamente questo concetto? Dobbiamo badare a non fare affidamento sui sondaggi di opinione. L’Aula è divisa sulla questione del livello di sostegno da accordare a una politica di sicurezza comune e a una politica estera comune. Dobbiamo affrontare questo aspetto. Tuttavia, siamo tutti d’accordo su diverse questioni. La prima è che il terrorismo islamico è una minaccia concreta. La seconda è che l’azione militare non può essere la prima iniziativa da adottare quando si tratta di far fronte a determinati problemi. La terza è che dobbiamo seguire con attenzione le attività congiunte dell’EUFOR in Bosnia-Erzegovina. Per la verità, l’Unione aveva precedentemente avviato la missione Concordia in Macedonia, ma si era trattato di un’azione di importanza relativamente minore, così come lo erano state le attività di polizia cui abbiamo preso parte, ad esempio, in Bosnia-Erzegovina o, più recentemente, in Africa.

Infine, possiamo parlare con una voce sola quando si tratta di insistere affinché il Consiglio rispetti l’articolo 21 del Trattato sull’Unione europea, relativo alla consultazione del Parlamento in merito ai principali aspetti della politica estera per il prossimo anno. Il punto non è che il Consiglio deve degnarsi di fornire queste informazioni. E’ effettivamente tenuto a farlo.

 
  
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  Zieleniec (PPE-DE).(CS) L’Unione europea è uno dei principali attori internazionali e, pertanto, riveste una responsabilità globale. Alla luce di questo fatto, mi preme sottolineare che il successo della politica estera dell’Unione europea dipende dal nostro partenariato con gli Stati Uniti. Nonostante le differenze che esistono tra noi, gli Stati Uniti sono, di tutti gli attori mondiali, quelli più vicini all’Europa, e non sono solo i valori comuni a unirci. Il partenariato è la naturale conseguenza del comune interesse a raggiungere la stabilità nel mondo intero, a rafforzare lo Stato di diritto e la democrazia e a garantire il corretto funzionamento dei mercati e la disponibilità delle materie prime a livello globale.

L’Alleanza nordatlantica continua a fungere da fondamentale garanzia per la sicurezza dell’Unione europea e degli Stati Uniti, eppure le sfide cui dobbiamo attualmente far fronte hanno esclusivamente a che fare con la sicurezza. A questo punto vorrei dunque esortare la Commissione e il Consiglio a presentare un piano d’azione per un partenariato strategico tra l’Unione europea e gli Stati Uniti, che porrebbe su un piano di parità il nostro dialogo su un’ampia serie di questioni globali. Il partenariato potrebbe occuparsi di un ampio ventaglio di problematiche, dal funzionamento dei servizi finanziari alla stabilizzazione dell’ordine internazionale, nonché dell’agricoltura globale, della lotta contro l’AIDS, della disponibilità idrica, del cambiamento climatico globale e della non proliferazione delle armi di distruzione di massa. Tra i suoi obiettivi rientrerebbe l’istituzione di un’area di libero scambio UE-USA, che potrebbe potenzialmente fungere da economia trainante per l’economia globale.

In occasione della visita di febbraio del Presidente Bush abbiamo appreso che gli americani sono consapevoli della necessità di avere un partner forte sull’altra sponda dell’Atlantico. Credo quindi che l’Unione europea debba cogliere questa occasione per rafforzare un partenariato che potrebbe agire da chiave di volta per l’ordine e la stabilità mondiale.

 
  
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  Gomes (PSE).(PT) La strategia europea in materia di sicurezza ci induce a riflettere sul ruolo dell’Unione nella governance mondiale. Le relazioni degli onorevoli Kuhne e Brok contribuiscono in maniera eccellente a far fronte a questa sfida. Per essere efficaci e coerenti, la politica estera di sicurezza e la politica di difesa dell’Europa devono incentrarsi saldamente sui cittadini, promuovendo i diritti umani, il diritto internazionale e umanitario e il multilateralismo nelle relazioni internazionali. In altre parole, tali politiche devono fondarsi sul concetto di sicurezza umana, come sottolinea la relazione Kuhne, in linea con il rapporto di Barcellona sulla dottrina per la sicurezza umana.

Questo settore è ancor più importante se si considera che la proliferazione delle armi di distruzione di massa e la lotta al terrorismo devono rimanere in cima alle preoccupazioni dell’Europa in materia di sicurezza. Dobbiamo integrare queste preoccupazioni in ogni aspetto delle relazioni esterne, segnatamente nella nuova politica di prossimità e, in tale contesto, è fondamentale che all’Unione europea venga conferito un seggio permanente in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, com’è stato precedentemente affermato.

L’Unione europea deve adoperarsi anche per rafforzare i trattati di non proliferazione e di disarmo nucleare e per intensificare i controlli sulle esportazioni di materiale e armi nucleari in generale. L’Unione europea, inoltre, deve prevedere uno stretto coordinamento del piano d’azione per la lotta al terrorismo con la politica estera e di sicurezza e la politica di difesa, nell’ambito della strategia globale integrata di lotta al terrorismo, recentemente annunciata da Kofi Annan.

Occorre anche rispettare gli impegni di sviluppo assunti dai governi europei nella dichiarazione del Millennio. La povertà e l’ingiustizia sono terreni fertili per il terrorismo. Se vogliamo realizzare una politica di sicurezza e difesa che si traduca in una maggiore indipendenza strategica per l’Europa, caratterizzata da più capacità e da una maggiore integrazione dei mezzi di difesa, nonché da un vero e proprio mercato interno, è indispensabile che, per i nostri dibattiti, l’Agenzia europea di difesa ci fornisca informazioni sulle politiche di acquisizione, sviluppo e analisi degli equipaggiamenti. Spetta ora ai governi degli Stati membri stabilire le condizioni di funzionamento di questa nuova agenzia. Dalle prossime prospettive finanziarie deve emergere che i nostri governi si stanno adoperando per il successo della sicurezza europea. Essa, infatti, dipende in larga misura dalle risorse messe a sua disposizione nell’Unione.

Vorrei concludere affermando che la settimana scorsa a Sarajevo, insieme all’onorevole von Wogau e ad altri colleghi parlamentari, ho assistito alla consegna di onorificenze nazionali da parte del generale britannico orgoglioso di essere a capo dell’EUFOR. Non ho potuto fare a meno di pensare che, se quindici anni fa fossero già esistite la politica estera e la politica europea di sicurezza e difesa, l’Europa avrebbe potuto impedire lo scoppio della guerra nell’ex Jugoslavia oppure avrebbe potuto farla finire prima. Oggi l’importante lavoro della missione Althea, in Bosnia-Erzegovina, è la dimostrazione che, con i mezzi adeguati, l’Europa sa e deve assumersi maggiori responsabilità nell’ambito della sicurezza europea e mondiale.

 
  
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  Pafilis (GUE/NGL).(EL) Signor Presidente, entrambe le relazioni in discussione oggi evidenziano chiaramente la natura imperialistica e aggressiva dell’Unione europea. Esse confermano la strategia comune adottata dall’Unione europea e dagli Stati Uniti d’America contro popoli e paesi, la quale si fonderà tra l’altro sulla feroce dottrina della guerra preventiva, che viene menzionata nelle relazioni e cui viene fatto chiaramente cenno nel Trattato costituzionale. Le relazioni stabiliscono come priorità immediata una migliore preparazione dell’Unione europea a nuovi interventi strategici, sia congiuntamente alla NATO e agli Stati Uniti d’America che indipendentemente da essi.

In nome della sicurezza dell’Unione europea, sono stati individuati paesi e aree in cui effettuare nuovi interventi che, partendo dai Balcani, dal Caucaso e dal Medio Oriente, si estenderanno fino alla quasi totalità del pianeta col pretesto di rafforzare l’ordine internazionale.

La filosofia sottesa alla politica estera comune, alla politica di difesa e alla strategia europea in materia di sicurezza è la versione europea della dottrina imperialistica degli Stati Uniti d’America per la protezione degli interessi statunitensi, nel cui nome sono stati effettuati centinaia di interventi che hanno portato distruzione e morte in ogni angolo del pianeta.

Noi crediamo che la gente si stia svegliando. Opporrà resistenza e non permetterà l’attuazione di questa politica. In ultima analisi, la domanda che formuliamo è questa: chi minaccia chi? L’Unione europea ha forze armate dispiegate in moltissimi paesi al mondo. Fa parte di un’infinita rete di basi, ha partecipato a tre guerre e, inoltre...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Mölzer (NI).(DE) Signor Presidente, signora Commissario, per quanto io possa essere scettico su alcuni singoli aspetti del Trattato costituzionale europeo, reputo importante rafforzare la politica estera e di sicurezza comune. Se l’Europa vuole affermarsi come potenza per la pace mondiale, dovrà parlare al mondo esterno con una voce sola, oltre a essere in grado di farsi valere in questioni di politica militare e di sicurezza.

Pur essendo fermamente convinto che occorra respingere con forza qualsiasi tendenza finalizzata allo sviluppo di uno Stato europeo centralizzato, penso davvero che sia opportuno nominare un unico ministro degli Esteri europeo dotato di ampi poteri e responsabilità e di una forte posizione all’interno dell’UE. Sono pertanto favorevole alla creazione di un Servizio europeo per l’azione esterna.

Tuttavia, è inammissibile che tale Servizio sia dominato e sostenuto solo dai maggiori Stati membri dell’UE. Gli Stati membri più piccoli, tra cui l’Austria, devono essere coinvolti nella formulazione della politica estera europea, così come il Parlamento europeo deve godere degli stessi diritti del Consiglio nello stabilire di quale politica si debba trattare.

Se gli Stati membri più piccoli devono contribuire allo stesso modo dei più grandi alla politica di difesa comune europea e al funzionamento della forza di reazione rapida europea, analogamente, devono anche avere lo stesso diritto di essere consultati.

 
  
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  Jarzembowski (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, questa relazione contiene due dichiarazioni del Parlamento su cui vorrei ritornare, che riguardano la situazione della politica estera e di sicurezza in Estremo Oriente. Ritengo che la Repubblica popolare cinese, adottando la legge antisecessione, abbia posto la regione in una posizione molto più precaria. La legge antisecessione è una disposizione che dobbiamo respingere con fermezza; approvandola, la Repubblica popolare cinese sta tentando di legittimare, senza alcuna giustificazione, le proprie minacce militari contro Taiwan e di arrogarsi il diritto di attaccare questo paese. Quest’azione viola il diritto internazionale ed è assolutamente inaccettabile. I 23 milioni di cittadini di Taiwan hanno l’inalienabile diritto di decidere democraticamente del loro futuro, ossia stabilire se vogliono riunirsi alla terraferma o continuare a essere uno Stato indipendente e sovrano.

Noi tutti dobbiamo esortare la Repubblica popolare cinese a smettere di compiere gesti intimidatori e ad avviare invece un dialogo diretto con Taiwan sulla base del riconoscimento reciproco. In questo modo si potrà giungere a una distensione delle relazioni tra i due paesi e garantire la pace in Estremo Oriente. Mi rivolgo ai rappresentanti del Consiglio nel dire che, se ciò dovesse accadere, l’embargo sulle armi alla Cina non dovrà essere revocato. Il Consiglio europeo lo aveva giustamente imposto nel 1989, e possiamo constatare che la posizione sui diritti dell’uomo e sui diritti delle minoranze è effettivamente migliorata, nonostante questi siano tutt’altro che adeguati. L’Assemblea ha più volte rilevato che in Cina la situazione dei fondamentali diritti civili, culturali, religiosi e politici non soddisfa nemmeno gli standard internazionali riconosciuti dallo stesso governo cinese.

Mi auguro che il Presidente in carica del Consiglio ne tenga in certo qual modo conto. Soprattutto in questo momento, e alla luce delle continue violazioni dei diritti umani da parte della Cina, la revoca dell’embargo invierebbe assolutamente il segnale sbagliato e sembrerebbe inoltre una ricompensa per la legge antisecessione.

 
  
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  Siwiec (PSE).(PL) Signor Presidente, abbiamo ricevuto un documento sulla politica europea nell’ambito della sicurezza, ossia la politica più difficile da affrontare per qualunque paese od organizzazione internazionale. Questa relazione costituirà un punto di riferimento o una base da cui partire quando si tratterà di stabilire il modo migliore di consolidare le politiche degli Stati membri e di garantire una maggior efficacia della politica estera. Faremmo bene a ricordare che il modo più costoso di gestire la politica estera consiste nel non averne una. L’Unione non sta cogliendo le opportunità di cui dispone in diversi settori, proprio perché è priva di politiche. Permettetemi di esprimere un’altra ovvia verità, e in questo caso mi rivolgo in particolar modo a coloro che, in quest’Aula, pontificano da tempo sulla militarizzazione. La capacità di difesa è una conditio sine qua non di una politica efficace. La capacità militare è essenziale. Faremmo anche bene a ricordare che la formulazione di principi relativi alla tutela della nostra sicurezza nel senso più ampio del termine può costituire un ottimo punto di partenza per l’avvio del dialogo con il nostro partner americano, nonché la base su cui creare un nuovo genere di relazione transatlantica. Da un lato vi sarebbero gli Stati Uniti, incerti sulla differenza tra leadership ed egemonia, e dall’altro l’Unione europea, che ha appena iniziato a definire il proprio ruolo in questo settore particolare. In tale processo saranno necessarie pazienza e creatività, ma occorrerà anche competenza. A tale proposito credo che la relazione Kuhne rappresenti un valido impegno per tutte le Istituzioni comunitarie, poiché contribuisce a far prendere loro in considerazione la sicurezza europea. Inoltre, è significativo che si discuta della relazione Kuhne contestualmente alla relazione annuale sulla politica estera dell’Unione europea. Si tratta di un’ottima iniziativa e di un valido contributo da parte del Parlamento, grazie al quale è finalmente possibile parlare di una politica europea vera e non virtuale.

 
  
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  Van Orden (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, se si ritiene che l’Unione europea debba diventare una sorta di Stato europeo integrato, ne consegue logicamente e necessariamente che essa deve avere la propria moneta, il proprio sistema giudiziario e di polizia, la propria rappresentanza diplomatica, la propria dotazione di bilancio per l’esercito e la difesa e tutto il resto della panoplia statale prevista dal quadro giuridico di una costituzione.

Le due relazioni oggi in esame traggono ispirazione proprio da questo impulso. Devo dire che la posizione dei conservatori britannici è alquanto diversa. Siamo sostanzialmente contrari a promuovere l’integrazione politica europea. Di fatto, vorremmo attenuare e rimpatriare molti degli eccessivi poteri accumulati da Bruxelles. Pertanto non è una sorpresa che siamo contrari all’idea stessa di una Costituzione europea nonché ai dettagliati elementi che la compongono.

Le relazioni s’incentrano in particolar modo sulla politica di sicurezza e difesa. Esse cercano di accrescere le credenziali militari dell’Unione europea stravolgendo il ruolo e la natura della NATO per poi mettere in secondo piano tale organizzazione, raddoppiandone al contempo smodatamente le strutture. Tentano così di destituire le nazioni dal ruolo di attori nelle relazioni per la sicurezza transatlantica, rivendicando al contempo l’assunzione di responsabilità per le loro capacità e sottoscrivendo le erronee idee di organizzare socialmente le nostre forze armate.

Non credo che le nazioni europee abbiano interessi di sicurezza strategica che devono essere distinti da quelli dei loro alleati, transatlantici e non. Talvolta gli europei dovrebbero assumersi la primaria responsabilità di fornire forze militari nella propria regione. Questo è proprio ciò che è accaduto negli ultimi dieci anni e oltre nell’ex Jugoslavia, in cui è solo un semplice escamotage affermare che l’operazione militare EUFOR in Bosnia è fondamentalmente diversa da quella che vi veniva svolta prima. Dei 7 000 soldati della forza NATO SFOR, oltre 6 000 erano europei. Pertanto è disonesto affermare che l’Unione europea sta contribuendo all’aumento della sicurezza quando la maggior parte dei suoi Stati membri sta riducendo anziché aumentare la spesa per la difesa e la stessa Unione europea sta semplicemente replicando i sistemi decisionali, di programmazione, comando e controllo utilizzati da quell’organizzazione di grande successo che è la NATO.

 
  
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  Rouček (PSE).(CS) Onorevoli colleghi, dalla fine della guerra fredda sono emerse nuove minacce per la sicurezza. Tra queste rientrano il terrorismo internazionale, la proliferazione delle armi di distruzione di massa, la criminalità organizzata e un’intera serie di conflitti regionali. Sta diventando evidente che nessun paese, a prescindere dalle sue dimensioni, è in grado di affrontare queste minacce alla sicurezza da solo, ed è per questo motivo che occorre ampliare e rafforzare la politica estera, di sicurezza e difesa comune. Questa è la convinzione non solo della maggior parte dei deputati al Parlamento europeo, e non solo dei rappresentanti del Consiglio e della Commissione, ma anche, e soprattutto, dei cittadini d’Europa. Si tratta di un punto che l’Assemblea ha già rilevato.

Un altro aspetto che sta diventando evidente è che non possiamo sconfiggere alcuna di queste minacce ricorrendo esclusivamente a mezzi militari, ma, al contrario, dobbiamo utilizzare una combinazione di risorse militari e civili. Entrambe le relazioni presentate oggi e i rispettivi relatori forniscono risposte chiare e dettagliate sul modo in cui tale obiettivo può essere realizzato. Il successo e il futuro sviluppo della politica estera, di sicurezza e difesa comune dipendono dal rispetto di due condizioni: occorre ratificare la Costituzione europea e si devono stanziare i necessari finanziamenti. Non si può avere più sicurezza europea con meno soldi.

 
  
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  Kauppi (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, mi soffermerò su due questioni fondamentali. Innanzi tutto vorrei spendere alcune parole sul Servizio europeo di azione esterna. E’ estremamente importante che il servizio sia integrato all’interno della Commissione. Dobbiamo evitare tutti i tentativi di attenuare l’importanza del nuovo servizio collocandolo principalmente in seno al Consiglio. Non si dovrà mai permettere che il servizio diventi un’incontrollabile agenzia intergovernativa dotata di vita propria.

Solo la massima responsabilità parlamentare potrà garantirci che vengano realizzati i nobili obiettivi dell’Europa per il resto del mondo. La lotta alla povertà, la difesa della democrazia e il sostegno dei diritti umani sono tutte questioni in cui possiamo e dobbiamo cooperare sulla base di valori comuni. Un servizio intergovernativo correrebbe il rischio di essere preda di molti e maggiori interessi strategici e settoriali, e i nostri valori e obiettivi comuni si perderebbero in questo miscuglio.

In secondo luogo, dovremo adottare un approccio sia realistico che ambizioso nei confronti della politica estera europea ai sensi della nuova Costituzione, se e quando ne disporremo. La Costituzione permette alla politica estera e di sicurezza europea di compiere progressi in molti settori fondamentali e noi dobbiamo fare in modo che questi impegni vengano rispettati. Sebbene gli sviluppi racchiusi nella clausola di solidarietà della Costituzione – nonché nella maggiore capacità di risposta rapida – rispecchino la prassi attuale anziché essere innovazioni, dobbiamo fare in modo che, quando entreranno in vigore, vengano interpretati in maniera ambiziosa, concreta e vincolante.

Occorre accogliere con favore e consolidare anche l’inclusione delle garanzie di sicurezza reciproca nella Costituzione. L’opposizione di alcuni Stati membri può essere contrastata con alcune semplici argomentazioni. La NATO è, e rimarrà, la spina dorsale della difesa europea, questo è indubbio. Proponiamo di introdurre le garanzie europee semplicemente allo scopo di integrare le disposizioni NATO con un’indispensabile dimensione europea. Tali garanzie sostengono e consolidano decenni di cooperazione politica e di sicurezza europea, realizzata esternamente all’ambito dell’Unione. Esse non riscrivono in maniera radicale le ambizioni europee in materia di politica estera e di sicurezza, ma affermano solo che l’Europa deve finalmente avere la maturità necessaria per iniziare a far corrispondere alla propria forza economica un certo impegno politico e a levare la propria voce in quest’ambito.

 
  
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  Pinior (PSE).(PL) Onorevoli colleghi, negli ultimi tempi l’Unione europea è diventata sempre più una forza trainante nella creazione di un nuovo ordine internazionale, e questa affermazione è particolarmente appropriata soprattutto da quando è stato portato a termine l’allargamento l’anno scorso. Il successo dell’integrazione europea indica che il sistema politico europeo sta diventando sempre più allettante per i cittadini dei paesi che non fanno parte dell’Unione. Ora alcuni analisti statunitensi parlano del cosiddetto soft power europeo e del sogno europeo che sta divenendo realtà proprio dinanzi ai nostri occhi.

Il terrorismo, la proliferazione delle armi di distruzione di massa, i conflitti regionali, il fallimento dello Stato e la criminalità organizzata, sono tutti fenomeni che rendono necessario dotare di una dimensione globale le azioni esterne dell’Unione europea. Inoltre, essi richiedono una maggiore responsabilità democratica nei confronti di queste azioni. A tal fine, dobbiamo fare riferimento alla lettera e allo spirito del Trattato costituzionale in merito a questioni inerenti alla politica estera e di sicurezza comune. Il futuro Servizio esteri europeo deve svolgere un ruolo fondamentale in quest’ambito, aiutando i ministri degli Esteri europei. Non appena entrerà in vigore il Trattato costituzionale, sarà indispensabile compiere ogni sforzo per dotare di significato concreto la clausola di solidarietà in merito alle questioni inerenti alla difesa previste dal Trattato.

 
  
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  Landsbergis (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, la relazione dell’onorevole Brok contiene molte idee originali, accorte e incoraggianti. Vorrei aggiungere alcune osservazioni sul nuovo terrorismo non di Stato. Innanzi tutto, quali altre raccomandazioni potremmo fornire rispetto a quelle presentate dall’onorevole Brok?

La lotta contro il cosiddetto terrorismo richiede una chiara definizione di terrorismo politico. E’ finalizzata al raggiungimento di concreti obiettivi politici, ma quali sono questi obiettivi? Occorre tracciare una distinzione tra il nuovo terrorismo politico non di Stato, che è presumibilmente privo di un’esatta collocazione statale, e il tradizionale terrorismo di Stato, che si riscontra essenzialmente laddove viene a mancare la democrazia. Questo genere di terrorismo politico tende a provocare reazioni vendicative da parte di determinati gruppi e organizzazioni, come avviene attualmente nel caso della guerra terroristica – o terrorizzante – condotta dalla Russia in Cecenia.

La comunità democratica non può combattere con successo alcun concetto astratto di terrorismo di per sé, poiché si tratta di una nozione che affonda le proprie radici solo nell’ideologia e nel fanatismo. No, i veri nemici da combattere sono le organizzazioni terroristiche e gli Stati che utilizzano tali metodi e sostengono queste organizzazioni. Sono stati compiuti due sforzi recenti per individuare il terrorismo in Afghanistan e in Iraq. Questi sono gli unici paesi in cui le organizzazioni terroristiche sembrano essere sulla difensiva. Nell’ambito della difesa, questo risultato esaudirebbe appieno il desiderio dell’Europa di competere con gli Stati Uniti.

Infine, si può trarre una sorta di diabolico profitto dal fenomeno del terrorismo non statale, poiché forse ora le democrazie potranno comprendere più chiaramente quali dei loro valori sono in pericolo. Nel creare i concetti e le strutture della politica europea di sicurezza e difesa, dovremmo concentrarci sempre più sulla seguente domanda: per che cosa, per quale Europa stiamo lavorando? Sicuramente non per un’Europa consumistica e suicida che sta perdendo la propria identità e il senso dei valori, nonostante il gran parlare che se ne fa, vero? In questo modo si difende l’indifendibile.

