Interrogazione n. 23 dell'on. Edite Estrela (H-0504/05)
Oggetto: Sostanze cancerogene
Considerando che il piombo è una sostanza chimica che provoca il cancro e che la sua presenza è stata rilevata nei rossetti commercializzati dalle più note marche dell'industria cosmetica,
Intende il Consiglio verificare se tale anomala situazione si protrae? In caso di risposta affermativa, quali misure intende adottare per tutelare i diritti e la salute dei consumatori?
Il Consiglio non è al corrente dei fatti menzionati dall’onorevole parlamentare, tuttavia desidera sottolineare che la composizione dei prodotti cosmetici deve essere conforme alla direttiva 76/768/CEE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici. Come l’onorevole parlamentare saprà, spetta alla Commissione garantire la corretta applicazione di questo atto legislativo e agli Stati membri esercitare controlli sulle disposizioni vigenti, punendone le violazioni conformemente al diritto nazionale. In questo contesto, il Consiglio invita l’onorevole parlamentare a rivolgere l’interrogazione alla Commissione.
Interrogazione n. 24 dell'on. Brian Crowley (H-0506/05)
Oggetto: Sfratto forzato di una moltitudine di persone in Zimbabwe
Il Presidente del Consiglio in carica sarà al corrente del recente sfratto forzato di una moltitudine di persone in Zimbabwe a causa del quale, secondo le Nazioni Unite, 200.000 persone sono rimaste senza abitazione.
È stato inoltre riferito l'arresto di almeno 30.000 cittadini durante questa operazione nominata dalle autorità dello Zimbabwe "Operatin Murambatsvina" [allontana i rifiuti].
Intende il Presidente in carica garantire al Parlamento che sarà richiesta l'interruzione immediata di tale operazione, che viola la Carta dei diritti dell'uomo ONU, e che saranno ricordati alle autorità dello Zimbabwe i loro obblighi nell'ambito della Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, ratificata dal loro paese nel 1991?
L’Unione europea ha condannato le azioni compiute dal governo dello Zimbabwe nel quadro delle operazioni Clean Sweep e Restore Order. In una dichiarazione resa dalla Presidenza a nome dell’Unione europea il 7 giugno 2005, l’Unione europea ha anche lanciato un appello al governo dello Zimbabwe affinché ponesse immediatamente fine a tali operazioni, esortandolo altresì a rispettare i diritti umani e lo Stato di diritto.
Interrogazione n. 25 dell'on. Eoin Ryan (H-0508/05)
Oggetto: Influenza aviaria : "bomba ad orologeria sanitaria"
Lo scorso aprile la Commissione ha dichiarato dinanzi al Parlamento che "è indubbio che la pandemia d'influenza è una minaccia e, come avvertono gli scienziati, non si tratta di stabilire 'se', ma 'quando'. (...) Abbiamo un programma a livello comunitario, ma dobbiamo disporre di piani nazionali anche a livello di Stati membri".
Alla luce di quanto sopra, intende il Consiglio indicare se tale questione è stata discussa a livello di Consiglio, e in caso affermativo, può comunicare le conclusioni a cui si è giunti? In caso contrario, può il Consiglio far sapere se intende inserire tale pericolo potenzialmente catastrofico per la salute dell'intera umanità tra le questioni prioritarie ed urgenti della sua agenda?
Il Consiglio ringrazia l’onorevole parlamentare per aver rivolto l’attenzione a questa importante problematica.
Il 29 aprile 2005 il Consiglio ha ricevuto dalla Commissione una proposta di direttiva del Consiglio relativa a misure comunitarie di lotta contro l’influenza aviaria.
Il testo è inteso ad aggiornare le attuali misure comunitarie in materia di influenza aviaria previste dalla direttiva 92/40/CEE, e ciò al fine di garantire che gli Stati membri applichino le più adeguate misure di sorveglianza e di lotta contro l’influenza aviaria, in modo da ridurre il rischio di gravi focolai della malattia e incoraggiare una più stretta collaborazione tra autorità veterinarie e sanitarie negli Stati membri.
Il Consiglio ha già iniziato a lavorare a questo testo, il cui esame continuerà sotto la Presidenza britannica. Dopo che il Parlamento europeo avrà espresso il suo parere in materia, la Presidenza britannica cercherà di giungere a un accordo sulla proposta, tenendo conto del parere del Parlamento.
Il Consiglio ha inoltre adottato varie conclusioni politiche che sono pertinenti all’interrogazione dell’onorevole parlamentare.
In particolare, nelle conclusioni del 2 giugno 2004 sulla pianificazione della capacità d’intervento in caso di pandemia influenzale, il Consiglio ha individuato alcune componenti essenziali della strategia comunitaria per la lotta contro la pandemia influenzale.
Il Consiglio ha tra l’altro invitato la Commissione e gli Stati membri a facilitare l’assistenza tecnica a livello operativo e strategico, a operare per promuovere il coordinamento dei piani nazionali, a effettuare una valutazione comune e a continuare a cooperare con le pertinenti organizzazioni internazionali e intergovernative, in particolare con l’Organizzazione mondiale della sanità, per garantire l’efficace coordinamento delle attività nel settore della pianificazione della capacità d’intervento e della reazione in caso di pandemie.
Il 6 dicembre 2004 il Consiglio ha adottato conclusioni sulla risposta europea alle infezioni zoonotiche emergenti.
Il Consiglio ha concluso che si dovrà definire un piano d’azione europeo per la pianificazione della capacità di intervento e di controllo delle zoonosi allo scopo di attuare una strategia comunitaria intersettoriale in grado di reagire alle minacce emergenti derivanti dalle infezioni zoonotiche. Tale piano d’azione, che la Commissione intende proporre, dovrebbe comprendere misure politiche integrate in materia di sanità pubblica e animale e i relativi strumenti.
Il Consiglio ha anche esortato gli Stati membri e la Commissione:
a esaminare, se del caso, gli ostacoli giuridici e finanziari che si frappongono a un appropriato trattamento delle infezioni zoonotiche emergenti e a sviluppare un approccio che consenta di garantire in modo integrato la valutazione, gestione e comunicazione quotidiana del rischio – compresi la cooperazione intersettoriale e il collegamento in rete dei laboratori;
a coordinare le attività di ricerca per affrontare le sfide della prevenzione e della gestione delle infezioni zoonotiche.
Infine, il Consiglio ha invitato l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, in stretta cooperazione con il Centro europeo di prevenzione e di controllo delle malattie, a presentare, sulla base della relazione comunitaria annuale sulle zoonosi, un’analisi dettagliata sui fattori di rischio e ha esortato gli Stati membri e la Commissione a intensificare la cooperazione con le pertinenti organizzazioni internazionali e intergovernative.
Interrogazione n. 26 dell'on. Liam Aylward (H-0510/05)
Oggetto: Il Tribunale penale internazionale e i presunti crimini di guerra in Sudan
Secondo le Nazioni Unite, circa 180 000 persone sono morte durante i due anni di guerra nel Darfur e più di due milioni di persone hanno dovuto abbandonare le proprie case nella regione.
Per la prima volta nella sua storia, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, a seguito di una votazione, ha deferito al Tribunale penale internazionale un'inchiesta per presunti crimini di guerra nella regione del Darfur, nel Sudan occidentale.
I nomi di 51 potenziali sospetti sono stati riferiti al TPI. Le autorità sudanesi hanno annunciato che si rifiuteranno di collaborare con il TPI.
Può il Consiglio garantire che eserciterà la propria influenza per far capire al governo sudanese che è nel suo interesse collaborare con il TPI?
Nel periodo che ha preceduto la decisione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il Consiglio ha espresso in varie occasioni il suo sostegno a favore del deferimento della situazione nel Darfur al Tribunale penale internazionale (TPI).
Inoltre, nelle conclusioni del 23 maggio il Consiglio ha accolto con favore la risoluzione 1593 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ha esortato tutte le parti presenti in Sudan a cooperare pienamente con il TPI e ha dichiarato che seguirà con attenzione i progressi compiuti.
La necessità di una collaborazione del governo sudanese con il TPI è stata più volte ribadita da rappresentanti dell’UE nei loro contatti con le autorità sudanesi.
Interrogazione n. 27 dell'on. Seán Ó Neachtain (H-0512/05)
Oggetto: Intimidazione da parte delle autorità sudanesi
In una recente relazione, Medici senza frontiere (MSF) ha presentato prove relative a omicidi, stupri e incendi dolosi perpetrati nella regione del Darfur, nel Sudan. Secondo MSF "più dell'80% delle vittime identificano i loro aggressori nei soldati o nei membri della milizia Janjaweed alleata con il governo".
Il Consiglio certamente saprà che per rappresaglia e come atto di intimidazione le autorità sudanesi hanno arrestato, con gravi capi d'imputazione, i volontari che hanno osato parlare.
Intende il Presidente del Consiglio in carica indicare se e quali misure ha adottato il Consiglio a seguito di questo comportamento completamente inaccettabile delle autorità sudanesi?
Il Consiglio ha seguito da vicino il caso dell’arresto di due operatori di Medici senza frontiere (MSF). A seguito degli arresti, la troika dell’UE a Khartoum si è rivolta alle autorità sudanesi per esprimere la profonda preoccupazione dell’Unione europea riguardo agli arresti, ribadendo la necessità di un immediato rilascio degli operatori di MSF interessati e del ritiro dei capi d’imputazione avanzati nei loro confronti.
La troika dell’UE ha continuato a trattare la questione con il governo sudanese e a tale scopo ha sostenuto gli sforzi compiuti dal Rappresentante speciale per il Sudan del Segretario generale delle Nazioni Unite.
In questo contesto, il Consiglio si compiace per il rilascio dei due operatori di MSF e per la decisione del governo sudanese di annullare formalmente i capi d’imputazione a loro carico.
Interrogazione n. 28 dell'on. Diamanto Manolakou (H-0516/05)
Oggetto: Arresto e sequestro illegale di Rodrigo Granada da parte delle autorità colombiane
Il 13 dicembre 2004 poliziotti colombiani e poliziotti venezuelani corrotti hanno sequestrato a Caracas (Venezuela) Rodrigo Granada, noto anche come Ricardo González, membro della Sezione internazionale delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC), consegnandolo alle autorità colombiane. Per ammissione del Ministro della difesa della Colombia, il sequestro è costato 2 milioni di dollari. Inoltre, la mancanza di un mandato di cattura internazionale e il carattere precostituito dell'atto di accusa dimostrano l'illegalità dell'arresto di Granada. In tale contesto va anche visto il rifiuto, da parte del procuratore, di consegnare le prove al legale di Granada, mentre lo stesso legale incontra serie difficoltà a soggiornare nella città in cui si svolgerà il processo, a causa della presenza massiccia di gruppi paramilitari.
Considerato che l'arresto e il sequestro di Rodrigo Granada costituiscono una palese violazione dei diritti fondamentali, delle procedure internazionali e del principio del giusto processo, da parte delle autorità della Colombia, può il Consiglio far conoscere la sua posizione al riguardo, precisando in che modo intende reagire?
Il Consiglio non dispone di informazioni dettagliate sul caso di Rodrigo Granada, che è un membro di alto grado delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia. Il Consiglio rammenta che le Forze armate rivoluzionarie della Colombia sono incluse nell’elenco dell’Unione europea delle organizzazioni terroristiche.
Il Consiglio ha regolarmente invitato tutte le parti coinvolte nel conflitto in Colombia a rispettare i diritti umani e il diritto umanitario internazionale e ha chiesto a tutti i gruppi illegali di cessare le ostilità e di impegnarsi in un processo di pace negoziato. La situazione purtroppo rimane critica e i gruppi illegali continuano a commettere gravi violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale.
Nel campo dei diritti umani, il Consiglio sostiene con forza l’opera dell’ufficio di Bogotá dell’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, che svolge un ruolo importante negli sforzi compiuti per lottare contro le violazioni in corso dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale. Il Consiglio non dispone di informazioni su eventuali iniziative intraprese da tale ufficio in questo caso.
Interrogazione n. 29 dell'on. Rodi Kratsa-Tsagaropoulou (H-0518/05)
Oggetto: Avvio delle operazioni da parte dell'Agenzia ferroviaria europea
Il regolamento (CE) 881/2004(1) istituisce un'Agenzia ferroviaria europea con l'obiettivo di promuovere un processo di ammodernamento del settore ferroviario europeo. Ritiene il Consiglio tale Agenzia, che ha già ufficialmente avviato le operazioni (17 giugno 2005), in possesso dell'infrastruttura, della competenza e del bilancio necessari per fornire un effettivo contributo al raggiungimento dell'obiettivo summenzionato?
Attualmente, i 25 Stati membri posseggono standard tecnici e di sicurezza incompatibili tra loro. Ciò costituisce un ostacolo di grandi proporzioni allo sviluppo del mercato unico nel settore ferroviario. Qual è l'opinione del Consiglio al riguardo?
Intende il Consiglio adottare misure concrete per avviare un'azione immediata dell'Agenzia ferroviaria europea volta allo sviluppo di standard di sicurezza comuni e all'istituzione di un sistema di gestione per il monitoraggio delle specifiche tecniche per l'interoperabilità delle ferrovie europee?
Il Consiglio desidera informare l’onorevole parlamentare che, in base al regolamento (CE) n. 881/2004, l’Agenzia ferroviaria europea (Agenzia) ha il compito di contribuire sul piano tecnico all’attuazione della normativa comunitaria finalizzata a migliorare la posizione concorrenziale del settore ferroviario potenziando il livello di interoperabilità dei sistemi ferroviari e a sviluppare un approccio comune in materia di sicurezza del sistema ferroviario europeo, nella prospettiva di concorrere alla realizzazione di uno spazio ferroviario europeo senza frontiere, in grado di garantire un elevato livello di sicurezza.
L’Agenzia ha inoltre il compito di fornire assistenza tecnica agli Stati membri e alla Commissione europea.
Il regolamento (CE) n. 881/2004 contiene disposizioni relative al bilancio dell’Agenzia e nel dicembre 2004 il Consiglio di amministrazione ha approvato il programma di lavoro per il 2005.
L’Agenzia ha iniziato ufficialmente l’attività il 16 giugno 2005. In queste prime fasi di funzionamento dell’Agenzia è prematuro fare qualsiasi osservazione riguardo all’adempimento da parte dell’Agenzia dei compiti che le sono stati affidati.
In base al regolamento (CE) n. 881/2004, la Commissione europea effettuerà una valutazione dei risultati ottenuti dall’Agenzia. Il Consiglio attenderà la relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo elaborata in base a tale valutazione.
Interrogazione n. 30 dell'on. Proinsias De Rossa (H-0520/05)
Oggetto: Transizione verso la democrazia nella Repubblica democratica del Congo
Considerando la persistente lentezza del processo, pilotato dal governo di transizione della Repubblica democratica del Congo (RDC), che dovrebbe condurre a elezioni democratiche, la crisi umanitaria provocata da una guerra civile che dal 1998 ha causato nel paese la morte di oltre 3.8 milioni di persone, il mancato rispetto e la mancata tutela dei diritti umani e il continuo sfruttamento delle risorse naturali del paese da parte di gruppi stranieri, non ritiene la Presidenza del Consiglio che l'Unione europea non si stia impegnando abbastanza per garantire che il governo transitorio rispetti i criteri contenuti nell'accordo di Pretoria, e soprattutto che siano adottate misure atte a contrastare i ritardi e gli ostacoli nell'organizzazione delle elezioni?
L’Unione europea ha preso atto della decisione delle due camere del parlamento della Repubblica democratica del Congo di prolungare di sei mesi, a decorrere dal 1o luglio 2005, il periodo di transizione, e della richiesta del Comitato internazionale di accompagnamento della transizione (CIAT) affinché questa estensione vada di pari passo con una maggiore efficacia e capacità di risposta delle istituzioni di transizione. La decisione di prolungare il periodo di transizione è in linea con le disposizioni dell’accordo di pace firmato nel dicembre 2002 a Pretoria e deve consentire di organizzare le elezioni in condizioni soddisfacenti dal punto di vista logistico e della sicurezza. Al contempo, l’Unione europea esorta le istituzioni della transizione, i partiti politici e la società civile a collaborare per preparare un processo elettorale libero, trasparente e democratico.
L’Unione europea ha contribuito alla riforma del settore della sicurezza, alla transizione e alla stabilizzazione nella Repubblica democratica del Congo varando, nell’aprile del 2005, la missione di polizia dell’UE a Kinshasa, EUPOL Kinshasa, e avviando, l’8 giugno 2005, la sua missione di consulenza e di assistenza per la riforma del settore della sicurezza, EUSEC RD Congo. L’UE e i suoi Stati membri hanno confermato di essere disposti a prendere in considerazione la possibilità di un sostegno più operativo all’integrazione dell’esercito congolese, in particolare sulla scorta delle informazioni che trasmetterà l’EUSEC RD Congo.
Attraverso la formazione del personale di polizia e militare congolese, l’Unione europea contribuisce alla creazione di condizioni di sicurezza per lo svolgimento delle elezioni. L’Unione europea, insieme ad altri donatori, contribuisce inoltre al finanziamento delle elezioni che attualmente si calcola sia pari a circa 468 milioni di dollari. I preparativi per quanto riguarda la registrazione degli elettori sono iniziati a Kinshasa e continueranno nel resto del paese. Si tratta di un’operazione cui partecipano sia l’Unione europea sia la missione delle Nazioni Unite nella Repubblica democratica del Congo, MONUC.
Inoltre, attraverso il Rappresentante speciale per la regione dei Grandi Laghi, l’Unione europea cerca costantemente di fornire alle autorità consulenza in merito alle modalità di preparazione delle elezioni e di rammentare loro la necessità di osservare il calendario imposto nell’ambito dell’accordo di Pretoria.
Interrogazione n. 31 dell'on. Georgios Toussas (H-0522/05)
Oggetto: Diritti dei lavoratori in Pakistan
Le autorità pakistane hanno fermato oltre 300 dipendenti della società di telecomunicazioni statale (PTCL) a seguito dell'annuncio di uno sciopero da parte degli stessi. Il governo del generale Musharraf ha mobilitato forze speciali dell'esercito con l'ordine di intervenire nei confronti dei dipendenti che non approvano la privatizzazione del 26% della società prevista, e ciò malgrado la realizzazione della stessa comporti il licenziamento di migliaia di dipendenti, con pesanti conseguenze per tutti i lavoratori pakistani. A questo proposito, va rilevato che il bilancio della società di telecomunicazioni pakistana è in attivo e non esistono quindi motivi validi che giustifichino la cessione della stessa a privati.
È il Consiglio a conoscenza del progetto di privatizzazione citato e dell'eventuale coinvolgimento nello stesso di imprese europee? Considerando anche i rapporti di cooperazione amichevole tra UE e Pakistan, come valuta il Consiglio la palese violazione delle libertà sindacali e l'intervento dell'esercito contro lavoratori che esercitano semplicemente il diritto di sciopero loro garantito dalla legge?
Il Consiglio è a conoscenza delle iniziative intraprese dal governo pakistano per cedere una quota della società di telecomunicazioni pakistana (PTCL). Le informazioni disponibili sembrano indicare che nessuna impresa degli Stati membri dell’UE sia stata coinvolta in tale operazione ed è certo che nessuna è stata inserita nell’elenco degli acquirenti.
Il Consiglio continua a seguire da vicino la situazione politica in Pakistan e si avvale dei suoi contatti con tale paese (come l’ultima riunione della troika ministeriale svoltasi il 27 aprile a Lussemburgo) per sottolineare l’esigenza di “rispettare i diritti umani e i principi democratici”, che costituisce la base dell’accordo di cooperazione per il partenariato e lo sviluppo concluso nel 2004 tra Unione europea e Pakistan.
Interrogazione n. 32 dell'on. Marie Panayotopoulos-Cassiotou (H-0526/05)
Oggetto: Preservazione dell'identità linguistica e culturale dei figli di cittadini europei stabilitisi in uno Stato membro diverso da quello di provenienza
Il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona presuppone la sistemazione del capitale umano europeo in posti di lavoro di qualità. Ciò comporta che alcuni cittadini europei debbano stabilirsi per periodi di tempo prolungati in uno Stato membro differente da quello di provenienza, nell'ambito delle libertà fondamentali di circolazione e stabilimento previste nei trattati.
In che maniera il Consiglio sta affrontando il problema dell'istruzione e della preservazione dell'identità linguistica e culturale dei figli di cittadini europei stabilitisi in uno Stato membro diverso da quello di provenienza, per far sì che, insieme all'identità europea, possa essere preservata la loro identità linguistica e culturale nazionale, e rafforzata la diversità culturale europea?
Il Consiglio prende atto con interesse dell’interrogazione rivolta dall’onorevole parlamentare, tuttavia desidera sottolineare che la questione sollevata non rientra nella sfera di competenza comunitaria. L’articolo 149 del Trattato stabilisce che l’azione della Comunità nel campo dell’istruzione si svolge “nel pieno rispetto della responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione del sistema di istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche”. Ne consegue che il Consiglio non può adottare misure per i fini cui l’onorevole parlamentare fa riferimento.
Interrogazione n. 33 dell'on. Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (H-0530/05)
Oggetto: Bilancio dell'Unione europea per il periodo 2007-2013
Considerato il proprio veto, la Gran Bretagna proporrà probabilmente un nuovo compromesso sul bilancio durante la sua presidenza che rifletterà il punto di vista inglese sul futuro dell'UE.
Si calcola che, qualora non si raggiunga un compromesso, la Polonia perderebbe quattro miliardi di euro solo nell'ambito dei Fondi strutturali. Secondo il Consiglio, quali conseguenze potrebbe avere il mancato raggiungimento di un compromesso sui restanti nuovi Stati membri, considerato che i pagamenti diretti e i Fondi strutturali costituiscono per essi un fattore fondamentale di trasformazione, offrendo loro un'opportunità per la realizzazione di riforme strutturali e la creazione di nuovi impieghi nel settore agrario?
In giugno il Consiglio europeo ha invitato la futura Presidenza a portare avanti le discussioni sulle prospettive finanziarie al fine di definire tutti gli elementi necessari per giungere quanto prima a un accordo globale. Il Consiglio compirà ogni possibile sforzo per conseguire tale obiettivo e pertanto non sarebbe opportuno esprimersi in merito alle eventuali conseguenze del mancato raggiungimento di un accordo.
Interrogazione n. 34 dell'on. Justas Vincas Paleckis (H-0533/05)
Oggetto: Entrata di Estonia, Lituania e Slovenia nella zona euro a partire dal 2007
L'entrata nella zona euro di Estonia, Lituania, e Slovenia a partire dal 2007 sarà decisa il prossimo anno in base al rispetto dei tre criteri di Maastricht da parte dei singoli Stati. Uno di essi prevede che il tasso d'inflazione non debba superare di oltre 1,5 punti percentuali quello medio dei tre Stati che hanno conseguito i migliori risultati.
Una leggera divergenza rispetto al citato criterio al momento della verifica potrebbe effettivamente pregiudicare l'entrata nella zona euro?
Conformemente all’articolo 122, paragrafo 2, del Trattato, la Commissione e la Banca centrale europea riferiranno al Consiglio nel 2006 in merito al rispetto dei criteri di convergenza per l’UEM da parte di tutti gli Stati membri con deroga che non hanno ancora adottato l’euro (come avevano già fatto nel 2004, in quanto il Trattato prevede che tale valutazione venga effettuata almeno una volta ogni due anni).
A norma dell’articolo 121 del Trattato, il Consiglio prende in considerazione tali valutazioni e può, sulla base di una raccomandazione della Commissione, confermare, decidendo a maggioranza qualificata, che alcuni Stati membri soddisfano i criteri di convergenza e che è pertanto opportuno che adottino l’euro. Il Consiglio consulta quindi il Parlamento europeo e decide in via definitiva, a livello di capi di Stato e di governo (anche in questo caso a maggioranza qualificata), quali Stati membri adotteranno l’euro.
I criteri di convergenza da valutare sono indicati con chiarezza in un protocollo del Trattato, che all’articolo 1 stabilisce il criterio della stabilità dei prezzi. Le relazioni della Commissione e della BCE del 2004 illustravano con precisione le loro modalità di valutazione di questo criterio. Il Consiglio adotterà una decisione dopo avere discusso le parti pertinenti delle relazioni della Commissione e della BCE e sulla base di una raccomandazione della Commissione.
Sarebbe prematuro esprimere un giudizio sugli elementi di valutazione, ma è opportuno rammentare il quadro stabilito agli articoli 121 e 122 del Trattato e il protocollo sui criteri di convergenza di cui all’articolo 121 del Trattato.
Interrogazione n. 35 dell'on. Ryszard Czarnecki (H-0534/05)
Oggetto: Fondi destinati alla Croazia
Nel bilancio dell'UE per il 2006, i fondi destinati alla Turchia hanno subito un incremento del 67%, da 300 a 500 milioni di euro, mentre quelli stanziati per la Croazia sono aumentati solo del 33%, da 105 a 140 milioni di euro.
Considerando che verosimilmente la Croazia entrerà a far parte dell'Unione europea molto prima della Turchia e che quindi dovrebbe beneficiare di maggiori finanziamenti, come devono essere interpretati gli stanziamenti summenzionati?
Gli impegni di stanziamento indicati nel progetto preliminare di bilancio generale per l’esercizio 2006 proposti dalla Commissione, cui l’onorevole parlamentare fa riferimento, prevedono un aumento significativo dell’assistenza preadesione sia per la Croazia che per la Turchia, in linea con le pertinenti conclusioni del Consiglio europeo. Quest’ultimo ha chiesto di aumentare in misura considerevole l’assistenza di preadesione per la Turchia e, nel caso della Croazia, di elaborare una strategia di preadesione, comprensiva degli strumenti finanziari necessari, per fornire assistenza nell’ambito di PHARE, ISPA e SAPARD, oltre ai finanziamenti erogati attraverso lo strumento CARDS per i Balcani occidentali, nel quadro ed entro i limiti delle attuali prospettive finanziarie.
Conformemente al partenariato per l’adesione della Turchia e al partenariato europeo con la Croazia, le priorità in essi individuate per sostenere gli sforzi di avvicinamento all’Unione europea sono adeguate alle esigenze e alla fase di preparazione specifiche del paese candidato e forniscono orientamenti per l’assistenza finanziaria comunitaria.
Infine, si invita l’onorevole parlamentare a tener conto delle dimensioni dei rispettivi paesi, delle pertinenti problematiche relative all’acquis e della disparità tra i due paesi e l’Unione europea, nonché a considerare l’aspetto dell’aiuto pro capite.
Interrogazione n. 36 dell'on. Caroline Lucas (H-0535/05)
Oggetto: Modifica del protocollo sulle norme di origine dell'accordo di associazione UE-Israele
Il 29 novembre 2004 la Commissione ha presentato al Consiglio un progetto di posizione comune della Comunità che dovrebbe sostituire il protocollo sulle norme di origine dell'accordo di associazione UE-Israele con un nuovo protocollo, che consentirà ad Israele di entrare a far parte del sistema di cumulo dell'origine paneuromediterraneo. Nel "memorandum esplicativo" che introduce il progetto di posizione della Comunità, la Commissione dichiara che "la posizione della Comunità dovrà essere presentata al Consiglio di associazione UE-Israele dopo la risoluzione della questione bilaterale UE-Israele sulle norme di origine" (Bruxelles, 29.11.2004, SEC(2004)1437 def.).
Ritiene il Consiglio che le norme derivanti dall'accordo tecnico sulla cooperazione doganale UE-Israele, entrato in vigore lo scorso 1° febbraio, possano rappresentare una "risoluzione della questione bilaterale UE-Israele sulle norme di origine"?
Interrogazione n. 37 dell'on. Saïd El Khadraoui (H-0543/05)
Oggetto: Modifica del protocollo sulle norme di origine dell'accordo di associazione UE-Israele
È vero che Israele continua ad applicare ai territori occupati il protocollo sulle norme di origine anche dopo l'entrata in vigore dell'"accordo tecnico" non vincolante tra l'UE e Israele, relativo all'attuazione del protocollo sulle norme di origine dell'accordo di associazione UE-Israele, mantenendo il proprio rifiuto di distinguere, all'atto del rilascio delle prove di origine in base al citato accordo, tra prodotti fabbricati in quei territori e quelli fabbricati nello Stato di Israele? Alla luce di quanto sopra, ritiene il Consiglio che le norme derivanti dall'accordo tecnico sulla cooperazione doganale UE-Israele possano rappresentare una "soluzione alla questione bilaterale UE-Israele sulle norme di origine"?
Nel dicembre 2004, nell’ambito del Comitato di cooperazione doganale, l’Unione europea e Israele hanno approvato un accordo tecnico per l’attuazione del protocollo n. 4 dell’accordo di associazione UE-Israele. In base a tale accordo, Israele ha accettato di indicare su tutti i certificati di esportazione verso l’UE il nome e il codice postale della città, del paese o della zona industriale in cui ha avuto luogo la produzione. L’accordo si applica dal 1o febbraio 2005.
L’accordo costituisce una misura che offre una possibilità pratica di effettuare una distinzione tra prodotti originari di Israele che sono ammissibili ai dazi preferenziali e quelli che non lo sono. In base alla posizione dell’Unione europea e in linea con il diritto internazionale, i prodotti provenienti dai territori che dal 1967 si trovano sotto il controllo dell’amministrazione israeliana non sono ammessi a beneficiare del trattamento tariffario preferenziale previsto dall’accordo di associazione UE-Israele. Le autorità doganali dell’Unione europea hanno istruzioni di negare il trattamento preferenziale alle merci la cui prova di origine indichi che la produzione che determina l’origine ha avuto luogo in una città, un paese o una zona industriale che dal 1967 si trova sotto il controllo dell’amministrazione israeliana.
Il Consiglio finora non ha ricevuto informazioni da cui si potrebbe dedurre che l’attuale accordo non funziona correttamente.
Attualmente il Consiglio sta esaminando i 16 progetti di decisione degli organismi misti in base ai quali il sistema paneuropeo del cumulo dell’origine sarà esteso ai paesi mediterranei. Nel caso di Israele, il nuovo protocollo sarà accompagnato da una dichiarazione nella quale l’UE ribadirà la sua posizione in merito all’ambito territoriale dell’accordo di associazione UE-Israele.
