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Resoconto integrale delle discussioni
Mercoledì 16 novembre 2005 - Strasburgo Edizione GU

3. Situazione in Iraq dopo il referendum sulla Costituzione
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulla situazione in Iraq dopo il referendum sulla costituzione.

 
  
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  Lord Bach, Presidente in carica del Consiglio. – (EN) Signor Presidente, la discussione odierna ha luogo in un momento cruciale della transizione politica dell’Iraq. L’ultima volta che il Parlamento europeo ha discusso dell’Iraq insieme con la Commissione e il Consiglio, lo scorso luglio, i leader politici iracheni stavano negoziando il testo della nuova costituzione. Un mese fa, gli iracheni si sono recati alle urne per approvare tale costituzione, che, per la prima volta nella storia del paese, offrirà loro garanzie per quanto attiene alla libertà, alla sicurezza e ai diritti umani. Il referendum costituzionale rappresenta un ulteriore passo avanti del popolo iracheno sulla strada verso la democrazia, la libertà e la pace.

Tra un mese i cittadini dell’Iraq andranno di nuovo a votare, questa volta per eleggere un nuovo governo che dovrà affrontare urgentemente compiti importanti, quali la programmazione e la fornitura di servizi di cui c’è grandissimo bisogno e che in milioni di iracheni infonderanno la speranza di un futuro migliore e più radioso.

Il referendum del mese scorso è stato un evento notevole sotto molti punti di vista. Insieme con le elezioni di gennaio, ha offerto agli iracheni un primo assaggio concreto di cosa sia la democrazia. Per la prima volta hanno partecipato a decisioni politiche che riguarderanno il loro stesso futuro e quello del loro paese. Soprattutto per coloro tra noi che provengono da paesi nei quali, spesso, le libertà e la democrazia sono date per scontate, è stato umiliante vedere il coraggio e la determinazione con cui gli iracheni hanno esercitato i loro diritti democratici e hanno preso parte al voto, sfidando condizioni difficili e minacce di violenza.

Il sostegno dell’Unione europea al referendum costituzionale ha inciso in misura significativa. Di certo tra poco il Commissario ci informerà dettagliatamente sulla preziosa assistenza fornita dalla Commissione al processo, in ausilio sia della commissione elettorale indipendente dell’Iraq sia delle Nazioni Unite.

Le Nazioni Unite hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo di sostegno eccellente e determinante nel processo di revisione costituzionale e nelle elezioni. Il contributo della missione delle Nazioni Unite di assistenza all’Iraq è stato fondamentale e ha aiutato la commissione elettorale irachena a lavorare in condizioni di estrema difficoltà.

La decisione di approvare la costituzione ha spianato la strada alle elezioni generali del prossimo dicembre, le quali dovrebbero rappresentare un altro passo importante nel processo di transizione politica che porterà, infine, a un Iraq capace di assumere pienamente il proprio ruolo nell’ambito della comunità internazionale. E’ evidente che, al momento, l’Iraq è lontano dal realizzare tale aspirazione. Sebbene la grande maggioranza dei votanti si sia espressa a favore della costituzione, i risultati del referendum rivelano che persistono tuttora profonde divisioni tra le diverse comunità etniche irachene, divisioni che devono essere superate. Il nuovo governo procederà, all’inizio del proprio mandato, a un riesame della costituzione che offrirà agli iracheni un’importante occasione per coagulare un più ampio consenso sul futuro del loro paese e contribuirà alla creazione di un sistema politico globale.

I leader politici iracheni dovranno risolvere questioni chiave, come il federalismo, l’elaborazione del passato politico e la gestione delle risorse naturali. Il processo elettorale è minacciato anche dall’insoddisfazione, che alimenta, oltre al senso di frustrazione e di mancata emancipazione diffuso tra alcune comunità, anche la solidarietà nei confronti di estremisti e terroristi e con la quale questi ultimi giustificano il mantenimento della spirale di violenza e del clima insurrezionale. E’ pertanto assolutamente necessario che i leader politici, etnici e religiosi dell’Iraq facciano del loro meglio per affrontare tali questioni. Ci auguriamo che il nuovo parlamento e il nuovo governo siano quanto più possibile rappresentativi e inclusivi.

Passando ora al tema degli aiuti internazionali a sostegno del processo iracheno di transizione politica, l’Unione europea e la più vasta comunità internazionale hanno già fornito significativa e preziosa assistenza. Ascolterò con interesse ciò che il Commissario ci dirà sul preziosissimo aiuto che la Commissione offre tuttora a quel paese.

Vorrei citare adesso un importante passo che è stato compiuto in direzione di un più stretto partenariato tra l’Unione europea e l’Iraq; si tratta della firma, il 21 settembre, della Dichiarazione politica congiunta UE-Iraq, la quale apre la via a un dialogo politico regolare con l’Iraq su questioni di interesse comune, come la promozione del buon governo, la tutela dei diritti umani, la prevenzione e la risoluzione di conflitti. In quella occasione, il governo iracheno ha sottolineato quanto apprezzi il sostegno dell’Unione, soprattutto a favore del processo costituzionale e del processo elettorale nonché dell’opera di miglioramento dello Stato di diritto, anche attraverso la missione EUJUST LEX.

Molti paesi vicini e altri attori regionali stanno compiendo uno sforzo concertato per arrivare a un impegno costruttivo. Accogliamo con particolare piacere la proposta della Lega araba di collaborare con l’Iraq per organizzare, all’inizio del prossimo anno, una Conferenza sul dialogo nazionale. Tra qualche giorno, il 19 novembre, si terrà al Cairo un incontro preparatorio che potrebbe porre le basi per un impegno internazionale di sostegno al nuovo governo dopo le prossime elezioni.

Il Consiglio ha fortemente sollecitato gli altri Stati della regione, in particolare la Siria, ad appoggiare il processo politico in Iraq, tra l’altro cooperando con quest’ultimo per impedire che terroristi e ribelli possano attraversare le frontiere e ricevere aiuti.

