Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione su sei proposte di risoluzione sui diritti umani in Uzbekistan(1).
Józef Pinior (PSE), autore. – (PL) Signor Presidente, in Uzbekistan vivono oltre 20 milioni di persone, e qui è nato il leggendario Tamerlano. Si trova sulla Via della seta e, da sempre conscio del suo retaggio storico, svolge un ruolo geostrategico chiave nel punto in cui l’Europa incontra il Medio Oriente e l’Asia. Il popolo uzbeko e la ricca cultura del paese testimoniano del fatto che l’Uzbekistan è destinato a svolgere un ruolo importante nella creazione di un ordine politico internazionale fondato sulla pace, sulla democrazia e sul rispetto dei diritti umani.
Il regime autoritario di Islam Karimov sta soffocando le ambizioni democratiche del popolo uzbeko: viola i diritti umani fondamentali ed è responsabile del massacro di Andijan. Sabato scorso, 22 ottobre 2005, è stato arrestato un esponente dell’opposizione, l’uomo d’affari Sanjar Umarov. Il suo avvocato, Vitaly Krasilovsky, ha riferito particolari allarmanti circa l’umiliante trattamento cui è stato sottoposto Umarov durante la sua carcerazione. Krasilovsky è preoccupato per la salute del suo cliente: gli è stato infatti consentito di fargli visita in carcere solo per qualche minuto e, in quel breve intervallo di tempo, Umarov non è stato in grado di rispondere in modo coerente alle domande del suo avvocato. Questa è una delle molte violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime di Karimov.
L’Unione europea non può restare indifferente alla situazione in Uzbekistan. Le nostre azioni devono avere come obiettivo la società civile uzbeka, e devono servire a instaurare migliori relazioni con il popolo uzbeko, oltre ad aiutare le vittime della persecuzione politica di quel regime autoritario. Una visita di rappresentanti del Parlamento europeo in Uzbekistan resta una questione di fondamentale importanza. Le autorità uzbeke devono acconsentire alla nostra visita ad Andijan e permetterci di incontrare i rappresentanti dei media, dell’opposizione e delle ONG. Se mi è consentito, vorrei esprimere l’auspicio che le buone relazioni tra l’Unione europea e l’Uzbekistan continuino a migliorare, poiché incoraggeranno lo sviluppo e il benessere del popolo uzbeko, promuovendo inoltre la democrazia e i diritti umani in Uzbekistan e, più in generale, in Asia Centrale.
Carl Schlyter (Verts/ALE), autore. – (SV) Signor Presidente, il 3 ottobre il Consiglio ha adottato una buona decisione a favore di un embargo sulle armi. L’Uzbekistan non ha bisogno di armi, che possono essere impiegate per reprimere il suo stesso popolo. E’ un bene che oggi chiediamo lo svolgimento di un’indagine indipendente sugli eventi di Andijan.
I media sono sottoposti a un ferreo controllo, inoltre sono vietate le assemblee dell’opposizione e degli attivisti dei movimenti popolari. Le richieste che rivolgiamo al Presidente Karimov non dovrebbero essere così difficili da esaudire: basta che rispetti la costituzione del suo stesso paese, la quale dichiara che le libertà di movimento, associazione e di assemblea devono essere garantite e che i tribunali devono essere indipendenti. Non è irragionevole chiedere che un presidente rispetti la costituzione del proprio paese, ed è questo che chiediamo oggi in questa sede.
Simon Coveney (PPE-DE), autore. – Signor Presidente, porgo le mie scuse. Naturalmente, avrei dovuto notare la presenza del Commissario in occasione del mio ultimo intervento, ma questa volta non mancherò di farlo.
Sono lieto di avere la possibilità di parlare brevemente della proposta sull’Uzbekistan. L’Uzbekistan è grande paese, di grande importanza per l’Asia Centrale. La sua stabilità influisce direttamente sull’intera regione e l’UE ha giustamente tentato di stabilire contatti e intessere relazioni con questo Stato, geograficamente vicino e di grande influenza. Per me, tuttavia, il fulcro della proposta in esame è questo: chiedere ancora una volta cosa è accaduto ad Andijan nel maggio scorso e formulare un altro appello per lo svolgimento di un’inchiesta pubblica e indipendente. Sembra vi sia chi ritiene che, chiedendo di svelare la verità, ci stiamo in qualche modo schierando contro le autorità uzbeke. L’Unione europea ha tra i suoi valori fondamentali i diritti umani e il diritto internazionale, quindi noi abbiamo il dovere di chiedere la verità su questa tragedia.