Interrogazione n. 38 dell'on. Johan Van Hecke (H-0545/05)
Oggetto: Spese agricole nel bilancio europeo e Agenda di Doha per lo sviluppo (DDA)
Durante la riunione del Consiglio europeo di Bruxelles del 16 e il 17 giugno 2005, non è stato raggiunto nessun accordo in relazione alle prospettive finanziarie 2007-2013. Uno degli ostacoli è stato rappresentato dall'impossibilità di accettare una riduzione delle spese agricole. D'altra parte, lo scorso primo agosto i membri dell'OMC hanno concluso a Ginevra un accordo quadro per la ripresa del ciclo di Doha. In virtù di tale accordo quadro, l'Unione europea si è impegnata a ridurre gradualmente le sovvenzioni e gli altri aiuti ai prodotti agricoli. Tali compromessi devono concretizzarsi entro la prossima Conferenza ministeriale che si terrà a Hong Kong alla fine di quest'anno.
Come pensa l'Unione europea di rispettare gli impegni contenuti nell'accordo quadro del ciclo di Doha, quando la stessa, d'altra parte, rifiuta di inserirli in un quadro finanziario di lungo periodo? Durante lo scorso Vertice europeo, non ha forse l'Unione europea trasmesso un messaggio sbagliato ai paesi in via di sviluppo, continuando a riferirsi nel suo bilancio ad alcune spese e sovvenzioni agricole elevate?
Desidero innanzi tutto sottolineare che il Consiglio ribadisce l’impegno a proseguire l’attuazione delle misure stabilite nella riforma della PAC.
In questo contesto, i finanziamenti previsti per il periodo 2007-2013 per le misure legate al mercato e i pagamenti diretti della PAC sono limitati dagli impegni assunti nella riunione del Consiglio europeo svoltasi a Bruxelles nell’ottobre 2002. Le stime finanziarie delle proposte legislative rispettavano tali limiti. Si precisa inoltre che la riforma della PAC prevede il trasferimento, mediante la modulazione, di parte dei fondi inizialmente destinati al primo pilastro al secondo pilastro della PAC, quello dello sviluppo rurale.
A questo proposito, il Consiglio “Agricoltura e Pesca” ha da poco raggiunto un accordo politico unanime in merito al regolamento sul sostegno allo sviluppo rurale e la Presidenza confida nella sua adozione nel corso della prossima riunione del Consiglio del 18 luglio.
Ritengo che la PAC riformata rappresenti un punto di forza per l’Unione europea nei negoziati internazionali. A questo proposito, occorre anche sottolineare che, nella risoluzione sulla valutazione del ciclo di negoziati di Doha, il Parlamento ha espresso la propria soddisfazione per l’accordo raggiunto il 1o agosto nel quadro dell’OMC. Sono sicuro che possiamo essere tutti del parere che questo accordo non mette in alcun modo in discussione l’efficace modello agricolo europeo multifunzionale emerso dalle successive riforme della PAC.
Interrogazione n. 39 dell'on. Rosa Miguélez Ramos (H-0546/05)
Oggetto: Saturazione delle Scuole europee
Considerando che le Scuole europee furono create per istruire congiuntamente i figli del personale della Comunità europea e garantire in tal modo il buon funzionamento della stessa, facilitando l'adempimento della sua missione, pare che la situazione attuale delle Scuole europee I e II di Bruxelles sia molto lontana dal soddisfare tale premessa: bambini che non possono essere iscritti, fratelli sistemati in scuole distinte, classi sature, ecc. Il Consiglio superiore delle Scuole europee, a fronte di tale situazione, è stato capace di attuare una politica restrittiva che non rispetta i criteri pedagogici minimi stabiliti e che non tiene conto né della qualità dell'istruzione, né dei problemi sociali arrecati a numerose famiglie. Considerato il carattere intergovernativo di tali Scuole, e pertanto, le responsabilità dei governi degli Stati membri in materia, che genere di misure intende adottare il Consiglio nel breve e medio periodo per porre rimedio a tali problemi?
Interrogazione n. 40 dell'on. Javier Moreno Sánchez (H-0557/05)
Oggetto: Problemi di saturazione degli alunni nelle Scuole europee
È al corrente il Consiglio dei problemi di sovrannumero nelle Scuole europee II e III di Bruxelles, che si protrarranno fino all'apertura della IV Scuola nel 2009, e delle gravi conseguenze che essi comportano per l'istruzione dei figli dei funzionari e impiegati delle Istituzioni europee nonché per le loro famiglie? È a conoscenza del fatto che a fronte di tale situazione, il Consiglio superiore delle Scuole ha attuato unilateralmente una politica restrittiva per l'anno 2004-2005 (divieto di creare nuovi gruppi per la scuola materna nelle sezioni di lingua inglese, francese, tedesca, italiana o spagnola, e di ammettere nuovi alunni nelle categorie I o II che avrebbe potuto comportare lo sdoppiamento di una classe o di creare qualsiasi gruppo di appoggio, ecc.), la quale non rispetterebbe i criteri pedagogici minimi richiesti nei singoli Stati membri. Tenendo presenti il carattere intergovernativo delle Scuole europee, gli obiettivi per cui furono fondate, il grave danno che si sta arrecando agli alunni e alle famiglie, e la necessità urgente di trovare una soluzione immediata a tutti questi problemi, intende il Consiglio adottare misure tempestive per evitare e frenare tale situazione?
Interrogazione n. 41 dell'on. Bárbara Dührkop Dührkop (H-0559/05)
Oggetto: Scuole europee: numero degli alunni per classe
È al corrente il Consiglio del fatto che il criterio per lo sdoppiamento delle classi nelle Scuole europee è di 32 alunni per ciascuna, e che tale quantità supera di gran lunga il massimo stabilito dalla maggior parte degli Stati membri? Concorda con tale criterio, stabilito dal Consiglio superiore delle Scuole europee? Come intende agire per ridurre sostanzialmente tale numero e far sì che le Scuole europee rispondano alle esigenze pedagogiche dei singoli Stati membri e rispettino la parità di opportunità alla quale hanno diritto i figli dei funzionari europei, alla pari dei bambini che frequentano le scuole pubbliche e private dei distinti Stati membri? Intende il Consiglio adottare misure per migliorare la qualità dell'insegnamento nelle Scuole europee?
Il Consiglio non ha competenza per pronunciarsi su questioni relative alle scuole europee.
La Convenzione recante statuto delle scuole europee, conclusa il 21 giugno 1994 a Lussemburgo tra le alte parti contraenti, membri delle Comunità europee, e le Comunità europee, non contiene alcun riferimento al Consiglio e pertanto non attribuisce alcun tipo di potere a tale Istituzione in questo campo.
Per contro, gli Stati membri e la Commissione sono rappresentati nel Consiglio superiore, come stabilito all’articolo 8 della Convenzione.
Inutile dire che è prerogativa degli onorevoli parlamentari contattare i rappresentanti a livello ministeriale del proprio Stato membro o la Commissione per esprimere le proprie preoccupazioni in merito a una questione così delicata.
Né il Consiglio né il suo Segretariato sono rappresentati nel Consiglio superiore.
Interrogazione n. 42 dell'on. Tobias Pflüger (H-0551/05)
Oggetto: Status delle basi militari britanniche nell'isola di Cipro
Quali misure intende adottare il Consiglio per far sì che le basi militari britanniche nell'isola di Cipro (territorio del Regno Unito), attualmente sfruttate anche dagli USA come base logistica per la guerra in Iraq, siano chiuse e, in vista di una smilitarizzazione dell'isola di Cipro, passino sotto il controllo dell'Unione europea o entrino a far parte della stessa?
Dal punto di vista giuridico, lo status delle zone di sovranità del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord a Cipro è stabilito nel trattato relativo all’istituzione della Repubblica di Cipro e nei relativi scambi di note del 16 agosto 1960. Inoltre, le disposizioni che si applicano alle relazioni tra la Comunità europea e queste zone sono stabilite, da un lato, nell’atto finale del trattato relativo all’adesione del Regno Unito alle Comunità europee e, dall’altro, nel protocollo n. 3 allegato all’atto relativo alle condizioni di adesione all’Unione dei dieci nuovi Stati membri del 2003.
Per quanto riguarda il futuro di queste zone, non spetta al Consiglio pronunciarsi su un argomento che non rientra direttamente nella sfera di competenza dell’Unione europea. Quanto alla questione della smilitarizzazione dell’isola, la Presidenza sottolinea il costante sostegno accordato a tutti gli sforzi compiuti, in particolare nel quadro delle Nazioni Unite, per giungere a un accordo globale sulla questione di Cipro.
INTERROGAZIONI ALLA COMMISSIONE
Interrogazione n. 43 dell'on. Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (H-0463/05)
Oggetto: Programma Cultura 2007 (2007 - 2013)
Quest'anno le istituzioni europee adotteranno il Programma Cultura 2007 (rispettando sia i contenuti che il bilancio) per il periodo 2007-2013. Considerando che il regolamento del Consiglio (CE, Euratom) n°1605/2002(1) attualmente in vigore, sul regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee verrà sottoposto a revisione nel 2007, come potrebbero influire sul Programma Cultura eventuali modifiche allo stesso?
Nel caso si verifichino conflitti tra le disposizioni sull'uso dei fondi disponibili all'interno del Programma Cultura 2007, quale tra i due documenti sarà considerato di grado superiore?
In base all’articolo 184, il regolamento finanziario viene riesaminato ogni tre anni, o ogniqualvolta ciò risulti necessario. Di recente la Commissione ha presentato una proposta di modifica del regolamento finanziario(2), che tiene conto della nuova base giuridica per i programmi comunitari per il periodo 2007-2013. Il regolamento finanziario modificato si applicherà a tutti questi programmi a partire dalla sua entrata in vigore il 1o gennaio 2007, dopo l’adozione da parte del Consiglio. Si applicherà pertanto al programma Cultura 2007 quando quest’ultimo entrerà in vigore.
Interrogazione n. 44 dell'on. Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk (H-0501/05)
Oggetto: Eccessive importazioni di calzature in cuoio cinesi nel mercato europeo
I produttori di calzature in pelle polacchi hanno riscontrato, dal 1° gennaio 2005, un aumento vertiginoso delle importazioni di prodotti del settore dalla Cina, pari al 700% nei primi quattro mesi di quest'anno. Essi richiamano l'attenzione sul fatto che i calzaturifici cinesi non devono sostenere costi di produzione quali i contributi assicurativi per i propri lavoratori o le spese legate al rispetto degli standard di protezione ambientale, il che consente loro di offrire prodotti ad un prezzo significativamente più basso. Tale situazione ha portato allo sviluppo di una concorrenza sleale e minaccia l'industria del cuoio polacca, dalla quale dipendono circa 100.000 lavoratori. Condivide la Commissione la suddetta valutazione della situazione del mercato calzaturiero, e che genere di misure intende prendere per controbattere tale concorrenza sleale?
La Commissione è consapevole della situazione del settore calzaturiero comunitario e la segue con attenzione, in stretta collaborazione con le associazioni dell’industria calzaturiera.
La Commissione ha introdotto un sistema di vigilanza che può rapidamente individuare problemi di prezzo o di volume per l’industria comunitaria che possono derivare dalle importazioni di scarpe dalla Cina. Il sistema, sotto forma di licenze di importazione, consente la raccolta di dati su quantità e prezzi dei prodotti importati entro un breve periodo di tempo.
In effetti sono stati rilevati aumenti considerevoli delle quantità di calzature importate dalla Cina e al riguardo vengono pubblicati regolarmente i relativi dati.
Il 30 giugno è stata anche avviata un’inchiesta antidumping relativa alle calzature antinfortunistiche provenienti da Cina e India. Inoltre, l’industria calzaturiera europea ha presentato una seconda denuncia antidumping relativa alle scarpe in cuoio cinesi e vietnamite ed entro breve verrà adottata una decisione in merito all’avvio di un’altra inchiesta antidumping. Qualora fossero soddisfatti i requisiti giuridici per l’avvio di un procedimento antidumping (aumento delle importazioni a prezzi di dumping che hanno un effetto negativo sulla concorrente industria europea), la Commissione aprirà un’inchiesta.
Tali procedimenti antidumping affronterebbero anche la questione delle possibili distorsioni della concorrenza dovute ai costi sollevata dall’onorevole parlamentare.
Infine, è ovvio che la Commissione adotterà i provvedimenti adeguati qualora da un’inchiesta dovesse emergere che l’industria calzaturiera comunitaria subisce un pregiudizio dovuto alle importazioni oggetto di dumping originarie della Cina.
Interrogazione n. 45 dell'on. Ryszard Czarnecki (H-0542/05)
Oggetto: Informazioni relative al terrorismo islamico nei media
Le emittenti satellitari europee svolgono un ruolo importante nelle informazioni relative al terrorismo islamico, e in particolare al terrorismo islamico. In Europa e nel mondo vengono visti il canale al-Manar nonché le emittenti Arabsat, che trasmette dall'Arabia Saudita, e Nile Sat, trasmessa dall'Egitto, entrambe captabili in Europa. Ora, gravi riserve devono essere formulate quanto al contenuto delle loro trasmissioni. Pur conoscendo i contenuti trasmessi da al-Manar, la spagnola Hispasat, detenuta in parte da Telefonica e dallo Stato spagnolo, e la francese GlobeCast, detenuta in parte da France Telecom, non reagiscono e, di conseguenza, violano la legislazione europea in materia, il che è molto grave.
Per quanto tempo continuerà la Commissione a tollerare questa situazione, che riguarda emittenti europee, e che cosa intende fare per porre termine alla loro attività di promozione de facto del terrorismo?
Interrogazione n. 113 dell'on. Charles Tannock (H-0555/05)
Oggetto: Diffusione dei programmi della televisione Al-Manar e violazioni continuative delle direttive dell'UE
Nonostante tutte le autorità di regolamentazione dell'audiovisivo abbiano confermato che i contenuti dei programmi di Al-Manar violano la direttiva europea "Televisione senza frontiere", Al-Manar continua ad essere trasmessa in Europa, e dall'Europa verso altre regioni del mondo.
Hispasat spagnola (parzialmente di proprietà del governo) e Eutelsat francese continuano ad offrire capacità di trasmissione a Al-Manar.
Sorprende che, pur essendo consapevole dei contenuti di odio di Al-Manar, Hispasat non si sia ancora attivata concretamente per sospendere queste disgustose trasmissioni, visto che in Francia il governo ha ordinato a Eutelsat, che si è conformata, di bloccare la ricezione di Al-Manar.
Inoltre, Arabsat saudita e Nilesat egiziana continuano a trasmettere Al-Manar, che incita i giovani a compiere attentati kamikaze, direttamente a spettatori europei in gran parte dell'Europa.
Intende la Commissione sollevare la questione con i governi spagnolo, francese, saudita ed egiziano per garantire che questa situazione cessi urgentemente?
Come può l'Unione sostenere di assumere seriamente tutte le sue responsabilità nella lotta al terrorismo quando canali come Al-Manar sono liberi di continuare indisturbati nella loro promozione del terrorismo attraverso i media, nonostante la situazione sia nota da tempo?
Interrogazione n. 114 dell'on. Frédérique Ries (H-0562/05)
Oggetto: TV AL Manar
Nel marzo 2005 la Commissaria Viviane Reding organizzò una riunione dell'ente disciplinatore audiovisivo europeo (EPRA) in cui si riaffermò che l'articolo 22 bis della Direttiva sulla televisione senza frontiere vieta esplicitamente le trasmissioni con contenuto di incitamento all'odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità. In tale occasione si convenne inoltre che tali disposizioni si applichino anche alle emittenti di paesi terzi che utilizzano una frequenza, una capacità di trasmissione satellitare o un uplink ad un satellite che appartiene ad uno Stato membro. Al Manar incita all'odio, alla violenza ai bombardamenti suicida, diffonde materiale antisemita e non rispetta i diritti fondamentali. Al Manar trasmette utilizzando servizi e capacità satellitare di Hispasat (di proprietà in parte del governo spagnolo) e di Globecast, un'ausiliaria di France Telecom. Dagli studi di Beirut il segnale di Al Manar è inviato a Arabsat (www.arabsat.com) e Nilesat (www.nilesat.com.eg).
Che cosa sta facendo la Commissione per fermare questo tipo di propaganda terrorista che raggiunge l'Europa ed altre regioni del mondo? Sono state allertate le autorità saudite ed egiziane e sono state invitate a svolgere un'azione e un ruolo responsabile nella lotta comune contro il terrorismo?
Le disposizioni e i principi della direttiva “Televisione senza frontiere” sono i seguenti.
La Commissione desidera innanzi tutto richiamare l’attenzione sull’importanza della libertà di stampa e di informazione televisiva e sul diritto di tutti i cittadini europei di ricevere le trasmissioni televisive di loro scelta, anche quelle provenienti da paesi terzi, a condizione che siano rispettate le disposizioni comunitarie vigenti in materia.
L’articolo 22 bis della direttiva “Televisione senza frontiere” vieta con chiarezza le trasmissioni che contengono incitamento all’odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità. Tale divieto vale ovviamente per le emittenti radiotelevisive comunitarie, ma anche per i canali trasmessi da emittenti radiotelevisive aventi sede in paesi terzi, a condizione che rientrino nel campo di applicazione della direttiva in base all’articolo 2, paragrafo 4. In pratica si tratta di emittenti radiotelevisive di paesi terzi che utilizzano una frequenza, una capacità via satellite o un “satellite up-link” soggetti alla giurisdizione di uno Stato membro.
La questione fondamentale è chi controlla il rispetto delle disposizioni della direttiva e in particolare il divieto dell’incitamento all’odio. Le disposizioni stabilite nella direttiva “Televisione senza frontiere” sono chiare: gli Stati membri e i loro organi competenti hanno la responsabilità di assicurare la conformità delle emittenti radiotelevisive soggette alla loro competenza, comprese quelle dei paesi terzi, a patto che siano soddisfatte le condizioni menzionate in precedenza, vale a dire se le emittenti radiotelevisive utilizzano una frequenza, una capacità via satellite o un “satellite up-link” soggetti alla giurisdizione dello Stato membro interessato.
Tenuto conto che i programmi di Al Manar vengono trasmessi da Eutelsat, le autorità francesi competenti ne hanno vietato la ritrasmissione attraverso tale satellite. Le autorità olandesi hanno adottato un provvedimento analogo nel caso del New Satellite System situato all’Aia.
In base alle informazioni da poco ricevute dalla Commissione, anche le autorità spagnole competenti di recente hanno vietato la trasmissione dei programmi di Al Manar tramite Hispasat.
In una riunione svoltasi il 17 marzo 2005 su iniziativa della Commissione, i presidenti delle autorità di regolamentazione nel settore della telediffusione hanno ribadito l’importanza del rafforzamento della mutua collaborazione per lottare con efficacia contro l’incitamento all’odio nei programmi dei paesi terzi e hanno raggiunto un accordo su misure concrete che consentano di attuare una strategia più coordinata.
Per quanto riguarda la trasmissione dei programmi di Al Manar tramite Arabsat e Nilesat, l’applicazione delle disposizioni comunitarie non è giuridicamente possibile in quanto i canali trasmessi da questi satelliti non rientrano nel campo di applicazione della direttiva per il fatto che non utilizzano una frequenza, una capacità via satellite o un “satellite up-link” soggetti alla giurisdizione di uno Stato membro dell’Unione europea.
A questo proposito, la Commissione sta valutando le opzioni a sua disposizione nel quadro delle relazioni con i paesi terzi interessati.
Interrogazione n. 46 dell'on. David Martin (H-0485/05)
Oggetto: Esiti del G8 per le Istituzioni dell'Unione europea
Il Vertice del G8 è in programma per questa settimana in Scozia. Può far sapere la Commissione come intende esaminare gli esiti di questa riunione e le eventuali future misure che le Istituzioni dell'Unione europea dovranno adottare?
Il Gruppo degli Otto terrà la sua riunione annuale dal 6 all’8 luglio a Gleneagles, in Scozia. Le due priorità della Presidenza britannica del G8 sono il cambiamento climatico e Africa e sviluppo, in merito alle quali nella riunione dei ministri delle Finanze del G8 dell’11 giugno è stato raggiunto un accordo sulla cancellazione del debito per i paesi più poveri. I leader del G8 dovrebbero rilasciare a Gleneagles le seguenti dichiarazioni:
1. dichiarazione del G8 sull’Africa;
2. dichiarazione del G8 sul cambiamento climatico;
3. dichiarazione del G8 sulla risposta al disastro nell’Oceano Indiano;
4. dichiarazione del G8 sull’economia globale, compresi i negoziati di Doha per lo sviluppo;
5. dichiarazione del G8 sulla lotta al terrorismo;
6. dichiarazione del G8 sulla non proliferazione;
7. dichiarazione del G8 sul Medio Oriente allargato e l’Africa settentrionale.
E’ prevista anche l’elaborazione di un documento di sintesi del presidente, che verrà presentato sotto la responsabilità della presidenza.
Al Vertice l’Unione europea sarà rappresentata dal Presidente della Commissione e dal Presidente del Consiglio europeo.
Come l’onorevole parlamentare sa, il Gruppo degli Otto non adotta decisioni vincolanti. La Commissione intende presentare l’esito del Vertice alle Istituzioni comunitarie e, qualora si rendesse necessario intraprendere iniziative specifiche per dare seguito al Vertice, la Commissione terrà informate le altre Istituzioni nel quadro del normale processo decisionale.
Interrogazione n. 47 dell'on. Gay Mitchell (H-0488/05)
Oggetto: Lenta crescita economica nell'UE
Considerati i recenti no di Francia e Olanda alla Costituzione europea, la conseguente perdita di valore dell'euro e la recente previsione OCSE secondo cui la crescita economica nei 12 paesi della zona Euro dovrebbe rallentare fino all'1.2% nel 2005, contro l'1.8% del 2004, che misure intende prendere la Commissione per garantire che i 12 Stati membri esercitino la disciplina di bilancio in un momento così difficile?
Il Patto di stabilità e di crescita prevede nel suo braccio preventivo che gli Stati membri raggiungano e mantengano una posizione di bilancio a medio termine con un saldo prossimo al pareggio o in attivo in termini corretti per il ciclo. Una volta che un paese ha raggiunto l’obiettivo a medio termine, il pareggio di bilancio nominale può consentire di affrontare le fluttuazioni cicliche senza che il disavanzo rischi di diventare eccessivo in caso di un normale rallentamento economico. La revisione del Patto di stabilità e di crescita ne ha rafforzato la dimensione preventiva. Gli Stati membri si sono impegnati a consolidare attivamente le finanze pubbliche nei periodi di congiuntura economica favorevole e, come regola generale, a utilizzare le entrate cicliche per la riduzione del disavanzo e del debito. Inoltre, gli Stati membri della zona dell’euro o quelli che partecipano al meccanismo europeo dei tassi di cambio che non hanno ancora raggiunto l’obiettivo a medio termine sono esplicitamente obbligati a perseguire un aggiustamento annuale in termini corretti per il ciclo, al netto di misure una tantum, pari allo 0,5 per cento del PIL come parametro di riferimento. Lo sforzo di aggiustamento dovrebbe essere maggiore in periodi di congiuntura favorevole e può essere più limitato in periodi di congiuntura sfavorevole. In base alla nuova serie di disposizioni, la Commissione dovrà fornire indicazioni politiche direttamente a uno Stato membro per incoraggiarlo a non discostarsi dal suo percorso di aggiustamento. Al contempo, il Patto di stabilità e di crescita riveduto nella sua parte correttiva introduce un margine più ampio per una valutazione economica e per tener conto degli sviluppi ciclici, mentre resta in vigore il sistema della procedura per i disavanzi eccessivi basato su disposizioni rigorose.
Allo scopo di garantire un’effettiva vigilanza fiscale nell’Unione europea, la Commissione segue ininterrottamente la situazione di bilancio in tutti gli Stati membri e si avvale del suo diritto di iniziativa al momento opportuno. Ad esempio, la Commissione di recente ha deciso di avviare procedure per disavanzo eccessivo nei confronti di Italia e Portogallo, incoraggiando in tal modo il necessario consolidamento fiscale in tali paesi.
Interrogazione n. 48 dell'on. Jan Andersson (H-0489/05)
Oggetto: Stimolo alla domanda nell'economia dell'Unione europea
Lo sviluppo economico all'interno dell'Unione europea è particolarmente debole rispetto a quello dell'Asia e degli USA. La politica economica nell'UE mira quasi esclusivamente ad aumentare l'offerta puntando solo minimamente a stimolare la domanda. Eppure il mercato dell'UE è più grande di quello statunitense e dovrebbe essere possibile coordinare gli sforzi al fine di aumentare non solo l'offerta ma anche la domanda. Condivide la Commissione tale opinione? In caso affermativo, come intende agire per stimolare la domanda nell'economia dell'Unione europea?
E’ vero che negli ultimi anni il tasso di crescita economica nell’Unione europea nel complesso, e in particolare nella zona dell’euro, è stato più basso rispetto a quello degli Stati Uniti e dell’Asia non giapponese, tuttavia è importante sottolineare che, a seguito dei diversi sviluppi demografici in queste regioni, le differenze dei tassi di crescita su base pro capite sono considerevolmente inferiori.
La ripresa economica nell’Unione europea iniziata nella seconda metà del 2003 è stata ostacolata da una flessione della domanda che sembra in parte dovuta a una scarsa fiducia di consumatori e investitori. L’aumento del prezzo del petrolio e il rafforzamento dell’euro hanno avuto un effetto diretto negativo e hanno anche influito sulla fiducia. Ciononostante, la Commissione prevede un rilancio del potenziale di crescita nel corso del 2005 grazie al sostegno di politiche macroeconomiche correttive che consentano alla domanda interna di diventare la principale forza trainante nella zona dell’euro e nell’Unione europea (cfr. previsioni economiche di primavera per il 2005 della Commissione).
La Commissione fa presente che i tentativi di aumentare la domanda nel breve termine con politiche fiscali più espansionistiche potrebbero avere ripercussioni negative sull’andamento della crescita a causa dei possibili effetti sulla fiducia. Un ulteriore aumento della spesa pubblica o tagli fiscali ingiustificati potrebbero rafforzare le incertezze riguardo alla futura sostenibilità fiscale ed essere controbilanciati da una riduzione della spesa per i consumi privati e gli investimenti, con un effetto globale sulla crescita del prodotto interno lordo (PIL) che potrebbe essere negativo. Tenuto conto che tale politica non può incrementare in maniera duratura il potenziale di produzione, è più importante che la politica fiscale contribuisca alla stabilizzazione economica e consenta di far fronte all’effetto dell’invecchiamento della popolazione sulle finanze pubbliche.
La Commissione è del parere che i principali contributi che le politiche macroeconomiche possono dare a una crescita e a un’occupazione sostenute nell’attuale situazione economica siano il mantenimento di condizioni macroeconomiche stabili e l’attenuazione degli shock economici. La politica monetaria può fornire il proprio contributo perseguendo la stabilità dei prezzi e, in funzione della realizzazione di questo obiettivo, sostenendo altre politiche economiche generali. La politica fiscale può avere un ruolo nella stabilizzazione dell’economica consentendo agli stabilizzatori automatici di svolgere pienamente il loro compito. Tenuto conto dell’entità degli stabilizzatori automatici nell’Unione europea, che è doppia rispetto agli Stati Uniti, non si dovrebbe sottovalutare il contributo alla stabilizzazione della domanda. A parte il contributo alla stabilizzazione economica, le politiche fiscali possono sostenere la crescita attraverso una spesa destinata a investimenti che favoriscano la crescita e strutture fiscali orientate alla crescita e all’occupazione. Viste le principali debolezze dell’economia comunitaria (impiego di manodopera relativamente basso ed esigua crescita della produttività) la Commissione ha proposto per il periodo 2005-2008 una combinazione di politiche macroeconomiche a favore della crescita e della stabilità, riforme microeconomiche intese ad aumentare il potenziale di crescita europeo e politiche occupazionali volte a creare nuovi e migliori posti di lavoro.(1)
La Commissione ritiene che uno sforzo concertato volto a fare chiarezza sulle riforme delineate nella strategia di Lisbona rinnovata, insieme ai progressi compiuti per conseguire l’obiettivo di finanze pubbliche sane e sostenibili, accrescerà la fiducia tra le imprese e i consumatori europei, creando una delle condizioni fondamentali per sbloccare la fase di contrazione della domanda.
Cfr. Commissione europea, Orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione (2005-2008), 12 aprile 2005, COM(2005) 141.
Interrogazione n. 49 dell'on. Claude Moraes (H-0466/05)
Oggetto: Campagna "Live 8"
Qual è il parere della Commissione riguardo alle recenti iniziative in favore della campagna "Live 8", che sollecita le nazioni del G8 a favorire ulteriormente l'alleggerimento del debito e incoraggia altre nazioni, principalmente occidentali, a rispettare i parametri raccomandati dalle Nazioni Unite in materia di aiuti?
La Commissione è favorevole a tutte le iniziative che richiamano l’attenzione del pubblico sulle sfide che il conseguimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio comporta ed esprime compiacimento per l’organizzazione contemporanea di concerti volti a incoraggiare i leader del G8 riuniti a Gleaneagles a impegnarsi maggiormente nella lotta contro la povertà.
Per consentire ai paesi in via di sviluppo in generale, e all’Africa in particolare, di realizzare gli obiettivi del Millennio, è essenziale accrescere la qualità e la quantità degli aiuti.
Nella riunione del Consiglio europeo del 16 e 17 giugno 2005, gli Stati membri dell’Unione si sono impegnati a continuare ad aumentare le risorse finanziarie da destinare all’aiuto pubblico allo sviluppo e ad andare al di là degli impegni di Monterrey, fissando il nuovo obiettivo individuale minimo dello 0,51 entro il 2010 e dello 0,17 per cento per i nuovi Stati membri, portando quindi il livello di aiuto collettivo dell’Unione allo 0,56 per cento.
Tale impegno rappresenta un aumento di 20 miliardi di euro all’anno. Nel 2004 l’aiuto pubblico allo sviluppo dei venticinque Stati membri è stato pari a 43 miliardi di euro.