Con l’approssimarsi delle elezioni, che costituiranno una pietra miliare per il paese, dovremmo prendere in considerazione le implicazioni che la formazione di un nuovo governo iracheno di lunga durata comporta per il nostro impegno nei confronti dell’Iraq. Il nostro primo obiettivo dev’essere proseguire a sostenere il processo elettorale, come ci è stato espressamente richiesto dal governo iracheno. L’Unione europea fornirà assistenza al processo di vigilanza sulle elezioni, aiutando, tra l’altro, gli osservatori elettorali nazionali nel loro compito. So che alcuni di voi erano in Iraq in occasione delle elezioni di gennaio e mi auguro che anche in dicembre i deputati al Parlamento europeo avranno la possibilità di dimostrare il loro sostegno agli aspiranti parlamentari di quel paese.

Ho già detto che la revisione della costituzione agli inizi del mandato del prossimo governo sarà un intervento decisivo. L’Unione europea è pronta a sostenere attivamente tale importante impegno ed è pienamente in grado di fornire le necessarie consulenza e assistenza tecnica da parte di esperti.

A più lungo termine, dobbiamo altresì continuare ad appoggiare l’attuazione dello Stato di diritto, che è di vitale importanza, e prendere in considerazione le modalità di un suo rafforzamento. L’Unione sta svolgendo un ruolo guida da quando è diventata un donatore sostenitore del gruppo di lavoro operante nel settore dello Stato di diritto, che ha il compito di coordinare l’attività dei donatori e del governo a tale riguardo.

Il mandato della missione UE sullo Stato di diritto per l’Iraq, EUJUST LEX, scadrà alla fine di giugno 2006. Il governo iracheno ha chiesto che tale programma sia prorogato e ampliato per includere una più vasta attività di addestramento e formazione del personale giudiziario, penitenziario e di polizia. Il Consiglio sta valutando come rispondere a questa richiesta.

Un altro fattore decisivo è il rafforzamento del rispetto dei diritti umani. L’Iraq ha chiesto aiuto per migliorare la sua capacità di dare applicazione ai principi dei diritti umani e per aderire a importanti convenzioni in materia. L’Unione europea si trova in una posizione privilegiata per fornire all’Iraq consiglio e sostegno in questo campo ed è pronta a fornire ulteriore aiuto.

Sia l’Unione europea che l’Iraq sperano di ampliare e potenziare ulteriormente i loro rapporti, a mano a mano che il processo politico andrà avanti, avviando un dialogo politico contrattuale e instaurando altri legami contrattuali adeguati.

Consentitemi di ribadire che, con l’avvicinarsi di questo momento fondamentale della transizione politica dell’Iraq, è opportuno che la comunità internazionale dia il suo pieno sostegno al popolo iracheno. L’Unione europea, insieme con altri esponenti della comunità internazionale, svolge e dovrà continuare a svolgere un ruolo trainante per la ricostruzione e lo sviluppo dell’Iraq, così come fa in molti altri paesi in via di sviluppo e di ricostruzione. Sarò ben lieto di discutere con il Parlamento e di ascoltare i pareri degli onorevoli deputati.

(Applausi)

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, sono passati quasi quattro mesi esatti dall’ultima volta che abbiamo discusso dell’Iraq, come ha detto Lord Bach. Ricordo che allora affermai che per gli iracheni i momenti duri stavano appena per cominciare, e ne ero pienamente convinta.

Oggi gli iracheni hanno una costituzione e tra breve eleggeranno un governo costituzionale. Ma oggi gli iracheni sono anche consapevoli delle profonde divisioni che esistono nel loro paese e che devono ancora essere superate. Si trovano ad affrontare due sfide molto critiche: da un canto, devono garantire che quella di dicembre sarà una consultazione elettorale rappresentativa; dall’altro, dovranno poi procedere a un’ampia revisione della costituzione, che deve diventare più rappresentativa.

Siamo stati al fianco degli iracheni durante il processo costituzionale e continueremo a farlo durante la fase preparatoria delle elezioni nonché in occasione delle elezioni stesse. Concedendo ulteriori aiuti per 20 milioni di euro, la Commissione è stata l’unico sostenitore delle Nazioni Unite e del progetto da esse patrocinato di assistenza al processo costituzionale. Ci sentiamo partecipi di un processo che ha consentito agli iracheni di far sentire la propria voce sulla costituzione recandosi alle urne il giorno del referendum.

Per quanto riguarda le elezioni, ricorderete certamente quanto io confidassi, lo scorso luglio, nella possibilità di inviare una missione di osservatori elettorali; oggi, invece, dobbiamo prendere atto della realtà, ovvero che le condizioni di sicurezza non ci consentono di farlo. A ogni buon conto, ciò non ci impedirà di fornire il nostro aiuto in modi diversi ma altrettanto efficaci. Stiamo contribuendo con 30 milioni di euro al progetto di sostegno elettorale delle Nazioni Unite. Proprio in questo momento, molti esperti europei di elezioni lavorano fianco a fianco con la Commissione elettorale indipendente dell’Iraq e con le Nazioni Unite per garantire un’adeguata preparazione delle elezioni e per costruire un sistema di monitoraggio interno trasparente.

Ma il processo che porterà alla democrazia e alla pace in Iraq non si conclude con le elezioni; inevitabilmente, esso si incrocerà con il processo di cooperazione regionale. L’Iraq, i suoi vicini e gli altri paesi della regione sono chiamati a svolgere un ruolo chiave rafforzando rapporti di buon vicinato e collaborando per migliorare la sicurezza regionale. Sono molto lieta di poter annunciare che anche il Segretario generale della Lega araba, Amre Moussa, si è recato in loco e che l’anno prossimo si svolgerà una conferenza, insieme con gli arabi, per rinsaldare un rapporto che negli ultimi anni è stato ostacolato.

L’Iraq diventerà uno Stato federale. Saranno create istituzioni centrali funzionanti, capaci di sostenere la struttura statuale che gli iracheni stessi si sono dati. A tal fine dovranno essere realizzati idonei quadri legislativi e istituzionali e sarà necessario individuare rapidamente soluzioni praticabili che possano garantire un progresso continuo verso la stabilità e la democrazia.

L’unica strada per compiere passi avanti è senza dubbio quella della partecipazione. Sarà nostra cura valutare anche in quale modo, come Unione europea, possiamo contribuire al meglio alla creazione di istituzioni capaci di favorire un approccio di tipo partecipativo. Inoltre, incoraggeremo gli sforzi della Lega araba e di altri attori in quella regione – come la Giordania, per esempio – volti a promuovere la partecipazione e la riconciliazione nazionale. Sono convinta che la recente visita di Kofi Annan ha avuto un effetto positivo nel promuovere la comprensione tra le varie parti.

