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Resoconto integrale delle discussioni
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Martedì 5 luglio 2005 - Strasburgo Edizione GU
1. Apertura della seduta
 2. Correzioni di voto delle sedute precedenti: vedasi processo verbale
 3. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
 4. Dichiarazioni scritte (articolo 116): vedasi processo verbale
 5. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (comunicazione delle proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
 6. Brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici
 7. Turno di votazioni
 8. Lotta ai nematodi a cisti della patata
 9. Protocollo all’accordo sui trasporti marittimi con la Cina a seguito dell’allargamento
 10. Accordo sulla conservazione degli uccelli acquatici migratori afro-euroasiatici
 11. Richiesta di difesa dei privilegi e dell’immunità di Umberto Bossi
 12. Richiesta di revoca dell’immunità di Ashley Mote
 13. Sostanze e preparati pericolosi (ftalati) e sicurezza dei giocattoli
 14. Sicurezza dell’approvvigionamento di energia elettrica e investimenti nelle infrastrutture
 15. Richiesta di difesa dei privilegi e dell’immunità di Umberto Bossi
 16. Richiesta di difesa dei privilegi e dell’immunità di Jean-Charles Marchiani
 17. Banca centrale europea (2004)
 18. Strategia d’informazione e di comunicazione riguardante l’euro e l’UEM
 19. Piano d’azione per le tecnologie ambientali nell’Unione europea
 20. Sfruttamento e lavoro dei minori nei paesi in via di sviluppo
 21. Benvenuto
 22. Seduta solenne – Italia
 23. Dichiarazioni di voto
 24. Correzioni di voto: vedasi processo verbale
 25. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 26. Fondi strutturali
 27. Termine per la presentazione di emendamenti: vedasi processo verbale
 28. Il ruolo delle donne in Turchia
 29. Parità di opportunità e di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego
 30. Legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (“Roma II”)
 31. Elenchi di persone non ammesse a bordo degli aerei / Pratiche passeggeri
 32. Situazione politica e indipendenza dei mezzi di comunicazione in Bielorussia
 33. Norme d’origine negli accordi commerciali preferenziali
 34. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
 35. Chiusura della seduta


  

PRESIDENZA DELL’ON. COCILOVO
Vicepresidente

 
1. Apertura della seduta
  

(La seduta inizia alle 9.00)

 

2. Correzioni di voto delle sedute precedenti: vedasi processo verbale

3. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale

4. Dichiarazioni scritte (articolo 116): vedasi processo verbale

5. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (comunicazione delle proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale

6. Brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la raccomandazione per la seconda lettura, della commissione giuridica, sulla posizione comune definita dal Consiglio in vista dell’adozione della direttiva del Parlamento e del Consiglio relativa alla brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici [11979/1/2004 – C6-0058/2005 – 2002/0047(COD)] (Relatore: onorevole Michel Rocard) (A6-0207/2005).

 
  
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  Michel Rocard (PSE), relatore. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo al termine di una lunga e interessante battaglia parlamentare. Vi ricordo qual è la posta in gioco, anche se è assurdo dedicare solo cinque minuti a un problema così complesso.

Le questioni in discussione sono tre. Il principio della libera circolazione delle idee, il rispetto della concorrenza e il rifiuto dell’effetto di monopolio legato al brevetto e, infine, la protezione dei singoli inventori e delle piccole e medie imprese di fronte all’onnipotenza schiacciante di alcune grandi società.

Vi è un consenso unanime sulla necessità di chiarire la legge e di adottare una direttiva. Nessuno qui vuole che tutti i software siano brevettabili. Non dovrebbero quindi esservi problemi, se non fosse che un recente sviluppo, databile a meno di 20 anni fa, ha reso la questione più complicata.

Agli albori dell’industria informatica e all’epoca della creazione dei primi software, nessuno pensava a brevettare. La Silicon Valley, signor Presidente, operava in questo modo e si è sviluppata per 20 o 30 anni senza brevetti. I software erano tutelati dal diritto d’autore e ciò bastava. Poi è giunta dagli Stati Uniti, che non hanno alcuna normativa in materia, l’idea di estendere la brevettabilità a questo settore. Il punto di partenza è il concetto secondo cui l’immateriale non ha carattere tecnico, e tutto ciò che attiene al mondo materiale e utilizza materia, energia o strumenti è brevettabile. Per essere brevettabile, un’invenzione deve presentare un carattere di novità, implicare un’attività inventiva, essere suscettibile di applicazione industriale e apportare un contributo tecnico. Qualsiasi elemento di supporto o di gestione, che fornisce i dati a un software che li elabora, o che rileva il risultato dei calcoli del software per trasferirli al mondo reale tramite un componente in movimento o un segnale, è brevettabile, mentre non si può brevettare il software in sé.

In seguito, il software è stato sempre più profondamente integrato con tali sistemi di supporto e di gestione. Sono poi apparse invenzioni in cui solo il software era nuovo, mentre i sistemi di supporto e di gestione restavano quelli già esistenti. Abbiamo quindi constatato che certi tribunali, alcuni uffici brevetti nazionali, nonché l’Ufficio europeo dei brevetti, classificano tutto erroneamente come contributo tecnico, con il seguente risultato: 200 000 brevetti, o più, di questo tipo negli Stati Uniti e circa 30 000 rilasciati dall’Ufficio europeo dei brevetti, malgrado l’articolo 52, paragrafo 2, della Convenzione sul rilascio dei brevetti europei, che stabilisce che i software non sono brevettabili.

Gli abusi sono noti e vanno ricordati: sono stati brevettati metodi didattici, metodi commerciali, nonché guide per chirurghi. In tutti questi casi, la gratuità del software avrebbe permesso di farne beneficiare immediatamente tutta l’Africa, ad esempio, nel settore dell’istruzione o in campo medico. Invece sono brevettati negli Stati Uniti, e di conseguenza sono molto costosi e fuori della portata del mondo odierno. Abbiamo tutti condannato questi abusi, compresi quelli dell’Ufficio europeo dei brevetti, ma le sue pratiche erronee hanno impedito di definire limiti chiari.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, vi viene proposto di ritornare ai principi e al diritto. Alcuni esponenti della nostra grande industria, tuttavia, non hanno compreso la nostra intenzione. Temono di non essere più tutelati; è un timore comprensibile a breve termine, poiché la soppressione della protezione cambierà alcuni equilibri. Cosa fanno oggi le aziende più grandi? Si scambiano tra loro portafogli di brevetti per evitare gli svantaggi della brevettabilità subiti da chi non può prender parte a questo gioco, vale a dire i soggetti più piccoli. I costi legali nei bilanci di ricerca e sviluppo di queste società sono in costante aumento, fino a superare oggi quasi ovunque il 20 per cento. Due terzi dei brevetti validi sui territori europei sono americani o asiatici, non europei. Infine, quando Siemens, GEM PLUS o Alcatel vendono le loro divisioni di telefonia cellulare, queste divisioni, brevetti compresi, vengono portate in Asia, privando l’Europa di qualsiasi possibilità di sviluppo in questi campi.

Noi pensiamo quindi, signor Presidente, che a lungo termine la difesa della nostra industria europea si attui meglio attraverso la libertà e il libero accesso che non attraverso i brevetti. Inoltre, la Cina forma due milioni e mezzo di informatici ogni anno! Come possiamo sostenere questa sfida? Il modo migliore è la libertà. I nostri grandi industriali avrebbero dovuto comprenderlo, invece hanno ridicolizzato la questione, senza contare che questo dibattito ha dato adito anche a qualche insulto. Ad esempio, chi vi parla è stato definito un “uomo del Medioevo”. Questo mostra quanto sia fragile la loro posizione. I nostri amici industriali dovrebbero ammettere che il fatto di aver commesso un errore non autorizza ad adattare i principi e il diritto a questo errore.

Ultimo problema: il trattato TRIPS, in francese ADPIC, può essere interpretato in due modi. O tutti i software sono brevettabili, nel qual caso non c’è problema: rientrano tutti nel campo del trattato TRIPS e dei panel dell’OMC, ma non è ciò che vogliamo. Oppure, nessun software è brevettabile: allora rientrano nel diritto internazionale in materia di diritto d’autore. Dipendono anche dai panel dell’OMC, ma con altre regole. In questo secondo caso, siamo anche in regola col trattato TRIPS, sapendo tuttavia che l’unica cosa vietata da questo Trattato è la zona grigia. Infatti, se c’è una contestazione sulle ragioni per le quali una parte specifica di un software è brevettabile, significa che il confine non funziona più e la situazione in cui “tutto è brevettabile” è possibile o almeno è permessa.

Onorevoli colleghi, siete qui invitati a riconciliare i principi, il diritto, la coerenza e la chiarezza, chiedendo ai nostri più grandi industriali soltanto uno sforzo di adattamento, che tutto lascia pensare sarà molto meno doloroso di quanto essi credano.

(Applausi)

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, rappresento la Commissione in questa discussione poiché il Commissario McCreevy non può essere presente. Desidero innanzi tutto ringraziare per il suo intenso lavoro Michel Rocard, il relatore nominato per questo complesso argomento tecnico. Vorrei ringraziare anche i relatori ombra, che hanno dato un notevole contributo al lavoro del Parlamento sulla questione.

Questa proposta riguarda non solo le invenzioni applicate ad un normale computer – ad esempio un portatile – ma copre molti beni di consumo quotidiano e apparecchiature sempre più importanti per la nostra vita di ogni giorno, come autoveicoli, lavatrici, telefoni cellulari, macchine fotografiche, lettori di DVD, televisori, aspirapolvere o strumentazioni mediche, come gli apparecchi a scansione.

La direttiva proposta non mira ad abolire la pratica corrente dell’Ufficio europeo dei brevetti né a estenderla al brevetto di programmi per elaboratori elettronici in quanto tali, come hanno sostenuto molti oppositori delle proposte. Erroneamente, molti hanno pure affermato che la direttiva introduce per la prima volta la nozione di brevettabilità delle invenzioni di software nella pratica in materia di brevetti dell’Unione europea. Il testo proposto esclude chiaramente i brevetti per il software in sé, così come i brevetti per i metodi commerciali in quanto tali. Possono essere brevettate soltanto le innovazioni tecniche incorporate in un programma per elaboratori elettronici che soddisfano i criteri di brevettabilità: novità, inventiva e applicabilità industriale.

Un quadro giuridico che garantisca la tutela del brevetto in quest’area è di fondamentale importanza per consentire alle industrie europee, comprese le piccole e medie imprese, di essere competitive in un ambiente ad alta tecnologia. I brevetti possono garantire un profitto derivante dagli investimenti di R&S, attirare capitale di rischio e offrire potere contrattuale. Questo ha un effetto a catena che rilancia l’innovazione.

La Commissione ritiene che la posizione comune soddisfi il requisito di introdurre un quadro giuridico prevedibile che promuove e ricompensa l’innovazione.

Sono stati presentati emendamenti volti a respingere la posizione comune. Vorrei sottolineare che ciò aumenterebbe solamente l’incertezza giuridica riguardo alle invenzioni in oggetto. La mancanza di armonizzazione in questo campo pregiudicherebbe la competitività delle imprese europee e continuerebbe a essere un ostacolo al funzionamento del mercato interno.

In questo spirito, la Commissione continua a sostenere la linea adottata nella posizione comune. Possiamo accettare emendamenti che introducono chiarimenti tecnici o contestuali utili, adeguamenti minori o formulazioni interpretative, ove necessario, ma l’equilibrio complessivo della proposta deve essere mantenuto.

La definizione attuale di contributo tecnico nella direttiva è tratta dalla giurisprudenza esistente, perciò, pur essendo possibile una formulazione più elegante, non possiamo modificarla radicalmente. Invece, sembra più utile concentrarsi sulla portata della brevettabilità di cui all’articolo 4, esponendo più chiaramente le esclusioni. Cambiarle in contraddizione con la Convenzione europea sui brevetti causerebbe, comunque, solo confusione. Inoltre, le preoccupazioni riguardanti l’interoperabilità possono essere affrontate permettendo l’accesso, ove possibile, alle necessarie tecnologie, tutelando nel contempo i diritti legittimi degli inventori.

La relazione elaborata dalla commissione giuridica mantiene in generale l’approccio equilibrato della proposta della Commissione. Vi sono, nondimeno, alcuni cambiamenti che dovrebbero essere apportati per adeguare le definizioni e i criteri al diritto generale in materia di brevetti.

La Commissione può aderire alla richiesta di presentare ulteriori relazioni informative, nonché di creare nuovi comitati consultivi, purché il Parlamento tenga conto delle implicazioni in termini di risorse.

La Commissione non può accettare emendamenti che si riferiscono al diritto di iniziativa della Commissione o ai rapporti con istituzioni non comunitarie.

Su questioni chiave di sostanza, la Commissione è fortemente impegnata per la promozione dell’interoperabilità come mezzo per incoraggiare l’innovazione e la concorrenza e assicurare che il diritto comunitario non sia un ostacolo a modelli diversi di sviluppo del software – “proprietario” o “open source”. Mantiene quindi una certa flessibilità per quanto riguarda la soluzione trovata per l’interoperabilità, purché i nostri obblighi internazionali siano rispettati.

Sulla portata della brevettabilità, un ulteriore chiarimento della posizione comune è accettabile, ma non cambiamenti significativi rispetto alla situazione attuale o alle soluzioni del diritto generale in materia di brevetti. Dovrei segnalare qui che vediamo particolari problemi di formulazione riguardo a certi emendamenti relativi al contributo tecnico e al carattere inventivo.

Sulle rivendicazioni riguardanti programmi per elaboratore su un supporto in cui tali programmi applicano un’invenzione brevettata, la Commissione può accettare qualsiasi soluzione tra la posizione comune e la proposta originale della Commissione, incluse formulazioni alternative per realizzare lo stesso obiettivo di far valere brevetti validi.

La Commissione ha preso nota dell’elevato numero di emendamenti presentati in aggiunta alla relazione della commissione giuridica. Comunicherò la posizione generale della Commissione su tutti gli emendamenti al termine della discussione di questa mattina.

 
  
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  Piia-Noora Kauppi, a nome del gruppo PPE-DE. – (FI) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, è della massima importanza che nel voto di domani la posizione comune del Consiglio che amplia il campo di applicazione della brevettabilità del software non sia approvata dal Parlamento senza emendamenti.

Questa proposta ha sollevato un enorme numero di problemi. La Commissione e il Consiglio non hanno tenuto in alcun conto gli emendamenti alla proposta di direttiva presentati in prima lettura dalla maggioranza del Parlamento. L’esempio più evidente di questo fatto può essere trovato sul sito web della Commissione Scadplus, ove si legge: “la posizione comune del Consiglio del maggio 2004 non ha ripreso nessun emendamento significativo presentato dal Parlamento”. Il Parlamento è stato quindi ignorato con un’alzata di spalle. Questo non è il modo corretto di procedere, né in questo caso né in altre questioni relative alla procedura di codecisione.

Spero che la maggioranza del Parlamento sosterrà i ragionevoli emendamenti alla posizione comune del Consiglio, che rendono i requisiti per la brevettabilità dei software più severi di quanto non siano attualmente. E’ molto importante impedire il rilascio di brevetti per il software come tale e per metodi commerciali in Europa. In qualche misura, la pratica corrente dell’Ufficio europeo dei brevetti è scivolata con troppa disinvoltura in una zona d’ombra, con la concessione di brevetti su basi insufficienti.

Il campo di applicazione per la brevettabilità del software in Europa non dovrebbe essere ampliato ulteriormente. D’altronde, la maggior parte dei prodotti tecnologici attuali fa uso di software e i brevetti rilasciati per un prodotto tecnologico non dovrebbero essere respinti soltanto perché il software ne è un componente. E’ altresì importante, comunque, fare in modo che i brevetti non possano essere usati per impedire la creazione di software compatibile. E’ positivo che condividiamo il parere della Commissione su questo punto.

La direttiva dovrebbe sostenere la ricerca innovativa europea e lo sviluppo di prodotti nel settore del software. Questo significa che non dovrebbero essere erette barriere non necessarie allo sviluppo del software open source, tenendo conto, comunque, del fatto che i brevetti sono di cruciale importanza per molte imprese europee. La ricerca accademica, qui e in tutto il mondo, ha dimostrato, comunque, che il contributo di ricerca e sviluppo non è dipendente da brevetti o dalla geografia. Le imprese dovrebbero svolgere attività di sviluppo di software dove è disponibile il migliore ambiente per l’innovazione, a prescindere dalla portata della tutela brevettuale in una regione geografica. Nulla indica che questo software brevettabile debba essere prodotto in Europa: può essere prodotto benissimo in India, in Cina o in altre regioni del mondo e poi brevettato altrove.

Lo scopo della direttiva è quello di armonizzare il modo in cui i brevetti di software sono registrati presso l’Ufficio europeo dei brevetti e negli Stati membri, quando sono concessi. Per tale ragione sono favorevole all’adozione della direttiva. I problemi comuni associati ai sistemi brevettuali, la lentezza, il costo elevato e così via, non sono pertinenti alla presente discussione, ma ora si è resa evidente la necessità di creare in tempi brevi un brevetto comunitario europeo.

Ritengo che probabilmente gli emendamenti che il Parlamento adotterà domani ci condurranno alla conciliazione. Vorrei ricordare a tutti che se il Parlamento non sarà soddisfatto dell’esito della conciliazione potrà rifiutare l’intera proposta anche successivamente. Una direttiva inadeguata non deve passare per nessun motivo.

 
  
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  Maria Berger, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto esprimere un caloroso ringraziamento non solo al relatore, onorevole Rocard, ma anche all’onorevole McCarthy, la relatrice per la prima lettura, poiché entrambi hanno fatto un ottimo lavoro conducendoci sin qui in questo processo legislativo molto difficile.

Ho potuto seguire i procedimenti sin dall’inizio e non si può dire che l’intero percorso relativo a questa proposta di direttiva sulle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici sia stato un lavoro legislativo di ordinaria amministrazione a livello di Unione europea. Siamo stati tutti testimoni delle pressioni esercitate – che possiamo considerare intollerabili o invece una semplice manifestazione della democrazia in azione – nonché delle numerose dichiarazioni di chi sosteneva che, come noi, voleva vedere nelle imprese europee una maggiore volontà di innovazione. Malgrado ciò, ci siamo trovati in disaccordo su quasi tutte le formulazioni.

Abbiamo avuto un’ulteriore conferma del fatto che la posizione della Commissione è estremamente inflessibile e che la posizione comune del Consiglio non è di fatto comune a tutti i suoi membri. Più ci occupiamo di tale questione e più approfondita è la nostra analisi, più chiaramente emergono due aspetti. La legislazione ha i suoi limiti e sono sicura che con questa proposta ci siamo scontrati con tali limiti. O vogliamo creare definizioni e regole chiare e non ambigue per l’attuazione, nel qual caso c’è il pericolo di essere troppo restrittivi e non lasciare quindi spazio per sviluppi futuri, o lasciamo spazio ai negoziati e perdiamo la sicurezza giuridica e la coerenza legislativa. Normalmente, tale conflitto sarebbe risolto con un ordinamento giuridico che funzioni e che dia a ognuno, piccolo o grande, una possibilità più o meno equa di tutela giuridica e di controllo. Purtroppo in Europa non possiamo darlo per scontato. Forse, ancor prima di questa direttiva, abbiamo bisogno di un sistema brevettuale veramente europeo e di un sistema funzionante di tutela giuridica a livello europeo che permetta un uguale accesso a tutti, piccoli o grandi.

Questa sera il mio gruppo definirà la sua posizione finale e posso comunque assicurarvi che appoggiamo unanimemente gli emendamenti presentati dal relatore, onorevole Rocard.

 
  
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  Toine Manders, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, desidero esprimere la mia gratitudine a tutti voi, e in particolare all’onorevole Rocard e all’onorevole McCarthy; essi hanno compiuto un piccolo miracolo con questa direttiva, che ha provocato grande tensione, e rispetto alla quale si possono individuare varie correnti, corrispondenti ai diversi punti di vista esistenti in Parlamento.

Lo scopo centrale di questa direttiva è mettere fine al rilascio, continuamente avvenuto in questi anni, di brevetti per invenzioni “immeritevoli” da parte dell’Ufficio europeo dei brevetti di Monaco, anche per software che a quanto sembra può essere brevettato. Ho capito, e siamo tutti d’accordo su questo, che l’obiettivo comune di questa direttiva è rendere impossibile tale pratica. In linea di principio, quindi, questa direttiva mira a migliorare e a sostenere l’articolo 52 della Convenzione di Monaco.

Come avvocato, sono andato a leggere l’articolo in questione. La legislazione non potrebbe essere espressa più chiaramente di quanto faccia l’articolo 52 della Convenzione di Monaco. Tuttavia, anche se è formulato in termini molto semplici, purtroppo è stato interpretato in modo scorretto, o almeno in modo discorde in ogni Stato membro, con la conseguenza di un’enorme incertezza giuridica.

E’ fondamentale mettere fine ai brevetti “immeritati”, perché dobbiamo proteggere e rafforzare l’innovazione e la ricerca, e con queste la concorrenza e l’occupazione, all’interno dell’Europa. Se non vi è alcun vantaggio, nessuno inventerà più nulla; a mio parere, quindi, sarebbe opportuno introdurre un sistema equo che riconosca un compenso agli inventori, i quali dovrebbero poter tutelare le loro idee, la loro proprietà intellettuale. In caso contrario, temo che, dopo la produzione ad alto impiego di manodopera, che si sta già spostando in Cina, un numero enorme di centri aziendali per la ricerca e lo sviluppo seguirà la stessa via, in particolare le multinazionali, seguite dalle piccole e medie imprese. Se l’evoluzione sarà questa, a mio parere ci pentiremo poi del fatto che è così difficile formulare nuove leggi in Europa, che dimostriamo una terribile mancanza di fermezza e che non abbiamo il coraggio di emanare leggi che rafforzino la nostra competitività a livello mondiale. La nostra mancanza di coraggio è deplorevole sia nei confronti dei nostri figli che delle generazioni future. Spero quindi che venga elaborata una direttiva forte, come a quanto pare è stato fatto.

Qual è il problema principale? Il problema è che il Parlamento europeo, la Commissione e il Consiglio non hanno alcun controllo democratico sull’Ufficio europeo dei brevetti, ed è questo che vogliamo. Per tale motivo noi liberali abbiamo presentato l’emendamento n. 65, in cui chiediamo che l’intera direttiva sia respinta e invitiamo la Commissione a presentare una proposta per un brevetto comunitario europeo, che preveda un controllo da parte del Parlamento sull’Ufficio europeo dei brevetti, rientrando così nel campo di applicazione delle norme europee; inoltre avremmo a disposizione strumenti giuridici e un’organizzazione giuridica. Potremmo in tal modo stabilire procedure giuridiche armonizzate e chiarire l’intera questione, avvantaggiando principalmente le piccole e medie imprese.

Al momento, se una piccola impresa vuole intentare una causa per violazione di brevetto, va incontro a una spesa di milioni, che non potrebbe mai permettersi. Spero che, come gruppo ALDE, giungeremo a una posizione ben ponderata, ma spero altresì che domani l’intera direttiva sia respinta in votazione, cosicché la Commissione possa presentare una proposta valida e fondata per un brevetto europeo nel quadro di una direttiva come questa; in tal modo potremo disporre di una direttiva armonizzata e ben studiata.

 
  
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  Eva Lichtenberger, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi stiamo decidendo se nel settore informatico l’innovazione sarà possibile e se le piccole e medie imprese avranno la libertà di cui hanno bisogno per svilupparsi. Tutti indistintamente – sia gli oppositori sia i fautori del brevetto – affermano di volere proprio questo.

Nessuno ammette apertamente di voler brevettare il software. La differenza emerge negli stessi emendamenti e nel numero di scappatoie legali per il brevetto di software. Ciò che fa la differenza è l’esistenza di una chiara linea di divisione tra invenzioni tecniche, che ovviamente continueranno a essere tutelate da brevetti, e software, che in ogni caso è già tutelato dal diritto d’autore. La questione è se vogliamo scegliere dieci o quindici scappatoie e la conseguente incertezza giuridica, oppure la libertà di svilupparsi per le piccole e medie imprese.

Se oggi deciderete di appoggiare la posizione comune del Consiglio, sceglierete di lasciare spalancato il portone al commercio dei brevetti in generale, che invaderà progressivamente il mercato europeo. In tal modo voterete affinché il software sia coperto pienamente dall’accordo TRIPS e le idee divengano merci commerciabili in un mercato in cui le piccole e medie imprese non avranno alcuna possibilità di sopravvivere, perché i costi per lo sviluppo e la difesa dei brevetti in tribunale sono troppo elevati. Non è accettabile che ogni piccola e media impresa debba essere costretta ad ingaggiare un avvocato esperto in diritto brevettuale per difendere le proprie innovazioni.

Invece, se aggiungerete il vostro appoggio all’ampio sostegno che già esiste per i 21 emendamenti, darete alle PMI innovative e creative uno spazio vitale, vale a dire spazio e opportunità per svilupparsi. Questi 21 emendamenti rappresentano il nostro tentativo di correggere l’errore commesso dai governi, che avevano evidentemente imboccato la strada sbagliata e si erano piegati alle pressioni dell’industria.

Non dobbiamo illuderci: l’industria vuole la piena brevettabilità per il software come fonte di reddito supplementare con cui riempire le proprie casse e, ovviamente, per eliminare dal mercato le piccole e medie imprese insieme all’innovazione. Questo emerge chiaramente da alcuni degli annunci pubblicati sulla European Voice e altrove da società come SAP e altre. Dateci un’occhiata e vi renderete conto di cosa significa realmente la posizione comune del Consiglio.

I 21 emendamenti ci consentiranno di avere un mercato libero, in cui le imprese si fronteggiano sul mercato e non in tribunale. Vi chiedo quindi di sostenere questi 21 emendamenti, di cui abbiamo urgente bisogno se vogliamo permettere lo sviluppo dell’innovazione europea.

 
  
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  Ilda Figueiredo, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa discussione riveste davvero la massima importanza perché la posta in gioco è molto alta. Sono in pericolo la libertà intellettuale, l’innovazione tecnologica e la competitività economica dell’Europa, come hanno sottolineato giustamente scienziati, professori universitari, la comunità studentesca, numerose organizzazioni e piccole e medie imprese.

La posizione comune adottata dal Consiglio il 7 marzo scorso è inaccettabile come la proposta di direttiva della Commissione presentata il 20 febbraio 2002, sulla quale il Parlamento europeo si è pronunciato il 24 settembre 2004. Il Consiglio ha ignorato del tutto tale parere, e anche questo è inaccettabile.

Come abbiamo affermato in tale occasione, è sbagliato brevettare le idee, la conoscenza e – chissà – la vita stessa. Di conseguenza, come abbiamo fatto allora relativamente alla proposta di direttiva sulla brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici, sosteniamo che la posizione comune del Consiglio debba essere rifiutata. A questo punto è la strada più corretta da seguire, l’unica che impedirà di percorrere una via molto pericolosa per l’innovazione e per la conoscenza.

Come sappiamo, attualmente il sistema del diritto d’autore offre già una tutela sostanziale agli autori di software, consentendo loro un controllo sull’uso del loro lavoro. Tuttavia, non è ammissibile mettere in discussione il diritto, per chiunque ne sia capace, di mettersi al computer e sviluppare il software che desidera, o, per un’impresa, di sviluppare un software specifico per le proprie necessità.

Concentrare nelle mani di pochi il diritto di creare software condurrebbe a pericolose restrizioni. Come abbiamo visto, il software ha contribuito allo sviluppo delle economie e ha reso possibile l’automazione e la semplificazione di molti compiti a un costo relativamente basso. In un quadro giuridico in cui il software sia governato da brevetti questo non sarebbe possibile.

Prima di progettare un nuovo software, un’impresa o qualsiasi persona a casa sarebbe costretta ad assumere una squadra di avvocati specialisti per verificare se l’idea possa violare un brevetto. Siamo quindi su un terreno molto pericoloso. Diversamente dai normali brevetti che tutelano un’invenzione, i brevetti di software incoraggiano di fatto l’uso improprio delle idee. In altri termini, i brevetti di software sono un attacco alla libertà intellettuale e alla possibilità dell’industria europea di creare e sviluppare nuove idee.

Di fatto, i brevetti di software sono semplicemente meccanismi legali per concentrare nelle mani di grandi imprese multinazionali, come Microsoft e altre, lo sviluppo della conoscenza e la capacità di innovazione. I singoli individui, le microimprese e le piccole e medie imprese non avrebbero i mezzi economici per competere in tribunale con le grandi imprese su un’idea astratta.

E’ quindi fondamentale rifiutare la posizione del Consiglio. Il nostro gruppo ritiene che non sia necessaria alcuna direttiva in quest’area, ma se tale direttiva dovesse esistere, facciamo almeno in modo di salvaguardare il diritto di creazione e di innovazione e la libertà intellettuale e di approvare le proposte di emendamenti che abbiamo presentato.

 
  
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  Thomas Wise, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, gli imprenditori del settore informatico sono fra gli spiriti più indipendenti del mondo. So cosa pensano di fronte alla prospettiva di questa direttiva. Essi rifiutano, come chiunque, il concetto di monoliti restrittivi e sanno che l’Unione europea è proprio un monolito di tal genere. La direttiva è un esempio tipico delle azioni monolitiche che intendono rifiutare.

In queste ultime settimane ho lavorato intensamente per aiutare le PMI del settore informatico a opporsi a questa direttiva. Tuttavia, ho capito che gli emendamenti proposti dal relatore non cambiano il problema fondamentale. L’onorevole Rocard sta cercando di eliminare le caratteristiche non tecniche delle invenzioni controllate da elaboratori elettronici dal campo di applicazione della direttiva. Questo è in sé lodevole, ma egli non sta cercando di fermare la direttiva nel suo complesso; di fatto, la sta sostenendo. Così, le piccole società informatiche sono lasciate, per così dire, tra l’incudine e il martello dell’onorevole Rocard.

L’onorevole Rocard afferma addirittura nella motivazione di appoggiare in linea di massima la posizione del Consiglio. I suoi emendamenti non rifiutano il concetto di armonizzazione, anzi lo sostengono esplicitamente. Uno di essi afferma persino che l’obiettivo della direttiva – vale a dire l’armonizzazione delle regole nazionali sulla brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici – non può essere realizzato in modo adeguato dagli Stati membri. Purtroppo, l’onorevole Rocard è una di quelle persone, tipiche nell’Unione europea, che sempre di più sembrano pensare che l’Ufficio europeo dei brevetti sia in qualche modo un’emanazione dell’Unione, mentre di fatto copre anche paesi extracomunitari.

Io rifiuto completamente questa direttiva. Per questo motivo voterò contro la proposta e contro la versione dell’onorevole Rocard. Ho sempre detto che, se l’Unione europea è la risposta, la domanda dev’essere stata stupida. Oggi questo è evidente!

 
  
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  Brian Crowley, a nome del gruppo UEN. – (EN) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto ringraziare personalmente il relatore, onorevole Rocard, che ha avuto un compito molto difficile nel tentare di trovare compromessi e accordi su questo tema. Tuttavia, devo dire con rammarico che molte volte, ascoltando il dibattito su questo problema, sia in commissione che qui in Aula, sembra che siamo del tutto estranei alla realtà di ciò che sta accadendo al di fuori di queste mura.

L’innovazione è la chiave, il motore trainante delle nostre economie. Chi sostiene che dobbiamo garantire che altri possano usare i brevetti di software sembra pensare che tutti possano elaborare tali idee e non abbiano bisogno di alcuna tutela né di conoscenze al riguardo. Comunque, da ciò che constatiamo ascoltando alcuni dei deputati che hanno presentato emendamenti e dalle pressioni esercitate su questo tema, essi vogliono semplicemente una liberalizzazione sregolata, senza alcuna tutela all’interno dell’Unione europea. A cosa porterebbe questo? Porterebbe a una situazione in cui società americane, giapponesi o di altre nazioni brevetteranno le idee elaborate dai creatori di software europei, dagli innovatori europei, costringendoli poi a ricomprarle.

I brevetti non sono una spada, ma uno scudo. Servono a difendere le idee. Dovremmo fare in modo che le norme e i regolamenti che fissiamo garantiscano a quegli innovatori tutele e diritti. Alcuni dei discorsi uditi in quest’Aula e certo materiale di gruppi di pressione che ho ricevuto nelle ultime settimane su questo tema riguardano la protezione delle piccole e medie imprese. Vi cito un esempio: nel settore innovativo della tecnologia informatica in Irlanda, vi sono 100 000 posti di lavoro, 62 000 dei quali in piccole e medie imprese. Queste ultime sostengono pienamente la posizione comune su questo tema e per tale motivo esortiamo tutti i colleghi a pensare in coscienza, ma soprattutto razionalmente, quale tutela vorrebbero se avessero elaborato nuove idee.

Non si tratta di armonizzazione; si tratta piuttosto del riconoscimento reciproco di 25 normative varie e diverse negli Stati membri per garantire alle piccole imprese e ai piccoli innovatori certezza giuridica e finanziaria per la tutela e la promozione delle loro idee.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI).(FR) Signor Presidente, i programmi per elaboratori elettronici sono brevettabili? I giganti dell’informatica, come le società americane IBM e Microsoft, non hanno alcun dubbio al riguardo. Per la maggior parte delle PMI innovative, ma anche per i professionisti legati all’industria del software, come i programmatori, i ricercatori e i creatori indipendenti, la brevettabilità dei software significherà una condanna a morte. Questa spinosa questione rimbalza tra il Parlamento europeo e il Consiglio dei ministri da oltre due anni. Il risultato di questa maratona parlamentare potrebbe essere l’approvazione di una direttiva Bolkestein – un’altra – sulla brevettabilità dei programmi per elaboratori elettronici.

L’Ufficio europeo dei brevetti, in contrasto con la lettera e lo spirito della legge, ha rilasciato oltre 30 000 brevetti per progetti di calcoli matematici o metodi di elaborazione o di visualizzazione dei dati. Spesso questi brevetti sono altrettanto estesi, banali e nocivi dei loro equivalenti negli Stati Uniti. A mio parere, la brevettabilità dei software deve essere respinta per molteplici ragioni; la prima di queste è che l’informatica utilizza linguaggi e non si possono brevettare le parole di un linguaggio, poiché ciò impedirebbe ad altri di servirsene liberamente. Si protegge la combinazione specifica di queste parole e tale tutela è data dal diritto d’autore, proprio come in campo musicale il diritto d’autore tutela uno spartito e non le note musicali. Questo è del resto proprio il principio stabilito dalla Convenzione di Monaco.

Perché rivedere il diritto esistente? Perché sopprimere il diritto d’autore? Tale soppressione renderebbe impossibile lo sviluppo di nuovi software. Come si può pensare di vivere in un paese in cui si concedono a un’impresa diritti esclusivi per aver presentato un documento contenente caratteri in grassetto e sottotitoli in corsivo, o per l’utilizzo della barra di progressione, del doppio clic, del carrello elettronico per gli acquisti on line – invenzioni già brevettate negli Stati Uniti? Dobbiamo negare alla Commissione e al Consiglio questa licenza di uccidere l’innovazione dei piccoli produttori di programmi informatici.

 
  
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  Klaus-Heiner Lehne (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio il relatore e i relatori ombra e in particolare desidero richiamare l’attenzione sulla relatrice ombra del nostro gruppo, onorevole Kauppi, che si è sforzata in modo esemplare di elaborare compromessi ragionevoli e giungere a una soluzione valida, dimostrando così una straordinaria competenza. La stimo moltissimo per il lavoro che ha svolto su questo argomento.

Vorrei spiegare ancora una volta un elemento emerso nella discussione in seno alla commissione giuridica: nessuno, cioè nessun gruppo politico, vuole la brevettabilità dei software, anche se non posso escludere che possa volerla qualche singolo individuo. In ogni caso, non è questo l’oggetto della direttiva, che di fatto era intesa a impedire in Europa un’evoluzione del diritto analoga a quella registratasi negli Stati Uniti. Questo è il suo scopo, che è stato raggiunto con la posizione comune.

Alla fine di maggio abbiamo ricevuto una comunicazione dalla Camera di commercio e dell’industria di Monaco e dell’Alta Baviera. Analogamente alla situazione irlandese descritta poco fa dall’onorevole Crowley, la più grande concentrazione di piccoli e medi creatori di software in Germania si trova in questa regione intorno a Monaco di Baviera. Questi hanno organizzato un’audizione, con un risultato molto chiaro: a loro parere la posizione comune – per quanto migliorabile – soddisfa le condizioni fissate e risolve i problemi.

Nella commissione giuridica abbiamo elaborato una serie di miglioramenti decisivi da apportare alla relazione Rocard mediante 39 emendamenti, chiarendo alcuni punti – ad esempio i concetti di “interoperabilità” e “contributo tecnico” – e creando nuove opzioni. Quella prodotta dalla commissione giuridica è una relazione caratterizzata da moderazione che rende possibile risolvere alcuni problemi che ancora rimangono. Gli emendamenti dell’onorevole Rocard e quelli presentati da altri gruppi parlamentari esulano dagli obiettivi prefissati.

Alcuni mesi fa ci siamo qui riuniti e abbiamo rinnovato il nostro impegno nei confronti del processo di Lisbona, il cui elemento centrale è – tra l’altro – una società europea basata sulla conoscenza. Non avendo materie prime, dobbiamo contare sul nostro cervello, sulle nostre conoscenze e sulla capacità dei nostri cittadini. Se dovessimo permettere una situazione, creata da emendamenti eccessivi, in cui la maggior parte dell’alta tecnologia europea non potrebbe più essere brevettata, metteremmo in pericolo i mezzi di sostentamento per le generazioni future di questo continente. Per questa ragione tale posizione è indifendibile e la vasta maggioranza del mio gruppo non l’approverà.

Vorrei soffermarmi su un ultimo punto importante: la questione delle cosiddette mozioni di rifiuto della posizione comune. E’ un’opzione sulla quale il nostro gruppo dovrà riflettere questa sera e che merita di essere presa in considerazione per due fattori. Il primo è che non avremo alcun vantaggio se, a causa degli emendamenti della commissione giuridica, dovremo sottoporci ad una lunga procedura di conciliazione per vedere infine fallire la direttiva in terza lettura, a maggioranza semplice. In secondo luogo, non vogliamo una direttiva che alla fine risulti così cambiata dagli emendamenti del Parlamento da diventare dannosa per il processo di Lisbona e per l’Europa stessa. In tal caso, preferiamo non avere alcuna direttiva. Il nostro gruppo giungerà questa sera a una decisione su tale questione.

 
  
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  Andrzej Jan Szejna (PSE).(PL) Signor Presidente, l’introduzione di brevetti per i software non danneggerà soltanto le piccole e medie imprese europee, la ricerca scientifica e il settore informatico nel suo insieme. Danneggerà soprattutto il cittadino medio che possiede un computer e che paga già un prezzo esorbitante per costosi software protetti.

Valutazioni compiute da esperti indipendenti hanno indicato che la posizione comune del Consiglio consentirebbe il brevetto di programmi per elaboratori elettronici. Si può dire che il testo ricevuto dal Parlamento due anni fa introduce, comunque, questa possibilità dalla porta di servizio.

La commissione giuridica ha adottato emendamenti che non garantiscono il raggiungimento di un compromesso adeguato e che non contribuiscono in alcun modo a rimuovere le principali aree controverse e dubbie, specialmente riguardo alla questione più pressante, vale a dire la definizione di ciò che può essere tutelato da brevetto. Tali emendamenti non ci aiuteranno molto ad allontanarci dalle pratiche eccessivamente liberali adottate attualmente dall’Ufficio europeo dei brevetti per valutare le domande riguardanti l’utilizzazione di programmi per elaboratori elettronici. In essi mancano le utili disposizioni del progetto di raccomandazione per la seconda lettura del 29 aprile e del 4 maggio 2005, che avrebbero potuto contribuire a tracciare una distinzione chiara tra ciò che costituisce un’invenzione e ciò che non lo è.

C’è il reale rischio che la direttiva non abbia un effetto di armonizzazione, poiché non solo non chiarisce le questioni più controverse, ma aggrava persino i dubbi esistenti. Può anche essere interpretata come una dimostrazione della pratica eccessivamente liberale di considerare invenzioni le soluzioni che comportano l’uso di programmi per elaboratori elettronici, ai sensi dell’articolo 52, paragrafi 2 e 3, della Convenzione sul brevetto europeo firmata a Monaco di Baviera.

E’ nostro dovere votare nello spirito della prima lettura e nello spirito delle idee sostenute da Michel Rocard e appoggiare le decisioni dei nostri colleghi della precedente legislatura. Dobbiamo agire in tal senso non solo perché il loro lavoro non vada sprecato, ma anche e soprattutto per proteggere il mercato del software libero, per proteggere le piccole e medie imprese e per promuovere lo sviluppo dell’innovazione. Nel contempo non dobbiamo dimenticare che occorre garantire un’adeguata tutela della proprietà intellettuale all’interno del mercato comune.

 
  
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  Sharon Margaret Bowles (ALDE).(EN) Signor Presidente, la questione delle limitazioni territoriali della violazione contributiva è la ragione per cui in origine sono state redatte e autorizzate dall’Ufficio europeo dei brevetti rivendicazioni per prodotti software. Il nuovo approccio contenuto nell’emendamento n. 66, da me presentato, elimina le rivendicazioni per i software e quindi le preoccupazioni che ne derivano, ma estende le disposizioni in caso di violazione contributiva già applicate all’interno della maggior parte degli Stati membri, in modo da coprire le importazioni dalla Cina, dalla Russia o da altri paesi. Questa proposta, insieme a quelle per il controllo dell’Ufficio europeo dei brevetti, è più attinente al contesto del brevetto comunitario e delle modalità per amministrarlo correttamente: l’intera questione rientra di fatto in tale ambito.

Onorevole Rocard, in realtà i suoi emendamenti si concentrano quasi esclusivamente sui programmi per personal computer invece che sull’ampia varietà di importante tecnologia che dipende da invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici. Quasi tutte le aree della tecnologia sono collegate all’uso di apparecchi programmabili. Dal controllo della fermentazione per la coltura di antibiotici all’aeronautica o alle telecomunicazioni, l’elenco è infinito. Gli apparecchi programmabili sono dappertutto, in quasi tutti i dispositivi elettrici, e i suoi emendamenti interferiscono anche in termini di attrezzatura e di metodo, non solo a livello di software. Le sue esclusioni semplicistiche dell’elaborazione dei dati escludono l’elaborazione dei segnali e la tecnologia digitale. Il termine “informazioni” è usato fin dai primi tempi della radio per distinguere i segnali dal rumore. Le scienze naturali applicate escludono l’ingegneria. L’espressione “forze naturali controllabili” è un incubo giuridico per molti Stati membri. Globalmente, la sua terminologia esclude la brevettabilità in enormi settori della tecnologia, non soltanto della programmazione.

Volendo elaborare una serie di emendamenti volti a penalizzare e a distruggere l’industria europea, grande e piccola, non si potrebbe concepire nulla di più dannoso. Mi dispiace, ma, per il mondo reale della tecnologia industriale, i suoi confusi emendamenti non sono affatto al passo con le esigenze moderne.

 
  
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  David Hammerstein Mintz (Verts/ALE).(ES) Signor Presidente, questa direttiva ingannevole e ambigua è il sogno degli avvocati specializzati in diritto brevettuale e, contemporaneamente, l’incubo delle piccole imprese di software, dei consumatori e della libertà di espressione nella rete. Ci troviamo infatti di fronte a una direttiva respinta da oltre il 90 per cento delle piccole imprese di software del continente, una direttiva di monopolio – realmente di monopolio – poiché è una direttiva antiliberale.

E’ una direttiva che promuove un mondo come quello dei Rockefeller e dei Morgan all’inizio del secolo scorso. E’ un mondo che non avvantaggia le piccole imprese europee, il cui numero sta aumentando, spesso nelle regioni meno sviluppate d’Europa, come ad esempio l’Estremadura in Spagna, dove si stanno sviluppando centinaia e centinaia di nuove imprese di software. Queste imprese sono minacciate, come quelle che stanno nascendo in Polonia e in tutti i nuovi Stati membri.

Qui sono state dette molte bugie. E’ stato detto che siamo contro i brevetti sul software tecnico: non è vero. Siamo favorevoli, ovviamente, quando si tratta del mondo fisico, delle forze naturali: una lavatrice, un’automobile... Nessuno è contrario a questi brevetti! Siamo però contrari, come ovvio, ai brevetti che minacciano realmente il flusso di informazione e di innovazione. Si sono dette molte cose sull’innovazione. E’ stata fatta confusione tra l’idea di brevettare liberamente senza limitazioni e l’innovazione, che sono due cose del tutto diverse.

Stiamo difendendo il diritto di sviluppare il software, di sviluppare l’industria. Questa direttiva creerebbe restrizioni e ostacoli alla vera innovazione nel continente europeo.

Credo che meritiamo un mondo di software, un mondo di imprese, un mondo per i consumatori, che sia aperto alla vera innovazione.

 
  
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  Umberto Guidoni (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, sebbene nella posizione comune si affermi di voler escludere la brevettabilità del software puro, di fatto si pongono le condizioni per arrivare a brevettare gli algoritmi software.

A differenza del copyright che protegge l’intero programma, la brevettabilità del software consentirebbe un monopolio sull’uso delle istruzioni generiche. Con la brevettabilità di questi algoritmi, in un programma complesso che non è altro che una combinazione di migliaia di istruzioni, si potrebbero infrangere contemporaneamente centinaia di brevetti. Ad esempio Linux, che è ormai utilizzato in svariati programmi anche dalle amministrazioni pubbliche, infrangerebbe 283 brevetti americani. L’introduzione della normativa sulla brevettabilità potrebbe pertanto significare, almeno in Europa, la fine del software libero e dell’open source.

Se fosse approvata la brevettabilità del software, che è fortemente voluta dalle multinazionali USA e dai paesi europei che traggono profitto dal monopolio statunitense, si avrebbe uno spostamento dei costi dal settore tecnologico e innovativo a quello legale e assicurativo. Tutto ciò contribuirebbe ad escludere le piccole e medie imprese dal processo di sviluppo del software a causa dei costi e delle complessità legali. In definitiva, ci sarebbe una minore concorrenza e una minore innovazione e i consumatori europei dovrebbero sostenere spese superiori a fronte di una minore possibilità di scelta.

La strategia di Lisbona relativa al modello economico europeo unisce innovazioni tecnologiche, competitività e solidarietà. Tuttavia, la posizione del Consiglio va nella direzione opposta. Con la direttiva sulla brevettabilità del software si attacca il diritto alla libera circolazione della conoscenza e si rimette in discussione l’obiettivo di una società dell’informazione accessibile a tutti.

Per questo motivo, la battaglia contro la brevettabilità del software che conduciamo in questo Parlamento diventa una battaglia per la libertà e la democrazia.

 
  
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  Johannes Blokland (IND/DEM). (NL) Signor Presidente, la ragione per la quale stiamo esaminando una proposta sulla brevettabilità delle innovazioni legate al software è che le pratiche attuali lasciano molto a desiderare. Esistono pareri divergenti sulla brevettabilità dei software, che rendono ambiguo il quadro giuridico. La via più logica su cui procedere sembrerebbe l’introduzione di nuova legislazione in questo settore. Resta da verificare se la posizione comune offra una soluzione equilibrata adatta alle imprese grandi e piccole. Purtroppo persino gli esperti non sono stati in grado di stabilire se la direttiva promuoverà l’innovazione nelle piccole e medie imprese o se di fatto le ostacolerà e impedirà l’innovazione. Si è dimostrato impossibile fugare i timori di conseguenze indesiderate fra le piccole imprese, per le quali i tre aspetti seguenti sono di fondamentale importanza.

Il primo è l’accessibilità della procedura per ottenere i brevetti. Ottenere un brevetto comporta costi proibitivi e a questo fatto la direttiva non offre soluzioni. Il secondo aspetto è la possibilità per le PMI di tutelarsi una volta ottenuto un brevetto. E’ fattibile per loro in pratica controllare continuamente se un’altra società sta commettendo una violazione? Inoltre, non hanno il personale o le risorse finanziarie per difendersi da eventuali accuse di violare i brevetti di altre imprese. La direttiva, in questa forma, comporta il rischio di un notevole numero di cause riguardanti innovazioni connesse al software. In terzo luogo, c’è il problema dell’elevato costo delle licenze che le piccole imprese devono pagare quando utilizzano software prodotto da titolari di brevetti. Inoltre, è poco chiaro quale sarebbe l’impatto della direttiva sull’uso e sullo sviluppo di software con standard aperti.

Anche se il Parlamento ha presentato emendamenti nel tentativo di affrontare le questioni che suscitano maggiore inquietudine, questi hanno trovato scarsa risposta da parte del Consiglio. Dato che nella sua forma attuale la posizione comune è poco convincente e il Consiglio non sembra disposto a cambiare rotta, sarebbe opportuno respingere la posizione comune.

 
  
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  Roberta Angelilli (UEN). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’innovazione e la ricerca devono essere un patrimonio condiviso e non un privilegio per pochi.

Occorre pertanto ribadire con forza che deve essere impedita la brevettabilità del software in quanto tale. E’ importante ricordare questo principio, al fine di arrivare a una direttiva che rappresenti una giusta via di mezzo tra una brevettabilità selvaggia, che rischia di paralizzare innovazione e competizione, e la necessità di tutelare adeguatamente chi, con la propria invenzione, può rappresentare davvero un valore aggiunto sul mercato.

Inoltre, chiediamo che i requisiti di brevettabilità vengano valutati con la massima attenzione, tenendo conto della novità, dell’originalità e dell’applicabilità industriale. Solo in questo modo si potrà evitare un’eccessiva estensione dei diritti di privativa a danno delle piccole e medie imprese e, di conseguenza, il proliferare del contenzioso sui brevetti, come accade ormai da quindici anni negli Stati Uniti.

In conclusione, consideriamo positiva l’idea di un fondo di sostegno finanziario, tecnico e amministrativo a favore delle PMI che si orientano alla brevettabilità. In particolare, riteniamo indispensabile mettere a punto un adeguato sistema europeo di brevetti, volto a garantire la parità di accesso per le piccole e medie imprese.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, in pochi anni il continuo fiorire di idee nelle tecnologie informatiche ha permesso di ridurre i divari tecnologici e informatici.

Con la brevettabilità del software si blocca la libera inventiva – che fino ad oggi è stata possibile anche senza grandi capitali – per difendere un monopolio sull’uso di tecniche generiche, frutto di un assolutismo mercantile e politicamente pericolosissimo.

Si tratta di una grave limitazione alla libertà delle idee e alla loro reinterpretazione, che serve solo a tenere le imprese e le amministrazioni pubbliche in ostaggio della lobby Microsoft e delle poche multinazionali extraeuropee.

I brevetti costituiscono un pericolo per lo sviluppo del software open source e un danno per tutte le imprese di informazione e comunicazione italiane ed europee – che sono soprattutto piccole e medie imprese o addirittura microimprese – oltre che un danno economico per la diversificazione dei sistemi informatici delle amministrazioni.

In difesa della libertà di ricerca scientifica, del diritto alla trasmissione della cultura e del sapere, nonché della tutela dei diritti fondamentali dell’individuo, dobbiamo salvare l’Europa dalla brevettabilità del software, contrastando la direttiva europea che intende introdurla e sostenendo gli emendamenti presentati dagli onorevoli Buzek, Rocard e Duff.

 
  
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  Giuseppe Gargani (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, in qualità di presidente della commissione giuridica, sento particolarmente il dovere di complimentarmi con l’onorevole Rocard, con l’onorevole Kauppi e con l’onorevole Lehne per il lavoro svolto, come pure con tutti coloro i quali si sono dedicati a questa difficilissima trattativa.

Devo dire che la commissione giuridica ha trovato un punto di equilibrio accettabile e adeguato alle scelte culturali e al dibattito che si è svolto finora in questa e in altre sedi. Naturalmente io ho il dovere di difendere questo punto di equilibrio, perché rappresenta un risultato del Parlamento.

Al pari di tutti i cultori della materia, anch’io considero utile una direttiva di armonizzazione in materia di brevettabilità delle invenzioni realizzate per mezzo di elaboratori, avente l’obiettivo di eliminare le ambiguità e le incertezze derivanti dall’adozione di diverse prassi interpretative da parte degli Uffici brevetti degli Stati membri e di definire in modo preciso l’ambito di applicazione della protezione.

Tuttavia, si deve tenere presente che l’adozione della direttiva sulla brevettabilità potrà essere uno stimolo al processo di innovazione tecnologica solo se verranno risolti due aspetti fondamentali. In primo luogo, va eliminata l’ambiguità sul concetto di contributo tecnico, che vanificherebbe l’efficacia della direttiva come strumento di armonizzazione delle procedure sul rilascio dei brevetti. In secondo luogo, va adottata una disposizione precisa e incisiva sul tema dell’interoperabilità, che impedisca lo sviluppo di soluzioni standardizzate nel campo dell’ICT.

L’obiettivo dell’armonizzazione non può essere realizzato in contraddizione con i principi sui quali è basato il sistema brevettuale esistente, che negli anni si è rivelato essere uno strumento adeguato e un incentivo efficace per il mondo dell’industria, sia per le piccole che per le grandi imprese. Basti pensare alla sempre più frequente convergenza tra informatica e telecomunicazione, che rende possibile l’offerta e l’utilizzo da parte delle imprese di pacchetti integrati software e di servizi attuati per mezzo di elaboratori elettronici. Al fine di consentire uno sviluppo adeguato di questi nuovi pacchetti, sarà necessario assicurare la possibilità di cumulare la protezione conferita dal diritto d’autore con quella brevettuale per le invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici, senza che il software sia brevettabile.

In particolare in questo periodo difficile l’Europa deve affrontare la questione della competitività. Il brevetto deve aiutare l’economia europea e i cittadini europei. Se la direttiva non fosse chiara, andrebbe a vantaggio delle società non europee e noi verremmo meno alla nostra funzione e al nostro dovere nei confronti della strategia di Lisbona, del nuovo progetto sociale di cui tanto si parla e dello sviluppo.

Come ho già detto, la Commissione ha svolto un lavoro prezioso perché ha saputo andare oltre la posizione comune. Al Parlamento spetta ora il compito di perfezionare il testo definendo i punti non chiari. Se ciò non avverrà, la Commissione sarà responsabile di una proposta non settoriale, quasi impossibile da definire, invece che di una proposta globale complessiva relativa al brevetto nel suo complesso, in grado di soddisfare le piccole e le grandi imprese.

Desidero rivolgere questo appello congiuntamente al Parlamento e alla Commissione.

 
  
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  Manuel Medina Ortega (PSE).(ES) Signor Presidente, l’oratore che mi ha preceduto, l’onorevole Gargani, ha manifestato la sua preoccupazione per l’equilibrio della posizione che adotteremo rispetto a questa proposta di direttiva. Io credo che proprio il relatore, onorevole Rocard, e l’onorevole Berger, nell’emendamento n. 53, mettano in rilievo quali devono essere gli obiettivi di questo equilibrio, quando affermano: “occorre definire attentamente le condizioni relative alla concessione dei brevetti nonché le modalità di applicazione. In particolare, gli inevitabili corollari del sistema dei brevetti quali la restrizione della libertà creativa, i diritti degli utenti o l’incertezza giuridica e gli effetti che ostacolano la concorrenza devono essere mantenuti entro limiti ragionevoli”.

Negli emendamenti presentati dall’onorevole Rocard e dall’onorevole Berger si cerca di mantenere tale equilibrio, in primo luogo, rispetto alle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici: qui non stiamo parlando delle invenzioni per computer. Le invenzioni per computer – i programmi per elaboratori elettronici – sono già protette da una direttiva comunitaria del 1991, che stabilì il diritto di proprietà intellettuale o, se si preferisce, il diritto d’autore. E tale direttiva è in vigore.

Qui stiamo parlando di una cosa completamente diversa: delle invenzioni attuate o assistite, come si dice in alcuni degli emendamenti, per mezzo di elaboratori elettronici, cioè, di dispositivi che utilizzano programmi per computer. Dobbiamo fare molta attenzione a non confondere le due cose impedendo così l’esercizio o lo sviluppo della creatività per mezzo di elaboratori elettronici.

In particolare, risulta molto importante l’emendamento n. 50, presentato dall’onorevole Rocard e dall’onorevole Berger, teso a mantenere il diritto all’interoperabilità dei programmi per elaboratori elettronici. Il fatto che possa esistere un brevetto su qualche aspetto del programma non deve ostacolare la libera creazione o l’utilizzo di software per continuare lo sviluppo. Questa clausola di interoperabilità sostenuta nell’emendamento n. 50 è anche nel testo, leggermente diverso, dell’emendamento n. 68 presentato dalle onorevoli Mann, McCarthy e Roth-Behrendt.

In definitiva, occorre evitare in ogni caso che si possa considerare una violazione di brevetto lo sviluppo, la sperimentazione, la fabbricazione, la vendita, la cessione di licenze e l’importazione di programmi che facciano uso di una tecnica brevettata per ottenere l’interoperabilità. In sintesi, gli emendamenti presentati dall’onorevole Rocard e dall’onorevole Berger sono diretti a mantenere possibile la creatività in questo ambito e a garantire, ove possibile, che progetti come, ad esempio, il progetto LinEx sviluppato dalla Junta de Extremadura, in Spagna, possano proseguire a vantaggio dell’innovazione creativa all’interno dell’Unione europea.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. SARYUSZ-WOLSKI
Vicepresidente

 
  
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  Vittorio Prodi (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, i brevetti sono una componente importante del progresso tecnologico. Tuttavia, è necessario risalire al significato originario del patto tra l’inventore e la società, secondo il quale l’inventore possiede il monopolio temporaneo dello sfruttamento dell’invenzione, mentre la società beneficia dell’aumento della conoscenza derivante dalla piena manifestazione (full diclosure) del contenuto del brevetto e quindi della base per un ulteriore progresso.

Credo sia opportuno analizzare come vengono presentati certi brevetti. Ho l’impressione di assistere ad una crescente tendenza alla genericità dei brevetti, proprio per mantenere i reclami (claims) quanto più ampi possibile. Mi sembra che gli uffici legali abbiano preso il sopravvento e che il perdente in questo gioco sia la società nel suo insieme. Ciò va sottolineato in particolare per quanto riguarda il software. Infatti, tanti brevetti concessi non sono altro che una descrizione vaga di un processo logico.

Per il software penso che la protezione del diritto d’autore – il copyright – sia sufficiente. Per questo ho appoggiato molti degli emendamenti presentati dall’onorevole Rocard, che ringrazio per il suo impegno in qualità di relatore. A tale proposito ritengo anzi che il periodo di protezione potrebbe essere abbreviato. Tuttavia, se l’inventore mira a una protezione più forte, come quella brevettuale, non potrà derogare da una manifestazione completa dell’invenzione e dovrà fare di questa la base vincolante per i reclami. Questo vale anche, più in generale, per limitare la possibilità dell’incertezza giuridica.

Da questo punto di vista credo che il Parlamento debba esercitare un ruolo più incisivo nel quadro del rafforzamento dell’Unione, anche mediante la definizione di una posizione comune nei riguardi dell’Ufficio brevetti europeo.

Personalmente sono a favore di una riforma che semplifichi le procedure, anche con l’adozione di una lingua unica, ovvero l’inglese, attraverso regole che permettano anche alle piccole e medie imprese di utilizzare questo strumento basilare.

 
  
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  Rebecca Harms (Verts/ALE). (DE) Signor Presidente, devo dire che l’intero dibattito in Parlamento sui brevetti dei software smentisce il mantra costantemente ripetuto e divulgato dalle Istituzioni europee in tutto il continente, non ultimo mediante le iniziative della Commissione e del Consiglio, secondo cui vogliamo fare tutto il possibile per proteggere gli interessi vitali delle piccole e medie imprese.

L’industria del software si è sviluppata con successo in Europa sulla base di regole perfettamente adeguate in materia di diritto d’autore e di reverse engineering e, in alcuni settori, ricorrendo ai brevetti. Perché, quindi, abbiamo bisogno di queste nuove regole, quando si parla tanto di eccessiva regolamentazione? Se davvero passa ciò che ora viene proposto per i brevetti dei software, ne trarranno vantaggio soltanto due o tre grandi imprese, principalmente Microsoft e SAP, l’una americana e l’altra una grande impresa tedesca, e forse Siemens e imprese di questo livello. Ne saranno danneggiati, tuttavia, gli interessi vitali di molte piccole e medie imprese che hanno avuto molto successo negli anni scorsi.

Le regole sui brevetti dei software che stiamo discutendo qui oggi potrebbero rivelarsi una misura che porterà alla creazione di posti di lavoro – tutti però riservati agli avvocati, che avranno molto da fare se non respingiamo la proposta che oggi ci viene presentata.

 
  
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  Vittorio Agnoletto (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, al di là delle dichiarazioni ufficiali, nell’articolo 2 è stata inserita una modifica per consentire che la tutela brevettuale comprenda anche il software contenuto in uno strumento tecnico.

Questo rappresenta la porta d’accesso alla brevettabilità del software. E’ come se un giorno fosse possibile brevettare scale, note e accordi. E’ come se venisse brevettata la scala pentatonica, per cui improvvisamente buona parte della musica blues violerebbe tale brevetto e tutti gli autori dovrebbero pagare royalties a chi lo avesse registrato.

Sono già stati richiesti brevetti per idee che non sono nuove, quali il clic del mouse per svolgere un’azione oppure l’operatore di diseguaglianza nel codice sorgente, e per altre idee banali che oggi vengono utilizzate praticamente in tutti i software in circolazione.

Inoltre, se l’interoperabilità dovesse essere bloccata da brevetti su programmi e il consumatore fosse spinto ad acquistare e ad utilizzare sempre e solo prodotti della stessa azienda, vi sarebbero enormi conseguenze, soprattutto di carattere economico. Nessuna azienda deve poter costruire un monopolio tramite software brevettati. Una piccola ditta si troverebbe a sostenere spese enormi, da una parte per non commettere alcuna violazione di brevetto e, dall’altra, per difendere in tribunale le proprie realizzazioni. La concorrenza non sarebbe quindi più solo una questione di mercato, ma diventerebbe anche una questione legale.

Pensiamo a tutti gli istituti di ricerca universitari e ospedalieri che oggi, grazie all’assenza di questa direttiva, conducono ricerche risparmiando sul software perché usano programmi ideati dagli istituti stessi, e quindi gratuiti, o software alternativi con costi molto inferiori a Microsoft. Senza i brevetti sul software, l’Europa potrebbe mantenere bassi i costi, stimolare l’innovazione, migliorare la sicurezza e creare posti di lavoro.

Al titolo dell’Harvard Business Review “I brevetti sono bombe intelligenti” io aggiungerei “contro la possibilità di far interagire in futuro culture e mondi fra loro diversi”.

 
  
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  Kathy Sinnott (IND/DEM).(EN) Signor Presidente, la programmazione di software riveste un’enorme importanza per gli elettori del mio collegio in Irlanda, tanto che ho ricevuto letteralmente sacchi di corrispondenza in cui mi si chiedeva di votare in un modo o nell’altro. Capire le sfumature e le ripercussioni della nostra decisione non è certamente un compito facile. Oggi stiamo parlando, essenzialmente, della proprietà delle idee. Nel software, le grandi idee di ieri sono i fondamenti delle grandi idee di domani. Queste idee possono essere usate da tutti per far avanzare la scienza e guidare il progresso.

Uno degli aspetti affascinanti dell’industria del software è che un singolo programmatore può sviluppare un programma interessante, che potrà rendere disponibile ad altri in cambio di un compenso oppure nell’ambito dell’open source, dove chiunque è libero di usarlo e migliorarlo. Di per sé non è un processo complicato e milioni di persone fanno esattamente così. Questo è stato sinora il motore dell’innovazione, che ha fatto progredire la società dell’informazione e lo stato dell’arte.

Secondo voi, quanta innovazione sarebbe possibile se quel programmatore dovesse assoldare un gruppo di avvocati specializzati in diritto brevettuale? Se domani decidiamo di rendere brevettabile il software, si potrebbe creare una situazione in cui i programmatori di tutta Europa violerebbero la legge senza neppure esserne consapevoli, finché sarebbe troppo tardi. Se approviamo la brevettabilità, in che misura creatività e libertà di pensiero saranno soffocate dal timore di violare uno delle centinaia di migliaia di brevetti che esisteranno? I brevetti registrati o acquistati controlleranno proprio gli strumenti che il programmatore deve usare per svolgere il suo lavoro. Esorto i colleghi a sostenere tutti gli emendamenti volti a mantenere la libertà dalla brevettabilità. Questo ci conferirà la posizione più forte nei negoziati con il Consiglio.

 
  
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  Marcin Libicki (UEN). (PL) Signor Presidente, proprio come un medico non dovrebbe danneggiare i suoi pazienti, questo Parlamento non dovrebbe danneggiare i cittadini che l’hanno eletto. La nostra prima preoccupazione dovrebbe essere la libertà, in particolare la libertà dell’attività economica.

Questo ci induce a domandarci se siano davvero necessarie regole in questo ambito. Visto lo sviluppo senza precedenti del software nel corso dell’ultimo decennio, abbiamo davvero bisogno ora di introdurre norme particolareggiate per regolamentarlo? La situazione era buona, perché quindi cambiarla? Il successo economico che è stato realizzato è evidente e le eventuali nuove regole che ora adotteremmo non farebbero che ostacolare il raggiungimento di ulteriori risultati positivi.

La concorrenza è fondamentale, poiché è il lievito del successo economico o piuttosto la forza che lo spinge. Da un lato, è vero che le grandi società hanno possibilità di svolgere ricerche che sono precluse alle piccole imprese. Dall’altro, tuttavia, una volta creato un monopolio, le grandi società hanno la tendenza all’inattività e alla stagnazione. I monopoli non contribuiscono mai al successo economico, che si tratti di monopoli di Stato o di monopoli detenuti da grandi società. Al momento di votare su questa relazione, e soprattutto sugli emendamenti, dobbiamo evitare di favorire la creazione di un monopolio di grandi società, perché sarebbe estremamente dannoso.

Soprattutto, evitiamo di danneggiare le piccole e medie imprese in nome del successo economico. Ancor più importante è evitare di danneggiare gli utenti comuni di programmi per elaboratori elettronici, poiché questo non andrebbe nell’interesse di nessuno.

Siamo favorevoli a proteggere la libertà e il successo economico, non l’oppressione e l’inattività.

 
  
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  Sergej Kozlík (NI). (SK) L’unica direttiva da prendere in considerazione è quella che stabilisce chiaramente i criteri necessari per distinguere tra invenzioni brevettabili attuate per mezzo di elaboratori elettronici e invenzioni non brevettabili, offrendo così una tutela efficace per tali invenzioni negli Stati membri dell’Unione europea. La direttiva dovrebbe bloccare i tentativi di brevettare prodotti non brevettabili, come procedure non tecniche e banali, metodi commerciali, nonché il brevetto di software.

Il punto principale è costituito dalle proposte di emendamenti intesi a sostituire l’espressione “invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici” con l’espressione “invenzioni controllate da elaboratore elettronico” o “invenzioni assistite da elaboratore elettronico”, a definire il concetto di “contributo tecnico” e più precisamente le condizioni importanti per valutare la natura tecnica dell’invenzione, nonché infine a stabilire chiaramente la non brevettabilità del software in quanto tale o dei mezzi tecnici. Altrimenti non potremo sostenere il progetto di regolamento.

 
  
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  Hans-Peter Mayer (PPE-DE). (DE) Signor Presidente, è stato detto che stiamo discutendo uno dei provvedimenti legislativi più controversi, ma sarebbe così se fossimo divisi a metà tra favorevoli e contrari. Invece le proporzioni sono molto diverse, poiché la stragrande maggioranza del Parlamento appoggia l’obiettivo di questa legislazione, rappresentato dal principio non ambiguo secondo cui il software non può essere brevettato.

Questa legislazione non fa che proteggere il software mediante il diritto d’autore. Proprio come non sono le singole frasi a essere tutelate dal diritto d’autore, ma il libro nel suo insieme, così non sono le singole linee di software a essere protette, ma piuttosto il lavoro nel suo insieme. La nostra economia, naturalmente, ha bisogno comunque di brevetti, poiché i brevetti denotano e indicano un’economia basata sulla conoscenza, che produce progressi tecnici, invenzioni con requisiti come il carattere innovativo, che siano basate, attuate o gestite per mezzo di elaboratori elettronici.

Perché abbiamo bisogno di questa legislazione? Ne abbiamo bisogno per non finire nella situazione in cui si trovano gli Stati Uniti. Siamo ben consapevoli che sono già stati rilasciati oltre 30 000 brevetti su software e vogliamo impedire che ciò continui in futuro. A tale scopo abbiamo bisogno di questa legislazione. Di fatto, per proteggerci, chiediamo alla Commissione di esercitare un controllo riferendo fra tre anni sulle eventuali scappatoie ancora esistenti, nonostante gli sforzi che abbiamo effettuato per eliminarle con gli ultimi compromessi; se ve ne saranno, dovrà indicarcele e fornirci un resoconto sul movimento “open source”, che ci permetta di rivolgere a quest’ultimo la nostra attenzione e di eliminare le eventuali scappatoie che potrebbero essere emerse.

Questa non è, quindi, la fine della storia, non solo perché dobbiamo ancora giungere a un accordo con il Consiglio; continueremo anche a osservare il modo in cui la nostra legislazione verrà applicata e ci riserveremo il diritto di avviare ulteriori azioni fra tre anni sulla base di ciò che emergerà.

 
  
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  Arlene McCarthy (PSE).(EN) Abbiamo l’opportunità di assumere un ruolo di guida a livello mondiale con una buona legge sui brevetti, ma siamo all’altezza di questo compito? Il quadro giuridico è chiaro: l’articolo 52 della Convenzione sul brevetto europeo stabilisce che il software come tale non può essere brevettato. Siamo tutti persuasi della necessità di porre limiti chiari alla brevettabilità. Soltanto, non siamo d’accordo sul modo migliore per attuare tale intenzione.

Dobbiamo rendere più rigorosa la legge e far sì che l’esame delle domande non permetta di brevettare software o metodi commerciali. Non dimentichiamo, comunque, che la nostra inventiva e la nostra capacità di innovazione nel software e nelle tecnologie che ne dipendono possono aiutare l’Europa a realizzare il suo obiettivo di essere l’economia più competitiva del mondo entro il 2010.

