Jan Andersson, Anna Hedh, Ewa Hedkvist Petersen e Inger Segelström (PSE), per iscritto. – (SV) Auspichiamo di raggiungere un compromesso con il Consiglio su un nuovo accordo interistituzionale in materia di disciplina di bilancio e di miglioramento della procedura di bilancio. Come punto di partenza delle trattative abbiamo scelto la risoluzione del Parlamento europeo dell’8 giugno 2005 sulle sfide politiche e le risorse di bilancio dell’Unione europea allargata per il 2007-2013. Sosteniamo pertanto la risoluzione del Parlamento europeo sulla posizione comune del Consiglio europeo tenutosi dal 15 al 16 dicembre 2005. Non possiamo tuttavia appoggiare il testo che verte su una dimensione europea più efficace della politica agricola comunitaria. Attendiamo con impazienza la revisione del settore delle entrate e della spesa comunitaria nel 2008 e auspichiamo che possa portare a un assetto più moderno del bilancio comunitario e a una riduzione della spesa destinata alla politica agricola comune.
Richard James Ashworth (PPE-DE), per iscritto. – (EN) La delegazione dei conservatori britannici appoggia la relazione Böge e la richiesta ivi contenuta di respingere la posizione comune del Consiglio europeo in merito alle prospettive finanziarie 2007-2013 nella versione attuale. Ci associamo all’appello lanciato nella relazione a favore di un maggiore impegno verso la revisione delle prospettive finanziarie con un ruolo più chiaro per il Parlamento europeo e sosteniamo con forza la richiesta di varare adeguate misure di accompagnamento per assicurare un’attuazione e un controllo più efficaci della spesa delle risorse negli Stati membri.
Tuttavia, prendiamo atto con preoccupazione della richiesta di utilizzare la posizione del Parlamento europeo approvata l’8 giugno del 2005 nelle trattative che saranno condotte dalla commissione per i bilanci. Se tale istanza fosse accolta, gli stanziamenti di impegno aumenterebbero di 112 474 miliardi di euro nel periodo di riferimento. Per tale motivo ci siamo astenuti dalla votazione finale.
Francisco Assis, Luis Manuel Capoulas Santos e Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ci siamo astenuti dalla votazione finale sulla risoluzione in merito alle prospettive finanziarie 2007-2013 perché non accettiamo il considerando n. 4 del testo.
A nostro parere, l’accordo minimo si sarebbe rivelato un buon compromesso per l’Unione europea, in quanto avrebbe sventato, seppur temporaneamente, una grave crisi politica in Europa.
L’uso del termine “respinge” nel considerando n. 4 trasmette all’opinione pubblica europea l’idea che il Parlamento stia cercando di riaprire il dibattito finanziario, una mossa che al momento non è possibile né tanto meno appropriata.
Per questo motivo il termine “respinge” assume per noi il significato di “disaccordo”, il che non pregiudica naturalmente l’accordo che è stato raggiunto.
Gerard Batten, Graham Booth, Derek Roland Clark, Nigel Farage, Roger Knapman, Michael Henry Nattrass, Jeffrey Titford e Thomas Wise (IND/DEM), per iscritto. – (EN) Potrebbe suscitare sorpresa il fatto che l’UKIP abbia votato per la prima volta a favore di una relazione di tono apertamente federalista. Lo abbiamo fatto perché l’adozione della presente relazione rende nullo l’accordo negoziato dal Primo Ministro Tony Blair in dicembre. Per noi, un incremento del 63 per cento del contributo britannico all’Unione è inaccettabile. La rinuncia a 7 miliardi di sterline dello sconto britannico è inaccettabile. Le attuali prospettive finanziarie rappresentano un affare poco favorevole per la Gran Bretagna.
Se la relazione in oggetto verrà approvata, ritorneremo all’articolo 272 del Trattato e ai negoziati annuali sul bilancio. Pur respingendo con forza le motivazioni che soggiacciono alla relazione, siamo lieti di offrire il nostro contributo per riaprire un dibattito sulle modalità di spesa dei fondi dei contribuenti britannici. Tanto più aumenta l’esposizione della gente alle manovre dell’UE, più cresce la disapprovazione.
Bastiaan Belder (IND/DEM), per iscritto. – (NL) Gettando nella spazzatura la posizione comune del Consiglio sulle prospettive finanziarie 2007-2013, la maggioranza del Parlamento europeo sta mettendo a rischio il funzionamento dell’Unione europea, e noi non siamo d’accordo.
In primo luogo, spetta agli Stati membri raccogliere i contributi per l’Unione europea. Il Parlamento si sopravvaluta se crede di poter costringere gli Stati membri a stanziare più fondi per l’UE.
In secondo luogo, stando al principio di sussidiarietà, vi sono alcune voci del bilancio europeo che dovrebbero ricevere molti meno fondi, se non nessuno: politica estera, istruzione, affari sociali, occupazione, cultura e sanità. Inoltre, non hanno alcuna utilità le spese per la propaganda comunitaria e le sovvenzioni per i gruppi di riflessione “pro Europa”.
In terzo luogo la politica del Fondo di coesione e dei Fondi strutturali deve imperniarsi sulle regioni svantaggiate dei paesi membri, in cui il PIL è inferiore all’80 per cento della media comunitaria. In questo modo quindi la politica di sostegno strutturale viene a spostarsi dagli Stati membri meridionali verso quelli orientali.
Nell’interesse dei cittadini la nostra Assemblea dovrebbe adottare un atteggiamento più intraprendente e limitare l’Unione europea ai compiti fondamentali che le spettano, vale a dire fare di più con meno fondi.
Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. – (SV) Non siamo soddisfatti dell’accordo raggiunto in occasione del Consiglio del 16 dicembre. Vogliamo ridurre la spesa correlata alla politica agricola e ai Fondi strutturali e stanziare maggiori risorse a favore della ricerca e sviluppo nonché della politica estera e di sicurezza comune. Il Parlamento gode del diritto di codecisione sulle prospettive finanziarie e ha annunciato che difenderà molto strenuamente la propria politica di bilancio. Non appoggiamo la politica di bilancio “al rialzo” sostenuta dal Parlamento, ma concordiamo con altre proposte, ad esempio quella di incrementare la dotazione della ricerca e sviluppo.
Alla luce di tali considerazioni, nella votazione finale non abbiamo votato contro la risoluzione, ma ci siamo astenuti, visto che sottoscriviamo solo alcune parti della proposta del Parlamento.
Lena Ek (ALDE), per iscritto. – (SV) Oggi ho scelto di astenermi dalla votazione del Parlamento europeo sulla risoluzione in merito alle prospettive finanziarie. In tale testo il Parlamento respinge l’accordo del Consiglio. Sono indubbiamente molto delusa dall’accordo del Consiglio, in quanto i settori che considero prioritari otterranno uno stanziamento di risorse inferiore a quello proposto dalla Commissione. Si tratta di settori quali la ricerca, l’innovazione, le misure per combattere la criminalità transfrontaliera, le misure in materia di ambiente e i Fondi strutturali riservati al sostegno per le piccole e medie imprese.
Il Consiglio ha impiegato già troppo tempo, purtroppo, e non desidero che tale processo subisca ulteriori ritardi. Per noi è importante garantire i finanziamenti dei progetti e dei programmi per il periodo 2007-2013, onde impedire interruzioni a causa dell’incertezza e della mancanza di cofinanziatori. E’ importante soprattutto per il dieci nuovi Stati membri. Ho pertanto deciso di non far deragliare le prospettive finanziarie che sono state appena concordate.
Neena Gill (PSE), per iscritto. – (EN) La delegazione britannica del gruppo PSE si asterrà dalla votazione conclusiva sulla relazione Böge del 18 gennaio 2006 per i seguenti motivi.
1. Ci preoccupa il riferimento al rafforzamento della politica agricola che compare al paragrafo 7; si tratta di un tentativo a cui ci opponiamo da molto tempo.
2. La delegazione britannica del gruppo PSE è contraria alla prima frase del paragrafo 4 in cui si afferma che il Parlamento europeo: “respinge la posizione comune del Consiglio europeo”. In primo luogo, riteniamo che la Presidenza britannica abbia assolto a un compito difficile approdando a un accordo su una questione delicata e spinosa. Pochi pensavano che il Regno Unito sarebbe stato in grado di raggiungere il compromesso finale, alla luce delle posizioni a volte diametralmente opposte assunte dai 25 paesi membri dell’UE in materia. In secondo luogo, riteniamo che non competa al Parlamento europeo respingere la posizione del Consiglio: non possiamo che prendere atto di tale posizione e assumerne una nostra, che potrà essere in contrasto con quella del Consiglio, ma non respingerla.
3. La delegazione britannica del gruppo PSE concorda con l’opera svolta dal Parlamento per incrementare l’obbligo di rendicontazione e la flessibilità del bilancio in modo da poter rispondere alle future sfide che l’Unione dovrà affrontare, visto il ruolo di spicco che essa ricopre sulla scena mondiale.
Ana Maria Gomes (PSE), per iscritto. – (PT) Lo scorso dicembre il Consiglio ha ignorato i poteri e gli obblighi di codecisione del Parlamento e ha tralasciato di finanziare le politiche centrali della strategia di Lisbona e quelle relative alla posizione occupata dall’Europa sulla scena mondiale.
Di conseguenza, la Commissione è priva di risorse per finanziare le politiche per i cittadini – ad esempio, per i giovani, l’istruzione, la ricerca e la cultura –, il fondo di adeguamento alla globalizzazione e gli impegni esterni dell’Unione, quali le missioni di pace e le misure per contrastare la proliferazione delle armi di distruzione di massa.
Ho pertanto votato contro l’accordo nella sua formulazione attuale e chiedo che vengano avviati negoziati al fine di colmare le lacune in termini di risorse.
Alla Presidenza dovrebbe essere conferito il mandato di negoziare con il Parlamento riserve di flessibilità che possano garantire tutte le risorse necessarie, nonché di concordare una clausola di revisione che renda possibile il riesame della spesa nel 2008 – compreso lo storno di fondi dalla PAC alle politiche per la competitività e l’innovazione – e di riconsiderare le risorse di bilancio dell’Unione.
Non si tratta di riaprire le questioni su cui è stato trovato un accordo lo scorso dicembre a Bruxelles, bensì di rafforzarle con i mezzi necessari a finanziare politiche e misure essenziali per un’Europa più coesa, competitiva, responsabile e più credibile nell’arena internazionale.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’accordo sul bilancio comunitario per il periodo 2007-2013 adottato in occasione del Consiglio europeo di dicembre è deplorevolmente inadeguato in termini di risorse finanziarie ed è inadatto rispetto alle priorità e agli strumenti necessari per far fronte alle esigenze e ai problemi economici, sociali e ambientali di un’Europa allargata a 27 paesi.
Il tanto declamato concetto di “solidarietà” è diventato il fanalino di coda nella classifica delle priorità e i finanziamenti a favore della politica di coesione hanno subito un taglio, passando dallo 0,41 per cento allo 0,37 per cento delle entrate complessive della Comunità, malgrado si siano acuite le sperequazioni economiche e sociali derivanti dall’allargamento. Sono stati approvati tagli anche a danno di settori quali le tematiche sociali, l’ambiente, l’agricoltura, la cooperazione, la ricerca e la cultura. Al contempo, settori quali la “competitività”, il controllo dell’immigrazione, il controllo delle frontiere, la sicurezza e la politica estera e di sicurezza comune hanno registrato un incremento dei finanziamenti a spese degli aiuti allo sviluppo.
Risulta quindi palese la vittoria degli interessi dei paesi economicamente più sviluppati e dei loro grandi gruppi economici e finanziari a discapito degli interessi di quelli che vengono definiti i paesi di “coesione”, tra cui il Portogallo, e dei lavoratori.
L’intero processo “negoziale” è stato caratterizzato dalla presentazione di tutta una serie di proposte, una peggiore dell’altra. In questo contesto, benché la proposta in esame respinga l’accordo del Consiglio, essa riafferma tuttavia la posizione negoziale del Parlamento, che è altrettanto inadeguata in termini di finanziamenti e di priorità.
Joel Hasse Ferreira (PSE), per iscritto. – (PT) Nel testo sulle prospettive finanziarie che è stato approvato sono due i punti che sarebbe stato opportuno trattare in maniera diversa.
Il primo è la frase che “respinge” l’accordo raggiunto in occasione del Consiglio. Potevano essere usati termini più consoni per esprimere la mancata accettazione dell’accordo. Il secondo riguarda l’approccio alla politica agricola. Poiché alcuni Stati membri hanno ricevuto fondi più cospicui dal bilancio dell’Unione tramite la PAC, si sono creati ostacoli al progresso del progetto europeo ed è stato impossibile fissare criteri più adeguati di assegnazione dei fondi.
L’accordo raggiunto in Consiglio è positivo per il Portogallo, tuttavia il Parlamento ha tutti i diritti di tentare di avviare un processo di perfezionamento.
Nella procedura di bilancio non abbiamo assistito a inversioni di tendenza significative nella metodologia di bilancio e i criteri per la distribuzione globale dei fondi non sono stati soggetti a cambiamenti. La solidarietà con i paesi di coesione situati a sud e a est non deve cessare. La ricerca di una maggiore competitività in Europa non deve penalizzare le economie attualmente meno competitive.
