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Resoconto integrale delle discussioni
Mercoledì 11 maggio 2005 - Strasburgo Edizione GU

12. Seduta solenne
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  Presidente. – Altezze, è un grande onore per me, come Presidente del Parlamento europeo, ricevere oggi il capo dello Stato che esercita attualmente la Presidenza dell’Unione europea.

Sire, a nome mio e dei miei colleghi, le porgo il più caloroso benvenuto. La sua presenza nella nostra Istituzione dimostra il suo interesse per l’integrazione europea e l’importante ruolo che il suo paese svolge in questo processo. La sua visita ha un nesso storico con quella compiuta da suo padre, il Granduca Jean, il 22 novembre 1990, quasi quindici anni fa.

All’epoca l’Unione europea era costituita da dodici Stati membri e aveva 340 milioni di cittadini. Oggi siamo più che raddoppiati: 25 paesi e 455 milioni di europei. Queste cifre dimostrano quanto è stato lungo il cammino che abbiamo percorso, durante il quale siamo riusciti a riunificare un continente e a condividere gli stessi valori.

Il suo paese, il Lussemburgo, è sempre stato un difensore fedele e determinato dell’integrazione europea e la sua Presidenza ci sta dimostrando ancora una volta che i cosiddetti paesi “piccoli”, piccoli per dimensioni, ma grandi per la loro storia, sono capaci di esercitare grandi presidenze e apportano un savoir faire aggiuntivo all’integrazione comunitaria, grazie al lavoro di politici intelligenti e costantemente disponibili nei confronti del Parlamento.

Guardando al passato, ricordiamo che il nome del suo paese, il Lussemburgo, è associato a momenti importanti della storia europea, come il compromesso del Lussemburgo del 1966, con il quale si riuscì a riportare la Francia al tavolo comunitario. E’ un momento straordinario della storia d’Europa che porta il nome del suo paese. E oggi, trascorsi tre quarti del suo mandato, la Presidenza lussemburghese mostra già un bilancio estremamente positivo, che sono sicuro si arricchirà ancora nel periodo rimanente del semestre.

(Applausi)

Sire, il governo del suo paese ha raggiunto un accordo sul Patto di stabilità durante la sua Presidenza dell’Unione, rispettandone i criteri fondamentali; ha dato un nuovo orientamento alla strategia di Lisbona e abbiamo appena firmato in Lussemburgo i trattati di adesione con la Romania e la Bulgaria, benché non le nasconda che la questione più difficile, quella delle prospettive finanziarie per il prossimo periodo 2007-2013, deve ancora essere conclusa. Fidiamoci degli sforzi della Presidenza lussemburghese per concluderla positivamente.

Monseigneur, da quando è stato proclamato Granduca nell’ottobre del 2000, lei ha sempre espresso una preoccupazione costante per tutti gli abitanti del suo paese, in particolare assicurando un’adeguata integrazione delle varie nazionalità che lo compongono ed evitando ogni forma di esclusione sociale, e sappiamo che in questo compito l’asseconda la sua consorte, la Granduchessa María Teresa, che ci onora oggi della sua presenza.

(Applausi)

Insieme state perpetuando i legami che uniscono il vostro casato al vostro popolo e state proseguendo sulla strada aperta da suo padre, coniugando tradizione e modernità. Forse possiamo così sintetizzare ciò che il Lussemburgo rappresenta oggi: la migliore combinazione di tradizione e modernità che l’essere umano è mai stato capace di creare.

Sire, a lei la parola.

(Applausi)

 
  
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  Henri di Lussemburgo, S.A.R., il Granduca Henri di Lussemburgo. – (FR) Signor Presidente, onorevoli parlamentari, quindici anni fa, nel 1990, alla vigilia di una Presidenza lussemburghese, mio padre, il Granduca Jean, ebbe il privilegio di rivolgersi a questa eminente Assemblea. Alcuni di voi ne facevano parte già all’epoca, e mi congratulo con loro in modo particolare per la costanza del loro impegno al servizio dell’Europa.

Signor Presidente, le gentili parole che ha appena pronunciato nei riguardi del mio paese mi toccano profondamente. Con la Granduchessa, e a nome di tutti coloro che ci accompagnano in questa visita, vi ringrazio per la calorosa accoglienza che ci avete riservato.