In un momento in cui le nostre industrie tradizionali stanno emigrando verso la Cina e l’Estremo Oriente, dobbiamo contare sulla nostra inventiva per sopravvivere. Il reddito assicurato dai brevetti e dalle licenze di utilizzo delle nostre invenzioni, concessi ai nostri concorrenti mondiali, ci offre un ritorno sull’investimento e ci aiuta a creare occupazione e crescita.

Le PMI che sviluppano invenzioni sostengono che senza la tutela dei brevetti non sono in condizione di negoziare con le grandi imprese o di proteggersi dalle società più potenti che potrebbero appropriarsi delle loro invenzioni. Hanno bisogno di una tutela brevettuale che sia economica e applicabile contro i giganti dell’industria. Ma dobbiamo anche fare in modo che i piccoli creatori di software non debbano affrontare un campo minato di brevetti rilasciati per invenzioni “immeritevoli”. Devono poter innovare, sviluppare linee di codice e produrre processi software senza violare o infrangere il diritto sui brevetti.

Vi è una serie di emendamenti che potrebbero risolvere questo problema garantendoci una legge comunitaria equilibrata e attuabile che non permetta il brevetto illecito e contemporaneamente, in un’arena sempre più spietata e globale, assicuri alle imprese europee più inventive la possibilità di accedere ai brevetti e di sfidare il dominio degli Stati Uniti in questo campo.

L’onorevole Crowley ha detto che potremmo trovarci nella situazione perversa di dover pagare diritti di licenza a società statunitensi e giapponesi per i brevetti e le innovazioni che abbiamo inventato noi; a quest’elenco si può aggiungere anche l’India. Con la sua nuova legge sui brevetti del 2005, ora l’India permette il brevetto di sistemi incorporati. Stiamo seriamente affermando che qui in Europa diamo alla nostra inventiva un valore minore di quanto facciano quei paesi nuovi all’innovazione e alle invenzioni?

 
  
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  Andrew Duff (ALDE).(EN) Signor Presidente, il Parlamento si trova di fronte alla grande sfida strategica di creare un quadro normativo che fermi l’espansione della brevettabilità del software. Tatticamente, il nostro primo compito domani deve essere quello di sconfiggere coloro che semplicisticamente propongono di respingere la seconda lettura. Dobbiamo continuare con fermezza a emendare la posizione comune. Solo attraverso la procedura di conciliazione si potrà produrre un atto legislativo di alta qualità. Abbandonare del tutto il processo legislativo lascerebbe l’industria in balia dell’Ufficio europeo dei brevetti, dei tribunali e dei panel dell’Organizzazione mondiale del commercio. Temo che sarebbe una situazione costosa, legalistica e confusa.

 
  
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  Paul van Buitenen (Verts/ALE).(NL) Signor Presidente, il modo in cui si è giunti alla proposta sulla brevettabilità del software è, a mio parere, scandaloso. Le grandi imprese come Microsoft considerano i brevetti di software un mezzo di guadagno finanziario e, attraverso la Business Software Alliance, si sono intromesse nell’elaborazione della proposta della Commissione – un fatto scoperto per caso, perché il nome dell’autore è stato lasciato nel documento per errore. La proposta della Commissione porta il marchio della cultura incestuosa dei direttori degli uffici brevetti, degli avvocati brevettuali delle grandi imprese e dei funzionari della Commissione responsabili dei brevetti. Benché il Parlamento abbia adottato un’azione correttiva nel 2003, il Consiglio dei ministri è riuscito, a forza di procedure di voto equivoche, a riportare sul tavolo la proposta. Non c’era una maggioranza qualificata degli Stati membri e le richieste da parte di vari Stati membri di riaprire i negoziati sono state subito respinte.

Anche nei Paesi Bassi, il dibattito su brevetti di software è equivoco. Mentre il parlamento è stato informato male dal governo, i funzionari olandesi hanno continuato a lavorare sulla proposta all’interno dei comitati dell’Unione europea. Il ministro olandese ha ignorato il parlamento al momento di adottare decisioni in Consiglio dei ministri. Sostengo quindi gli emendamenti volti a rifiutare questa proposta. A mio parere, il Parlamento europeo si copre di ridicolo tollerando il modo in cui è stata elaborata questa proposta legislativa.

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL). (NL) Signor Presidente, nel 1991 Microsoft era una piccola impresa che doveva competere contro quelle più grandi. Bill Gates disse allora che l’industria si sarebbe bloccata se tutte le nostre conoscenze precedenti fossero soggette a brevetti, con un numero esiguo di giganti in grado di imporre pagamenti illimitati ai nuovi venuti. Ora che la sua società è uno dei giganti, i suoi lobbisti raccontano una storia completamente diversa.

La campagna contro i brevetti di software va avanti da molto tempo. I loro oppositori perseverano e hanno argomenti validi. Sono d’accordo con la Foundation for a free information infrastructure, secondo cui i brevetti di software mettono a rischio la libertà di sviluppo del software e, promuovendo la monopolizzazione e spingendo i prezzi al rialzo, sono deleteri per l’innovazione. Questo, a sua volta, si ripercuote sulle aziende di software, sull’e-commerce, sulle scuole e sui consumatori. Vogliamo creare una situazione in cui i computer sono nelle mani di uno, o alcuni, fornitori di software?

Domani abbiamo bisogno di almeno 367 voti per emendare o respingere il testo del Consiglio. Esorto tutti coloro che sono contrari ai brevetti di software a essere presenti in forze. Sceglieremo poi l’open source e la creatività invece della concentrazione del potere e della monopolizzazione.

 
  
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  Hans-Peter Martin (NI).(DE) Signor Presidente, desidero rivolgermi oggi a coloro che non sono qui in Aula – non a tutti i 450 milioni di europei, ma a quelli che stanno aspettando qui fuori e a quelli che ci hanno tempestati di e-mail, fax e telefonate. A mio parere è straordinario. Ciò che sta accadendo oggi e che accadrà domani è importante per determinare come sarà la democrazia nell’Europa del futuro. I cittadini si preoccupano per ciò che li riguarda direttamente. Abbiamo visto anche noi come i multiformi argomenti presentati in quest’Aula siano spesso ben più acuti, ben più dettagliati e ben più precisi di ciò che siamo in grado di elaborare nella marea di decisioni che dobbiamo prendere.

Dopo cinque anni, in cui in Parlamento sono stati proposti 5 500 emendamenti e abbiamo votato su 50 000 punti supplementari, nessuno di noi può affermare di essere realmente andato a fondo della questione. Il contributo che abbiamo ricevuto era buono; mi ha convinto. Sono convinto che faremo un favore alla democrazia, alle piccole e medie imprese e persino alla prosperità economica se votiamo contro la brevettabilità dei software. Per quanto riguarda i manifestanti qui fuori, con i loro fischietti e le loro T-shirt, vorrei incoraggiarli a continuare, a pubblicare i risultati della votazione, a indicare come ha votato realmente ognuno di noi. Così vedremo se i deputati al Parlamento europeo hanno seguito le decisioni di partito, i lobbisti o la propria coscienza.

 
  
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  Marianne Thyssen (PPE-DE).(NL) Signor Presidente, si asserisce ancora insistentemente che la proposta oggi in discussione colpirebbe in modo negativo principalmente le piccole e medie imprese, ma sono in primo luogo le PMI ad avvantaggiarsi di una maggiore sicurezza giuridica e di un’applicazione uniforme delle norme giuridiche sul mercato interno. Ho sempre creduto, e ne sono ancora convinta, che le PMI non hanno un problema specifico con questa proposta, ma un problema generale con il sistema dei brevetti come tale, sia in termini di accesso che di giustificazione.

In prima lettura abbiamo votato su un emendamento in cui si chiedeva alla Commissione una relazione sull’effetto delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici sulle PMI. Allora chiesi specificamente alla Commissione di riconsiderare attentamente il modo di garantire alle PMI, mediante un approccio europeo, una posizione più vantaggiosa riguardo ai brevetti.

Sono lieta di constatare che vi sono altri quattro emendamenti nella relazione Rocard nei quali si richiama specificamente l’attenzione su questo settore dell’industria. Molte PMI, tuttavia, ritengono che siano solo parole vuote, del tutto insufficienti e indegne di fiducia. Vogliono fatti e risultati e gradirei quindi alcune risposte in proposito.

Perché la Commissione, da quando ha preso atto di questo problema e di queste preoccupazioni fra le PMI – all’inizio del 2002, tre anni fa – non ha adottato alcuna misura concreta a vantaggio delle PMI? Sicuramente c’è molto materiale su cui lavorare, poiché decine di migliaia di invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici sono già state brevettate in Europa.

In secondo luogo, la Commissione farà qualcosa di concreto per le PMI e quali sono le sue intenzioni al riguardo? Gradirei una risposta chiara. La mia domanda esprime la preoccupazione di un folto numero di PMI e la sua risposta, signor Commissario, influenzerà il mio voto di domani.

 
  
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  Adam Gierek (PSE). (PL) Signor Presidente, la proposta di direttiva della Commissione e del Consiglio è inaccettabile per numerose ragioni. La più importante di queste è il fatto che all’articolo 4 vieta il brevetto di programmi per elaboratore, ma subito dopo, all’articolo 5, lascia la porta spalancata a tali brevetti se si riferiscono – cito le parole esatte – a un “elaboratore programmato [o] rete di elaboratori programmati”. Ci si chiede quale sia qui realmente la posta in gioco. A mio parere, è in gioco l’enorme mercato del software che esiste nell’Unione europea e la creazione al suo interno di un monopolio. Sono in gioco almeno varie decine di miliardi di euro. Le minacce poste dalla direttiva non emendata sono le seguenti. In primo luogo, il mercato del software sarà monopolizzato da grandi imprese esterne all’Europa che sono potenti in termini finanziari. Questo è molto pericoloso per l’Unione europea nell’ambiente globale, dove tutti sono in concorrenza con tutti.

In secondo luogo, molte piccole e medie imprese di informatica operanti nel campo del software in Europa finiranno per fallire. In terzo luogo, saranno i titolari dei brevetti – cioè i monopolisti – del settore dei servizi, Internet compresa, a dettare i prezzi. Infine, sarà minacciata la democrazia in Europa, data l’importanza di Internet come mezzo di informazione.

Nella sua veste di relatore, l’onorevole Rocard ha affrontato questo complesso problema con enorme impegno. Le sue proposte difendono i principi dell’open source, il che è lodevole, oltre a difendere la democrazia contro la dittatura dei monopoli. A questo punto del processo legislativo, esse daranno luogo a una procedura di conciliazione, che credo produrrà la soluzione ottimale.

Come le teorie matematiche e il processo del pensiero, il software non può essere brevettato. Possono, comunque, essere brevettate le invenzioni create con l’aiuto di elaboratori elettronici, come già avviene. Tali brevetti contengono “independent claims” di carattere tecnico, riferiti a sistemi tangibili, e “dependent claims”, validi soltanto nel contesto di un determinato brevetto e che potrebbero includere riferimenti a elaboratori elettronici e a tutti gli aspetti del loro funzionamento. Questo campo di invenzione, che è essenziale nel settore automobilistico, degli elettrodomestici, dei cellulari e in altri settori, dovrebbe comunque essere regolamentato.

 
  
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  Mojca Drčar Murko (ALDE).(SL) Nel diritto brevettuale, un’invenzione è soggetta a una speciale forma di tutela giuridica. Non è la realizzazione tangibile di una particolare idea che è tutelata, ma l’idea o il concetto in sé. L’invenzione è sempre, quindi, qualcosa di intangibile. Questa duplice natura della tutela brevettuale genera difficoltà riguardo agli effetti del diritto brevettuale nella vita reale, quando si scontra con gli interessi e i diritti dei creatori di software. Il problema è, quindi, che da un lato vi sono imprese che desiderano usare il diritto brevettuale per proteggere i loro investimenti in ricerca e sviluppo, mentre dall’altro vi è la società, e gli individui che la compongono, che vorrebbero mantenere una serie di conquiste intellettuali comuni disponibili a tutti.

Come legislatori dobbiamo prendere in considerazione entrambe le posizioni: quella di chi ritiene che la linea di divisione stia cominciando a invadere un territorio che è stato tradizionalmente oggetto della tutela brevettale e quella di chi invece si oppone all’idea che la posizione comune del Consiglio non escluda del tutto la possibilità della brevettabilità del software. La maggior parte degli emendamenti proposti dalla commissione giuridica si avvicina a una definizione più equilibrata e mi sembra quindi un apporto utile alla posizione comune e una buona base per la decisione finale.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (NI). (PL) Signor Presidente, oggi è un giorno importante per il Parlamento europeo, poiché abbiamo un’occasione concreta per dimostrare che questa Istituzione rappresenta davvero milioni di europei. La ragione è che possiamo difendere in maniera molto efficace gli interessi di milioni di possessori di computer, nonché gli interessi di centinaia di migliaia di piccole e medie imprese. Ci sono pervenuti e-mail, lettere e appelli che ci chiedono questo.

A mio parere, l’opinione pubblica europea ha capito improvvisamente che un’Europa dei cittadini ha bisogno del Parlamento europeo. Non dobbiamo comportarci come lobbisti o portavoce di grandi imprese, ma come rappresentanti del movimento sociale di base che sta portando avanti una campagna contro le malaccorte decisioni prese dalle Istituzioni dell’Unione europea. Tali decisioni possono essere corrette soltanto da un’altra Istituzione dell’Unione. La posta in gioco qui non è soltanto, né principalmente, la brevettabilità del software. L’aspetto più importante di questo dibattito è la pressione esercitata dall’opinione pubblica, che apre un’opportunità enorme per il Parlamento di rappresentare i cittadini non solo in dichiarazioni teoriche e magniloquenti, ma anche nella pratica. Dovremmo cogliere questa occasione.

 
  
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  Erika Mann (PSE).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, diversamente da molti deputati, desidero sottolineare che, nel corso delle trattative, tutti noi – o, in ogni caso, la maggioranza – abbiamo concordato che vogliamo i brevetti nel campo delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici e che la grande forza della nostra industria europea dipende da questo. La situazione attuale è schizofrenica in quanto le imprese che vogliono acquisire brevetti in questo campo possono farlo e in realtà la proposta della Commissione non ha fatto altro che sostenere una maggiore armonizzazione in Europa.

Penso che tutti i deputati saranno d’accordo che la seconda cosa che vogliamo evitare nell’ambito dei brevetti è imboccare la via seguita dagli Stati Uniti, che renderebbe possibile, ad esempio, brevettare il software to software, mentre noi vogliamo, per usare una semplice espressione del linguaggio informatico, il software to hardware.

Il grande problema che ora abbiamo consiste nel perfezionare la formulazione. Vorrei quindi chiedere ancora alla Commissione, pensando alla votazione di domani, come si può attuare questo intervento, considerando il numero molto elevato di emendamenti proposti, principalmente riguardo all’interoperabilità, presentati dall’onorevole Rocard e altri, dall’onorevole Kauppi e da me. Gradirei conoscere il parere della Commissione su queste diverse proposte, in particolare riguardo all’obbligo delle licenze o alle esclusioni limitate per il semplice software to software. Forse il Commissario ha qualcosa da aggiungere al riguardo?

 
  
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  Marco Pannella (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, sin dalla scorsa legislatura, in qualità di deputati radicali ci eravamo impegnati su questo tema, in particolare con il collega Cappato, e abbiamo ben chiara la posizione del Parlamento che non è stata accettata.

Oggi ci troviamo a ridiscuterla in una situazione in cui, dall’estrema destra all’estrema sinistra di questo nostro Parlamento abbiamo interventi, che da liberale apprezzo particolarmente, in difesa del mercato, minacciato e inquinato dalla giungla dell’esercito burocratico che, al seguito dei grandi gruppi monopolistici e oligopolistici, è pronto a impedire, con il linguaggio del potere burocratico giuridico, l’esercizio della libertà di invenzione e della libertà di mercato.

Credo che se domani saranno approvati gli emendamenti dell’onorevole Rocard e gli emendamenti che io stesso ho presentato, insieme ad altri cinquanta colleghi tra cui Emma Bonino, avremo una strategia e una possibilità vincente. In caso contrario sono d’accordo con il collega Duff, quando afferma che la procedura di conciliazione non dovrà più fare i conti solo con il mancato voto favorevole alla direttiva della Spagna, dell’Austria, del Belgio e dell’Italia, come nel maggio 2004. Sono infatti sicuro che riusciremo a far cambiare nella direzione liberale e del diritto le posizioni della Commissione e del Consiglio.

 
  
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  Joachim Wuermeling (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, spesso in quest’Aula si è proclamato il valore delle innovazioni e l’importanza della società basata sulla conoscenza. Ci è stato detto che l’intelletto è la nostra carta vincente che l’Europa può giocare in un’economia sempre più globalizzata.

Tuttavia, è altrettanto importante, oltre allo sviluppo di questo intelletto, evitare che le nostre idee siano rubate da altri. Immaginate che un inventore abbia investito due anni e milioni di euro in un’invenzione e che tre mesi più tardi qualcuno riproduca tale invenzione, la immetta sul mercato e derubi l’inventore del compenso per il suo lavoro. I brevetti proteggono i deboli; proteggono gli inventori da coloro che detengono il potere di mercato. I brevetti risolvono a favore dell’intelletto la lotta con il potere del mercato, indipendentemente dalle dimensioni dell’impresa.

Sono tutt’altro che soddisfatto di come si è svolto questo dibattito nelle scorse settimane. Si è creata un’atmosfera surriscaldata, una faida tra lobby senza eguali, e dobbiamo ammettere, se siamo onesti, che, anche se siamo giunti alla seconda lettura, dobbiamo decidere su una molteplicità di formulazioni, i cui effetti, in questa fase, riusciamo a valutare solo in misura limitata. La commissione giuridica ha presentato 40 emendamenti su meno di dieci articoli. Abbiamo dozzine di altri emendamenti da esaminare, le cui possibili conseguenze quasi non conosciamo.

Gradualmente ho capito che il tempo non è ancora maturo per una decisione su questo dossier; dovremmo in effetti considerare la possibilità di respingere la posizione comune e fermare in tal modo provvisoriamente il processo legislativo. Questa sarebbe probabilmente la decisione più responsabile da prendere in questa fase.

 
  
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  Edit Herczog (PSE).(HU) Ho seguito con grande interesse il dibattito sul progetto di direttiva in seconda lettura, innanzi tutto per la sua importanza (sono convinta che sia una delle più importanti proposte all’esame del Parlamento), ma anche perché non ho mai visto in tutta la mia carriera di parlamentare nazionale e europea un provvedimento legislativo così incompreso o male interpretato da tante persone. In relazione a questa direttiva abbiamo sentito tanto parlare di Microsoft, Linux, degli interessi delle multinazionali e delle piccole e medie imprese, del software legale, dell’open source e del diritto d’autore – che abbiamo perso di vista ciò che è veramente importante, il punto essenziale di tutto questo. L’importante è Lisbona. L’importante è l’economia e la società basata sulla conoscenza. L’importante è che dobbiamo essere in grado di proteggere la conoscenza che noi creiamo. E il principale mezzo per proteggere la conoscenza è il brevetto.

E’ una vergogna per l’Europa che non si sia potuto creare il brevetto comune europeo, benché esso sia indispensabile per far sì che la conoscenza e l’innovazione producano investimenti e profitti. Ora abbiamo un’occasione per compiere progressi nel campo del diritto brevettuale e per intervenire affinché la protezione della conoscenza sia reinterpretata per soddisfare le esigenze del XXI secolo. Sarebbe ingenuo pensare che questa direttiva sia un concetto completamente nuovo che offre, in termini qualitativi, qualcosa che la legislazione precedente non offriva. Non rappresenta alcunché di nuovo e rivoluzionario, bensì il riconoscimento del semplice fatto che il mondo moderno è basato sull’informazione digitale e su soluzioni ad alta tecnologia, che sono parte integrante della nostra vita quotidiana tanto che è impossibile concepire lo sviluppo e la tecnologia senza di esse. Abbiamo bisogno di questa direttiva. L’onorevole Rocard ha fatto un lavoro importante per riformulare la struttura della direttiva, e ciò va a suo merito. Non è colpa sua se tale tentativo non è riuscito; probabilmente non era possibile fare di più.

Comunque, è molto importante che la direttiva sulla brevettabilità del software veda la luce nella forma proposta dalla Commissione – o con alcuni emendamenti. Senza questa direttiva, l’Europa finirà con l’essere svantaggiata in termini di concorrenza rispetto a tutte quelle regioni che non hanno timore di adattare i loro sistemi alle esigenze dell’età moderna. Esistono anche altre soluzioni per proteggere l’innovazione. Ma i brevetti sono la soluzione che stabilisce un collegamento tra un’invenzione e il suo utilizzo commerciale, elevando la conoscenza a fattore economico. Non lasciamoci sfuggire questa soluzione, perché soltanto un’economia europea forte può sostenere i valori europei che ognuno di noi rappresenta in questo Parlamento.

 
  
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  Patrizia Toia (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci sono due mondi che in questo momento chiedono alle Istituzioni europee di avere la capacità di disegnare una strategia più aperta e più flessibile su un tema così importante per lo sviluppo non solo dell’economia, ma anche della società. Ci chiedono allora di correggere la posizione comune nel senso di una maggiore apertura e flessibilità.

Si tratta di due mondi importanti per l’Europa e per il suo futuro, vale a dire quello delle piccole e medie imprese e quello dei giovani. Sulle piccole e medie imprese sono già intervenuti molti colleghi e io condivido l’istanza che chiede una maggiore flessibilità, onde evitare un irrigidimento della direttiva sulla brevettabilità, che potrebbe costituire un ostacolo per l’attività delle piccole e medie imprese, diventando un’arma anticompetitiva per il loro sviluppo.

Voglio ricordare l’attesa dei giovani. Credo che su pochissime altre materie trattate in quest’Aula, ci sia stata una mobilitazione così forte da parte di giovani, di movimenti e di associazioni che usano il software non solo per comunicare e per imparare, ma anche come attività, come lavoro indipendente, per mille usi a metà tra il volontariato e le nuove professioni, che sono gestite in maniera indipendente e sono tanto importanti anche per lo sviluppo di una società con un’organizzazione economica più aperta e più legata alla capacità dei giovani di organizzarsi.

Io credo che molte volte, per lo più retoricamente, abbiamo detto che l’Europa è vicina ai giovani. Oggi abbiamo l’occasione – e spero che il Parlamento non la sprechi – di essere davvero vicino a queste istanze dei giovani che ci hanno cercato e ai numerosi movimenti che si sono espressi e penso che il Parlamento non possa deluderli.

Per questo sosterrò gli emendamenti presentati dagli onorevoli Rocard e Duff e da altri colleghi, al fine di conferire una maggiore certezza e chiarezza alla posizione comune dell’Europa. Credo che sia necessaria la coerenza su due punti. In primo luogo, se sosteniamo che il software non è brevettabile, bisognerà fare attenzione a non estendere il campo d’applicazione, poiché in questo modo rischieremmo di cadere in contraddizione. In secondo luogo, è importante garantire la tutela del brevetto, evitando tuttavia che questa possa comportare un irrigidimento e una concentrazione nelle mani di pochi, in quanto questo ostacolerebbe lo sviluppo e l’innovazione in Europa.

 
  
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  Alexander Stubb (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, se qualcuno tre anni fa avesse chiesto a chiunque in quest’Aula cosa fosse un’invenzione attuata per mezzo di elaboratori elettronici, la maggior parte degli interpellati avrebbe risposto: “non lo so”. Avete visto tutti i manifestanti qui fuori oggi. Alcuni di loro erano un poco aggressivi. Uno di loro è saltato proprio davanti alla nostra auto e un’invenzione attuata per mezzo di elaboratori elettronici, nota come ABS, probabilmente gli ha salvato la vita.

Questa è una storia che va avanti da molto tempo. Ci sono state numerose svolte molto interessanti nella trama. Prima di tutto, c’è stata una drammatica prima lettura nel Parlamento europeo. Nel secondo capitolo, la nostra posizione è stata rifiutata totalmente dal Consiglio. Nel terzo capitolo, la Commissione ha rifiutato di tornare alla prima lettura. Nel quarto, abbiamo ricevuto una equivoca posizione comune dal Consiglio e ora, nel quinto capitolo della storia, siamo al termine della seconda lettura. Temo che domani questo provvedimento legislativo sarà respinto, come ha detto l’onorevole Wuermeling.

Non so se sia una svolta positiva o negativa, ma so due cose e ho due messaggi. Un messaggio è per il gruppo “Davide”, cioè open source e PMI. Questa non sarebbe stata, dopo tutto, un’iniziativa negativa, se fossimo riusciti a risolvere i problemi. Non avrebbe impedito all’open source di continuare a esistere. Come finlandese, posso dire che non avrebbe impedito l’invenzione e lo sviluppo di Linux. A Golia, cioè alle grandi imprese, dico “riordinate le idee”. Le vostre pressioni lobbiste sono state di pessima qualità. Il popolo dell’open source vi batte senza problemi 100 a zero.

La domanda è poi questa: cosa significa tutto ciò a livello istituzionale? A livello istituzionale, ho un messaggio per la Commissione e il Consiglio. Il Parlamento europeo è un colegislatore. Dovreste prenderlo sul serio. Quando vedrete questa proposta respinta domani mattina, dovreste tornare al lavoro ed elaborare una nuova proposta legislativa. L’Europa ha bisogno di una forma di brevettabilità per le invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici, ma non l’avremo domani.

 
  
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  Lasse Lehtinen (PSE).(FI) Signor Presidente, l’accanito dibattito su questa direttiva dimostra che la democrazia funziona. Ieri sul treno per Strasburgo venivano distribuite petizioni ai viaggiatori e c’è stata una quantità eccessiva di e-mail su questo argomento. La situazione sta assumendo proporzioni smisurate, come possiamo vedere anche qui.

Nemmeno in futuro si potrà brevettare un programma per elaboratore senza alcun impatto tecnico né morirà l’eccellente idea dell’open source dopo l’entrata in vigore di questa direttiva. Mi azzardo a sostenere questa tesi, io che provengo dallo stesso paese del sistema Linux.

D’altra parte, se questa nuova direttiva dovesse essere respinta, potrebbe essere una nuova sconfitta per la competitività europea. Rimarrà ancor meno della dichiarazione di Lisbona se uccidiamo questa direttiva. L’asserzione secondo cui metterebbe le multinazionali grandi e cattive contro le PMI è esagerata ed è un’argomentazione artificiosa. Sono rimasto in contatto con molte PMI del mio paese, la Finlandia, le quali affermano che trarrebbero vantaggio da questa direttiva. Proteggerebbe loro e le loro innovazioni dalle grandi imprese; queste ultime sopravvivranno sempre, anche senza regole, ma le norme chiare vanno sempre a vantaggio delle piccole imprese.

Non sono fra quelli che si oppongono ai brevetti in linea di principio. Il brevetto è una delle tradizioni dello spirito europeo. E’ il fondamento di una moderna e funzionante economia di mercato. Offre sicurezza ed è, inoltre, una protezione contro i pirati. Perché non dovremmo brevettare le invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici, di cui tutti beneficiamo nella vita quotidiana? Attualmente in Europa non esiste una legislazione armonizzata in materia di brevetti. Questa situazione crea un ambiente operativo incerto per le imprese e per gli investimenti. Abbiamo bisogno di un diritto brevettuale adeguato e trasparente nell’interesse dell’occupazione.

Speriamo che, almeno in questo caso, l’Europa non si dia la zappa sui piedi indebolendo la propria competitività.

 
  
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  Cecilia Malmström (ALDE).(SV) Signor Presidente, questo è un argomento molto complesso, che è oggetto di enormi pressioni da parte di vari gruppi. Penso che sia straordinario che, per una volta, i cittadini prestino attenzione a ciò che stiamo facendo qui in Parlamento: per noi è un lusso.

E’ importante avere un sistema brevettuale europeo efficiente. E’ giusto che i singoli inventori e le imprese possano brevettare le loro invenzioni, comprese le invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici. Comunque, la tendenza attuale è quella di rilasciare brevetti anche per il software, cosa che non è raccomandabile. I ricercatori, gli innovatori e i singoli creatori di programmi devono poter elaborare nuove idee senza il pericolo di violare brevetti “immeritati” e di finire coinvolti in cause interminabili.

In primo luogo, dovremmo rifiutare l’intera proposta e chiedere alla Commissione di presentare una proposta globale per un brevetto comunitario che copra tutte le invenzioni. E’ sbagliato isolare le invenzioni collegate al software facendone un settore a sé stante.

In secondo luogo, dobbiamo emendare la posizione comune, che non è un documento giuridico valido. Contiene troppe ambiguità. Sulla base della maggior parte delle proposte dell’onorevole Rocard, forse possiamo far emergere un compromesso costruttivo a vantaggio delle imprese piccole, grandi e familiari.

 
  
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  Tomáš Zatloukal (PPE-DE). (CS) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, poche direttive hanno provocato un dibattito così vivace. A mio parere, non ci può essere nessuno qui oggi che non abbia sentito gli argomenti appassionati dei sostenitori e degli oppositori di questa direttiva. La direttiva sulla brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici compie grandi progressi nella definizione delle regole del gioco nei settori in più rapido sviluppo dell’economia europea, ma è nato un animato dibattito sull’interpretazione ambigua dell’espressione “programma in quanto tale”, che preclude eccezioni alla brevettabilità.

Sono favorevole a una protezione coerente per il software nella forma di una tutela per la soluzione creativa intrinseca a un intero programma o a parte di un programma, ma sono contrario al rilascio di brevetti per singole idee. Invece, le invenzioni brevettabili devono essere soluzioni che combinano un’idea con la sua esecuzione tecnica, ad esempio i sistemi di sicurezza per autoveicoli. La tutela di singole formule, comandi o istruzioni sarebbe chiaramente un passo nella direzione sbagliata. Non sono contrario ai brevetti in generale, ma non posso acconsentire all’adozione di questa direttiva nella versione proposta dal Consiglio, che a mio parere dà adito a varie interpretazioni.

Per tale ragione darò il mio sostegno solo a una versione del testo che elimini la possibilità di interpretazioni alternative e che renda il testo più preciso. L’insieme di emendamenti presentati dal mio gruppo rappresenta un tentativo di risolvere i problemi che ho appena menzionato. Mi sento obbligato a dire che da parte mia considero deplorevole la posizione adottata dal Consiglio, che ha ignorato la richiesta presentata da me e da molti miei colleghi – appoggiata dalla commissione giuridica del Parlamento – di ripresentare la direttiva di prima lettura. Credo che il Consiglio farebbe meglio ad ascoltare le nostre osservazioni, perché ciò incoraggerebbe il rispetto reciproco tra il Parlamento e il Consiglio, migliorando la cooperazione tra queste due Istituzioni chiave.

Vorrei concludere ringraziando il relatore, onorevole Rocard, e, in particolare, la relatrice ombra del nostro gruppo, onorevole Kauppi, per il loro ottimo lavoro.

 
  
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  John Attard-Montalto (PSE).(EN) Signor Presidente, il dibattito sulle innovazioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici è stato interessante e appassionato, ma purtroppo la maggior parte degli oratori intervenuti ha assunto una posizione manichea. Tutti ci rendiamo conto dell’estrema complessità della questione. Parlarne in termini biblici non aiuta perché continua a dividere le varie argomentazioni in compartimenti stagni. Da un lato, abbiamo sentito, riguardo a questa direttiva, che se non prendiamo posizione in favore dei brevetti in generale, soffocheremo l’innovazione e renderemo l’Europa meno competitiva. Quindi, andremo contro ciò che stiamo cercando di realizzare attraverso l’agenda di Lisbona.

Dall’altro lato, abbiamo sentito dire che una regolamentazione dei brevetti peggiorerà la burocrazia e si ripercuoterà sul consumatore. Secondo un oratore, sarà una minaccia alla democrazia. Personalmente credo che dobbiamo considerare l’intera questione nel suo complesso.

Prima di tutto, è inutile concentrarci in Europa su questa particolare questione senza prendere in considerazione l’intera questione dei brevetti.

In secondo luogo, riguardo alla posizione dell’Europa in un mondo globalizzato, è inutile legiferare se non facciamo parte di una struttura legislativa internazionale che incoraggia gli altri continenti e i paesi industrializzati o in via di sviluppo a partecipare su un piano internazionale.

 
  
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  Simon Coveney (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, l’argomento in discussione costituisce un complesso problema tecnico. Desidero ringraziare il relatore e, in particolare, la relatrice ombra del mio gruppo per il loro lavoro. Chiunque, in questo dibattito, abbia subito le pressioni politiche di entrambe le parti avrà sentito argomenti convincenti pro e contro la posizione comune proposta.

Ho una serie di osservazioni da fare nel breve tempo disponibile. In primo luogo, va sottolineato che la direttiva sui brevetti non sta proponendo di introdurre un nuovo sistema brevettuale nell’Unione europea, bensì di armonizzare e rendere più coerenti gli uffici brevetti in tutti gli Stati membri. Indipendentemente dalle diverse posizioni sui brevetti, sarete d’accordo sul fatto che la situazione attuale, in cui i 25 uffici brevetti nazionali non hanno un approccio coerente, non contribuisce al progresso di un mercato comune integrato e funzionante.

Comunque, è vero che nel contesto attuale il software e le imprese informatiche nell’Unione europea stanno prosperando. Quindi perché abbiamo bisogno di un approccio comune? Le PMI in particolare sembrano divise su questo problema. Alcuni hanno deciso di creare l’impressione che questa sia una questione che contrappone le grandi multinazionali alle PMI più piccole. Non è così, secondo la mia esperienza. Le PMI sono divise tra due fazioni; alcune vogliono proteggere le loro idee e invenzioni mentre altre temono che la posizione comune proposta dia origine a un campo minato di brevetti. Nessuno in Parlamento vuole votare a favore di una situazione che potrebbe in qualche modo mettere in pericolo il futuro sviluppo delle PMI.

Voglio concentrarmi brevemente su due punti chiave di questa direttiva: in primo luogo, la definizione di ciò che proponiamo di rendere brevettabile. Non stiamo proponendo di brevettare il software come negli Stati Uniti. Questo deve essere chiaro. Se è necessario adottare emendamenti per chiarire questo punto, va bene, anche se la formulazione corrente non è inadeguata. Il software è tutelato dal diritto d’autore.

Il secondo punto chiave è l’interoperabilità, e a tale riguardo gli emendamenti dell’onorevole McCarthy meritano di essere sostenuti. Dobbiamo garantire che le attrezzature o le reti di cui necessitano molti utenti per rendere possibile l’innovazione non siano sottratte al mercato. In particolare, ciò vale per l’open source e il relativo movimento, che hanno riscosso tanto successo in questi anni.

In conclusione, si comincia ad adottare un approccio molto pessimistico in questa fase e, tutto considerato, è probabile che domani la proposta complessiva sarà respinta. Ciò rappresenterà un grave fallimento delle Istituzioni che non hanno saputo trovare un terreno comune e un accordo su un’area molto importante per l’economia europea in generale.

 
  
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  Barbara Kudrycka (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, lo status giuridico dei programmi per elaboratore è da tempo chiaramente definito. Il software è protetto dal diritto d’autore e la Convenzione sul brevetto europeo preclude il brevetto di programmi per elaboratore. Sia accademici in campo giuridico che esperti di informatica sono contrari a introdurre cambiamenti in questa situazione. L’unico scopo della direttiva del Consiglio è sanzionare le pratiche dell’Ufficio europeo dei brevetti, pratiche malaccorte e pericolose.

Parlando anche a nome dell’onorevole Buzek, inviterei quindi l’Assemblea a votare a favore di tutti i 21 emendamenti in questo pacchetto, volti a ripristinare il significato della direttiva dopo la prima lettura, o a respingere la direttiva. Come è stato osservato dal parlamento tedesco nella sua risoluzione del 17 febbraio 2005, un’inflazione di brevetti porta con sé il rischio di un’oscillazione della pubblica opinione riguardo all’efficacia di un sistema brevettuale come strumento per l’innovazione e il progresso. Dato questo contesto, è quindi responsabilità del Parlamento mettere un freno a tale pratica.

Non è necessario estendere il campo del diritto brevettuale ai programmi per elaboratore. L’argomento principale a favore del diritto brevettuale era il desiderio di proteggere gli investimenti. Le innovazioni tangibili richiedono lunghe verifiche, seguite da investimenti di capitale, prima di trarne un profitto. Gli investimenti in prodotti informatici sono di solito di modesta entità, comunque, se non irrilevanti. Non è quindi necessaria una ulteriore tutela giuridica.

Non è assolutamente vero che i brevetti di software, secondo l’interpretazione dell’Ufficio europeo dei brevetti, rappresentino un’opportunità. I brevetti comportano anche rischi e devono quindi essere utilizzati con prudenza. Sui brevetti circolano molti miti e mezze verità e citerò alcuni esempi. E’ un mito l’idea che l’economia tragga sempre vantaggio quando vengono concessi diritti di brevetto. Spesso i funzionari misurano l’innovazione economica dal numero di brevetti, ma questi possono danneggiare gli investimenti limitando la concorrenza. Esiste un gran numero di società leader nel settore dell’informatica che non hanno mai chiesto brevetti e si può dire che nessun esperto informatico è interessato ai brevetti. Nessuno è riuscito a provare che esista un collegamento diretto tra espansione dei brevetti e crescita economica.

Un altro mito è che i brevetti di programmi aiuterebbero le piccole e medie imprese, poiché permetterebbero a queste imprese di ottenere diritti esclusivi sulle loro idee innovative. I brevetti possono costituire un ostacolo oltre che una tutela. E’ molto difficile per le imprese più piccole ottenere tale tutela, poiché i costi che comporta l’applicazione del brevetto sono estremamente alti e talvolta anche 100 volte superiori ai costi sostenuti per ottenerlo. Inoltre, è anche necessario svolgere lunghe ricerche per accertare se una certa invenzione non sia già stata riservata da qualcuno altro. Riguardo al settore informatico, dove è particolarmente facile fare piccoli cambiamenti, brevettare programmi equivarrebbe a creare un campo minato.

 
  
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  Tadeusz Zwiefka (PPE-DE). (PL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, il dovere di base che incombe alle Istituzioni dell’Unione europea durante il processo legislativo è di emanare leggi valide, comprensibili ed efficaci. Non ho bisogno di ricordare all’Assemblea quante volte abbiamo già udito sia il Presidente della Commissione sia i rappresentanti delle Presidenze assicurarci che sarà così e che il Parlamento è indubbiamente un’importante parte di questo processo.

La discussione odierna segna la fine del nostro lavoro su una direttiva che purtroppo è un esempio di un approccio completamente diverso. La Commissione e il Consiglio credono che le loro proposte siano le uniche valide e hanno entrambi rifiutato le proposte del Parlamento. Voglio credere che questa volta le cose cambieranno e che sarà data la priorità agli interessi di milioni di cittadini dell’Unione europea e delle piccole e medie imprese. Queste ultime impiegano il 90 per cento dei lavoratori e questo è un elemento che indubbiamente non dovrebbe essere dimenticato. Per questa ragione non possiamo concentrarci solamente sugli interessi delle imprese grandi e potenti.

I dubbi più seri riguardano la mancanza di una distinzione chiara tra un’invenzione, o in altri termini una soluzione tecnica brevettabile, e un programma per elaboratore o un algoritmo, sia esso un metodo di calcolo, un concetto matematico o un metodo per lo svolgimento di attività economiche, specialmente in relazione alla vendita al dettaglio. In considerazione di questo fatto, questa armonizzazione è quanto meno di dubbia utilità. Purtroppo la clausola che esclude la brevettabilità dei programmi per elaboratore come tali sarà soltanto un’illusione, come avviene con le attuali pratiche dell’Ufficio europeo dei brevetti. Nel contempo, il Commissario ci ha informati nel suo discorso di apertura della discussione odierna che questa direttiva non cambierebbe le pratiche dell’Ufficio europeo dei brevetti, che è una dichiarazione allarmante.

Indubbiamente un’armonizzazione del diritto brevettuale è urgente e necessaria, tra l’altro riguardo alle invenzioni attuate utilizzando elaboratori elettronici. Un requisito indispensabile per tale legislazione, comunque, è che sia positiva per tutti.

Senza gli emendamenti dell’onorevole Rocard e dell’onorevole Buzek, la direttiva rafforzerà e sancirà l’approccio eccessivamente liberale agli aspetti di base che definiscono il concetto di invenzione. Esorto quindi l’Assemblea a votare a favore degli emendamenti proposti dagli onorevoli Buzek e Rocard.

 
  
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  Othmar Karas (PPE-DE). (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, queste due ore di discussione hanno convinto qualcuno della validità della posizione comune e dell’opportunità di adottarla? Questa discussione ha convinto qualcuno che questo spinoso problema sia stato sufficientemente dibattuto, che i tempi siano maturi per esprimerci al riguardo, che possiamo raccogliere la necessaria maggioranza qualificata per un voto favorevole alla proposta o ai numerosi emendamenti? Io non credo, per una ragione specifica.

La prima lettura si svolse il 24 settembre 2004 e fu ignorata completamente dal Consiglio nel suo accordo politico. Il commento dell’onorevole Kauppi sulla risoluzione del Consiglio fu che “sembrava che il Consiglio avesse voluto ignorare la volontà dei legislatori eletti dell’Europa”. Il Consiglio stesso è incerto. Il 21 dicembre, su richiesta della Polonia, il voto è stato escluso dall’agenda. I parlamenti della Germania, della Spagna e dei Paesi Bassi hanno espresso la loro opposizione alla direttiva proposta. Le votazioni sono state rinviate per periodi sempre più lunghi.

Il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione di presentare una nuova proposta per la prima lettura. La commissione giuridica, la Conferenza dei presidenti e l’Assemblea plenaria hanno adottato risoluzioni in tal senso.

Qual è stata la risposta del Consiglio? Esso ha stabilito che non doveva svolgersi alcun dibattito, dichiarando che era della massima importanza evitarlo. Per quanto controverso, e anche se era in vigore il Trattato di Nizza, è stato adottato l’accordo politico. Il risultato è l’insoddisfazione e la presentazione di 178 emendamenti sul tavolo del Parlamento.

Questa posizione comune contiene elementi che potrei enumerare punto per punto e che sono menzionati negli emendamenti; essi mi inducono a ritenere che la posizione non riesca a garantire certezza giuridica e promozione dell’innovazione, ma anzi spaventi le piccole imprese. Domani faremmo bene, quindi, a respingere la posizione comune e a impegnarci a fondo per armonizzare il diritto brevettuale europeo, invece di adottare come ripiego normative controverse all’interno del settore in questione.

 
  
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  Romana Jordan Cizelj (PPE-DE).(SL) E’ trascorso un anno da quando sono stata eletta deputata al Parlamento europeo. Il tema della brevettabilità del software è uno degli argomenti più importanti che abbiamo discusso in tale periodo.

Nel mio paese, la Slovenia, come in altri paesi europei, si è registrata un’altissima partecipazione alla discussione su questa direttiva. A tale riguardo, la direttiva proposta ha già prodotto risultati positivi, poiché numerosi cittadini hanno preso parte direttamente al processo democratico. Si sono resi conto del fatto che le Istituzioni europee non sono lontane come potrebbero indurre a pensare alcune delle loro attività. Comunque, qui in Parlamento non sono i cittadini che prendono decisioni, ma noi parlamentari decidiamo per loro e prendiamo decisioni a nome loro.

Cosa ho in mente quando decido come votare sulla direttiva? Il fatto che in Europa dobbiamo seguire gli obiettivi della strategia di Lisbona se vogliamo rispondere in modo adeguato alle sfide della globalizzazione. Dobbiamo sfruttare il nostro vantaggio competitivo rispetto ad altre regioni del mondo e dobbiamo basare il nostro sviluppo sulla conoscenza e sulla ricerca, nonché sulla loro attuazione. Sapremo incoraggiare i cittadini a impegnarsi in queste attività se, fra le altre cose, garantiremo una tutela adeguata della proprietà intellettuale. Quindi, dobbiamo avere il coraggio di fornire un ordinamento giuridico europeo valido e uniforme che remuneri l’attività innovativa.

Sono fermamente convinta che sia il momento di adottare la direttiva proposta. Per fugare ogni ansia riguardo al brevetto di programmi come tali, è giusto e corretto che la direttiva affermi chiaramente la necessità di mantenere sempre i programmi stessi al di fuori della tutela brevettuale e nel dominio del diritto d’autore.

Credo che la direttiva debba contenere definizioni chiare dei concetti di base. Considerato l’importante ruolo delle piccole e medie imprese nell’Unione europea, è ugualmente importante tenere adeguatamente conto dell’influenza della direttiva sulle loro attività.

 
  
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  Malcolm Harbour (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, verso la fine di quella che è stata una discussione interessante, è il momento di tornare al tema centrale della questione. Questa non è un’estensione del diritto brevettuale esistente; di fatto con questa proposta non stiamo toccando nuovi settori. L’obiettivo è quello di chiarire la situazione esistente perché l’attuale diritto brevettuale è applicato in modo incoerente. In molti casi le imprese che vogliono i brevetti non conoscono la propria posizione. Potrebbero ottenere un brevetto da un paese ma non da un altro.

Allo stesso tempo penso che siamo tutti d’accordo nel non volere il tipo di sistema brevettuale che sembra sia in pieno sviluppo negli Stati Uniti e in altri paesi, dove i brevetti per invenzioni che potremmo definire relativamente banali, compresi metodi commerciali o semplice software, che dovrebbero essere coperti dal diritto d’autore, non lo sono.

Comunque, la questione principale è la seguente: la proposta all’esame realizza davvero tale obiettivo? Ponetevi nella posizione di un ispettore brevettuale che deve dare un giudizio sul rilascio di brevetti. Vi faccio notare che questa formulazione e gran parte dei termini usati è non solo complessa, difficile e oscura, ma va in una direzione del tutto sbagliata.

Parte del problema – l’ho constatato in molte discussioni qui – è che molti colleghi non accettano il fatto che in quasi tutti i campi delle invenzioni tecnologiche c’è una forma di tecnologia digitale. La nozione di un elaboratore che assiste o controlla certi processi è piuttosto antiquata. Oggi un telefono cellulare è dotato di un potere di calcolo superiore a quello che aveva un grande computer di dieci anni fa. E’ programmato da istruzioni ed è perfettamente ragionevole che le imprese che raggiungono innovazioni tecniche che includono quel software possano proteggerlo.

Vi faccio notare che questa proposta sta andando nella direzione sbagliata: non aiuta le piccole imprese, non aiuta le grandi aziende, non aiuta il movimento open source. Dobbiamo decidere se non abbiamo fallito completamente con questo approccio e se non sia ora di ricominciare da capo.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE-DE). (CS) Onorevoli colleghi, la Convenzione sul brevetto europeo protegge l’interesse pubblico vietando di brevettare ciò che non è una soluzione tecnica, in particolare le teorie scientifiche, le creazioni estetiche, i metodi matematici, i piani o le regole per compiere atti mentali e i programmi per elaboratori elettronici. Anche se il diritto d’autore rende possibile prevenire l’abuso in questo campo, circa 20 società hanno presentato oltre 20 000 domande di brevetti relativi a programmi per computer. Questi comprendono non solo programmi di controllo per apparecchi che variano dalle lavatrici ad apparecchiature mediche uniche nel loro genere, ma anche software come tali e metodi commerciali, come l’uso del carrello elettronico per gli acquisti su Internet. Purtroppo in molti casi gli uffici brevetti nazionali e i tribunali giungono a decisioni diverse e per tale ragione sono necessarie regole chiare a livello europeo.

Devo dire purtroppo che stiamo ancora aspettando una direttiva generale aggiornata sul brevetto europeo. Questo fatto rende la discussione odierna più complicata, poiché riguarda una direttiva specifica che non affronta i concetti, ma va oltre il campo di applicazione dell’accordo TRIPS sui diritti di proprietà intellettuale connessi al commercio. Il fatto che le grandi imprese siano favorevoli alla direttiva è indubbiamente un fattore importante, ma molte parti in causa, compresi i professionisti in campo legale e informatico, la comunità accademica, le piccole imprese e il Senato ceco, ad esempio, hanno evidenziato l’ambiguità della direttiva. Tale ambiguità porta con sé il rischio che le disposizioni della direttiva siano aperte a interpretazioni ampie, che avrebbero serie conseguenze per i piccoli e medi imprenditori e per i consumatori. Soprattutto, è deplorevole che il Consiglio non abbia presentato una valutazione dell’impatto della direttiva sulle piccole e medie imprese e sui nuovi Stati membri, come richiesto dal Parlamento.

In Parlamento si è formata una coalizione ad hoc, trasversale ai partiti politici. Il nostro scopo è giungere a un accordo di compromesso su emendamenti comuni e permettere il brevetto di firmware, cioè di programmi di controllo per apparecchiature tecniche, solo nei casi in cui facciano parte di un’invenzione complessiva. Vogliamo aumentare anche l’interoperabilità per i consumatori e impedire il rilascio di brevetti per idee banali; dopo tutto, un brevetto costa 30 000 euro e la procedura per l’approvazione richiede una media di quattro anni. Poiché le piccole e medie imprese agiscono come forza trainante del settore informatico, incidendo per il 70 per cento del fatturato e per l’80 per cento dei posti di lavoro, entrambi questi fattori agiscono come ostacoli alla crescita dinamica in questo settore. Proponiamo quindi che si operi una distinzione più chiara tra brevetti per apparecchiature e per software come tale.

In conclusione, vorrei chiedere cortesemente alla Commissione di indicare con chiarezza quali progressi sono stati compiuti nell’elaborazione di un brevetto europeo aggiornato. A meno che la direttiva non sia emendata con successo, il mio gruppo nel suo insieme voterà contro.

 
  
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  Carl Schlyter (Verts/ALE).(SV) Signor Presidente, oggi abbiamo la possibilità di scegliere tra un diritto brevettuale antiquato, con una visione antiquata delle grandi imprese e dello sviluppo, e uno sviluppo moderno, su piccola scala e creativo, che comporta una legislazione moderna.

Tutti dicono di non volere i brevetti di software. Abbiamo visto gli effetti disastrosi della loro introduzione negli Stati Uniti. L’unico modo di esprimere la nostra volontà oggi è votare a favore dei 21 emendamenti di compromesso firmati da me e da molti altri. Il nostro obiettivo deve essere una legislazione intelligente ed equilibrata in cui trovino spazio la creatività e un valido diritto brevettuale.

Votare contro dimostrerebbe che siamo completamente nelle mani delle grandi imprese. Condurrebbe a una legislazione in base alla quale i programmi utilizzati per far funzionare apparecchiature diverrebbero brevettabili. Sarebbe come dare la tutela brevettuale a manuali di apparecchiature. Un mondo così non sarebbe certo moderno.

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, chi di voi è stato coinvolto direttamente nel lavoro su questa proposta sa che stiamo trattando una questione molto complessa. La direttiva non può essere capovolta. Abbiamo bisogno di un equilibrio adeguato tra l’obiettivo di promuovere l’innovazione e la necessità di non soffocare la concorrenza.

Come ha affermato il Commissario McCreevy nella sua dichiarazione del marzo 2005, tocca a voi decidere. Qualunque sarà la vostra decisione, la Commissione ne terrà conto e la rispetterà. Se doveste decidere di respingere la posizione comune, la Commissione non presenterà una nuova proposta. Ricordate altresì che un rifiuto ostacolerebbe molte imprese europee e andrebbe contro i nostri obiettivi comuni di Lisbona tesi a migliorare la competitività dell’Europa.

Nella discussione, vari deputati hanno sollevato la questione dell’interoperabilità. Su tale questione la Commissione mantiene un certo grado di flessibilità. Nella legislazione degli Stati membri esistono già sistemi di concessione di licenze obbligatorie. E’ una soluzione appropriata, purché sia garantita la non discriminazione tra diversi modelli di sviluppo del software, “proprietario” o “open source”. Le società dovrebbero essere motivate a concedere volontariamente i diritti di utilizzo. Comunque, se i titolari abusano dei loro diritti imponendo condizioni irragionevoli, le autorità dovrebbero intervenire per garantire l’applicazione di condizioni eque.

Anche un’eccezione di interoperabilità limitata, orientata verso la promozione di standard aperti, potrebbe costituire un approccio valido, purché siano rispettati gli obblighi internazionali.

Vari deputati hanno sollevato anche la questione del diritto d’autore. Vorrei chiarire questo punto precisando che il diritto d’autore è un diritto separato e diverso dai brevetti. Il diritto d’autore e i brevetti proteggono aspetti diversi di un’invenzione nuova e originale. Quindi i brevetti non riguardano l’esistenza del diritto d’autore.

Il diritto d’autore tutela l’espressione di un’idea, ma non protegge un’invenzione, e la tutela che conferisce non impedisce che qualcuno esprima in modo diverso un’invenzione già in essere.

Riguardo alle piccole e medie imprese e al loro accesso al sistema brevettuale, vorrei richiamare l’attenzione su due aspetti. In primo luogo, gli onorevoli parlamentari conosceranno le proposte della Commissione per un brevetto comunitario che ridurrebbe i costi della tutela brevettuale in tutta l’Unione europea. In secondo luogo, abbiamo svolto uno studio di fattibilità sulla questione dell’assicurazione contro i costi delle controversie in materia di brevetti. Questo studio ora è in una seconda fase ed è stato chiesto ai consulenti di presentare proposte concrete.

In considerazione dell’elevato numero di emendamenti proposti, stiamo fornendo al Segretariato una sintesi scritta della posizione della Commissione al riguardo, da includere nel processo verbale della discussione(1).

Infine, spero che il voto abbia esito positivo. Comunque, se fosse necessario ulteriore lavoro per giungere a un accordo con il Consiglio, la Commissione è pronta ad assistere entrambi i colegislatori per giungere a un risultato positivo.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà mercoledì, alle 12.00.

Dichiarazione scritta (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE).(EN) Signor Presidente, dopo aver ascoltato con attenzione le varie argomentazioni presentate nel corso della discussione di questa mattina, invito caldamente i colleghi a dare il loro appoggio nella votazione di domani ai 21 emendamenti di compromesso, volti a impedire l’introduzione dei brevetti di software. Se questi emendamenti non saranno adottati, io e molti altri voteremo contro questa risoluzione.

Questa proposta di direttiva va contro gli interessi delle piccole e medie imprese europee operanti nel settore del software. Se domani sarà adottata dal Parlamento, questa legislazione impedirà l’innovazione e soffocherà lo sviluppo di uno dei più dinamici settori europei, quello delle PMI. Il Parlamento deve votare contro questa legislazione. Non possiamo permetterci di soffocare le PMI europee. Le PMI sono la linfa vitale della creazione di occupazione in Europa. Il diritto d’autore è adeguato e sufficiente. La brevettabilità del software non è la via da seguire.

 
  
  

Allegato – Posizione della Commissione

 
  
  

Relazione Rocard (A6-0207/2005)

La Commissione può accogliere gli emendamenti nn. 1, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13,

purché la modifica sia applicata in modo coerente: 14, 40, 72, 93, 114, 135, 158

15, 18, 21, 26-37, 43, 47, 58, 59, 60, 61, 63, 66, 75, 79, 90, 91, 92, 96, 100, 111, 112, 113, 117, 121, 132, 133, 134, 138, 142, 153, 154, 155, 161, 165, 176, 177, 178.

La Commissione può accogliere, nell’ambito di un soddisfacente ed equilibrato pacchetto globale, gli emendamenti nn.: 5, 25, 48, 50, 67, 68, 80, 82, 101, 103, 122, 124, 143, 145, 166, 168.

La Commissione può accettare, previa riformulazione o rifacimento, gli emendamenti nn. 4, 16, 17, 19, 22, 23 (ricollocati nel testo), 53, 85, 106, 127, 148, 171.

La Commissione non può accogliere gli emendamenti nn. 2, 3, 20, 24, 38, 39, 41, 42, 44, 45, 46, 49, 51, 52, 54, 55, 56, 57, 62, 64, 65, 69, 70, 71, 73, 74, 76, 77, 78, 81, 83, 84, 86, 87, 88, 89, 94, 95, 97, 98, 99, 102, 104, 105, 107, 108, 109, 110, 115, 116, 118, 119, 120, 123, 125, 126, 128, 129, 130, 131, 136, 137, 139, 140, 141, 144, 146, 147, 149, 150, 151, 152, 156, 157, 159, 160, 162, 163, 164, 167, 169, 170, 172, 173, 174, 175.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ROTH-BEHRENDT
Vicepresidente

 
  

(1) Posizione della Commissione sugli emendamenti presentati dal Parlamento: cfr. Allegato.


7. Turno di votazioni
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.

(Risultati e ulteriori dettagli delle votazioni: cfr. Processo verbale)

 

8. Lotta ai nematodi a cisti della patata

9. Protocollo all’accordo sui trasporti marittimi con la Cina a seguito dell’allargamento

10. Accordo sulla conservazione degli uccelli acquatici migratori afro-euroasiatici

11. Richiesta di difesa dei privilegi e dell’immunità di Umberto Bossi

12. Richiesta di revoca dell’immunità di Ashley Mote

13. Sostanze e preparati pericolosi (ftalati) e sicurezza dei giocattoli

14. Sicurezza dell’approvvigionamento di energia elettrica e investimenti nelle infrastrutture
  

Dopo la votazione

 
  
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  Giles Chichester (PPE-DE), relatore.(EN) Signora Presidente, vorrei solo far notare all’Assemblea che di concerto con il Consiglio è riuscita ad adottare una direttiva in prima lettura.

 

15. Richiesta di difesa dei privilegi e dell’immunità di Umberto Bossi

16. Richiesta di difesa dei privilegi e dell’immunità di Jean-Charles Marchiani

17. Banca centrale europea (2004)

18. Strategia d’informazione e di comunicazione riguardante l’euro e l’UEM

19. Piano d’azione per le tecnologie ambientali nell’Unione europea

20. Sfruttamento e lavoro dei minori nei paesi in via di sviluppo
  

Prima della votazione

 
  
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  Manolis Mavrommatis (PPE-DE), relatore.(EL) Signora Presidente, solo una settimana fa il mondo intero ha dato prova della propria sensibilità levando un roboante assenso alla lotta contro la fame e la povertà in Africa. Non erano solo note musicali, ma messaggi di umanità e di sostegno a un continente in cui milioni di vite umane, tra cui quelle di bambini in tenera età, chiedono disperatamente aiuto.

Insieme agli altri paesi, l’Unione europea è stata la prima a rispondere a tale invito globale. Questo movimento mette in luce la necessità sia di vigilanza che di attenzione da parte nostra.

La relazione sullo sfruttamento dei bambini nei paesi in via di sviluppo, con particolare enfasi sul lavoro infantile, è la prima azione che riguarda interamente il fenomeno del lavoro infantile, che ha assunto proporzioni preoccupanti in tutto il mondo, soprattutto in Africa, Asia e America centrale e meridionale.

In concreto, 352 milioni di persone di età inferiore ai 18 anni lavorano. Circa la metà si trova in un ambiente che ne mette a rischio la salute fisica e mentale, mentre 1 800 000 bambini vengono sfruttati dai racket della prostituzione e della pornografia.

Il fenomeno non interessa solo i paesi in via di sviluppo, ma anche l’Unione europea. Basti ricordare che nell’Europa orientale e nelle regioni del Mediterraneo sono 5 milioni i bambini soggetti a sfruttamento nei luoghi di lavoro. Il dato che suscita maggiore allarme però è rappresentato dai 121 milioni di bambini – tra cui 65 milioni di bambine – che non sono mai andati a scuola.

Nel 1990 nelle conclusioni del Vertice mondiale sull’infanzia si era stabilito l’obiettivo di assicurare, entro il 2000, l’accesso all’istruzione a tutti i bambini del mondo, dando la possibilità ad almeno l’80 per cento di essi di completare il ciclo d’istruzione elementare. I governi devono capire che, se non investono in via prioritaria nella qualità delle risorse umane, sono condannati a perpetuare il proprio sottosviluppo. E’ questo l’elemento principale a cui vorrei dare risalto nella mia relazione.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Con questo si conclude il turno di votazioni.

 

21. Benvenuto
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  Presidente. – Sono lieta di poter dare il benvenuto in seno all’Assemblea a una delegazione del parlamento indiano, presente in tribuna d’onore.

(Applausi)

La delegazione è composta da quattro membri della Camera del popolo e da tre membri del Consiglio degli Stati, sotto la guida del Vicepresidente del Consiglio degli Stati, Raman Khan. A nome dell’Assemblea, porgo il benvenuto alla delegazione, che si trova a Strasburgo in occasione della XII Conferenza interparlamentare tra Parlamento europeo e India.

Lo scorso anno un gruppo di lavoro di quest’Assemblea ha incontrato la controparte indiana a Nuova Delhi; tale visita conferma il rinnovato interesse a uno scambio durante l’attuale legislatura, poiché sia il parlamento indiano che quello europeo sono stati eletti recentemente. Accogliamo con particolare favore la sempre più fruttuosa cooperazione in corso con l’India, e faremo la nostra parte per intensificare la cooperazione tra i nostri parlamenti. Siate i benvenuti!

(Applausi)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. BORRELL FONTELLES
Presidente

 

22. Seduta solenne – Italia
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  Presidente. – Presidente Ciampi, onorevoli colleghi, è per noi un onore e un privilegio porgere oggi il benvenuto in quest’Aula al Presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi.

Tutti lo conosciamo e ricordiamo in lui il brillante governatore della Banca d’Italia, il Primo Ministro che aveva dovuto affrontare momenti difficili all’interno del sistema politico italiano, l’abile e tenace ministro del Tesoro dei governi Prodi e D’Alema e, oggi, il Presidente della Repubblica tanto amato da tutti gli italiani.

Credo che, in quest’epoca particolarmente difficile per l’Europa, dovremmo ricordare che il Presidente Ciampi è stato il ministro che ha contribuito in maniera decisiva all’entrata dell’Italia nell’euro, ed è bene rammentarlo in un momento in cui alcuni iniziano a considerare la moneta unica come una scomoda camicia di forza anziché come uno strumento fondamentale per la prosperità e la stabilità economica.

Ho incontrato per la prima volta il Presidente Ciampi lo scorso ottobre, a Roma, in occasione della firma del Trattato costituzionale. La sua personalità, signor Presidente, e le sue idee sull’integrazione europea quel giorno mi hanno colpito molto. Conoscevo già il politico, ma a Roma ho avuto l’opportunità di conoscere la persona che ha sempre lottato con passione e lucidità a favore della costruzione di un’Europa garante di pace, democrazia e sviluppo economico e sociale.

Onorevoli colleghi, questo è un uomo che, memore di com’era l’Europa alla fine della Seconda guerra mondiale, ha visto realizzarsi il sogno di coloro che allora hanno saputo gettare le basi dell’Europa di oggi: un’Europa che, agli occhi di molti, soprattutto delle giovani generazioni, appare come una realtà che non ha bisogno di mobilitare le volontà per continuare a esistere e a progredire. Noi deputati al Parlamento europeo sappiamo che non è così, che l’Europa non si fa da sola, che la pace non è sicura, che la pace non è mai sicura e che non poteva di certo essere garantita senza il successo del progetto europeo.

L’Europa di oggi non è frutto di una coincidenza della storia, non è una casualità, e il suo destino non è scritto nelle stelle; per realizzarla occorre compiere un grandissimo sforzo. E’ un’esigenza che, per divenire realtà, richiede gli sforzi di molte persone, il suo, signor Presidente, e quello di tutti noi. E’ il risultato di una lenta elaborazione alla quale si perviene gradualmente e che comporta impegno, entusiasmo e, talvolta, delusioni.

Il Presidente Ciampi è ospite del Parlamento europeo in un momento in cui si assiste ad un certo disincanto e, con il suo aiuto, potremo comprendere i motivi di questa situazione, poiché egli sa benissimo che l’Europa un tempo era solo un sogno di pace e di cooperazione. Quel sogno oggi è realtà e, pertanto, non fa più sognare, ha perso la capacità di far sognare la gente. Dobbiamo trovare nuovi elementi, nuovi ideali condivisi da tutti, diversi da quelli di qualche decennio fa, affinché l’Europa torni a entusiasmarci e a farci sognare, a farci bramare che i nostri desideri si trasformino in realtà. A mio avviso, la presenza del Presidente Ciampi si innesta perfettamente in questo dibattito sul futuro dell’Europa di cui egli oggi, per il fatto di essere qui, rappresenta simbolicamente l’avvio. E’ proprio in questa luce che, a mio avviso, dovremmo interpretare la sua presenza in seno al Parlamento europeo, perché forse dobbiamo creare una nuova giovane Europa tra tutti noi, simile a quella di Giuseppe Mazzini, e quest’anno, in occasione del bicentenario della sua nascita, dovremmo riprenderne l’idea secondo cui la democrazia e la libertà uniscono gli uomini a prescindere dalle latitudini a cui vivono.

Signor Presidente, siamo convinti che la sua visita, il suo esempio e le sue parole ci saranno di grande aiuto nel difficile crocevia in cui si trova l’Europa oggi, per proseguire il cammino verso la costruzione di un’Europa capace di garantire non solo la pace e la cooperazione, ma anche la prosperità e la sicurezza, un’Europa in grado di portare nel resto del mondo ciò che ha realizzato al suo interno: creare una società basata sul rispetto della diversità, sull’integrazione delle differenze e sulla costruzione di un’identità comune

Presidente Ciampi, il Parlamento europeo è onorato di porgerle il benvenuto e io di concederle la parola.

(Applausi)

 
  
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  Carlo Azeglio Ciampi, Presidente della Repubblica italiana. – Signor Presidente, onorevoli deputati, vi ringrazio per il calore con cui mi avete accolto e ringrazio in particolare lei, signor Presidente, per le espressioni affettuose con le quali ha voluto presentarmi.

Sento con emozione l’onore di parlare nel luogo più alto della democrazia europea, di far sentire la voce della Repubblica italiana nel punto centrale del sistema costituzionale dell’Unione. Uso con convinzione l’aggettivo “costituzionale”, perché tale è l’ordinamento giuridico che abbiamo costruito insieme da cinquant’anni, trattato dopo trattato.

L’Unione europea non è, e non può essere, soltanto una zona economica di libero scambio.

(Applausi)

Essa è soprattutto, e fin dalle origini, un organismo politico, una terra di diritti, una realtà costituzionale che non si contrappone alle nostre amate Costituzioni nazionali, ma le collega e le completa. E’ un organismo politico che non nega l’identità dei nostri Stati nazionali, ma li rafforza di fronte alle grandi sfide di un orizzonte sempre più vasto. E’ una terra dei diritti, alla quale ogni altro abitante di questo pianeta può guardare con la fiducia che qui, meglio che altrove, sono rispettati i valori della persona umana. E’ giusta l’ambiziosa definizione che dell’Unione dà il Trattato costituzionale, vale a dire “spazio privilegiato della speranza umana”.

Da questo punto dobbiamo andare avanti, tutti assieme, sia gli undici Stati che, come l’Italia, hanno già ratificato il Trattato costituzionale, sia gli Stati che ancora devono farlo, sia i due Stati che hanno detto no. Ci lega in maniera irreversibile un quadro istituzionale unitario. Esso è già abbastanza forte per consentire di fare assieme molte cose per i nostri cittadini, per recuperare il consenso popolare che in alcuni paesi è mancato al Trattato e per consolidare le nostre Istituzioni ereditate da un passato di successo.

Proprio perché siamo già un’entità politica e costituzionale, possiamo anzi valutare con realismo il senso del rigetto verificatosi in due paesi legati fin dalle origini alla vicenda europea. Ancora pochi mesi orsono, in occasione della solenne firma a Roma del Trattato costituzionale da parte dei venticinque governi dell’Unione, il progetto unitario era circondato da un generale consenso. In pochi mesi si è fatto strada il timore che i cittadini fossero esclusi da decisioni cruciali per il loro futuro e si sono accentuate le preoccupazioni per la mancata crescita economica. Ma è davvero giustificato interpretare l’esito dei referendum come disaffezione nei confronti dell’unità europea? E’ giustificato cedere alla tentazione di mettere addirittura in discussione lo stesso progetto dei Padri fondatori?

Se alziamo lo sguardo, il Trattato di Roma dell’ottobre 2004 ci appare piuttosto il capro espiatorio di un malessere diffuso che riguarda non tanto l’assetto istituzionale, quanto le politiche di governo dell’Unione. Registriamo perfino una paradosso. La richiesta insistita per un risveglio politico dell’Unione, che è più urgente delle pur necessarie riforme istituzionali, testimonia la coscienza della comunità di destino su cui si fonda materialmente una Costituzione. Ecco perché ora noi dobbiamo pensare alle politiche di avvenire dell’Unione, senza però abbandonare il disegno costituzionale tracciato dall’operosa Convenzione.

Che cosa chiede con urgenza l’avvenire alla nostra Europa? Chiede innanzitutto, per dirla con Ortega y Gasset, che l’Unione sia vertebrata da iniziative di coesione politica, di coesione fisica e di coesione sociale.

Il principio fondamentale della sussidiarietà deve essere interpretato come un principio di coesione politica, che consente la partecipazione dal basso alle decisioni comunitarie, cominciando dai mille e mille municipi della nostra Unione. E’ già a quei livelli che deve essere vissuta l’Unione europea.

L’Europa ha inoltre bisogno di coesione fisica, di strutture di trasporto e di comunicazione che, nel rispetto dell’ambiente e dei paesaggi, rendano più uniti gli europei.

L’Europa che ha inventato welfare State – lo Stato assistenziale – ha infine bisogno di coesione sociale. Non possiamo tollerare che perdurino vistose disparità di tenore di vita tra i territori e quindi tra i popoli ai quali la nostra personalità internazionale dà una rappresentanza unitaria. L’Europa chiede di conseguenza che lo storico obiettivo della convergenza e della coesione sia raggiunto con appropriate politiche di governo dell’economia.

Ho sempre considerato, come uomo di banca prima e come uomo della politica poi, che il principio del libero mercato nella cultura economica dell’Unione significa essere capaci di parlare al mercato nel linguaggio del mercato, ma che non può significare assecondarne ogni esuberanza.

(Applausi)

E’ la mancanza di volontà politica dei governi nazionali che impedisce un efficace coordinamento delle loro politiche di bilancio. Ciò rende difficile che sia l’Unione ad intervenire, con un fondo comune costituito anche con il ricorso dell’Unione al credito internazionale, per le grandi infrastrutture di interesse europeo, per le grandi iniziative comuni di ricerca e di innovazione e per costituire un patrimonio di beni pubblici comunitari. La strategia di Lisbona è il primo anello di una catena che dovrà portare alla governabilità dell’economia europea. Dai governi nazionali deve giungere un messaggio preciso, reso convincente dall’allocazione delle risorse pubbliche. Le invocate flessibilità devono essere utilizzate dalle imprese per guadagnare in competitività e per accrescere la base produttiva e le vendite in Europa e nel mondo.