Finora, esistono tre versioni della “verità”: la prima, la versione ufficiale uzbeka e del Presidente Karimov, secondo la quale gli omicidi furono una “reazione misurata a un’insurrezione islamista in cui rimasero uccisi 187 criminali”; la seconda versione è quella dei media e delle ONG, che riferisce di un bagno di sangue durante il quale donne e bambini furono falcidiati da poliziotti armati, i corpi trascinati in una scuola vicina e qui lasciati fino al giorno successivo, alcuni ancora vivi, quindi portati in ospedale. Non conosciamo neppure il numero preciso dei morti: secondo quanto riferito, esso oscillerebbe tra le 500 e le 1 500 unità. In terzo luogo, ci sono gli abitanti di Andijan, la maggior parte dei quali è stata ridotta al silenzio o soffre di amnesia, essenzialmente intimorita all’idea di parlare perché alcuni di coloro che l’hanno fatto sono scomparsi.
L’UE deve insistere affinché si giunga a un’inchiesta indipendente e adottare provvedimenti per far sì che un eventuale rifiuto alla nostra richiesta si ripercuota sulle relazioni tra l’Uzbekistan e l’Unione europea.
Ona Juknevičienė (ALDE), autore. – (LT) Il Presidente dell’Uzbekistan, Islam Karimov, sta apertamente e palesemente ignorando la richiesta della comunità internazionale di rivelare tutta la verità su quanto è accaduto ad Andijan nel maggio scorso. Sta costruendo la propria versione della verità violando i diritti umani alla luce del sole, cancellando le tracce degli omicidi e neutralizzando i testimoni e le loro famiglie. Sembra ci sia una sola verità in Uzbekistan: quella rigorosamente censurata dalle autorità. Terrorismo e illeciti economici: queste le due vaghe etichette usate per nascondere il trattamento espressamente violento riservato ai cosiddetti nemici dello Stato. Tuttavia, credo che esista una linea di demarcazione ben precisa tra sicurezza e repressione. Essendo stata vietata, l’opposizione si è radicalizzata. L’ingiustizia sociale e la repressione della diversità di opinione incoraggiano l’estremismo religioso. Si deve prendere atto che l’Uzbekistan è un attraente obiettivo per gli estremisti islamici; tuttavia, questi atti commessi dalle autorità non rappresentano un freno per il radicalismo religioso, perché soltanto la democrazia e una magistratura indipendente possono contribuire a combatterlo, non la repressione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi vi invito a votare a favore della risoluzione, perché credo rappresenti un ulteriore investimento volto a favorire la diversità di opinione dei cittadini dell’Uzbekistan, la libertà di parola e i diritti umani. Questa è la vera strada verso la democrazia.
Erik Meijer (GUE/NGL), autore. – (NL) Signor Presidente, a seguito del crollo dell’Unione Sovietica, si sono instaurati regimi autoritari non solo in Ucraina, Georgia o Kirghizistan, ma anche, e soprattutto, in Bielorussia, Turkmenistan e Uzbekistan. In quei paesi, non fu la democrazia a trionfare, ma un gruppo di persone che avevano fatto esperienza nel vecchio apparato di Stato e nei servizi segreti. Non avendo altro obiettivo che quello di restare al potere, essi si appropriano delle imprese statali come se fossero di loro proprietà, manipolano i risultati elettorali, riducono al minimo gli spazi concessi all’opposizione, ostacolano le libere organizzazioni, limitano la stampa e, se necessario, usano violenza contro il loro popolo.
L’Uzbekistan è pronto per una svolta radicale, ma il 13 maggio lo slancio iniziale manifestato dai dimostranti in questo senso è stato stroncato sul nascere con una forza bruta che ha mietuto centinaia di vittime. Da allora, il mondo esterno ha mantenuto un silenzio fin troppo palese. Tale atteggiamento è forse in qualche modo legato a interessi economici e militari? Si deve permettere alla dittatura uzbeka di restare al potere perché si è dimostrata utile nell’intervento militare in Afghanistan? Stiamo lasciando soli i suoi abitanti? L’Europa non deve mettere i loro diritti e libertà in secondo piano rispetto ad altre considerazioni. La proposta di risoluzione ci aiuta ad adottare in merito la posizione necessaria.