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Signor Presidente, penso che, anche questa volta, questo dibattito abbia dato prova dell’inestimabile contributo offerto dal vostro Parlamento ai grandi orientamenti e concetti della politica estera e di sicurezza comune. Ha inoltre dimostrato che questo dialogo, così caro al Parlamento, esiste in termini molto concreti. Capisco perché il Parlamento richiede questo contatto, questo confronto con il Consiglio e con la Commissione. Il dibattito ha dimostrato che questo dialogo non esiste soltanto a posteriori, per parlare del passato, ma anche per esaminare le politiche presenti e future.

Inoltre, come ha già detto qualcuno, ritengo che non si debba condurre una politica estera contraria agli auspici del Parlamento. Da quando ho il piacere di rappresentare la Presidenza, non ho mai avuto l’impressione che il Consiglio portasse avanti una politica contro il Parlamento. Mi è parso invece che la politica fosse condotta insieme, e le discussioni di oggi, ma anche quelle delle sedute precedenti, sul Medio Oriente, sul Libano, e sui Balcani soltanto qualche ora fa, dimostrano che il Parlamento è coinvolto non soltanto nell’analisi della nostra politica, ma anche nel suo concepimento e negli orientamenti futuri di tale politica.

Osservo un ampio consenso sui grandi orientamenti di questa politica, in tutti i suoi aspetti, sulla concezione che l’Europa deve avere in materia di sicurezza, sul fatto che questa sicurezza non vada intesa soltanto in termini politici e militari, ma che si tratti di una sicurezza globale che abbraccia questioni quali l’ambiente e i diritti umani. Sono inoltre particolarmente sensibile a ciò che è stato detto sui simboli: sul fatto che l’incontro con i militari che portano le stelle europee sulla spallina provochi una forte emozione e dimostri nel concreto che l’Europa è in marcia, che l’unificazione dell’Europa procede e che abbiamo appena completato un’altra fase, tramite soprattutto la politica di sicurezza e di difesa.

Avrei ancora un’osservazione sulla Cina. Onorevole Jarzembowski, durante una riunione della commissione per gli affari esteri ho assunto una posizione, che si sta gradualmente confermando. Penso che si debba guardare in faccia alla realtà: è necessario stabilire una relazione con la Cina, perché è un paese che assume sempre maggiore importanza. Occorre quindi avviare con la Cina un dialogo generale che contempli tutti gli aspetti.

Molte grazie per i vostri contributi. Penso che la discussione sia stata proficua e abbia dimostrato che il dialogo tra le varie Istituzioni europee funziona.

 
  
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  Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, penso anch’io, come il collega, che questo sia stato un dibattito interessante ed esaustivo perché ne è emerso che sono state affrontate molte questioni specifiche a titolo della PESC e della PESD. Molte delle singole questioni riemergeranno nei prossimi dibattiti. Ovviamente non abbiamo dimenticato i diritti umani. Siete stati in molti a parlarne e credo che i diritti umani siano già intrinseci alla nostra intera politica. E’ molto importante che riusciamo a diventare un attore globale con una Carta europea dei diritti dell’uomo e molto presto, si spera, anche con una Costituzione.

Nel dibattito non si è fatto riferimento a una questione, ma io vorrei affrontarla perché si tratta di un aspetto importante per la sicurezza e lo sviluppo. Si tratta della questione di genere, che viene ampiamente promossa in Europa, anche nell’ambito delle nostre politiche di sviluppo e prossimità, e rientra nella politica generale che perseguiamo.

Vorrei inoltre schierarmi dalla parte di chi afferma che l’Unione europea deve lavorare con i propri partner per evitare che i materiali nucleari e altri materiali sensibili cadano nelle mani dei terroristi. Questo è un obiettivo fondamentale del nostro piano d’azione comune.

Come l’onorevole von Wogau e altri, penso anch’io che esista un importantissimo legame tra la sicurezza interna ed esterna. Ritengo che esso sia fondamentale anche per una stretta cooperazione tra le varie direzioni della Commissione e la DG Relazioni esterne.

Infine, è stata sollevata la specifica questione dello sminamento. Non si tratta di un problema che interessa solo la Bosnia, ma di una questione che riguarda il mondo intero, e pertanto siamo molto lieti che Conferenza di revisione della Convenzione di Ottawa sulla messa al bando delle mine antiuomo si sia tenuta in Kenya, paese in cui abbiamo constatato che la questione, promossa dall’Unione europea, ha preso fortemente piede. Sono molte altre le cose da fare, ma partiamo da una base valida ed esaustiva. Lavoriamo insieme su questa base.

 
  
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  Presidente. – Dichiaro chiusa la discussione.

La votazione si svolgerà domani alle ore 12.00.

 

21. Tempo delle interrogazioni (Consiglio)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca il tempo delle interrogazioni (B6-0163/2005).

Le seguenti interrogazioni sono rivolte al Consiglio.

 
  
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  Presidente.

Interrogazione n. 1 dell’on. Esko Seppänen (H-0165/05)

Oggetto: Statuto dei deputati

A quanto pare la Presidenza di turno elabora uno statuto dei deputati al Parlamento europeo. A che punto sono i preparativi? C’è speranza che lo statuto sia applicato già ai deputati dell’attuale legislatura?

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) In risposta alla sua domanda, onorevole Seppänen, desidero ricordarle che la procedura per l’approvazione dello Statuto dei deputati del Parlamento europeo è disciplinata all’articolo 190, paragrafo 5, del Trattato CE e all’articolo 108, paragrafo 5, del Trattato EURATOM. In conformità di questi articoli, il Parlamento fissa lo Statuto e le condizioni generali di esercizio delle funzioni dei propri membri, previo parere della Commissione e approvazione del Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata.

La Presidenza del Consiglio ha intenzione di completare, se possibile durante questo semestre, i negoziati relativi allo Statuto dei deputati al Parlamento europeo, compresi quelli sull’entrata in vigore. Vi assicuro che sono in corso contatti continui per conseguire tale obiettivo.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. McMILLAN-SCOTT
Vicepresidente

 
  
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  Seppänen (GUE/NGL).(FI) Signor Ministro, alcuni Stati membri del Consiglio non hanno accettato la proposta di compromesso discussa dal Parlamento e dal Consiglio l’ultima volta. Intendete riproporre lo stesso tipo di pacchetto o vi sono proposte di emendamento e, in tal caso, quali sarebbero gli emendamenti?

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Ricorderà che, durante la Presidenza irlandese, eravamo assai prossimi a un compromesso, ma sfortunatamente non siamo riusciti a superare l’ultimo ostacolo. Si trattava di un compromesso negoziato fra il Consiglio, in particolare la Presidenza irlandese, da una parte, e il Parlamento, dall’altra.

Ritengo che numerosi elementi di quel compromesso siano tuttora validi, e quindi che sia un buon punto di partenza. Per ovvie ragioni, tuttavia, occorre definire dove siano necessari degli aggiustamenti. Cosa di cui ci stiamo occupando. Le posso garantire che in Consiglio, ma anche con il Parlamento, stiamo lavorando su soluzioni accettabili: accettabili, mi auguro, per tutti gli Stati membri se possibile o, almeno, per una maggioranza qualificata.

 
  
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  Martin, David (PSE).(EN) Non so se il Presidente in carica del Consiglio abbia avuto l’occasione di valutare il voto di ieri del Parlamento europeo sul discarico. In caso affermativo, concorda con me che la mancanza di volontà, o di capacità, del Parlamento di riformare la propria organizzazione conferma l’urgenza di uno Statuto e che l’unico modo per migliorare la reputazione di questa Istituzione è adottare uno Statuto dei deputati?

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) In quanto deputati siete gli unici a poter giudicare l’organizzazione e il funzionamento interno del Parlamento. La responsabilità è interamente nelle vostre mani. Vi posso assicurare che la Presidenza è decisa a trovare una soluzione con il Parlamento e il Consiglio. Questo è l’impegno che abbiamo assunto e che spero riusciremo a portare a termine con successo.

 
  
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  Doyle (PPE-DE).(EN) Vorrei chiedere al Presidente in carica del Consiglio se accetta il fatto che lo Statuto dei deputati e il pacchetto di indennità di questo Parlamento siano trattati congiuntamente, come concordato a novembre o dicembre di un anno fa, poco prima della Presidenza irlandese. Lo Statuto dei deputati è urgente, giacché ci permetterebbe di chiarire l’intero dibattito sulle indennità.

Il voto di ieri sul discarico di bilancio dimostra che chi è politicamente coerente e accetta l’accordo raggiunto diciotto mesi fa, non ha cambiato idea nonostante le pressioni in senso contrario dei media e di altri. Servono riforme, e occorre riformare l’intero pacchetto: Statuto dei deputati e indennità.

Ci può garantire che verrà presentato uno Statuto dei deputati nel corso di questa Presidenza? Ci può garantire che i colleghi che l’ultima volta, in sede di Consiglio, hanno abbandonato la nave in quando si riteneva di avere raggiunto un compromesso durante la Presidenza irlandese, questa volta rimarranno a bordo? Vi sono stati negoziati o assicurazioni da parte di questi paesi?

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Qualsiasi soluzione dovrà essere complessiva: una sorta di pacchetto, come lei ha detto. Ovviamente non ho modo di garantire in questa fase di avere il sostegno di tutti. Ricorderà probabilmente le ragioni essenziali del fallimento del pacchetto che era stato negoziato. Si trattava di ragioni alquanto eccezionali. Ci auguriamo che questa volta si arrivi a una soluzione che tutti potranno appoggiare, e che nessuno si lascerà influenzare da qualche articolo su giornali di cui non voglio fare il nome.

 
  
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  Presidente. – Il Regolamento stabilisce precisi limiti di tempo: ciascuna interrogazione è seguita da due domande complementari. E’ la prima volta che presiedo il Tempo delle interrogazioni e, considerata l’importanza dell’argomento, sarà l’unica volta che non rispetterò le regole.

 
  
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  Mitchell (PPE-DE).(EN) Desidero unirmi agli altri deputati per sollecitare la Presidenza ad accelerare la definizione dello Statuto.

Mi ha sorpreso l’ipocrisia dei deputati che ieri si sono opposti al discarico di bilancio, quando quegli stessi deputati ne hanno beneficiato. Non ho mai visto una simile ipocrisia in vita mia e trovo lo spettacolo di pessimo gusto. Sollecito la Presidenza a portare avanti lo Statuto, così che si definisca una volte per tutte la questione in termini di remunerazione e spese relativamente al nostro operato.

Non c’è da aspettarsi che gli ipocriti, che ieri in Aula hanno sollevato un polverone, rimborsino le somme per porre rimedio a quanto ritengono non sia corretto nel bilancio di cui ieri hanno rifiutato il discarico. E’ un comportamento assolutamente scandaloso.

 
  
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  Presidente. – Credo che la Presidenza abbia già dato una risposta in merito.

 
  
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  Rübig (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, se si introduce lo Statuto dei deputati, dev’essere chiaro per le Istituzioni europee che tutti sono pagati indipendentemente dal paese di appartenenza. I deputati di ciascun paese saranno pagati allo stesso modo in futuro? Vi sarà una differenza sostanziale rispetto ai salari dei funzionari o ci si sforzerà di trovare un giusto compromesso?

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) In riferimento al primo punto della sua domanda, credo che se veramente esiste un principio fondamentale dell’Unione europea, è quello della non discriminazione. E ritengo che debba essere applicato anche in questo caso.

(DE) La seconda parte della sua domanda riguarda un problema di equilibrio, e credo che questa sia una questione soggettiva. Benché non sia in grado di dare una risposta precisa alla sua domanda, ritengo che le nostre discussioni procedano sulla base di un pacchetto di compromesso.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 2 dell’onorevole Robert Evans (H-0167/05):

Oggetto: Energia eolica, delle onde e delle maree

Considerando la pressione esercitata sui governi per la riduzione delle emissioni di CO2 conformemente al protocollo di Kyoto, esiste un margine per un maggiore sviluppo di fonti di energia rinnovabili? Quali provvedimenti si stanno adottando per promuovere l’energia eolica, delle onde e delle maree? La lobby dell’industria petrolifera ostacola tali iniziative?

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Rispondo all’onorevole parlamentare. Il 10 marzo scorso il Consiglio, in previsione della riunione annuale di primavera del Consiglio europeo, ha adottato, per quanto riguarda l’ambiente, un contributo alle delibere sulla revisione intermedia della strategia di Lisbona. In generale, il Consiglio sottolinea la necessità di agire a partire dal 2005, in particolar modo per affrontare i cambiamenti climatici e promuovere le ecoinnovazioni, oltre che un uso efficiente dell’energia e delle risorse.

In particolare ha chiesto al Consiglio europeo di primavera di incentivare metodi di consumo e di produzione sostenibili, cui contribuiscono le innovazioni ecoefficienti, con l’intento di dissociare la crescita economica dall’uso delle risorse e dal degrado ambientale. Ha inoltre invitato a richiedere alla Commissione di formulare un’iniziativa nel 2005 in favore dell’efficienza energetica, oltre a un Libro verde che comprenda un elenco di misure significative.

In sostanza, il Consiglio ha sollecitato innanzi tutto l’attuazione, urgente e nella sua integralità, di un piano d’azione per le tecnologie ambientali – ETAP – al fine di garantire alle ecoinnovazioni la prospettiva di un mercato equo e competitivo. In secondo luogo ha sostenuto la decisa promozione di ecoinnovazioni e di ecotecnologie in tutti i settori dell’economia, in particolare in quelli dell’energia e dei trasporti. Infine ha sollecitato misure di attenuazione destinate a ridurre i rischi e i costi a lungo termine legati ai cambiamenti climatici, nella prospettiva della creazione di un’economia che emetta bassi livelli di carbonio. Ciò sarà possibile, in particolare, rafforzando lo spiegamento e lo sviluppo di tecnologie di energia rinnovabile ad alto rendimento, oltre che di nuovi combustibili.

 
  
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  Evans, Robert (PSE).(EN) Vorrei ringraziare il Presidente in carica del Consiglio per la risposta, che trovo decisamente sensata. Vorrei richiamare la sua attenzione sull’ultimo punto, laddove mi riferisco all’industria petrolifera che, a mio parere, tende a calpestare i governi e a soffocare nuove iniziative in questo campo.

Non so se lei sia d’accordo con me, personalmente o nella sua veste di Presidente in carica del Consiglio, sul fatto che se si fossero fatti investimenti simili in fonti di energia alternativa, finanziati dall’industria petrolifera, si sarebbe già potuto raggiungere quel progresso reale cui sta lavorando il Consiglio. Non ritiene che si debba fare pressione sulle compagnie petrolifere per ridurre la nostra dipendenza dalle scorte mondiali di combustibile fossile in diminuzione?

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Ritengo che la situazione attuale del mercato petrolifero, e in particolar modo il livello del prezzo del petrolio, incoraggerà molti attori a investire in fonti di energia alternativa e rinnovabile. E’ così che si arriverà a un equilibrio. Sappiamo infatti che il prezzo del petrolio è dovuto a determinati sviluppi economici in alcune aree del mondo e anche a tendenze speculative finanziarie. Questa situazione avrà come conseguenza di rendere le fonti di energia rinnovabile più interessanti e, grazie a questi meccanismi, si riuscirà probabilmente a esercitare pressioni sulle compagnie petrolifere e a prendere iniziative a favore delle fonti energetiche del futuro.

 
  
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  Caspary (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, sono anch’io dell’avviso che l’unico modo per far fronte all’effetto serra sia far ricorso non soltanto alle energie rinnovabili, ma anche all’energia nucleare e a misure di risparmio energetico. Ora, se l’autore dell’interrogazione chiede in che modo promuovere la produzione di energia elettrica sfruttando il vento, il moto ondoso e le maree, e se tali nuove iniziative vengano ostacolate dalla lobby del petrolio, io le chiedo quali iniziative sono state avviate nel settore dell’energia nucleare e se tali iniziative vengono ostacolate dalla lobby delle energie rinnovabili.

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Ritengo si tratti di una questione che riguarda ogni paese a livello nazionale. Ciascun paese deve scegliere i metodi di produzione energetica per cui ha maggiore affinità. Credo che l’onorevole deputato abbia espresso, mi pare, affinità per una particolare fonte di energia. Capisco la sua posizione, pur non condividendola necessariamente. Il Consiglio, a mio avviso, lascia a ogni Stato membro la scelta delle opzioni che ritiene più opportune.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 3 dell’onorevole Marie Panayotopoulos-Cassiotou (H-0169/05):

Oggetto: Invecchiamento della popolazione europea e revisione dei sistemi di pensionamento anticipato

L’evoluzione demografica e l’invecchiamento della popolazione nell’Unione europea esigono, come tutti lo riconoscono, che i lavoratori al di sopra dei 55 anni continuino a restare attivi nella vita professionale.

Possiede il Consiglio una conoscenza precisa della politica in vigore in ogni Stato membro relativamente al pensionamento anticipato?

Quali misure intende il Consiglio adottare per impedire il pensionamento anticipato dei lavoratori al di sopra dei 55 anni e per sfruttare il valore aggiunto della loro esperienza senza ridurre le possibilità di trovare posti di lavoro per i giovani ed i disoccupati?

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Da anni ormai le linee guida per l’occupazione mirano a promuovere l’invecchiamento attivo allo scopo di innalzare l’età media di pensionamento – in particolare la linea guida specifica 5 delle linee guida 2003, rinnovate senza modifiche nel 2004. Il Consiglio europeo di Stoccolma ha inoltre fissato l’ambizioso obiettivo di portare al 50 per cento il tasso di occupazione delle persone fra i 55 e i 64 anni di età, mentre il Consiglio europeo di Barcellona ha stabilito un ulteriore ambizioso obiettivo, ovvero l’aumento di cinque anni, entro il 2010, dell’età media di pensionamento, che attualmente è di 61 anni secondo le stime Eurostat.

Per il Consiglio mantenere in attività i lavoratori più anziani è una delle sfide principali, come emerge dai messaggi chiave che ha recentemente rivolto all’attenzione del Consiglio europeo di primavera, in cui sottolinea come sia appropriato porre la questione in primo piano nelle riforme volte a garantire l’adeguatezza sociale e la fattibilità dei piani di pensionamento futuri, nel rispetto della situazione di ciascun paese. L’aumento della longevità esigerà un’ulteriore proroga dell’età a cui i lavoratori lasciano il mercato del lavoro, il che presuppone lo smantellamento progressivo delle misure di incentivazione per il pensionamento anticipato.

 
  
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  Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, nel quadro della libertà dei cittadini europei e dell’abolizione dell’età o di altre forme di discriminazione, nella prospettiva di mettere a frutto l’esperienza accumulata dai lavoratori in età prepensionistica, verranno stabilite misure per basi politiche europee comuni, così che anche i giovani possano beneficiare dell’esperienza di chi va in pensione, senza che ciò precluda loro di subentrare nei posti di lavoro cui hanno diritto?

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) In effetti, credo che mantenere in attività i lavoratori più anziani non debba compromettere l’occupazione giovanile. Il Consiglio europeo, optando per il rilancio e la rivitalizzazione della strategia di Lisbona, ha avviato un’iniziativa a favore dei giovani, per offrire loro maggiori prospettive di lavoro. Ritengo che le due cose possano avanzare di pari passo, a condizione forse di applicare altri metodi di gestione dell’occupazione. Ora, la gestione dell’occupazione avviene principalmente a livello di impresa e le società dovrebbero prendere coscienza di quanto affermato dall’onorevole deputato, ovvero che l’esperienza, e quindi anche l’età, ha il suo prezzo e il suo valore.

 
  
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  Bushill-Matthews (PPE-DE).(EN) Sono lieto che questo punto sia stato incluso nell’ordine del giorno e che la questione dell’invecchiamento attivo sia stata seguita così attentamente da alcuni colleghi parlamentari. Si tratta di una questione che concerne molti di noi.

E’ in grado di confermare l’applicazione delle politiche di invecchiamento attivo da parte delle Istituzioni europee e, nello specifico, che non vi è più discriminazione in base all’età nelle politiche per l’occupazione adottate da lei e dai suoi colleghi in veste di datori di lavoro? Ha fatto riferimento al ruolo dei datori di lavoro, e anche le Istituzioni dell’Unione europea sono datori di lavoro. Ho posto la stessa domanda al Commissario Kinnock, ma non sono mai riuscito ad avere una risposta chiara. Mi auguro che potrò averla da lei.

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Se ho inteso correttamente la domanda, all’interno delle Istituzioni europee non esiste alcuna politica discriminatoria nei confronti delle persone più anziane. Inoltre, ricordo che l’anno scorso la Commissione ha proposto una relazione per il Consiglio di primavera sul tema dell’invecchiamento attivo. Ritengo che spetti alle Istituzioni promuovere quest’idea. Non credo che vi sia una politica di discriminazione all’interno delle Istituzioni: vi si incontrano persone di tutte le età, ovviamente entro i limiti dell’età di pensionamento, ma questa è un’altra questione.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 4 dell’onorevole Mairead McGuinness (H-0172/05):

Oggetto: Istituti di assistenza per i bambini in Romania

In vista della probabile firma del trattato di adesione della Romania in aprile, può il Consiglio fornire informazioni sul miglioramento, se in corso, della situazione dei diritti umani in Romania, specificamente in relazione alle condizioni dei bambini e dei giovani adulti negli orfanotrofi e nelle altre strutture di questo tipo gestite dallo Stato? E’ convinto che siano stati fatti progressi tali da permettere la firma del trattato di adesione in tale settore?

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Il Consiglio europeo del dicembre 2004 ha registrato con soddisfazione i progressi compiuti dalla Romania, nell’attuazione dell’acquis comunitario e degli impegni assunti, che hanno permesso di chiudere formalmente tutti i capitoli in sospeso nei negoziati di adesione. Oggi gli onorevoli deputati hanno, credo, deciso di dare il proprio benestare all’adesione della Romania.

Prendendo atto delle valutazioni e delle raccomandazioni presentate dalla Commissione, il Consiglio europeo ha ritenuto che la Romania sarebbe pronta ad assumere, al momento previsto per la sua adesione, tutti gli obblighi che ne conseguono. Al contempo, il Consiglio europeo ha chiaramente indicato che l’Unione europea continuerà a seguire attentamente – e credo che questo sia stato ampiamente confermato questa mattina – i preparativi compiuti dalla Romania, nonché i risultati ottenuti.

Il Consiglio assicura quindi all’onorevole parlamentare che, come in passato, la questione dei bambini sarà seguita molto da vicino. Faccio notare inoltre che, nella relazione del 2004 sui passi compiuti dalla Romania sulla strada verso l’adesione, la Commissione ha registrato progressi costanti nella riorganizzazione della tutela dell’infanzia, in particolare grazie alla chiusura dei grandi istituti desueti e all’attuazione di procedure alternative.

Da parte sua, l’Unione europea ha fornito sostegno finanziario agli sforzi della Romania volti a migliorare la qualità degli enti statali per la tutela dell’infanzia. Nonostante rimangano ancora lavoro e miglioramenti da compiere, si può dire che nell’insieme le condizioni di vita dei bambini negli istituti statali sono decisamente migliorate, e che le autorità rumene continueranno nel proprio impegno di attuare pienamente la riforma del sistema di protezione dell’infanzia, come tutte le Istituzioni, e in particolare il Consiglio e la Commissione, le hanno ovviamente invitate a fare.