Un aumento delle risorse e un aiuto più efficace sono essenziali, ma non saranno sufficienti per conseguire gli obiettivi di sviluppo del Millennio. Esistono altre politiche comunitarie che possono fornire un considerevole contributo allo sviluppo, da cui il concetto di “coerenza per lo sviluppo”. La Commissione propone di elaborare una relazione intermedia sulla coerenza nel periodo compreso tra il Vertice delle Nazioni Unite del settembre 2005 e la prossima valutazione internazionale degli obiettivi di sviluppo del Millennio.
La Commissione si augura altresì che la riunione dell’Organizzazione mondiale del commercio a Hong Kong giunga a risultati concreti che consentano ai paesi più poveri, e in particolare all’Africa subsahariana, di partecipare in maggior misura ai mercati mondiali.
La Commissione si compiace del successo del G8 per quanto riguarda l’alleggerimento del debito multilaterale per i paesi più poveri. Questa decisione positiva e importante va infatti ad aggiungersi a quelle relative ai finanziamenti per lo sviluppo. Secondo le indicazioni preliminari, lo sforzo finanziario sarà pari a un importo compreso tra 1 e 2 miliardi di euro all’anno. La Commissione chiede agli altri grandi donatori di accrescere il loro impegno per contribuire alla realizzazione degli obiettivi del Millennio.
Interrogazione n. 50 dell'on. Georgios Papastamkos (H-0476/05)
Oggetto: Organizzazioni non governative greche e politica di sviluppo dell'Unione europea
Quali organizzazioni non governative greche o internazionali (con partecipazione greca) sono risultate operative, nel periodo 2000-2004, nell'ambito dei programmi e delle azioni dell'Unione europea nei confronti dei paesi in via di sviluppo?
Quali proposte di organizzazioni non governative greche sono state presentate per ottenere un finanziamento nel periodo su riferito e raggiungere gli obiettivi delle politiche di sviluppo europee?
Qual è la base finanziaria dell'Unione europea nei confronti delle organizzazioni non governative con partecipazione greca?
In base ai nostri dati, tra il 2000 e il 2004 le organizzazioni greche, fra cui le organizzazioni non governative (ONG), le università, le fondazioni e i centri di ricerca, hanno presentato 109 proposte di finanziamento nell’ambito della politica di sviluppo.
Delle 109 proposte, 52 sono state finanziate sotto forma di sovvenzioni nel quadro dei programmi e delle azioni dell’Unione europea nei confronti dei paesi in via di sviluppo.
Tra il 2000 e il 2004 hanno ricevuto finanziamenti trenta ONG greche.
Con riserva di verifica e salvo che emergano errori di codifica, in particolare nel caso dei consorzi, il finanziamento totale della Commissione alle ONG greche è stato pari a 18 508 274,87 euro.
Interrogazione n. 51 dell'on. María Badía i Cutchet (H-0477/05)
Oggetto: Microfinanziamenti
Considerando che il 2005 rappresenta l'Anno Internazionale del Microcredito e che, come richiede la risoluzione ONU 53/197 del 15 dicembre 1998, è fondamentale approfittare del momento propizio per dare impulso a programmi di microcredito in tutti i paesi, specialmente in quelli in via di sviluppo, desidero ringraziare la Commissione per la sua decisione di indire per quest'anno una gara d'appalto tesa a sostenere progetti di microfinanziamento nei paesi dell'Africa, dei Caraibi e dell'Oceano Pacifico (ACP).
Considerando inoltre che i microfinanziamenti costituiscono un elemento fondamentale che si inserisce nella strategia della comunità internazionale per la realizzazione degli Obiettivi del millennio - aiutando a mitigare la povertà attraverso la generazione di reddito e la creazione di posti di lavoro - e in particolare di quelli inerenti la parità di genere (gender mainstreaming), il conferimento di maggior potere alla donna e l'eliminazione della povertà, non ritiene la Commissione che l'Unione europea debba sviluppare un quadro legislativo e regolamentare coerente e concedere per tale progetto un periodo di realizzazione che si protragga ben oltre il 2006 ?
I microfinanziamenti sono uno strumento fondamentale per aiutare i più poveri a realizzare iniziative economiche e a partecipare attivamente al miglioramento delle proprie condizioni di vita. La Commissione si compiace vivamente che il 2005 rappresenti l’Anno internazionale del microcredito, in quanto ciò dovrebbe consentire di attribuire un’importanza ancora maggiore ai microfinanziamenti nei programmi per lo sviluppo.
Nel 2005 la Commissione pubblicherà un invito a presentare proposte per progetti di microfinanziamenti nei paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP). Tale invito promuoverà i progetti che sono volti a rafforzare le infrastrutture degli istituti di microfinanziamento e comprendono attività di formazione e di consulenza, nonché l’acquisto di importanti attrezzature. Il programma interviene anche a livello di governi nei paesi ACP per aiutarli a migliorare il quadro normativo per i microfinanziamenti.
La Commissione ha già stabilito un quadro politico per le operazioni microfinanziarie. La comunicazione del 1998 intitolata “Microfinanziamenti e riduzione della povertà” descrive l’approccio della Commissione nel campo dei microfinanziamenti. Per quanto riguarda la continuità del sostegno ai microfinanziamenti, l’impegno della Commissione si estenderà oltre il 2006, in quanto il programma continuerà ad essere operativo nei paesi ACP fino al 2009. Inoltre, se la domanda di finanziamento supera le risorse disponibili del programma, la Commissione prevede di aumentare queste ultime.
Interrogazione n. 52 dell'on. Jacek Protasiewicz (H-0500/05)
Oggetto: Diritti umani a Cuba
Il regime di Castro detiene ancora 61 prigionieri politici, condannati a scontare in carcere pene molto lunghe per le loro attività in difesa delle libertà dei cittadini e dei diritti umani.
Allo stesso tempo, violando chiaramente i principi del diritto internazionale, il governo cubano impedisce i contatti tra i deputati al PE e gli attivisti per i diritti umani a Cuba.
Considerata questa situazione, intende la Commissione sostenere un inasprimento delle sanzioni dell'Unione europea?
La Commissione condivide la preoccupazione dell’onorevole parlamentare per la sorte dei prigionieri politici detenuti a Cuba. In occasione della visita da me compiuta a Cuba in marzo, ho sollevato la questione dei prigionieri politici con tutti i miei interlocutori, compreso il Presidente Castro. La Commissione ha anche condannato pubblicamente con estrema fermezza il comportamento inaccettabile di Cuba nei confronti dei deputati al Parlamento europeo che hanno partecipato alla riunione dell’Assemblea per promuovere la società civile svoltasi il 20 maggio all’Avana.
La delegazione della Commissione all’Avana ha offerto tutto il suo sostegno per favorire i contatti tra i deputati al PE e gli attivisti per i diritti umani a Cuba, ad esempio, organizzando in marzo presso la delegazione riunioni tra i deputati al PE e rappresentanti della dissidenza, prestando aiuto per l’ottenimento del visto di uscita per Oswaldo Payá e svolgendo in maggio una teleconferenza tra un gruppo di parlamentari europei e alcuni dissidenti, fra i quali Marta Beatriz Roque.
Il 13 giugno il Consiglio ha riaffermato la validità della posizione comune del 1996, che, nel quadro delle relazioni dell’Unione europea con Cuba, mira a incoraggiare il processo di transizione verso una democrazia pluralistica e il rispetto dei diritti dell’uomo.
La Commissione resta favorevole a portare avanti una politica di impegno costruttivo attraverso il dialogo politico con le autorità cubane, anche se negli ultimi mesi non sono stati compiuti progressi in materia di rispetto dei diritti dell’uomo. La decisione del Consiglio del 13 giugno ha ribadito la necessità di sfruttare tale dialogo per compiere concreti passi avanti nel settore dei diritti dell’uomo.
Il fatto che negli ultimi mesi si siano rafforzati i contatti con i dissidenti e i rappresentanti della società civile, nel quadro delle linee guida adottate dai capi missione all’Avana nel gennaio 2005, è senza dubbio un passo nella giusta direzione. Tali contatti continueranno e saranno ulteriormente intensificati.
Il dialogo con le autorità cubane e la società civile è uno strumento per promuovere a Cuba un processo di transizione pacifica più efficace delle sanzioni e dell’isolamento.
La Commissione è del parere che la politica di impegno costruttivo sia anche la politica che ha maggiori possibilità di assicurare la liberazione di tutti i prigionieri politici a Cuba.
Interrogazione n. 53 dell'on. Glenys Kinnock (H-0538/05)
Oggetto: Programma di aiuto per i paesi del Protocollo zucchero
Potrebbe la Commissione chiarire quali procedure prevede di applicare nella realizzazione dei programmi di aiuto per i paesi del Protocollo zucchero interessati dalla riforma del settore dello zucchero dell'UE? Conviene la Commissione che è essenziale che tali procedure siano semplificate, accelerate e più efficienti rispetto al caso di quelle del FES destinate ad aiutare i paesi interessati dalle modifiche della regolamentazione concernente le banane?
La Commissione concorda senza riserve sulla necessità di istituire per i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) del Protocollo zucchero uno strumento di sostegno che comporti procedure di attuazione rapide ed efficaci. Questa è stata una delle principali preoccupazioni quando è stata elaborata la proposta di regolamento corrispondente, adottata dalla Commissione il 22 giugno di quest’anno.
L’attuazione della disciplina speciale per l’assistenza ai tradizionali fornitori ACP di banane ha subito alcuni ritardi dovuti, tra l’altro, a procedure comunitarie complesse. Tale fatto è stato preso in considerazione e la Commissione confida che l’applicazione delle misure di sostegno a favore dei paesi del Protocollo zucchero sarà più efficace, in particolare grazie ai seguenti elementi:
la gestione del regime di assistenza sarà affidata alle delegazioni fin dall’inizio;
la Commissione propone risorse finanziarie e umane specifiche per assicurarne la gestione, sia a livello di delegazione che di sede centrale;
lo strumento di attuazione privilegiato per questo tipo di assistenza sarà il sostegno di bilancio, ovviamente nel rispetto delle condizioni di ammissibilità;
la Commissione propone procedure relativamente semplici e rapide, senza escludere lo stretto coinvolgimento degli Stati membri nelle decisioni relative all’attuazione del regime di assistenza.
La Commissione desidera tuttavia sottolineare che gli effetti di questo regime di assistenza non dipendono solo dalle procedure amministrative comunitarie, ma anche dalla qualità delle strategie di adeguamento definite dagli stessi paesi. La Commissione li incoraggia a svolgere un ruolo attivo in questo processo, in modo da poter disporre di una buona base per l’attuazione del sostegno nel momento in cui lo strumento proposto dalla Commissione entrerà in vigore.
La Commissione desidera cogliere l’occasione per incoraggiare il Parlamento ad adottare appena possibile la proposta di regolamento, assicurando che nel bilancio siano stanziate le relative risorse finanziarie supplementari.
Interrogazione n. 54 dell'on. Anne Van Lancker (H-0539/05)
Oggetto: Continuità della politica nel settore delle cure sanitarie e dei diritti in materia di sessualità e di riproduzione
Il partenariato strategico con l'OMS (25 milioni di euro) pone l'accento sulla mortalità infantile e neonatale, nonché sulla mortalità legata alla maternità. Quindi è molto importante che ulteriori sforzi siano esplicati nei settori della pianificazione familiare e della prevenzione, segnatamente per quanto riguarda la messa a disposizione permanente di preservativi. Queste priorità politiche devono essere sancite nel bilancio. Ora, la linea di bilancio relativa alle cure sanitarie e ai diritti in materia di sessualità e di riproduzione scomparirà nel 2006. Vi sarà un seguito? Come garantire la continuità dei progetti in corso in questo settore e come intende la Commissione colmare, in futuro, il cosiddetto "decency gap"?
La Commissione desidera ribadire il suo impegno a promuovere le cure sanitarie e i diritti in materia di sessualità e di riproduzione e ad attuare il piano d’azione del Cairo.
Dal punto di vista finanziario, il partenariato con l’Organizzazione mondiale della Sanità prevede una durata di cinque anni e lo stanziamento di un importo di 25 milioni di euro a titolo del nono Fondo europeo di sviluppo (FES), che sarà erogato a partire dalla fine del 2005.
Per quanto riguarda le risorse di bilancio, è in corso il processo di selezione delle proposte di progetto da finanziare con i fondi disponibili per il 2005 e il 2006. I progetti selezionati saranno quindi finanziati fino alla loro conclusione, ben oltre il 2006. In merito al seguito della linea di bilancio in questione, è in corso la definizione della nuova struttura del bilancio comunitario e a questo scopo la Commissione sta elaborando una strategia relativa ai programmi tematici, anche nel campo dello sviluppo umano e sociale, che prevede di attuare nel quadro delle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013. Nell’ambito del processo di elaborazione di tali strategie, la Commissione presenterà proposte concrete in merito alle future risorse finanziarie.
Quanto al “decency gap”, creato nel 2002 a seguito della decisione del governo statunitense di sospendere i finanziamenti al Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (FNUAP), la Commissione ha fornito a tale organizzazione un contributo aggiuntivo di 22 milioni di euro, oltre a un importo di 10 milioni di euro alla International Planned Parenthood Federation (Federazione internazionale per la pianificazione familiare). Tali importi sono stati utilizzati per finanziare programmi e attività attualmente in corso.
Nel quadro dell’iniziativa europea nel campo della salute riproduttiva e sessuale avviata nel 2004 dalla Presidenza olandese, la Commissione ha deciso di fornire al FNUAP un contributo aggiuntivo di 15 milioni di euro a titolo del nono FES per l’acquisto di articoli sanitari, preservativi e prodotti simili nei paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico che ne hanno bisogno. Nei prossimi anni la Commissione fornirà sostegno al FNUAP mettendo a disposizione risorse finanziarie per le attività tematiche.
Interrogazione n. 55 dell'on. Dimitrios Papadimoulis (H-0448/05)
Oggetto: Sicurezza degli alimenti
Secondo un articolo intitolato "Risk Based Consumption Advice for Farmed Atlantic and Wild Pacific Salmon Contamined with Dioxins and Dioxins-like Compounds" pubblicato nel maggio 2005 (Foran et al., Environmental Health Perspectives, 113:552-556), sono state trovate sostanze come i PCB, il tossafene, la dieldrina, le diossine e gli eteri difenili polibrominati, in concentrazioni molto più elevate nei salmoni provenienti da pescicolture europee rispetto ai salmoni di vivai dell'America del nord e del sud. Tali sostanze possono causare problemi al sistema riproduttivo umano nonché carcinogenesi. I redattori dello studio raccomandano segnatamente ai consumatori europei di non consumare salmone proveniente da pescicoltura europea più di quattro volte al mese mentre permettono agli americani di consumarne fino a dieci volte al mese.
Può la Commissione indicare se effettivamente si registrano percentuali più elevate di sostanze chimiche nei salmoni provenienti da pescicolture europee e se il loro consumo è innocuo e in quali quantità? Ha proceduto la Commissione a una valutazione scientifica dei rischi per la salute per quanto riguarda il consumo umano anche di altri tipi di pesce proveniente da pescicolture e intende adottare una legislazione più rigorosa onde ridurre le sostanze tossiche e chimiche nelle pescicolture?
L’interrogazione dell’onorevole parlamentare fa riferimento ai consigli sul consumo di pesce forniti nell’articolo “Risk Based Consumption Advice for Farmed Atlantic and Wild Pacific Salmon Contaminated with Dioxins and Dioxin-like Compounds” pubblicato nel maggio 2005. Nella seduta plenaria di febbraio dell’anno scorso, il Commissario Byrne aveva detto che tale studio non sollevava nuovi problemi in materia di sicurezza alimentare, poiché i livelli rilevati erano coerenti con i risultati di altre indagini e dei controlli ufficiali.
I consigli sul consumo di pesce contenuti nell’articolo citato sono basati su un valore orientativo di livelli di assunzione tollerabili di diossine e PCB simili alle diossine ottenuto con un metodo di valutazione dei rischi non riconosciuto a livello internazionale, come confermato nel corso di un congresso scientifico organizzato dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) nel giugno 2004.
Il 22 giugno 2005 il gruppo scientifico sui contaminanti della catena alimentare (CONTAM Panel) dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare ha adottato una valutazione scientifica dei rischi per la salute legati al consumo umano di pesci selvatici e di pesci di allevamento. Tale valutazione è stata effettuata su richiesta formale del Parlamento e ha riguardato in particolare varie specie di pesce (di allevamento, selvatico, marino, di acqua dolce, magro e grasso) commercializzate in quantità considerevoli nell’Unione europea.
Il gruppo scientifico dell’EFSA ha concluso che i livelli di nutrienti e di contaminanti del pesce, compreso il salmone, dipendono in gran parte dai seguenti fattori: specie, stagione, dieta, luogo, fase di vita ed età. Questi livelli variano ampiamente all’interno di una stessa specie e da una specie all’altra, sia per i pesci selvatici che per quelli di allevamento. Tenendo conto di questi fattori, non è stata osservata alcuna differenza sostanziale nei livelli di nutrienti e di contaminanti tra pesce selvatico e pesce di allevamento, compreso il salmone.
Il gruppo scientifico ha concluso che, per quanto riguarda la sicurezza, per il consumatore non vi è differenza fra pesce selvatico e pesce di allevamento, neppure per il salmone.
Il gruppo scientifico ha inoltre concluso che è dimostrato che il consumo di pesce, compreso il pesce di allevamento, e specialmente di pesce grasso, giova al sistema cardiovascolare e si addice alla prevenzione secondaria in caso di malattia coronarica manifesta ed è probabile che tale consumo sia benefico anche per lo sviluppo fetale.
Il gruppo scientifico ha anche sottolineato che al momento non esiste purtroppo alcuna metodologia concordata per confrontare da un punto di vista quantitativo i rischi e i benefici del consumo di pesce.
Ciononostante, la presenza di diossine e di altri contaminanti è motivo di preoccupazione per la Commissione, che nel 2001 ha adottato una strategia globale per ridurre la presenza di diossine e PCB nell’ambiente, nei mangimi e negli alimenti, la cui attuazione darà nuovo impulso alla riduzione di diossine in mangimi e alimenti, compresi i pesci. La Commissione intende pertanto rivedere i livelli massimi in modo da tener conto dei risultati di tale strategia. Inoltre, il regolamento (CE) n. 850/2004 relativo agli inquinanti organici persistenti prevede misure per eliminare o ridurre alcuni di tali inquinanti riconosciuti a livello internazionale.
Il pesce, di allevamento o selvatico, deve far parte di un’alimentazione equilibrata per assicurare che i consumatori continuino a beneficiare dei suoi effetti positivi sulla salute. Il parere scientifico dell’EFSA relativo alla valutazione sulla sicurezza dei pesci selvatici e dei pesci di allevamento fornisce a questo proposito un supporto scientifico.
Interrogazione n. 56 dell'on. Carl Schlyter (H-0475/05)
Oggetto: Revisione della politica in materia di salute degli animali
Numerose autorità collegano l'aumento dell'incidenza delle malattie epizootiche al crescere dell'intensificazione della produzione agricola. Citando da una dichiarazione congiunta FAO/OIE, "gli effetti dell'influenza aviaria e la minaccia di futuri focolai di malattie transfrontaliere, comprese le zoonosi, aumenteranno con il crescere dell'intensificazione della produzione animale, a meno che non ci sia un intervento veterinario significativo e prolungato atto a interrompere il ciclo di trasmissione e insorgenza delle malattie". La dichiarazione, poi, prosegue, precisando solamente che detto "intervento veterinario prolungato" sarà molto difficile da porre in atto in molti dei paesi chiave.
Intende la Commissione considerare i meccanismi che mirano esplicitamente a ridurre la dipendenza dell'agricoltura europea dall'allevamento intensivo nel quadro della prossima riforma della sua politica in materia di salute degli animali?
E’ chiaro che la frase tratta dagli atti di un recente seminario svoltosi in Vietnam fa riferimento all’attuale epidemia di influenza aviaria in Asia.
E’ opportuno citare un’altra frase tratta dalle conclusioni dello stesso seminario:
“L’insorgenza (della malattia) nella regione è legata alla produzione animale tradizionale che comprende la produzione di pollame da cortile e di sussistenza, le pratiche di allevamento di più specie di animali e i sistemi di commercializzazione di pollame vivo”.
La produzione agricola intensiva non viene pertanto individuata come fattore di rischio decisivo per l’insorgenza e la diffusione della malattia.
Più in generale, l’onorevole parlamentare desume che la riduzione della produzione agricola intensiva nella Comunità costituirebbe la misura più adeguata per una riduzione dei rischi derivanti dalle malattie degli animali e dai loro effetti.
La Commissione ritiene che la situazione sia più complessa.
I fattori che possono contribuire all’insorgenza di malattie negli animali e all’amplificazione dei loro effetti, fra cui la densità della popolazione animale e i rischi biologici delle aziende agricole, saranno affrontati nell’ambito di una nuova strategia comunitaria in materia di salute degli animali.
Nella prospettiva dell’elaborazione di questa nuova strategia al fine di un miglioramento della prevenzione e del controllo delle malattie degli animali nell’Unione europea, come annunciato dal Commissario responsabile per la salute e la protezione dei consumatori nella riunione del Consiglio “Agricoltura” del dicembre 2004, la Commissione intende proporre nel 2007 una comunicazione che stabilisca le azioni da intraprendere per il periodo 2007-2013. L’elemento fondamentale nell’elaborazione di tale strategia sarà la valutazione esterna basata su un approccio partecipativo cui sarà sottoposta l’attuale politica comunitaria in materia di salute degli animali. Le conclusioni finali e le raccomandazioni potrebbero essere rese note entro la metà del 2006. Le conseguenti opzioni politiche e i loro effetti economici, ambientali e sociali saranno esaminati nel corso di tale processo di valutazione e faranno parte di una valutazione di impatto.
La futura politica in materia di salute degli animali sarà volta a incoraggiare i produttori ad adottare le misure appropriate per prevenire in modo più adeguato le malattie degli animali e ridurne gli effetti negativi.
Interrogazione n. 57 dell'on. Mairead McGuinness (H-0480/05)
Oggetto: Etichettatura alimentare
Alla luce dei risultati del sondaggio sull'atteggiamento dei consumatori nei confronti del benessere degli animali effettuato da Eurobarometro e delle osservazioni pubbliche della Commissione sull'etichettatura degli alimenti compatibili con tale benessere, può essa chiarire come questo sarà possibile ora che il mercato degli alimenti nell'ambito dell'OMC è sempre più globalizzato? Può inoltre la Commissione fornire risposte in merito alle legittime preoccupazioni degli allevatori europei suscitate dallo strapotere del settore della vendita al dettaglio che, abbassando indiscriminatamente i prezzi, rende sempre più difficile la sopravvivenza dei piccoli produttori?
Condivide la Commissione il timore che tale relazione costituisca solo un'ulteriore regolamentazione che però non comporta azioni concrete a favore di consumatori o produttori?
Il sondaggio di Eurobarometro in questione pone in evidenza le difficoltà incontrate dai consumatori nell’identificare gli alimenti prodotti in modo più compatibile con il benessere degli animali, oltre alla loro disponibilità a pagare un prezzo più elevato per i prodotti compatibili con tale benessere e agli alti livelli di certezza di influire sul benessere degli animali con le loro scelte di acquisto.
Il sondaggio conferma dati già raccolti nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato con fondi comunitari intitolato “Consumer concerns about animal welfare and the impact on food choice” (preoccupazioni dei consumatori riguardo al benessere degli animali e conseguenze sulla scelta dei prodotti alimentari).
La comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo del 2002, concernente la legislazione in materia di benessere degli animali d’allevamento nei paesi terzi e le implicazioni per l’UE, ha posto in evidenza la questione dei regimi di etichettatura quale possibile mezzo per i produttori che applicano norme più rigorose in materia di benessere per recuperare l’importo dei costi e degli investimenti, in quanto i consumatori possono essere disposti a pagare un prezzo più elevato per tali prodotti. La Commissione sta valutando questa possibilità.
Un attuale progetto di ricerca finanziato dall’Unione europea intitolato “Welfare Quality” (qualità del benessere) analizzerà in modo più approfondito le preoccupazioni dei consumatori, dei venditori al dettaglio e dei produttori per quanto riguarda il benessere degli animali. Nell’ambito di tale progetto, il 17 e 18 novembre 2005 verrà organizzato a Bruxelles un seminario che consentirà alle parti interessate di definire la futura direzione di questa ricerca attraverso un dialogo aperto.
In particolare, una recente proposta della Commissione di direttiva relativa ai polli da carne prevede altresì che la Commissione presenti una specifica relazione al Consiglio e al Parlamento sulla questione dell’etichettatura obbligatoria dei prodotti alimentari basata sulla conformità alle norme in materia di benessere degli animali. La relazione terrà conto degli aspetti socioeconomici e delle considerazioni dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC).
I dati degli studi menzionati saranno molto importanti nell’individuazione di varie strategie, come quella relativa all’etichettatura, volte a rispondere alle preoccupazioni dei consumatori riguardo al benessere degli animali. La Commissione valuterà inoltre in quale modo si possano superare gli ostacoli all’espressione da parte dei consumatori di preferenze etiche nelle loro scelte alimentari.
In sintesi, la Commissione ritiene che una chiara etichettatura dei prodotti alimentari possa offrire importanti benefici ai consumatori, senza penalizzare i produttori. La Commissione è infatti del parere che l’etichettatura alla fine renderà questi prodotti più competitivi a vantaggio proprio dell’industria e in particolare di coloro che producono in un modo compatibile con il benessere degli animali.
Dall’esperienza acquisita nell’applicazione dei regimi di etichettatura volontaria esistenti è emerso che da tali iniziative possono derivare vantaggi in termini di commercializzazione. Mentre proseguono gli studi per capire di preciso in quale modo varie forme di etichettatura vengono utilizzate dai consumatori, questi ultimi hanno il diritto legittimo di chiedere e ricevere una chiara etichettatura dei prodotti, compresa un’indicazione della conformità alle norme in materia di benessere degli animali.
Interrogazione n. 58 dell'on. Anna Hedh (H-0483/05)
Oggetto: Pubblicità sugli alcolici destinata ai giovani
In Europa il consumo di alcool è il più alto del mondo. Nel 2002, l'alcool ha mietuto in Europa oltre 600 000 vittime. Nel 1999 le cause di decesso nella fascia di età compresa tra i 15 e i 29 anni erano nel 25% dei casi legate all'alcool. Il dato è stato presentato alla conferenza dell'OMS sui giovani e l'alcool tenutasi nel 2001 a Stoccolma.
Talune ricerche mostrano inoltre che la pubblicità sugli alcolici favorisce il consumo di alcool maggiormente tra i giovani. Le nuove bibite alcoliche, ad esempio, figurano tra le cause che hanno portato all'aumento del consumo di alcool registratosi tra le ragazze e le donne di giovane età a partire dalla metà degli anni '90. Sappiamo anche che negli ultimi anni l'autoregolamentazione dell'industria degli alcolici non ha funzionato. Recentemente il Commissario Kyprianou ha dichiarato di vedere una chiara correlazione tra il consumo di alcool e il peggioramento della salute della popolazione e che intende prendere sul serio il suo ruolo di responsabile della sanità pubblica.
Quali misure concrete intende adottare la Commissione per regolamentare i contenuti della pubblicità sugli alcolici, in particolare quella rivolta a un pubblico giovanile?
La Commissione condivide appieno le preoccupazioni dell’onorevole parlamentare riguardo a questa importante problematica e desidera rammentare le azioni concrete che intraprende in materia. Nel giugno 2001 il Consiglio ha adottato la raccomandazione sul consumo di bevande alcoliche da parte di giovani, in particolare bambini e adolescenti, la quale fu in larga misura dovuta alla diffusa preoccupazione del pubblico, dei mezzi di informazione e dei politici circa la possibilità che le nuove bibite alcoliche commercializzate costituissero un richiamo soprattutto per i bambini.
La raccomandazione elenca una serie di misure che gli Stati membri potrebbero adottare per evitare che le bevande alcoliche vengano studiate e commercializzate per i giovani. Il Consiglio raccomanda che gli Stati membri dovrebbero, tra l’altro, favorire la creazione di meccanismi efficaci nei settori della promozione, commercializzazione e vendita al dettaglio per assicurare che i produttori non realizzino bevande alcoliche specificamente destinate ai bambini e agli adolescenti.
La raccomandazione invita la Commissione a riferire riguardo all’attuazione delle misure proposte entro la fine del quarto anno dalla data di adozione della raccomandazione, e in seguito regolarmente.
La Commissione attualmente sta elaborando la relazione, che dovrebbe essere pronta entro la fine di quest’anno. La Commissione intende pertanto stabilire un quadro globale delle misure intraprese dagli Stati membri, ma sappiamo, ad esempio, che l’industria delle bevande alcoliche e/o il settore pubblicitario in molti Stati membri hanno risposto alla preoccupazione istituendo strutture di autoregolamentazione o rafforzando quelle esistenti, che comprendono anche le procedure di denuncia.
La Commissione desidera anche richiamare l’attenzione dell’onorevole parlamentare sulle conclusioni del Consiglio del 5 giugno 2001 relative a una strategia comunitaria intesa a ridurre i pericoli connessi con l’alcol, che invita la Commissione a presentare proposte per una strategia comunitaria globale intesa a ridurre i pericoli connessi con l’alcol, che stabilisca un calendario delle diverse azioni. La strategia dovrebbe includere una gamma coordinata di attività comunitarie in tutti i settori d’azione pertinenti, quali la ricerca, la protezione dei consumatori, i trasporti, la pubblicità, la commercializzazione, la sponsorizzazione, le accise e altri aspetti del mercato interno. La Commissione sta attualmente elaborando la strategia, che dovrebbe essere pubblicata entro l’inizio del prossimo anno. Tenuto conto che l’abitudine di consumare bevande nocive è in aumento tra i giovani e la commercializzazione è un’industria globale, la Commissione ha già individuato il consumo di bevande alcoliche tra i minorenni e la comunicazione commerciale come settori fondamentali per la strategia.
A questo proposito è anche importante la direttiva “Televisione senza frontiere”, che indica vari criteri cui la pubblicità televisiva delle bevande alcoliche deve conformarsi, uno dei quali è che non deve rivolgersi espressamente ai minorenni, né, in particolare, presentare minorenni intenti a consumare tali bevande.