Il processo e la stabilità politiche in Iraq sono importanti per tutti noi e per i vicini dell’Iraq. I recenti avvenimenti in Giordania ci dimostrano molto chiaramente quanto sia importante riuscire a realizzare un simile approccio partecipativo, che è cruciale ai fini dell’intero processo di stabilizzazione politica della regione. Per quanto riguarda i cittadini iracheni, è essenziale che essi possano realmente assaporare la libertà ed esercitarla. In proposito, non dimenticheremo che la maggior parte degli iracheni deve ancora lottare perché i figli possano andare a scuola e gli ospedali siano aperti e possano curare le malattie più comuni, per avere accesso all’acqua, per avere un posto di lavoro e potersi guadagnare da vivere – per soddisfare, dunque, le necessità di base. Si tratta di una situazione insostenibile per chiunque viva in qualsiasi paese, e lo è quindi anche per gli iracheni. Nel 2006 le loro esigenze continueranno a essere al centro dei nostri aiuti all’Iraq.

Vorrei ora illustrarvi ciò che abbiamo fatto. Abbiamo sostenuto il processo politico; inoltre, insieme con gli Stati Uniti, abbiamo organizzato un evento molto importante, la Conferenza internazionale sull’Iraq, che si è tenuta a Bruxelles il 22 giugno e aveva lo scopo di mobilitare aiuti internazionali da oltre 80 paesi e organizzazioni a favore del governo provvisorio iracheno e delle istituzioni in carica in questo periodo di transizione fino alle elezioni di dicembre. Abbiamo altresì contribuito alla ricostruzione con un pacchetto di aiuti pari a 580 milioni di euro, messo a disposizione nell’ambito del Fondo internazionale per la ricostruzione dell’Iraq. Abbiamo sempre cercato di agire in modo tale da soddisfare le necessità basilari della popolazione, quali l’accesso all’acqua, a servizi igienici, all’assistenza sanitaria e la creazione di posti di lavoro. Stiamo altresì collaborando con due ministeri – dell’Energia e del Commercio – per il rafforzamento istituzionale.

In futuro, è nostra intenzione appoggiare il processo politico che porterà alle elezioni. Vogliamo anche formare gruppi di lavoro congiunti che operino in settori di interesse comune, come il commercio e l’energia. Vogliamo sostenere la domanda di adesione all’Organizzazione mondiale del commercio, avviare negoziati per un accordo UE-Iraq sul commercio e la cooperazione, nonché compiere passi avanti verso l’apertura di una delegazione della Commissione a Bagdad nel 2006.

L’Unione ha molto altro da offrire in aggiunta agli aiuti per la ricostruzione. Vogliamo essere per l’Iraq un partner significativo; questo è ciò che gli iracheni si aspettano da noi. Non deluderemo le loro aspettative.

 
  
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  Giorgos Dimitrakopoulos, a nome del gruppo PPE-DE. – (EL) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, dopo aver ascoltato le vostre interessanti dichiarazioni vorrei fare alcuni commenti.

Il primo di essi riguarda l’ultima frase pronunciata dal Commissario. E’ senz’altro vero che l’Unione europea ha molto di più da offrire oltre agli aiuti per la ricostruzione, e il nostro problema è come possiamo tradurre in una politica specifica questa idea così interessante.

Il mio secondo commento riguarda il voto sulla costituzione. Anch’io ritengo che esso costituisca un evento importante, nonostante la mancata partecipazione di un gruppo rilevante. Un evento importante, ripeto, il quale però lascia irrisolti alcuni problemi molto importanti a loro volta, come il tema e il ruolo della religione, il modello federalista, l’identità nazionale e l’accesso alle risorse naturali, in particolare al petrolio.

Il terzo commento riguarda le elezioni. Esse sono sicuramente molto, molto importanti, soprattutto perché il nuovo governo si occuperà – come stabilisce la costituzione – non solo della revisione di quest’ultima ma anche delle modalità di applicazione di alcune sue disposizioni.

Il quarto commento riguarda un punto che purtroppo, a dispetto di tutti gli sforzi compiuti, nonostante il processo di democratizzazione, rimane tuttora insoluto. Sto parlando del problema della sicurezza. Non intendo riaprire una discussione che si è già svolta qui in Parlamento, al Consiglio e in tutti gli Stati membri; voglio però dire quanto segue: signor Presidente in carica del Consiglio, sono state condotte numerosissime indagini e molte di esse sono state anche pubblicate dai giornali del suo paese, il che solleva la questione della persistente presenza in Iraq di forze militari straniere. Mi riferisco, e questo è il mio ultimo punto, alla proposta di cui abbiamo discusso in quest’Aula: credo sia giunto il momento di sostituire le forze militari straniere presenti in Iraq con una forza di mantenimento della pace delle Nazioni Unite.

 
  
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  Véronique De Keyser, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, desidero anzi tutto congratularmi con lei e garantirle che il Parlamento appoggia pienamente gli sforzi che sta compiendo affinché l’Unione europea possa partecipare in qualche modo alla ricostruzione dell’Iraq. Consentitemi, però, di riprendere una questione sgradevole.

Poco tempo prima dell’inizio della guerra in Iraq, il generale Morillon mise in guardia il Parlamento europeo dicendo che non esiste una guerra pulita. Invero, si sarebbe potuto sperare che una guerra di indipendenza potesse invece essere un po’ meno sporca delle altre. Così non è. Dopo le terribili immagini dell’invasione e dello scandalo del carcere di Abu Ghraib, è emersa ora la controversa questione delle bombe al fosforo bianco che, a quanto si dice, sarebbero state impiegate durante l’assedio di Falluja – una città ribelle ma anche una città martoriata.

La nostra storia ci ha insegnato che non è possibile costruire alcun tipo di pace in un paese nascondendo le atrocità che vi sono state commesse. Ed è proprio su questo che occorre compiere indagini e ricercare la verità. La democrazia formale che cerca di affermarsi in Iraq e i rapporti che stiamo provando a riallacciare con quel paese si scontrano con un dato ovvio, ossia che non ci può essere democrazia senza verità.

