Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sulla relazione del Consiglio europeo e la dichiarazione della Commissione sulla riunione del Consiglio europeo informale di Hampton Court, alla quale, come sapete, il Parlamento è stato invitato nella persona del suo Presidente. Desidero ringraziare la Presidenza britannica per il rispetto che ha dimostrato al Parlamento europeo.
Jack Straw, Presidente in carica del Consiglio. (EN) Signor Presidente, per me è davvero un grande onore intervenire di nuovo in Parlamento dinanzi a deputati di grande levatura. In tutti i parlamenti talvolta si parla in un’aula gremita, altre volte invece non è così. La vostra presenza qui oggi è per me testimonianza del pieno sostegno accordato a tutte le politiche attuate dalla Presidenza britannica e dal Regno Unito su aspetti quali il bilancio, su cui tornerò tra un momento.
E’ la 48a volta che un ministro del governo britannico compare dinanzi al Parlamento dall’inizio della Presidenza britannica dell’Unione europea e, a sei settimane dal termine del mandato, sono lieto di dirvi che vi sono ancora molti altri ministri in arrivo. La nostra presenza è indice della serietà con cui ci confrontiamo con il Parlamento.
Oggi mi trovo in questa sede per riferire in merito al Vertice informale di Hampton Court. Benché siate già al corrente di buona parte di quanto è avvenuto, tengo a sottolineare l’importanza dei risultati conseguiti tre settimane fa. All’inizio dell’estate i cittadini d’Europa hanno lanciato un chiaro segnale di scontento in merito alla direzione imboccata dall’Europa. Si sentivano distanti dalle politiche e dai politici europei. A Hampton Court, i capi di Stato e di governo d’Europa hanno compiuto un passo significativo in risposta a tale preoccupazione, raggiungendo un accordo generale sulla direzione da imprimere alla politica economica e sociale. Buona parte del lavoro naturalmente era già stato svolto dalla Commissione europea e pubblicato in un documento eccellente: “I valori europei nel mondo globalizzato”. Se mi è permesso, vorrei dire al Presidente Barroso che, a mio parere, tale comunicazione è uno dei documenti migliori e più acuti che abbia letto sul futuro dell’Europa e delle sue nazioni negli ultimi tre anni.
Con 20 milioni di disoccupati e con l’occupazione giovanile che si aggira intorno al 18 per cento a livello continentale, il compito principale per tutti noi che crediamo nel modello sociale europeo consiste nel rimettere al lavoro l’Europa, dotando i cittadini degli strumenti per competere sul mercato globale.
Il Vertice di Hampton Court ha individuato sei settori chiave a cui corrisponde una serie di politiche specifiche e in cui gli sforzi congiunti degli Stati membri e della Commissione possono rafforzare la prosperità economica e la sicurezza collettiva in Europa.
Il primo settore è quello della ricerca e dello sviluppo. Abbiamo bisogno di una solida base tecnologica affinché le imprese europee siano in grado di prepararsi ad affrontare la concorrenza, in particolare quella delle economie asiatiche.
Il secondo riguarda gli investimenti nelle università. Siamo in ritardo rispetto agli Stati Uniti e, sotto certi aspetti, anche rispetto alla Cina e all’India.
In terzo luogo occorre rispondere al cambiamento demografico nell’Unione europea. Attualmente nell’Unione per ogni cittadino anziano vi sono quattro persone in età lavorativa, ma nei prossimi decenni tale rapporto passerà da quattro a uno a soli due a uno. Al Vertice informale capi di Stato e di governo dell’Unione hanno quindi concluso che deve essere esaminata in modo molto più approfondito la relazione tra migrazione legale ed esigenze economiche future dell’Unione.
Il quarto settore è quello dell’energia. Come gestiamo un’altissima domanda globale di energia a fronte di un’offerta che permane limitata? Il Vertice ha riconosciuto che la soluzione comporta un’azione in diversi ambiti. Dobbiamo diversificare le fonti di energia e rivolgerci ai principali fornitori di energia di cui ci avvaliamo in modo più coerente. Dobbiamo far leva sulla nostra capacità e sul nostro potere di mercato come utenti nei confronti dei fornitori. Dobbiamo anche promuovere l’efficienza energetica e le tecnologie pulite e sviluppare in Europa un mercato dell’energia che sia realmente più aperto. E’ infatti aperto in alcuni paesi, ma non in tutti. In termini assoluti non lo si può definire un mercato aperto.
Il quinto settore verte sull’opera dell’Unione europea in materia di sicurezza globale. Riguardo alla conservazione dei dati, il Parlamento ha la possibilità di partecipare alla responsabilità collettiva dell’Unione di preparare la legislazione che accrescerà la sicurezza dei nostri cittadini e assicurerà i criminali alla giustizia. La strategia antiterrorismo indicherà il modo in cui affrontare il fanatismo, proteggere le infrastrutture e migliorare lo scambio di informazioni. Dobbiamo anche combattere l’immigrazione clandestina e rafforzare le frontiere, garantendo al tempo stesso che L’Unione e i paesi in via di sviluppo colgano i benefici derivanti dalla migrazione legale.
Infine, il Vertice ha riconfermato l’incarico all’Alto rappresentante Solana, il quale, d’intesa con la Presidenza, porterà quindi avanti il lavoro sugli aspetti della politica estera e di sicurezza comune attinenti alla difesa e alla sicurezza. Vi sono proposte specifiche in materia di ricerca e formazione in questo settore che tendono proprio a colmare le lacune nella nostra capacità. Dobbiamo anche migliorare le strutture di gestione delle crisi per far fronte alle calamità e pensare a incrementare i finanziamenti per la PESC. In dicembre, tra parentesi, pubblicheremo una strategia completa per l’Africa.
In tutti i settori saranno preparate relazioni intermedie per il Consiglio europeo di dicembre e relazioni finali durante la Presidenza austriaca nella prima metà del prossimo anno. Sono certo che, nell’elaborare tali relazioni, la Commissione terrà pienamente conto dei pareri delle commissioni parlamentari competenti. Sono questi i temi che sono stati dibattuti e approfonditi a Hampton Court.
Tuttavia, ora che abbiamo trovato un accordo generale sulla direzione da imprimere a un’Europa moderna, dobbiamo raggiungere un congruo accordo sul bilancio in funzione delle priorità economiche e sociali così definite. La Presidenza si è impegnata a fare tutto il possibile per raggiungere l’accordo sul bilancio entro dicembre, ma sappiamo tutti che sarà estremamente difficile. In giugno cinque Stati membri hanno respinto la proposta di bilancio; il mese prossimo dovranno essere d’accordo tutti e 25. Ci attendono quindi ardui negoziati. Tenendo conto di tali assunti, intendiamo presentare delle proposte complete all’inizio di dicembre, che saranno discusse nell’ambito di una riunione dei ministri degli Esteri.
E’ necessario introdurre cambiamenti in tre settori principali. In primo luogo dobbiamo tracciare una nuova direzione per il bilancio dell’Unione europea, al fine di assicurare che esso possa rispondere alle sfide del XXI secolo. A tal fine bisogna adottare un calendario preciso per rivedere tutti gli aspetti delle entrate e delle spese e per compiere un attento esame della provenienza dei fondi, del modo in cui sono utilizzati e delle giustificazioni delle spese. La mancata convalida dei conti dell’Unione europea per l’undicesimo anno consecutivo – una situazione pessima – incide profondamente sul clima in cui si svolge il dibattito e sull’idea dell’Unione europea in ogni singolo Stato membro. Questa nuova direzione richiede quindi la definizione di obiettivi chiari per la spesa futura dell’Unione e per la relativa rendicontazione, senza la quale i contribuenti non avranno alcuna fiducia nell’operato dell’Unione, e servono altresì indirizzi chiari per la futura riforma delle politiche comunitarie.
In secondo luogo, dobbiamo modificare la struttura della spesa a partire dal 1° gennaio 2007, rispetto a quella proposta nell’ultimo quadro negoziale in giugno, soprattutto per tenere conto delle recenti analisi compiute dagli Stati membri sulle proposte che il Presidente della Commissione Barroso ha presentato il 20 ottobre.
In terzo luogo, ogni eventuale modifica sulla contribuzione delle risorse proprie – in altre parole l’importo versato dagli Stati membri nel bilancio dell’Unione – deve avere ricadute proporzionate e calibrate in tutti gli Stati membri. A tal fine, dovranno essere introdotti cambiamenti significativi alle disposizioni che interessano il Regno Unito – tra gli altri Stati membri – rispetto a quelle proposte in giugno. Non voglio giocare sull’effetto sorpresa: se dico cambiamenti significativi intendo cambiamenti significativi. Altrimenti le possibilità di approdare a un accordo saranno molto scarse. Tuttavia, ritengo che, con le opportune modifiche, si possano portare avanti i negoziati e, come Presidenza, ci siamo impegnati a trovare un accordo e faremo tutto il possibile per conseguire questo risultato.
Finora ho parlato della risposta dell’Europa alle sfide della globalizzazione principalmente in termini di azioni future: quali politiche adottare e quale bilancio approvare. Tuttavia, la globalizzazione costituisce una sfida per l’Europa non solo per quanto attiene agli interventi, ma anche in relazione all’approccio che vi soggiace. Come ho rilevato, esiste un crescente divario tra la politica europea e i cittadini.
Proprio questa questione sarà al centro di una conferenza, organizzata congiuntamente dai governi olandese e britannico, che si terrà domani all’Aia. La conferenza “Condividere il potere in Europa” esaminerà le modalità di cooperazione più efficaci tra parlamenti regionali e nazionali e Istituzioni europee, compreso il Parlamento europeo, nonché le soluzioni più adeguate per raggiungere il giusto equilibrio tra l’azione a livello regionale, nazionale ed europeo per conseguire i migliori risultati per i cittadini.
Al riguardo, vorrei esprimere grande apprezzamento al Primo Ministro dei Paesi Bassi, Jan Peter Balkenende, per aver preso l’iniziativa di proporre la conferenza – egli aveva infatti avanzato la proposta al Consiglio europeo di giugno – e al collega Bernard Bot, il ministro degli Esteri dei Paesi Bassi, che ha coadiuvato la Presidenza britannica nella realizzazione pratica della proposta e nell’allestimento della conferenza di domani.
Tutti questi sforzi in parte sono tesi a ravvicinare l’Europa ai cittadini e a rendere la legislazione europea più agile e pertinente. Poiché la globalizzazione ha reso più difficile per i cittadini d’Europa rapportarsi con le Istituzioni, essi sono diventati anche più critici riguardo alla natura della legislazione europea. Sono molto più insofferenti a un regime di tipo dirigista e si acuisce la loro convinzione che i metodi di regolamentazione non possano né debbano sostituirsi ai risultati. Troppo spesso – è vero per tutti i parlamenti e tutte le unioni, ma è particolarmente vero per l’Unione europea – il metodo è assimilato al risultato. Non è così. Le imprese, le organizzazioni non governative e gli Stati membri vogliono nuove norme europee, per esempio per contrastare la concorrenza sleale, proteggere l’ambiente e per migliorare gli ordinamenti giuridici, ma vogliono anche un’azione volta a migliorare la qualità della vita, non a renderla più complicata. L’uniformazione e l’armonizzazione di per sé non offrono alcun valore aggiunto.
Grazie all’impegno della Commissione, guidata dal Presidente Barroso, stanno emergendo molti segnali positivi. Per esempio, la Commissione ha prestato ascolto alle esigenze delle imprese e dei cittadini e ha delineato un’impronta normativa più lieve per i servizi finanziari, il che contribuirà a promuovere un settore finanziario europeo competitivo a livello globale. Il programma d’azione triennale della Commissione per la semplificazione dell’acquis è un altro segnale molto positivo, così come il riconoscimento che l’Unione europea non sempre deve intervenire nei settori in cui era solita farlo. Di qui la decisione di abrogare una direttiva del 1968 che regolamentava il numero e la dimensione dei nodi nel legno. Forse 37 anni fa l’Unione europea aveva un motivo per disciplinare il numero e la dimensione dei nodi nel legno, ma oggigiorno dobbiamo rimettere tali questioni agli Stati membri o anche solo al giudizio delle persone che acquistano legno dai rivenditori di legname. Perché no?
La proposta di valutare la possibilità di semplificare le procedure in base alle quali i datori di lavoro devono presentare relazioni in conformità di 20 direttive distinte in materia di salute e sicurezza sul lavoro dovrebbe mitigare gli oneri gravanti sulle imprese, dando loro più tempo per concentrarsi sulle esigenze dei lavoratori – magari sulla creazione di posti di lavoro – anziché sul lavoro burocratico.
In veste di colegislatore, il Parlamento europeo deve svolgere un ruolo critico in questo ambito. Prendiamo ad esempio REACH, argomento che ha suscitato una certa agitazione all’esterno mentre entravo e, mi è stato detto, anche in Aula. Fino a che punto si debba regolamentare l’industria chimica europea per tutelare il consumatore è una questione controversa. Nessuno di noi vuole essere avvelenato dalle sostanze chimiche. Nondimeno, ritengo che i risultati conseguiti dall’Europa in questo campo siano esemplari e che non siamo secondi a nessuno nel mondo. Del pari, nessuno di noi vuole che, in un mondo globalizzato, in cui le barriere sono crollate, l’industria chimica d’Europa sia messa in ginocchio, cosicché la regolamentazione, che è ottima, finisca per disciplinare un’industria ormai estinta, soppiantata da altre industrie in tutto il mondo, in Cina, in India e altri paesi, dove la regolamentazione è molto meno valida di quella vigente oggi in Europa. Questo è il dilemma che ha di fronte il Parlamento insieme con tutti i cittadini.
Dobbiamo riconoscere i casi difficili. Le modifiche proposte per la direttiva sull’orario di lavoro sono un buon esempio di legislazione benintenzionata che non conseguirà lo scopo che gli emendamenti intendono realizzare e in cui metodo e risultato si confondono terribilmente.
Conveniamo tutti sul fatto che i mercati del lavoro europei devono garantire livelli adeguati di protezione dei lavoratori. Gli europei devono godere di diritti sul lavoro, ma devono anche avere posti di lavoro in cui esercitare tali diritti. Il Primo Ministro britannico di recente ha affermato che ci auguriamo di risolvere gli aspetti in sospeso di questa direttiva durante la nostra Presidenza e questo rimane il nostro obiettivo.