La Commissione desidera altresì menzionare che, nell’ambito del programma nel campo della sanità pubblica, ha deciso di cofinanziare un progetto denominato ELSA, che valuterà l’applicazione delle norme nazionali e dell’autoregolamentazione in materia di pubblicità e commercializzazione di alcolici. Questo progetto, che è stato avviato quest’anno e durerà fino alla fine del 2006, fornirà anche raccomandazioni politiche per la Commissione.
Dal punto di vista della regolamentazione, la proposta relativa alle indicazioni nutrizionali e sulla salute, per la quale il Parlamento ha adottato di recente un parere in prima lettura, prevede all’articolo 4 disposizioni volte a limitare l’inclusione di taluni messaggi, come le indicazioni sulla salute, nella commercializzazione di bevande alcoliche. E’ certo che tale disposizione rappresenta una misura concreta nella direzione auspicata dal Parlamento e dalla Commissione.
Infine, la Commissione desidera sottolineare che non si dovrebbe dimenticare il ruolo centrale svolto dagli Stati membri nell’affrontare i pericoli connessi con l’alcol. Un approccio integrato richiede un’azione concertata di tutte le parti interessate, comprese famiglie, scuole, datori di lavoro, industria, pubblicitari e autorità nazionali di regolamentazione.
Interrogazione n. 59 dell'on. Mia De Vits (H-0490/05)
Oggetto: Temperatura di conservazione degli alimenti
Attualmente non esiste alcuna normativa sulle temperature di conservazione degli alimenti. Il 74% di essi sono conservati a temperature non idonee. Talvolta l'etichetta indica una temperatura di conservazione che oscilla tra i 4 e i 7° C a seconda dello Stato membro ed è assurdo che, sulla base di 25 normative nazionali, siano indicate sulle etichette temperature di conservazione diverse per lo stesso prodotto. Intende pertanto la Commissione prendere in considerazione un'armonizzazione delle temperature di conservazione degli alimenti? In caso affermativo, quando? Che ne pensa la Commissione di una campagna d'informazione volta a sensibilizzare i consumatori sulle corrette temperature di conservazione degli alimenti?
La conformità alle norme in materia di temperatura di conservazione e il mantenimento della catena del freddo sono elementi essenziali per salvaguardare, in tutta la catena alimentare, la sicurezza e la qualità dei prodotti alimentari più deperibili.
A parte alcuni prodotti di origine animale, nella legislazione comunitaria non sono tuttavia stabiliti specifici criteri di temperatura. Si ritiene infatti più appropriato ed efficace affrontare la questione delle condizioni di temperatura di conservazione per i prodotti alimentari a livello di operatori del settore alimentare anziché a livello comunitario. Gli operatori del settore alimentare sono nella posizione migliore per fissare le condizioni alle quali gli alimenti prodotti devono essere conservati, in quanto è chiaro che tali requisiti sono legati alla natura, al processo di produzione e alla conservabilità degli alimenti.
Questo approccio continua a prevalere nel nuovo quadro normativo in materia di igiene che entrerà in vigore dal 1o gennaio 2006.
Si deve inoltre cercare di educare in modo più adeguato i consumatori sulla necessità di rispettare le condizioni di conservazione specificate dai produttori sulle confezioni degli alimenti. L’insorgenza di focolai di infezione di origine alimentare è spesso dovuta infatti a un’errata manipolazione degli alimenti dopo l’acquisto e alle frequenti interruzioni della catena del freddo. Le campagne di informazione possono essere importanti strumenti educativi al riguardo e devono essere promosse a livello nazionale.
Interrogazione n. 60 dell'on. Rodi Kratsa-Tsagaropoulou (H-0519/05)
Oggetto: Sicurezza della gravidanza e del parto
Nel Libro verde dal titolo "Una nuova solidarietà tra le generazioni di fronte ai cambiamenti demografici" recentemente pubblicato dalla Commissione, sono riportati i dati relativi alla crescita demografica europea che, nel 2003, è stata solo dello 0,04% annuo, percentuale che comprende anche le cifre relative ai nuovi Stati membri, i quali, con le sole eccezioni di Cipro e Malta, hanno addirittura fatto registrare un calo demografico. Secondo i più recenti dati diffusi dall'Organizzazione mondiale della sanità e dall'OCSE, il tasso di mortalità infantile e tra le madri in Europa ha raggiunto livelli preoccupanti (17,4 casi su 100.000 nascite), anche se poi le cifre variano considerevolmente da Stato membro a Stato membro.
Dispone la Commissione dei dati relativi ai singoli Stati membri? Nell'ambito delle politiche demografica e di sanità dell'Unione, intende la Commissione intraprendere iniziative concrete a favore della sicurezza delle donne durante la gravidanza e il parto, soprattutto negli Stati membri che presentano maggiori problemi al riguardo? Nell'ambito della ricerca europea, intende la Commissione promuovere programmi specifici per la risoluzione, attraverso visite prenatali, l'ammodernamento delle attrezzature e delle cure mediche ecc., del problema in esame?
Pur essendo vero che è previsto un calo demografico in molti Stati membri nei prossimi decenni, è importante tener presente che questo non è dovuto a un aumento della mortalità infantile o di quella legata alla maternità, che in realtà sono diminuite in tutti gli Stati membri, anche se esistono ancora ampie differenze tra i vari paesi.
La Commissione desidera sottolineare che gli ultimi dati sulla mortalità infantile contenuti in EurLife, la banca dati interattiva sulle condizioni di vita e la qualità della vita in Europa della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, avvalorano le precedenti considerazioni. I dati forniti riguardano gli attuali 25 Stati membri dell’Unione europea e tre paesi candidati, ossia Bulgaria, Romania e Turchia.
La Commissione non ha il potere di proporre direttamente norme e misure di sicurezza nel campo della sanità pubblica, compito che spetta in primo luogo agli Stati membri. Nell’ambito del programma di azione nel campo della sanità pubblica, potrebbe esservi l’opportunità di uno scambio di informazioni e di esperienze sulle buone prassi nei vari Stati membri; a questo proposito, le priorità di finanziamento dipendono dai rispettivi programmi di lavoro annuali.
Più in generale, la legislazione comunitaria in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro prevede la tutela delle gestanti sul luogo di lavoro. In particolare, la direttiva 92/85/CEE del Consiglio relativa alla sicurezza e alla salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti o puerpere prevede, tra l’altro, un congedo per maternità minimo di almeno 14 settimane, ripartite prima e/o dopo il parto.
In questo settore sono stati attuati vari progetti di ricerca riguardanti la salute pubblica, la diagnosi e gli aspetti tecnologici. La proposta della Commissione per il settimo programma quadro di ricerca, che deve ancora essere approvata dal Consiglio e dal Parlamento, offre in questa fase prospettive favorevoli per la ricerca sulla problematica sollevata dall’interrogazione.
Interrogazione n. 61 dell'on. Milan Gaľa (H-0528/05)
Oggetto: Possibilità di finanziare il costo della prevenzione e della cura della pandemia d'influenza ricorrendo al Fondo europeo di solidarietà
Nel dibattito sulla "minaccia globale di una pandemia di influenza", che era un punto all'ordine del giorno della tornata del Parlamento europeo per il 12 aprile 2005, il Commissario Markos Kyprianou ha fatto riferimento alla possibilità di finanziare il costo della prevenzione e della cura dell'incombente pandemia di influenza attraverso il Fondo europeo di solidarietà. Quali iniziative ha assunto finora la Commissione, in accordo con il Parlamento europeo, per attivare tale finanziamento?
La Commissione è lieta di informare l’onorevole parlamentare di un’importante novità per quanto riguarda il finanziamento delle spese sostenute per l’uso di vaccini e antivirali.
Il 6 aprile la Commissione ha adottato una proposta di regolamento relativo a un nuovo Fondo di solidarietà dell’Unione europea che amplia in misura considerevole il campo di intervento dell’attuale Fondo di solidarietà. Il regolamento proposto prevede la possibilità di contribuire ai costi sostenuti per le spese effettive in caso di pandemia a determinate condizioni.
Questo Fondo prevede un volume annuale di 1 miliardo di euro e contempla esplicitamente la possibilità di coprire i costi della spesa relativa a vaccini e antivirali. Se il Parlamento e il Consiglio approveranno la proposta della Commissione, l’Unione europea avrebbe maggiori possibilità di garantire una protezione e interventi medici più adeguati nell’eventualità di una prossima pandemia.
La Commissione conta sul sostegno del Parlamento per questa proposta di ampia portata.
Interrogazione n. 62 dell'on. Justas Vincas Paleckis (H-0529/05)
Oggetto: Creazione di centri regionali finanziati dall'Unione europea nei nuovi Stati membri, per il controllo della propagazione dell'HIV/AIDS dalle regioni limitrofe verso l'UE.
Durante la seconda Conferenza europea sull'AIDS, organizzata dalla Commissione europea a Vilnius nel 2004, i Ministri della sanità degli Stati membri dell'UE hanno approvato il progetto per la creazione di un centro regionale di informazione sull'AIDS finanziato dall'UE, che dovrebbe raccogliere e diffondere le ultime scoperte scientifiche e le procedure degli Stati membri dell'UE, e fornire generalmente informazioni sulle teorie e la strategia dell'UE per combattere tale malattia.
Sotto vari aspetti, gli esperti credono che la Lituania potrebbe essere il posto ideale per la creazione di tale centro: programmi nazionali per prevenire e porre fine alla propagazione dell'HIV sono stati attuati con successo e la Lituania mantiene contatti permanenti con la regione di Kaliningrad e con la Bielorussia per quanto concerne il controllo dell'HIV/AIDS.
Non ritiene l'Unione europea opportuno permettere la creazione di alcuni centri regionali con i finanziamenti UE nei nuovi Stati membri, inclusa la Lituania, per il controllo della propagazione dell'AIDS dalle regioni limitrofe verso l'UE (nel caso della Lituania, dalla regione di Kaliningrad e dalla Bielorussia)?
Affrontare l’epidemia di HIV/AIDS è nostro compito comune. Lavorare insieme offre un’effettiva opportunità di unire le competenze e le conoscenze disponibili in tutto il continente al fine di individuare i migliori strumenti di prevenzione, sostegno, trattamento e cura.
Per rafforzare la capacità dell’Europa contro le minacce costituite dalle malattie trasmissibili, la Commissione ha proposto di istituire un Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, che ha iniziato l’attività pochi mesi fa a Stoccolma.
Il rafforzamento della vigilanza sull’HIV/AIDS sarà una delle priorità del Centro e pertanto la Commissione confida che in futuro si potrà disporre di dati e informazioni più attendibili sull’epidemia in tutta Europa. Se in futuro si rivelasse necessaria la creazione di centri regionali, è ovvio che la Commissione valuterà la questione.
La Commissione ha instaurato buoni legami con i paesi limitrofi, in particolare con la Federazione russa, l’Ucraina, la Bielorussia e la Moldova, tutti paesi in cui l’epidemia di HIV/AIDS si sta rapidamente diffondendo.
La Commissione è consapevole dei problemi specifici dei paesi baltici per quanto riguarda la diffusione dell’HIV/AIDS e intende incoraggiare le organizzazioni che si occupano del problema a creare partenariati negli Stati baltici e con paesi con problemi analoghi. Tali reti potrebbero essere istituite come progetti e, se apportano valore aggiunto alla Comunità, potrebbero chiedere un cofinanziamento attraverso i programmi e gli strumenti comunitari esistenti.
Interrogazione n. 63 dell'on. Caroline Lucas (H-0549/05)
Oggetto: Analisi per la rilevazione di tossine nei molluschi
Vi è crescente preoccupazione per l'attuazione della direttiva 91/492/CEE(1) del Consiglio, che stabilisce le norme sanitarie applicabili alla produzione e alla commercializzazione dei molluschi bivalvi vivi e prescrive quale metodo di riferimento un biotest sui topi per la rilevazione di tossine nei molluschi.
È riconosciuto che la DG SANCO, mediante il laboratorio comunitario di riferimento in consultazione con il Centro europeo per la convalida di metodi alternativi (ECVAM), ha intrapreso attività di convalida per sostituire la sperimentazione su animali. Sembra tuttavia che l'Ufficio alimentare e veterinario (Irlanda) insisterà sull'applicazione del metodo basato su biotest sui topi, anche se gli Stati membri da molti anni applicano con successo metodi in vitro o un affinamento o una riduzione del metodo in vivo.
Dato che ciò è chiaramente in contrasto con la direttiva 86/609/CEE(2) sulla protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici, potrebbe la Commissione far sapere come intende agire?
La Commissione considera una priorità la sostituzione dei metodi di analisi biologica che utilizzano i roditori per verificare l’assenza di biotossine nei molluschi e si sta occupando della questione in stretta collaborazione con il Centro europeo per la convalida di metodi alternativi (ECVAM).
L’intossicazione con biotossine di molluschi bivalvi è una forma abbastanza grave di intossicazione alimentare che può essere contratta attraverso il consumo di molluschi. Gli Stati membri devono verificarne la presenza e, in caso di rilevamento, le zone di produzione dei molluschi vengono chiuse fino a quando il problema non è stato risolto.
Vi sono molte tossine di molluschi diverse e sono disponibili metodi di analisi senza l’impiego di animali convalidati per molti, ma non per tutti i tipi. Ne consegue che il metodo di riferimento per rilevare tutte queste tossine ed evitare che vengano raccolti molluschi tossici resta il biotest sui topi.
La Commissione da molti anni cerca attivamente di sostituire i metodi di analisi biologica con metodi alternativi e negli ultimi tempi ha chiesto al laboratorio di riferimento comunitario di Vigo, in Spagna, di sviluppare, in collaborazione con l’ECVAM e con l’assistenza dei laboratori di riferimento nazionali, metodi alternativi entro la fine del 2005. E’ ovvio che questo processo terrà conto anche degli sviluppi internazionali, e in particolare del recente lavoro compiuto negli Stati Uniti su un metodo di analisi chimica del tenore di veleno paralizzante, attualmente in fase di convalida in Europa.
L’attuale legislazione consente agli Stati membri di utilizzare metodi diversi dai biotest laddove esistano. I metodi chimici alternativi possono tuttavia sostituire i metodi biologici solo se danno risultati equivalenti per quanto riguarda la sensibilità e l’affidabilità diagnostica.
La Commissione incoraggia gli Stati membri a continuare a lavorare in questo settore e a condividere i risultati, i metodi e i materiali di riferimento.
Quando saranno stati convalidati metodi alternativi sufficienti per tutte le tossine, la Commissione sarebbe molto lieta di proporre di modificare la legislazione comunitaria in modo da poter eliminare in modo definitivo i biotest sui topi.
Interrogazione n. 64 dell'on. Bart Staes (H-0446/05)
Oggetto: Controlli appropriati sulla destinazione dei fondi stanziati in seguito allo tsunami
La Commissione europea ha promesso di stanziare 350 milioni di euro per il ripristino e la ricostruzione a medio termine delle zone colpite dallo tsunami.
Quali provvedimenti ha preso la Commissione per garantire il corretto utilizzo di questi fondi e quali meccanismi di controllo ha instaurato per evitare il verificarsi di frodi? Esistono già relazioni al riguardo?
Lo tsunami che il 26 dicembre 2004 si è abbattuto sui paesi dell’Oceano Indiano è stato una delle peggiori calamità della storia. La reazione allo tsunami è stata straordinaria. La comunità internazionale ha risposto con grande generosità impegnando un importo di oltre 6,2 miliardi di euro per gli aiuti di emergenza e la ricostruzione, che corrisponde al livello generale di esigenze dei paesi più colpiti.
La Commissione ha svolto un ruolo di primo piano in tale risposta internazionale. Alla conferenza dei donatori svoltasi in gennaio a Giakarta, l’Unione europea si è impegnata a stanziare 123 milioni di euro per gli aiuti umanitari e 350 milioni di euro per gli aiuti al ripristino e alla ricostruzione a più lungo termine. Gli aiuti a più lungo termine saranno destinati in modo particolare ai paesi più gravemente colpiti, ossia Indonesia, Sri Lanka e Maldive. Gli altri paesi interessati, vale a dire India e Tailandia, hanno reso noto all’Unione europea che non hanno bisogno degli aiuti comunitari, che dovrebbero essere concentrati sui paesi che ne hanno maggiore necessità. Va sottolineato che l’importo totale che l’Unione europea si è impegnata a stanziare per gli aiuti umanitari e la ricostruzione (473 milioni di euro) è in linea con quelli di entità più elevata che altri donatori si sono offerti di fornire (Giappone: 385 milioni di euro, Stati Uniti: 700 milioni di euro, Australia: 590 milioni di euro, Canada: 265 milioni di euro, Banca mondiale: 195 milioni di euro, Banca asiatica per lo sviluppo: 385 milioni di euro). L’Unione europea è inoltre il maggiore donatore con circa 2,3 miliardi di euro dell’aiuto internazionale totale impegnato di circa 6,2 miliardi di euro.
La maggior parte degli aiuti comunitari alla ricostruzione passerà attraverso fondi fiduciari di più donatori e la Banca mondiale sarà il fiduciario. I fondi fiduciari rafforzeranno il coordinamento tra i donatori e garantiranno trasparenza, efficienza e flessibilità. In tutte le circostanze la Commissione farà sì che l’uso dei fondi erogati attraverso fondi fiduciari sia in linea con le norme fiduciarie internazionali, che sia assicurata adeguata trasparenza e che vengano presentate con regolarità relazioni sull’uso dei fondi. Tutto questo è garantito nel caso dell’Indonesia e dello Sri Lanka dal fatto di avere quale fiduciario la Banca mondiale per gestire direttamente il flusso di fondi e nel caso delle Maldive dall’assicurazione fornita dalla Banca mondiale e dalla Banca asiatica per lo sviluppo che il governo utilizza un sistema di gestione finanziaria adeguato e in linea con le norme internazionali.
Anche per quanto riguarda i programmi cofinanziati con le organizzazioni internazionali, come le Nazioni Unite e la Banca asiatica per lo sviluppo, vengono applicate norme di gestione finanziaria internazionali ed è prevista la presentazione di relazioni. In tutti gli altri casi, la Commissione sarà incaricata della gestione diretta dei fondi e assicurerà una sana gestione finanziaria e la presentazione di relazioni conformemente al regolamento finanziario(1) e alle procedure interne.
Infine, in merito ai controlli e alle relazioni, è previsto un meccanismo di regolare elaborazione di relazioni che i fiduciari che gestiscono i fondi fiduciari dovranno fornire ai donatori. La Commissione ha stanziato specifiche risorse per l’Unione europea per avviare valutazioni intermedie di controllo indipendenti in merito all’andamento e ai risultati di ogni singolo fondo fiduciario. Al Parlamento europeo e al Consiglio saranno fornite informazioni regolari sulle relative relazioni intermedie.
La Commissione attribuirà la massima importanza a una buona assegnazione delle risorse e alla prevenzione delle frodi.
Regolamento (CE, Euratom) n. 1605/2002 del Consiglio che stabilisce il regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee, GU L 248 del 16.9.2002.
Interrogazione n. 65 dell'on. Sajjad Karim (H-0450/05)
Oggetto: Accordi di partenariato economico (APE)
Negli ultimi mesi gli Accordi di partenariato economico attualmente in via di negoziato tra l'UE e i paesi dell'ACP stanno destando crescenti preoccupazioni. Del gruppo ACP fanno parte alcune delle nazioni in via di sviluppo più povere e vulnerabili, le cui relazioni commerciali e di sviluppo risultano di vitale importanza per il loro futuro sviluppo. Tuttavia, gli attuali accordi di partenariato economico contengono una serie di difetti, che fanno soprattutto preoccupare in vista dell'apertura di tutte le economie ACP alle importazioni UE, inclusi i prodotti agricoli, e dell'incapacità per alcuni paesi ACP di negoziare su un piede di parità con la UE. Molte ONG temono che il risultato di tali negoziati risultino disastrosi per i paesi meno avanzati.
Ha la Commissione tenuto conto delle preoccupazioni espresse da molti, in questo caso, in che maniera intende risolvere tali urgenti questioni al fine di garantire Accordi di partenariato economico giusti ed equi?
Come il Commissario responsabile per il commercio e il Commissario responsabile per lo sviluppo e gli aiuti umanitari hanno sottolineato in varie occasioni, gli Accordi di partenariato economico (APE) non sono accordi di libero scambio tradizionali, ma sono intesi quali strumenti per lo sviluppo e la promozione dell’integrazione economica regionale. Tali accordi serviranno da base per l’integrazione dei paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) nell’economia globale e nel sistema di scambi commerciali multilaterali.
La liberalizzazione delle importazioni ACP non è il principale obiettivo degli APE. Il primo passo decisivo del processo degli APE è sostenere la creazione di mercati regionali, che dovrebbe comprendere l’adozione di tariffe esterne comuni. La preferenza regionale, anche nei confronti delle importazioni comunitarie, sarà un elemento importante di questa politica.
Solo in una fase successiva le regioni ACP apriranno i loro mercati ai prodotti dell’Unione europea, progressivamente e nel corso del tempo. I periodi di transizione e i settori interessati saranno concordati insieme a ciascuna rispettiva regione ACP conformemente alle relative esigenze di sviluppo. Per quanto riguarda l’agricoltura, i negoziati terranno conto delle preoccupazioni di sviluppo rurale e sicurezza alimentare. In modo più specifico, una parte considerevole delle importazioni ACP potrebbe, se necessario, essere ancora protetta in base a disposizioni di salvaguardia. Inoltre, un elemento fondamentale in tali discussioni saranno gli effetti sugli introiti fiscali e il modo in cui farvi fronte, laddove richiesto. Per affrontare i problemi potranno essere necessari aiuti allo sviluppo e una diversificazione delle fonti di entrate pubbliche.
La Commissione ricorrerà agli aiuti comunitari allo sviluppo per sostenere i paesi ACP e far sì che ottengano il massimo beneficio. Tali aiuti saranno disponibili durante i negoziati e oltre. La Commissione ha già istituito un rilevante pacchetto di aiuti legati agli scambi commerciali per i paesi ACP pari a un importo di circa 650 milioni di euro, di cui una parte è destinata direttamente al rafforzamento della capacità negoziale dei paesi ACP. In ogni fase, il processo degli APE sarà sottoposto a verifica per garantire che gli APE mantengano la promessa di porre al primo posto lo sviluppo.
I negoziati per gli APE vengono condotti in modo trasparente. Vengono svolte regolari riunioni informative e consultazioni con tutte le parti interessate, fra cui il Parlamento, gli Stati membri, la società civile e le organizzazioni non governative (ONG), allo scopo di garantire che i loro pareri vengano presi in considerazione.
Interrogazione n. 66 dell'on. Inger Segelström (H-0453/05)
Oggetto: Scioglimento di un'associazione di insegnanti in Turchia
Il 25 magio 2005 la Corte suprema turca ha deciso di sciogliere l'associazione di insegnanti, Egitim Sen. A seguito di tale decisione, tale associazione, cui fanno capo circa 200.000 membri, ha perduto il diritto di rappresentarli di fronte ai datori di lavoro ed alle autorità. Stando alle informazioni pervenute, l'argomento che sottende siffatta decisione è che Egitim Sen difende esplicitamente il diritto all'insegnamento della lingua materna e il diritto del fanciullo a sviluppare la propria identità culturale. Secondo la Corte suprema ciò è in contrasto con la Costituzione turca.
Premesso che la Turchia ha ratificato la Convenzione dell'OIL che stabilisce norme relative ai diritti e libertà civili, come la libertà di associazione e i diritti delle minoranze, potrebbe la Commissione far sapere come intenda agire per richiamare i paesi candidati all'adesione all'UE al loro obbligo di preservare e rispettare le libertà e i diritti democratici come, nella fattispecie, la libertà di associazione?
Interrogazione n. 67 dell'on. Jonas Sjöstedt (H-0455/05)
Oggetto: Sentenza pronunciata in Turchia in merito a Egitim Sen
Il 25 maggio 2005, la Corte suprema turca ha deciso lo scioglimento dell'organizzazione sindacale degli insegnanti Egitim Sen, la quale perde quindi il diritto di rappresentare i suoi circa 200 000 membri presso le autorità e il datore di lavoro.
Alla base di tale decisione c'è il fatto che Egitim Sen nel suo statuto e nel suo regolamento difende il diritto di insegnamento nella lingua madre per tutti i bambini e il diritto di tutti a formarsi partendo dalla propria cultura d'origine. La Corte suprema ritiene che ciò sia in contrasto con la costituzione della Repubblica di Turchia, la quale stabilisce che l'insegnamento deve essere impartito integralmente in turco.
La Commissione riconosce da tempo che in Turchia sussistono tuttora considerevoli restrizioni al diritto di associazione, al diritto di negoziazione di accordi collettivi e al diritto di sciopero e che la Turchia non ottempera alle norme dell'Organizzazione internazionale del lavoro.
Secondo la Commissione, quali conseguenze comporta suddetta sentenza della Corte suprema turca per le ambizioni del paese di divenire membro dell'UE?
La Commissione ha seguito da vicino il caso di Eğitim Sen. Nel maggio 2005, in una sentenza definitiva, la Corte di cassazione ha stabilito che l’organizzazione sindacale avrebbe dovuto chiudere l’attività. Come entrambi gli onorevoli parlamentari affermano, la Corte di cassazione ha ritenuto che questa organizzazione sindacale violasse la costituzione turca, in quanto un articolo del suo statuto sostiene il diritto all’insegnamento nella propria lingua madre (mentre l’articolo 42 della costituzione turca stabilisce che l’insegnamento deve essere impartito nella lingua ufficiale, ossia il turco). La decisione della Corte di cassazione ha riformato due sentenze successive del Tribunale del lavoro a favore di Eğitim Sen.
Gli onorevoli parlamentari pongono in evidenza la possibile contraddizione con le convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). La Commissione sostiene con forza l’effettiva applicazione di tali convenzioni. Nel 1998 i membri dell’OIL, di cui la Turchia fa parte, hanno adottato una dichiarazione sui principi e i diritti fondamentali sul luogo di lavoro, che prevede una verifica che comporta una valutazione annuale, una relazione globale e conclusioni sulle priorità della cooperazione tecnica. La Commissione prenderà in debita considerazione la prossima valutazione che il consiglio di amministrazione dell’OIL effettuerà in merito all’applicazione della libertà di associazione e alla tutela dei diritto di organizzazione in Turchia.
La Commissione ha anche preso atto dell’intenzione espressa dall’avvocato Oya Aydın, che difende gli interessi di Eğitim Sen, di sottoporre la questione alla Corte europea dei diritti dell’uomo, in particolare perché il Tribunale del lavoro di Ankara aveva sottolineato che la costituzione turca dovrebbe essere interpretata conformemente alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e che una decisione di chiusura dell’organizzazione sindacale non sarebbe conforme agli articoli 10 (libertà di espressione) e 11 (libertà di associazione) della Convenzione in questione.
La Commissione ha espresso preoccupazione riguardo alla decisione della Corte di cassazione relativa a Eğitim Sen e ha dichiarato che sembra sproporzionata e non conforme alle norme comunitarie e internazionali. La Commissione continuerà a seguire da vicino il caso di Eğitim Sen nel contesto dei costanti controlli effettuati per verificare il rispetto dei diritti delle organizzazioni sindacali in Turchia.
Interrogazione n. 68 dell'on. Sarah Ludford (H-0456/05)
Oggetto: Direttiva sulle acque reflue urbane
Cosa è stato fatto perché il governo britannico eviti di incorrere nelle procedure previste per la violazione della Direttiva 91/271/CEE(1) sulle acque reflue, per non essere riuscito ad evitare lo scarico massiccio nel Tamigi di acque reflue non trattate, e si convinca ad installare il "canale intercettore", mezzo indicato per canalizzare le acque di scorrimento?
La Commissione ha ricevuto alcune denunce a seguito dello scarico di considerevoli quantità di acque reflue non trattate nel fiume Tamigi nell’agosto 2004. Questo caso ha sollevato l'interrogativo se la capacità degli impianti di raccolta e di trattamento delle acque reflue urbane di Londra fosse sufficiente per assicurare la piena conformità alle disposizioni della direttiva 91/271/CEE del Consiglio concernente il trattamento delle acque reflue urbane. La Commissione ha pertanto inviato una lettera di costituzione in mora al Regno Unito ai sensi dell’articolo 226 del Trattato CE, chiedendo di esprimere le sue osservazioni. E’ stata ricevuta un risposta che ora è in fase di esame. Se risulterà che le accuse sono fondate, il Regno Unito avrà l’obbligo di migliorare la capacità degli impianti di raccolta e di trattamento che servono Londra. Tenuto conto che la direttiva 91/271/CEE è una direttiva basata sui risultati, la scelta della soluzione sarà una questione sulla quale spetterà al Regno Unito decidere.
Interrogazione n. 69 dell'on. Bogusław Sonik (H-0457/05)
Oggetto: Assunzione di amministratori polacchi
Secondo la relazione Kallas (presentata il 27 aprile 2005) sull'attuale situazione delle assunzioni di amministratori provenienti dai 10 nuovi Stati membri, la proporzione di quelli di origine polacca risulterebbe essere molto al di sotto della media (circa il 20% - 134 su 671 del numero fornito dalla Commissione). Tenuto conto della scadenza imminente degli elenchi di riserva (dicembre 2005), può la Commissione indicare quali siano le ragioni di tale squilibrio, se specifiche direzioni generali ne siano al corrente e quali misure siano state prese per accelerare il lento processo di assunzione degli amministratori polacchi?
Inoltre, considerate la densità della popolazione polacca (simile a quella spagnola) e la lentezza del processo di assunzione, non ritiene la Commissione che gli elenchi di riserva relativi a tale paese debbano avere un periodo di validità più lungo?
La risposta all’interrogazione dell’onorevole parlamentare riguarda principalmente la Commissione in quanto è evidente che essa non è responsabile delle assunzioni nelle altre Istituzioni.
Al fine di giungere a un equilibrio geografico nell’assunzione di funzionari provenienti dai nuovi Stati membri, il regolamento (CE, Euratom) n. 401/2004(1) del Consiglio prevede un periodo di transizione compreso tra il 2004 e il 2010 durante il quale è possibile organizzare concorsi destinati in modo specifico a cittadini dei nuovi Stati membri.