Jeanine Hennis-Plasschaert (ALDE), per iscritto. – (EN) Per chiarezza, desidero precisare che non respingo la posizione comune del Consiglio europeo. Tuttavia il Parlamento, essendo uno dei rami della funzione legislativa e di bilancio, dovrebbe essere in condizione di svolgere appieno il proprio ruolo nella definizione delle politiche, nella loro riforma e nel loro bilancio. Di conseguenza, sostengo la volontà di questa Assemblea di avviare negoziati costruttivi con il Consiglio.
Kartika Tamara Liotard (GUE/NGL), per iscritto. – (NL) Benché il gruppo socialista del Parlamento europeo sia soddisfatto del taglio del bilancio comunitario, in particolare del miglioramento della posizione di pagamento olandese, siamo tuttora molto scettici sul modo in cui è stato deciso di spendere i fondi rimanenti. Ad oggi persiste uno squilibrio nella distribuzione delle sovvenzioni all’agricoltura, i fondi vengono ancora stanziati a piene mani e indiscriminatamente e si continuano a promuovere progetti prestigiosi. Il fatto che l’accordo per il bilancio venga raggiunto a spese degli Stati membri più poveri è assolutamente insostenibile.
Cecilia Malmström (ALDE), per iscritto. – (SV) La risoluzione respinge l’accordo del Consiglio sulle prospettive finanziarie. Ritengo tuttavia che sia poco accorto da parte del Parlamento europeo respingere la proposta e pertanto ho deciso di astenermi dalla votazione. La strada che ha portato all’accordo del Consiglio è stata lunga e tortuosa e sarebbe stato problematico se il Consiglio non fosse riuscito a raggiungere un compromesso. L’Assemblea ha naturalmente il diritto di codecisione sulla questione e ha il potere di rigettare la proposta del Consiglio, ma sarebbe deplorevole se il bilancio a lungo termine non venisse approvato a causa del gioco di poteri tra le Istituzioni. Il Parlamento deve ora assumersi le proprie responsabilità e, insieme al Consiglio, fare del proprio meglio per approvare il bilancio a lungo termine.
A mio parere, è positivo che il Consiglio abbia trovato un accordo sulle prospettive finanziarie e che il livello di spesa non sia troppo elevato, benché buona parte del bilancio non riscuota il mio favore. Ad esempio, non condivido l’orientamento del bilancio: troppi fondi infatti sono stati stanziati a favore dell’agricoltura e degli aiuti regionali.
Il Parlamento auspica lo stanziamento di maggiori risorse per settori importanti, ma sostiene un livello complessivo di spesa indebitamente elevato e, come il Consiglio, vorrebbe destinare troppi fondi alla spesa agricola e ai fondi regionali. Di conseguenza, non mi associo alla posizione del Parlamento. Un riordino severo delle priorità per quanto riguarda lo stanziamento delle risorse europee è estremamente importante per apportare i cambiamenti di cui l’Europa ha bisogno.
Toine Manders (ALDE), per iscritto. – (NL) Oggi il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sul bilancio europeo pluriennale. Accolgo con favore il compromesso raggiunto dal Consiglio nel dicembre del 2005 e lo considero una buona base per ulteriori trattative tra il Parlamento europeo e il Consiglio.
Per quanto mi riguarda, tali circostanze non sminuiscono affatto gli encomiabili sforzi compiuti dal governo olandese, nella persona del ministro delle Finanze Zalm. La decisione del Consiglio di ridurre i contributi olandesi all’UE di un miliardo non rientra nelle competenze del Parlamento e pertanto non sarà oggetto dei negoziati. Poiché ritengo che l’Europa debba investire di più nella conoscenza, nell’innovazione e nell’imprenditorialità, non reputo che il compromesso attuale tenga debitamente conto di tali settori.
Sono inoltre dell’avviso che il Parlamento europeo, come i parlamenti nazionali, debba assumersi le proprie responsabilità quando si tratta di definire bilancio. Le trattative che il Parlamento europeo avvierà con il Consiglio sono analoghe al dibattito che la Camera bassa olandese intrattiene con il governo in risposta al discorso della Regina.
Diamanto Manolakou (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il Consiglio europeo ha raggiunto un accordo sulle prospettive finanziarie 2007-2013 dopo estenuanti contrattazioni su chi dovesse contribuire di meno e su chi dovesse ottenere l’assegnazione di più fondi dei contribuenti, in modo da consentire ai monopoli europei di trarne giovamento e aumentare i loro profitti e i loro privilegi. Al contempo, sono state gettate le fondamenta della nuova revisione della PAC e della riduzione della spesa agricola, che spazzerà via un numero ancora maggiore di piccole e medie imprese.
Il pacchetto finanziario prevede di utilizzare i contributi dei cittadini, che hanno subito un aumento del 110 per cento, per rafforzare le politiche repressive e la strategia dell’agenda antipopolare di Lisbona, mentre si procede alla graduale riduzione delle risorse per gli agricoltori.
Noi europarlamentari del partito comunista greco respingiamo le decisioni sulle prospettive finanziarie 2007-2013, perché sono dannose per il popolo e i suoi diritti. Non siamo tuttavia nemmeno d’accordo con i motivi del rifiuto espresso nella risoluzione del Parlamento europeo, in quanto rientrano nella filosofia del non contestare la politica antipopolare e la militarizzazione dell’Unione, visto che chiedono il rafforzamento della “competitività e della sicurezza” dell’UE, oltre che il controllo della spesa dei paesi membri. Tale filosofia favorisce le ristrutturazioni capitaliste, un maggiore sfruttamento dei lavoratori e il rafforzamento dei meccanismi repressivi e antidemocratici.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Nella codecisione la preoccupazione principale di tutti i soggetti è agire responsabilmente. L’opinione pubblica si è resa perfettamente conto della complessità del processo che ha portato all’adozione delle prospettive finanziarie dello scorso dicembre, dato che di per sé rivela quanto possano essere difficili i negoziati, soprattutto nelle circostanze attuali.
Come ho già dichiarato in precedenza, l’esito finale del Vertice di dicembre, benché non abbia conseguito tutti gli obiettivi previsti e che personalmente mi attendevo, è ampiamente positivo e favorevole agli interessi europei e portoghesi. Ritengo pertanto che sia legittimo tentare di migliorare tale accordo, assicurandoci nel contempo che non si rischi di perdere il consenso già raggiunto. La posta in gioco è troppo alta per accentrare tutte le preoccupazioni sull’equilibrio istituzionale.
José Albino Silva Peneda (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Ho votato contro l’accordo del Consiglio sulle prospettive finanziarie, in quanto lo ritengo sintomatico della crisi che pervade l’Europa: un continente povero, senza ambizioni e non suscita entusiasmo.
E’ povera in termini finanziari rispetto ad altre istituzioni omologhe, e anche perché la proposta del Consiglio rappresenta più la somma delle richieste avanzate dai diversi Stati membri che non l’espressione di un qualche tipo di volontà politica.
L’assenza di ambizione si desume dai segnali evidenti di incoerenza rispetto alle politiche adottate in precedenza. I cittadini europei sono sempre più frustrati dalla manifesta inefficienza delle Istituzioni europee; un giorno vengono prese decisioni declamate pubblicamente come segnali chiari di progresso in determinate aree di interesse per gli europei, e il giorno dopo lo stesso Consiglio non garantisce le prospettive finanziarie con le risorse necessarie a perseguire tali obiettivi.
Infine, questo accordo non produce alcun moto di entusiasmo, in quanto non onora gli impegni assunti con i paesi candidati – Bulgaria e Romania.
Questo tipo di atteggiamento si chiama ipocrisia.
Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) L’esito raggiunto nel cuore della notte dal Consiglio di Bruxelles dello scorso dicembre delude la Scozia e anche l’Europa. E’ inaccettabile per il Parlamento, e sono lieto di appoggiare la risoluzione di respingere tale accordo nella sua forma attuale e di avviare i negoziati per migliorarlo. Il Parlamento è stato fondamentale per costringere i paesi membri, e soprattutto il Regno Unito, ad agire in maniera ragionevole, ma possiamo fare meglio rispetto all’accordo attualmente in esame. A mio avviso, il Parlamento ha ragione a cercare un compromesso migliore; sono soddisfatto che oggi sia stata approvata la risoluzione e attendo con impazienza i negoziati.
Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore la decisione della Conferenza dei presidenti del Parlamento europeo di istituire una commissione d’inchiesta, nominando 22 deputati, con il mandato di indagare sul caso dei cittadini – 6 500 dei quali sono irlandesi – derubati dei loro risparmi a causa della crisi della compagnia assicurativa Equitable Life.
Appoggio la petizione presentata dagli investitori della Equitable Life alla commissione per le petizioni del Parlamento europeo. Trovo molto giusto che il loro caso sia sottoposto alle indagini di una commissione d’inchiesta del Parlamento europeo.
Il governo irlandese dovrebbe ora nominare un referente investigativo che rappresenti gli interessi dei cittadini irlandesi in tale questione e che collabori con la commissione d’inchiesta del Parlamento europeo.
Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Sono stato contattato dagli elettori di tutta la Scozia che chiedevano un intervento concreto sulla questione di Equitable Life, e non semplicemente belle parole. Oggi abbiamo risposto alle loro richieste, e sono lieto che il Parlamento abbia compiuto un passo decisivo, quando invece il governo di Londra non si è mosso. In concomitanza con il fallimento di Equitable Life i cittadini hanno visto precipitare nel caos i loro risparmi e i fondi pensione, ed è giusto che continuino a esigere delle risposte. Attendo con impazienza di poter collaborare con la commissione per andare a fondo di questa vicenda.
– Risoluzione: RC-B6-0051/2006
Carlos Coelho (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Nell’Europa della libertà e dei valori, occorre affermare con chiarezza che i diritti dei cittadini e il primato dello Stato di diritto meritano una protezione inequivocabile.
La lotta contro il terrorismo dovrebbe rientrare in questo contesto. Di conseguenza, non dobbiamo abbandonare il nostro patrimonio e l’ampio sostegno internazionale di cui godiamo. Ciò che ci distingue dai terroristi è il nostro profondo rispetto per le persone e per tutti i loro diritti.
La commissione temporanea, in ottemperanza al suo mandato, deve raccogliere e analizzare tutte le informazioni che possano rivelarsi pertinenti per appurare la verità in merito ai fatti segnalati dal Washington Post e confermati da Human Rights Watch.
Dobbiamo scoprire la verità, non soltanto perché i dubbi persistenti alimentano il sospetto e le dicerie, ma anche perché non possiamo permettere in nessuna circostanza che il territorio europeo sia utilizzato allo scopo di attuare detenzioni clandestine. Sarebbe vergognoso e apertamente in conflitto con le regole internazionali sui diritti umani e con le norme e i valori europei.
Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto. – (EN) Per quanto riguarda la decisione di costituire una commissione d’inchiesta del Parlamento europeo per indagare sulle presunte carceri segrete della CIA e sulle torture inflitte ai prigionieri sul territorio dell’UE o di paesi candidati all’adesione all’UE, qualora gli Stati membri dell’Unione o i paesi candidati fossero stati coinvolti attivamente o passivamente nella gestione di “carceri extragiudiziali”, saremmo in presenza di violazioni della Carta dei diritti fondamentali.
E’ importante andare a fondo della questione. Dobbiamo indagare senza pregiudizi ma senza tralasciare alcuna eventualità. Vogliamo sapere la verità, nient’altro che la verità. Se lo faremo, dimostreremo di voler lottare veramente contro il terrorismo e anche contro la tortura.
Claude Moraes (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore dell’apertura di un’inchiesta del Parlamento europeo sulle presunte attività della CIA in relazione a sequestri di persona, “consegne straordinarie di detenuti”, come vengono definite, “detenzione in località segrete”, “segregazione”, tortura, crudeltà e trattamento disumano o degradante di prigionieri sul territorio dell’Unione europea, inclusi i paesi in via di adesione e quelli candidati.
Alla luce della preoccupazione dilagante, che riguarda anche il mio collegio elettorale di Londra, è importante che il Parlamento europeo svolga un’opera efficace per appurare la fondatezza delle accuse.
Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Alla luce delle rivelazioni e dell’agitazione causata dalle azioni della CIA, con il sequestro di cittadini, il trasferimento di indiziati, lo svolgimento di indagini e la presenza di carceri nei paesi europei, il Parlamento europeo – con la costituzione della commissione d’inchiesta – tenta di gettare fumo negli occhi dei cittadini europei.
Sta manifestando una preoccupazione ipocrita per le violazioni dei diritti umani sul suolo europeo e sta tentando di salvare “l’onore perduto” dell’UE. E’ stato tuttavia comprovato che la stessa Unione europea e i governi degli Stati membri hanno concluso accordi segreti con gli USA, hanno dato la loro piena adesione alla cosiddetta strategia antiterroristica e adesso si fingono sorpresi e recitano la parte delle colombe innocenti.
Quando i gruppi politici del Parlamento europeo, che rappresentano partiti al governo e quindi sono i firmatari di tali accordi, fanno finta di protestare per quanto è accaduto, nei fatti essi insultano e sottovalutano l’opinione pubblica.