Dobbiamo essere chiari sulla natura delle sfide che ci attendono. La direttiva sull’orario di lavoro è giustificata da motivi legati alla salute e alla sicurezza, e in parte è effettivamente così. Tuttavia, la rigida limitazione delle ore di lavoro complessive non è la risposta più idonea. Il Regno Unito è ai primi posti in materia di salute e sicurezza nell’Unione europea. Per essere più precisi, siamo al secondo posto nella classifica positiva dei giorni lavorativi persi per infortuni e, se non erro, siamo al terzo posto in termini di incidenti mortali sul lavoro. Abbiamo dimostrato con i nostri risultati che una situazione solida in materia di salute e sicurezza, giudicata in base ai risultati, è pienamente compatibile con la flessibilità del mercato del lavoro e degli orari di lavoro. Severe limitazioni paneuropee dell’orario di lavoro non garantiranno la salute e la sicurezza della forza lavoro, soprattutto se le norme non sono applicate in modo uniforme.
Alcuni partner europei, a mio parere giustamente, hanno espresso grande preoccupazione per il fatto che in altri Stati membri le limitazioni dell’orario di lavoro sono applicate per tipo di contratto e non per lavoratore. Alcuni di questi paesi sono i primi a invocare limiti severi, ma quando si tratta di applicarli a livello nazionale, mettono in atto sotterfugi e anziché applicarli per lavoratore – che deve essere la base per la salute e la sicurezza – li applicano per categoria contrattuale. Di conseguenza, se una persona ha due contratti – ossia due lavori – può eludere il limite, al di là di ogni regolamentazione e senza alcuna tutela. Ciò non ha senso dal punto di vista della salute e sicurezza. Non ha senso nella prospettiva di una prassi in materia di occupazione. Non ha senso, se vogliamo che l’Unione europea guadagni credibilità nell’applicazione di norme eque e ragionevoli in tutto il continente.
Dobbiamo trovare un modo per introdurre e applicare una direttiva che risponda alle esigenze di tutti i mercati del lavoro. Dobbiamo garantire che tutti i lavoratori godano di adeguati diritti sul lavoro e che nessuno sia costretto a entrare in un’economia grigia a causa delle rigidità della direttiva vigente, che è proprio ciò che sta accadendo.
La cruda verità sulla direttiva è che, nel tentativo di stabilire limiti e norme europei, rischiamo di violare la libertà individuale dei lavoratori di osservare l’orario di lavoro che preferiscono. Limiteremo innegabilmente la flessibilità dei datori di lavoro di adeguarsi alle mutevoli esigenze aziendali e stagionali e, in tal modo, minacceremo gli stessi posti di lavoro da cui i lavoratori dipendono per il loro sostentamento. Non è assolutamente giusto. E’ indispensabile che i lavoratori si sentano sicuri e adeguatamente protetti sul luogo di lavoro. Tale aspetto deve fare parte sia delle buone prassi che di una buona politica.
Dobbiamo valutare gli aspetti che è più opportuno definire a livello europeo e quelli che è meglio affidare ai governi nazionali, ai datori di lavoro e ai sindacati affinché individuino un approccio in linea con le tradizioni lavorative e le buone prassi nei singoli Stati membri e in tutta Europa. Dopo tutto, la definizione del salario minimo, un altro aspetto della normativa sul lavoro in cui credo fermamente, è sempre stata prerogativa degli Stati membri. Ritengo sia giusto. E’ ora di lasciare un margine decisionale molto più ampio sull’orario di lavoro agli Stati membri. Mi sembra un ottimo esempio di un settore in cui l’Europa, nell’affrontare le sfide e nel tentare di interagire in modo più stretto con i cittadini, debba procedere con un tocco più lieve.
Insediandosi alla Presidenza dell’Unione europea, il Regno Unito ha altresì ereditato la necessità di condurre un ampio dibattito sul futuro dell’Europa. Il Vertice di Hampton Court è stato un elemento vitale di tale dibattito, che però rimane ben lungi dall’essere concluso. Il processo di costruzione di un’Europa moderna e solida è destinato a continuare. E’ un viaggio che i governi, i rappresentanti politici e i parlamenti, compreso il Parlamento europeo, non possono compiere da soli. Dobbiamo far sì che i vantaggi offerti dall’Europa raggiungano i cittadini e dobbiamo portare i cittadini con noi in questo viaggio.
(Applausi)
José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. (FR) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli deputati, come ha rilevato il Ministro Straw, possiamo dichiararci soddisfatti dei risultati del Vertice informale. Tengo a dirvi che mi rallegro del fatto che il Parlamento europeo abbia potuto far sentire la propria voce grazie alla partecipazione del Presidente Borrell a tutte le discussioni. Mi congratulo con il Primo Ministro Blair, per il modo in cui ha contribuito a creare un’atmosfera positiva e un clima di fiducia. Sono particolarmente fiero del ruolo svolto dalla Commissione per il successo del Vertice.
Le discussioni di Hampton Court sono sfociate nel consenso su un concetto fondamentale e su cinque settori chiave. Fondamentalmente siamo giunti alla conclusione che, per preservare i valori, dobbiamo modernizzare le politiche. Non sussistono contraddizioni tra un progetto di riforma economica volta a modernizzare l’Europa e l’impegno a favore di un’Europa politica e un’Europa sociale. Passo ora a indicare in sintesi i cinque settori. In primo luogo, è necessario trovare un consenso sull’analisi e sulla natura delle sfide alle quali dobbiamo rispondere per dar seguito al contributo presentato dalla Commissione – e a questo proposito la ringrazio, Ministro Straw, per ciò che ha affermato riguardo alla qualità del nostro documento. In secondo luogo, è importante mettere concretamente in atto riforme ambiziose a favore della crescita e dell’occupazione. Tutti gli Stati membri si sono impegnati a tal fine e all’inizio del prossimo anno la Commissione preparerà una relazione sui programmi elaborati dai paesi membri per dare attuazione alle conclusioni di Lisbona. In terzo luogo, occorre approfondire i lavori svolti sulle risposte politiche da dare alla globalizzazione e all’invecchiamento della popolazione in Europa, concentrandosi su settori specifici, quali la ricerca e lo sviluppo, le università, l’energia e la demografia, compreso il problema dell’immigrazione. In quarto luogo – e questo si lega all’ultimo punto che ho citato – occorre dare una nuova priorità alla politica d’immigrazione, comprendendo sia l’immigrazione legale che senza dubbio risponde alle esigenze delle nostre economie, sia la sicurezza delle frontiere attesa dai nostri cittadini, come pure politiche d’integrazione efficaci, che sono indispensabili nelle nostre società multiculturali. In quinto luogo, servono nuove iniziative tese a esaminare come si possa rafforzare la nostra azione esterna per rispondere meglio alla globalizzazione e alle nuove minacce per la sicurezza, che non si fermano alle frontiere nazionali.
Dobbiamo proseguire questi lavori. Mi auguro che riusciremo a farlo in stretta cooperazione con il Parlamento e con la Presidenza del Consiglio attuale e futura.
Al fine di sostenere le dinamiche a favore della crescita e dell’occupazione a lungo termine, la Commissione propone di dare nuovo slancio alla ricerca e allo sviluppo e di avanzare soluzioni per riorganizzare i sistemi di istruzione in Europa e le università. Riferiremo al Consiglio e al Parlamento europeo sulla questione prima del Consiglio europeo di primavera.
Ricerca di strumenti che permettano di affrontare meglio la sfida demografica: all’inizio del prossimo anno presenteremo i risultati della consultazione lanciata all’inizio dell’anno con la pubblicazione di un Libro verde sulla demografia.
Per quanto attiene all’adozione di una politica energetica coerente, il prossimo anno presenteremo una strategia per l’Europa. Tutte le alternative devono rimanere aperte. Questo nuovo riconoscimento del fatto che dobbiamo lavorare insieme in un settore che, fino a pochissimo tempo fa, era considerato di competenza esclusiva degli Stati membri, è estremamente importante.
Riguardo alla migrazione, i lavori sono già in corso. Diverse proposte sono già state presentate al Parlamento e, prima della fine dell’anno, un documento dovrebbe permetterci di approfondire la riflessione e l’azione in materia di immigrazione legale e clandestina.
Infine, la sicurezza ci pone davanti a una duplice sfida. Non solo dobbiamo lavorare meglio insieme per combattere la criminalità transfrontaliera presente in Europa, ma dobbiamo altresì impegnarci con maggiore determinazione nella lotta contro il terrorismo internazionale. Anche a questo proposito esistono importanti proposte della Commissione e si sta completando una strategia di lotta al terrorismo. Tuttavia, dobbiamo anche compiere maggiori sforzi per far sì che l’Unione europea trovi pieno spazio nel dibattito sulle risposte da dare alla globalizzazione. Per questo motivo la Commissione presenterà un documento di riflessione sul contributo che l’Esecutivo può fornire, insieme con il Consiglio e il Parlamento, per rafforzare la coerenza esterna dell’Unione.
E’ evidente che possiamo fare di più per promuovere la coerenza della nostra azione esterna, non solo sul piano della politica estera e di difesa comune, ma anche in relazione con gli strumenti di politica interna che hanno una dimensione esterna e negli ambiti in cui la Commissione svolge un ruolo particolare, per esempio gli aiuti allo sviluppo, gli scambi internazionali e la politica di vicinato.
Il Vertice di Hampton Court ha fornito l’ennesima dimostrazione del motivo per cui l’Unione europea ha un ascendente in un mondo globalizzato. Mai prima d’ora l’integrazione europea è stata tanto dibattuta, ma mai prima d’ora è stato tanto necessario. L’Europa dispone di una tale varietà di politiche da poter valorizzare al massimo i benefici della globalizzazione per i suoi cittadini, riducendo al minimo le minacce. Grazie alla legislazione europea un sospetto terrorista può essere trasferito dall’Italia a Londra in 50 giorni. Una procedura che una volta richiedeva anni ora richiede solo alcune settimane, perché disponiamo di uno strumento a livello europeo e di una legislazione europea che ci permettono di farlo. E’ l’Europa che può fornire risposte alle sfide dovute a un’energia sempre più costosa e difficile da reperire. E’ l’Europa che contribuirà alla gestione della frontiera a Gaza, un recente importantissimo sviluppo. E’ l’Europa a guidare il mondo in materia di aiuti all’Africa. Questa dimensione europea è dunque necessaria.
Siamo d’accordo sulla necessità di una legislazione ragionevole, che permetta di evitare misure burocratiche, e abbiamo fatto molto per conseguirla tramite una migliore regolamentazione. Tuttavia, questo non significa un’Europa minimalista, e voglio essere assolutamente chiaro in proposito. Niente affatto. Significa che l’Europa deve intervenire meno in alcuni settori e semplificare la vita ai cittadini e alle imprese. Al contempo esistono settori in cui occorre fare di più, non di meno. E’ molto importante scongiurare l’idea di un’Europa minimalista.
E’ responsabilità di tutti i leader europei – a livello di Consiglio, Parlamento e Commissione – spiegare la situazione ed evitare la demagogia e il populismo di cui talvolta l’Europa è accusata, perché in questo mondo globalizzato abbiamo più che mai bisogno di un’Europa forte. Tuttavia, tutte queste politiche – dalle relazioni esterne alla sicurezza, dall’immigrazione all’energia, alla ricerca, alle università – hanno bisogno di fondi: costano.
Quand’ero bambino mia madre mi diceva di non parlare mai di soldi, perché è cattiva educazione. Ora però sono costretto a parlarne, perché senza soldi non possiamo attuare queste politiche: abbiamo bisogno di risorse per portarle avanti.
Illustri membri del Consiglio, non potete chiedere alla Commissione e alle altre Istituzioni europee di conseguire risultati senza conferire loro le risorse per attuare le politiche necessarie.
L’atmosfera positiva, i segni di una più forte volontà politica europea che abbiamo visto a Hampton Court ora devono tramutarsi in azioni, in un accordo sulle prospettive finanziarie il mese prossimo. Questa è la questione determinante per la Presidenza britannica, la prova per stabilire se l’Europa sia in movimento; abbiamo bisogno di un’Europa che si muove.
Riguardo a prosperità, solidarietà e sicurezza, tutto ciò che possiamo fare è dare ai cittadini le risorse per ottenerle. So che la Presidenza britannica sta lavorando sodo per raggiungere l’accordo; d’altro canto, il costo del fallimento sarebbe elevato. E’ difficile immaginare come le nostre posizioni possano convergere in pochi mesi. Sussiste quindi il rischio reale di non raggiungere l’accordo il mese prossimo, con conseguenti ritardi nella disponibilità di fondi per i nuovi Stati membri e con il rischio che la Comunità non sia in grado di rispettare impegni internazionali essenziali, tra cui quelli a favore dei più poveri.
Senza prospettive finanziarie, come può l’Unione europea assumere impegni a medio termine a sostegno dei fondi globali per l’HIV/AIDS? Come possiamo rispettare gli impegni assunti in sede di Nazioni Unite in relazione agli Obiettivi di sviluppo del Millennio? Come possiamo sostenere i paesi dei Caraibi, per esempio, affinché si adeguino alle modifiche dei regimi della Comunità europea applicati alle banane? Come possiamo mantenere i nostri impegni in materia di missioni di pace in Africa? Come possiamo portare avanti le cosiddette nuove politiche, le politiche per il futuro? Di fatto, in assenza di un accordo, manterremo le politiche del passato, non avremo le risorse per le politiche del futuro.
Mi pare inoltre che conveniamo tutti sul fatto che un’Unione europea allargata e più eterogenea abbia bisogno di maggiori investimenti. Non parlo di “costi dell’allargamento”, perché non amo associare il termine “costi” all’allargamento. Tuttavia, ora che siamo un’Europa molto più grande e molto più eterogenea, sono necessari maggiori investimenti a favore dei nuovi Stati membri di cui dobbiamo condividere gli oneri.
Abbiamo un dovere di solidarietà nei confronti dei nuovi Stati membri che chiedono sostegno all’Unione europea nel loro rapido ed eccezionale processo di modernizzazione e riforma. E’ una situazione favorevole a tutti gli Stati membri. Non è un gioco insensato ed è proprio perché dobbiamo colmare questo divario che ho presentato alcune proposte, tra cui una proposta ora all’esame della Presidenza britannica – che per questo ringrazio – in cui si collega la coesione alla competitività. Nel nostro ragionamento non vi è alcuna contraddizione tra coesione, da un lato, e competitività, dall’altro, anzi. La coesione e il sostegno a favore dei nuovi Stati membri sono anche un modo in cui tali paesi possono rafforzare la loro competitività e l’Europa nel suo insieme può diventare più competitiva.
Mi auguro quindi che nell’accordo finale si terrà conto di tali proposte e che sia infine chiaro che non proponiamo fondi per un vecchio concetto d’Europa, ma fondi per un’Europa più competitiva e più moderna, che preservi al tempo stesso i suoi forti valori in termini di coesione.
