Indice 
Resoconto integrale delle discussioni
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Mercoledì 18 gennaio 2006 - Strasburgo Edizione GU
1. Apertura della seduta
 2. Illustrazione del programma della Presidenza austriaca
 3. Composizione del Parlamento: vedasi processo verbale
 4. Turno di votazioni
  4.1. Prospettive finanziarie (votazione)
  4.2. Costituzione di una commissione d’inchiesta sul crollo finanziario della “Equitable Life Society” (votazione)
  4.3. Costituzione di una commissione temporanea sul presunto utilizzo di paesi europei da parte della CIA per il trasporto e la detenzione illegali di prigionieri (votazione)
  4.4. Misure restrittive nei confronti di persone sospettate di coinvolgimento nell’omicidio di Rafiq Hariri (votazione)
  4.5. Gestione dei rifiuti delle industrie estrattive (votazione)
  4.6. Acque di balneazione (votazione)
  4.7. Applicazione delle disposizioni della convenzione di Aarhus alle istituzioni e agli organi della CE (votazione)
  4.8. Accesso al mercato dei servizi portuali (votazione)
  4.9. Afghanistan (votazione)
  4.10. Omofobia in Europa (votazione)
  4.11. Cambiamento climatico (votazione)
  4.12. Aspetti ambientali dello sviluppo sostenibile (votazione)
 5. Dichiarazioni di voto
 6. Correzioni di voto: vedasi processo verbale
 7. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 8. Periodo di riflessione (struttura, argomenti e quadro per una valutazione del dibattito sull’Unione europea)
 9. Benvenuto
 10. Situazione in Cecenia dopo le elezioni e società civile in Russia
 11. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni al Consiglio)
 12. Politica europea di prossimità
 13. Attuazione della Carta europea per le piccole imprese
 14. Regole di condotta applicabili ai deputati (modifica del regolamento del Parlamento)
 15. Ordine del giorno della prossima tornata: vedasi processo verbale
 16. Chiusura della seduta


  

PRESIDENZA DELL’ON. BORRELL FONTELLES
Presidente

 
1. Apertura della seduta
  

(La seduta inizia alle 9.05)

 

2. Illustrazione del programma della Presidenza austriaca
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca l’illustrazione del programma della Presidenza austriaca.

 
  
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  Wolfgang Schüssel, Presidente in carica del Consiglio.(DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, ringrazio di cuore tutti i presenti in Aula stamani.

E’ per me un grande piacere potermi rivolgere al Parlamento europeo. Ho l’onore di presentare, a nome della Repubblica d’Austria, un breve riassunto del programma per il semestre di Presidenza. Il Parlamento europeo è un’Istituzione molto particolare, poiché incarna in modo unico la forza della nuova Europa.

Questo Parlamento è il risultato dell’elezione storica del 2004. Per la prima volta 25 nazioni hanno tenuto in contemporanea libere elezioni, hanno eletto un’Assemblea a rappresentarle, loro che sono il Populus Europaeus, i cittadini europei. In questo modo si è posta fine una volta per tutte alla divisione dell’Europa, benché il processo di riunificazione del nostro continente sia tuttora in corso.

Il Parlamento è una splendida dimostrazione della grandissima forza di questa nuova Europa, con la sua diversità di idee ed esperienze, la sua storia, nonché le sue storie di vita e le sue speranze. Sappiamo che il tono dell’Europa non è quello di un solista, ma quello di un’orchestra, e lo stesso vale per il Parlamento. L’Europa non è monocroma, ma variopinta, come simboleggia il logo della Presidenza austriaca. E questa forza, questa diversità, le numerose identità d’Europa sono l’essenza dell’Unione. Nessun paese è stato danneggiato dall’adesione all’Unione europea. Tutti ne abbiamo tratto beneficio. Ci abbiamo guadagnato in libertà, pace, sicurezza e possibilità di benessere.

Ma allora, se tutto è così perfetto, vi chiederete perché così tanti cittadini sono nettamente scettici. Dobbiamo affrontare questo problema con grande concretezza e analizzare la situazione con onestà. Ai momenti alti dello storico 2004 è seguita una fase particolarmente difficile. Dopo tre anni di intensi negoziati per una nuova Costituzione, il risultato è stato respinto dai referendum in Francia e nei Paesi Bassi. Poi è venuto il duro braccio di ferro per le prospettive finanziarie per i prossimi sette anni. Si sono avuti attentati terroristici in alcune capitali dell’Unione, è cresciuta la preoccupazione della popolazione per gli ulteriori allargamenti dell’Unione europea ed è venuta davvero a mancare la fiducia nelle Istituzioni da parte dei cittadini comunitari.

Per questo motivo abbiamo posto tra gli obiettivi della Presidenza austriaca la soluzione di questo particolare problema. Entro la fine del mandato della Presidenza vogliamo veder crescere di nuovo la fiducia dei cittadini nell’Europa, la fiducia tra gli Stati membri, nonché la fiducia tra le Istituzioni europee. Se vogliamo raggiungere tale scopo, innanzi tutto dobbiamo cercare risposte alle principali domande che occupano i pensieri dei cittadini.

Un mio amico, il grande fisico quantistico austriaco Anton Zeilinger, ha richiamato la mia attenzione su un aspetto della fisica di cui non ero mai stato davvero consapevole e che ho senza dubbio trovato estremamente affascinante. Mi ha detto che ciò che conta è la domanda. Nella fisica quantistica, ha detto, è molto più importante che nel contesto ideologico generale. La domanda suscita la verità, e il modo in cui è posta determina la qualità di tale verità. Per questo motivo dobbiamo innanzi tutto porre queste domande. Devono essere franche, e dobbiamo conoscerne anche le implicazioni sgradevoli. Non troveremo risposte ugualmente soddisfacenti a tutte le domande, ma dobbiamo guardarci dalle scorciatoie rapide. Occorre ascoltare, perché l’Europa deve servire e anche proteggere. Le numerose e vere minacce esistenti contribuiscono a farci concentrare su questi temi.

Il 1° gennaio di quest’anno, giorno in cui è iniziato il mandato della nostra Presidenza, si è tenuto a Vienna il concerto di capodanno, evento in cui cerchiamo di diffondere non solo allegria, ma anche un po’ di ottimismo. Non appena il direttore lettone, Maris Jansons, ha sollevato la bacchetta, i russi hanno tagliato l’erogazione di gas, prima del 30 per cento e poi, nella notte tra il 1° e il 2 gennaio, del 50 per cento. Martin Bartenstein, ministro dell’Economia e del lavoro, responsabile delle questioni energetiche, in quell’occasione aveva il compito di cercare una soluzione con i nostri partner – gli ucraini, i russi e i partner europei – e con il Commissario Piebalgs. L’incidente ci ha fatto capire che, in una questione che finora rientrava nei poteri speciali degli Stati membri, i problemi maggiori si possono risolvere solo a livello europeo. Si tratta di un settore in cui occorre maggiore partecipazione europea.

(Applausi)

Quando si tratta di ridurre la dipendenza da un singolo fornitore, di diversificare, di mettere da parte sufficienti riserve e di rendere sicure le reti di approvvigionamento energetico – cosa che, tra l’altro, sarà possibile solo incoraggiando gli investimenti a lungo termine e consentendo connessioni e contratti di approvvigionamento a lungo termine – non dobbiamo assumere il punto di vista a breve termine, concentrandoci sui profitti per i prossimi tre mesi; le soluzioni di lungo periodo sono l’unica risposta per l’Europa. Si tratta altresì di una questione di scelte. Ho sempre difeso il diritto e la responsabilità di ciascun paese di scegliere le proprie fonti di energia. Abbiamo fatto la nostra scelta, che non include la tecnologia nucleare e il suo uso pacifico, e sosterrò tale decisione. Tuttavia lotterò anche per il diritto di ciascun paese a conservare la libertà di scelta.

(Applausi)

Ritengo si debba stare molto attenti a non cadere in un approccio unilaterale. In seno all’Unione europea, dobbiamo lavorare insieme per porre in primo piano gli standard di sicurezza, e dobbiamo prestare più che mai attenzione alle fonti di energia rinnovabile e assicurare che venga vagliata appieno ogni opzione che abbia importanza per noi e per l’ambiente.

(Applausi)

La questione della sicurezza dell’approvvigionamento energetico sarà un tema importante nel corso del Consiglio europeo di primavera. A questo proposito vorrei ringraziare anche la Presidenza britannica del Consiglio per aver affrontato la questione in modo esauriente e per aver dimostrato un buon fiuto per gli sviluppi immediatamente successivi riservandole grande attenzione a Hampton Court. Coopereremo a stretto contatto anche con la Commissione al riguardo.

Tra gli altri temi vi sono la lotta all’influenza aviaria e l’esigenza di una posizione decisa contro il programma di modernizzazione nucleare dell’Iran. In tali settori, se vogliamo riuscire a dare garanzie di sicurezza ai cittadini del mondo e soprattutto d’Europa, sono essenziali un maggior senso dell’Europa e un fronte europeo compatto nell’arena mondiale.

Il secondo tema di grande importanza che preoccupa i cittadini è quello della crescita e dell’occupazione. E’ l’argomento chiave del Vertice di primavera, poiché senza posti di lavoro, senza la prospettiva di trovare un’occupazione, è ovvio che le preoccupazioni dei cittadini europei cresceranno sempre di più. E’ opinione di molti che l’Europa stia facendo troppo poco per loro in questo campo.

Ora sono in discussione 25 programmi di riforma, che la Commissione valuterà. Abbiamo optato per una combinazione di impegni volontari specifici e verificabili da parte dei 25 Stati membri e di raccomandazioni della Commissione allo scopo di addentrarsi nella fase pratica dell’iniziativa e ottenere risultati visibili. Oggi nessun personaggio politico può promettere posti di lavoro, poiché sarebbe un gesto avventato. Possiamo però creare condizioni favorevoli. Tutti sanno, e voi meglio di chiunque altro, che né con l’uno per cento del reddito nazionale lordo dell’Europa, come nel bilancio attuale, né con l’1,045 o l’1,1 per cento è possibile creare milioni di posti di lavoro. Possiamo tuttavia dare l’esempio e verificare se gli Stati membri adempiono gli impegni assunti volontariamente. Possiamo soprattutto aggiungere al programma europeo nuovi elementi che magari hanno ricevuto minore attenzione in passato.

Uno di questi elementi, a mio avviso, è la promozione delle PMI. Molte imprese di questo tipo in passato si lamentavano di ricevere insufficiente attenzione, di non aver sufficiente accesso ai capitali e ai programmi comunitari. Dobbiamo comprendere che le PMI potrebbero essere l’unica vera fonte di occupazione nell’Unione. Le PMI sono un gigante che dorme e che dobbiamo risvegliare. Hanno bisogno di accedere ai mercati dei capitali, alla ricerca e allo sviluppo, e questo è un tema che la Commissione dovrà affrontare nel programma per le PMI che presenterà. Hanno bisogno di accesso e di attenzione quando si tratta dell’assegnazione di sostegno regionale dai Fondi strutturali. Il programma per il miglioramento della regolamentazione deve comprendere misure specifiche per ridurre i costi amministrativi delle PMI. Diminuire la burocrazia è un obiettivo importante, soprattutto per quanto riguarda le piccole e medie imprese.

Altra grande fonte di forza non adeguatamente sfruttata è il partenariato tra gli organismi rappresentativi dell’amministrazione e dei lavoratori a livello europeo, le parti sociali europee. Grazie alla nostra esperienza austriaca, posso dire che la democrazia e l’economia di mercato non possono funzionare correttamente senza rappresentanti dei dirigenti e dei dipendenti liberi, forti e indipendenti. Indubbiamente il modello austriaco è piuttosto interessante. Non che gli accordi vengano raggiunti senza discussioni: vi sono frequentissimi scambi d’opinione e talvolta persino alterchi. Sarebbe assurdo pensare che in una democrazia simili questioni possano essere risolte senza controversie. Spesso servono a rinvigorire il dibattito politico. Nel corso del nostro mandato, vorrei invitare anche le parti sociali europee a unirsi a noi nel perseguire questi obiettivi – occupazione, crescita, sicurezza energetica – e ho già intrattenuto scambi molto soddisfacenti con la Confederazione europea dei sindacati (CES) e l’Unione delle confederazioni delle industrie della Comunità europea (UNICE).

La direttiva sui servizi sarà molto importante al riguardo. So che il Parlamento affronta con tenacia la questione. Dopo oltre 1 000 emendamenti, vi sarete accorti da soli quanto sia arduo conciliare l’apertura di un settore del mercato tanto grande con le garanzie che i cittadini si aspettano da noi. E’ evidente che l’apertura dei mercati dev’essere necessariamente accompagnata da interventi decisi contro il dumping sociale e da sforzi per proteggere i servizi pubblici alle famiglie che per le autorità locali è tradizione fornire. Abbiamo bisogno di tale equilibrio. Apertura e protezione sono ciò che ci si aspetta da noi. Vorrei vedere le parti sociali al nostro fianco in quest’impresa, in modo che si possa trovare un equilibrio adeguato.

La chiave di tutto questo, naturalmente, è una crescita sufficiente. Da qui non si scappa. Soprattutto, il Vertice di primavera dev’essere dedicato a stimolare la crescita, per la quale non servono solo ricerca e infrastrutture, ma anche allargamento. L’allargamento, se condotto in modo prudente e opportuno, può rappresentare una strategia di crescita per l’Europa, come pure per le nostre industrie nei vecchi Stati membri. Se avessimo una crescita del 3 per cento, unita ad almeno l’uno per cento di crescita dell’occupazione, il numero attuale di disoccupati, che ammonta a 19 milioni, si dimezzerebbe entro 5 anni. Si tratta di un obiettivo tremendamente ambizioso, che però possiamo raggiungere potenziando anche i nostri sistemi di formazione e creando maggiore flessibilità. Senza dubbio è a questo che si deve davvero lavorare. Di fronte alla feroce concorrenza dell’Asia e degli Stati Uniti e alla luce delle attuali tendenze demografiche, non possiamo semplicemente permetterci che parte della forza lavoro abbia una formazione inadeguata o che le sue possibilità occupazionali non siano potenziate al massimo.

Naturalmente le trattative per le prospettive finanziarie per i prossimi sette anni saranno una questione importante per Commissione, Consiglio e Parlamento europeo. Non ho alcuna esitazione al riguardo. Abbiamo bisogno della vostra cooperazione e la vogliamo, perché la creazione di prospettive finanziarie di sette anni – caso raro, dal momento che la nostra politica di bilancio copre perlopiù un periodo di uno o due anni soltanto – naturalmente è fonte di sicurezza e prevedibilità. So che molti in seno al Parlamento europeo non sono contenti di ciò che il Consiglio è riuscito appena ad adottare a dicembre dopo molta fatica e difficoltà, ma devo anche mettere in chiaro che coloro che vogliono più ricerca devono innanzi tutto e soprattutto considerare i bilanci nazionali. Se negli Stati membri ci impegnassimo davvero ad attuare quella che è stata, del resto, la nostra decisione di devolvere il 3 per cento dei bilanci nazionali alla ricerca entro il 2010, si produrrebbero non solo 200 miliardi di euro l’anno per la ricerca, ma il 50 per cento in più, cioè 300 miliardi di euro – molto più di uno stanziamento nel bilancio generale, per quanto ambizioso possa essere. Devo essere franco con voi: siamo vicini al limite nelle prospettive finanziarie. Se continuiamo ad avere l’obbligo o a scegliere di adoperarci per l’eliminazione chirurgica dei contributi per l’adesione dai bilanci nazionali per finanziare il lavoro dell’Unione, questa sarà l’ultima volta che riusciamo a mettere insieme le prospettive finanziarie.

Vi dirò in tutta franchezza – cosa che a qualcuno non piacerà – che l’Europa deve finanziarsi di più da sola. Non è giusto dover esigere tutte le risorse dai bilanci nazionali, già sotto pressione. E’ proprio questo che ci trascina in questa deplorevole tensione tra contributori netti e beneficiari netti, in una situazione in cui tutti puntano il dito su vincitori e vinti. L’idea di una svolta nella direzione dell’autofinanziamento può non essere gradita a tutti, ma il mio compito di Presidente in carica del Consiglio non è quello di dire cose gradevoli, ma piuttosto di dire ciò che va detto. Credo che dobbiamo concentrarci su questo punto, e so che il Presidente della Commissione, José Barroso, ha una posizione molto simile alla mia. Sta alla Commissione presentare tutte queste considerazioni durante la revisione del 2008/09. Certamente è assurdo che i profitti della speculazione finanziaria a breve termine oggi siano completamente esenti da tasse. E’ inaccettabile che vi siano scappatoie fiscali e che i viaggi internazionali in aereo o per mare siano praticamente esentasse. L’Europa non può tollerare una tale situazione considerando che non vi sono risorse sufficienti per finanziare certe importanti attività.

Chiedo pertanto alla Commissione di includere la questione nella sua revisione, e esorto altresì esplicitamente il Parlamento europeo ad accordarci il suo sostegno. Se vogliamo un’Europa più forte, non possiamo ignorare, per riluttanza o per timore, questo problema.

Qui in prima fila vedo il Commissario per gli Affari esteri, Benita Ferrero-Waldner, e lo stimato Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, Javier Solana, che spesso devono andare in giro col cappello in mano a elemosinare i soldi per missioni di pace vitali; il tutto perché non abbiamo avuto il coraggio di discutere a sufficienza di questi temi.

La nuova Europa che rappresentate ha bisogno anche di nuova solidarietà tra le Istituzioni. Non ha senso che Consiglio, Commissione, Parlamento e Stati membri si critichino l’uno con l’altro. Siamo tutti nella stessa barca e dobbiamo remare nella stessa direzione. Non un confronto testa a testa ma cooperazione mano nella mano – questo è il mio principio e il mio motto per questa Presidenza. Dobbiamo ascoltare quando alcuni cittadini lamentano il cattivo uso di finanziamenti comunitari o lo sperpero di risorse all’interno di alcuni programmi. La cura a queste malattie è la critica indipendente. Dobbiamo ascoltare quando alcuni cittadini invocano maggiore trasparenza nell’attività decisionale europea – ad esempio nell’attività legislativa del Consiglio – o chiedono che le attribuzioni delle sovvenzioni vengano rese pubbliche, in modo che i cittadini sappiano chi sono i veri beneficiari. Perché no? E’ più che giusto che tali informazioni vengano pubblicate. Si tratta del denaro dei contribuenti europei. E’ un compito che dobbiamo svolgere insieme.

Dobbiamo anche dare ascolto ai cittadini che dicono: “Va benissimo avere un’economia efficiente, ma che ne è stato della tutela della gente comune, della coesione sociale e dell’attenzione verso le categorie più deboli?”

Qualche tempo fa, nella sua lectio magistralis al Collegio europeo di Parma, Jacques Delors ha reso una dichiarazione che mi ha toccato profondamente. Ha detto: “Trovare un equilibrio tra il mercato e la politica sociale significa riconoscere le questioni sociali come un fattore di sviluppo e non come un sottoprodotto dell’economia di mercato”.

”Trovare un equilibrio tra i valori sociali e la forza dell’economia di mercato, e riconoscere le questioni sociali come un fattore di sviluppo e non come un sottoprodotto dell’economia”.

Lo trovo un concetto straordinariamente interessante. E’ proprio il motto che riassume in via definitiva lo stile di vita europeo e che faremo nostro nel corso della discussione sul futuro dell’Europa, con cui vorrei concludere le mie osservazioni.

Nel primo semestre dell’anno, fino al Vertice di giugno, toccherà a noi condurre questo dibattito sul futuro dell’Europa. Dal giugno scorso l’Austria ha il compito di impegnarsi in tale discussione insieme al Parlamento europeo qui presente, alla Commissione, alla quale chiediamo altresì nuovo slancio, ai parlamenti nazionali e, naturalmente, ai cittadini europei. So che il Parlamento, oggi o domani, adotterà un’ottima ed equilibrata risoluzione sulla base di una relazione della commissione per gli affari costituzionali. Considero la cosa con grande serietà e continuerò a tenerla in debita considerazione nel corso del mandato della Presidenza austriaca. Non dev’essere un dibattito d’élite: l’Europa riguarda tutti. Molti europei desiderano essere coinvolti, avere una parte nel futuro dell’Europa. Non c’è in gioco solo un documento, ma molto di più: c’è in gioco l’identità dell’Europa. Che cosa ci lega? Quali forze interne ci tengono davvero uniti? C’è in gioco l’equa distribuzione delle responsabilità: che cosa può e deve fare l’Europa? Coloro che tentano di risolvere i principali problemi devono avere le mani libere per affrontare tale compito. Noi non avremo le mani libere se non lasceremo perdere altre questioni. Un sincero desiderio di risolvere i problemi presuppone la disponibilità a lasciare ad altre istituzioni la responsabilità in questioni di minore entità. E’ qui che entra in gioco la parola “sussidiarietà”, concetto che invochiamo sempre dalle nostre pretenziose tribune, ma al quale dovremmo dare nuovo vigore. A tale scopo, dedicheremo a questo tema una conferenza speciale dopo Pasqua.

Il dibattito riguarda anche i confini dell’Europa. Tradotto in termini concreti, ciò significa quali criteri determinano la capacità di assorbimento dell’Unione. Tali confini non devono essere tracciati da geometri o da geografi. Sono una questione politica. Il dibattito politico deve concentrarsi sulla capacità di assorbimento, nonché sulla visibilità dell’Europa nel mondo e all’interno delle sue stesse frontiere. Reputo sbagliato che ci riuniamo solo a Bruxelles o qui a Strasburgo. L’Europa dev’essere visibile anche nelle aree periferiche, in altri aspetti della vita. In qualità di Presidenza, comprendiamo quanto sia interessante per la popolazione scoprire, provare, toccare con mano che l’Europa non ha paura di avvicinarsi ai cittadini, i quali devono anche poter sfogare occasionalmente la propria indignazione, affinché questo modello europeo possa funzionare.

Parlo di uno stile di vita europeo. Non ho mai capito perché, quando gli americani parlano con orgoglio del loro stile di vita, noi europei non osiamo mai parlare apertamente, con coraggio e fierezza del nostro. Pace, sicurezza, democrazia, diritti umani, solidarietà e qualità della vita sono aspetti che non vanno dati per scontati, nessuno dei quali è raggiungibile senza sforzo.

Alla luce di tali considerazioni, presenteremo una bozza di roadmap con calendari e/o una relazione provvisoria entro il mese di giugno. Le controversie e le divergenze d’opinione non solo vengono ritenute accettabili in questa discussione, ma accolte con estremo favore. La cosa peggiore sarebbe che indicessi un’assemblea in questa sede cui nessuno si presentasse o contribuisse. Come ha detto una volta Martin Buber, ciascuno al mondo è chiamato a portare a compimento qualcosa. Questo vale soprattutto per l’Europa. L’Europa è lavoro di squadra. Proseguiremo il lavoro della Presidenza britannica, che ci ha preceduti. Quest’anno noi e i finlandesi abbiamo un programma operativo comune, in base al quale svolgeremo insieme il mandato presidenziale. In questo modo intendiamo essere partner affidabili per il Parlamento europeo e per la Commissione. Sono ansioso di cooperare con voi con grande fiducia, e mi auguro altresì di riuscire a entusiasmare e ispirare i cittadini europei con i nostri sforzi comuni. I miei migliori auguri a tutti voi.

(Applausi)

 
  
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  José Manuel Barroso, Presidente della Commissione.(FR) Signor Presidente, Presidente Schüssel, onorevoli deputati, sono lieto di intervenire quest’oggi in occasione dell’illustrazione del programma di lavoro della Presidenza austriaca. Tutti conosciamo le competenze e le tradizioni della diplomazia austriaca. Permettetemi di dire che io conosco da molto tempo l’intelligenza e la devozione alla causa europea del Cancelliere Schüssel.

Sono lieto in modo particolare che la Presidenza possa già incominciare i lavori avendo di fronte una visione chiara delle prospettive finanziarie, grazie all’accordo raggiunto in seno al Consiglio europeo di dicembre. Come ho già detto, tale accordo ha segnato un momento importante per l’Europa, momento in cui l’Europa è riuscita a dimostrare di continuare a essere efficiente e pertinente. L’accordo ha permesso d’instaurare un clima di relativo ottimismo per il 2006, che sarà un anno cruciale.

Ora dobbiamo perseguire e dare espressione concreta a questo approccio dinamico. Se a dicembre il Consiglio ha compiuto un passo avanti, ora tocca a noi fare il passo successivo insieme, cioè compiere progressi molto rapidi nella negoziazione e nella conclusione di un accordo interistituzionale. Lo dico da mesi: è necessario l’accordo fra le tre Istituzioni, tra cui è indispensabile un’efficace cooperazione. E’ ora di tradurre le parole in fatti.

In questo contesto, vorrei porre particolare enfasi sulle misure legate alla cittadinanza, soprattutto su quelle relative alla cultura e ai giovani. In quest’ambito sono necessari ulteriori sforzi per rispettare il comune impegno ad avvicinare maggiormente i cittadini alle nostre azioni e a promuovere la dimensione europea.

Dal 1° febbraio la Commissione proporrà un progetto di accordo interistituzionale modificato, che costituirà la base delle trattative. Come sapete, oltre alla questione delle risorse, restano da precisare alcune questioni importanti su cui la Commissione ha esercitato appieno la propria influenza: maggiore flessibilità e adattabilità delle risorse, la creazione di un Fondo di adeguamento alla globalizzazione e la prospettiva di una clausola di revisione. La Commissione ritiene che tali elementi di flessibilità siano cruciali per raggiungere un accordo tra le tre Istituzioni.

Dobbiamo inoltre collaborare per l’adozione di una serie di proposte legislative che daranno effetto all’accordo interistituzionale, una volta adottato. Anche in quest’ambito, saranno necessari sforzi da parte dei gruppi del Consiglio, delle commissioni parlamentari e dei servizi della Commissione. Si tratta di una vera sfida, che non possiamo sottovalutare. Dobbiamo infatti fare in modo che l’Unione sia pronta a mettersi al lavoro il 1° gennaio 2007. Se non dovessimo rispettare le scadenze, correremmo il grave rischio di ritardare l’attuazione dei Fondi strutturali, che sono elementi fondamentali per la solidarietà all’interno di un’Europa allargata.

Onorevoli deputati, per l’Europa l’anno a venire è, da un lato, ricco di opportunità e, dall’altro, carico di responsabilità. La Presidenza potrà contare sul pieno sostegno e sulla totale cooperazione della Commissione. Vediamo un elemento di profonda sintonia tra il programma della Presidenza austriaca e le finalità che la Commissione persegue dall’inizio del proprio mandato, soprattutto per quanto riguarda gli obiettivi strategici. Forte della propria cultura e dei propri valori, l’Europa potrà andare avanti se riuscirà a realizzare progressi simultanei in tre settori: prestazioni economiche, coesione sociale e gestione sostenibile delle risorse.

Per riuscirci, l’Europa ha bisogno di un partenariato vero che coinvolga tutte le parti. Abbiamo bisogno del contributo di tutti affinché l’Europa possa liberare tutto il suo potenziale.

Signor Presidente, crescita e occupazione sono la principale causa di preoccupazione dei nostri cittadini. Dobbiamo dimostrare loro che l’Europa può offrire una risposta credibile ai loro problemi. Il Consiglio europeo di primavera previsto per marzo è la prima vera occasione per mettere alla prova la determinazione di tutte le parti in causa in favore del progresso verso la riforma economica e la modernizzazione. Gli Stati membri hanno elaborato i propri programmi di riforma nazionali. La Commissione sta completando la valutazione di tali programmi, su cui riferirà in seno al Consiglio europeo di primavera. Vorrei ringraziare il Parlamento europeo per il suo sostegno e mi auguro di continuare a lavorare a stretto contatto con l’Assemblea al programma per la crescita e l’occupazione.

La dimensione parlamentare dell’agenda di Lisbona non è un’operazione di facciata, ma un elemento essenziale per promuovere e assicurare sostegno per l’attuazione delle riforme necessarie. In tal senso, possiamo dire che l’agenda di Lisbona rinnovata si è già dimostrata un successo. E’ riuscita a creare una meta comune e un forte consenso. Nessuno si ostina seriamente a negare che la priorità va data alla crescita per favorire l’occupazione. E’ il momento di trasformare le parole in fatti, il pensiero in azione. Il messaggio che ci deve trasmettere il Consiglio europeo di primavera è che l’Europa si è impegnata in modo credibile a compiere riforme strutturali ed è decisa a sfruttare appieno tutto il suo potenziale di crescita e di aumento e miglioramento dell’occupazione.

Pertanto accogliamo con favore la disponibilità della Presidenza austriaca a dare nuovo dinamismo alla discussione di alcune proposte in sospeso, che sono fondamentali per il buon esito della strategia di Lisbona, tra cui la direttiva sui servizi. La creazione di un mercato interno efficiente nel settore dei servizi è un’opportunità fondamentale per liberare il potenziale d’Europa. La Commissione offrirà la propria piena collaborazione alla Presidenza e al Parlamento per cercare l’accordo politico sulle direttive tra Consiglio e Parlamento.

Mi compiaccio che il Parlamento stia preparando con solerzia le basi per un approccio equilibrato, ossia un approccio che applicherà le disposizioni del Trattato in materia di commercio ai servizi, assicurando nel contempo il rispetto delle condizioni di lavoro e occupazione dei lavoratori distaccati e riconoscendo la natura specifica dei servizi di interesse generale.

A tale scopo, ritengo che il ruolo delle parti sociali europee possa essere cruciale. Chiederemo alle nostre parti sociali un contributo comune per una soluzione equilibrata e anche ambiziosa per il settore dei servizi. Siamo onesti: il settore dei servizi e le PMI sono i motori principali per la creazione di posti di lavoro in Europa. Devono ricevere il sostegno che meritano dai leader politici.

I progressi nell’agenda di Lisbona dovranno contribuire al lavoro intrapreso in seguito al meeting di Hampton Court. Sono interessati settori fondamentali quali ricerca e sviluppo, le università, il cambiamento demografico, l’energia, la migrazione, la sicurezza e il ruolo dell’Europa nel mondo.

La Commissione proporrà nuove iniziative nel campo della ricerca e dell’istruzione, predisponendo la creazione di un Istituto europeo di tecnologia e portando avanti i lavori per l’equipollenza reciproca e il riconoscimento delle qualifiche.

Porteremo al centro del dibattito il cambiamento demografico e le sue implicazioni per un rapporto più equo tra vita lavorativa e vita privata. Presenteremo inoltre una roadmap per la parità tra uomini e donne che guarderà a diverse strategie politiche comunitarie ed esaminerà come queste possano contribuire a ridurre la discriminazione tra donne e uomini nelle condizioni di occupazione o disoccupazione e ad affrontare il fenomeno della violenza contro le donne e il traffico di esseri umani.

Cercheremo di potenziare l’efficacia dell’Unione europea nel perseguimento degli obiettivi e degli interessi esterni incrementando la coerenza dei nostri interventi. La questione energetica segna il debutto della Presidenza austriaca, che voglio ringraziare per l’ottima cooperazione prestata nell’affrontare la recente disputa per il gas tra Russia e Ucraina. La questione energetica resterà un tema dominante del nostro programma futuro. La recente crisi e il perdurare del caro petrolio danno una lezione a coloro che normalmente fanno resistenza e si oppongono alla creazione di una dimensione europea per la politica energetica e a tutti coloro che immancabilmente osteggiano la dimensione europea in politica e in ambito decisionale.

L’Europa deve avere una politica energetica migliore e più coordinata, basata sui principi della diversificazione delle fonti, della sicurezza di approvvigionamento e della sostenibilità. Ben prima di Hampton Court, quando i leader hanno evidenziato con chiarezza l’esigenza di un nuovo approccio, la Commissione ha annunciato un Libro verde per una politica energetica sicura, competitiva e sostenibile. Stiamo inoltre preparando una serie di nuove iniziative per l’efficienza energetica e le tecnologie pulite. Riprenderemo il dibattito iniziato con il piano d’azione sulla biomassa e lo integreremo con una comunicazione sui biocarburanti.

Infine, presenteremo idee per sviluppare un vero mercato energetico paneuropeo, intensificando la cooperazione con i paesi vicini. Questo è un esempio di buon senso alla base di un approccio comune, da cui non va esclusa alcuna possibilità.

I leader nazionali e i cittadini comprendono il senso di una politica europea comune e coerente. Per le Istituzioni europee è il momento di svolgere il proprio ruolo con ambizione e rigore. Sono ansioso di lavorare con l’Assemblea nei prossimi mesi per elaborare una politica energetica europea.

Questo mi induce ad affrontare un’altra questione importante. La Commissione ha presentato lo sviluppo sostenibile quale obiettivo principale e, lo scorso dicembre, ha presentato una comunicazione sulla revisione della strategia di sviluppo sostenibile. Siamo lieti che la Presidenza austriaca abbia scelto di porre la questione in cima alla sua lista delle priorità, il che produrrà lo slancio necessario al completamento della preparazione di una nuova strategia di sviluppo sostenibile dell’Unione europea. Il documento della Commissione è ambizioso e concreto. Offre uno scenario a lungo termine per affrontare questioni quali il cambiamento climatico, la conservazione delle risorse naturali, l’esclusione sociale e la povertà nel mondo. Fissa obiettivi chiari, mete realistiche e procedure per monitorare e valutare i progressi. Identifica quale priorità il coinvolgimento in un vero partenariato di tutte le parti interessate – non solo le istituzioni, ma anche le imprese. Le autorità regionali e i cittadini devono collaborare per ottenere risultati concreti.

Un’altra questione che continua ad avere carattere prioritario nel nostro programma per i prossimi mesi è la sicurezza. Sono lieto di vedere che le priorità della Presidenza austriaca per quanto riguarda lo spazio di libertà, giustizia e sicurezza corrispondano a quelle della Commissione.

Tradurre il programma di aiuto in misure pratiche resta nostra priorità comune.

Nell’ambito dell’immigrazione, proseguiremo il dibattito lanciato dal piano d’azione per l’immigrazione legale, adottato nel dicembre 2005, e presenteremo proposte in merito ai cittadini stabiliti in via permanente che necessitano di protezione internazionale.

Durante questo semestre presenteremo inoltre un Libro verde sulla droga e la società civile, una proposta sul diritto applicabile in materia di divorzio e un Libro verde sul conflitto di leggi nell’ambito dei regimi patrimoniali fra coniugi. La Commissione presenterà la prima relazione di attuazione sul piano d’azione dell’Aia. Siamo ansiosi di compiere progressi significativi in tali importanti ambiti nel corso del mandato della Presidenza austriaca.

L’ultima priorità di cui vorrei parlare riguarda i rapporti con i paesi vicini. Il 2006 sarà un anno decisivo. In primavera la Commissione esaminerà i progressi compiuti da Bulgaria e Romania nei preparativi per l’adesione e ne valuterà il grado di preparazione in vista dell’ingresso nell’Unione europea.

Per quanto riguarda i Balcani occidentali, accogliamo con favore la priorità fissata dalla Presidenza austriaca. Dal 2003 i paesi dei Balcani occidentali hanno una chiara impostazione europea. Tale processo è cruciale per assicurare la pace e la stabilità in Europa. Per la Commissione è notevolmente importante monitorare con cura la situazione locale e le relazioni della regione con l’Unione. Per questo motivo ho deciso di visitare personalmente la regione nelle prossime settimane.

L’Europa deve altresì prepararsi ad assumere maggiori responsabilità nel Kosovo. Ora che per le discussioni sulla futura condizione del Kosovo inizia una fase critica, l’Unione europea deve dimostrare di saper dare un contributo concreto a una questione complessa e delicata.

L’anno scorso i capi di Stato e di governo hanno dato il via a un periodo di riflessione sul futuro dell’Europa. I cittadini, la società civile e gli attori politici stanno esprimendo e discutendo le proprie opinioni, aspettative e idee. La Commissione sta facendo appieno la propria parte con l’attuazione del piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito. Sono lieto di annunciare che nel 2005 i Commissari hanno compiuto 68 visite complessive ai parlamenti nazionali, spiegando ai cittadini europei le nostre politiche e il loro valore aggiunto, e ascoltando, poiché in un processo di dialogo non si deve solo spiegare, ma anche, e soprattutto, ascoltare il messaggio che i cittadini ci trasmettono. Il Parlamento europeo, con le sue controparti in seno ai parlamenti nazionali, sta affrontando questo dibattito con responsabilità. La Commissione è pronta a cooperare senza riserve con le sue iniziative.

I leader europei che ci hanno preceduti erano disposti a sognare un futuro possibile. Hanno avuto il coraggio delle proprie convinzioni europee. Hanno aperto una strada verso la riconciliazione e il progresso che nessuno aveva mai percorso prima di loro. Oggi beneficiamo di quell’eredità e della loro lungimiranza. Tuttavia, in un momento in cui è così facile denigrare i successi del passato e le attuali libertà, non possiamo dare per scontato il futuro consenso da parte dei cittadini. Bisogna guadagnarselo.

Auspico un’Europa più forte, che offra un quadro politico, economico e sociale solido per i cittadini, un’Europa fondata sulla cultura, un’Europa fondata su valori comuni. Un’Europa di democrazia, responsabilizzazione e trasparenza. Nel difficile mondo di oggi, abbiamo più che mai bisogno di un’Unione europea forte, un’Unione europea che promuova sicurezza, diritti umani e rispetto per lo Stato di diritto.