1990-2005: quanti cambiamenti, direi anche sconvolgimenti, sono intervenuti in questo periodo, anche in questa splendida città di Strasburgo! Lo splendido nuovo edificio in cui ci troviamo e le dimensioni di questo Emiciclo sono una manifestazione tangibile dei mutamenti storici avvenuti nel nostro continente. Ricordiamo le immense speranze nutrite da alcuni e le forti inquietudini provate da altri dinanzi all’entità delle sfide che ci siamo trovati a fronteggiare con la fine del comunismo e la riconciliazione del nostro continente. Non è giunto il momento di misurare quanta strada abbiamo percorso da allora, riconoscendo in questo percorso i nostri innegabili successi?

Negli ultimi mesi, in occasione delle cerimonie per il sessantesimo anniversario della fine delle ostilità, abbiamo ricordato con piacere che l’elemento che ci ha spinti alla realizzazione della nostra impresa era il desiderio di rendere la guerra impossibile tra noi in futuro.

Come lei, signor Presidente, sono stato ad Auschwitz, dove, con numerosi capi di Stato e di governo, abbiamo pianto in silenzio ricordando i milioni di vittime innocenti morte o mutilate nelle condizioni più atroci. Vorrei anche sottolineare la presenza quel giorno, particolarmente significativa, dei presidenti dei gruppi politici del Parlamento europeo.

E’ il dovere della memoria che ci ha riuniti quel giorno, ed è con rinnovata vigilanza che questo dovere deve continuare a ispirare il nostro impegno per l’integrazione europea, affinché la storia non si ripeta. In tale contesto, sono molto felice di poter condividere oggi con voi alcune riflessioni che, per evidenti ragioni, trascendono il programma della nostra Presidenza.

Signor Presidente, le mie riflessioni mi conducono innanzi tutto a ricordare i nostri conseguimenti. Qualsiasi osservatore riconoscerà che il cammino compiuto in questi ultimi quindici anni abbonda di innegabili successi, che qualcuno definirebbe persino spettacolari. L’Europa appare oggi più forte, perché unita attorno a valori comuni che è capace di promuovere nel mondo. Insieme, abbiamo saputo scongiurare il rischio di vedere la nostra Unione degenerare in una semplice zona di libero scambio. All’indomani della riunificazione tedesca, realizzata sulla scia dell’Atto unico europeo, a sua volta preceduto da un allargamento molto riuscito a sud, abbiamo creato insieme, in circostanze difficili, una moneta unica che oggi merita rispetto e ammirazione.

La nostra Unione è stata capace di allargarsi a est. Permettetemi di esprimervi l’emozione provata di recente in Lussemburgo quando i più alti responsabili bulgari e rumeni hanno firmato l’atto di adesione dei loro paesi. L’Europa ha saputo così rispondere alle legittime aspirazioni di quei popoli che hanno sofferto tanto per un’ideologia che per quarant’anni ha negato loro i diritti più elementari.

(Applausi)

Abbiamo abolito le nostre frontiere interne, aprendo a 450 milioni di cittadini uno spazio unico di libertà e di sicurezza.

Nel rispetto delle loro alleanze, alcuni Stati membri sono intervenuti in modo autonomo nella Repubblica democratica del Congo. Le nostre truppe hanno proseguito il lavoro della NATO in Bosnia-Erzegovina. In Afghanistan, la presenza europea è essenziale per guidare la transizione del paese verso un’autentica democrazia.

Di fronte alla globalizzazione, ci siamo sempre sforzati di fare dell’Europa un polo di eccellenza rispetto ai giganti economici degli Stati Uniti, del Giappone, della Cina, dell’India e del Brasile. Parallelamente, abbiamo saputo fare nostro il motto “l’unione fa la forza” ponendoci nel mondo come un riferimento credibile in termini di democrazia e di solidarietà verso i paesi in via di sviluppo. Potrei infine menzionare gli enormi progressi compiuti nel settore della sicurezza alimentare. In seguito a lunghi e difficili negoziati, l’igiene delle derrate alimentari di 450 milioni di consumatori sarà disciplinata dalle stesse norme.

Signor Presidente, onorevoli parlamentari, voi sapete che potrei menzionare ancora molti esempi. Permettetemi di constatare qui che il ruolo svolto dal Parlamento europeo nella realizzazione di questi successi è stato decisivo in molti aspetti. Qualche volta con l’incoraggiamento, qualche volta esercitando pressioni, il vostro Parlamento si è saputo conquistare un posto eminente negli equilibri istituzionali della nostra Unione. In tal modo il Parlamento europeo ha fatto propria la constatazione espressa a suo tempo da Jean Monnet, che cito: “Possiamo scegliere solamente tra i cambiamenti che ci vengono imposti e quelli che abbiamo voluto e saputo compiere”.