E’ necessaria un’equa ripartizione degli oneri. Nessuno Stato membro può tirare al risparmio sull’allargamento. Confido nel buon senso della Presidenza britannica, affinché si raggiunga un accordo giusto ed equilibrato il mese prossimo. Mi auguro ci si arrivi rafforzando e non riducendo le ambizioni della Commissione e del Parlamento per un’Europa allargata, perché va detto in tutta onestà che le prospettive finanziarie rappresentano un accordo tra il Consiglio, la Commissione e il Parlamento, e le posizioni del Parlamento e della Commissione devono essere prese in considerazione nell’accordo finale.
Hampton Court è stato un vero successo. Hampton Court è stato il primo importante passo verso un nuovo consenso a favore di un’Europa dinamica e moderna. Mi auguro che l’atteggiamento positivo verso il dinamismo e l’apertura che tutti hanno dimostrato al Vertice possa ora tradursi in un accordo sul bilancio. Offro alla Presidenza il mio pieno sostegno nei suoi sforzi volti a conseguire questo risultato e porgo i migliori auguri alla Presidenza e a tutti gli Stati membri.
(Applausi)
Presidente. La ringrazio, Presidente Barroso. La Presidenza desidera ricordare che la discussione ha per oggetto il Consiglio europeo di Hampton Court, ma si sta trasformando in un dibattito preliminare sulle prospettive finanziarie. La Presidenza non intende indicare ai partecipanti ciò di cui devono discutere. Se lo desiderano, possono insistere sul tema delle prospettive finanziarie, anche se non figura esplicitamente all’ordine del giorno.
Hans-Gert Poettering, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, signor Presidente della Commissione, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, alla vigilia del Vertice di Hampton Court era intervenuto in Aula il Presidente del Consiglio europeo, non il Primo Ministro britannico. E’ vero che egli è anche il Primo Ministro britannico, ma in tale funzione è Presidente del Consiglio europeo.
La presenza in Aula del Primo Ministro Blair il giorno prima del Vertice di Hampton Court ha trasmesso un segnale positivo. Su questo punto ritengo che egli abbia seguito l’ordine corretto: prima il Parlamento e poi i capi di Stato e di governo. Sono anche molto soddisfatto della presenza del Presidente del Parlamento a Hampton Court per l’intera durata della riunione. Le raccomando, signor Presidente in carica del Consiglio, di invitare il Presidente del Parlamento a Bruxelles per l’intero Vertice. Potrebbe essere l’inizio di una buona pratica per il futuro e il Regno Unito sarebbe per sempre ricordato per aver pienamente coinvolto il Presidente del Parlamento europeo nei Vertici europei.
Il suo accenno alla levatura dei deputati presenti oggi in Aula è stato una perla di understatement britannico. E’ fantastico il modo in cui ha voluto esprimere una critica indiretta, ma giustificata, del fatto che potremmo essere presenti in maggior numero. Lei ha scelto di dare risalto alla nostra qualità, rivelando così la rara maestria di parlamentarismo che si può trovare nel Regno Unito.
A questo punto devo però smorzare un po’ l’entusiasmo. Lei ha menzionato le visite dei ministri, affermando che i ministri britannici sono intervenuti presso le Istituzioni europee 48 volte. E’ fantastico e di sicuro la cifra salirà a 60, dato che rimangono ancora sei settimane, ma alla fine ciò che conta è che la quantità di ministri della Presidenza britannica trovi corrispondenza nella loro qualità e nutriamo ancora la speranza che ciò avvenga entro la fine di dicembre.
Lei ha detto che l’Europa è molto distante dai suoi cittadini: è vero e dovremo riflettere sul modo in cui migliorare insieme la situazione, ma lo stesso vale per la politica a livello nazionale. Ne consegue che, se vogliamo che i cittadini abbiano fiducia nel processo decisionale, dovremo compiere lo stesso sforzo sia a livello nazionale che a livello europeo.
Se si esamina la situazione dall’esterno – e di sicuro questo è uno dei risultati di Hampton Court – sembra sia nata una nuova fiducia tra i soggetti interessati. In veste di presidente di un gruppo cui aderiscono deputati di tutti i 25 Stati membri e di 45 partiti nazionali, so per esperienza che, laddove esiste una complessa interazione di interessi – presente anche negli altri gruppi politici, nel Parlamento nel suo insieme e nei governi nazionali – i problemi si possono risolvere soltanto se vi è fiducia. In caso contrario non vi possono essere nemmeno soluzioni politiche. Ciò che ci attendiamo dai capi di Stato e di governo è che ciascuno di essi svolga il proprio ruolo, promuovendo la fiducia tra gli altri membri del Consiglio europeo.
Non ho intenzione di ripetere ora tutto ciò che è stato detto sul futuro dell’Europa, sul documento della Commissione e sulla globalizzazione, ma è indispensabile accettare l’aspetto sostanziale della globalizzazione: siamo un mondo unico e saremo sempre più un mondo unico. D’altro canto, la globalizzazione non è un fenomeno che dobbiamo soltanto subire: possiamo anche trasformarlo, cioè possiamo, attraverso l’azione politica, tenere sotto controllo gli eccessi della globalizzazione e le sue manifestazioni negative. Ritengo sia questo il nostro compito.
Ora vorrei spendere qualche parola sulla decisione più importante da adottare, su cui si è già svolto un dibattito, seppure ai margini. Mi riferisco, come ha già fatto il Presidente del Parlamento, alle prospettive finanziarie. Vi consiglio, con il vostro permesso – e anche senza il vostro permesso ve lo consiglio lo stesso – di trovare una soluzione sulle prospettive finanziarie, perché il Regno Unito è sempre stato a favore dell’allargamento – e sono qui presenti i deputati dei paesi che hanno aderito all’Unione europea il 1° maggio 2004 – anche se non sempre ha seguito il nostro stesso percorso sulle questioni istituzionali. Se non riuscirete ad adottare le prospettive finanziarie, darete una delusione soprattutto ai paesi ex comunisti che hanno aderito all’Unione il 1° maggio 2004. Vi esorto quindi a fare tutto il possibile per raggiungere l’accordo. Tuttavia, va detto che, per riuscirci, lei e il Presidente del Consiglio europeo dovrete avere il coraggio di tirare una riga netta sullo sconto britannico.
Lei ha parlato di modifiche fondamentali e probabilmente si riferiva alla politica agricola, ma sono necessarie modifiche fondamentali anche nei contributi versati dai singoli Stati membri e questo è il punto su cui il Regno Unito, durante la vostra Presidenza, può svolgere un ruolo significativo. La politica agricola è stata definita fino al 2013, ma, se si trova una soluzione alla questione dello sconto britannico, e se vogliamo ottenere delle prospettive finanziarie, dobbiamo garantire di essere perlomeno disposti ad adottare una dichiarazione d’intenti vincolante affinché a un certo punto si possa svolgere una seria riflessione sull’ulteriore riforma della politica agricola.
Signor Presidente in carica del Consiglio, quando discuterete le prospettive finanziarie e, mi auguro, prenderete decisioni al riguardo – e mi rivolgo anche alla Commissione – vi esorto a ricordare che, in seno al Consiglio, non prendete decisioni da soli. Il Parlamento europeo è parte dell’autorità di bilancio, ha pari diritti di codecisione e dovete quindi garantirne la piena partecipazione. Proprio come voi, rappresentiamo i cittadini d’Europa e se tutti insieme diamo prova di buona volontà, di fiducia reciproca, riusciremo anche a risolvere i nostri problemi.
(Applausi)
Robert Goebbels, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signor Presidente, Hampton Court è stato un Vertice senza conclusioni formali. Le promesse del Vertice rischiano di essere effimere quanto gli impegni matrimoniali che Enrico VIII contrasse in quello stesso palazzo.
La Presidenza britannica ha ragione a invitare i 25 a introdurre riforme, investire di più nelle tecnologie del futuro e creare le condizioni per aumentare l’occupazione. Le riforme sono tuttora necessarie, ma per molti cittadini europei il termine “riforma” ha una connotazione negativa ed è sinonimo di perdita di posti di lavoro e di ridimensionamento dei servizi sociali.
Il Ministro Straw ha appena criticato la posizione del Parlamento sulla direttiva relativa all’orario di lavoro. Consiglio al Ministro di rileggere la prima convenzione adottata dall’Organizzazione internazionale del lavoro all’epoca della Società delle nazioni, che mirava alla settimana di 48 ore senza opt out.
Le riforme sono condivise se permettono di migliorare il benessere generale. A tal fine l’Europa deve modificare le sue posizioni troppo pessimistiche, troppo avvilite. Vista dall’esterno, l’Unione assurge ad esempio, come del resto ha ricordato anche il Presidente del Cile in questa stessa Aula il mese scorso. Tuttavia, stando alle comunicazioni della Commissione, nel 2050 l’Europa sarà ormai diventata un ospizio. Chi di noi potrà verificare se queste proiezioni allarmiste si riveleranno accurate nel 2050? Sì, l’Europa dovrà affrontare l’invecchiamento della popolazione, ma in Giappone e in Russia la popolazione diminuirà. E che dire della Cina, con la sua politica di un unico figlio per famiglia? Che dire dell’India e di altri paesi che non riescono a contenere la vertiginosa crescita demografica a livello nazionale? Quale paese incontrerà i problemi demografici più gravi nel 2020, senza nemmeno osar parlare del 2050?
Se esiste un ambito in cui l’Europa può imitare gli Stati Uniti, tale ambito è la politica d’immigrazione, che potrebbe essere più generosa. Gran parte dell’eccedenza della crescita americana dell’ultimo decennio deriva dal contributo di dieci milioni di latinoamericani e di centinaia di milioni di scienziati europei e asiatici. Quindici giorni fa il senato degli Stati Uniti ha deciso di concedere 330 000 Green Cards supplementari all’anno a immigrati altamente qualificati.
La competitività dell’Europa è una preoccupazione costante. Tuttavia, se si confronta la competitività oraria e soprattutto la competitività industriale dell’Europa con quella di altri paesi, è evidente che superiamo di gran lunga gli Stati Uniti nella maggioranza dei settori economici. La comunicazione della Commissione sulla politica industriale lo riconosce. L’Unione europea è tuttora la prima destinazione e la prima fonte per gli investimenti mondiali. Nel 2003 gli investimenti dei 15 sono stati quattro volte più elevati nei dieci nuovi Stati membri che in Cina, la quale ha ottenuto solo il 3,8 per cento degli investimenti europei. Smettiamo quindi di aver paura della Cina. E’ solo normale che un paese con 1,3 miliardi di abitanti raggiunga una quota più significativa negli scambi mondiali, ma in cifre assolute la quota dell’Europa negli scambi internazionali è in crescita, anche se alcuni settori sono in difficoltà. In ogni caso nove decimi dei nostri scambi non avvengono con paesi a basso reddito, ma con paesi industrializzati.
La globalizzazione offre una grande opportunità per ridurre la povertà nel mondo. Da 50 anni a questa parte la crescita degli scambi internazionali è più rapida della crescita del prodotto mondiale lordo. Ciò dimostra che il commercio estero non è un gioco insensato, ma permette di sollevare dalla povertà milioni di esseri umani e al tempo stesso offre benefici ai consumatori dei paesi ricchi. Sono infatti i nostri consumatori che, acquistando i prodotti meno cari, inducono i nostri stessi produttori industriali a diventare più competitivi.
L’Unione rimane la prima potenza esportatrice del mondo, trainata da Germania, Francia e Italia. Questi tre paesi sono tuttavia in crisi in termini di crescita interna. I loro cittadini risparmiano cifre record. Dal canto loro, americani e britannici consumano tutto e si indebitano pericolosamente. Per rilanciare la crescita, dobbiamo ricreare fiducia tra gli europei. Non esistono alternative al mercato, ma il mercato è incapace di creare solidarietà, la quale invece si pone come segno distintivo del modello europeo. Occorre volontà politica per creare più solidarietà tra i nostri paesi e all’interno dei nostri paesi.
La politica si riduce sempre a una questione di risorse e, su questo punto, concordo con il Presidente Barroso. Ciò che manca tremendamente all’Europa sono le risorse di bilancio. Il Primo Ministro Blair ha ragione a invitarci a investire di più nella ricerca e nelle università. Di conseguenza, il bilancio dell’Unione deve essere alimentato con risorse superiori al miserabile 1 per cento del PIL che alcuni grandi paesi vorrebbero concedere, a partire dal Regno Unito.
(Applausi)
Il gruppo socialista al Parlamento europeo giudicherà la Presidenza in base alla sua capacità di definire prospettive finanziarie realistiche, ma più generose. Il Vertice di dicembre deve essere il Vertice della solidarietà ritrovata. Un forte impegno da parte dei 25 a favore di una politica di rilancio coordinata e di investimenti nazionali e transeuropei più significativi nelle infrastrutture permetterà all’Europa di rilanciare la crescita, condizione necessaria per far accettare riforme strutturali difficili. E’ la crescita che genera stabilità, non il contrario.
(Applausi)
Presidente. La ringrazio, onorevole Goebbels. La discussione si anima e ciò è positivo per incoraggiare la partecipazione di un maggior numero di deputati.
Karin Riis-Jørgensen, a nome del gruppo ALDE. – (DA) Signor Presidente, onorevoli colleghi, posso capire che la cura di relazioni ad alto livello di Hampton Court sia apparentemente andata secondo il previsto. Si è comunque svolta in uno scenario adeguatamente romantico ed esclusivo, quindi le probabilità erano tutte a vostro favore. Ora che i capi di governo sono tornati a casa dopo la somministrazione di tale cura, vedremo se in definitiva gli sforzi terapeutici del Primo Ministro Blair abbiano dato frutti, perché sappiamo tutti che, quando i matrimoni cominciano a sfaldarsi, le coppie spesso ricadono nelle cattive abitudini familiari. Ho quindi una richiesta concreta da rivolgere alla Presidenza e alla Commissione.
Nella pratica vi è davvero pochissimo che i paesi dell’Unione possono fare insieme per mettere in moto il necessario e auspicato processo di riforma, volto a modernizzare il mercato del lavoro europeo e ad adeguarlo alla società di oggi. Sappiamo tutti che questo lavoro indispensabile deve essere svolto dai singoli Stati membri. Gli sforzi di riforma sono una questione puramente nazionale.
Tuttavia, l’Unione può e deve completare i lavori tesi a creare un autentico mercato interno dei capitali e dei servizi. Approfittando degli effetti della terapia di relazione, che ancora si fanno sentire, vorrei invitare la Presidenza e la Commissione a lavorare per assicurare che i mercati europei dei servizi e dei capitali siano pienamente liberalizzati. Sono convinta che, se questo processo avrà successo, esso produrrà riforme reali del mercato del lavoro all’insegna della massima: “Non esistono alternative”. I vantaggi derivanti da tale riforma per i cittadini sarebbero enormi e ovviamente è proprio questo lo scopo della cooperazione europea: offrire ai cittadini maggiori vantaggi.