L’Europa deve rilanciare il proprio impegno nei grandi programmi comuni. Molte volte ci siamo riusciti, anche negli anni recenti, per esempio nell’ambito del CERN e dell’Agenzia spaziale europea, con i progetti ITER e Galileo, che hanno fatto un decisivo passo in avanti per il rafforzamento tecnologico dell’Europa, e con il progetto Erasmus, che ha aperto nuovi orizzonti europei ad oltre un milione di giovani. Anche Airbus è un esempio di cosa possiamo fare assieme se solo ci uniamo.

Guardiamo con fiducia anche alla capacità d’iniziativa dell’eurozona, ora presieduta da Jean-Claude Juncker, al quale invio, anche a nome di una vecchia amicizia e collaborazione, un cordiale saluto. L’euro costituisce la manifestazione più avanzata della volontà unitaria dei popoli europei, una forza trainante dell’integrazione politica. E’ un inequivocabile segnale di fiducia che sei dei dieci paesi di nuova adesione siano entrati già a far parte dello SME 2, compiendo così i primi importanti passi per unirsi all’eurozona. I benefici tangibili derivanti dalla partecipazione alla moneta unica sono sotto gli occhi di tutti: difesa dagli squilibri sul mercato dei cambi, bassi tassi d’interesse e rafforzamento della competitività in quei paesi della zona euro che hanno adottato politiche virtuose.

 
  
  

(Rumorosa interruzione dell’oratore da parte dell’onorevole Mario Borghezio ed esibizione di striscioni)

 
  
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  Presidente. – Signori uscieri, togliete subito quel simbolo. Accompagnate alla porta il deputato, espelletelo dall’Aula! Espelletelo immediatamente dall’Aula! Vi ho detto di espellerlo dall’Aula!

(Applausi)

Signori uscieri, togliete qualsiasi simbolo o elemento che possa turbare l’ordine dell’Emiciclo.

(Esclamazioni)

Accertatevi che non rimangano elementi che possano turbare il normale ordine dei lavori nell’Emiciclo e, se ve ne sono, rimuoveteli.

(I deputati in questione vengono espulsi)

Le chiedo scusa, signor Presidente. La prego di continuare.

(Applausi)

 
  
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  Carlo Azeglio Ciampi, Presidente della Repubblica italiana. – Dobbiamo registrare come straordinari successi sia l’affermazione dell’euro sui mercati internazionali, sia la politica di stabilità dei prezzi perseguita dalla Banca centrale europea, ma non possiamo accontentarci più a lungo di questa situazione. Il confermato, giusto rigore del Patto di stabilità non è di per sé garanzia di crescita se perdura l’inerzia. Gli effetti postivi dell’euro continueranno a manifestarsi con difficoltà se mancherà una gestione coordinata sia dei bilanci nazionali sia dell’orientamento delle politiche economiche degli Stati. Solo su queste basi l’Unione potrà realizzare appieno la capacità, di cui si è dotata con la moneta unica, di essere un attore economico globale e di consolidare un blocco economico-monetario in grado di far valere gli interessi dei cittadini e i ritmi di un suo equilibrato sviluppo.

Aspettiamo ora con fiducia anche un’intesa sulle Prospettive finanziarie dell’Unione. E’ positivo un aperto e franco confronto politico sulle priorità delle azioni dell’Unione, ma è necessario approvare quanto prima un bilancio comunitario che, oltre ad esprimere un equilibrio fra le diverse istanze degli Stati, sia basato su obiettivi coerenti e solidali. Esprimo in questa sede il vivo auspicio di successo per l’opera che il Primo Ministro britannico Tony Blair, Presidente di turno dell’Unione europea, si è impegnato a realizzare davanti a questo Parlamento.

La vitalità del modello europeo dipenderà anche dalla capacità di mobilitare forze nuove all’interno dei nostri paesi. Solo sviluppando un dialogo e una convivenza costruttivo fra cittadini europei e residenti extracomunitari, infatti, riusciremo a consolidare l’essenza migliore della nostra civiltà.

Infine, l’avvenire della nostra Europa chiede politiche di sicurezza e di pace. La visione internazionale dell’Unione europea, basata sulla prevalenza del diritto e sulla fiducia e nel sistema multilaterale, suscita aspettative e speranze nel mondo intero. Tuttavia, soltanto se sarà unita l’Europa potrà incidere sugli equilibri internazionali. Agendo da soli saremmo in balìa di eventi più grandi di noi, eventi che minacciano la pace e la sicurezza europea.

Coerentemente con questa impostazione, il Parlamento europeo si è posto da tempo il problema della rappresentanza unitaria dell’Europa alle Nazioni Unite. La risoluzione approvata nel giugno scorso, così come la precedente risoluzione del gennaio 2004, stabilisce che il seggio unico dell’Unione europea nel Consiglio di sicurezza dell’ONU è l’obiettivo che l’Europa deve prefiggersi.

(Applausi)

Questa chiarezza di visione fa onore al Parlamento europeo. La consapevolezza delle nostre comuni radici e la memoria condivisa del bene e del male della nostra storia attestano l’esistenza di un interesse europeo superiore che armonizza gli interessi nazionali, li protegge dagli eccessi che hanno tormentato il nostro passato e li proietta in una visione comune dei rapporti con il mondo.

L’Europa allargata ha ormai lambito i limiti della sua identità culturale e storica. Sebbene la geografia non consenta di riconoscere in maniera certa i confini dell’Europa, lo spazio comune di principi, valori e regole espressi dall’Unione europea è oggi ben identificato.

L’ampliamento dell’Unione ha rappresentato un dovere storico verso popoli che vedevano nell’adesione all’Unione europea la garanzia delle loro ritrovate libertà, il coronamento di un’attesa durata quasi mezzo secolo. Dai nuovi Stati membri, che hanno diritto a vivere in un’Unione efficace e solidale anche nei loro confronti, ci attendiamo, e già lo rileviamo già, un contributo di costruttivo entusiasmo. L’Unione ampliata proseguirà unita. Tuttavia, proprio perché è diventata più estesa, essa avrà bisogno, più che in passato, di iniziative d’avanguardia che indichino la strada da seguire per completare l’unità dell’Europa.

Onorevoli deputati, il Parlamento europeo ha il dovere di riproporre l’Unione europea come sentimento generale della gente. Sta a voi rispondere alle richieste dei cittadini per una ancora maggiore democrazia, trasparenza e governabilità. Da quando, il 14 febbraio 1984, il Parlamento europeo presentò il progetto di Costituzione europea di Altiero Spinelli, questa Assise ha costantemente sollecitato un suo maggiore coinvolgimento nelle revisioni dei Trattati. Ora, la più rappresentativa delle Istituzioni europee ha la responsabilità storica di non disperdere il patrimonio costituente e di fare in modo che la pausa di riflessione sulla Costituzione non sia l’anticamera dell’oblio.

(Applausi)

Le stesse conclusioni del Consiglio europeo del 16 e 17 giugno incitano a un dibattito mobilitante e invitano le Istituzioni europee ad apportarvi un contributo.

Signor Presidente, onorevoli deputati, in anni ormai lontani ebbi modo, come studente universitario in Italia e in Germania, di vedere con quanta insensatezza gli Stati europei avviassero, con la seconda guerra mondiale, l’eccidio di un’intera generazione.

(Applausi)

Guardo perciò con inquietudine ad ogni allentamento, a ogni crisi del processo di integrazione europea. Tuttavia, spero abbiate avvertito nelle mie parole una serena fiducia nel futuro. A metà del secolo scorso, uomini grandi e saggi hanno costruito un edificio che non si potrà distruggere, ma dobbiamo stare attenti, come guardiani del faro, ad avvertire i giovani dei pericoli nuovi.

Tra non molto terminerò il mio mandato come Presidente della Repubblica italiana. Sei anni fa, dopo il giuramento, conclusi il mio discorso innanzi al Parlamento italiano con un grido di saluto e di impegno verso l’Italia e l’Unione europea, a cui credo di essere stato fedele in questi anni densi di storia e di mutamenti. E’ un impegno che mi è grato rinnovare ora davanti a voi. Viva l’Europa, viva l’Unione europea!

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei rivolgere alcune parole di ringraziamento al Presidente Ciampi. Non vorrei infatti dimenticarmene, come mi è accaduto in altre occasioni a causa dell’emozione del momento. Dopo averla ascoltata, Presidente Ciampi, credo di poter dire, a nome della grande maggioranza dei deputati al Parlamento europeo, che questa Istituzione ricorderà le sue parole. Lei ha dato prova di appartenere alla giovane Europa. Sì, alla giovane Europa.

(Applausi)

Come diceva Picasso, infatti, “sono necessari molti anni per diventare giovani”, e oggi lei ci ha dimostrato che si può diventare giovani nel momento in cui la gioventù è esattamente ciò di cui si ha maggiormente bisogno.

Le chiedo scusa per l’incidente, che non rispecchia in alcun modo i sentimenti della maggioranza dell’Assemblea, anzi, e mi auguro che le idee che ci ha esposto in quest’Aula ci aiutino nel dibattito che dobbiamo portare avanti. Lei si è espresso molto chiaramente. Mi permetta di ringraziarla ancora una volta.

L’Europa è una storia di successo, ma di successo si può anche morire. Affinché ciò non accada, occorre evitare di banalizzare gli elementi più preziosi e delicati della nostra convivenza. Dobbiamo impedire che la quotidianità ci faccia dimenticare il valore alle nostre conquiste. Dobbiamo impedire che qualcosa di meraviglioso diventi banale.

Pertanto, Presidente Ciampi, la ringraziamo nuovamente per la sua presenza in Aula oggi e speriamo che le sue parole vengano ascoltate anche al di fuori di quest’Emiciclo.

(Applausi)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ROTH-BEHRENDT
Vicepresidente

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI).(FR) Signora Presidente, intervengo a norma degli articoli 166, 75 e 83 del Regolamento e dell’articolo 48 del Trattato sull’Unione europea, poiché gli articoli 75 e 83 del Regolamento rimandano al testo dei Trattati. Sarò molto breve.

L’articolo 48 del Trattato sull’Unione europea stabilisce che gli emendamenti al Trattato entrano in vigore dopo essere stati ratificati da tutti gli Stati membri conformemente alle loro rispettive norme costituzionali. Poiché l’articolo 48 si riferisce a “tutti gli Stati membri”, è evidente che la bocciatura del Trattato costituzionale da parte di due paesi – Francia e Paesi Bassi – e potenzialmente di molti altri, se solo i cittadini fossero stati consultati, ha privato di qualsiasi significato il Trattato costituzionale e, di conseguenza, mi spiace dirlo, con tutto il rispetto che nutro per la sua persona e per l’incarico che riveste, anche l’intervento del Presidente Ciampi.

 

23. Dichiarazioni di voto
  

– Relazione Daul (A6-0192/2005)

 
  
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  Jan Mulder (ALDE), per iscritto. (NL) I membri del Partito popolare per la libertà e la democrazia in seno al gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa si sono astenuti nella votazione sulla direttiva sul controllo dei nematodi a cisti della patata, in quanto ritengono che la direttiva sia sproporzionata rispetto alla gravità della questione e che non rispetti il principio di sussidiarietà. L’attuazione di tale direttiva comporterà costi elevati, in quanto è previsto il prelievo di numerosi campioni. La normativa in questione comporterà altresì ingenti costi amministrativi per la raccolta dei dati in appositi registri. Vorremmo aggiungere che tali costi con tutta probabilità verranno ripartiti in modi diversi tra i governi degli Stati membri e i rispettivi comparti, il che produrrà una distorsione della concorrenza.

 
  
  

– Relazione Florenz (A6-0187/2005)

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto.(PT) Ho votato a favore della relazione perché ritengo che il presente accordo apporterà un notevole contributo alla salvaguardia degli uccelli acquatici migratori. Il testo infatti affronta sia le preoccupazioni ambientali, che riguardano in particolare gli uccelli in questione, sia la tematica più ampia della conservazione ambientale. Quest’ultima è una questione che dovrebbe starci molto a cuore sia per i benefici che ogni Stato membro può trarre dall’ambiente sia, politicamente, per l’eredità in materia di tutela che passeremo alle generazioni future.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto.(EN) Ho votato a favore di questa relazione. La proposta di decisione del Consiglio riguarda la conclusione, da parte della Comunità europea, dell’accordo sulla conservazione degli uccelli acquatici migratori afro-euroasiatici firmato dalla Comunità il 1° settembre 1997 ed entrato in vigore il 1° novembre 1999. L’accordo si annovera tra quelli relativi alla conservazione delle specie migratrici della fauna selvatica e protegge 235 specie dell’avifauna legate ecologicamente alle zone umide, in particolare in Africa ed Eurasia. La Convenzione esige misure coordinate per conseguire e mantenere uno stato di conservazione favorevole delle specie di uccelli acquatici che utilizzano i corridoi migratori afro-euroasiatici.

 
  
  

– Relazione Trakatellis (A6-0196/2005)

 
  
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  Johannes Blokland (IND/DEM), per iscritto.(NL) Negli ultimi sette anni la presenza di ammorbidenti nei giocattoli in plastica è stata oggetto di dibattiti approfonditi e carichi di emotività sia in Parlamento che in Consiglio. Mi rincresce che la discussione sia stata dominata dalle emozioni invece che dalla ragione. E’ un aspetto che mi ha particolarmente colpito durante le discussioni sia in prima che in seconda lettura.

La posizione comune non si basa interamente su dati scientifici. Il successivo giro di vite deciso dalla posizione comune approvata oggi dal Parlamento e già adottata dal Consiglio si discosta ancora di più da quello che può considerarsi accettabile su basi scientifiche.

Per questa ragione non posso appoggiare ulteriori restrizioni. Sono tuttavia abbastanza realistico da rendermi conto che votare contro non farà alcuna differenza e pertanto mi sono astenuto nella votazione sugli emendamenti di compromesso.

Per ulteriori dettagli vi rimando al mio contributo alla discussione del 5 luglio 2000. Le argomentazioni che ho illustrato allora restano ancora e più che mai pertinenti.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto.(PT) E’ stato raggiunto un accordo di compromesso tra il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica, il gruppo Verde/Alleanza libera europea, il gruppo socialista al Parlamento europeo e il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei al fine di approvare la relazione dell’onorevole Trakatellis sull’uso di talune sostanze, vale a dire elementi chimici aggiunti al PVC per ammorbidire la plastica. Di conseguenza, riusciremo a concludere l’iter in sede di seconda lettura.

Ci rallegriamo per l’approvazione di questa relazione, perché vieterà in modo permanente l’uso di sei sostanze chimiche negli articoli di puericultura, sulla base di studi scientifici che dimostrano come in alcuni casi possano essere cancerogene, mutagene e tossiche per la riproduzione.

Si tratta di una decisione positiva e di un valido contributo in particolare per la tutela dei bambini e in generale per la salute dei cittadini.

 
  
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  Marie Anne Isler Béguin (Verts/ALE), per iscritto.(FR) Votando a favore dell’eliminazione progressiva degli ftalati nei giocattoli, il Parlamento alla fine ha resistito alle forti pressioni esercitate dai produttori di giocattoli e di articoli di puericultura, anteponendovi il principio di precauzione e la salute umana. I giocattoli in PVC morbido sono tanto più pericolosi in quanto i bambini sono portati a mettere in bocca tutti gli oggetti che li circondano; vietare gli ftalati era quindi una essenziale per la salute pubblica. Il voto di oggi è un successo in questo senso.

Questa decisione tuttavia dovrebbe essere seguita da altre; infatti le sostanze tossiche contenute nel PVC morbido sono presenti non solo nei giocattoli, ma anche in altri oggetti di uso quotidiano. Parlamento e Consiglio hanno chiesto, a giusto titolo, che sia condotto un esame sugli altri prodotti realizzati in PVC morbido. Se le industrie vogliono davvero essere così responsabili come affermano, devono assolutamente smettere di utilizzare il PVC morbido, non solo nei giocattoli, ma anche in altri prodotti (materiale medico, rivestimenti per pavimenti, e imballaggi alimentari). Da svariati anni infatti esistono prodotti sostitutivi; inoltre niente impedisce di passare a prodotti sani e di origine naturale.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto.(EN) Ho votato a favore di questa relazione tesa a rafforzare la tutela della salute dei bambini e ad ottenere la fiducia dei consumatori mediante l’introduzione di un quadro normativo più rigido che disciplini la produzione e la commercializzazione di giocattoli e di articoli di puericultura contenenti determinati ftalati al fine di ridurre, per quanto possibile, l’esposizione dei bambini a sostanze che presentano rischi documentati o potenziali per la salute.

Reputo positivo il compromesso raggiunto in sede di commissione al fine di vietare sei ftalati nei giocattoli a prescindere dall’età dei bambini.

 
  
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  Catherine Stihler (PSE), per iscritto. – (EN) Ci è voluto molto tempo per approdare a questa relazione. Sostengo senza riserve le restrizioni sulla commercializzazione degli ftalati nei giocattoli per bambini. La salute dei bambini deve venire per prima.

 
  
  

– Relazione Chichester (A6-0099/2005)

 
  
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  Adam Jerzy Bielan (UEN), per iscritto.(PL) Mi accingo ad illustrare tre aspetti cruciali della sicurezza energetica che non sono stati debitamente tenuti in considerazione nella proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio. In primo luogo, occorre utilizzare maggiormente le fonti di energia rinnovabile. Secondo, occorre fare un uso equilibrato dei diversi tipi di combustibili primari. In terzo luogo, è necessario diversificare per ogni tipo di combustibile primario gli approvvigionamenti provenienti dai diversi centri di produzione, ad esempio nel settore del petrolio e del metano.

Reputo che l’impatto sarebbe davvero dannoso se l’Unione europea continuasse in quest’area con la politica attuale, in quanto tale politica determina una completa dipendenza della Polonia da un’unica fonte di approvvigionamento, ovvero il petrolio e il metano russo, in nome della sicurezza. I lavori per il secondo braccio dell’oleodotto Yamal, che attualmente è in fase avanzata di progettazione, devono assolutamente continuare. Tuttavia, tutti gli altri progetti, come l’oleodotto Amber che passa sotto il Baltico, devono essere immediatamente sospesi, in quanto rappresentano una minaccia diretta alla da poco rediviva democrazia ucraina. La sicurezza energetica di Regno Unito, Germania e Italia non deve essere conseguita a costo della dipendenza polacca dal petrolio e dal metano russo, e non deve mettere a repentaglio la stabilità economica dell’Ucraina.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto.(PT) Il titolo della proposta di direttiva e di conseguenza della relazione nasconde le sue reali implicazioni, vale a dire l’instaurazione e l’operatività di un mercato unico dell’elettricità nell’Unione europea. Benché l’intento dichiarato della relazione sia quello di realizzare una struttura all’interno della quale gli Stati membri possano definire linee di condotta generali, trasparenti e non discriminatorie sulla sicurezza e l’approvvigionamento energetico, di fatto tale obiettivo nella lista delle priorità della relazione è subordinato all’esigenza di garantire la conformità ai requisiti di un mercato interno concorrenziale nel settore.

La proposta della Commissione utilizza l’aumento dei prezzi come principale meccanismo per ridurre la domanda di elettricità, svuotando quindi di significato l’argomentazione secondo cui il mercato unico produrrà un abbassamento dei prezzi. Qualora rimanesse ancora qualche dubbio, basta solo dare un’occhiata al Regno Unito. La proposta inoltre raccomanda l’intervento degli Stati membri e delle autorità di regolamentazione a sostegno dell’investimento iniziale e dei suoi effetti, ma limita il loro potere di intraprendere azioni in altri settori.

Quanto alla relazione, per certi versi rappresenta un passo indietro rispetto alla proposta della Commissione. Ad esempio, non prevede l’adozione di misure specifiche da parte delle autorità di regolamentazione in caso di violazioni nell’esecuzione dei progetti delle reti di trasporto. Di qui il nostro voto.

 
  
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  Anna Elzbieta Fotyga (UEN), per iscritto.(EN) La proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente misure per la sicurezza dell’approvvigionamento elettrico e per gli investimenti nelle infrastrutture disciplina molti comparti del mercato comune europeo dell’energia. Non è stata però prestata la dovuta attenzione a tre importanti aspetti della sicurezza dell’approvvigionamento energetico:

– il maggiore ricorso a fonti energetiche rinnovabili;

– l’uso equilibrato dei diversi combustibili primari;

– la diversificazione degli approvvigionamenti provenienti da vari centri di produzione (settori del petrolio e del metano) per ogni tipo di combustibile primario.

Reputo assolutamente inaccettabile mantenere l’attuale politica europea in materia, in quanto determina la totale dipendenza della Polonia da un’unica fonte di approvvigionamento, ovvero il metano e il petrolio russo. I Lavori per il secondo ramo dell’oleodotto Yamal, che attualmente è in fase avanzata di progettazione, devono assolutamente proseguire. Tuttavia, tutti gli altri progetti, come l’oleodotto Amber che passa sotto il Baltico, devono essere immediatamente sospesi, in quanto rappresentano una minaccia diretta alla da poco rediviva democrazia ucraina. La sicurezza energetica di Regno Unito, Germania e Italia non deve essere conseguita a costo della dipendenza polacca, e non deve mettere a repentaglio la stabilità economica dell’Ucraina.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto.(EN) Ho votato a favore della relazione che, nel complesso, propone emendamenti sensati e validi alla proposta della Commissione.

Le principali proposte del presente testo sono finalizzate a introdurre misure per garantire il buon funzionamento del mercato interno dell’UE dell’elettricità, preservando la sicurezza dell’approvvigionamento di energia elettrica e assicurando un adeguato livello di interconnessione tra gli Stati membri. La proposta di direttiva mira inoltre a istituire un quadro nell’ambito del quale gli Stati membri definiscano linee di condotta generali, trasparenti e non discriminatorie sulla sicurezza dell’approvvigionamento di elettricità nel rispetto dei requisiti di un mercato unico concorrenziale nel settore.

Tutti questi obiettivi meritano sostegno.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto.(PT) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Chichester, poiché reputo essenziale l’obiettivo di assicurare un adeguato funzionamento del mercato interno dell’elettricità nell’Unione e di salvaguardare la sicurezza dell’approvvigionamento elettrico.

Per la questione della sicurezza dell’approvvigionamento è fondamentale creare una struttura all’interno della quale gli Stati membri possano definire linee di condotta generali, trasparenti e non discriminatorie sulla sicurezza dell’approvvigionamento in conformità dei requisiti di un mercato interno concorrenziale nel settore.

Dovremmo pertanto sostenere le misure adottate per migliorare le politiche energetiche, data la loro capitale importanza per la nostra qualità di vita, sia per il presente che per le generazioni future.

 
  
  

– Relazione Wallis (A6-0210/2005)

 
  
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  Luca Romagnoli (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, dobbiamo difendere la libertà di polemica del parlamentare, indipendentemente dal partito o dal movimento che rappresenta, dai tentativi di conculcarne l’espressione nell’ambito dell’azione politica. Per questo motivo ho votato a favore dell’immunità.

Nel caso specifico, l’onorevole Bossi è perseguito per aver sostenuto il tradimento e l’inaffidabilità politica del signor Comencini, prima nei confronti dell’MSI e poi della Lega. Si tratta di un fatto storicamente accertato.

Se io oggi affermo che i ministri della Repubblica italiana Gianfranco Fini, Altiero Matteoli, Gianni Alemanno e Mario Landolfi sono traditori del progetto politico e dello statuto dell’MSI, liquidatori dell’alternativa al sistema liberista e comunista attraverso le modifiche statutarie e le finalità di quel partito, annullato in un soggetto diverso, posso essere inquisito e perseguito per tale azione o esercito il mio diritto di polemica politica?

Se commetto un reato affermando il loro tradimento, mi denuncino ...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
  

– Relazione Lauk (A6-0203/2005)

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto.(PT) Sono lieta che la relazione sia stata bocciata, obiettivo cui abbiamo contributo. Il testo infatti ignora i problemi che affliggono l’Unione europea, ovvero la recessione, la debolezza della domanda interna e una crescita economica lenta unitamente agli elevati livelli di disoccupazione, povertà e sperequazioni di reddito, tutti problemi che sono stati aggravati dal varo dell’Unione economica e monetaria e dall’introduzione dell’euro.

La soluzione non può essere sempre quella di imprimere un’accelerazione alle cosiddette riforme strutturali, ovvero un’ulteriore flessibilizzazione del mercato del lavoro e una politica di liberalizzazioni e privatizzazione della previdenza sociale. Tutto questo viene fatto in nome della sacrosanta difesa della stabilità dei prezzi, o piuttosto del contenimento salariale. Questo obiettivo è già realtà con la riduzione delle retribuzioni reali e il trasferimento degli introiti produttivi al patronato.

Siamo soddisfatti che sia stata rifiutata la rigida visione del Patto di stabilità e di crescita contenuta nella relazione, in cui si ignora la riforma del Patto, dimostrando così il tipico approccio cieco e totalmente improntato a una logica classista. La relazione inoltre si spinge persino a criticare l’attuale orario di lavoro nell’UE, mettendolo a confronto con altre regioni del mondo e richiedendo in modo diretto che venga prolungato.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto.(EN) Purtroppo devo votare contro questa relazione, perché il relatore ha scelto di concentrarsi soprattutto sulle infrazioni e sulla riforma del Patto di stabilità e di crescita.

Tale impostazione contraddice un accordo in virtù del quale il testo non avrebbe dovuto sovrapporsi al lavoro compiuto in altre relazioni, bensì focalizzarsi unicamente sulle competenze e sui risultati della Banca centrale europea.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto.(PT) Dato che la Banca centrale europea (BCE) mira essenzialmente a mantenere la stabilità dei prezzi, si può affermare che, seppure le condizioni dell’economia europea e mondiale non siano state propriamente favorevoli, la BCE ha centrato i propri obiettivi strategici. In questo senso sostengo la relazione. Occorre inoltre riconoscere che la BCE si è preparata in modo molto efficiente all’allargamento dello scorso maggio. Desidero tuttavia puntualizzare che questo non significa che io sostenga in modo totale e incondizionato le politiche della BCE, pur concedendo, ad esempio, che la BCE ha reagito tempestivamente agli sviluppi della situazione economica e che è riuscita a destreggiarsi in settori come quello dei tassi d’interesse.

 
  
  

– Relazione Maaten (A6-0197/2005)

 
  
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  Andreas Mölzer (NI). (DE) Signora Presidente, in origine l’euro era stato concepito per permettere ai cittadini di identificarsi di più con l’Unione europea e per inaugurare una nuova epoca di crescita economica; però così non è stato: la moneta unica non gode ancora di piena accettazione e, creando frustrazione in seno all’Unione europea, ha sortito esattamente l’effetto opposto. Il fattore che ha determinato questa svolta negativa è dovuto al fatto di non aver risposto alle critiche della gente e di non aver rispettato la promessa di una moneta forte, oltre all’introduzione del cosiddetto Patto di stabilità e di crescita, un mezzo economicamente e giuridicamente opinabile con cui si intendeva raggiungere l’obiettivo. Finora solo Lussemburgo e Svizzera sono stati in grado di fare qualcosa per rispettare i criteri di convergenza del Patto.

Cionondimeno, per poter adottare la moneta unica i paesi hanno svenduto in larga misura le proprie riserve auree e il patrimonio dello Stato, approvando proposte di privatizzazione, cedendo le proprie partecipazioni e lasciandosi andare a numerose operazioni di cosmesi finanziaria. La conseguenza di tutto ciò è stato il massiccio aumento dei prezzi nella maggior parte dei paesi che hanno adottato l’euro. Per evitare che i nuovi Stati membri vengano risucchiati in questa spirale negativa, ogni paese dovrebbe consentire ai propri cittadini di esprimersi attraverso il voto dopo aver fornito loro informazioni veritiere, oneste e obiettive.

 
  
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  Jan Andersson, Ewa Hedkvist Petersen, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto.(SV) Siamo tutti favorevoli alla risoluzione del Parlamento europeo su una strategia d’informazione e di comunicazione sull’euro e sull’Unione economica e monetaria (UEM).

Nel contempo abbiamo votato contro l’appello rivolto dal Parlamento europeo per far cambiare parere alla Svezia in merito alla partecipazione all’UEM e alla transizione all’euro. Crediamo che l’esito della consultazione referendaria in Svezia vada rispettato. La partecipazione svedese all’UEM e alla zona euro nell’immediato futuro è un capitolo chiuso.

 
  
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  Lena Ek (ALDE), per iscritto.(SV) Oggi ho deciso di votare contro la relazione d’iniziativa sulla strategia d’informazione e di comunicazione sull’euro e sull’Unione economica e monetaria per due motivi principali.

Primo, ritengo che spetti a ciascuno Stato membro decidere come desidera condurre la discussione sull’euro. Tale compito non deve essere assunto dalla Commissione.

Secondo, l’esperienza delle campagne europee centralizzate è generalmente negativa e comporta uno sperpero di risorse, cosa che non va incoraggiata.

Le discussioni in materia di politica monetaria e valutaria devono invece svolgersi mediante un dialogo tra i cittadini e i responsabili delle decisioni.

Pertanto oggi ho votato contro la relazione.

 
  
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  Jonathan Evans (PPE-DE), per iscritto.(EN) La delegazione dei conservatori britannici di solito si astiene sulle questioni relative all’euro. Non desideriamo adottare la moneta unica, ma non ci auguriamo neppure che il progetto fallisca, in quanto speriamo di vedere un’economia europea forte con una valuta stabile che favorisca un buon clima commerciale per l’industria britannica. Di norma siamo pertanto ben contenti di lasciare il funzionamento dell’UEM a coloro che sono più direttamente coinvolti.

Cionondimeno non possiamo accettare questa relazione. I problemi che l’euro si trova di fronte non sono sorti a causa di una mancanza di comunicazione e l’impopolarità dell’euro non è dovuta a un’inadeguata informazione dei cittadini. L’euro godrà di rinnovato favore presso l’opinione pubblica solo quando verranno intraprese le necessarie riforme economiche e strutturali promosse dalla strategia di Lisbona e quando il Patto di stabilità e di crescita funzionerà in modo effettivo.

Come nota la relazione, almeno 280 milioni di euro sono già stati spesi dalle Istituzioni europee a tal fine, senza contare quello che hanno speso i governi nazionali. Una spesa istituzionale del genere non è ammissibile.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto.(PT) Con questa strategia d’informazione e di comunicazione sull’euro e sull’Unione economica e monetaria, l’UE si prefigge l’obiettivo di “vendere” l’euro, ovvero intende investire più denaro nell’apparato propagandistico europeo mediante le campagne di “informazione” PRINCE, tese a convincere i cittadini dei sedicenti vantaggi dell’euro.

Respingiamo pertanto la relazione su tutta la linea, in quanto si fonda sull’assunto che l’euro sia stato positivo e vantaggioso. La relazione ritiene addirittura che sia stato il progetto europeo meglio riuscito. Per di più sottolinea che la popolarità dell’euro è decisiva per la futura ratifica della cosiddetta “Costituzione europea”.

Se ne desume che le Istituzioni europee non hanno coscienza della crescente opposizione all’euro che serpeggia tra i cittadini. Le Istituzioni fondano le loro posizioni sull’idea che, se i cittadini sono contrari all’euro, allora è perché sono male informati o, ancor meglio, perché hanno perso il contatto con la realtà. Tale è la cecità e l’arroganza di coloro che pretendono di rappresentare i cittadini. Costoro non tengono in alcuna considerazione il fatto che la situazione economica e occupazionale stanno peggiorando e trascurano le questioni macroeconomiche, come se una politica monetaria unica fosse in grado di affrontare le diverse esigenze di 25 economie. Agiscono come se l’obiettivo di questa politica fosse neutrale, mentre di fatto lo scopo principale punta a ridurre i salari reali. Dobbiamo invece quantificare i costi dell’euro che sta impedendo uno sviluppo sostenibile.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto.(FR) La relazione dell’onorevole Maaten è quantomeno sorprendente. Pare un tentativo di fare un bilancio di successi e fallimenti dell’euro a poco più di sei anni dalla sua introduzione. Secondo la relazione, l’euro e il Patto di stabilità, che lo accompagna, sono stati un successo su tutta la linea. L’unico insuccesso risiede nella comunicazione: come sempre gli europei non avrebbero capito niente! La soluzione proposta è una vasta campagna di informazione, o meglio un lavaggio del cervello su scala continentale! Una politica alla Potemkin!

L’euro ha effettivamente provocato un notevole aumento dei prezzi correnti dei beni di consumo e quindi una forte perdita di potere d’acquisto per i consumatori? O si è trattato piuttosto di un’illusione ottica? La politica di austerità richiesta per l’introduzione dell’euro ha causato la contrazione della crescita economica di un punto percentuale su base annua e ha determinato la perdita di migliaia di posti di lavoro, facendo diventare la zona euro lo spazio economico meno dinamico del mondo. Tutte sciocchezze! L’euro è sinonimo di crescita e di prosperità! Tutto quello che non va è da imputare agli Stati membri! Gli eurocrati di Bruxelles invece hanno il dono dell’infallibilità!

E’ proprio questo genere di comportamento in cui si mescolano menzogna e disprezzo per la gente che alimenta il rifiuto dell’Europa dei tecnocrati.

 
  
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  Anna Hedh (PSE), per iscritto.(SV) Non posso sostenere la risoluzione del Parlamento europeo su una strategia d’informazione e di comunicazione sull’euro e sull’Unione economica e monetaria (UEM).

Ritengo che spetti ai singoli Stati membri decidere se vogliono una strategia d’informazione e di comunicazione o una campagna a favore dell’euro e dell’Unione economica e monetaria. Penso inoltre che vada rispettato l’esito del referendum svedese del 2003, quando gli svedesi hanno detto di no all’euro. La partecipazione svedese all’UEM e l’introduzione dell’euro per il momento sono un capitolo chiuso.

 
  
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  Kartika Tamara Liotard (GUE/NGL), per iscritto.(NL) Il relatore sembra ignorare i grossi svantaggi prodotti dall’euro, non da ultimo nel mio paese. Nei Paesi Bassi i prezzi sono lievitati dopo l’introduzione dell’euro, cosa che il ministro delle Finanze Gerrit Zalm, nonché membro del partito dell’onorevole Maaten, nega da anni, continuando a propinare al parlamento olandese la sfacciata menzogna della svalutazione del fiorino. Il malcontento olandese per l’euro dunque non dovrebbe essere una sorpresa per l’onorevole Maaten. Sebbene a suo tempo il mio partito abbia chiesto un referendum sulla moneta unica, il partito dell’onorevole Maaten ha bloccato la richiesta. Ora l’onorevole Maaten spera di ovviare al mancato rispetto dell’opinione pubblica per mezzo di una campagna propagandistica.

Le campagne che devono essere lanciate negli Stati membri che non hanno ancora introdotto l’euro devono essere la goccia che fa traboccare il vaso. Gli Stati membri devono decidere autonomamente quale moneta adottare. Di sicuro non gradiremmo che la Russia lanciasse una campagna nei nostri paesi per introdurre il rublo in Europa. Dovremmo permettere a svedesi, britannici e danesi di decidere. Purtroppo gli olandesi non hanno avuto la possibilità di farlo.

 
  
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  Cecilia Malmström (ALDE), per iscritto.(SV) Credo che la Svezia dovrebbe partecipare all’Unione economica e monetaria e condivido l’approccio positivo del relatore verso l’euro. Ho tuttavia scelto di astenermi nella votazione di questa relazione. Una delle principali conclusioni della relazione è che la Commissione dovrebbe condurre una campagna di informazione per decantare le virtù dell’euro. Ritengo che le campagne di informazione svolte dalla Commissione non siano né utili né appropriate per accrescere il gradimento dell’euro tra l’opinione pubblica. Non è per questo che dovremmo utilizzare il denaro dei contribuenti.

 
  
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  Sérgio Marques (PPE-DE), per iscritto.(PT) Mi complimento con l’onorevole Maaten per la sua importante relazione sull’attuazione di una strategia d’informazione e di comunicazione sull’euro e sull’Unione economica e monetaria (UEM), soprattutto vista la necessità di spiegare alla gente quali vantaggi presenta l’euro nella vita quotidiana. Il successo della creazione della zona euro non è ancora completo, ci resta da convincere i cittadini europei che hanno preso la decisione giusta. Questo è l’unico modo in cui possiamo contribuire al consolidamento dell’Unione monetaria in Europa e al rafforzamento della credibilità e della stabilità dell’euro.

La zona euro inevitabilmente si estenderà ai paesi dell’Europa orientale, il che comporterà l’elaborazione di un piano di informazione all’interno di una più ampia strategia d’informazione e di comunicazione sull’Unione europea. Dobbiamo tenere gli occhi aperti sui casi di pratiche scorrette e di eccessivi arrotondamenti che possono verificarsi durante la transizione e dobbiamo altresì avvertire l’opinione pubblica che si produrrà un leggero aumento dell’inflazione.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto.(EN) L’euro si è senz’altro rivelato un successo nei paesi che lo hanno adottato, ha eliminato i rischi connessi al cambio, ha facilitato i viaggi e agevolato il commercio nella zona euro.

Cionondimeno è scoraggiante constatare che, nonostante i vantaggi oggettivi dell’euro e l’introduzione generalmente positiva che si è verificata sette anni fa, una fetta significativa dell’opinione pubblica, circa un terzo, continua ad averne una percezione negativa.

Per quanto tutto ciò possa essere frustrante, la Commissione, gli Stati membri e gli altri responsabili del processo decisionale devono tenere conto di tali percezioni e prendere i necessari provvedimenti per porvi rimedio. La presente relazione potrebbe costituire un valido contributo a tal fine.

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto.(NL) L’unico vantaggio della moneta unica è che la gente non ha bisogno di cambiare valuta quando va in vacanza o quando si reca in un altro paese della zona euro. A parte questo, in genere la maggior parte delle persone nei paesi dell’UEM ha sperimentato gli aspetti negativi della moneta unica, come l’aumento dei prezzi dei beni di consumo e la diminuzione del valore dei propri risparmi. La gente è stufa dei costanti tagli operati ai servizi pubblici per limitare la spesa pubblica in modo da rispettare i requisiti del Patto di stabilità.

Nella sua relazione l’onorevole Maaten si è rivelato un entusiasta dell’euro, un “eurofilo”. Fa ridere che parli dell’euro come di “un progetto oltremodo ben riuscito”. Non si rende conto che l’euro ha fornito ad alcuni un motivo per votare contro la Costituzione europea? Come spiega il fatto che Stati membri senza l’euro hanno riportato risultati economici di gran lunga migliori? Il relatore si preoccupa principalmente di aiutare i governi di Svezia, Danimarca e Regno Unito a convincere i cittadini che l’euro è stato un successo. Una simile ammissione di debolezza è paragonabile alla campagna a favore della Costituzione europea nei Paesi Bassi: l’euro è stato propinato come un prodotto fantastico, eppure la gente non ha ancora recepito il messaggio. E’ miope e paternalistico rispondere alle gravi critiche dell’opinione pubblica con campagne inconsistenti.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto.(PT) I vantaggi dell’euro – e di certo anche gli svantaggi, che naturalmente esistono – sono sotto gli occhi di tutti e non possiamo negare che le nostre aspettative più rosee siano state soddisfatte. Se è vero che la situazione economica europea non è un successo travolgente, è altrettanto vero che non si può addossare tutta la colpa all’euro. I cittadini in effetti hanno preso la nuova moneta in modo molto positivo, tenendo conto anche della rapidità e della facilità con cui si è svolta la transizione.

Occorre tuttavia tenere presente che l’euro in realtà è un progetto in fieri e in quanto tale è facile bersaglio sia del reale malcontento popolare per la situazione economica europea sia di alcune manipolazioni politiche. Questa moneta è troppo preziosa per non essere preservata. Penso quindi che dovremmo concordare un piano di comunicazione esaustivo e di ampia portata, soprattutto a livello istituzionale. Il processo di transizione è chiaramente ancora in corso e lo sforzo profuso all’inizio non deve assolutamente venir meno.

 
  
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  Peter Skinner (PSE), per iscritto. – (EN) Il partito laburista al Parlamento europeo ha votato a favore della relazione per poter poi valutare i punti di forza e le debolezze dell’Unione monetaria europea, proporre soluzioni e concorrere alle strategie di adesione degli altri Stati membri che intendono entrare a farne parte.

Il partito laburista al Parlamento europeo reputa che occorrerebbe ampliare maggiormente l’accesso all’informazione sull’euro a tutti i cittadini dell’Unione europea.

Tale posizione comunque non pregiudica le 5 prove economiche del ministero del Tesoro previste per un’eventuale futura adesione del Regno Unito alla zona euro.

 
  
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  Anders Wijkman (PPE-DE), per iscritto.(SV) Oggi ho scelto di astenermi nella votazione sulla relazione Maaten sulla strategia di comunicazione riguardante l’euro e l’Unione economica e monetaria. Condivido l’approccio positivo del relatore verso l’euro e credo che la Svezia debba partecipare all’UEM. Tuttavia, non approvo che la Commissione conduca una campagna d’informazione per decantare le virtù dell’euro. Le campagne di informazione della Commissione non sono la via giusta per innalzare il gradimento dell’opinione pubblica in merito all’euro. Il denaro dei contribuenti non dovrebbe essere usato in questo modo.

 
  
  

– Relazione Myller (A6-0141/2005)

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto.(PT) Secondo questa relazione lo sviluppo sostenibile si regge su tre pilastri: la tutela dell’ambiente, lo sviluppo economico e la coesione sociale. Lo sviluppo sostenibile però non può essere conseguito senza lo sviluppo di una nuova tecnologia ambientale e senza innovazione.

Su siffatti presupposti la Commissione ha fondato la sua proposta, che il Parlamento ha approvato, benché andrebbero approfonditi alcuni punti, come la necessità di un maggiore coinvolgimento delle piccole e medie imprese.

Un ulteriore e importante concetto da tener presente è che, per promuovere lo sviluppo sostenibile, è altresì necessario promuovere la ricerca e l’innovazione nelle nuove tecnologie incentrate sulla salvaguardia e sul ripristino delle risorse naturali, culturali e storiche.

Analogamente occorre mettere a punto metodi e indicatori ambientali per misurare l’impatto ambientale di diversi prodotti, servizi e processi. Occorre inoltre lanciare una campagna d’informazione sulle prestazioni ambientali per incoraggiare i consumatori a chiedere tecnologie rispettose dell’ambiente. Anche il riutilizzo dei materiali andrebbe incentivato, in modo che i materiali di scarto di un determinato processo produttivo possano essere riutilizzati in altri processi, ad esempio i rifiuti urbani potrebbero essere usati nell’ottica del risparmio energetico, conseguendo così un vantaggio economico e ambientale.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto.(EN) Reputo positiva questa relazione sulla comunicazione della Commissione “Incentivare le Tecnologie per lo Sviluppo sostenibile: Piano d’azione per le Tecnologie ambientali nell’Unione europea”.

Mi sembra che il testo costituisca un’utile base per la discussione e la formulazione di ulteriori proposte concrete volte a incentivare le tecnologie ambientali, ma avrei voluto che fosse prestata maggiore attenzione allo sviluppo della domanda di tali tecnologie. Avrei voluto un approccio alla politica ambientale più sistematico che si avvalesse della nozione di “ciclo di vita” e in cui l’attenzione primaria fosse rivolta all’innovazione e allo sviluppo di tecnologie filoambientali.

Credo fermamente che le tecnologie ambientali, se dotate di risorse adeguate e di incentivi, racchiudano un potenziale notevole in termini di occupazione e crescita.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto.(PT) Ho votato a favore della relazione Myller. Penso che un approccio alle nuove tecnologie atto a promuovere la creazione di programmi di sviluppo con una dimensione ambientale sia un fattore essenziale per il conseguimento degli obiettivi di Lisbona.

Il piano d’azione proposto permetterà di coinvolgere tutte le parti in causa in un’azione integrata, tesa a sviluppare il potenziale della tecnologia ambientale, collocando l’Unione europea al centro di tale sviluppo.

Vorrei inoltre sottolineare che, secondo una delle conclusioni della revisione della strategia di Lisbona, la situazione dell’ambiente e il miglioramento dell’occupazione devono essere considerati un’opportunità per conseguire l’obiettivo di creare l’economia fondata sulla conoscenza più competitiva del mondo. E’ pertanto di capitale importanza rafforzare la dimensione ambientale nella strategia di competitività dell’Unione europea.

 
  
  

– Relazione Mavrommatis (A6-0185/2005)

 
  
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  Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. – (SV) Oggi la delegazione dei moderati ha votato a favore della relazione che sostiene la lotta contro la piaga del lavoro infantile. E’ di capitale importanza combattere energicamente il lavoro infantile, come affermato nelle convenzioni dell’OIL, in quanto danneggia la salute fisica e mentale dei bambini.

Le imprese hanno un ruolo importante da svolgere e hanno delle responsabilità nella lotta contro questo fenomeno. Giudichiamo positiva nelle intenzioni la proposta di introdurre appropriate tutele giuridiche e meccanismi atti ad individuare e a perseguire gli importatori aventi sede nella Comunità di prodotti ottenuti con lo sfruttamento di minori. Noi moderati tuttavia riteniamo che si verrebbe a creare una significativa incertezza giuridica. Vi è il rischio che gli interessi dei bambini non vengano tutelati, mentre le imprese potrebbero ritirarsi invece di svolgere il proprio ruolo e quindi potrebbero non investire nelle regioni a rischio di sfruttamento della manodopera infantile.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto.(PT) Il lavoro minorile è frutto dell’ingiustizia sociale generata dal sistema capitalistico in cui viviamo e dalle disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza e nei livelli di sviluppo che ne derivano. La povertà porta all’esclusione sociale e diventa una giustificazione per le famiglie che ricorrono al lavoro infantile per integrare i loro redditi e quindi per garantirsi la sopravvivenza.

La povertà inflitta alle famiglie conseguentemente allo sfruttamento capitalistico fa sì che alcune imprese e imprenditori abbiano interesse a perpetuare una situazione che permette loro di utilizzare una manodopera a basso costo e priva di diritti.

Come mette in rilievo la relazione che abbiamo approvato, 113 mila milioni di bambini in età scolare sono privi di istruzione elementare. Il fatto che i bambini non frequentino la scuola innesca un circolo vizioso che, a sua volta, determina una maggiore diffusione della povertà, rende sempre più difficile l’accesso alla cultura e all’istruzione e mantiene bassi i tassi di alfabetizzazione della società.

Questa situazione si verifica anche negli Stati membri dell’Unione europea. In Portogallo si stima che oltre il 4 per cento della popolazione infantile lavori in vari settori.

Pertanto, per combattere in modo efficace il lavoro infantile, la priorità deve essere eradicare la povertà, combattendo contro le sperequazioni nella distribuzione del reddito, promuovendo un lavoro tutelato da diritti, aumentando l’accesso all’istruzione e alla cultura e contrastando lo sfruttamento capitalistico.

 
  
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  Cecilia Malmström (ALDE), per iscritto.(SV) Oggi il Parlamento europeo ha votato a favore della proposta relativa alle misure intese a combattere il lavoro infantile. Si tratta di un fenomeno che molti, me compresa, ritenevano appartenesse ormai al passato. Purtroppo non tutti i paesi del mondo sono stati al passo con lo sviluppo. Per questo motivo oggi ho votato a favore di alcune proposte aggiuntive che suddividono il lavoro minorile in varie categorie, in quanto talvolta può essere l’unica alternativa alla prostituzione.

 
  
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  Sérgio Marques (PPE-DE), per iscritto.(PT) Attualmente 246 milioni di bambini nel mondo lavorano in ambienti pericolosi per la loro salute fisica e mentale. Il lavoro minorile non è un fenomeno che investe esclusivamente i paesi sottosviluppati o in via di sviluppo. Nell’Europa orientale e nell’area mediterranea milioni di bambini sono sfruttati sul luogo di lavoro. Il lavoro minorile è un problema complesso. In primo luogo è conseguenza della povertà, della disuguaglianza di opportunità e della mancanza di scolarizzazione.

Ho votato a favore della relazione che propone una serie di misure nella lotta tesa ad eliminare lo sfruttamento e il lavoro minorile; ad esempio si propone la creazione di una linea di bilancio speciale che ponga l’accento sulla protezione dei diritti dell’infanzia nel quadro dell’iniziativa europea per la democrazia e i diritti dell’uomo (EIDHR); si invita la Commissione ad assicurarsi che le politiche commerciali comunitarie siano coerenti con l’impegno di preservare e di promuovere i diritti dei bambini; si chiede che venga svolto uno studio sulla possibilità di introdurre un sistema comunitario di etichettatura per i prodotti importati nell’Unione europea in modo da attestare che siano stati fabbricati senza ricorrere a manodopera infantile.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Reputo positiva questa relazione che chiede di intensificare la lotta contro il lavoro infantile per mezzo della promozione dello sviluppo socioeconomico e della riduzione della povertà su più ampia scala.

Pur mettendo in pace la coscienza dei singoli, il boicottaggio commerciale e altre sanzioni sono un modo insoddisfacente di affrontare questa deleteria attività. E’ stato comprovato infatti che i bambini scacciati dalle fabbriche, trovandosi in condizioni disperate, sono soggetti a uno sfruttamento ancora più insidioso, come la prostituzione e la schiavitù domestica.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto.(PT) Nel mondo lavorano 352 milioni di bambini, di cui 179 milioni sono vittime di ciò che l’OIL definisce le peggiori forme di lavoro. Non possiamo far finta di ignorare questa situazione. Sappiamo tutti che si tratta di un fenomeno complesso che affonda le sue radici in problemi sociali ed economici di difficile soluzione. Tuttavia, per quanto la situazione possa essere complessa e terribilmente difficile, non possiamo disinteressarcene o precludere misure atte a mettere in campo una strategia efficace per spezzare il circolo della degradazione umana.

Il lavoro minorile perpetua la povertà e ostacola lo sviluppo. Abbassa il livello salariale, causa disoccupazione tra gli adulti e impedisce ai bambini di ricevere un’istruzione. E’ pertanto di cruciale importanza combattere l’ignoranza e promuovere la diffusione dell’istruzione universale.

L’istruzione è senza dubbio uno dei mezzi più efficaci a nostra disposizione per spezzare la spirale della povertà e uno degli elementi cruciali dello sviluppo umano sostenibile. Per questi motivi ho votato a favore della relazione Mavrommatis.

 
  
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  Catherine Stihler (PSE), per iscritto.(EN) Dobbiamo fare tutto il possibile per combattere lo sfruttamento dei bambini nei paesi in via di sviluppo. Questa relazione si collega direttamente alla campagna “Fare della povertà un elemento del passato”, in quanto lo sfruttamento dei bambini è spesso legato alla povertà. Dobbiamo fare tutto il possibile per rendere equo il commercio, sostenere l’alleggerimento del debito e assicurare aiuti ai più poveri. Mi auguro che i deputati firmeranno la nostra dichiarazione scritta sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio che saranno presenti in questa agenda cruciale. Mi auguro inoltre che i leader del G8 che si incontreranno in Scozia domani compiranno ulteriori progressi per consegnare la povertà alla storia.

 
  
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  Anders Wijkman (PPE-DE), per iscritto.(SV) Oggi il Parlamento europeo ha approvato una relazione che presenta proposte relative a una serie di impegni per combattere il lavoro minorile. La relazione ad esempio afferma che l’istruzione universale è di capitale importanza nella lotta contro il lavoro minorile e la povertà. E’ mia ferma convinzione che tutti i bambini debbano essere tutelati da lavori che li danneggino. E’ tuttavia importante tener presente che un divieto generico non è realistico finché esiste una povertà diffusa e vi sono limitate possibilità di istruzione. Alcune forme di lavoro, ad esempio quelle in cui si rende possibile l’istruzione sul posto di lavoro, possono infatti fornire un contributo positivo.

La relazione inoltre si occupa delle responsabilità delle imprese e propone, ad esempio, che siano avviati procedimenti legali nei confronti delle imprese che importano merci prodotte in violazione delle convenzioni fondamentali dell’OIL. Credo che occorra sfruttare appieno le potenzialità di cui dispongono gli attori economici per accrescere il rispetto dei diritti umani e delle convenzioni internazionali. Sostengo pertanto con forza iniziative come il “Global Compact” e la “Global Responsibility” del governo svedese. Approvare una legislazione e rendere possibile avviare procedimenti legali a livello comunitario, pur essendo un passo di capitale importanza, rischierebbe però di far fallire gli obiettivi, ovvero il miglioramento della posizione dei minori e la lotta alla povertà.

 

24. Correzioni di voto: vedasi processo verbale
  

(La seduta, sospesa alle 12.50, riprende alle 15.05)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MAURO
Vicepresidente

 

25. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale

26. Fondi strutturali
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta:

– la relazione interlocutoria, presentata dall’onorevole Konstantinos Hatzidakis, a nome della commissione per lo sviluppo regionale, sulla proposta di regolamento del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione [COM(2004)04922004/0163(AVC)] (A6-0177/2005),

– la relazione interlocutoria, presentata dall’onorevole Alfonso Andria, a nome della commissione per lo sviluppo regionale, sulla proposta di regolamento del Consiglio che istituisce il Fondo di coesione [COM(2004)04942004/0166(AVC)] (A6-0178/2005),

– la relazione, presentata dall’onorevole Giovanni Claudio Fava, a nome della commissione per lo sviluppo regionale, sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale [COM(2004)0495 – C6-0089/2004 – 2004/0167(COD)] (A6-0184/2005)

– la relazione, presentata dall’onorevole Jan Olbrycht, a nome della commissione per lo sviluppo regionale, sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’istituzione di un gruppo europeo di cooperazione transfrontaliera (GECT) [COM(2004)0496 – C6-0091/2004 – 2004/0168(COD)] (A6-0206/2005),

– la relazione, presentata dall’onorevole José Albino Silva Peneda, a nome della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo sociale europeo [COM(2004)0493 – C6-0090/2004 – 2004/0165(COD)] (A6-0216/2005)

– la relazione, presentata dall’onorevole David Casa, a nome della commissione per la pesca, sulla proposta di regolamento del Consiglio: Fondo europeo per la pesca [COM(2004)0497 – C6-0212/2004 – 2004/0169(CNS)] (A6-0217/2005)

 
  
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  Konstantinos Hatzidakis (PPE-DE), relatore. – (EL) Signor Presidente, ritengo che oggi, dopo il fallito accordo in seno al Consiglio sulle prospettive finanziarie e, ovviamente, anche sul quadro finanziario per la politica regionale per il periodo 2007-2013, il Parlamento stia trasmettendo ai cittadini e al Consiglio il chiaro messaggio che siamo qui, continuiamo a sostenere le politiche di coesione e lavoreremo a favore di un bilancio forte e in ogni caso adeguato per la politica regionale. In questo contesto, invitiamo il Consiglio a riesaminare immediatamente la questione e pervenire quanto prima a una decisione, almeno entro la fine del 2005, per far sì che gli Stati membri e le regioni dispongano di un periodo sufficiente per preparare i loro programmi ed evitare i problemi di ritardo che abbiamo avuto nel periodo di programmazione in corso per quanto riguarda la data d’inizio dei programmi.

Vorrei inoltre rilevare che il Parlamento insiste, anche nell’ambito della mia relazione, sulla posizione adottata nella relazione Béguin riguardo al finanziamento delle politiche di coesione. Sosteniamo un pacchetto dell’ordine dello 0,41 per cento del prodotto nazionale lordo degli Stati membri dell’Unione europea, che si traduce in 336 miliardi di euro per il periodo 2007-2013. Riteniamo che qualsiasi taglio della spesa per la politica regionale comprometterà la credibilità della politica stessa.

La mia relazione, nella versione approvata dalla commissione per lo sviluppo regionale, contiene anche altre importanti previsioni, che vorrei ricordare sia al Ministro britannico presente sia al Commissario.

Innanzi tutto, proponiamo di riutilizzare le risorse non spese a causa dell’applicazione rigida delle norme N+2 nel quadro della politica regionale. Proponiamo che tali risorse, anziché essere riversate nei contributi netti al bilancio europeo, siano riutilizzate dai paesi e dalle regioni della coesione i cui risultati dimostrino che sono in grado di utilizzare altre risorse.

In secondo luogo, chiediamo l’adozione di decisioni politiche, al fine di prevedere un indennizzo per le regioni e gli Stati membri che risentono maggiormente dell’applicazione rigida delle nuove regole proposte dalla Commissione europea riguardo alla ripartizione delle risorse. Riteniamo che il Consiglio debba prendere in considerazione questa proposta e immagino che lo farà, in quanto incide direttamente sull’equa ripartizione delle risorse. Non dobbiamo porre la matematica sopra tutto il resto.

Al tempo stesso, in questo quadro, sono stati presentati emendamenti sostenuti dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei per riservare un migliore trattamento alle regioni soggette all’effetto statistico. Proponiamo un sostegno iniziale dell’85 per cento che sarà poi ridotto al 60 per cento, cioè cifre molto più elevate rispetto a quelle previste dalla Commissione europea.

Per quanto riguarda le regioni soggette all’effetto naturale, cioè le regioni che non soddisfano più i criteri di ammissibilità per l’obiettivo di convergenza, ma che riceveranno un finanziamento transitorio a titolo dell’obiettivo di competitività e occupazione, proponiamo che tali regioni, se lo desiderano, siano ammesse a beneficiare delle stesse azioni e finanziamenti previsti per le regioni che rientrano nell’obiettivo di convergenza.

Chiediamo anche un trattamento più favorevole sia per queste regioni sia per le regioni soggette all’effetto statistico per quanto riguarda gli aiuti di Stato e gli incentivi all’investimento. Sosteniamo la creazione di una riserva comunitaria di qualità ed efficacia, che dovrebbe incentivare tutti gli Stati membri a migliorare le loro prestazioni e conseguire uno sviluppo reale. Attraverso la concorrenza otterremo risultati migliori sia per gli Stati membri sia per il bilancio comunitario.

Infine, la mia relazione prevede l’accessibilità per le persone disabili come condizione essenziale per beneficiare dell’intervento dei Fondi. Riteniamo che tutti i progetti che non sono accessibili ai nostri concittadini portatori di handicap non debbano essere finanziati a titolo dei Fondi strutturali e che il loro finanziamento debba essere sospeso. E’ il minimo che il Parlamento europeo possa fare.

(Applausi)

 
  
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  Alfonso Andria (ALDE), relatore. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione che presento oggi è stata caratterizzata, nella sua articolata fase di redazione, da un metodo di lavoro improntato al dialogo, anche al di là delle specifiche appartenenze politiche, e a un’intensa collaborazione, in primo luogo all’interno della commissione parlamentare per lo sviluppo regionale e successivamente presso il Comitato delle regioni con i rappresentanti del Consiglio e con le tante associazioni e organizzazioni non governative.

Ho ritenuto doveroso prestare particolare attenzione al contatto e allo scambio di opinioni con i colleghi deputati, con i relatori ombra per i gruppi politici e con i relatori per parere delle altre commissioni parlamentari, nonché con i colleghi del mio gruppo di appartenenza, vale a dire il gruppo ALDE.

Sin dal primo momento, ho molto apprezzato – e desidero ripeterlo pubblicamente in questa sede – la particolare attenzione del Commissario signora Danuta Hübner, la quale, nelle numerose occasioni di incontro e ancora fino a ieri sera, ha sempre manifestato grande disponibilità e apertura a recepire le istanze del Parlamento.

Del resto ho sempre guardato con grande interesse alla proposta originaria della Commissione relativa al regolamento per il Fondo di coesione, che oggi, alla stregua della crisi che ha investito l’Unione e al mancato accordo sulle Prospettive finanziarie, assume un’ulteriore valenza, poiché fornisce una risposta adeguata alle esigenze di un’Unione allargata, puntando alla coesione economica e sociale. Condivido pertanto gli auspici espressi dal collega Hatzidakis in ordine alla tempestiva risoluzione del problema delle Prospettive finanziarie entro la fine di quest’anno.

La politica regionale rappresenta il migliore strumento per avvicinare i cittadini all’Europa e per questo deve avere obiettivi ambiziosi ed essere dotata degli strumenti necessari per raggiungerli. Pertanto vorrei sottolineare l’importanza di aumentare la dotazione finanziaria del Fondo di coesione dai 18 miliardi di euro previsti per il periodo di programmazione 2000-2006 a 62,99 miliardi di euro, qualora si raggiungesse in sede di Consiglio un accordo sulla proposta approvata dal Parlamento l’8 giugno scorso.

Inoltre, l’ampliamento del campo di applicazione delle azioni del Fondo di coesione è conforme alle relative disposizioni del Trattato, è in linea con le priorità decise a Lisbona e si iscrive nella prospettiva di sviluppo sostenibile di Göteborg. Ciò permetterà di rispondere al grande fabbisogno di finanziamenti degli Stati membri beneficiari nei settori dell’ambiente, delle infrastrutture per i trasporti e dello sviluppo sostenibile.

Durante il lavoro che ho svolto in seno alla commissione per lo sviluppo regionale, ho cercato di effettuare alcune modifiche e di arricchire il testo della Commissione con una serie di elementi originali, quali l’introduzione di un premium system sotto forma di riserva comunitaria di qualità e di efficacia e il rafforzamento di scambi attraverso la valorizzazione delle best practices per le amministrazioni nazionali, regionali e locali.

Ho chiesto alla Commissione di elaborare un elenco di priorità indicative nella fase di programmazione, ai fini della qualità e dell’efficacia dei finanziamenti comunitari. Ho evidenziato il tema delle disabilità, chiedendo che sia inserito un esplicito riferimento ai disabili nell’articolo 2 del regolamento generale e che i progetti finanziati dal Fondo di coesione prevedano la possibilità di rimuovere barriere e ostacoli di ogni tipo. Ho anche dato spazio al grande tema dell’ambiente, chiedendo garanzie di maggiore coerenza tra i progetti finanziati a titolo del Fondo di coesione e quelli finanziati nell’ambito di altri programmi comunitari. Infine, ho fatto un riferimento marcato agli Stati insulari e periferici, invitando la Commissione a tenere conto dei loro svantaggi naturali e demografici.

Signor Presidente, con riferimento agli emendamenti presentati devo anche aggiungere che personalmente non ritengo possibile accogliere – e lo dico anche a nome del mio gruppo – tutto ciò che riguarda la questione della non applicazione della regola N+2 per il Fondo di coesione, ossia l’introduzione del disimpegno di ufficio.

La mia esperienza pregressa di amministratore locale mi ha insegnato che questa norma contribuisce efficacemente alla corretta e accurata preparazione dei progetti e alla gestione dei fondi. Auspico quindi che la Commissione consenta una maggiore flessibilità nell’applicazione e affronti il problema dell’IVA non rimborsabile affinché sia ammissibile al finanziamento dei fondi.

A tale riguardo esiste una posizione abbastanza precisa, che il Commissario Danuta Hübner ha voluto sollecitare ancora una volta ieri in commissione, affermando che rendere ammissibile l’IVA vorrebbe dire ridurre le risorse finanziarie disponibili per il resto della politica di coesione.

In commissione la mia relazione è stata approvata a larghissima maggioranza e auspico che possa avvenire altrettanto in Aula.

 
  
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  Giovanni Claudio Fava (PSE), relatore. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio anch’io la signora Commissario e gli altri relatori. Credo che abbiamo dato vita a un percorso di lavoro utile a tutti, anche in considerazione della qualità delle relazioni che stiamo presentando al voto in Aula.

Io mi occupo del Fondo europeo di sviluppo regionale, che è certamente il più importante dei Fondi strutturali per quantità di risorse. E’ stato istituito trent’anni fa e ha la funzione fondamentale di correggere gli squilibri regionali presenti in Europa. Si tratta di una funzione che viene fissata da un articolo del Trattato, che ci richiama alle esigenze e alle necessità di un’Europa fondata sulla solidarietà, sulla capacità di costruire pari opportunità e condizioni di equità, soprattutto adesso che ci troviamo di fronte alla sfida dell’allargamento.

I dieci nuovi Stati membri rappresentano una grande risorsa sul piano della qualità della politica, un grande passo in avanti della storia in Europa. Tuttavia, dobbiamo anche ricordare che si accentuano gli squilibri regionali. In questo momento, un terzo di tutte le risorse europee appartiene a un’area geografica che copre soltanto un decimo dell’Unione europea e abbiamo registrato un raddoppio del numero delle regioni ammissibili all’Obiettivo 1, vale a dire delle regioni con forti squilibri strutturali e forti difficoltà economiche.

Questa è dunque la funzione sostanziale di una politica di attenzione e di solidarietà. Se l’Unione fosse soltanto un’area di libero scambio, potremmo limitarci a ridistribuire i redditi tra le regioni più ricche e le regioni più povere. Al contrario – e per questo rivolgo il mio apprezzamento alla signora Commissario – disponiamo della scelta di un progetto politico, sociale ed economico che viene affidato ai Fondi strutturali, ovvero della scelta di un modello di sviluppo che serva nel suo complesso al processo di integrazione europea.

Si tratta di un modello di sviluppo che fa alcune scelte significative. Privilegia la scelta di campo che fu fatta a Göteborg e a Lisbona e dunque sceglie la via dell’economia della conoscenza, il sapere, l’innovazione, la ricerca scientifica, la formazione, intesa come un’opportunità permanente durante tutto l’arco della vita di uomini e donne, nonché la prevenzione dei rischi e lo sviluppo sostenibile. Si tratta di un progetto molto ambizioso che naturalmente ha un obiettivo trasversale, vale a dire la qualità della spesa.

Signor Presidente e signora Commissario, non abbiamo sempre speso tutto e, anche quando lo abbiamo fatto, non abbiamo sempre speso bene. Ci sono regioni – anche nel mio paese – che hanno ricevuto molte risorse ma che sono rimaste ferme agli indici di disagio che hanno conosciuto dieci, quindici o vent’anni fa per quanto riguarda i livelli di occupazione, la qualità e l’articolazione delle infrastrutture, la ricerca scientifica e i processi di innovazione.

E’ dunque chiaro che dobbiamo compiere un salto di qualità sul piano della congruità della spesa e affinché questo possa avvenire dobbiamo selezionare gli obiettivi stabilendo poche priorità. E’ per questo motivo che il nostro gruppo è contrario al desiderio, peraltro comprensibile ma non necessario, di allargare indiscriminatamente i campi di intervento di questo fondo strutturale.

Noi proponiamo un voto contrario ad alcuni emendamenti che vorrebbero sovrapporre troppi obiettivi e troppe priorità. Proponiamo di votare contro il comprensibile auspicio di alcuni colleghi di includere l’IVA tra le spese rimborsabili. Non vogliamo riaprire un dibattito che è stato ampiamente svolto in commissione, ma riteniamo che l’imposta sul valore aggiunto abbia determinato in passato, come è stato ricordato dal Consiglio, dalla Commissione e dalla Corte dei Conti, notevoli abusi quando si trattava di rimborsare una parte dell’IVA. In particolare riteniamo che tale inclusione creerebbe una sperequazione intollerabile tra paesi con aliquote IVA che variano tra l’1 e il 25 per cento.

Lo stesso riguarda la costruzione di nuovi alloggi. Abbiamo approvato un emendamento, che ci auguriamo sarà accolto dalla Commissione, relativo alla costruzione di alloggi sociali. Tuttavia, ritenere di poter investire i Fondi strutturali genericamente nell’edilizia abitativa vorrebbe dire sottrarre sostanzialmente risorse a tali fondi.

Siamo soddisfatti dei risultati raggiunti. Abbiamo rafforzato il ruolo del partenariato, che noi consideriamo una grande scuola di civiltà e di pratica democratica. Abbiamo ottenuto che venga prestata una particolare attenzione anche alla lotta contro la criminalità organizzata e alla criminalità mafiosa, prevedendo la possibilità di utilizzare i Fondi strutturali anche per creare il know-how necessario per fare fronte alla pervasività della criminalità mafiosa. Abbiamo inoltre ottenuto che il principio della non discriminazione fosse un principio orizzontale. Nel merito il relatore presenta soltanto due emendamenti, che hanno il compito di portare a unità e coerenza l’intero testo.

Concludo ricordando, come faceva il collega Hatzidakis, che la qualità della nostra spesa è comunque subordinata all’esistenza di risorse sufficienti. Ecco perché credo che questo Parlamento debba fare in modo che non vengano sottratte risorse alla solidarietà, ovvero alla capacità di costruire un’Europa che viaggi ad una sola velocità. Non si tratta solo di un principio fissato nei Trattati, ma è il principio al quale noi dobbiamo affidare il futuro del processo dell’integrazione politica ed economica in Europa.

 
  
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  Jan Olbrycht (PPE-DE), relatore. – (PL) Signor Presidente, signor Commissario, signor Ministro Michael, vorrei fare alcune osservazioni sulla relazione. Cercherò di esprimermi in veste di relatore, e non come rappresentante del mio partito politico.

La cooperazione transfrontaliera è uno dei modi più ovvi ed efficaci di creare legami tra individui e promuovere buone relazioni tra comunità locali e regionali e interi paesi. La cooperazione transfrontaliera vanta già una ricca tradizione e ha ottenuto notevole successo nei numerosi anni in cui è stata realizzata. Sono anche state sviluppate diverse forme organizzative per tale cooperazione. L’Unione conosce i molteplici vantaggi che si possono trarre da questa forma di cooperazione internazionale e la sostiene quindi sia al suo interno, lungo le frontiere tra Stati membri e tra regioni situate a una certa distanza tra loro, sia lungo le frontiere esterne dell’Unione. A tal fine si utilizzano vari tipi di strumenti finanziari.

Nel periodo di programmazione in corso sono state attuate numerose misure a livello transfrontaliero, transnazionale e interregionale, per usare la terminologia dei programmi INTERREG IIIA, IIIB e IIIC. Il regolamento in esame è una nuova proposta legislativa, che può contribuire a lanciare molte forme di cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale e a semplificare l’attuazione di iniziative comuni e garantire un uso più efficace dei finanziamenti destinati a tale scopo.

Il nuovo regolamento offre alle autorità pubbliche a tutti i livelli l’opportunità di creare un nuovo strumento nel territorio di uno dei paesi interessati. Tale strumento sarà dotato di personalità giuridica nel paese in cui ha stabilito la propria sede e successivamente notificato a tutti gli Stati membri, alla Commissione europea e al Comitato delle regioni. Questa è la proposta contenuta nella mia relazione.