Tale disposizione consente una regolare integrazione di funzionari dei nuovi Stati membri.
1. Come riportato nella comunicazione del Vicepresidente della Commissione responsabile per gli affari amministrativi, l’audit e la lotta antifrode del 22 aprile 2005(2), è vero che la proporzione di funzionari polacchi assunti dalla Commissione rispetto all’obiettivo fissato è inferiore alla proporzione media di funzionari originari degli altri nuovi Stati membri.
La priorità nelle assunzioni è stata data a linguisti, amministratori aggiunti e segretari. Si è calcolato che per ogni lingua fossero necessari 80 linguisti di grado A*, a prescindere dalle dimensioni del nuovo Stato membro. Per quanto riguarda gli amministratori aggiunti e i segretari, è stato ritenuto più importante avere un numero significativo di idonei di ciascuno dei nuovi Stati membri, anziché raggiungere una rappresentanza adeguata dei nuovi Stati membri nel primo anno di adesione.
Inoltre, da un’analisi della prima serie di concorsi organizzati in vista dell’allargamento è emersa una considerevole carenza del numero di idonei ottenuto rispetto a quello indicato nei bandi di concorso. La situazione era molto diversa da un paese all’altro e tra i vari settori. In esito al concorso per amministratori polacchi nel settore dell’audit, ad esempio, gli idonei sono risultati 13, mentre l’obiettivo era 40. Simili variazioni sono state osservate in altri concorsi.
2. La comunicazione del Vicepresidente della Commissione responsabile per gli affari amministrativi, l’audit e la lotta antifrode è stata messa a disposizione di tutti i servizi. Se si esaminano le assunzioni in base alle singole Direzioni generali, il quadro varia in misura considerevole per il fatto che alcuni profili sono diventati disponibili solo di recente, o non lo sono ancora.
3. La questione di un equilibrio geografico globale per nazionalità sarà affrontato nella successiva serie di concorsi. E’ in atto la valutazione delle esigenze di idonei per nuovo Stato membro. La Commissione cercherà, in stretta collaborazione con l’EPSO, di assicurare il raggiungimento di un equilibrio adeguato del personale proveniente da ciascuno dei nuovi Stati membri in tutte le categorie, comprese quelle dirigenziali di livello medio e alto, alla fine del periodo di transizione.
4. Per quanto riguarda l’utilizzo degli elenchi di riserva, la Commissione desidera chiarire due malintesi.
Innanzi tutto, il processo di assunzione non è lento e i tassi di utilizzo degli elenchi di amministratori relativi ai dieci nuovi Stati membri dimostrano con chiarezza che le assunzioni di cittadini polacchi dagli elenchi di riserva sono molto superiori alla media. La Commissione ha assunto il 67 per cento degli idonei inclusi negli elenchi di riserva polacchi rispetto al 50 per cento degli elenchi di riserva globali relativi ai dieci nuovi Stati membri.
In secondo luogo, il fatto che la validità degli elenchi di riserva sia limitata al 31 dicembre 2005 non implica necessariamente che scadranno in tale data. L’autorità che ha il potere di nomina (l’EPSO, in questo caso) può estenderne la validità (e l’esperienza dimostra che, qualora il numero di idonei ancora presenti nell’elenco sia significativo, è probabile che l’autorità che ha il potere di nomina decida di farlo).
Regolamento (CE, Euratom) n. 401/2004 del Consiglio del 23 febbraio 2004 che istituisce misure particolari e temporanee per l’assunzione di funzionari delle Comunità europee in occasione dell’adesione di Cipro, dell’Estonia, della Lettonia, della Lituania, di Malta, della Polonia, della Repubblica ceca, della Slovacchia, della Slovenia e dell’Ungheria, GU L 67 del 5.3.2004.
“Recruitment of Officials and Temporary Staff from the New Member States: State of Play and Way Forward”, SEC (2005)565.
Interrogazione n. 70 dell'on. Raül Romeva i Rueda (H-0459/05)
Oggetto: Accordo di pesca UE - Marocco/Sahara occidentale
La Commissione europea ha recentemente annunciato l'inizio di un processo negoziale con il Regno del Marocco allo scopo di sottoscrivere un accordo di pesca.
Un aspetto importantissimo del futuro accordo di pesca è la decisione di includervi o meno le acque del Sahara occidentale, ovvero il tratto di mare compreso tra il parallelo 27° 40' N e Capo Bianco.
Secondo quanto dichiarato dal responsabile degli affari giuridici delle Nazioni Unite nel parere del 29 gennaio 2002, l'Organizzazione delle Nazioni Unite ritiene che il Marocco non abbia la sovranità su detto territorio, né che possa esserne considerato "potenza amministratrice". Intende la Commissione escludere le acque del Sahara occidentale dall'accordo di pesca con il Regno del Marocco, nell'eventualità che esso venga sottoscritto?
Nel quadro dei negoziati per un accordo di partenariato con un paese terzo la Commissione si attiene ai principi del diritto internazionale e in particolare a quelli derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982. La Commissione è anche a conoscenza del parere giuridico del Sottosegretario per gli affari giuridici delle Nazioni Unite sullo status delle risorse naturali del Sahara occidentale. Tenendo presente quanto precede, la Commissione intende negoziare un accordo di partenariato per la pesca con il Marocco che si applicherebbe alle acque sotto la sovranità o la giurisdizione di tale paese.
Interrogazione n. 71 dell'on. Simon Coveney (H-0461/05)
Oggetto: Burma - Diritti umani e i civili dello Stato Shan
In considerazione dell'aumento significativo di attacchi da parte dell'esercito di Burma nei riguardi di civili Shan e delle gravi violazioni dei diritti umani che hanno luogo nello Stato Shan (Burma), quali misure concrete prende la Commissione per esercitare pressioni sulle autorità di Burma al fine di porre termine alla brutalità nella provincia di Shan e quali misure la Commissione sta prendendo per incoraggiare le autorità tailandesi a far fronte alle loro responsabilità e a fornire ai rifugiati, che ogni giorno attraversano la frontiera con la Tailandia, protezione della vita e assistenza umanitaria; la Commissione sta fornendo tale assistenza da parte dell'Unione europea?
La situazione politica e dei diritti umani in tutta la Birmania, e in particolare nelle zone abitate da minoranze etniche come lo Stato di Shan, continua a essere motivo di profonda preoccupazione per l’Unione europea. La Commissione e gli Stati membri insistono pertanto nel chiedere alle autorità birmane di prendere provvedimenti decisivi per migliorare la situazione in tali zone. Finora, purtroppo, la situazione non è cambiata.
Di recente è giunta notizia che gruppi dell’esercito nazionale dello Stato di Shan hanno rotto l’accordo di cessate il fuoco concluso con la giunta militare e che sono aumentati gli scontri tra i soldati shan e le forze governative. A quanto risulta, tali scontri avrebbero provocato un afflusso di rifugiati shan in Thailandia. Si tratta di uno sviluppo preoccupante e la Commissione continua a seguire la situazione con molta attenzione.
La Tailandia non è parte contraente della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR) mantiene uffici a Bangkok e lungo il confine, ma solo sulla base di accordi di lavoro. Ne consegue che il governo thailandese non concede il pieno status di rifugiato alle persone sfollate provenienti dalla Birmania. Le autorità hanno tuttavia fornito di fatto alloggio e protezione sul suolo thailandese.
La delegazione della Commissione a Bangkok, in pieno coordinamento con rappresentanti degli Stati membri dell’UE, si mantiene in stretto contatto con le autorità tailandesi, fra cui il ministero degli Esteri e il consiglio di sicurezza nazionale, in merito alla questione dei rifugiati birmani, per garantire che vengano trattati in base alle norme internazionali.
Tenuto conto che la situazione attuale è insostenibile nel lungo periodo, la delegazione della Commissione a Bangkok sta conducendo un dialogo con le autorità tailandesi e l’ACNUR allo scopo di ottenere un graduale miglioramento della situazione, compresa l’integrazione nel mercato del lavoro locale.
La Commissione fornisce inoltre considerevole sostegno ai rifugiati birmani che vivono al confine tra Thailandia e Birmania. Nel periodo 2002-2004 l’aiuto comunitario fornito ai rifugiati birmani è stato pari a circa 30 milioni di euro, ed è stata utilizzata per soddisfare tutta una serie di esigenze come, ad esempio, assistenza, prodotti alimentari, sanità e istruzione.
Interrogazione n. 72 dell'on. Maria Matsouka (H-0462/05)
Oggetto: Ammissione da parte dell'industria automobilistica americana General Motors di aver utilizzato cadaveri umani nei test di collisione
Stando al testo presentato sul sito web della nota industria automobilistica americana General Motors, tale impresa ha ammesso di aver attuato, in passato, un programma che prevedeva l'utilizzazione di cadaveri umani nei test di collisione (crash test). Per tali test di collisione normalmente si utilizzano manichini speciali (crash test dummies). Tuttavia, pare che il costo di tali manichini, che può raggiungere i 500.000 euro, abbia un effetto dissuasivo. Al contrario, il costo di acquisto di un cadavere è ritenuto molto più interessante!!!
Tale programma non offende soltanto la memoria del defunto ma, ancora peggio, riduce il defunto - e, in generale, l'esistenza umana - a un genere commerciabile. Allo stesso tempo, lo scarso numero di nostri simili che desiderano, dopo la morte, donare i loro organi vitali, o tutto il corpo, per salvare i malati, si ridurrà ulteriormente davanti all'esca del guadagno economico e all'estesa povertà nel mondo che è il "miglior" consigliere per la conclusione di tali macabri affari.
Può la Commissione dire se intende esaminare la questione più ampiamente ed imporre le relative sanzioni all'industria automobilistica americana in questione, ed indagare sulla possibilità che, secondo quanto si dice, anche altre società utilizzino tale programma e, infine, se intende adottare misure per eliminare totalmente tale attività disumana?
Negli anni ’30, quando l’automobile era diventata un elemento comune della vita quotidiana e il numero di morti per incidenti con veicoli a motore era in continuo aumento, i progettisti di veicoli si resero conto chiaramente che era necessario condurre ricerche per trovare il modo di rendere i loro prodotti più sicuri.
In America si iniziò a raccogliere dati sugli effetti delle collisioni ad alta velocità sul corpo umano alla fine degli anni ’30, quando non si disponeva ancora di dati attendibili sulla risposta del corpo umano a condizioni fisiche estreme e non esistevano strumenti efficaci per misurare tali risposte. La biomeccanica era un settore ancora in fase embrionale. Era pertanto necessario disporre di soggetti da sottoporre a prove per elaborare le prime serie di dati.
I soggetti coinvolti per primi nelle prove furono cadaveri umani, che venivano utilizzati per ottenere informazioni fondamentali sulla capacità del corpo umano di resistere alle forze di schiacciamento e di lacerazione cui di norma si è sottoposti in un incidente automobilistico. Dalle ricerche è emerso che a seguito di questo lavoro iniziale, e delle modifiche di progettazione successivamente attuate, entro la fine degli anni ’80 negli Stati Uniti erano state salvate ogni anno fino a 8 500 vite umane.
Le informazioni ottenute dalle ricerche sono state successivamente utilizzate per sviluppare gli attuali manichini antropomorfi per prove di collisione. Questi speciali manichini offrono uno strumento coerente nel collaudo di autoveicoli e vengono continuamente migliorati e resi più simili agli esseri umani. Solo usando tali manichini, i veicoli possono essere provati in condizioni controllate e in modo pienamente comprensibile. I manichini originari, sui quali è basata la maggior parte di quelli odierni, sono stati sviluppati dalla General Motors negli Stati Uniti.
Oggi, in base alla legislazione comunitaria, le prove di collisione in cui è richiesta la valutazione dei livelli di lesioni potenziali vengono effettuate utilizzando manichini specifici che stanno diventando sempre più complessi e pertanto più rappresentativi degli esseri umani reali. A quanto risulta alla Commissione, i produttori europei non fanno uso di cadaveri umani nelle prove di collisione e i manichini utilizzati sono sottoposti a continui miglioramenti per fornire maggiori informazioni sui livelli di lesioni, con il risultato che ogni anno sulle strade vengono salvate migliaia di vite umane.
Interrogazione n. 73 dell'on. Georgios Karatzaferis (H-0464/05)
Oggetto: Censimento delle minoranze presenti in Albania
L'Albania si era assunta nei confronti dell'UE l'impegno di procedere, entro il 31 dicembre 2003, ad un censimento coerente, attendibile e serio di tutte le minoranze che vivono nel suo territorio. Può dire la Commissione se il censimento ha avuto luogo? In caso di risposta negativa, quali sono le sanzioni che si possono imporre a tale paese, che riceve finanziamenti a titolo del bilancio dell'UE?
L’Albania non si è assunta nei confronti dell’UE alcun impegno riguardo alla conduzione di un nuovo censimento generale della popolazione, tuttavia, in risposta a richieste rivolte dalla Commissione in una serie di successive riunioni della task force consultiva, l’Albania si è impegnata per quanto riguarda i dati sulle minoranze. Più di recente, nel giugno 2003 l’Albania ha accettato di dare seguito a una raccomandazione comune in base alla quale avrebbe raccolto e reso pubblici, prima della fine del 2003, dati precisi sulle dimensioni delle sue minoranze. Questo non è stato fatto entro il termine fissato e, sebbene nel febbraio 2004 l’Albania abbia fornito dati pertinenti, non è stato espresso ampio consenso riguardo alla loro accuratezza. Il compimento di ulteriori progressi è ostacolato dalla difficoltà di raggiungere un accordo tra le autorità e i gruppi minoritari sulla metodologia da usare nella raccolta dei dati. La Commissione continua a incoraggiare una stretta cooperazione e il dialogo tra governo e rappresentanti delle minoranze, allo scopo di definire una metodologia in grado di produrre risultati precisi e accettati da tutte le parti. Più in generale, i progressi compiuti dall’Albania nel processo di stabilizzazione e associazione dipendono dalla sua capacità di affrontare in modo soddisfacente questioni fondamentali quali i diritti delle minoranze.
Interrogazione n. 74 dell'on. Robert Evans (H-0468/05)
Oggetto: Assicurazione di un bombardiere della seconda guerra mondiale
Un'anomalia del regolamento (CE) n. 785/2004(1), relativo ai requisiti assicurativi applicabili ai vettori aerei e agli esercenti di aeromobili, minaccia di tenere a terra l'ultima fortezza volante B-17, conosciuta come “Sally B”, ancora in grado di volare, che viene utilizzata negli show aerei in Gran Bretagna. Ciò è dovuto alla massa massima al decollo, che lo fa annoverare tra gli aeromobili ordinari per il trasporto passeggeri, e non tra quelli storici. Intende la Commissione adottare provvedimenti in merito a tale anomalia?
Il regolamento (CE) n. 785/2004 del Parlamento e del Consiglio del 21 aprile 2004 relativo ai requisiti assicurativi applicabili ai vettori aerei e agli esercenti di aeromobili(2) è entrato in vigore il 30 aprile 2005 e introduce requisiti assicurativi comuni per gli esercenti di aeromobili e i vettori aerei. Tutti gli aeromobili che rientrano nel campo di applicazione del regolamento devono essere assicurati riguardo alla responsabilità verso i passeggeri, i bagagli, le merci e i terzi. Lo scopo del regolamento è garantire che le parti che subiscono un danno ricevano una compensazione pecuniaria in caso di incidente, a prescindere dalla situazione finanziaria dell’esercente dell’aeromobile. Il regolamento non fa alcuna eccezione per gli aeromobili storici, in quanto gli esercenti di questi aeromobili possono essere ritenuti responsabili per i danni causati e pertanto devono avere un’adeguata assicurazione a copertura di tale responsabilità. Per lo stesso motivo, il regolamento non fa alcuna distinzione tra vettori aerei comunitari e vettori aerei di paesi terzi, o tra il fatto che l’aeromobile sia o meno utilizzato per fini commerciali. I proprietari di aeromobili che vengono utilizzati di rado possono tuttavia influire sui costi dell’assicurazione in quanto nel loro caso i livelli dei premi di solito variano a seconda del numero di ore di volo.
La Commissione segue tuttavia da vicino l’applicazione del regolamento (CE) n. 785/2004 e valuterà con attenzione i suoi effetti sulle varie parti del settore dei trasporti aerei.
Interrogazione n. 75 dell'on. Luis Herrero-Tejedor (H-0469/05)
Oggetto: Criteri per valutare l'impatto ambientale e la sostenibilità dei progetti di desalatori presentati dal governo spagnolo nel Piano Acqua
La Spagna ha presentato una serie di progetti nell'ambito del programma Acqua, che includono vari desalatori sulla costa mediterranea, il cui impatto ambientale può superare le frontiere di questo paese a causa degli scarichi nel Mar Mediterraneo. Considerato il fatto che non esistono precedenti in Europa di desalatori di questa scala e dimensione, né ricerche integrali sull'impatto ambientale né sull'impatto derivante dal consumo di combustibili fossili e la generazione di gas a effetto serra; considerata inoltre la preoccupazione esistente soprattutto in materia di scarichi di grandi quantità di sostanze chimiche(1) di composizione non dichiarata, di cui molti sono notoriamente inclusi nella lista delle sostanze nocive per l'ambiente(2).
Quali sono i criteri e indicatori che si applicheranno negli studi di impatto? Che studi si realizzeranno per conoscere gli effetti delle sostanze chimiche utilizzate nel trattamento, che si aggregano all'acqua addolcita e che vengono versati in seguito con gli scarichi? Si terrà conto del consumo di energia, dell'impatto sul suolo in caso di uso per irrigazione, dell'influenza sulla fauna e la flora marina, della possibile tossicità dell'acqua e dei suoi usi possibili? Si terrà conto del costo dell'acqua addolcita, della distribuzione e il posizionamento di membrane e altri componenti, soprattutto con riguardo alla durata limitata di tali impianti desalatori?
La Commissione è al corrente dell’intenzione delle autorità spagnole di fornire acqua da impianti di dissalazione a regioni colpite da scarsità idrica. A questo proposito, sono pertinenti gli atti normativi comunitari di seguito specificati.
prevede la protezione di tutte le acque, fiumi, laghi, acque sotterranee e acque costiere;
riguarda tutti i settori dell’attività umana (compresi quindi gli scarichi di acque reflue dagli impianti di trattamento delle acque e dagli impianti di dissalazione);
stabilisce l’obiettivo di buona qualità (“buono stato”) per tutte le acque, legato a una clausola di non deterioramento;
definisce il “buono stato” per le acque costiere in modo globale, in termini di elementi di qualità biologica, fisico-chimica e idromorfologica;
sottopone tutti gli scarichi in fonti puntuali che possono provocare inquinamento a una procedura di autorizzazione.
prevede la protezione e la conservazione degli habitat e delle specie minacciate; la direttiva contempla la designazione di siti nella rete Natura 2000 e l’effettuazione di valutazioni specifiche se tali siti rischiano di subire gli effetti di progetti di costruzione come gli impianti di dissalazione.
3) La direttiva sulla valutazione d’impatto ambientale(5) e la direttiva sulla valutazione ambientale strategica(6).
La prima direttiva menzionata prevede l’effettuazione di una valutazione dell’impatto ambientale su una serie di progetti di costruzione/ingegneria civile; la seconda direttiva prevede una valutazione strategica di piani e programmi di dimensione geografica e impatto potenziale più ampi.
Ne consegue che nella legislazione comunitaria in materia di ambiente esiste un quadro globale di criteri cui attenersi, assicurando il rispetto degli obiettivi ambientali e la salvaguardia delle zone sottoposte a particolare tutela, come le praterie di posidonia lungo la costa mediterranea spagnola.
Direttiva 2000/60/CE del Parlamento e del Consiglio del 23 ottobre 2000 che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque, GU L 327 del 22.12.2000.
Direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.
Direttiva 97/11/CE del Consiglio del 3 marzo 1997 che modifica la direttiva 85/337/CEE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati.
Direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001 concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente.
Interrogazione n. 76 dell'on. Bogusław Liberadzki (H-0472/05)
Oggetto: Regolamento su diritti e doveri dei passeggeri di autobus internazionali e a lunga distanza
L'adozione del regolamento europeo su diritti e doveri dei passeggeri internazionali per ferrovia avrà come conseguenza che questi diritti saranno disciplinati con riguardo al trasporto aereo e per ferrovia, ma non al trasporto per autobus internazionali e a lunga distanza. La cura per i passeggeri provocherà un miglioramento del trattamento, specialmente nel caso di incidenti ferroviari o del sistema aereo ma, allo stesso tempo la discesa dei costi del trasporto via autobus.
Ritiene la Commissione che sarebbe opportuno preparare una proposta di regolamento adattato al settore dei trasporti via autobus internazionali (e anche a lunga distanza) particolarmente in vista del fatto che la percentuale di incidenti in questo settore è molto più alta che in qualunque altro settore di trasporto di massa? La mia domanda deriva dalla preoccupazione per i passeggeri e dal bisogno di garantire condizioni comparabili di concorrenza nel mercato del trasporto internazionale passeggeri.
Nel Libro bianco “La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte”, la Commissione ha previsto l’istituzione di diritti dei passeggeri in tutti i modi di trasporto.
Nella comunicazione sul rafforzamento dei diritti dei passeggeri nell’Unione europea del 16 febbraio 2005(1), la Commissione ha presentato una strategia politica per estendere le misure di protezione dei passeggeri a tutti i modi di trasporto diversi da quello aereo. La Commissione ha posto in evidenza tre principali settori di preoccupazione per quanto riguarda il trasporto internazionale effettuato con autobus: i diritti delle persone a mobilità ridotta, la questione della responsabilità e compensazione e assistenza in caso di interruzione del viaggio. La Commissione si è impegnata a esaminare il modo migliore per rafforzare e garantire i diritti dei passeggeri nei servizi di trasporto internazionale effettuato con autobus nel corso del periodo 2005/2006.
A tale scopo, la Commissione sta elaborando un documento di consultazione sui diritti dei passeggeri nel settore del trasporto internazionale effettuato con autobus o pullman che contiene un approfondito questionario rivolto agli Stati membri e ad altre parti interessate.
Tenendo in considerazione i risultati della consultazione pubblica, la Commissione, se necessario, presenterà una proposta legislativa.
Oltre ai diritti dei passeggeri, la Commissione sta inoltre affrontando la questione della sicurezza degli autobus e dei pullman. Anche se autobus e pullman restano i mezzi di trasporto stradale più sicuri (130 morti su 43 700 nel 2004), sono ancora necessarie ulteriori misure di sicurezza. La Commissione ha adottato varie misure nell’ambito del piano d’azione in materia di sicurezza stradale, norme sulla costruzione dei veicoli, che migliorano le caratteristiche di sicurezza di autobus e pullman, fra cui l’obbligo di installare cinture di sicurezza, e disciplina le qualifiche e le condizioni degli esercenti e degli autisti.
Interrogazione n. 77 dell'on. James Hugh Allister (H-0474/05)
Oggetto: Servizio di azione esterna
Come sarà influenzata la proposta per un servizio di azione esterna dal fatto che il processo di ratifica del progetto di Costituzione europea è fallito? Visto che la Costituzione è stata respinta, e quindi manca la base prevista di azione, quali misure propone la Commissione di prendere per tornare sui passi che già presumibilmente sono stati compiuti in preparazione della creazione del servizio di azione esterna?
Conformemente al mandato conferito dal Consiglio europeo nel dicembre 2004, la Commissione ha lavorato alla preparazione del servizio europeo di azione esterna con il Segretario generale del Consiglio/Alto rappresentante della politica estera e di sicurezza comune (PESC).
La Commissione ha anche partecipato ai lavori del Parlamento, che il 26 maggio ha adottato una risoluzione sul servizio europeo di azione esterna.
Per quanto riguarda il Trattato costituzionale, il Consiglio europeo ha deciso di dare inizio a un periodo di riflessione che dovrebbe essere utilizzato per un’approfondita discussione su questioni importanti per gli europei e il futuro dell’Europa. Tra tali questioni dovrebbe essere compresa la sfida di assicurare che l’Unione europea svolga un ruolo effettivo sulla scena internazionale. Sarebbe prematuro in questo momento trarre conclusioni più specifiche sulle conseguenze istituzionali.
Il Consiglio europeo ha accettato in linea di principio di tenere un’ulteriore discussione sul Trattato costituzionale nella prima metà del 2006.
Interrogazione n. 78 dell'on. Bill Newton Dunn (H-0479/05)
Oggetto: Costo della criminalità organizzata
Qual è la migliore stima della Commissione in merito al costo per lo scorso anno della criminalità organizzata all'interno dell'Unione a 25? Può suddividere i costi in base ai reati - quali droga, contraffazione di merci, furto di identità via internet, tratta di persone, eccetera?
L’onorevole parlamentare chiede qual è la migliore stima della Commissione in merito al costo per lo scorso anno della criminalità organizzata all’interno dell’Unione europea. I costi della criminalità organizzata sono enormi, che si misurino solo i costi economici diretti o i costi diretti e indiretti tangibili e intangibili. Varie organizzazioni effettuano stime approssimative del costo di specifiche tipologie criminali, per regioni e periodi di tempo specifici, come fanno alcuni Stati membri dell’UE.
Una stima quantitativa precisa del costo della criminalità organizzata richiederebbe un’ampia base di conoscenze contenente informazioni comparabili sulle dimensioni dei vari tipi di criminalità organizzata negli Stati membri dell’UE e sulla risposta della giustizia penale alla criminalità, informazioni sui costi relativi a singole vittime e imprese, sui costi relativi alle conseguenze tangibili e intangibili dell’attività criminale e sulle misure adottate in previsione dell’attività criminale, per ridurre o prevenire i reati e le loro conseguenze, per citare solo alcuni parametri necessari.
Com’è stato delineato nella risposta fornita all’interrogazione orale H-0524/04 dell’onorevole parlamentare, la Commissione attualmente sta lavorando all’elaborazione di dati statistici comparabili sulla criminalità organizzata e la giustizia penale a livello di Unione europea. Questo lavoro è stato avviato partendo dal riconoscimento che una delle principali carenze nel settore della giustizia, della libertà e della sicurezza è la mancanza di dati comparabili sulla criminalità e la giustizia penale. Le attuali raccolte di dati statistici nazionali non sono comparabili tra i vari paesi, mancano dati infranazionali e le indagini esistenti sulle vittime non riguardano tutte le importanti tipologie criminali, o tutti gli Stati membri. La mancanza di dati quantitativi di buona qualità specifici sulla criminalità organizzata è un problema generale. Le relazioni sulla criminalità organizzata presentate da Europol sono viziate da una mancanza di armonizzazione di indicatori e procedure di elaborazione delle relazioni, per citare solo alcuni dei problemi che ostacolano la comparabilità e la quantificazione dell’incidenza e frequenza della criminalità organizzata.
La Commissione ha finanziato uno studio sull’analisi del rapporto costi/benefici nella prevenzione della criminalità, in cui si rileva che solo pochi Stati membri dispongono di dati sull’aspetto dei costi della criminalità. Lo studio è stato discusso nel corso di un seminario sul costo della criminalità svoltosi lo scorso anno in Finlandia e cofinanziato dal programma AGIS della Commissione, nell’ambito del quale si è giunti alla conclusione che occorre impegnarsi ulteriormente su questa problematica nell’Unione europea.
L’elaborazione di dati statistici comparabili è un obiettivo a lungo termine che dovrà essere realizzato nel corso dei prossimi anni, in stretta collaborazione con gli Stati membri, in quanto la raccolta di informazioni sulla base di definizioni e procedure armonizzate per l'elaborazione di relazioni richiederà tempo e risorse a livello nazionale e comunitario. Per la fine del 2005 è prevista la presentazione di una comunicazione in materia di statistiche sulla criminalità e la giustizia penale, che contempla un piano d’azione e una decisione della Commissione volta a istituire un comitato consultivo per fornire alla Direzione generale per la giustizia, la libertà e la sicurezza consulenza in merito ai vari passi da compiere per giungere a statistiche comparabili.
L’obiettivo finale è disporre di dati comparabili di buona qualità sulla criminalità e la giustizia penale, in modo da rendere possibile l’adozione di misure in base a un ordine di priorità nonché il controllo e la valutazione delle stesse e l’analisi del rapporto costi/benefici, tra altri importanti strumenti politici.
Interrogazione n. 79 dell'on. Catherine Stihler (H-0481/05)
Oggetto: Trasferimento di petrolio da una nave all'altra
Alcune recenti drastiche proposte per il trasferimento di petrolio da una nave all'altra, presentate in relazione alle acque interne del Firth of Forth, comporterebbero il trasferimento di quasi 8 milioni di tonnellate annue di petrolio grezzo russo e altri idrocarburi.
Può la Commissione chiarire il suo punto di vista in merito al trasferimento di petrolio da una nave all'altra?
La Commissione è consapevole della preoccupazione suscitata dal progetto di una società privata di istituire un sistema per il trasferimento di petrolio tra navi cisterna ancorate nel Firth of Forth, ad alcune miglia dalla costa della contea scozzese dell’East Lothian.
Il trasferimento di petrolio tra navi è un’operazione tecnica complessa che comporta un rischio elevato di riversamento di petrolio in mare.
Il trasferimento di petrolio tra navi nelle acque territoriali e nei porti si effettua sotto la responsabilità delle autorità nazionali. A questo proposito, è opportuno sottolineare che l’Unione europea ha stabilito disposizioni che impongono un divieto rigoroso di effettuare questo tipo di operazione da e verso petroliere monoscafo nelle acque sotto la giurisdizione degli Stati membri. Tali disposizioni, contenute nel regolamento (CE) n. 417/2002, sono in vigore da ottobre 2003 e dovranno essere rispettate in caso di autorizzazione di trasferimenti di questo tipo da parte delle autorità britanniche.
Per quanto riguarda le operazioni di trasferimento di petrolio tra navi a doppio scafo, la Commissione ritiene che tali operazioni devono essere effettuate in base a linee guida operative, sotto stretta sorveglianza da parte delle autorità nazionali responsabili.