Successivamente al Consiglio europeo di giugno, la Commissione farà il punto dei risultati preliminari del dibattito pubblico e delle discussioni nell’ambito del piano D. Su richiesta della Presidenza austriaca, intendiamo inoltre proporre un programma di ulteriori dibattiti e interventi a livello europeo. Questo costituirà la base su cui i capi di Stato e di governo decideranno il percorso che l’Unione seguirà con il rinnovato impegno di tradurre gli obiettivi comuni in azioni.

Il maggior punto di forza dell’Unione è un insieme di valori comuni e una ricca cultura che devono ispirare la nostra riflessione sul futuro dell’Europa. Le Istituzioni sono indubbiamente importanti, ma sono strumenti per raggiungere i nostri scopi, e non dobbiamo dimenticare i principali obiettivi del nostro progetto. Dobbiamo offrire una leadership determinata e rafforzare il consenso per far progredire insieme l’Europa. Dobbiamo concentrarci sull’essenziale e sul rispetto degli impegni presi. Dobbiamo comunicare le nostre finalità pubbliche in termini chiari e significativi.

In conclusione, come ho detto al Cancelliere Schüssel quando io e altri Commissari lo abbiamo incontrato a Vienna, ho apprezzato molto la decisione della Presidenza austriaca di scegliere come logo tutti gli splendidi e luminosi colori dell’Europa. Penso che sia ora di lasciare da parte il grigio e il nero, di insistere sulle possibilità di tale diversità europea e di utilizzare questo importantissimo semestre di Presidenza austriaca per dimostrare il nostro rinnovato impegno per un’Europa che appartiene al futuro e crede in quel futuro.

(Applausi)

 
  
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  Hans-Gert Poettering, a nome del gruppo PPE-DE.(DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, innanzi tutto vorrei dire, signor Presidente in carica del Consiglio, che da lei ci aspettiamo moltissimo, poiché, come lei stesso ha affermato, l’Europa ha bisogno di fiducia e di progresso. Le grandi aspettative che nutriamo nei suoi confronti e in quelli della sua Presidenza non sono un mero desiderio astratto, ma si fondano sulla comprensibile speranza che lei svolga il suo compito con saggezza, e cioè con ambizione e realismo. Ricordo bene il semestre di Presidenza austriaca nel 1998. I leader del suo paese, e lei in particolare, sono europeisti convinti il cui impegno per l’Europa tende all’azione piuttosto che alla mera retorica, e inoltre lei è competente. Spero e credo che alla fine di questo semestre potremo dire bene della sua Presidenza. Naturalmente è ancora troppo presto per esprimere giudizi, ma le condizioni di base sono favorevoli.

Lei ha citato un elemento che considero il principio chiave dell’Europa, e cioè l’idea che la fiducia dei cittadini nelle Istituzioni europee deve scaturire dalla reciproca fiducia tra i capi di governo. Confido sinceramente che riuscirà a presentare il Consiglio e i governi come un organismo decisivo, che è unito nel desiderio di far progredire l’Europa, sfatando così l’impressione che i capi di governo non siano in grado di guardare al di là degli interessi nazionali tangibili del proprio paese e che portino l’Europa alla rovina. In seno al Consiglio, dobbiamo cominciare ad agire per l’Europa sulla base della fiducia reciproca.

(Applausi)

In Europa dobbiamo sapere che non vi può essere risposta alle grandi sfide dei nostri giorni senza Europa. L’Europa non è la soluzione a ogni problema, ma senza di essa le grandi sfide non verranno vinte. Il Presidente della Commissione ha detto che le Istituzioni europee sono uno strumento finalizzato a uno scopo. Sì, questo è vero, e significa che le Istituzioni europee devono adoperarsi per evitare che alcuni governi si arroghino il potere di imporre la strada da seguire. Questo non vale solo per i grandi paesi. Il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei si oppone a un’Unione dominata dai paesi più grandi. Nel contempo, avendo sentito il ministro degli Esteri dei Paesi Bassi affermare, solo ieri o l’altro ieri, che la Costituzione europea è morta, lo reputiamo niente meno che un gesto di prevaricazione, in quanto implica che tutti gli altri paesi debbano seguire i dettami dei Paesi Bassi. Non accetteremo nemmeno questo.

(Applausi)

Ha parlato di occupazione, economia e crescita. Concordiamo su tutto ciò che ha detto, ma quando parliamo di sostegno alle PMI, non chiediamo sussidi. Ciò di cui tali imprese hanno bisogno è un alleggerimento dei gravami fiscali e burocratici. Se saremo in grado di procurarglielo attraverso le norme fondamentali dell’Unione e degli Stati nazionali, si potranno creare anche posti di lavoro. Per questo motivo diciamo che le PMI devono stare al centro dei nostri pensieri in materia di politica economica.

(Applausi)

Questo naturalmente significa anche che siamo favorevoli alla legislazione europea, compresa la direttiva sui servizi. Ha parlato di apertura e protezione. E’ precisamente quello l’equilibrio che dobbiamo trovare. Ci stiamo lavorando in seno al Parlamento, e spero riusciremo a trovare una soluzione accettabile in prima lettura, a febbraio.

(Tumulto)

Mi compiaccio che il mio amico socialista sia d’accordo, ma non mi azzarderei mai a parlare a nome del suo gruppo. Lo farà lui stesso tra poco.

Per quanto riguarda la direttiva sui servizi, devo aggiungere che la capacità dell’Europa di affrontare i principali problemi causati dalla globalizzazione verrebbe indebolita in assenza di un mercato interno. Per questo motivo abbiamo bisogno del mercato unico europeo quale risposta alla globalizzazione.

(Applausi)

Quanto alla Costituzione, le chiediamo di elaborare un calendario, cosicché da ultimo si arrivi a un risultato che tutti i paesi dell’Unione europea possano sostenere, perché siamo fermamente convinti – e qui parlo a nome della sezione del PPE del nostro gruppo – che abbiamo bisogno della Costituzione.

In conclusione, si è parlato di energia. Naturalmente la discussione sull’energia riguarda anche il nostro approvvigionamento, noi stessi e il nostro benessere, che però alla fine non conta nulla se non è radicato nella democrazia. Per questo motivo non tollereremo che uno dei paesi del G8 stabilisca prezzi diversi per paesi come l’Ucraina, che sono democrazie, e paesi come la Bielorussia, che è retta da uno spietato dittatore, ma ottiene il gas a prezzi più bassi. Non parteciperemo a quest’ingiustizia; vogliamo essere sostenitori di tutti i paesi vicini sulla base di un ragionevole sviluppo sociale, della democrazia, dello Stato di diritto e della dignità umana. Vi auguriamo grande successo in questa impresa.

(Applausi a destra)

 
  
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  Martin Schulz, a nome del gruppo PSE.(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, Cancelliere federale – per un socialdemocratico tedesco, tale appellativo ha un fascino malinconico e nostalgico – l’ho ascoltata con grande attenzione, e devo dire che il suo discorso è stato emozionante, soprattutto per il modo in cui è stato presentato. Ascoltandola, si ha l’impressione che sia un vero piacere far parte del Consiglio, che sia bello essere Presidente in carica del Consiglio, un compito davvero nobile. Tuttavia l’apparenza inganna, come ha dimostrato la sua stessa amara esperienza e come avrà capito fin dall’inizio. Per questo motivo intendiamo analizzare in modo un po’ più attento il suo ruolo di Presidente in carica del Consiglio e i risultati che il Consiglio ci ha presentato, per poi azzardare un confronto tra ciò che lei ha descritto quali obiettivi necessari della sua Presidenza e la realtà finanziaria con la quale tali obiettivi devono misurarsi.

Prima di procedere, tuttavia, devo commentare alcune affermazioni. In un secondo momento mi dovrà spiegare che cosa c’entra il concerto di capodanno con i tagli alla fornitura di gas da parte della Russia. Il direttore aveva appena sollevato la bacchetta al concerto di capodanno, ci ha detto, quando ci hanno ridotto la fornitura di gas. E poi la trama si è infittita: quando è finito il concerto, ha detto, lo hanno tagliato drasticamente. Dobbiamo davvero discutere del legame misterioso tra il concerto di capodanno a Vienna e la fornitura di gas russo all’Europa.

Cancelliere, lei ha individuato tre obiettivi. Ha detto che i cittadini d’Europa vogliono crescita e occupazione. Sì, su questo ha ragione: crescita e occupazione. E i cittadini d’Europa non vogliono che Javier Solana e il Commissario Ferrero-Waldner debbano andare in giro con il cappello in mano quando vogliamo contribuire alla pace nel Medio Oriente o ogniqualvolta tentiamo di portare stabilità alle regioni problematiche del mondo. E’ indubbiamente corretto dire che i cittadini europei ci sosterranno quando verranno divulgati gli obiettivi adottati a Vienna domenica scorsa, cioè una lotta efficace contro il terrorismo e una forza di polizia europea efficiente che possa assistere le forze di polizia nazionali nella lotta alla criminalità organizzata. Con misure come queste, siamo certi di ottenere il sostegno dei cittadini per il progetto europeo. In effetti è per questo motivo che il Parlamento europeo, nella relazione Böge sulle prospettive finanziarie, ha posto al centro delle sue proposte finanziarie maggiore crescita, occupazione e sicurezza all’interno dell’Europa e nel mondo intero.

Confrontiamo ora le nostre proposte con le decisioni che avete raggiunto in seno al Consiglio – lei compreso, Presidente Schüssel – a dicembre. Per crescita e occupazione avete proposto 35 miliardi meno del Parlamento; per la sicurezza interna sotto forma di cooperazione efficace tra forze di polizia, 7,8 miliardi in meno; per la politica estera, 12,8 miliardi in meno! In tutti i settori che in Aula ha indicato come compiti strategici per la sua Presidenza, il Consiglio ha operato pesanti tagli, con l’aiuto del suo voto. Questa è la vera natura della crisi europea: le vostre promesse in seno al Consiglio, che non trovano alcuna concretizzazione. Questa è la crisi dell’Europa.

(Applausi)

Signor Presidente della Commissione, ora vorrei rivolgermi a lei. Devo dire che davvero non la capisco. Riscuotendo i sonori applausi dell’Assemblea, ha incoraggiato la Presidenza britannica del Consiglio a procedere proprio nella direzione che ho poc’anzi descritto, il che, in fin dei conti, è la nostra politica comune. E nella sua proposta di bilancio ha chiesto persino più soldi. La sua Commissione ha chiesto un fondo di 1 022 miliardi, necessario per portare a termine i nostri compiti nei prossimi sette anni. Alla fine la cifra è stata ridotta a 862 miliardi, con una differenza di 160 miliardi, che lei vanta come un grande successo. E’ questo che non riesco a capire. Vogliamo un accordo, Presidente Schüssel. Vogliamo che l’Europa sia strutturata in modo efficiente, il che non necessariamente implica sempre più soldi. Se non si possono più mobilizzare risorse, dobbiamo accettarlo. Ma allora le strutture delle spese vanno organizzate in modo tale che si possano raggiungere gli obiettivi da lei descritti. Ciò che abbiamo ottenuto è una struttura di bilancio immutata. Inoltre, ora abbiamo il teorema di Blair, che ha trovato posto accanto a quello di Pitagora. Tony Blair andrebbe davvero candidato al Premio Nobel per la matematica per il suo teorema, secondo il quale l’aumento decelerato di una somma equivale alla riduzione della somma stessa – geniale!

Poiché quest’anno cade il 250° anniversario della nascita di Mozart, Cancelliere, ho riflettuto sulle parole di Osmino nell’aria della meravigliosa opera mozartiana Die Entführung aus dem Serrail Il ratto dal serraglio – che di fatto rappresenta un’ottima descrizione di ciò che ci ha presentato il Consiglio. Osmino canta il seguente verso, che si adatta perfettamente al Consiglio: “Vostre insidie e vostri intrighi, vostre scuse e vostre storie note ormai mi sono”.

(Applausi)

Il Parlamento europeo, tuttavia, deve aggiungere la parte successiva della strofa: “Ma per ingannarmi dovrai alzarti presto: cretino non sono”.

Il Parlamento europeo è disposto a perseguire insieme a lei gli obiettivi che ha delineato, ma con le necessarie risorse e strutture. Trattiamo al riguardo. E ha ragione, signor Presidente della Commissione, quando dice che all’Europa servono meno grigio e nero. All’Europa occorre anche più rosso!

(Applausi a sinistra)

 
  
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  Graham Watson, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signor Presidente in carica del Consiglio, corre voce che lei sia bravo a disegnare e un alpinista esperto. Ha tratteggiato per noi un disegno chiaro della sua Presidenza e ha delineato i profili delle sue vette.

Il suo principale compito nel corso di questo semestre sarà raggiungere un accordo con l’Assemblea in merito al piano di spesa comunitario per i prossimi sette anni. Come sostenitore del tentativo di tagliare il bilancio, ha inflitto all’Unione la più grande penuria di risorse mai registrata. Questo bilancio non soddisferà nemmeno le richieste dei capi europei, figuriamoci le ambizioni dei cittadini. Per questo motivo, oggi il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa voterà a sfavore dell’accordo proposto da Tony Blair.

Se vuole ricostruire la fiducia verso il progetto europeo, deve convincere gli europei che l’Unione lavora nel loro interesse. Il programma ERASMUS è uno dei nostri progetti più visibili e riusciti, ma il Consiglio cerca di apportare tagli al bilancio per i giovani. Il progetto Airbus è un trionfo di sforzi comuni, eppure i fondi per ricerca e sviluppo non saranno sufficienti per ripeterlo. Confidiamo che il Consiglio si dimostri disponibile a collaborare con l’Assemblea per indirizzare di nuovo i fondi verso priorità quali ricerca e sviluppo.

Ogni anno ingenti somme non vengono spese o vengono ritirate in settori come l’agricoltura o i Fondi strutturali. Tali importi andrebbero tenuti per le priorità comunitarie e non restituiti agli Stati membri. Analogamente, il bilancio andrebbe basato sull’effettiva percentuale di reddito nazionale lordo piuttosto che su cifre nominali. Con una crescita dello 0,5 per cento in più rispetto alle previsioni, ad esempio, l’1,045 per cento del reddito nazionale lordo potrebbe valere quasi 16 miliardi di euro in più. Se l’agenda di Lisbona dovesse davvero riuscire a renderci più competitivi, tale cifra potrebbe addirittura aumentare. Possiamo contare su di lei per elaborare simili idee per l’accordo interistituzionale?

Il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa è ansioso di collaborare con lei allo scopo di ottenere maggiore competitività economica e occupazione. Ha descritto questa esigenza come “il compito più urgente della politica europea”. Questo significa tuttavia cogliere le opportunità offerte dall’Unione europea, non indietreggiare di fronte alle pressioni dei protezionisti.

In un’Unione allargata, le porte di Vienna non sono più sotto assedio, né il vostro stile di vita minacciato dalla Corte di giustizia delle Comunità europee.

Signor Presidente in carica del Consiglio, il 2006 è l’anno europeo della mobilità dei lavoratori. E’ dunque paradossale che lei cerchi di prorogare, per la prima volta nella storia dell’Unione europea, accordi transitori che inficiano la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione.

(Applausi)

Il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa respinge un’Europa a due velocità in cui i cittadini dei nuovi Stati membri ricevono un trattamento di serie B. Gli imprenditori europei, inoltre, necessitano di tutta l’assistenza qualificata che possono ottenere in assenza di un consenso in materia di immigrazione.

Non è stato il celebre austriaco Simon Wiesenthal a dire: “La libertà non è un dono del cielo, bisogna conquistarsela ogni giorno”? Il gruppo ALDE è d’accordo. E confida che lei manterrà saldo l’impegno per le libertà individuali e i diritti umani in un mondo in cui vengono calpestati con frequenza sempre maggiore.

Facciamo in modo che l’Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia di Vienna diventi un’agenzia per i diritti umani a tutti gli effetti.

E facciamo pressioni in favore di un dialogo mondiale sui diritti umani per contrastare la morte della democrazia in Russia, le restrizioni alla libertà in Cina e l’ipocrisia del Presidente americano, che uccide gli abitanti dei villaggi in Pakistan in nome della democrazia e della civilizzazione.

Credo che la Presidenza austriaca possa rendere un buon servizio all’Europa e al mondo.

Se manterrà la promessa di trasparenza pronunciata a dicembre e inizierà a tenere gli incontri del Consiglio in pubblico, i cittadini comprenderanno meglio l’Unione.

Se riuscirà a riscoprire il “Pörtschachgeist” del 1998 e a elaborare un efficace programma d’azione, il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa applaudirà i suoi sforzi.

Se collaborerà con noi e con i nostri colleghi per riportare sulla giusta strada il dibattito costituzionale, infonderà speranza agli affari comunitari.

Le auguriamo di avere coraggio e di ottenere risultati nei mesi a venire.

 
  
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  Daniel Marc Cohn-Bendit, a nome del gruppo Verts/ALE.(DE) Signor Presidente, signor Presidente della Commissione, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, il mio vicino mi ha ricordato, Presidente Schüssel, che lei gioca a hockey su ghiaccio. In questo caso mi consentirà senz’altro qualche body check.

Tutti sosteniamo di essere onesti, e certamente siamo tutti degni di fiducia – su questo non vi è dubbio. Il mio amico Albert Einstein mi ha detto quanto segue sulla teoria quantistica: se è importante porre la domanda giusta, si deve sempre cercare di scoprire che cosa è stato lasciato fuori dalla domanda, perché questo è ciò che conta alla fin fine. Pertanto seguirò il consiglio di Einstein e le dirò questo: senza dubbio lei è un mediatore onesto, e senza dubbio ogni paese deve organizzare il proprio approvvigionamento di energia come meglio crede. Il problema è l’orientamento che attribuiamo alle priorità di ricerca. Diamo la precedenza alla vecchia fonte di energia nota come energia nucleare o alla ricerca su (a) fonti rinnovabili e (b) idrogeno ricavato dall’energia solare? Non possono essere entrambe priorità di ricerca. Se ci viene data la scelta tra acqua e carbone, non possiamo optare per entrambe. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. E’ ora che annunci ciò che lei vuole in prima persona, anziché dire semplicemente che si adatterà a ciò che gli altri vogliono.

Per quanto riguarda le PMI, concordo con lei, ma anche a questo proposito prima o poi si dovrà prendere una decisione. Diciamo sì alla flessibilità, ma anche alla sicurezza. Sarebbe sbagliato organizzare una società in cui chi abbia problemi con la flessibilità debba anche pagare il prezzo dell’insicurezza. In breve, dobbiamo stabilire un sistema che garantisca sia flessibilità che sicurezza. Lei non l’ha detto.

Ci ha inoltre detto che in Europa occorre un mercato. Magnifico! Anche noi siamo favorevoli a questo obiettivo. Ha parlato inoltre della direttiva sui servizi. Stranamente vi è una cosa che non è stata menzionata né da lei né dall’onorevole Poettering, suo alleato politico, e mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate. Mi riferisco al principio del paese d’origine. Nessuno mette in discussione il principio della libertà di fornire servizi in Europa. Ciò che mettiamo in dubbio è un principio del paese d’origine che distruggerà la giustizia sociale negli Stati membri. E’ favorevole o contrario? Non ce l’ha detto. E’ questo il problema della giustizia sociale: dimostra che esiste di fatto una differenza tra destra e sinistra in seno al Parlamento.

Veniamo dunque alla crescita. Giustamente ha fatto riferimento a formazione e qualifiche. Naturalmente l’Unione europea non è responsabile dell’istruzione, ma può diffondere buone pratiche. Desidero una Presidenza che si affianchi infine alla Commissione per esaminare il sistema d’istruzione in Europa e che concluda, come ha fatto la neoliberale OCSE, che il sistema tedesco e quello austriaco sono i fanalini di coda, per il semplice fatto che non garantiscono l’uguaglianza. A parlare non è l’onorevole Cohn-Bendit, ma l’OCSE con il suo studio Programme for International Student Assessment (PISA). Sarebbe ora di capirlo. Il cosiddetto sistema basato sui risultati tedesco è una vergogna e va rivisto a livello europeo.

Passiamo ora a ciò che non ha detto, signor Presidente in carica del Consiglio. Vorrei sapere una cosa dello stile di vita europeo, che in realtà è sinonimo di diritto europeo. E’ possibile che al mondo vi siano istituzioni – la CIA, per la precisione – che in Europa operano entro un quadro giuridico che non ha nulla a che vedere con lo stile di vita europeo? Quale contributo darà la Presidenza a sostegno della commissione d’inchiesta del Parlamento europeo e del Consiglio d’Europa e per dire a chiare lettere agli Stati Uniti e al resto del mondo che l’Europa non è luogo in cui una potenza imperialista possa sentirsi libera di fare tutto ciò che vuole? Vorrei inoltre sapere a quali conflitti è disposta a esporsi l’Europa per difendere il proprio stile di vita. Come vede, il mio amico Albert Einstein aveva ragione: occorre indagare molto quando non si parla di alcune cose.

(Applausi dai banchi del gruppo Verts/ALE)

 
  
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  Francis Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL.(FR) Signor Presidente, Presidente Barroso, Presidente Schüssel, tra il Parlamento che con ogni probabilità metterà in discussione la direttiva sulla liberalizzazione dei servizi portuali, la protesta generale contro il progetto delle prospettive finanziarie in seno al Consiglio europeo e altro ancora, la sua Presidenza comincia proprio bene. Ha ereditato un campo minato. Buona fortuna! Alcuni dei suoi predecessori hanno visto la loro immagine passare da una sicurezza trionfale a una debolezza pietosa, il tutto nell’arco di un semestre. Lei intraprende la Presidenza con maggiore modestia, e credo che abbia ragione. Mi soffermerò solo su un passo del suo memorandum. Quando parla della discussione in merito alla Costituzione, nel paragrafo 8 lei scrive:

(DE) Tentiamo di ripristinare un alto livello di sensibilità verso i problemi dei cittadini che riguardano la conservazione dello stile di vita europeo entro il contesto della globalizzazione. Si tratta di rafforzare la fiducia nei confronti dei decisori politici dell’Unione.

(FR) Questo, in effetti, è il nocciolo della questione. Eppure, nell’attuale clima di ostilità dei cittadini verso le Istituzioni europee, le parole non bastano più: servono azioni, concrete, visibili e convincenti. Come diceva un illustre antenato: “Il pudding si giudica quando lo si mangia”. A questo proposito, in questo momento non vedo gesto più significativo di un appello chiaro e pubblico a respingere o a ritirare in via definitiva il progetto di direttiva sui servizi e di ogni altro testo che tragga ispirazione dai medesimi principi liberali.

Giovedì scorso il mio gruppo ha riunito a Bruxelles, per discutere del futuro del testo simbolico dell’ex Commissario Bolkestein, più di 200 attori sociali provenienti dall’intera Unione, dalla segreteria confederale della Confederazione europea dei sindacati ai rappresentanti del forum sociale della Polonia e della Romania, oltre a numerosi rappresentanti eletti locali, regionali e nazionali. Tutti hanno espresso forte opposizione al testo della Commissione, definito molto pericoloso dai capi della CES, ad esempio.

Presidente Schüssel, a Hampton Court, a ottobre, lei stesso ha preso atto della natura straordinaria dell’effettiva opposizione incontrata da questo progetto di direttiva nella maggior parte dei nostri paesi, non appena i nostri concittadini sono venuti a conoscenza del contenuto. Secondo alcune indiscrezioni, lei ha detto: “Non possiamo salvarlo; dobbiamo ritirarlo”. A nostro avviso, ritirare il testo è in effetti la strada da seguire, ma non con il proposito di ripresentarsi con un nuovo progetto leggermente modificato, un “Bolkestein light”, come l’ha definito uno dei dirigenti di ATTAC nel corso del nostro incontro di giovedì.

A dire il vero, la questione è servita a rivelare ciò che un numero crescente di europei non vuole più: mettere i lavoratori l’uno contro l’altro, e di conseguenza livellare verso il basso le loro conquiste sociali e i loro diritti. E’ la stessa logica respinta da tutti i lavoratori portuali nell’intera Unione, indipendentemente dal sindacato di appartenenza. Lo stesso vale per i lavoratori svedesi coinvolti nel caso molto simbolico di Vaxholm. Altri racconti analoghi ci giungono da paesi quali la Finlandia, la Scozia e l’Irlanda.

Con il passare degli anni, siamo impercettibilmente passati dalla costruzione dell’integrazione europea mediante l’armonizzazione delle legislazioni nazionali, ossia mediante atti politici e votazioni, che almeno facevano sperare di poter armonizzare dall’alto verso il basso, all’integrazione mediante il mercato, ossia attraverso una concorrenza sfrenata, la cui tendenza naturale è il livellamento verso il basso.

Non otterrà la fiducia degli europei, signor Presidente, senza una rottura chiara con questo modo di pensare liberale, in modo da porre davvero al centro del progetto europeo il lavoratore e il cittadino, e non più il mercato. E’ soprattutto sotto questo aspetto che la sua Presidenza verrà giudicata al termine dei prossimi sei mesi.

(Applausi dai banchi del gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica)

 
  
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  Roger Knapman, a nome del gruppo IND/DEM.(EN) Signor Presidente in carica del Consiglio, la Presidenza di Tony Blair e il suo contributo all’euroscetticismo sono stati così meravigliosi da farci sperare in un bis di altri sei mesi, che però non è stato possibile. Le posso tuttavia assicurare che lei è il prescelto per sostituirlo. Le siamo molto grati per la sua idea che in un certo qual modo la Costituzione non è morta, ma probabilmente solo addormentata. Presumibilmente lei pensa che in un momento qualsiasi verrà riportata in vita, il che, secondo la stampa, ha scosso persino il Presidente Barroso dal suo prolungato periodo di riflessione.

Faccia dunque del suo meglio! Non si preoccupi del fatto che il 70 per cento dei suoi concittadini in Austria non approvi il modo in cui lei ha parlato stamattina. Non si preoccupi del fatto che due terzi dei cittadini britannici non vedano alcun beneficio nel continuare a far parte di questo Parlamento fittizio. Non si preoccupi dei “no” della Francia né di quelli dei Paesi Bassi. Dalla sua posizione elevata, il suo disprezzo per la democrazia verrà notato e, ne sono certo, approvato da molte sezioni del Parlamento.

Nel frattempo, parlando di cose più terrene, questo sta diventando un club molto costoso cui appartenere. Non importa che in un momento di buona volontà Tony Blair si presenti e dia così tanti soldi – 7 miliardi di sterline – che il suo aspirante successore ora vuole istituire una “giornata nazionale del Regno Unito” all’insegna del patriottismo per tentare di arginare il danno prodotto nella percezione da parte dei cittadini britannici. Abbiamo un aumento del 63 per cento del bilancio nell’arco di sette anni e sta per essere introdotta la direttiva sull’orario di lavoro, perciò non possiamo nemmeno creare tale ricchezza.

Quale magnifico programma! E a tutti coloro che sono venuti dall’Europa orientale sperando di ottenere denaro: spiacente, ma nella posta l’assegno non c’è.

 
  
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  Cristiana Muscardini, a nome del gruppo UEN. – Signor Presidente, signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, abbiamo fiducia che la Presidenza rispetterà le promesse e ricreerà nei cittadini la fiducia verso l’Unione, della quale abbiamo parlato, una fiducia nei confronti di un’Europa che, come è noto, necessita di una politica estera comune ma anche – e subito – del rilancio di una politica economica, oggi colpevolmente assente rispetto alle esigenze inscindibili di ricreare competitività e di non perdere le conquiste sociali che sono alla base dell’esistenza stessa dell’Unione.

L’Unione deve ritrovare la forza e la volontà per far lavorare insieme le sue istituzioni e i suoi cittadini. Oggi l’unica cosa di veramente comune che abbiamo – e solo in 12 paesi – è la politica monetaria, che è di fatto decisa dalla Banca centrale, senza i sufficienti confronti politici con le altre istituzioni. Anche di questo dovremo discutere.

Apprezziamo l’impegno della Presidenza austriaca per riaprire la strada al trattato, ci auguriamo con i necessari passaggi per renderlo più snello e attuabile, al di là di utopie e sogni spesso in contrasto con la realtà con la quale dobbiamo confrontarci, ma avendo comunque la capacità di osare. E’ necessario saper prevedere, in termini realistici, il futuro e non solo saper gestire il presente. L’impegno per un’Europa più unità e più definita nelle competenze delle reciproche istituzioni, più agile e più vicina ai cittadini, deve vederci uniti e determinati anche per affrontare altre tre emergenza: l’immigrazione, il piano energetico e l’ambiente.

Per quanto riguarda l’immigrazione, abbiamo bisogno di una politica comune, sia per affrontare la realtà in termini umanitari che il pericolo del terrorismo internazionale, molte volte veicolato attraverso i flussi migratori. Solo il rispetto delle leggi e delle Costituzioni dei nostri Paesi da parte dei cittadini extracomunitari, da qualunque parte provengano, è alla base di una convivenza civile e proficua per realizzare una vera integrazione.

Senza energia non c’è sviluppo, così come lo spreco di energia crea danni irreparabili. L’energia non può prescindere dalla sicurezza, dallo smaltimento, dalla tutela dell’ambiente come bene comune e condizione della stessa sopravvivenza. I problemi collegati ai mutamenti climatici non hanno visto fino ad oggi un’attiva partecipazione dei ministri delle Finanze degli Stati membri, nonostante le numerose conseguenze economiche che questi mutamenti comportano.

E’ auspicio che, sotto la Presidenza austriaca, si vedano lavorare su questa emergenza anche i ministri delle finanze e della programmazione, pensando ai costi in vite umane, in patrimonio abitativo, agricolo o paesaggistico e a quelli della ricostruzione, che il mondo ha pagato per i recenti cataclismi.

Una politica ambientale comune costituisce una necessità interna dell’Unione come pure una necessità dell’Unione verso il resto del mondo, perché rientra nei doveri e negli obiettivi che ci siamo anche posti durante i lavori della Convenzione per il trattato.

Apprezziamo l’attenzione della Presidenza per la politica commerciale e quella di vicinato. Quest’ultima dovrà occuparsi del rispetto dell’acquis comunitario: mi riferisco alle recenti dichiarazioni inesatte – per non dire scorrette e false – di un rappresentante del governo croato. Per quanto riguarda la politica commerciale, dobbiamo ricordarci di chiedere il rispetto dei diritti umani là dove non sono rispettati.

 
  
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  Hans-Peter Martin (NI).(DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, la mattinata è stata vivace. Continuiamo così. Come molti altri, sono convinto che sarebbe meglio per l’Europa se lei fosse seduto dall’altra parte quest’oggi, se lei fosse Presidente della Commissione e non solo il temporaneo Presidente in carica del Consiglio. Nel tempo assai limitato a sua disposizione, non può sperare di compiere grandi imprese, ma senza dubbio è possibile aprire la strada in settori quali l’energia e la sussidiarietà. Anche in campo finanziario lei può ottenere risultati, ma la prego di non lasciarsi sviare da persone la cui inettitudine nella gestione del denaro è comprovata storicamente. Non creda che una maggiore quantità di denaro comporti automaticamente migliori risultati. I soldi in effetti ci sono. Abbiamo davvero 112 miliardi di euro. La questione è solo come vengono utilizzati. Lei stesso, Cancelliere, ha detto che la domanda è la cosa più importante. Lei stesso ha detto che bisogna costruire la fiducia. Lo faccia! Sia concreto! Dica chi ottiene che cosa e chi paga che cosa dalle casse europee.

Quanti euro in assegni di sovvenzioni hanno già ricevuto il potente magnate delle banche e dei media Christian Konrad e i suoi amici per cose come terreni di caccia? Quanti euro in sussidi diretti ricevono il governatore di Stato Erwin Pröll, i suoi amici e il suo parente, il ministro dell’Agricoltura? E’ vero che in Austria 427 agricoltori influenti, quasi tutti molto vicini al suo partito, ricevono più di 72 000 euro l’anno in sussidi diretti? Potrei proseguire. Che dire di Danone e della Francia? Dei prodotti caseari Müller e della Germania? E le società rette dal diritto pubblico? Apra le porte! Crei una vera trasparenza sui destinatari dei benefici. Renda trasparenti le sedute del Consiglio, in modo che sappiamo come vengono raggiunte tali decisioni. Mentre ripristina la fiducia, deve preoccuparsi dell’emittente televisiva governativa ORF. Che cosa ci fa adesso il redattore capo Werner Mück? E gli altri adepti che continuano a ripresentarsi? Queste sono grandi opportunità per lei: le colga! Cambi! Ponga fine al periodo dei segreti nella politica interna austriaca. Diventi un leader europeo illuminato! Molti milioni di cittadini europei gliene saranno grati.

 
  
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  Othmar Karas (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, vorrei porgere al Presidente in carica del Consiglio un sincero benvenuto in seno al Parlamento europeo. Non solo noi austriaci siamo lieti che il Presidente Schüssel abbia assunto il mandato della Presidenza del Consiglio. Le sue priorità e i suoi principi politici, Cancelliere, sono anche i nostri. In seno al Parlamento europeo, diversamente dai parlamenti nazionali, ci disponiamo a semicerchio, perché abbiamo bisogno l’uno dell’altro. Grazie per aver spronato le Istituzioni a calarsi in uno spirito di cooperazione, che sostituisca il confronto istintivo, la mancanza di coordinamento e le quotidiane prese di posizione politiche. Il suo discorso è stato un benefico cambiamento rispetto a ciò che ascoltiamo da qualche mese.

Questo nuovo approccio, tuttavia, richiede anche rispetto reciproco e disponibilità a impegnarsi nel dialogo, a fidarsi l’uno dell’altro e a scendere a compromessi. Nel libro Hoffnung Europa, in cui lei stesso ha scritto della strategia della cooperazione, viene citata questa frase di Kofi Annan: “Non abbiamo bisogno di altre promesse. Abbiamo bisogno di iniziare a mantenere le promesse già fatte”. Questo mi pare il succo del suo discorso. Per questo motivo siamo favorevoli ai tentativi di rafforzare le PMI, ma contrari a una riduzione del 70 per cento dei finanziamenti al programma per la competitività e l’innovazione per le PMI. Siamo favorevoli all’istruzione e perciò dobbiamo rifiutare un taglio del 40 per cento nella relativa sezione del bilancio. Siamo favorevoli a un’Europa trasparente, accessibile, democratica, parlamentare, socialmente responsabile, più forte, ma ciò significa che dobbiamo lanciare il dibattito sul futuro politico dell’Unione e rendere i cittadini partecipi dell’Europa. Siamo favorevoli alla direttiva sui servizi. Facciamone un modello di economia di mercato sociale. Siamo favorevoli a un’Unione fondata sul principio di Comunità. Proseguiamo lo sviluppo dell’Unione e sosteniamo la politica estera e di sicurezza comune. Dobbiamo essere pronti a parlare e ad ascoltare, perché abbiamo molti compiti da svolgere. Mettiamoci al lavoro!

 
  
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  Hannes Swoboda (PSE).(DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Presidente della Commissione, innanzi tutto vorrei dire che per la verità il Cancelliere non ci ha detto molto del futuro allargamento, sebbene rappresenti di fatto una priorità della Presidenza austriaca, in primo luogo per Bulgaria e Romania e in secondo luogo per quanto riguarda i preparativi per i passi successivi nell’Europa sudorientale. Per quanto concerne Bulgaria e Romania, vorrei ricordarle che il Consiglio ha promesso di discutere in modo approfondito con l’Assemblea se l’adesione possa avvenire nel 2007, come spero, o se debba essere rinviata al 2008. Ci aspettiamo che la Presidenza onori l’impegno preso di consultarci al riguardo.

Quanto all’Europa sudorientale, considero questa regione una priorità assoluta. Dica agli altri membri del Consiglio che non si tratta di incorporare questi paesi da un giorno all’altro per mancanza di altre opzioni, ma di mantenere la prospettiva e la possibilità dell’adesione, cosicché i giovani vedano il senso di rimanere nella regione, anziché spopolarla con l’emigrazione. Vi sono molte verifiche da effettuare. Una di queste riguarda il modo in cui i paesi della regione trattano le minoranze. Per il Parlamento, il trattamento riservato alle minoranze è sempre un fattore importante. A questo proposito, Cancelliere, sono già profondamente deluso. Come intende porsi, in qualità di Presidente in carica del Consiglio, rispetto alla tutela dei diritti delle minoranze, se nel suo stesso paese non riesce a convincere il suo partner di coalizione, Jörg Haider, a mostrare un minimo di rispetto per la minoranza slovena in Austria, collocando cartelli topografici bilingui? Mi auguro altresì che nel corso di questa particolare Presidenza farà tutto il possibile per assicurare che l’Austria si comporti in modo esemplare, senza regredire, cercando soprattutto di guadagnare la fiducia internazionale.

Per quanto concerne l’allargamento, talvolta abbiamo l’impressione che i capi di governo – e in questo lei di certo non è solo – prendano decisioni con gran rapidità. Quando però si tratta di comunicare alla popolazione perché sono necessari progressi per l’allargamento e che cosa c’è da guadagnare dall’allargamento, hanno molto poco da dire. Il Consiglio deve valutare, insieme a Parlamento e Commissione – poiché è un’operazione che si può fare solo insieme – come presentare congiuntamente ai cittadini questo grande e storico progetto di allargamento, poiché, come giustamente ha detto, manca davvero la fiducia. Dobbiamo riflettere insieme su ciò che possiamo fare per superare tale mancanza di fiducia.