Le entità che costituiscono un gruppo europeo di cooperazione transfrontaliera – nel testo originario si usa il termine “transfrontaliero”, ma nella mia relazione propongo di sostituirlo con l'aggettivo “territoriale” – potranno trasferire al gruppo determinati servizi pubblici, nonché affidargli alcuni loro compiti, come previsto nei regolamenti pertinenti. La creazione di tali strumenti è forse una delle prime proposte nella storia dell’Unione europea che prevede la costituzione di un’entità veramente europea e al tempo stesso dà impulso pratico all’attuazione del principio di sussidiarietà.

A mio parere, il Parlamento dovrebbe appoggiare questa idea, al fine di trasmettere un segnale molto chiaro e misurabile sul sostegno che esso accorda a tali azioni a livello locale, regionale e nazionale, nonché a livello interlocale e interregionale e tra i paesi impegnati nella costruzione di un’Unione coesa, e di rafforzare al tempo stesso il principio di sussidiarietà. Vale la pena di rilevare che, sebbene il regolamento non contenga alcuna decisione relativa agli aspetti finanziari, esso fa parte di un pacchetto riguardante la politica di coesione. Ciò è dovuto al fatto che si basa sulle disposizioni del Trattato relative alla creazione di strumenti volti a promuovere l’uso dei Fondi strutturali ed azioni specifiche al di fuori dei Fondi.

In veste di relatore, so che sono emerse molte questioni e perplessità nel corso dei lavori relativi a questo strumento. Ciò è normale in una situazione in cui si affronta un nuovo strumento che non è ancora stato messo alla prova e che non ha ancora alcun equivalente nelle forme giuridiche esistenti.

Ritengo tuttavia che in questo caso la procedura di codecisione renderà possibile raggiungere una posizione che darà impulso alle azioni transfrontaliere attualmente esistenti e ci permetterà di creare un notevole livello di valore aggiunto europeo.

(Applausi)

 
  
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  José Albino Silva Peneda (PPE-DE), relatore. – (PT) Signor Presidente, signor Commissario, signor Ministro, il Fondo sociale europeo (FSE) ha una tradizione di oltre 40 anni. Inizialmente rappresentava uno strumento decisivo per lo sviluppo della formazione professionale e il reinsediamento di oltre 2 milioni di lavoratori che all’epoca erano impiegati in settori sottoposti a profonde ristrutturazioni.

In seguito all’adozione del primo programma di azione sociale e dell’Atto unico europeo, l’FSE ha cominciato a intervenire nei campi della protezione dell’occupazione, della partecipazione dei lavoratori, della parità di trattamento tra uomini e donne, della salute e sicurezza sul lavoro e della prevenzione dei fenomeni di dumping sociale. Successivamente, gli elementi più significativi nello sviluppo della politica sociale europea – e di conseguenza del Fondo sociale europeo – sono stati il Trattato di Maastricht, che ha enunciato come uno degli obiettivi dell’Unione europea la promozione di un elevato livello di occupazione, e i Trattati di Amsterdam e di Nizza.

Infine, lo sviluppo più recente è rappresentato dal Trattato costituzionale, che stabilisce come obiettivi dell’Unione la piena occupazione, il progresso sociale e la lotta all’esclusione. Alla luce di questa evoluzione, la Commissione ha presentato una proposta di revisione del regolamento relativo al Fondo sociale europeo, che si basa su tre punti: primo, la strategia di Lisbona; secondo, la necessità di semplificare i testi e le procedure; terzo, il legame tra l’FSE e la strategia europea per l’occupazione.

Esaminiamo il primo, la strategia di Lisbona. Per quanto riguarda la modernizzazione del modello sociale europeo, gli investimenti nelle risorse umane, la lotta all’esclusione sociale e una serie di azioni prioritarie, quali la creazione di uno spazio europeo di ricerca e di innovazione e gli investimenti nei sistemi di istruzione e formazione, al fine di rispondere alle esigenze della società della conoscenza e alla necessità di creare nuovi e migliori posti di lavoro, ritengo che il regolamento proposto sia uno strumento adeguato.

Per quanto riguarda la semplificazione dei testi e delle procedure, è vero che le proposte della Commissione esprimono già una chiara volontà di semplificazione in diversi settori, quali la programmazione, la gestione finanziaria e il cofinanziamento; è altrettanto vero, però, che sussistono ancora molti settori in cui è necessario compiere uno sforzo maggiore di semplificazione e di razionalizzazione. Quanto alla relazione tra il Fondo sociale europeo e la strategia europea per l’occupazione, in generale ritengo che la proposta di regolamento relativo al Fondo sociale europeo recepisca in modo positivo entrambi gli strumenti.

Vorrei ora esaminare i due emendamenti che ho proposto di introdurre nella proposta iniziale della Commissione. Il primo riguarda l’inclusione sociale. Ritengo che le questioni legate all’inclusione sociale non si possano risolvere unicamente nel quadro della politica per l’occupazione e il mercato del lavoro, in quanto esistono situazioni che impongono, a monte, un intervento di tipo più ampio e interdisciplinare. Per questo motivo, ho ritenuto che l’FSE dovesse essere più ambizioso e ho quindi proposto che l’azione del Fondo non si esaurisca alla sfera della strategia europea per l’occupazione, in quanto è dotata di un margine d’intervento più ampio. In altre parole, ho voluto evidenziare il contributo che può dare l’FSE a favore dell’inclusione sociale.

L’altro emendamento significativo alla proposta della Commissione ora all’esame dell’Assemblea riguarda la differenziazione originariamente prevista tra le azioni che si sarebbero potute realizzare a titolo del Fondo sociale europeo nelle regioni dell’obiettivo “Convergenza” e nelle regioni dell’obiettivo “Competitività”.

Ho sempre sostenuto che il Fondo sociale europeo deve avere il campo di applicazione più ampio possibile, perché è uno strumento volto ad aiutare le persone, indipendentemente dalle regioni in cui vivono. I contatti tra la Commissione e i gruppi politici interessati hanno permesso di pervenire a una soluzione di compromesso che garantisce la coerenza delle politiche e la concentrazione delle risorse nelle regioni con i maggiori problemi di sviluppo. Questa è la soluzione di compromesso che propongo ora all’Assemblea.

So che esistono punti di divergenza tra la Commissione e il Consiglio. Nella mia proposta, ho espresso posizioni chiare in proposito. Per esempio, condivido il parere della Commissione riguardo alla cooperazione transnazionale e all’innovazione e ho proposto che il finanziamento da parte degli Stati membri sia reso obbligatorio. Condivido la posizione adottata dalla Commissione anche riguardo al sostegno alle parti sociali e ho proposto di prevedere una distinzione tra parti sociali e organizzazioni non governative in merito a diversi aspetti di carattere normativo.

Infine, signor Presidente, vorrei dare risalto all’ottimo clima di cooperazione che si è instaurato tra la Commissione e i diversi gruppi politici interessati durante la stesura della relazione, una cooperazione e un impegno che hanno agevolato enormemente il mio lavoro. Rivolgo a tutti i miei sinceri ringraziamenti.

(Applausi)

 
  
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  David Casa (PPE-DE), relatore. – (MT) Un Fondo europeo per la pesca è uno strumento fondamentale per il settore della pesca per i prossimi anni. La grande importanza che questa industria riveste per l’Unione europea è universalmente riconosciuta. E’ un settore che garantisce il sostentamento di migliaia di famiglie, le quali di fatto dipendono da questa attività, che riveste enorme importanza nella maggior parte degli Stati membri dell’Unione europea. Il Fondo europeo per la pesca è un progetto innovativo, che realizzerà l’obiettivo cruciale di riforma della politica comune della pesca, consentendo così di semplificare e decentrare il sistema di distribuzione dei fondi e permettendo all’Unione europea di rispondere alle sfide legate all’adesione di dieci nuovi Stati membri. Il Fondo comune per la pesca mantiene i principi fondamentali degli altri Fondi strutturali, cioè sussidiarietà, programmazione e sorveglianza pluriennali, partenariato e cofinanziamento. Un aspetto positivo riguarda il fatto che gli aiuti a titolo del Fondo europeo per la pesca proposto prevedono un’azione integrata a livello locale, incentrata su una strategia territoriale in materia, e l’analisi separata di ogni situazione locale. In primo luogo esso costituisce uno strumento finanziario che forma parte integrante della politica comune della pesca, allo scopo specifico di controllare la gestione delle risorse, contribuire a migliorare le strutture di produzione e creare condizioni favorevoli al loro sviluppo sostenibile.

In secondo luogo, esso rispetta i principi di coesione, consentendo un trattamento differenziato delle diverse regioni dell’Unione europea in funzione del loro livello di sviluppo e prosperità. La commissione per la pesca del Parlamento ha svolto ampie consultazioni. Abbiamo incontrato tutte le parti interessate del settore, abbiamo consultato i pescatori e i rappresentanti degli Stati membri, in quanto volevamo garantire che le esigenze del settore trovassero accurata espressione nella relazione.

Sebbene gli Stati membri abbiano accolto favorevolmente la creazione del Fondo europeo per la pesca, le cui finalità sono in linea con la riforma della politica della pesca, sono emerse alcune preoccupazioni per il fatto che il Fondo non affronta adeguatamente il rinnovo delle flotte. I rappresentanti hanno proposto di includere nel progetto di regolamento il rinnovo e l’ammodernamento delle flotte da pesca e al tempo stesso di tenere aperta la possibilità di nuove costruzioni che non comportino un aumento dello sforzo di pesca. E’ parere diffuso che la Commissione abbia dedicato un’attenzione eccessiva all’aspetto ambientale, ignorando i rischi che alcune misure potrebbero costituire per l’industria della pesca. Forse, con il contributo della ricerca scientifica, si potrà pervenire a un compromesso più costruttivo e bilanciato e raggiungere così un equilibrio tra la tutela delle risorse e l’efficienza socioeconomica del settore.

Ritengo che la relazione che voteremo domani tenga adeguatamente conto delle necessità di tutti i soggetti che operano nel settore. Intendiamo trasmettere un forte messaggio sia alla Commissione sia al settore e vogliamo che quest’ultimo rimanga sano e sostenibile nei prossimi anni. Considero fondamentale che vi sia accordo sui principi in base ai quali assegneremo i Fondi al settore della pesca. Purtroppo, la dotazione proposta per il Fondo europeo per la pesca è rimasta praticamente identica, cioè circa 5 miliardi di euro, anche se l’Unione europea ha dovuto aumentare la sua quota in quanto è ora composta da venticinque Stati membri anziché quindici. Ne consegue che, rispetto al passato, ogni paese riceverà una percentuale inferiore dei fondi. La tutela dell’ambiente è un aspetto che desta molte preoccupazioni e le precauzioni eccessive portano a una tutela eccessiva. Vale inoltre la pena di rilevare che sarà possibile beneficiare di assistenza tecnica a titolo del Fondo. Ci auguriamo che la relazione garantisca una maggiore flessibilità e al riguardo riconosciamo che i cittadini europei si attendono l’eliminazione degli oneri burocratici non necessari. Ritengo che questa fosse l’intenzione di tutti coloro che hanno partecipato alla stesura della relazione e abbiamo fatto tutto il possibile per eliminare tale fattore. Come ho già detto, abbiamo raggiunto un accordo sul rinnovo delle flotte, che è un aspetto molto importante, abbiamo raggiunto un accordo sull’ammodernamento delle flotte e sulla ristrutturazione delle flotte costiere; abbiamo bisogno di una flotta competitiva ed efficiente per il futuro, affinché il settore rimanga realmente sostenibile. Com’è stato ricordato, la commissione per la pesca ha già espresso vari pareri in materia e sono stati esaminati diversi aspetti della proposta, tra cui i problemi di sviluppo sostenibile, l’acquacoltura e le problematiche riguardanti la flotta e l’attuazione del Fondo. In veste di relatore, posso dire che sono soddisfatto del risultato finale. Ritengo che la relazione riunisca con successo gli aspetti più importanti e abbia inoltre sufficiente peso politico per permettere al settore della pesca di rimanere sano e sostenibile, sia in termini finanziari che sotto il profilo ambientale.

Concluderò rammentando all’Assemblea che il calendario è stato dimezzato al fine di riuscire a esaminare tutti gli elementi entro oggi e, se non fosse stato per il contributo del coordinatore e consulente del mio gruppo e di diverse altre persone, soprattutto i rappresentanti della Commissione e il mio staff personale, non credo che saremmo riusciti a concludere il lavoro. Ringrazio tutti per la collaborazione.

 
  
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  Alun Michael, Presidente in carica del Consiglio. – (EN) Signor Presidente, sono lieto di partecipare a questa importantissima discussione sul futuro dei Fondi strutturali e di coesione, perché il pacchetto della Commissione europea, comprendente cinque progetti di regolamenti, riveste grande significato. Essi stabiliranno un quadro esauriente per l’attuazione della politica regionale dell’Unione europea per l’intero periodo di sette anni coperto dalle prospettive finanziarie. E’ molto importante che il Consiglio e il Parlamento europeo lavorino in stretta cooperazione per ottenere un risultato positivo.

La commissione per lo sviluppo regionale ha elaborato ottime relazioni sui progetti di regolamenti. Sebbene esistano divergenze di opinione tra il Consiglio e il Parlamento su alcuni aspetti, abbiamo molti obiettivi e preoccupazioni comuni. Vorrei ringraziare gli onorevoli Hatzidakis, Andria, Fava, Olbrycht e Silva Peneda per l’arduo lavoro svolto e per le utili osservazioni con cui hanno aperto la discussione oggi pomeriggio.

Devo segnalare all’onorevole Hatzidakis che oggi intervengo a nome della Presidenza e sottolineo la necessità di accordo. Dico questo perché l’onorevole deputato si è riferito a me come ministro del Regno Unito. Oggi non stiamo discutendo il livello del bilancio, anche se i sostenitori di una dotazione finanziaria più disciplinata ritengono che essa accrescerebbe la credibilità dell’Unione e favorirebbe un migliore indirizzamento delle risorse là dove sono più necessarie. Tuttavia, è merito di tutti, in particolare del Parlamento, se gli aspetti concreti dei regolamenti proposti dalla Commissione sono discussi e sviluppati parallelamente alla discussione sul bilancio. So dalle riunioni svolte che il Commissario Hübner ha una visione molto pratica di queste problematiche e sono impaziente di ascoltare il suo intervento e quello del Commissario Špidla.

Non sto ignorando la relazione dell’onorevole Casa. So che il Parlamento esaminerà anche il progetto di regolamento relativo al Fondo europeo per la pesca in questa discussione. In qualità di ministro britannico responsabile della politica regionale, non posso fare commenti su questo importante dossier, ma mi impegno a riferire le vostre osservazioni al mio collega, Ben Bradshaw, ministro della Pesca del Regno Unito, che sarà in Parlamento la prossima settimana per discutere questa materia di grande rilevanza.

Vorrei sottolineare l’importanza attribuita dalla Presidenza britannica alla necessità di compiere progressi in questo importantissimo settore strategico. Riconosciamo che ciò richiede una cooperazione efficace con il Parlamento europeo. Molti progressi sono già stati compiuti durante le Presidenze dei Paesi Bassi e del Lussemburgo, ma molto resta da fare. Anche quando il Consiglio e il Parlamento avranno raggiunto l’accordo sui regolamenti, la Commissione e gli Stati membri dovranno condurre importanti discussioni bilaterali prima che si possa lanciare il nuovo ciclo di programmi e prima di poter distribuire i fondi, fondi estremamente necessari per contribuire a rigenerare le economie delle regioni più povere dell’Unione; da qui il nostro desiderio di compiere rapidi progressi durante la nostra Presidenza.

Tuttavia, come ho riconosciuto, questi negoziati sono strettamente legati alle discussioni più generali sul futuro finanziamento dell’Unione. I Fondi strutturali costituiscono il più vasto settore di spesa dell’Unione europea dopo l’agricoltura e rappresentano circa il 30 per cento del bilancio comunitario totale. Dobbiamo raggiungere l’accordo sul bilancio comunitario prima di poter finalizzare questi regolamenti.

Condividiamo le preoccupazioni del Parlamento europeo e di molti Stati membri – in particolare quelli di recente adesione – in merito a eventuali ritardi nel raggiungere un accordo sul bilancio e all’importanza di assicurare l’avvio tempestivo del nuovo ciclo di programmazione nel quadro dei Fondi strutturali.

Come vi ha detto il Primo Ministro Tony Blair meno di due settimane fa, riconosciamo pienamente l’importanza di raggiungere un accordo sul bilancio e intendiamo compiere quanti più progressi possibile durante la nostra Presidenza. Tuttavia, deve essere l’accordo giusto: un accordo che metta l’Unione in condizione di affrontare con efficacia le sfide del XXI secolo, che tenga conto del dibattito più generale sulla direzione futura dell’Unione e che soddisfi le esigenze dei nuovi Stati membri, al fine di garantire che l’allargamento dell’Unione continui a essere un successo.

Oltre alla questione del finanziamento, vi sono diverse altre questioni importanti da risolvere per quanto riguarda il trattamento della spesa a titolo dei Fondi strutturali e l’attuazione dei programmi. Discutiamo queste problematiche in seno al Consiglio dal settembre scorso e abbiamo compiuto buoni progressi. Il nostro obiettivo durante la Presidenza britannica è raggiungere quanto prima possibile un consenso sulle questioni tecniche in sospeso nei regolamenti, in modo da poter ultimare rapidamente l’intero pacchetto, una volta noto il risultato dei negoziati sul futuro quadro finanziario.

Questo è il motivo per cui sono molto lieto che svolgiate oggi questa importante discussione e che presto voterete le cinque relazioni. Ciò permetterà al Consiglio di avere una chiara comprensione dei pareri del Parlamento, che saranno molto importanti per la costruzione di un consenso tra le nostre due Istituzioni. Li esamineremo con grande attenzione in seno al Consiglio nell’ottica di raggiungere al più presto un accordo politico. Ascolterò con grande interesse il resto della discussione odierna.

 
  
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  Danuta Hübner, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, attraverso numerose sedute plenarie come questa e il lavoro instancabile delle sue commissioni, il Parlamento ha sempre svolto un ruolo decisivo nello sviluppo della politica di coesione europea. La Commissione apprezza la lungimiranza con cui avete contribuito alla nascita e allo sviluppo di una politica che, al di là dei suoi obiettivi economici, crea un legame sicuro tra l’Unione europea e i suoi cittadini. Questa discussione, in cui stiamo esaminando il futuro a medio termine della politica, è solo l’esempio più recente di tali sforzi.

Nell’esprimere il riconoscimento del vostro ruolo e la gratitudine della Commissione, vorrei, a un livello più personale, ringraziare i quattro relatori – onorevoli Hatzidakis, Fava, Andria e Olbrycht – per l’eccellente qualità delle loro relazioni. Ringrazio anche l’onorevole Galeote Quecedo, che ha guidato il lavoro della commissione per lo sviluppo regionale con grande efficienza. Insieme hanno preparato il terreno affinché oggi si potesse tenere una proficua discussione. Nel rispondere ora agli emendamenti da voi proposti, mi auguro di saper essere altrettanto chiara e convincente delle relazioni.

Come ho detto, stiamo discutendo il futuro della politica di coesione fino al 2013. Negli anni tra il 2007 e il 2013 la politica di coesione potrà fare affidamento sui risultati attuali, ma dobbiamo guardare avanti e compiere progressi. Possiamo ottenere un dividendo di crescita coinvolgendo maggiormente le regioni nella nostra modernizzazione economica e sociale. Questa è la posta in gioco nelle attuali discussioni sulla politica di coesione. La Commissione e il Parlamento comprendono il vantaggio di avere le regioni e le città dalla loro parte; si possono solo trarre benefici dal rafforzamento del loro ruolo di soggetti chiave nelle strategie di Lisbona e Göteborg. Alla luce di questi obiettivi generali, vorrei illustrare la risposta della Commissione agli emendamenti proposti, una risposta ispirata dai nostri obiettivi comuni. La Commissione è grata per il vostro sostegno su molti aspetti fondamentali. Ne elencherò alcuni.

Abbiamo una visione comune dell’architettura della politica, fondata sugli obiettivi della competitività regionale e dell’occupazione, della cooperazione regionale in varie forme e naturalmente della convergenza. E’ essenziale rilanciare la crescita delle regioni più povere e colmare il divario di ricchezza che le separa dal resto dell’Unione. A tal fine, la politica di coesione dell’Unione deve svolgere un ruolo di primo piano nel migliorare la crescita di produttività globale nell’insieme dell’Unione.

Abbiamo una visione comune della necessità imperativa di concentrare i finanziamenti nelle regioni più povere. Condivido pienamente il vostro parere che i quadri di riferimento strategici nazionali debbano essere oggetto dell’accordo tra gli Stati membri e la Commissione. Tale accordo deve costituire la base per la decisione finale della Commissione, conformemente all’articolo 26 del progetto di regolamento generale.

Abbiamo anche una visione comune del ruolo essenziale della politica di coesione nella promozione di un’economia moderna basata sulla conoscenza. Questo è il motivo per cui è importante che il Consiglio adotti orientamenti strategici per l’Unione nel suo insieme e per cui proponiamo che gli Stati membri elaborino strategie nazionali per la realizzazione di questi obiettivi. La relazione in esame sostiene questo parere. Tuttavia, devo dire all’Assemblea che la battaglia non è ancora vinta. Vi sono ancora alcuni passi da compiere per trasformare questa parte della proposta della Commissione e i pareri del Consiglio europeo in una realtà politica.

La Commissione e il Parlamento concordano anche sull’importanza della coesione territoriale, in altre parole comprendono entrambi che si può favorire la modernizzazione economica prestando particolare attenzione a determinate regioni europee.

L’attuale iniziativa URBAN, che è stata aggiunta alla politica di coesione su insistenza dell’Assemblea, è un grande successo e la Commissione intende valorizzarla assegnando una collocazione speciale non solo alle città, ma anche alle zone rurali. Abbiamo proposto un programma speciale per le regioni più remote e siamo lieti di avere il vostro sostegno.

Questi sono alcuni aspetti sui quali le risoluzioni all’esame del Parlamento esprimono fermo sostegno per le proposte della Commissione. Altre proposte avanzate dai relatori saranno accolte dalla Commissione. Forse posso fornire un paio di esempi. La vostra risoluzione propone di rafforzare la politica di coesione migliorando la cooperazione tra le operazioni cofinanziate dal FESR e altre politiche comunitarie. Condivido pienamente il vostro parere e mi sto adoperando a tal fine. Tuttavia, dobbiamo tutti comprendere che il perseguimento di questo obiettivo e la necessità di concentrare le nostre scarse risorse finanziarie significano che alcune tipologie di progetti non possono più figurare tra le nostre priorità.

Proponete anche di mantenere un potenziale specifico per la cooperazione interregionale nel quadro dell’obiettivo della cooperazione territoriale europea. La Commissione è d’accordo. Avete proposto di aumentare l’interoperabilità tra il FESR e l’FSE dal 5 al 10 per cento. Ciò offre maggiore flessibilità ai responsabili dei programmi regionali e nazionali e in alcuni casi garantisce uno stretto legame tra investimenti e formazione.

La Commissione lo considera un elemento molto utile e accoglie la proposta. Nel caso specifico della relazione dell’onorevole Olbrycht sul gruppo europeo di cooperazione transfrontaliera, sono lieta di potervi dire che la Commissione accoglie la maggioranza degli emendamenti del Parlamento. Il più importante è la proposta di sottoporre la registrazione dei gruppi europei alle norme e ai regolamenti applicabili alle associazioni nazionali.

L’esame degli emendamenti che la Commissione non può accogliere è sempre una questione un po’ più delicata. Farò riferimento a un paio di casi e mi auguro che le spiegazioni che fornirò riguardo ai motivi sottesi all’impostazione della Commissione convincano l’Assemblea. Ho già parlato della necessità di concentrare la politica di coesione sulla modernizzazione economica. Ho anche detto che ciò riveste particolare importanza per l’obiettivo di competitività regionale e occupazione. In questo ramo della politica, le risorse finanziarie sono particolarmente limitate e, inoltre, dobbiamo essere in grado di dimostrare il valore aggiunto per la situazione economica generale.

Alla luce di queste considerazioni, mi preoccupano gli emendamenti che mirano ad ampliare il campo di applicazione della politica, soprattutto l’obiettivo di competitività regionale. Comprendo il motivo per cui gli onorevoli deputati possono reputare necessario prevedere una certa apertura qui e là, ma vorrei chiedervi di riconoscere che, se non usiamo molta prudenza, la politica perderà la sua capacità di affrontare i problemi e i settori prioritari. Dobbiamo trovare il giusto equilibrio. Per esempio, non credo sia opportuno ampliare il campo di applicazione della politica in generale per comprendere gli aiuti operativi o mitigare le condizioni relative all’acquisto di terreni. Ciò non è dovuto a mancanza di sensibilità; è il riconoscimento della necessità impellente di concentrare la politica sulle sfide principali.

In questo contesto, vorrei accennare a due aspetti specifici: l’IVA e gli alloggi. Le discussioni sull’IVA e sugli alloggi derivano da uno sforzo della Commissione volto a semplificare la regolamentazione elencando chiaramente le voci di spesa che non possono beneficiare di finanziamenti.

Riguardo all’IVA, le discussioni in seno al Consiglio e gli emendamenti presentati dall’Assemblea dimostrano che questa parte della proposta della Commissione crea alcuni problemi, soprattutto nei nuovi Stati membri. Vogliamo evitare una situazione in cui i cofinanziamenti nel quadro del FESR finiscano direttamente nei bilanci nazionali, cofinanziando i pagamenti dell’IVA. Questa posizione, ne sono certa, è condivisa dall’Assemblea. Al tempo stesso, mi avete segnalato alcuni problemi: il costo per alcuni beneficiari, per esempio le organizzazioni del volontariato e le autorità locali, in quanto l’IVA che sono tenuti a pagare non è rimborsabile. Nelle prossime settimane la Commissione rifletterà quindi sulla sua proposta, al fine di trovare una soluzione alle vostre preoccupazioni.

Lo stesso vale per gli alloggi, anche se la soluzione forse non richiede una modifica della proposta della Commissione. Anche in questo caso, la Commissione non ritiene che le spese relative agli alloggi debbano essere ammesse a beneficiare di cofinanziamenti nel quadro della politica di coesione. Non si tratta di un cambiamento rispetto alla prassi precedente. E’ solo una precisazione. Risulta chiaro oggi, dagli emendamenti proposti dall’Assemblea e dalle discussioni svoltesi in seno al Consiglio, che quella che è stata intesa come una precisazione potrebbe creare confusione e complicare la vita ai responsabili dei programmi. La via d’uscita sembra essere l’adozione di una dichiarazione comune con il Consiglio che specifichi i tipi di investimenti associati agli alloggi ammessi a beneficiare di cofinanziamenti nel quadro del FESR. In tal modo chiariremmo, per esempio, che gli investimenti volti a migliorare l’efficienza energetica degli alloggi possono beneficiare di cofinanziamenti, così come gli investimenti volti a migliorare l’ambiente circostante gli alloggi sociali.

Un altro ambito in cui l’Assemblea ha presentato emendamenti riguarda la norma sul disimpegno automatico, la cosiddetta norma N+2, che sarà applicabile al Fondo di coesione dopo il 2007, in quanto la Commissione propone di passare dal metodo attuale basato sui progetti al metodo basato sui programmi.

Questa è la disciplina su cui s’incentrano gli attuali risultati di alta qualità dei programmi strategici ufficiali, e sta producendo effetti positivi sul terreno. Serve come forte incentivo per una rapida ed efficiente attuazione dei programmi. Riconosciamo tuttavia che l’applicazione di questa norma al Fondo di coesione può creare difficoltà, soprattutto nei nuovi Stati membri, in quanto il Fondo si concentra principalmente sui grandi progetti infrastrutturali, in cui il ciclo di investimento e le procedure per gli appalti pubblici sono notevolmente più lunghi e complessi. Non sottovalutiamo questi problemi. Per questo motivo, lavoriamo con la Presidenza e gli Stati membri al fine di conciliare la necessità di disciplina e di buona gestione finanziaria con la natura specifica del Fondo di coesione.

La Commissione non può accogliere alcune proposte dell’Assemblea che mirano a modificare le condizioni di attuazione della politica. In questo contesto, dobbiamo ovviamente ricordare l’importanza di conseguire una sana gestione finanziaria, il che ci porta a mantenere la chiarezza e operare una chiara distinzione tra il regolamento generale e i regolamenti relativi al FESR. Dobbiamo ricordare l’importanza della gestione decentrata e il ruolo delle regioni e degli Stati membri nella definizione delle strategie di sviluppo. Dobbiamo anche garantire che i nuovi regolamenti possano essere chiaramente compresi e applicati dai responsabili dei programmi e che non contengano messaggi politici o dichiarazioni d’intenti. Su queste basi, la Commissione non può accogliere alcuni emendamenti.

Conoscete bene le difficili condizioni in cui si sta svolgendo il dibattito sul futuro quadro finanziario. La Commissione ha bisogno del vostro pieno sostegno affinché entro il 2007 si possa attuare una politica di coesione ambiziosa che permetta di conseguire gli obiettivi di Lisbona e di Göteborg.

Adottando le vostre relazioni, trasmetterete un chiaro segnale al Consiglio della determinazione con cui intendete rispondere a questa importante sfida. Scegliendo di discutere ora la sua posizione sulla futura configurazione della politica di coesione, il Parlamento trasmette il messaggio che non abbiamo tempo da perdere. State esprimendo la volontà di garantire un futuro a medio termine per la politica di coesione entro la fine dell’anno. Avete il sostegno della Commissione. Stiamo facendo tutto il possibile per assicurare che le necessarie decisioni siano prese quanto prima possibile durante la Presidenza britannica, affinché i nuovi programmi degli Stati membri e delle regioni nel quadro della politica di coesione siano pronti a entrare in funzione all’inizio del 2007.

 
  
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  Vladimír Špidla, Membro della Commissione. – (CS) Onorevoli deputati, vorrei innanzi tutto ringraziare il relatore, onorevole Silva Peneda, e tutti coloro che lo hanno assistito, per l’ottimo lavoro svolto.

Il sostegno del Parlamento è stato assolutamente cruciale per la formulazione di un obiettivo comune che consiste nello stabilire una base giuridica che permetterà al Fondo sociale europeo di promuovere la creazione di nuovi e migliori posti di lavoro.

Le proposte della Commissione sulla riforma dei Fondi strutturali in generale, e del Fondo sociale europeo in particolare, si basano su alcuni principi fondamentali. Le risorse saranno indirizzate verso le principali priorità dell’Unione e le regioni che più ne hanno bisogno. Sarà fornito sostegno a favore della strategia europea per l’occupazione, affinché il Fondo sociale europeo possa contribuire direttamente alla realizzazione degli obiettivi di Lisbona, nonché a favore di singoli individui e gruppi svantaggiati.

Nell’attuazione del Fondo sociale europeo, la Commissione continuerà ad accordare la priorità a tutti i gruppi che hanno problemi a trovare o mantenere un impiego, a prescindere dalle cause di tali problemi. Uno degli obiettivi perseguiti dalla Commissione nella sua proposta è ottenere la maggiore partecipazione possibile di tutti i soggetti che svolgono un ruolo nell’attuazione del Fondo sociale europeo. Le parti sociali devono avere una posizione di primo piano nel futuro Fondo sociale europeo, in quanto svolgono un ruolo fondamentale nell’attuazione delle politiche occupazionali e negli interventi dell’FSE.

La Commissione condivide il parere del Parlamento secondo cui le ONG devono essere maggiormente coinvolte nella politica di coesione ed è per questo motivo che abbiamo rafforzato i principi di partenariato. I progetti di regolamenti affermano già che le ONG saranno consultate per quanto riguarda la programmazione, l’attuazione e il controllo delle misure adottate nel quadro del Fondo sociale europeo. La Commissione sottolinea che le ONG devono avere accesso alle attività finanziate a titolo del Fondo sociale europeo, in particolare nel caso delle organizzazioni che operano nel campo dell’inclusione sociale e della lotta contro la discriminazione.

L’impegno dedicato dai relatori all’elaborazione dei testi in esame ci aiuterà senza dubbio a definire un accordo in maniera più efficace e a migliorare la versione definitiva della proposta. Vorrei ringraziare tutti i relatori per il lavoro svolto.

 
  
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  Joe Borg, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto congratularmi con il relatore, onorevole Casa, per l’ottima relazione e ringraziare la commissione per la pesca e il suo presidente per il prezioso contributo apportato alla discussione sul Fondo europeo per la pesca. Ho molto apprezzato il considerevole lavoro svolto per riuscire a presentare il parere del Parlamento in tempo utile, così come la partecipazione attiva degli Stati membri e del settore della pesca al dibattito in corso.

Insieme con i servizi della Commissione, io stesso ho visitato vari Stati membri per raccogliere i pareri delle amministrazioni e del settore. Nonostante il gran numero di emendamenti presentati, ritengo che in sostanza le vostre posizioni siano vicine alle nostre e mi compiaccio del generoso sostegno che avete accordato alla nostra proposta. Ciò significa che riteniamo entrambi che il nuovo Fondo debba servire ad attuare la PCP e mirare a conseguire lo sviluppo sostenibile dei settori della pesca e dell’acquacoltura nella Comunità.

Non condivido il parere del relatore che il Fondo dedichi un’attenzione eccessiva alla dimensione ambientale. Esso mira a conseguire la sostenibilità a lungo termine della pesca nell’interesse dei pescatori stessi, sostenibilità in tutti i sensi: economica, sociale e ambientale.

Vorrei ora spendere un paio di parole sullo stato attuale della proposta. Come sapete, il Consiglio si è riunito il 20 e 21 giugno per discuterla, dopo aver svolto un lavoro considerevole a livello tecnico. Sotto la guida della Presidenza, siamo riusciti a compiere progressi verso un ampio consenso con gli Stati membri, pur tenendo conto del lavoro in corso in sede di commissione per la pesca.

Per menzionare solo tre ambiti in cui abbiamo risposto alle vostre preoccupazioni, vi segnalo l’estensione degli aiuti alle imprese di medie dimensioni che operano nei settori della trasformazione e commercializzazione dei prodotti dell’acquacoltura, l’inclusione di nuove disposizioni a favore delle attività di pesca su piccola scala e dei giovani pescatori, e la maggiore flessibilità dei criteri di selezione per le regioni dedite alle attività di pesca in cui si possono attuare strategie di sviluppo locale.

Tuttavia, le discussioni in seno al Consiglio non si sono concluse il 21 giugno. Gli Stati membri hanno ancora pareri divergenti sugli aiuti a favore di nuove costruzioni e della modernizzazione della flotta e alcuni di essi chiedono la reintegrazione degli aiuti per la costruzione di pescherecci.

Ho espresso la mia posizione in seno al Consiglio, e vorrei ribadirla oggi in Aula. Non sono disposto a riaprire il dibattito sugli aiuti a favore della costruzione di pescherecci, che sono stati gradualmente soppressi nell’ambito della riforma della politica comune della pesca. In un contesto di capacità eccessiva e di pesca eccessiva, intervenire in tal senso indebolirebbe la nostra ferma intenzione di conseguire una pesca sostenibile e il nostro impegno a livello internazionale di non finanziare alcun aumento di capacità della flotta. Non solo dobbiamo impegnarci a non aumentare la nostra capacità, dobbiamo anche ridurla per garantire una pesca sostenibile.

Per quanto riguarda il sostegno per la modernizzazione della flotta, la Commissione è disposta ad accogliere alcune modifiche proposte dalla commissione per la pesca. In primo luogo, precisando che saranno disponibili aiuti per modernizzare le imbarcazioni sottocoperta allo scopo di migliorare la sicurezza, le condizioni di lavoro, l’igiene e la qualità del prodotto, purché non si aumenti la capacità. In secondo luogo, rendendo le misure legate alla sicurezza espressamente ammesse a beneficiare del Fondo europeo per la pesca.

Per molti versi, le discussioni in seno al Consiglio rispecchiano gli argomenti espressi dal Parlamento europeo riguardo alla ristrutturazione delle attività di pesca costiera su piccola scala. Sono convinto che l’attenzione specifica alle attività di pesca su piccola scala sia giustificata dall’importante ruolo che esse svolgono nel tessuto economico e sociale delle comunità di pescatori, dalla loro dimensione territoriale e dal fatto che sono spesso esposte alla concorrenza di altri segmenti della flotta.

Siamo quindi disposti a includere nei finanziamenti la sostituzione dei motori di piccoli pescherecci, a condizione che non comporti un aumento della capacità e che le risorse ittiche siano sfruttate in modo sostenibile. Ciò si potrà attuare, in particolare, nel quadro dei piani di gestione costiera mirati allo sviluppo sostenibile della pesca a favore delle comunità locali.

Sono certo che la discussione odierna contribuirà a migliorare ulteriormente il contenuto della proposta relativa al Fondo europeo per la pesca. Proseguiremo i lavori con il Consiglio per perfezionarne l’adozione in tempo utile e mi impegno a informare il Consiglio delle vostre preoccupazioni irrisolte in seguito alla discussione odierna.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. COCILOVO
Vicepresidente

 
  
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  Nathalie Griesbeck (ALDE), relatore per parere della commissione per i bilanci. – (FR) Signor Presidente in carica del Consiglio, signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, vorrei innanzi tutto rilevare che intervengo in qualità di relatrice per parere della commissione per i bilanci sui Fondi strutturali. Nel tempo a mia disposizione, vi è così tanto da dire che ho deciso di scegliere alcuni punti che, nell’ortodossia di bilancio dell’Assemblea, si applicano a tutti i pareri e riguardano tutte le diverse relazioni interessate, sia quella dell’onorevole Andria sul Fondo di coesione, sia quelle concernenti il FESR, l’FSE e il Fondo europeo per la pesca, sia il parere generale dell’onorevole Hatzidakis sul regolamento recante disposizioni generali. Ringrazio inoltre tutti i colleghi per l’enorme lavoro svolto.

Le sfide cui deve rispondere l’Europa sono, oggi più che mai, d’importanza vitale per lo sviluppo della competitività futura dell’Unione europea, per la quale i Fondi strutturali costituiscono non solo gli strumenti finanziari indispensabili ma anche, nell’attuale Europa a 25 in cui viviamo e che costruiamo, in questa Europa allargata, la punta di lancia degli obiettivi di bilancio dell’Unione e il vettore essenziale per le nostre ambizioni per l’Europa.

Non tornerò sul notevole lavoro svolto dalla commissione per i bilanci, né su quello realizzato dalla commissione temporanea del Parlamento sulle prospettive finanziarie. Nella situazione di crisi senza precedenti in cui si trova l’Europa, l’Assemblea ha assunto le proprie responsabilità adottando, a giugno, la relazione Böge sui mezzi finanziari dell’Unione allargata nel periodo 2007-2013. E’ vero che, durante la discussione preparatoria sui Fondi strutturali, condotta sulla base della proposta della Commissione articolata intorno ai tre obiettivi di convergenza, competitività regionale e occupazione e cooperazione territoriale europea, non avevamo indicazioni precise riguardo alle dotazioni di bilancio.

Oggi la situazione rimane complessa, per non dire grottesca, secondo i termini adoperati da alcuni nostri concittadini: siamo chiamati a esprimerci sui Fondi strutturali pur continuando a ignorare gli importi delle loro dotazioni definitive se – come mi auguro assieme alla grande maggioranza dei colleghi – riusciremo a raggiungere un rapido accordo sulle prospettive finanziarie. Riguardo a due o tre aspetti fondamentali, vorrei quindi limitarmi a evidenziare alcuni principi, basati sul buon senso e su una semplice ortodossia di bilancio, che permetteranno di far valere le prerogative del Parlamento europeo in quanto autorità di bilancio.

Il primo aspetto è che, una volta approvate le prospettive finanziarie, la Commissione confermerà innanzi tutto gli importi indicati nella proposta di regolamento oppure, se sarà opportuno e necessario, sottoporrà gli importi modificati all’approvazione del Parlamento europeo e del Consiglio per garantire che rispettino i massimali fissati, come ricorda continuamente la commissione per i bilanci.

Il secondo aspetto, già rilevato in numerose occasioni, dibattuto a lungo e regolarmente sottolineato in sede di commissione per i bilanci del Parlamento, è ricordare i risultati positivi dell’applicazione della norma N+2 e proporne il mantenimento come regola di principio.

Il regolamento recante disposizioni generali e il regolamento relativo al Fondo di coesione prevedono l’applicazione della norma N+2 al Fondo di coesione. Vorrei ricordare che tale regola ha lo scopo di incoraggiare gli Stati membri beneficiari a utilizzare rapidamente i fondi impegnati, obbligandoli a ricorrere a una certa disciplina nella preparazione e nella gestione finanziaria dei progetti.

Tuttavia, coscienti delle difficoltà potenziali dei nuovi Stati membri a utilizzare rapidamente i Fondi strutturali, noi, in particolare il relatore Andria, abbiamo raggiunto, con grandi difficoltà e dopo lunghe discussioni, un compromesso in base al quale la regola N+2 sia mitigata in risposta alle richieste dei nostri nuovi colleghi, prevedendo un grado di flessibilità che permetta l’avvio e l’esecuzione rapidi dei progetti. Il termine previsto dalla regola N+2 decorrerà dal primo giorno di attuazione del programma, anziché dal primo giorno di programmazione della Commissione, il che permette di disporre della flessibilità necessaria per conseguire i nostri obiettivi.

Infine, non intendo riprendere la questione dell’IVA non rimborsabile, sulla quale sosteniamo pienamente la posizione del Commissario Hübner. Per concludere, la commissione per i bilanci farà in modo che siano difese le diverse posizioni da essa espresse e adottate dal Parlamento. Essa è naturalmente pronta a cominciare senza indugio i negoziati con il Consiglio e la Commissione sulle prospettive finanziarie, riguardo alle quali conferma il suo fermo impegno, ritenendo che, contrariamente alle dichiarazioni del ministro degli Esteri britannico Jack Straw, riportate su Le Figaro del 30 giugno, sarebbe estremamente grave non riuscire a raggiungere un accordo entro la fine dell’anno. Dobbiamo essere consapevoli che, se tarderemo a raggiungere un accordo, il ritardo nell’attuazione delle politiche avrà gravi conseguenze economiche e sociali per i nostri concittadini europei. Nondimeno, è essenziale essere chiari su un punto: il Parlamento non accetterà un cattivo accordo e non esiteremo a dire no.

 
  
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  Tadeusz Zwiefka (PPE-DE), relatore per parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali.(PL) Signor Presidente, siamo pienamente consapevoli del fatto che il numero di obiettivi che ci poniamo e le esigenze cui dobbiamo rispondere superano di gran lunga i fondi a nostra disposizione. E’ quindi ovvio che tali fondi debbano essere programmati e utilizzati nel miglior modo possibile. Questo è l’obiettivo sotteso agli emendamenti che sono stati presentati alle prossime prospettive finanziarie.

E’ tuttavia difficile comprendere il motivo per cui alcuni principi che si sono dimostrati validi e hanno funzionato bene finora siano stati abbandonati. Mi riferisco, in particolare, al metodo plurifondo, che permette di combinare nel modo più efficace possibile i Fondi necessari per attuare una singola misura a livello di Stato membro, in altre parole di utilizzare i fondi nel modo considerato idoneo dal paese in questione. Questo metodo sarà ora cambiato, limitando il tasso per i finanziamenti incrociati al 5 per cento. Perché cambiare una norma che funziona bene e per la quale sono già disponibili gli strumenti amministrativi e il personale ha già ricevuto una formazione? Perché cambiare una norma che prevede una maggiore libertà decisionale nella pianificazione operativa e nelle misure di attuazione?

Un’altra questione che vorrei sollevare riguarda i finanziamenti per gli alloggi. Sono ovviamente d’accordo sulle modifiche proposte dalla Commissione, nel senso che i finanziamenti per gli alloggi non sono ammissibili in quanto tali, e sono lieto che il Commissario Hübner abbia spiegato che le spese per gli alloggi volte a garantire risparmi energetici e la protezione dell’ambiente sono ammesse a beneficiare di finanziamenti.

Tuttavia, poiché provengo da un nuovo Stato membro, la Polonia, vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che gli alloggi sociali nei paesi dell’ex blocco comunista consistono principalmente in condomini prefabbricati, che non garantiscono più il rispetto dell’ambiente e in molti casi sono pericolanti.

Varrebbe quindi la pena di valutare la possibilità di finanziare la ristrutturazione di tali edifici nel quadro del Fondo di coesione, in quanto è impossibile ricostruire da zero l’intero numero di alloggi necessari.

 
  
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  Bogusław Sonik (PPE-DE), relatore per parere della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare.(PL) Signor Presidente, accolgo con favore il fatto che, nonostante la situazione di crisi costituzionale e di bilancio in cui si trova l’Unione europea, si discuta la natura degli strumenti fondamentali della solidarietà europea, cioè i Fondi strutturali, il Fondo di coesione e il Fondo sociale.

E’ stata la solidarietà a gettare le fondamenta del progetto europeo ed è grazie a una politica di solidarietà che gli Stati fondatori si sono integrati così rapidamente con i paesi più poveri del nostro continente. Poiché siamo riuniti a Strasburgo, vale la pena di rilevare che molti anni fa, grazie al piano Marshall, le economie dell’Europa occidentale sono rinate dalle rovine della guerra, compresa l’economia tedesca, che è ora la più forte in Europa. Sono stati i governi comunisti dell’Europa centrale a rifiutare il piano Marshall e a condannare così i loro popoli a decenni di arretratezza in termini di sviluppo.

Come ha sottolineato il Primo Ministro Juncker nel suo discorso di commiato, la politica di solidarietà è la politica più importante dell’Europa unita. Purtroppo, tale politica non ha trovato collocazione adeguata nel discorso altrimenti eccellente del Primo Ministro britannico, Tony Blair. E’ un vero peccato. I nuovi Stati membri dell’Unione sono disposti ad attuare riforme e introdurre cambiamenti. Attuiamo riforme ormai da 15 anni e non ci spaventiamo facilmente di fronte alla necessità di affrontare nuove sfide. Questi nuovi Stati membri possono quindi agire come alleati naturali di Londra nel suo desiderio di costruire un’Unione europea moderna e prospera, che si sviluppi rapidamente e si liberi di timori e preoccupazioni.

Non conseguiremo tale risultato se non continueremo a perseguire una politica di coesione, solidarietà e sostegno ai paesi e alle regioni povere, in quanto è questo l’aspetto più importante della politica dell’Unione. I nuovi settori che favoriscono uno sviluppo equilibrato, per esempio l’efficienza energetica, le energie rinnovabili, la raccolta di biossido di carbonio e i trasporti pubblici rispettosi dell’ambiente, devono essere ammessi a beneficiare dei finanziamenti. Anche la gestione delle reti idriche deve essere finanziata nel quadro del Fondo di coesione, in particolare i programmi di prevenzione delle inondazioni e la rete Natura 2000.

Propongo inoltre di mantenere gli attuali principi che disciplinano l’ammissibilità dell’IVA ai finanziamenti a titolo del Fondo europeo di sviluppo regionale e del Fondo di coesione. Ciò riveste importanza cruciale in termini di esperienza nel beneficiare di finanziamenti a titolo dei Fondi strutturali.

 
  
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  Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE), relatore per parere della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza dei sessi. – (EL) Signor Presidente, quando parliamo di acquis communautaire dobbiamo anche includervi il contributo del Parlamento europeo, cioè l’esperienza e l’apporto eccezionale e costruttivo di eurodeputati come l’onorevole Hatzidakis, il quale, non solo con questa relazione sulla proposta di regolamento recante disposizioni generali per i Fondi strutturali europei, sulla quale siamo chiamati a votare, ma anche con il lavoro svolto in precedenza sulla terza relazione sulla coesione economica e sociale e con il documento di lavoro dello scorso dicembre, ha contribuito a salvaguardare e rafforzare la coesione economica e sociale e ora chiede anche un riferimento specifico alla coesione territoriale dell’Unione europea.

Le raccomandazioni formulate nella proposta di risoluzione e le proposte specifiche di cambiamenti o aggiunte alla proposta della Commissione permetteranno, mi auguro, di formulare una posizione politicamente accettabile anche per il Consiglio per la preparazione di un bilancio affidabile per il periodo 2007-2013. Accogliamo con favore la proposta del relatore di un modello di sviluppo sostenibile policentrico e bilanciato su scala europea, con lo sviluppo equilibrato delle regioni rientranti nell’obiettivo di convergenza e nell’obiettivo di competitività e occupazione e con una cooperazione europea flessibile.

In veste di relatrice per parere della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza dei sessi, rilevo con soddisfazione che sono state incluse nella relazione alcune raccomandazioni specifiche, quali l’estensione del principio di uguaglianza tra uomini e donne, al fine di assicurare l’assenza di qualsiasi forma di discriminazione. A ciò si aggiunge la richiesta di valutare i progressi compiuti nel promuovere la parità tra uomini e donne e l’inclusione sociale. Si propone inoltre di rendere l’accessibilità per i disabili una condizione essenziale per beneficiare dei fondi.

Vorremmo anche evidenziare la proposta del relatore di calcolare il tasso di cofinanziamento in modo da non pregiudicare la partecipazione delle organizzazioni non governative e delle organizzazioni senza fini di lucro alle attività dei Fondi strutturali.

Per quanto riguarda il Fondo sociale europeo, mi congratulo con il relatore, onorevole Peneda, per la sua disponibilità a cooperare affinché le proposte concernenti il nuovo regolamento relativo a tale Fondo si dimostrino efficaci, soprattutto per gli uomini e le donne europee, garantendo la flessibilità dei criteri di ammissibilità delle regioni interessate agli obiettivi di convergenza e di competitività.

Rileviamo con soddisfazione che la proposta dell’onorevole Peneda dà risalto all’abolizione delle discriminazioni e all’integrazione della parità tra uomini e donne in tutte le politiche, tramite azioni speciali destinate ad accrescere la partecipazione sostenibile delle donne e promuovere la loro formazione e carriera professionale, conformemente a quanto previsto dalla strategia di Lisbona.

Rileviamo la scarsa presenza di misure volte a pubblicizzare le attività finanziate nella proposta di regolamento relativo al Fondo sociale europeo; tali misure sono necessarie per garantire alle parti interessate un semplice e rapido accesso alle informazioni.

 
  
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  Josu Ortuondo Larrea (ALDE), relatore per parere della commissione per i trasporti e il turismo. – (ES) Signor Presidente, il primo elemento proposto in sede di commissione per i trasporti e il turismo è che gli aiuti a titolo del Fondo di coesione comprendano non solo i progetti relativi alle reti transeuropee di trasporto definite nella decisione del 1996, cioè quelli approvati dal Consiglio di Essen, ma anche tutti quelli identificati dal gruppo di alto livello, il gruppo Van Miert, che riguardano anche i nuovi Stati membri, le autostrade del mare e il progetto GALILEO e sono tutti inclusi nella nostra decisione del 2004.

Inoltre, per quanto riguarda gli altri ambiti verso cui si dovrebbero indirizzare gli aiuti a titolo del Fondo di coesione, raccomandiamo che si considerino anche i tratti equivalenti ad autostrade o strade statali che collegano le reti transeuropee e si includano il materiale ferroviario rotabile e i mezzi di trasporto collettivo, nonché l’infrastruttura viaria per il trasporto su autocarro e autobus.

Infine, a nostro parere il regolamento in esame oggi non dovrebbe impedire al Consiglio di estendere l’applicazione del Fondo di coesione, su base annualmente decrescente nel periodo 2007-2013, agli Stati membri la cui ricchezza superi il 90 per cento della media europea, non perché abbiano conseguito uno sviluppo positivo nella loro crescita economica, ma a causa del semplice effetto statistico dovuto all’incorporazione nell’Unione di nuovi Stati membri con un PIL inferiore alla media. Non farlo equivarrebbe a ingannare noi stessi.

 
  
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  Roselyne Bachelot-Narquin (PPE-DE), relatore per parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali. – (FR) Signor Presidente, il parere sul Fondo di sviluppo regionale, che ho presentato alla commissione per l’occupazione e gli affari sociali, è stato adottato all’unanimità su tre priorità: la realizzazione degli obiettivi di Lisbona, una politica di occupazione piena e sostenibile e una politica ambiziosa per le persone disabili. Il dossier va ben oltre gli aspetti sociali, comprende le priorità comunitarie e, con tutta probabilità, diventerà la principale politica dell’Unione, davanti alla politica agricola comune, in tre ambiti: solidarietà, efficacia e giustizia.

Solidarietà nei confronti dei nuovi Stati membri, ma a determinate condizioni. Il rispetto delle regole di concorrenza del mercato interno. Solidarietà non significa lassismo. Concordo quindi con i colleghi, come il relatore, onorevole Fava, che propongono di non includere l’IVA nelle spese rimborsabili e di non riassegnare le risorse soggette a disimpegno automatico a causa della regola N+2. Queste politiche devono essere ottimizzate. Finora si è seguita la logica del consumo, che conferisce crediti a progetti facili a scapito di progetti di rilievo strutturale. Questa deriva è deplorevole e potrebbe essere amplificata dalla riserva di qualità ed efficacia. Dobbiamo concentrare la nostra attenzione su un numero limitato di tematiche. Solidarietà ed efficacia: efficacia significa perseguire gli obiettivi dell’agenda di Lisbona e investire nella ricerca e nello sviluppo dell’occupazione.

Solidarietà, efficacia e giustizia: questa politica deve rimanere una politica comunitaria destinata a tutti i paesi dell’Unione. Ringrazio il Commissario Danuta Hübner che ha espresso il suo accordo in proposito durante la sua visita alla mia regione, i paesi della Loira, giovedì scorso. L’incertezza sulle prospettive finanziarie, come ha potuto vedere, signor Ministro Michael, non ci ha impedito di esprimerci sulle spese e sui cambiamenti strutturali. La presidenza britannica potrebbe ritrovarsi nella stessa situazione.

Infine, vorrei esprimere la speranza, senza dubbio condivisa dal relatore, onorevole Fava, che su queste relazioni si raggiunga un consenso analogo a quello ottenuto sulla relazione Böge. Gli argomenti delle due relazioni sono collegati. Il Parlamento adempirà la sua missione con efficacia ancora maggiore se la posizione del Consiglio non si allontanerà troppo da quanto abbiamo definito. In questo periodo difficile, è importante che il Parlamento europeo mantenga la rotta della serietà e dell’ambizione comunitarie.

 
  
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  Lambert van Nistelrooij (PPE-DE), relatore per parere della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia. – (NL) Signor Presidente, oggi è una giornata storica per l’Assemblea e ci vede procedere lungo la strada della coesione e della solidarietà in Europa, con gratitudine verso i relatori per la loro lungimiranza.

Nella discussione odierna, vorrei limitarmi ai nuovi obiettivi 2 e 3, che promuovono la concorrenza, l’innovazione e la cooperazione interregionale in Europa e, secondo le proposte della Commissione, rappresentano un pacchetto totale di circa 40 miliardi di euro, il che dimostra anche che tali obiettivi contribuiscono in modo determinante alla realizzazione degli obiettivi di Lisbona. Nelle delibere di ieri in sede di commissione, il Commissario Hübner ha giustamente parlato di “lisbonizzazione” dei Fondi strutturali.

In seno alla commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, ho chiesto in via prioritaria di aumentare il cofinanziamento privato in ogni emendamento. Attraverso l’innovazione, l’industria agisce come forza trainante, mentre Lisbona determina il corso. Il governo offre l’uno per cento, l’industria il 2 per cento.

In secondo luogo, i Fondi strutturali devono essere specificamente legati all’obiettivo 2 nel bilancio per la ricerca e lo sviluppo. Le possibilità di accelerazione mediante l’innovazione aperta, la ricerca e le conoscenze in materia di produzione intensiva vanno di pari passo. Anche le proposte del Commissario Verheugen per il CIP (programma quadro per la competitività e l’innovazione) vanno in questa direzione.

In terzo luogo, le PMI devono avere più possibilità di attingere direttamente da questi fondi e le informazioni pubbliche devono essere messe a loro disposizione con maggiore rapidità, per esempio tramite vaucher di conoscenza.

In quarto luogo, si deve elaborare una quarta disposizione relativa all’accesso ai fondi per tutte le regioni frontaliere. I fondi devono rimanere a disposizione a tal fine. Dopo tutto, Lisbona non si ferma alla frontiera.

Infine, la “lisbonizzazione” è appena cominciata e la concorrenza a livello mondiale sta diventando sempre più spietata. Come olandese, devo concludere che non vi è stato alcun dibattito, o solo un dibattito parziale, sulla nuova agenda per i Fondi strutturali e dobbiamo quindi alzare il livello di qualche gradino. Fuori vi è il Tour de France, ma questo è un tour de force. Nel prossimo dibattito che terremo con il Consiglio in seno al Parlamento sui criteri relativi al FESR, per esempio, ritengo che dovremo studiare il modo di rafforzare specificamente l’obiettivo di Lisbona.

 
  
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  Gábor Harangozó (PSE), relatore per parere della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale. – (EN) Signor Presidente, le discussioni sui Fondi strutturali e sul Fondo di coesione presentano una serie di questioni molto delicate, dalle quali emergono conflitti di opinione che vanno al di là dei gruppi politici. La maggioranza dei gruppi politici è divisa sulle questioni della regola N+2, dell’IVA e dei partenariati pubblico-privato.

Dobbiamo garantire che i beneficiari più poveri possano accedere ai fondi. E’ importante che l’obiettivo di semplificare i regolamenti non ostacoli i tentativi dei beneficiari più poveri di presentare domanda per i fondi. Per quanto riguarda le norme sull’IVA e sui PPP, le relazioni, nella loro versione attuale, avrebbero conseguenze terribili per le autorità locali che intendano presentare domanda per i fondi. Tali norme comportano costi supplementari che i beneficiari più poveri non saranno in grado di sostenere.

Non stiamo chiedendo più fondi. Al contrario, chiediamo solo che in questo ambito si mantenga il regolamento attuale. E’ semplicemente ingiusto cambiare le regole del gioco ora che dieci nuovi Stati membri con un più basso livello di sviluppo socioeconomico hanno aderito all’Unione. Questa non è una lotta tra vecchi e nuovi Stati membri, o almeno non dovrebbe esserlo.

Vi esorto quindi a ricordare i principi stessi delle politiche strutturali e di coesione. Queste politiche sono state concepite per aiutare i più poveri e non per creare ulteriori difficoltà ai beneficiari. Riconosciamo tutti che attualmente l’Unione sta affrontando una grave crisi. Dobbiamo riflettere seriamente sul messaggio che trasmetterà il Parlamento in questo momento critico. Vi esorto quindi, nel nome della solidarietà nei confronti dei più poveri, a sostenere gli emendamenti presentati riguardo alla regola N+2, all’IVA e ai PPP.

 
  
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  Marta Vincenzi (PSE), relatrice per parere della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, contribuire alla correzione degli squilibri territoriali è un obiettivo di straordinario interesse e concretezza in questa fase difficile per l’Europa, a patto di offrire ai cittadini un progetto chiaro e comprensibile.

Il relatore per il Fondo europeo di sviluppo regionale, l’onorevole Fava, ha svolto un ottimo lavoro in questa direzione, accogliendo i contributi delle altre commissioni consultate per parere e definendo, a valle di una dimensione finanziaria che non deve essere diminuita, un’ipotesi credibile di riduzione delle disparità.

Una parte essenziale di questa riduzione è rappresentata dall’integrazione di genere. Il fatto che nella proposta iniziale della Commissione mancasse un riferimento esplicito al mainstreaming quale valore aggiunto per consentire il riequilibrio regionale rappresenta un preoccupante passo indietro.

Esprimo quindi soddisfazione, anche a nome della commissione per le pari opportunità, per come la relazione ha saputo reintegrare questo aspetto e chiedo all’Aula di votare a favore. Chiedo inoltre alla Commissione e al rappresentante del Consiglio di non considerare negoziabile il superamento dello squilibrio nella rappresentanza dei sessi, anche in quegli organismi di gestione, sorveglianza e controllo dei Fondi strutturali che gli Stati membri dovranno creare.

 
  
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  Elisabeth Schroedter (Verts/ALE), relatore per parere della commissione per lo sviluppo regionale. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, non credo di esagerare se descrivo la politica strutturale europea come il cuore dell’UE o se ne paragono i relativi tagli a un rischioso intervento al cuore che può essere fatale o lasciare il paziente disabile ed è quindi preferibile evitarlo.

Vorrei ricordare alla Presidenza britannica una cosa nota a tutti, cioè che un corpo senza cuore è morto. Mettete le mani sulla politica strutturale e metterete a rischio la Comunità. Vorrei chiedere ancora una volta a tutti i presenti in Aula di organizzare i Fondi strutturali europei in modo che svolgano nel corpo un ruolo altrettanto fondamentale del cuore: il corpo è sano se tutte le sue parti sono sane, se vivono in solidarietà l’una con l’altra, sono eque l’una con l’altra e non usano le risorse disponibili per competere l’una con l’altra fino a distruggersi a vicenda.

A tal fine, tuttavia, le risorse devono essere usate in modo sostenibile, efficiente e dal basso verso l’alto, per permettere ai più deboli di rafforzarsi e dare una risposta adeguata ai problemi di sviluppo. L’Assemblea ha prodotto una proposta sostanzialmente migliore di quella della Commissione per quanto riguarda il modo di conseguire tale risultato con i nuovi Fondi strutturali. E’ della massima importanza che in tutti i progetti si presti particolare attenzione al livello locale, quale beneficiario del sostegno, come livello di programmazione e quale parte interessata.

Vorrei quindi sottolineare ancora una volta l’importanza che rivestono i Fondi strutturali quando si devono affrontare i problemi. Sia nei piccoli centri urbani sia nei quartieri degradati delle grandi città, essi rendono l’Europa visibile e concreta per gli abitanti ed è per questo che sono indispensabili per l’integrazione europea. Ciò è ancor più evidente nel caso del Fondo sociale europeo, trasformato dai miglioramenti sostanziali del Parlamento in un “fondo per la povera gente”, che entra in azione a favore delle persone a rischio di esclusione, fornisce sostegno a chi ne ha bisogno e ispirazione là dove occorre essere innovativi nella creazione di posti di lavoro.

Vorrei rispondere a ciò che ha affermato la Presidenza del Consiglio, rilevando ancora una volta che è possibile creare posti di lavoro anche nelle regioni che sono già considerate una causa persa. Gli emendamenti dell’Assemblea rendono l’FSE uno strumento straordinario a tal fine. E’ il concetto diametralmente opposto dell’idea che solo attraverso investimenti su vasta scala sia possibile promuovere la concorrenza e creare posti di lavoro. Esso interviene là dove sussiste una necessità di conoscenze e potenziale di innovazione a livello regionale e, poiché questi fattori sono presenti nelle regioni problematiche, è proprio lì che può dare risultati positivi.

Vorrei ribadire che la Commissione non ha fatto nulla per confermare la sua affermazione secondo cui l’iniziativa EQUAL deve essere totalmente assorbita nell’FSE. Gli emendamenti del Parlamento sono quindi particolarmente importanti, quale mezzo per assicurare che l’intero metodo sia adottato in modo innovativo.

Vorrei concludere spendendo un paio di parole sul principio di partenariato. Il tentativo del Consiglio di abbandonarlo è un assalto frontale alla natura democratica dei Fondi strutturali, perché è il controllo da parte della società a garantire che i fondi non siano sperperati e siano realmente utilizzati là dove sono necessari. Di conseguenza, è essenziale porre un maggiore accento sul principio di partenariato nei Fondi strutturali. Sosteniamo la proposta della Commissione a favore della partecipazione dei partner che rappresentano gruppi che solo ora sono infine riconosciuti in conformità della clausola antidiscriminazione del Trattato. Tuttavia, tali gruppi non possiedono il know-how necessario per fornire stime e pareri come partner di pari livello. Non consideriamo saggio, e lo dico rivolgendomi di nuovo alla Commissione, apporre l’integrazione della dimensione di genere a tali gruppi.

Permettetemi di ribadire che i Fondi strutturali europei possono avere successo solo se e quando terranno debitamente conto del principio di sostenibilità.

 
  
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  Jim Higgins (PPE-DE), relatore per parere della commissione per lo sviluppo regionale. – (EN) Signor Presidente, tutti gli obiettivi del Fondo europeo per la pesca sono lodevoli e chiari: in primo luogo, adeguamento dello sforzo di pesca e maggiore protezione per l’ambiente marino; in secondo luogo, trasformazione e commercializzazione dei prodotti dell’acquacoltura, in terzo luogo, promozione degli interessi collettivi, quali misure intese a proteggere le acque, la fauna acquatica, i porti di pesca e lo sviluppo di nuovi mercati; in quarto luogo, sviluppo sostenibile delle zone di pesca costiere. Esistono tuttavia diversi problemi reali. Innanzi tutto, sebbene la dotazione di 4 963 milioni di euro sembri cospicua, essa rappresenta un aumento di soli 0,7 miliardi di euro rispetto al bilancio precedente, per il periodo settennale 2007-2013. Inoltre, abbiamo dieci nuovi Stati membri, quindi non vi è alcun aumento reale.

In secondo luogo, sono deluso poiché un emendamento adottato dalla commissione per lo sviluppo regionale, che prevede di destinare il 25 per cento del contributo finanziario della Comunità all’asse 4, sviluppo sostenibile delle zone di pesca costiere, è stato ignorato nella relazione.

Si tratta di zone a rischio. Le statistiche sono allarmanti: si perdono mediamente 8 000 posti di lavoro all’anno nella pesca diretta. Le zone di pesca costiere sono le più periferiche e sono a rischio. E’ necessario affiancare la politica della pesca alla politica regionale, e vi sono scarsi riferimenti a questo aspetto nella relazione.

Diversi emendamenti del relatore propongono di concedere aiuti per la sostituzione dei pescherecci, il rinnovo e la modernizzazione della flotta da pesca, ma non è stato previsto alcun limite percentuale a tal fine. Se prendiamo questa direzione, gran parte dei fondi sarà assorbita e gli obiettivi prioritari del Fondo non saranno realizzati. Dovrebbe essere responsabilità degli Stati membri, previa approvazione dell’UE, sostenere l’acquisto, la modernizzazione, il rinnovo e la sostituzione di pescherecci, fatte salve le norme dell’Unione. E’ necessario proteggere e migliorare le risorse ittiche. Come ha affermato il Commissario, l’accento va posto sulla sostenibilità: proteggere l’ambiente acquatico e proteggere le comunità di pescatori la cui esistenza è a rischio.

Infine, dobbiamo permettere alle comunità dedite alla pesca di diversificare le loro attività.

 
  
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  Gerardo Galeote Quecedo, a nome del gruppo PPE-DE. – (ES) Signor Presidente, vorrei cominciare congratulandomi con i relatori, in particolare gli onorevoli Hatzidakis, Fava e Andria, dei quali abbiamo potuto seguire i lavori da vicino in seno alla commissione per lo sviluppo regionale, competente per il merito. Hanno fornito un magnifico esempio di impegno, disponibilità e volontà di giungere a un accordo. Vorrei congratularmi anche con il Commissario Danuta Hübner, perché il suo impegno a far sì che il nostro lavoro legislativo procedesse ci ha aiutato a superare lo sconforto provocato dal fallimento dell’ultimo Consiglio.

Mi auguro che il Consiglio interpreti correttamente il voto dell’Assemblea di domani, considerandolo come una prova della determinazione del Parlamento a far sì che la politica di coesione continui a essere un pilastro essenziale dell’integrazione europea. Vorrei richiamare l’attenzione della Presidenza britannica su questo aspetto, perché alcuni potrebbero avere l’impressione che lanciando dibattiti molto generali – della cui importanza peraltro nessuno dubita – si potrebbe finire per non giungere ad alcuna conclusione. E’ superfluo ricordare che abbiamo già superato i termini per consentire alla Commissione di elaborare i programmi di attuazione dei Fondi entro gennaio 2007. Se dovessimo aspettare la primavera dell’anno prossimo perché il Consiglio raggiunga un accordo, la Commissione non potrebbe procedere ai primi pagamenti fino al 2009, il che sarebbe tragico per la politica di coesione in generale e soprattutto per i nuovi Stati membri, nei confronti dei quali il Regno Unito ha sempre espresso sostegno.

Ritengo che i contributi del Parlamento europeo siano accettabili, in particolare i compromessi raggiunti su questioni estremamente delicate, quali la regola N+2, l’IVA e l’effetto statistico.

Signor Presidente, le tre Istituzioni hanno la responsabilità di affrontare i negoziati nei prossimi mesi con la ferma volontà di raggiungere un accordo, perché non possiamo né dobbiamo permetterci un altro fallimento.

 
  
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  Constanze Angela Krehl, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei cominciare il mio intervento in questa discussione congiunta sulla politica strutturale e di coesione ringraziando i colleghi, soprattutto i relatori e i relatori ombra, in particolare l’onorevole Hutchinson, relatore ombra per la relazione Hatzidakis, che oggi non può essere presente in Aula – con suo enorme dispiacere – in quanto partecipa alla missione di osservazione elettorale in Burundi.

In sede di commissione abbiamo esaminato centinaia di emendamenti per trovare compromessi che a mio parere costituiscono un contributo molto positivo in risposta alle proposte della Commissione. Sosteniamo con vigore l’impostazione generale volta a semplificare le politiche strutturali e di coesione e a renderle meno burocratiche. E’ stato posto un accento ancora maggiore sugli aspetti rilevanti per il nostro gruppo, tra cui il rafforzamento del principio di partenariato e della dimensione urbana delle politiche strutturali e di coesione, prevedendo, tra l’altro, la possibilità di finanziare la costruzione di alloggi sociali nell’ambito di progetti volti a migliorare l’ambiente. La commissione ha anche convenuto che i partenariati pubblico-privato potrebbero rappresentare un’opzione valida e ha deciso di adottare un approccio comune per affrontare la situazione delle regioni soggette all’effetto statistico. La commissione nel suo insieme ha ritenuto importante, in uno spirito di solidarietà, elaborare le politiche a favore delle persone nelle regioni più povere e svantaggiate dell’Unione europea allargata.

Per il nostro gruppo è stato difficile discutere della questione del rimborso dell’IVA nel quadro dei Fondi regionali. La maggioranza è del parere che la politica strutturale europea debba essere usata per gli investimenti nelle regioni e non per finanziare l’erario, ma siamo consapevoli dei problemi cui devono far fronte i comuni, in particolare nei nuovi Stati membri, e abbiamo quindi proposto un emendamento di compromesso alla relazione Hatzidakis, che dovrebbe permettere di risolvere tali problemi negli Stati membri in questione. Sarei molto lieta se questo emendamento di compromesso fosse sostenuto dalla maggioranza dell’Assemblea ed esorto i colleghi ad approvarlo.