Vorrei anche rivolgerle una domanda precisa, Ministro Straw. Lei ha accennato alla relazione annuale della Corte dei conti. E’ pronto a dare il buon esempio e assicurare che lei e il Regno Unito vi assumerete la responsabilità di amministrare una sovvenzione dell’Unione europea nel vostro paese, responsabilità che, purtroppo, il vostro ministro delle Finanze si è rifiutato di assumere la settimana scorsa? Vorrei una risposta chiara. La ringrazio per l’attenzione.
Pierre Jonckheer, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Commissione, ho tre osservazioni in risposta al suo intervento, Ministro Straw.
Riguardo alla conferenza dell’Aia, che lei ha ricordato, con grande modestia mi permetto di suggerirle di rileggere il progetto di Costituzione che ha firmato e che, a mio parere, contiene soluzioni sia per la ripartizione delle competenze sia per il ruolo dei parlamenti nazionali. Perché quindi abbandonarlo?
Per quanto attiene alla politica sociale e alla direttiva sull’orario di lavoro, sono d’accordo con lei: dobbiamo favorire la diversità nazionale, ma, se dobbiamo ricalcare un modello, mi piacerebbe molto ispirarmi al modello scandinavo.
Sulla questione del mercato unico spero conveniate con me sul fatto che la concorrenza deve essere leale ed equilibrata. In altre parole, il mercato unico si costruisce anche sulla base di norme sociali comuni ed è quindi parte dello spirito stesso dei Trattati.
Infine, per quanto riguarda il bilancio, ritengo che abbiamo un autentico problema di credibilità, sia di entrate che di spesa; il Presidente Barroso e il Parlamento europeo vi hanno fatto sufficienti allusioni. Perché l’Unione europea a 25 abbia successo, per poter esprimere costantemente la nostra solidarietà nei confronti dei nuovi Stati membri e per attuare una politica estera con risorse adeguate, possibilmente andando oltre il 5 per cento del bilancio, è necessario un aumento del bilancio comunitario.
Soprattutto, e qui concludo, dobbiamo uscire da un dibattito sul bilancio caratterizzato da crescenti egoismi nazionali. Nella valutazione intermedia richiesta dalla Commissione e dal Parlamento, la Presidenza e il Consiglio europeo nel suo insieme devono assumere l’impegno politico di proporre un meccanismo europeo che doti l’Unione di risorse realmente autonome per il futuro delle politiche europee. Con un tale impegno forse riusciremo a persuadere i nostri cittadini dell’utilità della politica europea.
Kyriacos Triantaphyllides, a nome del gruppo GUE/NGL. – (EL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono lieto di avere la possibilità di tracciare una valutazione del Consiglio europeo informale tenutosi alla fine del mese scorso, in presenza del Presidente in carica del Consiglio e del Presidente della Commissione.
Se la convocazione del Consiglio non è stata una cattiva idea, essa ha purtroppo patito tantissimo in fase di esecuzione. Infatti, in un momento in cui l’Unione europea è allo stremo, considerato che abbiamo venti milioni di disoccupati, non sappiamo come affrontare i problemi sociali, soprattutto quelli scoppiati di recente in Francia, e la fiducia dei cittadini nei governi diminuisce in progressione geometrica, l’idea di riunire i leader dell’Unione europea a Londra per discutere del modello sociale europeo e della resistenza alla globalizzazione è stata apparentemente ottima.
Purtroppo, anziché veder prevalere l’accordo, abbiamo visto scoppiare per l’ennesima volta le solite liti su una questione di enorme importanza per il futuro dell’Europa, cioè le prospettive finanziarie.
Vorrei ricordare all’Assemblea che il 23 giugno il Primo Ministro Blair, durante il suo intervento da questi stessi banchi del Parlamento europeo, aveva dichiarato di essere sempre stato un entusiasta sostenitore dell’Europa. Mi chiedo, quattro mesi e mezzo dopo, in che modo il Primo Ministro Blair stia traducendo tali parole in pratica. Qual è la valutazione della Presidenza del suo paese finora, considerato che a un mese dalla fine del semestre non abbiamo ancora raggiunto l’accordo sulle prospettive finanziarie? Sul modello sociale non siamo avanzati nemmeno di un millimetro, mentre il Consiglio dinanzi alla globalizzazione reagisce creando un ambiguo fondo di adeguamento.
Mi chiedo sinceramente, signor Presidente della Commissione, se lei ha pensato seriamente alla reazione dei lavoratori licenziati per esubero, quando dirà loro che esiste la panacea del fondo per tutti i mali della globalizzazione.
La Presidenza britannica ha avuto la possibilità di scrivere la storia a Hampton Court. Invece, ha dimostrato per l’ennesima volta che questa è un’unione di interessi, che spreca tempo e denaro pubblico per chiacchiere prive di sostanza e i cui errori, purtroppo, devono essere pagati dai cittadini d’Europa.
Michael Henry Nattrass, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, il Vertice di Hampton Court doveva essere il Vertice sul “modello sociale”. In effetti il Primo Ministro Blair ha proprio socializzato e basta, era lo stesso Primo Ministro Blair che in luglio si era insediato a Bruxelles promettendo riforme radicali, che poi ha ridotto alla radice quadrata più invisibile di qualsiasi Presidenza dell’Unione europea di cui si abbia memoria.
Dopo Hampton Court tutti si sono meravigliati che nulla fosse accaduto. In realtà, si potrebbe parlare del dedalo delle meraviglie di Hampton Court. L’emittente televisiva ARD in Germania ha affermato che, dopo quattro mesi, nulla è successo, assolutamente nulla. I media polacchi lo hanno considerato uno dei vertici più bizzarri dell’Unione. In Italia La Repubblica lo ha semplicemente definito “imbarazzato” e “imbarazzante”.
Secondo il Primo Ministro Blair, sono stati discussi gli aspetti che stanno a cuore ai cittadini, ma i cittadini non vogliono politiche europee a favore delle università, dal momento che l’Unione europea non ha competenze in materia di istruzione. Né vogliono nove missioni distinte nel mondo nell’ambito della politica di difesa dell’Unione europea.
Se Hampton Court ha dimostrato qualcosa, è che il vuoto è pericoloso se è riempito di aria fritta ad opera dei rappresentanti politici. Propongo di applicare una targa di metallo blu sul muro di Hampton Court, che reciti: “Nulla è successo in questo luogo il 27 ottobre 2005”, oppure, come si dice nello Yorkshire: “Ehi, siete matti?”.
Roberta Angelilli, a nome del gruppo UEN. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, Ministro Straw, parafrasando le sue parole iniziali, io ci sono e mi permetto di dissentire. Battute a parte, nonostante le apprezzabili buone intenzioni di Blair e di Barroso, il vertice di Hampton Court risulta ampiamente insoddisfacente nei suoi risultati pratici.
Innanzitutto, la tanto attesa piattaforma sul modello sociale europeo della Commissione è apparsa piuttosto deludente. Non è stata proposta nessuna vera strategia e nessuna ambizione per un autentico rilancio dell’economia europea, ma piuttosto una politica di riduzione del danno. Dietro a denuncie altisonanti, come la "lisbonizzazione" delle risorse e il fondo per la globalizzazione, a tutt’oggi non vi è nulla di concreto.
Per quanto riguarda il Presidente Blair, il bilancio politico non è di certo positivo. Di fatto, nonostante le continue rassicurazioni di facciata, non c’è nessun accordo sulle prospettive finanziarie, che sono ovviamente il nocciolo del problema.
In conclusione, non esiste soprattutto nessuna reale intenzione di ridiscutere l’iniquo assegno inglese. Si tratta di privilegio che viene pagato prevalentemente dall’Italia e dalla Francia, sottraendo preziose risorse ai nostri rispettivi paesi.
James Hugh Allister (NI). – (EN) Signor Presidente, dall’interpretazione di oggi si potrebbe pensare che a Hampton Court siano stati conseguiti grandi risultati, ma, come abbiamo già sentito, il verdetto della stampa informata dell’Unione è stato pressoché universalmente negativo. Un’agenzia di stampa ha riferito che molti quotidiani non riuscivano a ricordare un esempio più inutile e superficiale di sterile esibizionismo. Un quotidiano ha parlato di una stravagante esibizione di leader in pieno relax che eludevano le questioni più cruciali cui deve rispondere l’Europa. Un altro lo ha definito il Vertice dell’impasse dietro una facciata di sorrisi forzati. Secondo un articolo apparso sul Financial Times, i capi di Stato e di governo hanno tentato di affrontare la questione dell’impatto della globalizzazione sull’economia europea e hanno concluso che sono necessarie più attività di ricerca e sviluppo e, naturalmente, più fondi. In altre parole, non hanno fornito risposte. L’Unione europea, sempre secondo il Financial Times, è la piattaforma istituzionale sbagliata per affrontare la globalizzazione. E’ diventata troppo grande e divisa. I livelli politici appropriati sono i governi nazionali e la zona dell’euro. Ritengo che l’articolo del Financial Times sia vicino alla realtà. Se i singoli Stati membri a livello nazionale dedicassero al problema legato alla competitività in un mercato globale gli stessi sforzi ed energie che dedicano alla preparazione di vertici da vetrina, i risultati sarebbero senz’altro più importanti e visibili.
Il mio maggiore timore derivante dal fallimento del Vertice di Hampton Court e da una Presidenza britannica poco brillante è che ciò renderà il mio governo oltremodo ansioso di ottenere un accordo sul bilancio in dicembre per poter salvare la faccia e che, di conseguenza, il Primo Ministro Blair farà troppe concessioni sullo sconto britannico, solo perché si possa dire che la Presidenza britannica ha conseguito dei risultati, cioè risultati diversi dall’assicurare il fallimento dell’Unione aprendo la porta all’adesione turca.
Timothy Kirkhope (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, mi spiace molto, ma temo che sarò costretto a essere anche un po’ villano. Il Vertice di Hampton Court ha ricalcato esattamente lo scenario contro cui avevo messo in guardia: una specie di fabbrica di chiacchiere, o palazzo di chiacchiere, e penso che il discorso del Ministro Straw sia stato, come disse una volta Churchill, “un budino senza tema”.
Innanzi tutto, il Primo Ministro ha ridotto la riunione di Hampton Court a un solo giorno. Ha poi compilato un ordine del giorno molto generico, scansando tutte le questioni importanti e urgenti cui deve rispondere l’Unione; infine, ha sorprendentemente deciso che non sarebbe stata adottata una dichiarazione conclusiva. Queste non sono certo le caratteristiche di una Presidenza e di un Primo Ministro che seguono il programma e danno forma al nostro futuro. Sono francamente sorpreso che la Presidenza abbia qualcosa da riferire sul Vertice. In ogni caso il Parlamento europeo riceve se non altro una relazione, diversamente dalla Camera dei Comuni britannica cui il Primo Ministro non ha ritenuto opportuno riferire subito dopo il Vertice.
Il Consiglio informale è stato un’occasione sprecata. L’Europa ha bisogno di una guida sulla riforma economica. La Presidenza ha invece prodotto un paio di documenti di discussione, elaborati da ricercatori, ma nemmeno questi sono stati discussi. L’Europa ha bisogno di una guida sulla riforma del cosiddetto modello sociale. Anche in questo caso abbiamo ottenuto solo alcuni documenti di discussione, validi ma irrilevanti. L’Europa ha bisogno di una guida per essere più flessibile e reattiva. Tuttavia, la questione fondamentale sul corso da seguire dopo la bocciatura della Costituzione non figurava nemmeno tra gli argomenti in discussione. L’Europa ha bisogno di una guida anche sul suo futuro finanziamento. Sono questioni serie, non ultima quella dello sconto britannico, ma la Presidenza continua a eluderle e l’immobilismo persiste.
Concordo con il Presidente Barroso: la Presidenza deve compiere sforzi per conseguire un risultato al Consiglio di dicembre. Compiremo un attento esame per verificare i contenuti precisi dell’accordo e per vedere se il Primo Ministro Blair mancherà di tenere fede ai suoi impegni precedenti per difendere lo sconto britannico.
La trasparenza e l’apertura sono un’altra questione che la Presidenza deve affrontare. Poco tempo fa ho chiesto che le riunioni del Consiglio si svolgano in pubblico, quando esso esercita la sua funzione legislativa. Il Primo Ministro Blair afferma di voler compiere progressi in materia. Invito quindi la Presidenza ad attuare tale procedura prima del termine del suo mandato e attendo con impazienza la risposta del Consiglio in proposito nel Tempo delle interrogazioni che seguirà la discussione.
Che dire della relazione della Corte dei conti sulla contabilità dell’Unione? Per l’undicesimo anno consecutivo la Corte ha deciso di non emettere la dichiarazione di affidabilità. La Presidenza deve veramente risolvere il problema. L’immobilismo e l’indecisione sono state caratteristiche fondamentali della Presidenza britannica. In effetti è illuminante l’affermazione che il Primo Ministro della Slovacchia ha pronunciato al riguardo: “Regna il silenzio, non abbiamo informazioni”. Devo concordare con questa analisi e, pur avendo ascoltato volentieri il discorso del Ministro Straw, non credo che possa condurre ad alcunché di utile.
Hampton Court non ha fornito alcun indizio del fatto che la Presidenza, in particolare il Primo Ministro, abbia una strategia. Egli ha invece dato l’impressione di vagare da vertice a vertice incapace o restio a fornire il tipo di leadership che noi conservatori britannici avevamo chiesto in giugno. Possiamo solo aggrapparci ad un’ultima speranza, ossia che il prossimo Vertice di Bruxelles dimostri che la delusione che sento per l’operato della Presidenza britannica sia effettivamente ingiustificata.
Gary Titley (PSE). – (EN) Signor Presidente, di recente un presunto terrorista ricercato dal governo britannico è stato arrestato ed estradato da Roma nell’arco di alcune settimane. Questo è un risultato diretto del mandato di arresto europeo: in precedenza la procedura avrebbe potuto richiedere anni. E’ solo un esempio dei vantaggi concreti che l’Unione europea offre ai suoi cittadini.
Ogni cittadino ha beneficiato del mercato unico per circa 6 000 euro pro capite in termini di incremento della produzione. Nella mia regione, se lo si desidera, è possibile nuotare nel mare di Blackpool, grazie alla legislazione dell’Unione europea che ha migliorato l’ambiente. Questi sono vantaggi concreti per i nostri cittadini e dobbiamo fare di più per pubblicizzarli.