Riguardo ai problemi economici e all’occupazione, devo darle il mio pieno sostegno. Uno dei criteri in base ai quali valuteremo i suoi risultati è il modo in cui la sua gradita promessa di combattere la disoccupazione verrà onorata nel corso della sua Presidenza e la misura in cui sarà disposto a indicare la strada da seguire con provvedimenti specifici. A questo proposito, è particolarmente deplorevole che, benché siano disponibili più fondi per la ricerca e lo sviluppo, alcuni di tali fondi, come lei sa molto bene, siano stati deviati dallo sviluppo infrastrutturale. La rete ferroviaria europea, tanto importante per tutti noi, soprattutto per il nostro paese, accuserà i pesanti tagli che abbiamo apportato in quel campo. Lo troviamo inaccettabile, e anche qui dobbiamo tentare di apportare una modifica.

Signor Presidente in carica del Consiglio, noi socialdemocratici giudicheremo con obiettività la sua Presidenza. Valuteremo i suoi risultati in base a ciò che ha promesso oggi. Ci auguriamo che la Presidenza austriaca sia un clamoroso successo. Per noi l’Europa è talmente importante che non possiamo non augurarglielo.

 
  
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  Karin Resetarits (ALDE).(DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, sono certa che mi scuserà, Presidente Schüssel, se in quest’occasione la paragono a Zeus, ma di fatto molti capi di governo trattano l’Europa come la suprema divinità dell’antica Grecia trattava Europa, ossia come un’amante che in questa sede si corteggia, ma che a casa, accanto alla propria moglie, non viene menzionata o viene sminuita per non destare sospetti.

(Ilarità e applausi)

E i cittadini dei nostri paesi reagiscono proprio come bambini in una famiglia dove prevale una tale mancanza di chiarezza. Sono estremamente incerti e diffidenti; diventano ribelli, come abbiamo notato chiaramente in occasione dei “no” nei referendum in Francia e nei Paesi Bassi.

Vuole dunque dare nuovo slancio all’Europa, signor Presidente in carica del Consiglio? Lo può fare solo dando il buon esempio e creando quella tanto sospirata chiarezza. I membri del Consiglio devono andare a casa e confessare la loro relazione con l’Europa, sostenerla con maggiore audacia, fare in modo che le sia data un’indennità finanziaria valutata con cura per andare incontro alle sue esigenze e dire ai cittadini in patria che le speranze di ciascuno Stato membro nella gara mondiale per la prosperità dipendono interamente dall’esistenza di un’Europa forte e sicura di sé e che è compito dell’Europa coltivare la globalizzazione.

(Applausi)

 
  
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  Johannes Voggenhuber (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, vorrei darle anch’io il benvenuto in Aula, Cancelliere, e farle i miei auguri di successo e di buona fortuna, qualunque sia l’impresa cui si dedicherà per la comune causa europea.

Dopo il grandioso e quasi disperato discorso del Presidente lussemburghese del Consiglio sei mesi fa e la grande e demagogica allocuzione del Presidente Blair, oggi lei ci ha impartito una sorta di lezione di armonia europea, tentando di trarre una “melodia europea” dal flauto magico politico. Questa “melodia europea”, tuttavia, non può mettere in ombra la realtà che l’Europa è in crisi. Le sue note non possono offuscare i battibecchi tra governi e il continuo baccano del mercato nazionalista, né soffocare il tormentoso lamento dell’Europa, che i governi rendono un capro espiatorio ogniqualvolta ne abbiano bisogno – quella stessa Europa che proprio quei governi hanno creato.

Ho ascoltato con profonda attenzione e con grande rispetto le sue parole sul popolo d’Europa, perché va detto che la maggior parte dei governi nega l’esistenza di un popolo europeo; vi sarebbero conseguenze importanti per la questione costituzionale se il popolo d’Europa venisse preso in seria considerazione. Tornando però al tema citato dall’onorevole Cohn-Bendit, il flauto magico non si sente neppure nel silenzio dei governi – il silenzio della loro gioia soffocata di fronte alla disfatta di una Costituzione che avrebbe dato all’Europa, ai cittadini d’Europa, maggiori diritti, ma che sarebbe costata ai governi alcuni dei loro poteri.

Non la si vede mai in prima linea quando è ora di spezzare una lancia per la democrazia europea: silenzio sulle questioni sociali, Cancelliere, e lezioni di armonia. Lo stile di vita europeo non è a rischio. In ogni caso, non è una sua responsabilità. Ha molte sfaccettature. I cittadini creano da soli lo stile di vita. Ciò che è a rischio, tuttavia, è il modello sociale europeo, l’economia sociale di mercato. Non ha detto una parola al riguardo. Non è per la libertà che ci serve un flauto magico. Ma la sua collaborazione nel caso della CIA, in un mostruoso attacco ai diritti fondamentali nel cuore di questa Europa…

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Kartika Tamara Liotard (GUE/NGL).(NL) Innanzi tutto vorrei dare il mio sincero benvenuto al Presidente Schüssel. Sarebbe corretto dire che due temi domineranno la Presidenza austriaca: il processo costituzionale fallito e la direttiva sui servizi.

Detto con semplicità, i cittadini francesi e olandesi hanno dichiarato morta la Costituzione; essendo stata respinta da due Stati membri, non è più in discussione, e prima l’Unione europea riuscirà ad ammetterlo, prima potremo cominciare le riforme necessarie: ridurre le intromissioni dell’Unione nelle questioni di competenza nazionale, porre fine agli sperperi di denaro e alle frodi in Europa e portare a termine un autentico processo di democratizzazione nell’Unione europea.

Per quanto riguarda la direttiva sui servizi, l’Austria sta cercando un compromesso tra i diversi fronti. Tuttavia, se l’intento è quello di trovare un compromesso tra le multinazionali da un lato e i sindacati dall’altro, il risultato sarà sempre un peggioramento delle condizioni di lavoro in Europa. Sarà inoltre impossibile scendere a compromessi in merito al cuore della proposta, e cioè sul principio del paese d’origine.

Poiché il mio partito e il mio gruppo ricusano la concorrenza nel campo delle condizioni di lavoro o del dumping sociale quale futuro dell’Europa, respingiamo anche la proposta di direttiva. L’Europa non ha voluto una Costituzione e non vuole questa direttiva sui servizi.

La Presidenza austriaca potrebbe finire sui libri di storia come la prima Presidenza ad ascoltare davvero il volere dei cittadini. Se però si deciderà di imporre con la forza ai cittadini una Costituzione e questa direttiva sui servizi, si rafforzerà soltanto l’opposizione alla cooperazione europea.

 
  
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  Mario Borghezio (IND/DEM). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Presidenza austriaca, alla quale rivolgiamo i migliori auguri, ha molti temi su cui riflettere: la bocciatura della Costituzione europea, morta e defunta, e lo scetticismo che dilaga tra popoli europei. La invitiamo a puntare sull’Europa dei popoli e sull’Europa delle regioni.

Io ho rivolto l’invito a considerare la città di Trieste, città-simbolo dell’Europa delle etnie e di convivenza civile fra i vari popoli, come capitale dell’Europa delle regioni. A proposito dei diritti dei popoli, vorrei segnalare la presenza, qui fuori al Parlamento, degli istriani, dei dalmati e dei fiumani. Richiamo l’attenzione sul fatto che il loro diritto alle loro proprietà è ancora stato calpestato nonostante il trattato di pace del ’47 ne prevedesse la tutela. E sono ancora qui! Cancelliere Schüssel, io le consegnerò un dossier su questa annosa questione così delicata.

Difendiamo i diritti dei popoli ed evitiamo che l’Europa sia quella dei tecnocrati di Bruxelles. I dossier che hanno causato questo scetticismo sono dovuti al predominio dell’Europa dei tecnocrati, delle banche, dell’Europa che auspica l’adesione della Turchia e l’approvazione della direttiva Bolkestein. Noi siamo a favore di un’altra Europa, cioè l’Europa dei popoli e delle regioni. Ed è di questo sentimento profondo che si deve rendere interprete la saggia Austria Felix.

 
  
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  Konrad Szymañski (UEN).(PL) Signor Presidente, devo dire che sono rimasto sorpreso nel sentire il ministro dell’Economia austriaco perorare de facto il congelamento della direttiva sui servizi, considerato che al centro del programma di lavoro del Consiglio vi sono le questioni istituzionali.

Stando così le cose, mi vedo costretto a chiedere se si intendano sprecare sei mesi del nostro tempo comune per discutere del Trattato costituzionale, che è stato respinto. Vorrei sapere anche quali azioni sono previste al fine di creare un mercato comune dei servizi all’interno dell’Unione europea e di eliminare tutte le barriere che esistono sul mercato del lavoro; dopo tutto, è ormai evidente che esse non hanno più alcuna giustificazione economica.

Sono molto curioso di vedere quale sarà la reazione alle azioni illegali dei sindacati svedesi. Dopo il caso della società lettone Vaxholm, stanno progettando di danneggiare un’altra impresa di costruzioni di uno dei nuovi Stati membri, la polacca Zojax.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI). (DE) Signor Presidente in carica del Consiglio, se la Presidenza austriaca vuole combattere il catastrofico rifiuto dell’Unione europea da parte di ampi strati della popolazione europea, deve porre le domande giuste.

Nel farlo, sarebbe sbagliato evitare la domanda fondamentale, e cioè: quale dovrebbe essere il risultato finale dell’integrazione europea? Un superstato federale con la tendenza ad accentrare i poteri, esito cui avrebbe inevitabilmente portato l’abortito Trattato costituzionale, o una confederazione di Stati, un’Europa delle nazioni.

Sarebbe sbagliato anche evitare di valutare dove finiscono i confini dell’Europa e per quale ragione un luogo quale l’Anatolia islamica dovrebbe appartenere all’Europa, o fino a dove debba spingersi l’allargamento a est e se il processo non debba essere preparato con maggiore cura.

L’ultima e inevitabile domanda è: perché l’Unione non può funzionare a meno che non si imponga un onere ancor maggiore sui principali contributori netti, cui ora appartiene anche l’Austria?

Mi auguro di cuore che smetta di eludere – con eleganza, lo ammetto, ma in modo imbarazzante – queste domande che sono centrali per il futuro stesso dell’Europa. Se non lo farà, lo scetticismo dei cittadini nei confronti dell’Unione europea continuerà a crescere nel corso della Presidenza austriaca.

 
  
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  Timothy Kirkhope (PPE-DE).(EN) Signor Presidente in carica del Consiglio, a nome dei Democratici europei del gruppo PPE-DE, nonché nella mia qualità di primo esponente del partito conservatore britannico a intervenire nella discussione, le do il benvenuto e le formulo i migliori auguri. Lei assume la Presidenza del Consiglio in un momento importante; sull’onda delle occasioni sprecate dalla Presidenza britannica, avete ora l’opportunità di compiere progressi concreti in una serie di settori decisivi.

Mi auguro sinceramente che il programma di riforme economiche sarà portato avanti con una certa urgenza. Durante la scorsa Presidenza è rimasto in una posizione di stallo; vi sollecito pertanto a non desistere dal perseguire la causa delle riforme. Sono un po’ preoccupato per quanto riguarda la direttiva sui servizi, alla quale credo intendiate apportare alcune modifiche, e i vostri progetti di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale. Spero che non farete nulla che possa compromettere le prospettive di progresso economico per effetto di tali misure. Vi chiedo altresì di non modificare la possibilità di opt-out prevista dalla direttiva sull’orario di lavoro, che, sicuramente dal punto di vista del Regno Unito, in questi ultimi tempi ha svolto un ruolo fondamentale nel raggiungimento del benessere economico di quel paese.

Accolgo con molto piacere il vostro invito ad avviare una discussione seria sul ruolo della Corte di giustizia. Si tratta di una discussione molto importante perché negli ultimi anni è sembrato che la Corte abbia ampliato le competenze europee a settori nei quali non esiste assolutamente una legislazione europea. E’ giunto quindi il momento di affrontare una simile discussione, e personalmente sono molto lieto che essa abbia luogo.

Avete fatto alcune osservazioni sulla Costituzione europea. Vorrei dire chiaramente che, a nostro parere, in questo momento non è opportuno riesumare il tema della Costituzione. I commenti del ministro degli Esteri olandese non possono essere ignorati. I cittadini europei non vogliono uno Stato più centralizzato né un’Europa centralizzata. A Laeken, all’inizio del processo che ha portato alla Convenzione, i leader avevano affermato di voler riavvicinare l’Unione europea e le sue Istituzioni ai cittadini. In tal senso, la Costituzione ha fallito. Ciò che la gente vuole, invece, è un’Europa che si occupi di posti di lavoro, crescita economica, tutela ambientale, collaborazione nella lotta contro la criminalità e il terrorismo. Dobbiamo perciò smetterla con l’ormai trita discussione sulle istituzioni e sulle costituzioni, per concentrarci sui settori nei quali l’Unione può fornire un valore aggiunto alla qualità e al tenore di vita dei nostri cittadini.

Auguro a tutti voi buona fortuna.

(Applausi)

 
  
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  Poul Nyrup Rasmussen (PSE).(EN) Signor Presidente, signor Cancelliere, condivido appieno quanto detto dal presidente del mio gruppo, onorevole Schulz, sulle prospettive finanziarie. Mi auguro vivamente, signor Cancelliere, che con le sue doti negoziali darà prova della necessaria flessibilità durante le prossime trattative con il Parlamento.

Come lei, anche il presidente del mio gruppo ha sottolineato quanto sia importante che questa Presidenza promuova la crescita e l’occupazione. Ho notato che lei ha parlato di una crescita economica del 3 per cento e di un calo dell’1 per cento della disoccupazione come di una prospettiva praticabile nei prossimi anni. Sarebbe una prospettiva splendida, sulla quale metterei la firma; è tuttavia necessario usare gli strumenti giusti per raggiungere tale obiettivo. Diamoci dunque da fare, utilizzando però gli strumenti giusti.

Qualche giorno fa le ho inviato una proposta su una nuova strategia di crescita che il gruppo socialista e il partito socialista sostengono. L’onorevole Schulz e io siamo stati a Londra il giorno prima del Vertice di Hampton Court, e i leader, i presidenti e i primi ministri socialisti hanno deciso all’unanimità di sottoporre all’Unione europea una nuova strategia comune di crescita, riconoscendo così che non possiamo stimolare la crescita economica semplicemente con una direttiva comunitaria, posto che non abbiamo le competenze necessarie. Possiamo farlo, però, di comune accordo per mezzo di una decisione intergovernativa liberamente adottata durante la prossima riunione primaverile del Consiglio.

Spero sinceramente che lei condivida questa impostazione che le è stata proposta dai governi socialisti europei, e che unirà le forze dell’altra sponda, siano esse grigie o di qualsiasi altro colore. Sono i risultati che contano, come ha detto lei. Questa strategia di crescita ha dimostrato che, se stimoliamo la crescita con una combinazione di riforme e di domanda guidata di investimenti intelligenti nell’istruzione, in una politica attiva per il mercato del lavoro, nell’assistenza all’infanzia, nella ricerca e nelle piccole e medie imprese, possiamo farcela. Però è necessario che il Consiglio di primavera prenda decisioni comuni e che nei prossimi tre o quattro anni siano adottate decisioni prudenti e guidate.

Un paio di settimane fa ho chiesto al Presidente Barroso se possiamo farlo. Potremmo trovare un nuovo accordo che funga da nuovo punto di partenza per il Vertice di primavera? Ho avuto l’impressione, Presidente Barroso, che lei abbia detto: “proviamoci”. Lei ha l’opportunità di farlo; se lo farà, non solo i cittadini europei potranno udire il suono dell’Europa, ma anche noi potremo udire la voce dei nostri cittadini, che cominceranno ad ascoltarci e saranno disposti a discutere di un nuovo trattato per l’Europa. Non crede che ne valga la pena? Io credo di sì.

 
  
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  Silvana Koch-Mehrin (ALDE).(DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, nei prossimi sei mesi lei dovrà affrontare molti compiti importanti, che ha già elencato. La maggior parte di essi riguardano il lavoro quotidiano di quest’Assemblea. Credo, tuttavia, che dovrebbe occuparsi di un compito ancora più rilevante: la riscoperta dell’identità europea. Se l’identità comune non è visibile, sorge spontanea la domanda: dove trova l’Unione europea la sua giustificazione? Lei deve dare risposta a questo interrogativo: l’Europa è utile per me e per chiunque altro? L’Europa è utile in termini politici, in termini finanziari? Come è concretamente visibile nella mia vita quotidiana? Cosa mi rivela che sono europeo?

Per tali motivi è necessario che lei avvii una discussione pubblica e accetti posizioni diverse, perché sono convinta che chi non ammette critiche crea più danni all’Europa dei suoi stessi critici.

Nel contempo, la invito ad avere il coraggio di promuovere iniziative insolite. Devo dire che apprezzo molto le sue attività nel campo dell’arte. In fin dei conti, lei è a capo dell’Austria Felix. E’ abituato al gioco di squadra e a giocare duro. La metà dei suoi ministri sono donne. Renda più viva l’idea dell’Europa agli occhi dei cittadini! Questo sì che sarebbe un successo.

(Applausi)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. SARYUSZ-WOLSKI
Vicepresidente

 
  
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  Sepp Kusstatscher (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, signor Cancelliere, vorrei sottoporre all’attenzione della Presidenza in carica del Consiglio tre questioni molto concrete.

Primo: occorre garantire la tutela delle minoranze. Noi altoatesini di etnia austriaca abbiamo sempre ricevuto da Vienna molta comprensione e molto sostegno. Mi auguro che l’Austria sia altrettanto generosa nei confronti delle minoranze che vivono all’interno dei suoi confini, come gli sloveni della Carinzia. La diatriba attualmente in corso in Carinzia sui cartelli toponomastici è grottesca.

Secondo: occorre ratificare il Protocollo sui trasporti della Convenzione alpina. Se non sarà l’Austria a risolvere tale questione, che investe ormai da lungo tempo i paesi alpini, chi altri dovrebbe farlo?

Terzo: occorre evitare la realizzazione della galleria di base del Brennero. Costruire una linea ferroviaria ad alta velocità attraverso le Alpi è un’impresa molto pericolosa per tutta una serie di motivi: trasporto misto sul tratto vecchio e sul tratto di nuova progettazione, treni passeggeri ad alta velocità attraverso gallerie così lunghe e così numerose, treni merci sulla ferrovia alpina, che causerebbero insostenibile disturbo alle persone che vivono nelle vicinanze, e la costruzione affrettata della galleria in quanto tale senza però la contemporanea realizzazione dei tratti di accesso. Questo nuovo megaprogetto sarebbe ancor meno redditizio dell’eurotunnel sotto la Manica.

 
  
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  Tobias Pflüger (GUE/NGL).(DE) Signor Presidente, voglio innanzi tutto dare il benvenuto alla nuova Presidenza, grazie alla quale, forse, avremo ora politiche forti e rapide, invece dell’aria fritta che ci è stata servita durante la Presidenza britannica. Tuttavia, Cancelliere Schüssel, il suo programma per la Presidenza dell’Unione europea è allarmante, soprattutto nel settore della politica estera e militare. Da un canto, ci viene detto che i prossimi passi da compiere in relazione al Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa dovranno essere discussi apertamente; tale indicazione ci può anche andar bene, però la Costituzione nella sua versione attuale è morta e ci rimane soltanto di fissare la data del suo funerale. Dall’altro, alcune parti del Trattato costituzionale, necessarie per il perseguimento della politica militare comune, vengono attuate già adesso, senza attenderne la ratifica. Proprio questo programma nel campo della politica militare comporta problemi particolari per uno Stato neutrale. Citerò due esempi: sono necessari sforzi affinché le truppe di combattimento siano dispiegabili entro il 1o gennaio 2007; inoltre, occorre riservare un’attenzione particolare alla cosiddetta Agenzia europea della difesa.

Cancelliere Schüssel, non dia all’Unione europea un volto militare, le dia un volto civile e civilizzato!

 
  
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  Georgios Karatzaferis (IND/DEM).(EL) Signor Cancelliere, la ricetta per il successo è molto semplice: prendere una grande fotografia di Blair, appenderla di fronte alla scrivania e scriverci sotto “Non devo imitarlo”. In questo modo si può star certi che si avrà successo.

Un’altra ricetta consiste nel non essere concilianti, nel restare saldi e fermi sulle proprie posizioni. L’atteggiamento conciliante del 3 ottobre 2005 resterà impresso nella nostra memoria.

Un altro elemento è la necessità di limitare il controllo da parte degli Stati Uniti d’America al settore e all’attività della CIA. State bene attenti a non lasciarvi trascinare in nuove imprese rischiose nel Medio Oriente e non cercate, ovviamente, di far risorgere la Costituzione: quel che è morto è morto e non può costituire una prospettiva per i popoli europei.

D’altro canto, cambiate gli indicatori di Maastricht, perché i paesi europei in via di sviluppo non ce la fanno a rispettarli. Occorre dire di no all’euro forte che impedisce la crescita industriale e anche, ovviamente, agli alti tassi di interesse che stanno rovinando le famiglie.

Ancora un punto: nel 1945, quando l’Austria chiese di aderire alla NATO con la denominazione di Repubblica germanica dell’Austria, vi venne detto di togliere l’aggettivo “germanica”. Ora noi diciamo di no all’uso del termine “Macedonia” nell’acronimo FYROM.

 
  
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  Guntars Krasts (UEN).(LV) Oggi l’Unione europea si trova ad affrontare sfide interne ed esterne talmente importanti che non è sufficiente che il paese che detiene attualmente la Presidenza si limiti a continuare il lavoro già iniziato.

Il programma di lavoro proposto dalla Presidenza è all’altezza dei compiti fondamentali che l’Unione europea deve svolgere? A mio parere, la Presidenza ha indicato con sufficiente precisione i problemi che, ove non risolti, renderebbero difficile immaginare un ulteriore sviluppo positivo dell’Unione europea. E’ necessario trovare risposte chiare agli interrogativi di fondo sui limiti dell’allargamento dell’Unione e sulla portata dell’integrazione; sarebbe così possibile riprendere le discussioni sulla Costituzione partendo da un nuovo livello di comprensione reciproca.

Nell’attuazione della strategia di Lisbona abbiamo ora la nostra ultima occasione di coniugare l’intensità delle attività da svolgere giorno per giorno con le scadenze fissate per il suo completamento. Prendere una decisione sulla liberalizzazione del settore dei servizi ci consentirebbe non solo di sfruttare nuove opportunità economiche all’interno del mercato dell’Unione europea, ma anche di dare allo sviluppo delle piccole e medie imprese il massimo sostegno che l’Unione può fornire.

Un altro compito urgente è quello di adottare decisioni strategiche riguardo alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico, allo scopo di indirizzare, senza ulteriori ritardi, le attività di ricerca delle imprese e lo sviluppo delle infrastrutture verso un canale strategico. Il paese che detiene attualmente la Presidenza non dovrebbe dunque por tempo in mezzo nell’individuare i problemi fondamentali e nel guidare gli Stati membri a trovare soluzioni durante il suo mandato.

 
  
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  Sergej Kozlík (NI).(SK) Il tempo a mia disposizione mi permette di lanciare soltanto un messaggio conciso ed essenziale. Oggi a mezzogiorno il Parlamento europeo respingerà la posizione del Consiglio sulle prospettive finanziarie a lungo termine per il periodo 2007-2013. Inoltre, il Parlamento darà un segnale destinato a continuare la discussione sulle prospettive finanziarie durante la Presidenza austriaca, in vista di un accordo. Si potrebbero così creare le condizioni per l’approvazione del bilancio da parte del Parlamento durante la sessione plenaria di fine marzo.

A meno che non siamo pronti a contrastare una crisi all’interno delle Istituzioni comunitarie, metà del periodo della Presidenza austriaca sarà dominato dagli sforzi di trovare un accordo sul bilancio. Completare le prospettive di bilancio e accogliere almeno una parte dei suggerimenti avanzati dal Parlamento europeo potrebbe rivelarsi uno strumento utile ai fini del raggiungimento di alcuni degli obiettivi della Presidenza austriaca. E potrebbe essere utile anche per trovare risposte alle aspettative dei cittadini europei in settori quali l’istruzione, la creazione di posti di lavoro, la flessibilità del lavoro e la politica di coesione.

 
  
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  Jaime Mayor Oreja (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, signor Cancelliere, è del tutto evidente che sei mesi non sono un periodo di tempo sufficiente per pretendere che il Cancelliere possa risolvere l’attuale crisi europea entro la scadenza del suo mandato.

Nondimeno, sei mesi possono essere un periodo di tempo sufficiente per indicare la direzione giusta da dare a questo cambiamento e per apportare le modifiche che l’Unione europea richiede. Pertanto mi limiterò a parlare di due questioni urgenti che, a mio parere, l’Unione europea si trova ad affrontare.

Primo: signor Cancelliere, dopo aver ascoltato tutti i nostri interventi si renderà conto del fatto che l’Unione europea non ha problemi per quanto attiene alle parole, dato che chiediamo quasi tutti la stessa cosa: più Europa e l’inserimento dei problemi reali nell’azione dell’Unione europea.

Il problema, quindi, non riguarda le parole, riguarda piuttosto gli atteggiamenti. Ciascuna istituzione deve modificare il proprio atteggiamento ogni volta che affronta le questioni concernenti i cittadini europei. Se un giorno il Parlamento europeo si preoccuperà di valutare non ciò che fa il Presidente in carica del Consiglio, bensì ciò che fanno durante i Vertici del Consiglio i capi di governo dei paesi che non detengono la Presidenza, ci troveremo senza dubbio di fronte a uno dei problemi che affliggono l’Unione, ovvero la mancanza di tenacia, la mancanza di un impegno costante da parte di tutti i governi, che detengano o meno la Presidenza del Consiglio.

Secondo: signor Cancelliere, tra qualche anno gli europei dovranno poter identificare e prendere atto del ruolo politico svolto dall’Unione europea in riferimento ai grandi problemi che ci toccano: l’energia, l’immigrazione, il terrorismo, la crescita e l’occupazione.

Oggi i cittadini europei non sanno cosa l’Unione sta facendo in questi settori: non valutano, non criticano, non giudicano semplicemente perché non sanno ciò che l’Unione fa per risolvere quei problemi. Dobbiamo compiere un’opera politica mirata a informare i cittadini sull’azione dell’Unione europea e delle sue Istituzioni riguardo alle tematiche citate. Questa è, signor Cancelliere, la seconda questione importante e urgente che l’Unione deve affrontare.

 
  
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  Maria Berger (PSE).(DE) Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, lei ha scelto il 250o anniversario mozartiano come uno dei leitmotiv del programma della sua Presidenza, e alcuni colleghi vi hanno già fatto riferimento. Signor Cancelliere, con tutto il dovuto rispetto per Mozart, riteniamo tuttavia che un’altra personalità austriaca ed europea, di cui quest’anno si festeggia la ricorrenza della nascita, ci potrebbe essere maggiormente d’aiuto nel trovare la terapia adatta a curare i mali di cui soffre l’Europa. Sto pensando a Sigmund Freud, il quale si è occupato, tra l’altro, di complessi d’inferiorità, frustrazioni e narcisismo – tutte condizioni che sembrano affliggere la psiche europea. Di complessi d’inferiorità ne abbiamo molti. Lei stesso ha citato il modello di vita europeo; si tratta principalmente di un modello fondato sulla giustizia sociale, un modello che dovremmo esportare, invece di importare in Europa da altre parti del mondo modelli neoliberisti.

Le rivolgo dunque un appello, signor Presidente del Consiglio: con Condoleezza Rice e con il governo Bush ricerchi l’armonia musicale, ma non si adegui alle loro note politiche. Rappresenti l’Europa nel mondo con sicurezza e autostima. Le frustrazioni – ce l’ha insegnato Freud – derivano da aspettative deluse. E di aspettative deluse l’Unione europea ne ha prodotte tante; ad esempio, quando ha promesso trenta progetti prioritari nel settore dei trasporti ma ha poi approvato prospettive finanziarie che rendono impossibile il finanziamento di quei progetti sia con fondi europei sia con fondi nazionali. Nella stessa Austria, il suo Vicecancelliere ha già cancellato un progetto che mi sta particolarmente a cuore, ovvero il collegamento ferroviario tra Praga e Linz.

A mio parere, tutto ciò ha a che fare con un’altra condizione che si può osservare in particolare nel Consiglio europeo: narcisismo e un eccesso di egocentrismo, che più volte ci hanno impedito di far compiere all’Europa passi avanti.

 
  
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  Anne E. Jensen (ALDE).(DA) Signor Presidente, signor Cancelliere, signor Presidente della Commissione, noi siamo contrari all’accordo sul bilancio raggiunto a dicembre perché esso non corrisponde in alcun modo all’obiettivo di un’Unione europea più dinamica e competitiva e perché non garantisce un’Unione europea con un ruolo più ampio sulla scena internazionale. Presidente Barroso, Cancelliere Schüssel, sapete bene entrambi ciò che il Parlamento europeo dovrebbe chiedere o non chiedere in sede di negoziati sul bilancio. Ma prima di tutto e soprattutto vorremmo un quadro più grande e più flessibile, del quale avremo bisogno, come tutti e due avete naturalmente dimostrato oggi.

Cancelliere Schüssel, lei ha ragione nel dire che è giunto il momento di smetterla con l’opposizione, più ideologica che altro, a una tassa comunitaria, poiché è evidente che l’allargamento ci ha posti in una situazione nuova: non soltanto ci sono molti più paesi che siedono intorno al tavolo, ma ci sono anche maggiori differenze di prosperità tra di noi. Occorre sostituire l’attuale metodo di finanziamento, che prevede contributi da parte delle finanze nazionali. Ciascun paese attribuisce un’importanza esagerata ai propri contributi netti, invece di considerare il quadro complessivo. Ritengo anch’io che sia ora di mettere la parola fine a tale situazione.

 
  
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  Patrick Louis (IND/DEM).(FR) Signor Presidente, Cancelliere Schüssel, nella Süddeutsche Zeitung lei ha rivelato un’informazione d’importanza fondamentale: ha affermato che la Corte di giustizia non deve usare le proprie sentenze allo scopo di trasferire poteri alla Commissione, al di fuori dell’ambito dei Trattati. Ci complimentiamo con lei per la sua capacità di mettere in chiaro le cose.

Di fatto, nella sua sentenza del 13 dicembre 2005 sul caso Marks & Spencer la Corte ha rivelato un approccio di tipo teleologico ai Trattati, che la porta a eccedere i propri diritti. Noi vogliamo che il Parlamento europeo, prendendo lo spunto dalla Presidenza, ridefinisca il ruolo della Corte di giustizia e limiti le conseguenze delle sue decisioni.

Cancelliere Schüssel, se vuole riconciliare i paesi membri con l’Unione dovrebbe perseguire un solo obiettivo: usare la sua autorità per riportare il potere nelle mani degli Stati sovrani.

 
  
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  Jana Bobošíková (NI).(CS) Signor Presidente in carica del Consiglio, ciò che mi aspetto dalla sua Presidenza è che compia passi avanti nei negoziati sulla Costituzione europea. Mi aspetto che lei trovi finalmente il coraggio di dire forte e chiaro ai nostri concittadini che il testo della Costituzione che è stato propinato loro dai politici è incomprensibile, iniquo e, cosa ancora più importante, del tutto inadeguato a risolvere la crisi che l’Unione europea si trova ad affrontare. Riguardo all’integrazione europea esiste, in realtà, un precedente, un’importante base di riferimento cui l’Austria può richiamarsi per questo suo annuncio ai cittadini europei. Meno di cento anni fa, l’Impero austro-ungarico rappresentava una confederazione unica nel suo genere, con ministeri comuni per gli Affari esteri, la Guerra e le Finanze e con una Corte dei conti comune. L’Impero era formato da 21 Stati europei i cui popoli parlavano lingue diverse, e durò per 51 anni. Quale fu la causa della sua rovina? Fu il fatto che nessuno ebbe il coraggio di risolvere i problemi che una simile coesistenza porta naturalmente con sé. I politici credevano che quei problemi si sarebbero semplicemente risolti da soli con il passare del tempo, ma noi sappiamo cosa sia successo in realtà. Pertanto, signor Presidente, mi auguro che l’Austria non seguirà l’esempio dei suoi predecessori, ma insisterà su una riscrittura della Costituzione europea per ottenere un testo applicabile, conciso, comprensibile ed equo.

 
  
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  Antonio Tajani (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Presidenza austriaca inizia in un momento non facile per l’Europa, anche se l’accordo sulle prospettive finanziarie può rappresentare l’avvio di una nuova fase. L’Unione si trova, infatti, di fronte a un forte attacco interno e a uno altrettanto pericoloso che viene dall’esterno.

A portare l’attacco interno sono coloro che non credono, o non credono più, al ruolo fondamentale che può e deve svolgere l’Europa; cavalcano una crisi di credibilità che ha allontanato troppi cittadini da istituzioni che considerano lontane e governate da una burocrazia onnipotente e incapace. Gli europei vogliono un’Unione politica capace di risolvere i loro problemi, ai quali Stati ed enti locali non sono in grado di fornire risposte.

Ecco perché dobbiamo lavorare per un’Europa più politica, protesa a curare gli interessi della gente. Serve un impegno forte per la crescita economica, che genera occupazione; servono aiuti alle piccole e medie imprese – come ha detto lei – nonché una riforma del bilancio e un’azione per affrontare l’importante questione dell’immigrazione. C’è inoltre bisogno di una Costituzione che permetta di raggiungere questi obiettivi, semplifichi l’iter legislativo e garantisca la continuità di un’azione politica.

Siamo convinti che nei prossimi sei mesi potremo compiere passi avanti in questa direzione, guardando con fiducia al 2007 allorché, nella felice coincidenza tra la Presidenza tedesca e il Cinquantesimo anniversario della firma dei Trattati comunitari, si potranno adottare scelte positive per il futuro dell’Europa. La Costituzione non è morta: la sua entrata in vigore è un obiettivo fondamentale da perseguire.

L’attacco esterno è quello rappresentato dal terrorismo: dobbiamo difenderci rafforzando la cooperazione interna, mediante iniziative giudiziarie e di polizia ma soprattutto mediante un’azione politica che veda l’Unione protagonista di pace in Medio Oriente. La lotta al terrorismo si combatte soprattutto in quella parte del mondo. La garanzia di sicurezza per Israele e la nascita di uno Stato palestinese sono la chiave per il trionfo della libertà e della pace sulla violenza e il fondamentalismo.

Signor Cancelliere, Forza Italia, con il Partito popolare europeo, condivide le proposte della Presidenza austriaca per rilanciare il ruolo dell’Europa e per riavvicinare le istituzioni dell’Unione ai cittadini. Potrà contare sul nostro aiuto. Buon lavoro, signor Wolfgang Schüssel.

 
  
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  Ralf Walter (PSE).(DE) Signori Presidenti, onorevoli colleghi, siamo alla vigilia delle discussioni sulle prospettive finanziarie. Signor Cancelliere, all’inizio del suo intervento lei ha detto di avere familiarità con i bilanci annuali grazie alla sua esperienza con il bilancio nazionale austriaco. Anche a livello europeo abbiamo il bilancio annuale, con la differenza che, nell’ambito di un accordo interistituzionale concluso su base volontaria tra Consiglio e Parlamento, dobbiamo anche cercare di fissare norme comuni valide per un periodo di sette anni che regolamentino sia la quantità delle risorse sia il loro impiego. Trattandosi di un accordo volontario tra due istituzioni, non sorprende che una di esse non sia disposta ad accettare supinamente né le cifre decise da un vertice dell’altra istituzione né la garanzia che sarebbe stato fatto tutto il possibile e che di più non si potrebbe pretendere. No, questa sarebbe la fine! Qualsiasi parlamento che accettasse in modo fideistico una simile garanzia metterebbe a repentaglio uno dei suoi diritti fondamentali e verrebbe meno alle sue responsabilità giuridiche e reali.

Prendiamo ora in esame le cifre da lei proposte. Abbiamo approvato il bilancio 2006 solo poche settimane fa. Il bilancio corrisponde all’1,09 per cento del prodotto nazionale lordo. Al Consiglio lei ha dichiarato che in futuro dovremo accontentarci di un bilancio pari all’1,045 per cento – quindi a molto meno. Nel contempo, però, abbiamo di fronte a noi compiti importanti, che devono essere affrontati ma che, a fronte di un bilancio così esiguo, non siamo in grado di finanziare in misura adeguata – deludendo così i cittadini –, a meno che non ci industriamo a trovare la flessibilità necessaria per onorare le nostre promesse. La sua strategia fondata sui tagli ci obbliga a prendere decisioni. In quali settori vuole tagliare? Nella lotta contro il terrorismo, quando invece si parla di potenziare Europol? O forse nella sicurezza del trasporto aereo, per la quale stiamo istituendo un’agenzia apposita? Non credo che sia opportuno risparmiare in questi settori. O ancora negli scambi di studenti e apprendisti, che si recano in altri Stati europei per migliorare le loro competenze, per lavorare in un ambiente europeo e per poter essere concorrenziali negli anni a venire? Ma questi scambi sono essenziali!