Ultimo punto, ma non per questo meno importante, vorrei esortare la Presidenza del Consiglio ad adottare le prospettive finanziarie con il minimo ritardo possibile e a destinare finanziamenti adeguati a quella che considero la politica di maggior successo dell’Unione europea. Persino i regolamenti migliori sono inutili senza le risorse necessarie.

Vorrei chiederle, signor Ministro Michael, di trasmettere al Primo Ministro Blair il messaggio che anche nel vostro paese esistono esempi straordinari degli effetti positivi che può produrre la politica strutturale europea, e vogliamo che continuino a operare anche dopo il 1° gennaio 2007.

(Applausi)

 
  
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  Jean Marie Beaupuy, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, come i colleghi che mi hanno preceduto, vorrei innanzi tutto, a titolo personale e a nome del gruppo ALDE, congratularmi con i relatori e ringraziarli per l’ottimo lavoro svolto. Hanno infatti lavorato con la determinazione tipica del loro carattere, ma è stata la loro flessibilità, la loro capacità di ascolto, a permetterci di raggiungere un certo consenso generale.

In qualità di coordinatore del gruppo ALDE, vorrei evidenziare quattro punti. In primo luogo, l’architettura generale dei Fondi strutturali garantisce una complementarità e una coerenza tra i Fondi stessi che meritano di essere valorizzate nelle comunicazioni con la popolazione. I Fondi strutturali non sono elementi astratti. Sono Fondi che permettono di migliorare le condizioni di vita dei nostri concittadini a livello quotidiano. Occorre quindi prevedere una comunicazione specifica in questi termini.

Su questo primo punto concreto vorrei parlare di solidarietà, come hanno già fatto alcuni colleghi. Non si tratta solo di parole. L’Unione europea, in questo ambito preciso, non si accontenta delle belle parole, ma indica cifre, le quali sono estremamente eloquenti, perché circa l’80 per cento dei Fondi strutturali, secondo gli orientamenti di bilancio, sarà destinato all’obiettivo di convergenza. Signor Ministro Michael, lei ha detto che i Fondi strutturali al momento rappresentano la seconda voce di spesa dell’Unione europea, dopo la politica agricola comune. Nei prossimi anni, probabilmente diventeranno la prima voce di spesa.

Per quanto riguarda la solidarietà, vorrei sottolineare che i 25 Stati membri hanno deciso tutti insieme – e il Parlamento lo confermerà – che destineremo più dell’80 per cento dei fondi di questa principale voce di bilancio del Parlamento alla solidarietà nei confronti dei dieci nuovi Stati membri. Si tratta di una prova tangibile, concreta, in moneta sonante, della nostra solidarietà verso i nuovi Stati membri, che ne hanno grande bisogno e che, mi auguro, riceveranno una cifra decisamente superiore a 300 miliardi di euro.

Infine, per concludere con una nota di speranza – ma una speranza che sarà certamente esaudita – non ho alcun dubbio sul fatto che il successo ottenuto in Irlanda, in Spagna e in Portogallo si conseguirà anche nei dieci nuovi Stati membri che beneficeranno dei Fondi.

Tuttavia, al di là dei Fondi, vorrei anche e soprattutto sottolineare l’uso che si fa dei Fondi stessi. Una cosa è avere un franco, un euro, un dollaro o uno scellino. Altra cosa è utilizzarli. Non ho il tempo per approfondire questo punto, ma permettetemi di insistere, per quanto riguarda il potenziale dei Fondi, sulla necessità di informare gli Stati membri di tutte le possibilità che offriamo, che sono disponibili, al fine di garantirne la corretta attuazione.

Per concludere, vorrei rivolgermi soprattutto a lei, signor Ministro Michael, che rappresenta la Presidenza, e dirle, citando ancora una volta una cifra che considero eloquente, che se in autunno non raggiungeremo un accordo sulle prospettive finanziarie, nel 2007 i dieci nuovi Stati membri riceveranno solo circa 9 miliardi di euro, mentre con una politica per il periodo 2007-2013, una politica di solidarietà attuata attraverso i Fondi strutturali, essi riceverebbero 22 miliardi. Queste due cifre illustrano perfettamente la necessità assoluta di adottare senza indugio le prospettive finanziarie.

 
  
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  Gisela Kallenbach, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, comincerò con l’esprimere la mia stima e gratitudine a tutti i relatori, in particolare all’onorevole Andria per l’apertura di cui ha dato prova durante le discussioni che abbiamo svolto sul contenuto della relazione sul Fondo di coesione mentre lavoravamo insieme alla sua stesura. Ha assunto lo stesso atteggiamento nei confronti della proposta della Commissione che è servita come base per il nostro lavoro.

Il nostro gruppo si batte da tempo affinché il Fondo di coesione sia compreso nelle direttive generali sui Fondi strutturali, il che permetterebbe non solo di spendere i fondi dell’Unione in modo più mirato, più trasparente e più efficiente, ma conferirebbe anche alle regioni maggiori diritti di consultazione nell’individuazione di programmi e progetti, mettendo così in pratica il principio di partenariato. Sosteniamo senza riserve tutte queste linee d’azione, nonché la proposta della Commissione di aggiungere una nuova priorità al Fondo di coesione.

E’ evidente che in seno al Parlamento esiste ampio sostegno anche per i progetti riguardanti l’efficienza energetica e vorrei esortarvi a sostenere anche i pochi emendamenti supplementari che abbiamo presentato. Vogliamo che i fondi siano assegnati in egual misura all’ambiente e alle infrastrutture di trasporto, nell’intento di garantire che l’Europa offra infine uguale sostegno a tutte le modalità di trasporto e ponga fine alla preferenza iniqua accordata ai progetti di costruzione di strade. Sono certa che chi di voi ha già tentato di spostarsi in treno da Bruxelles a Strasburgo sosterrà i nostri propositi.

Concluderò augurando buona fortuna alla Presidenza britannica, come gli oratori che mi hanno preceduta, nella speranza che adotteremo presto un bilancio evitando così di mettere irresponsabilmente a repentaglio i programmi nel quadro dei Fondi strutturali.

 
  
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  Ilda Figueiredo, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) Signor Presidente, l’esistenza di una politica regionale europea ben finanziata e vigorosa è una condizione essenziale perché l’Unione europea allargata possa promuovere la coesione economica e sociale e rispondere alle crescenti disparità economiche e sociali.

I Fondi strutturali e di coesione sono uno strumento indispensabile, l’unico strumento di carattere ridistributivo nel bilancio comunitario. Essi permettono all’Unione europea di intraprendere azioni per ridurre le disparità regionali, promuovere una convergenza reale e stimolare lo sviluppo sostenibile, la crescita, la produzione e l’occupazione nelle regioni, nonché di ridistribuire e compensare i costi del mercato interno nelle regioni meno sviluppate.

Di conseguenza, una delle questioni cruciali è la dotazione finanziaria, sia per quanto riguarda l’importo che il modo in cui è distribuita. A nostro parere, la cifra dello 0,41 per cento del reddito nazionale lordo dell’Unione europea è miseramente inadeguata a realizzare gli obiettivi proposti e rispondere alle necessità di coesione dell’Unione europea allargata.

Ciononostante, questa è la proposta della Commissione e dello stesso Parlamento europeo, nella sua relazione sulle prospettive finanziarie. Fissando questo limite massimo, si compromette la capacità dell’Unione europea di promuovere con efficacia la coesione economica e sociale e non si risponde a questioni essenziali, quali il pieno indennizzo delle regioni soggette all’effetto statistico, per esempio la regione dell’Algarve in Portogallo, il finanziamento adeguato dei meccanismi di transizione, compreso il Fondo di coesione, o il finanziamento adeguato delle regioni ultraperiferiche. I paesi firmatari della cosiddetta “lettera dei Sei”, intesa a limitare il bilancio comunitario all’1 per cento del reddito nazionale lordo dell’Unione europea, hanno quindi ottenuto ciò che volevano.

Il mancato accordo dell’ultimo Consiglio europeo sul quadro finanziario per il periodo 2007-2013, indipendentemente da come lo si guardi, è una vittoria per i firmatari di tale lettera. La proposta di compromesso della Presidenza lussemburghese prevedeva una riduzione della dotazione dei Fondi strutturali di oltre 30 miliardi di euro per il periodo considerato, che equivale allo 0,37 per cento del prodotto interno lordo dell’Unione. Le relazioni in esame, inoltre, non rispondono alle necessità di attuazione, né in termini di importi di prefinanziamento e di cofinanziamento, né per quanto riguarda la condizionalità del Fondo di coesione al Patto di stabilità e di crescita.

Purtroppo è prevalsa una nuova logica per i Fondi strutturali e per il loro adeguamento al finanziamento della strategia di Lisbona. Lo stesso vale per il Fondo sociale europeo, che viene subordinato alla strategia europea per l’occupazione. Per questo motivo, respingiamo l’accento posto sulla competitività, sulla concorrenza, sull’adattabilità e sullo spirito imprenditoriale a spese della coesione e della convergenza. In quest’ottica, abbiamo proposto diversi emendamenti alle relazioni in esame al fine di affrontare queste preoccupazioni fondamentali e rafforzare la coesione sociale europea.

 
  
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  Vladimír Železný, a nome del gruppo IND/DEM. – (CS) La discussione sulla relazione Hatzidakis si svolge in un momento in cui l’Unione è impantanata in una crisi profonda, provocata dai tentativi irresponsabili di imporre la Costituzione europea agli Stati membri. La Costituzione è un fiasco e dobbiamo essere grati che si siano riaccese le antiche animosità tra gli Stati membri e che questi ultimi non riescano nemmeno a mettersi d’accordo sul bilancio per il periodo 2007-2013. Nonostante il clima surriscaldato, tuttavia, ci rammarichiamo che la relazione Hatzidakis divida ancora una volta l’Unione in due blocchi, cioè i vecchi Stati membri e i nuovi Stati membri. Per motivi comprensibili, i vecchi Stati membri stanno trovando soluzioni molto creative per limitare i finanziamenti destinati ad accelerare lo sviluppo nei nuovi Stati membri. La relazione ci dice che le persone che vivono nei 15 vecchi Stati membri sono le più ricche e che se vivono sulle isole, o ancor meglio nelle regioni ultraperiferiche – in particolare se abitano nelle regioni soggette all’effetto statistico – non hanno nulla di cui preoccuparsi.

A causa di considerazioni miopi, spesso motivate da nervosismi preelettorali, la relazione non accenna al fatto che il problema di gran lunga maggiore con cui deve confrontarsi l’Europa unita è il modo in cui superare gli effetti di mezzo secolo di sviluppi di “non mercato” negli Stati membri postcomunisti. Affinché per i nuovi e inesperti Stati membri diventi ancora più difficile ottenere i finanziamenti, la relazione esclude un’applicazione più flessibile della regola N+2 per i Fondi strutturali e non prevede alcuna soluzione al problema dell’IVA e dei progetti cofinanziati dall’Unione.

La relazione è anche uno schiaffo in pieno viso a qualsiasi imprenditore assennato desideri spostare la produzione in un altro Stato membro in cui può trovare manodopera qualificata, poco costosa e industriosa. Da un lato, non permettiamo al famoso idraulico polacco di lavorare dall’altra parte dell’ex cortina di ferro, perché potrebbe dimostrare che è possibile lavorare 40 ore alla settimana. Dall’altro lato, invece, imponiamo agli imprenditori l’obbligo insensato di rimanere nelle regioni dell’Unione in cui la forza lavoro è eccessivamente costosa e spesso abituata a lavorare 35 ore alla settimana con uno stipendio pieno. Impediamo agli imprenditori di andare in cerca di idraulici polacchi, solo perché in passato hanno beneficiato dei Fondi strutturali. All’epoca non sapevano che per tale motivo un giorno li avremmo tenuti in ostaggio; una proposta prevede che non riacquistino la libertà prima di 10 anni, il che è assurdo. Forse avrebbero dovuto pensarci due volte prima di accettare i finanziamenti. Questa è l’antitesi perfetta degli obiettivi di Lisbona, ma forse quadra con la strategia di Göteborg.

La relazione Hatzidakis evidenzia tuttavia un altro problema dell’Unione, anche se in modo non intenzionale. Mostra una sdegnosa noncuranza per la volontà dei cittadini, facendo continui riferimenti alla Costituzione per l’Europa, che è stata categoricamente respinta e sepolta dalla popolazione francese e olandese, ed esprime così lo stesso spirito di elitarismo che ha fatto precipitare l’Unione in questa crisi di enormi proporzioni. Anche solo per questo motivo, è difficile votare a favore della relazione.

 
  
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  Adam Jerzy Bielan, a nome del gruppo UEN.(PL) Signor Presidente, vorrei anch’io esprimere i miei sinceri ringraziamenti a tutti gli autori delle relazioni in esame. La discussione sul futuro della politica di coesione è un test importante per l’applicazione pratica di uno dei valori fondamentali che l’Unione dichiara di sostenere, cioè la solidarietà al fine di garantire la parità di opportunità.

Vorrei ricordare all’Assemblea che lo scopo della politica di coesione è sostenere la ristrutturazione e la modernizzazione dei paesi che hanno bisogno di assistenza per avere una possibilità di raggiungere rapidamente il livello di sviluppo economico medio dell’Unione europea. Al momento, ciò riguarda soprattutto i nuovi Stati membri. Dal loro punto di vista, l’applicazione della regola N+2 e la classificazione dell’IVA come spesa ammissibile va senza dubbio considerata come la questione più importante di tutte quelle che stiamo discutendo oggi.

La natura dei progetti finanziati nel quadro del Fondo di coesione fa sì che la sola preparazione richieda oltre due anni. Spesso si tratta di enormi progetti d’investimento, che vanno oltre il calendario normalmente previsto per i progetti finanziati a titolo dei Fondi strutturali. Estendere l’applicazione della regola N+2 equivarrebbe di sicuro a ridurre il livello dei finanziamenti concessi.

Per quanto riguarda l’IVA, l’esperienza dei nuovi Stati membri è la prova incontrovertibile del fatto che il principale ostacolo all’uso dei Fondi strutturali è il costo relativamente elevato del lancio dei progetti. Tale costo è sostenuto con le risorse proprie dei beneficiari. Escludere l’IVA dall’elenco delle spese ammissibili farebbe sì che molti organismi, tra cui le autorità locali, non sarebbero in grado di sostenere gli enormi costi associati all’attuazione dei progetti.

Per esempio, stime preliminari indicano che gli Stati membri potrebbero dover versare quasi il 63 per cento dell’importo corrisposto dall’Unione per l’attuazione di progetti nel quadro del Fondo europeo di sviluppo regionale. Ciò porrebbe i nuovi Stati membri in una situazione di notevole svantaggio rispetto a quella dei paesi che hanno beneficiato dei Fondi strutturali in passato.

Vorrei ricordare agli onorevoli colleghi dei vecchi Stati membri che dovremmo cogliere questa opportunità di solidarietà e dare all’Europa una possibilità di sviluppo. Ciò sarebbe anche nell’interesse dei vecchi Stati membri.

 
  
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  Jana Bobošíková (NI).(CS) Onorevoli colleghi, ascoltando la discussione finora mi ha colpita il fatto che siamo tutti chiaramente d’accordo su un punto, cioè che l’obiettivo della politica di coesione è assicurare lo sviluppo equilibrato di tutte le regioni nei singoli Stati membri. Essa è quindi compatibile con il principio di solidarietà, che è uno dei pilastri fondamentali dell’Unione europea. A mio parere, se vogliamo continuare ad applicare tale principio in seguito al recente allargamento dell’Unione a dieci nuovi Stati membri, nella votazione di domani sui Fondi strutturali è indispensabile adottare due emendamenti sostanziali proposti.

In primo luogo, dobbiamo approvare il finanziamento dell’IVA non rimborsabile nel quadro dei Fondi strutturali, in particolare il Fondo europeo di sviluppo regionale. Se l’IVA non rimborsabile sarà classificata come spesa inammissibile, per numerosi beneficiari sarà molto più difficile ottenere finanziamenti. Il mio timore è che possa risultare del tutto impossibile avere accesso ai finanziamenti dell’Unione, in particolare nel caso dei richiedenti di piccole dimensioni dei dieci nuovi e meno ricchi Stati membri.

In secondo luogo, dobbiamo eliminare la norma sul disimpegno automatico, in altre parole la regola N+2, dagli orientamenti relativi all’attuazione del Fondo di coesione, o come minimo prevedere una maggiore flessibilità durante i primi due anni del periodo di programmazione. I grandi progetti d’investimento nei settori dell’ambiente e dei trasporti sono finanziati nel quadro del Fondo di coesione e l’applicazione rigida della regola N+2 porrebbe seriamente a rischio tali finanziamenti. Ancora una volta, ciò vale soprattutto per i dieci nuovi Stati membri, i quali non hanno ancora maturato esperienza nell’attuazione dei Fondi strutturali e del Fondo di coesione.

 
  
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  Rolf Berend (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il mio gruppo approva l’idea esposta nella relazione Fava, secondo cui il FESR deve concentrarsi sugli investimenti, sulle infrastrutture e sull’ulteriore sviluppo di iniziative in ambiti selezionati, considerati prioritari per la Comunità, perché continua a essere vero che l’intera Comunità può attendersi notevoli vantaggi supplementari da investimenti di questo tipo. In sostanza, la relazione, nella versione adottata dalla commissione, rafforza le disposizioni del regolamento riguardanti l’ambito di applicazione, gli aiuti e le norme in materia di ammissibilità delle spese.

In generale, anche se non del tutto né in ogni singolo elemento, il voto della commissione esprime la posizione adottata dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei e concordiamo con la Commissione e con l’onorevole Fava, il relatore, sulla sostanza dei tre obiettivi, cioè convergenza, competitività regionale e occupazione e cooperazione territoriale europea. Approviamo anche la proposta riguardante la distribuzione proporzionata delle risorse finanziarie. L’accento posto sulle regioni che hanno maggiore possibilità di beneficiare di sostegno, seppur non a scapito di quelle soggette all’effetto statistico, è la logica conseguenza dell’articolo 160 del Trattato che istituisce le Comunità europee.

Vorrei richiamare l’attenzione su due punti specifici. Il primo è la permanente necessità di mantenere aperta l’opzione dei partenariati pubblico-privato, il che significa che il tasso di cofinanziamento sarebbe calcolato anche in riferimento alle risorse private. In realtà non esiste alcun motivo per cui la Commissione non dovrebbe essere d’accordo in proposito.

Il secondo è che, se nel contesto delle prospettive finanziarie non riusciamo a raggiungere un accordo in tempo utile sull’importo da rendere disponibile per i fondi, le regioni che più meritano sostegno, secondo il requisito del Trattato relativo alla coesione, dovrebbero ricevere un trattamento speciale. Ciò significa che in nessuna circostanza gli eventuali tagli possono essere semplicemente lineari, perché ciò andrebbe sicuramente a scapito delle regioni della convergenza e sarebbe contrario agli orientamenti in materia di politica di coesione europea. Forse, tuttavia, la Presidenza britannica riuscirà a inserire la politica strutturale nel bilancio in modo da rendere impossibili eventuali tagli.

 
  
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  Iratxe García Pérez (PSE).(ES) Signor Presidente, vorrei cominciare congratulandomi a mia volta con i diversi relatori, in particolare con l’onorevole Andria, per la sua relazione sul Fondo di coesione e per la sua disponibilità al dialogo, che ci ha permesso di raggiungere un consenso su gran parte del contenuto della relazione.

Nel gruppo socialista riteniamo che questo strumento sia essenziale per conseguire gli obiettivi di coesione sociale, economica e territoriale. L’integrazione di azioni in materia di sviluppo sostenibile, trasporti e ambiente garantisce la coerenza del Fondo con la politica di coesione europea.

Vi sono questioni, per esempio la regola N+2, per le quali si devono trovare formule che permettano un’applicazione più flessibile, affinché la sua attuazione non crei problemi, soprattutto nei nuovi Stati membri. Dobbiamo sottolineare il riferimento esplicito alle persone disabili contenuto nella relazione, in cui trova espressione l’importanza di garantire che questi fondi contribuiscano a eliminare le barriere architettoniche.

I risultati conseguiti attraverso questo strumento hanno permesso a paesi come la Spagna di raggiungere un livello di sviluppo accettabile; per questo motivo, la perdita brusca e immediata del sostegno comprometterebbe in modo significativo tale sviluppo. Sono quindi lieta che sia stata riconosciuta la necessità di trovare una soluzione politica per i paesi che in futuro rimarranno esclusi.

Riguardo agli altri regolamenti, dobbiamo tenere conto dell’esistenza di altre realtà, che non sono esclusivamente le regioni meno favorite, ma anche le regioni soggette all’effetto statistico, all’effetto naturale, le regioni ultraperiferiche e le regioni a bassa densità di popolazione. La realtà europea è eterogenea, è varia, e dobbiamo tenere conto delle diverse realtà.

Una politica risoluta e di successo in questo campo deve prendere in considerazione le varie realtà e non dimenticare che al loro interno ci sono cittadini europei in attesa di risposte.

 
  
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  Paavo Väyrynen (ALDE).(FI) Signor Presidente, vorrei ringraziare il relatore ombra del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, onorevole Hatzidakis, per la sua ottima cooperazione nella discussione della relazione sul regolamento generale. Abbiamo ottenuto un compromesso soddisfacente in sede di commissione. La relazione tiene conto in modo imparziale degli interessi e dei pareri sia dei nuovi sia dei nuovi che dei vecchi Stati membri. Mi auguro che sia adottata più o meno nella sua versione attuale nella votazione di domani.

Quando introduciamo riforme nelle politiche dell’Unione dobbiamo aderire a principi sostenibili. L’obiettivo della politica regionale è affrontare le disparità riguardanti l’occupazione e i mezzi di sostentamento, da un lato, e controllare la migrazione dannosa sia all’interno che tra gli Stati membri, dall’altro. La relazione dell’onorevole Hatzidakis segue questi principi.

Vi sono state pressioni affinché tali principi fossero violati nel dibattito sulla riforma. Qui in seno al Parlamento vi sono state richieste di spostare l’attenzione degli aiuti sulle città, in quanto l’80 per cento dei cittadini dell’Unione vive nelle città. Non esistono validi argomenti a sostegno di tale richiesta. In un’economia di mercato, le riserve e la popolazione tendono ad essere troppo concentrate nelle grandi città. Nella politica regionale questo sviluppo non va incoraggiato. Esistono problemi specifici nelle grandi città, ma non vanno risolti utilizzando gli stanziamenti destinati alla politica regionale o il bilancio dell’Unione in generale. Esistono tuttavia validi motivi per concedere aiuti regionali a numerose città di piccole e medie dimensioni, soprattutto se si tratta di una componente di programmi di sviluppo regionale di più ampio respiro.

Gli aspetti della politica regionale devono anche essere presi in considerazione in qualsiasi riforma della politica agricola comune. Il sistema attuale è assurdo, in quanto gli importi maggiori degli aiuti vanno alle regioni che presentano le condizioni di produzione più favorevoli.

Ai fini dell’attuazione della politica regionale, è molto importante che il Consiglio raggiunga un consenso sulle prospettive finanziarie e sulla legislazione in materia di politica regionale nei prossimi mesi.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE).(EN) Signor Presidente, vorrei unirmi anch’io al coro di congratulazioni espresse ai cinque relatori per il metodo cooperativo e costruttivo adottato nella stesura delle relazioni. Non posso fare a meno di paragonarlo al metodo indisponente e distruttivo del governo del Regno Unito. Per essere onesti, sono lieto di aver sentito il Ministro Michael menzionare così spesso la cooperazione nel suo intervento, ma, proprio come accade con il governo laburista di Londra, i discorsi focosi non scioglieranno il ghiaccio tra noi se non vedremo anche un’azione concreta.

Il fatto è che l’attuale posizione del Regno Unito vedrebbe le Highlands and Islands, le regioni occidentali, orientali e meridionali della Scozia private di milioni e milioni di finanziamenti europei oltremodo necessari, che la Commissione e l’Assemblea vogliono che esse ricevano. Se questa è la definizione di cooperazione data dal Regno Unito, l’Assemblea la respinge totalmente.

Sosterrò quindi tutte e cinque le relazioni, con alcuni emendamenti intesi a rafforzare, in particolare, il principio dell’effetto statistico e del partenariato. Esorto gli onorevoli colleghi a essere uniti e risoluti su queste relazioni, affinché prevalga la versione europea di cooperazione, anziché quella britannica.

 
  
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  Bairbre de Brún (GUE/NGL).(L’oratore interviene in irlandese)

Signor Presidente, vorrei ringraziare tutti i relatori. In particolare, accolgo con favore la relazione dell’onorevole Olbrycht sull’istituzione di un gruppo europeo di cooperazione territoriale. Ringrazio il relatore non solo per il suo lavoro, ma anche per il modo in cui lo ha affrontato.

Gli ostacoli che si frappongono alla fornitura comune di servizi oltre frontiera possono spesso scoraggiare i funzionari pubblici e altri soggetti dall’instaurare una cooperazione pratica a livello transfrontaliero, transnazionale o interregionale. Ciò a sua volta determina duplicazioni, sprechi e opportunità mancate.

La proposta della Commissione e gli emendamenti proposti o coordinati dall’onorevole Olbrycht gioveranno al mio paese, che è diviso da una frontiera tra nord e sud, ma gioveranno anche a tutti coloro che desiderano collaborare in modo più ampio con i loro vicini europei.

L’onorevole Olbrycht ha affrontato le preoccupazioni relative al controllo finanziario, agli accordi di cooperazione esistenti e ai partenariati cui partecipano le ONG e le autorità locali. Accolgo con particolare favore il riconoscimento che tali gruppi possono svolgere un ruolo nel promuovere la riconciliazione nelle regioni frontaliere in cui vi siano stati conflitti civili o militari.

Vorrei anche lodare la relazione dell’onorevole Fava sul Fondo europeo di sviluppo regionale e riconoscere la sua disponibilità ad ascoltare i colleghi in seno alla commissione e ad accogliere diversi emendamenti di compromesso. Mi compiaccio in particolare dell’accento posto dalla relazione sull’inclusione sociale e sullo sviluppo sostenibile.

Possiamo tutti sostenere l’impegno a eliminare gli ostacoli per le persone disabili e l’impegno a favore della non discriminazione e delle pari opportunità. I finanziamenti strutturali hanno contribuito a ridare forma alle infrastrutture economiche irlandesi. In futuro saremo entusiasti di destinare gli investimenti disponibili, nel nord e nel sud dell’Irlanda, alle zone più svantaggiate, tra cui le comunità rurali lungo la frontiera tra il nord e il sud dell’isola, comunità che hanno sofferto a causa della divisione e del conflitto. Al riguardo, accolgo con favore anche l’inclusione, da parte dell’onorevole Hatzidakis, degli emendamenti di compromesso relativi alle sfide specifiche con cui devono misurarsi le regioni soggette all’effetto naturale in Irlanda e altrove.

I programmi devono seguire un’impostazione dal basso verso l’alto, in base alla quale le comunità locali possano esprimere il loro parere sulla pianificazione e sull’attuazione dei progetti e accogliamo con favore gli emendamenti che rafforzano il contributo all’economia sociale. Tuttavia, il mio partito ed io non siamo favorevoli al ricorso ai partenariati pubblico-privato.

A un livello più generale, l’Unione europea deve far fronte a una notevole sfida per assicurare che tanto i vecchi quanto i nuovi Stati membri ricevano livelli di finanziamento coerenti a titolo del FESR, sulla base delle loro necessità. Come i miei colleghi, anch’io mi auguro che il bilancio necessario per tutte queste misure sia definito entro la fine dell’anno, affinché il prossimo ciclo di programmazione possa cominciare in tempo utile.

 
  
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  Graham Booth (IND/DEM).(EN) Signor Presidente, la politica di coesione è stata al centro del progetto europeo sin dall’inizio ed è una politica che dipende dal concetto di regioni a scapito delle nazioni. In molti paesi, non ultimo il Regno Unito, le regioni sono un concetto totalmente artificioso. Tra regioni artificiose all’interno di Stati nazionali e regioni artificiose che li travalicano il passo è breve. Se i gruppi europei di cooperazione transfrontaliera compiono tale passo, essi saranno entità giuridiche con i propri statuti, organi e norme di bilancio.

La Commissione afferma espressamente che i GECT sono uno strumento per superare le gravi difficoltà di cooperazione, dovute alle numerose legislazioni nazionali. Si tratta di uno sviluppo fatidico celato come sempre dietro un freddo gergo. Il consiglio di contea del Kent, controllato dai conservatori, adorerà tutto questo. Ha già istituito una regione transfrontaliera ufficiosa – la Transmanche – col Nord Pas-de-Calais, ma i cittadini del Regno Unito non accetteranno nemmeno i tentativi di istituire governi regionali entro i loro confini. Vi garantisco che non esiste alcuna possibilità che accettino un governo regionale transfrontaliero.

 
  
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  Seán Ó Neachtain (UEN).(EN) Signor Presidente, accolgo con favore l’ottima relazione dell’onorevole Casa sul Fondo europeo per la pesca, che identifica correttamente gli obiettivi strategici fondamentali e i mezzi per conseguirli.

In Irlanda, l’acquacoltura è da tempo riconosciuta e identificata come attività che offre un contributo socioeconomico di cruciale importanza per le nostre comunità costiere. Sono quindi particolarmente soddisfatto delle importanti disposizioni che permetteranno la diversificazione dell’acquacoltura.

Sono lieto che diversi elementi delle proposte della Commissione riguardanti le attività di pesca costiera su piccola scala, in particolare gli investimenti nell’acquacoltura, siano stati modificati in sede di commissione. Gli emendamenti contribuiranno realmente a conseguire gli obiettivi prioritari del Fondo per la pesca.

Non approvo tuttavia alcuni elementi obbligatori nella proposta della Commissione, in particolare il requisito secondo cui le misure socioeconomiche devono essere incluse nei piani nazionali. A mio parere, l’applicazione del principio di sussidiarietà sarebbe più appropriata. Oggi, più che mai, sussiste una necessità cruciale di sussidiarietà. Accolgo quindi con particolare favore il fatto che spetterà a ciascuno Stato membro stabilire le proprie priorità e decidere dove e come spendere i fondi.

Infine, dobbiamo tutti garantire che si ponga fine alle aspre critiche formulate sulla politica comune della pesca e che il Fondo sia presentato agli elettori europei come un elemento positivo; in realtà, deve essere presentato come uno strumento in cui il settore può identificarsi in tutto e per tutto, uno strumento che permetterà lo sviluppo del settore, uno strumento che contribuirà a migliorare il futuro della pesca, non ultimo per i pescatori della costa occidentale dell’Irlanda, che rappresento.

 
  
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  Peter Baco (NI).(SK) L’articolo 160 del Trattato sancisce che il Fondo europeo di sviluppo regionale è destinato a contribuire alla correzione dei principali squilibri regionali esistenti nella Comunità. L’emendamento n. 8 pone particolarmente in rilievo la necessità di garantire che questo Fondo integri gli aiuti previsti dal Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, cosa del tutto naturale.

Ma perché dico tutto questo? Il successo dei nostri programmi volti a ridurre gli squilibri regionali esistenti nell’Unione europea dipende direttamente dal successo dello sviluppo rurale. La maggior parte delle regioni europee sono regioni rurali, e le regioni che accusano maggiore ritardo sono le regioni più rurali tra queste. Inoltre, onorevoli colleghi, recenti studi indicano chiaramente che, dove prospera l’industria agroalimentare, prosperano anche l’ambiente rurale e la regione nel suo insieme, mentre dove l’industria agroalimentare zoppica, altrettanto accade all’ambiente rurale e alla regione nel suo insieme. E’ una regola che si applica quasi senza eccezioni.

Pertanto, i nostri attuali tentativi di ridurre gli squilibri regionali sarebbero messi in discussione dagli sforzi volti a mettere in secondo piano questa politica agricola comune il cui scopo è quello di realizzare una prosperità sostenibile per l’agricoltura e le regioni rurali.

Onorevoli colleghi, ricordiamoci sempre che i problemi dello sviluppo regionale dell’Unione europea non possono essere risolti positivamente senza una garanzia di sviluppo rurale e che la prosperità delle regioni rurali diventerà una realtà solo se ci sarà prosperità per gli agricoltori. Non siamo rivali, onorevoli colleghi.

 
  
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  István Pálfi (PPE-DE).(HU) I negoziati su queste proposte si sono inseriti in un momento in cui è in corso un intenso dibattito sul futuro dell’Unione europea, sulla direzione che stiamo prendendo e su come procederemo. Non stiamo più semplicemente parlando della necessità che l’allargamento si compia con successo, ma dei mezzi di cui dispone l’Unione europea per fare fronte alle sfide esterne, oppure, come ha detto il rappresentante del Consiglio, “per raccogliere le sfide del XXI secolo”. Gli strumenti della politica regionale e di coesione devono svolgere un ruolo fondamentale sia per “digerire” l’allargamento – parafrasando l’espressione di Churchill – sia per reagire alle sfide. Non ci possono essere dubbi sul fatto che i principali criteri di valutazione devono essere efficienza ed efficacia. Tuttavia, pur accordando grande rilievo a questi criteri, non dobbiamo consentire che si crei una situazione in cui adottiamo, o facciamo passare al Parlamento o altrove, regolamenti che possono determinare un evidente svantaggio per gli Stati membri.

Ora, in questa fase, emerge che alcune valide proposte contenute in queste relazioni compromettono le possibilità dei paesi di recente adesione di utilizzare questi fondi. Già alcuni oratori prima di me hanno citato la regola N+2, la questione dell’IVA, e via dicendo. Inoltre, queste proposte sono incluse nelle relazioni in modo tale da modificare la prassi precedente, rendendo le condizioni meno favorevoli, oppure ignorando le possibilità che potrebbero migliorare la competitività di una particolare regione o altri obiettivi di Lisbona. Esortiamo pertanto sia i rappresentanti del Consiglio che quelli della Commissione qui presenti oggi ad accertarsi che qualsiasi proposta che ci presenteranno più avanti e qualsiasi proposta che sosterranno e porteranno avanti, garantisca pari opportunità e pari diritti per tutti gli Stati membri in termini di accessibilità ai Fondi strutturali e di coesione.

 
  
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  Zita Gurmai (PSE).(HU) Un’esperienza decisiva per i dieci nuovi Stati dell’Unione europea nei processi di trasformazione degli ultimi 15 anni è stata la scomparsa delle frontiere nazionali, il fatto che le frontiere sono diventate eteree, e il riconoscimento e l’applicazione di valori democratici europei quali sussidiarietà, solidarietà e regionalismo. Secondo il sogno, ormai lontano nel tempo, di Robert Schuman, le frontiere nazionali non dividono più. Non uniamo paesi, ma regioni e cittadini. Le regioni vorrebbero avere obiettivi comuni, meccanismi organizzati di cooperazione e, nello spirito della sussidiarietà, vorrebbero poter decidere direttamente in materia di cooperazione e di fondi necessari. Questo renderà l’Europa più democratica e anche economicamente più efficiente.

Accogliamo con favore gli sforzi della Commissione volti a tenere conto delle richieste delle regioni e del principio di sussidiarietà in fase di stesura della legislazione, e apprezziamo moltissimo i complessi e articolati negoziati giuridici avviati dalla Commissione nel tentativo di placare gli iniziali timori dei governi nazionali. Il mio gruppo comprende la cautela dimostrata dal Consiglio e dagli Stati membri in merito alla giurisdizione dei nuovi gruppi e al ruolo ridotto degli organi del governo centrale, e ci stiamo preparando per il secondo ciclo di negoziati. L’Europa delle regioni è versatile: è caratterizzata da una varietà di livelli e di forme di governo locale. Per questo motivo, i CEGT costituiscono un’opzione ragionevole. Perché non optare per questi gruppi? Ora, in un momento in cui l’integrazione, il progetto comune europeo, sembra subire un’improvvisa battuta d’arresto, è particolarmente importante che gli interessi locali e regionali siano rappresentati.

Un esempio di valida cooperazione transfrontaliera è quello che coinvolge la Stiria e la Baviera in materia di rischio valanghe e che consente di assicurare una reazione immediata in vista della prevenzione delle catastrofi. Il sistema prevede una procedura semplificata che consente alle regioni colpite di contattarsi a vicenda per gli aiuti necessari, anziché ricorrere a procedure amministrative molto lunghe. Provate a immaginare che cosa accadrebbe senza un accordo regionale! In primo luogo, le regioni interessate dovrebbero rivolgersi ai rispettivi governi centrali per ottenere un consenso formale, e solo una volta in possesso delle necessarie delibere ed autorizzazioni, potrebbero iniziare le operazioni di soccorso. Il solo pensiero ci fa inorridire. Il mio gruppo ha attirato l’attenzione del Parlamento sul lavoro preparatorio parallelo intrapreso dal Consiglio europeo per redigere il triplice protocollo alla Convenzione quadro di Madrid sulla cooperazione transfrontaliera – il cui stesso titolo rivela l’obiettivo comune dei due testi legislativi. Credo che il lavoro del relatore meriti un elogio e credo che le proposte di compromesso siano utili; raccomando pertanto che la relazione sia approvata.

 
  
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  Mojca Drčar Murko (ALDE).(SL) La proposta di direttiva relativa all’istituzione dei gruppi europei di cooperazione transfrontaliera è stata elaborata nell’ambito della riforma della politica di coesione, che sarà a disposizione degli onorevoli colleghi interessati. Rimane tuttavia ancora alquanto controversa, perché, data la sua natura giuridica, non è assolutamente uno strumento. Rappresenta piuttosto un dispositivo della politica europea della nuova generazione, definita alla luce dell’obiettivo costituzionale dell’aumento della coesione geografica e basata sulla solida esperienza di quelle regioni che negli anni scorsi hanno sviluppato la cooperazione transfrontaliera nell’ambito di INTERREG e hanno incontrato vari problemi in ragione delle differenze tra le legislazioni nazionali.

I nuovi gruppi introdotti da questa direttiva avranno per loro stessa natura una finalità precisa. Le regioni precedentemente competenti saranno, con questo documento, in grado di attuare progetti regionali di natura transfrontaliera. Ci sarà un chiaro vantaggio: tali attività non saranno più in balia dei mutamenti delle maggioranze parlamentari nei singoli Stati membri e, di conseguenza, non dovranno essere necessariamente organizzate al livello più basso.

La nuova direttiva si differenzia dalla precedente prassi di cooperazione interregionale, in quanto la cooperazione dovrà essere condotta a un livello più elevato. La differenza è costituita dall’attribuzione giuridica dei doveri, cosa che, naturalmente, accresce la responsabilità delle agenzie e aumenta la responsabilità finanziaria, quando si opera con risorse comuni. Per quanto riguarda le risorse dei fondi dell’Unione europea, lo Stato rimane finanziariamente responsabile e lo rimarrà anche quando queste risorse saranno gestite dai gruppi. Nel caso di risorse di altro tipo, saranno i gruppi stessi ad essere responsabili.

La proposta originaria della Commissione ha dovuto essere integrata per quanto riguarda la competenza degli organismi di sorveglianza dello Stato di cui sarà applicato il diritto, qualunque esso sia. Non ci devono essere settori che non siano giuridicamente disciplinati in modo chiaro. Crediamo che gli emendamenti proposti, che sono stati messi a punto con il relatore, abbiano colmato queste lacune in modo soddisfacente. Vedremo poi nella pratica se le nostre ipotesi erano corrette.

 
  
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  Marie-Hélène Aubert (Verts/ALE).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei innanzi tutto ringraziare l’onorevole Casa per questa importantissima relazione sul Fondo europeo per la pesca, un settore che, purtroppo, ha subito crisi ricorrenti, dovute a una pressione troppo elevata sugli stock alieutici e alle difficoltà di organizzare una politica di gestione della pesca sostenibile che contribuisca a mantenere un tessuto umano e un’attività dinamica sulle nostre coste.

Accogliamo pertanto con favore tutto ciò che può contribuire ad assicurare un uso più selettivo degli attrezzi da pesca, la riduzione dell’impatto ambientale, il sostegno alle piccole imprese e alle microimprese nel settore della pesca e la trasparenza delle politiche adottate. Deploriamo tuttavia vivamente il fatto che la commissione per la pesca voglia nuovamente finanziare la costruzione e la modernizzazione di nuovi pescherecci, e addirittura la loro esportazione, sebbene queste sovvenzioni siano state soppresse nel 2002 perché incompatibili con gli obiettivi della politica e per i loro effetti nocivi. I Fondi dovrebbero concentrarsi molto di più sui problemi umani: formazione, supporto tecnico, riconversione, ruolo delle donne, aiuti in caso di crisi socioeconomica, migliore conoscenza degli ambienti e dei mezzi per conservarli e ripristinarli, eccetera. Questi sono gli elementi vitali per il futuro della pesca e speriamo che il Consiglio non ceda alla tentazione di sostenere certe lobby nazionali a scapito dell’interesse generale.

 
  
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  Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL).(EL) Signor Presidente, mi consenta di iniziare ringraziando tutti e cinque i relatori, soprattutto il mio amico, onorevole Hatzidakis, per l’impegno profuso nella stesura di questa relazione. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che, quando parliamo di politica regionale europea, parliamo dello sviluppo di un programma concepito per promuovere la coesione sociale ed economica e consentire all’Unione di avviare azioni volte a ridurre gli squilibri regionali, promuovere una vera coesione e rafforzare l’occupazione, contribuendo al contempo a ridistribuire e a controbilanciare il costo del mercato interno per quanto riguarda le regioni meno sviluppate.

Questa relazione, che affronta la maggior parte degli aspetti della politica regionale dell’Unione, non attribuisce, a mio avviso, un peso sufficiente alle regioni meno sviluppate. Analogamente, non dobbiamo nemmeno dimenticare che i nuovi Stati membri che soffrono di pesanti squilibri geografici, come Cipro e Malta, hanno bisogno di più aiuto nell’ambito della politica regionale europea.

Perché questa necessità diventi una realtà, dobbiamo tenere conto degli imperativi di una politica di coesione sostenibile per tutta l’Unione europea, che assuma la forma di azioni e non di statistiche per molti aspetti contestate.

 
  
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  Bastiaan Belder (IND/DEM).(NL) Signor Presidente, nella nostra economia orientata al mercato, sono le grandi imprese, spesso di livello internazionale, che dettano legge. Tra le parole chiave ci sono specializzazione e scalabilità. Le imprese scelgono la propria ubicazione in funzione dei vantaggi naturali regionali e, pertanto, non tutte le attività possono essere svolte in modo redditizio in tutte le regioni. Le condizioni concrete spesso pesano molto di più di qualsiasi incentivo finanziario offerto dai governi. Non nutro pertanto l’illusione che la politica strutturale europea possa fare miracoli. E’ troppo irrealistica, troppo inflessibile e di portata troppo limitata per riuscirci.

Questo non significa tuttavia che la politica strutturale europea non potrebbe, in certi casi, contribuire a una riduzione temporanea delle paralisi economiche regionali e locali, infatti l’esperienza pratica dimostra che può farlo. Le relazioni dei nostri colleghi meritano pertanto almeno un po’ di sostegno, con particolare riferimento ad alcuni tipi di paralisi. Penso in particolare al mantenimento della possibilità di includere i fondi privati nel calcolo del cofinanziamento, al necessario coinvolgimento dei partner regionali e locali nell’elaborazione e nell’esecuzione dei piani, all’importanza di spendere le risorse disponibili entro i termini previsti in modo efficace ed efficiente.

Un’eventuale riduzione del bilancio totale del Consiglio dovrà essere sostenuta finanziariamente da tutte le regioni. In futuro, dovremo concentrarci sull’elemento della conoscenza, invece che sull’elemento della produzione. E’ qui che sta la nostra forza, come dimostrato anche dalla pratica. Dovremmo pertanto prevedere a ogni livello un certo margine per sfruttare questa forza e dovremmo ricorrere alle regioni forti per migliorare la difficile situazione in cui versano quelle più deboli.

 
  
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  Salvatore Tatarella (UEN). – Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, anch’io desidero congratularmi con i relatori per il buon lavoro svolto. L’articolo 160 del Trattato che istituisce la Comunità europea prevede che il Fondo europeo di sviluppo regionale contribuisca alla correzione dei principali squilibri regionali esistenti nella Comunità, partecipando allo sviluppo e all’adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo, nonché alla riconversione delle regioni industriali in declino. La politica regionale rappresenta pertanto un’occasione e un’opportunità che non possiamo sprecare e che deve essere gestita nel miglior modo possibile.

Mi riferisco in particolare alle regioni meridionali dell’Italia, che rientrano nell’ex Obiettivo 1, oggi denominato obiettivo “Convergenza”, che registrano ancora enormi problemi e gravi ritardi in molti settori. La politica regionale può davvero essere molto utile per queste regioni, anche se occorre correggere alcuni errori del passato. Talvolta non abbiamo utilizzato tutte le risorse a nostra disposizione e altre volte le abbiamo utilizzate nel modo meno appropriato.

La relazione dell’onorevole Fava, con il quale concordo, cerca di correggere quest’ottica puntando sulla conoscenza, sulla ricerca e sullo sviluppo, pertanto...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. DOS SANTOS
Vicepresidente

 
  
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  James Hugh Allister (NI).(EN) Signor Presidente, come prima osservazione vorrei dire che il pacchetto di finanziamento proposto per i Fondi strutturali e il Fondo di coesione per il periodo 2007-2013 non tiene sufficientemente conto delle esigenze di quelle regioni dell’Unione a 15 che, sebbene accusino gravi deficienze a livello di investimenti infrastrutturali, a causa dei criteri regionali, non sono state valutate ammissibili ai finanziamenti previsti nell’ambito del Fondo di coesione. L’Irlanda del Nord, che rappresento, è una di queste. Le nostre infrastrutture idriche, fognarie e stradali hanno bisogno di elevati investimenti. Negli ultimi 30 anni non si è costruito nemmeno un chilometro di autostrada. Il nostro sistema idrico ha bisogno di investimenti dell’ordine di centinaia di milioni. Ciononostante, non siamo stati considerati ammissibili agli aiuti per l’ambiente e le infrastrutture stradali nell’ambito del Fondo di coesione, a causa dei criteri nazionali.

Il nostro vicino più prossimo, la Repubblica d’Irlanda, è risultata ammissibile e nei dieci anni successivi al 1993 ha ricevuto oltre 2 miliardi di euro per finanziare le spese per questi progetti. Queste proposte, che si concentrano quasi esclusivamente sui nuovi Stati membri, non riconoscono le evidenti necessità di regioni come la mia. Invito pertanto a riconsiderare le reali necessità di regioni della vecchia Unione europea a 15 che rischiano ora di essere completamente dimenticate.

Vorrei spendere qualche parola sul Fondo europeo per la pesca. Mi sembra che sia stato concepito in larga misura per la gestione di un ulteriore declino. Il divieto di finanziare nuovi pescherecci non potrà certo contribuire ad affrontare i pericoli e i problemi di una flotta che invecchia. Il fondo dovrebbe invece occuparsi delle esigenze specifiche del settore della pesca in ogni Stato membro e, se lo facesse, la modernizzazione e il finanziamento di nuovi pescherecci sarebbero al primo posto dell’agenda di molte regioni.

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE-DE).(SK) Il Fondo sociale europeo è indubbiamente un elemento importante nella promozione della politica sociale e occupazionale europea. Allo stesso modo, contribuisce in misura significativa alla realizzazione degli obiettivi della strategia di Lisbona, come la creazione di posti di lavoro, il sostegno all’istruzione e alla formazione professionale, la promozione della coesione e dell’inclusione sociale, e non ultimo, l’eliminazione delle disuguaglianze tra i generi.

Desidero qui esprimere i miei ringraziamenti al nostro collega, onorevole Silva Peneda, per il lavoro svolto nella stesura di questa relazione. Spero con tutto il cuore che questi sforzi facciano sì che il regolamento possa eliminare nella misura del possibile i significativi squilibri esistenti tra i 25 Stati membri dell’Unione europea in settori quali disoccupazione, sicurezza sociale, formazione professionale ed istruzione. Il Fondo sociale europeo è uno strumento importante in vista della promozione dell’integrazione sociale e dell’accessibilità del lavoro a vari gruppi di persone svantaggiate, come i disabili. Mi fa molto piacere che il Parlamento sia riuscito ad integrare come elemento prioritario nel testo del regolamento la tutela di queste persone.

Onorevoli colleghi, desidero ora attirare la vostra attenzione sull’emendamento che io e l’onorevole Jan Březina, con il sostegno dei miei colleghi di Slovacchia, Repubblica ceca e Ungheria presentiamo alla plenaria di mercoledì. Si tratta dell’emendamento n. 98, nel quale proponiamo congiuntamente che le motivazioni del regolamento siano estese con l’aggiunta del testo, e cito “una delle priorità del Fondo sociale europeo dovrebbe consistere nel compensare gli effetti negativi dell’esclusione dal mercato del lavoro dei lavoratori provenienti dai nuovi Stati membri”. A nostro avviso, questa clausola ha una grande importanza politica rispetto alla decisione di imporre un periodo transitorio durante il quale si limita l’accesso al mercato del lavoro dell’Unione europea per i lavoratori dei nuovi Stati membri. Oggi sappiamo che questa decisione, presa prima della nostra adesione all’Unione europea, si è dimostrata ingiustificata.

 
  
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  Udo Bullmann (PSE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’onorevole Jöns, relatrice ombra del gruppo socialista al Parlamento europeo per la relazione Silva Peneda, purtroppo oggi per motivi personali non può essere presente. Pertanto esporrò io a nome del nostro gruppo la sostanza dei suoi commenti.

Desideriamo innanzi tutto ringraziare l’onorevole Silva Peneda per l’ottima cooperazione. E’ infatti riuscito a conciliare tutti gli elementi e a sintetizzare gli obiettivi più importanti per tutti. La relazione contiene numerose importanti integrazioni alla proposta della Commissione, e speriamo che domani possa ottenere il sostegno di una larga maggioranza. Noi presenteremo solo un emendamento che a nostro avviso costituisce un’aggiunta necessaria.

Vorrei esporre quattro osservazioni e lo farò molto brevemente, come è giusto che sia. In primo luogo, ci fa piacere constatare che la relazione esorta gli Stati membri a fare di più in vista dell’attuazione di misure transnazionali innovative. Questo garantisce il valore aggiunto europeo e consente di diffondere le migliori pratiche che abbiamo acquisito in materia di politica per il mercato del lavoro.

In secondo luogo, è a nostro avviso di importanza fondamentale attribuire maggiore attenzione ai piani d’azione nazionali che affrontano il problema dell’esclusione sociale. I disoccupati di lunga durata e le persone che non hanno completato gli studi hanno bisogno di un sostegno particolare che in questo modo può essere fornito.

In terzo luogo, accogliamo con favore l’obbligo imposto agli Stati membri di orientare le azioni in modo più specifico verso le esigenze delle donne e quello di assicurare che sia applicato il gender budgeting. Alcuni Stati membri, come la Germania, il Belgio o l’Austria si distinguono già da questo punto di vista, avendo deciso di destinare oltre il 10 per cento dei loro fondi dell’FSE all’occupazione femminile.

Infine, siamo convinti che i richiedenti asilo debbano continuare a poter beneficiare delle misure del Fondo sociale europeo. Sono persone che in molti casi rimangono da noi per mesi, in attesa di una decisione sulla loro domanda di asilo, e hanno pertanto bisogno del nostro sostegno. Dobbiamo offrire loro qualcosa, a prescindere dal fatto che poi ottengano l’asilo o siano rimpatriati.

 
  
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  Elspeth Attwooll (ALDE).(EN) Signor Presidente, è d’obbligo ringraziare tutti i relatori per la trasparenza e la completezza con le quali hanno affrontato i fascicoli e per il livello di consenso che hanno creato. I miei ringraziamenti personali vanno in particolare all’onorevole Hatzidakis per aver sostenuto gli emendamenti presentati dal gruppo ALDE alla sua relazione. Vorrei tuttavia concentrarmi in particolare sulla relazione Casa, nella quale vorremmo inserire alcuni riferimenti a un approccio alla gestione della pesca basato sull’ecosistema, ai consigli consultivi regionali e al miglioramento della trasparenza in merito alle strutture di controllo finanziario. Chiedo ai colleghi di votare a favore di queste proposte.

A titolo personale vorrei dire che, mentre credo che la relazione contenga molti elementi positivi, ci sono pur sempre alcuni aspetti che, come il Commissario, non posso appoggiare. Le risorse stanziate per il fondo sono limitate; è necessario soddisfare molte esigenze. L’inclusione di miglioramenti in termini di sicurezza e di miglioramenti delle condizioni di qualità a bordo dei pescherecci, e l’inclusione di misure volte a rendere i pescherecci più rispettosi dell’ambiente possono essere accettabili, in particolare per il settore della piccola pesca costiera. Sono tuttavia assolutamente contraria, sia in termini di principio che in termini di effetti pratici, a utilizzare il denaro dei contribuenti europei per un più vasto rinnovamento della flotta. Non è che un tentativo di riportare indietro l’orologio.

A livello più generale – e mi rivolgo al Presidente in carica del Consiglio – mi ricollego a quanto già affermato dai colleghi di tutti i gruppi politici ed esorto il Consiglio a prendere molto sul serio le raccomandazioni del Parlamento sulle prospettive finanziarie e sui finanziamenti strutturali contenute nelle relazioni Berger e Hatzidakis. Diversamente, temo che ci saranno gravi effetti negativi sia per la rigenerazione economica sia per l’inclusione sociale. Sono altresì profondamente convinta che i finanziamenti dell’Unione europea dovrebbero essere messi a disposizione delle aree in condizioni di bisogno ovunque si trovino all’interno dell’Unione.

Alla luce di ciò, esprimo i migliori auguri al Regno Unito per la Presidenza, sperando che possa portare ad una rapida riconciliazione sulle prospettive finanziarie. Quando il Primo Ministro britannico ha recentemente parlato in quest’Aula, ha fatto riferimento ad una “unione di valori, di solidarietà tra nazioni e popoli”. Spero che sia in particolare questa visione delle cose ad ispirare il dibattito.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE).(EN) Signor Presidente, l’obiettivo del Fondo europeo per la pesca dovrebbe essere quello di attuare la politica comune della pesca, secondo il Commissario Borg. In Scozia, tuttavia, la necessità più specifica sarebbe quella di compensare gli effetti disastrosi della politica comune della pesca sulle nostre comunità ed è preoccupante che il finanziamento complessivo previsto per i 25 Stati membri sia più o meno uguale a quello che avevamo per i 15 Stati membri.

Appoggio la maggior parte degli emendamenti della commissione per la pesca di questo Parlamento, con l’eccezione della costruzione dei pescherecci. In particolare, sono favorevole alla sostituzione dell’espressione “riduzione” della flotta con “adeguamento”, in modo da tenere conto delle situazioni specifiche delle varie zone. Sono d’accordo sull’enfasi posta sull’importanza dell’acquacoltura, sul carattere prioritario della piccola pesca costiera e sull’indennità compensativa proposta per l’arresto temporaneo forzato. Mi fa piacere che la Commissione consideri la pesca abbastanza importante da giustificare la presenza del Commissario per la pesca a questo dibattito. E’ un peccato che la Presidenza non abbia fatto lo stesso, ma questo è tipico dei governi britannici e del loro modo di guardare alla pesca, in particolare in Scozia.

 
  
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  Giusto Catania (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, su questa discussione pende una spada di Damocle rappresentata dalle Prospettive finanziarie dell’Unione, che influiscono in modo determinante sulla definizione delle politiche di coesione dell’Unione europea.

La politica di coesione è lo strumento più qualificato per rilanciare il ruolo dell’Europa politica, la cui crisi è spesso determinata dalle scelte neoliberiste e dalla militarizzazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

I relatori hanno fatto un ottimo lavoro nel predisporre i nuovi strumenti per il raggiungimento degli obiettivi della nuova politica di coesione. Voglio ringraziare in particolare gli onorevoli Fava e Andria per il lavoro svolto.

Tuttavia, per poter progettare il futuro occorre anche fare un bilancio dell’impatto che i Fondi strutturali hanno avuto sulle società e sull’economia delle aree deboli dell’Europa. Spesso, infatti, i Fondi strutturali non sono serviti a migliorare la qualità della vita dei cittadini delle aree depresse, ma sono stati piuttosto un affare per le mafie, sono stati elargiti in modo clientelare o sono stati utilizzati per coprire buchi di bilancio e talvolta non sono stati neanche spesi. Mentre incombe la discussione sulla quantità delle risorse finanziarie, occorre fare anche una riflessione sulla qualità della spesa.

 
  
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  Mieczysław Edmund Janowski (UEN). (PL) Signor Presidente, desidero congratularmi con tutti i relatori. Molto è stato detto sulla coesione e sullo sviluppo equilibrato dell’Europa. Se però vogliamo che tutto questo diventi realtà, devono essere prese decisioni adeguate in merito al Fondo di coesione, ai Fondi strutturali, al Fondo sociale e alla cooperazione transfrontaliera.

Desidero cogliere questa opportunità per chiedere l’adozione di soluzioni più flessibili, soprattutto per quanto riguarda la regola N+2 per il Fondo di coesione, l’IVA non rimborsabile, gli alloggi sociali e l’approccio multifondo. Emendamenti in tal senso non favorirebbero solo i nuovi Stati membri, ma anche i vecchi Stati membri. Sono numerosi gli esempi che dimostrano che le imprese dei 15 vecchi Stati membri vincono gare che comportano investimenti nei nuovi Stati membri. I nuovi Stati membri, inoltre, capiscono molto bene problemi quali l’effetto statistico e le condizioni delle isole.

Vorrei aggiungere che questa netta divisione tra vecchi e nuovi Stati membri è dannosa per l’Unione europea. La teoria dei giochi matematici ammette che ci sono giochi nei quali la vincita di un giocatore non necessariamente determina la perdita dell’altro. Dovremmo partecipare a questo tipo di gioco, perché aiuteremmo l’Europa.

 
  
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  Carmen Fraga Estévez (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, desidero iniziare esprimendomi a favore dell’ottimo lavoro svolto e del difficile consenso raggiunto dal relatore, onorevole Casa, in seno alla commissione per la pesca del Parlamento europeo.

In secondo luogo, vorrei anche invitare i critici della politica di ristrutturazione della pesca a lasciare da parte l’argomentazione, trita e ritrita, secondo cui un peschereccio o un impianto di acquacoltura sono sinonimi di catastrofe ambientale e ad accordarci invece il loro appoggio. Vi posso garantire che, con il bilancio riservatoci dal Fondo europeo per la pesca – 4 900 milioni per sei anni e 27 paesi, con un aumento di soli 1 500 milioni rispetto al fondo attuale per 15 paesi – possiamo arrecare pochi danni all’ambiente o al bilancio della Comunità.

Credo che la relazione abbia ragionevolmente introdotto più misure rispetto a quelle contenute nella proposta della Commissione, al fine di assicurare maggiore flessibilità e consentendo in questo modo agli Stati membri di dare risposte migliori ai vari settori a livello locale. Abbiamo aumentato il numero di casi ammissibili agli aiuti per il rinnovamento e l’ammodernamento della flotta, poiché è difficile capire perché certe professioni debbano essere condannate a lavorare con mezzi produttivi obsoleti e pericolosi, in particolare le navi di piccole dimensioni, che sono le più antiquate. Esprimere il nostro rincrescimento per gli incidenti a posteriori e rendere omaggio alle vittime non serve a molto. Ora, però, abbiamo l’opportunità di contribuire ad evitarli, poiché adesso disponiamo anche di una serie di metodi di telerilevamento e di sorveglianza satellitare che impediscono che si peschi troppo o che si peschi quello che non si deve pescare.

Signor Presidente, mi consenta di aggiungere un ultimo commento sulle società miste. Credo che siano la garanzia di un’efficace politica di cooperazione e di aiuto allo sviluppo e, in linea con il sostegno espresso dalla Commissione nell’ambito della nuova politica sugli accordi di associazione, desidero difenderle. Tuttavia, signor Commissario, non credo che sia possibile creare società miste nei paesi terzi in via di sviluppo senza un’adeguata assistenza della Comunità, in quanto questi paesi non hanno le stesse tutele giuridiche per gli investimenti. Quindi, se davvero vogliamo che le società miste siano una pietra angolare della cooperazione per lo sviluppo, signor Commissario, garantiamo loro assistenza nell’ambito del FEP.

 
  
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  Catherine Stihler (PSE).(EN) Signor Presidente, ringrazio i relatori.

Lo sviluppo regionale è una delle pietre miliari dell’Unione europea. Accolgo con favore la posizione del Parlamento sulla politica regionale di per sé, ma credo anche che dobbiamo garantire uno sviluppo sostenibile. Accolgo favorevolmente anche la revisione della politica comune della pesca poiché fornisce un quadro sostenibile per la pesca. Deploro profondamente il fatto che la relazione sul Fondo europeo per la pesca sia stata trasformata in uno strumento volto a rimettere in discussione le decisioni prese durante la revisione della PCP.

La revisione ha chiaramente messo fine alle sovvenzioni per la costruzione dei pescherecci e ha introdotto limitazioni alla modernizzazione. E’ falso affermare che la sostituzione dei motori e altre forme di modernizzazione non aumentano lo sforzo di pesca. Accolgo con favore l’enfasi posta sulla sostenibilità nell’ambito delle proposte della Commissione sul FEP. Ho anche notato che, nel suo documento di lavoro sulla PCP, l’onorevole Böge ha affermato che la sovracapacità della flotta comunitaria, nonostante gli sforzi intrapresi nell’ambito dei precedenti programmi strutturali, è ancora una delle principali ragioni del sovrasfruttamento di certi stock. La sostenibilità è la chiave per la prosperità e lo sviluppo futuri nel settore della pesca.

Non accetto l’argomentazione secondo cui i vecchi pescherecci di piccole dimensioni sono poco sicuri e devono essere sostituiti usando denaro pubblico. Può essere incontestabile che devono essere sostituiti. Tuttavia, anche la mia vecchia automobile era poco sicura ed era necessario sostituirla, ma ho dovuto sostenere io le spese di questa operazione. Certo, la mia attività non si basava sull’uso dell’auto, ma, anche se così fosse stato, non mi sarei aspettata che il governo intervenisse e mi finanziasse. Il rinnovamento della flotta è necessario, ma voglio che avvenga su una base sostenibile. Non dobbiamo sovvenzionare troppi pescatori affinché catturino troppo poco pesce.

 
  
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  Alfonso Andria (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa volta intervengo in qualità di relatore ombra per il gruppo ALDE sul regolamento relativo al FESR. Desidero innanzitutto complimentarmi con il relatore onorevole Fava per l’ottimo lavoro svolto.

Valuto positivamente il richiamo del relatore al tema della sicurezza pubblica quale garanzia contro le infiltrazioni della criminalità organizzata nei processi di spesa legati ai Fondi strutturali. Sono stati raggiunti significativi punti di convergenza tra molti di noi, di diversa estrazione e provenienza sia territoriale che politica, sul grande tema dell’inclusione sociale.

In sede di dibattito in commissione, durante l’esame degli emendamenti, sono stati trovati compromessi e punti di sintesi molto efficaci. Mi rallegro del fatto che il relatore abbia voluto tenere in massima considerazione le richieste avanzate dal mio gruppo, l’Alleanza dei democratici e liberali per l’Europa.

In particolare, abbiamo ottenuto una maggiore attenzione per quanto riguarda la dimensione urbana. E’ stato posto l’accento sulla forza propulsiva che un buon programma di investimento e di gestione dei fondi diretti alle città può avere per il rilancio economico e socioculturale delle periferie e delle zone rurali circostanti, come ha affermato quest’oggi anche la signora Commissario qui presente. Ciò agirà da vero motore per lo sviluppo sostenibile e duraturo dei territori.

Infine, per quanto riguarda il tema delle disabilità ho chiesto di introdurre tra le finalità del FESR un impegno preciso per la promozione delle iniziative volte alla rimozione delle barriere architettoniche per le opere che sono finanziate dal Fondo, in modo da garantire pari opportunità nell’accesso allo stesso.

Per quanto riguarda gli altri temi, soprattutto la questione dell’IVA, credo che siano già stati ampiamente discussi in precedenza.

 
  
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  Georgios Karatzaferis (IND/DEM).(EL) Signor Presidente, lo scorso anno abbiamo detto “sì” ai nuovi paesi e “sì” al loro finanziamento, ma con questo non abbiamo voluto dire che tale finanziamento dovesse andare a scapito del finanziamento delle zone svantaggiate dei vecchi paesi. La Grecia ha tremila isole che tutti vogliamo visitare in luglio e agosto, ma nessuno si chiede come vivano il resto dell’anno, spesso senza petrolio, senza medici e senza trasporti pubblici. Dobbiamo pertanto renderci conto che questo 0,41 per cento del bilancio non è sufficiente; è meno che insufficiente per rispondere in misura equa e corretta alle esigenze delle regioni ultraperiferiche.

Ci era stato detto che la Grecia avrebbe ricevuto 24 miliardi di euro. E’ quello che aveva affermato l’ex Primo Ministro Simitis. Ora il nuovo Primo Ministro Karamanlis ci viene a dire che riceveremo solo poco più della metà del quarto pacchetto. Sono accordi ridicoli. I paesi non possono progredire in questo modo. L’Unione europea non può progredire in questo modo.

Gli Stati membri devono essere incoraggiati a utilizzare le risorse. Secondo il Commissario Hübner, nel 2003 abbiamo ricevuto 2,6 miliardi di euro e lo scorso anno abbiamo ricevuto 1,4 miliardi. Quest’anno, non è arrivato nemmeno un euro, e sono già trascorsi sette mesi. E’ denaro sottratto al mercato, agli agricoltori, alla produzione e alla produttività.

Dobbiamo smettere una buona volta di considerare le persone come numeri perché, se continuiamo così, con la politica del Presidente Blair, sappiate che, la prossima volta che siederete a tavola, non vi saranno serviti pomodori, ma microchip e, invece di trovare frutta e verdura, troverete CD-ROM e floppy disk. Qui ci abita la gente, non i robocop!

 
  
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  Alun Michael, Presidente in carica del Consiglio. – (EN) Signor Presidente, la ringrazio per avermi consentito di intervenire in questa fase del dibattito. I colleghi riferiranno in merito ai contributi futuri, ma da parte mia vi sono grato per aver capito le difficoltà che ho dovuto affrontare per poter essere qui nonostante l’orario del dibattito sia stato modificato.

Abbiamo ascoltato alcuni contributi eccellenti. Ho apprezzato in particolare l’enfasi posta dall’onorevole Galeote Quecedo sull’importanza della coesione per il futuro dell’Unione europea. Sono anche d’accordo che sarebbe importantissimo e utilissimo giungere a una rapida decisione sul bilancio. Per ottenere un risultato in tal senso, è necessario un grande impegno da parte di tutti noi. Ci impegneremo sicuramente a svolgere la nostra parte nel tentativo di pervenire a un accordo. Ho notato anche l’accento posto su temi quali l’IVA e gli alloggi.

Desidero dire agli onorevoli deputati che ora rifletteremo sulle osservazioni espresse oggi ed esamineremo attentamente le relazioni e gli emendamenti che saranno adottati domani. La Presidenza lavorerà poi a stretto contatto con il Parlamento nel percorso verso una posizione comune, per discutere del modo migliore di rispondere alle vostre preoccupazioni.

Alcune di queste preoccupazioni sono tra loro molto diverse. L’onorevole Krehl ha fatto riferimento al successo dei fondi di coesione nel Regno Unito. Sono d’accordo, ed è una delle ragioni per le quali concordiamo con l’osservazione dell’onorevole Beaupuy, che ha chiesto di concentrarci sui dieci nuovi Stati membri. L’onorevole Griesbeck ha chiesto un accordo, ma si è riservata il diritto di dire “no”. Dico a lei e agli altri che dovremmo tutti cercare di trovare la risposta giusta per l’Europa del XXI secolo. In ogni caso, però, oggi l’attenzione si concentra sui regolamenti.

Come ho detto nelle mie osservazioni introduttive, c’è una certa differenza di opinioni sul pacchetto di regolamenti, ma dal dibattito emerge chiaramente che tra Consiglio e Parlamento c’è un forte consenso su molti aspetti della riforma. Siamo tutti determinati a sviluppare una politica regionale dell’Unione europea dinamica ed efficiente in grado di contribuire pienamente agli obiettivi fondamentali dell’Unione e di garantire il successo dell’allargamento – tutti tranne l’onorevole Smith che ha letto un comunicato stampa da mettere a verbale, e forse l’onorevole Booth, che non sembra essersi accordo degli enormi vantaggi determinati dallo sviluppo regionale in Inghilterra.

Passando ora al nucleo centrale del dibattito, il Parlamento ha sollevato una serie di questioni e problemi in relazione all’entità del bilancio futuro per i Fondi strutturali, nonché alla sua ripartizione tra gli Stati membri e le loro regioni. Alcuni deputati, in particolare gli onorevoli Hatzidakis e Andria, hanno difeso l’architettura globale delle proposte della Commissione, che concentrano il bilancio più elevato dei Fondi strutturali su tre obiettivi – convergenza, competitività e cooperazione – e si sono opposti a qualsiasi modifica della distribuzione dei finanziamenti tra queste tre priorità. L’onorevole Schroedter ha messo in rilievo il ruolo svolto dalla politica regionale dell’UE nel garantire la solidarietà dell’Unione europea. Convengo – anche se naturalmente il ventaglio di opinioni è molto ampio – sul modo di realizzare nella pratica una vera solidarietà. Per esempio, l’onorevole Triantaphyllides si è pronunciato a favore di una maggiore attenzione verso gli Stati membri più poveri, mentre l’onorevole Allister ha rilevato che a suo parere le proposte della Commissione prevedono stanziamenti troppo elevati per i nuovi Stati membri.

Il Consiglio sta anche portando avanti un dibattito volto a migliorare nelle prossime prospettive finanziarie l’articolazione e la messa a disposizione dei fondi affinché possano contribuire nel migliore dei modi allo sviluppo regionale dell’Unione europea. Lo fa ponendo una serie di domande sulle proposte della Commissione per la distribuzione dei fondi, per la ripartizione tra i tre obiettivi, sull’enfasi posta sul finanziamento dell’obiettivo “Convergenza” per le regioni più ricche, in particolare negli Stati membri più ricchi e sulla proposta ripartizione al 50 per cento tra i vecchi e i nuovi Stati membri.

Altri hanno messo in discussione alcuni aspetti relativi alle regole tecniche per la realizzazione dei programmi, come l’applicazione della regola N+2 al Fondo di coesione, e qui c’è stato un interessante riferimento alla flessibilità e alle sue modalità di applicazione, e al trattamento dell’IVA e di altre spese. Sono problemi complessi e il modo in cui li risolveremo avrà un impatto decisivo sull’efficienza delle spese future per i Fondi strutturali.