L’Unione europea e gli USA sono entrambi colpevoli delle azioni irresponsabili dei servizi segreti che, a parte tutto, si stanno preparando ad applicare le leggi terroristiche per colpire il movimento popolare e scatenare guerre tra i paesi e tra i popoli.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) In situazioni di conflitto, soprattutto nell’azione che vede impegnati gli Stati Uniti e gli alleati, è ancor più essenziale far valere i nostri valori fondamentali e civili; dobbiamo essere tutti quanto mai vigili in circostanze così estreme. Condivido pertanto il parere di tutti coloro che, in Europa e negli Stati Uniti, hanno levato la loro voce contro gli abusi e le violazioni di tali valori. E’ questa la mia posizione inequivocabile, e l’ho espressa in diverse occasioni.
Detto ciò, per quanto riguarda i cosiddetti “voli della CIA”, devo esprimere la mia delusione per il modo in cui è stato condotto il dibattito. Si è basato soprattutto su congetture, sospetti e accuse, e la parola dei nostri alleati e dei leader più stimati degli Stati membri dell’Unione europea non sembra avere alcun valore.
In questo contesto ritengo che la Conferenza dei presidenti sia riuscita a trovare una soluzione adeguata, e soprattutto equilibrata e adatta al ruolo che il Parlamento potrebbe svolgere nella questione. Ho pertanto votato a favore.
Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Suscitano grandissima preoccupazione le accuse secondo cui i nostri amici e alleati americani avrebbero utilizzato aeroporti europei come scali per voli che ai sensi delle nostre leggi sarebbero illegali. E’ giusto che il Parlamento europeo si attivi per fare luce su questa oscura vicenda, in quanto interessa tutti i cittadini. Personalmente ritengo che gli americani non siano colpevoli nemmeno della metà delle accuse che vengono mosse nei loro confronti, ma riusciremo a rispondere a tali accuse solamente andando a fondo della questione, e attendo con impazienza di poter collaborare con la commissione d’inchiesta per giungere a questo risultato.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) L’Unione deve mantenere una posizione chiara e coerente in difesa della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti umani in relazione a quello che, in senso più ampio, dovrebbe essere il processo di pace in Medio Oriente. Nel caso specifico, le misure che sono state prese in Libano richiedono il nostro pieno sostegno sia nelle parole che nei fatti. In pratica dobbiamo collaborare sulla base di qualsiasi indizio che possa rivelarci la verità sull’omicidio dell’ex Primo Ministro Rafiq Hariri. Ho pertanto votato a favore della relazione in esame. Desidero inoltre richiamare l’attenzione sulle questioni procedurali sollevate dal relatore, che secondo me meritano di essere ulteriormente esaminate.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL) , per iscritto. – (PT) Accogliamo con favore l’adozione della relazione finale, approvata dal Comitato di conciliazione, relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive, una tematica che riveste notevole interesse per il Portogallo.
La nuova legislazione rafforzerà le norme ambientali in numerosi paesi membri e imporrà obblighi più cogenti per le imprese, che saranno costrette a promuovere interventi correttivi nei siti da esse utilizzati per attività industriali, e ad assumersi pertanto la responsabilità di proteggere l’ambiente e la salute pubblica.
Altrettanto importante è redigere l’inventario delle situazioni esistenti, in modo da adottare le misure appropriate.
Confidiamo nell’attuazione puntuale di tali proposte.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) La presente direttiva è un testo legislativo importante in materia di ambiente.
In seguito all’encomiabile lavoro svolto sia dal relatore sia dalla delegazione parlamentare del Comitato di conciliazione, non posso che esprimere il mio sostegno a questa relazione, in cui sono previste importanti misure che prepareranno il terreno alla riduzione degli effetti nocivi sull’ambiente e dei rischi per la salute umana derivanti dai rifiuti delle industrie estrattive.
Per questo motivo ho votato a favore della relazione Sjöstedt.
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Nell’Unione europea vi sono circa 20 000 zone balneabili e i cittadini non possono neanche lontanamente immaginare quali batteri pericolosi si annidino in quelle acque. Chi nuota inghiottisce una media di 50 millilitri di acqua, mentre i bambini ingoiano una quantità d’acqua dieci volte maggiore tra spruzzi e schizzi vari, pertanto occorre garantire che non vi siano rischi di contrarre malattie. Esistono diversi agenti in grado di causare patologie che vanno dalla nausea alle eruzioni cutanee, ma ve ne sono anche altri potenzialmente letali. Di conseguenza, è molto incoraggiante che la direttiva europea sia riuscita a migliorare la qualità delle acque di balneazione negli ultimi anni; tuttavia la capacità di autoregolamentazione dei laghi più piccoli, come quelli delle Alpi austriache, si è drasticamente ridotta. Ne consegue che non possiamo più affidarci solamente alle disposizioni di legge, ai divieti e agli investimenti, bensì dobbiamo tentare di ottenere la piena collaborazione della gente e la consapevolezza dell’opinione pubblica sulle questioni ambientali.
Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. – (SV) L’Unione europea non dovrebbe avere una direttiva comune che disciplina la qualità delle acque di balneazione, è ovvio. Abbiamo votato a favore della relazione perché il Parlamento ha dato ascolto alle nostre critiche e sta ridimensionando le norme vigenti. La relazione respinge inoltre con fermezza le proposte di ulteriore regolamentazione, già avanzate l’ultima volta che il Parlamento ha discusso la questione.
Va rilevato che la proposta precedente mostrava con chiarezza quanto sia difficile prevedere norme dettagliate applicabili a condizioni del tutto diverse. In paesi con lunghi litorali, ampi specchi d’acqua, una stagione balneare molto breve, basse temperature dell’acqua e una bassa densità demografica, i requisiti dovrebbero essere diversi rispetto a quelli in vigore in paesi con spiagge densamente popolate, meta di numerosi cittadini che vi si recano per immergersi in acque calde durante le lunghe stagioni dei bagni. Noi conservatori svedesi siamo lieti che le nostre rimostranze siano state ascoltate.
Carlos Coelho (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Sono ovviamente a favore della proposta. E’ particolarmente importante per il mio paese, il Portogallo, in cui il litorale interessa la metà del territorio nazionale, il territorio vanta diversi fiumi e altre vie navigabili, e in cui i bagnanti si dedicano sempre più numerosi agli sport acquatici.
La presente proposta rappresenta un significativo passo avanti per la tutela della salute umana e dell’ambiente; gli emendamenti proposti apporteranno notevoli miglioramenti in termini di comprensione, monitoraggio e controllo della qualità delle acque di balneazione.
Il testo redatto dal Comitato di conciliazione colmerà le lacune e aggiornerà il regolamento in materia di acque di balneazione attualmente in vigore.
Vi sono requisiti più severi adesso, quali i nuovi valori limite batteriologici per poter considerare le acque di qualità “sufficiente”, l’informazione del pubblico e la sua partecipazione saranno ora obbligatorie, così come la standardizzazione dei cartelli a livello comunitario, che contribuirà a ridurre i rischi per la salute e a prevenire malattie e infezioni.
Lena Ek (ALDE), per iscritto. – (SV) Oggi ho deciso di votare a favore del testo congiunto del Comitato di conciliazione sulla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la gestione della qualità delle acque di balneazione. La mia decisione si basa sul fatto che si tratta di una questione a cui si applica la sussidiarietà, intendo dire che andrebbe trattata a livello locale o regionale, in questo caso. Le acque di balneazione sono un problema che riguarda molti comuni svedesi le cui spiagge sono spesso balneabili. E’ pertanto importante che la direttiva non imponga ai comuni un onere burocratico ulteriore. Ho comunque votato a favore del progetto di direttiva perché il documento attuale rappresenta sotto molti profili un miglioramento rispetto alla direttiva concernente la qualità delle acque di balneazione del 1976 attualmente in vigore. Anzitutto è più semplice, e in secondo luogo contiene requisiti più precisi in termini di salute e ambiente. Un’Unione europea più razionale ma più efficiente deve valutare se non sia opportuno riaffidare questioni come quella in esame agli Stati membri perché vengano gestite a livello nazionale, regionale o locale.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’aspetto più importante della soluzione che è stata raggiunta è che la direttiva del 1976 concernente la qualità delle acque di balneazione, resa obsoleta dagli sviluppi della conoscenza scientifica e da esigenze sanitarie sempre più impellenti, è stata aggiornata sotto alcuni punti di vista. Secondo il relatore, tali emendamenti produrranno una riduzione del rischio sanitario per i bagnanti dal 12 per cento al 7,5 per cento.
Il processo di conciliazione è stato difficile, date le posizioni molto divergenti, e l’esito è stato soddisfacente ma inadeguato, soprattutto per quanto riguarda i parametri che ora sono divenuti vincolanti.
I progressi più ingenti sono stati registrati nell’area delle informazioni al pubblico. Auspico che le informazioni più aggiornate vengano rese pubbliche e che siano visibili anche nelle zone balneabili.
Duarte Freitas (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il testo prodotto dal Comitato di conciliazione e presentatoci oggi per la votazione contiene emendamenti molto graditi che modificano la proposta presentata per la seconda lettura il 21 aprile 2005.
Il fatto che la proposta di abolire la distinzione tra acque costiere e interne non sia stata presa in considerazione e che la categoria di qualità “sufficiente” non sia stata eliminata dal testo finale salvaguarda gli interessi superiori del Portogallo nella questione e rispetta le ultime raccomandazioni dell’OMS.
Accolgo con favore i parametri proposti per valutare la qualità delle acque di balneazione, oltre alla metodologia applicata per analizzarle e classificarle. Sono pertanto a favore dell’adozione di tali parametri.
Ritengo che sarà pertanto possibile non solo migliorare l’ambiente, ma anche proteggere e informare meglio i cittadini sulla qualità delle acque di balneazione da essi utilizzate.
Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La relazione in oggetto tratta una questione che non dovrebbe essere parte dei programmi comunitari. Non ha ovviamente senso fare un raffronto tra le condizioni e i requisiti delle acque di balneazione del Mediterraneo e quelle di migliaia di laghi di paesi quali la Svezia e la Finlandia. La direttiva relativa alle acque di balneazione è un esempio di come, in pratica, l’Unione europea applichi raramente sia il principio di sussidiarietà, sia quello di proporzionalità. E’ del tutto deplorevole.
La proposta elaborata nella procedura di conciliazione presenta alcuni vantaggi rispetto alla direttiva attualmente in vigore. Ad esempio, sono stati ridotti i criteri che gli Stati membri dovranno applicare. Al contempo, però, sono stati introdotti nuovi requisiti assurdi, come l’obbligo di esporre cartelli identici nelle zone balneabili di tutta l’Unione.
Siamo certi che gli Stati membri siano in grado di gestire in autonomia le questioni concernenti la qualità dell’acqua nelle aree balneabili. In linea di principio siamo pertanto contrari alla direttiva sulla qualità delle acque e abbiamo votato contro il compromesso del Comitato di conciliazione.
Cecilia Malmström (ALDE), per iscritto. – (SV) Ho deciso di votare a favore del testo congiunto del Comitato di conciliazione di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la gestione della qualità delle acque di balneazione. In linea di massima non reputo che la qualità delle acque di balneazione sia una questione da trattare a livello comunitario. Andrebbe gestita dagli Stati membri a livello nazionale o locale. Ho votato a favore del progetto di direttiva, in quanto la proposta rappresenta un miglioramento significativo rispetto alla direttiva precedente, che risale al 1976, concernente la qualità delle acque di balneazione. Votando a favore della proposta, si concorre allo sforzo di semplificazione della legislazione comunitaria e si offre un contributo per migliorare settori quali la salute e l’ambiente.
Per rendere l’Unione europea più efficiente e dinamica nelle questioni transfrontaliere più pressanti, la formulazione delle politiche in determinate aree dovrebbe essere demandata agli Stati membri. Questa è una di quelle aree che devono essere gestite in una sede più vicina ai cittadini.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della presente relazione perché mantiene la quarta nuova categoria di qualità delle acque introdotta dal Consiglio e perché le quattro categorie ora corrispondono a riferimenti tossicologici nuovi e più razionali. I nuovi dati dovrebbero contribuire a ridurre i rischi per la salute dei bagnanti migliorando i livelli delle categorie.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) L’accordo raggiunto in seno al Comitato di conciliazione sulla direttiva concernente la qualità delle acque di balneazione si basa su nuovi criteri di valutazione della qualità delle acque e di informazione del pubblico.
Regole più severe e informazioni più puntuali per il pubblico sono fattori estremamente importanti per il Portogallo, data l’estensione del litorale portoghese e il valore sociale, culturale ed economico che rivestono per il paese le coste e gli innumerevoli corsi d’acqua in termini di attività non solo turistiche, ma anche socioculturali.
Occorre compiere ogni sforzo possibile per prevenire e ridurre i rischi sanitari. Ritengo pertanto che la proposta in esame rappresenti un passo estremamente significativo verso la tutela della salute delle persone e dell’ambiente. Gli emendamenti apporteranno miglioramenti evidenti in termini di comprensione, monitoraggio e controllo delle qualità delle acque di balneazione e contribuiranno a creare il giusto equilibrio per quanto riguarda i costi di introduzione dei nuovi criteri di qualità.
Ho pertanto votato a favore della relazione Maaten.