Accolgo con favore i documenti presentati a Hampton Court, perché vertono sulle modalità più idonee con cui l’Unione europea può offrire valore aggiunto ai cittadini, in particolare nel contesto dei mercati dell’energia in cui la crisi è ormai annunciata. Dobbiamo tuttavia garantire che si dia seguito a queste questioni. Una difficoltà nell’agenda di Lisbona, in particolare, è che gli stessi Stati membri fanno promesse che poi però non mantengono. Mi auguro che nelle discussioni di Hampton Court sia stato chiarito il ruolo degli Stati membri e l’importante ruolo della Commissione europea nel garantire che gli Stati membri realizzino quanto si sono prefissati. Se lo facessero, l’Unione europea potrebbe compiere enormi passi avanti, senza dover necessariamente disporre dei piani grandiosi cui è stato fatto cenno nel dibattito di oggi. Limitiamoci a tener fede a ciò che abbiamo deciso di realizzare. Questa sarà la chiave del successo dell’Unione europea.
Mi congratulo con il Presidente in carica del Consiglio per la fedeltà dimostrata al Parlamento. Siamo molto soddisfatti del livello a cui i ministri hanno coinvolto il Parlamento, in particolare del livello a cui il ministro degli Interni britannico ha garantito che il Parlamento contribuisse a portare avanti il programma per la sicurezza. Questa è una delle dimensioni più importanti della direzione che l’Unione europea seguirà in futuro per tutelare gli interessi dei suoi cittadini.
(Applausi)
Marielle De Sarnez (ALDE). – (FR) Signor Presidente, una riunione di poco o nessun conto, in uno scenario gradevole, sotto un caldo sole d’autunno: ecco che cosa è stato il Vertice informale di Hampton Court. Nessun risultato concreto, nessun progresso, nessuna prospettiva. In breve, i capi di Stato e di governo non hanno nemmeno tentato di tracciare un abbozzo di risposta alla crisi profonda in cui versa l’Europa, come se alla fine fossero più che felici di adattarvisi. Anziché formulare una risposta, hanno presentato, com’è loro abitudine, la litania di proposte mille volte ripetute. Sì, occorre sicuramente rafforzare gli sforzi europei in materia di ricerca e sviluppo. Sì, sono sicuramente necessari centri d’eccellenza universitari in Europa. Sì, sicuramente serve una politica comune in materia di energia. Sì, è certamente necessaria una politica d’immigrazione realistica. Sì, l’Europa ha ovviamente bisogno di una politica di sicurezza.
Ma alla fine ci si scontra sempre con gli stessi problemi. Se si vuole lavorare insieme, è necessaria la volontà politica, sono necessarie istituzioni efficaci e democratiche ed è necessario un bilancio comune. E’ chiaro che, su questi tre punti, nulla è stato fatto, nemmeno tentato, dalla Presidenza britannica. La Presidenza britannica non solo non è riuscita a rimettere in moto l’Unione, ma ha addirittura contribuito a indebolirla. La Presidenza britannica non potrà sottrarsi alle sue responsabilità.
Ministro Straw, il Vertice di dicembre sarà l’ultima possibilità di dotare l’Europa di un bilancio congruo e ridare così speranza a tutti coloro che credono nel suo futuro. Tuttavia, sarà anche l’ultimo momento utile per il Primo Ministro britannico per non passare alla storia come l’uomo che ha contribuito al fallimento dell’Europa, come l’uomo che ha intenzionalmente voltato in negativo la pagina dell’Unione politica dell’Europa.
Elisabeth Schroedter (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, se mi è permesso, vorrei dire al Presidente in carica del Consiglio che il Vertice di Hampton Court è stato il più grande imbarazzo mai provocato da una Presidenza. Anziché compiere progressi su problemi pressanti quali le prospettive finanziarie e il dibattito sulla Costituzione, questi punti sono stati addirittura eliminati dall’ordine del giorno. Lo stesso tema prescelto, “l’Europa sociale”, non è stato affrontato nel modo dovuto. Non è stato discusso alcuno strumento strategico per l’Europa sociale, che si tratti di norme minime, della legislazione sul lavoro o degli strumenti per combattere la disoccupazione e l’emarginazione sociale.
Ciò che lei ha proposto, Ministro Straw, è il particolarismo che non contribuisce affatto a promuovere la causa dell’Europa sociale. Al posto dell’azione, offrite soltanto idee; al posto di misure attive per affrontare la globalizzazione, avete proposto risposte di reazione, come l’idea di un fondo anticrisi. Il nostro obiettivo, tuttavia, non è la creazione di un’Europa antiquata, bensì di un’Europa capace di affrontare il futuro con fiducia.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL). – (PT) Non basta constatare che esistono problemi sociali nell’Unione europea e nel mondo. Come ha affermato il mio gruppo alla riunione informale svoltasi alla fine di ottobre, è fondamentale analizzarne le cause e cambiare le politiche all’origine di questa situazione.
La verità è che, stando a quanto abbiamo sentito in Aula, non emerge alcuna garanzia che le politiche saranno cambiate, nonostante l’evidente scontento che serpeggia tra la popolazione e le gravi tensioni sociali che stanno scoppiando in diversi paesi, proprio qui nell’Unione europea.
Invece delle proposte necessarie per far fronte efficacemente ai gravi problemi sociali, il Consiglio insiste sul programma neoliberista che tutti conosciamo fin troppo bene: la strategia di Lisbona, con le liberalizzazioni e le privatizzazioni dei servizi pubblici, assieme a condizioni di lavoro sempre più precarie. La famigerata proposta di direttiva sulla creazione del mercato interno dei servizi ne è un esempio, al quale si aggiunge, in alcuni casi, il Patto di stabilità e di crescita, che pianta un altro chiodo nella bara dei lavoratori e delle piccole e medie imprese.
In nome della sacrosanta concorrenza, la preferenza è sempre accordata alle misure volte a creare concorrenza tra i lavoratori per tentare di livellare sempre più verso il basso i salari e le altre prestazioni sociali. Si pone quindi l’accento su una maggiore flessibilità della manodopera, sulla mobilità e sul sostegno alle delocalizzazioni, che riducono i posti di lavoro e contribuiscono all’aumento della disoccupazione e della precarietà nel mercato del lavoro.
Come dimostra l’enorme crescita dei margini di profitto dei grandi gruppi economici e finanziari dell’Unione europea, le politiche correnti mirano essenzialmente ad assecondare i desideri dell’Unione delle confederazioni delle industrie della Comunità europea. Le parole pronunciate oggi in Aula ricalcano lo stesso copione. Anche quando si parla di creare un clima favorevole per le imprese, sappiamo tutti che si tratta di grandi imprese.
Il Commissario Mandelson lo ha affermato con grande chiarezza in Aula ieri nelle risposte che ha dato alle preoccupazioni espresse per le conseguenze della liberalizzazione degli scambi internazionali in settori industriali di vitale importanza per i paesi del sud, quale quello tessile, dell’abbigliamento e delle calzature, usati come moneta di scambio nei negoziati in sede di Organizzazione mondiale del commercio a vantaggio dei settori delle alte tecnologie e dei servizi. Occorre invertire questa tendenza.
Mario Borghezio (IND/DEM). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, si ha l’impressione che i capi di Stato e di governo riuniti a Hampton Court abbiano discusso sotto una campana di vetro.
Sui grandi temi sociali, economici e politici, che sono stati evocati in molti interventi precedenti, sono stati raggiunti risultati decisamente scarsi. Mi sembra molto grave che, mentre in mezza Europa le città bruciano, si parli in termini così generici e approssimativi dell’immigrazione e dell’emergenza sociale ed economica, che sono invece la causa di quanto sta avvenendo a Parigi, Strasburgo e Bruxelles.
La sfida che ci lanciano questi ragazzi in rivolta è invece una sfida molto grave e pericolosa, sulla quale dovremmo riflettere seriamente quando parliamo di immigrazione. Non intendo certo puntare il dito contro questi giovani, ma piuttosto contro chi ha elaborato queste politiche sbagliate, contro chi ancora oggi parla di immigrazione in termini così burocratici, generici e superficiali.
Abbiamo perso la sfida dell’immigrazione. Le politiche dell’immigrazione hanno rappresentato un fallimento per l’Europa e ritengo sia nostro dovere prenderne atto e discuterne. Penso che questo summit avrebbe dovuto dare indicazioni in tal senso e credo che la soluzione proposta dalla Commissione, ovvero lo stanziamento di una manciata di soldi per le banlieues parigine, non sia una risposta adeguata.
E’ invece necessario intervenire a monte, cambiare la politica e frenare le scelte dissennate, come i facili ricongiungimenti familiari o i facilissimi riconoscimenti di nazionalità. In sostanza, c’è bisogno di una politica seria in materia di immigrazione.
Armando Dionisi (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, signor Presidente Barroso, il confronto aperto dai Primi Ministri e dai capi di Stato a Hampton Court rappresenta una significativa presa di coscienza delle difficoltà che vive attualmente l’Unione europea. Il clima di ritrovata serenità fra i 25, dopo le tensioni dei mesi scorsi, e la volontà di chiudere il negoziato sulle prospettive finanziarie entro dicembre devono essere valutati in maniera positiva.
Vorrei tuttavia richiamare l’attenzione del Consiglio sul fatto che non si può raggiungere un accordo al ribasso e, soprattutto, che non si può ignorare la posizione del Parlamento. Le priorità individuate da Tony Blair per il rilancio dell’Europa, vale a dire la ricerca, l’innovazione e la formazione permanente, costituiscono proposte da condividere, che sono infatti contenute anche nella nostra relazione sulle prospettive finanziarie.
Inoltre, anche la necessità di una politica energetica europea, l’aumento dell’aiuto comunitario per i paesi di transito degli immigrati e il fondo di compensazione per la globalizzazione costituiscono obiettivi prioritari per l’Europa, che necessitano tuttavia di risorse finanziarie adeguate.
I cittadini dell’Unione sono consapevoli del fatto che ormai nessun governo, da solo, può fornire una risposta ai più gravi problemi attuali, quali la disoccupazione, la precarietà, la perdita di competitività, il terrorismo internazionale e l’immigrazione clandestina. Solo l’Europa può rispondere positivamente e garantire benessere e sicurezza ai nostri paesi. Un bilancio magro non permetterà di raccogliere queste sfide e il Consiglio europeo di ottobre rappresenta una premessa positiva. E’ per questo motivo che guardiamo con moderato ottimismo al Vertice di dicembre.
Bernard Poignant (PSE). – (FR) Signor Presidente, ho verificato nel mio dizionario della lingua francese il significato del termine “informale”. Informale, in francese, significa malformato e sgraziato. Questo aggettivo fu adoperato da Montaigne nel 1580 per descrivere qualcosa di difficile definizione. Giudicate voi il Vertice di Hampton Court e il fantasma di Catherine Howard.
Non avete avuto molta fortuna nella Presidenza britannica. La Francia ha detto “no”, mentre si chiede al Regno Unito di rilanciare l’Europa. A mio parere, questo è chiedere molto. Poste queste premesse, nell’arco di diversi anni si sono aperti vari orizzonti ai cittadini, con cui essi vivono e devono convivere, cioè la riunificazione dell’Europa, la Costituzione, la Carta dei diritti fondamentali, il mercato unico e la moneta unica.
Se penso ai nostri concittadini, ho l’impressione che Lisbona non assolva a questa funzione. Oggi esiste un vuoto. In sostanza, non contesto le priorità del Vertice: non è questo il punto. Il vero problema risiede nel collegamento con i cittadini: è come se qualcosa che condividevamo fosse ora scomparso. A mio parere, il prossimo Vertice o quelli successivi dovrebbero permetterci di ritrovare un orizzonte che possa essere condiviso con i cittadini. Certo, si pensa alla coesione dei 25 Stati membri, che a volte è definita il “piano Marshall” per chi aderisce all’Unione, perché l’allargamento senza fine e l’avarizia sui finanziamenti non sfuggono all’attenzione dei cittadini. Ciò non è affatto positivo. A mio parere, malgrado tutto, meriterebbe reinserire il termine “armonizzazione” nel vocabolario europeo, dal momento che, per così dire, è in via di estinzione. Ciò è anche infausto, tanto più che vi sono ancora settori che richiedono un’armonizzazione. Non si deve armonizzare tutto, ma è ancora possibile compiere progressi in alcuni campi. Se ci dimentichiamo di farlo, se trascuriamo questo termine e questo valore, i cittadini si allontaneranno da noi.
Infine, mi preme fare un accenno a un altro argomento che mi sta a cuore, cioè quello degli scambi tra i giovani. Ho consultato le statistiche. Nel periodo 2005-2006 l’Europa finanzia 280 000 giovani nel quadro di tre programmi: COMENIUS, ERASMUS e LEONARDO. Tuttavia, i giovani sono 58 milioni. Moltiplicare il bilancio corrispondente per dieci non ci costerebbe troppo, soprattutto se consideriamo che è su tali giovani che dobbiamo puntare per promuovere una coscienza europea.
Jack Straw, Presidente in carica del Consiglio. (EN) Signor Presidente, vorrei affrontare due punti specifici e quindi fare alcune osservazioni più generali sulla discussione. L’onorevole Riis-Jørgensen mi ha posto una domanda sulla Corte dei conti, chiedendomi di dire di “sì” o di “no”. Chiedo scusa, ma devo dire “sì e no”, perché la questione dipende dai ministri delle Finanze, e sapete come sono! La risposta è che l’8 novembre il Consiglio ECOFIN ha adottato conclusioni che elencano una serie di azioni sia per la Commissione sia per gli Stati membri. Hanno parlato di una tabella di marcia, a loro parere indispensabile, non da ultimo perché dedica maggiore attenzione al dovere degli Stati membri di migliorare i loro sistemi di revisione contabile e assumersi la responsabilità dei fondi spesi nei loro paesi. Sono dell’avviso che, laddove gli Stati membri hanno il controllo dei fondi, essi devono rendere debitamente conto del modo in cui li spendono. Se invece non hanno la responsabilità dei fondi, deve essere l’Unione europea a rendere conto del modo in cui sono spesi, ma sono d’accordo con voi sulla necessità di incoraggiare i ministri delle Finanze a riprendere il controllo della situazione. Nondimeno, questa è una responsabilità comune della Commissione e del Parlamento. Abbiamo tutti una responsabilità al riguardo.
Sulla questione della trasparenza, sollevata dall’onorevole Kirkhope, presto divulgheremo un documento in cui sono esposte idee per migliorare la trasparenza e in sostanza presenteremo al Consiglio due alternative. Spetterà al Consiglio adottare una decisione a maggioranza semplice, come per tutte le questioni di procedura, e sono quindi lieto, onorevole Kirkhope, di poterla rassicurare in questo ambito, se non in altri.