Ho notato che una larga maggioranza del Parlamento e del Consiglio sostiene ampiamente le proposte della Commissione tese a rafforzare l’accento strategico delle spese per i Fondi strutturali sulle agende di Lisbona e di Göteborg. Vogliamo tutti una valutazione rigorosa e meccanismi più flessibili ed efficienti per realizzare i progetti e siamo tutti intenzionati e determinati a mantenere regole solide per il monitoraggio delle spese in modo che ci sia una rigorosa rendicontazione delle spese dei Fondi strutturali.

Possiamo essere d’accordo con gli onorevoli Silva Peneda e Krehl sulla necessità di semplificare le procedure per attuare i programmi dei Fondi strutturali. Mentre accogliamo favorevolmente molte delle utili iniziative della Commissione in questo settore, il Consiglio può certamente convenire con l’onorevole Silva Peneda sul fatto che c’è un ulteriore margine di semplificazione per alcune delle proposte contenute nel progetto di regolamento. Siamo anche d’accordo con l’onorevole Harangozó e altri sulla necessità di aumentare al massimo il coinvolgimento del settore privato nei programmi.

In merito alle priorità per gli aiuti nell’ambito dei Fondi strutturali, ancora una volta le posizioni del Consiglio e del Parlamento hanno molti punti in comune. Per quanto riguarda il FESR, siamo tutti d’accordo sulla necessità di mantenere un adeguato livello di concentrazione su un numero limitato di priorità e, come ha sostenuto l’onorevole Fava, sulla necessità di rafforzare l’enfasi su attività quali innovazione, ricerca e sviluppo a sostegno degli obiettivi di Lisbona.

Per quanto riguarda l’FSE, possiamo essere d’accordo con l’onorevole Silva Peneda sulla necessità di concentrarci in modo specifico sulla strategia europea per l’occupazione.

I problemi irrisolti sono ora chiari. Sia il Consiglio che il Parlamento sono intenzionati a mantenere un principio di partenariato forte affinché i soggetti nazionali, regionali e locali continuino a partecipare attivamente alla realizzazione dei programmi. Tuttavia, nel lavoro con i partner ci sono differenze che dobbiamo appianare.

Analogamente, si registra un ampio sostegno a favore delle misure tese a migliorare l’efficacia dei Fondi strutturali. Abbiamo però punti di vista diversi su alcuni aspetti delle proposte della Commissione. Per esempio, il Consiglio non ha potuto appoggiare le proposte della Commissione relative alla creazione di riserve obbligatorie per il miglioramento delle prestazioni e le congiunture negative; temiamo infatti che le difficoltà amministrative e i costi burocratici supererebbero gli eventuali vantaggi concreti che ne potrebbero derivare.

Non sono difficoltà insormontabili, ma dobbiamo cooperare strettamente per appianare queste differenze nei prossimi mesi. Terremo conto delle opinioni del Parlamento quando prepareremo i nuovi testi di compromesso che saranno discussi in seno al gruppo di lavoro del Consiglio. Il mio collega, Alan Johnson, visiterà la commissione per lo sviluppo regionale il 12 settembre e in quell’occasione sarà lieto di dibattere in modo più approfondito questi temi con gli onorevoli deputati. Ci terremo in stretto contatto con i relatori per discutere con loro dei vari aspetti a mano a mano che la posizione del Consiglio si preciserà.

Dopo il dibattito odierno posso dire di avere ora un quadro molto più chiaro dei punti di vista del Parlamento su questi fascicoli estremamente importanti. Il tempo stringe e le nostre due Istituzioni devono cooperare strettamente. Da parte mia, vi posso assicurare che il Consiglio lavorerà in modo costruttivo ed efficiente con voi per trovare la via da seguire in futuro. Guardo con interesse alla nostra cooperazione dei prossimi mesi in vista della creazione di un terreno comune sul quale sia possibile costruire una politica di coesione adeguata per una nuova Europa nel XXI secolo.

 
  
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  Guntars Krasts (UEN).(LV) Signor Presidente, nel loro insieme, i progetti di regolamenti sui Fondi strutturali realizzano gli obiettivi che si erano prefissati, ma, a mio avviso, molti aspetti non sono stati risolti come era stato programmato.

Ne citerò tre. Sono incondizionatamente a favore del miglioramento della gestione finanziaria dei fondi dell’Unione europea e di una disciplina più rigorosa in termini di preparazione ed esecuzione dei progetti; tuttavia, l’applicazione del principio N+2 al Fondo di coesione può condurre direttamente al risultato opposto – preparazione ed esecuzione affrettate dei progetti ed uso inefficace e poco accorto del denaro dei contribuenti dell’Unione europea. Inoltre ridurrebbe considerevolmente la capacità dei nuovi Stati membri di assorbire gli stanziamenti del Fondo di coesione. Propongo di considerare il principio N+3 come requisito minimo.

In secondo luogo, ritengo che dovremmo seriamente valutare e ripensare l’estensione a sette anni del periodo di programmazione degli aiuti e le condizioni contenute nei progetti di regolamenti, unitamente all’obbligo per le imprese che delocalizzano di restituire i finanziamenti del Fondo strutturale, elemento che è in aperta contraddizione con i principi del mercato unico e che costituisce una violazione della concorrenza e delle libertà fondamentali dell’Unione europea.

In terzo luogo, dobbiamo mantenere la possibilità di un cofinanziamento privato dei progetti a carico dei fondi comunitari, senza coinvolgere il finanziamento pubblico nazionale. Propongo pertanto di prevedere la possibilità di includere il cofinanziamento privato nei costi imputabili generali. In questo modo, sarebbe possibile realizzare progetti per un importo totale maggiore e utilizzare in maniera più efficace i finanziamenti pubblici nazionali.

 
  
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  Francesco Musotto (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, signora Commissario Hübner, è nei momenti di incertezza politica, come quello che stiamo attraversando, che le Istituzioni europee, per potere essere credibili, devono dimostrare fermezza e dare risposte certe alle richieste dei cittadini.

Di conseguenza, il Parlamento deve avere la capacità di trasformare idee politiche in interventi risolutivi. Le relazioni in esame oggi rappresentano una risposta efficace ai tanti problemi della politica di coesione e di sviluppo regionale sorti all’indomani dell’allargamento.

Il criterio statistico da solo è inadeguato a indicare la reale situazione economica delle varie regioni europee in ritardo di sviluppo ed è insufficiente per dare risposte concrete in termini di solidarietà a quelle regioni che devono ancora superare i disagi dovuti a difficoltà strutturali o a situazioni oggettive come l’insularità o la perifericità.

Vorrei sottolineare che la politica di coesione non può essere soltanto un’occasione per affermare l’importanza decisiva ai fini dell’integrazione europea e per il coinvolgimento reale di tutti i cittadini. Per essere efficace, costruttiva e soprattutto credibile, dovrà essere supportata da risorse finanziarie sufficienti.

Lo 0,46 per cento destinato alla politica di coesione in base alla proposta di regolamento rappresenta una cifra modesta, in considerazione del forte incremento della popolazione ammissibile all’obiettivo “Convergenza” a seguito di un allargamento senza precedenti.

Per quanto riguarda il nostro gruppo, condividiamo le proposte contenute nelle relazioni, che tra l’altro sono frutto di approfondite discussioni e mediazioni. A tale proposito, vorrei approfittarne per complimentarmi con i relatori e i proponenti.

Vorrei soltanto soffermarmi su alcuni aspetti che riguardano in particolare il Fondo europeo per la pesca, in cui, tra i processi di ammodernamento non sono inclusi i motori di pescherecci. Rinnovare la flotta non vuol necessariamente dire aumentare lo sforzo di pesca.

In conclusione ribadisco la necessità di superare il limite del modello obsoleto, incentrato principalmente sul versante terrestre, puntando ad ottenere il pieno riconoscimento delle particolarità delle problematiche transfrontaliere marittime.

 
  
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  Jan Andersson (PSE).(SV) Signor Presidente, signori Commissari, mi sembra che, com’è logico che sia, la proposta del Parlamento che sta iniziando a prendere forma sia più o meno in linea con il progetto di bilancio a lungo termine che abbiamo già presentato. Mi concentrerò sul Fondo sociale europeo.

Il Fondo sociale ha due compiti fondamentali che sono diventati sempre più importanti: il primo è quello di sostenere la strategia per l’occupazione e il secondo quello di promuovere l’integrazione sociale e combattere la discriminazione. Sono due sfide alle quali è confrontata l’Unione europea nella nuova società globalizzata con i suoi mutamenti demografici. Proprio per questo i suddetti due obiettivi sono più importanti che mai.

L’apprendimento durante tutto l’arco della vita è molto importante per accrescere il livello di occupazione. L’Europa non sarà in grado di competere con India e Cina, con i loro modelli sociali, con i loro salari e con le loro condizioni sul mercato del lavoro. Dobbiamo invece competere, per esempio, attraverso la ricerca e lo sviluppo e attraverso le competenze di cui dispongono i lavoratori dell’Unione europea. Gli Stati membri, le imprese e le parti sociali devono assumersene la responsabilità, ma l’Unione europea può dare un contributo prezioso migliorando le competenze nel nostro territorio.

Ci sono moltissimi gruppi svantaggiati che devono partecipare di più non solo allo sviluppo della società ma anche al mercato del lavoro. Per fare fronte alla concorrenza proveniente dall’esterno, abbiamo bisogno che tutti – in particolare le donne – partecipino al mercato del lavoro in futuro. Le donne sono ancora sottorappresentate e discriminate sul mercato del lavoro. Lo stesso vale per i disabili che, come gli extracomunitari, sono attualmente esclusi dal mercato del lavoro in misura incredibilmente elevata.

Vorrei ora segnalare una serie di punti molto importanti. E’ positivo che la dimensione transnazionale cresca. Manteniamo la dimensione innovativa che esisteva, per esempio, in EQUAL. E’ importante che il Fondo sociale sia in grado di operare in una certa qual misura in modo congiunto con altri fondi a livello locale e regionale. In conclusione, sono d’accordo con il Commissario Špidla che ha ricordato quanto è importante, anche in futuro, che il partenariato e le parti sociali svolgano un ruolo di primo piano nel lavoro del Fondo sociale.

 
  
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  Grażyna Staniszewska (ALDE).(PL) Signor Presidente, vorrei cogliere questa opportunità per lanciare un forte appello alla coerenza.

Quando abbiamo votato la relazione Böge alcune settimane fa, avevamo stabilito che non avremmo applicato la regola N+2 al Fondo di coesione. Avevamo stabilito che le imprese destinatarie dei Fondi strutturali non avrebbero dovuto delocalizzare per un periodo di cinque anni. Ora stiamo contemplando la possibilità di modificare questa regola. Un paio di settimane fa avevamo un parere e ora vogliamo cambiare idea. Chiedo coerenza.

Nella relazione Böge avevamo affermato che, se si applicasse la regola N+2 al Fondo di coesione, in molti casi diventerebbe impossibile, soprattutto per i nuovi Stati membri, beneficiare di questo Fondo per l’attuazione di grandi progetti. Così sembra quasi che con una mano togliamo alle imprese il denaro che diamo loro con l’altra, visto che ora introduciamo una regola in virtù della quale l’IVA non sarà una spesa ammissibile, dopo che così tanti paesi e regioni poveri hanno aderito all’Unione europea. I bambini polacchi dicono che “chi dà e poi toglie va all’inferno”; lancio un appello perché noi non facciamo lo stesso, perché non diamo con una mano e togliamo con l’altra.

Per quanto riguarda l’IVA, e ipotizzando che gli emendamenti domani non siano approvati, vorrei chiedere al Commissario e al Consiglio di pensare seriamente ad un’aliquota zero per l’IVA sugli investimenti effettuati nell’ambito dei fondi europei. Un’aliquota zero per l’IVA consentirebbe a chi non vuole che fondi dell’Unione tornino ai bilanci nazionali di trovare un punto di incontro con chi non si può permettere di raddoppiare i propri contributi a seguito dei cambiamenti ora proposti.

Esorto il Parlamento a prendere sul serio queste preoccupazioni, e si tratta davvero di preoccupazioni serie, in particolare nel caso dei nuovi Stati membri. Esorto gli onorevoli deputati a fare in modo che l’allargamento non diventi un’illusione.

 
  
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  Ioannis Gklavakis (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, desidero iniziare esprimendo le mie più calorose congratulazioni ai cinque relatori. Desidero in particolare complimentarmi per l’ottimo lavoro svolto dagli onorevoli Hatzidakis e Casa.

Commenterò la relazione dell’onorevole Casa e difenderò i miei emendamenti. La relazione Casa cerca di attribuire grande importanza all’equilibrio e al rispetto dell’ambiente e alla gestione corretta delle risorse ittiche. Aggiungo che dobbiamo pensare anche a come proteggere i pescatori europei.

Ho quindi tre proposte al riguardo: primo, autorizzare attrezzature da pesca che rispettino l’ambiente; secondo, agevolare l’acquisto di attrezzature in grado di migliorare la salute e la sicurezza dei pescatori e, terzo, agevolare la sostituzione dei motori sui pescherecci a condizione che il nuovo motore non abbia una potenza superiore a quello vecchio. Non possiamo mandare i nostri pescatori a pescare per noi con motori che hanno 20 o 25 anni.

La seconda parte riguarda l’acquacoltura. Deve essere protetta, deve essere ampliata e deve produrre più pesce. Perché? Perché la domanda mondiale di pesce è aumentata. O peschiamo fino ad esaurire le risorse ittiche, distruggendo l’ecosistema, o diamo all’acquacoltura la possibilità di produrre più pesce.

Ecco perché l’Unione europea deve sostenere il più possibile questo settore. La cosa più importante è che queste imprese proteggano l’ambiente, che siano ecocompatibili. E’ questo l’elemento prioritario. Non importa che siano imprese piccole, medie o grandi. Spero che le imprese piccole diventino grandi e che le imprese grandi diventino ancora più grandi, in modo che possano produrre più pesce, di cui il nostro pianeta ha bisogno, invece di rischiare che la pesca provochi l’esaurimento delle risorse ittiche.

 
  
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  Richard Falbr (PSE). (CS) Signor Presidente, Commissario, desidero segnalare una serie di punti che considero fondamentali prima della votazione di domani sui regolamenti e sui Fondi strutturali.

Siamo contrari all’applicazione generalizzata della regola N+2 al Fondo di coesione, poiché a nostro avviso nei nuovi Stati membri questo potrebbe determinare la perdita di elevati finanziamenti nell’ambito del Fondo di coesione. Dovremmo anche cercare di fare in modo che l’IVA rientri nella categoria delle spese ammissibili. Questo sarà particolarmente importante nel caso del Fondo europeo di sviluppo regionale qualora tra i futuri beneficiari dei fondi ci siano città e villaggi.

Le nostre richieste a tale fine si sono scontrate con una certa incomprensione da parte del relatore, del coordinatore e di molti altri deputati, e devo dire che sono piuttosto deluso dell’esito dei nostri sforzi. Credo tuttavia nel buon senso della maggioranza, e spero pertanto che gli emendamenti che abbiamo presentato domani siano adottati.

 
  
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  Markus Pieper (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, è attraverso il nostro sostegno alle regioni europee più sfavorite, in particolare quelle dell’Europa orientale, che trova espressione la nostra solidarietà. Vorrei rilevare un aspetto al quale gli oratori che mi hanno preceduto non hanno dato risalto: la politica strutturale europea può fungere da leva per l’innovazione anche nelle regioni che non sono tipicamente candidate agli aiuti.

Desidero sottolineare l’importanza dell’obiettivo 2, occupazione e competitività. Con questo strumento, l’Europa contribuisce a dare alle infrastrutture e all’innovazione una dimensione internazionale. Sia nei tradizionali centri di attività economica dell’Europa che altrove, il risultato di questo impulso sarà una crescita che alla fine andrà a vantaggio di tutti noi.

I finanziamenti dei Fondi strutturali non favoriscono solo la crescita e i progetti pilota europei. Desidero ricordare che, promuovendo la competitività delle regioni, si può favorire l’accettazione dell’ideale europeo in Europa occidentale. Questo vale in particolar modo per i finanziamenti a carico del Fondo sociale, ma anche per l’obiettivo 2, la cooperazione territoriale. Che sia frutto del lavoro delle istituzioni sociali transnazionali, delle zone industriali o delle camere di commercio, l’associazione transfrontaliera è la modalità attraverso cui si vive l’ideale europeo. Proprio perché è importante che questa forma di sostegno europeo sia mantenuta, appoggiamo i principi sottesi alla proposta della Commissione.

Dobbiamo tuttavia riflettere seriamente su come possiamo mantenere i principi politici della politica strutturale, anche con meno denaro. Dovremo riorganizzare le modalità di finanziamento della politica agricola e strutturale, e questo significa che è necessario un cofinanziamento agricolo a livello nazionale, unitamente a regole che possano facilitare i partenariati pubblico-privato. In futuro dovremo pensare anche alla possibilità di finanziare i programmi strutturali attraverso prestiti. Se ci devono essere tagli, dovranno essere tagli generalizzati, in tutti i campi d’azione, e non dovranno andare a scapito delle singole regioni o dei singoli programmi.

La sostanza è che gli interventi dei Fondi strutturali europei funzionano. Dobbiamo lottare per i loro contenuti politici. Ci appelliamo ai capi di Stato e di governo perché si impegnino a favore delle regioni europee.

 
  
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  Inés Ayala Sender (PSE).(ES) Desidero ringraziare i relatori e i coordinatori per il loro lavoro; non è stato semplice, vista la situazione attuale, ma l’esito è positivo e meritano tutto il nostro sostegno.

Desidero ringraziare il Commissario per aver cercato di capire la posizione del Parlamento; speriamo che faccia tutto quanto in suo potere per favorire un accordo che è tanto urgente quanto necessario.

Chiediamo alla nuova Presidenza, alla quale diamo il benvenuto dall’altra parte della barricata, di dimostrare, con azioni concrete, la propria passione europea, che vorremmo credere sincera. Tuttavia, come ben sanno coloro che governano da un po’ di tempo, non può esistere nulla che non sia previsto nei bilanci. Quindi, se vogliamo che l’Europa sia credibile, come auspica Tony Blair, il primo requisito è che sia elaborato puntualmente un bilancio adeguato.

Speriamo anche che sia la Commissione che la Presidenza garantiscano una compensazione, accettabile in termini di equità e di gradualità, per le regioni e gli Stati membri che rischiano di subire ingenti perdite finanziarie a seguito della nuova distribuzione delle risorse per l’Europa allargata, oltre a un trattamento preferenziale per le regioni interessate dall’effetto statistico, per le regioni interessate dall’effetto naturale – le regioni ultraperiferiche – e le regioni con particolari difficoltà strutturali: regioni montagnose, regioni di confine..., regioni caratterizzate da spopolamento o da una bassa densità demografica e regioni con problemi di accessibilità, come la mia regione, l’Aragona.

Inoltre, vogliamo che il nuovo obiettivo della competitività, che deve rilanciare la strategia di Lisbona e intensificare gli sforzi in materia di ricerca e sviluppo, contribuisca anche a ridurre il divario tecnologico tra le regioni e gli Stati membri. Chiunque pensi che l’Europa possa fare progressi sulla base di poche persone eccellenti, mentre la maggioranza è rappresentata da analfabeti digitali, pecca, onorevoli colleghi, di ingenuità o manca di onestà intellettuale.

 
  
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  Jan Březina (PPE-DE).(CS) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la politica della coesione è uno dei pilastri dell’integrazione europea. Diverrà ancora più importante durante il prossimo periodo di programmazione, poiché servirà sia a ridurre le differenze economiche tra le regioni che a rendere l’Europa più competitiva sul mercato globale.

Sebbene apprezzi moltissimo il lavoro svolto da tutti coloro che hanno partecipato alla formulazione della posizione del Parlamento sui progetti, sono deluso dalla mancanza di interesse dimostrata finora nei confronti della maggior parte delle richieste e delle necessità dei nuovi Stati membri. I dibattiti andati avanti per mesi in seno alla commissione per lo sviluppo regionale mi hanno dato l’impressione che le proposte avanzate dai deputati dei nuovi Stati membri non siano state oggetto dell’attenzione che meritano. Al contrario, è stata dedicata molta attenzione alle necessità di altri soggetti, come per esempio gli ex paesi della coesione, nonché alle regioni periferiche e alle regioni interessate dall’effetto statistico. Le loro richieste non solo sono state ascoltate, ma hanno anche ricevuto la debita attenzione. Trovo a questo riguardo l’atteggiamento dei deputati degli ex paesi della coesione particolarmente fastidioso, poiché finora hanno snobbato le nostre proposte tese a mantenere in vigore le regole attuali, sebbene siano stati i primi in passato a beneficiarne. Penso in particolare alla regola N+3 per il Fondo di coesione e alla regola che classifica l’IVA come spesa ammissibile per i non contribuenti.

Mi dispiace dover dire che la maggioranza delle concessioni fatte ai nuovi Stati membri riguardava o la relazione sull’attuale regolamento sui Fondi strutturali o la relazione sul Fondo di coesione. Il Parlamento non ha la facoltà di apportare direttamente cambiamenti alle proposte della Commissione in nessuno di questi casi. Le stesse richieste sono state tuttavia categoricamente respinte nel caso della proposta sul Fondo europeo di sviluppo regionale alla quale possiamo apportare modifiche. In altri termini, sono state fatte concessioni ai nuovi Stati membri solo nei casi in cui hanno un peso molto limitato.

A mio modo di vedere, la decisione di eliminare completamente l’IVA dall’elenco delle spese ammissibili costituirebbe un grave errore politico, e soprattutto un esempio di trattamento insensibile nei confronti dei nuovi Stati membri. Potrebbe indurre decine di milioni di cittadini di questi paesi a chiedersi se sono davvero trattati in modo equo, visto che vengono loro negati i vantaggi di regole convenienti di cui i vecchi Stati membri hanno beneficiato per molti anni. Desidero pertanto fare appello alla buona volontà e alla comprensione del Parlamento, e chiedo agli onorevoli deputati di votare a favore del mantenimento delle regole nel periodo 2007-2013.

 
  
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  Stavros Arnaoutakis (PSE).(EL) Signor Presidente, anch’io desidero iniziare congratulandomi con i relatori, in particolare con l’onorevole Hatzidakis, per l’ottimo lavoro che hanno condotto durante tutta la procedura. E’ un fatto incontestato che la politica di coesione è la leva per lo sviluppo dell’Unione europea. La politica di coesione ha contribuito allo sviluppo e alla creazione di posti di lavoro, con risultati positivi per la convergenza di regioni e Stati membri dell’Unione europea. Gli strumenti della coesione, i Fondi strutturali, avvicinano l’Europa ai cittadini, contribuiscono allo sviluppo e dimostrano nella pratica il principio della solidarietà.

Oggi, la politica di coesione è chiamata ad affrontare sfide importanti e disuguaglianze profonde nell’Europa dei 25: abbiamo bisogno dello sviluppo urbano, ma abbiamo anche bisogno dello sviluppo rurale. Oggi, la politica di coesione è chiamata a contribuire alla realizzazione degli obiettivi delle strategie di Lisbona e di Göteborg. Non abbiamo altra scelta se non quella di garantire ai Fondi strutturali le risorse minime necessarie perché possano funzionare in modo efficace, e con questo intendo lo 0,41 per cento o almeno 336 miliardi di euro.

Di conseguenza, è assolutamente necessario che non si verifichino ulteriori ritardi; in questo modo le politiche strutturali e i regolamenti in questione potranno essere ultimati al più presto nel corso del 2005.

(Applausi)

 
  
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  László Surján (PPE-DE). (HU) Dopo aver espresso le congratulazioni dovute, ma sincere, ai nostri relatori, vorrei concentrarmi in modo molto specifico su un tema già evocato da molti oratori: la questione del rimborso dei pagamenti IVA. Nel mio paese, rappresento una regione che è forse la più povera. So che c’è una certa logica nel non sostenere le spese a carico dei fondi comunitari che costituiscono redditi di pertinenza delle casse degli Stati membri. Vorrei tuttavia presentare anche l’altra faccia della medaglia. Gli enti locali della mia regione che intendono partecipare alle misure di sviluppo attraverso la politica strutturale dell’Unione saranno privati dell’opportunità di farne richiesta – in ragione della loro povertà – se questo onere ricadrà anche sulle loro spalle. Vi prego di riflettere molto attentamente, quando prenderete le vostre decisioni sugli emendamenti proposti. Lasciamo stare le regole come sono!

Vorrei sollevare un altro punto: i regolamenti dell’Unione cambiano continuamente e noi, rappresentanti dei nuovi Stati membri, riteniamo che questi cambiamenti siano sempre di più a nostro sfavore. E’ un processo che deve essere fermato, perché se le cose continueranno ad andare come vanno, l’allargamento non sarà un successo, ma costituirà un forte incoraggiamento all’euroscetticismo e agli estremi politici. Onorevoli colleghi, vi prego di agire in modo responsabile e coerente. Se ci sono soluzioni che hanno funzionato finora, non tocchiamole, e non cerchiamo di emarginare ulteriormente le regioni più povere!

 
  
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  Jamila Madeira (PSE).(PT) I due recenti voti contrari alla Costituzione europea sono un monito dei cittadini, che ci dicono che l’Europa deve offrire un modello sociale differente, un modello nettamente diverso da quello che offrirebbero gli Stati Uniti d’Europa. I cittadini europei hanno parlato molto chiaro, e quello che vogliono è più cittadinanza, più attenzione agli aspetti sociali e, soprattutto, un modello sociale europeo più forte.

Il Fondo sociale europeo, uno dei principi fondanti dell’Europa, insieme alla politica di coesione, ha sempre avuto l’obiettivo di aiutare la gente, e si tratta pertanto della politica con la quale i cittadini si sono maggiormente identificati. Ritengo che non si debba permettere che il Fondo sociale, unitamente ad altri fondi, incoraggi un’Europa a due velocità. Il suo obiettivo non è quello di esacerbare l’esclusione, o in qualche modo di promuovere la discriminazione in tutte le sue varie forme nella nostra società. Il suo obiettivo è proprio il contrario – mettere al primo posto le persone.

E’ venuto il momento di dimostrare a tutti che vogliamo continuare a investire nelle persone. Per questo dobbiamo fare in modo che il modello sociale ci sia e funzioni. E’ venuto il momento di verificare che gli obiettivi siano rispettati e che l’effetto statistico non faccia pagare agli innocenti i peccati dei colpevoli. Dobbiamo garantire che non si passi dalla comitatologia al gioco dei numeri e che non si faccia pagare il conto dei cambiamenti alle regioni più piccole. Speriamo e ci aspettiamo che il pacchetto di regolamenti di cui discutiamo oggi, nonostante tutti gli aspetti finanziari ancora in sospeso, possa effettivamente contribuire a realizzare l’Europa delle regioni ponendo le persone al primo posto tra le nostre priorità. Questo obiettivo sarà la nostra forza trainante per l’Europa.

 
  
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  Sérgio Marques (PPE-DE).(PT) Le circostanze hanno concorso a far sì che questo dibattito sul futuro della coesione economica e sociale si svolgesse in un momento particolarmente cruciale per il progetto europeo. Se vogliamo uscire da questa crisi, le Istituzioni europee, e in particolare il Consiglio, devono definire una politica di sviluppo regionale caratterizzata dalla visione e dalla solidarietà necessarie a raccogliere le enormi sfide cui è confrontata l’Unione europea.

Conseguentemente, il Regno Unito, che ha appena assunto la Presidenza dell’Unione europea, ha una grandissima responsabilità. Guardo a questa Presidenza con un misto di apprensione e di speranza: apprensione perché il Regno Unito, come sappiamo, è uno dei sei paesi che cercano di limitare il bilancio dell’Unione europea all’1 per cento del PIL, il che, a mio avviso, va in senso assolutamente contrario a una politica di coesione forte e agli obiettivi ambiziosi della futura azione dell’Unione europea che vogliamo definire. Nutro inoltre qualche timore a causa della posizione del governo britannico sulla rinazionalizzazione dell’impegno europeo in materia di coesione economica e sociale, che, se si verificasse, significherebbe una grave assenza di solidarietà non solo nei confronti dei nuovi Stati membri, ma anche di certe regioni tuttora bisognose, in particolare in Portogallo, Spagna e Grecia.

Con queste preoccupazioni convive tuttavia una grande speranza, poiché è noto che il Regno Unito è favorevole ad attribuire un’elevata priorità al rafforzamento della competitività dell’Unione europea, senza la quale non ci può essere una crescita economica forte, e a garantire che sia almeno pari a quella degli Stati Uniti d’America. Questo potrà a sua volta favorire la creazione di posti di lavoro. Non realizzeremo questo obiettivo se non avremo il coraggio di attuare la strategia di Lisbona in ogni sua parte. Una politica di coesione europea forte e rivitalizzata, dotata di risorse finanziarie sufficienti, è uno dei fattori chiave per la realizzazione degli obiettivi della strategia di Lisbona.

Nelle regioni meno favorite d’Europa, c’è un enorme potenziale in termini di competitività e di sviluppo che deve essere sfruttato. Questo dovrebbe essere uno dei principali obiettivi della politica di coesione europea.

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (PSE). (PL) Signor Presidente, un anno fa c’è stato l’allargamento dell’Unione europea a dieci nuovi Stati membri, la maggior parte dei quali sono poveri. Benché continuiamo a sentire da ogni parte riferimenti allo sviluppo equilibrato, nella maggior parte dei casi tutte queste parole sono assolutamente vuote. In realtà si stanno facendo dei tentativi, “in volo” per così dire, per modificare i principi che disciplinano attualmente l’attuazione dei principali strumenti di finanziamento dello sviluppo regionale. Perché ai nuovi Stati membri si impongono condizioni diverse e più severe di quelle che hanno favorito lo sviluppo dei 15 vecchi Stati membri? La classificazione dell’IVA non rimborsabile come spesa non ammissibile e l’introduzione della regola N+2 per il Fondo di coesione sono evidenti ostacoli allo sviluppo dei nuovi Stati membri.

Ma misure di questo tipo sono prova di solidarietà in Europa? I principi attuali non dovrebbero essere cambiati, perché altrimenti i poveri non si potranno permettere di beneficiare degli aiuti dell’Unione. I nuovi Stati membri devono avere le stesse opportunità di sviluppo di cui hanno beneficiato i 15 vecchi Stati membri, e di cui hanno fatto un ottimo uso. E’ venuto il momento di parlare di un’Europa di pari opportunità e sviluppo equilibrato che acquisisca finalmente forza legislativa. Dovremmo cambiare per il meglio e non per il peggio, e non dovremmo dividere l’Europa tra ricchi e poveri.

 
  
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  Margie Sudre (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, signori Commissari, onorevoli colleghi, l’allargamento ha determinato l’aumento del divario tra le regioni dell’Unione in termini di sviluppo economico e sociale. La politica di coesione, che ha un valore aggiunto incontestabile per tutte le regioni europee, deve rimanere più che mai lo strumento della solidarietà europea, volto a ridurre gli squilibri regionali. Condivido l’opposizione dei relatori a qualsiasi modifica dell’architettura globale di questa riforma, a qualsiasi rinazionalizzazione della politica regionale o a qualsiasi taglio drastico delle spese comunitarie. La proposta tesa a imporre sanzioni finanziarie alle aziende che, dopo aver ricevuto fondi europei, decidono di delocalizzare le loro attività, è diventata oggi indispensabile.

Ringrazio inoltre i colleghi della commissione per lo sviluppo regionale per aver sostenuto con forza l’azione speciale di 1,1 miliardi di euro a favore delle regioni ultraperiferiche e la possibilità di estendere, in via eccezionale, il campo di intervento del FESR al finanziamento degli aiuti operativi a queste regioni per compensare, in entrambi i casi, i costi aggiuntivi legati alla loro ultraperifericità.

Inoltre, chiedo la piena applicazione del requisito di cui all’articolo 299, paragrafo 2, del Trattato che prevede un trattamento specifico per le regioni ultraperiferiche, garantendone l’accesso ai Fondi strutturali, in particolare per quelle il cui PIL supera già il 75 per cento della media comunitaria.

Per quanto riguarda il Fondo europeo per la pesca, sono lieta di poter constatare che è stato raggiunto un reale equilibrio tra le preoccupazioni ambientali e le considerazioni socioeconomiche. La commissione per la pesca ha accettato la mia proposta volta a consentire il finanziamento, attraverso il Fondo europeo per la pesca, degli aiuti pubblici destinati al rinnovamento e alla modernizzazione della flotta nelle regioni ultraperiferiche.

Nella maggior parte delle regioni ultraperiferiche, la pesca è un’attività molto recente e le risorse alieutiche sono ancora copiose. Sarebbe inconcepibile e controproducente impedire questo tipo di aiuti. Mi dispiace tuttavia che la mia richiesta di mantenere gli aiuti pubblici per la trasformazione per le regioni ultraperiferiche al tasso attuale del 75 per cento e non del 50 per cento, come è stato proposto, non sia stata accolta. Spero che il Consiglio segua ora la via aperta dal Parlamento europeo in merito a questa riforma decisiva e urgente per così tante regioni europee.

 
  
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  Bernadette Bourzai (PSE).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la ragion d’essere della politica regionale comunitaria è rappresentata sia dalla coesione tra gli Stati membri che dalla coesione tra le diverse regioni europee. La solidarietà deve spingerci a concentrare la maggior parte dei Fondi verso i nuovi Stati membri, ma dobbiamo anche ricordare che alcune regioni dei vecchi Stati membri hanno ancora bisogno dell’effetto leva generato dai Fondi strutturali per portare a termine progetti di rilevanza strutturale e per consolidare i loro progressi in termini di sviluppo.

Appoggio pertanto la proposta della Commissione, perché rappresenta un giusto equilibrio tra concentrazione dei finanziamenti verso le regioni più povere – e quindi verso i nuovi Stati membri – e attenzione alle regioni sfavorite dei vecchi Stati membri che sono più ricchi. Perturbare questo equilibrio non sarebbe solo pericoloso per la coesione europea, ma potrebbe anche amplificare il fenomeno della disaffezione dei cittadini verso il progetto europeo, poiché la politica regionale europea è la più visibile e la più conosciuta nei nostri paesi.

Auguro pertanto al Consiglio di riuscire a concludere rapidamente e positivamente i negoziati sulle prospettive finanziarie in modo da dotare la politica regionale di un bilancio sufficiente e da aiutare le regioni che ancora hanno bisogno di aiuto.

 
  
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  Ria Oomen-Ruijten (PPE-DE).(NL) Signor Presidente, la coesione è la chiave per la costruzione sociale nell’Europa a 25, e, poiché condividiamo tutti questa responsabilità, i nuovi Stati membri e le regioni più povere dovrebbero poter contare sulla nostra solidarietà. I Fondi strutturali devono consentire che la ricostruzione nei nuovi Stati membri proceda il più rapidamente e positivamente possibile. L’Europa deve dare prova di solidarietà. Non dobbiamo essere preda di interessi egoistici, perché in questo modo non renderemmo un buon servizio nemmeno ai cittadini dei 15 vecchi Stati membri e, oltre agli aiuti provenienti dai Fondi e dagli aiuti strutturali, dovremmo anche assicurare l’accesso ai nostri paesi e garantire che nessuna regione sia tagliata fuori.

Vorrei ora passare al Fondo sociale europeo, in merito al quale l’onorevole Silva Peneda ha svolto un lavoro davvero egregio. La revisione dell’FSE, come attualmente proposta, è importante. Perché? Vengono accantonati fondi per gli obiettivi di Lisbona con una chiara enfasi sui nuovi paesi, scelta che sostengo con piena convinzione. In realtà, questa mattina nei Paesi Bassi, ho fatto qualche indagine sulle nostre aspettative rispetto all’FSE. La reazione che ho avuto dai Paesi Bassi vi scandalizzerà: gli olandesi si sono espressi molto chiaramente, non vogliono nulla. Questo commento è in netto contrasto con il punto di vista dei consigli comunali e delle organizzazioni sociali del mio paese, che sono contrari all’esclusione sociale di chiunque. E’ pertanto giustissimo che l’FSE assicuri posti di lavoro e formazione alle persone vittime dell’esclusione sociale, ovunque possano sorgere problemi.

In breve, non dovremmo utilizzare i fondi, e in particolare l’FSE, per costruire nuovi muri. La problematica delle grandi città è universale. Dobbiamo imparare e innovare in tutta Europa. C’è un valore aggiunto, anche per i 15 vecchi Stati membri. L’Europa può svolgere un ruolo di incoraggiamento, non solo nelle direttive, ma anche in questo senso, perché anche i vecchi 15 hanno ancora qualcosa da imparare.

 
  
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  Eluned Morgan (PSE).(EN) Signor Presidente, i Fondi strutturali sono un esempio fondamentale della solidarietà dell’Unione europea – solidarietà tra le regioni più ricche e più povere dell’Unione – e mi fa piacere constatare che sia stato corretto il tiro dei Fondi strutturali concentrando la loro azione sul conseguimento degli obiettivi di Lisbona. Ci saranno una migliore programmazione strategica e una maggiore semplificazione, che è quello che vogliamo.

Nella relazione Hatzidakis, chiediamo altresì agli Stati membri di assumersi seriamente le proprie responsabilità, accertando che il denaro sia speso in modo corretto, e chiediamo che i ministri delle Finanze di ogni Stato membro firmino annualmente le relazioni degli Stati. Vogliamo che cessi il gioco dello scaricabarile, che consiste nel dare alla Commissione la colpa degli errori commessi dagli Stati membri. In Galles, abbiamo avuto un generoso sostegno da parte dei Fondi strutturali dell’Unione europea, e vorrei che beneficiassero di tale aiuto anche le regioni del Galles occidentale e delle Valleys. Se il Consiglio allunga il passo, potremmo risolvere la questione del bilancio entro dicembre e forse potremmo ricevere l’importo massimo dei finanziamenti.

Essere poveri non è segno di orgoglio, ma in questa occasione, avremmo un’opportunità per aiutare le nostre comunità più povere. Mi fa anche piacere il riferimento all’inattività, all’aiuto per le persone che non sono attive sul mercato del lavoro.

 
  
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  Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk (PPE-DE). (PL) Signor Presidente, intervengo in questo dibattito, che riguarda i regolamenti del Consiglio sui Fondi strutturali e sul Fondo di coesione, in quanto rappresentante di un nuovo Stato membro, la Polonia. Vorrei quindi iniziare esprimendo la mia soddisfazione per il proseguimento dei lavori su questi regolamenti nonostante il mancato accordo del Consiglio sulle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013. Il fatto che questi regolamenti siano preparati con molto anticipo rispetto al periodo durante il quale si applicheranno consentirà agli Stati membri, e in particolare a quelli di recente adesione, di mettere a punto tutti i preparativi necessari in termini di strutture delle autorità pubbliche, di vari tipi di istituzioni, di beneficiari dei progetti e di legislazione nazionale.

In considerazione del poco tempo a disposizione, desidero semplicemente segnalare due punti particolarmente importanti per i nuovi Stati membri. Il primo è il problema dell’IVA, o in modo più specifico il problema della classificazione di questa imposta come costo ammissibile dei progetti. Se fosse presa una decisione di questo tipo, avrebbe un peso particolare per i beneficiari pubblici, che non pagano l’IVA. In Polonia, per esempio, questo riguarderebbe la maggior parte dei progetti, e l’IVA accrescerebbe i costi di realizzazione dei progetti di oltre un quinto. Questo determinerebbe a sua volta la riduzione del numero dei progetti presentati, oltre a frequenti problemi finanziari per i beneficiari.

L’onorevole Hatzidakis nella sua relazione ha appoggiato questa soluzione in materia di IVA e di Fondo di coesione. Un gruppo di deputati ha proposto l’adozione di una soluzione simile anche per quanto riguarda il Fondo europeo di sviluppo regionale, in quanto non è assolutamente logico che si adottino soluzioni diverse per fondi diversi.

Una seconda importante proposta presentata da un gruppo di deputati prevede che la regola N+2 non si applichi ai progetti attuati nell’ambito del Fondo di coesione. Questo consentirebbe una maggiore flessibilità relativamente a questo Fondo e faciliterebbe la realizzazione di grandi progetti infrastrutturali, soprattutto nei nuovi Stati membri. L’adozione di tale soluzione sarebbe altresì conforme alle disposizioni in materia contenute nella relazione Böge sulle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013.

Per concludere, spero davvero che la maggioranza degli onorevoli deputati al Parlamento europeo alla fine voti a favore di queste due importanti proposte.

 
  
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  Ewa Hedkvist Petersen (PSE).(SV) Signor Presidente, l’Europa ha bisogno di una politica regionale caratterizzata dalla solidarietà. Ci sono differenze enormi tra le regioni dell’Unione europea, soprattutto tra i vecchi e i nuovi Stati membri. Questo è inaccettabile in un continente nel quale si dà importanza al sociale. Non possiamo tuttavia sperare che, da solo, il mercato economico interno possa colmare le lacune, e per questo abbiamo bisogno dei Fondi strutturali. Alle nuove regioni dovrebbe pertanto essere stanziata una proporzione maggiore dei Fondi strutturali, e i paesi più ricchi devono avere le proprie politiche regionali di riequilibrio. Allo stesso tempo, i paesi dell’Unione europea devono comunque anche insistere sul fatto che crescita e ricerca creano possibilità di sviluppo regionale.

Il Parlamento europeo ora avanza una proposta ragionevole anche in termini finanziari. Sottolineiamo inoltre quanto sia importante che i Fondi strutturali privilegino il lavoro ambientale.

Infine, vorrei rilevare che, secondo la Commissione e il Parlamento europeo, ci sono regioni caratterizzate da svantaggi geografici permanenti, come le regioni montagnose e scarsamente popolate, che devono essere compensate con i Fondi strutturali, poiché le condizioni geografiche con il tempo non cambiano. Suppongo che il Consiglio europeo terrà conto anche di questo aspetto nelle future prospettive finanziarie.

 
  
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  Etelka Barsi-Pataky (PPE-DE). (HU) E’ la prima volta che i trasporti pubblici urbani compaiono nei regolamenti sul Fondo di coesione come un obiettivo da sostenere. Noi della commissione per i trasporti appoggiamo e accogliamo con estremo favore questa novità. E’ tuttavia importante rendere la proposta più precisa. Nel caso dei sistemi di trasporto pubblico urbano su rotaia fissa, oltre ai binari dobbiamo inserire anche i veicoli oppure, per utilizzare la terminologia tecnica, come nel mio emendamento, il cosiddetto materiale rotabile, senza il quale, dopo tutto, il gigante avrebbe solo un braccio. Analogamente, devono essere inclusi ed elencati gli itinerari utilizzati per il trasporto su autobus, in altri termini le strade che sostengono il grosso del trasporto su autobus. Ma in sostanza che cosa vogliamo dire? Vogliamo dire che è fondamentale sviluppare parallelamente l’infrastruttura viaria e i veicoli per conseguire certi risultati, in quanto i due elementi sono inseparabili.

Stiamo cercando di ridurre la congestione del traffico, rendendo il trasporto pubblico quanto più attraente possibile nelle nostre città. Benissimo, per le città europee – che sono ammissibili agli aiuti per la coesione – la proposta che chiedo al Parlamento di sostenere comporterà un effettivo miglioramento degli standard. La commissione per i trasporti propone anche di estendere gli obiettivi del Fondo di coesione perché siano incluse nella rete transeuropea le sezioni equivalenti ad autostrade delle strade principali di accesso che collegano le città regionali più grandi. In alcune regioni, le città svolgono un ruolo cruciale e costituiscono un’inesauribile fonte di coesione. Collegamenti infrastrutturali adeguati potrebbero aumentare in misura significativa l’attuale potenziale competitivo di queste città e favorire così anche la cooperazione. Chiedo al Parlamento di dare un convinto sostegno anche a questa proposta.

 
  
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  Duarte Freitas (PPE-DE).(PT) Visto che parlerò del Fondo europeo per la pesca, vorrei innanzi tutto elogiare il lavoro della commissione per la pesca su questo progetto. Desidero anche cogliere questa opportunità per congratularmi con il collega, onorevole Casa, per l’ottimo lavoro svolto su quello che è destinato a diventare uno dei temi più importanti dell’attuale legislatura. Ritengo che sia fondamentale che il Fondo europeo per la pesca sia lo strumento principale per riuscire nell’opera di conciliare l’obiettivo della conservazione delle risorse biologiche marine con le possibilità di pesca. In questo contesto, il denaro stanziato a tale fine deve essere adeguato alle effettive esigenze del settore della pesca, che è integrato in un’Europa allargata confrontata a nuove sfide.

Dato che il pacchetto finanziario per il periodo 2007-2013 è praticamente uguale a quello previsto dal quadro comunitario ancora in vigore e che l’Europa si è allargata da 15 a 27 Stati membri, ritengo sia logico e necessario aumentare lo stanziamento finanziario totale destinato a questo Fondo. Il livello indicativo del fondo, come appena ricordato, non è superiore allo 0,5 per cento del bilancio comunitario, espresso come media annuale. Oltre all’aspetto finanziario, ritengo che debba essere modificata anche la strategia di intervento proposta dalla Commissione. Penso per esempio alle restrizioni relative agli obiettivi e alle regole di intervento generale per il fondo che la Commissione cerca di imporre alle imprese. Sarà impossibile chiedere alle nostre imprese competitività e tecnologie ecocompatibili se sosteniamo solo le microimprese e le piccole imprese.

Vorrei ora passare al tema della modernizzazione dei pescherecci. Ritengo che la Commissione debba rivalutare la propria posizione in merito alla sostituzione delle navi da pesca della flotta comunitaria. Il divieto mi sembra sbagliato dal punto di vista economico, biologico, della sicurezza e della capacità operativa.

Infine, vorrei anche segnalare che le regioni ultraperiferiche devono continuare a beneficiare della protezione della politica comune della pesca. Pertanto, ritengo che le deroghe che si applicano attualmente alle regioni ultraperiferiche, come previsto dallo Strumento finanziario di orientamento della pesca (SFOP), debbano essere mantenute nel nuovo testo del Fondo europeo per la pesca. Inoltre, vorrei rilevare che reputo importante l’idea di rafforzare alcune delle misure che vi sono contenute.

 
  
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  Rosa Miguélez Ramos (PSE).(ES) Signor Presidente, anch’io vorrei iniziare congratulandomi con il relatore per il suo lavoro di sintesi, esplicitato dagli emendamenti di compromesso sostenuti da tutti i gruppi politici.

Prendendo come punto di partenza il testo approvato dalla commissione per la pesca, vorrei, signor Commissario, che lei tenesse conto di certi aspetti positivi prestando loro particolare attenzione, perché riflettono la realtà di questo settore – che alcuni di noi conoscono bene perché la vediamo quotidianamente – per esempio, la possibilità per gli Stati membri di presentare piani nazionali durante tutto il periodo di programmazione o il rafforzamento dell’articolo relativo alle pari opportunità tra uomini e donne, unitamente all’integrazione di questo aspetto dell’uguaglianza di genere nelle attività di pesca, e, per quanto riguarda l’acquacoltura, l’estensione degli aiuti alle piccole e medie imprese, e non solo alle microimprese e alle piccole imprese, e il sostegno finanziario al miglioramento delle condizioni di lavoro e della sicurezza dei lavoratori del settore.

E’ anche importante il consenso raggiunto sui criteri di ammissibilità, sul basso livello di occupazione e sul declino delle attività di pesca, che rendono logica l’eliminazione del riferimento ai comuni con meno di 100 000 abitanti.

Due punti più controversi, il rinnovo e la modernizzazione dei pescherecci e dei motori e le società miste come alternativa alla rottamazione, sono stati risolti in modo positivo, grazie alla grande disponibilità a negoziare.

Il mio gruppo è favorevole alla possibilità di portare avanti il processo di rinnovamento e di modernizzazione della flotta, a condizione che non comporti un aumento della capacità. Abbiamo l’obbligo di mantenere in vita e in buona salute le attività di pesca nell’Unione europea, garantendo salari e condizioni decenti per i lavoratori del settore e conservando le risorse, ma abbiamo anche l’obbligo, signor Commissario, di salvare le vite in mare.

La mia regione, la Galizia, ne sa qualcosa; negli ultimi due anni, infatti, molti dei suoi abitanti sono finiti dispersi in mare a causa di problemi di costruzione, di problemi strutturali dei pescherecci. Non possiamo permettere che questi eventi si ripetano e dobbiamo continuare a sostenere il rinnovo della flotta.

 
  
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  Ivo Belet (PPE-DE).(NL) Signor Presidente, desidero esprimere due commenti brevi e specifici nei due minuti di cui dispongo. Vorrei iniziare con alcune osservazioni sulle regioni dell’obiettivo 2, che non dovrebbero essere dimenticate. E’ indubbiamente positivo che le risorse limitate siano utilizzate soprattutto nell’ambito degli obiettivi di Lisbona e che la politica dell’innovazione sia centrale in tutto questo. Anche se naturalmente accogliamo con favore tale aspetto, c’è pochissimo spazio, sempre che ve ne sia, per i cosiddetti progetti tradizionali che in realtà non sono meno importanti dell’economia locale e dell’occupazione. Da qui nasce l’appello per una politica realmente decentrata, perché sono invariabilmente i politici regionali a sapere in concreto quali misure sono necessarie per sostenere l’economia locale, guardando al futuro. La competitività regionale e l’occupazione regionale, perché sono questi i temi in gioco, rappresentano attualmente circa il 17 per cento delle risorse dei Fondi strutturali. Sicuramente non può essere questa l’intenzione, signor Commissario, e vorrei anche dire al Consiglio – che ora non è presente – che i bilanci in questo settore devono essere ridotti in termini assoluti, semplicemente perché le attuali regioni dell’obiettivo 2 si trovano poi improvvisamente a dover pagare il prezzo dell’assenza di una solidarietà europea.

Secondo, come hanno già ricordato gli onorevoli van Nistelrooij e Berend, è fondamentale che il cofinanziamento del settore privato rimanga un’opzione. Chiediamo pertanto di mantenere la sostanza dell’emendamento n. 52.

Infine, sosteniamo senza alcuna riserva gli emendamenti nn. 124 e 126 sull’IVA. Come si è detto più volte in questa sede, l’abolizione dell’IVA non rimborsabile come costo ammissibile alle sovvenzioni infliggerebbe un duro colpo a moltissimi progetti, per esempio nel settore dell’istruzione. Sono certo che il Commissario sarà d’accordo con me sul fatto che dovremmo evitare ad ogni costo che si verifichi una simile eventualità.

 
  
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  Paulo Casaca (PSE).(PT) Desidero associarmi alle congratulazioni rivolte all’onorevole Casa per il suo eccellente lavoro. Desidero anche elogiare la Commissione e i Commissari presenti oggi in Aula per la loro proposta positiva. Devo tuttavia anche citare quelle che, a mio avviso, sono le principali omissioni nella vostra proposta, segnatamente la rete Natura 2000 e la sua presenza negli oceani, e gli impegni assunti dalla Commissione rispetto alla Convenzione per la protezione dell’ambiente marino nell’Atlantico nordorientale (Convenzione OSPAR). Si tratta di impegni internazionali che dovrebbero condurre a spese obbligatorie da parte della Commissione. Purtroppo, mentre la proposta della Commissione è positiva da molti punti di vista, riscontriamo un’evidente lacuna in questo ambito. Mi appello alla Commissione e al Consiglio perché colmino tale lacuna al più presto e perché prendano una decisione definitiva in materia.

 
  
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  Thomas Mann (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, tra tutti gli strumenti di attuazione della politica europea per l’occupazione, il Fondo sociale europeo è sicuramente il più importante. Nel periodo 2000-2006 ha messo a disposizione 80 miliardi di euro per misure tese a combattere la disoccupazione e a promuovere istruzione e formazione, e solo alla Germania sono andati 12 miliardi di euro. Nel periodo 2007-2013 è necessario sostenere in via prioritaria gli sforzi di adeguamento dei lavoratori e delle imprese e il prolungamento della vita lavorativa. Dopo l’ultimo Consiglio europeo, c’è da sperare che i britannici elaborino una qualche iniziativa in materia di finanziamento.

Sono lieto che le parti sociali siano coinvolte nell’elaborazione e nell’attuazione dei progetti, e che insieme si cerchi di perfezionare lo scambio delle migliori pratiche, ma respingo l’idea della Commissione di separare i progetti: da una parte i progetti FSE per la convergenza e dall’altra quelli per la competitività regionale. L’onorevole Silva Peneda ha giustamente segnalato che questo determinerebbe una novità: un’Europa con aiuti a più velocità. L’attuazione di misure unicamente a favore dei nuovi Stati membri, senza alcuna utilità per i vecchi, non funzionerà, perché quello di cui abbiamo bisogno è la solidarietà. Non è accettabile che la Commissione sia a favore dell’utilizzo delle risorse del FSE solo se in presenza di una compartecipazione delle casse pubbliche. La conseguenza sarebbe che molti progetti fallirebbero per mancanza di fondi.

Terza osservazione: non c’è il minimo riferimento alla possibilità che il FSE contribuisca all’organizzazione di corsi di formazione transaziendali per le professioni artigianali. Nel mio paese, la Germania, questi corsi sono organizzati all’interno dei centri di formazione delle associazioni artigianali, e con ottimi risultati, perché trasmettono una cultura economica nuova, moderna e importante. Per questo motivo, il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei chiede che siano mantenute queste misure che vanno a vantaggio degli apprendisti e dei tirocinanti e che sostengono finanziariamente le piccole e medie imprese. Chiedo a tutti coloro che sono convinti dell’importanza di promuovere le PMI – che dopo tutto costituiscono la colonna vertebrale dell’economia europea – di fare buon uso di tale opportunità e di votare a favore di questo emendamento.

 
  
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  Richard Seeber (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signora Commissario, vorrei osservare, in maniera generale, che la politica strutturale è un settore della politica comunitaria che è concretamente percepito dai cittadini europei, per la maggior parte in modo molto positivo, e da questo punto di vista assomiglia alla politica agricola, anch’essa una politica che promuove gli interessi delle regioni rurali. Sebbene vi siano ancora differenze tra gli strumenti finanziari e le regole in base alle quali funzionano, il nostro obiettivo a lungo termine deve essere quello di avere una politica che si applichi a tutta l’Unione europea. Dobbiamo riflettere assieme per capire come in futuro possiamo promuovere una più stretta cooperazione tra i diversi fondi e settori politici, realizzando così una politica nel suo insieme coerente.

Nello specifico, vi sono alcuni punti sui quali vorrei attirare la vostra attenzione. Uno di essi è contenuto nel paragrafo 47 della relazione Hatzidakis: la differenza tra i livelli di aiuto alle regioni che si trovano sulle nuove frontiere interne non deve poter superare il 20 per cento, altrimenti si rischiano distorsioni della concorrenza. Un altro è la semplificazione amministrativa: se non vogliamo che le autorità amministrative si scontrino con troppi ostacoli nella gestione quotidiana dei programmi, la Commissione deve dare prova di un elevato livello di flessibilità, in particolare quando si tratta di modificare o di adeguare i programmi. Un’attenzione particolare deve essere prestata alle regioni montagnose e collinari che svolgono moltissime funzioni fondamentali per la sostenibilità generale dell’Unione europea e delle sue regioni rurali. Pochi, o quasi nessuno, di questi compiti aggiuntivi sono svolti in modo completo, quindi la Comunità deve intervenire in questo settore se vogliamo avere una politica strutturale globale. Vorrei aggiungere che, in futuro, al fine di assicurare una certa coerenza, la politica della concorrenza, che impone limiti agli aiuti, dovrà essere allineata alla politica strutturale più di quanto sia stato fatto finora.

 
  
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  James Nicholson (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, desidero congratularmi con i relatori per le loro relazioni e per l’enorme lavoro che hanno svolto nell’elaborarle.

La futura riforma dei Fondi strutturali determinerà molti cambiamenti nelle regioni dei 15 Stati membri originari. Questo desta preoccupazioni in molte regioni, come quella dell’Irlanda del Nord da cui provengo io, che per molti anni ha goduto di un ampio sostegno grazie al quale si sono potuti raggiungere molti risultati.

Credo che il problema principale dell’Unione europea – che forse dovrebbe riflettere sui due “no” di Francia e Paesi Bassi – sia dato dal fatto che cerchiamo di applicare la stessa soluzione a tutti, da un’estremità all’altra dell’Unione. Ma le cose non funzionano così e non possiamo farle funzionare così; questo è uno dei maggiori malintesi. Capiamo certamente le necessità e le esigenze di molti cittadini dei dieci nuovi Stati membri, ma questo è di scarso conforto per chi accuserà gravi perdite.

L’Irlanda del Nord, da cui provengo, è in condizioni molto migliori rispetto a dieci anni fa. Non è certo perfetta, e non potrei sostenere il contrario, ma abbiamo, in una certa qual misura, una pace imperfetta, che non avevamo a quell’epoca. Tuttavia, negli ultimi 30 anni, abbiamo subito il flagello del terrorismo: le nostre città e i nostri villaggi sono stati distrutti dalle bombe. Molti hanno perso la vita, ma la volontà e la capacità di reagire della gente ci hanno aiutato a superare quei giorni bui e terribili. Tuttavia, la ricostruzione ha avuto un costo, e quindi invece di realizzare investimenti graduali nelle infrastrutture e nello sviluppo dei nostri collegamenti stradali, ferroviari e di altro tipo al resto del Regno Unito e all’Europa, invece di migliorare le nostre infrastrutture, tutti i finanziamenti sono stati canalizzati verso la ricostruzione delle zone distrutte.

Questo ci ha lasciato una pesante eredità di decadenza e declino, strutture obsolete e una sovracapacità delle nostre opere idriche e fognarie. Non abbiamo costruito nemmeno un chilometro di autostrada in questo periodo. L’ovest e il nordovest della mia provincia chiedono a gran voce sviluppi infrastrutturali che possano garantire la realizzazione di collegamenti nella provincia e che possano incoraggiare il trasferimento dell’industria verso quelle zone. Il nostro sistema ferroviario è stato migliorato negli ultimi anni, ma ha bisogno di ulteriori ammodernamenti del materiale rotabile. Abbiamo subito gravi perdite. Abbiamo bisogno di ulteriori aiuti.

Signora Commissario, lei ha recentemente visitato l’Irlanda del Nord ed è venuta a Belfast. La sua visita è stata molto breve. Spero che avremo la possibilità di accoglierla nuovamente in un prossimo futuro, quando potrà constatare le nostre difficoltà e forse aiutarci a superarne alcune.

 
  
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  Danuta Hübner, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, desidero intervenire brevemente e ringraziarla di questa opportunità.

Desidero ringraziare tutti per questo dibattito ricco di spunti di ispirazione. Ho ascoltato attentamente le vostre argomentazioni e sono assolutamente convinta che, nel prosieguo del nostro dialogo e della nostra cooperazione nelle successive fasi del processo legislativo, la Commissione sarà in grado di tenere conto di molte delle vostre preoccupazioni e questo sicuramente migliorerà le nostre proposte. In tale contesto, l’impegno della Presidenza a lavorare a stretto contatto per ottenere presto dei risultati è stato incoraggiante.

Desidero esprimere due rapidi commenti su due temi ai quali non ho fatto riferimento nelle mie osservazioni introduttive. Per quanto riguarda il partenariato, desidero sottolineare che la Commissione è assolutamente d’accordo con chi di voi ha chiesto il potenziamento del partenariato nel processo di attuazione dei fondi. Sì, è il principio del partenariato che rende così unica la governance della nostra politica.

Il mio secondo commento riguarda un tema che mi sta particolarmente a cuore: la partecipazione del capitale privato al finanziamento dei programmi di coesione. La Commissione approverebbe sicuramente il ricorso degli Stati membri al partenariato pubblico-privato nell’attuazione della politica di coesione e vi posso dire che la proposta iniziale è stata modificata proprio per consentire agli Stati membri di definire il tasso di cofinanziamento a livello di programma e non di priorità.

Concluderò sottolineando ciò che unisce il Parlamento e la Commissione e non gli elementi che ci dividono. Sono certa che la Commissione e il Parlamento siano entrambi persuasi che la politica di coesione dell’Unione, pur concentrandosi sui più poveri e venendo incontro alle loro esigenze, debba applicarsi a tutte le regioni europee. La solidarietà espressa da questa politica è stata vitale per lo sviluppo armonico dell’Unione nel passato e deve esserlo anche in futuro. Credo che sia il Parlamento che la Commissione siano convinti che una politica di coesione pulsante e dotata di risorse sufficienti possa dare un contributo fondamentale alla modernizzazione dell’economia dell’Unione aiutandola a conseguire gli obiettivi di Lisbona e a trarre vantaggio dalla globalizzazione dei mercati.

In conclusione, la costruzione e l’ulteriore sviluppo di questa politica costituisce un compito comune e la Commissione ha costantemente tratto forza dal sostegno, sia intellettuale che politico, del Parlamento. Mi impegno a portare avanti il dialogo tra le nostre Istituzioni nell’ambito delle procedure formali e anche al loro esterno. Sono certa che insieme potremo realizzare qualcosa che assicurerà un vantaggio duraturo per i nostri cittadini e li aiuterà a migliorare la qualità della loro vita quotidiana.

 
  
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  Vladimír Špidla, Membro della Commissione. – (CS) Signor Presidente, onorevoli deputati, ho ascoltato con molta attenzione le vostre osservazioni e i vostri commenti e desidero ringraziare ancora una volta il Parlamento per i preziosi contributi. Mi fa piacere che la Commissione e il Parlamento abbiano raggiunto un accordo sui temi fondamentali, e appoggiamo l’impegno del Parlamento volto a tenere conto della parità tra uomini e donne e delle pari opportunità in generale in ogni sfera del Fondo sociale europeo.

La politica di coesione deve contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione. A questo riguardo, desidero ricordare al Parlamento che i Fondi strutturali svolgono già un ruolo fondamentale nella promozione dell’inclusione sociale dei rom e di altri gruppi sfavoriti, e svolgerà un ruolo sempre di maggior rilievo in futuro. La politica di coesione deve anche promuovere l’inclusione sociale, attraverso i nostri obiettivi comuni nella lotta contro l’esclusione. Il Parlamento ha ribadito questo punto, che ha in ogni caso il sostegno della Commissione.

Vi posso dire che la Commissione può accogliere in totale 68 emendamenti. Restano 31 emendamenti che non possono essere accettati per le ragioni seguenti. In primo luogo, la Commissione attribuisce molta importanza al ruolo che le parti sociali potranno svolgere in futuro nell’ambito dell’attuazione del lavoro del Fondo sociale europeo. Per questo abbiamo accolto gli emendamenti nn. 6, 46 e 54, e avendo accettato questi emendamenti non possiamo accogliere gli emendamenti che vanno in senso opposto.

Le nostre riserve in merito ad alcuni altri emendamenti nascono da una serie di considerazioni. Alcuni sono disposizioni orizzontali che rientrano nel campo di applicazione di altri regolamenti, mentre alcuni si sovrappongono ad altre disposizioni del progetto di regolamento o dell’attuale regolamento. Altri ancora sono impraticabili o non rientrano nel mandato del Fondo sociale europeo. Infine, alcuni sono in contrasto con i principi di una gestione finanziaria sana ed efficiente.

Onorevoli deputati, sono lieto che la cooperazione tra la Commissione e il Parlamento sia stata così fruttuosa. Il risultato che ci aspettiamo da questa cooperazione è la garanzia che il Fondo sociale europeo possa continuare a funzionare in modo efficace in futuro, nel pieno rispetto degli obiettivi di crescita e occupazione della strategia di Lisbona.

I principi fondamentali del Fondo sociale europeo nel periodo 2007-2013 saranno coesione, consolidamento e semplificazione, sostenuti anche da un partenariato che coinvolgerà tutti i soggetti principali. Sono certo che una strategia in questi termini potrà essere uno strumento efficace nel nostro impegno teso a incoraggiare l’occupazione in Europa, a promuovere la coesione sociale e le pari opportunità e ad eliminare ogni forma di discriminazione e di svantaggio.

 
  
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  Joe Borg, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, onorevoli deputati, visto il poco tempo che ho a disposizione, mi limiterò a commentare in modo generale lo spirito degli emendamenti presentati.

La Commissione può accettare una serie di emendamenti che riflettono anche i progressi compiuti in seno al Consiglio, tra cui l’ammissibilità per la sostituzione dei motori dei pescherecci di piccole dimensioni a condizioni molto rigorose al fine di garantire che non vi sia un aumento dello sforzo di pesca.

In merito all’assistenza ai giovani pescatori che operano nel settore della piccola pesca e che desiderano acquistare una nave da pesca usata, le proposte contemplate dal Consiglio limitano tale assistenza all’acquisto di pescherecci di lunghezza inferiore a dodici metri che non utilizzano attrezzi trainati. La vostra richiesta di estendere questa possibilità a tutti i pescherecci esige un’ulteriore disamina.

Il campo di applicazione delle misure socioeconomiche è stato esteso alla formazione e alle indennità compensative per i pescatori che lavorano a bordo di pescherecci, in caso di arresto definitivo della loro attività.

Il requisito in virtù del quale gli aiuti in caso di arresto temporaneo delle attività devono essere accompagnati da una riduzione della capacità è stato ritirato e sostituito con il ripristino delle attuali disposizioni SFOP che fissano il limite del contributo comunitario per tutti i tipi di arresto temporaneo.

Al Consiglio abbiamo detto che i piani finanziati con il FEP presentati a seguito dell’adozione di misure di emergenza possono anche comprendere chiusure in tempo reale a causa di concentrazioni di avannotti o uova.

Si propone di estendere il sostegno del FEP alle medie imprese che operano nel settore dell’acquacoltura, della trasformazione e della commercializzazione, pur mantenendo un accento prioritario sulle piccole imprese e le microimprese.

L’acquacoltura è dotata di maggiore visibilità. Abbiamo infatti incluso l’acquacoltura nella definizione del settore della pesca e il sostegno all’acquacoltura è esplicitamente citato come uno degli obiettivi e delle missioni del FEP.

Sono stati ripristinati il sostegno alla pesca nelle acque interne, con l’esclusione della costruzione dei pescherecci, e la creazione e la ristrutturazione delle organizzazioni di produttori.

Vi sono nuove possibilità di finanziamento volte a favorire e a proteggere l’ambiente nelle aree Natura 2000 interessate da attività di pesca.

Oltre ad altre disposizioni in materia di pari opportunità, abbiamo aggiunto un sostegno alle azioni collettive tese a creare reti e scambi di esperienze tra le organizzazioni che promuovono le pari opportunità tra uomini e donne.

La Commissione non può accogliere le seguenti proposte che sono state incluse nella vostra relazione.

La costruzione o la sostituzione dei pescherecci, anche senza aumento dello sforzo di pesca. La Commissione non può accettare una proposta che va contro la nostra politica di conservazione. Tali forme di aiuto contribuirebbero a mantenere la situazione di sovracapacità della flotta. La Commissione non è disposta a modificare la propria posizione su questo punto, che rimane per noi un pilastro fondamentale della pesca sostenibile.

Lo stesso vale per gli aiuti alla creazione di joint ventures. Tali aiuti vanno principalmente a vantaggio dei proprietari di pescherecci privati e sarebbero contrari all’impegno che abbiamo assunto nell’ambito delle organizzazioni internazionali. Tuttavia, c’è consenso in merito alla possibilità di finanziare gli studi di fattibilità di queste joint ventures.

Per quanto riguarda la sostituzione dei motori di tutti i tipi di pescherecci, desidero ribadire che, in sede di deliberazioni del Consiglio, la Commissione ha accettato un compromesso in virtù del quale la sostituzione dei motori sarebbe stata consentita per i pescherecci di piccole dimensioni. Ho ascoltato i vostri punti di vista in merito all’estensione degli aiuti oltre i parametri già accettati dalla Commissione. E ovvio che si tratta di un aspetto che deve essere ulteriormente valutato.

Sono dell’idea che l’avvio dell’attività dei giovani acquacoltori non debba essere finanziato come quello dei giovani pescatori, poiché l’acquacoltura non è confrontata agli stessi problemi di reclutamento che si registrano nel settore della pesca. Tuttavia vorrei analizzare in maggior dettaglio questo aspetto.

Abbiamo proposto il ripristino degli aiuti per la pesca nelle acque interne. La Commissione non può tuttavia accettare la richiesta di estendere gli aiuti per la costruzione dei pescherecci destinati alla pesca nelle acque interne, in quanto è necessaria una certa cautela anche in questo tipo di pesca. Infatti ci è stato riferito che anche nelle acque interne alcuni stock sono in situazione di difficoltà, visti anche i limiti delle conoscenze scientifiche in questo settore. Ciononostante, riteniamo che i pescherecci che operano nelle acque interne dovrebbero godere dello stesso trattamento dei pescherecci che operano nel settore della pesca marittima.

Infine, abbiamo esaminato attentamente anche i vostri emendamenti relativi alle “questioni orizzontali” in merito ai sistemi di gestione, monitoraggio e controllo. Come sicuramente saprete, queste disposizioni si sono ampiamente ispirate alle proposte di regolamento sui Fondi strutturali. Per garantire la coerenza tra gli strumenti comunitari, dovremo attendere che si registrino sufficienti progressi nell’ambito dei negoziati su dette proposte.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 12.00.

(La seduta, sospesa alle 19.15, riprende alle 21.00)

Allegato – Posizione della Commissione

Relazione FAVA (A6-0184/2005)

La Commissione può accogliere gli emendamenti nn.  4, 8 (seconda parte, a partire da “nonché alla creazione di …”), 10, 12, 13, 27 (prima parte, fino a “divario tecnologico tra regioni”), 60, 65, 73, 74, 80 (prima parte: “lo sviluppo di … sviluppo di progetti”), 102 (articolo 14, paragrafo 1, comma 2 “funzionalmente”) e 108.

La Commissione non può accettare gli emendamenti nn. 1, 2, 3, 5, 6, 7, 8 (prima parte: “dimensione culturale … diversificazione di”), 9, 11, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27 (seconda parte, dopo “divario tecnologico tra regioni”), 28, 29, 30, 31, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 61, 62, 63, 64, 66, 67, 69, 70, 71, 72, 75, 76, 77, 78, 79, 80 (seconda parte: “articoli 8 … 11»), 81, 82, 83, 84, 85, 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 101, 103, 104, 105, 106, 107, 109, 110, 111, 112, 113, 114, 115, 116, 117 (seconda parte : “applicazione … in materia di acque”) 118, 119, 120, 121, 122, 123, 124, 125 et 126.

La Commissione può accogliere i seguenti emendamenti a condizione che siano riformulati.