Margrietus van den Berg (PSE), per iscritto. – (EN) L’argomento di tale risoluzione, vale a dire la qualità delle acque di balneazione, è importante, ma a mio parere, dal punto di vista della sussidiarietà, andrebbe trattato a livello nazionale. Non c’è alcun valore aggiunto nel gestire tale problematica a livello europeo. Per questa ragione ho votato contro la risoluzione.
Eija-Riitta Korhola (PPE-DE), relatore. – (FI) Signor Presidente, purtroppo ho dovuto terminare il mio intervento per mancanza di tempo, ma vorrei rimediare leggendo quello che avevo intenzione di dire, di modo che le organizzazioni ambientali non fraintendano le mie parole:
Un buon esempio è la lettera inviata questa settimana dalle più importanti organizzazioni ambientali, che fornisce l’immagine sbagliata dell’opportunità che sta verosimilmente per offrirsi loro di accedere alla giustizia. Esse ricordano che i paesi industrializzati possono presentare ricorso dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee, per cui ora la direttiva in esame non farebbe che metterle sul medesimo piano. La lettera non dice però che le organizzazioni ambientali non aspirano assolutamente a essere poste allo stesso livello delle imprese, alle quali viene richiesto che una decisione impugnata le riguardi “direttamente e individualmente”, in altre parole, come parte interessata. Al contrario, attualmente le organizzazioni ambientali dovrebbero poter scegliere in tutta l’Unione, ignorando i criteri relativi alle parti interessate, a quale area sono interessate. E’ fuorviante che tale dettaglio essenziale sia stato taciuto.
Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto. – (EN) Accolgo con molto favore la proposta di regolamento che prevede l’applicazione delle disposizioni della Convenzione di Aarhus alle Istituzioni e agli organi comunitari. I cittadini hanno il diritto legittimo all’informazione e alla giustizia ambientale, anche dalla CEE.
In particolare, ritengo che la definizione di “informazioni ambientali” racchiusa nella proposta di regolamento debba includere informazioni sullo stato di avanzamento dei procedimenti contro gli Stati membri per infrazione delle normative comunitarie. Molto spesso i cittadini non hanno altro modo di tenersi informati sul mancato rispetto di impegni volontariamente assunti da parte degli Stati membri se non leggere regolarmente i comunicati stampa della Commissione. Non è sufficiente, sono necessarie misure più affidabili.
Da ultimo, deploro il mancato raggiungimento di un accordo da parte del Consiglio sul progetto di direttiva concernente l’accesso alla giustizia, promosso dal Parlamento europeo con i relativi emendamenti il 31 marzo 2004, ed esorto il Consiglio e la Commissione a raddoppiare gli sforzi su questa iniziativa specifica.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) A nostro parere, gli emendamenti adottati oggi sulla relazione relativa all’applicazione delle disposizioni della Convenzione di Aarhus alle Istituzioni europee sono molto significativi. La relazione considera innanzi tutto prioritario il diritto di informazione del pubblico sulle procedure per partecipare al processo decisionale, in particolare le modalità di utilizzo di tali procedure; in secondo luogo, reputa essenziale il diritto di accesso alle informazioni e, terzo, l’accesso alla giustizia per le questioni ambientali.
Sono stati presentati emendamenti, ad esempio, sulla definizione delle priorità concernenti la politica ambientale e il coinvolgimento dell’opinione pubblica nell’elaborazione della medesima. E’ ora d’obbligo indicare chiaramente come ottenere le informazioni, ad esempio quelle sullo stato di avanzamento dei procedimenti per violazione del diritto comunitario, e rendere disponibili tali informazioni attraverso la valutazione dell’esito delle varie consultazioni.
In alcune aree il documento non tiene tuttavia pienamente conto dei requisiti della Convenzione, in particolare per quanto riguarda l’accesso alla giustizia, in quanto non esistono meccanismi di sostegno per ridurre o eliminare gli ostacoli finanziari ricorrenti; di fatto, l’accesso alla giustizia è spesso condizionato proprio perché coloro che ricorrono alla giustizia non dispongono delle risorse finanziarie necessarie.
In generale, si tratta comunque di un passo importante per assicurare, da un lato, la partecipazione efficace –mediante procedure sviluppate entro un arco di tempo ragionevole – e, dall’altro, l’accesso alle informazioni in modo da consentire una partecipazione effettiva e democratica.
Robert Goebbels (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato contro alcuni emendamenti del Parlamento relativi all’applicazione della Convenzione di Aarhus. Sarei lieto se l’opinione pubblica fosse sempre pienamente informata, ma non credo che tale obiettivo dovrebbe indurre le ONG ad avviare continuamente procedimenti legali, se la loro rappresentatività non è ancora stata riconosciuta. Qualora venga dimostrato un interesse generale, tale fattore dovrà avere la precedenza su considerazioni spesso egoistiche.
Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) Riteniamo che la Convenzione di Aarhus costituisca uno strumento legale prezioso per garantire l’accesso del pubblico alle informazioni ambientali e la sua partecipazione ai processi decisionali. La Convenzione ha in tal senso un fine costruttivo. Abbiamo votato contro l’emendamento n. 25. Per una pura questione di principio, siamo del parere che le azioni legali debbano essere promosse dinanzi a tribunali nazionali che applicano le leggi vigenti.
Toine Manders (ALDE), per iscritto. – (NL) In una società che si basa su valori democratici ritengo che a tutti debbano essere accordati i medesimi diritti. Tra questi diritti figurano opportunità paritarie e non discriminatorie di accesso alla giustizia per i cittadini, le imprese e le ONG. L’articolo 230, paragrafo 4 del Trattato lo prevede già ed è pertanto sufficiente. Per questo motivo ho ritenuto opportuno votare contro gli emendamenti nn. 19, 22, 24 e 25.
Franz Vanhecke (NI). – (NL) Signor Presidente, dopo il dibattito di ieri sulla liberalizzazione dei servizi portuali in effetti era già palese che una larga maggioranza di deputati era ed è sensibile alle fondate argomentazioni addotte dai lavoratori portuali europei, il che è ovviamente positivo.
Possiamo solo sperare che la Commissione europea, organismo alquanto distaccato dal mondo, non perseveri nella propria stizza, anche se in proposito non dobbiamo nutrire troppe speranze; sospetto infatti che il mese prossimo ci verrà nuovamente sottoposta la direttiva Bolkestein.
Poste tali premesse, sono ben lieto di dire che, bocciando oggi la relazione Jarzembowski, abbiamo optato chiaramente per il principio di riservare i posti di lavoro anzitutto alla nostra gente. Abbiamo protetto i lavoratori portuali del nostro paese dalla concorrenza sleale da parte di paesi che applicano condizioni di lavoro totalmente differenti. Sono contento che, per una volta, la sinistra e la destra in quest’Aula abbiano dato priorità ai loro connazionali. Una volta tanto hanno anteposto gli interessi fondamentali dei nostri cittadini alle ideologie. C’è da sperare che questo esempio venga seguito.
Dirk Sterckx (ALDE). – (NL) Signor Presidente, non ho respinto la proposta di direttiva sui porti. A mio avviso avremmo dovuto perfezionarla e migliorarla, perché era sul tappeto un equilibrato pacchetto di emendamenti.
Avremmo potuto fare come volevano i sindacati ed eliminare dalla direttiva la clausola di autoproduzione. Avremmo potuto preparare un quadro per licenze e contratti e per la selezione dei fornitori di servizi portuali da parte delle autorità dei porti. Avremmo potuto redigere un quadro giuridico chiaro per i servizi di pilotaggio. Avremmo potuto formulare misure transitorie chiare per le licenze esistenti.
La maggioranza formatasi in quest’Aula ha ritenuto che ciò fosse superfluo, anche se da dieci anni a questa parte la politica europea dei porti è oggetto di discussioni, e anche se ormai probabilmente conosciamo bene tutti questi argomenti. Non sono disposto a indulgere in approcci a breve termine e a nascondere la testa sotto la sabbia. Noi politici abbiamo il dovere di portare a termine il nostro lavoro di legislatori, cosa che oggi non è avvenuta. Stiamo lasciando la politica ai giudici della Corte di giustizia delle Comunità europee, che deciderà cosa si intenda per libera circolazione dei servizi nei nostri porti. Oggi il Parlamento è stato poco previdente. Io ero di un’altra opinione.
Christopher Heaton-Harris (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, sono stato relatore del PPE per la commissione per il mercato interno riguardo alla direttiva sui servizi portuali e ovviamente ho votato per la sua bocciatura, ma per ragioni completamente diverse da quasi tutte quelle addotte in Parlamento. La direttiva costituiva un passo indietro rispetto alla liberalizzazione che abbiamo già avviato nel Regno Unito. Mentre in quest’Aula molti nascondevano la testa sotto la sabbia, ignorando il fatto che attualmente operiamo in un’economia globale e che i nostri concorrenti sono più bravi e più rapidi di noi nel fare le cose, io mi preoccupavo che non andasse troppo avanti questa proposta di direttiva piuttosto patetica, una proposta emanata dalla Commissione precedente che non avrebbe mai dovuto essere riproposta dalla Commissione in carica.
Sono molte le ragioni per cui dobbiamo avere consapevolezza dei nostri concorrenti nel mondo e preoccuparcene. Nascondere la testa, il collo e tutto il resto sotto la sabbia e dimenticare di essere in un mercato globale non è certo il modo di affrontare questa situazione.
James Hugh Allister (NI), per iscritto. – (EN) Ho votato conto la proposta di direttiva sui servizi portuali perché penso che ne conseguirebbero serie implicazioni per il principale porto del mio collegio elettorale: il porto di Belfast. Imponendo la solita soluzione della “misura unica” a tutti i porti della Comunità, la direttiva assoggetterebbe il porto di Belfast, che movimenta il 66 per cento del commercio marittimo dell’Irlanda del Nord, a pratiche superflue e commercialmente restrittive che danneggerebbero la sua vitalità economica.
In particolare, gli attuali programmi d’investimento di Belfast, che sono cruciali per il futuro del porto e che sono ora prossimi al varo, ne sarebbero negativamente influenzati a causa della necessità di fare continuamente ricorso agli appalti, una soluzione poco pratica per garantire le infrastrutture nel lungo termine.
Se è più che giusto che alcuni mercati debbano essere aperti alla concorrenza, ritengo inutile applicare tali condizioni in questa forma ai mercati che sono già il prodotto di un’aperta concorrenza contrattuale, come quello delle operazioni di movimentazione delle merci nel porto di Belfast.
L’Irlanda del Nord fa molto conto sul mantenimento di infrastrutture portuali competitive ed efficienti. A mio avviso, quest’inutile direttiva non farebbe che intralciare lo sviluppo di Belfast e di altri porti. Pertanto respingo integralmente la proposta in esame, che avrebbe effetti vanificanti e regressivi.
Kader Arif (PSE), per iscritto. – (FR) Considerato che i porti europei figurano tra i più moderni e i più competitivi del mondo, non comprendo la necessità di una direttiva volta a liberalizzare i servizi portuali in Europa.
Non comprendo nemmeno perché la Commissione si ostini a volere imporre una legislazione che gli armatori, i gestori dei porti europei e, soprattutto, i lavoratori portuali giudicano insoddisfacente. Questa testardaggine rasenta la negazione della democrazia, poiché la Commissione tenta manifestamente di ripresentare le stesse proposte già respinte dai deputati di questo Parlamento.
Introducendo l’autoproduzione, il testo minaccia non solo il posto di lavoro di migliaia di lavoratori nei porti europei, ma anche la sicurezza delle merci e delle persone, poiché questi lavoratori vengono messi in concorrenza con equipaggi assunti su base occasionale e spesso privi di qualifiche professionali.
Pertanto, votando contro questo testo iniquo, ho voluto assicurare tutto il mio appoggio a coloro che si battono per la sopravvivenza della loro professione. Esorto la Commissione a mettersi finalmente al lavoro per garantire un elevato tasso di occupazione e un’armonizzazione sociale verso l’alto, anziché dedicarsi allo smantellamento sistematico e smaccato dei benefici sociali di cui godono i nostri cittadini, associandolo a un dumping sociale senza controllo.
Marie-Arlette Carlotti (PSE), per iscritto. – (FR) La Commissione vuole fare entrare in vigore una direttiva che è stata respinta già tre volte dal Parlamento durante la scorsa legislatura. Questa è la negazione della democrazia.
Tuttavia, non c’è ragione di adottare il testo oggi. Si tratta di una direttiva che minaccia seriamente la sicurezza e i posti di lavoro della gente.
Tramite l’autoproduzione, che permette a “novellini” di lavorare nei porti e movimentare merci, questo testo introduce il dumping sociale e mette in forse le norme di sicurezza.
Tra tutte le categorie di lavoratori portuali nessuna è soddisfatta di questo testo: non gli armatori, non i piloti e nemmeno gli ormeggiatori.
Perché, dunque, se non in nome della libera impresa, vogliamo trasformare i nostri porti in supermercati svenendo le strutture portuali al settore privato?
I porti europei sono competitivi e, se dovessimo legiferare, dovremmo occuparci della sicurezza marittima, della sicurezza degli stretti, della pianificazione territoriale e dell’altissima concentrazione di equipaggi nel Mare del Nord a scapito del Mar Mediterraneo.
La proposta della Commissione non risponde alle necessità attuali dei nostri porti. Dev’essere respinta.