Per quanto riguarda il trasferimento di idrocarburi tra navi in mare, anche se il settore stesso ha stabilito raccomandazioni in proposito, l’idea di instaurare un quadro vincolante per queste operazioni sarà oggetto di discussione in seno all’Organizzazione marittima internazionale (OMI) a metà luglio 2005. La Commissione e diversi Stati membri sono dal canto loro favorevoli all’inserimento nella Convenzione MARPOL 73/78 di norme relative a tali trasferimenti.
Interrogazione n. 80 dell'on. Luisa Morgantini (H-0486/05)
Oggetto: Accordo tecnico per la cooperazione doganale tra UE e Israele
Considerando che l'accordo tecnico per la cooperazione doganale tra UE e Israele, entrato in vigore dal 1° febbraio 2005, non rientra nell'Accordo di associazione UE-Israele in quanto decisione legalmente vincolante e che non è stato approvato dal Consiglio di associazione, esiste qualche vincolo legale con la Comunità europea che obblighi Israele a rispettare detto accordo, o può recedere legalmente in qualsiasi momento?
Considerando che, per rispettare l'accordo tecnico, sia gli esportatori che le autorità doganale israeliane devono distinguere tra la produzione realizzata nei territori occupati e quella nei territori dello Stato di Israele, ha adottato Israele qualche misura che vincoli sia gli esportatori che le autorità doganali ad effettuare tale distinzione?
L’accordo tra l’Unione europea e il governo di Israele concernente una misura relativa all’esecuzione del Protocollo 4 dell’accordo di associazione UE-Israele è stato adottato dal comitato di cooperazione doganale UE-Israele. Le misure adottate dal comitato di cooperazione doganale non sono giuridicamente vincolanti per le parti contraenti.
Allo scopo di assicurare la corretta esecuzione dell’accordo, Israele ha dato disposizioni ai suoi esportatori e alle autorità doganali affinché distinguano tra produzioni effettuate nel territorio dello Stato di Israele e produzioni effettuate in zone che sono amministrate da Israele dal 1967.
Interrogazione n. 81 dell'on. Åsa Westlund (H-0491/05)
Oggetto: Conseguenze della politica agricola dell'UE sullo sviluppo dei paesi più poveri del mondo
Ritiene la Commissione che delle modifiche alla politica agricola dell'UE potrebbero produrre effetti positivi per lo sviluppo dei paesi più poveri del mondo? In caso affermativo, di quali modifiche si tratterebbe?
Anche se i motivi alla base della recente riforma della politica agricola comune (PAC) sono molteplici, uno dei suoi obiettivi principali era ridurre gli effetti distorsivi del commercio sui paesi terzi. Ne consegue che, nel corso dei dieci anni trascorsi dall’inizio del processo, il ricorso agli strumenti di sostegno nazionale e alle sovvenzioni all’esportazione che provocano distorsioni degli scambi ha subito una netta riduzione, che supera di gran lunga quella prevista in base agli impegni assunti in occasione dell’Uruguay Round e che ha comportato, tra l’altro, una considerevole diminuzione della quota comunitaria delle esportazioni agricole mondiali di tutti i principali prodotti di base. Inoltre, anche le tariffe doganali sono diminuite del 36 per cento, mentre il mercato comunitario è caratterizzato da regimi preferenziali generosi e di ampia portata per le importazioni dai paesi in via di sviluppo. L’iniziativa “Tutto fuorché le armi” del 2001 è solo uno degli elementi del sistema di preferenze generalizzate che consente ai paesi in via di sviluppo di esportare verso l’Unione europea, in franchigia doganale o a condizioni di considerevoli riduzioni tariffarie, prodotti agricoli spesso delicati e importanti dal punto di vista economico.
La combinazione di tutti questi fattori ha diminuito in misura rilevante gli effetti che i prodotti agricoli dell’Unione europea hanno sui mercati mondiali e sui prezzi mondiali dei prodotti di base. Un aspetto ancora più importante è che tale situazione ha contribuito a creare condizioni di concorrenza più uniformi in cui, posto che altri facciano altrettanto, i paesi in via di sviluppo potrebbero competere in modo più efficace.
Inoltre, la posizione dell’Unione europea riguardo ai paesi in via di sviluppo è sempre stata chiara e globale. L’Unione europea ha sostenuto con forza fin dall’inizio l’agenda di Doha per lo sviluppo, credendo fermamente nella necessità di procedere a una liberalizzazione degli scambi commerciali mondiali. Una delle principali concessioni fatte nel quadro del negoziato in seno all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) è stata la proposta di una graduale abolizione delle proprie sovvenzioni all’esportazione a condizione che venissero eliminate tutte le forme di sovvenzionamento delle esportazioni. La fissazione di un termine per porre fine al sovvenzionamento delle esportazioni farà parte dei negoziati globali sull’agricoltura e potrà avere successo solo se tutti i partecipanti al negoziato multilaterale aderiranno a un processo parallelo di eliminazione.
Uno dei migliori esempi che dimostrano gli effetti positivi della riforma della PAC è il settore del cotone. Anche se la produzione comunitaria è trascurabile a livello internazionale (2 per cento della produzione mondiale) e non ha alcuna influenza significativa sul prezzo mondiale, l’Unione europea è all’avanguardia nella riforma delle politiche interne in materia di cotone. A partire dal 2006, il 65 per cento delle sovvenzioni al cotone saranno tali da non creare distorsioni degli scambi. L’Unione europea inoltre non concede sovvenzioni all’esportazione per il cotone e garantisce libero accesso nel settore del cotone.
Interrogazione n. 82 dell'on. Erna Hennicot-Schoepges (H-0493/05)
Oggetto: Centro virtuale della conoscenza sull'Europa
È la Commissione a conoscenza del Centro virtuale della conoscenza sull'Europa?
In che misura è essa pronta a portare avanti tale progetto estendendolo ai nuovi Stati membri?
Quali mezzi può mettere a disposizione per promuovere tale banca di dati elaborata innanzitutto grazie al sostegno finanziario della Commissione stessa e successivamente del governo lussemburghese?
La Commissione ha seguito con interesse la creazione e lo sviluppo del Centro virtuale della conoscenza sull’Europa. Questo progetto ha ricevuto fin dall’inizio sostegno finanziario dalla Commissione, tenuto conto del suo interesse per la Comunità, contribuisce alla conoscenza della storia della costruzione europea e si distingue per l’elevata qualità del suo materiale documentale, tecnologico e multimediale.
L’onorevole parlamentare chiede quali sono le possibilità di estendere il progetto ai nuovi Stati membri. Le uniche risorse di cui la Commissione dispone per sostenere progetti come il Centro virtuale della conoscenza sull’Europa sono quelle dei programmi esistenti nei settori dell’istruzione e della cultura. Tuttavia, a prescindere dall’elevata qualità delle iniziative presentate, il sostegno alla creazione di contenuti multimediali non figura tra gli obiettivi di questi programmi.
L’onorevole parlamentare fa anche riferimento ai mezzi che la Commissione potrebbe mettere a disposizione per promuovere tale banca di dati elaborata innanzitutto grazie al sostegno finanziario della Commissione stessa e successivamente del governo lussemburghese. Dato che si tratta di un centro virtuale accessibile via Internet, la Commissione potrebbe utilizzare i vari server di cui dispone, compresi quelli delle sue rappresentanze negli Stati membri, per contribuire alla promozione del Centro. La Commissione potrebbe anche valutare la possibilità di contribuire alla traduzione dei testi di presentazione del Centro virtuale della conoscenza sull’Europa nelle lingue ufficiali dei nuovi Stati membri.
Interrogazione n. 83 dell'on. Paulo Casaca (H-0494/05)
Oggetto: Iniziativa in materia di trasparenza
La Commissione europea ha annunciato la pubblicazione di un libro verde sulla trasparenza nelle istituzioni europee.
Può la Commissione chiarire se detto libro verde conterrà anche una valutazione sull'applicazione dell'articolo 42 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea da parte delle istituzioni europee, che conferisce a tutti i cittadini europei un diritto di accesso ai documenti delle istituzioni europee?
Il 18 maggio 2005 la Commissione ha tenuto un primo dibattito orientativo su una possibile iniziativa europea in materia di trasparenza e ha deciso di creare un gruppo di lavoro interservizi con il compito di procedere a un’analisi approfondita di tutte le questioni pertinenti. Tali attività comprenderanno anche, entro i limiti appropriati, l’analisi della legislazione nel campo dell’accesso ai documenti.
Sulla base dei risultati del gruppo di lavoro il Collegio dei commissari, dopo la pausa estiva, deciderà in merito ai prossimi passi da compiere, che potranno comprendere anche la pubblicazione di un libro verde.
Interrogazione n. 84 dell'on. Bernd Posselt (H-0497/05)
Oggetto: Situazione umanitaria nel Caucaso
Come valuta la Commissione la situazione umanitaria nella regione del Caucaso, in particolare in Cecenia e nelle zone limitrofe?
La situazione umanitaria in Cecenia continua a essere per la Commissione motivo di estrema preoccupazione. La popolazione civile è la principale vittima di questo conflitto di lunga data e sopravvive in condizioni spaventose in una repubblica che è stata martoriata da due guerre. Grozny, in particolare, è una città ridotta in macerie dove l’opera di ricostruzione finora è stata scarsa.
Gran parte della popolazione in Cecenia, e le persone ancora sfollate nelle repubbliche limitrofe di Inguscezia e Dagestan, dipendono dall’assistenza umanitaria esterna, tuttavia la questione principale, al di là dell’assistenza materiale, resta la protezione dei civili, in un contesto in cui rapimenti, scomparse, esecuzioni extragiudiziali, stupri ed estorsioni sono elementi comuni della vita quotidiana.
La Commissione, attraverso l’Ufficio europeo per gli aiuti umanitari (ECHO), resta il principale donatore di aiuti umanitari alla regione, con lo stanziamento di un importo di circa 170 milioni di euro dall’inizio del secondo conflitto ceceno nell’autunno 1999, compresa l’ultima decisione di finanziamento di 22,5 milioni di euro adottata in aprile.
Fornire assistenza umanitaria alla popolazione in Cecenia continua tuttavia a rappresentare un'ardua sfida a causa delle numerose restrizioni di accesso imposte dalle autorità, che vogliono controllare l’opera delle organizzazioni umanitarie, e dell’insicurezza, in particolare il rischio elevato di rapimenti.
Oltre all’assistenza umanitaria, la Commissione sta lavorando su un possibile contributo alla ripresa socioeconomica nel Caucaso settentrionale, che farebbe parte di una politica legata anche ai progressi compiuti in merito al processo politico, compreso lo svolgimento di elezioni parlamentari libere ed eque verso la fine di quest’anno. Le consultazioni con la Russia sui diritti umani, avviate in marzo, forniscono una base per compiere progressi in materia. La Commissione sta inoltre discutendo le possibili modalità dell’assistenza finanziaria con le autorità russe per far sì che la spesa possa apportare valore aggiunto.
Interrogazione n. 85 dell'on. Alfredo Antoniozzi (H-0502/05)
Oggetto: Regime linguistico: richiesta di studio annunciata dalla Commissione e pubblicazione dei bandi di concorso nelle Istituzioni comunitarie sui quotidiani italiani
Può la Commissione fornire lo studio sulla riforma e l'analisi del regime linguistico, annunciato nelle ultime tre righe della risposta H-0159/05? Può dare spiegazione della pubblicazione su quotidiani italiani di annunci/bandi di concorso nelle Istituzioni comunitarie solo in EN-FR-DE e, inspiegabilmente, non in italiano, in grave violazione del principio di uguaglianza linguistica, non discriminazione, trasparenza, parità di accesso e di opportunità nel prendere parte o essere informati nella propria lingua nazionale circa la pubblicazione di un concorso pubblico?
Può metter fine a questa grave violazione ed evitare l'imposizione delle tre lingue (EN-FR-DE), che, come la Commissione ha più volte ricordato (risposte H-0159/05 e H-0384/05 del Commissario Figel del 07-06-05) sono, assieme alle altre, lingue ufficiali e non di lavoro? Dal 1° gennaio 2007 il gaelico sarà la 21° lingua ufficiale e a quella data le lingue saranno 23 (con rumeno e bulgaro);
Vista l'inadeguatezza del regime attuale e la mancanza di regole scritte, non ritiene opportuno la Commissione presentare una comunicazione ed aprire un dibattito coinvolgendo il Parlamento europeo?
Dopo aver consultato tutte le parti interessate, la Commissione ha preso le misure seguenti nel quadro del regime d'interpretazione utilizzato nella sala stampa della Commissione:
Nei giorni in cui il Collegio si riunisce, la Commissione continuerà a fornire l'interpretazione alle conferenze stampa in tutte le lingue ufficiali dell'Unione europea.
Per le conferenze stampa dei Commissari in altre occasioni, la cui frequenza e il preavviso sono meno prevedibili, l'obiettivo è di assicurare anche in tali casi un'interpretazione completa. Nell'immediato, l'intenzione è quella di fornire quante più lingue possibile in funzione della disponibilità quotidiana delle risorse necessarie.
L'EPSO può assicurare all'onorevole parlamentare di non aver mai pubblicato sui quotidiani italiani annunci/bandi di concorso in una lingua diversa dall'italiano.
La Commissione conferma di aver pubblicato, in linea con la sua decisione del 10 novembre 2004, avvisi di posti vacanti per manager di alto livello sulla Gazzetta Ufficiale e sui quotidiani nazionali ed internazionali in francese, inglese e tedesco. Tale misura temporanea è stata adottata a causa delle pesanti limitazioni che la DGT deve attualmente affrontare per quanto riguarda la traduzione. Quanto alla pubblicazione del posto di direttore generale dell'Ufficio antifrode (OLAF), si ricorda che i candidati italiani costituivano il secondo gruppo in ordine di grandezza, mentre erano relativamente poche le candidature ricevute da persone di madrelingua tedesca o inglese. La Commissione è quindi convinta che de facto non esista alcuna discriminazione per quanto attiene ai posti vacanti per funzionari di alto livello.
Di recente la Commissione ha deciso che in futuro pubblicherà un breve annuncio di tutti i posti vacanti per funzionari di alto livello nella Gazzetta Ufficiale in tutte le lingue.
Conformemente al regolamento n. 1/58 del Consiglio, tutte le lingue ufficiali sono allo stesso tempo lingue di lavoro (articolo 1) e possono dunque essere utilizzate di diritto e allo stesso titolo all'interno delle Istituzioni.
Ciononostante, per garantire l'efficacia del processo decisionale, il regolamento interno della Commissione stabilisce il quadro del regime linguistico applicabile a livello del Collegio stesso. Spetta al Presidente decidere quali lingue di lavoro soddisfino nel modo migliore le esigenze minime dei membri della Commissione e debbano essere utilizzate indistintamente.
Di conseguenza, la Commissione lavora e può adottare decisioni in tali lingue, a meno che non siano necessarie versioni linguistiche supplementari, in particolare ai fini dell'entrata in vigore dell'atto o della sua notifica ai destinatari.
La trasmissione ufficiale alle altre Istituzioni comunitarie e/o la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea richiedono per contro la disponibilità dei testi in tutte le lingue ufficiali dell'Unione.
La Commissione è un'Istituzione il cui personale proviene dai vari Stati membri dell'Unione europea. Conformemente allo spirito del trattato, essa incoraggia e pratica il multilinguismo. Le disposizioni interne ai servizi (per l'elaborazione di documenti e lo svolgimento delle riunioni) sono pertanto lasciate alla discrezionalità della dirigenza. Per ragioni operative e di buona comunicazione, alcune lingue sono più utilizzate di altre dal personale della Commissione nell'ambito del funzionamento quotidiano dei servizi. Tuttavia, tale prassi è seguita nel rispetto dell'uguaglianza delle lingue in quanto lingue ufficiali e di lavoro.
La Commissione non vede la necessità di stabilire regole scritte supplementari o di adottare una comunicazione concernente l'utilizzo delle lingue all'interno delle Istituzioni. Tuttavia, sta preparando una comunicazione sul multilinguismo e l'utilizzo delle lingue nella società europea e sul plurilinguismo dei cittadini europei.
Interrogazione n. 86 dell'on. Panagiotis Beglitis (H-0503/05)
Oggetto: Tutela del patrimonio marino e del reddito dei pescatori greci della regione di Alessandrupoli e della Samotracia
Come è noto, ogni estate durante i mesi di giugno, luglio, agosto e settembre viene sospesa la pesca a strascico nelle acque internazionali che si estendono al di là della acque territoriali greche nelle regioni di Alessandrupoli e della Samotracia a tutela del patrimonio marino.
Tuttavia, tale divieto mentre vale per i pescatori greci sulla base dei regolamenti comunitari, non vale per la flotta peschereccia turca, per cui il patrimonio marino viene distrutto e i pescatori greci delle zone in questione si trovano in una posizione produttiva ed economica svantaggiata dal momento che, da parte greca, viene a perdersi ogni possibilità di "ripresa produttiva" all'inizio del periodo di pesca in ottobre.
Intende la Commissione e, se sì, in che modo far fronte alla situazione che le attività di pesca della flotta peschereccia turca determinano a danno dell'ambiente marino come pure dei pescatori greci? Nell'ambito dei negoziati di adesione può essa chiedere che l'acquis comunitario venga esteso e applicato anche da parte turca?
Quali provvedimenti può prendere per applicare regole comuni di pesca nel Mediterraneo al fine di impedire un trattamento discriminatorio ai danni dei pescatori greci? Quali possibilità hanno le competenti autorità greche di sostenere il reddito dei pescatori durante il periodo quadrimestrale di blocco della attività?
La Commissione è consapevole del fatto che, come nel caso della Grecia, l’applicazione della legislazione comunitaria volta a garantire la conservazione e la gestione sostenibile degli stock ittici può comportare situazioni in cui ai pescatori comunitari vengono imposte restrizioni che non si applicano ai pescatori di paesi al di fuori dell’Unione europea che svolgono la loro attività nelle vicinanze delle acque soggette alla legislazione comunitaria. Si tratta di uno dei motivi importanti per cui la Commissione auspica di rafforzare la cooperazione con altri paesi costieri della regione per quanto riguarda la gestione della pesca e lo sviluppo di pratiche di pesca sostenibili e responsabili nel Mediterraneo.
A tale scopo, la Commissione persegue una politica di rafforzamento del ruolo della Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (CGPM), in particolare al fine di renderla uno strumento più efficace per l’attuazione delle azioni definite e approvate durante la Conferenza ministeriale per lo sviluppo sostenibile delle attività di pesca nel Mediterraneo svoltasi a Venezia dal 25 al 26 novembre 2003.
Già nella sua ultima riunione tenutasi nel febbraio 2005, la CGPM ha adottato, sulla base di proposte comunitarie, alcune importanti misure relative alla conservazione (ad esempio, una dimensione minima delle reti di 40 mm e il divieto della pesca a strascico oltre i 100 metri di profondità) e alla gestione delle attività di pesca (ad esempio, attraverso l’istituzione di un registro delle navi superiori a 15 metri cui è consentito pescare). La CGPM ha inoltre adottato una raccomandazione relativa agli orientamenti per l’istituzione di un piano di controllo che renderà possibile rafforzare il controllo delle attività di pesca e lottare in modo efficace contro la pesca illegale.
Come l’onorevole parlamentare saprà, il principio generale applicato nei negoziati per l’allargamento è che il paese candidato in questione accetti l’acquis comunitario. Lo stesso criterio sarà seguito nei confronti della Turchia. I negoziati saranno basati sull’acquis relativo alla politica comune della pesca (PCP), che la Commissione presenterà in dettaglio alla Turchia durante il processo di valutazione della sua candidatura. L’acquis in questione si applicherà alla Turchia dalla data di adesione, a meno che nei negoziati di adesione non vengano concordate disposizioni transitorie.
E' disponibile l’assistenza comunitaria per il rafforzamento istituzionale e la preparazione amministrativa, principalmente attraverso progetti di gemellaggio con partner degli Stati membri cofinanziati dalla Comunità. I progressi amministrativi e giuridici compiuti in Turchia in merito all’applicazione dell’acquis relativo alla PCP sono oggetto di discussioni regolari in seno al sottocomitato per l’agricoltura e la pesca nell’ambito dell’accordo di associazione UE-Turchia.
In base all’articolo 16 del regolamento (CE) n. 2371/2002 del Consiglio, gli Stati membri possono concedere un risarcimento ai pescatori e ai proprietari di navi per la cessazione temporanea delle attività nelle seguenti circostanze:
in caso di eventi imprevedibili, in particolare quelli causati da fattori biologici;
quando non viene rinnovato un accordo di pesca, o quando esso viene sospeso per le flotte comunitarie che dipendono dall’accordo;
quando il Consiglio adotta un piano di ricostituzione o di gestione o la Commissione o uno o più Stati membri decidono misure di emergenza.
Tuttavia, la sospensione stagionale ricorrente dell’attività di pesca, come nella situazione segnalata dall’onorevole parlamentare, non è ammissibile a un risarcimento ai sensi dell’articolo 16 del regolamento (CE) n. 2371/2002 del Consiglio.
Interrogazione n. 87 dell'on. Edite Estrela (H-0505/05)
Oggetto: Sostanze cancerogene
Considerando che il piombo è una sostanza chimica che provoca il cancro e che la sua presenza è stata rilevata nei rossetti commercializzati dalle più note marche dell'industria cosmetica,
intende la Commissione verificare se tale anomala situazione si protrae? In caso di risposta affermativa, quali misure intende adottare per tutelare i diritti e la salute dei consumatori?
La legislazione comunitaria vieta l’uso del piombo nei prodotti cosmetici. In base a tale legislazione, la presenza di tracce di alcune sostanze può essere consentita solo a condizione che tale presenza sia inevitabile da un punto di vista tecnico nelle buone prassi di produzione e il prodotto non arrechi danno alla salute umana.
La direttiva relativa ai prodotti cosmetici prevede che gli Stati membri adottino tutte le misure necessarie per garantire che vengano immessi sul mercato solo i prodotti cosmetici conformi alla direttiva. Spetta pertanto agli Stati membri ritirare dal mercato qualsiasi prodotto che non sia conforme alla direttiva.
Se l’onorevole parlamentare dispone di ulteriori informazioni sul prodotto in questione, dovrebbe trasmetterle alla Commissione che contatterà l’autorità di controllo competente del paese in cui è stato rilevato il prodotto in modo che esso possa adottare i provvedimenti necessari.
Interrogazione n. 88 dell'on. Brian Crowley (H-0507/05)
Oggetto: Armonizzazione fiscale
È la Commissione consapevole del fatto che molti Stati membri reputano che la politica fiscale sia di esclusiva competenza e responsabilità dei governi nazionali?
Inoltre, sarà di certo al corrente della proposta promossa da Francia e Germania circa una maggiore armonizzazione, entro 3 anni, delle imposte sulle società.
Alla luce di quanto sopra, può la Commissione definire la sua posizione in merito a tale armonizzazione relativa al regime fiscale sulle imprese e all'IVA?
La Commissione ha spiegato formalmente la sua strategia in materia di coordinamento e armonizzazione fiscale nei vari settori di tassazione nella comunicazione intitolata “La politica fiscale dell’Unione europea - Priorità per gli anni a venire" del 23 maggio 2001(1), cui si invita l’onorevole parlamentare a far riferimento. Pur essendo i principali responsabili in materia di imposizione fiscale, nell’esercizio della loro competenza gli Stati membri devono rispettare il Trattato CE, in particolare il principio di non discriminazione, le libertà fondamentali e le norme in materia di aiuti di Stato.
La strategia della Commissione volta a fornire alle imprese una base imponibile consolidata per le attività di dimensione comunitaria delle società non mira a una piena armonizzazione e in particolare non lede il diritto degli Stati membri di fissare le aliquote fiscali. La politica della Commissione è stabilita in due comunicazioni intitolate “Verso un mercato interno senza ostacoli fiscali - Strategia per l’introduzione di una base imponibile consolidata per le attività di dimensione UE delle società”(2) e “Un mercato interno senza ostacoli inerenti alla tassazione delle società - risultati, iniziative in corso e problemi ancora da risolvere”(3).
Nel campo dell’IVA e di altre imposte indirette, in una certa misura è necessario un più alto grado di armonizzazione per garantire che il mercato interno senza frontiere interne possa funzionare senza distorsioni della concorrenza troppo elevate. Anche in questo caso tuttavia l’obiettivo perseguito non è la piena armonizzazione delle norme e le aliquote fiscali vengono determinate a livello nazionale, a condizione che vengano concordati un’aliquota minima normale a livello comunitario (15 per cento) e un elenco di prodotti e servizi cui gli Stati membri possono applicare aliquote ridotte opzionali. La politica della Commissione è stabilita in due comunicazioni intitolate “Strategia volta a migliorare il funzionamento del regime IVA nel mercato interno”(4) e “Riesame e aggiornamento delle priorità nella strategia IVA”(5).
Interrogazione n. 89 dell'on. Eoin Ryan (H-0509/05)
Oggetto: Compagnie aeree sicure
Al fine di garantire ulteriormente la sicurezza dei passeggeri, concorda la Commissione sulla necessità di rendere facilmente accessibili tra Stati le informazioni sull'aeronavigabilità delle compagnie aeree?
Il Regno Unito è l'unico paese europeo ad aver pubblicato una lista di cinque compagnie non autorizzate a volare in quanto prive dei requisiti di sicurezza internazionali. La lista delle cinque compagnie in questione è disponibile sul sito del ministero per i Trasporti del Regno Unito.
Ha la Commissione elaborato una strategia finalizzata all'introduzione di un'analoga lista nera comunitaria, allo scopo di migliorare il coordinamento in materia di requisiti di sicurezza dell'aviazione?
La Commissione concorda sulla necessità di garantire che i dati sulla sicurezza delle compagnie aeree siano resi disponibili alle autorità nazionali competenti degli Stati membri, da un lato, per consentire loro di partecipare al miglioramento della sicurezza aerea e, dall’altro lato, per informare i passeggeri delle situazioni potenzialmente pericolose.
La direttiva 2004/36/CE(1) sulla sicurezza degli aeromobili di paesi terzi prevede la raccolta e lo scambio di informazioni sugli aerei e le compagnie aeree che non soddisfano le norme di sicurezza internazionali, la cui conseguenza può essere il fermo di un aeromobile o una decisione di divieto dell’uso degli aeroporti o di imposizione di condizioni all’esercizio dell’attività da parte degli operatori.
Il 16 febbraio 2005 la Commissione ha adottato una proposta di regolamento relativo alle informazioni da fornire ai passeggeri del trasporto aereo(2) che prevede la pubblicazione di un elenco di tutti i vettori che non sono autorizzati nello spazio aereo degli Stati membri o che per ragioni di sicurezza sono sottoposti a limitazioni dei diritti di traffico.
Il 26 maggio 2005 la Commissione ha inoltre organizzato una riunione del comitato istituito con regolamento (CE) n. 3922/1991, che ha deciso, tra l’altro, di creare un sistema comunitario di segnalazione tempestiva per informare la Commissione e tutti gli Stati membri se sembra probabile che possa essere necessario adottare entro breve una decisione di sospensione dei diritti di traffico di una compagnia aerea in vista di una decisione a livello comunitario. E’ stato anche raggiunto un consenso sulla necessità di stabilire criteri comuni sulla base dei quali si possa compilare un elenco delle compagnie aeree non sicure.
Direttiva 2004/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 sulla sicurezza degli aeromobili di paesi terzi che utilizzano aeroporti comunitari, GU L 143 del 30.4.2004.
Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle informazioni da fornire ai passeggeri del trasporto aereo sull’identità del vettore aereo effettivo e alla comunicazione delle informazioni di sicurezza da parte degli Stati membri, COM(2005) 48 def. del 16 febbraio 2005, COD 08/2005.
Interrogazione n. 90 dell'on. Liam Aylward (H-0511/05)
Oggetto: Gli Stati Uniti e i cambiamenti climatici
La Commissione sarà certamente a conoscenza delle dimissioni del capo di gabinetto del Consiglio sulla qualità ambientale della Casa bianca, avvenute due giorni dopo la rivelazione delle modifiche che aveva apportato a molte relazioni federali sull'ambiente nel 2002 e 2003. Tali modifiche erano mirate ad enfatizzare l'incertezza degli elementi comprovanti che le emissioni di gas a effetto serra stanno causando un aumento della temperatura globale.
Il consigliere in questione, privo di qualsiasi formazione scientifica, precedentemente era a capo della lobby dei petrolieri americani sui cambiamenti climatici negli USA.
Concorda la Commissione che le decisioni su gravi problemi ambientali debbano essere basate su informazioni scientifiche sicure e accurate? Concorda che si debba cogliere questa opportunità per evidenziare le contraddizioni presenti nell'approccio degli Stati Uniti all'accordo di Kyoto e ai cambiamenti climatici in generale?
La Commissione è del parere che le politiche ambientali debbano essere definite sulla base di solide conoscenze scientifiche. Nel campo dei cambiamenti climatici questo è uno dei motivi per cui è stato istituito il gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (IPCC), che valuta su una base globale, obiettiva, aperta e trasparente le informazioni scientifiche, tecniche e socioeconomiche inerenti alla comprensione della base scientifica del rischio dei cambiamenti climatici provocati dall’uomo, dei suoi effetti potenziali e delle possibilità di adattamento e attenuazione.
Al Vertice UE-Stati Uniti del 20 giugno, il Presidente della Commissione ha affermato che le divergenze esistenti tra Unione europea e Stati Uniti in merito al Protocollo di Kyoto non dovrebbero impedire a entrambe le parti di guardare al futuro e che, nel complesso, la comunità internazionale deve intensificare gli sforzi volti a conseguire un accordo su un regime multilaterale per i cambiamenti climatici per il periodo successivo al 2012.
La comunicazione della Commissione intitolata “Vincere la battaglia contro i cambiamenti climatici” del 9 febbraio 2005 illustra le opinioni della Commissione in merito agli elementi fondamentali di tale regime, oltre a dimostrare che l’approccio sostenuto dagli Stati Uniti di stimolare la ricerca su nuove tecnologie non è di per sé sufficiente. Per incoraggiare l’impiego di tali tecnologie sono necessarie strutture incentivanti aggiuntive, come il sistema di scambio dei diritti di emissione dell’Unione europea.
Interrogazione n. 91 dell'on. Seán Ó Neachtain (H-0513/05)
Oggetto: Accordo EU-USA sui "cieli aperti"
Può la Commissione fornire aggiornamenti sul ciclo di negoziati attualmente in corso, relativo all'accordo UE-USA sui "cieli aperti"?