Può accettare gli emendamenti nn. 32 e 117 se riformulati. Per quanto riguarda la prima parte “gestione … materia di acque”, la Commissione è disposta ad accettare gli investimenti legati all’approvvigionamento di acqua e quelli relativi alla gestione e alla qualità, senza però finanziare le spese di funzionamento e del personale a titolo della gestione in materia di acque. Riguardo all’ultima parte “promozione … NATURA 2000”, la Commissione può approvare il finanziamento degli investimenti relativi a Natura 2000, ma non quello delle spese di funzionamento e delle spese operative.

Inoltre può accogliere l’emendamento n. 68 se riformulato nel seguente modo: “promuovendo lo sviluppo urbano e rurale e i rapporti tra i due ambienti”.

Relazione Olbrycht (A6-0206/2005)

– In merito alla proposta della Commissione relativa all’istituzione di un gruppo europeo di cooperazione transfrontaliera, la Commissione è lieta di comunicare che è in grado di accogliere la maggior parte degli emendamenti presentati dal Parlamento

– La Commissione può accogliere in toto i seguenti 17 emendamenti : nn. 1-7, 12, 14-16, 23, 25-27, 32 e 35.

– Altri 17 emendamenti sono accettabili in linea di principio/nella sostanza, ma richiedono una riformulazione (emendamenti nn. 8, 9, 13, 17, 20-22, 24, 28-31, 33, 34, 38, 39 e 41).

– Due emendamenti possono essere accolti solo in parte (nn. 36 e 37).

– Infine la Commissione deve respingere un piccolo gruppo di 6 emendamenti (nn. 10, 18, 40 e 42-44). Gli ultimi tre emendamenti sono stati presentati alla plenaria, tuttavia il loro contenuto era già coperto da altri emendamenti approvati in precedenza.

– Due emendamenti (nn. 11 e 19) riguardano solo un errore in una versione linguistica.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ONYSZKIEWICZ
Vicepresidente

 

27. Termine per la presentazione di emendamenti: vedasi processo verbale

28. Il ruolo delle donne in Turchia
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0175/2005), presentata dall’onorevole Bozkurt a nome della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza dei sessi, sul ruolo delle donne in Turchia nella vita sociale, economica e politica [2004/2215(INI)].

 
  
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  Emine Bozkurt (PSE), relatore. – (NL) Signor Presidente, signor Commissario, signore e signori, c’era una donna nella Turchia rurale che stava per essere data in moglie contro la sua volontà. Le organizzazioni per i diritti delle donne le dissero che le nuove norme in Turchia prevedevano la possibilità di rivolgersi al tribunale per annullare il matrimonio. Quando la donna disse ai suoi genitori che lo avrebbe fatto, essi compresero che era inutile farla sposare e quindi il matrimonio fu cancellato. Questo è solo un esempio del modo in cui la Turchia sta migliorando la posizione delle donne.

La nuova legislazione turca viene elogiata nella relazione della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza dei sessi relativa al ruolo delle donne nella vita politica, economica e sociale in Turchia. In materia di diritti delle donne, la Turchia ha compiuto numerosi progressi nella nuova costituzione, nel diritto del lavoro e nel nuovo diritto penale. Questi progressi esistono sulla carta e devono ora trovare attuazione nella pratica. Anche se la Turchia ha iniziato ad attivare tali progressi, deve perseverare su questa strada. Il rispetto per i diritti delle donne è una condizione imprescindibile per l’adesione all’Unione europea. La relazione chiede alla Commissione di inserire i diritti delle donne come punto prioritario nell’agenda dei negoziati con la Turchia.

Ieri il Commissario Rehn ha spiegato a questa Assemblea la forma che assumeranno i negoziati con la Turchia. Sono lieta che abbia aggiunto che i diritti delle donne saranno una priorità fondamentale e l’argomento centrale nella relazione annuale sui progressi compiuti dalla Turchia. Inoltre il governo turco ha dimostrato di prendere la relazione davvero molto seriamente. Per esempio, in risposta ai precedenti dibattiti svoltisi in Turchia sulla relazione, è stato già deciso di creare una commissione per i diritti delle donne in seno al parlamento turco e il governo si è già impegnato a costruire più centri di assistenza per le donne vittime di violenza.

Una grande maggioranza di organizzazioni turche per i diritti delle donne sostiene le conclusioni della mia relazione. Anche in questa Assemblea la relazione ha trovato un ampio sostegno nel corso della votazione in seno alla commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza dei sessi. Devo molto a tutti coloro che hanno lavorato alla presente relazione. In particolare vorrei ringraziare il gruppo del PPE-DE per l’eccellente cooperazione in seno alla commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza dei sessi.

Va da sé che un ampio sostegno alla relazione non significa che siamo pienamente d’accordo su tutto. Vorrei scegliere alcuni aspetti che potrebbero essere significativi per la votazione di domani. In Turchia, le donne partecipano alla politica solo in misura molto limitata. Una possibile soluzione a questo problema proposta dalla relazione è un sistema di quote elettorali che possa aiutare a coinvolgere nel breve termine più donne nella politica. Si suggeriscono le quote come possibile soluzione ad un problema ma non si tratta di misure obbligatorie, dal momento che l’Unione europea non può ovviamente richiedere alla Turchia di introdurre misure che non sono ancora generalmente accettate dai suoi stessi Stati membri.

Mi associo alle organizzazioni femminili in Turchia nel chiedere il vostro sostegno in quest’area. Posso sostenere l’emendamento proposto in materia dai liberali, a patto che il governo turco sia chiamato direttamente a rendere conto in materia. Vorrei chiedervi di sostenere l’emendamento orale che presenterò nel corso della plenaria di dopodomani e con cui apparentemente i liberali sono d’accordo.

E poi c’è la questione del velo. In Turchia la netta divisione tra chiesa e Stato implica la proibizione di indossare abiti religiosi nelle università o in uffici statali. Se le donne rifiutano di togliere il velo non possono frequentare l’università né lavorare nella pubblica amministrazione. Nella mia relazione ho ripetuto l’appello contenuto nella relazione Eurlings al governo turco affinché venga assicurato che ogni ragazza e donna, indipendentemente dal contesto da cui proviene, possa godere del diritto all’istruzione. Appoggio l’emendamento presentato dall’onorevole Szymánski a nome del gruppo “Unione per l’Europa delle nazioni”, che indirettamente richiede di eliminare il divieto di indossare il velo. Sostengo tale posizione non tanto alla luce delle potenziali implicazioni negative che detto divieto potrebbe avere, ma perché la stessa Europa non ha una politica comune sul velo. Difficilmente possiamo chiedere alla Turchia di adottare misure su questioni che noi stessi non abbiamo ancora risolto. Inoltre la Corte europea dei diritti dell’uomo ha di recente affermato che questo divieto non calpesta i diritti delle donne in Turchia. Ogni paese ha facoltà di adottare una propria politica in materia di simboli religiosi. Dunque la Turchia dovrebbe trovare una propria soluzione ragionevole al problema del velo. Sarei lieta di contribuire a trovare tale soluzione a patto che, per esempio, il problema possa essere prima ampiamente discusso in seno alla commissione parlamentare mista UE-Turchia. Questo argomento deve essere discusso sia in Turchia che in Europa. Inutile dire che come Parlamento non possiamo risolvere questo problema da soli, ma possiamo certamente contribuire al dibattito.

Infine vorrei invitare tutti a votare per la presente relazione, ovviamente perché ne sono l’autrice, ma anche perché ho compiuto enormi sforzi per cooperare con gli altri partiti nell’elaborazione di questo testo. Ritengo infatti importante che la Turchia percepisca che l’appello a lavorare intensamente sui diritti delle donne viene da tutto il Parlamento europeo. Desidero ringraziarvi anticipatamente per l’aiuto e l’attenzione e attendo con ansia i vostri contributi a questo dibattito.

 
  
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  Olli Rehn, Membro della Commissione. – (FI) Signor Presidente, onorevoli deputati, sono stato qui due anni e mezzo fa e trovo irritante iniziare ancora una volta questo dibattito con un ritardo del tutto ingiustificato, soprattutto in ragione dell’importanza della questione. Devo dire che non c’è da stupirsi se la competitività europea è in una fase così instabile, visto che non si riesce a rispettare nemmeno una regola così semplice come quella dell’orario. Spero che l’Ufficio di Presidenza possa riflettere su questo aspetto e quindi prendere provvedimenti per il futuro.

(EN) – Sono lieto di poter discutere della questione dei diritti delle donne in Turchia sulla base dell’eccellente relazione dell’onorevole Bozkurt, in un momento particolarmente importante per le relazioni tra l’Unione europea e la Turchia.

La scorsa settimana la Commissione ha presentato agli Stati membri il quadro negoziale per la Turchia. Si tratta del quadro più rigoroso mai presentato dalla Commissione, in cui si dichiara che l’Unione si aspetta che la Turchia sostenga il processo di riforma e ne assicuri una risoluta attuazione, al fine di rispettare appieno lo Stato di diritto e i diritti umani per tutte le classi sociali e in ogni parte del paese.

Ho sostenuto che nel corso dei negoziati con la Turchia il viaggio è importante almeno quanto la destinazione. Tuttavia, per compiere un viaggio significativo occorre una destinazione. E’ precisamente la prospettiva dell’adesione all’UE che fornisce alla Turchia un tale obiettivo e che conferisce all’Unione europea quell’autorità credibile per influenzare questioni come i diritti delle donne in Turchia.

Siamo franchi. Nessun’altra prospettiva darebbe alla Turchia lo stesso incentivo ad adottare e attuare i valori europei sull’uguaglianza di genere come quella di divenire membro dell’Unione. Questo è il segreto del successo della nostra politica di allargamento, e non dobbiamo dimenticarcene.

Vorrei porgere le mie congratulazioni alla relatrice per il lavoro svolto. Si tratta di una relazione dettagliata e completa che affronta molte delle questioni sollevate dalla Commissione nelle sue relazioni periodiche. Le raccomandazioni della relazione dovrebbero essere fatte proprie da tutte le parti interessate. In particolare accolgo con favore l’attenzione che la relazione rivolge alla promozione della partecipazione delle donne al mercato del lavoro, a una maggiore rappresentanza femminile nelle posizioni decisionali, alla lotta contro la violenza domestica subita dalle donne e specialmente alla necessità di più numerosi centri di accoglienza per le vittime di violenza.

Condivido l’apprezzamento della relatrice per gli sforzi compiuti dal governo turco nell’introdurre riforme costituzionali e legislative, per esempio il codice penale, che affronta la situazione delle donne e promuove l’uguaglianza di genere. Il nuovo codice penale è stato criticato per alcuni aspetti, ma in generale rappresenta uno sviluppo chiaramente positivo che modernizza il sistema penale, dal momento che comprende numerosi miglioramenti per le donne.

Vorrei darvi degli esempi concreti. Il codice penale riconosce come reato la violenza carnale da parte del coniuge, introduce l’abolizione delle discriminazioni contro le donne nubili non vergini, condanna le molestie sessuali sul posto di lavoro, abolisce il concetto patriarcale di capofamiglia e sancisce la parità di diritti per i figli illegittimi. Tutto questo è incluso nel nuovo diritto penale. Ora è solo una questione di attuazione, attuazione, attuazione.

Infine, vorrei sottolineare che la Commissione considererà prioritari i diritti delle donne nei negoziati di adesione con la Turchia, e la situazione dei diritti delle donne sarà valutata attentamente nella prossima relazione periodica che la Commissione adotterà il 9 novembre di quest’anno.

 
  
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  Doris Pack, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la scorsa settimana ho letto in un importante mensile tedesco una relazione meravigliosa su tre imprenditrici turche. Leggendo la relazione oggi in esame, ci si può rendere conto di quanto sia grande il divario tra uomini e donne in Turchia.

La nostra preoccupazione principale è quella di promuovere il riconoscimento dei diritti, nella fattispecie con particolare riferimento alle donne. La violenza contro le donne, compresa la violenza domestica, i cosiddetti delitti d’onore, i matrimoni forzati, l’alto tasso di analfabetismo tra le donne sono tutti problemi allarmanti. Molte centinaia di migliaia di ragazze non possono andare a scuola sia perché i loro genitori non possono permetterselo, sia perché mancano le strutture. Le donne curde sono particolarmente colpite da tali problemi. Come ha affermato il Commissario Rehn, le leggi si approvano, ma dobbiamo ancora vederle applicate. Spero che la Commissione insisterà affinché ciò venga fatto.

Tuttavia, i delitti d’onore e i matrimoni forzati sono problemi che colpiscono particolarmente le donne turche che sono venute a vivere tra di noi e dunque colpiscono anche la nostra società. I partiti politici devono prendere le misure appropriate per affrontare la questione della scarsa partecipazione delle donne turche in parlamento; tuttavia, costringere la Turchia ad adottare quote elettorali e l’iscrizione nelle liste dei candidati secondo lo “zipper system” è un’ipocrisia, per dirlo in modo diplomatico, se non cerchiamo prima di attuare questo genere di misure nei nostri stessi paesi.

Spero che la risoluzione che verrà adottata con il sostegno di noi tutti aiuterà le associazioni femminili in Turchia a comunicare con i rappresentanti politici del proprio paese. Sono necessari cambiamenti perché tali violazioni della legge costituiscono violazioni dei diritti umani e – a prescindere dal desiderio di adesione all’Unione europea – deve essere evidente la necessità di dichiararle illegali. Spero che lentamente, ma in modo deciso questo concetto inizierà a farsi strada tra i politici in Turchia.

 
  
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  Lissy Gröner, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, vorrei estendere alla relatrice le congratulazioni del gruppo socialista per questa relazione che è tempestiva e molto valida. In proposito abbiamo avuto numerose discussioni con la commissione parlamentare per le donne turca e quella del Parlamento europeo. Abbiamo avuto colloqui con le ONG, la classe politica e le parti sociali. Queste discussioni hanno suscitato un dibattito di ampia portata in seno alla commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza dei sessi da cui è emersa una relazione sostenuta da quasi tutti i gruppi.

Dalla relazione emerge in modo molto chiaro che è stato fatto molto in Turchia per rispettare l’acquis comunitario. Il nuovo codice penale è entrato in vigore il 1° giugno. Ora ovviamente deve essere attuato e le pressioni in tal senso non devono venire meno. Bisogna però concedere alla Turchia il tempo necessario. D’ora in poi lo stupro commesso nell’ambito del matrimonio sarà punibile e i delitti d’onore sono ora riconosciuti quali reati penali del tutto abbietti.

Ora la Turchia deve fare il prossimo passo e nominare delle donne per le cariche politiche. Assegnare alle donne una quota del 4 per cento in seno al parlamento turco non è possibile; la quota dell’1 per cento nelle assemblee municipali è tanto esigua da essere irrilevante. Questo è il settore in cui le donne turche hanno bisogno del nostro aiuto. Le organizzazioni femminili hanno inviato un appello urgente all’Assemblea perché esprima un chiaro messaggio. Ci chiedono di sostenerle con il sistema delle quote, con le migliori prassi, ma soprattutto con una risoluzione. E’ questo quello che dovremmo fare. Inoltre dovremo sempre denunciare la violenza contro le donne e inserirla nella nostra agenda. Si prevede che i negoziati inizino il 3 ottobre e la presente relazione dovrà contribuire in modo significativo al loro svolgimento.

 
  
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  Anneli Jäätteenmäki, a nome del gruppo ALDE. – (FI) Signor Presidente, onorevoli colleghi, facciamo presto a dare consigli a paesi al di fuori dell’Unione su questioni su cui noi stessi dobbiamo ancora fare molto. La relazione sui diritti delle donne in Turchia indica che le donne costituiscono solo il 4,4 per cento del parlamento turco. La questione deve essere sollevata con l’obiettivo di migliorarla. Tuttavia, non possiamo proporre un sistema di quote obbligatorio per cercare di incrementare la partecipazione delle donne nella politica turca senza chiedere anche ai nostri stessi Stati membri di cambiare la propria legislazione nello stesso modo. Non possiamo chiedere alla Turchia più di quanto noi stessi siamo pronti a fare. Di conseguenza il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa ha proposto l’emendamento n. 3.

Vorrei fare appello ai nostri colleghi turchi. Incoraggiate le donne a partecipare di più alla politica; siate più coraggiosi dei capi di molti degli attuali Stati membri dell’Unione! Per esempio, la proporzione di donne nel parlamento nazionale francese è circa del 12 per cento e in Italia è ancora inferiore. Non ho sentito né i vertici di questi due paesi né dell’Unione europea esprimere preoccupazione per la situazione e per la scarsa partecipazione delle donne in detti Stati. Basterebbe adottare iniziative in Francia e Italia. Non dovremmo nascondere i nostri problemi e stigmatizzare solo la Turchia. Dovremmo affrontare il problema della scarsa presenza delle donne nella vita politica sia in Turchia che nell’Unione, e in effetti, anche nelle selezioni svolte dalla stessa Unione.

Infine, vorrei ringraziare la relatrice, che ha svolto un lavoro eccellente. Allo stesso tempo desidero ringraziare il Commissario Rehn che ha sollevato, gli va riconosciuto, la questione dei diritti delle donne in questi negoziati per l’adesione.

 
  
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  Hiltrud Breyer, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, anche io, parlando a nome del gruppo Verde/Alleanza libera europea, vorrei ringraziare calorosamente la relatrice per il suo lavoro. Spero che domani verrà inviato un messaggio chiaro e non soltanto da questa Assemblea. Vorrei che la Commissione dedicasse maggiore attenzione alla politica di uguaglianza che finora a mio avviso è rimasta nell’ombra.

Dobbiamo affermare in modo inequivocabile che non ci accontenteremo che i progressi rimangono sulla carta, ma pretenderemo che i diritti delle donne si traducano in realtà.

Sono lieta che abbiamo fissato una quota. Dovremmo andare oltre e prendere davvero in considerazione la possibilità di richiedere la stessa cosa nell’Unione europea. Il fatto che le donne rappresentino solo il 4 per cento dei membri dei nostri parlamenti nazionali e l’1 per cento delle assemblee locali è davvero la testimonianza del nostro fallimento politico. C’è un bisogno urgente di azione per affrontare questa situazione e a tal fine serviranno solo le quote.

Alla luce del fatto che l’8 marzo scorso questa Assemblea ha adottato una risoluzione in cui ha espresso esplicitamente la propria opposizione al matrimonio forzato, chiedo di nuovo il vostro sostegno al nostro emendamento sull’iscrizione immediata dei neonati all’anagrafe, che consentirebbe di evitare la legittimazione de facto del matrimonio forzato di ragazze minorenni dichiarate adulte.

 
  
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  Feleknas Uca, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, noi nel gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica appoggiamo la relazione dell’onorevole Bozkurt e domani voteremo a favore. La relazione evidenzia che c’è ancora molto da fare, a livello sociale, economico e politico, nonostante i miglioramenti nella posizione delle donne in Turchia, come ad esempio i progressi legislativi sui delitti d’onore e sullo stupro commesso nell’ambito del matrimonio. Noi, il gruppo GUE/NGL, riteniamo altrettanto importante trovare una soluzione politica alla situazione della Turchia sudorientale e che la posizione svantaggiata delle regioni curde diventi una realtà del passato. Vogliamo che le donne nelle regioni rurali più arretrate abbiano più opportunità di lavoro e di istruzione e che vengano sostenuti i progetti a tal fine. Ecco perché uno dei miei contributi alla relazione è la clausola che chiede al governo turco di cooperare con i sindaci di queste regioni nel creare e promuovere programmi mirati per le pari opportunità e per i diritti delle donne che vi abitano. Un miglioramento nella posizione delle donne in Turchia rappresenterà un grande passo avanti per i negoziati di adesione del paese.

 
  
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  Georgios Karatzaferis, a nome del gruppo IND/DEM. – (EL) Signor Presidente, parlo in qualità di autore del libro intitolato Women Today. Tale libro che è divenuto un best-seller nel mio paese e mi rivolgo a tutte le onorevoli colleghe. Se amano le donne turche e sono davvero solidali con loro, non dovrebbero votare a favore della relazione.

Come stanno davvero le cose? Lo dice un articolo pubblicato alcuni mesi fa: una ragazza di 14 anni, dopo essere stata violentata da uno zio, lo ha detto alla sua famiglia. La famiglia unita ha deciso di uccidere la ragazza. Gli assassini sono liberi. E’ questa la realtà. E’ questa la situazione.

Non possiamo scrivere relazioni da Bruxelles. Possiamo scrivere relazioni se andiamo a Diyarbakir e osserviamo come vivono le donne. Vivono in situazioni medievali. Il pregiudizio contro le donne predomina e il sistema di istruzione turco lo coltiva. La struttura patriarcale della famiglia prescrive di violentare e picchiare le donne.

Se vogliamo finalmente mostrare rispetto per le donne di tutto il mondo, non possiamo votare per la presente relazione. Il Primo Ministro turco Erdogan ha riportato la situazione delle donne turche indietro di dieci anni. La Turchia ha avuto una donna come Primo Ministro, mentre oggi non solo il Primo Ministro è un uomo, ma impone alla moglie di andare in giro con il velo. Ciò rappresenta un passo indietro per le donne turche.

 
  
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  Koenraad Dillen (NI).(NL) Signor Presidente, onorevoli deputati, poligamia, matrimoni forzati, analfabetismo, delitti d’onore, violenza domestica, discriminazione in politica e altro ancora: questa relazione sul ruolo delle donne in Turchia è, in termini di contenuti, ragionevolmente esauriente e ben fondata, ma tutti coloro che seguono da vicino la situazione politica turca sanno da tempo che lo Stato membro candidato, il cosiddetto “Stato laico-modello turco” per usare le parole del Commissario Michel, “si trova davvero in una situazione molto negativa in termini di diritti umani”, soprattutto per quanto riguarda i diritti delle donne in una società islamica.

E’ tuttavia utile che la relatrice, pochi mesi prima dell’inizio ufficiale dei negoziati di adesione, ci faccia rivisitare alcuni dei fatti. Per quelli che non hanno imparato niente dal modo in cui la polizia turca ha picchiato alcune manifestanti pacifiche, tale relazione giunge proprio nel momento giusto. In realtà, se fossero state presentate relazioni sulla situazione delle minoranze religiose, l’occupazione a Cipro, i diritti degli armeni e le restrizioni alla libertà di espressione, di opinione e di riunione in Turchia, non sarebbero state accolte con tante lodi. Almeno una volta a settimana, fonti indipendenti segnalano gravi carenze nell’area che chiamiamo, con tante cerimonie, “diritti fondamentali”. La situazione in Turchia non è migliorata in alcun settore e tra l’altro l’intera relazione è in evidente contraddizione con le ottimistiche dichiarazioni che abbiamo sentito lo scorso anno dal Commissario Verheugen e dal Presidente Prodi quando la Commissione, sconfessando totalmente la verità, ci ha portato a credere che in Turchia restano da affrontare solo problemi di secondaria importanza in materia di diritti umani prima di poter dare il via libera ai negoziati.

In conclusione, naturalmente il problema è se avremo il coraggio politico di trarre le uniche conclusioni ovvie su Ankara ovvero, che, francamente, la società turca è troppo differente dalla nostra in termini di valori per ammettere la Turchia nell’Unione europea entro la data prevista. Questa infatti è l’unica lezione intelligente che possiamo trarre dalla presente relazione.

 
  
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  Edit Bauer (PPE-DE). (HU) Non soltanto in Turchia la situazione delle donne è un criterio di sviluppo democratico. La Turchia ha compiuto enormi progressi in tal senso e questo vale anche se sappiamo che ci sono lacune giuridiche. Nessuno mette in dubbio che gli emendamenti costituzionali e il nuovo codice penale rappresentino un grande passo avanti, non solo in termini di diritti delle donne, ma anche di diritti umani universali. La realtà tuttavia dimostra che l’applicazione della legge a tutela di questi diritti è lenta e incoerente. Il problema non è soltanto che è più facile modificare il diritto rispetto alle tradizioni e alle abitudini. La relazione incoraggia il governo turco ad essere più coerente nei suoi sforzi per cambiare la situazione.

E’ positivo che la costituzione attribuisca la responsabilità di garantire pari opportunità alla giurisdizione del governo. A tale responsabilità tuttavia non è sottesa alcuna strategia atta a conseguire detto obiettivo. E’ positivo che gli uomini per legge possano avere solo relazioni coniugali monogame, ma di fatto gli imam continuano a presiedere cerimonie nuziali anche per le seconde e terze mogli. E’ positivo che circa il 40 per cento degli insegnanti universitari siano donne, ma questo non cambia il fatto che quasi un quarto delle donne siano analfabete. In tutti i settori in cui è impegnato il governo, i risultati sono visibili. Nelle ultime settimane, nell’ambito di una campagna governativa, solo nell’arco di una giornata sono stati ufficialmente registrati più di ventimila bambini che precedentemente non erano iscritti all’anagrafe. L’obiettivo della presente relazione, nonché degli emendamenti proposti, è assicurare che i progressi concreti contribuiscano a colmare il divario spesso enorme tra la situazione dei diritti umani de iure e quella de facto.

 
  
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  Zita Gurmai (PSE).(EN) Signor Presidente, è stato certamente un compito lungo e difficile raccogliere tutte le informazioni e i dati pertinenti per compilare una relazione così dettagliata sulla situazione effettiva delle donne turche. Abbiamo considerato innumerevoli problemi in materia di diritti femminili e parità di genere, molti dei quali si riscontrano in tutte le sfere della vita turca. Anche se la Turchia ha iniziato a far fronte alle sfide a livello giuridico, l’attuazione effettiva dei principi nella vita di tutti i giorni è ancora lontana. La Turchia, che ha chiesto di aderire all’Unione e si considera un potenziale candidato, dovrebbe rispettare i diritti umani fondamentali e l’acquis comunitario nel settore dei diritti umani e dell’uguaglianza di genere.

Il governo turco ha dimostrato il suo forte impegno nei confronti dei principi e dei valori europei introducendo un nuovo codice penale che tutela i diritti delle donne, iniziativa per la quale mi congratulo. Dovremmo ricordare che abbiamo proposto di designare il 2006 come Anno europeo per la lotta contro la violenza sulle donne. La Turchia dovrebbe aderire a tale proposta, sia in linea di principio che di fatto, attraverso un’azione concreta e visibile che preveda misure intese non soltanto a combattere la violenza, ma anche ad attuare l’uguaglianza di genere in altri settori.

Una forte volontà politica di attuare politiche a favore dell’uguaglianza di genere non è l’unico mezzo per ottenere buoni risultati. Per conseguire gli obiettivi prefissati occorre superare molti altri ostacoli, come le tradizioni, le strutture sociali patriarcali, gli aspetti religiosi, le abitudini, i valori nell’ambito dell’istruzione, dell’occupazione e della famiglia, normative e stereotipi, tutti fattori che ostacolano il progresso. Si tratta di una grande sfida dal momento che queste strutture si sono formate nel corso dei secoli e non è possibile attuare le riforme tutte in una volta. Tuttavia, se la Turchia intende avvicinarsi e aderire all’Europa, dovrebbe rispettare anche i valori europei.

Crediamo fermamente che il governo turco inizierà a compiere passi avanti verso l’attuazione delle nostre raccomandazioni. E’ nel nostro interesse comune monitorare i progressi ottenuti per ricavare un quadro realistico della situazione.

 
  
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  Cem Özdemir (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, anch’io vorrei ringraziare calorosamente l’onorevole Bozkurt per l’eccellente relazione che ha preparato. La parità dei diritti per le donne in Turchia a mio avviso non è da considerare solo in funzione dell’aspirazione turca di aderire all’Unione europea, ma è un argomento cruciale per il paese stesso.

Come assistente sociale didattico ed educatore non vorrei mai omettere un elemento positivo: il quotidiano turco Milliyet ha avviato una campagna con lo slogan “mandami a scuola papà!”, una causa che indubbiamente possiamo sostenere. Tutto questo deve essere visto in relazione alla prevista adesione all’Unione europea; lo stesso si può dire per esempio del gruppo d’informazione Dogan che ha preso posizione contro la violenza all’interno delle famiglie, iniziativa di cui ci rallegriamo.

Credo che nei prossimi anni anche in Turchia si debba trovare un nuovo consenso all’interno della società sulla questione del velo. Non può essere giusto che le madri che desiderano assistere alle feste dei propri figli si vedano vietare l’ingresso al campus universitario della città di Erzurum in Turchia orientale per il fatto che indossano un velo. Chiedo un netto rifiuto all’obbligo di portare il velo, ma voglio dire anche “no” alla laicità distorta che vieta alle mamme di visitare i propri figli a scuola.

 
  
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  Jan Tadeusz Masiel (NI). (PL) Signor Presidente, la relazione che stiamo discutendo oggi ci dice che la Turchia non è pronta ad aderire all’Unione europea e a partecipare a un sistema di valori di origine cristiana, e che non desidera essere pronta. Propongo che i negoziati di adesione con questo paese, il cui inizio è previsto fra tre mesi, non vengano aperti, se non altro perché i diritti delle donne in Turchia non vengono rispettati. Questa è solo una delle molteplici ragioni, la più importante delle quali è data dalle differenze culturali.

Propongo di avviare i negoziati quando la Turchia diverrà simile all’Europa, il che potrebbe non verificarsi mai. Non abbiamo il diritto di chiedere alla Turchia di abbandonare la sua civiltà e il suo sistema di valori, così come la sua religione, dal momento che la religione è la radice di ogni civiltà.

Le donne in Turchia subiscono discriminazioni? Sono discriminate oggi più che in passato? Forse la Turchia ha semplicemente standard e modelli culturali differenti che non si possono trasporre nel modello di comportamento europeo. L’aumento della violenza contro le donne potrebbe anche essere espressione della paura e dell’avversione della società tradizionale turca nei confronti dell’integrazione europea.

Il popolo turco non sarà in grado di rispettare noi europei, che siamo cresciuti in uno spirito differente e all’interno di un diverso sistema di valori, se non riesce a rispettare le proprie donne e le minoranze nazionali.

 
  
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  Katerina Batzeli (PSE).(EL) Signor Presidente, uno dei criteri fondamentali in base al quale nei prossimi anni saranno giudicati i progressi compiuti dalla Turchia verso l’Europa è rappresentato dai miglioramenti nella tutela dei diritti umani. In questo contesto è di vitale importanza migliorare la posizione delle donne in Turchia in tutti i settori, soprattutto perché l’uguaglianza di genere e il rispetto per i diritti umani e, in particolare quelli delle donne, fanno oggi parte dell’acquis comunitario. L’Unione europea deve affiancare la Turchia nei suoi sforzi di adeguamento.

Tuttavia, occorre mettere in rilievo alcuni punti, come sottolineato dall’onorevole Bozkurt nella sua relazione.

Innanzitutto il dipartimento governativo responsabile per i diritti delle donne deve sviluppare una politica integrata adeguatamente finanziata.

L’importante problema della violenza contro le donne, sia nella forma del delitto d’onore che della violenza domestica, deve essere contrastato e tenuto in considerazione in tutte le politiche governative. La partecipazione delle donne alla vita politica in Turchia è minima e va incrementata rafforzando le quote o con una maggiore partecipazione delle donne sia nei partiti democratici che nel governo stesso.

Per concludere, vorrei esprimere il mio sostegno alla relazione dell’onorevole Bozkurt. La relatrice ha davvero cercato di formulare proposte concrete e realizzabili per agevolare il processo di preadesione di questo paese all’Unione europea.

 
  
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  Olli Rehn, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, desidero ringraziare gli onorevoli deputati per le loro osservazioni, che contenevano alcuni messaggi davvero importanti che dovranno essere presi in considerazione. Risponderò solo a due o tre punti sollevati dalla maggioranza degli oratori.

Innanzitutto, come ha affermato la relatrice, onorevole Pack, insieme a molti altri, in effetti il cuore del problema è l’attuazione, in quanto comporta un cambiamento di mentalità. I cambiamenti legislativi sono importanti e la loro attuazione è essenziale, ma i cambiamenti nella mentalità e nella cultura sono perlomeno altrettanto importanti. Sosteniamo dunque, e lo faremo ancora di più, iniziative di sensibilizzazione intese a promuovere un cambiamento nella mentalità e nella cultura relativamente all’applicazione concreta dei diritti delle donne e all’atteggiamento delle forze di sicurezza, per esempio, in termini di diritti umani in generale.

Questo è anche l’obiettivo del dialogo della società civile che abbiamo avviato la scorsa settimana. Tale dialogo accompagnerà i negoziati veri e propri e procederà in parallelo ad essi. Miriamo a creare partenariati a lungo termine, per esempio tra le organizzazioni femminili nell’Unione europea e in Turchia, per aumentare la reciproca comprensione e rafforzare la società civile turca, che rappresenta uno dei suoi punti deboli. Questo promuoverà certamente la partecipazione femminile e i valori europei di uguaglianza di genere e i diritti delle donne.

Per quanto riguarda le quote menzionate dall’onorevole Jäätteenmäki e dalla relatrice, la Commissione è d’accordo con la relatrice che non possiamo chiedere alla Turchia più di quanto noi stessi possiamo offrire. Il fatto è che alcuni Stati membri hanno le quote e altri no. Vorrei rammentare che lo Stato membro che conosco meglio ha avuto per molto tempo quote per promuovere la partecipazione femminile ai processi decisionali. Vorrei ricordare che, come giovane parlamentare, nel 1991, insieme all’onorevole Jäätteenmäki, abbiamo partecipato a una votazione sulle quote a favore dell’uguaglianza di genere. Dopo aver avuto un incontro con altri parlamentari sotto i 35 anni e aver capito di essere in una minoranza del 12,5 per cento perché gli altri sette deputati sotto i 35 anni erano donne, ho certamente votato per le quote in modo da assicurare una rappresentanza equa di entrambi i sessi in futuro.

Il 3 ottobre inizieremo un percorso lungo e senza dubbio difficile. E’ importante capire che è precisamente la prospettiva di adesione che incentiva la Turchia a promuovere i diritti delle donne. Tale prospettiva è inoltre una spinta molto forte per gli attivisti e i cittadini interessati e che desiderano lavorare per questi importanti valori europei.

Posso assicurarvi che la Commissione effettuerà un monitoraggio rigoroso e obiettivo nel corso di questi negoziati di adesione. E’ una buona idea ripetere questo esercizio ogni giorno dell’anno e seguire così i progressi compiuti in materia di diritti delle donne in Turchia.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà mercoledì, alle 1200.

 

29. Parità di opportunità e di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0176/2005), presentata dall’onorevole Niebler a nome della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza dei sessi, sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego [COM(2004)0279 – C6-0037/2004 – 2004/0084(COD)].

 
  
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  Vladimír Špidla, Membro della Commissione. – (CS) Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei ringraziare la relatrice, onorevole Niebler, e la commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza dei sessi per la loro relazione chiave sulla nostra proposta di revisione della direttiva. Scopo della proposta è la semplificazione, la modernizzazione e il miglioramento della legislazione comunitaria sulla parità di trattamento fra uomini e donne in relazione all’occupazione. La direttiva rivista intende raccogliere in un unico documento i provvedimenti rilevanti delle direttive precedenti su questo argomento, al fine di renderli più praticabili e facili da capire per tutti i cittadini, il che è in linea con i nostri tentativi di rendere l’Unione più aperta, più trasparente e più vicina alla vita di tutti i giorni.

Tuttavia la proposta non si limita solo a consolidare la legislazione esistente, bensì la semplifica e compie alcuni cauti passi avanti verso la sua modernizzazione. Ciò porterà a notevoli miglioramenti, di cui l’aspetto più significativo sarà l’utilizzo di una terminologia coerente e, cosa più importante, di definizioni coerenti, che permetteranno una maggiore coerenza legislativa. Si è fatto esplicitamente ricorso a numerosi provvedimenti orizzontali relativi ai regimi professionali di sicurezza sociale, ed è stata incorporata la giurisprudenza recente della Corte di giustizia al fine di rafforzare certezza e chiarezza giuridiche.

E’ assolutamente vero che la proposta non riesce a introdurre nuove politiche o idee innovative, ma va sottolineato che ci troviamo in una posizione unica, in quanto rivediamo una direttiva sulla base di un accordo interistituzionale. Il maggior vantaggio di questo metodo legislativo è che ci permette di apportare miglioramenti tecnici alla legislazione dell’Unione a livello comunitario e di salvaguardare i risultati passati senza riaprire il dibattito e rimettere in discussione soluzioni che sono già state riconosciute come questioni complesse e delicate dal punto di vista politico. La Commissione ha cercato di trarre vantaggio da questo metodo e dal potenziale di revisione legislativa che esso offre, al fine di una migliore promozione della parità tra uomini e donne.

 
  
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  Joachim Wuermeling (PPE-DE), in sostituzione del relatore.(DE) Signor Presidente, Commissario Špidla, onorevoli colleghi, la votazione sulla direttiva rifusa porrà fine alle discussioni molto approfondite tenutesi in seno alla commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza dei sessi, perciò sono certo che comprenderete quanto l’onorevole Niebler si rammarichi di non poter essere presente a questo dibattito per via di un lutto familiare. Mi ha chiesto di pronunciare la seguente dichiarazione a suo nome, e chiedo la comprensione dell’Assemblea al riguardo.

L’onorevole Niebler ringrazia tutti per la fattiva e corretta cooperazione realizzatasi in seno alla commissione nel corso della preparazione di questa importante relazione. In questo caso la Commissione ha proposto di camminare pericolosamente su un filo teso tra il mero consolidamento dell’attuale legislazione e un parziale miglioramento dei regolamenti esistenti nell’intento di redigerli in termini più comprensibili, modernizzarli e semplificarli, incorporando inoltre nel testo consolidato la giurisprudenza della Corte di giustizia. Parlando in qualità di ex membro della commissione giuridica, io stesso non posso non essere favorevole a tale obiettivo. Ciò che l’Europa richiede in questo settore va espresso in modo più trasparente, più generale e più chiaro, ed è per tale motivo che sosteniamo un simile approccio.

Non è un segreto che questa proposta sia arrivata in un momento in cui il processo di trasposizione delle decisioni comunitarie negli Stati membri è oggetto di una discussione decisamente vivace – basti citare il dibattito fin troppo acceso in Germania, dove il governo rosso-verde sta andando davvero incontro alla sconfitta politica per essersi spinto ben al di là di ciò che l’Europa richiede, ma non è questo il punto della questione. La direttiva si incentra soltanto sulla parità di diritti tra uomini e donne sul lavoro, elemento che sta proprio al centro della politica europea di parità, ed è fuori discussione il fatto che tale questione sia di competenza dell’Unione europea.

Dopo decenni trascorsi a lavorare per la parità, come stanno ora le cose? Nonostante i nostri sforzi per la parità nel mondo del lavoro, possiamo vedere che vi è ancora un divario di genere, che corrisponde al 16 per cento circa degli stipendi. Gli uomini hanno il doppio delle possibilità di occupare posizioni di comando e il triplo di arrivare a capo di società. Ai massimi livelli decisionali delle 50 maggiori società quotate in borsa, la quota di donne è di solo il 10 per cento.

Tre aree tematiche hanno dato origine a un acceso dibattito in seno alla commissione. Innanzi tutto, numerosi deputati hanno chiesto che la direttiva comprendesse un riferimento al congedo parentale, ma l’onorevole Niebler ha assunto la posizione secondo cui l’uso di questa rifusione per apportare un cambiamento tanto radicale nel diritto europeo non era opportuno. Il fatto che le norme varino così tanto da uno Stato membro all’altro – e il congedo parentale varia da tre mesi a tre anni – significa che un’estensione della direttiva per coprirlo avrebbe implicato enormi modifiche e reso necessari sia un dibattito approfondito che una valutazione dell’impatto. Pertanto vale la pena di sostenere il compromesso raggiunto, secondo il quale le parti sociali, che sono già attive in questo campo, sono invitate a rivedere i regolamenti esistenti alla luce di queste considerazioni.

Il secondo argomento ad essere oggetto di discussione critica riguardava le cosiddette “tariffe unisex”. A un certo punto la commissione, con una maggioranza molto esigua, si è espressa a favore dell’idea che la distinzione tra uomini e donne nei regimi pensionistici professionali vada abolita, ma l’onorevole Niebler ha messo in guardia molto decisamente dal riaccendere la discussione in merito in questa fase, dato che solo pochi mesi fa è stato raggiunto, dopo lunghi negoziati, un compromesso ben ponderato sulle prestazioni di anzianità. L’onorevole Niebler reputa molto importante che se ne parli perché, se ora si riapre il dibattito sulle “tariffe unisex”, questione decisamente controversa dal punto di vista politico, si corre il rischio di perdere la direttiva rifusa per aver preteso troppo dal processo di consolidamento legislativo attualmente in corso.

Le medesime considerazioni valgono per quanto riguarda la terza questione, cioè il nostro appello affinché si esercitino maggiori pressioni sugli Stati membri e affinché le parti sociali li inducano a migliorare la situazione. Non poniamo dunque a rischio l’intera direttiva sovraccaricandola di richieste sostanziali; che la legge sia chiara e comprensibile è cosa di per sé preziosa. E’ questo lo scopo della direttiva, e vi chiedo di contribuire a sostenerlo.

 
  
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  Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE), relatore per parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali.(EL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, la relazione sulla proposta di revisione della direttiva riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne è stata presentata quest’oggi in plenaria in una nuova forma, dopo mesi di laboriosa elaborazione da parte della relatrice, onorevole Niebler.

Nel corso di tale elaborazione tutte le parti hanno avuto occasione di esprimersi e di farsi ascoltare da tutti coloro che hanno contribuito a formulare la proposta odierna. La relatrice merita sincere congratulazioni, poiché ha conciliato i suggerimenti della Commissione affinché si semplificasse la codificazione della legislazione precedente con un campo di applicazione più ampio per le politiche orizzontali nei settori fondamentali del diritto europeo, come ad esempio i settori della retribuzione e della previdenza sociale.

In qualità di relatrice per parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, ritengo che vi sia una migliore tutela delle pari opportunità sul luogo di lavoro, dall’accesso alla formazione e all’occupazione allo sviluppo di carriera, soprattutto per quanto riguarda la retribuzione.

La proposta rafforza il principio di sussidiarietà, in quanto ci si rivolge ripetutamente agli Stati membri affinché decidano in merito alle misure individuali per la parità di trattamento. Sono inoltre salvaguardati il diritto fondamentale di assistenza legale efficace e l’applicazione di sanzioni dissuasive in caso di molestie.

Il punto di vista diverso tra la procedura di revisione e quella di codecisione non deve indurre la Commissione a perpetuare la faida con il Parlamento. Il problema demografico dell’Unione europea impone di creare pari opportunità tra uomini e donne per quanto riguarda il congedo parentale, com’è stato deciso in una direttiva conclusa solo tra Commissione e parti sociali. La Commissione è inoltre invitata a proporre una revisione della direttiva.

Le disuguaglianze vengono create nei momenti in cui le donne si occupano di figli piccoli o di persone che necessitano di protezione. Per questo motivo la proposta di misure volte a conciliare il lavoro e la famiglia, con la parallela tutela della maternità, non si allontana dall’obiettivo.

Invitiamo inoltre il Consiglio a esprimere la propria volontà politica…

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Katalin Lévai (PSE), relatore per parere della commissione giuridica.(HU) Le pari opportunità tra uomini e donne sono un diritto fondamentale e una priorità nell’Unione europea. La politica comunitaria che mira ad assicurare le pari opportunità fa parte del programma politico comunitario fin dall’inizio dell’integrazione, pur con qualche variazione nei contenuti. La direttiva che ci auguriamo venga adottata domani riassume le direttive che già affrontavano la questione, riflettendo così lo scopo dei legislatori di proporre regolamenti omogenei e semplificati che riuniscano tutte le disposizioni esistenti al riguardo. Componente fondamentale della direttiva è che si prefigge come obiettivo non solo l’uguaglianza di genere per quanto riguarda il trattamento di uomini e donne, ma anche l’uguaglianza tra i sessi. E’ importante sottolineare che il principio delle pari opportunità non si può limitare unicamente all’occupazione, perché riguarda tutti i settori della vita.

Tale principio richiede che non vi sia discriminazione di sorta in base al sesso, soprattutto per quanto riguarda il matrimonio e lo status coniugale, e in particolar modo per quanto concerne le condizioni di accesso ai regimi di sicurezza sociale, il calcolo degli obblighi contributivi e il diritto ai benefici. Poiché i ruoli tradizionalmente occupati dalle donne in seno alla famiglia sono una delle principali ragioni di disparità sul luogo di lavoro, la direttiva richiede orari più flessibili sul luogo di lavoro per permettere sia agli uomini che alle donne di conciliare gli impegni familiari con quelli lavorativi. La direttiva mira a permettere alle parti lese di affermare con efficacia i propri diritti giuridici; questo è facilitato dall’inversione dell’onere della prova nei casi di discriminazione e dal divieto di discriminazione indiretta o occulta. La direttiva si fa inoltre carico in modo particolare di attirare l’attenzione degli Stati membri sul fatto che l’eliminazione degli svantaggi che le donne incontrano è inconcepibile se i governi non assumeranno un ruolo attivo; inoltre è necessario che le istituzioni democratiche controllino gli sforzi compiuti dai governi al riguardo. Creiamo istituzioni specializzate per garantire i diritti delle donne sia in seno al sistema governativo istituzionale che al di fuori di esso.

 
  
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  Anna Záborská, a nome del gruppo PPE-DE.(FR) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei ringraziare i colleghi della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza dei sessi per la collaborazione preziosa e costruttiva. Dopodiché vorrei sollevare due questioni di attualità: in primo luogo, l’obbligo di rispettare appieno la sovranità legislativa degli Stati membri; in secondo luogo, il riconoscimento economico del lavoro delle donne in tutte le sue forme.

Innanzi tutto, diciamo di sì a un’Europa sociale, che permetta la totale parità tra uomini e donne, ma anche al rispetto per le diverse culture nazionali. Il piano d’azione di Pechino è chiaro, e anche l’Unione europea dovrebbe rispettarlo. Esso stabilisce che l’attuazione di ogni programma politico è responsabilità sovrana di ciascuno Stato, che deve agire in conformità di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali; inoltre, tenere in considerazione e rispettare appieno i diversi valori religiosi e morali e la tradizione culturale e le credenze filosofiche degli individui e delle loro comunità dovrebbero aiutare il pieno godimento dei diritti umani da parte delle donne al fine di ottenere la parità, lo sviluppo e la pace.

In conclusione, dato che si tratta di una revisione, è stato possibile solo adottare ciò che era già presente nelle direttive precedenti. Tuttavia sarebbe utile una direttiva sul valore economico del lavoro delle donne nel settore non commerciale e informale o del lavoro femminile non retribuito nel settore della solidarietà sociale, intergenerazionale o professionale. Esso ha un valore economico. Invito tutti i colleghi a familiarizzarsi con le idee del Premio Nobel Gary Becker, i cui studi hanno stimato con precisione il valore economico del lavoro delle donne in tutte le sue forme. Questo lavoro è degno di essere pienamente rivalutato, stimato e quantificato a vantaggio della piena parità economica fra uomini e donne.

 
  
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  Bernadette Vergnaud, a nome del gruppo PSE.(FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, innanzi tutto vorrei congratularmi con la relatrice, onorevole Niebler, per il testo completo ed equilibrato da lei preparato. Questa formulazione di compromesso, con gli emendamenti apportati, rappresenta un contributo parlamentare importante e di alta qualità.

Il suo scopo principale è la revisione dei termini delle precedenti direttive su parità di retribuzione, parità di trattamento nell’accesso all’occupazione, alla formazione e promozione, condizioni di lavoro, regimi professionali di sicurezza sociale e prevenzione delle molestie. Questa revisione ci permetterà di presentare una formulazione unica e coerente, priva di definizioni contraddittorie, di aumentare la trasparenza e la chiarezza della legislazione in materia di parità di trattamento e di facilitarne l’efficacia dell’attuazione rafforzando l’acquis, evitando regressioni e incorporando tutti i recenti sviluppi della giurisprudenza europea. Includendo anche tutte le definizioni di discriminazione diretta e indiretta e di molestie, il principio della parità di retribuzione e i regimi pensionistici professionali, il testo offrirà la chiarezza e la semplificazione indispensabili alla buona applicazione della direttiva negli Stati membri e assicurerà un alto grado di certezza giuridica.

Deploro tuttavia che, dei tre principali obiettivi enunciati dalla Commissione – semplificare, modernizzare e migliorare la legislazione comunitaria – quello di apportare miglioramenti non abbia prodotto alcuna proposta concreta nel testo. Una politica vigorosa sulla tutela delle donne che esercitano un’attività autonoma, in particolare nei settori dell’agricoltura e dell’artigianato, sul congedo parentale e sulla conciliazione tra vita professionale e vita familiare avrebbe dovuto fare parte di questo obiettivo, e ne deploro l’assenza.

Chiedo pertanto alla Commissione di inviare un segnale forte, innanzi tutto rivedendo e migliorando con urgenza la direttiva 86/613 sull’applicazione del principio di parità di trattamento tra uomini e donne che esercitano un’attività autonoma, e, in secondo luogo, riesaminando la direttiva 96/34 sul congedo parentale, al fine di adattarla all’attuale situazione mediante l’introduzione di incentivi negli Stati membri, quali una compensazione ragionevole e il riconoscimento statistico del valore di questo lavoro non retribuito.

Si devono compiere progressi essenziali nella lotta alla tradizionale segregazione dei ruoli all’interno della famiglia e si deve assicurare una presenza più equilibrata di donne e di uomini sul mercato del lavoro. In breve, una migliore conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare. La parità di trattamento è una condizione essenziale per raggiungere gli obiettivi della crescita e dello sviluppo economici, sociali e ambientali sostenibili che fanno parte del rilancio della strategia di Lisbona. L’Europa deve assicurare diritti minimi per tutti gli uomini e le donne e deve fare in modo che vengano rispettati negli Stati membri nel più breve tempo possibile. Tale scopo impone a tutti noi – Parlamento, Consiglio e Commissione – di dimostrare una forte determinazione politica e una cooperazione intelligente al servizio dei nostri concittadini.

 
  
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  Anneli Jäätteenmäki, a nome del gruppo ALDE.(FI) Signor Presidente, onorevoli colleghi, affrontare la questione della parità di retribuzione è da diversi decenni uno dei nostri maggiori problemi in materia di parità. La legislazione comunitaria è stata finora incapace di eliminare la disparità in questo settore. Meri incentivi e raccomandazioni non saranno sufficienti per raggiungere la parità di retribuzione neppure in futuro. Va detto chiaramente che differenze ingiustificate di retribuzione sono inaccettabili. Occorrono requisiti più precisi, occorrono sanzioni giuridiche e occorrono risultati.

Gli Stati membri devono riferire le modalità con cui provvedono all’attuazione pratica del principio di parità di trattamento. Le informazioni riguardo alle modalità con cui esso trova applicazione a livello normativo sono insufficienti. Dobbiamo adottare procedure adeguate negli Stati membri. Stavamo appunto dicendo che la Turchia deve attuare la legislazione e che non basta semplicemente concordare con le sole leggi. A questo proposito, l’Unione europea e i suoi attuali Stati membri potrebbero guardarsi un po’ allo specchio e attuare le leggi e i regolamenti che abbiamo adottato in comune.

Anziché spronare le parti sociali, gli Stati membri dovrebbero fare in modo di attuare e promuovere il principio di parità di trattamento, osservando così le prescrizioni dei Trattati e della legislazione comunitari. Se un datore di lavoro si fa beffe di un regolamento, dev’essere chiamato a rispondere del suo comportamento.

Noi deputati desideriamo migliorare l’attuale legislazione, in modo che possa promuovere la parità di trattamento fra donne e uomini. Ci auguriamo di raggiungere il consenso con la Commissione e il Consiglio riguardo agli obiettivi.

 
  
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  Hiltrud Breyer, a nome del gruppo Verts/ALE.(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, in passato l’Unione europea era un chiaro simbolo di parità per le donne. Nel corso del dibattito sulla Turchia si è detto molto a proposito dell’essere una comunità di valori e a proposito del valore della parità nell’Unione europea, valore che spero non si stia logorando. Reputiamo indispensabile l’inclusione delle pensioni professionali nella relazione, sapendo che le donne sono vittime di discriminazioni in base al sesso, poiché l’azienda non può sapere se saranno loro o i colleghi maschi a vivere più a lungo. La discriminazione riguardo alle pensioni professionali è incompatibile non solo con l’articolo 13 del Trattato, ma anche con il principio di parità sul luogo di lavoro. Pertanto mi aspetto e mi auguro che l’intera commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza dei sessi sostenga questa proposta.

Vorrei inoltre aggiungere che ritengo inopportuno da parte dell’onorevole Wuermeling e di altri deputati pronunciare, en passant, commenti assolutamente sprezzanti sull’idea che le direttive antidiscriminatorie debbano valere al di fuori della vita lavorativa. Commissario Špidla, mi aspetto che lei ribadisca il suo chiaro ed esplicito sostegno alle direttive antidiscriminatorie, non solo per quanto concerne la discriminazione sul luogo di lavoro, ma anche al di fuori di esso. Quando si tratta delle politiche a favore delle donne, non si può dire un giorno “alt” e quello dopo “via libera”, ma bisogna invece mettere in chiaro che esse rappresentano uno dei valori dell’Unione europea. Dalla politica di parità non si può fare marcia indietro.

 
  
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  Eva-Britt Svensson, a nome del gruppo GUE/NGL.(SV) Signor Presidente, l’intera relazione riguarda proprio le basi di tutto il lavoro sull’uguaglianza di genere, in altre parole il diritto e l’opportunità di guadagnarsi da vivere. Vorrei porre l’accento soprattutto su tre parti della direttiva.

La prima questione riguarda la parità di retribuzione per lavori di pari valore. Non è nulla di nuovo, ma un elemento che faceva parte delle precedenti direttive. L’idea viene tuttavia rafforzata, in quanto i due versanti dell’industria sono chiamati ad assumersi sia l’iniziativa che la responsabilità per quanto riguarda il principio di parità di retribuzione. Nonostante fosse in vigore la direttiva sul principio di parità di retribuzione, sussistono ancora grandi disparità di retribuzione, il che significa che la discriminazione continua.

La seconda parte su cui vorrei richiamare l’attenzione riguarda il congedo parentale. Essere genitori non è più considerata una questione che riguardi uno solo dei sessi. Al contrario, ai genitori va data l’opportunità di condividere la responsabilità dei figli.

La terza parte su cui vorrei porre l’accento è quella della parità di trattamento in materia di impiego e occupazione. In questo caso non dovremmo interessarci solo della parità di trattamento per le donne già inserite nel mercato del lavoro, ma anche della non discriminazione in materia di reclutamento e condizioni di impiego.

 
  
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  Urszula Krupa, a nome del gruppo IND/DEM. (PL) Signor Presidente, questa risoluzione intendeva accrescere le pari opportunità e migliorare la situazione delle donne nel mercato del lavoro. Numerosi emendamenti contribuiranno a un cambiamento in positivo, ma sembra che, se si vogliono apportare miglioramenti effettivi, non si debba solo introdurre standard giuridici, ma soprattutto cambiare il nostro modo di concepire il ruolo delle donne nella vita sociale ed economica. Dobbiamo abbandonare le idee liberali, fondate sul relativismo morale, per adottare un approccio basato su principi etici e morali, rispettosi dell’individuo, donna o uomo che sia, e non vedere solo un elemento che si può usare per trarne profitto. Gli individui più deboli, e soprattutto le donne, sono particolarmente sensibili ai rischi dell’approccio utilitaristico, che implica che le grandi imprese, le aziende e le catene commerciali si rifiutino di concedere il congedo di maternità o di pagare gli stipendi e che le donne siano costrette a svolgere lavori e servizi umilianti.

I cambiamenti nel nostro modo di pensare devono iniziare con l’istruzione scolastica, a casa, sul luogo di lavoro e in tutte le sfere della vita. Le donne sono diverse sotto l’aspetto psicologico e fisico, e a nostro avviso si dovrebbero proibire loro alcuni lavori per la loro stessa protezione. Le donne che lottano per la parità di trattamento spesso si ritrovano in situazioni di svantaggio, a concorrere e combattere contro gli uomini invece di collaborare e condividere le responsabilità secondo la propria predisposizione.

Ritengo molto ingiusto che il progetto manchi di menzionare il significativo numero di donne in pensione o che non ricevono pensioni. Questo è contrario alle dichiarazioni della risoluzione. Se non verranno incluse le suddette disposizioni, la direttiva in discussione sarà solo un altro documento morto.

 
  
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  Lissy Gröner (PSE).(DE) Signor Presidente, questa direttiva riguarda la posizione delle donne nel mercato del lavoro. Pertanto si rivolge innanzi tutto alle donne, ed è la causa delle donne che si sta portando avanti ancora una volta completando lo smantellamento della burocrazia che abbiamo promesso ai cittadini. Mi auguro che domani si voti all’unisono, e che il riferimento alle regole antidiscriminatorie fosse solo una scaramuccia verbale da parte dell’onorevole Wuermeling. Sono già in corso le elezioni nazionali e non hanno nulla a che fare con questa direttiva.

Ai sensi dell’articolo 119 del Trattato, il diritto europeo promette parità di diritti alle donne, che devono vedere la realizzazione pratica di questo principio. Molte deputate al Parlamento hanno fatto riferimento ai settori in cui questo non avviene e al bisogno di diffondere la consapevolezza della discriminazione diretta e indiretta che continua a verificarsi. Può ben darsi che la discriminazione inizi nella testa delle persone, ma per la sua eliminazione dobbiamo cambiare i diritti e le leggi, e la loro trasposizione nel diritto nazionale verrà di conseguenza.

Occorre volontà politica, che la Commissione ha dimostrato di avere. L’Assemblea contribuisce con la sua. Auspico che domani potremo ottenere ciò che vogliamo e inviare alle donne dell’Unione europea il messaggio che siamo ancora il motore che fa andare avanti i diritti delle donne in Europa.

 
  
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  Věra Flasarová (GUE/NGL).(CS) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, i problemi relativi alla ricerca di un equilibrio nella vita lavorativa sono divenuti parte della vita moderna. Uno dei motivi della condizione di disparità della donna sul luogo di lavoro è che i datori di lavoro sono consapevoli dei conflitti di interesse tra responsabilità lavorative e familiari. Anche se le donne rappresentano quasi il 44 per cento dei lavoratori della Repubblica ceca, nel migliore dei casi, secondo la nostra ricerca, il numero di uomini che occupano posti di comando è cinque volte superiore a quello delle donne. Le donne che vogliono fare carriera devono ottenere risultati eccezionali per poter essere considerate partner alla pari degli uomini; in effetti, per riuscire devono fare molta più strada rispetto agli uomini che svolgono lo stesso lavoro.

Lo stipendio medio delle donne della Repubblica ceca attualmente è inferiore del 19 per cento a quello degli uomini. E’ inoltre comprovato che, nei colloqui di assunzione, sono spesso le donne stesse a chiedere stipendi inferiori rispetto agli uomini che si candidano allo stesso posto di lavoro, il che indica di per sé la mancanza di autostima delle donne nelle relazioni lavorative.

Ne consegue pertanto che la promozione della parità di diritti per donne e uomini non dev’essere solo questione di adottare varie direttive e leggi. Sono assolutamente favorevole alla direttiva, che però va inserita nel quadro di cambiamenti fondamentali nella cultura europea nel suo complesso. A dire il vero, mi spingerei ad affermare che il punto di partenza dev’essere la totale eliminazione dei nostri atteggiamenti medievali e della convinzione errata che la parità tra uomini e donne sia solo un problema delle donne e che non esiste la discriminazione contro gli uomini.

 
  
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  Christa Prets (PSE).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, data l’attuale situazione, in cui l’Unione europea ha difficoltà a esprimere il proprio pensiero, o almeno a farlo in modo da essere compresa dai cittadini, è ancora più importante che la legislazione e la giurisprudenza comunitarie diventino più chiare e immediatamente comprensibili. Per tale motivo accolgo con favore questa proposta.

Se però si considerano la modernizzazione e i miglioramenti citati in questo documento, mi rincresce dover dire che il metodo di rifusione non lascia spazio per alcuna modifica o integrazione significativa, come ad esempio la parità delle pensioni professionali.

Quando stavamo preparando l’ultima direttiva relativa all’articolo 13, ci è stato promesso che la questione sarebbe stata affrontata in seguito, nella direttiva rifusa. Commissione e Consiglio ora sono contrari, e mi domando perché non si sia sfruttata quella occasione. Era necessario dare maggiore enfasi a questo tema, e deploro che non si sia fatto.

 
  
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  Vladimír Špidla, Membro della Commissione.(CS) Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei ringraziarvi per questa discussione estremamente animata e pertinente. Innanzi tutto vorrei sottolineare che ci si presenta l’opportunità di adottare immediatamente questa direttiva cruciale. Nell’interesse dei cittadini europei, si tratta di un’opportunità che va colta. Vorrei far notare che questo è un passo fondamentale che bisogna compiere per promuovere la parità tra uomini e donne di fronte a tutte le parti in causa, indipendentemente dalle diverse opinioni delle Istituzioni in merito alle idee che animano questa revisione.

Se mi è concesso, ora vorrei illustrare in modo un po’ più dettagliato la posizione della Commissione in merito agli emendamenti. La Commissione ne può accogliere senza difficoltà un numero significativo, che riteniamo siano di fatto anche coerenti con la posizione esposta dal Consiglio nel suo orientamento generale del 7 dicembre 2004. Essi rappresentano un notevole miglioramento della legislazione comunitaria in quest’ambito e la rendono molto più accessibile. A questo scopo vengono utilizzati svariati strumenti, che comprendono misure tecniche, chiarimenti giuridici e disposizioni che daranno un nuovo slancio politico alla promozione della parità tra uomini e donne, ad esempio per quanto riguarda la parità di retribuzione.

La Commissione non è in grado di accogliere una seconda serie di emendamenti per ragioni puramente tecniche, ragioni che esporrà in dettaglio nella proposta modificata. Ha inoltre respinto un certo numero di emendamenti perché eccedono la portata di quanto si può ragionevolmente ottenere nel corso di questo processo di revisione, il cui scopo specifico è quello di facilitare le attuali procedure parallele di codifica della legislazione comunitaria, da un lato, e porre le basi per cambiamenti fondamentali, dall’altro.

Il primo di tali emendamenti riguarda il nuovo articolo 3, lettera a, che prevede a carico degli Stati membri l’obbligo, e non l’opzione, di attuare vere e proprie misure attive. Poiché l’articolo 141, paragrafo 4, del Trattato, che è fonte di diritto primario, stabilisce chiaramente che gli Stati membri hanno facoltà di intraprendere qualunque azione reputino necessaria in quest’ambito, ogni atto di diritto secondario che, citando il suddetto articolo del Trattato, intacchi la facoltà da esso prevista, incontrerebbe a nostro avviso ostacoli significativi.

In secondo luogo, la Commissione non può accettare che l’obbligo imposto agli Stati membri di sostenere alcune misure nel quadro del dialogo sociale sia trasformato nell’obbligo di garantire determinati risultati di questo dialogo, in linea con gli emendamenti agli articoli 24 e 27. Sarebbe arduo adattare tali emendamenti al principio dell’autonomia delle parti sociali.

Vorrei inoltre ricordare all’Assemblea che le disposizioni corrispondenti sono state incluse nella direttiva 2002/73/CE, in seguito a lunghi negoziati con il Parlamento e il Consiglio. Tale direttiva e le norme che essa dispone, che rappresentano un approccio innovativo inteso ad accrescere la partecipazione delle parti sociali, non entrerà in vigore fino all’ottobre 2005. A nostro avviso, sarebbe inappropriato modificare tali disposizioni prima che abbiano avuto la possibilità di dimostrare la propria efficacia nella pratica.

Il nuovo articolo 28, lettera b, che propone una clausola di revisione per la direttiva sul congedo parentale, è inaccettabile poiché tale direttiva non rientra nel campo d’applicazione della presente revisione. Sarebbe difficile conciliare una clausola in tal senso con le pertinenti disposizioni della direttiva sul congedo parentale e con quelle dell’accordo quadro a livello europeo tra le parti sociali, su cui la direttiva si basa. Nascerebbero inoltre problemi riguardo alla compatibilità di tale emendamento con l’autonomia delle parti sociali e del loro ruolo, come previsto dagli articoli 138 e 139 del Trattato.

Infine, la Commissione non può accogliere gli emendamenti all’articolo 8 che mirano a proibire l’utilizzo del genere quale fattore di calcolo dei premi e dei benefici assicurativi per i regimi assicurativi professionali. Anche tali emendamenti esorbitano da quelli che possono essere i contenuti di proposte legislative quali la direttiva in discussione. Con questo non intendo dire che la questione non debba essere oggetto di discussione politica in futuro. Anche se le opinioni divergono al riguardo, e la posizione attualmente assunta dal Consiglio è piuttosto chiara, sono assolutamente convinto che questa è un’importante questione che merita la nostra attenzione.

La Commissione, inoltre, naturalmente non crede che applicare regimi diversi per pensioni del secondo e del terzo pilastro sia fonte di ambiguità nel contesto attuale, com’è stato suggerito nel corso del dibattito. Si tratta di una questione completamente distinta, che trascende le considerazioni di carattere puramente tecnico.

In conclusione, vorrei far notare che la Commissione può accogliere senza riserve numerosi emendamenti sulla base di queste considerazioni e, se mi è concesso, vorrei elencare gli emendamenti in questione. La Commissione può accogliere senza riserve gli emendamenti nn. 1, 2, 4, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 25, 26, 27, 28, 31, 32, 33, 34, 35, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 45, 47, 48, 49, 50, 51, 52, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 64, 65, 66, 68, 69, 70, 74, 75, 77, 78, 79, 80, 82, 83, 85, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 96, 101, 106, 107, 108 e 109. La Commissione può accogliere in parte gli emendamenti nn. 5, 24, 71, 72, 73, 76, 84, 98, 102, 103, 104 e 105. La Commissione non può tuttavia accogliere gli emendamenti nn. 3, 12, 13, 29, 30, 36, 44, 46, 53, 63, 67, 81, 86, 94, 95, 97, 99 e 100. Ho già esposto le ragioni alla base della posizione della Commissione.

 
  
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  Hiltrud Breyer (Verts/ALE). (DE) Signor Presidente, signor Commissario, questo mi induce a rivolgerle una domanda. La proposta della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza dei sessi contiene due elementi essenziali, il congedo parentale e le pensioni professionali, che in effetti rappresentano il cuore della proposta, e lei li ha respinti. La sua risposta alle pensioni professionali è stata pressappoco: “sì, è una questione molto importante, che prima o poi prenderemo in considerazione”. Commissario Špidla, a mio avviso, quando stavamo lavorando alla direttiva lei ci ha promesso che...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

Signor Presidente, la prego di lasciarmi formulare la domanda. Lei ha affermato che questa era una questione importante, e che a un certo punto l’avremmo affrontata. Vorrei sapere quando lo farà e in quale forma verrà affrontata. Che cosa prevede il calendario effettivo? Le chiedo davvero di rilasciare una dichiarazione sulla questione delle pensioni professionali, come ha promesso di fare, perché in effetti è una violazione del Trattato...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Presidente . Domando scusa, ma questo non era pertinente all’argomento trattato. Riguardava un tema completamente diverso, ma acconsento alla domanda, e pregherei il Commissario Špidla di intervenire.

 
  
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  Vladimír Špidla, Membro della Commissione.(CS) A mio avviso, dal dibattito è emerso piuttosto chiaramente che lo scopo della proposta di direttiva è apportare miglioramenti tecnici alla legislazione comunitaria attualmente in vigore, non già introdurre modifiche ampie e di vasta portata. Per questo motivo la Commissione non può accettare i due emendamenti chiave menzionati dall’onorevole Breyer, poiché ciò sarebbe in contrasto con il pensiero sotteso alla stesura di questa direttiva. L’importanza delle due questioni che ha citato è talmente vasta che le affronterò nel corso del mio lavoro, anche se in questo momento non posso comunicare date precise all’Assemblea. Posso tuttavia dire che di tali questioni dibatteremo in un futuro molto prossimo, e sono assolutamente certo che se ne presenterà l’occasione durante la discussione in merito al Libro verde sul cambiamento demografico che si terrà la prossima settimana. Come giungeremo a una conclusione è tuttavia una questione ancora aperta e sarebbe inappropriato scendere in ulteriori dettagli al riguardo.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà mercoledì, alle 12.00.

 

30. Legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (“Roma II”)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0211/2005), presentata dall’onorevole Wallis a nome della commissione giuridica, sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (“Roma II”) [COM(2003)0427 – C5-0338/2003 – 2003/0168(COD)].

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, come voi saprete la Commissione ha proposto un’iniziativa per il risarcimento dei danni, che intende perseguire tre obiettivi.

Il primo obiettivo è quello di predeterminare le soluzioni e quindi di garantire certezza giuridica ai cittadini e agli operatori economici che sono vittime di azioni dannose.

Il secondo obiettivo è quello di facilitare la risoluzione delle liti davanti ai tribunali e di favorire un riconoscimento reciproco delle decisioni prese dai giudici.

Il terzo obiettivo è, ovviamente, quello di facilitare il più possibile la risoluzione di tali controversie.

Per realizzare questi obiettivi noi abbiamo proposto una regola generale, vale a dire la regola dell’applicazione del luogo in cui il danno è stato cagionato, ovvero il luogo del danno diretto. Abbiamo deciso di adottare tale approccio, perché si tratta della soluzione più diffusa all’interno degli ordinamenti degli Stati membri e anche della soluzione a nostro parere più equilibrata tra le parti.

La proposta della Commissione conteneva inoltre alcune regole speciali, come la responsabilità per i prodotti difettosi oppure per i danni all’ambiente. Io credo che per queste materie particolari la regola generale non permetta sempre di raggiungere un equilibrio appropriato, per cui occorrono delle disposizioni speciali.

L’iniziativa prevede un certo grado di flessibilità per i giudici, al fine di permettere loro di tenere conto delle circostanze eccezionali. Tuttavia, tale flessibilità deve essere limitata, onde evitare di compromettere l’obiettivo generale, ovvero la certezza delle situazioni giuridiche. A tale riguardo, è evidente che una discrezionalità totale del magistrato renderebbe difficile predeterminare quella certezza giuridica che rappresenta uno degli obiettivi principali di questa iniziativa, in quanto gli operatori economici e i cittadini desiderano conoscere in anticipo quale sarà la legge applicabile alla loro situazione.

Alla luce di quanto detto, desidero congratularmi con la signora relatrice per la sua relazione di elevata qualità, frutto di consultazioni molto approfondite, e desidero ringraziarla per la sua determinazione a procedere rapidamente, affinché la relazione possa essere approvata prima dell’estate.