Saddam Hussein sarà giudicato per i crimini che ha commesso e, molto probabilmente, per aver usato armi chimiche contro i curdi nel 1991. Si tratta di una semplice questione di giustizia. La verità sull’assedio di Falluja, sui suoi martiri bruciati e sulle responsabilità dell’uso di armi vietate dalla Convenzione di Ginevra del 1980 fa parte anch’essa degli aiuti che dobbiamo dare al popolo iracheno, in aggiunta a quelli materiali. Aiuteremo gli iracheni a costruire il loro sistema giudiziario: ecco cosa s’intende per “costruzione delle capacità”. Ma potremo riuscire effettivamente in quest’impresa se non daremo agli iracheni anche la sensazione che la giustizia, soprattutto la giustizia internazionale, esiste? Vi invito pertanto, signor Presidente, signora Commissario, a chiedere alle forze della coalizione di condurre un’indagine totalmente indipendente e di far valere la giustizia.

A tempo debito abbiamo chiesto che Saddam Hussein fosse giudicato dal Tribunale penale internazionale. Il crimine contro l’umanità rappresentato dall’uso di armi chimiche a Falluja giustificherebbe pienamente, ove provato, tale richiesta. Ma se in quest’Aula pensiamo che tutto ciò sia soltanto un’utopia, quale messaggio di speranza possiamo lanciare oggi al popolo iracheno?

 
  
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  Graham Watson, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, quando Saddam Hussein era al potere, si diceva che l’Iraq era una fossa comune sotto terra e una camera di tortura in superficie. Eppure adesso, dopo due anni e otto mesi di guerra, dopo che sono morti un numero incalcolabile di iracheni e oltre 2 000 soldati delle forze della coalizione, è chiaro che la vita in Iraq è migliorata solo di poco rispetto a prima. Se Bagdad era, statisticamente, il posto peggiore al mondo in cui vivere già prima che la situazione della sicurezza si deteriorasse, ora le cose non possono che essere peggiorate, visto che ogni giorno muoiono più di 60 civili e che gli attacchi dei ribelli sono quasi triplicati nel corso di 18 mesi. E’ difficile capire se la presenza dei soldati della coalizione rappresenti, in queste condizioni, un aiuto o non piuttosto un ostacolo al ripristino della normalità.

Temo di rilevare, nell’odierna dichiarazione del Consiglio, un senso di compiacenza e, nelle parole della Commissione, un sorprendente ottimismo. E’ vero che sono stati compiuti progressi notevoli sulla strada della democrazia: adesso gli iracheni hanno una loro costituzione, hanno le loro forze di sicurezza e in dicembre avranno un governo eletto democraticamente. Ci sono persino segnali secondo cui gli arabi sunniti starebbero per entrare in politica e si preparerebbero a presentarsi alle prossime elezioni con il Movimento democratico pubblico nazionale, costituito la settimana scorsa nella provincia di Anbar.

Cionondimeno, gli europei nutrono gravi preoccupazioni per tutta una serie di motivi. Si avverte una diffusa instabilità nell’intera regione. Prove di gravi violazioni dei diritti umani, tra cui il ricorso a torture e l’uso sistematico di arresti arbitrari, hanno pesantemente compromesso la posizione della coalizione. Questo fatto ha contribuito a indurre molti ad arruolarsi tra le fila dei ribelli.

Personalmente sono preoccupato per tre ragioni specifiche. Primo: qualche ora fa il Pentagono ha ammesso che gli Stati Uniti hanno usato a Falluja dispositivi incendiari al fosforo. L’Unione europea deve chiedere alle Nazioni Unite di condurre un’indagine sull’uso di queste armi vietate.

Secondo: ieri alcuni media hanno rivelato che degli oltre 35 000 civili iracheni detenuti dalle forze della coalizione, solo il 5 per cento è stato sottoposto a processo e che a molti è stata negata l’assistenza legale. Che tipo di esempio stiamo dando?

Terzo: agli Stati membri dell’Unione europea occorre una chiara strategia di uscita. Se vogliamo evitare che i ribelli violenti continuino a conquistare terreno a spese degli iracheni moderati, dobbiamo trovare una mossa chiara per porre fine alla partita – cosa che è sempre mancata all’alleanza Blair-Bush.

Gli europei non erano concordi sui motivi per andare in Iraq; cerchiamo ora di essere uniti sulle condizioni per lasciare quel paese. Dobbiamo dialogare con la Lega araba, le autorità irachene e gli altri governi del Medio Oriente allo scopo di fissare le condizioni e i tempi della nostra partenza, in modo tale da lasciare un Iraq più stabile e più sicuro.

Il Presidente Talabani ha già detto chiaramente che il popolo iracheno, e cito, “attende il giorno in cui potrà dire addio alle forze della coalizione”. L’Europa deve adoperarsi per raggiungere quell’obiettivo.

 
  
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  Angelika Beer, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, anche il mio gruppo sosterrà le misure proposte da Consiglio e Commissione allo scopo di offrire al popolo iracheno la possibilità di un futuro pacifico e democratico.

Desidero nondimeno sottolineare una cosa detta da Lord Bach, ovvero che noi europei vogliamo svolgere un ruolo guida per quanto riguarda la democrazia e i diritti umani in Iraq. Devo far presente al Presidente Bach che, in tal caso, dobbiamo avere il coraggio e la forza sia di dire ai nostri partner della NATO che devono astenersi dal violare continuamente il diritto internazionale sia di assicurare che non lo facciano – e dobbiamo dare una garanzia in tal senso.

Quali lezioni possiamo trarre da Abu Ghraib e da Guantánamo? A tutt’oggi, i prigionieri di Guantánamo non hanno né diritti né assistenza legale. Sono detenuti in condizioni terribili. Stando così le cose, possiamo essere così scandalizzati se coloro che in Iraq occupano posizioni di potere stanno segretamente costruendo prigioni? In quale senso la comunità internazionale e l’Unione europea stanno dando un esempio di democrazia? E’ veramente cinico che Rumsfeld stabilisca nuove regole per le torture in base alle quali i cani non potranno più essere usati durante le torture e gli interrogatori, ma non sprechi una sola parola sul rispetto della Convenzione di Ginevra. E’ proprio su questo tipo di cose che mi aspetto siano fatte dichiarazioni.