Gli onorevoli deputati sono stati molto schietti e quindi sarò schietto anch’io. Rispetto a quanto hanno affermato diversi deputati, non capisco perché si parli della necessità di cambiamento e poi si dica che il futuro dell’Unione europea risiede comunque nel passato. Tutto ciò che posso dire all’Assemblea è che la globalizzazione è un fatto della vita. Il deputato francese, l’amico francese, può non gradirla, ma o la affrontiamo o ci sommergerà tutti. Non me la sono inventata io, non se l’è inventata il Presidente Barroso né il Presidente Chirac: è un dato di fatto. Si è verificata in conseguenza di altre politiche che portiamo avanti da molti anni, cioè l’istituzione dell’Organizzazione mondiale del commercio, la promozione del libero scambio e la riduzione della povertà nei paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America latina. Ora tali paesi esigono la loro quota di scambi e vogliono operare, perseguendo i loro vantaggi concorrenziali, proprio come abbiamo fatto noi in passato. In questo modo, quindi il vecchio modello economico e sociale europeo non funzionerà più come una volta per garantire la prosperità, la giustizia sociale e l’occupazione. E’ una grande sfida, soprattutto, se mi è consentito, per il paese che lei rappresenta e per diversi altri paesi del continente. Tuttavia, non riesco proprio a capire perché continuiate ad aggrapparvi a vecchi metodi, quali i metodi inflessibili di regolamentazione del lavoro, tra cui la direttiva sull’orario di lavoro, che può aver funzionato in passato, ma non può funzionare in futuro.
La Francia ne è consapevole ed è per questo motivo che in Francia esistono più scappatoie che in altri paesi. La Francia è uno dei paesi che ama affermare, da quanto possiamo capire, che le persone si possono classificare in base alle 48 ore per contratto anziché alle 48 ore per datore di lavoro. Non vogliamo lezioni sulle nostre pratiche in materia di assunzioni quando applichiamo la legge, anche se è scomoda, da parte di paesi che battono la grancassa per l’applicazione della legge e poi usano la porta sul retro per essere certi che non sia applicata. Questo è un fatto e il Parlamento erode la fiducia nelle sue stesse misure se chiude gli occhi davanti a ciò che è accaduto quando tutti sanno che è successo.
Inoltre, è meglio essere flessibili. Non esiste alcuna norma a livello europeo che imponga di fissare un salario minimo, che a mio parere è un diritto umano fondamentale. In ogni caso, non esistono requisiti in materia e la decisione spetta ai governi nazionali. Alcuni paesi prevedono un salario minimo e alcuni no, quindi perché dovrebbe esistere una norma dirigista in tutta Europa, a prescindere dalle circostanze nazionali e dalla natura dei contratti di assunzione, che fissi limiti per l’orario di lavoro quando la prova per tale misura dovrebbe essere la salute e sicurezza? I paesi che apparentemente hanno orari di lavoro un po’ più lunghi di fatto vantano migliori risultati in materia di salute e sicurezza rispetto ad altri, tra cui il suo.
Passando all’importante questione del bilancio, ho ascoltato con grande attenzione il discorso del Presidente Barroso. Egli ha affermato che la questione determinante per la Presidenza britannica sarà quella delle prospettive finanziarie, una prova per stabilire se l’Europa è in movimento. Di sicuro può dimostrare se l’Europa è in movimento, ma non la consideriamo una questione determinante. Se mi chiedete di scommettere su quale questione gli storici considereranno determinante per questa Presidenza tra dieci o vent’anni, non scommetterei sul raggiungimento o meno dell’accordo sulle prospettive finanziarie a dicembre, sebbene me lo auguri. Ritengo che la Presidenza sarà giudicata in base al fatto che il 3 ottobre abbiamo deciso di avviare i negoziati con la Croazia e con la Turchia. Si tratta di un fattore che contribuirà a dar forma all’Europa del futuro. Ricordo agli onorevoli deputati che le ultime prospettive finanziarie non sono state adottate fino all’equivalente del Consiglio di marzo 2006, non del dicembre 2005.
Ci auguriamo vivamente di riuscire a raggiungere l’accordo, ma sarà difficile. Perché? Dunque, l’onorevole Jonckheer ha messo in guardia contro il predominio degli egoismi nazionali. Ne convengo, ma vorrei dire agli onorevoli deputati – e sanno che è vero – che la discussione è destinata a essere dominata dalle diverse prospettive nazionali; un diverso ascendente avranno i paesi che storicamente si pongono come forti contributori oppure come beneficiari netti dei fondi dell’Unione europea. E’ un fatto. Se lo si ignora, o se si offendono i paesi – tra cui il mio, la Germania, i Paesi Bassi, la Svezia e diversi altri Stati membri – i cui cittadini sono preoccupati per i contributi versati in passato e quelli che verseranno in futuro, affermando che si tratta solo di egoismo nazionale, non ne verremo mai a capo.
Vorrei ricordare ai deputati belgi che il loro paese è un beneficiario netto, benché sia un paese ricco, e continuerà ad esserlo a prescindere dalle diverse esemplificazioni del bilancio tra il 2006, 2007 e il 2013. Il Lussemburgo – un paese che mi piace molto – è il paese più ricco d’Europa, ma continuerà ad essere un beneficiario netto. Se ci trovassimo in questa situazione felice, esorteremmo la Presidenza a scendere a patti. Se l’unico problema fosse finire con 3 miliardi o 6 miliardi di euro nelle nostre tasche, sarebbe facile.
Tuttavia, per diversi Stati membri – non solo per il Regno Unito – il problema è che sono storicamente contributori molto forti. Lo dico solo perché l’Assemblea possa comprendere il problema che investe il Regno Unito. Tanto vale scoprire le carte ed essere chiari. Il problema è che nelle ultime prospettive finanziarie il Regno Unito ha versato 39 miliardi di euro, la Francia 28 miliardi di euro, l’Italia 24 miliardi di euro e la Germania 77 miliardi di euro, che è un altro estremo. Il Regno Unito ha comunque versato 39 miliardi di euro, ovvero, applicando il parametro demografico, molto di più degli altri due paesi. La Spagna ha beneficiato di 48 miliardi di euro e il Portogallo di 14 miliardi di euro; questi dati permettono di vedere la situazione in un’altra prospettiva.
Concordo sul fatto che tutti dobbiamo versare il nostro contributo per l’allargamento. Con una modifica, persino minima, delle prospettive finanziarie, o con nessuna modifica, il Regno Unito verserebbe altri 11 miliardi di euro – pari a un terzo in più – nelle prossime prospettive finanziarie per pagare l’allargamento.
Il problema non è che il Regno Unito o i paesi che godono di una situazione migliore versino un po’ di più per l’allargamento – anche se alcuni paesi in situazioni migliori non verserebbero importi supplementari – ma quanto di più debbano versare in un contesto in cui il Regno Unito, nel corso degli ultimi 20 anni, ha versato 2,5 volte l’importo equivalente corrisposto, per esempio, dalla Francia o dall’Italia, sebbene il PNL nello stesso periodo fosse equivalente. Questo è il problema. Ci stiamo lavorando. Riteniamo di avere una responsabilità nei confronti dell’Unione oltre che verso i nostri cittadini. Nessuno può accusare il Primo Ministro britannico di mancare di coraggio o di non impegnarsi a favore dell’Unione, perché abbiamo fatto molto. Volevo solo chiarire questi aspetti, in modo che tutti comprendano le difficoltà che dobbiamo affrontare.
L’ultima osservazione che vorrei formulare, in una direzione più promettente, è che il Presidente Barroso ha parlato con grande eloquenza della necessità che l’Unione europea intervenga meno in alcuni settori e più in altri e ritengo che questo sia esattamente il modo giusto di considerare la situazione. Non si tratta di un’Europa minimalista, perché negli ultimi 60 anni le realizzazioni dell’Europa sono state straordinarie, se ricordiamo la condizione di conflitto che ha caratterizzato il continente nei tre secoli precedenti. Se oggi guardo ad altre zone di conflitto, in particolare il Medio Oriente, ricordo con orrore l’Inghilterra in cui sono cresciuto da bambino nell’immediato dopoguerra e le condizioni ancora peggiori in cui versava il continente. Questa è la realizzazione dell’Unione europea. Ciò che dobbiamo fare per il futuro è costruire sulle basi delle conquiste realizzate, riconoscendo che le sfide sono un po’ diverse.
Un settore in cui si possono ottenere i maggiori benefici, e lo stiamo facendo sotto l’abile guida dell’Alto rappresentante Javier Solana e della Commissione, è quello della politica estera, di difesa e di sicurezza. Prendete ciò che è stato deciso ieri dal Segretario di Stato americano Condoleezza Rice e dall’Alto rappresentante Javier Solana. Prendete il fatto che l’Unione europea è ora la terza parte dell’accordo volto a permettere ai palestinesi di viaggiare da e verso Gaza e la Cisgiordania. Non sempre il governo di Israele ci ha considerati la terza parte in tali questioni. Prendete ciò che stiamo facendo insieme riguardo all’Iran, prendete la dichiarazione comune che abbiamo appena adottato con l’Afghanistan e prendete l’aumento concreto degli aiuti all’Africa. E’ in questi ambiti che l’Europa può compiere progressi reali collettivamente. In questo settore, come in molti altri, dobbiamo fare di più e al tempo stesso riequilibrare l’azione dell’Unione rispetto a quella dei governi nazionali, regionali e locali nell’ambito della politica interna.
Esercitare la Presidenza è stato un grande privilegio per noi, signor Presidente. E’ stato senza dubbio un piacere svolgere questa funzione e attendo fiducioso le altre sei settimane di esperienze interessanti che mi attendono qui a Strasburgo, a Bruxelles e in altre città.
Lapo Pistelli (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che la Presidenza britannica e Tony Blair siano in realtà vittime della grande aspettativa che il Premier britannico aveva sollevato con l’intervento del 2 luglio in questo Parlamento. E’ ovvio che quando si creano grandi aspettative, grande è poi anche la delusione.
Il tempo è agli sgoccioli, i risultati scarseggiano e io credo che la Presidenza britannica non si debba stupire del criticismo che il Parlamento sta esprimendo in questo dibattito. In realtà, più che di un Consiglio informale, si è trattato di un Consiglio inconsistente, che nel mese precedente avrebbe dovuto discutere del modello sociale europeo e che si è trovato, invece, ad affrontare una discussione sul mondo a 360 gradi, senza prendere nessuna decisione.
Non mi brucerò in piazza per questa Costituzione, ma credo che emerga con grande forza un limite delle Presidenze semestrali. Infatti, ogni Presidenza eredita l’agenda della Presidenza precedente e aggiunge un nuovo strato di impegni, facendo aumentare l’indice delle decisioni da prendere e diminuire il capitolo delle decisioni adottate. Noi continuiamo ad aggiungere ingredienti alla torta, ma la torta non esce mai dal forno.
Vorrei citare un esempio che ho fatto ieri sera al Presidente Barroso. E’ vero che in passato l’Europa ha vissuto altre crisi profonde. Io non sono un nostalgico dell’Europa a sei, né credo ci sia un’età d’oro alla quale guardare. Tuttavia, quando si è lasciati dalla fidanzata a diciotto anni, la vita sembra molto dura ma si è consapevoli del fatto che le cose andranno comunque avanti, mentre quando finisce un matrimonio a quarantacinque anni, con cinque figli e il mutuo della casa da pagare, tutto è più complicato. Mi sembra che l’Europa, in questa fase che segue l’allargamento e precede la Costituzione, si trovi in una situazione molto più simile al secondo caso che non al primo.
Io non temo la crisi istituzionale, le prospettive finanziarie o la strategia di Lisbona di per sé, ma ho paura che tutti questi elementi nel loro insieme stiano arrecando un grave danno all’Unione europea.
La presidenza britannica dispone ancora di sei settimane per portare a termine il suo lavoro e spero che sia in grado di dare un messaggio positivo all’Europa di domani.
PRESIDENZA DELL’ON. MOSCOVICI Vicepresidente
Ian Hudghton (Verts/ALE). – (EN) Signor Presidente, di norma mi lamenterei di avere solo un minuto a disposizione per riassumere una Presidenza nelle sue ultime fasi, ma non in questo caso. Presidenza del Regno Unito: nessun progresso.
E’ curioso che il Ministro Straw abbia fatto un’osservazione sulla scarsa presenza in Aula: è un tentativo estremamente fiacco di essere spiritoso. Il fatto è che gran parte dei colleghi avevano di meglio da fare che ascoltarlo formulare lo stesso discorso pronunciato dal Primo Ministro Blair all’inizio della Presidenza e ripetuto con variazioni trascurabili solo un paio di settimane fa.
Mi auguravo, se il Ministro Straw fosse stato ancora presente, di rivolgergli la stessa domanda cui il ministro Alexander non ha risposto quando l’ho posta a lui due settimane fa, ma la riformulerò lo stesso. La Presidenza britannica può fornire rassicurazioni sul fatto che gli interessi delle comunità di pescatori scozzesi non saranno usati come moneta di scambio a vantaggio di interessi più importanti per Whitehall nella confusione di trattative e concessioni che si è riservata per il Consiglio di dicembre e per il successivo Consiglio “Pesca”, che sarà quasi l’ultimo atto della Presidenza?
Jana Bobošíková (NI). – (CS) Onorevoli colleghi, sono contraria per principio all’istituzione del cosiddetto fondo per la globalizzazione in risposta alle sfide poste da questo fenomeno. In tal modo, ci si limita infatti al tentativo di celare il problema, rivelando invece il populismo dei rappresentanti politici che hanno paura di dire la verità ai cittadini: la globalizzazione esiste, è esistita e continuerà a esistere e, anche se può provocare la perdita di alcuni posti di lavoro, essa determina anche, e soprattutto, la creazione di nuove opportunità di lavoro. Vi è molto da guadagnare dalla globalizzazione, ma solo nel contesto di un mercato libero e flessibile in cui valga la pena lavorare. La politica europea è spesso in contrasto con questa idea e induce i cittadini a essere passivi e a volte premia addirittura la pigrizia. La quota di scambi mondiali dell’Unione europea si è assottigliata negli ultimi 10 anni, mentre quella degli Stati Uniti e, soprattutto, della Cina e dell’India sono salite alle stelle. Questo è il verdetto del libero mercato sulle politiche dell’Unione, eppure i leader dei 25 ancora una volta reagiscono con politiche ridistributive, che possono funzionare da cerotto per il presente, ma non offrono assolutamente un rimedio a lungo termine per il futuro. Sono convinta che, anziché mercanteggiare sul fondo protezionista per la globalizzazione, gli Stati membri dell’Unione debbano riformare con urgenza i loro mercati del lavoro. Il rinvio di tali riforme indebolisce il sostegno dei cittadini per le politiche del libero mercato e crea terreno fertile per il nazionalismo, la xenofobia e il razzismo.