 
  
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  McGuinness (PPE-DE).(EN) Signor Presidente in carica del Consiglio, la mia interrogazione si riferiva anche ai giovani, e forse avrei dovuto aggiungere “portatori di handicap”, giacché vi sono alcune questioni tuttora aperte.

Mi può informare sull’attuale stato di realizzazione del progetto pilota nazionale relativo alla riforma delle istituzioni nell’ambito dell’ANPH, in particolare in relazione a Negru Voda, e su quando il suddetto progetto pilota sarà esteso a tutto il paese?

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Ritengo che dovrebbe rivolgere questa domanda innanzi tutto alla Commissione, e mi dispiace informarla di non poter essere più preciso al riguardo. Occorre rivolgere la domanda alla Commissione.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 5 dell’onorevole Philip Bushill-Matthews (H-0174/05):

Oggetto: Privazione del diritto di voto per gli espatriati relativamente al trattato costituzionale

E’ il Consiglio al corrente del fatto che numerosi cittadini britannici che hanno scelto, una volta andati in pensione, di trasferirsi in altri Stati membri non possono votare attualmente nei referendum nazionali sulla proposta di Costituzione europea? Ai sensi della legislazione nazionale in vigore, se questi cittadini hanno lasciato il Regno Unito più di 15 anni fa non hanno più il diritto di votare in detto paese, eppure non viene loro concesso automaticamente il diritto di votare nel nuovo paese di residenza. Mentre è a discrezione di ogni singolo Stato membro accordare tale diritto, non sarebbe opportuno che vi fosse un qualche coordinamento tra gli Stati membri in modo che questi cittadini possano far sentire la propria voce? Non è fondamentalmente sbagliato che a qualsiasi cittadino europeo venga negato il voto in merito a una questione così importante? E’ il Consiglio a conoscenza del numero di cittadini in tale situazione? Può il Consiglio proporre modalità di cooperazione tra gli Stati membri ai fini della soluzione di tale problema?

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Il Consiglio ricorda all’onorevole parlamentare che l’organizzazione delle procedure elettorali, così come le regole relative ai requisiti degli elettori, sono disciplinate dal diritto interno di ciascuno Stato membro. Pur reputando importante che l’esercizio del diritto di voto possa esercitarsi nel modo più ampio possibile sul territorio dell’Unione, non spetta al Consiglio pronunciarsi sull’interrogazione dell’onorevole deputato.

 
  
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  Bushill-Matthews (PPE-DE).(EN) Desidero rivolgere una domanda complementare, ma anche ritornare su quella originaria, perché il Ministro ha eluso sia questa che la domanda precedente, e non mi pare corretto. Concordo sul fatto che la materia sia di competenza degli Stati membri. Io avevo chiesto se il Consiglio può, incoraggiando il ricorso alle migliori pratiche, esercitare la sua influenza affinché si possa trarre insegnamento gli uni dagli altri.

La mia attenzione è stata richiamata, in modo specifico, sul caso degli espatriati britannici in Spagna, che mi hanno riferito che, mentre prima potevano votare nel loro paese di origine nel Regno Unito a condizione di essere stati registrati nei 20 anni precedenti, ora l’attuale governo ha reso loro le cose più difficili, riducendo questo periodo a 15 anni. Conosce qualche altro Stato membro che rende più difficile il diritto di voto per gli espatriati? Non desidera incoraggiare i suoi colleghi a rendere più semplice la procedura? La prego di rispondere e di non essere evasivo.

 
  
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  Presidente. (EN) Mi rivolgo al Ministro. Credo che l’onorevole Bushill-Matthews abbia visto giusto, ma siamo entrambi conservatori!

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Francamente, ritengo che la Costituzione abbia definito meglio le regole dell’Unione. Si tratta di un ambito che realmente esula dalle competenze dell’Unione. Spetta quindi a ciascuno Stato membro definire il proprio diritto elettorale, come ho già detto, anche se si può auspicare che sia il più ampio, efficace e meglio organizzato possibile. Tuttavia, la materia rimane di competenza dei singoli Stati membri.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 6 dell’onorevole Bernd Posselt (H-0177/05):

Oggetto: Cristiani in Turchia

Quali interventi attua la Presidenza del Consiglio per aiutare le chiese e le comunità religiose cristiane in Turchia ad ottenere uno statuto giuridico finalmente assicurato, in quanto passo importante verso la libertà religiosa?

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Rispondendo a domande sull’argomento, il Consiglio, e anche il sottoscritto tra l’altro, a nome del Consiglio, ha già avuto più volte l’opportunità di sottolineare che, se la costituzione della Repubblica di Turchia garantisce la libertà religiosa, talune condizioni per il funzionamento delle comunità religiose non musulmane devono ancora essere stabilite, in conformità con le pratiche in vigore negli Stati membri dell’Unione europea.

Nella sua relazione periodica del 2004, la Commissione europea ha riportato esempi di progressi compiuti dalla Turchia in questo ambito, ma ha altresì riconosciuto l’esistenza di considerevoli lacune che devono essere colmate, in particolare per quanto riguarda la personalità giuridica e i diritti di proprietà delle comunità non musulmane, nonché la formazione del clero. A questo proposito, un’importante normativa sui diritti fondamentali è ancora al vaglio del Primo Ministro turco. Era stato chiesto alla Commissione di fornire le proprie osservazioni su tale normativa, che attualmente è in corso di revisione.

Il Consiglio europeo del 16 e 17 dicembre 2004 ha dichiarato che la Turchia adempiva ai criteri politici di Copenaghen in modo sufficientemente adeguato affinché si aprissero i negoziati di adesione. Allo stesso tempo, il Consiglio europeo ha chiaramente indicato che l’attuazione completa ed efficace del processo di riforme politiche deve continuare a essere seguita da vicino dalla Commissione. La Commissione dovrà valutare tutte le questioni che costituiscono motivo di preoccupazione di cui ha riferito nella sua relazione periodica e nella sua raccomandazione, fra cui ovviamente la libertà di culto, e riferirne regolarmente al Consiglio.

Il Consiglio può pertanto assicurare all’onorevole parlamentare che continuerà a seguire da vicino i progressi realizzati dalla Turchia in questo campo, in particolare sulla base di un partenariato per l’adesione che stabilisce le priorità del processo di riforma, di cui in autunno la Commissione presenterà al Consiglio una proposta di testo rivista. Il Consiglio assicura inoltre che, come in passato, l’Unione europea non mancherà di sollevare le questioni ancora in sospeso nel corso dei vari forum di dialogo politico e in seno agli organi istituiti dall’accordo di associazione.

 
  
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  Posselt (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, trattandosi di una delle questioni più appassionanti e importanti di quest’anno, vorrei chiedere alla Presidenza del Consiglio se non sia auspicabile che il Consiglio informi il pubblico e il Parlamento, a intervalli regolari, sull’andamento reale dei negoziati, dal momento che vengono condotti dagli Stati membri piuttosto che dalla Commissione.

Gradiremmo essere informati regolarmente sui progressi realizzati riguardo all’importante questione del diritto di proprietà delle chiese e della libertà di praticare attivamente un culto.

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Onorevole deputato, credo che lei stia correndo un po’ troppo, dal momento che i negoziati con la Turchia non sono ancora iniziati. Abbiamo per così dire, in particolare la Commissione, un dialogo con la Turchia, per assicurare che i processi di riforma cui il paese si è impegnato vengano portati a termine. Le posso assicurare che, al momento opportuno dopo il 3 ottobre, se inizieranno i negoziati con la Turchia, il Parlamento sarà certamente tenuto informato sullo sviluppo dei negoziati.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 7 dell’onorevole Gunnar Hökmark (H-0185/05):

Oggetto: Lista UE delle organizzazioni terroristiche

Sebbene l’Hezbollah abbia rivendicato una serie di attentati terroristici l’Unione europea ha scelto di non includerlo nella lista delle organizzazioni terroristiche argomentando che la situazione era oltremodo delicata nella regione.

In realtà, la situazione appare per il momento così precaria da rendere quanto mai pericolosa l’indifferenza dell’UE nei rapporti dell’Hezbollah, le cui attività sono finanziate dall’Iran con il consenso della Siria. L’Hezbollah costituisce pertanto una minaccia sia per il processo di pace ora rilanciato fra Israele e l’Autorità palestinese sia per le crescenti aspirazioni libanesi all’indipendenza.

Non si può certo contestare che l’Hezbollah sia un’organizzazione dedita al terrorismo pertanto anch’essa dovrebbe figurare nella lista UE delle organizzazioni terroristiche. Per tutte le forze che si adoperano per la pace e la libertà nel Vicino Oriente è importante che l’UE si pronunci chiaramente contro il terrorismo dell’Hezbollah sponsorizzato dall’Iran.

Quando intende il Consiglio iniziare a considerare l’Hezbollah come quell’organizzazione terroristica che indubbiamente è?

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) La questione dell’inserimento del movimento sciita Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroristiche è stata esaminata più volte dagli organismi del Consiglio e rimante tuttora aperta.

L’onorevole parlamentare saprà che una decisione in tal senso deve soddisfare le condizioni previste nella posizione comune 931/2001 e che richiede l’unanimità.

Inoltre, nelle sue conclusioni del 16 marzo 2005, il Consiglio ha riaffermato il proprio sostegno a un Libano sovrano, indipendente e democratico, rinnovando la propria richiesta per un’immediata attuazione totale della risoluzione 1559 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che prevede in particolare il disarmo delle milizie presenti sul territorio libanese. Il Consiglio europeo, riunitosi a Bruxelles il 22 e 23 marzo 2005, ha confermato tale impostazione.

 
  
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  Hökmark (PPE-DE).(SV) Signor Presidente, ringrazio la Presidenza per aver accolto la mia interrogazione. Tuttavia non si può dire che io abbia avuto risposta alla mia domanda, che non riguardava il disarmo di varie organizzazioni presenti in Libano, ma la garanzia che il processo di pace in Medio Oriente possa continuare in condizioni stabili. Sappiamo che il terrorismo è in assoluto la minaccia più seria. Sappiamo che, tramite Hezbollah, l’Iran finanzia e sostiene il terrorismo con l’ovvia intenzione, dichiarata senza mezzi termini in diverse occasioni, di compiere atti per annientare Israele. Se non si chiarisce con l’Iran che è inaccettabile appoggiare gli atti di terrorismo, e se Hezbollah non viene dichiarato organizzazione terroristica, occorre porre la seguente domanda: in che senso Hezbollah non è, di fatto, un’organizzazione terroristica? In che modo, inoltre, è possibile far capire all’Iran che non è lecito sostenere il terrorismo?

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Penso che la sua domanda vada oltre il tema più specifico di Hezbollah. Si è discusso a lungo sull’approccio migliore per affrontare questo caso particolare, e vi sono diverse opzioni possibili. Ovviamente, la maggiore minaccia al processo di pace è il terrorismo.

Dobbiamo ancora trovare il modo per combattere questo flagello e, al momento, posso solo confermare quanto ho appena affermato: che l’approccio scelto in questa fase non è, per il momento, quello di iscrivere l’organizzazione a cui l’onorevole parlamentare ha fatto riferimento, ovvero Hezbollah, nella lista. Ciò non significa che non consideriamo pericolose le attività di questo gruppo, ma che questo è l’approccio scelto, che, tra l’altro, non è stato criticato da alcuni fra i nostri partner più importanti.

 
  
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  Martin, David (PSE).(EN) Desidero sostenere l’atteggiamento del Consiglio nei confronti di Hezbollah, che ha una certa logica. Se ci si oppone al terrorismo – atteggiamento che tutti condividiamo, e sappiamo che Hezbollah ha legami con il terrorismo – allora Hezbollah va bandito. Tuttavia si tratterebbe di un approccio a brevissimo termine, poiché non può esservi una soluzione permanente in Medio Oriente senza una partecipazione attiva di Hezbollah. Pertanto, se da una parte il Consiglio ha ragione a rivedere periodicamente la questione relativa alla messa al bando di tale organizzazione, è preferibile avere un dialogo nell’immediato futuro.

 
  
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  Allister (NI).(EN) Alla luce delle connessioni finanziarie fra Iran e Hezbollah, anche in questo caso il Consiglio preferisce optare per un approccio “morbido” nei confronti dell’Iran, in linea con il suo accomodante atteggiamento nei riguardi delle ambizioni nucleari del paese? Questo atteggiamento “morbido” nei confronti di Hezbollah dipende forse dai legami dell’organizzazione con l’Iran?

Ritengo che il movimento Hezbollah sia attualmente l’organizzazione terroristica attiva più perniciosa e violenta nel pericoloso mondo in cui viviamo, e che dovrebbe essere trattato di conseguenza. Se l’esperienza del mio paese ci insegna qualcosa, è che la linea morbida con i terroristi non funziona: quanto è successo con l’IRA lo prova senza ombra di dubbio.

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Non credo che qui si tratti di usare o meno un approccio “morbido”. L’onorevole parlamentare ha tra l’altro inserito la questione in un contesto più ampio. Occorre in effetti instaurare un dialogo, e lo stiamo facendo, con l’Iran riguardo al suo atteggiamento e al suo sostegno delle attività terroristiche, oltre che in merito alla sua posizione per una soluzione pacifica del problema mediorientale. L’abbiamo fatto e lo stiamo facendo anche nell’approccio globale che abbiamo adottato e che stiamo mantenendo con questo paese, in particolare per quanto riguarda la non proliferazione.

Quanto a Hezbollah, per rispondere all’intervento dell’onorevole Martin, credo si tratti di un gruppo complesso. In effetti l’organizzazione ha diverse sfaccettature, compresa un’ala parlamentare, giacché è rappresentato al parlamento libanese. Anche per questa ragione nella mia risposta ho insistito su quest’ala libanese, che non possiamo escludere o separare dal contesto più specifico del terrorismo nei confronti di Israele.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 8 dell’onorevole David Martin (H-0186/05):

Oggetto: Negoziati in vista dell’adesione della Croazia

Come valuta il Consiglio lo stato attuale dei negoziati con la Croazia nell’ottica dell’adesione di tale paese all’UE?

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Il Consiglio europeo del giugno 2000 ha deliberato che tutti i paesi dei Balcani occidentali sono candidati potenziali all’adesione all’Unione europea.

Successivamente, nel giugno 2003, il Consiglio europeo ha riaffermato la sua determinazione a sostenere pienamente ed efficacemente la prospettiva europea dei paesi dei Balcani occidentali, che faranno parte integrante dell’Unione europea non appena soddisferanno i criteri stabiliti. Spetta quindi ai paesi interessati – come ha dimostrato, a mio parere, il dibattito che abbiamo tenuto sui Balcani – determinare il ritmo del loro avvicinamento all’Unione, allineandosi all’acquis comunitario e rispondendo ai criteri stabiliti dal Consiglio europeo di Copenaghen.

Il 16 marzo 2005, il Consiglio ha ribadito l’impegno dell’Unione europea a favore dell’adesione della Croazia e ha approvato il quadro dei negoziati con questo paese. Il Consiglio ha altresì ricordato l’importanza di una cooperazione incondizionata di tutti i paesi dei Balcani occidentali con il TPIJ. E’ un requisito fondamentale per il proseguimento del processo di avvicinamento all’Unione europea, e mi pare di aver insistito su questo punto nel corso del dibattito precedente.

Per tale motivo, previa delibera del Consiglio e in assenza di un accordo comune, è stata posticipata l’apertura dei negoziati di adesione della Croazia. Si convocherà una conferenza intergovernativa bilaterale, di comune accordo, non appena il Consiglio avrà constatato che la Croazia collabora appieno con il TPIJ. Come sapete, per consentire al Consiglio di prendere questa decisione con piena cognizione di causa, è stato costituito un gruppo coordinato dalla Presidenza cui partecipano le due Presidenza successive, la Commissione e l’Alto rappresentante. La prima riunione con il governo croato si terrà il 26 aprile per discutere proprio di questo aspetto della cooperazione con il Tribunale dell’Aia.

 
  
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  Martin, David (PSE).(EN) La sua risposta è stata molto utile. Tuttavia, se il generale in fuga ha lasciato la Croazia, che prova potranno fornirle le autorità croate per dimostrare che stanno collaborando con il Tribunale penale internazionale? Mi pare che siano in un vicolo cieco. Se il generale ha lasciato il territorio della Croazia, non saranno in grado di catturarlo; come potranno allora dimostrare la loro disponibilità a collaborare con il Tribunale penale internazionale?

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Onorevole Martin, credo di aver già risposto chiaramente a questa domanda. Non si è mai affermato che la condizione per l’apertura dei negoziati con la Croazia fosse l’arresto del generale Gotovina e la sua comparsa dinanzi al Tribunale dell’Aia. Questa non è mai stata considerata una condizione. La condizione è rappresentata dalla collaborazione della Croazia con il Tribunale dell’Aia, una cooperazione volta a fornire tutte le informazioni che possano condurre all’arresto. In effetti, se il generale si trova altrove e non in Croazia, non si possono obbligare i croati ad arrestarlo.

Credo quindi che non si debba confondere questa condizione con quella più generale della cooperazione incondizionata con il Tribunale penale internazionale, cioè la presentazione di tutte le informazioni che possano consentire l’arresto del generale Gotovina. Se questo arresto non può essere effettuato a causa di informazioni insufficienti, ciò non significa che l’adesione della Croazia debba essere definitivamente bloccata. Sarebbe ingiusto nei confronti di questo paese.

 
  
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  Presidente. – Poiché vertono sullo stesso argomento, annuncio congiuntamente l’

interrogazione n. 9 dell’onorevole Enrique Barón Crespo (H-0188/05):

Oggetto: Inchiesta sull’assassinio in Iraq del giornalista José Couso, cittadino europeo

L’8 aprile 2003, a seguito degli attacchi delle forze statunitense, gli operatori televisivi José Couso, cittadino spagnolo ed europeo (Tele 5), Taras Protsyuk (agenzia Reuters) e Tareq Ayoub (Al-Jazera) hanno perso la vita nell’adempimento del proprio dovere d’informazione.

Sinora le autorità statunitensi non hanno effettuato indagini né avviato alcun procedimento giudiziario. Tuttavia, esse hanno accettato di aprire un’inchiesta con la partecipazione delle autorità italiane in relazione all’attacco ingiustificato, sempre ad opera delle forze statunitensi, verificatosi in occasione della liberazione della cittadina italiana ed europea Giuliana Sgrena, lo scorso venerdì 4 marzo.

Può il Consiglio indicare quali sono le misure da adottare per ottenere l’apertura di un’inchiesta che offra sufficienti garanzie e permetta di accertare eventuali responsabilità penali e stabilire risarcimenti in relazione all’assassinio del cittadino europeo José Couso e dei suoi colleghi, caduti nell’adempimento del proprio dovere d’informazione?

l’interrogazione n. 10 dell’onorevole Willy Meyer Pleite (H-0191/05):

Oggetto: Inchiesta sull’assassinio del giornalista José Couso in Iraq

L’8 aprile 2003, a seguito di un attacco sferrato dalle forze statunitensi contro l’hotel Palestina a Bagdad, hanno perso la vita nell’adempimento del proprio dovere d’informazione il cittadino spagnolo José Couso (cameraman della rete spagnola Tele 5) e gli operatori Taras Protsyuk (agenzia Reuters) e Tareq Ayoub (rete televisiva Al-Jazera).

Sinora le autorità statunitensi hanno taciuto su questo drammatico assassinio, e non hanno effettuato indagini né avviato procedimenti giudiziari.

Tuttavia, queste stesse autorità hanno accettato di aprire un’inchiesta congiunta con il governo italiano in relazione all’attacco ingiustificato, sempre ad opera delle forze statunitensi, verificatosi il 4 marzo 2005, in occasione della liberazione della giornalista italiana Giuliana Sgrena, nel quale ha perso la vita Nicola Calipari.

A giudizio del Consiglio, quali misure può adottare l’Unione europea per ottenere l’apertura di un’inchiesta che offra le adeguate garanzie di imparzialità, onde accertare tutte le responsabilità legate all’assassinio di José Couso e dei suoi colleghi, caduti nell’adempimento del proprio dovere d’informazione?

l’interrogazione n. 11 dell’onorevole David Hammerstein Mintz (H-0205/05):

Oggetto: Indagine sull’assassinio in Iraq del giornalista europeo José Couso

L’8 aprile 2003, a seguito degli attacchi delle forze statunitensi, hanno perso la vita nell’adempimento del proprio dovere d’informazione gli operatori televisivi José Couso, cittadino spagnolo ed europeo (Tele 5), Taras Protsyuk (agenzia Reuters) e Tareq Ayoub (Al-Jazera).

Sino ad oggi, le autorità degli Stati Uniti non hanno ancora svolto indagini né avviato alcun processo giudiziario in proposito.

Tuttavia, esse hanno invece deciso di avviare un’indagine, in cooperazione con l’Italia, a seguito dell’ingiustificato attacco compiuto il 4 marzo scorso dalle forze statunitensi durante la liberazione della giornalista italiana Giuliana Sgrena, che aveva portato alla morte di Nicola Calipari, funzionario del Sismi.

Quali misure occorre adottate per assicurare lo svolgimento di un’indagine che permetta di determinare le responsabilità sia penali che in termini di indennizzo per quanto riguarda l’assassinio del giornalista José Couso e dei suoi colleghi, uccisi durante lo svolgimento della loro attività professionale di pubblica informazione?

l’interrogazione n. 12 dell’onorevole Josu Ortuondo Larrea (H-0216/05):

Oggetto: Inchiesta sull’assassinio in Iraq del giornalista José Couso

Il 4 marzo 2005, poco dopo la liberazione della giornalista italiana Giuliana Sgrena, l’esercito americano ha ucciso il cittadino italiano Nicola Calipari.

Di fronte alla pressione della cittadinanza italiana, il governo italiano e gli Stati Uniti hanno deciso di condurre un’inchiesta congiunta per tentare di chiarire questo triste evento. Al contrario, il caso dell’operatore spagnolo di Tele 5 José Couso, dell’operatore ucraino dell’agenzia Reuters Taras Prosyuk, e dell’operatore della rete televisiva Al Jazeera Tarek Ayoub, morti a causa di un attacco ad opera delle forze statunitensi contro l’hotel Palestina a Bagdad, non è stato oggetto di alcuna inchiesta né azione giudiziaria, di cui si sappia fino ad ora.

Dal momento che José Couso era un cittadino europeo, quali misure può adottare l’Unione europea per ottenere un’inchiesta congiunta con le autorità statunitensi al fine di chiarire i fatti e, se del caso, appurare le eventuali responsabilità?

l’interrogazione n. 13 dell’onorevole Ignasi Guardans Cambó (H-0219/05):

Oggetto: Indagine sull’assassinio di José Couso in Iraq

L’8 aprile 2003 blindati statunitensi spararono contro il 14° piano dell’Hotel Palestine di Baghdad, dove si trovavano vari giornalisti che stavano facendo la cronaca degli avvenimenti in corso. José Couso, giornalista spagnolo, non sopravvisse all’attacco. Nelle stesse circostanze morirono altri due giornalisti, Taras Protsyuk e Tareq Ayoub.

A due anni di distanza le autorità degli Stati Uniti non hanno svolto alcuna indagine affidabile e indipendente per chiarire quanto accaduto e stabilire le cause di queste morti assurde.