Sapete cos’è il fosforo bianco? Conoscete gli effetti del fosforo bianco, che gli americani hanno ora ammesso di aver impiegato a Falluja? E’ una specie di veleno, le cui vittime sono esseri umani e per il quale non esiste un antidoto; non è possibile spegnere il fuoco, neppure con l’acqua. E’ uno strumento di sterminio, in contrasto con le norme internazionali, e sono stati impiegati proprio mezzi come questo.

Presidente Bach, lei ha impiegato nove minuti e mezzo per accentuare gli aspetti positivi; tuttavia, riuscirà a convincerci soltanto se e quando chiederà che l’Unione europea e il Consiglio – soprattutto sotto la Presidenza britannica – si impegnino a indurre gli americani a sottoscrivere, finalmente, la convenzione internazionale. In caso contrario, non potremo riconquistare la nostra credibilità internazionale e qualsiasi strumento utilizzeremo, non importa con quanto impegno, resterà inefficace. Per questo motivo vi invito a garantire che non solo siano condotte indagini, ma anche che gli americani firmino la convenzione internazionale che mira nello specifico a mettere al bando l’uso di fosforo bianco. In mancanza di ciò, non saremo in grado di promuovere attivamente la pace in Iraq.

 
  
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  Erik Meijer, a nome del gruppo GUE/NGL. – (NL) Signor Presidente, per anni l’Europa e l’America hanno fatto finta di non vedere la spaventosa dittatura che c’era in Iraq, perché l’Iraq era un fornitore di petrolio. Anziché appoggiare l’opposizione irachena in tempo di pace, si decise di compiere un intervento esterno sulla base di argomentazioni false e senza l’approvazione delle Nazioni Unite. Il modo in cui sono stati imposti le posizioni e gli interessi della superpotenza, con la forza e unilateralmente, ha indotto una parte della maggioranza sciita a voltare le spalle agli occupanti occidentali per fare ricorso a una dittatura teocratica in stile iraniano.

L’aspetto positivo di tutto ciò è che ora si è dimostrato possibile porre fine a una situazione nella quale il nord curdo e il sud sciita erano territori occupati e oppressi dalla zona centrale del paese intorno a Bagdad. Il federalismo insito nella nuova costituzione protegge le zone svantaggiate da oppressione e sfruttamento, andando così a beneficio dell’80 per cento della popolazione. Nei nuovi Stati federati, la democrazia potrà affermarsi soltanto se le truppe straniere e le predominanti imprese straniere abbandoneranno quel paese quanto prima possibile.

Restarvi rappresenta una vera e propria provocazione, che continuerà ad alimentare le proteste. Quando cesserà la presenza militare degli Stati membri dell’Unione europea e in quali modi l’Unione intende aiutare l’Iraq a trovare soluzioni interne, cacciando quindi la Halliburton, un’incapace società americana che non è in grado di ripristinare i servizi pubblici?

 
  
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  Bastiaan Belder, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, quest’anno, il 2005, sarà ricordato come l’anno delle elezioni più libere che si siano mai tenute in Iraq. Basti confrontare questo periodo elettorale, con ben tre votazioni, con l’esperienza fatta da quel paese in 35 anni di regime baathista, senza alcuna elezione nei primi 12 dodici anni e con elezioni farsa nel periodo successivo. Che contrasto, che progresso politico! Ma di ciò non si parla in quest’Aula.

E’ certo che la ricostruzione della Mesopotamia continua a essere minacciata dall’interno e dall’esterno, come succedeva prima, ed è per tale motivo che il futuro di un Iraq federale appare molto fragile. All’inizio di questa settimana, un importante politico iracheno mi faceva osservare che questa situazione riguarda in eguale misura anche l’Europa, e ciò è vero perché, se le forze distruttive prendono il sopravvento, anche il nostro continente verrà a trovarsi sulla linea del fuoco.

Chiedo al Consiglio e alla Commissione di dirci ciò che l’Unione europea potrebbe fare per lo Stato e il popolo iraniani in questa precaria situazione. Primo, dobbiamo esercitare forti pressioni sui vicini dell’Iraq per evitare che le fiamme del terrorismo siano alimentate al di là dei confini. Secondo, dobbiamo aiutare a porre le fondamenta della democrazia e dello Stato di diritto lungo le rive del Tigri. “Dobbiamo imparare dagli europei, e siamo ben decisi a farlo,” così mi ha detto il mio amico iracheno, pieno di ottimismo. La cosa principale che dobbiamo fare è non deludere tale loro aspirazione.

 
  
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  Alessandro Battilocchio (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, parlo a nome del nuovo PSI. L’Iraq sta faticosamente, ma con determinazione, rialzando la testa dopo la sanguinosa e per molti aspetti folle dittatura di Saddam Hussein e dopo gli eventi di questi anni, che hanno senza dubbio aperto la strada al cambiamento, ma hanno anche causato ferite profonde al popolo iracheno.

Il passo successivo, sempre sotto l’egida della Comunità internazionale, dovrebbe essere quello di un coinvolgimento progressivo di tutti gli Stati arabi della regione nell’intero processo di democratizzazione e di lotta al terrorismo. Lo straordinario successo di partecipazione nella recente tornata elettorale è un evento storico, ma è nostro preciso dovere continuare a stare a fianco degli iracheni e delle autorità libere che stanno amministrando il paese. Dobbiamo aiutare concretamente i tanti giovani che, con grande coraggio e spesso rischiando personalmente, vogliono lottare per fare dell’Iraq un paese finalmente libero, democratico e giusto.

 
  
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  Antonio Tajani (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, le elezioni, il referendum e il nuovo voto previsto per il 15 dicembre dimostrano che in Iraq, dopo decenni di sanguinosa dittatura, sta nascendo una vera democrazia.

Ciò rappresenta un successo per il popolo iracheno che, con la sua partecipazione al voto, ha dimostrato di voler dare un forte contributo alla costruzione della pace in Medio Oriente. A costo di grandi sacrifici e di centinaia di vittime innocenti, i sostenitori della democrazia stanno sconfiggendo la piccola minoranza che, in nome del fondamentalismo, pratica il terrorismo. Tuttavia, l’obiettivo finale non è stato ancora raggiunto e c’è ancora molto da fare per sconfiggere Al-Qaeda e i suoi alleati e per dare una stabilità definitiva all’Iraq.