La ricerca, ha detto, va portata avanti in ambito nazionale. Navigazione satellitare, laser di grandi dimensioni, fonti a neutroni, banche del genoma: la ricerca in tutti questi campi dovrebbe essere limitata all’ambito nazionale? Non credo sia questo il modo per compiere progressi. Ci siamo dati tanto da fare per presentare una proposta valida. Siamo disposti a negoziare con lei responsabilmente, in un clima di fiducia reciproca, per vedere ciò che si può fare. Penso però che tutti noi, in quanto europei, dovremmo fermarci a riflettere sul valore che l’Europa ha realmente per noi. Prima che ci mettiamo a citare a casaccio cifre miliardarie, vi voglio comunicare che, a beneficio mio e degli altri colleghi tedeschi, mi sono preso la briga di calcolare quanto ci verrebbe a costare tutto questo. Se la nostra proposta fosse accolta, ogni cittadino tedesco dovrebbe spendere in futuro 10 euro al mese per garantirne il funzionamento. Chiunque tra noi osi affermare che i deputati al Parlamento europeo sono assolutamente irrazionali o stanno esagerando, non ha la più pallida idea di quale sia il valore dell’Europa.

 
  
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  Lena Ek (ALDE).(SV) Signor Presidente, Presidente Barroso, Cancelliere Schüssel, come diceva Albert Einstein, che è già stato citato, “c’è bisogno di un modo di pensare completamente nuovo per risolvere i problemi che abbiamo creato con il modo di pensare vecchio”. Vorrei quindi porre alcune domande specifiche. Cosa intende fare in concreto la Presidenza per le piccole e medie imprese? Lei ha detto che vuole creare occupazione per mezzo della politica energetica. Ci può spiegare come pensa di farlo? E’ sua intenzione sostenere obiettivi volontari od obbligatori per quanto riguarda le fonti energetiche alternative e la biomassa? Anche questo è un punto molto importante.

Si sa che è più facile combattere per i propri principi che vivere secondo essi. Lei ha parlato molto dell’ambiente e del potere dei consumatori. Vorrei quindi chiederle, in relazione alla direttiva sulle sostanze chimiche, se combatterà per garantire la possibilità di sostituire le sostanze chimiche più pericolose e se migliorerà l’accordo del Consiglio raggiunto a dicembre. Aggiungerà il diritto dei consumatori di sapere quali sostanze chimiche pericolose sono contenute in un prodotto?

Concludo ringraziandola per la splendida conferenza tenutasi a Vienna la settimana scorsa e le formulo i miei migliori auguri per la sua Presidenza.

 
  
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  Françoise Grossetête (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, Cancelliere Schüssel, ho ascoltato il suo intervento con grande attenzione e le auguro ogni bene all’inizio di questo nuovo anno.

La Presidenza britannica è consistita solamente in belle parole. La sua Presidenza, Cancelliere, dovrà consistere solamente in fatti. C’è bisogno di proposte umili e di azioni concrete. Ciò che gli europei si attendono da lei non sono altri discorsi magniloquenti né infinite promesse non mantenute; si attendono invece azioni reali e concrete che abbiano rilevanza per la loro vita quotidiana.

Condivido il suo desiderio di ricreare un clima di fiducia tra gli europei; mi perdonerà, tuttavia, se le dico che sono scettica. Citerò un solo esempio, che mi sta particolarmente a cuore: i medicinali per uso pediatrico. Oggi i nostri bambini hanno pochissime medicine studiate appositamente per loro. Possiamo risolvere questo problema entro tempi brevissimi: il Parlamento ha votato in prima lettura e il Consiglio ha espresso il suo accordo politico, però la posizione comune sembra tardare ad arrivare, e ciò senza validi motivi. Mi aspetto che lei, Cancelliere Schüssel, si assuma personalmente l’impegno – qui di fronte a noi – di occuparsi con priorità di questo testo, affinché esso possa essere applicato già entro la fine della sua Presidenza. Sono preoccupata perché non ho trovato nel suo programma alcun cenno a questo tema così importante, che andrà a beneficio dei nostri bambini e che dimostra a tutti quanti qual è il valore aggiunto che l’Europa può fornire. Mi attendo il suo sostegno per questa causa e, in cambio, lei potrà contare sulla mia determinazione.

Cancelliere Schüssel, ristabilire la fiducia del Parlamento europeo nei confronti del Consiglio sarà un compito arduo, perché l’Europa non può sopravvivere senza un bilancio reale. Ci sono così tante cose che dobbiamo fare, realizzare e sviluppare, così tante cose che dobbiamo dare ai nostri concittadini; però, visto ciò che il Consiglio ci sta proponendo, con questo misero accordo del Consiglio sulle prospettive finanziarie, potremmo anche interrompere immediatamente le nostre attività, chiudere baracca e andarcene in vacanza. Lo tenga bene a mente.

Cancelliere Schüssel, le auguro buona fortuna.

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi (PSE).(HU) Signor Presidente, in relazione al bilancio 2007-2013 la prego di compiere ogni sforzo possibile, nella sua qualità di Cancelliere del paese confinante, affinché venga siglato l’accordo interistituzionale, dato che i nuovi Stati membri non hanno tempo da perdere. Se il progetto di bilancio settennale non verrà approvato perderemo due terzi degli aiuti, e se il progetto sarà rinviato ulteriormente non saremo in grado di prepararci per realizzare i grandi progetti strutturali e di coesione.

Noi crediamo che sia molto importante avere un bilancio migliore, però vorremmo anche salvaguardare tutte le opportunità positive e significative che sono state concesse ai nuovi Stati membri a dicembre per l’utilizzo dei Fondi strutturali e di coesione.

Riguardo alla Costituzione, questo è stato il primo allargamento a non esser stato preceduto dall’approfondimento. L’approfondimento non si può realizzare senza la Costituzione, e a tale proposito potete contare sull’Ungheria. Due paesi non possono bloccare gli altri 23.

Per quanto attiene alla competitività dell’Unione europea, la direttiva sui servizi e la liberalizzazione della circolazione dei lavoratori sono requisiti indispensabili. In Irlanda, ad esempio, la disoccupazione non è aumentata, bensì è diminuita dopo la liberalizzazione della circolazione dei lavoratori.

Infine, essendo io ungherese, mi fa molto piacere che lei si occupi dei Balcani, dove si corre il rischio della destabilizzazione, particolarmente nei Balcani occidentali, qualora lo statuto del Montenegro e del Kosovo non venga definito dall’Unione europea, vista la scarsa esperienza degli americani in questioni afferenti le minoranze. Nel contempo, in qualità di presidente dell’intergruppo sulle minoranze, desidero ribadire quanto già detto dall’onorevole Hannes Swoboda. Resto in attesa di una sua risposta, signor Presidente, sulla questione degli sloveni che vivono in Austria.

 
  
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  Andrew Duff (ALDE).(EN) Signor Presidente in carica del Consiglio, il Presidente Chirac dice che preferirebbe una riforma fatta un po’ alla volta. Il Primo Ministro Sarkozy dice che vuole una Costituzione concentrata e un gruppo ristretto formato dai sei Stati membri più grandi. Il Cancelliere Angela Merkel dice che vorrebbe un protocollo sociale. I Primi Ministri Juncker e Verhofstadt chiedono una rinegoziazione del Trattato. Il Ministro Bot dice che il progetto è finito. Il Primo Ministro Blair mantiene un religioso silenzio sull’intera faccenda. Quale di questi suoi colleghi avrà ragione?

(Applausi)

 
  
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  João de Deus Pinheiro (PPE-DE).(PT) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, Presidente Barroso, sosteniamo pienamente le principali linee guida che sono state delineate. Avendo solo due minuti a disposizione mi limiterò ad affrontare due questioni che, a mio parere, vanno esaminate senza un doppio metro di valutazione.

La prima questione è la sicurezza energetica. La maggior parte dei combustibili fossili che noi utilizziamo proviene da regioni segnate da una grave instabilità politica, come il Medio Oriente, il Venezuela, la Nigeria e l’Algeria. Per quanto possiamo rivedere le nostre riserve e negoziare contratti a lungo termine, il rifornimento energetico dell’Europa sarà sempre soggetto a rischi. E’ giunto il momento di prendere in considerazione a mente fredda l’opzione dell’energia nucleare, ché altrimenti continueremo a vivere con questa spada di Damocle che penderà per sempre sulle nostre teste.

La seconda questione, di cui ha parlato anche lei, Cancelliere Schüssel, è quella della crescita, dell’occupazione, della globalizzazione e della strategia di Lisbona. Anche a tale riguardo dobbiamo evitare di ricorrere a un doppio metro di valutazione. Non ricordo alcun progetto europeo che non sia stato realizzato, sviluppato e monitorato dalla Commissione. E’ ora di dire che questa strategia, che è stata perseguita non sulla base di una proposta della Commissione bensì sulla base di un approccio di tipo intergovernativo, si è rivelata inefficiente e non sta funzionando. La Commissione deve essere sollecitata a impegnarsi di più, deve definire e controllare l’attuazione di una roadmap, come si è fatto nel caso del mercato interno e della moneta unica.

Continuiamo a credere che l’idea che un approccio di tipo intergovernativo possa aiutare la strategia di Lisbona a crescere sia profondamente errata. Non dobbiamo ingannare i cittadini, dobbiamo dire loro che occorre dare alla Commissione il potere di cui ha bisogno per aiutare la strategia di Lisbona a funzionare.

 
  
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  Nicola Zingaretti (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, esco confortato dall’ascolto del suo programma, in primo luogo per la chiarezza di una frase che lei ha voluto pronunciare all’inizio del suo intervento: “C’è bisogno di più Europa”. Credo non si tratti di una frase banale, perché a mio avviso rappresenta il punto centrale di distinzione tra noi in questo momento.

C’è chi pensa che da questa fase di impasse si possa uscire solo con un salto in avanti nell’integrazione e nell’Europa politica, e chi si illude invece che si possano avere grandi progetti, grandi obiettivi riducendo le ambizioni, le risorse e le politiche europee. Questo è un inganno, un trucco che abbiamo già visto, di chi nasconde in realtà altri obiettivi e di chi negli Stati membri non vuole assumersi le proprie responsabilità.

L’altra parola significativa, signor Presidente, è la parola “coerenza”: se vogliamo quell’Europa di cui lei ci ha parlato, abbiamo bisogno del suo aiuto. Ci aiuti, nelle prossime settimane, come Parlamento, a cambiare quelle prospettive finanziarie frutto di egoismi e di paure nazionali che invece ucciderebbero l’Europa. Ci aiuti affinché il processo costituzionale riparta, per puntare a una maggiore integrazione, per superare in fretta il trattato di Nizza e per far sì, nell’ambito delle possibilità offerte dai trattati, che si vada avanti comunque, con i paesi che intendono farlo, con le politiche indispensabili per l’Unione.

Parlo di coerenza perché questo è il concetto più difficile da garantire in questo momento. Ma è proprio l’incoerenza e i proclami ascoltati a volte anche in questo Parlamento, ai quali non seguono fatti, a essere oggi i principali responsabili del distacco tra l’Europa e le sue istituzioni e i cittadini europei.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. BORRELL FONTELLES
Presidente

 
  
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  Annemie Neyts-Uyttebroeck (ALDE).(NL) Signor Presidente, signor Presidente della Commissione, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, onorevoli colleghi, vorrei iniziare con un’osservazione su questa discussione. Trovo molto sorprendente che gli argomenti usati dall’estrema sinistra, dall’estrema destra e dagli indipendentisti siano esattamente gli stessi. Forse è un punto su cui vale la pena riflettere.

Venendo ora al programma della sua Presidenza, Cancelliere Schüssel, desidero innanzi tutto formularle i miei migliori auguri, anche a nome del mio gruppo. Più in particolare, ci congratuliamo con lei e le facciamo molti auguri per l’attenzione che riserverà ai Balcani e specialmente ai Balcani occidentali. Le auguriamo buona fortuna anche per la Conferenza di Salisburgo; in questi tempi di cosiddetta “stanchezza da allargamento”, si tratta di un segnale molto importante, del quale il mio gruppo e io le siamo particolarmente riconoscenti.

 
  
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  Etelka Barsi-Pataky (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, la maggior parte dei continenti ha impiegato miliardi di anni per formarsi. La Erste Bank, che potremmo sicuramente considerare alla stregua di un continente, ha iniziato la sua attività nel 1997 con 60 000 clienti, per arrivare oggi a 12,5 milioni di correntisti in Austria, Repubblica ceca, Slovacchia, Ungheria, Croazia e Slovenia, come ho letto recentemente in un annuncio pubblicitario.

(HU) Signor Presidente, l’Austria ha sfruttato le opportunità uniche offerte dalla riunificazione, e dobbiamo renderle atto. Allo stesso tempo, però, l’Austria è uno degli Stati membri che sanno benissimo cosa resta ancora da fare prima che il processo di allargamento compia un ulteriore passo avanti, al fine di garantire che l’allargamento del 2004 sia efficace, che le opportunità siano gradualmente rese più eque e le differenze siano ridotte.

Crescita economica, maggiore occupazione: questo è il tema della Conferenza della Presidenza che si terrà in marzo. Per raggiungere tale obiettivo ci aspettiamo che la Presidenza austriaca garantisca che l’Europa non sia dilaniata da timori ingiustificati o indotti artificiosamente. La libera circolazione delle persone e dei servizi deve essere all’ordine del giorno. Ciò che ci serve è un mercato comune privo di ostacoli.

I paesi che hanno aderito all’Unione nel 2004 soffrono della totale assenza di un forte strato di piccole e medie imprese. Ci attendiamo che la Presidenza austriaca proponga iniziative, d’intesa con i governi nazionali, al fine di assicurare che le PMI, che creano il maggior numero di posti di lavoro, siano incoraggiate a insediarsi e a crescere anche in questi paesi. L’ordine del giorno deve prevedere la discussione di una normativa o di un programma quadro sulla competitività.

Ci aspettiamo che la Presidenza austriaca, insieme con il Parlamento, garantisca un aumento quantitativo del bilancio settennale, dopo di che dovremo provvedere immediatamente a semplificare le modalità di utilizzo dei fondi disponibili. Dobbiamo eliminare una volta per tutte gli ostacoli che impediscono l’utilizzo, già di per sé complicato, dei fondi o causando ritardi o imponendo restrizioni eccessive. L’obiettivo non è quello della restituzione dei fondi alla fine dell’anno, bensì quello del loro effettivo impiego. Abbiamo bisogno di un bilancio più flessibile. Signor Cancelliere, diamo il benvenuto alla Presidenza austriaca e contiamo su di lei.

 
  
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  Bernard Poignant (PSE).(FR) Signor Presidente, avrei potuto essere austriaco, dato che nel XV secolo la figlia del duca di Bretagna, la mia regione di origine, andò in sposa a Massimiliano d’Austria. Il matrimonio, però, non venne consumato e fu rotto, motivo per cui sono cittadino francese da sedici generazioni.

Ho citato quell’evento storico per attirare la vostra attenzione e per presentare un’argomentazione molto valida riguardo al bilancio. In primo luogo, diffidate del Parlamento europeo, perché si tratta di un parlamento in corso d’opera, che quindi, talvolta, si ribella; in merito, il signor Buttiglione non ha accettato le critiche mossegli dal Parlamento. Per quanto riguarda i lavoratori portuali, va detto che si vuole propinarci la solita minestra, ma noi non la mangeremo e voteremo a maggioranza semplice. Diffidate, dunque, del Parlamento; forse “diffidare” non è il termine corretto, però ricordate che il Parlamento europeo può reagire e ribellarsi.

E’ pertanto necessario dare al Parlamento un po’ di danaro, anzi, un po’ di danaro extra. Citerò ora un capitolo del bilancio che vorrei ricevesse un po’ di fondi extra: cittadinanza, gioventù, istruzione e cultura. Aumentate la dotazione di questa voce!

Perché? Perché, come cittadino francese, quanto avvenuto nel mio paese il 29 maggio scorso ha lasciato in me una profonda impressione. Per quanto mi riguarda, il 29 maggio è una data storica, non è un giorno qualsiasi. Le discussioni alle quali ho partecipato hanno avuto, in alcuni casi, toni accesi: va benissimo parlare del mercato e dell’euro, però occorre stanziare maggiori risorse per il capitolo che ho ricordato prima. Fatelo per amore della consapevolezza europea, perché la storia è reversibile. Qualsiasi accordo firmato può essere rotto.

(Applausi)

 
  
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  Bronisław Geremek (ALDE).(PL) Signor Presidente, all’inizio della Presidenza austriaca voglio augurare al Cancelliere Schüssel di ottenere grandi successi. Confido che la politica estera comune dell’Unione europea sarà uno di quei successi.

La democrazia, i diritti umani e la pace sono elementi cruciali di una serie di questioni di cui l’Unione si sta occupando. Mi riferisco all’Iran, alla Russia e alla Cina. L’Europa dovrebbe parlare con una voce sola, con una voce comune in tutti e tre questi casi, e ciò non soltanto perché ciò che l’Europa dice dovrebbe esprimere la dimensione etica della politica estera europea, ma anche perché occorre garantire che siano utilizzati gli strumenti idonei, nonostante non abbiamo ancora un Trattato costituzionale.

Due Stati membri dell’Unione europea sono membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e quattro Stati membri dell’Unione fanno parte del G8; sarebbe opportuno autorizzare uno di essi a rappresentare l’Unione europea e a parlare a suo nome. Mi auguro che ciò possa accadere durante il suo mandato, signor Cancelliere.

 
  
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  Gunnar Hökmark (PPE-DE).(SV) Signor Presidente, al Presidente in carica del Consiglio e al Presidente della Commissione voglio dire quanto segue: smettiamola di parlare del processo di Lisbona come di un processo a sé stante. Parliamo invece di ciò che abbiamo fatto e di ciò che dobbiamo fare per tradurre in realtà gli obiettivi e le richieste formulati a tale proposito, ovvero per rendere l’Europa competitiva. In caso contrario, qualsiasi riferimento al processo di Lisbona non sarà altro che un modo per distrarre l’attenzione da quanto non si sta facendo. Parliamo dunque di ciò che deve essere fatto, in termini concreti.

Applicare la direttiva sui servizi: questo è il modo più concreto a nostra disposizione per rafforzare la competitività dell’Europa. Garantire che ciò avvenga nel rispetto della diversità dell’Europa, sulla quale si fonda la maggior parte della competitività di ciascun paese: questo è lo strumento più importante cui possiamo ricorrere non solo per aumentare la competitività dell’Europa, ma anche per realizzare la riunificazione dell’Europa e assicurare che tutti i paesi europei possano avere una buona crescita economica e intrattenere relazioni non penalizzate dalla presenza di confini.

Garantire che il bilancio a lungo termine che scaturirà dai negoziati con il Parlamento sia caratterizzato da una maggiore attenzione alla ricerca e allo sviluppo: questa è una delle misure concrete che possiamo adottare e che contribuiranno più di qualsiasi altra a trasformare l’Europa in una società all’avanguardia basata sulla conoscenza.

Garantire che l’Europa possa compiere una vigorosa azione comune nell’ambito della sua politica nei confronti dell’Iran, un paese il cui attuale atteggiamento politico è non solo inaccettabile per la comunità internazionale, ma anche in contrasto con i requisiti che ogni paese deve soddisfare. Un paese che minaccia di distruggerne un altro, che sviluppa in segreto tecnologia nucleare e che appoggia il terrorismo va affrontato per mezzo di una politica europea comune, unica, concordata insieme con i nostri partner internazionali.

Questi sono i compiti precipui dell’Europa; essi dimostrano perché la cooperazione europea è necessaria. Il Consiglio e la Commissione hanno una grande responsabilità al fine di garantire che la nostra politica sia caratterizzata da sforzi concreti volti a dare attuazione alle misure rilevanti.

 
  
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  Monika Beňová (PSE).(SK) Onorevoli colleghi, quasi due anni fa, quando eravamo in procinto di aderire a quella distinta e rispettata associazione che l’Unione europea indubbiamente è, ritenevamo che saremmo diventati membri alla pari, con lo stesso status degli altri, e che i cittadini dei nostri paesi avrebbero goduto degli stessi diritti, proprio come è successo in occasione dell’adesione all’Unione europea da parte dell’Austria. Ora, però, sembra che alcuni paesi incontrino qualche difficoltà a mantenere l’intera gamma di libertà su cui si fondava originariamente l’Unione europea.

Invito il Cancelliere Schüssel e il Commissario Ferrero-Waldner, nella loro qualità di rappresentanti austriaci in seno alla Commissione europea, ad accertarsi che queste misure, pesantemente discriminatorie, siano abolite durante la Presidenza austriaca. Sono deputata al Parlamento europeo in rappresentanza della Slovacchia e credo fermamente, signor Cancelliere, che sia i cittadini della Repubblica slovacca sia i cittadini di tutti gli altri Stati membri che hanno aderito di recente all’Unione dovrebbero godere degli stessi diritti di cui godono i cittadini degli altri Stati membri dell’UE.

 
  
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  Ria Oomen-Ruijten (PPE-DE).(NL) Signor Presidente, signor Cancelliere, può star certo che, dopo una Presidenza caratterizzata da immobilismo, nutriamo aspettative particolari nei confronti della Presidenza austriaca. Spetta a lei, signor Cancelliere, tracciare le prospettive per il futuro dell’Europa sulla base della relazione che sarà pubblicata durante il suo mandato.

Signor Presidente, ad essere in gioco non è soltanto la Costituzione europea, senza la quale l’Europa, peraltro, non può continuare a crescere; sono in gioco anche il benessere futuro dell’Europa, la crescita e l’occupazione. Il Consiglio deve stabilire priorità, dando quindi forma concreta alla strategia di Lisbona. Sarà così possibile anche rafforzare la competitività e salvaguardare il modello europeo di benessere. Ma ad essere in gioco è altresì il futuro del modello sociale europeo, che il Cancelliere Schüssel stamani ha opportunamente citato.

Sei mesi fa il Primo Ministro Blair ci illustrava ampiamente i suoi progetti di ammodernamento del modello sociale europeo – un tema che è stato oggetto di un vertice straordinario, che però non ha prodotto risultati tangibili. Non si è trovata alcuna risposta alla sfida della globalizzazione, né sono state adottate misure per ancorare nuovamente il modello sociale europeo in una società che sta cambiando e invecchiando, una società nella quale la presenza dei giovani si va assottigliando e i confini non sono più tali.

Invito il Cancelliere Schüssel a impegnarsi affinché la sua Presidenza vada oltre alle belle parole. Lavoriamo insieme per dare nuovo slancio al nostro modello sociale europeo e affrontiamo coloro che creano divisioni tra il mercato e il suo buon funzionamento, da un canto, e, dall’altro, la politica sociale, che è essenziale per il benessere dei nostri cittadini.

Anche per i cristiano-democratici, l’economia sociale di mercato è la pietra angolare di una società fondata sulle persone. Confesso che, tra i nostri ranghi come tra quelli dei socialisti, il concetto del libero mercato sta guadagnando terreno e che talvolta abbiamo l’impressione di essere una voce nel deserto. Mi auguro che la Presidenza austriaca, insieme con la commissione per l’occupazione e gli affari sociali, che relazionerà in merito, riuscirà a costruire fondamenta più solide. Signor Cancelliere, la ringrazio molto per la sua disponibilità a tale riguardo.

 
  
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  Josef Zieleniec (PPE-DE).(CS) Signor Presidente, ora che si è riusciti a sventare efficacemente la crisi finanziaria al Consiglio europeo di dicembre, ci troviamo di fronte ai compiti di superare la crisi istituzionale e di mettere l’Unione in condizione di affrontare le sfide del mondo globalizzato. Sono molto lieto che una delle priorità stabilite dalla Presidenza austriaca sia la ripresa della discussione sulla Costituzione europea. In proposito, però, vorrei mettere in guardia dai trabocchetti di cui è costellata la strada che la Commissione – e il Parlamento, sia pure solo parzialmente – ha scelto di percorrere, ovvero quella di tenere sempre più discussioni sulle aspettative dei cittadini per poi redigere un nuovo testo che miri sia a risolvere la questione della riforma istituzionale sia ad affrontare tutti i problemi economici, sociali e di sicurezza dell’Europa. Imboccando una strada del genere, non faremo altro che ripetere l’errore che sta alla base del fallimento dei referendum dell’anno scorso, quando tutti coloro che nutrivano riserve sulle politiche interne dell’Unione si sono alleati contro la Costituzione, a prescindere dalle loro posizioni sul quadro istituzionale dell’Unione. Abbiamo commesso l’errore di sottoporre a ratifica un testo costituzionale che, oltre alle norme sul funzionamento delle istituzioni, conteneva anche una sintesi di tutte le politiche comuni.

Ciò che dobbiamo fare adesso, in vista del prossimo allargamento e alla luce dei cambiamenti in atto nell’ordine internazionale, è separare il quadro costituzionale, cioè la prima e la seconda parte del Trattato costituzionale, dalle politiche comuni, cioè la terza parte. La prima e la seconda parte della Costituzione non sono state oggetto di discussione prima dei referendum e la loro ratifica ci permetterebbe di cercare soluzioni praticabili per le questioni più controverse che investono attualmente il continente europeo, riformando le norme che disciplinano le competenze delle diverse istituzioni. Se vogliamo risolvere tutto in un colpo solo, ci ritroveremo un’altra volta a non risolvere nulla. Il risultato principale della Presidenza austriaca dovrebbe essere un programma fattibile, mentre le discussioni sulla riforma delle Istituzioni europee devono restare separate dal dibattito più generale sugli altri problemi dell’Europa.

 
  
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  Marianne Thyssen (PPE-DE).(NL) Signor Presidente, signori Presidenti delle tre Istituzioni, onorevoli colleghi, non esiste una formula magica capace di garantire il successo di una Presidenza; tuttavia, l’ambizione e una collaborazione costruttiva tra le Istituzioni possono senz’altro contribuire in tal senso. In proposito, potete contare sull’appoggio del nostro gruppo, come avrete già compreso.

Signor Presidente in carica del Consiglio, se la sua Presidenza avrà avuto successo lo potremo dire soltanto tra sei mesi; ad ogni modo, per aiutarla a trovare la retta via – o a mantenerla, posto che ho molto apprezzato la sua introduzione – mi permetto di fare due raccomandazioni pratiche.

Primo: la invito a trovare una soluzione strutturale all’annosa questione dell’elenco definitivo dei beni e dei servizi ai quali si può applicare un’aliquota IVA ridotta. E’ una questione che si sta trascinando da troppo tempo; è quindi ora di prendere una decisione.

I settori cui viene prospettata la possibilità di applicare l’IVA ridotta – la ristorazione ma anche altri settori appannaggio delle piccole e medie imprese – non ottengono ciò che vogliono. Quelli che hanno concluso l’esperimento, prorogato già tre volte, con i servizi ad alta intensità di lavoro si trovano in un’insostenibile situazione di incertezza giuridica. Poiché non ritengo che la Commissione potrà tollerare ancora a lungo manifeste violazioni della sesta direttiva IVA, credo che sia necessario affrontare questo tema con la massima priorità.

Secondo: ho appreso con piacere che è sua intenzione coniugare i principi di apertura con quelli di tutela per quanto attiene alla direttiva sui servizi. Neanche il Parlamento ha paura di rimboccarsi le maniche per raggiungere un’ampia maggioranza favorevole. Se lei confronta la proposta originaria della Commissione europea con il lavoro compiuto dalla nostra commissione per il mercato interno e la tutela dei consumatori, potrà constatare che, grazie agli emendamenti, è possibile trovare un approccio diverso. Se il Consiglio appoggerà la nostra posizione ambiziosa e lungimirante, questo delicato dossier potrà giungere a una svolta proprio durante la sua Presidenza.

Su questi due punti, ma anche sugli altri in agenda, formulo i miei migliori auguri alla Presidenza austriaca in carica, che è, come lei stesso ha detto, al servizio dell’Unione europea.

 
  
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  Jacek Emil Saryusz-Wolski (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, Cancelliere Schüssel, permettetemi di riprendere in parte il tono usato dall’onorevole Poignant e di fare qualche aggiunta personale a questa lista dei desideri di bilancio. Sfortunatamente il bilancio è troppo esiguo. Il suo paese, l’Austria, è membro del “club dei sei”, il “club dell’1 per cento”, il “club degli spilorci” che vuole più Europa con meno soldi. Però, in qualità di Presidente di turno, signor Cancelliere, lei deve stanziare maggiori fondi a favore della politica di vicinato verso i paesi dell’est e della nuova sfida rappresentata dalla sicurezza energetica dell’Unione europea, perché altrimenti il Parlamento si ribellerà contro i Consigli eccessivamente tirchi, come ha appena messo in guardia l’onorevole Poignant.

(EN) E’ altamente lodevole che la Presidenza austriaca intenda lavorare a favore della crescita economica e dell’occupazione, della competitività e dell’agenda di Lisbona. Tali obiettivi si possono raggiungere soltanto portando a completamento il mercato interno. Il migliore servizio che possiamo rendere all’agenda di Lisbona, alla crescita economica e all’occupazione è quello di aprire il mercato del lavoro e il mercato dei servizi. Nel Libro bianco, l’Austria ha riconosciuto esplicitamente che la direttiva sui servizi è di fondamentale importanza per completare il mercato interno e rendere l’Europa più competitiva. Però, quando si tratta di adottare misure concrete per raggiungere gli obiettivi dichiarati, i pronunciamenti della Presidenza sono molto meno rassicuranti.

Tra poco ci sarà una valutazione iniziale del periodo di transizione per l’introduzione della libertà di circolazione dei lavoratori. L’Austria, tuttavia, ha dichiarato che sfrutterà questa occasione per prorogare il periodo di transizione per la libera circolazione dei lavoratori e ha assunto la posizione riduzionista in riferimento alla libera circolazione dei servizi. Le dichiarazioni rilasciate dall’Austria nell’ambito del suo mandato di Presidenza di turno sono coerenti con le intenzioni dell’Austria in quanto Stato membro? Da un canto, l’obiettivo dichiarato della Presidenza è quello di combattere coraggiosamente per migliorare la competitività dell’Europa; dall’altro, Vienna lotta per soffocare il potenziale europeo.

Dall’allargamento si attendevano grandi benefici per l’Unione europea, come un aumento della sua competitività a livello di commercio mondiale, soprattutto per effetto di una forza lavoro altamente qualificata, mobile e relativamente a buon prezzo. Ora, invece, senza tener conto delle esperienze positive della Gran Bretagna, dell’Irlanda e della Svezia, alcuni Stati membri, tra cui l’Austria, vogliono rinunciare a questi benefici essenziali introducendo periodi di transizione immediatamente dopo l’allargamento.

 
  
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  Ursula Stenzel (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Cancelliere e Presidente in carica del Consiglio, signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, sono molto soddisfatta di come sono distribuiti gli incarichi nell’Unione europea, con il Cancelliere Schüssel che è anche Presidente in carica del Consiglio e con il Presidente Barroso a capo della Commissione europea. Questa situazione è utile per l’Unione europea e anche per il nostro paese.

Per un puro caso, l’inizio della Presidenza austriaca del Consiglio coincide con la mia uscita dal Parlamento europeo, dopo dieci anni durante i quali ho avuto l’onore di presiedere la delegazione del partito popolare austriaco, dieci anni nei quali l’Unione europea è cambiata profondamente – e noi con essa. Il principale di tali profondi cambiamenti è stato l’allargamento, a favore del quale mi sono impegnata in funzioni diverse. Si è trattato di un allargamento che ha rafforzato non solo l’Unione europea ma anche l’Austria. Il fatto che siamo cresciuti da 15 a 25 Stati membri non può essere affatto un motivo di incertezza per i nostri cittadini. Questa crescita non è stata troppo veloce; è stata invece la risposta giusta arrivata al momento giusto, dopo la fine della guerra fredda, dopo il crollo dell’Unione sovietica e dopo un nuovo inizio in Europa. Ovviamente c’è bisogno anche di un altro processo di crescita; quello che conta, tuttavia, – e mi fa piacere che il Cancelliere vi abbia accennato – sono i criteri che dobbiamo rispettare quando accogliamo nuovi membri nell’Unione europea. Dobbiamo prendere sul serio i nostri criteri e non possiamo minarli né violarli facendo finta di nulla. La crescita dell’Europa dipende dalla lotta contro la corruzione, per lo Stato di diritto, per un’amministrazione corretta, democratica e trasparente. L’economia europea, i cittadini europei e l’Unione europea devono essere in grado di assorbire l’impatto dell’allargamento dal punto di vista sia istituzionale sia psicologico. Dobbiamo rispettare questo criterio anche durante i prossimi allargamenti alla Romania e alla Bulgaria; in proposito mi auguro che entrambi quei paesi saranno in grado di soddisfare in tempo i requisiti.

Nel suo intervento il Presidente del Consiglio ha citato alcuni punti che ora vorrei sottolineare. Primo: l’Europa ha bisogno di notevoli risorse proprie. Caro Wolfgang, se riuscirai ad arricchire il dibattito europeo con idee nuove e a indurre l’Europa, una buona volta, ad affrontare veramente la discussione sulle risorse proprie, avremo veramente compiuto un importante passo avanti. Devo dire, a proposito, che non ti difettano le capacità negoziali necessarie per risolvere il difficile problema delle prospettive finanziarie future attraverso un atteggiamento di disponibilità nei confronti del Parlamento europeo – cosa che indubbiamente faciliterà al Parlamento e alla Commissione il compito di andare incontro al Consiglio su questo tema.

Il secondo punto che vorrei sottolineare e che giudico positivo è il fatto che l’Europa ha bisogno di trovare soluzioni a livello di parti sociali e che, in questo processo di crescita dinamico e globale, è del tutto incapace di prescindere dal concetto di contrattazione tra le parti sociali. Si tratta di un’importante premessa di fondo. Avete visto le manifestazioni dei lavoratori portuali. La contrattazione tra le parti sociali non può essere usata per frenare la crescita economica, al contrario: dev’essere il motore stesso della crescita economica. A ben considerare, l’Europa e l’Unione europea hanno bisogno di energia, e non solo nel senso letterale del termine, bensì anche in senso lato: hanno bisogno di energia politica. Concluderò pertanto con un appello: dobbiamo riservare maggiore attenzione alla politica di vicinato, a quella politica che consente all’Unione europea di rivolgere la propria attenzione a un paese così importante come l’Ucraina. In merito, non possiamo fare di ogni erba un fascio, dobbiamo dedicare un’attenzione speciale allo sviluppo democratico e all’indipendenza economica di quel paese. Sono convinta che sotto questa Presidenza si compiranno alcuni passi avanti in quella direzione.

Terzo: è necessario frenare la proliferazione di armi nucleari.

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Presidente. – Formuliamo i nostri migliori auguri all’onorevole Stenzel per la nuova carica che ricoprirà nel suo paese.

 
  
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  Wolfgang Schüssel, Presidente in carica del Consiglio.(DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, innanzi tutto vorrei ringraziare di cuore Ursula Stenzel per il lavoro decennale che ha svolto a favore dell’Austria e dei cittadini austriaci in seno al Parlamento europeo, insieme a tutti i gruppi politici e tutte le Istituzioni. Potrei forse aggiungere che, in un certo senso, sarà il mio capo, perché sarà una sorta di sindaco del centro di Vienna, il che fa di me uno dei suoi sottoposti e sudditi. Le rivolgo i miei migliori auguri per il futuro.

Vorrei affrontare brevemente alcuni temi sollevati nel corso del dibattito. Sono grato a tutti coloro che hanno menzionato la questione dell’allargamento, con particolare riferimento alle prospettive per i Balcani. Tratterò la questione brevemente, poiché ho già sentito quasi tutti i gruppi al riguardo, e so che voi sapete che si tratta di una questione di assoluta priorità per l’Austria, per la semplicissima ragione che i Balcani sono i nostri immediati vicini – una vecchia barzelletta dice che i Balcani iniziano in una via centrale di Vienna, Rennweg, nel terzo distretto – e che siamo direttamente interessati a ciò che vi accade. Se noi europei non esportiamo stabilità, finiremo per importare instabilità. Non vi dev’essere alcuna area instabile tra Ungheria, Austria, Slovenia, Italia e Grecia. Non vi dev’essere alcuna zona grigia, ma piuttosto un luogo con prospettive per il futuro, senza le quali, da ultimo, non sarà possibile avere lo slancio necessario per la riforma e la riconciliazione dei vari gruppi etnici in Bosnia, Serbia e Kosovo. Di questo tutti devono essere consci.

Ci stiamo impegnando per raggiungere questo scopo, e ora abbiamo anche dato all’inviato dell’ONU Martti Ahtisaari una sede e un ufficio a Vienna, dove ogni giorno si tengono discussioni approfondite. Sappiamo che questo è un compito cui tutti dobbiamo dedicarci. Aggiungerei che i Balcani rappresentano uno dei maggiori successi dell’Europa. Saranno stati pure gli americani a sconfiggere militarmente Milosevic, ma il 90 per cento dei soldati che oggi vi mantengono la pace è europeo. Ciò che mostriamo al mondo con i Balcani non è il volto militare dell’Unione europea, ma quello pacifico dell’Europa. Di questo tutti devono rendersi conto.