Dal giugno 2004 la Commissione si è adoperata per ottenere quanto prima la ripresa dei negoziati formali e a tale scopo il 21 e 22 marzo 2005 il Vicepresidente Barrot si è recato a Washington per incontrare il Segretario di Stato ai trasporti degli Stati Uniti, Mineta, e altri rappresentanti dell’amministrazione e dell’industria statunitensi. Il Vicepresidente Barrot e il Segretario Mineta hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui affermavano che i negoziatori avrebbero “compiuto un ulteriore esame dei possibili elementi di un accordo relativo ai servizi aerei UE-Stati Uniti al fine di creare una solida base per poter riprendere i negoziati formali”.
La Commissione ha lavorato attivamente con gli Stati Uniti attraverso una serie di discussioni tecniche per valutare la possibilità di compiere progressi in merito a questioni importanti per ciascuna parte. Le discussioni si sono concentrate in particolare sui tre settori della cooperazione normativa individuati nelle conclusioni della Presidenza della riunione del Consiglio “Trasporti” del 21 aprile, ossia sicurezza, concorrenza e aiuti di Stato nel settore dei trasporti aerei. Sono state discusse anche questioni di accesso al mercato e proprietà e controllo. Sono stati compiuti buoni progressi verso la definizione dei parametri che possono consentire di riprendere i negoziati.
Alla luce di queste discussioni tecniche, la Commissione ha riferito al Consiglio “Trasporti” del 27 e 28 giugno e si è svolto uno scambio di opinioni tra i ministri. Nel frattempo, al Vertice UE-Stati Uniti del 20 giugno 2005 è stato concordato che le due parti continuino a collaborare su questioni legate ai trasporti aerei, tra cui la sicurezza e la liberalizzazione, anche al fine di concludere con la massima sollecitudine un accordo globale iniziale sui servizi aerei UE-Stati Uniti. E’ stato riconosciuto che tale accordo comporterebbe considerevoli benefici offrendo nuove preziose opportunità commerciali, a vantaggio delle compagnie aeree, degli aeroporti, del turismo, dei legami commerciali, del trasporto di merci e dei consumatori di entrambe le parti.
Interrogazione n. 92 dell'on. Peter Baco (H-0514/05)
Oggetto: Visione a lungo termine per l'agricoltura e lo sviluppo rurale
Nell'ambito dei negoziati sulle prospettive finanziarie 2007-2013, si è ritenuto particolarmente opportuno inserire le decisioni a medio termine sullo sviluppo agricolo e rurale dell'Unione europea in una visione a lungo termine.
Può la Commissione, indicare quali sono, dal suo punto di vista, gli obiettivi dell'Unione europea per il 2030 e il 2050 nel settore dell'agricoltura, e quali i mezzi per raggiungerli? Quali sono, a suo parere, i rischi maggiori in questo settore, e quali gli ostacoli assolutamente da evitare?
Con il processo di riforma della PAC, iniziato nel 1992 e giunto a conclusione nel 2003, la Commissione ha accresciuto l’orientamento al mercato e la competitività dell’agricoltura e delle zone rurali dell’Unione europea, ha integrato le preoccupazioni in materia di ambiente e di benessere degli animali della società civile europea nonché le esigenze di qualità e sicurezza dei prodotti alimentari, ha cercato di garantire l’equilibrio sociale continuando ad assicurare un equo tenore di vita per la comunità agricola e ha ampliato il campo di intervento rafforzando lo sviluppo rurale.
La Commissione è del parere che la competitività, l’integrazione delle preoccupazioni dei cittadini e l’equilibrio sociale resteranno in futuro obiettivi fondamentali per il modello agricolo e di sviluppo rurale europeo, che è basato sulla sostenibilità economica, ecologica e sociale.
Interrogazione n. 93 dell'on. Karin Riis-Jørgensen (H-0515/05)
Oggetto: Regole di concorrenza per la navigazione mercantile senza itinerario fisso
Nel Libro bianco della Commissione sulla revisione del regolamento (CEE) n. 4056/86(1) sull'applicazione delle regole di concorrenza UE nell'ambito dei trasporti marittimi, a pagina 10, si afferma che la Commissione darà all'industria della navigazione mercantile senza itinerario fisso linee guida sull'attuazione delle regole di concorrenza nel settore. Siffatta normativa appare giustificata dal fatto che questa attività economica non può desumere le proprie regole dalla prassi giuridica dal momento che è stata esclusa sia dal regolamento (CEE) n. 4056/86 sia dalle disposizioni generali di attuazione UE.
La Commissione può confermare che siffatta regolamentazione sarà introdotta prima o almeno contemporaneamente all'abolizione della deroga per la navigazione mercantile senza itinerario fisso dal regolamento (CE) n. 1/2003(2)?
Inoltre si chiede alla Commissione di far sapere quando ci si aspetta che la deroga sia abolita, e infine quale forma di istruzioni saranno introdotte in suo luogo?
Nel Libro bianco sulla revisione del regolamento (CEE) n. 4056/86 sull’applicazione delle regole di concorrenza UE nell’ambito dei trasporti marittimi, la Commissione ha affermato che intende proporre la revoca dell’attuale esclusione dei servizi di navigazione mercantile senza itinerario fisso (ossia i servizi marittimi non di linea) dall’ambito delle norme di applicazione del diritto in materia di concorrenza.
La Commissione ha previsto di presentare una proposta legislativa per il quarto trimestre del 2005.
La misura in questione non comporterà un cambiamento sostanziale per il settore. Le norme sostanziali di diritto della concorrenza, stabilite agli articoli 81 e 82 del Trattato, si applicano già ai servizi senza itinerario fisso. La proposta legislativa prevista si limiterà ad assoggettare tali servizi alle norme di applicazione del diritto in materia di concorrenza stabilite nel regolamento (CE) n. 1/2003. La Commissione ha previsto di presentare una proposta legislativa per il quarto trimestre del 2005.
La Commissione potrà tuttavia fornire linee guida solo dopo essere stata dotata degli strumenti di applicazione adeguati per ottenere le informazioni pertinenti sul funzionamento del settore della navigazione mercantile senza itinerario fisso.
Interrogazione n. 94 dell'on. Ignasi Guardans Cambó (H-0517/05)
Oggetto: Persone scomparse
Da vari anni l'Unione europea contempla la possibilità di affrontare la questione delle persone scomparse, dal momento che l'aumento dei flussi di circolazione delle persone al suo interno ha reso necessaria l'adozione di un approccio congiunto da parte degli Stati membri.
La Commissione dovrebbe già avere intrapreso un'azione concreta in questo campo, ad esempio la presentazione della sua relazione al Consiglio sui bambini scomparsi o sfruttati a fini sessuali, di cui al punto 3.3 dell'allegato al Programma dell'Aia: Dieci priorità per i prossimi cinque anni - Partenariato per rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia.
Può dire la Commissione quando intende presentare al Consiglio la sua relazione concernente i risultati di uno studio realizzato a seguito della risoluzione del Consiglio del 2001 relativa al contributo della società civile al reperimento di bambini scomparsi o sfruttati a fini sessuali?
Inoltre, ha la Commissione previsto di estendere questo tipo di indagine alle persone scomparse di tutte le età?
Come indicato nel piano d’azione del Consiglio e della Commissione per l’attuazione del programma dell’Aia relativo al rafforzamento della libertà, della sicurezza e della giustizia nell’Unione europea, nel 2005 sarà pubblicata la relazione sui risultati di uno studio condotto a seguito della risoluzione del Consiglio del 2001 sull’apporto della società civile alla ricerca di bambini scomparsi o sessualmente sfruttati.
Un progetto di relazione è già stato elaborato a livello operativo ed esaminato nell'ambito dei servizi del Commissario competente. Si prevede che la Commissione colga l’opportunità della relazione per comunicare al Parlamento e al Consiglio quale tipo di azione potrebbe essere intrapresa per sostenere e rafforzare il contributo della società civile nel settore interessato. I risultati delle discussioni in corso saranno presentati appena possibile dopo la pausa estiva. Doveva inoltre essere preso in considerazione l’allargamento dell’Unione europea avvenuto nel maggio 2004. Nel 2004, nell’ambito del programma AGIS, è stato concesso un finanziamento per un progetto successivo al fine di estendere lo studio ai dieci nuovi Stati membri.(1)
La Commissione accoglie con favore qualsiasi contributo adeguato della società civile alla ricerca o al sostegno di persone scomparse o sessualmente sfruttate di tutte le età. Per quanto riguarda ulteriori studi, sembra indispensabile il contributo delle pertinenti organizzazioni della società civile; in particolare potrebbero essere considerate con favore iniziative di studi relativi, ad esempio, ai bambini, ai giovani e alle donne nel contesto del programma DAPHNE II.
Come la Commissione ha sottolineato nella risposta all’interrogazione scritta E-1498/05 dell’onorevole Richard Corbett, occorre prestare particolare attenzione al fatto che nell’ambito del sistema di informazione Schengen (SIS) esiste già la possibilità di cercare persone e bambini scomparsi, che sarà mantenuta quando verrà realizzata la seconda generazione del SIS. La Commissione avvierà inoltre uno studio di fattibilità sulla possibilità di creare una nuova categoria di segnalazioni su minori cui dovrebbe essere vietato lasciare l’area Schengen, allo scopo di prevenire l’eventuale rapimento di un minore che finirebbe in un paese terzo.
Study on the actual extent of the phenomenon of missing and sexually exploited children in the 10 acceding countries to the EU, JHA/2004/AGIS/006.
Interrogazione n. 95 dell'on. Proinsias De Rossa (H-0521/05)
Oggetto: Recepimento della direttiva del 2002 sull'informazione e la consultazione
La direttiva 2002/14/CE(1), che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori all'interno della Comunità europea, avrebbe dovuto essere recepita in tutti gli Stati membri entro il 23 marzo 2005. L'Irlanda non ha tuttavia ancora provveduto.
Può la Commissione indicare se e quali altri Stati membri debbano ancora notificare alla stessa l'avvenuto recepimento della citata direttiva? Quali azioni ha essa intrapreso o intende intraprendere per garantire che la direttiva in questione sia recepita e pienamente attuata in tutti gli Stati membri?
Come l’onorevole parlamentare afferma a giusto titolo, la direttiva 2002/14/CE(2) del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 marzo 2002 che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori all’interno della Comunità europea stabilisce quale termine per il suo recepimento la data del 23 marzo 2005.
Al 20 giugno 2005 la Commissione ha ricevuto 14 notifiche di recepimento della direttiva 2002/14/CE dai seguenti Stati membri: Belgio, Repubblica ceca, Germania, Francia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Paesi Bassi, Austria, Portogallo, Slovenia, Repubblica slovacca, Finlandia e Regno Unito.
La mancata notifica di misure nazionali di esecuzione costituisce un inadempimento da parte di uno Stato membro e comporta l’avvio di una procedura di infrazione da parte della Commissione, che inizia con una fase precontenziosa in cui è previsto l’invio di una lettera di costituzione in mora allo Stato membro interessato.
Interrogazione n. 96 dell'on. Georgios Toussas (H-0523/05)
Oggetto: Violazione dei diritti dei lavoratori al Carrefour di Salonicco
Ai dipendenti della catena di supermercati Carrefour di Salonicco è richiesto di lavorare su turni discontinui con l'obbligo di rimanere sul posto anche durante le ore libere tra un turno e l'altro. In questo modo, pur rispettando, almeno apparentemente, i periodi di riposo quotidiano cui i dipendenti hanno diritto, la società sta di fatto costringendo gli stessi a rimanere sul luogo di lavoro, a completa disposizione del datore di lavoro anche per riprendere a lavorare in quelle ore che, ovviamente, non sono considerate lavorative.
Intende la Commissione ritirare la proposta di direttiva (COM(2005)0246 def.), concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, finalizzata a rendere più flessibili le condizioni di lavoro, e adottare invece delle misure volte a garantire un ritmo di lavoro fisso di 7 ore al giorno e 5 giorni/35 ore a settimana in modo da assicurare ai dipendenti sufficiente tempo libero e una vita familiare normale?
L’onorevole parlamentare descrive la situazione dei dipendenti della catena di supermercati Carrefour, che hanno l’obbligo di effettuare servizi di guardia senza che il tempo ad essi dedicato sia considerato orario di lavoro.
L’articolo 2, punto 1), della direttiva 2003/88/CE(1) definisce l’orario di lavoro “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali”.
Per essere qualificati orario di lavoro ai sensi della direttiva, tutti i periodi devono soddisfare i tre criteri della definizione menzionata in precedenza.
Nella sentenza pronunciata nella causa SIMAP(2), la Corte di giustizia ha dichiarato che “l’obbligo (...) di essere presenti e disponibili sul luogo di lavoro per prestare la loro opera professionale dev’essere considerato rientrante nell’esercizio delle loro funzioni” (punto 48) e ha concluso che “il periodo di servizio di guardia che svolgono i medici (...), secondo il regime della presenza fisica nel centro sanitario, dev’essere interamente considerato come rientrante nell’orario di lavoro”.
In base alla direttiva 2003/88/CE, così come interpretata dalla Corte di giustizia, il periodo di servizio di guardia descritto nell’interrogazione dell’onorevole parlamentare deve essere interamente considerato come rientrante nell’orario di lavoro. Spetta alle autorità nazionali competenti assicurare il rispetto del diritto comunitario a livello nazionale.
Se la proposta modificata del 31 maggio 2005(3) verrà adottata dal Parlamento e dal Consiglio, i periodi attivi di servizio di guardia dovranno essere interamente considerati come rientranti nell’orario di lavoro. I periodi inattivi di servizio di guardia non verrebbero considerati come rientranti nell’orario di lavoro, ma non potrebbero più essere presi in considerazione per il calcolo del periodo di riposo giornaliero e settimanale.
La Commissione ritiene che la proposta modificata rappresenti un giusto equilibrio tra la necessità di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori e l’esigenza di offrire agli Stati membri e alle imprese dell’Unione europea la flessibilità necessaria in materia di organizzazione dell’orario di lavoro.
Direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003 concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, GU L 299 del 18.11.2003.
Sentenza della Corte di giustizia del 3 ottobre 2000, causa C-303/98, Sindicato de Médicos de Asistencia Pública (SIMAP) contro Conselleria de Sanidad y Consumo de la Generalidad Valenciana, Racc. 2000, pag. I-07963.
Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, documento COM (2005) 246 def.
Interrogazione n. 97 dell'on. Panayiotis Demetriou (H-0524/05)
Oggetto: Regolamento (CE) n. 60/2004 recante misure transitorie nel settore dello zucchero in seguito all'adesione dei nuovi Stati membri all'Unione europea
Il 14 gennaio 2004 la Commissione ha adottato il regolamento (CE) 60/2004(1) allo scopo di regolamentare la produzione e la commercializzazione dello zucchero nei paesi allora candidati all'adesione. La citata norma obbligava i paesi interessati ad eliminare dal mercato le quote di zucchero eccedenti il consumo medio degli ultimi quattro anni.
Tuttavia, secondo una prassi commerciale consolidata nel settore dello zucchero, gli ordini e gli acquisti di tale prodotto erano già stati effettuati nell'autunno dell'anno precedente, ossia prima dell'entrata in vigore del regolamento, a sua volta adottato ancora prima della firma dei trattati di adesione da parte dei nuovi Stati membri dell'Unione. Come intende la Commissione giustificare, sul piano politico, la decisione di imporre una sanzione ai nuovi Stati membri e quindi anche alle imprese importatrici di zucchero per i quantitativi di zucchero che superano il quantitativo considerato come scorta normale di riporto? Considerando le preoccupazioni e i numerosi problemi di natura politica e giuridica suscitati dalla suddetta decisione, come intende la Commissione trattare la questione in futuro?
Sulla base dell’atto di adesione (allegato 4, capitolo 4, paragrafo 2) e conformemente alle disposizioni del regolamento (CE) n. 60/2004 della Commissione(2), con regolamento (CE) n. 832/2005(3) sono state determinate le eccedenze di zucchero per i nuovi Stati membri. L’atto di adesione è stato firmato nell’aprile 2003, ossia nove mesi prima della pubblicazione del regolamento (CE) n. 60/2004. I rischi della costituzione di scorte a fini speculativi sono già stati individuati e discussi durante i negoziati di adesione con gli allora paesi candidati, soprattutto con quelli in cui non esisteva una produzione di zucchero e veniva applicata una limitata protezione delle importazioni. La Commissione disponeva pertanto delle basi giuridiche e politiche necessarie per adottare tale decisione.
Innanzi tutto, l’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 60/2004 stabilisce che le quantità determinate devono essere eliminate dal mercato comunitario entro il 30 novembre 2005. Le penali previste dovranno essere versate solo se l’eliminazione delle eccedenze determinate non avviene in modo corretto entro il termine stabilito. Va richiamata l’attenzione sul fatto che il possibile onere finanziario può essere ridotto in misura considerevole qualora vengano individuati gli operatori speculativi utilizzando il sistema di constatazione previsto all’articolo 6, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 60/2004. Qualora tuttavia restino quantità non eliminate per le quali non è possibile individuare alcun operatore, le penali che i nuovi Stati membri dovranno versare potranno essere ripartite in quattro anni (2006-2009).
Regolamento (CE) n. 60/2004 della Commissione del 14 gennaio 2004 recante misure transitorie nel settore dello zucchero in seguito all’adesione della Repubblica ceca, dell’Estonia, di Cipro, della Lettonia, della Lituania, dell’Ungheria, di Malta, della Polonia, della Slovenia e della Slovacchia, GU L 9 del 15.1.2004.
Regolamento (CE) n. 832/2005 della Commissione del 31 maggio 2005 concernente la determinazione delle eccedenze di zucchero, isoglucosio e fruttosio per la Repubblica ceca, l’Estonia, Cipro, la Lettonia, la Lituania, l’Ungheria, Malta, la Polonia, la Slovenia e la Slovacchia, GU L 138 dell’1.6.2005.
Interrogazione n. 98 dell'on. Anna Ibrisagic (H-0525/05)
Oggetto: Accordo di pace in Bosnia
In numerose occasioni è stato detto che, prima dell'inizio dei negoziati di adesione con l'UE, la Bosnia e i suoi paesi confinanti dovrebbero stipulare un nuovo trattato di pace, il quale in pratica sostituirebbe il trattato di Dayton. Come interpreta la Commissione quanto sopra?
La Bosnia-Erzegovina e i suoi paesi confinanti dovranno soddisfare alcuni rigorosi requisiti prima che possa essere preso in considerazione l’avvio di negoziati di adesione all’Unione europea. Il consolidamento della stabilità e della democrazia e lo sviluppo di buoni rapporti di vicinato sono certamente alcune delle precondizioni cui sono subordinati tali negoziati. Non esiste tuttavia alcun requisito relativo alla conclusione di un accordo di pace regionale.
L’accordo di pace di Dayton del 1995 pose fine a una spaventosa guerra civile durata tre anni in Bosnia-Erzegovina. L’obiettivo di tale accordo era ottenere la cessazione del conflitto armato in Bosnia-Erzegovina e fornire al paese gli elementi di base per la sua normalizzazione, compresa una costituzione. Sotto questo aspetto, l’accordo di Dayton ha avuto successo. Ciononostante, è ampiamente riconosciuto che l’accordo di pace di Dayton e l’attuale assetto costituzionale di Bosnia-Erzegovina dovranno essere progressivamente adattati al fine di tener conto della normalizzazione del paese e per poter soddisfare i criteri dell’Unione europea.
Interrogazione n. 99 dell'on. Marie Panayotopoulos-Cassiotou (H-0527/05)
Oggetto: Identità linguistica e culturale dei figli di cittadini europei stabiliti in uno Stato membro diverso dal loro Stato membro d'origine
Il numero dei cittadini europei che si stabiliscono per un lungo periodo in uno Stato membro diverso da quello d'origine, nel contesto delle libertà di circolazione e di stabilimento previste dai trattati, aumenta con la nuova ripartizione e utilizzazione delle capacità umane europee in posti di lavoro di alto livello, il che contribuisce alla realizzazione degli obiettivi della strategia di Lisbona.
Quali misure intende adottare la Commissione per consentire ai figli dei lavoratori migranti di conservare la propria identità linguistica e culturale nello Stato membro di accoglienza, e per permettere all'Unione europea di non perdere la sua diversità?
Quali cambiamenti la Commissione intende apportare alla direttiva 77/486/CEE(1) del Consiglio, del 25 luglio 1977, per adeguarla alla situazione attuale e alle prospettive per il 2010?
Quali mezzi intende utilizzare la Commissione, ed in che senso, per far fronte alle esigenze fondamentali di una parte cospicua della giovane generazione europea?
La Commissione, al pari dell’onorevole parlamentare, attribuisce molta importanza all’idea di salvaguardare la diversità culturale e linguistica, tuttavia, nell’azione svolta a tale scopo, la Commissione è vincolata dalle prerogative ad essa conferite dai Trattati. In questo contesto, la Commissione ha intrapreso una serie di iniziative.
Nel luglio 2003 la Commissione ha adottato un piano d’azione per il periodo 2004-2006 per promuovere l’apprendimento delle lingue e la diversità linguistica, con il quale si è proposta di definire 45 misure a livello europeo allo scopo di creare un ambiente più favorevole alle lingue.
Nel piano d’azione la Commissione sottolinea che promuovere la diversità linguistica significa incoraggiare attivamente l’insegnamento e l’apprendimento della più ampia gamma possibile di lingue nelle scuole, nelle università e nei centri d’istruzione per adulti, comprese le lingue delle comunità migranti. La Commissione sostiene altresì il metodo CLIL che consiste nell’apprendimento di una materia in una lingua straniera.
La possibilità di introdurre questo metodo nei sistemi di istruzione degli Stati membri è stato discusso di recente in occasione di una conferenza sull’insegnamento plurilingue organizzata dalla Commissione e dalla Presidenza lussemburghese del Consiglio. I vantaggi di questo sistema, come l’incoraggiamento di una maggiore coesione sociale, sono stati sottolineati nella posizione della Presidenza in materia adottata nella riunione del Consiglio del 24 maggio 2005 (EDUC 69 – 8392/05).
Il gruppo di lavoro sulle lingue istituito nel quadro del programma “Istruzione e formazione 2010” ha raccomandato, tra l’altro, che l’insegnamento delle lingue regionali, minoritarie, delle comunità migranti e dei paesi limitrofi faccia parte della politica generale nel settore dell’istruzione e della formazione.
L’azione comunitaria in questo campo si limita a incentivare la cooperazione tra Stati membri e a sostenere e integrare la loro azione, “nel pieno rispetto della responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione del sistema di istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche”, secondo quanto stabilito all’articolo 149 del Trattato.
L’onorevole parlamentare fa riferimento alla direttiva 77/486/CEE del Consiglio del 25 luglio 1977 relativa alla formazione scolastica dei figli dei lavoratori migranti(2), che all’articolo 3 stabilisce che gli Stati membri prendono, conformemente alle loro situazioni nazionali e ai loro ordinamenti giuridici e in cooperazione con gli Stati d’origine, le misure appropriate al fine di promuovere un insegnamento della madrelingua a favore dei figli dei lavoratori migranti. Tale direttiva è attualmente in fase di valutazione da parte della Commissione in modo da poter definire nel modo più preciso possibile gli obblighi degli Stati membri e, se necessario, presentare proposte adeguate al Consiglio e al Parlamento.
Nel quadro dei programmi di cooperazione dell’Unione europea, la Commissione cofinanzia alcuni progetti volti a promuovere la diversità linguistica e il dialogo interculturale, di cui un esempio è costituito dal programma Cultura 2000, che incoraggia il dialogo interculturale e gli scambi tra culture europee e non europee. Questo aspetto è ulteriormente rafforzato nella proposta della Commissione relativa al programma Cultura 2007.
Nell’ambito del futuro programma integrato per l’apprendimento permanente per il periodo 2007-2013, la Commissione propone il finanziamento di reti europee nel settore dell’apprendimento delle lingue e della diversità linguistica, che potrebbe consentire, ad esempio, di sostenere progetti di scuole in cui verrebbe organizzato un apprendimento del tipo CLIL.
Interrogazione n. 100 dell'on. Linda McAvan (H-0531/05)
Oggetto: Ftalati nei neonati
È la Commissione a conoscenza del recente studio realizzato ad Harvard "Uso del di(2-etihexil) ftalato contenente medicinali e livelli di urina di mono(2-etihexil) ftalato nell'unità di terapia intensiva neonatale", il quale indica nei neonati accolti nelle unità di terapia intensiva neonatale un elevato livello di DEHP nelle urine?
Ritiene la Commissione che i risultati di tale studio implichino conseguenze sul futuro della politica dell'UE quanto all'uso degli ftalati?
La Commissione segue con attenzione qualsiasi nuovo sviluppo relativo ai problemi di sicurezza inerenti all’uso degli ftalati nei dispositivi medici e, in particolare, all’esposizione di gruppi di pazienti ad alto rischio come i neonati. La Commissione ha pertanto preso atto del recente studio menzionato dall’onorevole parlamentare e pubblicato l’8 giugno 2005 dal National Institute of Environmental Health Science degli Stati Uniti.
Già nel 2002 era stato consultato il Comitato scientifico dei medicinali e dei dispositivi medici in merito alla potenziale tossicità dei dispositivi medici contenenti PVC plastificato con DEHP per i neonati ed era stato adottato un parere secondo cui, tenuto conto dei dati disponibili all’epoca, non poteva essere formulata alcuna specifica raccomandazione per limitare l’uso di DEHP in particolari gruppi di pazienti.
La Commissione è profondamente impegnata a garantire che i gruppi di pazienti ad alto rischio, e in particolare i neonati accolti nelle unità di terapia intensiva, ricevano cure e trattamenti adeguati attraverso dispositivi medici sicuri. Per questo motivo, la Commissione ha convocato una riunione del gruppo di esperti sui dispositivi medici fabbricati in PVC contenente DEHP.
Per valutare i nuovi dati verrà richiesto il parere del Comitato scientifico dei rischi sanitari emergenti e recentemente identificati, che è stato istituito in questi ultimi tempi. Lo studio di Harvard del giugno 2005 sarà uno dei documenti che verranno esaminati da tale Comitato.
In seguito, il gruppo di esperti, tenendo conto del parere del Comitato scientifico e di qualsiasi nuovo sviluppo tecnico, proporrà, se necessario, ulteriori azioni sull’uso di PVC contenente DEHP nei dispostivi medici e possibili alternative.
Il futuro della politica dell’UE sull’uso degli ftalati nei dispositivi medici verrà riesaminata, laddove opportuno, sulla base dell’esito di tale consultazione.
Interrogazione n. 101 dell'on. Johan Van Hecke (H-0532/05)
Oggetto: Attuazione della direttiva sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE)
La direttiva del PE e del Consiglio sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) la cui proposta iniziale della Commissione (COM(2000)0347 def.), risalente al 2000, e il testo definitivo sono stati approvati l'11 ottobre 2002 al termine di laboriosi negoziati dal Comitato di conciliazione (PE-CONS 3663/2002), avrebbe dovuto essere recepita dagli Stati membri nelle loro legislazioni nazionali entro e non oltre il 1° agosto 2004.
Non poche sono le imprese e istituzioni che si lamentano del fatto che la direttiva viene applicata in maniera diversa dagli Stati membri per cui in seno all'UE vigono attualmente normative tutt'altro che uniformi e oltremodo divergenti creando incertezza giuridica e difficoltà per le imprese che nei vari Stati membri si trovano ogni volta alle prese con legislazioni diverse.
E' la Commissione al corrente di siffatti problemi? Intende essa adottare provvedimenti per ovviare a questo stato di cose?
La Commissione è consapevole che la direttiva è molto complessa e che riguarda molte imprese, in particolare quelle che devono rispettare le diverse disposizioni legislative vigenti nei vari Stati membri, anche perché la direttiva è basata sull’articolo 175 del Trattato.
Per quanto riguarda la posizione giuridica sulla direttiva RAEE, la Commissione sta attualmente valutando se le misure notificate dagli Stati membri recepiscano in modo corretto gli obblighi previsti dalla direttiva. La Commissione, in qualità di custode dei Trattati, non esita a intraprendere tutte le iniziative necessarie, compreso l’avvio di procedure di infrazione ai sensi dell’articolo 226 del Trattato, per garantire l’osservanza del diritto comunitario.
La Commissione ha instaurato un dialogo strutturato e uno scambio di opinioni e di esperienze con gli Stati membri nell’ambito del Comitato per l’adeguamento al progresso tecnico della direttiva e con le parti interessate del settore in varie riunioni bilaterali e nel forum di discussione ad alto livello istituito dalla Direzione generale per l’Ambiente all’inizio del 2005. la Commissione sta assumendo un ruolo di primo piano nel garantire la massima armonizzazione possibile della sua applicazione. A tale scopo, sul sito web della Direzione generale per l’Ambiente http://europa.eu.int/comm/environment/waste/weee_index.htm è disponibile un documento orientativo sulla direttiva RAEE.
Va tuttavia rispettata la mancanza di uniformità di applicazione, in quanto è la stessa direttiva a consentirlo.
Finora non sono previste ulteriori misure legislative.
Interrogazione n. 102 dell'on. Ivo Belet (H-0536/05)
Oggetto: Accesso agli asili nido per i lavoratori frontalieri
La legge olandese sulla custodia dei bambini (Wet Kinderopvang) stipula all'articolo 6, paragrafo 3 che, per poter beneficiare delle relative agevolazioni finanziarie, entrambi i genitori devono lavorare nei Paesi Bassi. In altre parole numerose famiglie di lavoratori frontalieri, residenti in Germania o in Belgio, dei quali un genitore lavora nei Paesi Bassi, mentre l'altro lavora in Belgio o in Germania, non possono beneficiare di questa indennità. Quest'ultima è calcolata per figlio e dipende dai redditi della famiglia.
Le indennità versate a titolo della legge olandese sulla custodia dei bambini costituiscono un vantaggio sociale (secondo l'articolo 7 del Regolamento (CEE) 1612/68(1)) ovvero una prestazione e/o indennità di famiglia (articolo 1, u)i) e ii) del Regolamento (CEE) 1408/71(2))?