L’Unione europea, anche se in ritardo e dopo aver superato molte divisioni, ha iniziato a dare un contributo importante. Condivido le parole pronunciate dal rappresentante del Consiglio e dal Commissario signora Ferrero-Waldner. Tuttavia, dovremo fare ancora di più per quel popolo, naturalmente insieme all’ONU che, con la risoluzione 1546, ha permesso a trentacinque paesi di dare un contributo importante alla nascita di questa nuova democrazia. Si tratta di un contributo economico, come quello raccolto dal Fondo per la democrazia istituito presso le Nazioni Unite, ma anche di un contributo politico e militare.

Molti cittadini europei stanno partecipando alla missione di pace ed è a loro che dobbiamo essere grati per quanto hanno fatto e continuano a fare, offrendo anche la loro vita, al fine di dare un contributo fondamentale alla risurrezione dell’Iraq. Quei militari e quei civili, tra cui vi sono moltissimi italiani, hanno dato vita a migliaia di progetti per la realizzazione di infrastrutture nel settore dell’agricoltura, dei trasporti, dell’educazione e della cultura.

La strategia del successo sta portando a una riduzione dei contingenti militari, che lasceranno l’Iraq in accordo fra loro e con il governo legittimo di Bagdad. Oggi molti critici di questo intervento di pace si stanno ricredendo e si stanno rendendo conto dell’importanza della missione.

Signor Presidente, concludo ricordando che sarebbe tuttavia un errore pensare che la soluzione della crisi irachena sarà sufficiente per portare la pace in Medio Oriente. Dobbiamo risolvere, mediante un contributo importante dell’Unione europea, la crisi israelo-palestinese, creando sicurezza per Israele e uno Stato palestinese.

 
  
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  Lilli Gruber (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la democrazia non è un mero esercizio di stile, ma ha bisogno di radici che in Iraq non sono ancora state piantate. Guardiamo finalmente in faccia la realtà. I curdi sono andati a votare perché vedono profilarsi all’orizzonte l’indipendenza delle loro province, gli sciiti per rispettare l’ordine dei loro capi religiosi e i pochi sunniti per evitare di essere completamente dimenticati nel nuovo riassetto del paese.

Le condizioni primarie affinché la democrazia possa mettere radici sono la sicurezza la sicurezza economica, l’esistenza di un apparato statale funzionante e l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. La realtà è che il progetto di esportare la democrazia sulle ali dei cacciabombardieri è fallito e che l’occupazione militare del paese da parte di potenze occidentali impedisce oggi qualsiasi progresso solido e tangibile.

Dall’altro canto, l’Iraq è diventato un paese esportatore, e non soltanto di petrolio. Gli attentanti in Giordania lo hanno dimostrato: l’Iraq esporta oggi il suo terrorismo. I kamikaze che si sono fatti esplodere erano infatti iracheni. Una donna che doveva partecipare agli attentati, ma che è sopravvissuta, ha spiegato che la sua famiglia è stata decimata durante le offensive americane nel triangolo sunnita. Anch’io chiedo pertanto con forza un’inchiesta dell’ONU sull’uso, da parte delle forze americane, delle bombe proibite al fosforo bianco.

L’Iraq assomiglia quindi pericolosamente a un nuovo Afghanistan. Bush voleva combattere i terroristi in Afghanistan per non doverlo fare altrove, ma oggi i terroristi sono già altrove e ci chiediamo fino a dove arriveranno. L’Europa si trova quindi a dover affrontare due sfide, vale a dire l’ottusità di chi continua ad affermare che la campagna irachena è un successo e la determinazione omicida di chi dimostra ogni giorno che è invece un drammatico fallimento.

Per uscire da questo pantano non abbiamo bisogno né di propaganda né di storie rassicuranti, ma di lucidità e di uomini di Stato coraggiosi, capaci di riconoscere i loro errori e di disegnare una nuova strategia, una strategia di pace.

 
  
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  James Hugh Allister (NI).(EN) Signor Presidente, è triste constatare che l’antiamericanismo di taluni europei è talmente forte che ho l’impressione di avvertire in alcuni di essi una sorta di perversa soddisfazione per i disordini che caratterizzano la situazione irachena. E queste stesse persone sarebbero state ovviamente ben felici se la dittatura di Saddam fosse continuata indisturbata.

E’ evidente che Blair e Bush hanno sbagliato a fidarsi di informazioni false e a diffonderle per giustificare l’invasione dell’Iraq; però l’allontanamento di Saddam era giusto e necessario. Ora dobbiamo affrontare la realtà così com’è. La questione cruciale è garantire che l’ordine prevalga sul terrore, in modo tale che sia effettivamente possibile creare una stabilità democratica.

Si sta pagando un prezzo elevato; desidero rendere omaggio al sacrifico dei soldati americani, britannici e di altre nazioni che cercano di portare l’ordine in quel paese martoriato dai conflitti. Deploro che, nei loro interventi, né il Consiglio né la Commissione abbiano ritenuto opportuno riconoscere tale sacrificio.

Va detto che è caratteristico del senso di superiorità dell’Unione europea il fatto che ora si metta a pontificare sul futuro dell’Iraq. Ma l’Unione ha ben poco di credibile da offrire, perché, quando si arriva al dunque, l’Unione in quanto organizzazione e la maggior parte dei suoi Stati membri sono soliti lasciare il lavoro sporco agli altri.

 
  
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  Béatrice Patrie (PSE).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’approvazione da parte del popolo iracheno di una costituzione provvisoria è stato, a nostro modo di vedere, un grande passo avanti. La forte partecipazione dei cittadini al processo elettorale è motivo di ottimismo per la nascente democrazia irachena. E’ evidente che lo sviluppo del paese apre la porta a un futuro partenariato tra l’Iraq e l’Unione europea, soprattutto nel contesto della politica europea di prossimità e di pace per la regione del Mashreq. In proposito, ringrazio il Commissario Ferrero-Waldner per gli impegni che ha assunto a nome della Commissione.

Nell’ambito di tale partenariato, si possono affrontare moltissime questioni: la stabilizzazione del paese in senso democratico, la creazione di uno Stato di diritto reale e non più solo formale, il rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti delle minoranze, come pure la transizione da un tempo di guerra a un tempo di pace e da un’economia pianificata a un’economia di mercato, la collocazione delle risorse petrolifere nell’ottica di una diversificazione che favorisca l’agricoltura, l’industria e i servizi, nonché, infine, la ricostruzione del sistema scolastico e dell’assistenza sanitaria, distrutti da anni e anni di norme autoritarie, embarghi e guerra.