Che cosa intende fare il Consiglio per esigere un’indagine e chiarire le ragioni dell’attacco statunitense dell’8 aprile 2003 all’Hotel Palestine?

e l’interrogazione n. 14 dell’onorevole Jean-Marie Cavada (H-0240/05):

Oggetto: Inchiesta sul decesso del giornalista José Couso

L’8 aprile 2003 due cameraman, lo spagnolo José Couso della televisione Telecinco e l’ucraino Taras Protsyuk dell’agenzia Reuters, sono stati uccisi a Baghdad da un tiro dell’esercito americano sull’Hotel Palestine dove alloggiavano varie centinaia di giornalisti non incorporati. Lo stesso 8 aprile 2003 il giornalista giordano, Tarek Ayoub, della rete Al-Jazira veniva del pari ucciso in occasione di un’incursione aerea americana. Secondo Reporters sans frontières il rapporto fornito dalle autorità americane sulle circostanze di detti drammi è incompleto giacché non individua i responsabili ed occulta la mancata comunicazione fra i militari che hanno fatto fuoco sull’Hotel Palestine e i loro superiori gerarchici circa la presenza di giornalisti all’interno dell’edificio.

A giudizio del Consiglio, quali azioni possono essere ventilate dall’Unione europea per far sì che sia esperita un’inchiesta indipendente sulle circostanze della morte di José Couso, che i colpevoli siano individuati e processati e che la famiglia della vittima sia risarcita?

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Il Consiglio ha condannato più volte il massacro di civili, tra cui quello dei giornalisti, e ha sempre insistito sulla necessità, da parte delle autorità interessate, di condurre indagini approfondite ogni volta che si verificano incidenti. Il Consiglio è consapevole del fatto che numerosi incidenti rimangono ancora poco chiari e non sono stati oggetto di adeguate indagini, e continuerà a sollevare la questione e a chiedere che si aprano inchieste a tempo debito.

Per quanto riguarda l’incidente specifico evocato nelle interrogazioni, l’indagine condotta dalle autorità statunitensi è giunta alla conclusione che non vi è stata colpa da parte delle forze americane. La famiglia della vittima ha, tuttavia, avviato un’azione giudiziaria contro i soldati americani coinvolti. Alla luce di queste circostanza, il Consiglio non ritiene opportuno esprimersi in materia.

 
  
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  Meyer Pleite (GUE/NGL).(ES) Signor Presidente, signor Ministro, la sua risposta è molto deludente visto che stiamo cercando, o abbiamo cercato, di convincere i cittadini dell’Unione europea che, in base al Trattato costituzionale, tutti gli aspetti inerenti alla sicurezza comune richiederanno una politica unitaria da parte degli Stati membri.

Cinque giorni fa è stato commemorato il secondo anniversario della morte di questo giornalista. Non chiediamo all’Unione europea di adire le vie legali, come stanno già facendo i famigliari, ma di esigere sul piano politico che il governo degli Stati Uniti avvii un’indagine imparziale. Tutti sanno che l’edificio in cui ha trovato la morte questo giornalista, l’Hotel Palestina, era un bersaglio non militare che doveva essere protetto e che ospitava tutti i rappresentanti della stampa internazionale accreditata, per cui la risposta delle autorità statunitensi non è ammissibile. Chiediamo alla Presidenza in carica del Consiglio di presentare una petizione energica e chiara al governo statunitense affinché apra un’inchiesta imparziale.

Per questi motivi, mi rammarico della sua risposta e spero che si rifletta sulla necessità di ribadire con maggiore fermezza la necessità di questa indagine.

 
  
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  Guardans Cambó (ALDE).(FR) Signor Ministro, sono un po’ deluso dalla sua risposta. Equivale a dire che, poiché la famiglia ha reagito e avviato una procedura giudiziaria per difendere gli interessi di un fratello, un cugino, un proprio caro, il Consiglio non ha nulla da dire. Ciò significa, se ho inteso bene la sua risposta, che il Consiglio avrebbe reagito soltanto nel caso in cui la famiglia fosse rimasta inattiva. Si tratta di una risposta del tutto incomprensibile, per non dire intollerabile.

Delle due l’una: o ha il coraggio di dire, a nome del Consiglio, che lei si ritiene totalmente soddisfatto dell’inchiesta condotta dalle autorità americane, come è suo diritto – ma in questo caso abbia il coraggio di ammettere che l’indagine delle autorità americane, che conclude che non è successo nulla, soddisfa appieno il Consiglio –, oppure riconosce di non essere soddisfatto e procede a chiedere ulteriori spiegazioni. La passività, però, non rappresenta mai una risposta e non contribuisce ad avvicinare i cittadini ai loro governi e alle loro Istituzioni.

 
  
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  Cavada (ALDE).(FR) Signor Presidente in carica del Consiglio, innanzi tutto, mi conceda di manifestare pubblicamente la nostra soddisfazione per le iniziative intraprese dal Presidente del Parlamento europeo e da uno dei Vicepresidenti del Parlamento, l’onorevole Vidal-Quadras Roca, a favore della liberazione della giornalista francese Florence Aubenas, e del suo collega Hanoun Al-Saadi, tenuti in ostaggio esattamente da cento giorni.

Colgo l’occasione per ricordare che in Iraq vari giornalisti e altri professionisti della stampa sono stati vittime di sequestri, come avviene raramente in una guerra, e che si contano già alcune decine di sequestri. Forte della mia esperienza, da un lato, e della mia nuova funzione, dall’altro, esorto altresì il Consiglio a sottoporre una richiesta di indagine congiunta, prima che i cittadini scendano in piazza per richiederla, come è avvenuto in Italia per il caso Calipari. Sarebbe un’iniziativa morale e tecnicamente realizzabile.

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Innanzi tutto, desidero ringraziare l’onorevole Cavada di aver ricordato che cento giorni fa sono stati presi in ostaggio la signora Aubenas e la persona che l’accompagnava. Ritengo di poter esprimere a nome del Consiglio, o quanto meno della Presidenza, tutta la nostra solidarietà verso la signora Aubenas, e verso tutti gli ostaggi prelevati in Iraq, poiché ve ne sono altri. C’è un altro gruppo di tre giornalisti romeni che sono stati presi in ostaggio. Colgo l’occasione per esprimere loro la nostra più sincera solidarietà e la nostra volontà di fare tutto il possibile perché siano liberati al più presto.

Comprendo anche, in certa misura, la delusione che è stata manifestata. Ma non posso fare di più. In effetti, poiché è stata avviata un’azione giudiziaria da parte delle famiglie, io non posso, in questa fase, espormi maggiormente assumendo una posizione politica in materia. Credetemi: noi continuiamo a seguire da vicino tutte queste questioni e tutti questi incidenti, alcuni dei quali particolarmente tragici.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 15 dell’onorevole Manuel Medina Ortega (H-0193/05):

Oggetto: Relazioni dell’Unione europea con la Comunità andina

Come contempla il Consiglio le future relazioni dell’Unione europea con la Comunità andina di nazioni e quali iniziative ritiene opportuno adottare affinché l’Unione europea possa contribuire al rafforzamento di tale Comunità?

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Il Vertice di Guadalajara tra l’Unione europea e i paesi dell’America latina e dei Caraibi, tenutosi nel maggio 2004, ha fatto emergere chiaramente l’importanza che l’Unione europea attribuisce alla Comunità andina e ai suoi progressi verso l’integrazione. In quella occasione, i capi di Stato e di governo hanno accolto con soddisfazione la decisione di avviare il processo che condurrà a un accordo di associazione e a una zona di libero scambio. Questa prospettiva dovrà imprimere un nuovo slancio al rafforzamento del processo di integrazione regionale.

Nel frattempo è stata avviata la fase di valutazione congiunta preliminare, una valutazione di natura tecnica, e la riunione ministeriale congiunta prevista per fine maggio a Lussemburgo offrirà un’ulteriore occasione per approfondire questo aspetto essenziale per le nostre relazioni future. L’Unione europea si compiace della volontà ribadita dai rappresentanti politici dei paesi andini di proseguire su questa via, nonché di portare avanti il processo di ravvicinamento tra Mercosur e Comunità andina.

Per quanto riguarda la domanda sulla lotta contro la droga, l’Unione europea si rallegra delle riunioni ad alto livello con gli specialisti dei paesi andini sugli stupefacenti e i loro precursori. Il prossimo incontro avrà luogo a Lima nel corso di questo semestre. Entrambe le parti manterranno vivi i loro sforzi per combattere questo flagello tramite un approccio basato sulla cooperazione e la corresponsabilità.

A proposito della politica commerciale, l’Unione europea attribuisce un ruolo fondamentale ai paesi andini nel quadro dell’SPG+ proposto. Prefiggendosi l’obiettivo di intessere relazioni politiche sostenibili fondate sull’interesse e sulla partecipazione dei popoli, il Consiglio sottolinea, infine, l’importante contributo della riunione con i rappresentanti della società civile dei paesi andini, che ha avuto luogo il 3 marzo a Bruxelles.

 
  
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  Medina Ortega (PSE).(ES) Signor Presidente, ringrazio il Presidente in carica del Consiglio per le spiegazioni fornite. Avrei una breve domanda complementare da rivolgergli.

A proposito dell’evoluzione dei negoziati con questi paesi, poiché si parla anche della creazione di un sistema latinoamericano più esteso, e in particolare di un’unione tra Comunità andina e Mercosur, vorrei sapere se i negoziati con Mercosur e con la Comunità andina hanno qualche relazione tra di loro, se sono condotti parallelamente e se sono in qualche modo legati.

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Se ho capito bene la sua domanda, onorevole Medina Ortega, si tratta di un processo tra paesi latinoamericani, ossia tra i paesi Mercosur e quelli della Comunità andina. Ritengo, effettivamente, che l’Unione europea si proponga di incoraggiare qualsiasi forma di integrazione regionale. Più tali integrazioni sono estese, meglio è. Penso che si tratti di un approccio che dobbiamo incoraggiare. Se questi paesi riescono a intensificare ulteriormente la loro cooperazione, o addirittura la loro integrazione, credo che sia un fattore da prendere in considerazione anche nel contesto delle loro relazioni con l’Unione europea.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 16 dell’onorevole Bill Newton Dunn (H-0195/05):

Oggetto: Attività dei servizi segreti

In risposta all’interrogazione H-0139/05 durante il tempo delle interrogazioni del 9 marzo 2005, il Consiglio ha confermato in Aula di essere a conoscenza del fatto che i servizi segreti degli Stati membri coordinano la propria attività nella lotta contro la criminalità organizzata, ma ha aggiunto di non disporre di informazioni dettagliate in proposito.

Ammesso che questa evidente contraddizione possa corrispondere a verità, dobbiamo immaginare che le informazioni in merito al coordinamento fra i servizi segreti giungano al Consiglio sotto forma di una semplice nota anonima che specifica che è in atto un coordinamento, ma precisa che non si intendono fornire dettagli in proposito? Accetta il Consiglio di non sapere nulla circa le attività svolte congiuntamente dai servizi segreti degli Stati membri? Chi sorveglia allora a livello ministeriale, ammesso che qualcuno lo faccia, le attività coordinate dei servizi segreti, che dobbiamo sperare siano svolte proficuamente per conto dei cittadini europei?

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio. – (FR) Il Consiglio ha già avuto modo di dire all’onorevole parlamentare nel corso della tornata di marzo che il segretariato del Consiglio non è informato delle attività condotte dai servizi segreti degli Stati membri nel quadro della lotta contro la criminalità organizzata. Non vi è alcuna disposizione giuridica che obblighi gli Stati membri a fornire tali informazioni al Consiglio. Come il Consiglio ha già reso noto all’onorevole deputato nel corso del Tempo delle interrogazioni del mese di marzo, questo non significa che non esistano contatti tra i servizi segreti nazionali degli Stati membri in questo settore specifico.

 
  
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  Newton Dunn (ALDE).(EN) Come tutti i presenti in Aula – anzi, come tutti coloro che teoricamente dovrebbero essere presenti in questa Assemblea in questo momento –, lei rappresenta i cittadini. Il Parlamento non desidera informazioni sui segreti operativi, naturalmente, poiché ciò potrebbe essere deleterio. Vogliamo semplicemente sapere, a nome dei cittadini che noi e lei rappresentiamo, se c’è un politico eletto che sia responsabile del coordinamento delle attività che i servizi segreti svolgono congiuntamente. C’è qualcuno che vigila su ciò che fanno? Se lei dice che il Consiglio non se ne sta occupando, allora chi lo fa? Chi è eletto? Chi coordina e supervisiona queste operazioni? Sarebbe molto grave se lei ci dicesse che non c’è nessuno che lo fa.

 
  
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  Schmit, Presidente in carica del Consiglio.(FR) Ritengo che il controllo dei servizi segreti sia innanzi tutto di competenza degli Stati membri, che devono vigilare affinché le attività dei servizi interessati si svolgano nei limiti imposti dallo Stato di diritto e in conformità delle loro legislazioni.

 
  
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  Presidente. – Essendo scaduto il tempo assegnato al Tempo delle interrogazioni, le interrogazioni dal n. 17 al n. 41 riceveranno risposta per iscritto(1).

Con questo si conclude il Tempo delle interrogazioni.

(La seduta, sospesa alle 19, riprende alle 21.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. DOS SANTOS
Vicepresidente

 
  

(1) Cfr. Allegato “Tempo delle Interrogazioni”.


22. Licenziamenti presso la Alstom
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  Presidente. – Onorevoli colleghi, questa è la prima volta che presiedo una seduta e vorrei cogliere l’occasione per ringraziare i deputati al Parlamento per la fiducia che hanno riposto in me.

L’ordine del giorno reca l’interrogazione orale degli onorevoli Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL, Désir, a nome del gruppo PSE, e Flautre, a nome del gruppo Verts/ALE, alla Commissione, sui licenziamenti al gruppo Alstom.

 
  
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  Henin (GUE/NGL), in sostituzione dell’autore. – (FR) Signor Presidente, la questione di Alstom Power Boiler ci mette tutti con le spalle al muro relativamente al nostro impegno di creare un’Europa di piena occupazione, con una forte industria tecnologicamente avanzata, un’Europa attenta all’ambiente, un’Europa libera dalla dominazione tecnologica e finanziaria degli Stati Uniti.

Si tratta di una consociata del gruppo Alstom, le cui risorse di creatività, ricerca e produzione sono ubicate in Europa – 250 dipendenti a Vélizy, in Francia, 300 a Stoccarda, in Germania, e diversi stabilimenti nella Repubblica ceca, in Portogallo e in Polonia – ma con sede principale negli Stati Uniti, nel Connecticut. Il know-how di questa società sta nella fabbricazione di caldaie per la produzione di vapore ed elettricità. E’ leader mondiale nella produzione di carbone pulito e sta sviluppando nuove tecnologie per la cattura di CO2. Con l’attuazione del Protocollo di Kyoto e la necessità di diversificare le fonti di energia, è chiaro che simili tecnologie hanno un enorme potenziale. Tuttavia, per ragioni che non sono chiare, la direzione di Alstom ha deciso di trasferire le competenze europee agli Stati Uniti, riducendo di quattro quinti gli effettivi di Vélizy e della metà quelli di Stoccarda, probabilmente allo scopo di chiudere, alla fine, i principali siti europei. Il pretesto di questo dirottamento di competenze europee è fornito da uno pseudostudio condotto – guarda caso – dagli americani, in cui si prevede una contrazione di un terzo del mercato nei prossimi quattro anni.

Come già i dipendenti di Power Boiler, non possiamo prendere seriamente questo studio, soprattutto quando è nota l’ampiezza della domanda in questo settore che sta emergendo ovunque. Ma come si sostiene nel mio paese, quando si vuole uccidere un cane, si dice che ha la rabbia. L’assenza di una vera strategia industriale a lungo termine, la corsa frenetica al profitto immediato, ecco le principali caratteristiche del gruppo Alstom da quando è stato privatizzato. La Commissione, come del resto il governo francese, hanno ugualmente una parte di responsabilità.

Fortunatamente, i dipendenti dei siti europei interessati, sostenuti dai sindacati, non hanno gettato la spugna. Quelli di Vélizy in particolare hanno proposto un controprogetto che prevede l’uscita della società dal gruppo Alstom per un prezzo di vendita simbolico di un euro o poco più, e la creazione di una società europea a responsabilità limitata che raggruppi i siti di Vélizy e di Stoccarda, mantenendo gli stabilimenti nella Repubblica ceca, in Polonia e Portogallo. Il piano si basa sulla partecipazione volontaria dei dipendenti. Ha il vantaggio di corrispondere alle domande del 7 luglio 2004 formulate dalla Commissione europea a proposito di Alstom per quanto riguarda la cessione delle attività, allo scopo di salvaguardare e aumentare l’occupazione e il potenziale tecnologico europeo rispetto agli Stati Uniti. Questa cooperazione fra dipendenti rappresenta un’applicazione avanzata del diritto europeo, dal momento che porterà alla creazione di una società europea a responsabilità limitata. Ma occorre agire in fretta, dato che la proprietà intellettuale della società sta per essere trasferita negli Stati Uniti e in Svizzera e la direzione generale di Alstom sta cercando di mettere la società in difficoltà finanziarie.

Onorevoli colleghi, se teniamo allo sviluppo dell’industria e dell’occupazione, dobbiamo fare tutto il possibile per sostenere l’iniziativa. E’ vero che la direttiva sulle società europee a responsabilità limitata e la normativa sul coinvolgimento dei dipendenti nella gestione delle imprese non sono ancora state trasposte nel diritto francese, ma è sempre possibile guardare avanti. E’ una questione di volontà politica, e mi aspetto che la Commissione dimostri tale volontà. Non deludiamo insomma questi lavoratori, il cui posto di lavoro è a rischio, ma che sono sempre pronti all’innovazione e vantano realizzazioni tecniche senza pari.

 
  
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  Désir (PSE), autore. – (FR) Signor Presidente, sono contento di vederla presiedere la sua prima seduta, giacché la sua nomina corrisponde a una grande notizia per il mio gruppo e per i socialisti europei: la vittoria dei socialisti in Portogallo.

Signor Presidente, signor Commissario, come il mio collega, l’onorevole Henin, sono fra gli autori di questa interrogazione alla Commissione. Qualche settimana fa abbiamo ricevuto proprio in questa sede una delegazione di dipendenti del gruppo Alstom composta da rappresentanti sindacali francesi e tedeschi dei due siti di questa consociata specializzata in caldaie. Il 16 febbraio 2005 la direzione ha annunciato ai lavoratori la chiusura o, in ogni caso, la soppressione massiccia di posti di lavoro e di attività, sia a Stoccarda che a Vélizy: 150 posti su 350 saranno soppressi a Stoccarda, e 150 su 200 a Vélizy. Ciò significa che entrambi i siti saranno alla fine probabilmente condannati.

Pochi mesi fa, il 7 luglio 2004, la Commissione europea aveva approvato gli aiuti stanziati dalla Francia per Alstom subordinati a strette condizioni di cessione, che avevano lo scopo non solo di ristabilire condizioni di sana concorrenza, ma anche di salvaguardare il futuro a lungo termine del gruppo industriale Alstom e delle sue diverse consociate. La consociata Alstom Power Boiler, come già ricordato, è una società specializzata nella costruzione di caldaie per centrali elettriche. Si tratta di un leader tecnologico in Europa e nel mondo, in molti settori e in particolare in quelli della combustione difficile e pulita e della cattura di CO2.

Dal punto di vista delle priorità dell’Unione europea nei termini della strategia di Lisbona, di cui si è recentemente discusso e che mira ad assicurare che l’Europa sviluppi proprie competenze e tecnologie divenendo l’economia più competitiva al mondo, ma anche dal punto di vista dei nostri obiettivi quanto a sviluppo sostenibile e a energia pulita, questa società rappresenta uno strumento strategico, oltre al fatto che da essa dipendono ovviamente molti posti di lavoro.

Queste le ragioni che hanno giustificato l’accordo della Commissione nel luglio 2004 a un considerevole stanziamento di aiuti economici: tre miliardi di euro stanziati dalla Francia per la ristrutturazione del gruppo Alstom. Nella sua decisione finale, la Commissione ha dichiarato che, per quanto riguarda i settori della produzione energetica e dei trasporti, il piano di ristrutturazione era adeguato ad assicurare la ripresa industriale. Si considerava altresì che la riduzione prevista del numero di posti di lavoro fosse proporzionale al livello di sovracapacità delle industrie del settore, e che le stime dei costi necessari alla ristrutturazione e dei conseguenti risparmi sembravano realistiche.

Tuttavia oggi la direzione del gruppo va ben al di là della soppressione di posti di lavoro annunciata all’epoca e delle cessioni alle quali si era impegnata. Di conseguenza, ritengo che la Commissione europea debba prendere in seria considerazione le recenti decisioni adottate dalla direzione del gruppo Alstom. In effetti, se la Commissione è sempre molto scrupolosa per quanto attiene al rispetto delle regole di concorrenza dopo la concessione di aiuti, deve esserlo altrettanto riguardo alle conseguenze per l’occupazione. A meno che non abbia inteso male, signor Commissario, mi sembra che dopotutto la motivazione decisiva che giustifica la concessione di aiuti per la ristrutturazione di un’impresa sia proprio il desiderio di mantenere in funzione l’attività, in particolare e soprattutto perché permette di salvaguardare posti di lavoro, e solo accessoriamente perché genera tutta una serie di benefici, di entrate fiscali, eccetera.

La Commissione non può essere emiplegica: non può, dopo avere accordato degli aiuti, guardare solo agli effetti sulla concorrenza e al rispetto delle regole in tale materia. Deve anche garantire che quegli aiuti contribuiscano davvero a mantenere l’attività e i posti di lavoro in tutti i siti, tenuto conto del fatto che al momento dell’approvazione degli aiuti nel luglio 2004 le soppressioni di posti di lavoro previste erano state ritenute adeguate, e non è pertanto giustificabile andare oltre a quanto già deciso. Pertanto oggi contiamo sulla Commissione perché quei posti di lavoro siano salvaguardati e i due siti in questione non vengano chiusi.

 
  
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  Lipietz (Verts/ALE), in sostituzione dell’autore. – (FR) Signor Presidente, intervengo al posto della collega, onorevole Flautre, con la quale seguo la questione da cinque anni. Credo che l’intervento dell’onorevole Désir abbia evidenziato il vero problema. Già anni addietro dicevo all’ex Commissario Monti che sarebbe venuto un giorno in cui il lavoro principale della Direzione generale della Concorrenza sarebbe stato non tanto rifiutare gli aiuti quanto piuttosto verificarne il corretto utilizzo.

Cosa autorizza un paese ad accordare aiuti di Stato in evidente violazione dell’articolo 87 del Trattato? L’interesse dell’Europa, dal momento che, se tale aiuto venisse rifiutato, si perderebbero posti di lavoro che non potrebbero essere sostituiti. Sparirebbe una fonte di know-how, e di lavoro nell’interesse degli obiettivi dell’Unione europea, dei cittadini e dei consumatori.

Con grande oculatezza, la Direzione generale della Concorrenza e la Commissione hanno accordato un anno fa questi aiuti ad Alstom. Non si è trattato di cedere alle pressioni del governo francese, quanto piuttosto di esprimere un giudizio sul fatto che, alle condizioni in cui Alstom proponeva di continuare, valeva la pena che uno Stato concedesse il proprio aiuto. Era positivo per l’Europa intera. Ora, se tale valutazione era valida un anno fa, lo è anche oggi. Alstom sta invece dimostrando che, nel momento in cui quegli aiuti di Stato sono stati richiesti, il gruppo non cercava in realtà di mantenere in Europa la fornitura di tecnologie pulite, né di contribuire all’obiettivo della piena occupazione nell’Unione. Mirava semplicemente a ottenere aiuti statali secondo il principio della privatizzazione dei profitti e della socializzazione delle perdite. Una cosa del genere è inaccettabile in Europa, tanto per la sinistra quanto per la destra.