Margie Sudre (PPE-DE). – (FR) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, l’Unione europea si trova dinanzi a una crisi d’identità, alla perdita dei suoi valori e alla disillusione generale. Per la prima volta da molto tempo a questa parte gli europei temono che il tenore di vita dei loro figli sarà inferiore al loro. Come possiamo reagire e fornire una risposta a queste gravi preoccupazioni?
Il Vertice di Hampton Court intendeva essere una tappa in questa riflessione. Ritengo però abbia generato ben poco in termini di risultati concreti, in quanto, anche se le questioni poste fossero fondate, cioè: “Esistono uno o più modelli europei in un mondo globalizzato?”, la risposta fornita a questo quesito come minimo è poco chiara.
L’Europa è sprofondata in questa crisi perché non sa che cosa vuole. E’ divisa: per alcuni il solo obiettivo è trasformarla in una zona commerciale senza barriere doganali, in breve un’Europa che corre dietro al treno della globalizzazione con un’Unione che si allarga all’infinito. Altri hanno una visione diversa, un’ambizione politica secondo la quale l’Unione deve essere definita dalle sue frontiere e dai suoi progetti, affinché si affermi e condivida i suoi valori umanistici in un mondo instabile.
Gli eurodeputati francesi dell’Union pour un mouvement populaire, così come la grande maggioranza del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, hanno compiuto nettamente la scelta di battersi affinché prevalga la seconda visione, consapevoli della sfida cui dobbiamo rispondere.
Le proposte della Francia, rese note in tutta l’Unione dal Presidente Chirac alla vigilia del Vertice, hanno il merito di porre l’accento sulla necessità di completare il mercato unico, promuovere la solidarietà tra gli Stati membri e garantire che emerga un’Europa dei grandi progetti.
Tuttavia, per favorire il rilancio dell’Europa, il Consiglio europeo deve innanzi tutto eliminare un ostacolo fondamentale, perché, considerato che quasi tutti gli Stati membri sono pervenuti a un parere comune sulle prospettive finanziarie 2007-2013, sulla base dei negoziati avviati dalla Presidenza del Lussemburgo, essi devono assolutamente raggiungere un accordo entro la fine dell’anno. Qualsiasi altra discussione si ridurrebbe a pure congetture.
(Applausi)
Christopher Beazley (PPE-DE). – (FR) Signor Presidente, intervengo per un richiamo al regolamento, a norma dell’articolo 65, lettera c), del Regolamento, se ben rammento. Abbiamo appena ascoltato il ministro degli Esteri britannico. Tramite la sua Presidenza, vorrei sottoporre alla Conferenza dei presidenti la questione che mi appresto a esporre. La collega ha appena preso la parola per un minuto. Il ministro di Sua Maestà britannica incaricato degli Affari europei è qui con noi. Come può il Parlamento europeo vedersi limitare il tempo di parola a un minuto per rispondergli? Può parlare con i suoi colleghi in seno alla Conferenza dei presidenti affinché sia individuata una soluzione per il futuro?
Presidente. – La ringrazio, onorevole Beazley, credo che il suo argomento sia stato compreso. Sono i gruppi politici a distribuire i tempi di parola. Se vogliono accordare ai loro oratori principali dieci minuti o un quarto d’ora, hanno il diritto di farlo, ed è vero anche il contrario. Il tempo impiegato dalla Commissione e dal Consiglio non è contato, ma ho notato che sono entrambi attenti a non abusare di questo privilegio.
Nicola Zingaretti (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, io sono tra coloro che hanno apprezzato e apprezzano lo sforzo fatto invece da questa Presidenza per tentare di rilanciare l’Europa, con le sue speranze e le sue sfide, in un momento drammatico.
Questo è avvenuto con atti e impegni anche concreti. Mi riferisco alla positiva soluzione della vicenda della Turchia, che non sarebbe stata possibile senza un forte impegno della Presidenza britannica, e alla capacità di indicare una via, una prospettiva e degli obiettivi chiari che si sono poi concretizzati, almeno nelle vocazioni, a Hampton Court, vale a dire l’università, l’energia, la sicurezza e la politica di difesa.
Mi permetta tuttavia di dire che, proprio guardando a quelle grandi ambizioni e ai pochi risultati concreti, mi convinco sempre di più – e invito anche tutti voi a riflettere su questo punto – del fatto che esiste un’enorme contraddizione tra le vocazioni di quell’Europa e l’illusione che quei risultati possano essere raggiunti con un’Europa che possiede meno risorse di quelle necessarie e che soprattutto non è disposta a modificare sue regole.
Intendo dire che se vogliamo raggiungere anche solo la metà di quegli obiettivi e vogliamo essere leali tra di noi, occorre andare a fondo sui nodi della crisi. Questi nodi implicano più risorse, che devono essere utilizzate in modo migliore, meno Europa intergovernativa e più Europa dell’integrazione, più Europa politica, ovvero regole nuove per la Commissione, proprio per raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissi.
La definizione di una nuova architettura istituzionale e la sempre maggiore condivisione di politiche rappresentano ormai una via obbligata per il futuro. Il mantenimento dello status quo, che rappresenta forse il maggiore risultato ottenuto dal semestre britannico, porterà inevitabilmente a una rinazionalizzazione delle politiche, aggravando la crisi, aumentando il potere di veto dei governi e l’incapacità decisionale dei vertici.
Spero quindi che questo semestre riesca a convincere anche i più scettici del fatto che non basta avere buone idee e buona volontà, ma che occorre prendere atto del fatto che o si ha il coraggio di cambiare, facendo un salto in avanti sulla via dell’integrazione, oppure si muore.
Chris Davies (ALDE). – (EN) Signor Presidente, sarei felicissimo di sapere in quale momento la Presidenza britannica si sia resa conto che è stato un errore adottare come logo uno stormo di uccelli in volo verso l’Europa!
Se la Presidenza britannica non riesce a raggiungere un accordo sulle future prospettive di bilancio, non sarà considerata un successo.
Concordo sul fatto che si devono compiere passi avanti sulla questione dell’agricoltura. La Presidenza britannica deve accettare che, a un certo punto, dovrà scendere a compromessi, ma è altrettanto importante che altri Stati membri comprendano di dover fare anch’essi delle concessioni. A un certo punto i francesi – soprattutto i francesi, a quanto pare – dovranno offrire qualcosa per permettere a coloro che cercano l’accordo di proporre future modifiche e revisioni della politica agricola, non solo per aiutare il Regno Unito a uscire da una situazione difficile, ma per aiutare il mondo a raggiungere un accordo sul ciclo di sviluppo di Doha.
Othmar Karas (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi auguro, signor Presidente in carica del Consiglio, che siate consapevoli della crescente impazienza nei confronti della Presidenza britannica e del crescente senso di delusione. Anche se non siete ancora giunti al termine del mandato, esso è ormai agli sgoccioli. Non è solo del Primo Ministro Blair che sentiamo la mancanza, e in proposito mi chiedo se egli abbia riconosciuto alla fine che non bastano due ottimi discorsi per garantire il successo di una Presidenza del Consiglio. Sentiamo soprattutto la mancanza di risultati concreti, di proposte costruttive e negoziati seri con il Parlamento per risolvere i problemi e individuare risposte alle preoccupazioni dei cittadini.
L’unico modo per infondere fiducia risiede nella realizzazione di una nuova unità e di soluzioni sostenibili. E’ possibile che il vostro ministro degli Esteri si sia lasciato sfuggire qualcosa quando, anziché guardare avanti, ha affermato: “Il significato di questa Presidenza è già alle nostre spalle, cioè la Croazia e Turchia”. Mi permetta di chiederle: sono davvero queste le priorità dei cittadini d’Europa? Sono davvero queste le questioni che contano per le persone senza lavoro, o per rendere l’Europa più competitiva? No, non lo sono. Forse la Presidenza ha fissato le priorità sbagliate. Le dichiarazioni d’intenti da sole non bastano a garantire il successo di una Presidenza. Tutti e sei i punti emersi da Hampton Court possono anche essere buoni, ma in gran parte non rientrano nelle competenze dell’Unione. Se volete che conseguiamo ciò che voi stessi proponete, conferiteci i poteri, dateci le risorse e non ostacolate l’Europa mentre si avvia verso l’unione politica; non ostacolate la politica estera e di sicurezza comune.
Per quanto riguarda le prospettive finanziarie, tra la vostra proposta e la nostra vi è una differenza di 70 miliardi di euro. Tra la vostra proposta e il Trattato vi è una differenza di 2 miliardi di euro. Tra la vostra proposta e quella della Commissione vi è una differenza di oltre 100 miliardi di euro. Dite ai cittadini che cosa intendete togliere loro, prima di fingere di essere dalla loro parte...
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Csaba Sándor Tabajdi (PSE). – (HU) Signor Presidente, il Vertice di Hampton Court ha dimostrato che l’Unione europea ha bisogno di una riforma radicale. L’Unione europea deve armonizzare la ricerca e lo sviluppo, aumentare in modo significativo la spesa per l’istruzione, liberalizzare i servizi e adottare una politica energetica comune europea e deve fare tutto questo contemporaneamente. Abbiamo la diagnosi, ma i leader europei finora non sono riusciti a fornire le risposte.
Sappiamo ciò che dobbiamo fare, ma non sappiamo come conseguire questi obiettivi. Né abbiamo le risorse per farlo. Non possiamo avere più Europa con meno fondi. Non è ancora stato raggiunto l’accordo sulle prospettive finanziarie 2007-2013, il che potrebbe essere catastrofico per noi, i nuovi Stati membri, in quanto potremmo perdere due terzi del nostro possibile sostegno finanziario. Questo è il motivo per cui la direttiva finanziaria è molto importante per noi.
Ritengo sia anche importante, dal momento che il Primo Ministro Blair ha attaccato la politica agricola comune, che la risposta non consista nello smantellamento delle politiche comunitarie esistenti, in quanto la politica di coesione e la politica agricola comune sono grandi realizzazioni dell’Unione europea. Anziché smantellarle, si dovrebbero attuare più politiche comunitarie in altri settori. Il problema è come farlo.
Il Primo Ministro ungherese Ferenc Gyurcsány ha proposto che, parallelamente alle politiche comunitarie, si instauri una cooperazione coordinata, bisogna cioè armonizzare le politiche nazionali in diversi settori. Ciò non comporterebbe nuove politiche comunitarie, ma contribuirebbe a rafforzare la cooperazione, che si tratti di energia o di ricerca e sviluppo. Rivolgo un invito al Presidente Barroso e alla Commissione: aiutiamo l’Europa a uscire dalla crisi attuale e compiamo progressi in materia di cooperazione coordinata.
Bogusław Sonik (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, i britannici sono famosi per i nervi saldi, il riserbo, la pacatezza, il singolare senso dell’umorismo e anche per l’autocontrollo. Mi ha quindi molto stupito sentire il Ministro Bach affermare ieri che, se non si trova un compromesso sul regolamento REACH entro la fine dell’anno, lo considererà un fallimento personale e un fallimento della Presidenza britannica.
Vorrei cogliere l’occasione per chiedere al Ministro Alexander se condivide questo parere. Nel caso in cui le prospettive finanziarie 2007-2013 non saranno adottate entro la fine dell’anno, anche lei lo considererà un fallimento personale, suo e del Primo Ministro Blair?
Il Primo Ministro Blair in giugno ha pronunciato un gran bel discorso dinanzi all’Assemblea, mentre la sua analisi della crisi in cui versa l’Europa meriterebbe la pubblicazione. Purtroppo, nei mesi successivi e nei discorsi successivi dei vari ministri non abbiamo sentito altro che ripetizioni sempre più sbiadite delle proposte del Primo Ministro. La mia impressione è che i britannici abbiano perso la volontà di lottare per realizzare la loro visione dell’Unione europea. Hanno invece deciso di superare alla meglio questo semestre di Presidenza. Purtroppo, anche loro sono stati contagiati dalla malattia europea dell’impotenza e della paralisi.
Al tempo stesso devo tuttavia rilevare che, quando è stato messo alle strette dalle domande e dagli interventi degli eurodeputati, il Ministro Straw alla fine ha cominciato a esprimersi come un normale essere umano, che è il modo in cui un rappresentante politico dovrebbe esprimersi. L’Europa si può costruire solo tramite azioni e decisioni efficaci che rimarranno per sempre scritte a grandi lettere nella storia del nostro continente. Il modo in cui la Presidenza sta rimandando il dibattito sulle prospettive finanziarie all’ultimo minuto, oltre a preparare le proposte di bilancio a porte chiuse e parlare dei problemi di civiltà del mondo in un neolinguaggio orwelliano, anziché condurre un dibattito vigoroso sui problemi urgenti, o è una perdita di tempo o è un tentativo intenzionale di passare la patata bollente del bilancio a Vienna in dicembre.
Il compito più importante che dobbiamo affrontare ora è l’adozione delle prospettive finanziarie. Le stime indicano che, se le prospettive finanziarie non saranno adottate, nel 2007 i nuovi Stati membri riceveranno 10 miliardi di euro per lo sviluppo. Se invece saranno adottate, la cifra salirà a circa 22 miliardi di euro, con 3,5 miliardi supplementari per Romania e Bulgaria. Questi paesi quindi perderebbero circa il 60 per cento dei fondi di cui potrebbero potenzialmente beneficiare. Vi chiedo di prendere sul serio le prospettive finanziarie e di adottare misure efficaci per garantire che siano adottate in dicembre.
Libor Rouček (PSE). – (CS) Onorevoli colleghi, la discussione di oggi riguarda l’esito del Vertice informale del Consiglio europeo di Hampton Court, non i risultati del semestre di Presidenza britannica. Sono soddisfatto dell’esito di Hampton Court. Il Vertice ha chiaramente individuato sei settori cruciali per la sopravvivenza e il successo dell’Europa nel mondo globalizzato, che comprendono la scienza e la ricerca, gli investimenti nelle università, la politica energetica, la sicurezza globale e la politica estera e di sicurezza comune.
Prendiamo ad esempio la situazione dell’energia. L’Europa è sempre più dipendente, già nell’ordine del 65 per cento, da una fonte e tale fonte si trova in regioni molto instabili, o nei territori dell’ex Unione sovietica o in Medio Oriente. Abbiamo quindi bisogno di una politica energetica comune e di una politica estera e di sicurezza comune, anche se abbiamo innanzi tutto bisogno di fondi per finanziare tali politiche comuni. A questo punto, vorrei invitare la Presidenza britannica a concentrare tutti i suoi sforzi sul raggiungimento di un accordo equo ed equilibrato al Vertice di dicembre, non solo per i nuovi Stati membri, ma anche per quelli vecchi. Sarebbe infatti questo il maggiore risultato della Presidenza britannica, della quale si discuterà il 20 dicembre. Sono convinto che l’esito sarà positivo.