Questo partenariato, però, è soggetto a numerose condizioni essenziali. Le incertezze che gravano tuttora sullo sviluppo dell’Iraq ci devono indurre alla massima vigilanza. Non basta semplicemente accantonare la notizia sull’uso di bombe al fosforo bianco da parte degli americani a Falluja – posto che tale informazione si riveli esatta; è necessario anche compiere indagini. Tra i nostri obiettivi rientra la sostituzione delle truppe straniere con una forza di mantenimento della pace sotto l’egida delle Nazioni Unite.

Le elezioni di dicembre devono mettere il popolo iracheno in condizione di eleggere un governo e un parlamento che siano rappresentativi degli equilibri umani e politici del paese. In merito, il quadro istituzionale di tipo federale appare particolarmente idoneo. Frenare i diversi tipi di fondamentalismo, combattere la teoria del cosiddetto scontro di civiltà e costruire l’intera regione del Mashreq sulle fondamenta di valori condivisi sono gli obiettivi che l’Unione europea deve darsi.

 
  
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  Józef Pinior (PSE).(PL) Signor Presidente, più di 2 000 soldati americani sono morti e 15 000 sono rimasti feriti dall’inizio delle operazioni militari contro il regime di Saddam Hussein in Iraq. Un gruppo di ricerca britannico, l’Iraq Body Count, ha stimato sulla base di notizie di agenzia e articoli di quotidiani che sono stati uccisi oltre 30 000 iraniani, mentre secondo altre stime le vittime sarebbero 100 000.

La ratifica della costituzione è un importante passo avanti verso la ricostruzione del paese. 225 tra gruppi politici e coalizioni si sono candidati alle elezioni parlamentari in programma per il 15 dicembre, e il parlamento eleggerà un nuovo governo entro il 31 dicembre di quest’anno. Tale parlamento eletto democraticamente, che conterà anche deputati sunniti, avrà il potere di emendare la costituzione nei sei mesi successivi.

Il referendum costituzionale che si è tenuto in Iraq ci offre ulteriori motivi di speranza sulla possibilità di conciliare nel Medio Oriente e nell’Asia centrale l’islam e il concetto di democrazia liberale, sotto forma di una cosiddetta democrazia islamica. In Iraq, il periodo delle norme provvisorie e dei governi ad interim sta per concludersi e al suo posto sta nascendo una cultura politica democratica. Allo stesso tempo, però, la situazione continua a essere caratterizzata da incessanti attentati terroristici e dal persistente rischio di una guerra civile.

 
  
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  Panagiotis Beglitis (PSE).(EL) Signor Presidente, la comunità internazionale ha accolto con favore i risultati del referendum in quanto passo importante nel processo di democratizzazione dell’Iraq. Lo è realmente, se ci si limita a considerare il livello di partecipazione e gli aspetti prettamente aritmetici di tali risultati. Ho tuttavia il timore che ognuno di noi si sia creato una sua realtà fittizia dell’Iraq; non dobbiamo però ignorare quella che è la realtà effettiva del paese, caratterizzata da una persistente e grave mancanza di sicurezza. Le tendenze centrifughe delle comunità nazionali e religiose, invece di indebolirsi, si stanno rafforzando e minano l’obiettivo dell’unità, dell’identità e della sovranità nazionali dell’Iraq.

La maggioranza dei sunniti rimane intenzionalmente estranea ai processi politici. Il processo di ricostruzione politica sta portando alla creazione di uno Stato incoerente che si muove ad almeno tre velocità diverse. Da un canto, siamo lieti dei passi avanti compiuti in direzione di un Iraq democratico, dall’altro, nel sud del paese si sta insediando un regime sciita teocratico, mentre nel nord si sta realizzando la quasi indipendenza dei curdi.

Le conseguenze di tale situazione sulla pace e sulla stabilità sono evidenti. In simili condizioni, si stanno preparando le elezioni per eleggere il nuovo parlamento iracheno; temo, però, che gli auspici e le speranze che sono stati pronunciati qui oggi non corrispondano alla dura realtà dell’occupazione militare né ai gravi errori strategici che gli Stati Uniti continuano a commettere.

Secondo un antico detto arabo, “meglio cento anni di tirannia che un anno di caos”. La tirannia del regime di Hussein è stata rovesciata, però giorno dopo giorno si stanno creando condizioni tali da spingere l’Iraq in un caos a lungo termine.

 
  
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  Lord Bach, Presidente in carica del Consiglio. – (EN) Signor Presidente, ringrazio tutti gli intervenuti. La questione di cui stiamo discutendo suscita passioni e opinioni ben radicate, che abbiamo avuto modo di ascoltare stamane durante la discussione in quest’Aula.

Mi auguro, nondimeno, che sia possibile essere concordi almeno su due punti. Primo: è una cosa buona, anzi ottima che Saddam Hussein non sia più al potere in Iraq. Secondo: tutte le violazioni dei diritti umani di cui si dimostri che sono state commesse dopo la caduta di Saddam devono essere indagate e affrontate in maniera adeguata e sensibile.

Sono molto grato al Commissario per quanto ha affermato e alla Commissione per l’eccellente lavoro che ha compiuto. E’ giusto sottolineare che l’Unione europea ha contribuito alla missione delle Nazioni Unite di assistenza al processo costituzionale iracheno sia fornendo aiuti finanziari sia mettendo a disposizione esperti. Il governo iracheno ha chiesto all’Unione europea di inviare osservatori in occasione delle elezioni e, sebbene, come già detto dal Commissario, una vera e propria missione di osservatori elettorali non sia possibile al momento, il Consiglio valuterà in ogni caso con attenzione ciò che può fare per controllare e aiutare lo svolgimento delle elezioni.

Sul tema dei diritti umani, le conclusioni a seguito del Consiglio “Relazioni esterne” del 7 novembre sottolineavano l’importanza del pieno rispetto dei diritti umani in Iraq e la ferma opposizione dell’Unione al ricorso alla pena di morte; inoltre, prendevano atto con preoccupazione delle recenti segnalazioni – pervenute tra l’altro dalle Nazioni Unite – di violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza irachene, ed esortavano il governo iracheno a prendere posizione su tali accuse. L’Unione è pronta a offrire ulteriori aiuti.