Marcin Libicki (UEN), autore. – (PL) Signor Presidente, è una sventura che la storica svolta che in Polonia ha condotto alla formazione di un governo democratico nel 1989, e che successivamente ha portato alla caduta del muro di Berlino e alla disintegrazione dell’intero blocco comunista guidato da Mosca, non abbia fatto emergere un regime democratico rispettoso dei diritti umani in tutti i paesi dell’ex blocco comunista. Dalle trasformazioni cui abbiamo assistito in Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Ungheria sono nati sistemi fondati sul rispetto dei diritti umani. Tali premesse inizialmente non si sono verificate in Ucraina, le stiamo ancora attendendo in Bielorussia e, purtroppo, non vi sono segnali in tal senso neanche in Uzbekistan.
Gli eventi del 13 maggio 2005 hanno per così dire fornito un metro di valutazione dell’attuale situazione in Uzbekistan. Dato l’atteggiamento del governo, che si rifiuta di consentire agli osservatori stranieri di compiere indagini sulle cause della strage, intimidendo i giornalisti e impedendo un monitoraggio esterno, il Parlamento deve adottare una posizione ferma in materia. Ecco perché chiediamo che si svolgano inchieste su tutti questi punti e che si stabilisca la democrazia in Uzbekistan.
Bernd Posselt, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, l’Uzbekistan è un’antica cultura che, dopo aver prodotto Stati come i khanati di Bukhara e Kokand, è caduta preda di un colonialismo aggressivo. Oggi, abbiamo parlato di colonie europee in Africa, ma in questo caso il colonialismo è stato di matrice sovietica e comunista, e ha fatto seguito diretto a quello zarista in Asia centrale. E’ stato solo nel 1989, con il rovesciamento del regime comunista in Europa centrale, che questo colonialismo si è esaurito: desidero sottolinearlo a beneficio dell’onorevole Kohlíček.
Abbiamo il dovere di esaminare con realismo la situazione di quell’area. Questi paesi sono stati puniti e trasformati in monocolture, sono stati depredati e dissanguati, e ora si sono avviati sulla faticosa strada dell’indipendenza. Dobbiamo mostrare una certa comprensione per loro situazione e, inoltre, hanno bisogno di tutto l’aiuto che possiamo offrire. Tuttavia, questo non vuol dire che dobbiamo chiudere un occhio sulle violazioni dei diritti umani.
Ciò che chiediamo è chiaro e inequivocabile: chiediamo che il governo uzbeko cessi di ostacolare le indagini, che dovrebbero già essere in corso, che rilasci tutti i detenuti e garantisca i fondamentali diritti umani. Se intendiamo progredire su questa strada, tuttavia, lo potremo fare solo con il dialogo, non trattando la controparte come se fosse un bambino.
Non dobbiamo dimenticare la presenza di terroristi e di elementi destabilizzanti nell’intera regione, per non parlare della persistente influenza di Mosca, che di recente ha fornito all’Uzbekistan grandi quantità di mine anticarro, su cui abbiamo avuto spesso motivo di discutere in Parlamento e che, tra l’altro, sono destinate all’ulteriore fortificazione dei confini. Le truppe russe sono ancora presenti, e agiscono come se quell’area fosse ancora territorio coloniale. Ecco un altro aspetto che non possiamo accettare così com’è, perché questa è una regione in cui si scontrano interessi geostrategici vitali, non da ultimo nel settore energetico.
Pertanto diciamolo chiaro e tondo: in quest’area, esistono due questioni contrapposte: da un lato, i diritti umani e un partenariato aperto e leale, dall’altro il colonialismo, in qualunque forma.
Karin Scheele, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, la risoluzione odierna condanna il rifiuto da parte del governo uzbeko di esercitare trasparenza in relazione alle indagini sugli eventi del maggio 2005, sottolineando inoltre l’importanza di creare una commissione d’inchiesta internazionale indipendente, una commissione che possa fare immediatamente luce sui dettagli e osservare i processi in corso senza interferenze.