Vale la pena di dire che stiamo festeggiando non solo il 250° anniversario della nascita di Wolfgang Amadeus Mozart e il 150° anniversario della nascita di Sigmund Freud, ma anche il centenario del primo Premio Nobel per la pace a una donna, Bertha von Suttner. Il suo slogan, “Die Waffen nieder” (deponete le armi), è un vero e proprio programma, e particolarmente pertinente per il XXI secolo se si pensa all’Iran, in merito al quale ieri ho avuto modo di intrattenermi con Mohammed El Baradei (poiché anche l’AIEA ha sede a Vienna). Quella dell’Iran è una questione estremamente preoccupante. In un’intervista pubblicata sull’ultimo numero di Newsweek, El Baradei ha affermato che, anche dopo aver trascorso tre anni di intensi colloqui a esaminare e monitorare attentamente il programma nucleare iraniano, gli ispettori non sono stati in grado di confermare la natura pacifica di tale programma. Si tratta di una questione cui dedicheremo grande attenzione nei prossimi mesi. Non sta a noi lanciare minacce al riguardo; al contrario, dall’Europa dobbiamo mandare un chiaro segnale che chieda all’Iran di ritornare alla moratoria, al tavolo delle trattative, senza azioni unilaterali che alla fine potrebbero mettere a rischio la pace del mondo intero, e questo segnale deve provenire dalla vostra Assemblea, dal Consiglio, dalla Commissione e dai nostri rappresentanti Benita Ferrero-Waldner e Javier Solana. E’ l’unico modo per acquistare credibilità in quella parte del mondo.

Vorrei passare alla questione dell’energia, altro tema del quale voglio parlare con franchezza. Naturalmente so che ciascun paese ha il proprio modo di affrontare la questione, ma ho lottato affinché ogni paese avesse da ultimo la libertà di decidere in merito ai propri mezzi di produzione di energia, e anche a questo proposito vi sono numerosi temi di cui senza dubbio si potrebbe discutere. Personalmente ritengo che sarebbe estremamente pericoloso percorrere la strada che conduce a un ritorno all’energia nucleare, ambito nel quale vi sono ancora molte questioni da risolvere. Si tratta di un campo in cui le preoccupazioni dei cittadini non vanno sottovalutate. A livello europeo, tuttavia, possiamo affrontare la questione dell’energia rinnovabile, in merito alla quale il Presidente Barroso ha presentato alcune idee davvero di prim’ordine, nonché la questione dei biocarburanti, in cui, tra l’altro, gli americani investono cinque volte più dell’Europa e dei suoi Stati membri messi insieme. In quest’ambito abbiamo bisogno di credibilità. Abbiamo materie prime rinnovabili, abbiamo il legno, abbiamo biomassa. A mio avviso, questa è un’opportunità per l’agricoltura nei prossimi anni e decenni. Naturalmente senza trascurare di tenere nella dovuta considerazione le differenze che indubbiamente esistono tra Stati membri, si tratta di una questione che dovremmo affrontare con grande onestà e franchezza.

Un’altra questione che vorrei esaminare è quella delle reti transeuropee. Faccio parte del Consiglio europeo da dieci anni; una volta, quando ero ministro degli Esteri, sono stato a capo anche di una Presidenza austriaca del Consiglio. Da dieci anni parliamo di reti transeuropee, e finora non è stato portato a termine un singolo progetto. Vorrei essere chiaro al riguardo: dobbiamo riuscire. E’ davvero mia ambizione – e spero che la Commissione contribuisca – iniziare almeno gli scavi del progetto del tunnel ferroviario del Brennero nel corso della nostra Presidenza. Se vogliamo ridurre il traffico sulle strade, dobbiamo avere un’infrastruttura ferroviaria competitiva su cui spostarlo; a questo non vi è alternativa. Chiedo di fare la nostra parte per la buona riuscita finale di queste reti transeuropee; tutto il resto è retorica.

Un elemento che ho dimenticato di menzionare nel discorso sui temi internazionali è la questione della CIA, che teniamo in seria considerazione. In tutta franchezza, non vi possono essere standard differenti al riguardo; i diritti umani sono indivisibili, come pure lo Stato di diritto. Quando i cittadini americani hanno iniziato a discutere della questione, mi trovavo alla Bertelsmann Foundation di Washington, dove abbiamo incontrato il Deputy Majority Leader repubblicano al Senato, il Senatore Bennet, e abbiamo affrontato la questione proprio in quei termini. Pertanto il nostro pieno sostegno va al Consiglio d’Europa e alle sue indagini, e chiederei anche agli Stati membri di condurne di proprie ove necessario. Non vi possono essere due standard al riguardo: prigioni segrete, voli segreti, consegne di persone indesiderate sono fatti che senza dubbio, quando ne sussista la presunzione, vanno perseguiti con il pieno rigore della legge, ma in conformità delle nostre norme giuridiche. Non ho dubbi che l’Assemblea e il Consiglio assumeranno il medesimo approccio alla questione e seguiranno un percorso comune.

Vi sono molto grato per l’osservazione che dobbiamo dare molta più considerazione ai diritti dei bambini. Prendiamo atto con grande preoccupazione che in quest’ambito accadono episodi raccapriccianti: immagini di pornografia infantile vengono trasmesse in tutto il mondo via Internet, il traffico di esseri umani coinvolge la vendita di bambini in tutto il pianeta, e vi è troppo poca comprensione, anche nelle società europee sviluppate, dell’esigenza di proteggere i diritti dell’infanzia, sostenere le famiglie e trovare un equilibrio tra lavoro e famiglia. Evidentemente si tratta di questioni che, senza dubbio, sono di competenza degli Stati membri, ma che possono essere sollevate a livello comunitario.

Alcuni deputati hanno sollevato l’argomento dei diritti delle minoranze in Austria, che sono lieto di affrontare. Nel corso del mio mandato, cioè dall’anno 2000, sono stati collocati cartelli topografici in lingua croata e ungherese nel Burgenland; in questa occasione si sono svolte grandi feste popolari, con grande partecipazione da parte dei cittadini, e ampio consenso per l’iniziativa. Proprio l’anno scorso, solo pochi mesi or sono, nell’ambito delle celebrazioni dell’anniversario del nostro Trattato di Stato, 20 città e paesi hanno acquisito ulteriori cartelli bilingui, e questo è stato un grande successo. In alcune aree non si sono compiuti sufficienti progressi. Venerdì scorso ho incontrato 12 sindaci nella loro regione nel tentativo di trovare una soluzione condivisa. Benché mi stia impegnando dinanzi alla vostra Assemblea, non è compito del Parlamento europeo interessarsi alla questione; al contrario, si tratta precipuamente di un problema dell’Austria. Non accetto l’accusa che in Austria teniamo i diritti delle minoranze in minor conto rispetto ad altre regioni d’Europa, ma desidero il consenso delle forze politiche, e vorrei cercarlo con i cittadini. Confido inoltre che riusciremo a trovarlo.

Per quanto riguarda il mercato del lavoro, si è raggiunto un accordo con i dieci o dodici nuovi Stati membri. Dieci sono già stati accolti, e Bulgaria e Romania sono in procinto di aggiungersi. Di fatto sono molto fiducioso che i nuovi governi saranno molto collaborativi al riguardo, così da poter rispettare l’obiettivo dell’adesione nel 2007, ma tali accordi prevedono norme transitorie che si applicano non solo ai nuovi paesi, ma anche agli Stati membri già esistenti. In tutta sincerità, vorrei dire che questo è stato fatto di comune accordo. E’ inoltre mio dovere di capo del governo austriaco fare in modo che nessun settore dell’industria austriaca sia sottoposto a eccessiva tensione e che l’equilibrio tra apertura e protezione, cui hanno fatto riferimento numerosi oratori in quest’Aula, venga mantenuto in questo caso. Aggiungerei inoltre che, nelle regioni di confine, stiamo cercando di contribuire mediante accordi flessibili per settori specifici – ad esempio quello sanitario – che finora, di fatto, hanno funzionato molto bene.

Per quanto riguarda la Corte di giustizia, tutto ciò che voglio fare è aprire un dibattito in seno all’Assemblea, senza scendere in dettaglio. Anche al riguardo occorre un certo equilibrio tra il rispetto del diritto comunitario e la sua attuazione da un lato, e le clausole di sussidiarietà contenute nei Trattati, dall’altro, perché esistono i diritti nazionali, i legislatori nazionali, i tribunali nazionali, tutti elementi dei quali la Corte di giustizia, nell’interpretare le leggi, deve tenere conto, oltre a valutare la proporzionalità, come fanno regolarmente la Corte suprema tedesca, austriaca e francese. Tutti questi elementi vanno mantenuti in un equilibrio ragionevole, e non ho dubbi che la Corte di giustizia conosca le proprie responsabilità al riguardo.

In conclusione, vorrei ritornare sulla questione sollevata dall’onorevole Schulz riguardo a Mozart, Freud e Il flauto magico, e a ciò che qualcun altro ha detto a proposito di Zeus. Sono molto più modesto e credo che, realisticamente, un semestre di Presidenza non sia sufficiente per cambiare l’Europa. Fin qui tutto chiaro. Possiamo però dare l’avvio. Vogliamo ad esempio far partire le prospettive finanziarie, e lo vogliamo fare insieme a voi. A tale scopo, abbiamo bisogno del vostro accordo, e lo cercheremo. Dobbiamo pensare a quali sono i mezzi ideali a tal fine. In origine è stata l’Austria a proporre che la Banca europea per gli investimenti desse altri 10 miliardi di euro di risorse per la ricerca. Questo è un importante passo avanti, reso possibile da un partenariato tra pubblico e privato. Vi sono idee diverse sul significato di “flessibilità” – tra cui si pongono cifre che oscillano tra un miliardo e circa 3,5-4 miliardi di euro – che lasciano un certo spazio di manovra. Tali questioni vanno affrontate con un dialogo che si fondi sulla fiducia. Innanzi tutto, naturalmente, ho bisogno di un mandato, che l’Austria otterrà dagli altri Stati membri nell’arco di qualche settimana; saremo in grado di iniziare i colloqui con l’Assemblea non appena la Commissione presenterà le proprie proposte pratiche per la distribuzione sotto le varie rubriche. Sono certo che vi potremo mettere a disposizione maggiori fondi nei settori che vi interessano – cioè la ricerca e la competitività – di quanti ve ne fossero nel periodo precedente.

Vi è un’altra questione che non va trascurata: le prospettive finanziarie prevedono che la politica agricola comune copra il totale dei costi di Bulgaria e Romania. Ciò si aggiunge agli 8 miliardi inclusi nell’attuale prospettiva finanziaria. In realtà le risorse vengono ridotte del 4 per cento, e gli 8 miliardi di euro vengono accantonati in più per Romania e Bulgaria. Se esaminiamo questi elementi in modo realistico e pratico, con un dialogo fondato sulla fiducia, sapremo trovare sicuramente una soluzione.

Non ho a disposizione alcun flauto magico, né una bacchetta da direttore d’orchestra o da mago, tuttavia, se posso riprendere il riferimento a Osmino, è interessante notare che di fatto finisce per perdere, e interessante è anche ciò che Costanza, che per noi rappresenta l’Europa, gli dice alla fine: “Nulla è più odioso che vendetta. Invece esser buoni e umani, e perdonar senza egoismo, è cosa sol dei cuor più grandi”. Comportiamoci dunque da depositari dei “cuor più grandi” e realizziamo qualcosa per l’Europa.

(Applausi)

 
  
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  José Manuel Barroso, Presidente della Commissione.(FR) Signor Presidente, Presidente Schüssel, onorevoli deputati, il Presidente Schüssel ha risposto poc’anzi alle domande in merito al programma della Presidenza austriaca. In conclusione vorrei solo riassumere, illustrandovi a grandi linee come vedo l’evoluzione di questa Presidenza.

Vi saranno due momenti chiave: il Consiglio europeo di primavera e quello di giugno. Il primo è finalizzato ad attuare il nuovo sistema di governo e la nuova strategia per la crescita e l’occupazione, mentre il secondo mira a prendere decisioni in merito alle misure relative al futuro dell’Europa.

Innanzi tutto, con il Parlamento europeo va risolta una questione molto importante: la questione delle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013. Conoscete bene la posizione della Commissione al riguardo. Sapete quanto impegno ha profuso la Commissione per raggiungere l’accordo più ambizioso possibile. Pensiamo infatti che sia stato importante ottenere un accordo tra gli Stati membri. Immaginate quale sarebbe oggi la condizione psicologica dell’Europa se non avessimo nemmeno l’accordo che si è riusciti a raggiungere in seno al Consiglio.

Detto questo, vi è ancora un margine di manovra per quanto riguarda la trattative. Io e l’intera Commissione vi rivolgiamo un sincero appello al realismo in queste trattative. Riteniamo infatti che ulteriori ritardi potrebbero davvero mettere a rischio l’applicazione delle nuove prospettive finanziarie a partire dal 1° gennaio 2007. Se questo accadesse, sarebbero proprio i nuovi Stati membri o le regioni d’Europa che hanno più bisogno di solidarietà a pagarne le maggiori le conseguenze. Crediamo pertanto che vi sia ancora un margine per le trattative, che però vanno intraprese con ambizione e realismo e con grande senso di responsabilità. Se riusciremo a risolvere questo problema, ci troveremo nelle migliori condizioni per assicurare che il Consiglio europeo di primavera sia un grande successo.

E’ la prima volta che applichiamo il nuovo sistema di governance di Lisbona. Tutti gli Stati membri hanno già consegnato i programmi nazionali di riforma. Presenteremo la nostra valutazione il 25 gennaio, che verrò a illustrarvi in quest’Aula. Credo che ora vi siano le condizioni necessarie per dare impulso all’Europa nei settori della crescita e dell’occupazione. Dobbiamo però essere chiari al riguardo: abbiamo delle priorità. Il Presidente Schüssel ne ha evidenziate alcune, tra cui la ricerca, le PMI e l’energia, tutti casi in cui il programma di Hampton Court ha integrato in modo utile l’agenda di Lisbona. Se però vogliamo davvero la crescita in Europa, dobbiamo veramente avere un mercato unico. Il grande compito in questo momento – quello del mandato della Commissione e del Parlamento – è assicurare che il mercato unico funzioni in un’Europa allargata.

Ora siamo 25, e dobbiamo ricordarci che esistono libertà fondamentali che stavano al centro del progetto della Comunità europea: la libera circolazione delle merci, naturalmente, ma anche la libera circolazione di capitali, servizi e persone, tra cui i lavoratori. Se davvero vogliamo l’Europa, sappiamo che dev’essere molto più di un mercato: l’Europa è un progetto politico e sociale. Affinché l’Europa contempli entrambi gli aspetti, dobbiamo garantire le libertà fondamentali in tutto il suo territorio, badando di non creare divisioni tra i vecchi e i nuovi Stati membri di quest’Unione europea, che si fonda sul concetto di solidarietà.

In conclusione, il Consiglio europeo di giugno deve prendere una decisione in merito al futuro dell’Europa. A questo proposito, reputo molto significativa la questione sollevata dall’onorevole Duff. E’ vero che esistono alcune differenze apprezzabili, e siamo dell’opinione di dover affrontare questo dibattito con attenzione, consapevoli delle nostre responsabilità. Su queste basi, riteniamo possibile, pensando al Consiglio europeo di giugno, completare il disegno del programma per il futuro dell’Europa, raggiungere un nuovo consenso per portare avanti il progetto europeo e trovare l’occasione più adatta per risolvere le questioni istituzionali che, di fatto, vanno risolte.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL).(PT) La Presidenza austriaca sta iniziando il suo mandato in un momento particolarmente critico della vita dell’Unione europea e con tutta una serie di compiti importanti da affrontare, come le trattative con il Parlamento sulle prospettive finanziarie, onde assicurare che esse tengano conto della necessità di solidarietà e di coesione economica e sociale, il rifiuto delle proposte di direttiva sulla liberalizzazione dei porti e della famigerata direttiva Bolkestein sulla creazione del mercato interno dei servizi, che minerà i diritti dei lavoratori, dei consumatori e degli utenti dei servizi, nonché la scelta netta di respingere la cosiddetta Costituzione europea, in considerazione dei risultati dei referendum francese e olandese.

E’ inoltre necessario procedere a un cambiamento radicale delle politiche monetariste e delle priorità macroeconomiche se vogliamo affrontare i problemi socioeconomici che investono alcuni paesi. Un simile cambiamento comporterà la cancellazione del Patto di stabilità e crescita e la sua sostituzione con un adeguato Patto per il progresso sociale e lo sviluppo, mirato a promuovere gli investimenti pubblici, la lotta contro la disoccupazione e l’ineguaglianza, nonché la ridistribuzione del reddito.

Le dichiarazioni della Presidenza sono state ben lontane dall’aver affrontato tutte queste tematiche, il che non sorprende, date le posizioni delle precedenti presidenze; apprezziamo nondimeno le affermazioni sull’apertura al dialogo, che però non è molto.

 
  
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  Margie Sudre (PPE-DE).(FR) Mi complimento con la Presidenza austriaca per il suo desiderio di proporre misure serie volte a migliorare il processo decisionale nell’Unione europea. Anche Francia e Germania hanno avanzato proposte per compiere progressi in questo campo. Possiamo solo incoraggiarli in tale intento e, a partire da questa settimana, il Parlamento svolgerà pienamente il suo ruolo al riguardo.

Non è una questione di retorica; si tratta piuttosto di garantire che, dopo approfondite consultazioni, sia possibile adottare decisioni sulle questioni europee senza ritardi o ostacoli. Dobbiamo andare al di là della “fase di riflessione” per arrivare alla fase di proposte realistiche e coraggiose da tradurre in pratica nei prossimi anni.

Per gli europei, la crescita economica e la disoccupazione sono le questioni più preoccupanti. C’è bisogno pertanto di un forte impegno politico e di un preciso programma d’azione da parte dell’Europa, dei suoi Stati membri e del suo Parlamento.

Mi auguro che il Consiglio europeo della primavera 2006 riesca a riportare in carreggiata la strategia rivista di Lisbona, allo scopo di metterci finalmente al riparo dagli incantesimi e di concentrare la nostra attenzione sui problemi reali, nonché, in tal modo, di ridare un orientamento chiaro alla condotta degli affari europei.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MAURO
Vicepresidente

 
  
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  Richard Howitt (PSE).(EN) Signor Presidente, in conformità dell’articolo 19, paragrafo 1 del Regolamento le chiedo di dirimere una questione riguardante la correttezza dei lavori parlamentari. Dagli schermi risulta che uno dei gruppi del Parlamento europeo ha programmato una conferenza stampa per oggi pomeriggio su un argomento attualmente oggetto di votazione in quest’Aula, e nell’intento di criticare i parlamentari l’ha intitolata “Autismo parlamentare”.

Non intendo esprimermi sui contenuti della conferenza stampa; le chiedo tuttavia di stabilire che usare a fini offensivi il termine che designa una disabilità significa discriminare le persone disabili. La invito quindi a disporre affinché il gruppo ritiri immediatamente quel titolo in quanto offensivo verso le persone affette da autismo.

(Applausi)

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE).(FI) Signor Presidente, anch’io desidero esprimere una protesta simile, in riferimento al titolo sull’omofobia. Sono assolutamente contraria alla discriminazione degli omosessuali, però il titolo della relazione non mi piace. Se dobbiamo parlare di un problema reale, ossia della discriminazione, perché mai usiamo un termine come “omofobia”, che è totalmente inadeguato? Le fobie sono varie forme di ansietà, sono paure considerate alla stregua di disturbi nevrotici, per lenire i quali sono necessarie terapie. Non possono essere trattate per mezzo del controllo politico...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Presidente. – Onorevole Korhola, non possiamo riaprire il dibattito su punti che sono all’ordine del giorno per il voto. La ringrazio ma la devo interrompere.

 

3. Composizione del Parlamento: vedasi processo verbale

4. Turno di votazioni
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca il turno di votazione.

(Per i risultati dettagliati delle votazione: vedasi processo verbale)

 

4.1. Prospettive finanziarie (votazione)

4.2. Costituzione di una commissione d’inchiesta sul crollo finanziario della “Equitable Life Society” (votazione)
  

– Prima della votazione sull’emendamento n. 1

 
  
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  Heide Rühle (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, dopo aver consultato i liberali e il gruppo PPE-DE, tenendo soprattutto conto della volontà di quest’ultimo gruppo, vorrei modificare la formulazione del nostro emendamento in modo tale che, anziché “consumatori non britannici”, il testo riporti “cittadini europei non britannici”. L’intento è del tutto chiaro; è evidente che l’espressione “cittadini europei non britannici” è molto più ampia del termine che si riferisce solo ai “consumatori”. Dopo aver consultato i liberali, ho deciso di chiedere che l’espressione “legislazione britannica” venga sostituita dalla formulazione “legislazione europea e/o britannica”. La ragione è evidente e lo scopo della modifica è ovvio.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto)

 

4.3. Costituzione di una commissione temporanea sul presunto utilizzo di paesi europei da parte della CIA per il trasporto e la detenzione illegali di prigionieri (votazione)
  

– Prima della votazione sull’emendamento n. 1

 
  
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  Francis Wurtz (GUE/NGL).(FR) Signor Presidente, il collega Markov aveva chiesto espressamente di procedere al controllo elettronico della votazione sull’emendamento n. 1. Ritengo che il rapporto di forza sia stato analogo a quello della votazione sull’emendamento n. 3. Chiedo dunque di procedere a una verifica della votazione sull’emendamento n. 1.

 
  
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  Presidente. Onorevole Wurtz, non posso concedere quello che lei chiede semplicemente perché i rapporti di forza riguardo all'emendamento 1 erano assolutamente diversi.

 

4.4. Misure restrittive nei confronti di persone sospettate di coinvolgimento nell’omicidio di Rafiq Hariri (votazione)

4.5. Gestione dei rifiuti delle industrie estrattive (votazione)

4.6. Acque di balneazione (votazione)

4.7. Applicazione delle disposizioni della convenzione di Aarhus alle istituzioni e agli organi della CE (votazione)

4.8. Accesso al mercato dei servizi portuali (votazione)
  

– Prima della votazione

 
  
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  Paolo Costa (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo ai sensi dell’articolo 168 del regolamento, a nome del gruppo dell’Alleanza dei democratici e dei liberali per l’Europa. Non intervengo in qualità di presidente della commissione competente, anche se il ruolo mi incoraggia a chiedere formalmente il rinvio in commissione della proposta di direttiva. Lo faccio perché avrebbe lo stesso risultato di una reiezione, con la differenza di mantenere nelle mani di questo Parlamento e in questa legislatura la possibilità di esprimere il nostro parere. Potremmo rischiare altrimenti di dimostrare totale arrendevolezza.

Oggi – ed è questa la mia ragione – non siamo pronti al voto. Non lo siamo né per il merito né per il clima emotivo in cui rischiamo di votare. Non siamo pronti per il merito perché le consultazioni parlamentari – faccio la mia parte di ammenda – sulla proposta sono rimaste troppo legate alla storia della prima proposta respinta qualche anno fa. L’attuale discussione non ci ha consentito di tener conto dell’evoluzione dello scenario mondiale, che vede una rivoluzione nei porti, di occuparci di concorrenza tra i porti né di occuparci di aiuti di Stato nei porti.

Insomma, non siamo pronti perché rischiamo di votare anche, da un punto di vista emotivo, in un clima che rischia di metterci in due cattive condizioni: o dimostrare arroganza…

(L’oratore è interrotto dal Presidente)

 
  
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  Presidente. – Onorevole Costa, la sua richiesta è chiarissima. In applicazione dell’articolo 168, chiediamo l’intervento di un oratore a favore e di uno contrario.

 
  
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  Paolo Costa (ALDE). – La prego di lasciarmi concludere. E’ fondamentale in ragione di quello che è successo l’altro ieri fuori dell’Aula. Noi rischiamo o di essere arroganti nei confronti di quelli che hanno manifestato correttamente o di essere, invece…

(l’oratore è interrotto dal Presidente)

 
  
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  Martin Schulz (PSE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo socialista al Parlamento europeo si oppone all’emendamento dell’onorevole Costa principalmente per due ragioni. Permettetemi di iniziare dall’ultimo aspetto sollevato dal collega. Quanto avvenuto l’altro ieri sostanzialmente è la reazione più prevedibile da parte di uomini e donne che temono per la propria sicurezza sociale.

(Tumulti e applausi)

Quegli uomini e quelle donne possono contare su di noi. Chi non può contare su socialisti come noi sono coloro che non aspettano mai di sentire la fine di un’argomentazione e chi ritiene che la violenza possa essere uno strumento politico. Non siamo solidali con queste persone, erano solo una minoranza e ripudiamo ciò che hanno fatto.

(Applausi)

Signor Presidente, il pacchetto portuale è più che pronto per essere votato e respinto e quindi chiediamo di procedere immediatamente alla votazione.

(Applausi)

 
  
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  Jens-Peter Bonde (IND/DEM).(DA) Signor Presidente, sappiamo benissimo su cosa stiamo votando, così come lo sapevamo già nel 2003, quando abbiamo respinto la proposta, e c’è un’ampia maggioranza in quest’Aula che la respingerà di nuovo. La procedura che è stata proposta ora lascerà tuttavia nell’ombra questa maggioranza favorevole alla bocciatura della proposta nel tentativo di rinviare la questione in commissione. Dovremmo dunque procedere a una votazione in Aula per stabilire se si debba votare sulle proposte di reiezione prima che sulla proposta procedurale. E’ assolutamente illogico che la Presidenza proponga di seguire una procedura suscettibile di mettere ai margini la posizione della maggioranza di quest’Assemblea.

 
  
  

(L’emendamento orale non è accolto)

 
  
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  Willi Piecyk (PSE).(DE) Signor Presidente, vorrei solo dire, per motivi di chiarezza, che chi intende respingere il pacchetto portuale deve votare “sì” nella prima votazione, ovvero dire “sì” alla bocciatura. Questo per fugare ogni dubbio. Vi prego di votare “sì” nella prima votazione. Votate “sì” e respingete questo pacchetto!

 
  
  

– Dopo la votazione

 
  
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  Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione.(FR) Signor Presidente, sarò breve. Ho ripetuto per l’intero dibattito che avrei ascoltato il Parlamento e che avrei atteso l’esito della sua votazione. Prima di illustrare le mie intenzioni, vorrei brevemente esprimere rammarico per un fatto che si è verificato, e citare cosa vorrei che succedesse. In primo luogo, mi spiace che la procedura non abbia permesso al Parlamento di esprimere il proprio verdetto sul testo modificato. Gli emendamenti del relatore erano tesi ad alleviare alcuni timori espressi dai vari interlocutori del settore portuale, timori avvertiti tanto dalle imprese quanto dai lavoratori. Alla luce di tali premesse, rendo omaggio al lavoro della commissione parlamentare. L’Esecutivo era pronto ad accogliere gli emendamenti. E questo è il motivo di rammarico.

In secondo luogo, vorrei che non perdessimo di vista l’obiettivo del testo, che peraltro è emerso spesso durante il dibattito di ieri. Si tratta di aiutare i porti europei a reagire efficacemente all’aumento del traffico marittimo e al rischio di saturazione delle loro capacità. Grazie a servizi portuali efficaci, potremo incrementare la competitività europea e favorire la crescita e l’occupazione.

Ovviamente, fornirò al Collegio dei Commissari un fedele resoconto del dibattito di ieri e della votazione odierna, invitandolo a trarne delle conclusioni. Lo esorterò inoltre a proseguire il lavoro svolto con tutte le parti interessate – Stati membri, operatori, utenti e sindacati – di concerto con il Parlamento per gettare le basi di una politica portuale europea che ci permetta di gestire e rassicurare gli investitori. Mi auguro infatti di poter fornire, nel migliore dei modi, le risposte che i porti europei si attendono sia in relazione alla trasparenza delle tariffe che all’utilizzo delle infrastrutture, al ricorso agli aiuti di Stato o, più globalmente, all’integrazione dei porti all’interno della catena intermodale. Il dibattito ha chiaramente evidenziato l’importanza di ogni aspetto di questo approccio globale.

(Applausi a destra)

 

4.9. Afghanistan (votazione)
  

– Prima della votazione sul paragrafo 16

 
  
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  Emilio Menéndez del Valle (PSE).(ES) Leggo il testo in inglese, poiché è questa la lingua in cui è stato discusso; la formulazione sarebbe la seguente:

(EN) “Chiede una soluzione del problema dei caveat che impediscono una corretta cooperazione tra i vari contingenti nazionali del paese”.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto)

 

4.10. Omofobia in Europa (votazione)

4.11. Cambiamento climatico (votazione)

4.12. Aspetti ambientali dello sviluppo sostenibile (votazione)
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  Presidente. – Con questo si conclude il turno di votazioni.

 

5. Dichiarazioni di voto
  

– Risoluzione: B6-0049/2006

 
  
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  Jan Andersson, Anna Hedh, Ewa Hedkvist Petersen e Inger Segelström (PSE), per iscritto. (SV) Auspichiamo di raggiungere un compromesso con il Consiglio su un nuovo accordo interistituzionale in materia di disciplina di bilancio e di miglioramento della procedura di bilancio. Come punto di partenza delle trattative abbiamo scelto la risoluzione del Parlamento europeo dell’8 giugno 2005 sulle sfide politiche e le risorse di bilancio dell’Unione europea allargata per il 2007-2013. Sosteniamo pertanto la risoluzione del Parlamento europeo sulla posizione comune del Consiglio europeo tenutosi dal 15 al 16 dicembre 2005. Non possiamo tuttavia appoggiare il testo che verte su una dimensione europea più efficace della politica agricola comunitaria. Attendiamo con impazienza la revisione del settore delle entrate e della spesa comunitaria nel 2008 e auspichiamo che possa portare a un assetto più moderno del bilancio comunitario e a una riduzione della spesa destinata alla politica agricola comune.

 
  
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  Richard James Ashworth (PPE-DE), per iscritto. – (EN) La delegazione dei conservatori britannici appoggia la relazione Böge e la richiesta ivi contenuta di respingere la posizione comune del Consiglio europeo in merito alle prospettive finanziarie 2007-2013 nella versione attuale. Ci associamo all’appello lanciato nella relazione a favore di un maggiore impegno verso la revisione delle prospettive finanziarie con un ruolo più chiaro per il Parlamento europeo e sosteniamo con forza la richiesta di varare adeguate misure di accompagnamento per assicurare un’attuazione e un controllo più efficaci della spesa delle risorse negli Stati membri.

Tuttavia, prendiamo atto con preoccupazione della richiesta di utilizzare la posizione del Parlamento europeo approvata l’8 giugno del 2005 nelle trattative che saranno condotte dalla commissione per i bilanci. Se tale istanza fosse accolta, gli stanziamenti di impegno aumenterebbero di 112 474 miliardi di euro nel periodo di riferimento. Per tale motivo ci siamo astenuti dalla votazione finale.

 
  
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  Francisco Assis, Luis Manuel Capoulas Santos e Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ci siamo astenuti dalla votazione finale sulla risoluzione in merito alle prospettive finanziarie 2007-2013 perché non accettiamo il considerando n. 4 del testo.

A nostro parere, l’accordo minimo si sarebbe rivelato un buon compromesso per l’Unione europea, in quanto avrebbe sventato, seppur temporaneamente, una grave crisi politica in Europa.

L’uso del termine “respinge” nel considerando n. 4 trasmette all’opinione pubblica europea l’idea che il Parlamento stia cercando di riaprire il dibattito finanziario, una mossa che al momento non è possibile né tanto meno appropriata.

Per questo motivo il termine “respinge” assume per noi il significato di “disaccordo”, il che non pregiudica naturalmente l’accordo che è stato raggiunto.

 
  
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  Gerard Batten, Graham Booth, Derek Roland Clark, Nigel Farage, Roger Knapman, Michael Henry Nattrass, Jeffrey Titford e Thomas Wise (IND/DEM), per iscritto. – (EN) Potrebbe suscitare sorpresa il fatto che l’UKIP abbia votato per la prima volta a favore di una relazione di tono apertamente federalista. Lo abbiamo fatto perché l’adozione della presente relazione rende nullo l’accordo negoziato dal Primo Ministro Tony Blair in dicembre. Per noi, un incremento del 63 per cento del contributo britannico all’Unione è inaccettabile. La rinuncia a 7 miliardi di sterline dello sconto britannico è inaccettabile. Le attuali prospettive finanziarie rappresentano un affare poco favorevole per la Gran Bretagna.

Se la relazione in oggetto verrà approvata, ritorneremo all’articolo 272 del Trattato e ai negoziati annuali sul bilancio. Pur respingendo con forza le motivazioni che soggiacciono alla relazione, siamo lieti di offrire il nostro contributo per riaprire un dibattito sulle modalità di spesa dei fondi dei contribuenti britannici. Tanto più aumenta l’esposizione della gente alle manovre dell’UE, più cresce la disapprovazione.

 
  
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  Bastiaan Belder (IND/DEM), per iscritto. – (NL) Gettando nella spazzatura la posizione comune del Consiglio sulle prospettive finanziarie 2007-2013, la maggioranza del Parlamento europeo sta mettendo a rischio il funzionamento dell’Unione europea, e noi non siamo d’accordo.

In primo luogo, spetta agli Stati membri raccogliere i contributi per l’Unione europea. Il Parlamento si sopravvaluta se crede di poter costringere gli Stati membri a stanziare più fondi per l’UE.

In secondo luogo, stando al principio di sussidiarietà, vi sono alcune voci del bilancio europeo che dovrebbero ricevere molti meno fondi, se non nessuno: politica estera, istruzione, affari sociali, occupazione, cultura e sanità. Inoltre, non hanno alcuna utilità le spese per la propaganda comunitaria e le sovvenzioni per i gruppi di riflessione “pro Europa”.

In terzo luogo la politica del Fondo di coesione e dei Fondi strutturali deve imperniarsi sulle regioni svantaggiate dei paesi membri, in cui il PIL è inferiore all’80 per cento della media comunitaria. In questo modo quindi la politica di sostegno strutturale viene a spostarsi dagli Stati membri meridionali verso quelli orientali.

Nell’interesse dei cittadini la nostra Assemblea dovrebbe adottare un atteggiamento più intraprendente e limitare l’Unione europea ai compiti fondamentali che le spettano, vale a dire fare di più con meno fondi.

 
  
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  Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. (SV) Non siamo soddisfatti dell’accordo raggiunto in occasione del Consiglio del 16 dicembre. Vogliamo ridurre la spesa correlata alla politica agricola e ai Fondi strutturali e stanziare maggiori risorse a favore della ricerca e sviluppo nonché della politica estera e di sicurezza comune. Il Parlamento gode del diritto di codecisione sulle prospettive finanziarie e ha annunciato che difenderà molto strenuamente la propria politica di bilancio. Non appoggiamo la politica di bilancio “al rialzo” sostenuta dal Parlamento, ma concordiamo con altre proposte, ad esempio quella di incrementare la dotazione della ricerca e sviluppo.

Alla luce di tali considerazioni, nella votazione finale non abbiamo votato contro la risoluzione, ma ci siamo astenuti, visto che sottoscriviamo solo alcune parti della proposta del Parlamento.

 
  
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  Lena Ek (ALDE), per iscritto. (SV) Oggi ho scelto di astenermi dalla votazione del Parlamento europeo sulla risoluzione in merito alle prospettive finanziarie. In tale testo il Parlamento respinge l’accordo del Consiglio. Sono indubbiamente molto delusa dall’accordo del Consiglio, in quanto i settori che considero prioritari otterranno uno stanziamento di risorse inferiore a quello proposto dalla Commissione. Si tratta di settori quali la ricerca, l’innovazione, le misure per combattere la criminalità transfrontaliera, le misure in materia di ambiente e i Fondi strutturali riservati al sostegno per le piccole e medie imprese.

Il Consiglio ha impiegato già troppo tempo, purtroppo, e non desidero che tale processo subisca ulteriori ritardi. Per noi è importante garantire i finanziamenti dei progetti e dei programmi per il periodo 2007-2013, onde impedire interruzioni a causa dell’incertezza e della mancanza di cofinanziatori. E’ importante soprattutto per il dieci nuovi Stati membri. Ho pertanto deciso di non far deragliare le prospettive finanziarie che sono state appena concordate.

 
  
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  Neena Gill (PSE), per iscritto. – (EN) La delegazione britannica del gruppo PSE si asterrà dalla votazione conclusiva sulla relazione Böge del 18 gennaio 2006 per i seguenti motivi.

1. Ci preoccupa il riferimento al rafforzamento della politica agricola che compare al paragrafo 7; si tratta di un tentativo a cui ci opponiamo da molto tempo.

2. La delegazione britannica del gruppo PSE è contraria alla prima frase del paragrafo 4 in cui si afferma che il Parlamento europeo: “respinge la posizione comune del Consiglio europeo”. In primo luogo, riteniamo che la Presidenza britannica abbia assolto a un compito difficile approdando a un accordo su una questione delicata e spinosa. Pochi pensavano che il Regno Unito sarebbe stato in grado di raggiungere il compromesso finale, alla luce delle posizioni a volte diametralmente opposte assunte dai 25 paesi membri dell’UE in materia. In secondo luogo, riteniamo che non competa al Parlamento europeo respingere la posizione del Consiglio: non possiamo che prendere atto di tale posizione e assumerne una nostra, che potrà essere in contrasto con quella del Consiglio, ma non respingerla.

3. La delegazione britannica del gruppo PSE concorda con l’opera svolta dal Parlamento per incrementare l’obbligo di rendicontazione e la flessibilità del bilancio in modo da poter rispondere alle future sfide che l’Unione dovrà affrontare, visto il ruolo di spicco che essa ricopre sulla scena mondiale.

 
  
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  Ana Maria Gomes (PSE), per iscritto. – (PT) Lo scorso dicembre il Consiglio ha ignorato i poteri e gli obblighi di codecisione del Parlamento e ha tralasciato di finanziare le politiche centrali della strategia di Lisbona e quelle relative alla posizione occupata dall’Europa sulla scena mondiale.