Nel contempo, il Consiglio plaudiva al miglioramento della situazione dei diritti umani dopo la caduta di Saddam Hussein e condannava, come dovremmo fare tutti, le atrocità compiute dai terroristi dopo di allora.

Durante la discussione è stata sollevata la questione delle forze della coalizione – e si tratta indubbiamente di una questione importante. Ritengo tuttavia che gli onorevoli deputati mi perdoneranno se citerò le parole pronunciate non più tardi dello scorso fine settimana dal Presidente Talabani, il leader curdo il cui popolo ha sofferto così tanto sotto Saddam Hussein: “Un ritiro immediato sarebbe una catastrofe e porterebbe a una sorta di guerra civile. Perderemmo ciò che abbiamo fatto per liberare l’Iraq dalla peggiore delle dittature... Invece di avere un Iraq stabile e democratico, avremmo in Iraq una guerra civile, avremmo disordini che si estenderebbero a tutto il Medio Oriente”. Ritengo che si tratti di un’importante constatazione da parte del Presidente iracheno in questo momento.

Il popolo iracheno ha dimostrato un grande impegno per la democrazia. A milioni, nonostante l’estrema difficoltà delle circostanze, sono andati alle urne per approvare una nuova costituzione che guiderà il loro paese e tutelerà i loro diritti. Se questo slancio potrà essere mantenuto fino alle elezioni di dicembre, credo che l’Iraq si troverà di fronte a un punto di svolta fondamentale e che, con l’elezione del nuovo governo, entrerà in una nuova fase.

I leader del primo governo iracheno eletto costituzionalmente avranno un’enorme responsabilità nei confronti del loro popolo: il popolo darà la propria fiducia e affiderà il proprio futuro a quei leader, i quali dovranno rispettare tale fiducia. Ciò significa che dovranno mettere gli interessi della nazione al di sopra delle rispettive ambizioni personali e politiche, nonché al di sopra degli interessi etnici e religiosi. Il nuovo governo deve essere veramente rappresentativo, se vuole riuscire a sopravvivere.

Inoltre, non dovrà perdere tempo nel mettersi subito al lavoro garantendo la sicurezza, la sanità, l’istruzione, l’occupazione e, naturalmente, i diritti umani. Terrorismo e mancanza di sicurezza restano gli ostacoli maggiori sulla strada del progresso politico e della ricostruzione.

Non dobbiamo minimizzare le sfide che ci stanno dinanzi, e non credo che il Parlamento lo faccia. Resta ancora tantissimo da fare ed enormi pericoli, che noi tutti conosciamo, continuano a minacciare questo processo. La neonata democrazia irachena avrà bisogno di aiuto ancora per qualche tempo a venire. La comunità internazionale ha già fatto molto e l’Unione europea può essere fiera di sé: insieme con le Nazioni Unite e altri si è impegnata in quest’impresa dedicando significative risorse al sostegno della transizione politica e della ricostruzione.

Tutti noi possiamo mettere a disposizione preziose esperienze e conoscenze in materia di costruzione della democrazia. Il governo iracheno ha espresso il suo apprezzamento per l’importante contributo fornito dall’Unione europea e ha chiesto ulteriori aiuti. Non dobbiamo abbandonare l’Iraq.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, è vero che in passato l’Unione europea è stata divisa sull’Iraq, ma è altrettanto vero che ora siamo uniti nella costruzione di un nuovo Iraq – e questa è, al momento, la cosa più importante. Non possiamo continuare a guardare indietro, dobbiamo costruire un Iraq stabile, e dobbiamo farlo adesso. Quindi, sebbene l’onorevole Watson abbia ragione nel dire che ho enfatizzato tutto quello di positivo che abbiamo realizzato, è affatto evidente che la situazione in quel paese è molto difficile. E’ per tale motivo che ho affermato che non possiamo inviare in Iraq una missione di osservatori elettorali, cosa che in circostanze normali avrei provveduto a fare. Sarebbe troppo pericoloso per i nostri collaboratori, i quali, peraltro, non potrebbero svolgere il loro compito in maniera adeguata.

Quale sarebbe l’alternativa? Nei fatti, un’alternativa non c’è, se non quella di cercare di lavorare insieme. Certo, la sfida è decisamente difficile, e credo che il governo iracheno e anche la popolazione abbiano dato prova di grande coraggio. Quanto il collega ha detto poc’anzi è vero. I risultati delle elezioni sono stati alquanto incoraggianti e davvero sorprendenti, considerate le difficili circostanze. Ciò dimostra che il cittadino iracheno medio vuole stabilità e pace; purtroppo, però, esiste anche una minoranza, una minoranza molto forte, che è ovviamente estremista e radicale, che cerca di minare tutti gli sforzi della comunità internazionale e del governo iracheno. Non era mia intenzione darvi un quadro unilaterale della situazione e, forse, mi sarei potuta spiegare meglio.

Per quanto riguarda la tortura e i recenti eventi, sarà nostro dovere accertare se tutte le accuse sono vere. Se lo sono, occorre mettere in chiaro che i diritti umani, come ha già detto il Presidente Lord Bach, fanno parte dei nostri valori, che sono molto forti e che vogliamo esportare in Iraq affinché siano presi in considerazione anche in quel paese.

Oggi ho appreso che il Primo Ministro iracheno ha già detto che provvederà egli stesso a istituire una commissione d’inchiesta su tutti i casi di tortura perpetrati dagli iracheni stessi. Possiamo dare il nostro contributo a tal fine sia attraverso EUJUST LEX sia costituendo un corpo di polizia che non torturi ma conosca, invece, i limiti e cerchi di aiutare a ripristinare l’ordine. Abbiamo quindi un impegno di lungo termine e dovremo restare in Iraq ancora molto tempo per riportarvi la stabilità. Una simile prospettiva è di estrema importanza anche per l’intera regione; in effetti, sto lavorando avendo come riferimento tutta quella regione, nell’ambito della più ampia iniziativa per il Medio Oriente, e collaboreremo con gli americani anche a tale riguardo.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

(La seduta, sospesa alle 10.00 in attesa del Presidente in carica del Consiglio, Margaret Beckett, riprende alle 10.10)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ROTH-BEHRENDT
Vicepresidente

 
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