Geoffrey Van Orden (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, il Ministro Straw ha affermato con orgoglio che abbiamo ascoltato 48 discorsi di ministri durante la Presidenza britannica, ma devo dire che vi è ben poco da mostrare per ciascuno di essi. Sono esterrefatto che, a solo un mese dal termine del mandato, la Presidenza del Regno Unito parli ancora di programmi, strategie e calendari. Parlo a nome delle numerose persone dell’East Anglia che chiedono azioni, sicurezza, prosperità e un vero cambiamento di direzione dell’Unione, anziché vane promesse.
I cittadini di molti paesi si sono resi conto di ciò che succede in loro nome. Mettono seriamente in discussione la natura e la direzione del progetto europeo. I cittadini vogliono un maggiore controllo locale sulle proprie vite, ma i governi continuano a cedere potere alle regioni e a Bruxelles. Vi chiedo: quale tipo di relazione con quale tipo di Europa è giusto per i nostri cittadini e le nostre nazioni in questa prima metà del XXI secolo?
Questo interrogativo cruciale non è mai stato posto dal nostro governo o dalle Istituzioni dell’Unione. Forse avrebbe dovuto essere l’interrogativo centrale a Hampton Court. Il fatto è che a Hampton Court non è stata compiuta alcuna rivalutazione fondamentale dell’Unione europea. Si procede malgrado tutto. Non vi è fine alla legislazione inutile. Il Ministro Straw ha accennato alla direttiva sull’orario di lavoro e alla direttiva sui lavoratori temporanei. Sono in cantiere decine di altri atti legislativi europei irrilevanti e invasivi. Che cosa si sta facendo al riguardo?
Si è parlato di bilancio, questione fondamentale, ma ancora irrisolta. Rispetto a un’economia di dimensioni analoghe, per esempio la Francia, il Regno Unito contribuisce già in modo sproporzionato al bilancio dell’Unione, benché viga lo sconto negoziato da Margaret Thatcher. A quanto pare volete farci pagare di più. Nel frattempo le nazioni e le società si sgretolano pericolosamente in conseguenza di politiche rovinose in materia di asilo e di immigrazione. Anziché creare e sostenere centri di eccellenza universitaria di livello internazionale, li distruggiamo con la mancanza di finanziamenti e con teorie classiste raffazzonate. Le nostre forze armate sono impegnate oltre ogni limite e non dispongono di un equipaggiamento adeguato. Al tempo stesso ufficiali e soldati coraggiosi sono esposti a rischi a causa di un sistema d’ispirazione governativa che si cura poco del loro benessere, ma tantissimo dei propri fini politici…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Ana Maria Gomes (PSE). – (EN) Signor Presidente, il Vertice di Hampton Court avrebbe dovuto discutere del modo in cui l’Europa può ottenere migliori risultati nel mondo. In maggio in Etiopia la gente ha votato in massa sotto gli occhi dell’Unione, ma il partito al potere non ha gradito i risultati. All’improvviso gli osservatori sono stati ostacolati, la pluralità dei media è stata soppressa e le manifestazioni vietate. In giugno la popolazione ha subito una brutale repressione: oltre 40 persone sono state uccise e 5 000 sono state arrestate.
Ciò nonostante, poche settimane dopo, il Primo Ministro Meles ha partecipato al Vertice di Gleneagles, ospite della Presidenza britannica. In settembre diversi governi e il Presidente della Commissione gli hanno trasmesso le loro congratulazioni. Il 1° novembre si è verificato un altro bagno di sangue: 58 leader eletti, giornalisti e membri di ONG sono in carcere e, stando proprio alle affermazioni del Primo Ministro, rischiano la condanna a morte; altre decine di persone sono state uccise, centinaia ferite e migliaia arrestate. Eppure, pochi giorni dopo, il Primo Ministro Meles è stato invitato a un pranzo ufficiale in Germania.
Signor Presidente in carica del Consiglio, perché il Consiglio trasmette segnali contraddittori, instillando un senso di impunità nei governanti che violano i diritti umani e i principi democratici, governanti che possono poi decidere di muovere guerra ai propri vicini per sviare l’attenzione? Avete esaminato questa problematica a Hampton Court? Può il Presidente in carica del Consiglio affermare che l’Europa sta facendo abbastanza e sta facendo del proprio meglio per garantire i diritti umani, la democrazia e lo sviluppo in Etiopia, il secondo paese più popoloso dell’Africa?
Douglas Alexander, Presidente in carica del Consiglio. (EN) Signor Presidente, è un onore concludere il dibattito di oggi sulle discussioni che si sono svolte a Hampton Court. In particolare, sono lieto di intervenire assieme al Presidente Barroso.
Dopo la partenza del ministro degli Esteri Straw, la discussione è proseguita con l’onorevole Pistelli, che ha parlato dell’Unione europea come di una famiglia. E’ chiaro che, sulla base della nostra breve discussione di oggi pomeriggio, è una famiglia all’interno della quale, come in qualsiasi altra famiglia, ogni tanto possono emergere disaccordi. Tuttavia, di sicuro concordo con lui sul fatto che nelle prossime settimane dovremo affrontare delle sfide.
L’onorevole Hudghton ha poi fatto un’osservazione un po’ meno nobile. Come suo concittadino scozzese, nonché deputato al parlamento che rappresenta un seggio scozzese, sarei lieto di passare tutto il giorno a discutere con lui del motivo per cui il nazionalismo antiquato del XIX secolo non offra alcun futuro ad alcuna zona della Scozia, né ad alcun gruppo all’interno della Scozia. Tuttavia, a differenza di lui, sono consapevole di intervenire a nome della Presidenza dell’Unione europea e quindi evito di trattare in questa sede le controversie politiche interne tra i nostri partiti.
L’onorevole Bobošíková ha parlato delle opportunità offerte dalla globalizzazione. Sono senz’altro d’accordo: è un aspetto che è stato al centro di molte discussioni costruttive e utili svolte a Hampton Court.
L’onorevole Sudre ha sottolineato la necessità di raggiungere un accordo sul finanziamento futuro entro la fine di dicembre. Come ha chiarito il ministro degli Esteri, stiamo lavorando per conseguire tale obiettivo. In realtà, il problema dell’importanza di raggiungere l’accordo è stato affrontato con costanza da diversi altri oratori. Farò alcune osservazioni in proposito tra un attimo.
L’onorevole Zingaretti ha generosamente riconosciuto l’importanza dell’adesione turca e gliene sono grato. Essa rispecchia l’impostazione tipica seguita da Jack Straw in veste di ministro degli Esteri, in relazione alla quale – analogamente al finanziamento futuro – sono stati sollevati interrogativi concernenti la strategia adottata dalla Presidenza. Sono lieto di dire che il 3 ottobre abbiamo ottenuto il risultato per cui molti di noi hanno lavorato a lungo: l’avvio dei negoziati di adesione con la Turchia e con la Croazia. Mi auguro che otterremo un risultato analogo per il finanziamento futuro.
L’onorevole Davies, che ha ora lasciato l’Aula, ha ribadito l’importanza del finanziamento futuro. Sulla base della motivazione britannica e di fatto della capacità britannica di raggiungere l’accordo, ciò che conta non è la volontà di un paese – della Presidenza – ma la volontà di tutti gli Stati membri di lavorare insieme per trovare il consenso. Se a contare fosse solo la motivazione della Presidenza, avremmo raggiunto l’accordo in giugno, anziché trovarci in una situazione in cui cinque Stati membri non potevano accettare le proposte del Lussemburgo.
L’onorevole Karas ha messo in discussione l’importanza dell’allargamento rispetto alle sfide concorrenziali significative e durature che ci attendono, come la disoccupazione. Di sicuro la sua osservazione sulla disoccupazione di lunga durata e sulla necessità di affrontare tali sfide interviene a favore di Hampton Court. L’Europa deve avere un’idea più chiara della sua direzione futura, prima che si possa tentare di raggiungere il consenso cui aspiriamo sul finanziamento dell’Unione europea.
L’onorevole Tabajdi ha accolto favorevolmente, ma con riserva, alcuni aspetti del programma di lavoro deciso a Hampton Court e l’onorevole Sonik ha citato le osservazioni formulate dal Ministro Bach. Mi spiace deluderlo: per quanto riguarda il finanziamento futuro, non vi sono garanzie che l’accordo si possa raggiungere. Ciò che posso garantire è la serietà della Presidenza britannica nel tentare di raggiungere l’accordo, ma ci attendono giorni e discussioni difficili. E’ importante che tutte le parti interessate riconoscano che i progressi da compiere rispetto a giugno – quando la divisione anziché l’unità ha caratterizzato la conclusione delle discussioni – dovranno essere molto significativi.
L’onorevole Rouček ha affermato di essere soddisfatto dell’esito del Vertice di Hampton Court e si è espresso a favore di un accordo onesto, equo ed equilibrato sul finanziamento futuro. Sono perfettamente d’accordo al riguardo. Sono invece in disaccordo con molti punti sollevati dall’onorevole Van Orden, che ha ora lasciato l’Aula. Egli ha trattato un’ampia serie di aspetti, affermando di parlare a nome della popolazione dell’East Anglia, prima che gli fosse scollegato il microfono. E’ sufficiente dire che durante il suo intervento non ha avuto la possibilità di riconoscere il lavoro prezioso svolto dalla Commissione nel corso della Presidenza britannica proprio sulla questione della migliore regolamentazione. Infatti voglio rendere omaggio all’impegno personale del Presidente Barroso e del Commissario Verheugen nel portare avanti questa iniziativa durante la Presidenza britannica.
L’onorevole Gomes ha sollevato questioni importanti e impegnative riguardanti i diritti umani, la democrazia e lo sviluppo in Africa. Anche in questo caso mi limito a ricordare i progressi compiuti dai ministri dello Sviluppo dell’Unione europea in giugno, quando abbiamo sostanzialmente deciso di raddoppiare il livello dell’assistenza estera diretta erogata dagli Stati membri, passando da circa 40 a 80 miliardi di dollari. Vorrei sottolineare ancora una volta l’impegno assunto a Gleneagles tra il 6 e l’8 luglio di raddoppiare gli aiuti a favore dell’Africa. Rifletterei ancora una volta sull’impostazione costruttiva e unitaria adottata dagli Stati membri dell’Unione europea al Vertice sulla revisione del Millennio, svoltosi nel settembre scorso.
Vorrei fare eco a un’osservazione formulata dall’onorevole Davies, secondo cui chi di noi è sincero e onesto nel suo impegno a favore del mondo in via di sviluppo riconosce che ci attende una sfida costante nelle rimanenti settimane di Presidenza britannica, cioè tentare di conseguire un risultato ambizioso ed equilibrato alla riunione ministeriale di Hong Kong, che si svolgerà in dicembre. Posso assicurare agli onorevoli deputati che questa rimane una priorità costante della Presidenza britannica.
José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. (EN) Signor Presidente, in breve, esiste una questione determinante per la Presidenza britannica: raggiungere un accordo sulle prospettive finanziarie. Ritengo che oggi il messaggio sia stato trasmesso in modo molto chiaro alla Presidenza.
Comprendo anche ciò che ha affermato il ministro degli Esteri Straw prima di lasciare l’Aula riguardo ad altre questioni molto importanti che avranno conseguenze strategiche. Proprio per questo motivo è importante conseguire un accordo sulle prospettive finanziarie, perché questa sarà la prima prova per l’Europa allargata.
Cerchiamo di essere onesti. Alcuni ritengono che con 25 Stati membri sia impossibile lavorare e conseguire risultati. Alcuni ritengono che un’Europa più grande sia sinonimo di un’Europa più debole. So che non è l’idea della Presidenza britannica, so che non è l’idea della Commissione. Crediamo in questa Europa più grande che stiamo costruendo. Riteniamo sia un grande risultato avere ora 25 Stati membri liberi e democratici. Tuttavia, non possiamo fare l’allargamento tirando al risparmio. Abbiamo bisogno di risorse per questa nuova Europa che stiamo contribuendo a consolidare. Questo è il motivo per cui è di vitale importanza raggiungere l’accordo sulle prospettive finanziarie, perché in caso contrario, se non disporremo di tale strumento per ciò che i cittadini chiedono alle Istituzioni europee, la crisi di fiducia – ne sono fermamente convinto – si aggraverà. Ciò vale non solo per l’attuale situazione in Europa, ma anche per il futuro del continente, per le future adesioni, per la nostra capacità di costruire l’Europa. In ogni caso, per una grande Europa abbiamo bisogno di una grande politica. Pour une grande Europe, il nous faut une grande politique.
Questo è il punto. Siamo pronti? Siamo in grado di farlo? Siamo in grado di garantirlo? Questo è il motivo per cui esorto la Presidenza britannica ad adoperarsi con tutte le sue forze – e so bene quanta energia e quanto impegno stanno profondendo il Primo Ministro e tutti i funzionari britannici per approdare a un accordo.
E’ ovvio che tutti devono attivarsi: non è solo responsabilità della Presidenza britannica, chiaro che no. Tuttavia, sono davvero convinto che la chiave del problema, o meglio la chiave della soluzione, sia nelle vostre mani. Potete ottenere l’accordo, almeno tra gli Stati membri. Ci siamo arrivati molto vicino all’ultimo Consiglio europeo formale: possiamo farcela. E’ di vitale importanza ed è mio dovere e mia responsabilità, in veste di Presidente della Commissione europea – che deve rappresentare l’interesse generale europeo – fare appello alla responsabilità di tutti i capi di Stato e di governo in Europa affinché nulla sia lasciato intentato per trovare un compromesso.
Mi permetta di dirle molto francamente, signor Presidente in carica del Consiglio, che dai contatti che ho avuto con tutti gli Stati membri – che, data la mia responsabilità, devo mantenere quotidianamente, soprattutto con i nuovi Stati membri – so che essi guardano a voi e al ruolo della vostra Presidenza con questa aspettativa. In realtà, tutto ciò che abbiamo fatto finora è stato, dal mio punto di vista, un grande contributo all’Europa. Come ho affermato nel mio intervento precedente, ritengo che il Vertice di Hampton Court sia stato positivo e che abbia apportato un valido contributo al nuovo consenso che si sta delineando a favore di un’Europa più forte e più moderna. Tuttavia, la prova che hanno in mente i nuovi Stati membri, la prova per gran parte dei cittadini europei, si gioca sulla capacità di dimostrare che stiamo compiendo progressi sulle questioni concrete. Questa è la grande sfida. Facciamo dunque del nostro meglio, chiediamo a tutti i capi di Stato e di governo di essere pronti al compromesso; chiediamo alla Presidenza britannica di fare del proprio meglio. Ritengo sia possibile. E’ difficile, ma possibile, e la prova reale per la nostra leadership è rendere possibile ciò che è necessario e sono convinto si possa fare.