Di conseguenza, la Commissione è priva di risorse per finanziare le politiche per i cittadini – ad esempio, per i giovani, l’istruzione, la ricerca e la cultura –, il fondo di adeguamento alla globalizzazione e gli impegni esterni dell’Unione, quali le missioni di pace e le misure per contrastare la proliferazione delle armi di distruzione di massa.

Ho pertanto votato contro l’accordo nella sua formulazione attuale e chiedo che vengano avviati negoziati al fine di colmare le lacune in termini di risorse.

Alla Presidenza dovrebbe essere conferito il mandato di negoziare con il Parlamento riserve di flessibilità che possano garantire tutte le risorse necessarie, nonché di concordare una clausola di revisione che renda possibile il riesame della spesa nel 2008 – compreso lo storno di fondi dalla PAC alle politiche per la competitività e l’innovazione – e di riconsiderare le risorse di bilancio dell’Unione.

Non si tratta di riaprire le questioni su cui è stato trovato un accordo lo scorso dicembre a Bruxelles, bensì di rafforzarle con i mezzi necessari a finanziare politiche e misure essenziali per un’Europa più coesa, competitiva, responsabile e più credibile nell’arena internazionale.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’accordo sul bilancio comunitario per il periodo 2007-2013 adottato in occasione del Consiglio europeo di dicembre è deplorevolmente inadeguato in termini di risorse finanziarie ed è inadatto rispetto alle priorità e agli strumenti necessari per far fronte alle esigenze e ai problemi economici, sociali e ambientali di un’Europa allargata a 27 paesi.

Il tanto declamato concetto di “solidarietà” è diventato il fanalino di coda nella classifica delle priorità e i finanziamenti a favore della politica di coesione hanno subito un taglio, passando dallo 0,41 per cento allo 0,37 per cento delle entrate complessive della Comunità, malgrado si siano acuite le sperequazioni economiche e sociali derivanti dall’allargamento. Sono stati approvati tagli anche a danno di settori quali le tematiche sociali, l’ambiente, l’agricoltura, la cooperazione, la ricerca e la cultura. Al contempo, settori quali la “competitività”, il controllo dell’immigrazione, il controllo delle frontiere, la sicurezza e la politica estera e di sicurezza comune hanno registrato un incremento dei finanziamenti a spese degli aiuti allo sviluppo.

Risulta quindi palese la vittoria degli interessi dei paesi economicamente più sviluppati e dei loro grandi gruppi economici e finanziari a discapito degli interessi di quelli che vengono definiti i paesi di “coesione”, tra cui il Portogallo, e dei lavoratori.

L’intero processo “negoziale” è stato caratterizzato dalla presentazione di tutta una serie di proposte, una peggiore dell’altra. In questo contesto, benché la proposta in esame respinga l’accordo del Consiglio, essa riafferma tuttavia la posizione negoziale del Parlamento, che è altrettanto inadeguata in termini di finanziamenti e di priorità.

 
  
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  Joel Hasse Ferreira (PSE), per iscritto. – (PT) Nel testo sulle prospettive finanziarie che è stato approvato sono due i punti che sarebbe stato opportuno trattare in maniera diversa.

Il primo è la frase che “respinge” l’accordo raggiunto in occasione del Consiglio. Potevano essere usati termini più consoni per esprimere la mancata accettazione dell’accordo. Il secondo riguarda l’approccio alla politica agricola. Poiché alcuni Stati membri hanno ricevuto fondi più cospicui dal bilancio dell’Unione tramite la PAC, si sono creati ostacoli al progresso del progetto europeo ed è stato impossibile fissare criteri più adeguati di assegnazione dei fondi.

L’accordo raggiunto in Consiglio è positivo per il Portogallo, tuttavia il Parlamento ha tutti i diritti di tentare di avviare un processo di perfezionamento.

Nella procedura di bilancio non abbiamo assistito a inversioni di tendenza significative nella metodologia di bilancio e i criteri per la distribuzione globale dei fondi non sono stati soggetti a cambiamenti. La solidarietà con i paesi di coesione situati a sud e a est non deve cessare. La ricerca di una maggiore competitività in Europa non deve penalizzare le economie attualmente meno competitive.

 
  
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  Jeanine Hennis-Plasschaert (ALDE), per iscritto. – (EN) Per chiarezza, desidero precisare che non respingo la posizione comune del Consiglio europeo. Tuttavia il Parlamento, essendo uno dei rami della funzione legislativa e di bilancio, dovrebbe essere in condizione di svolgere appieno il proprio ruolo nella definizione delle politiche, nella loro riforma e nel loro bilancio. Di conseguenza, sostengo la volontà di questa Assemblea di avviare negoziati costruttivi con il Consiglio.

 
  
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  Kartika Tamara Liotard (GUE/NGL), per iscritto. – (NL) Benché il gruppo socialista del Parlamento europeo sia soddisfatto del taglio del bilancio comunitario, in particolare del miglioramento della posizione di pagamento olandese, siamo tuttora molto scettici sul modo in cui è stato deciso di spendere i fondi rimanenti. Ad oggi persiste uno squilibrio nella distribuzione delle sovvenzioni all’agricoltura, i fondi vengono ancora stanziati a piene mani e indiscriminatamente e si continuano a promuovere progetti prestigiosi. Il fatto che l’accordo per il bilancio venga raggiunto a spese degli Stati membri più poveri è assolutamente insostenibile.

 
  
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  Cecilia Malmström (ALDE), per iscritto. (SV) La risoluzione respinge l’accordo del Consiglio sulle prospettive finanziarie. Ritengo tuttavia che sia poco accorto da parte del Parlamento europeo respingere la proposta e pertanto ho deciso di astenermi dalla votazione. La strada che ha portato all’accordo del Consiglio è stata lunga e tortuosa e sarebbe stato problematico se il Consiglio non fosse riuscito a raggiungere un compromesso. L’Assemblea ha naturalmente il diritto di codecisione sulla questione e ha il potere di rigettare la proposta del Consiglio, ma sarebbe deplorevole se il bilancio a lungo termine non venisse approvato a causa del gioco di poteri tra le Istituzioni. Il Parlamento deve ora assumersi le proprie responsabilità e, insieme al Consiglio, fare del proprio meglio per approvare il bilancio a lungo termine.

A mio parere, è positivo che il Consiglio abbia trovato un accordo sulle prospettive finanziarie e che il livello di spesa non sia troppo elevato, benché buona parte del bilancio non riscuota il mio favore. Ad esempio, non condivido l’orientamento del bilancio: troppi fondi infatti sono stati stanziati a favore dell’agricoltura e degli aiuti regionali.

Il Parlamento auspica lo stanziamento di maggiori risorse per settori importanti, ma sostiene un livello complessivo di spesa indebitamente elevato e, come il Consiglio, vorrebbe destinare troppi fondi alla spesa agricola e ai fondi regionali. Di conseguenza, non mi associo alla posizione del Parlamento. Un riordino severo delle priorità per quanto riguarda lo stanziamento delle risorse europee è estremamente importante per apportare i cambiamenti di cui l’Europa ha bisogno.

 
  
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  Toine Manders (ALDE), per iscritto. – (NL) Oggi il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sul bilancio europeo pluriennale. Accolgo con favore il compromesso raggiunto dal Consiglio nel dicembre del 2005 e lo considero una buona base per ulteriori trattative tra il Parlamento europeo e il Consiglio.

Per quanto mi riguarda, tali circostanze non sminuiscono affatto gli encomiabili sforzi compiuti dal governo olandese, nella persona del ministro delle Finanze Zalm. La decisione del Consiglio di ridurre i contributi olandesi all’UE di un miliardo non rientra nelle competenze del Parlamento e pertanto non sarà oggetto dei negoziati. Poiché ritengo che l’Europa debba investire di più nella conoscenza, nell’innovazione e nell’imprenditorialità, non reputo che il compromesso attuale tenga debitamente conto di tali settori.

Sono inoltre dell’avviso che il Parlamento europeo, come i parlamenti nazionali, debba assumersi le proprie responsabilità quando si tratta di definire bilancio. Le trattative che il Parlamento europeo avvierà con il Consiglio sono analoghe al dibattito che la Camera bassa olandese intrattiene con il governo in risposta al discorso della Regina.

 
  
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  Diamanto Manolakou (GUE/NGL), per iscritto.(EL) Il Consiglio europeo ha raggiunto un accordo sulle prospettive finanziarie 2007-2013 dopo estenuanti contrattazioni su chi dovesse contribuire di meno e su chi dovesse ottenere l’assegnazione di più fondi dei contribuenti, in modo da consentire ai monopoli europei di trarne giovamento e aumentare i loro profitti e i loro privilegi. Al contempo, sono state gettate le fondamenta della nuova revisione della PAC e della riduzione della spesa agricola, che spazzerà via un numero ancora maggiore di piccole e medie imprese.

Il pacchetto finanziario prevede di utilizzare i contributi dei cittadini, che hanno subito un aumento del 110 per cento, per rafforzare le politiche repressive e la strategia dell’agenda antipopolare di Lisbona, mentre si procede alla graduale riduzione delle risorse per gli agricoltori.

Noi europarlamentari del partito comunista greco respingiamo le decisioni sulle prospettive finanziarie 2007-2013, perché sono dannose per il popolo e i suoi diritti. Non siamo tuttavia nemmeno d’accordo con i motivi del rifiuto espresso nella risoluzione del Parlamento europeo, in quanto rientrano nella filosofia del non contestare la politica antipopolare e la militarizzazione dell’Unione, visto che chiedono il rafforzamento della “competitività e della sicurezza” dell’UE, oltre che il controllo della spesa dei paesi membri. Tale filosofia favorisce le ristrutturazioni capitaliste, un maggiore sfruttamento dei lavoratori e il rafforzamento dei meccanismi repressivi e antidemocratici.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Nella codecisione la preoccupazione principale di tutti i soggetti è agire responsabilmente. L’opinione pubblica si è resa perfettamente conto della complessità del processo che ha portato all’adozione delle prospettive finanziarie dello scorso dicembre, dato che di per sé rivela quanto possano essere difficili i negoziati, soprattutto nelle circostanze attuali.

Come ho già dichiarato in precedenza, l’esito finale del Vertice di dicembre, benché non abbia conseguito tutti gli obiettivi previsti e che personalmente mi attendevo, è ampiamente positivo e favorevole agli interessi europei e portoghesi. Ritengo pertanto che sia legittimo tentare di migliorare tale accordo, assicurandoci nel contempo che non si rischi di perdere il consenso già raggiunto. La posta in gioco è troppo alta per accentrare tutte le preoccupazioni sull’equilibrio istituzionale.

 
  
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  José Albino Silva Peneda (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Ho votato contro l’accordo del Consiglio sulle prospettive finanziarie, in quanto lo ritengo sintomatico della crisi che pervade l’Europa: un continente povero, senza ambizioni e non suscita entusiasmo.

E’ povera in termini finanziari rispetto ad altre istituzioni omologhe, e anche perché la proposta del Consiglio rappresenta più la somma delle richieste avanzate dai diversi Stati membri che non l’espressione di un qualche tipo di volontà politica.

L’assenza di ambizione si desume dai segnali evidenti di incoerenza rispetto alle politiche adottate in precedenza. I cittadini europei sono sempre più frustrati dalla manifesta inefficienza delle Istituzioni europee; un giorno vengono prese decisioni declamate pubblicamente come segnali chiari di progresso in determinate aree di interesse per gli europei, e il giorno dopo lo stesso Consiglio non garantisce le prospettive finanziarie con le risorse necessarie a perseguire tali obiettivi.

Infine, questo accordo non produce alcun moto di entusiasmo, in quanto non onora gli impegni assunti con i paesi candidati – Bulgaria e Romania.

Questo tipo di atteggiamento si chiama ipocrisia.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) L’esito raggiunto nel cuore della notte dal Consiglio di Bruxelles dello scorso dicembre delude la Scozia e anche l’Europa. E’ inaccettabile per il Parlamento, e sono lieto di appoggiare la risoluzione di respingere tale accordo nella sua forma attuale e di avviare i negoziati per migliorarlo. Il Parlamento è stato fondamentale per costringere i paesi membri, e soprattutto il Regno Unito, ad agire in maniera ragionevole, ma possiamo fare meglio rispetto all’accordo attualmente in esame. A mio avviso, il Parlamento ha ragione a cercare un compromesso migliore; sono soddisfatto che oggi sia stata approvata la risoluzione e attendo con impazienza i negoziati.

 
  
  

– Risoluzione: B6-0050/2006

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore la decisione della Conferenza dei presidenti del Parlamento europeo di istituire una commissione d’inchiesta, nominando 22 deputati, con il mandato di indagare sul caso dei cittadini – 6 500 dei quali sono irlandesi – derubati dei loro risparmi a causa della crisi della compagnia assicurativa Equitable Life.

Appoggio la petizione presentata dagli investitori della Equitable Life alla commissione per le petizioni del Parlamento europeo. Trovo molto giusto che il loro caso sia sottoposto alle indagini di una commissione d’inchiesta del Parlamento europeo.

Il governo irlandese dovrebbe ora nominare un referente investigativo che rappresenti gli interessi dei cittadini irlandesi in tale questione e che collabori con la commissione d’inchiesta del Parlamento europeo.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Sono stato contattato dagli elettori di tutta la Scozia che chiedevano un intervento concreto sulla questione di Equitable Life, e non semplicemente belle parole. Oggi abbiamo risposto alle loro richieste, e sono lieto che il Parlamento abbia compiuto un passo decisivo, quando invece il governo di Londra non si è mosso. In concomitanza con il fallimento di Equitable Life i cittadini hanno visto precipitare nel caos i loro risparmi e i fondi pensione, ed è giusto che continuino a esigere delle risposte. Attendo con impazienza di poter collaborare con la commissione per andare a fondo di questa vicenda.

 
  
  

– Risoluzione: RC-B6-0051/2006

 
  
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  Carlos Coelho (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Nell’Europa della libertà e dei valori, occorre affermare con chiarezza che i diritti dei cittadini e il primato dello Stato di diritto meritano una protezione inequivocabile.

La lotta contro il terrorismo dovrebbe rientrare in questo contesto. Di conseguenza, non dobbiamo abbandonare il nostro patrimonio e l’ampio sostegno internazionale di cui godiamo. Ciò che ci distingue dai terroristi è il nostro profondo rispetto per le persone e per tutti i loro diritti.

La commissione temporanea, in ottemperanza al suo mandato, deve raccogliere e analizzare tutte le informazioni che possano rivelarsi pertinenti per appurare la verità in merito ai fatti segnalati dal Washington Post e confermati da Human Rights Watch.

Dobbiamo scoprire la verità, non soltanto perché i dubbi persistenti alimentano il sospetto e le dicerie, ma anche perché non possiamo permettere in nessuna circostanza che il territorio europeo sia utilizzato allo scopo di attuare detenzioni clandestine. Sarebbe vergognoso e apertamente in conflitto con le regole internazionali sui diritti umani e con le norme e i valori europei.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto. – (EN) Per quanto riguarda la decisione di costituire una commissione d’inchiesta del Parlamento europeo per indagare sulle presunte carceri segrete della CIA e sulle torture inflitte ai prigionieri sul territorio dell’UE o di paesi candidati all’adesione all’UE, qualora gli Stati membri dell’Unione o i paesi candidati fossero stati coinvolti attivamente o passivamente nella gestione di “carceri extragiudiziali”, saremmo in presenza di violazioni della Carta dei diritti fondamentali.

E’ importante andare a fondo della questione. Dobbiamo indagare senza pregiudizi ma senza tralasciare alcuna eventualità. Vogliamo sapere la verità, nient’altro che la verità. Se lo faremo, dimostreremo di voler lottare veramente contro il terrorismo e anche contro la tortura.

 
  
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  Claude Moraes (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore dell’apertura di un’inchiesta del Parlamento europeo sulle presunte attività della CIA in relazione a sequestri di persona, “consegne straordinarie di detenuti”, come vengono definite, “detenzione in località segrete”, “segregazione”, tortura, crudeltà e trattamento disumano o degradante di prigionieri sul territorio dell’Unione europea, inclusi i paesi in via di adesione e quelli candidati.

Alla luce della preoccupazione dilagante, che riguarda anche il mio collegio elettorale di Londra, è importante che il Parlamento europeo svolga un’opera efficace per appurare la fondatezza delle accuse.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Alla luce delle rivelazioni e dell’agitazione causata dalle azioni della CIA, con il sequestro di cittadini, il trasferimento di indiziati, lo svolgimento di indagini e la presenza di carceri nei paesi europei, il Parlamento europeo – con la costituzione della commissione d’inchiesta – tenta di gettare fumo negli occhi dei cittadini europei.

Sta manifestando una preoccupazione ipocrita per le violazioni dei diritti umani sul suolo europeo e sta tentando di salvare “l’onore perduto” dell’UE. E’ stato tuttavia comprovato che la stessa Unione europea e i governi degli Stati membri hanno concluso accordi segreti con gli USA, hanno dato la loro piena adesione alla cosiddetta strategia antiterroristica e adesso si fingono sorpresi e recitano la parte delle colombe innocenti.

Quando i gruppi politici del Parlamento europeo, che rappresentano partiti al governo e quindi sono i firmatari di tali accordi, fanno finta di protestare per quanto è accaduto, nei fatti essi insultano e sottovalutano l’opinione pubblica.

L’Unione europea e gli USA sono entrambi colpevoli delle azioni irresponsabili dei servizi segreti che, a parte tutto, si stanno preparando ad applicare le leggi terroristiche per colpire il movimento popolare e scatenare guerre tra i paesi e tra i popoli.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) In situazioni di conflitto, soprattutto nell’azione che vede impegnati gli Stati Uniti e gli alleati, è ancor più essenziale far valere i nostri valori fondamentali e civili; dobbiamo essere tutti quanto mai vigili in circostanze così estreme. Condivido pertanto il parere di tutti coloro che, in Europa e negli Stati Uniti, hanno levato la loro voce contro gli abusi e le violazioni di tali valori. E’ questa la mia posizione inequivocabile, e l’ho espressa in diverse occasioni.

Detto ciò, per quanto riguarda i cosiddetti “voli della CIA”, devo esprimere la mia delusione per il modo in cui è stato condotto il dibattito. Si è basato soprattutto su congetture, sospetti e accuse, e la parola dei nostri alleati e dei leader più stimati degli Stati membri dell’Unione europea non sembra avere alcun valore.

In questo contesto ritengo che la Conferenza dei presidenti sia riuscita a trovare una soluzione adeguata, e soprattutto equilibrata e adatta al ruolo che il Parlamento potrebbe svolgere nella questione. Ho pertanto votato a favore.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Suscitano grandissima preoccupazione le accuse secondo cui i nostri amici e alleati americani avrebbero utilizzato aeroporti europei come scali per voli che ai sensi delle nostre leggi sarebbero illegali. E’ giusto che il Parlamento europeo si attivi per fare luce su questa oscura vicenda, in quanto interessa tutti i cittadini. Personalmente ritengo che gli americani non siano colpevoli nemmeno della metà delle accuse che vengono mosse nei loro confronti, ma riusciremo a rispondere a tali accuse solamente andando a fondo della questione, e attendo con impazienza di poter collaborare con la commissione d’inchiesta per giungere a questo risultato.

 
  
  

– Relazione: Cavada (A6-0003/2006)

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) L’Unione deve mantenere una posizione chiara e coerente in difesa della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti umani in relazione a quello che, in senso più ampio, dovrebbe essere il processo di pace in Medio Oriente. Nel caso specifico, le misure che sono state prese in Libano richiedono il nostro pieno sostegno sia nelle parole che nei fatti. In pratica dobbiamo collaborare sulla base di qualsiasi indizio che possa rivelarci la verità sull’omicidio dell’ex Primo Ministro Rafiq Hariri. Ho pertanto votato a favore della relazione in esame. Desidero inoltre richiamare l’attenzione sulle questioni procedurali sollevate dal relatore, che secondo me meritano di essere ulteriormente esaminate.

 
  
  

– Relazione: Sjöstedt (A6-0001/2006)

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL) , per iscritto. – (PT) Accogliamo con favore l’adozione della relazione finale, approvata dal Comitato di conciliazione, relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive, una tematica che riveste notevole interesse per il Portogallo.

La nuova legislazione rafforzerà le norme ambientali in numerosi paesi membri e imporrà obblighi più cogenti per le imprese, che saranno costrette a promuovere interventi correttivi nei siti da esse utilizzati per attività industriali, e ad assumersi pertanto la responsabilità di proteggere l’ambiente e la salute pubblica.

Altrettanto importante è redigere l’inventario delle situazioni esistenti, in modo da adottare le misure appropriate.

Confidiamo nell’attuazione puntuale di tali proposte.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) La presente direttiva è un testo legislativo importante in materia di ambiente.

In seguito all’encomiabile lavoro svolto sia dal relatore sia dalla delegazione parlamentare del Comitato di conciliazione, non posso che esprimere il mio sostegno a questa relazione, in cui sono previste importanti misure che prepareranno il terreno alla riduzione degli effetti nocivi sull’ambiente e dei rischi per la salute umana derivanti dai rifiuti delle industrie estrattive.

Per questo motivo ho votato a favore della relazione Sjöstedt.

 
  
  

– Relazione: Maaten (A6-0415/2005)

 
  
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  Andreas Mölzer (NI).(DE) Nell’Unione europea vi sono circa 20 000 zone balneabili e i cittadini non possono neanche lontanamente immaginare quali batteri pericolosi si annidino in quelle acque. Chi nuota inghiottisce una media di 50 millilitri di acqua, mentre i bambini ingoiano una quantità d’acqua dieci volte maggiore tra spruzzi e schizzi vari, pertanto occorre garantire che non vi siano rischi di contrarre malattie. Esistono diversi agenti in grado di causare patologie che vanno dalla nausea alle eruzioni cutanee, ma ve ne sono anche altri potenzialmente letali. Di conseguenza, è molto incoraggiante che la direttiva europea sia riuscita a migliorare la qualità delle acque di balneazione negli ultimi anni; tuttavia la capacità di autoregolamentazione dei laghi più piccoli, come quelli delle Alpi austriache, si è drasticamente ridotta. Ne consegue che non possiamo più affidarci solamente alle disposizioni di legge, ai divieti e agli investimenti, bensì dobbiamo tentare di ottenere la piena collaborazione della gente e la consapevolezza dell’opinione pubblica sulle questioni ambientali.

 
  
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  Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. (SV) L’Unione europea non dovrebbe avere una direttiva comune che disciplina la qualità delle acque di balneazione, è ovvio. Abbiamo votato a favore della relazione perché il Parlamento ha dato ascolto alle nostre critiche e sta ridimensionando le norme vigenti. La relazione respinge inoltre con fermezza le proposte di ulteriore regolamentazione, già avanzate l’ultima volta che il Parlamento ha discusso la questione.

Va rilevato che la proposta precedente mostrava con chiarezza quanto sia difficile prevedere norme dettagliate applicabili a condizioni del tutto diverse. In paesi con lunghi litorali, ampi specchi d’acqua, una stagione balneare molto breve, basse temperature dell’acqua e una bassa densità demografica, i requisiti dovrebbero essere diversi rispetto a quelli in vigore in paesi con spiagge densamente popolate, meta di numerosi cittadini che vi si recano per immergersi in acque calde durante le lunghe stagioni dei bagni. Noi conservatori svedesi siamo lieti che le nostre rimostranze siano state ascoltate.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Sono ovviamente a favore della proposta. E’ particolarmente importante per il mio paese, il Portogallo, in cui il litorale interessa la metà del territorio nazionale, il territorio vanta diversi fiumi e altre vie navigabili, e in cui i bagnanti si dedicano sempre più numerosi agli sport acquatici.

La presente proposta rappresenta un significativo passo avanti per la tutela della salute umana e dell’ambiente; gli emendamenti proposti apporteranno notevoli miglioramenti in termini di comprensione, monitoraggio e controllo della qualità delle acque di balneazione.

Il testo redatto dal Comitato di conciliazione colmerà le lacune e aggiornerà il regolamento in materia di acque di balneazione attualmente in vigore.

Vi sono requisiti più severi adesso, quali i nuovi valori limite batteriologici per poter considerare le acque di qualità “sufficiente”, l’informazione del pubblico e la sua partecipazione saranno ora obbligatorie, così come la standardizzazione dei cartelli a livello comunitario, che contribuirà a ridurre i rischi per la salute e a prevenire malattie e infezioni.

 
  
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  Lena Ek (ALDE), per iscritto. (SV) Oggi ho deciso di votare a favore del testo congiunto del Comitato di conciliazione sulla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la gestione della qualità delle acque di balneazione. La mia decisione si basa sul fatto che si tratta di una questione a cui si applica la sussidiarietà, intendo dire che andrebbe trattata a livello locale o regionale, in questo caso. Le acque di balneazione sono un problema che riguarda molti comuni svedesi le cui spiagge sono spesso balneabili. E’ pertanto importante che la direttiva non imponga ai comuni un onere burocratico ulteriore. Ho comunque votato a favore del progetto di direttiva perché il documento attuale rappresenta sotto molti profili un miglioramento rispetto alla direttiva concernente la qualità delle acque di balneazione del 1976 attualmente in vigore. Anzitutto è più semplice, e in secondo luogo contiene requisiti più precisi in termini di salute e ambiente. Un’Unione europea più razionale ma più efficiente deve valutare se non sia opportuno riaffidare questioni come quella in esame agli Stati membri perché vengano gestite a livello nazionale, regionale o locale.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’aspetto più importante della soluzione che è stata raggiunta è che la direttiva del 1976 concernente la qualità delle acque di balneazione, resa obsoleta dagli sviluppi della conoscenza scientifica e da esigenze sanitarie sempre più impellenti, è stata aggiornata sotto alcuni punti di vista. Secondo il relatore, tali emendamenti produrranno una riduzione del rischio sanitario per i bagnanti dal 12 per cento al 7,5 per cento.

Il processo di conciliazione è stato difficile, date le posizioni molto divergenti, e l’esito è stato soddisfacente ma inadeguato, soprattutto per quanto riguarda i parametri che ora sono divenuti vincolanti.

I progressi più ingenti sono stati registrati nell’area delle informazioni al pubblico. Auspico che le informazioni più aggiornate vengano rese pubbliche e che siano visibili anche nelle zone balneabili.

 
  
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  Duarte Freitas (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il testo prodotto dal Comitato di conciliazione e presentatoci oggi per la votazione contiene emendamenti molto graditi che modificano la proposta presentata per la seconda lettura il 21 aprile 2005.

Il fatto che la proposta di abolire la distinzione tra acque costiere e interne non sia stata presa in considerazione e che la categoria di qualità “sufficiente” non sia stata eliminata dal testo finale salvaguarda gli interessi superiori del Portogallo nella questione e rispetta le ultime raccomandazioni dell’OMS.

Accolgo con favore i parametri proposti per valutare la qualità delle acque di balneazione, oltre alla metodologia applicata per analizzarle e classificarle. Sono pertanto a favore dell’adozione di tali parametri.

Ritengo che sarà pertanto possibile non solo migliorare l’ambiente, ma anche proteggere e informare meglio i cittadini sulla qualità delle acque di balneazione da essi utilizzate.

 
  
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  Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. (SV) La relazione in oggetto tratta una questione che non dovrebbe essere parte dei programmi comunitari. Non ha ovviamente senso fare un raffronto tra le condizioni e i requisiti delle acque di balneazione del Mediterraneo e quelle di migliaia di laghi di paesi quali la Svezia e la Finlandia. La direttiva relativa alle acque di balneazione è un esempio di come, in pratica, l’Unione europea applichi raramente sia il principio di sussidiarietà, sia quello di proporzionalità. E’ del tutto deplorevole.

La proposta elaborata nella procedura di conciliazione presenta alcuni vantaggi rispetto alla direttiva attualmente in vigore. Ad esempio, sono stati ridotti i criteri che gli Stati membri dovranno applicare. Al contempo, però, sono stati introdotti nuovi requisiti assurdi, come l’obbligo di esporre cartelli identici nelle zone balneabili di tutta l’Unione.

Siamo certi che gli Stati membri siano in grado di gestire in autonomia le questioni concernenti la qualità dell’acqua nelle aree balneabili. In linea di principio siamo pertanto contrari alla direttiva sulla qualità delle acque e abbiamo votato contro il compromesso del Comitato di conciliazione.

 
  
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  Cecilia Malmström (ALDE), per iscritto. (SV) Ho deciso di votare a favore del testo congiunto del Comitato di conciliazione di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la gestione della qualità delle acque di balneazione. In linea di massima non reputo che la qualità delle acque di balneazione sia una questione da trattare a livello comunitario. Andrebbe gestita dagli Stati membri a livello nazionale o locale. Ho votato a favore del progetto di direttiva, in quanto la proposta rappresenta un miglioramento significativo rispetto alla direttiva precedente, che risale al 1976, concernente la qualità delle acque di balneazione. Votando a favore della proposta, si concorre allo sforzo di semplificazione della legislazione comunitaria e si offre un contributo per migliorare settori quali la salute e l’ambiente.

Per rendere l’Unione europea più efficiente e dinamica nelle questioni transfrontaliere più pressanti, la formulazione delle politiche in determinate aree dovrebbe essere demandata agli Stati membri. Questa è una di quelle aree che devono essere gestite in una sede più vicina ai cittadini.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della presente relazione perché mantiene la quarta nuova categoria di qualità delle acque introdotta dal Consiglio e perché le quattro categorie ora corrispondono a riferimenti tossicologici nuovi e più razionali. I nuovi dati dovrebbero contribuire a ridurre i rischi per la salute dei bagnanti migliorando i livelli delle categorie.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) L’accordo raggiunto in seno al Comitato di conciliazione sulla direttiva concernente la qualità delle acque di balneazione si basa su nuovi criteri di valutazione della qualità delle acque e di informazione del pubblico.

Regole più severe e informazioni più puntuali per il pubblico sono fattori estremamente importanti per il Portogallo, data l’estensione del litorale portoghese e il valore sociale, culturale ed economico che rivestono per il paese le coste e gli innumerevoli corsi d’acqua in termini di attività non solo turistiche, ma anche socioculturali.

Occorre compiere ogni sforzo possibile per prevenire e ridurre i rischi sanitari. Ritengo pertanto che la proposta in esame rappresenti un passo estremamente significativo verso la tutela della salute delle persone e dell’ambiente. Gli emendamenti apporteranno miglioramenti evidenti in termini di comprensione, monitoraggio e controllo delle qualità delle acque di balneazione e contribuiranno a creare il giusto equilibrio per quanto riguarda i costi di introduzione dei nuovi criteri di qualità.

Ho pertanto votato a favore della relazione Maaten.

 
  
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  Margrietus van den Berg (PSE), per iscritto. – (EN) L’argomento di tale risoluzione, vale a dire la qualità delle acque di balneazione, è importante, ma a mio parere, dal punto di vista della sussidiarietà, andrebbe trattato a livello nazionale. Non c’è alcun valore aggiunto nel gestire tale problematica a livello europeo. Per questa ragione ho votato contro la risoluzione.

 
  
  

– Relazione: Korhola (A6-0381/2005)

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE), relatore. – (FI) Signor Presidente, purtroppo ho dovuto terminare il mio intervento per mancanza di tempo, ma vorrei rimediare leggendo quello che avevo intenzione di dire, di modo che le organizzazioni ambientali non fraintendano le mie parole:

Un buon esempio è la lettera inviata questa settimana dalle più importanti organizzazioni ambientali, che fornisce l’immagine sbagliata dell’opportunità che sta verosimilmente per offrirsi loro di accedere alla giustizia. Esse ricordano che i paesi industrializzati possono presentare ricorso dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee, per cui ora la direttiva in esame non farebbe che metterle sul medesimo piano. La lettera non dice però che le organizzazioni ambientali non aspirano assolutamente a essere poste allo stesso livello delle imprese, alle quali viene richiesto che una decisione impugnata le riguardi “direttamente e individualmente”, in altre parole, come parte interessata. Al contrario, attualmente le organizzazioni ambientali dovrebbero poter scegliere in tutta l’Unione, ignorando i criteri relativi alle parti interessate, a quale area sono interessate. E’ fuorviante che tale dettaglio essenziale sia stato taciuto.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto. – (EN) Accolgo con molto favore la proposta di regolamento che prevede l’applicazione delle disposizioni della Convenzione di Aarhus alle Istituzioni e agli organi comunitari. I cittadini hanno il diritto legittimo all’informazione e alla giustizia ambientale, anche dalla CEE.

In particolare, ritengo che la definizione di “informazioni ambientali” racchiusa nella proposta di regolamento debba includere informazioni sullo stato di avanzamento dei procedimenti contro gli Stati membri per infrazione delle normative comunitarie. Molto spesso i cittadini non hanno altro modo di tenersi informati sul mancato rispetto di impegni volontariamente assunti da parte degli Stati membri se non leggere regolarmente i comunicati stampa della Commissione. Non è sufficiente, sono necessarie misure più affidabili.

Da ultimo, deploro il mancato raggiungimento di un accordo da parte del Consiglio sul progetto di direttiva concernente l’accesso alla giustizia, promosso dal Parlamento europeo con i relativi emendamenti il 31 marzo 2004, ed esorto il Consiglio e la Commissione a raddoppiare gli sforzi su questa iniziativa specifica.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) A nostro parere, gli emendamenti adottati oggi sulla relazione relativa all’applicazione delle disposizioni della Convenzione di Aarhus alle Istituzioni europee sono molto significativi. La relazione considera innanzi tutto prioritario il diritto di informazione del pubblico sulle procedure per partecipare al processo decisionale, in particolare le modalità di utilizzo di tali procedure; in secondo luogo, reputa essenziale il diritto di accesso alle informazioni e, terzo, l’accesso alla giustizia per le questioni ambientali.

Sono stati presentati emendamenti, ad esempio, sulla definizione delle priorità concernenti la politica ambientale e il coinvolgimento dell’opinione pubblica nell’elaborazione della medesima. E’ ora d’obbligo indicare chiaramente come ottenere le informazioni, ad esempio quelle sullo stato di avanzamento dei procedimenti per violazione del diritto comunitario, e rendere disponibili tali informazioni attraverso la valutazione dell’esito delle varie consultazioni.

In alcune aree il documento non tiene tuttavia pienamente conto dei requisiti della Convenzione, in particolare per quanto riguarda l’accesso alla giustizia, in quanto non esistono meccanismi di sostegno per ridurre o eliminare gli ostacoli finanziari ricorrenti; di fatto, l’accesso alla giustizia è spesso condizionato proprio perché coloro che ricorrono alla giustizia non dispongono delle risorse finanziarie necessarie.

In generale, si tratta comunque di un passo importante per assicurare, da un lato, la partecipazione efficace –mediante procedure sviluppate entro un arco di tempo ragionevole – e, dall’altro, l’accesso alle informazioni in modo da consentire una partecipazione effettiva e democratica.

 
  
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  Robert Goebbels (PSE), per iscritto. (FR) Ho votato contro alcuni emendamenti del Parlamento relativi all’applicazione della Convenzione di Aarhus. Sarei lieto se l’opinione pubblica fosse sempre pienamente informata, ma non credo che tale obiettivo dovrebbe indurre le ONG ad avviare continuamente procedimenti legali, se la loro rappresentatività non è ancora stata riconosciuta. Qualora venga dimostrato un interesse generale, tale fattore dovrà avere la precedenza su considerazioni spesso egoistiche.

 
  
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  Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. (SV) Riteniamo che la Convenzione di Aarhus costituisca uno strumento legale prezioso per garantire l’accesso del pubblico alle informazioni ambientali e la sua partecipazione ai processi decisionali. La Convenzione ha in tal senso un fine costruttivo. Abbiamo votato contro l’emendamento n. 25. Per una pura questione di principio, siamo del parere che le azioni legali debbano essere promosse dinanzi a tribunali nazionali che applicano le leggi vigenti.

 
  
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  Toine Manders (ALDE), per iscritto. – (NL) In una società che si basa su valori democratici ritengo che a tutti debbano essere accordati i medesimi diritti. Tra questi diritti figurano opportunità paritarie e non discriminatorie di accesso alla giustizia per i cittadini, le imprese e le ONG. L’articolo 230, paragrafo 4 del Trattato lo prevede già ed è pertanto sufficiente. Per questo motivo ho ritenuto opportuno votare contro gli emendamenti nn. 19, 22, 24 e 25.

 
  
  

– Relazione: Jarzembowski (A6-0410/2005)

 
  
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  Franz Vanhecke (NI). – (NL) Signor Presidente, dopo il dibattito di ieri sulla liberalizzazione dei servizi portuali in effetti era già palese che una larga maggioranza di deputati era ed è sensibile alle fondate argomentazioni addotte dai lavoratori portuali europei, il che è ovviamente positivo.

Possiamo solo sperare che la Commissione europea, organismo alquanto distaccato dal mondo, non perseveri nella propria stizza, anche se in proposito non dobbiamo nutrire troppe speranze; sospetto infatti che il mese prossimo ci verrà nuovamente sottoposta la direttiva Bolkestein.

Poste tali premesse, sono ben lieto di dire che, bocciando oggi la relazione Jarzembowski, abbiamo optato chiaramente per il principio di riservare i posti di lavoro anzitutto alla nostra gente. Abbiamo protetto i lavoratori portuali del nostro paese dalla concorrenza sleale da parte di paesi che applicano condizioni di lavoro totalmente differenti. Sono contento che, per una volta, la sinistra e la destra in quest’Aula abbiano dato priorità ai loro connazionali. Una volta tanto hanno anteposto gli interessi fondamentali dei nostri cittadini alle ideologie. C’è da sperare che questo esempio venga seguito.