Quanti siano precisamente coloro che hanno perso la vita in maggio ad Andijan è un dato che l’opinione pubblica internazionale ancora non conosce. Le cifre in possesso delle organizzazioni per i diritti umani variano dalle 500 alle 1 000 unità, mentre secondo il governo uzbeko il numero delle vittime è 176. Ancora una volta, il Presidente Karimov usa l’islamismo come un’arma per mettere fuori combattimento gli oppositori politici, di qualsiasi genere. Per questo motivo è essenziale che chiediamo con insistenza il rilascio dei difensori dei diritti umani, dei giornalisti e degli oppositori politici ancora in carcere.
Tobias Pflüger, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, chiunque sia stato testimone delle brutali violazioni dei diritti umani in Uzbekistan si attenderebbe una dura critica al regime uzbeko, e non la sdrammatizzazione degli eventi che abbiamo udito dall’onorevole Posselt. Al contrario, l’Uzbekistan gode della stretta cooperazione di uno Stato membro dell’Unione europea, la Germania, la quale, a Termes, gestisce una base militare di vitale importanza geopolitica, soprattutto per le operazioni militari in Afghanistan. La NATO ha affermato che non si tratta di una delle loro basi, anche se viene utilizzata da alcuni dei suoi Stati membri, nonché da Paesi Bassi, Belgio, Svezia, Norvegia, Danimarca, Regno Unito, Francia, Grecia e Spagna, tutti Stati membri dell’Unione.
La Germania concede all’Uzbekistan aiuti economici e militari di ampia portata, che ammonterebbero a 2 miliardi di euro, senza contare le industrie belliche, le vecchie armi e così via. La politica sui diritti umani dell’UE è ipocrita perché, da un lato, critica giustamente le brutali violazioni di tali diritti, ma dall’altro fornisce, per motivi geopolitici, aiuti militari ed economici al regime uzbeko.
Urszula Krupa, a nome del gruppo IND/DEM. – (PL) Signor Presidente, nel periodo che precede le elezioni parlamentari in Uzbekistan, indette per dicembre, il Parlamento europeo sta nuovamente discutendo di violazioni dei diritti umani.
L’Uzbekistan è una delle repubbliche ex sovietiche; tuttavia, pur avendo ottenuto una parziale indipendenza dal regime comunista, nel paese il potere continua a essere esercitato nello stesso modo. Islam Karimov, l’ex primo segretario comunista che occupa la carica di presidente, si è rivelato un dittatore. Tenta di rabbonire Russia, Europa e Stati Uniti, sue potenze rivali, l’ultima delle quali ha utilizzato basi militari uzbeke fino a un passato molto recente. L’Uzbekistan è una regione di importanza strategica politica ed economica sia per la Russia che per gli USA, il che complica ulteriormente la situazione. Dal 2001, il paese è uno degli alleati chiave degli USA nella lotta al terrorismo in Asia.
Assieme alla Russia, l’Uzbekistan è anche membro dei “cinque di Shanghai”, un organismo nato per combattere il terrorismo in Asia. Mosca utilizza la minaccia del fondamentalismo islamico per intimorire l’Uzbekistan e costringerlo a rimanere nella propria sfera di influenza.
L’Uzbekistan è un paese dotato di abbondanti risorse naturali, compresi petrolio e gas naturale. Soprattutto grazie agli aiuti statunitensi, ha realizzato un certo successo economico. E’ anche un paese in cui popolazioni etnicamente eterogenee, di fede islamica, ortodossa e cattolica un tempo convivevano in pace. Recentemente, tuttavia, anche in seguito a scontri tra pressioni straniere e pratiche autoritarie da parte di Karimov, il paese ha assistito a violazioni dei diritti umani e alla persecuzione dell’opposizione, in particolare di quella islamica.
Il 13 maggio, una manifestazione ad Andijan è stata repressa con la violenza, e si ritiene che diverse centinaia di civili siano morti. Nonostante le proteste, gli esecutori di quel massacro non sono stati ancora consegnati alla giustizia, mentre la stampa ha taciuto della tragedia. I resoconti degli osservatori esteri, Amnesty International e Human Rights Watch, parlano di torture disumane senza precedenti perpetrate nelle prigioni uzbeke sugli oppositori del regime, di violazioni dei diritti umani e della persecuzione dei giornalisti indipendenti e degli attivisti politici che hanno svelato la verità sugli eventi del 13 maggio. In seguito a ripetuti falliti attentati alla sua vita, il Presidente Karimov ora definisce gli oppositori musulmani fanatici e terroristi, giustificando in tal modo la persecuzione dei pensatori politici indipendenti e degli oppositori.