I Paesi Bassi hanno facoltà di rifiutare le indennità di famiglia ai lavoratori frontalieri ove i due genitori siano lavoratori dipendenti ma soltanto uno di loro lavora nei Paesi Bassi?
Ove l'indennità per la custodia dei bambini prevista dalla legge olandese "Wet Kinderopvang" rientrasse nel campo di applicazione materiale del Regolamento (CEE) 1408/71, sarebbe di applicazione il sistema di coordinamento prescritto al capitolo 7 di detto Regolamento?
Ove si tratti di un vantaggio sociale (quale definito all'articolo 7, paragrafo 2, del Regolamento (CEE) 1612/68), come si effettua il computo dell'importo dell'indennità?
L’onorevole parlamentare richiama l’attenzione della Commissione sulla legge olandese sulla custodia dei bambini, in base alla quale si ha diritto a percepire un’indennità solo se entrambi i genitori lavorano nei Paesi Bassi. Questo significa che i lavoratori frontalieri non possono usufruire di tale indennità se un genitore lavora in Belgio.
Sulla base delle informazioni fornite dall’onorevole parlamentare sulla legislazione olandese in questione, la Commissione è del parere che si tratta di un’indennità che, da un lato, soddisfa i criteri stabiliti nella giurisprudenza della Corte di giustizia(3) per essere qualificata prestazione familiare ai sensi dell’articolo 4, lettera h), del regolamento (CEE) n. 1408/71 e, dall’altro lato, che può anche essere classificata come vantaggio sociale ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento (CEE) n. 1612/68.
Per essere in grado di esaminare tutti gli aspetti giuridici dell’interrogazione dell’onorevole parlamentare, la Commissione contatterà le autorità olandesi al fine di ottenere ulteriori dettagli sulla legislazione menzionata e valutare gli effetti del diritto comunitario sull’indennità in questione. La Commissione comunicherà senz’altro all’onorevole parlamentare i risultati del suo esame.
Cfr. sentenza della Corte del 10 ottobre 1996, C-245/94 e C-312/94, Hoever e Zachow.
Interrogazione n. 103 dell'on. María Isabel Salinas García (H-0537/05)
Oggetto: Impulso dei sistemi di dissalazione nell'UE
La Spagna sta dando impulso al Programma AGUA con una serie di misure per l'approvvigionamento di tale risorsa in un paese pesantemente colpito dalla siccità. AGUA, che adempie alle norme comunitarie in materia, si sta dimostrando molto efficace nel garantire la fornitura e nel rispettare l'esigenza dei livelli minimi necessari al fine di mantenere gli ecosistemi dei diversi bacini idrici. Il Programma rifiuta in tal modo altre tecniche o grandi opere di conduzione idraulica che potrebbero aver pregiudicato in modo irreversibile l'ambiente e la biodiversità spagnola. Per contro le nuove tecnologie disponibili per la dissalazione consentono che il processo di osmosi inversa si possa realizzare con un alto grado di efficienza energetica nonché una gestione delle saline residue altamente sostenibile.
Molti paesi mediterranei dell'UE utilizzano già i sistemi di dissalazione, sebbene non si basino sulle migliori tecniche disponibili già applicate in Spagna. Ritiene la Commissione formulare una raccomandazione affinché i paesi dell'UE che possono ottenere acqua attraverso la dissalazione investano nell'impianto e nella modernizzazione di tale tipo di sistemi? Con quali fondi l'UE può incentivare la realizzazione di desalinizzatori nelle zone in cui essi si dimostrino la forma di risorsa più sostenibile?
La Commissione è a conoscenza di una serie di impianti di dissalazione esistenti o previsti, in particolare nei paesi del Mediterraneo. Gli elementi importanti da considerare sembrano essere i seguenti: aspetti ambientali, promozione delle tecnologie ambientali e uso degli strumenti di finanziamento.
Aspetti ambientali
La Commissione è consapevole dell’intenzione delle autorità spagnole di utilizzare impianti di dissalazione per fornire acqua a regioni afflitte da scarsità idrica. La Commissione desidera cogliere l’opportunità per fornire alcune informazioni sulla direttiva quadro in materia di acque(1), che costituisce uno degli elementi fondamentali della legislazione europea globale in materia di protezione delle risorse idriche nel suo complesso.
La direttiva quadro in materia di acque prevede la protezione di tutte le acque, riguarda tutti i settori dell’attività umana, stabilisce l’obiettivo di buona qualità (“buono stato”) per tutte le acque, legato a una clausola di non deterioramento, definisce il “buono stato” per le acque costiere in modo globale, in termini di elementi di qualità biologica, fisico-chimica e idromorfologica e sottopone tutti gli scarichi in fonti puntuali che possono provocare inquinamento a una procedura di autorizzazione.
Oltre alle disposizioni di questa direttiva, esiste anche un quadro globale di criteri da rispettare in base ad altre parti della legislazione ambientale comunitaria, in particolare la normativa in materia di protezione della natura, e questo soprattutto in relazione al caso di zone sottoposte a particolare tutela (di cui un esempio è costituito dalle praterie di posidonia lungo le coste spagnole, che godono di particolare tutela in base alla direttiva “habitat”(2)), garantendo il rispetto degli obiettivi ambientali.
La Commissione non ha inteso raccomandare tecniche specifiche, tuttavia viene incentivata l’innovazione in generale, nonché l’ecoinnovazione o innovazione nel campo delle tecnologie ambientali, attraverso il piano d’azione per le tecnologie ambientali nell’Unione europea(3). Ad esempio, la sperimentazione e la convalida di nuove tecnologie, come le tecniche di dissalazione, dovrebbero essere facilitate dalle reti di sperimentazione istituite attraverso il sesto programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico e un eventuale sistema di verifica delle tecnologie ambientali a livello UE, di cui la Commissione si sta attivamente occupando.
Strumenti di finanziamento
Per cofinanziare gli impianti di dissalazione possono essere utilizzati i Fondi strutturali e il Fondo di coesione. La Commissione valuterà, alla luce della normativa comunitaria relativa a tali Fondi attualmente in vigore, il possibile cofinanziamento di qualsiasi progetto presentato dalle autorità spagnole ed eventualmente incluso nel programma AGUA. Alcuni programmi operativi regionali sono stati appositamente ridefiniti all’inizio del 2005 per tenere conto di tale possibile cofinanziamento dei progetti del programma AGUA, soprattutto degli impianti di dissalazione (costruzione di nuovi impianti e/o ampliamento di quelli esistenti).
In base alle ultime informazioni pervenute dalle autorità spagnole, nel programma AGUA fino a questo momento sono stati inclusi circa 21 impianti di dissalazione, gran parte dei quali è nella fase di elaborazione del progetto.
Direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2000 che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque, GU L 327 del 22.12.2000.
Direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, GU L 206 del 22.7.1992.
Interrogazione n. 104 dell'on. Leopold Józef Rutowicz (H-0540/05)
Oggetto: Dazi doganali sull'alluminio
L'industria polacca di trasformazione dell'alluminio grezzo non in forma di lega è minacciata di fallimento in quanto, a fronte di una redditività del 4-5%, l'introduzione di un dazio doganale del 6% su questo tipo di alluminio costituisce una catastrofe. Ora, il mercato europeo si è esteso alla produzione dell'industria rumena, il cui costo della manodopera è inferiore e la quale beneficia, per la sua produzione, di alluminio in esenzione doganale. I fornitori preferenziali di alluminio grezzo hanno aumentato i loro prezzi tramite un sistema di premi di categoria corrispondenti all'importo dei dazi doganali obbligatori. Questa situazione rischia di risolversi nel licenziamento di circa 5000 lavoratori. La vicenda ha già formato l'oggetto di un intervento.
Visto che i documenti pertinenti le sono stati trasmessi, come si propone la Commissione di risolvere il problema?
La Commissione ha preso atto dei problemi descritti dall’onorevole parlamentare.
Dal marzo 2004 le questioni relative alle importazioni di alluminio grezzo sono state oggetto di discussione in seno al Consiglio. Per quanto riguarda la tariffa del 6 per cento, un’analisi della situazione comporta, tra l’altro, una valutazione della posizione competitiva di tutte le imprese interessate e dell’impatto di qualsiasi misura su altri interessi comunitari. La Commissione si sta adoperando attivamente per portare molto presto a conclusione tali considerazioni.
Interrogazione n. 105 dell'on. Jelko Kacin (H-0541/05)
Oggetto: Difficoltà incontrate dagli organizzatori di giochi d'azzardo a pubblicizzare le proprie attività in altri Stati membri
Vari organizzatori di giochi d'azzardo hanno recentemente incontrato delle difficoltà a pubblicizzare le proprie attività in altri Stati membri, ad esempio i gestori di casinò sloveni che volevano fare pubblicità alla loro attività nella confinante Austria. Nel 2003 l'Austria ha modificato la propria legislazione nazionale introducendo il divieto di fare pubblicità a tutti i giochi d'azzardo che non si svolgono sul suo territorio.
Con l'articolo 56 della sua legge sui giochi d'azzardo l'Austria proibisce la pubblicità dei giochi d'azzardo da parte di operatori di altri Stati membri, mentre consente che gli stessi servizi siano pubblicizzati dai suoi operatori interni, i quali possono liberamente fare pubblicità ai propri servizi sia nei vecchi che nei nuovi Stati membri.
L'interrogante ritiene che questa disposizione di legge austriaca non sia conforme al diritto dell'UE, in quanto opera una discriminazione sulla base della cittadinanza o del paese del fornitore del servizio. Che cosa intende fare la Commissione per assicurare che l'Austria ponga fine a tale pratica discriminatoria entro la data alla quale assumerà la Presidenza dell'UE, vale a dire l'inizio del 2006?
La Commissione non ha ancora ricevuto alcuna denuncia riguardo alla legge cui si fa riferimento e pertanto non ne ha esaminato le disposizioni, tuttavia valuterà ulteriormente la legislazione in questione allo scopo di stabilirne la compatibilità con il diritto comunitario.
In generale, gli Stati membri possono imporre restrizioni alla prestazione transfrontaliera di servizi per proteggere obiettivi di interesse generale come la protezione dei consumatori o il mantenimento dell’ordine pubblico nella società. Tuttavia, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (CGE), tali restrizioni sono compatibili con il Trattato solo se non sono discriminatorie e sono proporzionate agli obiettivi di interesse generale in questione. Ad esempio, le considerazioni economiche non sono accettate quale valido obiettivo di interesse pubblico a giustificazione di una restrizione transfrontaliera.
Interrogazione n. 106 dell'on. Saïd El Khadraoui (H-0544/05)
Oggetto: Modifica del protocollo sulle norme di origine dell'accordo di associazione UE-Israele
È vero che Israele continua ad applicare ai territori occupati il protocollo sulle norme di origine anche dopo l'entrata in vigore dell'"accordo tecnico" non vincolante tra l'UE e Israele, relativo all'attuazione del protocollo sulle norme di origine dell'accordo di associazione UE-Israele, mantenendo il proprio rifiuto di distinguere, all'atto del rilascio delle prove di origine in base al citato accordo, tra prodotti fabbricati in quei territori e quelli fabbricati nello Stato di Israele? Alla luce di quanto sopra, ritiene la Commissione che le norme derivanti dall'accordo tecnico sulla cooperazione doganale UE-Israele possano rappresentare una "soluzione alla questione bilaterale UE-Israele sulle norme di origine"?
L’accordo concluso tra l’Unione europea e il governo di Israele relativo all’attuazione del protocollo n. 4 dell’accordo di associazione UE-Israele è stato adottato dal Comitato di cooperazione doganale UE-Israele. L’accordo tecnico prevede che tutte le prove di origine preferenziali emesse in Israele per le esportazioni verso l’Unione europea rechino il nome e il codice postale della città, del paese o della zona industriale in cui ha avuto luogo la produzione. Per determinare la città, il paese o la zona industriale in cui ha avuto luogo la produzione, Israele deve distinguere tra produzione effettuata nei territori occupati e produzione effettuata nel territorio dello Stato di Israele.
L’indicazione del luogo di produzione su tutte le prove di origine preferenziali emesse in Israele per le esportazioni verso l’Unione europea consente ai servizi doganali degli Stati membri dell’UE di applicare le norme di origine dell’accordo di associazione in modo funzionale ed efficace, permettendo loro di individuare i prodotti originari di Israele ammissibili ai dazi preferenziali rispetto a quelli originari degli insediamenti che sono assoggettati a dazi non preferenziali. L’accordo tecnico costituisce pertanto un mezzo pratico per gestire il problema delle esportazioni di prodotti originari degli insediamenti israeliani nei territori occupati di Gaza, Cisgiordania, Golan e parte orientale di Gerusalemme.
Interrogazione n. 107 dell'on. Rosa Miguélez Ramos (H-0547/05)
Oggetto: Saturazione delle Scuole europee
Considerando che le Scuole europee furono create per istruire congiuntamente i figli del personale della Comunità europea e garantire in tal modo il buon funzionamento della stessa, facilitando l'adempimento della sua missione, pare che la situazione attuale delle Scuole europee I e II di Bruxelles sia molto lontana dal soddisfare tale premessa: bambini che non possono essere iscritti, fratelli sistemati in scuole distinte, classi sature che non rispettano i criteri pedagogici minimi stabiliti. Nella propria decisione del 19 luglio 2004, l'Ombudsman europeo sottolinea che, a seguito della nuova Convenzione delle Scuole europee del 1994, la Commissione deve assumersi la responsabilità di garantire la corretta amministrazione e il corretto funzionamento delle stesse. Considerata la sua responsabilità, la Commissione ritiene giusta la politica restrittiva adottata dal Consiglio superiore delle Scuole europee, che non tiene conto di nessun criterio pedagogico né, tanto meno, della qualità dell'insegnamento? Che genere di misure sta adottando la Commissione per porre rimedio a tali problemi nel breve e medio periodo?
Interrogazione n. 109 dell'on. Javier Moreno Sánchez (H-0558/05)
Oggetto: Problemi causati dalla saturazione di alunni delle scuole europee di Woluwe e di Ixelles a Bruxelles
La sovrappopolazione delle scuole europee II e III a Bruxelles sta originando gravissimi problemi sia per l'istruzione dei figli di funzionari e lavoratori delle istituzioni europee che per le loro famiglie. L'apertura della scuola IV a Laeken nel 2009 è una prospettiva troppo lontana per essere considerata una possibile soluzione agli attuali problemi scottanti. Dinanzi a questa situazione, il Consiglio superiore delle scuole ha espressamente vietato chiaramente ai direttori delle due scuole la creazione, per l'anno scolastico 2005-2006, di nuovi gruppi per la scuola materna per le sezioni inglese, francese, tedesca, italiana e spagnola, nonché l'ammissione di nuovi allievi nelle categorie I o II che possano portare allo sdoppiamento di una classe o alla creazione di un qualsiasi gruppo di sostegno. Cosa pensa la Commissione di questa politica restrittiva, che non tiene conto dei più basici criteri pedagogici né delle difficoltà sociali in cui vengono messe numerose famiglie? Chi è responsabile di questa mancanza di previsione? Cosa intende fare la Commissione per trovare una soluzione immediata a fronte dell'inizio del nuovo anno scolastico, e difendere in tal modo gli interessi del personale delle istituzioni europee riguardanti un aspetto tanto fondamentale quale l'istruzione dei figli?
Interrogazione n. 110 dell'on. Bárbara Dührkop Dührkop (H-0560/05)
Oggetto: Sovraffollamento delle scuole europee: numero massimo di alunni per classe
Consapevole del problema rappresentato dal sovraffollamento delle scuole I e II di Bruxelles, il Consiglio superiore ha ora deciso di vietare che vi si accolgano altri alunni per non arrivare a 32 alunni per classe e non dover creare nuove unità. Ciò implica il rifiuto di accettare nuove domande di iscrizione specie nelle sezioni linguistiche, che sono le più richieste, ma anche che gli alunni già iscritti si ritrovino in classi con non meno di 30-31 alunni; ovviamente ciò comporta grossi problemi sul piano pedagogico: scarsa assistenza individuale agli alunni, problemi di disciplina e di sicurezza, rischio elevato di bocciature, ecc.. Se si considera che le scuole sopra citate hanno finora avuto la necessaria disponibilità di bilancio, insegnanti e locali, e che non si è dovuto applicare il criterio dei 32 alunni per classe, qual è al riguardo l'opinione della Commissione? Condivide essa la politica del Consiglio superiore? E' disposta a intervenire per evitare il sovraffollamento delle classi nel prossimo anno accademico?
La Commissione comprende e condivide le preoccupazioni espresse dagli onorevoli parlamentari in merito a vari aspetti del funzionamento delle scuole europee e desidera assicurare loro che, pur disponendo di un solo voto su 29 in seno al Consiglio superiore delle scuole europee, difende con forza gli interessi dei dipendenti delle Istituzioni e dei loro figli al fine di trovare soluzioni accettabili a livello del sistema delle scuole europee. In questo contesto, la Commissione ha espresso più volte la sua formale opposizione a qualsiasi politica restrittiva che potrebbe penalizzare i figli dei dipendenti delle Istituzioni europee per i quali queste scuole sono state create(1), comportare la separazione di fratelli delle famiglie di categoria I e costringere bambini molto piccoli a compiere lunghi tragitti attraverso Bruxelles.
La Commissione desidera sottolineare che, pur non potendo essere accusata di scarsa lungimiranza, da anni svolge un ruolo centrale nelle misure volte a sostenere l’ammissione di nuovi alunni fino a quando non sarà pronta la quarta scuola a Bruxelles.
La Commissione ha pertanto fornito il proprio sostegno al Segretario generale delle scuole europee, riuscendo a ottenere dalle autorità belghe che, al più tardi entro il settembre 2005, vengano messi a disposizione delle scuole europee due edifici (l’edificio BASF come succursale della scuola I di Bruxelles e l’edificio HP come succursale della scuola II di Bruxelles).
Inoltre, nel febbraio 2004 la Commissione aveva proposto, quale misura di emergenza, la sospensione immediata di qualsiasi nuova ammissione di alunni di categoria III nelle scuole europee di Bruxelles e Lussemburgo per prevenire un eventuale sovraffollamento.
Nessuna di queste proposte ha ricevuto il sostegno necessario per poter essere attuata.
La Commissione ribadisce la sua opposizione alla politica restrittiva perseguita dal Segretario generale delle scuole europee, alla separazione di fratelli di categoria I e, in particolare, alla decisione di limitare a una classe materna taluni gruppi linguistici delle scuole II e III di Bruxelles.
La Commissione ha pertanto scritto al Segretario generale delle scuole europee invitandolo espressamente a chiedere, per iscritto, al Consiglio superiore di riaprire entro settembre 2005 le classe materne che erano state chiuse e di accettare l’ammissione dei figli di dipendenti delle Istituzioni europee.
Inoltre, i risultati della consultazione sulle opzioni di sviluppo del sistema delle scuole europee(2), avviata dalla Commissione nel luglio 2004, consentiranno a quest’ultima dal 2006 di elaborare proposte più specifiche per una positiva evoluzione o una riforma radicale del sistema delle scuole europee, al fine di rispondere alle sfide che attendono tali scuole dal punto di vista dell’istruzione, della gestione e del finanziamento.
Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo – Consultazione sulle opzioni di sviluppo del sistema delle scuole europee, Bruxelles, 20.7.2004, COM(2004) 519 def.
Interrogazione n. 108 dell'on. María Elena Valenciano Martínez-Orozco (H-0548/05)
Oggetto: Scuole europee: numero di alunni per classe
Nella sua comunicazione sulle scuole europee (COM(2004)0519 definitivo) la Commissione fa riferimento al fatto che il numero massimo di alunni per classe in tali scuole è 32, un numero molto superiore a quello di molti Stati membri, aggiungendo che si dovrebbero esaminare i modi per ridurre la dimensione massima delle classi. Si tratta di un questione fondamentale, che consentirebbe di rispondere ai criteri pedagogici minimi assicurando un'elevata qualità dell'istruzione di questi alunni, senza dimenticare il diritto che essi hanno alla parità di opportunità rispetto ai bambini che vivono e sono scolarizzati nelle scuole pubbliche e private dei diversi Stati membri.
Che cosa sta facendo la Commissione affinché il consiglio superiore riduca il numero massimo di alunni per classe e affinché le condizioni pedagogiche e didattiche nel sistema delle scuole europee migliorino anziché restare ancorate ad un passato obsoleto?
La Commissione desidera rammentare all’onorevole parlamentare che, in base alla Convenzione recante statuto delle scuole europee(1), la responsabilità di tali scuole è affidata al Consiglio superiore, che è un organismo intergovernativo costituito da rappresentanti di ciascuno Stato membro nell’ambito del quale la Commissione dispone di un solo voto su 29, nonostante il suo considerevole contributo finanziario (circa il 60 per cento della dotazione finanziaria delle scuole europee).
E’ opportuno precisare che la politica definita dal Consiglio superiore stabilisce un numero massimo di 32 alunni per classe, al superamento del quale viene creata una nuova classe. Il limite stabilito per tutte le classi e tutti i livelli si avvicina a quello massimo applicato come prassi comune nei vari Stati membri dell’Unione europea e viene scrupolosamente rispettato dalle scuole.
Le classi talvolta hanno più di 30 alunni, a prescindere dal gruppo linguistico, in particolare nelle grandi scuole di Bruxelles e Lussemburgo.
Come indicato dall’onorevole parlamentare, nella comunicazione sulle opzioni di sviluppo del sistema delle scuole europee(2) la Commissione ha proposto una riduzione delle dimensioni delle classi, in particolare tenuto conto del fatto che queste ultime spesso accolgono alunni per i quali non esiste una sezione di lingua materna e che pertanto necessitano di un sostegno specifico per lavorare in una lingua diversa da quella materna(3).
Dopo aver analizzato le risposte alla consultazione in corso, che ha dissipato qualsiasi dubbio al riguardo, la Commissione chiarirà la sua posizione in una delle prossime riunioni del Consiglio superiore. La questione costituirà senza dubbio un importante elemento pedagogico delle proposte di riforma delle scuole europee presentate dalla Commissione.
Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo – Consultazione sulle opzioni di sviluppo del sistema delle scuole europee, Bruxelles, 20.7.2004, COM(2004) 519 def.
Cfr. punto 4.3 della comunicazione intitolato “Dimensioni delle classi”.
Interrogazione n. 111 dell'on. Francisca Pleguezuelos Aguilar (H-0550/05)
Oggetto: Coltivazione del tabacco
Alla vigilia dell'approvazione delle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013, l'adozione del regolamento di attuazione della riforma del settore del tabacco è ancora in sospeso.
Di che margine di manovra disporranno i governi per l'attuazione di tale riforma in materia di disaccoppiamento e di distribuzione della quota accoppiata alla produzione di tale coltivazione?
Saranno riconosciute le quote di produzione alla data del 15 maggio 2004?
Qual è il bilancio proposto dalla Commissione per la ristrutturazione del settore dopo il 2010?
Se l'obiettivo finale perseguito è quello dell'eliminazione della coltivazione del tabacco in Europa, quale alternativa si prevede per ristrutturare il settore, come annunciava la PAC del 1992?
Per quanto riguarda il margine di manovra di cui si potrà disporre per l’attuazione della riforma, gli Stati membri avranno la facoltà di decidere di aumentare il tasso minimo di disaccoppiamento del 40 per cento, di fissare criteri obiettivi in relazione alla distribuzione degli aiuti accoppiati e, se opportunamente giustificato, di introdurre una differenziazione del tasso di disaccoppiamento per regione.
La concessione degli aiuti non sarà basata sulla titolarità delle quote di produzione del tabacco al 15 maggio 2004. In generale, gli aiuti disaccoppiati sono basati sui premi erogati per il tabacco ricevuti durante il periodo di riferimento 2000-2002. Nel periodo 2006-2009 gli aiuti accoppiati saranno concessi agli agricoltori che hanno ricevuto i premi erogati per il tabacco durante il periodo 2000-2002 e a quelli che hanno acquisito quote di produzione del tabacco nel periodo dal 1o gennaio 2002 al 31 dicembre 2005.
Il Consiglio ha deciso che, a partire dal bilancio dell’esercizio 2011, ogni anno sarà disponibile un importo di 484 milioni di euro quale sostegno comunitario aggiuntivo per misure di ristrutturazione nelle regioni produttrici di tabacco nell’ambito della programmazione dello sviluppo rurale.
Nella riforma del 2004 l’obiettivo perseguito dal Consiglio non era quello dell’eliminazione della coltivazione del tabacco nell’Unione europea. Dopo il 2009, i coltivatori di tabacco continueranno a ricevere aiuti disaccoppiati e potranno continuare a coltivare tabacco o dedicarsi ad altri tipi di colture. Per quanto riguarda le colture alternative, il Fondo comunitario per il tabacco finanzia studi sulle possibilità per i produttori di tabacco greggio di passare ad altre colture o attività, e azioni di interesse generale. Nell’Unione europea dal 2003 sono stati avviati 51 e azioni di questo tipo, di cui 4 in Spagna.
Interrogazione n. 112 dell'on. Tobias Pflüger (H-0552/05)
Oggetto: Status delle basi militari britanniche nell'isola di Cipro
Cosa intende fare la Commissione per modificare lo status delle basi militari britanniche nell'isola di Cipro (appartenenti alla sfera di sovranità del Regno Unito) - che sono attualmente utilizzate dagli Usa, fra l'altro come basi logistiche per la guerra in Iraq - visto che, in virtù dello status attuale, esse non possono essere considerate come facenti parti del territorio dell'Unione europea? Quali interventi contempla la Commissione a favore delle basi militari britanniche dell'isola di Cipro per assisterle o per ravvicinarle all'Unione europea sul piano sociale ed economico?
La Commissione desidera informare l’onorevole parlamentare che lo status delle zone di sovranità britannica a Cipro è stabilito nel trattato relativo all’istituzione della Repubblica di Cipro, concluso tra Regno Unito, Grecia, Turchia e Repubblica di Cipro nel 1960.
Non spetta pertanto alla Commissione esprimersi in merito allo status di tali zone, in quanto si tratta di una materia che esula dalla sua sfera di competenza.
L’applicazione del Trattato CE alle zone in questione era stata esclusa ai sensi dell’articolo 299, paragrafo 6, lettera b), del Trattato CE prima dell’adesione di Cipro.
Dall’adesione di Cipro, le relazioni tra l’Unione europea e le zone di sovranità britannica sono disciplinate esclusivamente dal protocollo n. 3 dell’atto di adesione del 2003, che ribadisce che il Trattato CE non si applica a queste zone, fatta eccezione per settori specifici quali le dogane, l’imposizione fiscale, la sicurezza sociale e l’agricoltura.
Interrogazione n. 115 dell'on. Inés Ayala Sender (H-0556/05)
Oggetto: Reti transeuropee di trasporto - Progetti prioritari
Negli ultimi mesi è apparsa sulla stampa del mio paese la presentazione di un progetto di iniziativa privata per un nuovo asse ferroviario mercantile che unirebbe Algeciras (Spagna) con Duisburg (Germania) attraverso Port-Bou e che, secondo la stampa spagnola, chiede finanziamenti comunitari nel quadro delle reti transeuropee (RTE) rivalizzando con l'attuale progetto dell'attraversamento ferroviario centrale dei Pirenei (progetto n. 16 dell'RTE).
Il più sorprendente è che queste medesime fonti si fanno eco dell'opinione favorevole della Commissione europea e citano testualmente le dichiarazioni di un funzionario della Commissione europea, responsabile dell'RTE.
Considerando che l'accordo sugli attuali 30 progetti prioritari per il periodo 2003-2020 è stato concluso soltanto lo scorso anno 2004, dopo ardui negoziati:
la Commissione ha intenzione di modificare l'accordo raggiunto? Qual è esattamente la posizione della Commissione di fronte a questa situazione?
Conformemente alla decisione n. 884/2004/CE(1) relativa alla rete transeuropea dei trasporti (RTE), la Commissione ha attribuito priorità ai 30 progetti di interesse europeo individuati dal Parlamento e dal Consiglio elencati nell’allegato III di tale decisione. I progetti prioritari, come quelli n. 3 (asse ferroviario ad alta velocità dell’Europa sudoccidentale) e n. 16 (asse ferroviario merci Sines/Algeciras-Madrid-Parigi) sono intesi a sviluppare una serie di grandi infrastrutture ferroviarie nei Pirenei, che svolgeranno un ruolo fondamentale nel conseguimento dell’obiettivo di riequilibrare i modi di trasporto in un’area nevralgica caratterizzata da un considerevole aumento del traffico stradale. La decisione adottata dal Parlamento e dal Consiglio riguardo al secondo progetto prevede la possibilità di un nuovo asse ferroviario ad alta capacità attraverso i Pirenei, senza specificarne tuttavia il tracciato e la data di completamento.
“L’asse” che scaturisce dall’iniziativa FERRMED non figura nell’elenco dei progetti prioritari. Questa iniziativa, che è basata sulla rete ferroviaria transeuropea per il trasporto merci aperta alla concorrenza prevista dalla direttiva 2001/12/CE(2), è intesa a sviluppare il trasporto ferroviario di merci su varie parti della rete transeuropea, alcune delle quali sono anche tratte coperte da progetti prioritari. La Commissione non esclude la possibilità di cofinanziare alcune azioni che si svolgono su tratte facenti parte di un asse prioritario della rete transeuropea dei trasporti e che sono conformi al regolamento relativo alla concessione di aiuti a titolo delle reti transeuropee(3), senza mettere in discussione la fattibilità dei progetti prioritari individuati dal Parlamento e dal Consiglio.
La procedura di aggiornamento della decisione n. 884/2004/CE prevede che entro il 2010 la Commissione rediga una relazione sullo stato di avanzamento dei lavori e, se del caso, proponga di modificare l’elenco dei progetti prioritari incluso nell’allegato III. La Commissione desidera cogliere l’occasione per sottolineare che la realizzazione dei soli 30 progetti prioritari richiederà considerevoli investimenti e una dotazione finanziaria molto più elevata per le reti transeuropee. La Commissione non ritiene pertanto auspicabile in questa fase prevedere l’aggiunta di nuovi progetti e non ha quindi intenzione di proporre modifiche della decisione n. 884/2004/CE.