 
  
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  Dirk Sterckx (ALDE). – (NL) Signor Presidente, non ho respinto la proposta di direttiva sui porti. A mio avviso avremmo dovuto perfezionarla e migliorarla, perché era sul tappeto un equilibrato pacchetto di emendamenti.

Avremmo potuto fare come volevano i sindacati ed eliminare dalla direttiva la clausola di autoproduzione. Avremmo potuto preparare un quadro per licenze e contratti e per la selezione dei fornitori di servizi portuali da parte delle autorità dei porti. Avremmo potuto redigere un quadro giuridico chiaro per i servizi di pilotaggio. Avremmo potuto formulare misure transitorie chiare per le licenze esistenti.

La maggioranza formatasi in quest’Aula ha ritenuto che ciò fosse superfluo, anche se da dieci anni a questa parte la politica europea dei porti è oggetto di discussioni, e anche se ormai probabilmente conosciamo bene tutti questi argomenti. Non sono disposto a indulgere in approcci a breve termine e a nascondere la testa sotto la sabbia. Noi politici abbiamo il dovere di portare a termine il nostro lavoro di legislatori, cosa che oggi non è avvenuta. Stiamo lasciando la politica ai giudici della Corte di giustizia delle Comunità europee, che deciderà cosa si intenda per libera circolazione dei servizi nei nostri porti. Oggi il Parlamento è stato poco previdente. Io ero di un’altra opinione.

 
  
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  Christopher Heaton-Harris (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, sono stato relatore del PPE per la commissione per il mercato interno riguardo alla direttiva sui servizi portuali e ovviamente ho votato per la sua bocciatura, ma per ragioni completamente diverse da quasi tutte quelle addotte in Parlamento. La direttiva costituiva un passo indietro rispetto alla liberalizzazione che abbiamo già avviato nel Regno Unito. Mentre in quest’Aula molti nascondevano la testa sotto la sabbia, ignorando il fatto che attualmente operiamo in un’economia globale e che i nostri concorrenti sono più bravi e più rapidi di noi nel fare le cose, io mi preoccupavo che non andasse troppo avanti questa proposta di direttiva piuttosto patetica, una proposta emanata dalla Commissione precedente che non avrebbe mai dovuto essere riproposta dalla Commissione in carica.

Sono molte le ragioni per cui dobbiamo avere consapevolezza dei nostri concorrenti nel mondo e preoccuparcene. Nascondere la testa, il collo e tutto il resto sotto la sabbia e dimenticare di essere in un mercato globale non è certo il modo di affrontare questa situazione.

 
  
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  James Hugh Allister (NI), per iscritto. – (EN) Ho votato conto la proposta di direttiva sui servizi portuali perché penso che ne conseguirebbero serie implicazioni per il principale porto del mio collegio elettorale: il porto di Belfast. Imponendo la solita soluzione della “misura unica” a tutti i porti della Comunità, la direttiva assoggetterebbe il porto di Belfast, che movimenta il 66 per cento del commercio marittimo dell’Irlanda del Nord, a pratiche superflue e commercialmente restrittive che danneggerebbero la sua vitalità economica.

In particolare, gli attuali programmi d’investimento di Belfast, che sono cruciali per il futuro del porto e che sono ora prossimi al varo, ne sarebbero negativamente influenzati a causa della necessità di fare continuamente ricorso agli appalti, una soluzione poco pratica per garantire le infrastrutture nel lungo termine.

Se è più che giusto che alcuni mercati debbano essere aperti alla concorrenza, ritengo inutile applicare tali condizioni in questa forma ai mercati che sono già il prodotto di un’aperta concorrenza contrattuale, come quello delle operazioni di movimentazione delle merci nel porto di Belfast.

L’Irlanda del Nord fa molto conto sul mantenimento di infrastrutture portuali competitive ed efficienti. A mio avviso, quest’inutile direttiva non farebbe che intralciare lo sviluppo di Belfast e di altri porti. Pertanto respingo integralmente la proposta in esame, che avrebbe effetti vanificanti e regressivi.

 
  
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  Kader Arif (PSE), per iscritto. – (FR) Considerato che i porti europei figurano tra i più moderni e i più competitivi del mondo, non comprendo la necessità di una direttiva volta a liberalizzare i servizi portuali in Europa.

Non comprendo nemmeno perché la Commissione si ostini a volere imporre una legislazione che gli armatori, i gestori dei porti europei e, soprattutto, i lavoratori portuali giudicano insoddisfacente. Questa testardaggine rasenta la negazione della democrazia, poiché la Commissione tenta manifestamente di ripresentare le stesse proposte già respinte dai deputati di questo Parlamento.

Introducendo l’autoproduzione, il testo minaccia non solo il posto di lavoro di migliaia di lavoratori nei porti europei, ma anche la sicurezza delle merci e delle persone, poiché questi lavoratori vengono messi in concorrenza con equipaggi assunti su base occasionale e spesso privi di qualifiche professionali.

Pertanto, votando contro questo testo iniquo, ho voluto assicurare tutto il mio appoggio a coloro che si battono per la sopravvivenza della loro professione. Esorto la Commissione a mettersi finalmente al lavoro per garantire un elevato tasso di occupazione e un’armonizzazione sociale verso l’alto, anziché dedicarsi allo smantellamento sistematico e smaccato dei benefici sociali di cui godono i nostri cittadini, associandolo a un dumping sociale senza controllo.

 
  
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  Marie-Arlette Carlotti (PSE), per iscritto. – (FR) La Commissione vuole fare entrare in vigore una direttiva che è stata respinta già tre volte dal Parlamento durante la scorsa legislatura. Questa è la negazione della democrazia.

Tuttavia, non c’è ragione di adottare il testo oggi. Si tratta di una direttiva che minaccia seriamente la sicurezza e i posti di lavoro della gente.

Tramite l’autoproduzione, che permette a “novellini” di lavorare nei porti e movimentare merci, questo testo introduce il dumping sociale e mette in forse le norme di sicurezza.

Tra tutte le categorie di lavoratori portuali nessuna è soddisfatta di questo testo: non gli armatori, non i piloti e nemmeno gli ormeggiatori.

Perché, dunque, se non in nome della libera impresa, vogliamo trasformare i nostri porti in supermercati svenendo le strutture portuali al settore privato?

I porti europei sono competitivi e, se dovessimo legiferare, dovremmo occuparci della sicurezza marittima, della sicurezza degli stretti, della pianificazione territoriale e dell’altissima concentrazione di equipaggi nel Mare del Nord a scapito del Mar Mediterraneo.

La proposta della Commissione non risponde alle necessità attuali dei nostri porti. Dev’essere respinta.

Questo mese è toccato alla direttiva sui servizi portuali e il mese prossimo toccherà alla direttiva Bolkestein. Quand’è che cominceremo ad ascoltare i cittadini europei?

 
  
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  Richard Corbett (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato contro questa proposta di direttiva e plaudo alla bocciatura da parte del Parlamento, che dimostra che il sistema dei controlli e degli equilibri nell’ambito del sistema istituzionale comunitario effettivamente funziona. Se non esistesse il Parlamento europeo eletto dal popolo ci sarebbe stato il grosso rischio che la Commissione e i ministri nazionali del Consiglio, se lasciati ai loro artifici, approvassero questa legge inopportuna.

 
  
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  Paolo Costa (ALDE), per iscritto. – (EN) Il gruppo ALDE reputa che i servizi portuali debbano essere regolati da un quadro legislativo comunitario che tenga conto delle loro specifiche condizioni. Un quadro siffatto deve permettere ai fornitori di servizi l’accesso equo alle attività portuali e rappresenterebbe una risorsa per lo sviluppo dei porti. Inoltre questo sarebbe il momento opportuno per vagliare il ruolo dell’autorità portuale o il modo di operare del porto.

Oltretutto, è necessario che siano chiarite quanto più è possibile le condizioni di assegnazione degli aiuti di Stato per garantire una concorrenza equa e trasparente fra i porti.

In mancanza di tale quadro, il Trattato troverebbe applicazione di volta in volta a seconda della fattispecie, cosa che porterebbe a una situazione in cui le controversie verrebbero risolte in tribunale – avremmo di fatto un governo dei giudici – e in cui i due rami legislativi dell’Unione passerebbero in secondo piano.

La proposta della Commissione non era abbastanza completa o chiara da ottenere l’appoggio del Parlamento senza modifiche sostanziali.

In seguito alla bocciatura di questa proposta, e per tutti questi motivi, il gruppo ALDE esorta la Commissione ad avviare un ampio giro di consultazioni con…

(Testo abbreviato conformemente all’articolo 163, paragrafo 1, del Regolamento)

 
  
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  Manuel António dos Santos (PSE), per iscritto. – (PT) L’Unione può evolvere e affermarsi solo se si basa su valori come la solidarietà, la non violenza, la legalità e l’energica promozione di un atteggiamento pacifico presso l’opinione pubblica.

Il dibattito parlamentare riguardante la direttiva sull’accesso al mercato dei servizi portuali si è svolto in un’atmosfera carica di violenza e di pressioni indebite che hanno causato danni gravissimi a cose e persone che non potranno mai essere giusticabili.

Coloro che violano la legge e turbano l’ordine pubblico non devono trarre nessun beneficio dalle loro azioni.

Di conseguenza, nonostante il valore intrinseco delle questioni affrontate in questa direttiva e l’equilibrio di interessi sociali che è stato raggiunto, ho scelto di astenermi.

 
  
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  Edite Estrela e Emanuel Jardim Fernandes (PSE), per iscritto. – (PT) Abbiamo votato per la bocciatura della proposta di direttiva, perché crediamo che la liberalizzazione sfrenata dell’accesso al mercato dei servizi pubblici causerà gravi problemi per la sicurezza e la sanità pubblica e ostacolerà la prestazione garantita e la sostenibilità del servizio – un servizio pubblico, non dimentichiamolo – comportando in tal modo una riduzione della sua efficienza.

Tre anni dopo la prima proposta della Commissione in questo campo, che all’epoca venne respinta, ci troviamo un’altra volta a discutere una proposta di risoluzione che è stata bocciata dalla commissione competente. Questa bocciatura manda al Parlamento un chiaro messaggio: non può essere giudicato positivamente alcun testo suscettibile di dar luogo a una serie di incongruenze di natura legale rispetto al quadro giuridico internazionale vigente e al diritto comunitario applicabile – per esempio, il regolamento (CEE) n. 1191/69 relativo agli obblighi inerenti alla nozione di servizio pubblico – e che comporti la totale liberalizzazione dei servizi di autoproduzione.

Questo messaggio effettivamente va oltre e dimostra con chiarezza che una proposta applicabile a porti sostanzialmente diversi – in cui la liberalizzazione forzata può portare alla creazione di monopoli economicamente dannosi – e che comporta infine gravissime conseguenze sociali non può essere approvata, realisticamente parlando, dai rappresentanti dei popoli europei.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) La direttiva della Commissione europea sulla liberalizzazione dei servizi portuali è, né più né meno, una direttiva Bolkestein applicata ai porti che è stata riproposta al Parlamento, pur essendo stata respinta qualche mese fa nella sua versione precedente, pressoché identica a questa. Come la direttiva Bolkestein, questo testo organizza il dumping sociale sul territorio stesso dell’Unione, minaccia i posti di lavoro e non fornisce garanzie di alcun tipo né in termini di competitività, di crescita, di efficienza o di sicurezza. Non è altro che un esercizio di “liberalizzazione” in nome di una forma di concorrenza considerata sacrosanta, senz’alcun riguardo per le sue reali conseguenze.

E’ indubbio che i porti europei non sono competitivi come vorremmo. E’ indubbio che dobbiamo alleggerire la congestione delle vie di trasporto terrestri e che ci sarebbero tante cose da dire su certi monopoli sindacali e sui loro abusi. Tuttavia, non risolveremo questi problemi cancellando i posti di lavoro, proponendo testi ideologici non supportati da studi d’impatto o aprendo le nostre economie alla concorrenza sleale internazionale.

Il nostro obiettivo principale dev’essere la difesa dei posti di lavoro in Europa per i lavoratori europei e, per noi del Front National, la difesa dei posti di lavoro in Francia per i lavoratori francesi. Abbiamo quindi deciso di respingere il testo senza possibilità di appello.

 
  
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  Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La direttiva sui servizi portuali costituisce un esempio di legislazione comunitaria superflua. Abbiamo votato contro la relazione e raccomandato la bocciatura della proposta della Commissione, scegliendo di appoggiare quegli emendamenti intesi a limitare la portata della direttiva. Pertanto abbiamo votato a favore di proposte tese ad escludere dall’ambito della direttiva i servizi di pilotaggio e di autoproduzione. Siamo contrari alla direttiva sui servizi portuali per una serie di motivi.

– La direttiva sui servizi portuali non tiene conto né del principio di sussidiarietà né di quello di proporzionalità. Decisioni politiche sul pilotaggio, sullo scarico e sull’autoproduzione vanno prese a livello nazionale.

– In base alla proposta di direttiva, i dipendenti che svolgono gli stessi lavori possono appartenere a sindacati diversi. In questo modo, si spiana la strada agli scioperi e si compromettono i rapporti pacifici e corretti nell’ambito dell’attività.

– La direttiva sui servizi portuali difficilmente promuoverà la concorrenza. I porti sono imprese che competono l’una con l’altra. Questa direttiva rappresenta un tentativo di costringerli ad accettare una situazione in cui altre imprese possono accollarsi parte delle loro attività senza il loro consenso. E’ assurdo. Nessuno proporrebbe l’idea di costringere la Volvo ad accettare dei subappaltatori contro la sua volontà.

La concorrenza tra imprese portuali è una buona cosa e porta a soluzioni di maggior efficienza. Se una grande impresa di un altro settore non è efficiente e non gode del favore dei clienti viene estromessa dagli affari. Questo è anche il modo in cui vanno le cose nelle imprese portuali europee.

 
  
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  Louis Grech (PSE), per iscritto. – (MT) Questa è una direttiva che impone regolamenti e controlli che non sono né necessari né voluti.

La direttiva proposta mette a repentaglio i mezzi di sussistenza dei lavoratori portuali di molti paesi, tra cui Malta. Si tratta di una questione che per noi è d’importanza fondamentale. La direttiva, così com’è stata redatta, riduce la qualità dei servizi e i livelli di sicurezza e accresce le minacce agli investimenti che sono già stati fatti o che devono ancora essere effettuati per migliorare le infrastrutture dei porti.

Contrariamente a quanto affermato da alcuni Commissari, la direttiva non creerà nuovi mercati, non renderà la concorrenza più equa e tanto meno creerà nuove opportunità per i lavoratori. Anzi si ripercuoterà negativamente non solo su chi lavora nei porti, ma anche su altri settori dell’economia.

Dobbiamo renderci conto che, con l’allargamento dell’Unione, è aumentata l’eterogeneità degli Stati membri e, pertanto, occorre fare attenzione, quando legiferiamo, a non mettere tutti i paesi nella stessa barca e presumere che ciò che vale per un paese valga per tutti.

Dunque, solidale con i lavoratori di Malta e di tanti altri paesi, voterò contro questa direttiva che comporta svantaggi per i lavoratori e che fondamentalmente crea più problemi di quanti non ne risolva.

 
  
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  Françoise Grossetête (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato contro la bocciatura del testo. In effetti, mi sarebbe piaciuto avere l’opportunità di esprimere il mio giudizio sul testo emendato.

Gli emendamenti proposti ci avrebbero permesso di aiutare i porti europei a venire incontro alle esigenze della concorrenza mondiale.

L’emozione del momento ha prevalso sul futuro dei porti.

Vorrei sottolineare la condotta inaccettabile dei lavoratori portuali. Non avremmo mai voluto vedere attaccare un parlamento nazionale com’è stato attaccato ieri il Parlamento europeo. Scagliando pietre e brandendo spranghe di ferro e altri strumenti, i portuali hanno dato la colpa al Parlamento, che è invece l’Istituzione europea che difende maggiormente i lavoratori.

Pertanto condanno i loro sotterfugi. Pur condividendo le loro preoccupazioni su alcuni aspetti, non cederò mai alla violenza usata come espediente per esercitare pressioni. In questo caso si tratta d’un attentato alla democrazia.

E’ certo inconcepibile che nei nostri porti possa lavorare personale non qualificato. Tuttavia, non possiamo sempre insistere sullo sviluppo economico, sulla competitività e sul progresso sociale se non ci dotiamo delle risorse per intervenire in questi settori. Occorre assolutamente che i porti di Amburgo, Marsiglia e Anversa offrano servizi perlomeno appetibili come quelli offerti nei porti asiatici. Ne va della loro sopravvivenza.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La nostra proposta di bocciare la direttiva sui servizi portuali è stata – sono lieto di dirlo – approvata.

Per la seconda volta sono falliti i tentativi di liberalizzare i servizi portuali grazie a una significativa mobilitazione dei lavoratori del settore che, fin dall’inizio, hanno lottato contro questo nuovo furioso assalto al lavoro tutelato. Questo è stato anche un tentativo di consegnare un settore così importante per lo sviluppo nazionale nelle mani dei grandi armatori, aggravando in tal modo il conflitto con le maestranze.

Dobbiamo restare all’erta, tuttavia, contro qualsiasi nuovo tentativo che possa essere fatto a livello comunitario per ripresentare una proposta che è stata ora respinta per la seconda volta. Occorre lottare risolutamente contro qualsiasi sforzo volto a privatizzare i servizi portuali, mediante l’inclusione del settore nell’inammissibile proposta di direttiva sul mercato dei servizi interni o, mediante una nuova subdola presentazione delle proposte sul trasporto marittimo intracomunitario.

Come i lavoratori hanno sottolineato, non c’è niente che possa giustificare una direttiva comunitaria nel settore.

A questo punto, la vittoria dei lavoratori portuali va festeggiata. E’ una vittoria che s’inserisce nella lotta dei lavoratori in vari paesi contro le politiche neoliberiste dell’Unione, le quali assecondano gli interessi dei grandi gruppi economico-finanziari, attaccano i diritti dei lavoratori e minano il settore pubblico nazionale e i servizi.

 
  
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  Jeanine Hennis-Plasschaert (ALDE), per iscritto. – (EN) I servizi portuali devono essere regolati mediante un quadro legislativo rispettoso della loro specificità. La normativa comunitaria infatti permetterebbe un accesso equo alle attività portuali. Inoltre, per agevolare lo sviluppo dei porti europei, è necessaria una politica integrata. Questo sarebbe anche il momento opportuno per considerare adeguatamente il ruolo dell’ente di gestione e delle modalità operative del porto.

E’ poi essenziale che si chiariscano nel limite del possibile le norme sugli aiuti di Stato per garantire una concorrenza equa e trasparente fra i porti europei. Non è possibile prendere sempre decisioni caso per caso; in questo modo si verrebbe a creare una disciplina fatta dai giudici e quindi un ridimensionamento dei due corpi legislativi dell’Unione.

La proposta della Commissione non era abbastanza completa per ottenere appoggio. In seguito alla bocciatura della proposta, e per tutti questi motivi, esorto la Commissione ad avviare un vasto giro di consultazioni con tutte le parti interessate, dando voce anche a quelle che rappresentano la domanda e che finora sono state trascurate, e a proporre, alla prima occasione, un ambizioso Libro bianco sulla politica dei porti marittimi europei nel loro complesso.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ho votato contro la relazione e contro la direttiva, proprio come avevo fatto la prima volta in cui ci è stata presentata la proposta. La proprietà e i dirigenti dei porti non volevano la direttiva. Non la volevano neppure i dipendenti e i sindacati.

Mi compiaccio che i deputati al Parlamento abbiano nuovamente respinto la proposta e spero che stavolta la Commissione ascolti la nostra voce democratica e non tenti di reintrodurre i suoi progetti inopportuni.

 
  
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  Anne E. Jensen (ALDE), per iscritto. – (DA) I deputati al Parlamento europeo del Partito liberale danese hanno votato a favore del primo emendamento, raccomandando la bocciatura della proposta della Commissione, perché è impossibile conseguire risultati soddisfacenti a fronte di un testo simile. Occorre una direttiva sui servizi portuali, ma non come quella proposta dalla Commissione. Il processo legislativo in questo campo deve quindi ripartire daccapo.

 
  
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  Carl Lang (NI), per iscritto. – (FR) Tagli all’occupazione, dumping salariale e sociale, riduzione degli standard di sicurezza e delle qualifiche professionali: ecco cosa ci propone la Commissione europea nella terza versione di direttiva sulla liberalizzazione dei servizi portuali.

I lavoratori portuali di tutta Europa, che hanno manifestato a migliaia nel novembre 2003 per denunciare questi misfatti, non sono riusciti a far intendere ragioni all’Esecutivo. L’ultraliberismo antinazionale e antisociale acclamato dalla Commissione non ammette eccezioni: sulla scia della tattica usata per il progetto di Costituzione europea, peraltro bocciato con i referendum di Francia e Olanda, permane sempre una volontà onnipresente da parte di Bruxelles di reinserire la direttiva sui servizi portuali nell’agenda europea.

Vera e propria “sorella minore” della direttiva Bolkestein, la direttiva sulla liberalizzazione dei servizi portuali ha il solo obiettivo di contrapporre i lavoratori l’uno contro l’altro impiegando manodopera straniera e scarsamente qualificata a bordo di navi che troppo spesso battono bandiere ombra, e ciò a scapito dei lavoratori nazionali.

Dopo avere attaccato i nostri servizi pubblici e i nostri settori del tessile, del carbone e della siderurgia, questi talebani del libero scambio stanno attaccando i lavoratori portuali tentando d’imporre la loro filosofia antinazionale che consiste nel dare priorità nel mercato dell’occupazione ai lavoratori stranieri. Come sempre, da parte sua, il Front National è favorevole alla tutela dei posti di lavoro francesi.

 
  
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  Marine Le Pen (NI), per iscritto. – (FR) Porti di comodo: è questo, né più né meno, ciò che la Commissione ci propone con la direttiva sulla liberalizzazione dei servizi portuali. Noi non vogliamo avere niente a che fare con i porti di comodo, come non vogliamo avere a che fare con le bandiere ombra, usate da armatori senza scrupoli per assumere manodopera scarsamente qualificata e sottopagata.

La liberalizzazione voluta ad ogni costo da Bruxelles in questo settore è sinonimo di disoccupazione e miseria sociale. Nel nome della sua ideologia ultraliberista e antinazionale, la Commissione ci annuncia una riduzione delle spese a scapito della sicurezza, dell’impiego e della qualità dei servizi. Smantellare il monopolio da cui traggono beneficio i lavoratori portuali non porterà solamente all’ennesimo cimitero sociale, ma anche all’insicurezza nei porti europei, rendendoli alla fine meno competitivi.

Nel novembre 2003, grazie alla formidabile mobilitazione dei lavoratori e degli agenti portuali di tutta Europa, questa direttiva “Bolkestein bis” è stata fatta deragliare, impedendo che una professione ingiustamente stigmatizzata si aprisse a beneficio di lavoratori scarsamente qualificati provenienti dai paesi in via di sviluppo.

Una volta di più viene sostenuta la preferenza ai lavoratori stranieri e, con essa, la fine della professionalità, della capacità, delle tradizioni e dei benefici sociali.

 
  
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  Fernand Le Rachinel (NI), per iscritto. – (FR) Se c’è un tema che scalda gli animi in seno alle Istituzioni europee e provoca reazioni negli Stati membri, è proprio quello della liberalizzazione dei servizi portuali. Nel 2003 la Commissione europea era riuscita nell’impresa di fare scendere in piazza migliaia di lavoratori portuali per lo più francesi, britannici, tedeschi, belgi e olandesi per manifestare, talvolta violentemente, contro un progetto di direttiva che avrebbe messo a repentaglio il loro status e che avrebbe condotto inevitabilmente a una massiccia perdita di posti di lavoro nella loro professione.

In effetti l’aspetto più controverso era quello dell’autoproduzione, ovvero l’opportunità concessa agli armatori di farsi carico direttamente, avvalendosi del proprio personale e della propria attrezzatura, di alcuni servizi che finora erano di competenza esclusiva dei lavoratori portuali.

Il documento che ci è stato proposto oggi non ha abbandonato il principio dell’autoproduzione, lasciando così spalancata la porta a chiunque voglia intraprendere le attività di carico, pilotaggio, rimorchio e ormeggio e permettendo ad armatori senza scrupoli che speculano su navi-bara di ricorrere a personale scarsamente qualificato e sottopagato.

A prescindere dall’obiettivo perseguito, non si deve costruire l’Europa a scapito delle norme di sicurezza e delle qualifiche professionali. Dalle loro confortevoli torri d’avorio i leader europei dovranno riprovarci, escogitando qualcosa di meglio o accantonare la loro proposta.

 
  
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  Jörg Leichtfried (PSE), per iscritto. – (DE) Trovo del tutto incomprensibile che la Commissione europea, a circa un anno dalla bocciatura della sua prima proposta di direttiva sull’accesso al mercato dei servizi portuali, il 13 ottobre 2004, poco prima della scadenza del suo mandato all’epoca, possa presentare una nuova proposta di direttiva che non solo contiene disposizioni decisamente più rigide, ma conserva pure le stesse norme di base che hanno determinato l’affossamento del testo precedente. Credo che la direttiva proposta si allontani dal modello finora accettato per la politica europea in tema di concorrenza, che era teso a garantire una concorrenza praticabile e che consentiva interventi normativi motivati in un mercato o in singoli segmenti di mercato solo se le condizioni strutturali del mercato stesso o i tentativi da parte di chi vi opera di limitare la concorrenza interferivano sull’efficienza economica.

Mi conforta l’esito di questo dibattito e pure l’effetto manifesto delle diffuse proteste – pur condannando energicamente, beninteso, gli atti violenti perpetrati a Strasburgo – perché la direttiva proposta costituisce un intervento sulla concorrenza nell’ambito dei servizi di carico nei porti, benché non serva alcun intervento sulla struttura del mercato, sul modo in cui funziona o sui suoi risultati.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato la bocciatura della direttiva sui servizi portuali perché penso che debbano essere gli Stati a disciplinare il funzionamento dei loro porti, a condizione che questi ultimi siano in linea con le norme europee sulla concorrenza e sugli aiuti di Stato.

 
  
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  Jean-Claude Martinez (NI), per iscritto. – (FR) Per vent’anni le ondate dell’ultraliberismo e del libero scambio incontrollato si sono abbattute con furia distruttrice sulle nostre miniere di carbone e sulle nostre acciaierie, sulle industrie del tessile, del cuoio, delle macchine utensili, degli elettrodomestici e dell’automobile. Hanno devastato i nostri porti di pescherecci, le fattorie, gli allevamenti di ovini, di bovini e di pollame, i vigneti del Languedoc-Roussillon, i bananeti delle Indie Occidentali e le piantagioni nell’Isola della Riunione, privando improvvisamente della protezione sociale le donne, gli uomini e i lavoratori di entrambi i sessi del nostro paese. Questa ondata distruttrice alla fine si è infranta contro la volontà del popolo francese, espressa in occasione del referendum del 29 maggio 2005.

La gente non vuole assistere ad un ulteriore smantellamento delle forme di protezione sociale, né vuole continuare ad assistere alla preferenza accordata all’ignobile sfruttamento dei “lavoratori” stranieri stabilito dalla direttiva Bolkestein e dalla sua sorella minore, la direttiva sui servizi portuali.

Quest’oggi, mercoledì 18 gennaio 2006, i deputati al Parlamento europeo del Front National sono riusciti a formare una maggioranza per impedire che per la seconda volta i lavoratori portuali europei, gli ormeggiatori o qualunque categoria di personale responsabile dello stivaggio e di ogni altra attività portuale fossero sacrificati in Europa a solo vantaggio delle multinazionali che dominano il trasporto marittimo.

 
  
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  Seán Ó Neachtain (UEN), per iscritto. – (EN) Riguardo al testo della Commissione che stiamo esaminando, condivido le preoccupazioni di molti operatori irlandesi che hanno inoltrato proteste al proprio governo, preoccupazioni che sono condivise anche da molti altri Stati membri. Il problema principale è costituito dal fatto che la Commissione sta proponendo l’introduzione di norme giuridiche che potrebbero collidere negativamente con le competenze di carattere fondamentalmente commerciale dei principali porti interessati dalla proposta di direttiva. Pertanto, la praticabilità della proposta della Commissione di istituire l’autorizzazione obbligatoria per tutte le attività portuali interne è discutibile.

Per quanto riguarda i porti marittimi irlandesi, l’indagine condotta dal governo – la revisione ad alto livello dei porti marittimi – ha dimostrato che c’è una forte concorrenza nel mercato dei servizi portuali interni. Infatti il modello “landlord”, o di porto di ormeggio, sta funzionando perfettamente nei porti più importanti: in linea generale la fornitura dei servizi interni si svolge su base concorrenziale e non vi sono operatori dominanti. Questo assetto si è rivelato un fattore importante per agevolare il coinvolgimento del settore privato nella prestazione dei servizi portuali.

L’indagine ha anche messo in luce l’alto livello di concorrenza per le rotte del Mar d’Irlanda e tra le stesse. Considerato che si tratta di un’isola, il fatto che ci sia una maggiore concorrenza tra i porti è d’importanza vitale, ma i tentativi futuri di elaborare una politica portuale europea dovranno avere l’appoggio del settore.

 
  
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  Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Ho votato contro la relazione sulla liberalizzazione dei servizi portuali perché, anziché aumentare la trasparenza degli investimenti e degli aiuti di Stato, si preoccupa di incrementare la concorrenza tra i porti europei. Le imprese private, tramite un sistema di gare d’appalto, potranno impiegare i propri equipaggi nei porti mentre i lavoratori portuali fissi perderanno il posto. La proposta relativa all’“autoproduzione” è assolutamente inaccettabile.

C’è già abbastanza concorrenza tra i nostri porti che, va osservato, sono anche tra i più convenienti del mondo. Un’ulteriore riduzione dei prezzi e un incremento della concorrenza avranno conseguenze negative sia per le misure di sicurezza che per la tutela ambientale.

 
  
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  Peter Skinner (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato contro la relazione, perché contiene disposizioni che hanno effetti dannosi sulle attività commerciali dei porti e inoltre interferiscono con la salute e la sicurezza dei lavoratori portuali.

Non sono persuaso che ci si dovesse occupare di tali questioni.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Questo pacchetto è stato sonoramente bocciato da porti, sindacati e altri organismi della Scozia che, essendo una nazione marittima, dispone già di servizi portuali efficienti. Inoltre il modello concorrenziale che la Commissione intende creare con questo pacchetto non è adeguato alle esigenze della Scozia né, credo, a quelle dell’intera Europa. Le manifestazioni di protesta cui abbiamo assistito all’inizio di questa settimana sono state guastate dalla vergognosa violenza di una minoranza, ma il bello è che i dimostranti stavano protestando contro un’Istituzione comunitaria che sostiene la loro causa. Sono contento che oggi abbiamo respinto i tentativi della Commissione e spero quindi che d’ora in avanti essa vorrà accettare il nostro punto di vista sulla questione.

 
  
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  Dominique Vlasto (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore del rinvio del testo alla commissione parlamentare per i trasporti e il turismo. In questo modo, sarebbe stato infatti possibile rielaborare il documento apportando nuovi emendamenti, consultare nuovamente le varie categorie professionali – armatori, piloti, ormeggiatori, addetti all’alaggio e allo scarico delle merci – e chiedere alla Commissione europea il ritiro del testo, il tutto in un clima sereno.

Ho votato contro la bocciatura della proposta di direttiva, in primo luogo perché la proposta, con gli emendamenti che sono stati presentati, avrebbe costituito una buona base per il lavoro del Parlamento, dal momento che eravamo solo alla prima lettura. Molti professionisti vogliono un quadro regolamentare e occorrono norme europee per assicurare una concorrenza equa, per favorire gli investimenti nei porti e per garantire certezza giuridica in questo settore.

Non intendevo comunque sostenere la posizione della sinistra che, bocciando il testo, ha provocato l’affossamento di emendamenti che avrebbero fornito garanzie in materia di sicurezza marittima, formazione e normativa sociale.

Infine, rifiuto di cedere alle pressioni esercitate dai lavoratori portuali. La loro dimostrazione di lunedì è stata inaccettabile e ha provocato almeno 12 feriti e danni per un totale di 300 000 euro a Strasburgo. Mi dispiace davvero che oggi si possa dire che i deputati al Parlamento si sono arresi di fronte ai lavoratori portuali.

 
  
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  Corien Wortmann-Kool (PPE-DE), per iscritto. – (NL) Ho votato a favore della bocciatura della direttiva perché ci è stata data solamente la possibilità di votare a favore o contro la proposta originaria della Commissione. Questa proposta in merito alla nuova direttiva sui porti lascia molto a desiderare in parecchi punti. Benché l’onorevole Jarzembowski abbia presentato un pacchetto di emendamenti valido e concreto, l’appoggio a questi emendamenti era insufficiente. Poiché non abbiamo altra scelta se non quella di portare avanti il dibattito sulla politica dei porti in senso lato, ho sollecitato il Commissario Barrot affinché proponesse un documento per la discussione su cui sia veramente possibile – si spera – lavorare con impegno.

 
  
  

– Risoluzione: RC-B6-0026/2006

 
  
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  Karin Scheele (PSE). – (DE) Signor Presidente, ho fatto parte della delegazione che a settembre ha seguito le elezioni in Afghanistan e già allora avevamo affermato che a fronte delle ingenti somme di denaro che l’Unione, tra gli altri, stava investendo in Afghanistan nella cooperazione allo sviluppo sarebbe stato opportuno creare una delegazione parlamentare speciale, e penso che sia estremamente importante il fatto che ne abbiamo istituita una con la risoluzione da noi adottata oggi. Uno dei compiti che credo spetti a questo gruppo di deputati sarà monitorare gli obiettivi politici dell’Unione in Afghanistan, in particolare gli sviluppi nel campo dei diritti umani e dei diritti delle donne.

 
  
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  Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) Sosteniamo l’evoluzione dell’Afghanistan verso la pace, la stabilità e la democrazia, che ha preso avvio dopo la caduta del regime talebano. Tuttavia guardiamo con preoccupazione al sempre più evidente ruolo militare svolto dall’Unione europea nel paese.

L’Afghanistan non si trova nelle immediate vicinanze dell’Unione, cui non spetta pertanto neppure il compito di mantenere un presidio militare. Questo è piuttosto il compito dei singoli paesi o di organizzazioni di difesa che agiscono su mandato delle Nazioni Unite e che quindi si avvalgono di basi più solide per intraprendere azioni militari nelle varie zone del mondo ad alto rischio.

Alla luce di queste premesse ci asterremo dal voto finale sulla risoluzione, ma sosteniamo le proposte relative alla tutela dei diritti umani.

 
  
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  Tobias Pflüger (GUE/NGL), per iscritto. – (DE) L’aspetto più sconcertante di questa risoluzione comune del Parlamento sull’Afghanistan è il fatto che non contiene nemmeno una parola di biasimo nei confronti delle operazioni militari dell’Occidente. Al contrario, approva l’operazione della FIAS, la “Forza internazionale di assistenza alla sicurezza” NATO, e la cosiddetta “guerra al terrorismo” mediante l’operazione “Enduring Freedom” – OEF. Non basta certo che i Verdi si limitino a chiedere la separazione delle strutture di comando della FIAS e dell’OEF, dal momento che, nelle operazioni in loco, la FIAS e l’OEF sono inscindibili.

L’ampliamento della missione della FIAS nell’Afghanistan meridionale, in quella che è con tutta evidenza una zona di guerra, comporterà un coinvolgimento sempre maggiore nel conflitto e peggiorerà le cose. La consistente presenza di forze militari europee in Afghanistan avrà l’effetto di alleggerire la pressione sull’esercito statunitense e conseguentemente sulle forze di occupazione in Iraq.

E’ altresì necessario chiudere prima di tutto le basi militari che rendono possibile una presenza armata in Afghanistan, soprattutto quella tedesca di Termez in Uzbekistan, dalla quale passano tutte le truppe di stanza in Afghanistan. Ciò che rende scandalosa la collaborazione con l’Uzbekistan è il fatto che il paese è governato da un regime autoritario che è responsabile, in particolare, della strage di Andijan. Da lungo tempo si attende invano la chiusura delle basi militari in Afghanistan anche in seguito all’ultima violazione del diritto internazionale, ovvero il bombardamento di un villaggio in Pakistan da parte di unità della CIA.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Con la presente dichiarazione di voto vorrei precisare che in linea di massima condivido la soddisfazione del Parlamento in merito al processo di democratizzazione svoltosi in questi ultimi anni. Sono ormai lontani i giorni del regime talebano, con i raccapriccianti abusi e le violazioni alle norme e ai principi più elementari dei diritti umani. Benché resti ancora molto da fare, l’Afghanistan di oggi è certamente un posto migliore di quanto lo fosse nei decenni precedenti.

Nonostante questa manifestazione di compiacimento, sono due gli aspetti che non devono essere trascurati. Da una parte, come hanno affermato gli oratori precedenti, in Afghanistan rimane ancora molto da fare a vari livelli. Dall’altra, la comunità internazionale e, non ultima, l’Unione e i suoi Stati membri, devono continuare a fornire assistenza concreta, sia dal punto di vista materiale che da quello umano, nella piena consapevolezza che il processo richiede molto tempo ma che, come abbiamo visto, è altresì incoraggiante.