Ritengo pertanto che questo sia un esempio fondamentale su cui la Commissione dovrebbe basare le proprie politiche. Se la lista piuttosto ampia di deroghe per la concessione di aiuti di Stato – l’articolo 87, che tra l’altro viene mantenuto nella Costituzione, comprende una dozzina di casi – costituisce veramente, per così dire, le basi della politica industriale europea, allora è il momento di provarlo. La Commissione deve dire se gli aiuti accordati un anno fa dovevano semplicemente rimpinguare le tasche degli azionisti del gruppo Alstom o se servivano realmente gli interessi dei cittadini europei, il loro avvenire e, in particolare, il rispetto del Protocollo di Kyoto.

 
  
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  Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Signor Presidente, vorrei anch’io iniziare col congratularmi per la sua nomina e augurarle una buona riuscita nel suo mandato.

La questione può – in realtà deve – essere considerata da due punti di vista, il primo in termini di politica industriale e il secondo in relazione al controllo degli aiuti di Stato. Essendo responsabile per le imprese e l’industria, posso affermare con certezza che è nell’interesse dell’Europa non solo mantenere, ma anche espandere, tecnologie innovative, imprese moderne e moderni posti di lavoro in Europa. E’ della massima importanza per l’Unione europea mantenere in Europa una solida base industriale, senza la quale non saremo in grado di conservare la nostra competitività sui mercati globali. Con tale premessa, in qualità di Commissario responsabile per le imprese e l’industria in Europa, posso affermare di avere a cuore che Alstom porti a compimento la ristrutturazione iniziata e continui a esistere in quanto impresa sana, prospera e redditizia. Questo per quanto concerne gli aspetti di politica industriale.

Ma oggi non stiamo parlando di politica industriale, bensì di controllo degli aiuti di Stato. In effetti è giusto dire che gli aiuti da parte dello Stato francese non avrebbero potuto essere accordati senza l’approvazione del piano di ristrutturazione di Alstom da parte della Commissione. La Commissione lo ha approvato, stabilendo le condizioni sia per quanto concerne il piano che gli aiuti. Gli onorevoli deputati hanno ragione nel dire che la Commissione ha il compito di garantire che tali condizioni vengano rispettate e che gli aiuti vengano usati allo scopo per cui sono stati approvati, e stiamo appunto valutando se così è stato. In particolare, la Commissione aveva dichiarato allora che l’approvazione degli aiuti era subordinata alla cessione di alcuni settori della società e al completamento di una ristrutturazione operativa.

La domanda cui rispondere questa sera è se l’attuale piano complementare di ristrutturazione sia in contrasto con la decisione della Commissione. Se il piano di ristrutturazione non viola le condizioni stabilite, allora è la direzione della società, e non la Commissione, a essere responsabile della sua attuazione; Alstom non è gestita dalla Commissione, ma dalla propria dirigenza. Per quanto gli uffici responsabili mi abbiano informato che la Commissione non ha ricevuto fino a oggi alcuna indicazione che non siano state rispettate le condizioni poste in relazione alla conclusione degli aiuti, posso garantire che continueremo ovviamente a tenere la situazione sotto controllo, verificando che le condizioni siano rispettate alla lettera.

In linea di principio, è compito della Commissione cercare, in partenariato, soluzioni che tengano conto di tutte le considerazioni economiche, sociali e ambientali. Nella sua ultima comunicazione, “Ristrutturazioni e occupazione”, la Commissione ha esplicitamente previsto la mobilitazione di tutte le forze sociali per accompagnare al meglio le ristrutturazioni e arrivare a uno sviluppo sostenibile di concorrenza e occupazione.

La Commissione propone in particolare l’organizzazione e il rafforzamento delle verifiche a livello settoriale e regionale, e la disponibilità di speciali finanziamenti per sostenere l’attuazione di tale strategia. E’ altrettanto importante dal punto di vista strategico mantenere e migliorare la capacità di innovazione, ricerca e sviluppo a livello europeo. Giusto pochi giorni fa la Commissione ha presentato un programma quadro per la ricerca e l’innovazione.

Sono pienamente cosciente del fatto che le nostre possibilità sono veramente assai limitate quando si tratta della soppressione di posti di lavoro, e condivido i vostri sentimenti al riguardo, ma la Commissione deve attenersi scrupolosamente al diritto esistente. Assumo l’impegno davanti a voi che il caso sarà esaminato molto attentamente e che agiremo di conseguenza, qualora risultasse che le condizioni poste non sono state rispettate.

 
  
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  Bachelot-Narquin, a nome del gruppo PPE-DE.(FR) Signor Commissario, onorevoli colleghi, la situazione del gruppo Alstom crea grande agitazione da molti mesi. E’ a rischio il futuro di 25 000 dipendenti di Alstom in Francia. Abbiamo dovuto lottare duramente e il nostro governo si è schierato fermamente dalla parte dei dipendenti. E’ stato il nostro ministro delle Finanze, Sarkozy, a negoziare con il Commissario di allora, Monti, affinché potessimo concedere gli aiuti che hanno salvato Alstom. Si trattava ovviamente di tutelare il futuro dei dipendenti, ma anche di salvare un gioiello dell’industria europea dell’energia e dei trasporti.

Questa sera stiamo parlando di Vélizy e di Stoccarda, ma anche di Brno nella Repubblica ceca e di Setúbal in Portogallo, così come di numerosi subfornitori in tutta Europa. L’annuncio oggi della soppressione di 350 posti di lavoro, di cui 200 a Vélizy presso Alstom Power Boiler, aumenta ulteriormente la preoccupazione dei dipendenti. L’indebolimento del mercato delle caldaie è evidente, ma non a un livello tale da giustificare una riduzione simile di posti di lavoro.

Non spetta alla Commissione, ovviamente, dettare ordini alla direzione delle società né gestire, al posto dei governi nazionali, gli ammortizzatori sociali in caso di licenziamento. Vale la pena di ricordare che Alstom Power Boiler è leader nel campo della produzione di carbone pulito e che sviluppa nuove tecnologie per la cattura del biossido di carbonio. Non stiamo dunque parlando di un’impresa condannata da sclerosi o obsolescenza. Accettare la sua migrazione oltre Atlantico o, peggio ancora, la sua sparizione, è come guardare al futuro attraverso lo specchietto retrovisore.

I dipendenti – e dobbiamo congratularci con loro per quest’iniziativa – hanno messo a punto un piano basato sull’idea “creiamo il campione europeo della combustione pulita”. Con l’ausilio di esperti, hanno sviluppato un piano per il futuro che copre tutti gli aspetti: la struttura giuridica della nuova società, gli aspetti tecnologici, quelli commerciali e quelli sociali. Dobbiamo accogliere positivamente questo atteggiamento, che è un rifiuto a cedere. E’ stato portato all’attenzione dei partner europei – i Commissari responsabili per l’occupazione, affari sociali e pari opportunità, per le imprese e l’industria, per il commercio, per la concorrenza e per l’ambiente – che attendono le vostre conclusioni.

Signor Commissario, lei deve oggi anticipare la rivoluzione culturale e sociale messa in moto dal progetto di Trattato costituzionale. In futuro, con il Trattato costituzionale, i diritti sociali prevarranno sulla realizzazione del mercato interno che aveva la meglio nei trattati precedenti. Il dialogo sociale sarà istituzionalizzato, ma soprattutto occorre creare una politica industriale che favorisca i poli di competenza e salvaguardi l’economia sociale di mercato, che ci viene proposta come modello sociale dall’articolo 3 del Trattato costituzionale.

La questione che oggi le viene rivolta, signor Commissario, è: come considera la futura filosofia del Trattato costituzionale? La incoraggiamo, non a essere il notaio della vecchia Europa, ma invece a costruire la nuova Europa, quella delineata nel Trattato costituzionale. Ha l’opportunità di farlo salvaguardando il futuro di Alstom Power Boiler.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 12.00.

 

23. Dumping fiscale e ambientale
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta, le seguenti interrogazioni orali alla Commissione:

– (B6-0172/2005) degli onorevoli Ford, a nome del gruppo PSE, Mann, a nome del gruppo PPE-DE e Watson, a nome del gruppo ALDE, sul dumping fiscale e ambientale,

– (B6-0229/2005) dell’onorevole Jonckheer, a nome del gruppo Verts/ALE.

 
  
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  Ford (PSE), autore. – (EN) Signor Presidente, la Commissione non ignora che alla British Cellophane, azienda situata nel mio collegio elettorale, a Bridgwater nel Regno Unito, sono a rischio quasi 300 posti di lavoro. Quest’azienda è stata acquisita dalla società Innovia che attualmente possiede impianti nel Kansas, a Carlisle e a Bridgwater. La proposta che è stata fatta ora reca una minaccia mortale all’esistenza dell’intera città di Bridgwater; considerando anche i fornitori della ditta, nella zona sono a rischio quasi mille posti di lavoro.

Questa sera viene avanzata una richiesta quasi senza precedenti da parte di tutti i partiti attivi in quella regione e nel Regno Unito – laburisti, conservatori e liberaldemocratici –, i quali reagiscono uniti all’incredibile decisione di Innovia, e chiedono l’aiuto e l’assistenza della Commissione.

Cosa spinge l’azienda a prendere tale decisione? In tutta la sua storia, lo stabilimento del Kansas non ha mai registrato profitti; in tutta la sua storia, lo stabilimento di Bridgwater non ha mai registrato perdite. Però si propone la chiusura di quello di Bridgwater; perché? Perché il Kansas, retto da una maggioranza democratica, ha deciso – nonostante l’opposizione dei repubblicani nella Camera dei rappresentanti e nel Senato di quello Stato – di fare alcune offerte a Innovia. La prima offerta è un finanziamento illegale pari a due milioni di dollari per favorire la rilocazione di posti di lavoro dall’Unione europea agli Stati Uniti; la seconda è un’esenzione fiscale di cinque anni, in base alla quale tutte le tasse pagate dalla forza lavoro verranno rimborsate alla società nei prossimi cinque anni; l’offerta più significativa di tutte è però la sospensione della normativa in materia ambientale, che permetterà di produrre cellophane a basso costo, per riesportarlo nell’Unione europea.

Vorrei chiedere alla Commissione se finanziamenti di tale genere sono ammissibili in base alle regole dell’OMC; in caso contrario, la Commissione intende sollevare questi problemi con il governo degli Stati Uniti? E che fare quando Innovia riverserà sul mercato europeo il cellophane prodotto nel Kansas? Come pensa la Commissione di affrontare questo problema? Ancora, pur convenendo sul fatto che attualmente le regole dell’OMC non vietano il dumping ambientale, e riconoscendo che altri paesi possano avere standard ambientali diversi dai nostri, ci opponiamo alla sospensione di questi vari standard, cosa che diverrà sempre più probabile in seguito all’Accordo di Kyoto.

Su scala europea questa vicenda è relativamente secondaria, ma è importante per la regione interessata, oltre ad essere molto rilevante come precedente per il futuro, poiché se gli Stati Uniti – amministrazione centrale, imprese e governi dei singoli Stati – l’avranno vinta in questa occasione, nulla poi li tratterrà dal riprovarci sistematicamente. Si tratta insomma di un’importante questione di principio, che la Commissione deve affrontare seriamente; mi attendo azioni concrete.

 
  
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  Jonckheer (Verts/ALE), autore. – (FR) Signor Presidente, signor Vicepresidente della Commissione, il mio gruppo ha deciso di aderire a questa interrogazione orale, allo scopo di completarla. La questione posta dall’onorevole Ford riguarda in particolare la compatibilità con le regole dell’OMC. Da parte mia, vorrei tornare su un problema che riguarda l’Unione europea e la situazione all’interno dei confini dell’Unione.

Nel corso della legislatura precedente, il Consiglio ECOFIN aveva raggiunto un accordo in merito all’identificazione di circa sessanta misure fiscali nazionali, vigenti in seno all’Unione europea, considerate esempi di concorrenza sleale, nell’accezione che questa espressione ha assunto anzitutto nei lavori svolti in ambito OCSE. Le disposizioni di quello che è stato definito Codice di condotta Primarolo – dal nome del funzionario che presiedeva il competente gruppo di lavoro – riguardavano le clausole definite di standstill e quelle cosiddette di roll back: ossia, per essere più chiari, l’abolizione progressiva delle disposizioni nazionali individuate di comune accordo in seno al Consiglio ECOFIN.

Constato che ormai si accenna raramente – sia in Parlamento, sia nei media – alla situazione di questo processo di smantellamento, e gradirei conoscere l’opinione della Commissione sul processo medesimo. So bene che la questione è essenzialmente di competenza degli Stati membri, e che si tratta di un accordo concluso fra questi ultimi in seno al Consiglio ECOFIN; ciò premesso, la politica in materia di concorrenza è invece di esclusiva competenza dell’Unione, e a tale proposito alla Commissione spetta un compito di grande importanza. Da questo punto di vista mi sembra perciò che la Commissione dovrebbe svolgere un ruolo di stimolo e sorveglianza – o quanto meno di monitoraggio e di informazione – per la verifica degli impegni presi in seno al Consiglio ECOFIN.

Concluderò il mio intervento osservando – lo sapete del resto meglio di me – che siamo ben lontani da un’effettiva armonizzazione dell’imposta sulle società e della base imponibile nell’ambito dell’Unione; in seno alla Commissione Prodi questi temi sono stati oggetto di un dibattito, articolatosi sulla base dei lavori svolti dalla stessa Commissione Prodi in merito a un tasso minimo comune d’imposta sulle società nell’ambito dell’Unione. Si tratta di uno sviluppo che il mio gruppo considera auspicabile.

Le decisioni prese in sede di Consiglio ECOFIN sono quindi per noi il minimo indispensabile, e mi auguro vivamente che la Commissione possa manifestare la propria opinione su questo processo stasera e nei prossimi mesi. A mio avviso, i problemi che dovremo affrontare in alcuni paesi in relazione al progetto di Costituzione europea non ci saranno certo di giovamento; vi è d’altra parte il legittimo timore che in seno all’Unione europea la concorrenza sleale persista e anzi si accentui. Per tale motivo, sarebbe a mio parere una missione politica di estrema importanza vigilare almeno sul rispetto degli impegni presi in sede di Consiglio ECOFIN, e insistere affinché la Commissione, proprio come il Parlamento, svolga la sua parte nell’evoluzione di questo processo.

 
  
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  Watson (ALDE), autore. – (EN) Signor Presidente, parlo a nome del mio gruppo per esprimere un’inquietudine, che va ad aggiungersi a quella già manifestata dai precedenti oratori, per la terribile situazione in cui è venuta a trovarsi un’azienda – situata nel collegio elettorale rappresentato dall’onorevole Ford e da me – che si distingue per prestigio e carattere innovativo.

Innovia Films è un’azienda dai bilanci in attivo, che ha sviluppato un processo scoperto nel Regno Unito nel 1898. Sospetto che se tale processo fosse stato scoperto in Scandinavia nel 1998, sarebbe stato considerato la migliore tecnologia disponibile, gli imballaggi in plastica sarebbero stati vietati e al loro posto si sarebbe usato il cellophane. Purtroppo per il cellophane, esso è stato scoperto troppo presto. Sono lieto tuttavia che la campagna per individuare ed affrontare i problemi causati dalla politica americana abbia raccolto un consenso che travalica le divisioni di partito.

Questa mattina abbiamo discusso i risultati della riunione del Consiglio europeo che aveva per tema la revisione dell’Agenda di Lisbona. La risoluzione approvata dal Parlamento, con una maggioranza che superava le divisioni di partito, affermava la necessità di dotarsi di una politica industriale, e nell’ambito di tale politica dobbiamo esaminare le possibili modalità per intervenire a sostegno di aziende come questa. Qualche tempo fa ho scritto al Commissario Piebalgs a nome di quest’azienda, per verificare se fosse possibile individuare una forma di sostegno a suo favore, egli mi ha risposto che esistono programmi di sostegno per sistemi nuovi e innovativi, ma che l’azienda in questione non era ammissibile a questo tipo di sostegno. Mi chiedo se non dovremmo riconsiderare la nostra politica industriale.

La lettera scritta dal Commissario Mandelson a Mel Dando – uno dei sindacalisti partecipanti alla vertenza – analizza i problemi connessi alla politica dell’impianto del Kansas, in merito all’esenzione fiscale e alla sospensione delle norme ambientali. Il Commissario Mandelson osserva che tali misure, sotto forma di esenzione fiscale, si presentano come sussidi, ma non rientrano nella categoria vietata; egli sottolinea poi che nessuna clausola degli accordi OMC riguarda il dumping ambientale, e conclude che, di conseguenza, tali misure non sembrano violare le attuali regole dell’OMC.

La domanda che pongo alla Commissione è quindi la seguente: se gli accordi OMC non contengono disposizioni sul dumping ambientale, qual è il motivo di tale omissione? E come si sta muovendo la Commissione per far sì che disposizioni in tal senso vengano effettivamente inserite? Come ha notato l’onorevole Ford, quest’episodio riguarda un numero di lavoratori forse poco rilevante se considerato su scala europea, ma grandissimo se rapportato alle dimensioni di una cittadina industriale come Bridgwater. Si tratta, inoltre, di una vicenda che potrebbe ripercuotersi in tutta l’Unione europea, se venisse alla luce che i diversi Stati degli USA intendono effettivamente seguire la politica di derubarci in questo modo di posti di lavoro.

Questo è il volto maligno del capitalismo. Un’azienda è stata acquistata da un consorzio intenzionato unicamente a saccheggiarne il patrimonio per offrire agli investitori la remunerazione più lauta possibile, senza curarsi della salute generale della società e dell’economia. In casi come questi la Commissione deve agire. Mi auguro che il Commissario Verheugen – che è presente questa sera – e il Commissario Mandelson sollevino il problema di quest’azienda con gli americani, ed esaminino le possibilità di azione che ci si offrono per salvare lo stabilimento di Bridgwater, e conservare le molte centinaia di migliaia di altri posti di lavoro che, in tutta l’Unione europea, sono messi potenzialmente a repentaglio da sviluppi di questo tipo.

 
  
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  Parish (PPE-DE), autore. – (EN) Signor Presidente, sono lieto di avere l’opportunità di discutere il problema del dumping fiscale ed ambientale in riferimento al caso della British Cellophane di Bridgwater. British Cellophane è un’azienda che vanta una storia gloriosa lunga più di cinquant’anni, e ha consolidato a Bridgwater un immenso patrimonio di forza e vitalità industriale. Bridgwater, a sua volta, è una delle più importanti città industriali del West Country.

Nel lungo termine British Cellophane ha ridotto la propria forza lavoro, pur mantenendo eccezionali livelli di produttività e rapporti molto positivi con i propri dipendenti, oltre a fornire, a tutti i livelli, un eccezionale contributo allo sviluppo della città che la ospita.

Il cellophane è una merce che riveste grande importanza in tutto il mondo. British Cellophane ne produce circa 60 000 tonnellate all’anno, in impianti altamente produttivi, con maestranze motivate e bilanci in attivo. Negli ultimi anni però l’azienda ha subito drastici mutamenti: è stata acquistata da Candell Investments, e vorrei ora soffermarmi su tre dei suoi cinque impianti.

Due impianti sono situati in Gran Bretagna e uno in America. I due stabilimenti britannici – uno si trova nel nord del paese e uno a Bridgwater – sono produttivi e dinamici; vorrei soffermarmi sul terzo, quello del Kansas.

I legislatori dello Stato del Kansas hanno speso somme enormi per mantenere in vita tale stabilimento: stiamo parlando di milioni di dollari, non di poche centinaia di migliaia. Hanno pubblicamente votato per concedere denaro pubblico alla fabbrica, cui è stata anche concessa un’esenzione quinquennale dalle normative ambientali, per indebolire ancor di più le prospettive di British Cellophane. Ma non è tutto: la fabbrica in questione non è produttiva e non genera profitti. Perché mai elargire denaro ad una fabbrica improduttiva e incapace di fornire profitti, che si trovi in Cina, Australia o in America?

Nel Regno Unito i 300 posti di lavoro di una fabbrica remunerativa e ad alta produttività sono minacciati da una fabbrica che non rispetta le regole dell’OMC. Ogni anno, British Cellophane immette circa 20 milioni di sterline nell’economia, sotto forma di salari e beni diretti e indiretti; si tratta quindi di un’azienda in attivo e ad alta produttività, pronta ad adeguarsi ai mutamenti e con prestazioni nettamente superiori – per quantità e qualità – alla fabbrica americana. L’azienda di Bridgwater ha compiuto ogni sforzo per mantenersi in attivo, e non dobbiamo permettere che sia sacrificata solo perché una fabbrica americana può permettersi cose che a noi sono impossibili.

I sussidi sono una pratica commerciale sleale, comportano un uso sleale del dumping e una forma sleale di concorrenza contro aziende dal bilancio attivo; non possiamo permettere tutto questo. Se nel mondo vige il libero scambio, bisogna chiedere all’OMC di esaminare questo problema. Invito la Commissione a occuparsi con urgenza del caso; sul problema vi è un accordo che supera le divisioni di partito, e sono convinto che sia necessario l’intervento dell’OMC. Esorto la Commissione ad affrontare la questione.

 
  
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  Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, mi permetta di affrontare anzitutto il caso specifico che stiamo esaminando. La Commissione conosce i progetti di chiusura e possibile delocalizzazione della fabbrica Innovia Films di Bridgwater; abbiamo infatti chiesto ai servizi di verificare se le misure adottate dallo Stato del Kansas costituiscano una violazione delle regole dell’OMC. Esamineremo anche, in collaborazione con gli Stati membri interessati, la possibilità di ricorrere a qualsiasi altro mezzo consentito in questa situazione dal diritto internazionale.

Aggiungo subito che il mio personale giudizio politico su questa vicenda è assolutamente identico a quello espresso dagli onorevoli deputati che sono intervenuti nel dibattito. Se nel Kansas valgono le norme statunitensi sugli aiuti di Stato, da noi tali pratiche non sono certo consentite; tuttavia, purtroppo o per fortuna, lo Stato del Kansas non fa parte dell’Unione europea.

In particolare, ciò significa che dovremmo esaminare le possibilità offerte dalle procedure di ricorso previste dagli orientamenti OCSE per le imprese multinazionali; essi infatti affermano che le imprese dei paesi OCSE devono astenersi dal richiedere o accettare esenzioni non contemplate dal quadro normativo o statutario per gli incentivi di carattere ambientale, sanitario, fiscale, finanziario, oppure concernenti la sicurezza, il trattamento della forza lavoro, o altri campi ancora. Occorre però notare che questi orientamenti, e le raccomandazioni che possono scaturire dalle procedure di ricorso, non sono giuridicamente vincolanti.

Per quanto riguarda l’OMC, la Commissione sta valutando la compatibilità delle misure prese dal Kansas con l’accordo OMC sui sussidi e le misure di compensazione. Queste norme consentono in linea di principio ai paesi membri dell’OMC di decidere il proprio regime fiscale, ma vietano le esenzioni fiscali se queste agevolano direttamente le esportazioni. E’ proprio questo il punto che dobbiamo esaminare: se le misure del Kansas agevolano direttamente le esportazioni oppure no. In caso affermativo, esse violano le regole dell’OMC.