Questo mese è toccato alla direttiva sui servizi portuali e il mese prossimo toccherà alla direttiva Bolkestein. Quand’è che cominceremo ad ascoltare i cittadini europei?
Richard Corbett (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato contro questa proposta di direttiva e plaudo alla bocciatura da parte del Parlamento, che dimostra che il sistema dei controlli e degli equilibri nell’ambito del sistema istituzionale comunitario effettivamente funziona. Se non esistesse il Parlamento europeo eletto dal popolo ci sarebbe stato il grosso rischio che la Commissione e i ministri nazionali del Consiglio, se lasciati ai loro artifici, approvassero questa legge inopportuna.
Paolo Costa (ALDE), per iscritto. – (EN) Il gruppo ALDE reputa che i servizi portuali debbano essere regolati da un quadro legislativo comunitario che tenga conto delle loro specifiche condizioni. Un quadro siffatto deve permettere ai fornitori di servizi l’accesso equo alle attività portuali e rappresenterebbe una risorsa per lo sviluppo dei porti. Inoltre questo sarebbe il momento opportuno per vagliare il ruolo dell’autorità portuale o il modo di operare del porto.
Oltretutto, è necessario che siano chiarite quanto più è possibile le condizioni di assegnazione degli aiuti di Stato per garantire una concorrenza equa e trasparente fra i porti.
In mancanza di tale quadro, il Trattato troverebbe applicazione di volta in volta a seconda della fattispecie, cosa che porterebbe a una situazione in cui le controversie verrebbero risolte in tribunale – avremmo di fatto un governo dei giudici – e in cui i due rami legislativi dell’Unione passerebbero in secondo piano.
La proposta della Commissione non era abbastanza completa o chiara da ottenere l’appoggio del Parlamento senza modifiche sostanziali.
In seguito alla bocciatura di questa proposta, e per tutti questi motivi, il gruppo ALDE esorta la Commissione ad avviare un ampio giro di consultazioni con…
(Testo abbreviato conformemente all’articolo 163, paragrafo 1, del Regolamento)
Manuel António dos Santos (PSE), per iscritto. – (PT) L’Unione può evolvere e affermarsi solo se si basa su valori come la solidarietà, la non violenza, la legalità e l’energica promozione di un atteggiamento pacifico presso l’opinione pubblica.
Il dibattito parlamentare riguardante la direttiva sull’accesso al mercato dei servizi portuali si è svolto in un’atmosfera carica di violenza e di pressioni indebite che hanno causato danni gravissimi a cose e persone che non potranno mai essere giusticabili.
Coloro che violano la legge e turbano l’ordine pubblico non devono trarre nessun beneficio dalle loro azioni.
Di conseguenza, nonostante il valore intrinseco delle questioni affrontate in questa direttiva e l’equilibrio di interessi sociali che è stato raggiunto, ho scelto di astenermi.
Edite Estrela e Emanuel Jardim Fernandes (PSE), per iscritto. – (PT) Abbiamo votato per la bocciatura della proposta di direttiva, perché crediamo che la liberalizzazione sfrenata dell’accesso al mercato dei servizi pubblici causerà gravi problemi per la sicurezza e la sanità pubblica e ostacolerà la prestazione garantita e la sostenibilità del servizio – un servizio pubblico, non dimentichiamolo – comportando in tal modo una riduzione della sua efficienza.
Tre anni dopo la prima proposta della Commissione in questo campo, che all’epoca venne respinta, ci troviamo un’altra volta a discutere una proposta di risoluzione che è stata bocciata dalla commissione competente. Questa bocciatura manda al Parlamento un chiaro messaggio: non può essere giudicato positivamente alcun testo suscettibile di dar luogo a una serie di incongruenze di natura legale rispetto al quadro giuridico internazionale vigente e al diritto comunitario applicabile – per esempio, il regolamento (CEE) n. 1191/69 relativo agli obblighi inerenti alla nozione di servizio pubblico – e che comporti la totale liberalizzazione dei servizi di autoproduzione.
Questo messaggio effettivamente va oltre e dimostra con chiarezza che una proposta applicabile a porti sostanzialmente diversi – in cui la liberalizzazione forzata può portare alla creazione di monopoli economicamente dannosi – e che comporta infine gravissime conseguenze sociali non può essere approvata, realisticamente parlando, dai rappresentanti dei popoli europei.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) La direttiva della Commissione europea sulla liberalizzazione dei servizi portuali è, né più né meno, una direttiva Bolkestein applicata ai porti che è stata riproposta al Parlamento, pur essendo stata respinta qualche mese fa nella sua versione precedente, pressoché identica a questa. Come la direttiva Bolkestein, questo testo organizza il dumping sociale sul territorio stesso dell’Unione, minaccia i posti di lavoro e non fornisce garanzie di alcun tipo né in termini di competitività, di crescita, di efficienza o di sicurezza. Non è altro che un esercizio di “liberalizzazione” in nome di una forma di concorrenza considerata sacrosanta, senz’alcun riguardo per le sue reali conseguenze.
E’ indubbio che i porti europei non sono competitivi come vorremmo. E’ indubbio che dobbiamo alleggerire la congestione delle vie di trasporto terrestri e che ci sarebbero tante cose da dire su certi monopoli sindacali e sui loro abusi. Tuttavia, non risolveremo questi problemi cancellando i posti di lavoro, proponendo testi ideologici non supportati da studi d’impatto o aprendo le nostre economie alla concorrenza sleale internazionale.
Il nostro obiettivo principale dev’essere la difesa dei posti di lavoro in Europa per i lavoratori europei e, per noi del Front National, la difesa dei posti di lavoro in Francia per i lavoratori francesi. Abbiamo quindi deciso di respingere il testo senza possibilità di appello.
Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La direttiva sui servizi portuali costituisce un esempio di legislazione comunitaria superflua. Abbiamo votato contro la relazione e raccomandato la bocciatura della proposta della Commissione, scegliendo di appoggiare quegli emendamenti intesi a limitare la portata della direttiva. Pertanto abbiamo votato a favore di proposte tese ad escludere dall’ambito della direttiva i servizi di pilotaggio e di autoproduzione. Siamo contrari alla direttiva sui servizi portuali per una serie di motivi.
– La direttiva sui servizi portuali non tiene conto né del principio di sussidiarietà né di quello di proporzionalità. Decisioni politiche sul pilotaggio, sullo scarico e sull’autoproduzione vanno prese a livello nazionale.
– In base alla proposta di direttiva, i dipendenti che svolgono gli stessi lavori possono appartenere a sindacati diversi. In questo modo, si spiana la strada agli scioperi e si compromettono i rapporti pacifici e corretti nell’ambito dell’attività.
– La direttiva sui servizi portuali difficilmente promuoverà la concorrenza. I porti sono imprese che competono l’una con l’altra. Questa direttiva rappresenta un tentativo di costringerli ad accettare una situazione in cui altre imprese possono accollarsi parte delle loro attività senza il loro consenso. E’ assurdo. Nessuno proporrebbe l’idea di costringere la Volvo ad accettare dei subappaltatori contro la sua volontà.
La concorrenza tra imprese portuali è una buona cosa e porta a soluzioni di maggior efficienza. Se una grande impresa di un altro settore non è efficiente e non gode del favore dei clienti viene estromessa dagli affari. Questo è anche il modo in cui vanno le cose nelle imprese portuali europee.
Louis Grech (PSE), per iscritto. – (MT) Questa è una direttiva che impone regolamenti e controlli che non sono né necessari né voluti.
La direttiva proposta mette a repentaglio i mezzi di sussistenza dei lavoratori portuali di molti paesi, tra cui Malta. Si tratta di una questione che per noi è d’importanza fondamentale. La direttiva, così com’è stata redatta, riduce la qualità dei servizi e i livelli di sicurezza e accresce le minacce agli investimenti che sono già stati fatti o che devono ancora essere effettuati per migliorare le infrastrutture dei porti.
Contrariamente a quanto affermato da alcuni Commissari, la direttiva non creerà nuovi mercati, non renderà la concorrenza più equa e tanto meno creerà nuove opportunità per i lavoratori. Anzi si ripercuoterà negativamente non solo su chi lavora nei porti, ma anche su altri settori dell’economia.
Dobbiamo renderci conto che, con l’allargamento dell’Unione, è aumentata l’eterogeneità degli Stati membri e, pertanto, occorre fare attenzione, quando legiferiamo, a non mettere tutti i paesi nella stessa barca e presumere che ciò che vale per un paese valga per tutti.
Dunque, solidale con i lavoratori di Malta e di tanti altri paesi, voterò contro questa direttiva che comporta svantaggi per i lavoratori e che fondamentalmente crea più problemi di quanti non ne risolva.
Françoise Grossetête (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato contro la bocciatura del testo. In effetti, mi sarebbe piaciuto avere l’opportunità di esprimere il mio giudizio sul testo emendato.
Gli emendamenti proposti ci avrebbero permesso di aiutare i porti europei a venire incontro alle esigenze della concorrenza mondiale.
L’emozione del momento ha prevalso sul futuro dei porti.
Vorrei sottolineare la condotta inaccettabile dei lavoratori portuali. Non avremmo mai voluto vedere attaccare un parlamento nazionale com’è stato attaccato ieri il Parlamento europeo. Scagliando pietre e brandendo spranghe di ferro e altri strumenti, i portuali hanno dato la colpa al Parlamento, che è invece l’Istituzione europea che difende maggiormente i lavoratori.
Pertanto condanno i loro sotterfugi. Pur condividendo le loro preoccupazioni su alcuni aspetti, non cederò mai alla violenza usata come espediente per esercitare pressioni. In questo caso si tratta d’un attentato alla democrazia.
E’ certo inconcepibile che nei nostri porti possa lavorare personale non qualificato. Tuttavia, non possiamo sempre insistere sullo sviluppo economico, sulla competitività e sul progresso sociale se non ci dotiamo delle risorse per intervenire in questi settori. Occorre assolutamente che i porti di Amburgo, Marsiglia e Anversa offrano servizi perlomeno appetibili come quelli offerti nei porti asiatici. Ne va della loro sopravvivenza.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La nostra proposta di bocciare la direttiva sui servizi portuali è stata – sono lieto di dirlo – approvata.
Per la seconda volta sono falliti i tentativi di liberalizzare i servizi portuali grazie a una significativa mobilitazione dei lavoratori del settore che, fin dall’inizio, hanno lottato contro questo nuovo furioso assalto al lavoro tutelato. Questo è stato anche un tentativo di consegnare un settore così importante per lo sviluppo nazionale nelle mani dei grandi armatori, aggravando in tal modo il conflitto con le maestranze.
Dobbiamo restare all’erta, tuttavia, contro qualsiasi nuovo tentativo che possa essere fatto a livello comunitario per ripresentare una proposta che è stata ora respinta per la seconda volta. Occorre lottare risolutamente contro qualsiasi sforzo volto a privatizzare i servizi portuali, mediante l’inclusione del settore nell’inammissibile proposta di direttiva sul mercato dei servizi interni o, mediante una nuova subdola presentazione delle proposte sul trasporto marittimo intracomunitario.
Come i lavoratori hanno sottolineato, non c’è niente che possa giustificare una direttiva comunitaria nel settore.
A questo punto, la vittoria dei lavoratori portuali va festeggiata. E’ una vittoria che s’inserisce nella lotta dei lavoratori in vari paesi contro le politiche neoliberiste dell’Unione, le quali assecondano gli interessi dei grandi gruppi economico-finanziari, attaccano i diritti dei lavoratori e minano il settore pubblico nazionale e i servizi.
Jeanine Hennis-Plasschaert (ALDE), per iscritto. – (EN) I servizi portuali devono essere regolati mediante un quadro legislativo rispettoso della loro specificità. La normativa comunitaria infatti permetterebbe un accesso equo alle attività portuali. Inoltre, per agevolare lo sviluppo dei porti europei, è necessaria una politica integrata. Questo sarebbe anche il momento opportuno per considerare adeguatamente il ruolo dell’ente di gestione e delle modalità operative del porto.
E’ poi essenziale che si chiariscano nel limite del possibile le norme sugli aiuti di Stato per garantire una concorrenza equa e trasparente fra i porti europei. Non è possibile prendere sempre decisioni caso per caso; in questo modo si verrebbe a creare una disciplina fatta dai giudici e quindi un ridimensionamento dei due corpi legislativi dell’Unione.
La proposta della Commissione non era abbastanza completa per ottenere appoggio. In seguito alla bocciatura della proposta, e per tutti questi motivi, esorto la Commissione ad avviare un vasto giro di consultazioni con tutte le parti interessate, dando voce anche a quelle che rappresentano la domanda e che finora sono state trascurate, e a proporre, alla prima occasione, un ambizioso Libro bianco sulla politica dei porti marittimi europei nel loro complesso.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ho votato contro la relazione e contro la direttiva, proprio come avevo fatto la prima volta in cui ci è stata presentata la proposta. La proprietà e i dirigenti dei porti non volevano la direttiva. Non la volevano neppure i dipendenti e i sindacati.
Mi compiaccio che i deputati al Parlamento abbiano nuovamente respinto la proposta e spero che stavolta la Commissione ascolti la nostra voce democratica e non tenti di reintrodurre i suoi progetti inopportuni.