Il ricordo di questi innegabili successi e l’omaggio così reso ai deputati al Parlamento europeo non mi dispensano dal constatare con molta lucidità che numerosi cittadini, e tra essi molti giovani, provano una sorta di malessere nei confronti dell’integrazione europea. Non possiamo però mancare di constatare che nei nuovi Stati membri la freschezza e l’entusiasmo di far parte di questa grande famiglia sono ancora evidenti.

Tuttavia, gli egoismi tendono a frenare il dinamismo che animava i padri dell’Europa. I dibattiti in corso negli Stati membri a proposito della ratifica del Trattato costituzionale sono a questo riguardo rivelatori. Molti danno l’impressione di sentirsi emarginati rispetto alle sfide del processo di integrazione. Si dicono disillusi nei confronti dei responsabili politici. Tuttavia, in mancanza di un’alternativa credibile, nessuno è stato in grado sin qui di proporre un altro modello.

(Applausi)

Indubitabilmente, la fiducia nell’integrazione si è affievolita. Come ha osservato con acutezza un cronista: “I fondamenti del dopoguerra – la riconciliazione, la solidarietà di fronte al pericolo comunista, la ricostruzione – sono diventati puri ornamenti”. In questo triste contesto, le nostre strutture democratiche danno spesso un’impressione di inerzia e di impotenza.

Come spiegare questi dubbi, questo smarrimento, questi giudizi negativi? Alcuni filosofi, come il francese Marcel Gauchet, ci dicono che è un fenomeno dovuto al momento che stiamo vivendo, vale a dire alla nostra epoca che sta attraversando enormi e radicali cambiamenti.

Quando il cambiamento è relativamente lento, come negli anni ’70 e ’80, l’adattamento avviene senza troppe difficoltà. Invece, quando produce uno sconvolgimento dei riferimenti tradizionali, come quello che stiamo vivendo in particolare riguardo alla globalizzazione, è tutto diverso! Occorre assimilare le rotture, reinventare nuovi punti di riferimento, ricostruire strumenti. In breve, ridefinire prospettive e visioni.

Vorrei ricordare a questo proposito una riflessione di Michel Rocard, che disse: “Uno dei drammi dell’Europa consiste nel fatto che è destinata all’amministrazione”. In effetti, dobbiamo riconoscere, con l’ex Primo Ministro, che è triste e di conseguenza ben poco motivante per lo spirito dei nostri cittadini, in particolare per i giovani, che l’Unione sia dominata dal denaro, dal capitale, dall’investimento, dalle norme e dalle sovvenzioni.

Dobbiamo ammettere che si tratta di settori molto importanti, ma troppo aridi per suscitare grandi emozioni. Ricordiamoci che, sin dall’inizio dell’integrazione europea, niente sarebbe stato possibile senza la combinazione di competenza e passione.

Con l’emergere di questa grande Europa, non è giunto il momento di porsi la domanda centrale, che rimane sempre la stessa: perché vogliamo vivere insieme e condividere in tutto o in parte il nostro destino?

La risposta non è ovvia. La vera posta in gioco è rappresentata da 450 milioni di esseri umani, con le loro decisioni e le loro ambizioni, con le loro debolezze e le loro passioni, ma soprattutto con le loro forze e le loro prodigiose qualità. Tuttavia, si presuppone che questi esseri umani condividano un unico destino storico su un unico territorio: l’Europa.

L’avventura europea non può che realizzarsi attorno a popoli e nazioni, traduzione della nostra grande diversità. Ciascuna di queste nazioni rappresenta un territorio con le sue bellezze e le sue ricchezze, ma anche con le sue cicatrici che il tempo ha inscritto nella memoria.

Nel decidere ciò che deve essere conservato rispetto a ciò che dobbiamo considerare obsoleto, il primo compito della nostra Unione è quello di conciliare l’eredità del passato con le sfide del futuro. E’ a partire da se stessa, dal suo modo di procedere e di costruirsi, che deve ora crearsi la propria legittimità.

Di fronte a potenti poli di sviluppo, come superare i rischi di un declino che nessuno sarebbe in grado di gestire individualmente? Ma, soprattutto, come riunire nella solidarietà le condizioni per una nuova espansione? Posta in questi termini, la rinascita dell’Europa – con cui va identificata la nostra ambizione collettiva – dovrebbe essere il progetto sociale delle generazioni che si apprestano a darci il cambio.