Vorrei aggiungere qualche breve considerazione di carattere generale sul ruolo dell’OMC nel campo della politica ambientale. Sottolineo in primo luogo che i membri dell’OMC hanno esplicitamente riconosciuto l’importanza di due obiettivi: sviluppo sostenibile e reciproco sostegno fra commercio internazionale e politiche ambientali. L’Unione europea svolge da questo punto di vista un ruolo particolarmente attivo, ma l’opera non è completa. I membri dell’OMC sono liberi di scegliere la propria politica ambientale a livello nazionale, regionale e, nel caso di accordi ambientali multilaterali, a livello mondiale. Ciò significa pure che qualsiasi azione contro illecite violazioni della legislazione ambientale già esistente in ambito nazionale, regionale o internazionale dev’essere avviata al livello corrispondente.

Per contrastare adeguatamente il “dumping ambientale” a livello mondiale occorre quindi migliorare il governo dell’ambiente, introducendo strumenti giuridicamente vincolanti, come ad esempio accordi ambientali multilaterali; in questo campo la Commissione è molto attiva.

Per quanto riguarda l’altra questione che è stata sollevata – ossia la concorrenza fiscale dannosa nell’ambito dell’Unione europea – tutti gli Stati membri dell’Unione europea hanno sottoscritto il codice di condotta sulla tassazione delle imprese. Tale codice intende combattere le specifiche misure fiscali che influiscono, o possono influire, sulla collocazione geografica delle imprese all’interno della Comunità. Quasi tutte le misure fiscali dannose identificate tramite un processo di revisione effettuato da pari grado sono già state eliminate, o sono in procinto di esserlo. Più in generale, la politica fiscale della Commissione intende promuovere i principi del codice nei confronti dei paesi terzi, per affrontare il problema della concorrenza fiscale dannosa su una base geografica quanto più ampia possibile. In tale prospettiva, la Commissione ha già incluso un riferimento ai principi del codice in numerosi accordi internazionali stipulati con paesi terzi e intende inserire questo riferimento in accordi futuri. La Commissione inoltre sostiene gli sforzi compiuti dall’OCSE per eliminare le pratiche fiscali dannose.

 
  
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  Mann, Erika, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, dopo i quattro colleghi che sono intervenuti finora, vorrei rivolgere al Commissario un’ulteriore domanda concernente il problema in discussione. Fin dal 1992 abbiamo costituito, insieme con gli Stati Uniti, la nuova agenda transatlantica, nel cui ambito sono stati avviati vari dialoghi, alcuni dei quali funzionano in maniera adeguata, mentre altri non si sono rivelati ugualmente proficui. Il dialogo tra imprese, per esempio, ha dato ottima prova, e altrettanto si può dire del dialogo tra consumatori. Da parecchi anni, però, osserviamo che il dialogo che dovrebbe riunire i lavoratori, noto per l’appunto come dialogo tra lavoratori, incontra forti difficoltà. Le cause di questa situazione sono molteplici, e in parte dipendono dalle differenti tradizioni che si sono sviluppate in America e in Europa.

In occasione dei lavori preparatori per il prossimo Vertice, che si svolgerà in estate, la esorto vivamente a riflettere – in seno alla Commissione ed insieme al Consiglio – su quel che sia possibile fare da parte vostra per rafforzare questo dialogo. Si tratta in realtà di una materia che andrebbe lasciata alle organizzazioni sindacali; nondimeno, so per esperienza che sarà necessario verificare ancora le possibilità di azione che si offrono alle diverse Istituzioni europee per mantenere vivo questo dialogo, o magari per rilanciarlo.

Direi che questa vicenda costituisce un caso esemplare, da cui potete trarre spunto per cercare di ravvivare questo dialogo. Suggerirei inoltre di affrontare questa problematica nel quadro del dialogo tra imprese, entrando direttamente in contatto con le imprese per controllare se vi siano possibilità di accordo su questo piano; si tratta anzitutto di dare attuazione pratica ai principi dell’OCSE cui lei si è richiamato, evitando che alcuni Stati – in questo caso il Kansas, ma poteva essere qualsiasi altro Stato – possano disinvoltamente ignorarli.

Mi sembra un punto di essenziale importanza; infatti, se dobbiamo muoverci in un contesto globalizzato e affrontare una concorrenza che sul piano internazionale non sarà certamente più debole, ma anzi più agguerrita, sarebbe allora il caso che almeno gli Stati che operano nel quadro dell’OCSE rispettassero le regole. Può prendere ancora una volta posizione su questo punto, e può cercare di sollevare questo problema come argomento di discussione?

Passo al secondo punto da lei affrontato, ossia al fatto che da molti anni la Commissione e il Consiglio – e del resto anche il Parlamento – cercano di intensificare il dibattito nell’ambito dell’OMC, portando il discorso anche sulle norme in materia di lavoro e su quelle sociali ed ambientali; mi sembra opportuno riprendere ancora una volta questo tema in occasione del ciclo attuale – pur sapendo che sarà molto difficile – e posso promettere che noi, nel quadro di una risoluzione del Parlamento, vi faremo ancora riferimento.

 
  
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  Krahmer, a nome del gruppo ALDE. – (DE) Signor Presidente, vorrei soffermarmi sul testo dell’interrogazione presentata dai Verdi e – tralasciando alcune discutibili osservazioni offensive nei confronti dell’OMC – rivolgere direttamente alcune domande all’autore dell’interrogazione.

Onorevole Juncker, nel suo testo lei esprime il timore che l’abbattimento delle barriere commerciali produca un dumping fiscale; nel medesimo testo lei parla anche di sovvenzioni che indeboliscono il sistema commerciale multilaterale. Non crede che esista un nesso fra l’alto livello dell’imposizione fiscale e l’alto livello delle sovvenzioni? Ne conclude forse che in un mondo senza barriere tariffarie al commercio e con la concorrenza che ne deriverebbe, le norme sociali ed ambientali siano sempre automaticamente destinate a ridursi? Ha forse paura della concorrenza, dal momento che la menziona unicamente in associazione alle parole “dumping” e “dannoso”?

Qual è la situazione che produce veramente benessere e occupazione? Un mercato aperto in cui si possono scambiare merci e servizi senza barriere commerciali, oppure mercati più frammentati, con alte barriere commerciali? Condivide la mia opinione secondo cui solo un’economia nazionale competitiva è in grado di garantire elevati standard ambientali? Non dovremmo quindi smetterla finalmente di ripetere che l’apertura dei mercati e una bassa imposizione fiscale equivalgono a bassi standard sociali e ambientali? A questo proposito mi interessa anche conoscere l’opinione del Commissario.

 
  
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  Portas, a nome del gruppo GUE/NGL.(PT) Buona sera signor Presidente, è un piacere che questa sera sia un connazionale a presiedere i lavori del Parlamento. Nel caso di cui ci stiamo occupando, il tentativo di delocalizzare una fabbrica di cellophane dal Regno Unito allo Stato del Kansas diviene conveniente solo perché questo Stato concede una deroga alla propria legislazione fiscale ed ambientale.

Purtroppo non si tratta di un’eccezione alla regola, poiché proprio la regola ha stimolato comportamenti di tal genere. Questo caso – come quello di Alstom, cui si è accennato poc’anzi – illustra efficacemente un problema già noto, quello delle delocalizzazioni dettate da ragioni di concorrenza antisociale o antiambientale. Potrei citarvi esempi analoghi relativi al Portogallo.

L’altro ieri sono giunti qui a Strasburgo alcuni lavoratori di Yasaki Saltano, un gruppo che possiede in Europa una decina di stabilimenti industriali, di cui due in Portogallo. Questa multinazionale – che ha sede in Giappone – in passato dava lavoro in Portogallo a 7 500 persone; oggi sono la metà, e proprio ieri gli amministratori dell’azienda hanno minacciato di licenziare altri 500 lavoratori entro agosto, se non otterranno ulteriore sostegno dal governo. E’ opportuno notare che quest’impresa ha ricevuto gratuitamente terreni e infrastrutture e ha usufruito per anni dei fondi comunitari, mentre la percentuale di malattie professionali, come l’artrite, tra i lavoratori è eccezionalmente alta; i dirigenti dell’azienda, tra l’altro, hanno sfruttato questo pretesto non per effettuare licenziamenti, ma per indurre gli ammalati a licenziarsi.

Signor Presidente, è ora di mettere fine a questa menzogna. E’ triste assistere alla confessione di impotenza della Commissione di fronte a casi come questo; quest’impotenza in realtà è una rinuncia. Gli Stati Uniti e l’Unione europea un giorno propugnano in seno all’OMC la fine del protezionismo, per poi reintrodurlo il giorno dopo, o stabilire vantaggi comparativi basati su criteri iniqui. E’ indispensabile che allo smantellamento delle barriere protezionistiche si accompagni il miglioramento dei diritti sociali e della tutela ambientale. Ecco l’alternativa all’ordine neoliberale, per evitare di doversi lamentare di altri casi come quello del Kansas.

 
  
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  Lundgren (IND/DEM).(SV) Signor Presidente, noto con soddisfazione che il dibattito di questa sera riguarda un tema sul quale il nostro Parlamento ha effettivamente titolo per discutere e decidere. Molto spesso, purtroppo, quest’Assemblea si dedica a dibattiti e decisioni che, in base al principio di sussidiarietà, non le competono. In questo caso però non ci sono dubbi.

L’Unione europea ha una politica commerciale comune; il Parlamento quindi ha ottimi motivi per controllare il rispetto delle norme che regolano il libero scambio a livello mondiale. Questo sistema costituisce lo strumento più valido per aumentare la prosperità sia nei paesi poveri che in quelli ricchi; esso però presuppone che singoli paesi o blocchi commerciali non prendano la strada del protezionismo, come spesso avviene con l’imposizione di dazi doganali o barriere commerciali di altro tipo. Il protezionismo può presentarsi anche sotto forma di sovvenzioni o di normative speciali per alcuni tipi di produzione, allo scopo di attrarre o mantenere attività che altrimenti non reggerebbero l’urto della concorrenza internazionale.

La regolamentazione di tali questioni è compito dell’OMC. Mi unisco agli altri oratori che, in Assemblea, hanno invitato la Commissione ad agire con la massima rapidità contro i paesi e gli Stati membri dell’Unione europea che violano le norme dell’OMC. E’ importante però tener conto della fondamentale distinzione tra strumenti ammessi e strumenti vietati, o tra politiche volte a incoraggiare la produzione e dumping. Non è vietato optare, in via generale, per un basso livello di imposizione fiscale allo scopo di stimolare la crescita; è vietato favorire con agevolazioni fiscali determinate imprese o settori industriali – si parla in questo caso di dumping fiscale. Ad un paese ancora povero, che si trovi in una fase in cui è necessario dare la priorità alla crescita, è anche consentito scegliere una politica ambientale relativamente poco ambiziosa; è proprio quello che i paesi ricchi di oggi hanno fatto, quand’erano poveri. E’ vietato invece concedere deroghe speciali alle normative ambientali vigenti, nell’intento di favorire singole imprese o settori industriali; si parla in questo caso di dumping ambientale.

Nell’analisi del fenomeno e nelle misure che deciderà di intraprendere, invito la Commissione a distinguere nettamente fra norme lecite dirette a stimolare la crescita e la prosperità e pratiche illecite di dumping.

 
  
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  Ford (PSE), autore. – (EN) Signor Presidente, il Commissario Verheugen ha dichiarato che la Commissione sta indagando sull’eventualità che i sussidi costituiscano un incentivo diretto alle esportazioni, cosa che sarebbe illegale; vorrei quindi chiedergli di scrivere, a nome della Commissione, alla società interessata, per domandare a quest’ultima di rimandare la propria decisione sulla chiusura della fabbrica – che è attesa fra 15 giorni – fino a quando non sia stata chiarita la natura dei sussidi.

 
  
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  Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Girerò questa domanda al mio collega, il Commissario Mandelson, che si occupa di questo problema.

Vorrei dire all’onorevole Mann che prendo atto delle sue raccomandazioni, che condivido appieno. Farò in modo che la questione venga discussa in occasione di tavole rotonde fra imprese europee ed americane e in altre sedi.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 12.00.

 

24. Discriminazione nel mercato interno nei confronti di lavoratori e imprese dei nuovi Stati membri
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca l’interrogazione orale (B6-0173/2005) degli onorevoli Protasiewicz e altri a nome del gruppo PPE-DE, alla Commissione, sulla discriminazione contro lavoratori e società dai nuovi Stati membri nel mercato interno dell’Unione europea.

 
  
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  Protasiewicz (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, signor Commissario, tra meno di tre settimane sarà trascorso un anno dall’allargamento dell’Unione europea. Per milioni di cittadini dell’Europa centrale l’allargamento ha significato l’avverarsi del sogno di un’Europa comune retta da principi equi e con pari opportunità per tutti.

Nel prepararsi all’allargamento, i nuovi paesi hanno spalancato i propri mercati, permettendo l’ingresso di un gran numero di società, merci, servizi e manodopera occidentali. Spesso ciò è avvenuto sullo sfondo di accesi dibattiti interni e nonostante le decise proteste di numerosi gruppi, in particolare di quelli che rappresentano i lavoratori. Questi ultimi temevano di perdere il posto di lavoro e affermavano con forza la necessità di proteggere i mercati nazionali dalla concorrenza sleale dell’Occidente. Abbiamo tuttavia pensato che l’appartenenza all’Unione europea significasse essere parte del mercato comune in cui fosse garantita la libertà di intraprendere un’attività economica in qualunque parte del territorio comunitario. Nel contempo eravamo convinti che i Trattati europei stabilissero regole uguali per tutti, a prescindere dal paese d’origine. Purtroppo negli ultimi 11 mesi si sono verificati numerosi casi di discriminazione ai danni di imprenditori dei nuovi Stati membri che desideravano intraprendere un’attività economica in qualche paese della cosiddetta vecchia Unione, discriminazione estesa anche ai loro dipendenti.

I casi più eclatanti di discriminazione hanno luogo nei Paesi Bassi, in Austria e in Italia. I sistemi giuridici di tali paesi consentono un diverso trattamento delle imprese e dei lavoratori a seconda che provengano dai cosiddetti vecchi quindici o dai nuovi dieci Stati membri. Un esempio specifico è l’obbligo imposto a questi ultimi di richiedere permessi per i lavoratori espatriati ancor prima dell’inizio dell’attività economica. Tale procedura, che in Austria può richiedere fino a sei settimane, è molto dispendiosa di tempo e l’obbligo è imposto solo alle imprese e ai lavoratori dei nuovi Stati membri. Alle imprese dei vecchi Quindici non si richiede di presentare domande di questo tipo, ma soltanto di presentare denuncia presso le autorità competenti e di trasmettere a queste ultime un unico foglio contenente informazioni e l’elenco dei lavoratori espatriati. Esse possono iniziare a erogare servizi immediatamente, senza alcun inutile ritardo. Qualora le autorità volessero condurre verifiche, queste potrebbero aver luogo a lavoro già avviato, senza interferire con l’attività economica dell’impresa. Si tratta di un chiaro esempio di discriminazione sancita dal diritto nazionale, che comporta la violazione delle condizioni di concorrenza leale nel mercato comune europeo.

Esistono inoltre alcuni altri paesi in cui, benché non sussistano provvedimenti discriminatori ufficiali, l’amministrazione e i funzionari si comportano in modo tale da rendere impossibile, in pratica, il libero esercizio della propria attività da parte delle imprese provenienti dai nuovi Stati membri.

Ho con me un buon numero di reclami presentati da imprenditori che hanno subito trattamenti particolarmente disdicevoli, sebbene avessero adempiuto a tutte le formalità previste. Il trattamento subito sia dai proprietari che dai dipendenti delle ditte nel corso del loro lavoro comprende l’apposizione di un marchio sulla mano, l’ammanettamento, il vedersi aizzare contro i cani e l’arresto senza alcun valido motivo. Mi spiace dover dire che la Germania e la Francia sono paesi in cui questo tipo di trattamento viene imposto con eccessiva frequenza.

Vorrei pertanto domandare al Commissario Verheugen quali azioni la Commissione intende intraprendere per assicurare che le disposizioni del Trattato in merito alla parità di trattamento delle imprese e dei cittadini vengano rispettate. La Commissione ha già avviato una verifica delle disposizioni negli Stati membri allo scopo di assicurare parità di condizioni per le imprese dei nuovi Stati membri? Se lo ha fatto, quali risultati si sono avuti? Se non lo ha fatto, quando intraprenderà questa verifica delle disposizioni e delle pratiche giuridiche, in modo da prevenire discriminazioni?

Vorrei inoltre richiamare l’attenzione su un parere condiviso da numerosi miei colleghi. Pensiamo che se la Commissione non sarà più attiva nella lotta alla discriminazione ai danni delle imprese e dei lavoratori dei nuovi Stati membri, non riusciremo a raggiungere gli obiettivi economici espressi nella strategia di Lisbona.

In conclusione, vorrei dire che confido che la Commissione europea sia consapevole della situazione. Il fatto che il Commissario Verheugen oggi sia presente in Aula nella sua veste di Vicepresidente della Commissione mi dà motivo di sperare che sia veramente così.

 
  
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  Verheugen, Vicepresidente della Commissione.(DE) Signor Presidente, se in Aula c’è qualcuno che conosce i problemi dei nuovi Stati membri, sono proprio io, che per cinque anni sono stato responsabile dell’allargamento. Non vi è quindi motivo di parlarmene.

Venendo al caso da lei menzionato, la Commissione ha ricevuto reclami che riguardano uno Stato membro in particolare, accusato di violazione del diritto comunitario per aver richiesto permessi di lavoro per lavoratori dei nuovi Stati membri che sono stati o sono in procinto di essere inviati in questo Stato membro per fornire servizi. La Commissione ha pertanto intrapreso l’azione necessaria contro tale Stato, ha tentato di avviare procedure di infrazione contro di esso e farà in modo che la situazione venga riportata alla normalità.

La Commissione non è a conoscenza di altri reclami. In particolare, non vi è stato alcun reclamo riguardo alla libertà di stabilimento, cui lei ha fatto riferimento, che viene attuata non solo dal 1° maggio 2004, ma fin dalla metà degli anni ’90. Se lei è a conoscenza di casi di discriminazione connessi alla libertà di stabilimento, la Commissione le sarebbe grata se potesse comunicarle tali informazioni. Gli unici reclami ufficiali ricevuti dalla Commissione riguardano la libertà di stabilimento in un singolo Stato membro, e in questi casi sono stati presi i provvedimenti necessari.

 
  
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  Handzlik, a nome del gruppo PPE-DE.(PL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il principio della parità di trattamento per le imprese dei diversi Stati membri è una delle colonne portanti dell’Unione europea. Oggi discutiamo di casi di discriminazione ai danni di imprenditori e di lavoratori dei nuovi Stati membri sui mercati della vecchia Europa. Vorrei domandare se è lecito che l’amministrazione francese chieda a imprenditori polacchi che desiderano fornire servizi in Francia in che modo ritengano di essere migliori e possano pertanto giustificare l’ottenimento del permesso di operare in Francia. Ho svolto molte ricerche, scoprendo che nella maggior parte dei casi gli imprenditori di PMI dei nuovi Stati membri raramente presentano reclamo alle autorità competenti in merito alla discriminazione subita. Questi imprenditori dispongono di risorse limitate e decidono consapevolmente di non intraprendere azioni legali lunghe e costose. Temono semplicemente ulteriori ripercussioni da parte dei paesi che li ospitano, visto che l’imprenditore medio si trova in una posizione molto debole quando il suo contendente è l’intero apparato statale.

Uno dei compiti che i nostri elettori ci hanno affidato è intervenire in difesa delle vittime di discriminazioni. Siamo perciò custodi dei principi fondamentali dell’Unione e faremmo bene a chiederci in quale situazione l’Europa potrà venire a trovarsi se non si combatte innanzi tutto la discriminazione. Vi sono due temi d’importanza cruciale per il futuro dell’Unione: la strategia di Lisbona e il progetto di direttiva sui servizi. Tutti comprendiamo che la discriminazione paralizza il mercato interno impedendogli di funzionare correttamente, cosa che a sua volta rende impossibile il raggiungimento degli obiettivi della strategia di Lisbona. Pertanto è nel nostro interesse assicurare che il mercato interno diventi davvero una singola entità economica libera da discriminazioni. Questo risultato non si potrà ottenere se a livello nazionale verranno frapposti numerosi ostacoli.

In conclusione, vorrei sottolineare che i casi di discriminazione sul mercato interno di cui si è discusso oggi in Aula sono purtroppo ostacoli per i nostri comuni sforzi di integrazione. Se permetteremo il permanere di tali ostacoli, tutti ne dovremo pagare le conseguenze.

 
  
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  De Rossa, a nome del gruppo PSE.(EN) Signor Presidente, mi occorrerebbero due ore per esporre nel dettaglio i problemi che i lavoratori migranti si trovano ad affrontare per venire a lavorare in Irlanda. Abbiamo fama di essere uno dei paesi più generosi nel permettere l’accesso dai dieci nuovi Stati membri, il che è vero. In Irlanda vi sono numerosi datori di lavoro corretti che trattano bene i propri lavoratori. Purtroppo, però, in Irlanda vi sono anche datori di lavoro che trattano in modo spaventoso i lavoratori provenienti dai dieci nuovi Stati membri. Abbiamo casi in cui i lavoratori devono lavorare 12 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, per un euro all’ora. Vi sono situazioni riportate dall’Ambasciata polacca, che dice di avere frotte di persone che le si rivolgono in lacrime per essere state licenziate in tronco da datori di lavoro che sanno di avere una lunga fila di lavoratori polacchi pronti a prendere il loro posto.

Il caso specifico che desidero sollevare stasera riguarda un fatto realmente accaduto non in uno Stato membro, ma in un paese candidato. Si tratta di una società turca che impiega lavoratori turchi in Irlanda, votata a frodare sistematicamente i propri dipendenti, trasferendo fondi di loro proprietà a una banca olandese, di cui controlla il conto. Esiste il sospetto che la banca appartenga a questa società.

Vorrei che il Commissario Verheugen indagasse su questo caso e che la Commissione contattasse le autorità irlandesi per scoprire il motivo per cui ha scelto un deputato al Parlamento per rivelare i fatti, benché si disponga di un dipartimento responsabile delle indagini in merito alle violazioni del diritto del lavoro. Per l’intero Stato abbiamo 21 ispettori, un numero deplorevolmente basso. Ne occorrono almeno 100.

Vorrei altresì che la Commissione indagasse circa l’eventuale coinvolgimento di Gama – la società cui mi riferisco – nel riciclaggio di denaro sporco e nel trasferimento illegale di denaro appartenente ai lavoratori dall’Irlanda a una banca dei Paesi Bassi di cui si sostiene sia anche proprietaria.

Desidero che si compia un’indagine al riguardo. Non ci basta darci pacche sulle spalle e dire che stiamo raggiungendo grandi traguardi, che stiamo creando concorrenza, che stiamo facendo in modo che le persone trovino un lavoro, mentre queste stesse persone vengono sfruttate in modo vergognoso. Non basta. La Commissione deve assumersi la responsabilità di assicurare che la legislazione comunitaria venga rispettata.