Anne E. Jensen (ALDE), per iscritto. – (DA) I deputati al Parlamento europeo del Partito liberale danese hanno votato a favore del primo emendamento, raccomandando la bocciatura della proposta della Commissione, perché è impossibile conseguire risultati soddisfacenti a fronte di un testo simile. Occorre una direttiva sui servizi portuali, ma non come quella proposta dalla Commissione. Il processo legislativo in questo campo deve quindi ripartire daccapo.
Carl Lang (NI), per iscritto. – (FR) Tagli all’occupazione, dumping salariale e sociale, riduzione degli standard di sicurezza e delle qualifiche professionali: ecco cosa ci propone la Commissione europea nella terza versione di direttiva sulla liberalizzazione dei servizi portuali.
I lavoratori portuali di tutta Europa, che hanno manifestato a migliaia nel novembre 2003 per denunciare questi misfatti, non sono riusciti a far intendere ragioni all’Esecutivo. L’ultraliberismo antinazionale e antisociale acclamato dalla Commissione non ammette eccezioni: sulla scia della tattica usata per il progetto di Costituzione europea, peraltro bocciato con i referendum di Francia e Olanda, permane sempre una volontà onnipresente da parte di Bruxelles di reinserire la direttiva sui servizi portuali nell’agenda europea.
Vera e propria “sorella minore” della direttiva Bolkestein, la direttiva sulla liberalizzazione dei servizi portuali ha il solo obiettivo di contrapporre i lavoratori l’uno contro l’altro impiegando manodopera straniera e scarsamente qualificata a bordo di navi che troppo spesso battono bandiere ombra, e ciò a scapito dei lavoratori nazionali.
Dopo avere attaccato i nostri servizi pubblici e i nostri settori del tessile, del carbone e della siderurgia, questi talebani del libero scambio stanno attaccando i lavoratori portuali tentando d’imporre la loro filosofia antinazionale che consiste nel dare priorità nel mercato dell’occupazione ai lavoratori stranieri. Come sempre, da parte sua, il Front National è favorevole alla tutela dei posti di lavoro francesi.
Marine Le Pen (NI), per iscritto. – (FR) Porti di comodo: è questo, né più né meno, ciò che la Commissione ci propone con la direttiva sulla liberalizzazione dei servizi portuali. Noi non vogliamo avere niente a che fare con i porti di comodo, come non vogliamo avere a che fare con le bandiere ombra, usate da armatori senza scrupoli per assumere manodopera scarsamente qualificata e sottopagata.
La liberalizzazione voluta ad ogni costo da Bruxelles in questo settore è sinonimo di disoccupazione e miseria sociale. Nel nome della sua ideologia ultraliberista e antinazionale, la Commissione ci annuncia una riduzione delle spese a scapito della sicurezza, dell’impiego e della qualità dei servizi. Smantellare il monopolio da cui traggono beneficio i lavoratori portuali non porterà solamente all’ennesimo cimitero sociale, ma anche all’insicurezza nei porti europei, rendendoli alla fine meno competitivi.
Nel novembre 2003, grazie alla formidabile mobilitazione dei lavoratori e degli agenti portuali di tutta Europa, questa direttiva “Bolkestein bis” è stata fatta deragliare, impedendo che una professione ingiustamente stigmatizzata si aprisse a beneficio di lavoratori scarsamente qualificati provenienti dai paesi in via di sviluppo.
Una volta di più viene sostenuta la preferenza ai lavoratori stranieri e, con essa, la fine della professionalità, della capacità, delle tradizioni e dei benefici sociali.
Fernand Le Rachinel (NI), per iscritto. – (FR) Se c’è un tema che scalda gli animi in seno alle Istituzioni europee e provoca reazioni negli Stati membri, è proprio quello della liberalizzazione dei servizi portuali. Nel 2003 la Commissione europea era riuscita nell’impresa di fare scendere in piazza migliaia di lavoratori portuali per lo più francesi, britannici, tedeschi, belgi e olandesi per manifestare, talvolta violentemente, contro un progetto di direttiva che avrebbe messo a repentaglio il loro status e che avrebbe condotto inevitabilmente a una massiccia perdita di posti di lavoro nella loro professione.
In effetti l’aspetto più controverso era quello dell’autoproduzione, ovvero l’opportunità concessa agli armatori di farsi carico direttamente, avvalendosi del proprio personale e della propria attrezzatura, di alcuni servizi che finora erano di competenza esclusiva dei lavoratori portuali.
Il documento che ci è stato proposto oggi non ha abbandonato il principio dell’autoproduzione, lasciando così spalancata la porta a chiunque voglia intraprendere le attività di carico, pilotaggio, rimorchio e ormeggio e permettendo ad armatori senza scrupoli che speculano su navi-bara di ricorrere a personale scarsamente qualificato e sottopagato.
A prescindere dall’obiettivo perseguito, non si deve costruire l’Europa a scapito delle norme di sicurezza e delle qualifiche professionali. Dalle loro confortevoli torri d’avorio i leader europei dovranno riprovarci, escogitando qualcosa di meglio o accantonare la loro proposta.
Jörg Leichtfried (PSE), per iscritto. – (DE) Trovo del tutto incomprensibile che la Commissione europea, a circa un anno dalla bocciatura della sua prima proposta di direttiva sull’accesso al mercato dei servizi portuali, il 13 ottobre 2004, poco prima della scadenza del suo mandato all’epoca, possa presentare una nuova proposta di direttiva che non solo contiene disposizioni decisamente più rigide, ma conserva pure le stesse norme di base che hanno determinato l’affossamento del testo precedente. Credo che la direttiva proposta si allontani dal modello finora accettato per la politica europea in tema di concorrenza, che era teso a garantire una concorrenza praticabile e che consentiva interventi normativi motivati in un mercato o in singoli segmenti di mercato solo se le condizioni strutturali del mercato stesso o i tentativi da parte di chi vi opera di limitare la concorrenza interferivano sull’efficienza economica.
Mi conforta l’esito di questo dibattito e pure l’effetto manifesto delle diffuse proteste – pur condannando energicamente, beninteso, gli atti violenti perpetrati a Strasburgo – perché la direttiva proposta costituisce un intervento sulla concorrenza nell’ambito dei servizi di carico nei porti, benché non serva alcun intervento sulla struttura del mercato, sul modo in cui funziona o sui suoi risultati.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato la bocciatura della direttiva sui servizi portuali perché penso che debbano essere gli Stati a disciplinare il funzionamento dei loro porti, a condizione che questi ultimi siano in linea con le norme europee sulla concorrenza e sugli aiuti di Stato.
Jean-Claude Martinez (NI), per iscritto. – (FR) Per vent’anni le ondate dell’ultraliberismo e del libero scambio incontrollato si sono abbattute con furia distruttrice sulle nostre miniere di carbone e sulle nostre acciaierie, sulle industrie del tessile, del cuoio, delle macchine utensili, degli elettrodomestici e dell’automobile. Hanno devastato i nostri porti di pescherecci, le fattorie, gli allevamenti di ovini, di bovini e di pollame, i vigneti del Languedoc-Roussillon, i bananeti delle Indie Occidentali e le piantagioni nell’Isola della Riunione, privando improvvisamente della protezione sociale le donne, gli uomini e i lavoratori di entrambi i sessi del nostro paese. Questa ondata distruttrice alla fine si è infranta contro la volontà del popolo francese, espressa in occasione del referendum del 29 maggio 2005.
La gente non vuole assistere ad un ulteriore smantellamento delle forme di protezione sociale, né vuole continuare ad assistere alla preferenza accordata all’ignobile sfruttamento dei “lavoratori” stranieri stabilito dalla direttiva Bolkestein e dalla sua sorella minore, la direttiva sui servizi portuali.
Quest’oggi, mercoledì 18 gennaio 2006, i deputati al Parlamento europeo del Front National sono riusciti a formare una maggioranza per impedire che per la seconda volta i lavoratori portuali europei, gli ormeggiatori o qualunque categoria di personale responsabile dello stivaggio e di ogni altra attività portuale fossero sacrificati in Europa a solo vantaggio delle multinazionali che dominano il trasporto marittimo.
Seán Ó Neachtain (UEN), per iscritto. – (EN) Riguardo al testo della Commissione che stiamo esaminando, condivido le preoccupazioni di molti operatori irlandesi che hanno inoltrato proteste al proprio governo, preoccupazioni che sono condivise anche da molti altri Stati membri. Il problema principale è costituito dal fatto che la Commissione sta proponendo l’introduzione di norme giuridiche che potrebbero collidere negativamente con le competenze di carattere fondamentalmente commerciale dei principali porti interessati dalla proposta di direttiva. Pertanto, la praticabilità della proposta della Commissione di istituire l’autorizzazione obbligatoria per tutte le attività portuali interne è discutibile.
Per quanto riguarda i porti marittimi irlandesi, l’indagine condotta dal governo – la revisione ad alto livello dei porti marittimi – ha dimostrato che c’è una forte concorrenza nel mercato dei servizi portuali interni. Infatti il modello “landlord”, o di porto di ormeggio, sta funzionando perfettamente nei porti più importanti: in linea generale la fornitura dei servizi interni si svolge su base concorrenziale e non vi sono operatori dominanti. Questo assetto si è rivelato un fattore importante per agevolare il coinvolgimento del settore privato nella prestazione dei servizi portuali.
L’indagine ha anche messo in luce l’alto livello di concorrenza per le rotte del Mar d’Irlanda e tra le stesse. Considerato che si tratta di un’isola, il fatto che ci sia una maggiore concorrenza tra i porti è d’importanza vitale, ma i tentativi futuri di elaborare una politica portuale europea dovranno avere l’appoggio del settore.
Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Ho votato contro la relazione sulla liberalizzazione dei servizi portuali perché, anziché aumentare la trasparenza degli investimenti e degli aiuti di Stato, si preoccupa di incrementare la concorrenza tra i porti europei. Le imprese private, tramite un sistema di gare d’appalto, potranno impiegare i propri equipaggi nei porti mentre i lavoratori portuali fissi perderanno il posto. La proposta relativa all’“autoproduzione” è assolutamente inaccettabile.
C’è già abbastanza concorrenza tra i nostri porti che, va osservato, sono anche tra i più convenienti del mondo. Un’ulteriore riduzione dei prezzi e un incremento della concorrenza avranno conseguenze negative sia per le misure di sicurezza che per la tutela ambientale.
Peter Skinner (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato contro la relazione, perché contiene disposizioni che hanno effetti dannosi sulle attività commerciali dei porti e inoltre interferiscono con la salute e la sicurezza dei lavoratori portuali.
Non sono persuaso che ci si dovesse occupare di tali questioni.
Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Questo pacchetto è stato sonoramente bocciato da porti, sindacati e altri organismi della Scozia che, essendo una nazione marittima, dispone già di servizi portuali efficienti. Inoltre il modello concorrenziale che la Commissione intende creare con questo pacchetto non è adeguato alle esigenze della Scozia né, credo, a quelle dell’intera Europa. Le manifestazioni di protesta cui abbiamo assistito all’inizio di questa settimana sono state guastate dalla vergognosa violenza di una minoranza, ma il bello è che i dimostranti stavano protestando contro un’Istituzione comunitaria che sostiene la loro causa. Sono contento che oggi abbiamo respinto i tentativi della Commissione e spero quindi che d’ora in avanti essa vorrà accettare il nostro punto di vista sulla questione.
Dominique Vlasto (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore del rinvio del testo alla commissione parlamentare per i trasporti e il turismo. In questo modo, sarebbe stato infatti possibile rielaborare il documento apportando nuovi emendamenti, consultare nuovamente le varie categorie professionali – armatori, piloti, ormeggiatori, addetti all’alaggio e allo scarico delle merci – e chiedere alla Commissione europea il ritiro del testo, il tutto in un clima sereno.
Ho votato contro la bocciatura della proposta di direttiva, in primo luogo perché la proposta, con gli emendamenti che sono stati presentati, avrebbe costituito una buona base per il lavoro del Parlamento, dal momento che eravamo solo alla prima lettura. Molti professionisti vogliono un quadro regolamentare e occorrono norme europee per assicurare una concorrenza equa, per favorire gli investimenti nei porti e per garantire certezza giuridica in questo settore.
Non intendevo comunque sostenere la posizione della sinistra che, bocciando il testo, ha provocato l’affossamento di emendamenti che avrebbero fornito garanzie in materia di sicurezza marittima, formazione e normativa sociale.
Infine, rifiuto di cedere alle pressioni esercitate dai lavoratori portuali. La loro dimostrazione di lunedì è stata inaccettabile e ha provocato almeno 12 feriti e danni per un totale di 300 000 euro a Strasburgo. Mi dispiace davvero che oggi si possa dire che i deputati al Parlamento si sono arresi di fronte ai lavoratori portuali.
Corien Wortmann-Kool (PPE-DE), per iscritto. – (NL) Ho votato a favore della bocciatura della direttiva perché ci è stata data solamente la possibilità di votare a favore o contro la proposta originaria della Commissione. Questa proposta in merito alla nuova direttiva sui porti lascia molto a desiderare in parecchi punti. Benché l’onorevole Jarzembowski abbia presentato un pacchetto di emendamenti valido e concreto, l’appoggio a questi emendamenti era insufficiente. Poiché non abbiamo altra scelta se non quella di portare avanti il dibattito sulla politica dei porti in senso lato, ho sollecitato il Commissario Barrot affinché proponesse un documento per la discussione su cui sia veramente possibile – si spera – lavorare con impegno.