A mio avviso, l’unico aspetto problematico è rappresentato da un eccessivo margine di flessibilità concesso ai giudici negli emendamenti della relatrice, al fine di permettere loro di tener conto, caso per caso, di circostanze particolari. Questa eccessiva discrezionalità rischia di compromettere la certezza oggettiva delle situazioni giuridiche.

Abbiamo inoltre delle difficoltà ad accettare gli emendamenti che sopprimono le regole speciali. Ho fatto riferimento alla responsabilità per i prodotti difettosi, che prevede la completa tutela del consumatore, oppure alla responsabilità danno all’ambiente. A mio avviso, eliminare queste regole speciali sarebbe pericoloso.

Sono invece pienamente d’accordo sulla soluzione raggiunta dalla relatrice riguardo alle materie sensibili, come la diffamazione a mezzo stampa e la relazione tra il diritto internazionale privato e il mercato interno. Si tratta di due settori molto delicati e ritengo che il compromesso raggiunto sia soddisfacente.

In conclusione, per quanto riguarda il danno per la circolazione dei veicoli, desidero congratularmi ancora una volta con l’onorevole Wallis per avere studiato a fondo questa questione di grande importanza pratica per i cittadini. Come Commissione condividiamo l’intenzione di proseguire un’analisi molto approfondita, ad esempio nel quadro dell’applicazione del cosiddetto “Roma II”.

 
  
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  Diana Wallis (ALDE), relatore.(EN) Signor Presidente, credo che questa proposta sia pionieristica per l’Europa, pionieristica per il Parlamento. Prima d’ora non disponevamo di un insieme di norme coerente che disciplinasse la legge applicabile a un così vasto repertorio di rivendicazioni civili e commerciali. Ora siamo dotati di una potenziale tabella di marcia per le vertenze giudiziarie e l’accesso alla giustizia nel mercato interno, che si basa sulle strutture previste dal regolamento Bruxelles I per la giurisdizione dei nostri tribunali.

E’ stata la prima volta che il Parlamento ha agito da colegislatore in quest’area del diritto internazionale privato. Sono fiera che, tramite la nostra commissione, siamo riusciti a stimolare il dibattito politico in diversi ambiti in cui non ci si sarebbe probabilmente aspettati un’azione da parte nostra. Vorrei elencarne alcuni.

Abbiamo riflettuto a lungo e approfonditamente sul tipo di regola generale necessaria, alla ricerca dell’approccio più adatto a consentire l’affermazione della giustizia nei nostri tribunali. Sembra che ve ne sia una, se posso esprimermi in questi termini, che accorda una certa sussidiarietà ai nostri giudici. Partiamo dalla chiara norma stabilita dalla Commissione, ma poi concediamo un certo margine di manovra, per consentire l’affermarsi della giustizia nelle innumerevoli e svariate situazioni che indubbiamente emergono nell’ambito delle vertenze giudiziarie. A questo proposito affiora chiaramente la difficoltà di definire gli illeciti insita nel metodo utilizzato dalla Commissione. Il nostro approccio permette di evitare questa difficoltà a patto che si riescano a elaborare buone definizioni. Su questa base sono disposta ad accogliere l’emendamento del collega socialista sulla responsabilità per i prodotti difettosi. Credo si tratti di una definizione e di una norma valide che gioverebbero al dibattito.

Quanto agli incidenti stradali e ai danni fisici in generale, abbiamo lanciato un chiaro messaggio riguardo all’ingiustizia di applicare le norme in materia di quantificazione dei danni vigenti nel paese in cui si è verificato l’incidente. A tale proposito, vorrei illustrare l’esempio di un mio elettore che è stato vittima di un incidente in Spagna. Conformemente al diritto spagnolo, gli sono state offerte 4 000 sterline. Ai sensi del diritto britannico, ne avrebbe ricevute 43 000, ed è nel Regno Unito che costui deve vivere la sua vita. Questo è un problema che deve essere affrontato e, se non è possibile farlo in questa sede, dovranno occuparsene un altro studio e la relativa proposta della Commissione.

Riguardo all’utilizzo di una legge straniera, il successo di Roma II dipenderà da una buona cooperazione giudiziaria e dall’uso corretto e dal rispetto delle reciproche leggi. Attualmente la situazione non è uniforme. Spesso i tribunali evitano di applicare la legge straniera. I tribunali e le parti dovrebbero – o devono – affrontare il problema, altrimenti qui sprechiamo tutti il nostro tempo. Si tratta di una questione che va esaminata da vicino se vogliamo garantire un autentico spazio di giustizia civile e commerciale.

In merito alla diffamazione, che è una questione su cui ci aspettavamo un’attiva partecipazione del Parlamento, ho apprezzato i pareri espressi dai colleghi della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni. Personalmente sono d’accordo con loro, ma ho sempre pensato che dovremmo andare oltre per rispettare le preoccupazioni dei media in merito alla libertà d’espressione.

Ora siamo giunti a un compromesso che gode di un ampio sostegno all’interno dei gruppi politici e, aspetto ancora più importante, nel mondo editoriale e giornalistico. Non si ha la certezza che funzionerà a livello tecnico, ma indica la direzione verso cui devono orientarsi le nuove discussioni in seno alla Commissione e al Consiglio. Stabilisce ciò che è ammissibile nella realizzazione di un equilibrio tra la libertà di espressione e i diritti delle vittime della diffamazione.

Per concludere, veniamo ora al nostro vecchio amico, ossia il principio del paese d’origine. Lo ribadisco: non è una norma di conflitto di legge; non vi dirà quale legge dovrà essere applicata in una controversia tra due parti civili. Se fornirà una risposta, probabilmente non sarà quella auspicata dai sostenitori del principio. Si tratta di un importante principio di diritto comunitario nell’ambito del diritto regolamentare pubblico o statale e come tale occorre conferirgli piena importanza. Credo che, nella soluzione che abbiamo presentato nella relazione della commissione, abbiamo fatto proprio questo. Spero che tale risultato rimarrà inalterato dopo gli emendamenti proposti da entrambe le parti.

Ringrazio tutti i membri della commissione giuridica e della commissione LIBE che hanno sostenuto il nostro lavoro su questa relazione ed esprimo la mia considerevole gratitudine al segretariato giuridico, che ci ha aiutati a svolgere ricerche approfondite e a compiere gli sforzi che ci hanno consentito di elaborare un testo di cui, come commissione, credo possiamo essere fieri.

 
  
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  Barbara Kudrycka (PPE-DE), relatore per parere della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni.(PL) Signor Presidente, vorrei unirmi al Commissario nell’esprimere i miei sinceri ringraziamenti all’onorevole Wallis per l’estrema acutezza della sua relazione e per essere riuscita a raggiungere compromessi su molte questioni difficili.

Questo è un regolamento tecnico e complesso, eppure rappresenta una fase importantissima nella realizzazione di un sistema giudiziario civile europeo coerente. La mancanza di tale sistema renderebbe molto più difficile il funzionamento del mercato comune e, sebbene quest’ultimo venga talvolta criticato, costituisce la base dell’integrazione europea. E’ per questo motivo che tutte le osservazioni formulate sia dalla commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni che, soprattutto, dalla commissione giuridica, sono assolutamente fondamentali.

Considerato il ristretto arco di tempo a sua disposizione, e soprattutto alla luce delle sue competenze, la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni si è concentrata essenzialmente sull’articolo 6 del regolamento, che indica la legge applicabile nei casi in cui l’onore e la reputazione di una persona vengano violati o in cui una persona o una società vengano diffamati da pubblicazioni sui media. L’articolo evidenzia inoltre l’applicazione di questa legge in caso di eventuali controversie giuridiche. Secondo il parere della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, di cui sono stata relatrice per parere, l’Unione europea deve garantire ai suoi cittadini un elevato livello di certezza giuridica. Nel caso in cui una pubblicazione violi l’onore e la reputazione di una persona, è quindi fondamentale che più di ogni altra cosa siano protetti i diritti individuali di questa persona e che ciò avvenga nel paese in cui è stato commesso il reato.

Per queste nostre considerazioni siamo partiti dal presupposto che attualmente in Europa non vi è alcuna minaccia alla libertà dei media, poiché questi ultimi sono tutelati sia dalle costituzioni degli Stati membri che dai tribunali europei. Inoltre, grazie a un compromesso raggiunto in seno alla commissione giuridica, è stato presentato un emendamento che, da un lato, tiene conto della posizione della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni e, dall’altro, istituisce un quadro giuridico che, per la sua accuratezza, dovrebbe riscuotere il consenso degli editori europei. Appoggio tali emendamenti perché questa soluzione, soprattutto nel contesto del regolamento Bruxelles I, accorda protezione giuridica agli editori, oltre a fornire la garanzia che verranno rispettati i diritti delle vittime.

 
  
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  Rainer Wieland, a nome del gruppo PPE-DE.(DE) Signor Presidente, anch’io vorrei ringraziare la relatrice per il modo in cui ha gestito questo difficile dossier, che in definitiva abbracciava solo alcuni aspetti su cui però si è combattuto con particolare vigore. Anziché soffermarmi specificamente su di essi, vorrei analizzare, alla luce di ciò che è stato detto nel corso delle ultime settimane, due modi in cui questa legislazione ci fa avanzare sia in termini concreti che in linea di principio.

Uno di essi è già stato illustrato in questo dibattito: il noto caso degli incidenti stradali, che deve essere debitamente affrontato e risolto. E’ in questa circostanza, credo, che è più probabile e più frequente vedere i cittadini, nel senso più letterale del termine, “entrare in collisione con” l’Europa e poi chiedersi dove iniziano e dove finiscono i loro diritti.

Il secondo, quello della legge relativa alla stampa, verte su principi fondamentali. Nelle ultime settimane abbiamo visto il quarto Stato, che sorveglia attentamente il modo in cui collaborano i primi tre e che, in un certo senso, è la principale lobby dei cittadini, diventare a sua volta una lobby. Il caso della Principessa Carolina di Monaco potrebbe far credere che questo problema riguardi esclusivamente chi è ricco, bello, famoso, importante o nobile, ma, per la sua stessa natura, può interessare anche la gente comune, in modi ai quali non assistiamo dall’epoca dell’onore perduto di Katharina Blum. Sta emergendo una nuova visione europea dei diritti fondamentali e, poiché dobbiamo accettare la possibilità che faccia entrare in rotta di collisione la libera espressione di opinione e i diritti della personalità, è positivo che ora ci stiamo sforzando di tracciare una linea di demarcazione che funzionerà nella pratica, incorporando altresì una clausola di revisione nel regolamento.

Solo un’ultima osservazione, piuttosto ordinaria ma importante: l’onorevole Wallis ha proposto una nuova opzione per tenere conto del modo in cui si evolve la legge...

(L’oratore s’interrompe prima dello scadere del suo tempo di parola)

 
  
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  Katalin Lévai, a nome del gruppo PSE.(HU) Anch’io vorrei congratularmi con la relatrice e soffermarmi solo su uno o due aspetti. A mio avviso, regolamenti europei coerenti e unificati in materia di diritto internazionale privato relativo alle obbligazioni extracontrattuali civili e commerciali costituiscono un passo importante per il costante sviluppo dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia in termini di cooperazione nell’ambito della giustizia e degli affari interni. Possiamo constatare che la mobilità economica e la mobilità dei cittadini sono aumentate con l’integrazione del mercato interno e, di conseguenza, le questioni relative agli obblighi di risarcimento in quest’area sono ormai all’ordine del giorno e possono in effetti includere una serie di componenti internazionali. Per un’infinità di motivi occorre consolidare con urgenza le disposizioni giuridiche applicabili a livello europeo in casi simili e ritengo che il presente regolamento soddisfi tale necessità.

Si tratta di una questione della massima importanza per le imprese, in quanto una legislazione uniforme fornisce loro certezza giuridica, prevedibilità e coerenza. E’ vantaggiosa per i cittadini, i consumatori, le eventuali parti lese e anche per le vittime, poiché stabilisce disposizioni per la loro protezione e rende più trasparente la pertinente legislazione. Tutto ciò contribuirà a ravvicinare l’Unione europea ai suoi cittadini anche tramite il processo legislativo. I progetti di disposizioni hanno il merito particolare di tenere in considerazione, e al contempo facilitare, il lavoro della Corte di giustizia europea nell’interpretazione del diritto. Vorrei richiamare l’attenzione in particolare sull’ampio spettro coperto dalle disposizioni del progetto di regolamento, che va dai danni subiti dai consumatori e dalla responsabilità per i prodotti difettosi agli incidenti stradali e ai danni arrecati all’ambiente e alla diffamazione. Il consolidamento del diritto europeo sulla responsabilità per i disastri ambientali internazionali è un aspetto che io, come deputata ungherese al Parlamento europeo, considero particolarmente importante. Vorrei ricordarvi l’inquinamento da cianuro del fiume Tisza, perpetrato dalla Romania alcuni anni or sono, nonché il progetto di Rosia Montana (Verespatak). Lo ribadisco: questo regolamento costituisce un importante passo avanti in termini di certezza giuridica, prevedibilità e trasparenza.

 
  
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  Monica Frassoni, a nome del gruppo Verts/ALE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei ringraziare la Commissione e l’onorevole Wallis per l’ottimo lavoro svolto, che ha prodotto un testo legislativo utile.

Siamo tuttavia molto perplessi su un punto del testo, rispetto al quale auspichiamo di riuscire a convincere l’onorevole Wallis a cambiare idea. Tale punto riguarda l’articolo 7 relativo a una legislazione specifica in materia di danni causati all’ambiente. Non riteniamo opportuno eliminare tale specificazione e crediamo anzi che, nell’economia complessiva della relazione dell’onorevole Wallis, l’eliminazione di tale specificazione priverebbe la proposta della Commissione di un elemento importante.

Per quanto riguarda i danni arrecati all’ambiente, credo che a livello europeo, come pure in molti Stati membri, ci sia una forte debolezza e mancanza di certezza del diritto, per cui privare le vittime di questa possibilità di scelta non presenta alcun vantaggio.

Il mio gruppo ha deciso di astenersi nel caso in cui questo aspetto della relazione dell’onorevole Wallis fosse approvato. Tuttavia, ci auguriamo di riuscire a convincere entro domani l’onorevole Wallis a rinunciare a questo suo emendamento.

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, sarò davvero brevissimo. Desidero ringraziare ancora una volta la relatrice e tutti gli onorevoli parlamentari che sono intervenuti.

Vorrei solo fare riferimento a un punto già discusso. In primo luogo, come ho detto prima, anche la Commissione ritiene che quei settori speciali, come la protezione dell’ambiente, meritino un trattamento differenziato, e quindi mi permetto di richiamare l’attenzione della relatrice su questo aspetto.

Per quanto riguarda la diffamazione a mezzo stampa, confermo il mio apprezzamento per il compromesso che la relatrice aveva proposto alla Commissione e che quest’ultima ha votato.

Per quanto riguarda gli emendamenti presentati dopo il voto della commissione giuridica, credo che essi presentino il rischio di riprodurre in realtà una pura e semplice variante del principio del paese d’origine, ossia una variante di un principio che, a mio avviso, non possiamo stabilire e decidere in questa sede.

In conclusione, nel confermare l’apprezzamento per il primo compromesso raggiunto e votato dalla commissione giuridica, devo invece ammettere di avere qualche perplessità sulla seconda proposta di modifica, vale a dire gli emendamenti 56 e 57.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà mercoledì, alle 12.00.

Dichiarazione scritta (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Fausto Correia (PSE).(PT) Riguardo alla relazione dell’onorevole Wallis (A6-0211/2005) sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (Roma II), vorrei dire, se posso, che, per garantire la libertà di espressione nonché un quadro giuridico per la protezione della vita privata e la certezza giuridica per i giornalisti e i media nell’Unione europea, ho votato nel seguente modo:

a) a favore dell’emendamento n. 57 all’articolo 6 e dell’emendamento n. 56 al considerando 12, e

b) contro l’emendamento n. 10 al considerando 12 bis e all’emendamento n. 54 al considerando 26 bis, entrambi al paragrafo 3.

 

31. Elenchi di persone non ammesse a bordo degli aerei / Pratiche passeggeri
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la dichiarazione della Commissione sugli elenchi di persone non ammesse a bordo degli aerei/pratiche passeggeri.

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, a proposito del noto caso del volo KLM, come lei sa le autorità degli Stati Uniti hanno indicato che al volo è stato negato l’ingresso nello spazio aereo statunitense a seguito dell’identificazione di due passeggeri sulla base dei dati API – informazioni preventive sui passeggeri. I dati API sono sostanzialmente le informazioni su passaporto e biglietto raccolte al check-in per accelerare i controlli dell’immigrazione al punto di destinazione. La consegna da parte delle compagnie aeree dei dati API precedentemente all’arrivo al punto di destinazione fa parte della normale prassi delle compagnie. Secondo le informazioni in possesso della Commissione, i vettori aerei inviano le informazioni API solo alle autorità di controllo doganale. Le autorità statunitensi non possono avere accesso a tali informazioni dai sistemi di prenotazione via informatica. La Commissione ribadisce ancora una volta che i passeggeri in questione non possono essere stati identificati sulla base dei dati delle pratiche passeggeri – PNR. Tale strumento non concerne i voli che sorvolano gli Stati Uniti, ma soltanto i voli per e dagli Stati Uniti. Pertanto non ha alcuna rilevanza in casi come quello della KLM.

E’ parere della Commissione che l’utilizzo dei dati API da parte delle autorità statunitensi non costituisca un raggiro dell’accordo sul trattamento dei dati PNR. La Commissione presterà particolare attenzione a qualunque forma di raggiro dell’accordo e solleverà la questione nel quadro dell’analisi congiunta. La Commissione desidera sottolineare che non viene attualmente richiesto ai vettori aerei di fornire agli Stati Uniti dati API su passeggeri nel caso di sorvolo degli Stati Uniti. La no-fly list viene stilata dalle autorità statunitensi e contiene i nomi di persone non gradite negli Stati Uniti sulla base del lavoro dell’intelligence statunitense e di criteri di valutazione della minaccia di rischio. Viene redatta dagli Stati Uniti che ne sono gli unici responsabili. L’Unione europea ha una politica per la sicurezza aerea rigorosa, ma non contempla nessuna no-fly list.

Per la Commissione, la no-fly list non implica che le persone in esso iscritte nell’elenco siano necessariamente sospettate di atti illeciti. Gli Stati Uniti hanno semplicemente deciso di non accettarle nel proprio paese per ragioni diverse, sulla base di criteri piuttosto generali.

E’ ovviamente molto seccante per chiunque vedersi negato l’accesso agli Stati Uniti perché il proprio nome è sulla no-fly list. A tale proposito, la Commissione cercherà di avere dei chiarimenti sulla no-fly list americana nel corso dei prossimi colloqui con gli Stati Uniti. Un aspetto essenziale è, ad esempio, l’inoltro rapido ed effettivo di una no-fly list aggiornata alle compagnie aeree. La Commissione sta pertanto cercando di chiarire questi criteri con le autorità americane, in modo da prevenire in futuro casi di falsi allarmi.

Fin dall’inizio dei colloqui USA-UE nel marzo 2003, la Commissione è riuscita ad assicurarsi l’impegno da parte degli Stati Uniti che il Congresso americano avrebbe richiesto la nomina di un responsabile della protezione della vita privata presso il ministero della Sicurezza interna, con l’obbligo di rendere conto ogni anno al Congresso e i cui accertamenti sono vincolanti per il ministero. Il responsabile della protezione della vita privata ha acconsentito di ricevere e trattare con procedura d’urgenza i casi trasmessi dalle autorità incaricate della protezione dei dati dell’Unione europea a nome di cittadini che ritengono che i propri reclami non siano stati trattati in modo soddisfacente dal ministero della Sicurezza interna. In questo modo il cittadino europeo ha una maggiore certezza di un trattamento equo.

Per quanto concerne la verifica degli impegni con gli Stati Uniti, questi ultimi prevedono un’analisi congiunta della loro applicazione, che sarà svolta dalle autorità statunitensi e dalla Commissione, assistita dai rappresentanti delle autorità europee preposte all’applicazione della legge, nonché dai supervisori responsabili della protezione dei dati. L’analisi congiunta si svolgerà dopo la pausa estiva, probabilmente in settembre. L’analisi vuole offrire un quadro chiaro del funzionamento dell’accordo. E’ intenzione della Commissione informare il Parlamento sull’esito dell’analisi congiunta e di ogni eventuale sviluppo importante.

Infine, le autorità nazionali incaricate della protezione dei dati faranno parte del gruppo guidato dalla Commissione che condurrà l’analisi congiunta. Ciò permetterà alle autorità nazionali incaricate della protezione dei dati, il cosiddetto gruppo di lavoro di cui all’articolo 29, di valutare appieno l’attuazione dell’accordo. Sono lieto di annunciare che, nonostante la diversità di vedute, vi è un’ottima collaborazione fra il gruppo di lavoro di cui all’articolo 29 e la Commissione sull’attuazione del pacchetto PNR americano, e tale collaborazione è destinata a continuare.

 
  
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  Georg Jarzembowski, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, mi permetta di dire, a nome del mio gruppo, che le spiegazioni del signor Commissario sulla questione sono assai convincenti.

E’ bene ribadire che un’analisi congiunta degli accordi sul trattamento dei dati PNR è auspicabile. Ci troviamo nella difficile posizione di dover trovare un equilibrio fra l’interesse, non solo di ogni singolo Stato membro dell’Unione europea, ma anche degli Stati Uniti, di proteggersi da atti terroristici e la necessità di tutelare i dati personali di ciascun cittadino. Si tratta di un’operazione difficile.

Mi auguro che gli americani tengano veramente fede alle promesse fatte, ovvero che i dati loro forniti siano raccolti e valutati solo ai fini della protezione contro il terrorismo, e che siano distrutti una volta che non siano più necessari, così come promesso, e che ci sia un effettivo scambio di informazioni sui problemi relativi alla sicurezza interna. Ritengo assai probabile che l’accordo fra Unione europea e USA porti a risultati che non solo soddisfino le misure previste per la tutela dei dati personali, ma che ci permettano anche di avere meno ragioni di temere attacchi terroristici.

Ma guardiamo anche al futuro. Una cosa che considero fondamentale – ed è necessario continuare a ribadirlo agli americani – è che non siamo favorevoli a norme di sicurezza unilaterali, poiché intendiamo proteggere i nostri cittadini esattamente quanto gli americani i loro. Pertanto, signor Commissario, ritengo che il giusto approccio da portare avanti insieme agli americani sia quello di valutare i rischi per i nostri passeggeri, condividerne i risultati e, insieme, garantire così maggiore sicurezza ai cittadini.

 
  
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  Martine Roure, a nome del gruppo PSE.(FR) Signor Presidente, signor Commissario, grazie per tutti i chiarimenti del signor Commissario. Tuttavia non si può far altro che constatare che gli Stati Uniti tentano di imporre all’Europa un numero sempre maggiore di restrizioni di sicurezza, di cui non ci sentiamo affatto rassicurati. Per questa ragione ci opponiamo all’accordo sul trasferimento dei dati personali dei passeggeri alle autorità americane da parte delle compagnie aeree.

La lotta al terrorismo deve mantenere un equilibrio fra sicurezza e libertà individuale. Gli accordi in discussione sono sproporzionati rispetto agli obiettivi. Non si possono trattare automaticamente tutti i cittadini come se fossero terroristi. Ecco dunque perché un accordo con gli Stati Uniti sarà accettabile solo nel caso in cui si ponga fine al trasferimento sistematico dei dati personali di tutti i passeggeri.

Come lei ha poc’anzi ricordato, signor Commissario, un volo della KLM diretto in Messico è stato di recente respinto su richiesta degli Stati Uniti. Tale caso prova ancora una volta che i diritti dei cittadini europei vengono violati. Come hanno potuto le autorità americane ottenere dati sui passeggeri di quel volo che non era nemmeno diretto verso gli Stati Uniti? Sono stati trasferiti dati sui passeggeri e, in tal caso, con quale diritto? Quali misure specifiche la Commissione può adottare per porre fine, una volta per tutte, a simili pratiche che violano il diritto comunitario, in particolare la direttiva sulla protezione dei dati personali? Lei ci ha detto di aver ricevuto un impegno. Come si può verificare che l’impegno venga mantenuto? Può la Commissione assicurarci che le autorità degli Stati Uniti non hanno un accesso illimitato ai sistemi di prenotazione delle compagnie aeree?

E’ di primaria importanza che a questa visione repressiva della lotta al terrorismo l’Europa opponga la propria. Siamo d’accordo che una lotta efficace al terrorismo e alla criminalità organizzata implichi una più forte cooperazione transfrontaliera, ma la politica antiterroristica dell’Unione europea va sviluppata nel rispetto assoluto dei diritti dei cittadini, in particolare il diritto alla libera circolazione e alla tutela della privacy.

 
  
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  Sophia in ’t Veld, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signor Presidente, signor Commissario, non è la prima volta che ci si ritrova in Aula a tarda serata a discutere di questioni relative ai dati dei passeggeri.

Signor Commissario, lei ha citato il caso della KLM rassicurandoci che gli Stati Uniti hanno ottenuto i dati in maniera assolutamente legittima. Eppure, come l’onorevole Roure, non mi sento affatto tranquillizzata dal momento che non si è mai ottenuta una risposta chiara. In questo caso gli Stati Uniti hanno acquisito i dati APIS, che sembra abbiamo avuto dal Messico. Da chi ha avuto questi dati il Messico? Gli era permesso di trasferirli agli Stati Uniti? Questo genere di accordo vale anche per i voli attraverso lo spazio aereo statunitense? Gradiremmo una risposta precisa, non delle rassicurazioni generali. Proprio la settimana scorsa eravamo negli Stati Uniti a discutere di tale questione. Ho l’impressione che gli Stati Uniti abbiano accesso alle banche dati direttamente sulla base dell’accordo PNR.

In secondo luogo, vorrei avere chiarimenti sulle no-fly list dell’amministrazione statunitense. Lei ha affermato che le persone i cui nomi figurano su quegli elenchi non sono necessariamente pericolose, ma continua a sorprendermi il fatto che l’amministrazione americana le consideri sufficientemente pericolose da negare loro l’accesso allo spazio aereo del paese e rimandarle in Europa senza comunicarlo alle autorità dell’Unione europea, informando soltanto le compagnie aeree. Sembra insomma che siano ritenute pericolose negli Stati Uniti, ma non in Europa.

Per quanto riguarda l’analisi congiunta annuale, lei ha affermato che verranno riviste le questioni relative alla tutela della privacy. Mi auguro che in quest’analisi vorrete includere anche l’efficacia delle misure. Si è menzionata più volte la parola “sicurezza”, ma vorrei sapere quanti criminali sono stati catturati, quanti attacchi sono stati evitati e quanti errori – falsi allarmi – sono stati commessi.

L’analisi congiunta avrebbe dovuto tenersi in maggio. Adesso è stata rinviata fino a settembre. Immagino che sia perché gli Stati Uniti non potevano o non volevano fornirci le informazioni richieste. Può il signor Commissario fornirci una spiegazione al riguardo?

 
  
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  Stavros Lambrinidis (PSE).(EL) Signor Presidente, il mio intervento sarà in greco. Parlerò assai velocemente senza che nessuno traduca, ora velocemente, ora più piano. Vi prego di avere pazienza.

Quante no-fly list esistono attualmente in America e come si fa a evitare un’identificazione erronea? Quanti nomi e in che modo vengono aggiunti alle liste? Con quali obiettivi e in che modo si evita la tentazione di usarle per altri fini? Qual è il grado di protezione dei nomi e delle informazioni contro l’uso e l’accesso non autorizzati? Quanto efficaci sono insomma gli elenchi per l’identificazione dei terroristi, quando sappiamo che i nomi di possibili terroristi non vengono inseriti negli elenchi così che le compagnie aeree non ne siano al corrente e non trapeli che sono sotto controllo? E da ultimo, come possono i passeggeri verificare e cambiare i propri dati?

Non sono mie le domande. E’ lo stesso Congresso americano che le ha poste all’amministrazione statunitense. Possono essere domande difficili per i cittadini americani, ma lo sono assai di più nel caso in cui riguardino cittadini europei. Su questi punti la Commissione deve cooperare con gli Stati Uniti e cercare di stabilire congiuntamente politiche che riguardano i cittadini europei.

Signor Commissario, proprio su questo tema nel marzo 2005 il Congressional Research Service ha pubblicato una relazione, in cui si afferma che i dati PNR dei passeggeri europei saranno utilizzati nell’ambito del Secure Flight Programme, che riguarda unicamente i voli interni e non quelli internazionali, a differenza di quanto da lei affermato. Se crede, le posso fare avere pagina e dettagli.

Per concludere, tre sono al momento i pericoli principali: i cittadini non controllano le autorità, ma le autorità controllano e sorvegliano i cittadini.

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch’io sarò estremamente rapido, ma ritengo che su determinati punti sia opportuno fare alcune considerazioni.

Nell’ambito dei colloqui con gli Stati Uniti d’America, la Commissione intende chiedere chiarezza, al fine di prevenire l’adozione di misure unilaterali che possano toccare gli interessi dei cittadini europei, ed esigere che tali misure siano concordate con le Istituzioni europee.

Mi riferisco in particolare alla cosiddetta no-fly list. Crediamo si tratti di un primo passo importante, in quanto attualmente la no-fly list è sotto l’esclusiva responsabilità degli Stati Uniti d’America solamente per il sorvolo del territorio degli Stati Uniti d’America.

Per quanto riguarda i voli con provenienza o destinazione europea, noi chiederemo alle compagnie aeree un avviso preventivo, in modo tale da evitare l’errore commesso in passato di iscrivere nella no-fly list persone omonime, provocando il blocco di un aereo semplicemente a causa di uno scambio di persona. Con un avvertimento preventivo alle compagnie sui dati della no-fly list, questi errori potrebbero essere evitati.

Per quanto riguarda la questione dei secure flights menzionata dall’onorevole Lambrinidis, abbiamo già avuto una discussione approfondita con le autorità americane per la sicurezza del trasporto aereo.

E’ con grande soddisfazione che vi annuncio che le autorità americane hanno recentemente acconsentito affinché le compagnie di trasporto aereo americane escludano i cittadini di origine europea dalla programmazione dei secure flights. In altre parole, esse si impegnano a non includere indicazioni di dati dei cittadini europei negli esperimenti che riguardano i voli interni degli Stati Uniti d’America. Si tratta di una garanzia che ci è stata data, sulla quale intendiamo comunque continuare il nostro confronto.

Non abbiamo avuto la possibilità di tenere questo incontro prima per ragioni di natura tecnica. Tuttavia, qualche settimana fa si è svolta una videoconferenza e il dialogo continuerà nell’incontro di settembre che ho annunciato prima. Da parte mia, sarò assolutamente chiaro nel pretendere il pieno rispetto della protezione dei dati personali dei cittadini europei. L’ho già espresso con chiarezza al segretario Chertoff, in occasione del nostro incontro a Sheffield qualche giorno fa, e continuerò a farlo.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

 

32. Situazione politica e indipendenza dei mezzi di comunicazione in Bielorussia
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la dichiarazione della Commissione sulla situazione politica e l’indipendenza dei mezzi di comunicazione in Bielorussia.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei ringraziare coloro che mi hanno sollecitato uno scambio di opinioni sulla questione della Bielorussia. E’ la terza volta che accade da quando sono Commissario. Questo è molto importante in quanto condivido appieno le vostre posizioni. Sono fermamente convinta che rafforzare la democrazia e sostenere le fonti d’informazione indipendenti in Bielorussia sia di fondamentale importanza soprattutto in vista delle prossime elezioni presidenziali.

La Commissione europea ha tutto l’interesse che la Bielorussia sia uno Stato vicino stabile e democratico e si augura che, proprio per questa sua posizione di paese confinante, possa interamente beneficiare della politica europea di vicinato.

Tuttavia, gli ultimi sviluppi in Bielorussia testimoniano che il sistema politico del paese si è deteriorato allontanandosi dal modello e dai valori del sistema democratico europeo, impedendo così al paese di guadagnarsi una giusta posizione in seno alla famiglia europea. A seguito delle elezioni parlamentari e del referendum che si sono tenuti l’anno scorso in Bielorussia, venendo decisamente meno agli standard internazionali delle elezioni democratiche, nel novembre 2004 il Consiglio dell’Unione europea ha ribadito le restrizioni dei contatti a livello ministeriale con le autorità bielorusse. In parallelo, l’Unione europea ha rivolto un messaggio molto chiaro alla popolazione facendo capire che la Bielorussia non è stata dimenticata e che permane questa determinazione a migliorare i contatti con la società civile.

L’Unione europea ha fermamente condannato gli arresti e i processi politici degli oppositori potenziali del Presidente Lukashenko. Chiede il rispetto dello Stato di diritto e l’immediato rilascio delle persone arrestate. Considera tali azioni come tentativi da parte del regime di eliminare i leader dell’opposizione, soprattutto in vista delle elezioni presidenziali del 2006. La crescente repressione dei partiti politici, le organizzazioni non governative e gli attacchi ai mezzi di comunicazione indipendenti ci preoccupano molto da vicino.

Vigiliamo inoltre attentamente sulla situazione dei diritti umani in Bielorussia. L’Unione europea non può tollerare ulteriori violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Ne è prova il fatto di aver negato l’anno scorso il visto a alcuni esponenti bielorussi di alto grado, sulla base di alcuni accertamenti da parte del Consiglio d’Europa. A tale riguardo, ha fatto fede la relazione Pourgourides adottata sulle sparizioni occulte per motivi politici. Lo stesso divieto è stato poi esteso a funzionari considerati responsabili delle elezioni e delle consultazioni referendarie pilotate, nonché ai responsabili della repressione delle manifestazioni pacifiche.

La grave preoccupazione che nutriamo riguardo al rispetto dei diritti dei sindacati in Bielorussia ci ha spinto a indagare su presunte violazioni della libertà di associazione, nonché del diritto di contrattazione collettiva, come stabilito dalla Convenzione OIL, soprattutto nel quadro del sistema di preferenze generalizzate (SPG). Le indagini possono in definitiva tradursi nella ritrattazione dell’accesso della Bielorussia ai benefici di tale sistema.

Di fronte a questo scenario politico sempre più preoccupante in Bielorussia, l’Unione europea ribadisce il suo impegno a sostegno della società civile e della popolazione bielorussa. Ricordiamo che la Commissione è il principale donatore per questo paese e che nei mesi scorsi è stata ottimizzata la nostra assistenza al paese. A Vilnius è stato organizzato un seminario per coordinare il nostro lavoro. E’ stato un risultato molto importante poiché ha dato la possibilità di rafforzare tale coordinamento, non soltanto fra gli Stati membri, bensì anche con paesi come il Canada e gli Stati Uniti d’America.

Sono due gli obiettivi che ci prefissiamo. Il primo è quello di assistere e difendere i diritti umani, il processo di democratizzazione, la società civile e le forze democratiche, nel vero senso della parola. La nostra attenzione è rivolta ai media, alle organizzazioni non governative, al rafforzamento delle istituzioni democratiche e dello Stato di diritto. Gli strumenti attraverso cui operiamo in questo ambito sono l’EIDHR – l’Iniziativa europea per la democrazia e i diritti dell’uomo – e la cooperazione decentrata. Lo scorso marzo sono state organizzate due gare di appalto in loco, e la selezione è già stata completata. La procedura di assegnazione dell’appalto avrà probabilmente inizio a fine estate, in modo da rendere i progetti operativi prima della fine dell’anno. Si tratta di 10-12 progetti relativi all’istruzione e al sostegno alle ONG che si occupano di assistere giuridicamente le vittime della violazione dei diritti umani. Ci auguriamo che diano ottimi risultati.

Il secondo obiettivo consiste nel soddisfare i bisogni più generici della popolazione delle aree interessate. Con bisogni generici mi riferisco al programma TACIS destinato al sostegno della popolazione stessa in diversi settori, fra cui la buona governance, lo sviluppo sostenibile, il contesto sociale, l’istruzione, la sanità, lo sviluppo economico e ambientale, nonché l’alleviamento dei problemi causati dalla catastrofe di Chernobyl, che figura in primo piano nel nostro programma di assistenza.

L’idea di sostenere la radiodiffusione indipendente in Bielorussia è stata suggerita come risposta valida e funzionale in assenza di informazione indipendente e alternativa nel paese. Stiamo attentamente considerando le possibilità, e vedremo come gestirle. Nel quadro dell’attuale regolamento finanziario non sarà facile trovare nell’immediato la giusta soluzione. Tuttavia, posso garantirvi che per quanto riguarda le difficoltà che la stampa bielorussa sta vivendo, è già in atto un programma chiave per la formazione dei giornalisti, e molto è già stato fatto. Operiamo a sostegno dell’Associazione bielorussa dei giornalisti che esprime molta riconoscenza. Come prova di tale impegno, il Premio Sacharov 2004 per la libertà di pensiero è stato assegnato proprio a tale associazione.

 
  
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  Bogdan Klich, a nome del gruppo PPE-DE.(PL) Signor Presidente, signora Commissario, si tratta effettivamente della quarta risoluzione parlamentare sulla Bielorussia. E’ tuttavia la prima che scaturisce da un profondo senso di delusione per il comportamento della Commissione. Dal punto di vista del Parlamento, il Consiglio è un alleato, la Commissione un nemico, almeno per quanto riguarda la revisione dell’attuale politica bielorussa. Il Consiglio si rende conto di cosa si ha bisogno laddove, invece, la Commissione non ha la minima consapevolezza di come gli strumenti esistenti andrebbero modificati a sostegno della società civile e del processo di democratizzazione in Bielorussia.

Il messaggio di Javier Solana lanciato in occasione dell’incontro con Condoleezza Rice a Vilnius in merito all’opposizione democratica in Bielorussia è politicamente importante. Allo stesso tempo, tuttavia, la Commissione sembra caduta in un singolare circolo vizioso. Ritiene che il cambiamento possa essere fattibile in Bielorussia utilizzando i meccanismi e gli strumenti politici esistenti. Non è così. Non si potrà apportare alcun tipo di cambiamento in questo modo visto che tali strumenti sono previsti per i paesi democratici, o per i paesi dove il processo di democratizzazione è già in corso. In nessuna nazione del mondo, sarebbe possibile avviare un processo di democratizzazione con gli strumenti di cui parla la signora Commissario. Se dovessimo provarci, significherebbe esporci a rischio, sacrificando la credibilità politica dell’Unione europea e mettendo a repentaglio le dichiarazioni politiche alle quali non corrisponderebbero più azioni in futuro.

Nonostante ciò, prossimamente in Bielorussia si terranno le elezioni presidenziali, o, meglio, il prossimo anno. Dobbiamo assistere i bielorussi in questo passo. E’ quindi di vitale importanza che venga loro garantita l’attendibilità dell’informazione indipendente, soprattutto attraverso le emittenti radiofoniche. Desidero ricordare che in Polonia e in Litania sono stati avviati progetti per la creazione di emittenti radiofoniche indipendenti. Tali progetti, inizialmente in concorrenza l’uno con l’altro, oggi funzionano ben in sintonia. E’ per tale motivo che la risoluzione fa riferimento a una rete di emittenti radiofoniche per la Bielorussia.

I governi nazionali hanno già conferito finanziamenti per tali progetti. Tuttavia, essi dovrebbero anche godere di sovvenzioni da parte dell’Unione europea, che a sua volta deve cambiare atteggiamento. Sono otto mesi ormai che la Commissione esamina la possibilità di concedere tali sovvenzioni, ed è inaccettabile. La proposta di risoluzione in questione riguarda esattamente questo problema.

 
  
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  Marek Maciej Siwiec, a nome del gruppo PSE. (PL) Signor Presidente, quello che stiamo facendo oggi equivale sostanzialmente allo scenario del ristagno di una crisi. Ci sono pervenute notizie di questa crisi, e tutti noi siamo stati testimoni di queste immagini di manifestazioni, vittime e persone che sono state selvaggiamente picchiate. Persone che poi finiranno in carcere e noi protesteremo e resteremo in attesa che le immagini successivi appaiano in televisione. Questo non significa altro che la nostra incapacità di agire. Non siamo in grado di fare molto, e dovremmo almeno avere l’onestà intellettuale di riconoscerlo a noi stessi.

Il dibattito di oggi sui media ha come tema soltanto un piccolo elemento di quella che è la difficile realtà che incombe su tutti gli aspetti della vita in Bielorussia. A nome del mio gruppo, vorrei chiedere con forza alla Commissione di adottare la risoluzione di compromesso che è stata elaborata, e che sarà presentata domani, proprio come stimolo per tali azioni.

C’è un altro punto che non dovremmo dimenticare. Nonostante sia un’ora così avanzata, e il numero di presenti così ridotto, dovremo essere onesti con noi stessi e ammettere che l’Unione europea, e con questo intendo tutti noi in quest’Aula e gli Stati membri, rimarrà impotente e indifesa fino a quando non sarà attivo un dialogo con la Russia sulla questione della Bielorussia.

Sono già in corso colloqui con la Russia su varie problematiche, tra cui le più note sono il gas e altri interessi di tipo remunerativo, ma non mi risulta che abbiamo mai chiesto alla Russia la sua posizione in merito alla situazione in Bielorussia. Fa comodo alla Russia e al presidente Putin, osservare con alterigia quella parte dell’Europa, come se fosse un regime da considerare la pecora nera del nostro continente. Lukashenko e le sue gesta sono tollerate, persino sovvenzionate grazie allo scambio di gas e petrolio a basso costo, e l’Unione europea è d’accordo. Dovremmo almeno ammettere a noi stessi che il regime di Lukashenko conviene alla Russia, e questo col nostro consenso.

La prigionia di Khodorkovsky è niente di fronte a quanto sta accadendo in Bielorussia. Ci avviliamo per questo e condanniamo Khodorkovsky, ma ben poco si è detto sulle vittime anonime che ha fatto Lukashenko. Salvo che non si facciano passi concreti per rafforzare la società civile, i bielorussi perderanno il loro bene più importante, ovvero la speranza. E allora sarebbe davvero la fine.

 
  
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  Anne E. Jensen, a nome del gruppo ALDE.(DA) Signor Presidente, signora Commissario, lei ci ha dato un’animatissima descrizione dell’attuale situazione in Bielorussia. Le cose stanno procedendo nella direzione sbagliata in questo paese, e ovviamente il quadro è più che scoraggiante, soprattutto quando si pensa che gli altri paesi dell’ex Unione sovietica vanno verso un rinnovamento, cosa che non avviene in Bielorussia.

Ci ha enunciato un lungo elenco di programmi che sono attualmente in corso. Ritengo tuttavia che l’onorevole Klich non si sia sbagliato nell’asserire che molti dei programmi comunitari sono volti a paesi limitrofi, con strutture di tipo democratico. La situazione è un’altra quando si tratta di una dittatura, come nel caso della Bielorussia. Occorrono altri strumenti per questo paese. Com’è noto, il programma TACIS dispone di molte risorse per risolvere problematiche ambientali nonché quelle legate alla sorveglianza delle frontiere. Tuttavia, come possiamo sapere se la gestione di tali risorse da parte del Presidente Lukashenko sia negli interessi dell’Unione europea?

Ritengo, pertanto, che la proposta contenuta nella risoluzione che voteremo domani sia proprio quella giusta. Si tratta di un documento che il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa potrà approvare interamente e senza riserve. E’ importante per noi sostenere il diritto di libertà di opinione in Bielorussia con il dovere, puro e semplice, di attuare alcuni di questi progetti che, se da un punto di vista finanziario risulteranno estremamente modesti, rappresenteranno invece un enorme valore morale per coloro che in Bielorussia lottano per la democrazia. Hanno bisogno di sentire e capire che ci sono persone al loro fianco consapevoli di questa situazione, e pronte a sostenerle con tutto il cuore. Nel combattere per questa stessa causa, si ritrovano tutti uniti mettendo a repentaglio le loro stesse vite. E’ nostro dovere assisterli dall’esterno. Abbiamo una responsabilità, e penso che lei ci dovrebbe spiegare come intende affrontare tali questioni concretamente.

 
  
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  Konrad Szymański, a nome del gruppo UEN. (PL) Signor Presidente, nel corso delle ultime settimane il regime di Lukashenko ha dato ancora un’altra dimostrazione delle sue pratiche discutibili. Ha cominciato col giocarsi la carta del nazionalismo contro la comunità polacca in Bielorussia, anche se quest’ultima vive nel paese da tempo immemorabile.

L’Unione dei polacchi in Bielorussia subisce persecuzioni sin dall’elezione di una nuova leadership democratica, nonostante il fatto che l’organizzazione rimanga estranea alla politica interna. I quotidiani in polacco sono stati chiusi, e i media pubblici sfruttano la propaganda ufficiale per dipingere i polacchi come agenti di potenze straniere, finanziati dalla NATO e dalla CIA, che stanno virtualmente preparando una sanguinosa rivolta contro lo Stato bielorusso.

La politica comunitaria ha il dovere di rispondere a simili comportamenti. Ritengo che varrebbe la pena di pensare a un maggiore grado di solidarietà tra paesi a livello intergovernativo, nonché a una solidarietà di tipo comunitario e di politiche transatlantiche. Per quanto riguarda la Commissione, le politiche devono mirare all’attuazione di progetti ben specifici, ad esempio a sostegno dei media indipendenti.

Signora Commissario, c’è una questione che vorrei sottolineare al riguardo. Senza dubbio, questa Assemblea si rifiuterà di tollerare qualsiasi forma di passività e indolenza da parte della Commissione durante questo mandato parlamentare. Se si continua ad agire come si è fatto in passato, non si farà altro che creare ulteriori aree di conflitto tra Parlamento e Commissione. Non vedo altre alternative, signora Commissario.

 
  
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  Aldis Kušķis (PPE-DE).(LV) Signor Presidente, onorevoli colleghi, signora Commissario, il Presidente Lukashenko, dittatore della Bielorussia, sulla scia dei grandi classici del comunismo totalitario sovietico che vengono glorificati, sta dando brillantemente vita a un regime totalitario. Questa volta non utilizza come maschera la dittatura di proletariato e dell’ideologia comunista, ma distrugge sistematicamente le libertà civili e politiche dei bielorussi, nonché il diritto di libertà di parola e della trasparenza dell’informazione. I bielorussi ricevono rapporti minuziosamente dettagliati sulle gesta eroiche del loro dittatore da parte dei media controllati. La radio trasmette canzoni gioiose e una macchina di propaganda degna di Goebbels storpia l’immagine della società. La necessità di libertà democratiche viene annientata, la rassegnazione degrada i sogni delle persone e la fiducia nei propri punti di forza. Come possiamo arrestare un tale processo di mankurtism? Come possiamo difendere questi scorci di società civile che rimangono ancora intatti? Come possiamo ristabilire la richiesta nazionale per un’informazione che sia onesta e trasparente?

Tutto ciò sarà fattibile se l’Unione europea eseguirà i propri diritti e doveri, ovvero con l’adempimento del diritto e dovere di creare uno spazio di libera informazione con fondi di bilancio che sono già stati approvati quest’anno. Invito la Commissione europea a metter fine a questo atteggiamento di sfrenata diplomazia e ad attuare piuttosto i propri obblighi. L’iniziativa delle emittenti radiofoniche indipendenti oggi è subordinata semplicemente alla buona volontà dell’Unione europea. Le questioni finanziarie, tecniche e organizzative si possono risolvere entro l’anno. I giornalisti professionisti aspettano ancora oggi di esprimersi obiettivamente. Tale compito rappresenterebbe per loro un onore ancora maggiore di quello ottenuto con il premio Sacharov conferito l’anno scorso dal Parlamento europeo. Vi invito ad appoggiare questa risoluzione. Sostenetela e applicatela, solo così la Bielorussia non diventerà uno Stato a regime totalitario.

 
  
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  Joseph Muscat (PSE).(EN) Signor Presidente, la signora Commissario non ha bisogno che le venga ricordato cosa sta accadendo in Bielorussia. Al tempo stesso, signora Commissario, mi pare che lei sia dalla nostra parte. Tuttavia, cortesemente, ci consenta di procedere. E’ questa l’istanza che noi tutti stiamo portando avanti.

Le leggi sono uno strumento, non un fine a se stesse. Non possiamo dire ai bielorussi che non siamo in grado di aiutarli poiché dobbiamo conformarci a difficoltà normative, dobbiamo invece cambiare le norme.

Uno degli organismi più importanti che ha il compito di legiferare e di assicurare il rispetto delle normative è il Parlamento. Vediamo cosa possiamo fare. A noi tutti piacerebbe definire impegni concreti a sostegno del progetto dell’emittente radiofonica, dell’assistenza diretta alle famiglie delle vittime del regime, che si trovano in spaventose ristrettezze. Vi è inoltre un terzo punto, forse quello di maggiore importanza, ovvero definire un’agenda realistica e fattibile. Condivido la sua idea di un programma che dovrebbe avere inizio, ci auguriamo, a fine estate e che dovrebbe estendersi al futuro prevedibile. Io ritengo, tuttavia, che dovremmo avere a disposizione un calendario con scadenze specifiche per i prossimi 12 mesi.

 
  
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  Rolandas Pavilionis (UEN). (LT) L’Università umanistica europea chiusa a Minsk un anno fa, è stata recentemente riaperta a Vilnius. Storicamente, le università d’Europa rappresentano i precursori dell’Unione europea. La nascita vera e propria dell’Unione europea sta nelle università, sebbene queste ultime abbiano le loro origini nella libertà di pensiero. E’ per questo che con la risoluzione che stiamo presentando al Parlamento a nome dell’Unione per l’Europa delle nazioni, siamo grati di annunciare il ritorno dell’Università umanistica europea. Ci compiacciamo, inoltre, degli sforzi della Repubblica di Lituania volti a diffondere la democrazia, la libertà di pensiero e i diritti umani attraverso l’istruzione nonché la formazione di una generazione per un nuovo paese, paese che, benché vicino dell’Unione europea, si trova ancora sotto la morsa di una dittatura. Invitiamo pertanto la Commissione europea, gli Stati membri dell’Unione a seguire l’esempio dei paesi donatori in Europa e negli Stati Uniti d’America e da sostenere questa università in qualsiasi modo possibile. Siamo sicuri che così facendo amplieremo il concetto di libertà, concetto nel quale la libertà di una nazione, la sua solidarietà e cooperazione alimentano la dignità di una persona, ovvero la nostra stessa dignità.

 
  
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  Charles Tannock (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, seguo da tempo la questione della Bielorussia e non sono mai stato sostenitore dell’idea d’interrompere il dialogo con le autorità bielorusse su questioni di mutuo interesse, come ad esempio il traffico di esseri umani o gli scambi commerciali. E’ pur vero che con le politiche comunitarie attualmente in atto non si è ottenuto granché. Il regime del Presidente Lukashenko si è trincerato in posizioni di difesa e la crescente paranoia sulle intenzioni dell’UE, degli USA, e talora persino della Russia, ha dato come risultato forme repressive in continuo aumento e reazioni dispotiche.

Le elezioni farsa e l’eliminazione dei limiti del mandato presidenziale hanno posto fine alla democrazia, sebbene gli osservatori della Comunità degli Stati Indipendenti sostengano il contrario. I diritti umani vengono calpestati e si verificano inspiegabili sparizioni di figure dell’opposizione. La magistratura, lungi dal dichiararsi indipendente, continua a non interrogarsi sulla campagna del Procuratore generale aggiunto Paval Radzivonaw che è l’artefice principale della repressione della stampa nazionale, per esempio di testate come la Novaya Gazeta Smorgoni e Vremya. La condanna a pene detentive di figure dell’opposizione, come quella di Mikhail Marinich, ne è un’ulteriore prova. La libertà di stampa al momento è virtualmente inesistente con quotidiani che vengono sospesi e giornalisti, fra cui corrispondenti stranieri, che vengono minacciati o multati. In teoria, i bielorussi, se osano criticare il loro Presidente, possono persino essere internati in campi di lavoro. Una giornalista, Veronika Cherkasova, è stata misteriosamente uccisa l’anno scorso.

Per quanto riguarda la libertà dei media, la Bielorussia è attualmente allo stesso livello di alcuni dei regimi meno affidabili del mondo, come per esempio quello di Cuba, della Birmania, della Corea del Nord, e dell’Iran. L’Unione europea e gli Stati Uniti concordano nel condannare questo brutale regime applicando severe sanzioni ai rappresentanti del regime.

Personalmente, sostengo fortemente la diffusione di programmi radiofonici in Bielorussia del territorio dell’Unione, nonché la necessità di aiuti finanziari a favore dei giornalisti bielorussi e della società civile. Mi auguro che i giorni di quest’orrendo regime siano contati, e che esso venga presto eliminato dalla faccia dell’Europa.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, mi pare che le nostre posizioni collimino. Si tratta di un regime in cui la libertà viene calpestata. Dobbiamo agire, come ho già ribadito tre volte. E’ stata la Commissione ad approvare che alcuni Stati membri lavorino in concertazione con la Lituania al fine di trovare le strategie più opportune da adottare.

Le strategie ci sarebbero, il problema sta nelle normative finanziarie. Normative che oggi esistono perché chieste dal Parlamento in passato. Il motivo? Le note irregolarità. Ma oggi le norme sono molto vincolanti. Mi è molto difficile agire senza tener conto della normativa in vigore, ed è per questo che i tempi sono lunghi. Non si può certo decidere di finanziare una ONG senza ulteriori complicazioni. Va fatto rispettando le regole, e la normativa esistente è difficile e severa. Se vogliamo cambiare le leggi, – e non mi dispiacerebbe cominciare col semplificarle –, allora francamente mi occorre l’appoggio del Parlamento, altrimenti non posso far nulla. Non voglio rischiare di essere accusata di irregolarità, come è successo in passato ad alcuni colleghi. Sono sempre flessibile e aperta a qualsiasi possibilità. Approfondirò la questione, ma mi ci vorrà tempo. Occorreranno mesi per sistemare le cose, ma quanto meno saremo sicuri di andare nella giusta direzione.

Non mi pare corretto dire che il Consiglio la pensa diversamente. E’ solo subentrato in un secondo tempo. Abbiamo cominciato a lavorare con alcuni Stati membri e con varie organizzazioni non governative, ma il Consiglio non è responsabile dell’attuazione. Questa spetta a noi, sulla base delle prospettive finanziarie, della normativa esistente e tenendo conto dei vincoli che dobbiamo rispettare. Il problema cruciale è questo. Lo sapete di certo, ma lasciatemelo dire con chiarezza e pubblicamente.

Inoltre, non mi sembra vero che manchi il dialogo con la Russia sulla questione. Certo che il dialogo esiste. Tuttavia la realtà è che in Russia la situazione è sempre la stessa, e sembra difficile che possa cambiare. Ma condivido totalmente quanto stabilito durante il seminario, ossia che dovremmo agire direttamente sui media e attraverso contatti diretti con la società in loco. Vi è necessità di formazione dei giornalisti.

Dovremmo inoltre intervenire attraverso l’Ucraina. Fino a ora abbiamo collaborato con gli amici polacchi e lituani. Lo faremo anche con gli ucraini, in quanto hanno accesso al paese più direttamente di noi. E’ vero che il Presidente Lukashenko sta adottando misure sempre più severe nel timore che movimenti simili a quelli sorti in Ucraina, in Georgia e in Kirghizistan possano emergere nel paese.

Questo è lo scenario oggi, e attualmente non sono in grado di dirvi di più. Stiamo lavorando all’attuazione, ma purtroppo i tempi si rivelano più lunghi di quanto sperassi. Durante il mio precedente incarico come ministro degli Affari esteri in Austria, quando davo un’istruzione questa veniva seguita e spesso messa in atto nel giro di pochi mesi. In seno alla Commissione, tutto è molto più complesso. Dobbiamo stare molto attenti a non cadere nelle irregolarità. Sono pronta, comunque, ad approfondire la questione, se anche voi siete disposti a farlo.

 
  
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  Presidente. – Comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del Regolamento(1).

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì, alle 12.00.

 
  

(1) Cfr. Processo verbale.


33. Norme d’origine negli accordi commerciali preferenziali
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca l’interrogazione orale (B6-0329/2005), dell’onorevole Barón Crespo, a nome della commissione per il commercio internazionale alla Commissione, sulle norme d’origine negli accordi commerciali preferenziali [COM(2005)0100 def.].

 
  
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  Enrique Barón Crespo (PSE), autore. – (ES) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, in qualità di presidente della commissione per il commercio internazionale, desidero innanzi tutto porgere il benvenuto al Commissario Kovács e comunicargli che saremmo lieti di riceverlo nella commissione per il commercio internazionale per un primo dibattito sui temi che trattiamo congiuntamente. Lo sottolineo anzi nel modo più diretto, in quest’atmosfera confidenziale che caratterizza quest’ora tarda della sera.

Tengo a esprimerle la mia soddisfazione e quella della commissione cui appartengo per l’approvazione del regolamento dell’SPG in aprile, quantunque sia riprovevole la sua mancata adozione alla data prevista per favorire i paesi colpiti dallo tsunami. In relazione alle norme d’origine, anche se il Parlamento non ha potere di codecisione né di consultazione rispetto al regolamento del codice doganale, ai sensi della decisione del Consiglio del 1999 recante modalità per l’esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione, abbiamo il diritto di essere periodicamente informati sulle procedure attuate in comitatologia.

Ciò significa che, così come accade con la Direzione generale del commercio da cui riceviamo regolarmente i documenti del comitato 133, la Direzione generale della fiscalità e unione doganale invierà alle commissioni i progetti relativi alle misure di attuazione, insieme ai risultati delle votazioni e agli atti delle riunioni.

Tale procedura è conforme alle competenze conferiteci dal Regolamento, che non sono strettamente riferite alle questioni commerciali, ma anche alle relazioni economiche e commerciali con i paesi terzi. Per tale motivo, signor Commissario, siamo interessati e disposti a consultare i nostri rispettivi ordini del giorno per sviluppare con voi relazioni proficue basate su dialogo, dibattito e controllo.

In relazione alla riforma proposta, riteniamo che tutti i punti sollevati in merito alla semplificazione, alla flessibilità e al controllo siano importanti, e li commenterò molto brevemente.

Parlando di semplificazione, consideriamo positive l’eliminazione di una lunga lista di condizioni imposte agli esportatori e l’estensione del certificato di origine unicamente in funzione del criterio del valore aggiunto. Su questo punto vorremmo ricevere, il più presto possibile, gli studi di impatto o le simulazioni effettuate da cui risultano le ripercussioni economiche della definizione di soglie di valore aggiunto sugli scambi commerciali e sui paesi beneficiari.

In relazione all’esigenza di maggiore flessibilità, crediamo che permettere il cumulo regionale tra paesi appartenenti alla stessa area geografica possa promuovere la loro integrazione economica: ciò è in linea con la nostra filosofia di base e può avere effetti positivi.

Infine, riguardo al controllo, dobbiamo avanzare una proposta per stabilire nuovi meccanismi di controllo in maniera tale che non si accumulino eccessive procedure burocratiche e amministrative che possano disincentivare il ricorso ai meccanismi di utilizzo delle preferenze.

In un momento in cui si sta aprendo un vivace dibattito sulla realizzazione degli Obiettivi del Millennio e la lotta alla povertà, sia in Parlamento che in seno all’ONU, all’OSCE e al G8, crediamo che questo sia il momento più opportuno per una riforma delle norme d’origine che apra i nostri mercati e favorisca i paesi che ne hanno maggiormente bisogno. E’ questo l’obiettivo dell’interrogazione formulata e vorremmo sapere il parere della Commissione al riguardo.

 
  
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  László Kovács, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, la comunicazione del 16 marzo 2005 definisce gli orientamenti generali sulle future norme d’origine negli accordi preferenziali. Si tratta di un approccio unico che prevede tre diverse misure: in primo luogo, la semplificazione e un adeguato allentamento del contenuto delle norme, in secondo luogo, il miglioramento delle procedure di attuazione e di applicazione e, infine, la creazione di un contesto che garantisca scambi commerciali regolari, soprattutto mediante un monitoraggio sul funzionamento degli accordi. Pur essendo prevista una graduale applicazione degli orientamenti a tutti gli accordi, viene data priorità a quelli legati allo sviluppo dei singoli SPG.

La Commissione ritiene possibile pervenire a una semplificazione formale con l’adozione di un metodo unico e generico basato su criteri di valore per le numerose e complesse norme esistenti sulla determinazione dell’origine dei prodotti non completamente realizzati in un singolo paese. Tale metodo, inoltre, permette di essere flessibili, mediante la fissazione di una soglia di valore, nell’adeguare le norme in materia d’origine in base ai risultati desiderati nell’accesso ai mercati e nello sviluppo dei paesi beneficiari. Il metodo verrebbe utilizzato sia per determinare il livello sufficiente di trasformazione nel caso in cui vengano usati materiali non originari del paese o di una zona di cumulo, sia per assegnare l’origine avvalendosi di diverse soglie di valore, tranne che in caso di cumulo.

Passerò ora alla seconda domanda. In base alle mie osservazioni preliminari, la necessità di un allentamento dei requisiti deve essere considerata in base all’effetto voluto, non solo per indurre una crescita delle esportazioni con l’SPG, ma soprattutto per uno sviluppo vero e proprio dei paesi beneficiari. In tal senso, le soglie di valore devono essere definite con criteri legati all’impatto delle nuove norme sullo sviluppo.

L’utilizzo di un metodo basato sul criterio del valore aggiunto rappresenta, quindi, un punto di partenza. La Commissione sta dando il via ad alcuni studi per valutarne l’impatto su alcuni prodotti che costituiscono generi di primaria importanza per i paesi in via di sviluppo quali i prodotti tessili, l’agricoltura e la pesca – per i quali, sinora, l’assegnazione d’origine non era basata sul valore –, prodotti sensibili per la Comunità in termini di mercato e tariffe. Lo studio contribuirà a definire i criteri e a verificare se un metodo basato sul valore aggiunto associato a soglie adeguate per il livello sufficiente di trasformazione e il cumulo sia effettivamente in linea con i principi di semplificazione e di contributo allo sviluppo. Se lo studio dovesse dimostrare che il metodo non consente di pervenire ai risultati previsti in alcuni settori, la Commissione adotterà un altro approccio per meglio raggiungere gli obiettivi.

In riferimento alla prima domanda, la Commissione è disposta a fornire spiegazioni più dettagliate ai rappresentanti del Parlamento. Ad ogni modo, lo studio valuta le modalità con cui vengono scelti i prodotti e i paesi per gli esercizi di simulazione e le fasi da seguire nella valutazione dei risultati.

Per quanto riguarda la definizione delle soglie, essa rientrerà nel processo di stesura e di adozione del regolamento della Commissione volto a emendare le norme d’origine dell’SPG. Il Parlamento sarà coinvolto in base alla procedura di comitatologia. Tuttavia, quando la Commissione sarà in grado di avviare formalmente l’esame del progetto di regolamento in seno al comitato del codice doganale, il progetto sarà messo a disposizione del Parlamento.

In merito alla terza domanda, la Commissione ha attentamente considerato la possibilità di consentire un cumulo globale tra tutti i paesi beneficiari dell’SPG. E’ un’idea che si spinge ben oltre quella del cumulo transregionale. Per avere un impatto concreto, il cumulo d’origine deve rappresentare un’ulteriore opportunità per rifornirsi di materiali provenienti da paesi che sono veri e propri partner economici, soggetti a minori restrizioni rispetto ad altri paesi.

Estendere le possibilità di approvvigionamento a tutti i paesi in via di sviluppo porterebbe a negare il concetto stesso di cumulo, supponendo che la maggioranza delle forniture usate dai paesi in via di sviluppo per fabbricare prodotti da esportare nell’Unione europea con il sistema dell’SPG provenga da altri paesi in via di sviluppo. Questa sorta di cumulo globale andrebbe, in realtà, a sostituire le normali norme d’origine. Ancora una volta, sarebbero i maggiori paesi esportatori a beneficiare della situazione, e non quelli più poveri e vulnerabili che trarrebbero maggiore vantaggio da soglie di valutazione adeguate.

Per funzionare con efficacia, il cumulo e i relativi strumenti devono rimanere mirati a gruppi di paesi aventi interessi economici reciproci ed equilibrati. Come specificato nella comunicazione, ciò non impedisce di allargare le zone di cumulo o le fusioni già esistenti come l’ASEAN o l’AASCR. Ciò, tuttavia, deve rispondere alle esigenze espresse dagli stessi gruppi di paesi, avvalendosi dei necessari strumenti di cooperazione amministrativa per le questioni d’origine.

La Commissione rimane a disposizione del Parlamento per tenerlo informato sugli ulteriori sviluppi di questo importante fascicolo, e sottolineo al presidente della commissione per il commercio internazionale che potranno contare su di me qualora mi invitino a partecipare alle loro riunioni.

 
  
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  Maria Martens, a nome del gruppo PPE-DE. – (NL) Signor Presidente, quando lo scorso marzo abbiamo parlato del sistema di vantaggi commerciali per i paesi in via di sviluppo, abbiamo chiesto alla Commissione una revisione delle norme d’origine, soprattutto per promuovere un migliore utilizzo del programma, e siamo quindi lieti che si stia proprio dedicando a questo. Il processo è iniziato a marzo e le proposte definitive saranno, presumibilmente, presentate il prossimo autunno. A questo riguardo devo porre tre domande.

La prima riguarda il cumulo. La Commissione ha già fatto sapere che intende rafforzare il cumulo regionale, cosa che ritengo molto importante, e che mira a un ulteriore sviluppo del cumulo transregionale o, forse, addirittura globale. Può la Commissione dire qualcosa di più al riguardo in questo momento?

La seconda domanda è relativa all’uso del sistema di preferenze generalizzate, dei cui maggiori vantaggi approfitta principalmente un solo gruppetto di paesi, tra cui la Cina. La nostra sfida è integrare gli adeguamenti in maniera tale che i paesi che maggiormente necessitano del sistema possano veramente avvalersene. Come pensa la Commissione di riuscire in questo intento? La Commissione sta pensando a una soglia di cumulo regionale inferiore per i paesi meno sviluppati?

Desidero concludere dicendo alcune parole sull’eventualità che siano commessi abusi e frodi, aspetto che rappresenta un serio problema. L’intento è apportare adeguamenti semplificando i criteri d’origine e le procedure amministrative, rendendo più flessibili le condizioni di cumulo regionale. A tale proposito è stata prevista un’analisi dei rischi. Vorrei che la Commissione ci dicesse se l’analisi è stata effettuata, e chiederei al Commissario se è in grado di commentarla.

 
  
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  Antolín Sánchez Presedo, a nome del gruppo PSE. – (ES) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, in qualità di relatore sul sistema di preferenze generalizzate e relatore ombra per la riforma delle norme d’origine, sottolineo l’importanza di un’efficace applicazione a vantaggio dei beneficiari delle preferenze accordate dall’Unione. Il principale interesse del Parlamento è garantire il raggiungimento dello scopo ed è per questo che, pur condividendo gli obiettivi della comunicazione, desidero rimarcare alcuni punti.

Riguardo alla semplificazione vorrei sottolineare, in primo luogo, che occorre riservare un trattamento speciale ai paesi meno sviluppati, e riconoscere soglie più basse e la possibilità di regole minime in loro favore. Allo stesso tempo, la definizione di soglie di valore aggiunto come unico criterio rende indispensabile affrontare alcuni problemi collaterali, perché questa condizione può essere molto onerosa per le imprese dei paesi meno sviluppati, che necessiterebbero di sofisticati sistemi di contabilità e revisione contabile. Se rapportiamo questo criterio al costo netto di produzione dei diversi paesi in relazione ai tassi di cambio, ai salari e ai prezzi delle materie prime, il sistema potrebbe complicarsi portando all’esclusione dei paesi meno sviluppati con manodopera a basso costo.

Per quanto riguarda la maggiore flessibilità delle norme d’origine, vorrei segnalare che i paesi soggetti allo stesso trattamento preferenziale, pur appartenendo a diverse regioni geografiche o commerciali, devono poter formare un cumulo tra di loro. A nostro avviso sarebbe una regola coerente e, allo stesso tempo, occorrerebbe riconoscere la possibilità di cumulo bilaterale con l’Unione europea, cosicché anche i prodotti finiti in un paese beneficiario contenenti materiali provenienti dalla Comunità possano beneficiare delle preferenze.

In relazione alle misure di controllo, insisto sulla necessità di poter disporre di studi d’impatto e di esercizi di simulazione, e le chiedo di ascoltare il parere della società civile e di garantire il monitoraggio del sistema, tenendo il Parlamento debitamente informato.

 
  
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  László Kovács, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, prendo atto del grande interesse mostrato dal Parlamento per la sostanziale revisione delle norme d’origine promossa dalla Commissione. Chiaramente, condividiamo gli stessi obiettivi.

Benché le norme d’origine sull’SPG siano prioritarie, gli orientamenti contenuti nella comunicazione della Commissione permetteranno anche di definire la revisione delle norme d’origine in altri accordi, soprattutto nel quadro dei negoziati degli accordi di partenariato economico tra UE e Stati ACP.

Benché l’Assemblea sia formalmente coinvolta nel quadro giuridico per la definizione delle norme d’origine nei vari accordi preferenziali, voglio insistere ancora su quanto sia importante che la vostra commissione venga costantemente informata e abbia l’opportunità di esprimere il proprio parere sui vincoli da introdurre per garantire un maggiore accesso al mercato e uno sviluppo più sostenuto.

Per poter considerare un prodotto “sufficientemente trasformato” in un paese in base al principio del cumulo regionale, è comunque necessario determinare in quale paese della regione ha avuto origine il prodotto. Ciò è fondamentale perché possono esserci paesi in via di sviluppo della stessa regione che rientrano in diversi accordi preferenziali dell’SPG, e occorre evitare una deviazione dalle preferenze accordate. A tal fine, sarà fissata una soglia di cumulo per decidere se i prodotti sono originari del paese di fabbricazione finale: essa dovrebbe essere inferiore alla soglia imposta sulle componenti non originarie per favorire l’approvvigionamento nella zona di cumulo ma, al tempo stesso, abbastanza alta per evitare una deviazione dalle preferenze. La soglia sarà più facilmente raggiunta dai paesi in via di sviluppo.

La riforma delle norme d’origine è di grande importanza per migliorare le opportunità commerciali dei paesi più poveri e vulnerabili. Dobbiamo fare il possibile per mantenere le nostre promesse. Per quanto riguarda gli altri dettagli delle domande, forniremo una risposta scritta.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

 

34. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale

35. Chiusura della seduta
  

(La seduta termina alle 00.05)

 
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