 
  
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  Grabowski, a nome del gruppo IND/DEM.(PL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, nel caso di paesi economicamente arretrati, quali la Spagna, il Portogallo, la Grecia e l’Irlanda, che sono entrati a far parte dell’Unione europea in un secondo momento, l’UE ha adottato una politica coerente volta a incoraggiare l’imprenditorialità e la competitività. Parte di questa politica comprendeva la semplificazione dell’accesso al mercato comunitario, che ha portato a un incremento del bilancio commerciale dei paesi in questione. Questo è stato uno dei principali fattori della rapida crescita dei posti di lavoro, delle entrate fiscali per questi paesi, degli investimenti e, di conseguenza, del rapido sviluppo economico. La semplificazione dell’accesso ai mercati dell’Unione ha permesso ai paesi arretrati di ridurre significativamente il divario che li separava dai paesi più sviluppati. Rimetto la questione a voi, onorevoli colleghi: i paesi ex comunisti che aspirano all’adesione all’Unione europea hanno goduto della stessa opportunità? La risposta è no. Invece di dimostrare spirito di solidarietà fornendo assistenza, l’Unione ha sfruttato la propria forza e il proprio ingente vantaggio. Ha anche approfittato della remissività e della corruttibilità dei dirigenti e ha posticipato l’adesione per estorcere ulteriori concessioni. L’esempio più lampante della suddetta politica è stato quello del bilancio negativo degli scambi tra la Polonia e l’Unione europea, che superava i 10 miliardi di euro all’anno. I nuovi posti di lavoro e i nuovi profitti sono stati creati nell’Unione e non in Polonia, ma è stata la Polonia a dover patire l’aumento della disoccupazione e della povertà. Che cosa ha significato per le imprese polacche l’apertura del loro mercato alle imprese comunitarie? Che cosa ha significato per loro l’adesione all’Unione europea? Innanzi tutto, concorrenza sleale da parte delle imprese che godevano di vantaggi tecnologici e di capitale. In secondo luogo, ha fatto sì che le imprese, le banche e le istituzioni finanziarie polacche venissero acquistate a un prezzo irrisorio da società dell’Unione, che spesso non pagavano le tasse o non investivano in Polonia. Quel che è peggio, hanno portato gli utili fuori dal paese. In terzo luogo, ciò ha costretto i polacchi a grossi sacrifici per ammodernare le proprie imprese e sostenere i notevoli costi necessari per rispettare i requisiti, le norme e i regolamenti comunitari. In quarto luogo, tutto ciò ha portato ad accettare procedure burocratiche e amministrative costose e complicate e ad acconsentire a sistemi fiscali che rendevano meno competitive le imprese polacche e accrescevano il costo della manodopera. L’IVA ne è un esempio. Quinta conseguenza: si è dovuta accettare l’imposizione da parte dell’Unione di quote, limiti e restrizioni alla produzione in settori relativamente competitivi e moderni, quali l’industria navale polacca, o in settori che producevano merci di alta qualità, come i prodotti alimentari.

E’ trascorso quasi un anno da quando la Polonia è diventata uno Stato membro dell’Unione, ed è risultato che, nonostante tutte le restrizioni e le difficoltà incontrate lungo il cammino, le società polacche sono riuscite a essere competitive, a esportare e a lavorare meglio. Questo vale anche per i singoli individui. La reazione dei governi e delle amministrazioni locali degli Stati membri è stata quella di ricorrere ad altre misure al fine di restringere l’accesso ai mercati comunitari da parte delle imprese polacche. Esempi di tali misure sono le norme che riguardano la fornitura di servizi, che è il settore del mercato cui si deve il 70 per cento del prodotto nazionale lordo, che ha creato praticamente il 100 per cento dei nuovi posti di lavoro. Le restrizioni imposte alle società polacche e ai lavoratori da queste assunti nel settore dell’industria edile sono un ulteriore esempio. Quel che è peggio, queste disposizioni restrittive vengono attuate da funzionari locali fin troppo zelanti. Si potrebbe scrivere un libro sulle persecuzioni sopportate dalle imprese polacche. I reclami presentati alle autorità locali non vengono presi in considerazione. Non sorprende la notizia che quegli stessi funzionari tanto zelanti non si interessano mai dei casi in cui i lavoratori polacchi vengono sottopagati o impiegati illegalmente, o in cui svolgono lavori di scarsa attrattiva. Viene da chiedersi che cosa sia l’Unione europea e quali siano le sue aspirazioni.

Gli slogan sulla solidarietà, l’eliminazione delle differenze, la maggiore rapidità di sviluppo e il mercato comunitario erano tutti specchietti per allodole?

La Polonia e gli altri Stati ex comunisti non possono concedere altro all’Unione europea. Hanno dato tutto ciò che potevano. Per questo motivo gli imprenditori polacchi intendono sostenere la causa del proprio paese e noi, deputati polacchi al Parlamento, saremo al loro fianco. Chiediamo decisioni rapide e inequivocabili per la soluzione dei casi di discriminazione e l’eliminazione delle loro cause. Le nostre richieste non sono irragionevoli. Ciò che vogliamo è condizioni di parità e correttezza da parte di tutti. Lotteremo finché non vinceremo la nostra causa, anche a costo di far crollare l’Unione europea!

 
  
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  Szymański, a nome del gruppo UEN.(PL) Signor Presidente, signor Commissario, innanzi tutto vorrei ringraziare l’onorevole Protasiewicz per aver affrontato questo tema. Egli rappresenta il mio stesso collegio elettorale, e infatti vi sono quattro oratori della Bassa Slesia, il che la rende una sorta di portabandiera di questa causa. E’ un fatto lodevole, di cui sono lieto.

L’allargamento ha portato non solo grandi benefici economici ai nuovi Stati membri, ma anche enormi vantaggi economici all’Unione nel suo complesso, in particolare per quanto riguarda i benefici potenziali. Ciò è avvenuto perché i nuovi paesi offrivano tasse leggermente più basse e manodopera leggermente più a buon mercato, presentando però nel contempo un quadro giuridico per la conduzione delle attività economiche stabilizzato grazie all’integrazione. Questi paesi offrono pertanto opportunità all’Unione europea e non pongono minacce, come alcuni oratori hanno insinuato. Per questo motivo ci preoccupa vedere imprenditori polacchi, cechi e ungheresi imbattersi in ostacoli che le amministrazioni hanno deliberatamente posto sulla loro strada, intralciando la loro attività economica sul territorio della vecchia Unione. Purtroppo questo riguarda tutti e dieci i paesi. Chiudere il mercato comune a questi imprenditori significa danneggiare i nuovi paesi. Anche l’integrazione ne risulta danneggiata, perché si sminuisce il grado di fiducia dei cittadini europei nel processo di integrazione. La cosa più importante, però, è che tale chiusura compromette il benessere dell’Europa. Tutti abbiamo presente il conflitto per le tasse e la politica sociale. Non condividiamo l’opinione socialista secondo cui la concorrenza tra i sistemi sociali e quelli fiscali equivale al dumping ed è dannosa per il benessere di tutti gli europei. Se in Europa non adottiamo un approccio pluralistico nei confronti della tassazione e delle questioni di politica sociale, perderemo terreno rispetto a partner commerciali ben più lontani dei nuovi Stati membri. Mi riferisco alla Cina e all’India.

Si può prendere la decisione di continuare a escludere i polacchi e altri imprenditori, ma va ricordato che questo porterà l’Europa a sprofondare sempre più nel pantano della stagnazione economica. Anziché proporre idee vaghe per l’armonizzazione dei diversi aspetti del diritto economico e fiscale, la Commissione europea dovrebbe concentrare le proprie forze nel portare a termine il compito fondamentale che da circa 50 anni è il più importante, vale a dire la realizzazione del mercato comune.

 
  
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  Belohorská (NI).(SK) La Cortina di ferro è caduta quindici anni fa, e i cittadini dell’Europa centrale erano sinceramente desiderosi di diventare partner con pari diritti, naturalmente dopo aver soddisfatto alcuni criteri economici.

Qual è la verità oggi? Il Commissario Verheugen, come pure molti altri deputati, discuteva con fare compassionevole dei problemi causati dai licenziamenti alla Alstom, parlando delle sorti di 250 persone. Commissario Verheugen, lei dovrebbe sapere meglio di chiunque altro che in Slovacchia non centinaia, ma migliaia di persone sono rimaste senza lavoro a causa delle riforme che abbiamo attuato per diventare membri dell’Unione europea. Per raggiungere questo obiettivo, gli slovacchi hanno compiuto grossi sacrifici. Credo che nessuno se ne sia pentito; tutti siamo stati lieti di diventare, un anno fa, partner con pari diritti, o almeno la pensavamo così in quel momento.

Qual è la verità oggi? Credo fermamente che i vecchi quindici Stati membri, e non noi, fossero tutt’altro che pronti all’allargamento. La libera circolazione delle merci a est è divenuta davvero una realtà – oggi abbiamo negozi belli come i vostri, e la cosa è positiva; gli slovacchi non devono più recarsi in Occidente per acquistare beni di lusso.

Ma qual è la situazione per quanto riguarda la libera circolazione delle persone? Anche se è proibito discriminare i cittadini sulla base della nazionalità, quando si offre un impiego, i lavoratori provenienti dai nuovi Stati membri andrebbero preferiti ai lavoratori di paesi terzi. Ad eccezione di tre paesi, tutti gli altri hanno imposto disposizioni transitorie valide per un periodo da 2 a 7 anni, con la possibilità di riesaminare le questioni in un secondo momento; di conseguenza, questi periodi possono anche essere soggetti a proroghe. Questo aggrava ulteriormente lo stato di incertezza giuridica in cui versano i lavoratori dipendenti. Sappiamo bene che, trovandosi in Occidente, i nostri cittadini – esponenti altamente qualificati della generazione più giovane, istruita e poliglotta – percepiscono stipendi più alti, ma in condizioni sociali indegne di un essere umano. Ecco che cosa vi chiedo: per favore, prestate attenzione anche a questi aspetti.

 
  
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  Kohlíček, a nome del gruppo GUE/NGL.(CS) Signor Presidente, onorevoli colleghi, è ben noto che lavoratori e imprese dei nuovi Stati membri subiscono discriminazioni, che iniziano con il comportamento delle imprese appartenenti ai vecchi Stati membri e ad altri paesi sviluppati, che lavorando in paesi dell’Europa centrale agiscono come se non avessero mai sentito parlare di legislazione in materia di lavoro. Alcuni supermercati cechi, ad esempio, sono noti per le condizioni di lavoro medievali degli addetti alle casse e per il puntuale licenziamento durante il periodo di prova di tre mesi. Esistono numerosi altri esempi di abusi di questo genere, tra cui è particolarmente degna di nota la messa al bando dei sindacati, che, com’è ovvio, non è ufficializzata per iscritto da nessuna parte.

Anche le catene di negozi assumono atteggiamenti tipicamente coloniali nei confronti dei fornitori, e i tempi di pagamento lunghi, le spese di pubblicità, le tasse e i prezzi estremamente bassi che essi impongono sono già stati oggetto di critica in numerose occasioni. Tali pratiche sono abituali nei paesi dell’Europa centrale e orientale, ed è anche consueto che alle merci provenienti dai fornitori locali sia assegnato poco spazio, che ai fornitori venga chiesto di lasciare un deposito in denaro prima di iniziare a fornire le merci e che venga loro chiesto di consegnare merci a qualunque ora del giorno, sette giorni alla settimana.

Numerose questioni restano pertanto irrisolte per quanto riguarda le condizioni di lavoro nei nuovi Stati membri. Nel contempo, tuttavia, i lavoratori dei nuovi Stati membri incontrano enormi difficoltà a ottenere il riconoscimento delle proprie qualifiche quando giungono nei vecchi Stati membri, nonostante il fatto che sono stati conclusi accordi internazionali al riguardo. Infermiere professionali provenienti dalla Repubblica ceca e dalla Slovacchia normalmente lavorano nei vecchi Stati membri come tirocinanti e vengono pagate di conseguenza, anche se hanno tutte le possibili qualifiche per tale impiego. Analogamente, è raro che i nostri operai specializzati abbiano superato un qualche esame riconosciuto dallo Stato, il che comporta che vengano considerati non specializzati e retribuiti di conseguenza, a prescindere dal lavoro effettivamente svolto. Questo è il caso soprattutto dell’edilizia.

Anche il riconoscimento dei titoli universitari è un grave problema, e l’attuale legislazione lascia alquanto a desiderare al riguardo. A titolo di esempio, le tre leggi in vigore in questo campo nella Repubblica ceca sono tutt’altro che perfette. E’ ora di fare qualcosa per questa situazione, perciò mi rivolgo alla Commissione europea e al Commissario Verheugen affinché presentino una proposta che delinei misure legislative adeguate. Grazie per l’attenzione.

 
  
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  Brejc, Mihael (PPE-DE).(SL) Grazie. In quest’Aula il Presidente Barroso ha sottolineato l’importanza della strategia di Lisbona e la necessità impellente di istituire il libero flusso dei servizi, solo l’ultimo degli aspetti fondamentali del mercato interno dell’Unione europea. Da una parte, perciò, vi è un chiaro desiderio di rimuovere gli ostacoli in modo da ottenere il miglior funzionamento possibile del mercato interno, mentre dall’altra parte noi, nuovi Stati membri, abbiamo osservato che le nostre imprese spesso si trovano in una posizione iniqua. Ad esempio, la restrizione applicata alle società di capitali nel mercato interno si esercita nel campo della produzione e dell’installazione di macchinari e attrezzature, nei settori delle costruzioni in metallo, dell’edilizia, della decorazione, della lavorazione della pietra naturale e così via.

Signor Commissario, lei ha detto di avere esperienza delle difficoltà dei nuovi Stati membri. Quest’oggi, tuttavia, non parliamo di queste difficoltà, ma di quelle dei vecchi Stati membri. Lei ha affermato che la Commissione intraprenderà azioni per contrastare le violazioni. Saremmo naturalmente lieti di sapere quando queste azioni avranno luogo e quali risultati daranno. La portata dei comportamenti discriminatori è naturalmente molto grande, mentre l’efficienza di coloro che dovrebbero assicurare il rispetto dell’acquis comunitario è scarsa.

Signor Commissario, ho la sensazione che i nuovi Stati membri dell’Unione europea fossero molto più preparati all’adesione all’UE e al suo allargamento che non le Istituzioni europee. Sarei felice di sentire la sua opinione al riguardo.

 
  
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  Golik (PSE).(PL) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei congratularmi vivamente con lei per la sua elezione e la sua prima apparizione in veste di Vicepresidente. Signor Commissario, l’esito del dibattito odierno non potrebbe giungere in un momento migliore per i numerosi uomini d’affari e cittadini che credono che tutti abbiano pari diritti nell’Unione allargata, e che vogliono vendere il loro bene più prezioso, e cioè il loro lavoro, nei vecchi Stati membri. Vi sono però molte persone che non desiderano più lavorare nell’Unione europea. Costoro hanno già fatto un tentativo, ma sono stati trattati in modo iniquo e si sono scontrati con il governo e le autorità locali, che violano la legge. Tali violazioni assumono la forma di verifiche fin troppo entusiastiche, che spesso prevedono la presenza di cani e poliziotti, oppure arresti nel corso dei quali i singoli individui si vedono apporre un marchio sulle mani e vengono ammanettati. Si tratta di una violazione dei loro diritti personali. Queste società e queste persone non vorranno mai più lavorare né fornire servizi nei vecchi Stati membri. E’ così che dev’essere il mercato dei servizi e del lavoro nell’Europa unita? In qualità di rappresentanti dei nostri elettori, siamo tenuti a difendere i loro diritti nell’Unione europea. Non ho mai sentito nemmeno di un caso in cui qualcuno abbia subito un tale trattamento in Polonia, anche se vi operano molte migliaia di imprese straniere e gran parte dell’industria e la maggioranza delle banche sono controllate da capitale straniero. In Polonia le organizzazioni, gli imprenditori, i ministeri e le ambasciate vengono regolarmente informati di casi in cui imprese e cittadini polacchi che forniscono servizi come subappaltatori delle imprese europee subiscono discriminazioni. Il caso della società Apola, che ha sede a Poznan, è un ottimo esempio di tali discriminazioni, nonché uno dei tanti di cui sono venuto a conoscenza. I dipendenti e i rappresentanti della società sono stati minacciati, arrestati e perseguiti dalla polizia e dalle autorità francesi nella regione del Gard. In molti casi un simile comportamento deriva dal fatto che i funzionari sono umani, anzi inumani, e non conoscono abbastanza le leggi. Non portiamo rancore alle nazioni o ai governi sotto questo aspetto, ma la questione andrebbe discussa in seno all’Assemblea, ed è per questo che al dibattito odierno dovrebbe seguire una risoluzione in cui si condannino tali violazioni del diritto. In conclusione, vorrei illustrare un ulteriore esempio di discriminazione sulla base della nazionalità, che riguarda i nuovi requisiti introdotti dalla Commissione europea, che si applicano solo alle infermiere e alle ostetriche polacche. A queste ultime ora si richiede di aver lavorato almeno 5 anni su 7 per poter ottenere un certificato che confermi le loro qualifiche, senza il quale non possono lavorare come infermiere o ostetriche nell’Unione europea. Ai cittadini di tutti gli altri 24 Stati membri si richiede solo di aver lavorato 3 anni su 5. Oltre a privare queste infermiere e ostetriche della possibilità di lavorare e dei loro diritti precedenti, i requisiti in questione, sanciti dalla legislazione europea, sono un insulto alla loro dignità professionale. Da parecchie settimane attendo una risposta al riguardo da parte della Commissione, e diverse centinaia di migliaia di infermiere e ostetriche attendono una risposta alla petizione presentata al Parlamento europeo.

 
  
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  Libicki (UEN).(PL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’economia comunitaria attraversa un brutto momento, e le economie di Francia e Germania sono quelle più duramente colpite. Sembrerebbe che più o meno tutti siano colpevoli di questa situazione. Gli Stati Uniti sono colpevoli del tasso di cambio del dollaro troppo basso, l’Estremo Oriente di schiavizzare la manodopera e i nuovi Stati membri di perseguire politiche economiche davvero sane e competitive. Si inventano persino nuovi vocaboli, che sono classici esempi di neolingua orwelliana. Per riprendere un concetto espresso dall’onorevole Szymański, ad esempio, si usa la parola dumping, con tutte le sue connotazioni negative, anziché parlare semplicemente di sana competizione economica.

Nonostante i numerosi meriti del progetto di direttiva Bolkestein, tutti i sostenitori di ciò che è noto come “economia sociale” si sono risentiti quando è stato presentato. Sono bastati alcuni brontolii irati da Parigi e da Berlino per far sì che questo eccellente progetto di direttiva venisse accantonato. Senza dubbio sono possibili approcci diversi, uno dei quali è la discriminazione, che in effetti è molto in evidenza, come hanno osservato i precedenti oratori, che hanno elencato un gran numero di individui e di società che ne hanno avuto esperienza.

Il Commissario Verheugen è molto stimato in Polonia, cosa che vorrei sottolineare, però trovo sconvolgente che sostenga di aver ricevuto solo un reclamo riguardante un paese. In qualità di presidente della commissione per le petizioni, ho compilato un lungo elenco di casi di discriminazione, che ho trasmesso al Commissario Verheugen, alla Presidenza olandese e al Commissario Bolkestein. Trovo deplorevole che i Commissari non siano in grado di scambiarsi simili informazioni. Se il Commissario Verheugen, che, come ho detto poc’anzi, in Polonia è molto amato, sostiene di non saperne nulla, restiamo davvero perplessi. Se in seno alla Commissione non vi è alcuno scambio di informazioni, a chi allora dobbiamo trasmetterle?

La strategia di Lisbona e il Patto di stabilità e di crescita miravano a fare dell’economia dell’Unione europea la prima economia al mondo, ma hanno fallito. Adesso si sentono dichiarazioni enigmatiche che suggeriscono che lo scopo è solo quello di fare dell’economia dell’Unione una delle prime al mondo, anche se vi è una differenza fondamentale tra questi due obiettivi. L’Assemblea ha ascoltato numerosi reclami in merito alla chiusura dello stabilimento per la produzione di cellophane di Bridgwater, nel Regno Unito, la cui attività è stata trasferita in Kansas. Questa è la scelta che vi si pone, onorevoli colleghi: o permettete alle imprese di trasferire la produzione in Polonia, nella Repubblica ceca o in Slovacchia, oppure la sposteranno in Kansas o in Estremo Oriente.

La solidarietà all’interno e la competitività all’esterno dovevano costituire le basi su cui fondare l’Europa. Nessuno dei due obiettivi è stato raggiunto, il che a nostro avviso è deplorevole. Come dice il proverbio degli indiani d’America, se scopri di essere a cavallo di una vecchia asina invece che di un mustang, dovresti smontare subito di sella.

Vi invito a smettere di cavalcare una vecchia asina sotto forma di un’economia sociale comunitaria inefficiente, in cui Francia e Germania primeggiano per inefficienza.

 
  
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  Czarnecki, Ryszard (NI).(PL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi esiste una duplice Europa: quella vecchia, di classe superiore, e quella nuova, di ceto inferiore. La prima è avventata, miope e non dà grande importanza alla competitività. In altre parole, taglia il ramo su cui è seduta. La seconda può anche essere stata ufficialmente invitata a sedere al tavolo dell’Unione europea, ma in realtà è vittima di discriminazioni. Se il vostro scopo è mettere queste due Europe l’una contro l’altra, continuate pure con la vostra condotta attuale. Sono curioso di vedere l’esito dei referendum sulla Costituzione nella Repubblica ceca e in Polonia. Si tratta di due questioni non collegate, vi sento dire. Ufficialmente lo sono, ma come pensate di persuadere i cittadini dei nuovi Stati membri dell’Unione che è proprio così? State chiedendo ai parenti più giovani dell’Unione di sostenere la Costituzione per un’Europa unita, e allo stesso tempo li mettete in guardia dall’avvicinarsi troppo al mercato unico dell’UE. Si tratta di un atteggiamento estremamente miope, e i paesi, i governi, le società e le imprese che lo accolgono promuovono l’euroscetticismo in Europa. Invece di superare le antiche divisioni, ne stanno creando di nuove. Non possiamo neppure consolarci al pensiero che si tratti solo dell’egoismo di singole nazioni o industrie, perché in effetti è sempre la stessa stupidità cui siamo abituati, con tutte le disastrose conseguenze che comporta sia a livello politico che economico. Si tratta di un comportamento assai imprudente, inter alia per i consumatori dei vecchi Stati membri dell’Unione.

Onorevoli colleghi, è ora di mettere giudizio.

 
  
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  Fjellner (PPE-DE).(SV) Signor Presidente, come abbiamo sentito oggi in Aula, vi sono parecchi casi in cui è più facile per un martello attraversare il Baltico che non, per esempio, per chi lo porta fare altrettanto e piantare un chiodo. Pertanto mi compiaccio del progetto di direttiva sui servizi, grazie al quale presto potremo parlare di quattro libertà – libertà di circolazione delle merci, dei servizi, delle persone e anche dei capitali – e non più solo di tre, come avviene ora. Ai sensi dell’attuale Trattato, però, numerosi eventi che hanno luogo per esempio nel mio paese, la Svezia, che comprendono palesi atteggiamenti discriminatori sanciti dallo Stato ai danni di persone provenienti dai nuovi Stati membri, sono del tutto inaccettabili.