Karin Scheele (PSE). – (DE) Signor Presidente, ho fatto parte della delegazione che a settembre ha seguito le elezioni in Afghanistan e già allora avevamo affermato che a fronte delle ingenti somme di denaro che l’Unione, tra gli altri, stava investendo in Afghanistan nella cooperazione allo sviluppo sarebbe stato opportuno creare una delegazione parlamentare speciale, e penso che sia estremamente importante il fatto che ne abbiamo istituita una con la risoluzione da noi adottata oggi. Uno dei compiti che credo spetti a questo gruppo di deputati sarà monitorare gli obiettivi politici dell’Unione in Afghanistan, in particolare gli sviluppi nel campo dei diritti umani e dei diritti delle donne.
Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) Sosteniamo l’evoluzione dell’Afghanistan verso la pace, la stabilità e la democrazia, che ha preso avvio dopo la caduta del regime talebano. Tuttavia guardiamo con preoccupazione al sempre più evidente ruolo militare svolto dall’Unione europea nel paese.
L’Afghanistan non si trova nelle immediate vicinanze dell’Unione, cui non spetta pertanto neppure il compito di mantenere un presidio militare. Questo è piuttosto il compito dei singoli paesi o di organizzazioni di difesa che agiscono su mandato delle Nazioni Unite e che quindi si avvalgono di basi più solide per intraprendere azioni militari nelle varie zone del mondo ad alto rischio.
Alla luce di queste premesse ci asterremo dal voto finale sulla risoluzione, ma sosteniamo le proposte relative alla tutela dei diritti umani.
Tobias Pflüger (GUE/NGL), per iscritto. – (DE) L’aspetto più sconcertante di questa risoluzione comune del Parlamento sull’Afghanistan è il fatto che non contiene nemmeno una parola di biasimo nei confronti delle operazioni militari dell’Occidente. Al contrario, approva l’operazione della FIAS, la “Forza internazionale di assistenza alla sicurezza” NATO, e la cosiddetta “guerra al terrorismo” mediante l’operazione “Enduring Freedom” – OEF. Non basta certo che i Verdi si limitino a chiedere la separazione delle strutture di comando della FIAS e dell’OEF, dal momento che, nelle operazioni in loco, la FIAS e l’OEF sono inscindibili.
L’ampliamento della missione della FIAS nell’Afghanistan meridionale, in quella che è con tutta evidenza una zona di guerra, comporterà un coinvolgimento sempre maggiore nel conflitto e peggiorerà le cose. La consistente presenza di forze militari europee in Afghanistan avrà l’effetto di alleggerire la pressione sull’esercito statunitense e conseguentemente sulle forze di occupazione in Iraq.
E’ altresì necessario chiudere prima di tutto le basi militari che rendono possibile una presenza armata in Afghanistan, soprattutto quella tedesca di Termez in Uzbekistan, dalla quale passano tutte le truppe di stanza in Afghanistan. Ciò che rende scandalosa la collaborazione con l’Uzbekistan è il fatto che il paese è governato da un regime autoritario che è responsabile, in particolare, della strage di Andijan. Da lungo tempo si attende invano la chiusura delle basi militari in Afghanistan anche in seguito all’ultima violazione del diritto internazionale, ovvero il bombardamento di un villaggio in Pakistan da parte di unità della CIA.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Con la presente dichiarazione di voto vorrei precisare che in linea di massima condivido la soddisfazione del Parlamento in merito al processo di democratizzazione svoltosi in questi ultimi anni. Sono ormai lontani i giorni del regime talebano, con i raccapriccianti abusi e le violazioni alle norme e ai principi più elementari dei diritti umani. Benché resti ancora molto da fare, l’Afghanistan di oggi è certamente un posto migliore di quanto lo fosse nei decenni precedenti.
Nonostante questa manifestazione di compiacimento, sono due gli aspetti che non devono essere trascurati. Da una parte, come hanno affermato gli oratori precedenti, in Afghanistan rimane ancora molto da fare a vari livelli. Dall’altra, la comunità internazionale e, non ultima, l’Unione e i suoi Stati membri, devono continuare a fornire assistenza concreta, sia dal punto di vista materiale che da quello umano, nella piena consapevolezza che il processo richiede molto tempo ma che, come abbiamo visto, è altresì incoraggiante.
Esko Seppänen e Jonas Sjöstedt (GUE/NGL), per iscritto. – (EN) Ci siamo astenuti dal voto finale in merito alla risoluzione sull’Afghanistan.
Eravamo contro l’invasione statunitense dell’Afghanistan e chiediamo il ritiro dell’esercito di coalizione guidato dagli Stati Uniti.
Reputiamo che le forze della FIAS – la Forza internazionale di assistenza alla sicurezza – debbano essere costituite da paesi che non hanno preso parte alla coalizione USA e principalmente da paesi musulmani, al fine di agevolare la comunicazione con il popolo afghano e la comprensione dei suoi problemi.
Le forze di pace della FIAS devono prendere ordini direttamente dalle Nazioni Unite ed essere indipendenti dalla NATO.
Nella risoluzione, tuttavia, notiamo anche molti punti importanti relativi alla necessità di sviluppare la democrazia, migliorare le condizioni di vita del popolo e l’uguaglianza tra i sessi, nonché alla necessità di rafforzare il regime di aiuti allo sviluppo per l’Afghanistan.
Per concludere, abbiamo pertanto deciso di astenerci dal voto finale.
Eija-Riitta Korhola (PPE-DE). – (FI) Signor Presidente, sono totalmente contraria alla discriminazione contro gli omosessuali. Ciononostante, mi dispiace che il titolo della relazione si sia rivelato del tutto insoddisfacente e che sia stato necessario astenersi su alcuni punti.
Se qui dobbiamo parlare di un vero problema, quello della discriminazione, perchè mai usare una parola come omofobia, che è un termine assolutamente inadeguato utilizzato in psicologia? Le fobie sono diversi tipi di ansie, sono paure considerate disturbi nevrotici. E’ necessaria una terapia per curarle: non possono essere trattate con il controllo politico, così come non possono esserlo la claustrofobia o l’aracnofobia. Vere e proprie fobie spesso si sviluppano per qualche evento successo durante l’infanzia, in maniera del tutto giustificata. Temo che, iniziando a mettere la gente sotto processo per le loro sensazioni o le loro fobie, creeremo solo una nuova forma di discriminazione e di manipolazione.
Romano Maria La Russa (UEN). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, deploro le modalità con cui si è giunti all’elaborazione di una risoluzione comune. Ritengo inammissibile che i negoziati siano stati colpevolmente condotti in silenzio, senza il coinvolgimento del gruppo che rappresento. Naturalmente, so bene che tutti i gruppi politici sono uguali ma evidentemente alcuni sono più “uguali” di altri.
Il mio gruppo crede fermamente che in democrazia non si debba dare spazio a soprusi o a discriminazioni sulla base del sesso, della razza e della religione. Tuttavia, ho ritenuto doveroso respingere una risoluzione che non mi appartiene e che presenta soprattutto paragrafi, a mio giudizio, poco coerenti con le finalità del documento stesso.
Leggo che gli omosessuali dovrebbero essere pienamente riconosciuti come vittime del regime nazista: ci mancherebbe altro, certamente! Ma con questo si vuol dire che altre persecuzioni sono state forse meno gravi? Dimentichiamo le crudeltà subite durante i regimi comunisti e non soltanto? Fermo restando che la libertà di espressione di manifestazioni della propria sessualità debba essere garantita, ritengo che essa debba avvenire sempre nel rispetto dei valori e dei principi che contraddistinguono le nostre società.
La famiglia prevede da sempre un padre e una madre, un maschio e una femmina, e non credo che l’UE, con la promozione di campagne contro ipotetiche discriminazioni, possa arrogarsi il diritto di scavalcare i governi nazionali, solamente per assecondare i desideri di alcune lobby non proprio nobili. In tema di valori, cultura e famiglia, l’Unione europea non può agire come in materia di mercato unico, invitando gli Stati membri a legalizzare unioni omosessuali all’insegna dell’uniformità e di un falso garantismo, rischiando di minare, al contrario, il sistema di valori alla base della nostra società millenaria.
Francesco Enrico Speroni (IND/DEM). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato contro la risoluzione e su questo tema debbo dar ragione al Ministro Tremaglia, il quale aveva già affermato che in Europa i “culattoni”, o quanto meno coloro che li sostengono, hanno la maggioranza.
Tuttavia, tutti gli amanti del politicamente corretto, tra cui io mi onoro di non annoverarmi, dovrebbero anche pensare al linguisticamente corretto: “omofobia” è il contrario di “xenofobia”. Il Parlamento europeo non accetta gli xenofobi, non accetta gli omofobi: il cittadino, allora, cosa deve essere?
Jean-Pierre Audy (PPE-DE) , per iscritto. – (FR) Ho votato contro la proposta di risoluzione sull’omofobia in Europa perché trovo riduttivo che la lotta all’omofobia sia considerata soprattutto una lotta alle forme di discriminazione basate sull’orientamento sessuale. Questa confusione tra omofobia, definita come “la paura dei propri simili”, e l’avversione per l’omosessualità genera malintesi. Tralasciando le questioni relative al matrimonio e ai figli, sulle quali una riflessione politica e le richieste della società devono poter maturare parallelamente, sono naturalmente a favore della lotta a tutte le forme di discriminazione fondata sull’orientamento sessuale, ma ritengo che il problema della disuguaglianza di trattamento degli esseri umani e la paura dei nostri simili meritino qualcosa in più di questa risoluzione.
Johannes Blokland (IND/DEM), per iscritto. – (NL) La delegazione olandese del gruppo Indipendenza/Democrazia intende appoggiare la risoluzione sull’omofobia presentata dal gruppo “Unione per l’Europa delle nazioni”, mentre non voterà a favore di quelle presentate dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, dal gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, dal gruppo Verde/Alleanza libera europea e dal gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica, e neppure a favore della proposta di risoluzione comune sull’omofobia nell’Unione europea.
La delegazione olandese è in grado di appoggiare la risoluzione del gruppo UEN perché solo in quel documento si afferma chiaramente che le misure politiche nel campo della discriminazione rientrano nella sfera di competenza degli Stati membri. Questo è un caso in cui occorre applicare il principio di sussidiarietà.
Inoltre, vorremmo aggiungere che condanniamo l’incitamento all’odio nei confronti degli omosessuali e all’esercizio della violenza per motivi legati all’orientamento sessuale delle persone.
Crediamo che l’attuazione di politiche tese a impedire la discriminazione per motivi di credo, razza o orientamento sessuale rientri nelle competenze degli Stati membri. Le risoluzioni dei diversi gruppi non tengono conto di questo principio rivolgendo l’attenzione alla situazione politica in alcuni Stati membri.
Marie-Arlette Carlotti (PSE), per iscritto. – (FR) I paesi europei sembrano essere vittime di una preoccupante omofobia contagiosa.
E’ un’omofobia tanto più scioccante perché le persone non sembrano più considerarla un problema e perché imperversa dappertutto, nella violenza fisica o verbale, nel persistere delle discriminazioni e nell’introduzione di nuove leggi; il parlamento lettone, ad esempio, ha presentato un emendamento alla costituzione per proibire i matrimoni tra persone dello stesso sesso.
Sia essa mascherata o data per scontata, l’omofobia non deve trovare posto nell’Unione europea.
La non discriminazione è sancita dai testi fondamentali (Trattati, Convenzione europea sui diritti dell’uomo e Carta dei diritti fondamentali).
Dovrebbe essere così anche nella pratica.
E’ motivo di grande onore per il Parlamento europeo essere sempre stato alla testa di questa lotta. Esso, infatti, si è impegnato a promuovere i diritti delle persone e a ridurre la discriminazione (febbraio 1994, settembre 1996, luglio 2001, giugno 2005).
Oggi deve farlo ancora.
E’ l’ambizione di questa risoluzione, che non è ambigua nel condannare la discriminazione in tutte le sue forme. Si basa sul desiderio di cambiamento, chiedendo di completare il pacchetto di misure antidiscriminazione in base all’articolo 13 del Trattato, e di pubblicare una comunicazione sugli ostacoli alla libera circolazione delle coppie omosessuali il cui legame ha riconoscimento giuridico nell’UE.
E’ un segnale politico chiaro e necessario. Voterò a favore del documento con determinazione e convinzione.
Jean Lambert (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore la votazione odierna su questo tema e, in particolare, il chiaro impegno del Parlamento a trattare le coppie omosessuali con rispetto e su un piano di parità.
Peccato che il Parlamento sia restio a raccontare quanto succede negli Stati membri. Sappiamo che ciò che il Parlamento fa e dice ha una certa influenza sull’opinione pubblica.
Gli ultimi avvenimenti e le recenti dichiarazioni in Polonia, nonché i dibattiti parlamentari in Lettonia e Lituania sono stati, a mio avviso, vergognosi. In alcuni dibattiti è stato espresso addirittura odio. Questo tipo di comportamento è contrario alle Convenzioni del Consiglio d’Europa e ai Trattati dell’UE, e il Parlamento europeo dovrebbe essere abbastanza coraggioso da denunciarlo apertamente e opporvisi.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Condivido i timori espressi in questa proposta di risoluzione, così come in altre precedentemente discusse in Assemblea, in particolare per quanto riguarda una serie di principi con cui mi identifico e che difendo. Tutte le forme di odio vanno respinte, e tutte le forme di discriminazione devono essere combattute dinanzi alla legge.