Il Santo Padre, Giovanni Paolo II, ci ha ricordato che la libertà è sempre una sfida e che il potere è una sfida alla libertà che si può esercitare soltanto servendo gli altri. La comunità internazionale e chi occupa posti di potere dovrebbero sempre dare la precedenza alla dignità umana e ai diritti umani rispetto agli interessi economici. E’ per questo che chiediamo la fine della persecuzione, il rispetto della dignità umana, degli obblighi imposti dalla Carta dei diritti fondamentali e dei principi democratici.
Olli Rehn, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, in seguito al massacro di Andijan e all’ostinato rifiuto da parte dell’Uzbekistan di acconsentire a un’inchiesta internazionale indipendente su quegli eventi, l’Unione europea ha assunto una posizione molto ferma nei confronti di tale paese adottando le conclusioni del Consiglio del 3 ottobre, le quali facevano seguito a quelle precedentemente adottate in maggio.
Il pacchetto di provvedimenti restrittivi comprende la parziale sospensione dell’accordo di partenariato e cooperazione, un embargo sulle armi, un divieto selettivo dei visti di ingresso oltre alla valutazione di azioni in sede ONU e OSCE. Si tratta di un segnale politico molto chiaro e forte che l’Unione rivolge all’Uzbekistan.
La Commissione sostiene pienamente l’imposizione di un divieto sui visti da parte degli Stati membri. I preparativi per l’attuazione di tale provvedimento sono ora quasi ultimati. La Commissione sostiene altresì l’embargo sulle armi e ha presentato al Consiglio la legislazione ad esso relativa per garantirne una rapida entrata in vigore.
Per quanto riguarda l’accordo di partenariato e cooperazione (APC), la Commissione ha immediatamente sospeso ogni ulteriore riunione tecnica con l’Uzbekistan. Ciò significa che abbiamo sospeso le sottocommissioni per il commercio e gli investimenti e per la giustizia, la libertà e la sicurezza, nonché la commissione per la cooperazione.
Anche se l’iniziativa relativa alla riunione del Consiglio di cooperazione spetta agli Stati membri, la Commissione ritiene che tale riunione non debba essere cancellata per non troncare del tutto il dialogo politico con l’Uzbekistan.
La Commissione prende atto della decisione di rinviare la sesta riunione della commissione di cooperazione parlamentare UE-Uzbekistan e si rammarica che non sia stato consentito alla delegazione di recarsi nella regione di Andijan e di avere libero accesso agli esponenti dell’opposizione, alle organizzazioni non governative e ai media indipendenti.
Per quanto riguarda gli aiuti comunitari, la Commissione ne ha concordato una riduzione e un riorientamento da 11 milioni a 9,25 milioni di euro quest’anno, e da 9 milioni a 7,25 milioni di euro l’anno prossimo. Nonostante questi tagli, siamo convinti che gli aiuti mirati dell’Unione europea debbano proseguire concentrandosi sulla riduzione della povertà nella valle di Ferghana e sullo sviluppo di una società civile, nonché sulle riforme legali e giudiziarie e sullo sviluppo dell’istruzione superiore.
Desidero cogliere questa opportunità per sottolineare che la situazione dei diritti umani prima degli eventi di maggio era già molto cupa e fonte di grande preoccupazione per la Commissione. Per citare un solo esempio, la Commissione accoglierebbe con grande favore un impegno pubblico da parte del Presidente Karimov a sostegno della condanna della tortura.
La Commissione continuerà altresì a esercitare pressioni sugli uzbeki perché introducano una moratoria immediata di tutte le condanne capitali in vista dell’abolizione della pena di morte nel 2008. La Commissione è preoccupata anche per le notizie relative alla detenzione e alle vessazioni nei confronti dei difensori dei diritti umani, dei giornalisti e degli attivisti locali che hanno messo in dubbio la versione delle autorità su quegli eventi.
La Commissione proseguirà i propri sforzi nella lotta al traffico di droga, nel miglioramento della gestione dei confini, delle reti energetiche e dei trasporti. L’esclusione dell’Uzbekistan da tali programmi regionali danneggerebbe più i suoi vicini che l’Uzbekistan stesso.