Vorrei offrirvi un breve, ma decisamente spaventoso e, purtroppo, non unico esempio del modo in cui i sindacati e le autorità insieme neghino ai nuovi Stati membri dell’UE l’accesso al mercato interno. Il caso della Svezia inizia con un’autorità locale che doveva costruire una scuola e, poiché aveva seguito le norme europee sugli appalti pubblici, aveva assunto un’impresa di costruzioni lettone (LP-Bygg). Ben presto è arrivato il sindacato degli operai edili, che ha impedito l’accesso al luogo di lavoro, bloccando i lavori, portando striscioni e cantando “A casa, a casa”. Sostenevano che il motivo di questo comportamento era che la società lettone aveva la responsabilità di aver firmato un accordo collettivo specificamente svedese e che quello lettone non era valido, sebbene fosse più remunerativo di quello svedese. La decisione era stata presa: i lettoni se ne dovevano andare. La società ha presentato ricorso alle autorità, e il Tribunale del lavoro, di cui il sindacato fa parte, naturalmente ha assunto una posizione favorevole al movimento sindacale. Anche il nostro ministro del Lavoro – che di recente è stato a capo del movimento sindacale – ha assunto una posizione ad esso favorevole. E’ in momenti come questo che mi vergogno di essere svedese.

Esattamente una settimana fa, la società lettone è stata costretta a dichiarare fallimento. Di conseguenza, abbiamo scolari senza una scuola, contribuenti con ulteriori tasse da pagare e lettoni disoccupati. Tutto questo perché il cartello del mercato del lavoro svedese possa continuare a operare. Galvanizzato dal proprio successo, ora il sindacato, con il sostegno del governo, sta conducendo una campagna in tutto il paese, chiedendo che le persone che “non sembrano svedesi portino chiare tessere di riconoscimento”.

E’ inaccettabile, e mi domando che cosa intenda fare la Commissione per porre un freno a questi episodi di razzismo e di protezionismo così diffusi in Europa.

(Applausi)

 
  
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  Geringer de Oedenberg (PSE).(PL) Onorevoli colleghi, in quest’Aula si è già fatta menzione in molte occasioni di problemi legati alla discriminazione dei lavoratori e delle imprese dei nuovi Stati membri sul mercato interno dell’Unione. Io stesso ho richiamato l’attenzione dell’Assemblea sulla questione più di sette mesi fa, ma devo notare con rammarico che da allora non è cambiato nulla. Per questo motivo abbiamo sentito tanti deputati dei nuovi Stati membri parlare ancora oggi di palesi violazioni della legislazione comunitaria in questo campo. Oltre ai cosiddetti periodi di transizione che sono stati imposti ai 10 nuovi paesi, i vecchi Stati membri collocano un numero crescente di ostacoli giuridici e amministrativi sul nostro cammino. Tali pratiche ledono la libertà di stabilimento e la libertà di prestazione di servizi, che si applicano entrambe a qualunque entità registrata legalmente nell’Unione europea e che sono entrambe sancite dal Trattato. Esistono già le prove di numerosissimi casi in cui si riscontrano disposizioni discriminatorie, che di nuovo sono in contrasto con la normativa comunitaria, nella legislazione nazionale dei vecchi Stati membri. L’accesa opposizione manifestata da paesi quali la Francia, il Belgio e la Germania nel corso dei dibattiti sulla liberalizzazione dei servizi, come si illustra con dovizia di dettagli nella direttiva Bolkestein, è un’ulteriore prova dei tentativi di discriminazione ai danni delle imprese dei nuovi Stati membri. Trovo alquanto sorprendente che i paesi che hanno acconsentito all’allargamento dell’Unione europea e all’integrazione con i paesi dell’Europa centrale e orientale, pur sapendo che lo scopo di tale integrazione era la creazione di un’unità socioeconomica singola e potente, ora ostacolino i tentativi di raggiungere l’obiettivo. Questa non è l’Unione europea in favore della quale abbiamo votato nel corso dei referendum tenutisi prima dell’allargamento dello scorso anno. Vorrei perciò rivolgermi alla Commissione europea affinché intervenga e renda note le sue opinioni al riguardo, e affinché compia i passi adeguati per fermare le pratiche discriminatorie ai danni dei nuovi Stati membri.

 
  
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  Verheugen, Vicepresidente della Commissione.(DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei ribadire che la Commissione ha ricevuto reclami ufficiali relativi solo a un singolo Stato membro. La Commissione non può intervenire sulla base di informazioni sentite qua e là; se deve agire, dev’esserci un reclamo formale. Ciascun deputato dell’Assemblea conosce le regole.

A quegli onorevoli deputati che oggi hanno parlato di centinaia di casi di discriminazione, posso dire solo che dovrebbero suggerire a coloro che si ritengono vittime di discriminazioni di presentare un reclamo formale. La Commissione seguirà ogni singolo caso, poiché è tenuta a farlo.

Vi chiederei di cuore di non rivolgermi accuse secondo le quali la Commissione non ha considerato alcun reclamo diverso da quelli contro questo singolo Stato membro. Vi chiedo di non dubitare della veridicità di quanto vi dico. Se affermo che abbiamo ricevuto reclami rivolti a un solo paese, allora è proprio così. Fate dunque in modo che coloro che ritengono di essere stati discriminati utilizzino i canali appropriati, e si interverrà. La Commissione ha già intrapreso le azioni necessarie per affrontare lo Stato membro nei confronti del quale è stato mosso un reclamo. Non ho detto che avremmo fatto qualcosa; lo abbiamo già fatto, e la conseguenza di tale intervento è che questi problemi stanno per essere risolti.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 12.00.

 

25. Riutilizzabilità, riciclabilità e recuperabilità degli autoveicoli
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0004/2005) dell’onorevole Krahmer a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull’omologazione degli autoveicoli per quanto riguarda la loro riutilizzabilità, riciclabilità e recuperabilità e che modifica la direttiva 70/156/CEE del Consiglio [COM(2004)0162 – C5-0126/2004 – 2004/0053(COD)]

 
  
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  Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, la Commissione deve esprimere la sua profonda gratitudine all’onorevole Krahmer, sia per la sua relazione che per il notevole, non comune contributo personale che ha recato in prima lettura all’elaborazione della direttiva sulla riciclabilità.

Devo ricordare anzitutto che il progetto di direttiva si basa sulle disposizioni contenute nella direttiva sui veicoli fuori uso adottata nel settembre 2000 dal Parlamento europeo e dal Consiglio; questa direttiva stabilisce per il settore del riciclaggio e del riutilizzo obiettivi assai ambiziosi, da raggiungere entro il 2015. Se si vuole che tali obiettivi vengano effettivamente raggiunti, l’industria automobilistica deve dare il suo contributo. Chiediamo quindi ai costruttori di automobili di produrre veicoli con componenti che siano più facilmente riciclabili e riutilizzabili, fin dal momento in cui il veicolo esce dalla catena di montaggio.

Molti degli emendamenti proposti hanno un forte significato politico. Il più importante riguarda il divieto di impiegare metalli pesanti. La relazione introduce l’obbligo di accertare che i produttori non utilizzino metalli pesanti vietati dalla direttiva sui veicoli fuori uso; la Commissione accoglie con favore tale iniziativa. In tal modo diverrà possibile applicare le disposizioni della direttiva sui veicoli fuori uso in maniera sistematica e uniforme, anziché lasciare agli Stati membri il compito di emanare norme giuridiche nazionali, che possono anche differire l’una dall’altra; si eviterà così di compromettere il regolare funzionamento del mercato interno.

Un aspetto centrale della direttiva, che nell’insieme ha provocato alcune difficoltà, riguarda il calendario di attuazione, ma alla fine è stato possibile sciogliere anche questo nodo. Si propone ora di applicare la direttiva in due fasi, e la Commissione si associa a questa proposta. Allo stesso modo, la Commissione può approvare la semplificazione amministrativa suggerita dal Parlamento; posso concludere in sintesi che la Commissione appoggia senza riserve gli emendamenti proposti dal Parlamento, ed auspica una rapida approvazione di questo testo.

 
  
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  Krahmer (ALDE), relatore. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, desidero anzitutto ringraziare i colleghi della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare – e in particolare i relatori ombra – per la valida e costruttiva collaborazione che mi hanno offerto. Nell’Unione europea, ogni anno escono dalle catene di montaggio circa 15 milioni di autoveicoli, e l’industria automobilistica è uno dei più importanti settori dell’economia europea: essa crea posti di lavoro, incoraggia l’innovazione e riveste un ruolo essenziale per la nostra competitività. Le automobili, però, producono anche rifiuti, ed è questo il tema di cui discutiamo stasera. Ogni anno, in Europa si demoliscono dieci milioni di veicoli; se essi non formano più, come in passato, immensi cumuli nei cortili degli sfasciacarrozze, e non deturpano più come allora il paesaggio, ciò dipende anche dal fatto che le componenti delle automobili sono in gran parte riciclabili e riutilizzabili.

Obiettivo della direttiva sull’omologazione degli autoveicoli è quello di fissare una serie di norme, in base alle quali sia possibile costruire automobili e veicoli commerciali leggeri nel rispetto delle quote minime in materia di riutilizzabilità, riciclabilità e recuperabilità stabilite dalla direttiva sui veicoli fuori uso. Tale direttiva ha imposto ai costruttori obiettivi vincolanti: a partire dal 2006, almeno l’85 per cento del volume di un’automobile – e almeno il 95 per cento a partire dal 2015 – dovrà essere recuperabile e riutilizzabile, o riciclabile. In particolare per quanto riguarda l’obiettivo del 95 per cento entro il 2015, si tratta di mete assai ambiziose; equivalgono a dire che l’automobile del futuro non dovrebbe praticamente produrre rifiuti.

Per cogliere tale obiettivo non basterà che i costruttori impieghino determinati materiali; i fattori essenziali saranno il futuro sviluppo della tecnologia del riciclaggio e la definizione di riciclabilità. Non c’è dubbio, tuttavia, che la riciclabilità delle automobili e una minore produzione di rifiuti siano obiettivi di grande importanza nel quadro delle politiche ambientali europee; è comunque sorprendente che le automobili contribuiscano solo con l’un per cento alla quantità totale di rifiuti prodotta dall’Unione europea. L’UE ha avuto particolare successo nel ridurre al minimo i rifiuti provenienti non solo da imballi, scarti di lavorazione dell’industria elettronica e batterie, ma anche dalle automobili usate.

Passo ora alle questioni fondamentali. Benché la Commissione europea abbia presentato una proposta di direttiva più che dignitosa, il Parlamento ha dovuto migliorarla in vari punti. Dopo il voto in sede di commissione parlamentare e un positivo trilogo, abbiamo elaborato, col sostegno dei tre principali gruppi dell’Assemblea, un pacchetto di compromesso mirante a un accordo in prima lettura. Dal momento che questa era quella che si potrebbe definire la mia relazione inaugurale, in qualità di relatore la considero un grande successo.

Gli emendamenti comuni, su cui voteremo domani, sono diretti in primo luogo a migliorare le modalità di attuazione della direttiva, senza mettere a repentaglio la possibilità di rispettare gli obiettivi di riciclaggio, così importanti per la politica ambientale. La procedura di omologazione è pensata per essere praticabile dal punto di vista delle autorità competenti negli Stati membri e dei produttori, e inoltre per mantenere al minimo possibile i costi. Gli emendamenti inoltre tengono conto di alcuni importanti aspetti delle migliori prassi in uso per l’omologazione. In qualità di relatore, sin dall’inizio ho cercato con particolare scrupolo di mantenere la distinzione fra il controllo di nuovi tipi di autoveicoli e quello di tipi già esistenti. Si definiscono come tipi già esistenti le automobili che sono già sul mercato nell’Unione europea – attualmente ce ne sono circa 600 – mentre i nuovi tipi sono quelli, circa 100 all’anno, che giungeranno sul mercato in futuro.

Si intende dare priorità al controllo dei nuovi tipi. Né le autorità né i costruttori sarebbero in grado di svolgere il compito previsto dalla proposta originale della Commissione, ossia il controllo di tutti i modelli esistenti nell’Unione europea entro 36 mesi dall’entrata in vigore della direttiva. Il controllo dei nuovi tipi deve avere la priorità affinché tutte le automobili, che in futuro saranno immesse sul mercato dell’UE, soddisfino i requisiti vincolanti imposti dalla direttiva sui veicoli fuori uso; è opportuno quindi che il limite di 36 mesi proposto dalla Commissione valga per i nuovi tipi, mentre quelli già esistenti potranno essere controllati in seguito. In seno al Parlamento, e poi con il Consiglio, abbiamo infine concordato un periodo di 54 mesi, corrispondente alla media aritmetica fra la proposta originale della Commissione e i 72 mesi da me inizialmente suggeriti; si tratta in effetti del ciclo di vita di un veicolo medio.

La definizione di “veicolo di riferimento” è un altro punto importante. Il fatto che l’autorità di omologazione e il costruttore scelgano di comune accordo il tipo di veicolo è un esempio di buona prassi, che evita incomprensioni; per “veicolo di riferimento” si intende la versione di un tipo di veicolo più problematica a fini di riutilizzabilità, riciclabilità e recuperabilità. Passando al divieto di impiego di metalli pesanti, sono lieto di annunciare che è stato possibile inserire tale divieto nella valutazione preliminare, anziché nella sezione sull’omologazione, che non era la sede adatta. Sono comunque convinto che sia stato corretto, da parte della Commissione, astenersi dal vietare i metalli pesanti nella sua proposta originaria; tali metalli sono infatti già vietati da molti altri provvedimenti legislativi.

Qualche difficoltà è stata provocata da un emendamento del Consiglio che abbiamo ricevuto, per così dire, all’ultimo minuto, e che mirava a reintrodurre dalla porta di servizio la procedura di comitatologia. Il Parlamento si è battuto affinché gli emendamenti alla direttiva sui veicoli fuori uso vengano considerati provvedimenti legislativi e non misure attuative; non abbiamo quindi potuto accettare la possibilità di apportare correzioni tecniche alla direttiva sui veicoli fuori uso senza coinvolgere il Parlamento. Sono lieto che, nel trilogo, Consiglio e Commissione si siano dichiarati d’accordo su questo punto; si tratta di un passo nella direzione giusta, che rende più trasparente e democratico il processo legislativo europeo.

Concludo tornando all’argomento della normativa. Nell’Unione europea il settore automobilistico è già sottoposto a una normativa straordinariamente estesa. Nel legiferare, dobbiamo sempre tenere a mente il fatto che i provvedimenti da noi adottati dovranno trovare attuazione in luoghi assai lontani da Bruxelles e Strasburgo, e dobbiamo pensare alle imprese su cui tali provvedimenti si ripercuoteranno. Commissario Verheugen, mi rivolgo ora a lei personalmente; apprezzo molto la sua iniziativa sulla valutazione d’impatto della legislazione, e sono lieto che, in qualità di Commissario per l’industria, lei abbia riscoperto le sue radici liberali. E’ importante che direttive e regolamenti di nuova introduzione, soprattutto in materia di protezione dell’ambiente e dei consumatori, vengano in futuro controllati per verificarne gli effetti sulla competitività. Occorre esaminare le direttive già in vigore, per accertare che sia possibile applicarle rapidamente negli Stati membri; nell’elaborazione delle direttive future bisogna garantire anzitutto che esse tutelino davvero l’ambiente, e non producano invece un ulteriore aumento delle pastoie burocratiche.

La ringrazio, signor Commissario, per le sue gentili parole.

 
  
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  Hoppenstedt, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, noto che, grazie alla presenza del Presidente facente funzioni, la squadra del Parlamento è ora in superiorità numerica rispetto a quella della Commissione; in una serata come questa è davvero sorprendente. L’onorevole Krahmer ha illustrato la sua relazione in maniera chiara e articolata, e non intendo quindi addentrarmi nuovamente nei dettagli.

Desidero solo osservare che, in definitiva, sono gli emendamenti ad aver fatto di questa relazione, che ci accingiamo a varare, l’opera collettiva di noi tutti; abbiamo infatti comunicato all’onorevole Krahmer che le nostre discussioni con il Consiglio e la Commissione si erano risolte con un accordo grazie agli emendamenti che costituiscono in sostanza il nocciolo di questa relazione. Sono certo che domani un’ampia maggioranza voterà a favore di questa relazione, che è sostenuta dai tre gruppi più importanti.

La direttiva prende come base la direttiva sui veicoli fuori uso e ha un effetto preventivo, poiché consente all’industria automobilistica di garantire la riciclabilità in futuro. La possibilità di riciclare o riutilizzare il 95 per cento di un’automobile è un grande trionfo; si tratta anche di un vero salto di qualità, se si pensa ai primi dibattiti che tenevamo su quest’argomento agli inizi degli anni ’90.

Esprimo inoltre la mia gratitudine all’industria automobilistica, che ha contribuito all’elaborazione di questa direttiva; la possibilità di comunicare con tale industria – che riveste enorme importanza in Europa – è infatti un requisito vitale per garantire la competitività nel lungo periodo. Sono sicuro, infine, che i costruttori del sudest asiatico che esportano oggi verso di noi, come quelli della Cina e di altri paesi, da cui importeremo veicoli in futuro, saranno obbligati ad applicare e rispettare queste norme. Sarà certo difficile applicare e poi monitorare il rispetto di queste misure preventive in quella regione, ma si tratterà d’altra parte di un importante messaggio, che illustrerà chiaramente a quali condizioni sia possibile rimanere competitivi a tutto campo con l’industria automobilistica europea.

 
  
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  Corbey, a nome del gruppo PSE. – (NL) Signor Presidente, domani approveremo una proposta emendata, grazie alla quale gli autoveicoli saranno progettati in maniera tale da poter essere adeguatamente riciclabili alla fine del proprio ciclo di vita. L’esigenza di tener conto della fine del ciclo di vita nella progettazione nei nuovi autoveicoli si fece sentire per la prima volta all’inizio degli anni ’90, tra l’altro anche dei Paesi Bassi, allorché vennero stipulati accordi bilaterali fra costruttori ed autorità pubbliche; i costruttori europei hanno ormai accumulato una notevolissima esperienza in fatto di riciclaggio. I costruttori stimano che il costo dell’obbligo di riciclaggio sia in media di 30 euro per veicolo, che le imprese potranno però recuperare assai presto. I prezzi delle materie prime stanno crescendo vertiginosamente, soprattutto a causa dell’enorme domanda proveniente dalla Cina, e il maggior costo delle materie prime rende il riciclaggio particolarmente remunerativo. Con quest’innovazione nel campo ambientale, inoltre, l’Europa si avvantaggia sui propri concorrenti, poiché né il Giappone né gli Stati Uniti dispongono di normative per il riciclaggio. Il nostro gruppo può accettare la proposta emendata, e in ogni caso ringrazia calorosamente il relatore; mi scuso a nome del relatore ombra, impossibilitato a intervenire questa sera.

Desidero cogliere quest’occasione per analizzare il problema dell’industria automobilistica in una prospettiva più ampia. All’inizio di quest’anno è stato formato il gruppo di alto livello sull’iniziativa CARS 21; tale gruppo ha il compito di formulare raccomandazioni per l’industria automobilistica europea. I nodi da affrontare sono in primo luogo la competitività e l’occupazione, ma anche la sicurezza e il rapporto con l’ambiente. Mi affretto a premettere che sono estremamente favorevole all’approccio settoriale; il processo di Lisbona va attuato nell’ambito dei singoli settori. Con l’iniziativa CARS 21 la Commissione europea si muove nella direzione giusta, ma temo che in ultima analisi l’istituzione del gruppo di alto livello possa risolversi in una semplice operazione di deregolamentazione a vantaggio dell’industria automobilistica; in altre parole, nell’eliminazione di alcune noiose norme di tutela sociale ed ambientale, effettuata col pretesto di migliorare la competitività. Invito quindi a spingere lo sguardo più lontano e ad essere più ambiziosi, poiché ambiente e competitività non sono inconciliabili, ma anzi si sostengono a vicenda. Un settore industriale che migliora costantemente le proprie prestazioni dal punto di vista ambientale, migliora parallelamente la propria competitività sul piano mondiale. Sono convinta che gli autoveicoli ecocompatibili siano un elemento essenziale per la vitalità dell’industria automobilistica europea, e per tale motivo ho preso l’iniziativa di istituire un gruppo di basso livello sull’automobile. Nello spirito degli obiettivi di Lisbona il gruppo di basso livello si concentrerà su occupazione, competitività e miglioramento della situazione ambientale; insieme ai colleghi interessati elaborerò alcune raccomandazioni che presenterò poi, in luglio, ai Commissari responsabili e al gruppo di alto livello.

In che direzione deve muoversi l’industria automobilistica europea? Essa ha compiuto cospicui progressi in fatto di ambiente e sicurezza, ma ha veramente imboccato la strada giusta per il futuro? A mio avviso, in Europa dobbiamo riflettere insieme sull’autoveicolo del futuro, che sarà in ogni caso più leggero, più piccolo, più economico e più efficiente, e costituirà in tal modo la base di un’industria automobilistica moderna, competitiva ed ecocompatibile. Il rincaro dei prezzi delle materie prime sta rendendo remunerativo il riciclaggio e il riutilizzo dei materiali; inoltre, il progresso tecnologico in questo settore può contribuire fortemente a migliorare la competitività dell’industria automobilistica europea.

 
  
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  Seeber (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, per un momento ho pensato che lei si fosse dimenticato di me. Spetta ora a me l’onore di intervenire per ultimo, e concludere così la lunga seduta odierna. Ricordo che oggi abbiamo votato – con esito favorevole, come si è visto – sulla Bulgaria e la Romania; entrambi questi paesi possiedono un’importante industria automobilistica, e la direttiva di cui discutiamo li riguarda dunque direttamente. Questa proposta ha immediate ripercussioni sulla protezione ambientale connessa alla produzione, dal momento che i cittadini usano quasi ogni giorno automobili e veicoli commerciali leggeri.

Faccio notare che anche in altri casi – in particolare nella normativa sui gas di scarico – abbiamo fissato norme che hanno immediati riflessi ambientali; invito poi la Commissione ad agire tempestivamente, in particolare per quanto riguarda lo standard Euro 5 dei gas di scarico, per giungere anche in Europa a una riduzione di tali gas. Rammento le polveri sottili che in questo periodo inquinano in particolare le città tedesche, provocando ogni sorta di problemi.

In generale l’approccio scelto è apprezzabile; agli occhi del gruppo PPE-DE alcuni punti hanno però particolare rilevanza. In primo luogo è del tutto evidente che i requisiti delle componenti impiegate non devono presentare alcun rischio per il pubblico – né per gli automobilisti, né per i pedoni. Ne consegue che i materiali da usare devono essere riciclabili e sicuri, e ciò a sua volta significa che l’Europa deve intensificare la ricerca sui materiali, se vogliamo mantenere la nostra posizione preminente sui mercati mondiali.

In secondo luogo, norme e procedure devono essere chiare, trasparenti e praticabili; in altre parole, autorità e costruttori automobilistici devono consultarsi per scegliere un veicolo di riferimento, che dev’essere quello più problematico dal punto di vista dell’inquinamento. Sarebbe illogico e senza dubbio anche eccessivamente burocratico ripetere l’intero test su veicoli che differiscono solo per pochi accessori aggiuntivi.

Il calendario, infine, dev’essere ambizioso, ma anche realistico; non avrebbe infatti molto senso imporre un eccessivo numero di modifiche a modelli esistenti, che stanno già per raggiungere la fine del loro ciclo di vita economico. Una protezione ambientale impostata in tal modo è invece utile, e va a vantaggio sia dei cittadini che dell’economia.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 12.00.

Ringrazio tutti gli oratori e il Vicepresidente della Commissione per la loro partecipazione.

 

26. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale

27. Chiusura della seduta
  

(La seduta termina alle 22.55)

 
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