Questa risoluzione, tuttavia, contiene una serie di proposte che, credo, si spingano al di là di quello che penso debba essere l’ambito del Parlamento e che, a mio avviso, invadono la sfera di competenza normalmente attribuita ai singoli paesi. Alcuni gruppi politici hanno la tendenza, che non condivido affatto, di cercare di fare approvare dalle Istituzioni europee ciò che è stato respinto nei loro Stati membri di appartenenza. Lo ritengo deplorevole.
Per concludere vorrei ricordare che le fobie, come espressione di disturbi comportamentali, non si combattono sul piano legislativo né a livello parlamentare.
José Ribeiro e Castro (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Siamo contrari a tutte le forme di discriminazione e di violenza. E’ inequivocabile: non ci può essere alcuna eccezione al rispetto dovuto.
Detto questo, non si deve confondere con “l’omofobia” il dibattito libero e democratico in corso negli Stati membri sulle rispettive legislazioni civili, su leggi relative alla famiglia o allo status personale. Ciò vorrebbe dire creare un’atmosfera di eccessiva limitazione e condizionamento intellettuale totalmente incompatibile con una società aperta e democratica. Non si devono confondere le divergenze con “l’omofobia”. E’ sbagliato alimentare o inventare sentimenti di odio e intolleranza. Classificare le differenze come “fobie” è, di per sé, un esempio di estremismo.
Gran parte della risoluzione, in realtà, non coincide con la definizione di “omofobia” che appare nel considerando A, perdendo così di pertinenza e significato.
Inoltre ci sono molte parti in conflitto con il principio di sussidiarietà, un principio guida e fondamento di tutta l’Unione, che potrebbero solo minare il progetto europeo.
Per questo motivo ho votato contro.
Anna Záborská (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Omofobia significa “paura dei propri simili”. Non c’è niente di peggiorativo o malizioso in questo termine. Una fobia è una nevrosi caratterizzata da ansia estrema in presenza della causa che provoca agitazione, e richiede un trattamento adeguato sotto forma di decondizionamento e analisi, e l’uso di farmaci. Ho votato contro questa risoluzione che non parla di omofobia.
Bisogna condannare ogni forma di violenza contro qualsiasi persona. Non esistono categorie diverse di cittadini. Il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza e il rispetto della dignità umana valgono per tutti gli esseri umani. Questi diritti sono garantiti per legge.
Il diritto al rispetto della vita privata e familiare, e alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione sono diritti fondamentali difesi dai trattati internazionali. Gli Stati membri devono rispettare il diritto al matrimonio in base a cui, a partire dall’età in cui si può contrarre matrimonio, l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e creare una famiglia secondo le leggi nazionali su cui si fonda l’esercizio di tale diritto.
L’Unione europea non ha competenze in questi settori e non può giudicare le costituzioni e le leggi nazionali dei propri Stati membri che, essendo tutti firmatari della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, sono responsabili di questi diritti dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.
Eija-Riitta Korhola (PPE-DE). – (FI) Signor Presidente, sono stata personalmente coinvolta nella stesura della risoluzione sul clima e ho partecipato al Vertice di Montreal. Non posso assolutamente considerare positivo il risultato raggiunto al Vertice di Montreal, anche se ora, in nome della correttezza politica, ci sentiamo obbligati ad affermarlo in questa sede. L’obbligo di riduzione delle emissioni riguarderà solo un quarto di tutte le emissioni e quindi ritengo che, dal punto di vista intellettuale, sia alquanto disonesto parlare di risultati. Prima o poi l’UE dovrà smettere di pronunciare queste belle parole e affrontare la realtà. Se tre quarti dei produttori mondiali di gas a effetto serra potranno continuare ad aumentare le proprie emissioni, dovremo riconoscere il fallimento di questa soluzione e iniziare ad adottare altri tipi di misure politiche sul clima. Il fatto che non riusciamo ad ammetterlo sarà forse un problema di orgoglio politico?
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Nel complesso consideriamo positiva la risoluzione presentata a seguito dell’undicesima Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici svoltasi a Montreal, perché sottolinea la volontà delle parti di onorare il Protocollo di Kyoto e deplora la continua riluttanza dell’amministrazione statunitense nell’aderire a qualsiasi forma importante di partenariato sui cambiamenti climatici.
Siamo contrari ad alcuni punti della risoluzione finale e ci rammarichiamo per il mancato inserimento delle nostre proposte. Deploriamo, in particolare, che non sia stata accolta la proposta da noi sottoscritta che sollecitava un’urgente revisione dei meccanismi flessibili prima che il sistema comunitario di scambio di quote di emissione si estenda ad altri settori, quali l’aviazione. Riteniamo necessaria un’analisi che dimostri che l’eventuale estensione contribuirà a combattere i cambiamenti climatici e che i paesi e le regioni più ricche non saranno privilegiati a spese di altri paesi e industrie in via di sviluppo.
Infine, non siamo d’accordo che si insista sul commercio dei diritti di inquinamento, neppure in merito a una valutazione.
Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) I cambiamenti climatici globali rappresentano un problema importante ed esistono buoni motivi per affrontarli a livello internazionale. La Lista di giugno ribadisce la posizione precedentemente presentata, in base a cui il Parlamento europeo non deve sostituirsi alle politiche estere degli Stati membri esortando i paesi terzi non ancora firmatari del Protocollo di Kyoto a ratificarlo. I singoli governi nazionali possono lanciare appelli di questo tipo in maniera indipendente. Riteniamo inoltre che gli Stati membri debbano essere liberi di adottare le proprie posizioni nei negoziati sui problemi climatici internazionali. Supponiamo, tuttavia, che gli accordi presi saranno rispettati da tutte le parti.
Critichiamo la proposta di elaborare una strategia di comunicazione a livello comunitario per informare l’opinione pubblica dei problemi climatici. La cooperazione dell’UE si basa sulla fiducia reciproca tra gli Stati membri. Siamo convinti che i singoli Stati membri siano perfettamente in grado di adottare le misure necessarie per consentire l’accesso dell’opinione pubblica a informazioni adeguate sui problemi climatici. La posizione da noi espressa in questa dichiarazione di voto rappresenta l’atteggiamento che, per principio, adottiamo su questo tema. La dichiarazione di voto, quindi, si applicherà anche in futuro a problemi di natura analoga.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Solo quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo fiume sarà stato avvelenato, l’ultimo pesce sarà stato catturato, l’uomo scoprirà che il denaro non si mangia. Questa profezia degli indiani cree potrebbe presto avverarsi.
Per troppo tempo abbiamo interferito con noncuranza nei delicati equilibri della natura. Solo ora abbiamo iniziato a prestare maggiore attenzione alla tutela dell’ambiente e dato il via ai primi fondamentali progetti congiunti tesi alla sua salvaguardia. Dovremo, tuttavia, raddoppiare gli sforzi.
Lentamente, ma inesorabilmente, stiamo voltando le spalle alla corrente del Golfo, per noi fonte naturale di riscaldamento, e così facendo ogni giorno le correnti oceaniche mutate dal riscaldamento globale ci privano di circa 86 milioni di tonnellate di terreni coltivabili, mentre ogni giorno si registrano circa 225 000 nascite e la desertificazione procede a ritmi sostenuti e sempre più rapidi. L’Europa è minacciata dai cambiamenti climatici più devastanti mai registrati negli ultimi 5 000 anni. Con lo scioglimento dei ghiacci al nord, l’avanzare dei deserti al sud e, al tempo stesso, enormi riserve di anidride carbonica che si accumulano nel permafrost e nella tundra, la situazione diventerà sempre più ostile nel prossimo futuro.
Vari esperti hanno ideato una vastissima gamma di possibili soluzioni, che ammuffiscono nei cassetti delle loro scrivanie; è giunto il momento di prenderle in considerazione e pensare a come realizzarle e, finalmente, di lavorare insieme per il raggiungimento di un obiettivo comune.
Jens-Peter Bonde (IND/DEM), per iscritto. – (DA) Il Movimento di giugno ha votato a favore del paragrafo 45 della relazione sugli aspetti ambientali dello sviluppo sostenibile, ma insiste sull’utilizzo di direttive minime per l’introduzione di ecotasse a livello comunitario onde stabilire requisiti di più ampio respiro nei singoli Stati membri.
Nel paragrafo 45 si legge quanto segue:
“è favorevole all’imposizione di ecotasse a livello comunitario; sottolinea che esse sono, alla stessa stregua degli altri strumenti di mercato, un dispositivo indispensabile ad una politica efficace di riduzione dell’inquinamento; invita la Commissione a presentare proposte e gli Stati membri ad adottare la prima ecotassa europea entro e non oltre il 2009”.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Abbiamo votato a favore di questa relazione che cerca di valutare gli aspetti ambientali dello sviluppo sostenibile e muove alcune critiche alla posizione della Commissione riguardo all’inadeguatezza di talune direttive e all’insufficienza delle risorse finanziarie.
Pur non affrontando in maniera specifica le politiche che stanno alla base dei problemi ambientali, quali l’importanza attribuita alla competitività a spese delle persone e dell’ambiente, sempre subordinate alla logica del profitto, vi sono aspetti validi quali la promozione di forme di trasporto meno inquinanti, il ruolo della pianificazione forestale e territoriale e il bisogno di garantire provviste alimentari.
Inoltre consideriamo positivo il rapporto che tesse tra povertà e ambiente, pur ritenendo grave che l’aspetto più importante di tale questione, ovvero il fatto che la liberalizzazione non è la risposta alla povertà e all’esclusione sociale, sia stato respinto in plenaria. Anche le critiche sull’inadeguatezza delle proposte nella lotta alla povertà, l’esclusione sociale e le crescenti disuguaglianze sono state respinte.
Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) Questa relazione affronta una serie di temi importanti nel settore dello sviluppo sostenibile. La Lista di giugno ritiene che la cooperazione comunitaria su questioni ambientali transfrontaliere sia pienamente giustificata. Tuttavia, la relazione riguarda anche alcuni settori politici cruciali che non devono rientrare nella sfera di competenza dell’UE. A titolo di esempio cito:
– gli investimenti nel settore dei trasporti pubblici o, a seconda del caso, lo sviluppo di reti stradali negli Stati membri;
– la cancellazione del debito ai paesi in via di sviluppo;
– le ecotasse a livello comunitario;
– l’inclusione o meno dell’educazione ambientale come materia di studio nelle scuole elementari degli Stati membri;
– la tassazione del lavoro dipendente negli Stati membri;
– l’occupazione e l’integrazione sociale.
Siamo molto critici nei confronti dell’insaziabile appetito delle Istituzioni europee che vogliono esercitare sempre maggiore influenza. Abbiamo quindi scelto di votare contro la relazione nel suo complesso, ma siamo ben disposti verso singoli paragrafi, soprattutto quelli che vertono su problemi ambientali di natura veramente transfrontaliera.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Lo sviluppo sostenibile costituisce, senza ombra di dubbio, uno degli obiettivi fondamentali dell’UE e una sfida globale. Per questo le strategie di sviluppo sostenibile richiedono una visione politica a lungo termine ai più alti livelli.
Di fronte alle sfide sociali, ambientali e democratiche dobbiamo agire con responsabilità, non solo in qualità di autorità pubbliche, ma anche a livello di cittadini. Occorre tuttavia assicurare che tutte le misure adottate rispondano agli obiettivi di crescita economica e sociale, fondamentali per il futuro delle nostre società.
Questa relazione esamina i progressi registrati dal 2001 e delinea nuove misure. In questo processo dobbiamo ribadire la necessità di far sì che lo sviluppo sostenibile sia una priorità per il futuro dell’Europa, mantenendo il fermo proposito di raggiungere gli obiettivi della strategia di Lisbona.
Ecco perché ho votato a favore della relazione Ferreira.
Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Lo sviluppo sostenibile deve assumere maggiore importanza in tutti i settori politici: sono lieto che questa relazione sia un punto di partenza in tal senso e sono lieto di approvarla. Nel mio paese, la Scozia, possiamo offrire un grandissimo contributo alle energie rinnovabili, grazie all’immenso potenziale naturale che ci dà la possibilità di diventare la centrale elettrica verde dell’Europa. Questo potenziale, però, non si svilupperà senza il forte incoraggiamento del governo a tutti i livelli, e occorre raddoppiare gli sforzi per prendere spunto dalle idee di questa relazione e svilupparle ulteriormente.
María Sornosa Martínez (PSE), per iscritto. – (ES) La delegazione socialista spagnola si congratula per l’approvazione di questa relazione di iniziativa, tesa a migliorare le prospettive di raggiungimento di un vero e proprio sviluppo sostenibile.
Tuttavia, mi permetto di sottolineare che, sulla seconda parte dell’emendamento n. 2 (paragrafo 15) abbiamo deciso di votare contro perché crediamo che la politica di protezione e gestione delle acque debba basarsi su criteri di razionalità, efficacia ed efficienza e non esclusivamente sull’adozione di misure per ridurre il prelievo di acqua, perché questo potrebbe avere conseguenze negative di diversa natura.