Per convincere i nostri cittadini, ricordiamoci che il benessere e la prosperità di un popolo non si possono contabilizzare esclusivamente in termini di prodotto interno lordo. Badiamo anche a non costruire un’Europa vantaggiosa per alcuni ma in cui proliferano contemporaneamente situazioni di esclusione sociale, di violenza in tutte le sue forme, di disoccupazione e di disinteresse per la conservazione dell’ambiente naturale.

Ricordiamoci anche che una migliore curva di crescita è di scarso interesse se non si traduce in un migliore accesso ai beni più elementari, che sono l’istruzione, la cultura, la salute, la giustizia sociale e soprattutto il lavoro!

(Applausi)

Per definire questo progetto di società, il metodo migliore resta il dibattito democratico, che non può evidentemente limitarsi al Parlamento europeo, come, del resto, avete auspicato con molta pertinenza nella vostra risoluzione sul Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa.

Come indicato in tale documento, occorre promuovere, con il concorso delle organizzazioni civili e delle nostre società, la partecipazione attiva dei cittadini ai dibattiti che accompagneranno il processo di ratifica. Sono lieto di constatare che il vostro messaggio non è rimasto lettera morta. Al contrario, dobbiamo riconoscere che i dibattiti sono animati. Le tesi sostenute e le opzioni presentate lasciano talvolta, è vero, uno spazio sproporzionato alla demagogia e persino alle falsità.

(Applausi)

Posso soltanto auspicare che gli onorevoli membri di questa Assemblea si impegnino direttamente e che, al di là delle appartenenze politiche, emerga un’unica ambizione: fare dell’Europa l’autore della propria storia. Non faccio che ripetere ciò che vi disse mio padre al riguardo nel 1990: “Siete i rappresentanti eletti dei nostri paesi. Sappiate mobilitare e trascinare dietro di voi tutte le forze creatrici”.

Signor Presidente, onorevoli parlamentari, per poter vivere insieme, dobbiamo comprenderci meglio. A tal fine, dobbiamo arricchirci delle nostre diversità.

Il popolo del Lussemburgo, considerandone la specificità sociologica, è in qualche modo “condannato” a scoprire l’altro. Questo è vero anche per quanto riguarda la sua prosperità. Nelle innumerevoli visite che ho compiuto negli ultimi venticinque anni, che mi hanno condotto in tutti i continenti, ho compreso molto rapidamente che il Granducato in quanto tale non poteva suscitare da solo l’interesse di potenziali investitori.

Invece, il fatto che il mio paese, seppure modesto per dimensioni, si trovi al centro dell’Unione e solidamente ancorato in questo spazio privilegiato, è stato spesso decisivo nei nostri passi di modernizzazione e di diversificazione della nostra economia.

Per il Lussemburgo, la scelta dell’Europa resta quindi una scelta naturale. La storia ci ha dimostrato che l’esistenza della nostra nazione, se isolata, poteva in qualsiasi momento essere rimessa in questione, che essa sarebbe potuta scomparire, e di questo rischio il mio paese è consapevole. Siamo ben consci della nostra condizione privilegiata di Stato membro fondatore della costruzione europea.

Per concludere, vorrei lasciarvi con una riflessione di Milan Kundera, che si è espresso in questi termini poco dopo la caduta del comunismo: “Spesso mi sembra – diceva – che la cultura europea conosciuta celi un’altra cultura sconosciuta, quella delle piccole nazioni. [...] Si suppone che le piccole nazioni siano necessariamente imitatrici di quelle più grandi. E’ un’illusione. In realtà sono molto diverse. [...] L’Europa delle piccole nazioni è un’Europa diversa, ha un altro sguardo e il suo pensiero forma spesso il vero contrappeso dell’Europa delle grandi nazioni”.

(Applausi)

La mia intenzione oggi era anche di ricordare questo particolarismo. Vi ringrazio per l’attenzione.

(L’Assemblea, in piedi, applaude Sua Altezza Reale il Granduca Henri di Lussemburgo)

 
  
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  Presidente. – A nome del Parlamento europeo, la ringrazio, Sire, per le sue parole, che dimostrano una profonda conoscenza della nostra integrazione politica, della quale il suo paese è stato attore e testimone privilegiato.

Le sue sono state anche parole di incoraggiamento per il lavoro quotidiano che svolge questa Istituzione e non mi rimane che augurare a lei e alla sua consorte un felice soggiorno a Strasburgo, per il tempo che ancora rimarrete con noi.

(Applausi)

(La seduta solenne termina alle 12.30)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ONESTA
Vicepresidente

 
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