 
  
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  Esko Seppänen e Jonas Sjöstedt (GUE/NGL), per iscritto. – (EN) Ci siamo astenuti dal voto finale in merito alla risoluzione sull’Afghanistan.

Eravamo contro l’invasione statunitense dell’Afghanistan e chiediamo il ritiro dell’esercito di coalizione guidato dagli Stati Uniti.

Reputiamo che le forze della FIAS – la Forza internazionale di assistenza alla sicurezza – debbano essere costituite da paesi che non hanno preso parte alla coalizione USA e principalmente da paesi musulmani, al fine di agevolare la comunicazione con il popolo afghano e la comprensione dei suoi problemi.

Le forze di pace della FIAS devono prendere ordini direttamente dalle Nazioni Unite ed essere indipendenti dalla NATO.

Nella risoluzione, tuttavia, notiamo anche molti punti importanti relativi alla necessità di sviluppare la democrazia, migliorare le condizioni di vita del popolo e l’uguaglianza tra i sessi, nonché alla necessità di rafforzare il regime di aiuti allo sviluppo per l’Afghanistan.

Per concludere, abbiamo pertanto deciso di astenerci dal voto finale.

 
  
  

– Risoluzione: RC-B6-0025/2006

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE). – (FI) Signor Presidente, sono totalmente contraria alla discriminazione contro gli omosessuali. Ciononostante, mi dispiace che il titolo della relazione si sia rivelato del tutto insoddisfacente e che sia stato necessario astenersi su alcuni punti.

Se qui dobbiamo parlare di un vero problema, quello della discriminazione, perchè mai usare una parola come omofobia, che è un termine assolutamente inadeguato utilizzato in psicologia? Le fobie sono diversi tipi di ansie, sono paure considerate disturbi nevrotici. E’ necessaria una terapia per curarle: non possono essere trattate con il controllo politico, così come non possono esserlo la claustrofobia o l’aracnofobia. Vere e proprie fobie spesso si sviluppano per qualche evento successo durante l’infanzia, in maniera del tutto giustificata. Temo che, iniziando a mettere la gente sotto processo per le loro sensazioni o le loro fobie, creeremo solo una nuova forma di discriminazione e di manipolazione.

 
  
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  Romano Maria La Russa (UEN). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, deploro le modalità con cui si è giunti all’elaborazione di una risoluzione comune. Ritengo inammissibile che i negoziati siano stati colpevolmente condotti in silenzio, senza il coinvolgimento del gruppo che rappresento. Naturalmente, so bene che tutti i gruppi politici sono uguali ma evidentemente alcuni sono più “uguali” di altri.

Il mio gruppo crede fermamente che in democrazia non si debba dare spazio a soprusi o a discriminazioni sulla base del sesso, della razza e della religione. Tuttavia, ho ritenuto doveroso respingere una risoluzione che non mi appartiene e che presenta soprattutto paragrafi, a mio giudizio, poco coerenti con le finalità del documento stesso.

Leggo che gli omosessuali dovrebbero essere pienamente riconosciuti come vittime del regime nazista: ci mancherebbe altro, certamente! Ma con questo si vuol dire che altre persecuzioni sono state forse meno gravi? Dimentichiamo le crudeltà subite durante i regimi comunisti e non soltanto? Fermo restando che la libertà di espressione di manifestazioni della propria sessualità debba essere garantita, ritengo che essa debba avvenire sempre nel rispetto dei valori e dei principi che contraddistinguono le nostre società.

La famiglia prevede da sempre un padre e una madre, un maschio e una femmina, e non credo che l’UE, con la promozione di campagne contro ipotetiche discriminazioni, possa arrogarsi il diritto di scavalcare i governi nazionali, solamente per assecondare i desideri di alcune lobby non proprio nobili. In tema di valori, cultura e famiglia, l’Unione europea non può agire come in materia di mercato unico, invitando gli Stati membri a legalizzare unioni omosessuali all’insegna dell’uniformità e di un falso garantismo, rischiando di minare, al contrario, il sistema di valori alla base della nostra società millenaria.

 
  
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  Francesco Enrico Speroni (IND/DEM). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato contro la risoluzione e su questo tema debbo dar ragione al Ministro Tremaglia, il quale aveva già affermato che in Europa i “culattoni”, o quanto meno coloro che li sostengono, hanno la maggioranza.

Tuttavia, tutti gli amanti del politicamente corretto, tra cui io mi onoro di non annoverarmi, dovrebbero anche pensare al linguisticamente corretto: “omofobia” è il contrario di “xenofobia”. Il Parlamento europeo non accetta gli xenofobi, non accetta gli omofobi: il cittadino, allora, cosa deve essere?

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE) , per iscritto. – (FR) Ho votato contro la proposta di risoluzione sull’omofobia in Europa perché trovo riduttivo che la lotta all’omofobia sia considerata soprattutto una lotta alle forme di discriminazione basate sull’orientamento sessuale. Questa confusione tra omofobia, definita come “la paura dei propri simili”, e l’avversione per l’omosessualità genera malintesi. Tralasciando le questioni relative al matrimonio e ai figli, sulle quali una riflessione politica e le richieste della società devono poter maturare parallelamente, sono naturalmente a favore della lotta a tutte le forme di discriminazione fondata sull’orientamento sessuale, ma ritengo che il problema della disuguaglianza di trattamento degli esseri umani e la paura dei nostri simili meritino qualcosa in più di questa risoluzione.

 
  
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  Johannes Blokland (IND/DEM), per iscritto. – (NL) La delegazione olandese del gruppo Indipendenza/Democrazia intende appoggiare la risoluzione sull’omofobia presentata dal gruppo “Unione per l’Europa delle nazioni”, mentre non voterà a favore di quelle presentate dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, dal gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, dal gruppo Verde/Alleanza libera europea e dal gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica, e neppure a favore della proposta di risoluzione comune sull’omofobia nell’Unione europea.

La delegazione olandese è in grado di appoggiare la risoluzione del gruppo UEN perché solo in quel documento si afferma chiaramente che le misure politiche nel campo della discriminazione rientrano nella sfera di competenza degli Stati membri. Questo è un caso in cui occorre applicare il principio di sussidiarietà.

Inoltre, vorremmo aggiungere che condanniamo l’incitamento all’odio nei confronti degli omosessuali e all’esercizio della violenza per motivi legati all’orientamento sessuale delle persone.

Crediamo che l’attuazione di politiche tese a impedire la discriminazione per motivi di credo, razza o orientamento sessuale rientri nelle competenze degli Stati membri. Le risoluzioni dei diversi gruppi non tengono conto di questo principio rivolgendo l’attenzione alla situazione politica in alcuni Stati membri.

 
  
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  Marie-Arlette Carlotti (PSE), per iscritto. – (FR) I paesi europei sembrano essere vittime di una preoccupante omofobia contagiosa.

E’ un’omofobia tanto più scioccante perché le persone non sembrano più considerarla un problema e perché imperversa dappertutto, nella violenza fisica o verbale, nel persistere delle discriminazioni e nell’introduzione di nuove leggi; il parlamento lettone, ad esempio, ha presentato un emendamento alla costituzione per proibire i matrimoni tra persone dello stesso sesso.

Sia essa mascherata o data per scontata, l’omofobia non deve trovare posto nell’Unione europea.

La non discriminazione è sancita dai testi fondamentali (Trattati, Convenzione europea sui diritti dell’uomo e Carta dei diritti fondamentali).

Dovrebbe essere così anche nella pratica.

E’ motivo di grande onore per il Parlamento europeo essere sempre stato alla testa di questa lotta. Esso, infatti, si è impegnato a promuovere i diritti delle persone e a ridurre la discriminazione (febbraio 1994, settembre 1996, luglio 2001, giugno 2005).

Oggi deve farlo ancora.

E’ l’ambizione di questa risoluzione, che non è ambigua nel condannare la discriminazione in tutte le sue forme. Si basa sul desiderio di cambiamento, chiedendo di completare il pacchetto di misure antidiscriminazione in base all’articolo 13 del Trattato, e di pubblicare una comunicazione sugli ostacoli alla libera circolazione delle coppie omosessuali il cui legame ha riconoscimento giuridico nell’UE.

E’ un segnale politico chiaro e necessario. Voterò a favore del documento con determinazione e convinzione.

 
  
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  Jean Lambert (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore la votazione odierna su questo tema e, in particolare, il chiaro impegno del Parlamento a trattare le coppie omosessuali con rispetto e su un piano di parità.

Peccato che il Parlamento sia restio a raccontare quanto succede negli Stati membri. Sappiamo che ciò che il Parlamento fa e dice ha una certa influenza sull’opinione pubblica.

Gli ultimi avvenimenti e le recenti dichiarazioni in Polonia, nonché i dibattiti parlamentari in Lettonia e Lituania sono stati, a mio avviso, vergognosi. In alcuni dibattiti è stato espresso addirittura odio. Questo tipo di comportamento è contrario alle Convenzioni del Consiglio d’Europa e ai Trattati dell’UE, e il Parlamento europeo dovrebbe essere abbastanza coraggioso da denunciarlo apertamente e opporvisi.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Condivido i timori espressi in questa proposta di risoluzione, così come in altre precedentemente discusse in Assemblea, in particolare per quanto riguarda una serie di principi con cui mi identifico e che difendo. Tutte le forme di odio vanno respinte, e tutte le forme di discriminazione devono essere combattute dinanzi alla legge.

Questa risoluzione, tuttavia, contiene una serie di proposte che, credo, si spingano al di là di quello che penso debba essere l’ambito del Parlamento e che, a mio avviso, invadono la sfera di competenza normalmente attribuita ai singoli paesi. Alcuni gruppi politici hanno la tendenza, che non condivido affatto, di cercare di fare approvare dalle Istituzioni europee ciò che è stato respinto nei loro Stati membri di appartenenza. Lo ritengo deplorevole.

Per concludere vorrei ricordare che le fobie, come espressione di disturbi comportamentali, non si combattono sul piano legislativo né a livello parlamentare.

 
  
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  José Ribeiro e Castro (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Siamo contrari a tutte le forme di discriminazione e di violenza. E’ inequivocabile: non ci può essere alcuna eccezione al rispetto dovuto.

Detto questo, non si deve confondere con “l’omofobia” il dibattito libero e democratico in corso negli Stati membri sulle rispettive legislazioni civili, su leggi relative alla famiglia o allo status personale. Ciò vorrebbe dire creare un’atmosfera di eccessiva limitazione e condizionamento intellettuale totalmente incompatibile con una società aperta e democratica. Non si devono confondere le divergenze con “l’omofobia”. E’ sbagliato alimentare o inventare sentimenti di odio e intolleranza. Classificare le differenze come “fobie” è, di per sé, un esempio di estremismo.

Gran parte della risoluzione, in realtà, non coincide con la definizione di “omofobia” che appare nel considerando A, perdendo così di pertinenza e significato.

Inoltre ci sono molte parti in conflitto con il principio di sussidiarietà, un principio guida e fondamento di tutta l’Unione, che potrebbero solo minare il progetto europeo.

Per questo motivo ho votato contro.

 
  
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  Anna Záborská (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Omofobia significa “paura dei propri simili”. Non c’è niente di peggiorativo o malizioso in questo termine. Una fobia è una nevrosi caratterizzata da ansia estrema in presenza della causa che provoca agitazione, e richiede un trattamento adeguato sotto forma di decondizionamento e analisi, e l’uso di farmaci. Ho votato contro questa risoluzione che non parla di omofobia.

Bisogna condannare ogni forma di violenza contro qualsiasi persona. Non esistono categorie diverse di cittadini. Il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza e il rispetto della dignità umana valgono per tutti gli esseri umani. Questi diritti sono garantiti per legge.

Il diritto al rispetto della vita privata e familiare, e alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione sono diritti fondamentali difesi dai trattati internazionali. Gli Stati membri devono rispettare il diritto al matrimonio in base a cui, a partire dall’età in cui si può contrarre matrimonio, l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e creare una famiglia secondo le leggi nazionali su cui si fonda l’esercizio di tale diritto.

L’Unione europea non ha competenze in questi settori e non può giudicare le costituzioni e le leggi nazionali dei propri Stati membri che, essendo tutti firmatari della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, sono responsabili di questi diritti dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.

 
  
  

– Risoluzione: B6-0027/2006

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE). – (FI) Signor Presidente, sono stata personalmente coinvolta nella stesura della risoluzione sul clima e ho partecipato al Vertice di Montreal. Non posso assolutamente considerare positivo il risultato raggiunto al Vertice di Montreal, anche se ora, in nome della correttezza politica, ci sentiamo obbligati ad affermarlo in questa sede. L’obbligo di riduzione delle emissioni riguarderà solo un quarto di tutte le emissioni e quindi ritengo che, dal punto di vista intellettuale, sia alquanto disonesto parlare di risultati. Prima o poi l’UE dovrà smettere di pronunciare queste belle parole e affrontare la realtà. Se tre quarti dei produttori mondiali di gas a effetto serra potranno continuare ad aumentare le proprie emissioni, dovremo riconoscere il fallimento di questa soluzione e iniziare ad adottare altri tipi di misure politiche sul clima. Il fatto che non riusciamo ad ammetterlo sarà forse un problema di orgoglio politico?

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Nel complesso consideriamo positiva la risoluzione presentata a seguito dell’undicesima Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici svoltasi a Montreal, perché sottolinea la volontà delle parti di onorare il Protocollo di Kyoto e deplora la continua riluttanza dell’amministrazione statunitense nell’aderire a qualsiasi forma importante di partenariato sui cambiamenti climatici.

Siamo contrari ad alcuni punti della risoluzione finale e ci rammarichiamo per il mancato inserimento delle nostre proposte. Deploriamo, in particolare, che non sia stata accolta la proposta da noi sottoscritta che sollecitava un’urgente revisione dei meccanismi flessibili prima che il sistema comunitario di scambio di quote di emissione si estenda ad altri settori, quali l’aviazione. Riteniamo necessaria un’analisi che dimostri che l’eventuale estensione contribuirà a combattere i cambiamenti climatici e che i paesi e le regioni più ricche non saranno privilegiati a spese di altri paesi e industrie in via di sviluppo.

Infine, non siamo d’accordo che si insista sul commercio dei diritti di inquinamento, neppure in merito a una valutazione.

 
  
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  Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) I cambiamenti climatici globali rappresentano un problema importante ed esistono buoni motivi per affrontarli a livello internazionale. La Lista di giugno ribadisce la posizione precedentemente presentata, in base a cui il Parlamento europeo non deve sostituirsi alle politiche estere degli Stati membri esortando i paesi terzi non ancora firmatari del Protocollo di Kyoto a ratificarlo. I singoli governi nazionali possono lanciare appelli di questo tipo in maniera indipendente. Riteniamo inoltre che gli Stati membri debbano essere liberi di adottare le proprie posizioni nei negoziati sui problemi climatici internazionali. Supponiamo, tuttavia, che gli accordi presi saranno rispettati da tutte le parti.

Critichiamo la proposta di elaborare una strategia di comunicazione a livello comunitario per informare l’opinione pubblica dei problemi climatici. La cooperazione dell’UE si basa sulla fiducia reciproca tra gli Stati membri. Siamo convinti che i singoli Stati membri siano perfettamente in grado di adottare le misure necessarie per consentire l’accesso dell’opinione pubblica a informazioni adeguate sui problemi climatici. La posizione da noi espressa in questa dichiarazione di voto rappresenta l’atteggiamento che, per principio, adottiamo su questo tema. La dichiarazione di voto, quindi, si applicherà anche in futuro a problemi di natura analoga.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Solo quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo fiume sarà stato avvelenato, l’ultimo pesce sarà stato catturato, l’uomo scoprirà che il denaro non si mangia. Questa profezia degli indiani cree potrebbe presto avverarsi.

Per troppo tempo abbiamo interferito con noncuranza nei delicati equilibri della natura. Solo ora abbiamo iniziato a prestare maggiore attenzione alla tutela dell’ambiente e dato il via ai primi fondamentali progetti congiunti tesi alla sua salvaguardia. Dovremo, tuttavia, raddoppiare gli sforzi.

Lentamente, ma inesorabilmente, stiamo voltando le spalle alla corrente del Golfo, per noi fonte naturale di riscaldamento, e così facendo ogni giorno le correnti oceaniche mutate dal riscaldamento globale ci privano di circa 86 milioni di tonnellate di terreni coltivabili, mentre ogni giorno si registrano circa 225 000 nascite e la desertificazione procede a ritmi sostenuti e sempre più rapidi. L’Europa è minacciata dai cambiamenti climatici più devastanti mai registrati negli ultimi 5 000 anni. Con lo scioglimento dei ghiacci al nord, l’avanzare dei deserti al sud e, al tempo stesso, enormi riserve di anidride carbonica che si accumulano nel permafrost e nella tundra, la situazione diventerà sempre più ostile nel prossimo futuro.

Vari esperti hanno ideato una vastissima gamma di possibili soluzioni, che ammuffiscono nei cassetti delle loro scrivanie; è giunto il momento di prenderle in considerazione e pensare a come realizzarle e, finalmente, di lavorare insieme per il raggiungimento di un obiettivo comune.

 
  
  

– Relazione: Ferreira (A6-0383/2005)

 
  
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  Jens-Peter Bonde (IND/DEM), per iscritto. – (DA) Il Movimento di giugno ha votato a favore del paragrafo 45 della relazione sugli aspetti ambientali dello sviluppo sostenibile, ma insiste sull’utilizzo di direttive minime per l’introduzione di ecotasse a livello comunitario onde stabilire requisiti di più ampio respiro nei singoli Stati membri.

Nel paragrafo 45 si legge quanto segue:

“è favorevole all’imposizione di ecotasse a livello comunitario; sottolinea che esse sono, alla stessa stregua degli altri strumenti di mercato, un dispositivo indispensabile ad una politica efficace di riduzione dell’inquinamento; invita la Commissione a presentare proposte e gli Stati membri ad adottare la prima ecotassa europea entro e non oltre il 2009”.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Abbiamo votato a favore di questa relazione che cerca di valutare gli aspetti ambientali dello sviluppo sostenibile e muove alcune critiche alla posizione della Commissione riguardo all’inadeguatezza di talune direttive e all’insufficienza delle risorse finanziarie.

Pur non affrontando in maniera specifica le politiche che stanno alla base dei problemi ambientali, quali l’importanza attribuita alla competitività a spese delle persone e dell’ambiente, sempre subordinate alla logica del profitto, vi sono aspetti validi quali la promozione di forme di trasporto meno inquinanti, il ruolo della pianificazione forestale e territoriale e il bisogno di garantire provviste alimentari.

Inoltre consideriamo positivo il rapporto che tesse tra povertà e ambiente, pur ritenendo grave che l’aspetto più importante di tale questione, ovvero il fatto che la liberalizzazione non è la risposta alla povertà e all’esclusione sociale, sia stato respinto in plenaria. Anche le critiche sull’inadeguatezza delle proposte nella lotta alla povertà, l’esclusione sociale e le crescenti disuguaglianze sono state respinte.

 
  
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  Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) Questa relazione affronta una serie di temi importanti nel settore dello sviluppo sostenibile. La Lista di giugno ritiene che la cooperazione comunitaria su questioni ambientali transfrontaliere sia pienamente giustificata. Tuttavia, la relazione riguarda anche alcuni settori politici cruciali che non devono rientrare nella sfera di competenza dell’UE. A titolo di esempio cito:

– gli investimenti nel settore dei trasporti pubblici o, a seconda del caso, lo sviluppo di reti stradali negli Stati membri;

– la cancellazione del debito ai paesi in via di sviluppo;

– le ecotasse a livello comunitario;

– l’inclusione o meno dell’educazione ambientale come materia di studio nelle scuole elementari degli Stati membri;

– la tassazione del lavoro dipendente negli Stati membri;

– l’occupazione e l’integrazione sociale.

Siamo molto critici nei confronti dell’insaziabile appetito delle Istituzioni europee che vogliono esercitare sempre maggiore influenza. Abbiamo quindi scelto di votare contro la relazione nel suo complesso, ma siamo ben disposti verso singoli paragrafi, soprattutto quelli che vertono su problemi ambientali di natura veramente transfrontaliera.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Lo sviluppo sostenibile costituisce, senza ombra di dubbio, uno degli obiettivi fondamentali dell’UE e una sfida globale. Per questo le strategie di sviluppo sostenibile richiedono una visione politica a lungo termine ai più alti livelli.

Di fronte alle sfide sociali, ambientali e democratiche dobbiamo agire con responsabilità, non solo in qualità di autorità pubbliche, ma anche a livello di cittadini. Occorre tuttavia assicurare che tutte le misure adottate rispondano agli obiettivi di crescita economica e sociale, fondamentali per il futuro delle nostre società.

Questa relazione esamina i progressi registrati dal 2001 e delinea nuove misure. In questo processo dobbiamo ribadire la necessità di far sì che lo sviluppo sostenibile sia una priorità per il futuro dell’Europa, mantenendo il fermo proposito di raggiungere gli obiettivi della strategia di Lisbona.

Ecco perché ho votato a favore della relazione Ferreira.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Lo sviluppo sostenibile deve assumere maggiore importanza in tutti i settori politici: sono lieto che questa relazione sia un punto di partenza in tal senso e sono lieto di approvarla. Nel mio paese, la Scozia, possiamo offrire un grandissimo contributo alle energie rinnovabili, grazie all’immenso potenziale naturale che ci dà la possibilità di diventare la centrale elettrica verde dell’Europa. Questo potenziale, però, non si svilupperà senza il forte incoraggiamento del governo a tutti i livelli, e occorre raddoppiare gli sforzi per prendere spunto dalle idee di questa relazione e svilupparle ulteriormente.

 
  
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  María Sornosa Martínez (PSE), per iscritto. – (ES) La delegazione socialista spagnola si congratula per l’approvazione di questa relazione di iniziativa, tesa a migliorare le prospettive di raggiungimento di un vero e proprio sviluppo sostenibile.

Tuttavia, mi permetto di sottolineare che, sulla seconda parte dell’emendamento n. 2 (paragrafo 15) abbiamo deciso di votare contro perché crediamo che la politica di protezione e gestione delle acque debba basarsi su criteri di razionalità, efficacia ed efficienza e non esclusivamente sull’adozione di misure per ridurre il prelievo di acqua, perché questo potrebbe avere conseguenze negative di diversa natura.

 

6. Correzioni di voto: vedasi processo verbale
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  Presidente. (La seduta, sospesa alle 13.20, riprende alle 15.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. BORRELL FONTELLES
Presidente

 

7. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale

8. Periodo di riflessione (struttura, argomenti e quadro per una valutazione del dibattito sull’Unione europea)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0414/2005), presentata dagli onorevoli Voggenhuber e Duff a nome della commissione per gli affari costituzionali, sul periodo di riflessione: la struttura, gli argomenti e il quadro per una valutazione del dibattito sull’Unione europea [2005/2146(INI)].

 
  
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  Andrew Duff (ALDE), relatore. – (EN) Signor Presidente, questa è la prima risposta del Parlamento alla crisi creata dalla Francia e dai Paesi Bassi con il loro rifiuto della Costituzione. E’ un’occasione per riflettere su quanto andrà perso, specialmente per il Parlamento, se non riuscissimo a salvare il progetto e a condurlo a una conclusione positiva. E’ un’occasione per rispondere alle voci discordanti che emergono dal Consiglio – alcune semplicistiche, alcune contrarie al Trattato, altre politicamente improbabili. E’ un’occasione per incoraggiare la Commissione a essere più esplicita e incisiva nell’aiutarci a trovare una via d’uscita dalla crisi. E’ un’occasione perché il Parlamento possa occupare un certo spazio politico e dare un orientamento al periodo di riflessione.

Sappiamo che non possiamo realizzare tutto questo da soli, ma dobbiamo avere la stretta collaborazione dei parlamenti nazionali. Devo dire che trovo abbastanza curioso in questo contesto che i presidenti dei parlamenti austriaco, finlandese e tedesco siano a quanto pare piuttosto restii a cooperare con noi. Spetta ai parlamenti decidere se dare o meno la propria disponibilità. Quelli che scelgono di essere presenti avranno una voce in capitolo determinante per definire le decisioni sul futuro dell’Europa.

Le proposte, che hanno ricevuto un forte appoggio dalla commissione, hanno delineato un percorso parlamentare. Vogliamo indire una serie di forum parlamentari al fine di discutere alcune questioni fondamentali – forse persino basilari – sulla natura e sullo scopo dell’Europa. Vogliamo svolgere il dibattito sulla riforma delle politiche comuni, in parte negato alla prima Convenzione. Tale dibattito sulle politiche può e deve essere radicale, ma deve svolgersi all’interno del contesto costituzionale ed essere strettamente collegato alle questioni di competenze, agli strumenti e alle procedure.

Il primo di questi forum si svolgerà il 9 maggio e trasmetterà le sue conclusioni al Consiglio europeo, che dovrà prendere le prime decisioni sull’avanzamento del progetto.

Vorremmo concludere il periodo di riflessione alla fine del 2007 con una decisione chiara e ferma su cosa fare riguardo al Trattato. Come viene rilevato nella risoluzione, disponiamo in teoria di varie opzioni, ma in pratica queste si riducono a due. La prima è quella di integrare il presente Trattato con dichiarazioni o protocolli interpretativi. La seconda è quella di apportare modifiche più consistenti alla parte III in modo da rispondere alle legittime preoccupazioni e inquietudini espresse dai cittadini in Francia, nei Paesi Bassi e in altri Stati membri.

Tra i gruppi, e al loro interno, vi sono certamente controversie sul modo più appropriato di esprimerci. Siamo comunque saldamente uniti sull’obiettivo essenziale di salvare il Trattato, e raccomando quindi la risoluzione al Parlamento.

(Applausi)

 
  
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  Johannes Voggenhuber (Verts/ALE), relatore. – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, oggi presentiamo la relazione sul periodo di riflessione sull’Unione europea, da cui, dopo un dibattito durato molti mesi e con l’appoggio della vasta maggioranza della commissione per gli affari costituzionali, è emersa una roadmap per il superamento della crisi costituzionale. Ora manca poco a questo grande passo e a questa grande decisione del Parlamento, ma se avessi soltanto un minuto a disposizione, lo userei per ringraziare il mio correlatore, onorevole Duff, per l’onore e il piacere straordinario di aver lavorato con lui su questo tema.

Da lui ho imparato che al futuro – intendo il futuro che condividiamo in questa nostra Europa – si può arrivare percorrendo le strade più diverse, e gliene sono molto grato. Se un austriaco del gruppo Verde e un inglese liberale sono riusciti a lavorare insieme proficuamente, sono convinto che possono funzionare altrettanto bene anche altre unioni.

Naturalmente, neanche le note armoniose suonate dal flauto magico del Presidente del Consiglio questa mattina potrebbero mascherare la crisi in corso in Europa e, mentre lui non ne ha parlato, io vorrei soffermarmi su ciò che è al centro di questa crisi. Al centro di tutta questa disputa scoppiata di recente, dei disaccordi e della crisi europea, c’è una frase pronunciata dal padre fondatore dell’Unione europea, Jean Monnet, che disse: “Noi non coalizziamo Stati, ma uniamo uomini”. Ecco l’oggetto della controversia odierna.

Vogliamo un’Europa delle cancellerie, dei governi e delle élite, o l’unione dei cittadini alla quale la Costituzione ha aperto la porta? Quelli che oggi parlano della morte della Costituzione stanno rifiutando l’Europa delle persone, stanno rafforzando l’Europa intergovernativa ed evocando i fantasmi del XIX secolo, quelle antiche disgrazie uscite dal vaso di Pandora: il nazionalismo, la rivalità tra gli Stati, il concetto dell’equilibrio di potere, la lotta per l’egemonia, l’Europa frammentata incapace di mantenere la pace al suo interno, e tanto meno di divenire una potenza di pace. Questo è l’oggetto della disputa.

Prima di entrare in Aula, c’erano alcuni deputati ad accoglierci travestiti da struzzi. Non avevano nessun bisogno di indossare una maschera, poiché sapevamo benissimo chi erano, non siamo ciechi; sappiamo che i nazionalisti hanno considerato il temporaneo fallimento del processo di ratifica come un’opportunità storica per una rinascita del nazionalismo. Con questa relazione e praticamente all’unanimità, la commissione per gli affari costituzionali controbatte con un sonoro “no”.

(Applausi)

La Costituzione non è morta, poiché il bisogno dei cittadini di un futuro in cui poter vivere in Europa in libertà e in pace, sia in patria che all’estero, rimane un obiettivo nei loro cuori e nelle loro menti, e la Costituzione è un passo cruciale verso un ordine sociale, un’architettura politica, uno spazio politico, in cui tale futuro è possibile.

La relazione che oggi vi presentiamo tenta di risolvere una crisi che è una crisi di fiducia, la crisi di un’Unione che non riconosce la differenza tra un’unione di cittadini e un’unione di Stati, un’Unione nella quale le aspettative dei cittadini sono sistematicamente disattese. E’ un’Unione che non ha una risposta ai problemi sociali, dove sussiste un deficit di democrazia, i diritti fondamentali non sono garantiti, la trasparenza è insufficiente e il potere dei governi è lasciato libero e soggetto a pochi controlli. Questa Costituzione, tuttavia, è un passo avanti, e se è in difficoltà, cercheremo di proseguire sulla via giusta.

Abbiamo concepito un dibattito europeo; a mio parere dobbiamo riportare il processo a livello dei cittadini e questo significa trasformare il progetto delle élite in una res publica, in una causa popolare.

Spero che il Parlamento – se adotterà la relazione – si unirà a noi nell’esortare tutti i partiti, la popolazione, le municipalità e le regioni, i sindacati e la società civile, a continuare questo dibattito, a occuparsi del futuro di questa nostra Europa considerandolo una res publica e a lottare per questo.

Abbiamo ritenuto che il dibattito dovesse essere strutturato. Noi, in tutti i gruppi, abbiamo concordato sei questioni, che coprono numerosi problemi di cui si evita di parlare: l’obiettivo dell’integrazione europea, i confini dell’Europa, il futuro del modello economico e sociale, il ruolo dell’Europa nel mondo, lo spazio di sicurezza, di libertà e di giustizia, nonché le questioni sociali – e, anche se la Costituzione non esaudisce tutti i nostri desideri, cosa che ovviamente non farà, spero comunque che questo progetto ci porti molto più vicino a questo obiettivo.

Vorrei aggiungere qualche parola su quale sia precisamente la divergenza tra noi e la commissione per gli affari costituzionali. Piuttosto che considerare il proseguimento del processo di ratifica come il prodotto finale di questo dibattito, i relatori vogliono e hanno lottato per un ulteriore passo avanti; vogliono anche rendere possibile un miglioramento della Costituzione, mantenerne il nucleo e, nel 2007, sottoporla a revisione in un processo più aperto e in un dibattito più credibile, presentando la revisione al pubblico in un referendum a livello europeo. La mia speranza è che, con la saggezza della Commissione e il coraggio del Parlamento, si possa compiere questo ulteriore passo.

(Applausi)

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, è una grande gioia per me parlare oggi in plenaria e incontrarvi per la prima volta. Sono particolarmente lieto che il dialogo obbligatorio tra le Istituzioni sia approdato a un argomento che esige una particolare cooperazione. Come hanno già detto entrambi i relatori, è vero che il 2005 è stato un anno difficile; l’onorevole Voggenhuber ha persino usato il termine “crisi”. Stiamo davvero attraversando una crisi di fiducia dei cittadini europei. Dobbiamo rispondere alle domande che essi hanno tutto il diritto di porci. Sono altresì d’accordo con l’onorevole Duff sul fatto che questa crisi di fiducia e questi dubbi sul progetto europeo offrono a tutti noi un’opportunità, di cui dobbiamo avvalerci congiuntamente – Commissione, Parlamento e Consiglio.

A questo punto vorrei esprimere uno speciale ringraziamento al Parlamento, poiché voi stavate già affrontando con determinazione la questione quando i governi non erano ancora disposti ad avviare seriamente un dibattito. La relazione Duff/Voggenhuber ha fornito a questa Assemblea l’occasione di svolgere un dibattito che ci aiuterà ad andare avanti. La Presidenza austriaca, sin dal primo giorno, si è sforzata di prendere parte a questo dibattito, di portarlo avanti e svilupparlo. Tutti avete seguito la discussione e avrete notato la vivacità che lo ha caratterizzato sin dall’inizio; è emerso un ampio ventaglio di opinioni, e la relazione adottata dalla commissione per gli affari costituzionali riflette questa varietà.

Un punto che appare chiaro è che non esistono soluzioni rapide, trucchi o scorciatoie, con cui poter, per così dire, gettare un ponte sul vuoto di fiducia che divide l’Europa dai suoi cittadini. Solo un impegno reale e serio riguardo ai problemi sarà credibile ed efficace a lungo termine. La nostra convinzione che questo dibattito debba essere di ampio respiro riflette il parere espresso nella vostra relazione, che stiamo discutendo oggi. Abbiamo bisogno non solo di un dibattito sul Trattato costituzionale o sulla dimensione giuridica, ma di un ampio dibattito sull’Europa e sul futuro che vogliamo, sui confini dell’Europa e su come rispondere ai timori e alle preoccupazioni dei cittadini europei.

Il Consiglio desidera non solo continuare questo dibattito, ma anche approfondirlo maggiormente. Abbiamo pianificato una serie di eventi in cui vogliamo svolgere un ampio dibattito con la popolazione europea. Soltanto ieri stavamo discutendo, con la Commissione e il Parlamento, i metodi e le strategie con cui potremmo comunicare questa nostra Europa e il suo significato ai cittadini, e con quali mezzi, in quali forum di discussione e in che misura potremmo soddisfare meglio le aspettative dei cittadini nei confronti dell’Europa.

Come ha detto oggi il Presidente del Consiglio, nel momento in cui avviamo il dibattito, intendiamo esaminare la questione dell’identità europea. In occasione del 250° anniversario della nascita di Mozart, a Salisburgo, intendiamo rispondere a questa domanda: “Che cos’è l’Europa, che cos’è l’identità europea?”.

Fino al termine della Presidenza austriaca, si terrà tutta una serie di eventi, poiché il dibattito sul futuro dell’Europa è complesso: solo sottolineandone tutte le sfaccettature è possibile mettere in luce tutte le dimensioni con le quali abbiamo a che fare. Per quanto importante sia questo dibattito pubblico, si renderà necessario anche un lavoro pratico che chiarisca meglio la direzione da seguire, e questo compito sarà dei governi degli Stati membri.

Il compito più importante della Presidenza del Consiglio è quello di coinvolgere tutti gli Stati membri, poiché soltanto insieme saremo in grado di procedere. Come ha già detto il Cancelliere, al termine del nostro semestre di Presidenza vogliamo riuscire a delineare la via da percorrere e a concordare i migliori criteri di cooperazione che consentano di realizzare i nostri obiettivi comuni.

Spero che il nostro sforzo congiunto durante i prossimi mesi servirà a diffondere una mentalità positiva in Europa, e sono d’accordo con l’onorevole Voggenhuber che dobbiamo discutere dell’Europa considerandola una res publica, qualcosa che davvero va a beneficio di tutti i suoi cittadini.

(Applausi)

 
  
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  Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, onorevoli deputati, in questa prima tornata plenaria dell’anno desidero augurare a tutti voi un eccellente 2006. Dal punto di vista costituzionale, non potrà che essere migliore dell’anno scorso. Come responsabile sia per le questioni costituzionali che per gli affari interistituzionali, spero che potremo continuare la nostra fruttuosa, efficace e stretta cooperazione.

Desidero ringraziare i relatori per questa relazione sul periodo di riflessione e per la proposta di risoluzione. Ne ho già discusso in diverse occasioni con i due deputati che erano membri della Convenzione europea. Vorrei sottolineare i notevoli progressi compiuti dal momento delle considerazioni iniziali a oggi, e mi congratulo con i correlatori per il lavoro che hanno svolto e anche per la loro abilità di tenere conto dei numerosi pareri espressi durante le intense discussioni in commissione.

Limiterò le mie osservazioni a quattro punti. Il primo è che tutti desideriamo raggiungere un accordo costituzionale, per rendere l’Europa più trasparente, più democratica e più efficace. La questione è come realizzare tale accordo dopo il “no” francese e olandese. Sono lieta di vedere che nella vostra risoluzione tutte le opzioni riguardo alla Costituzione rimangono aperte. Durante il periodo di riflessione è essenziale ascoltare i cittadini, le parti sociali, i partiti politici e i parlamenti nazionali e regionali senza giudicare prematuramente il risultato del dialogo e del dibattito su più vasta scala. Altrimenti, questo esercizio perderà tutto il suo valore.

Ho anche preso nota dell’opzione da voi preferita. Comunque, mantenere la Costituzione non sarà possibile senza il sostegno francese e olandese, se necessario con chiarimenti e misure aggiuntivi. Recenti indagini dell’Eurobarometro hanno indicato che il sostegno dei cittadini europei al concetto di una Costituzione per l’Unione europea è aumentato di due punti percentuali negli ultimi cinque mesi, attestandosi al 63 per cento. Quindi, come è stato detto molte volte in seno alla commissione per gli affari costituzionali, è importante cambiare il contesto piuttosto che il testo. Per questo motivo il dialogo deve concentrarsi sul nesso tra progetto europeo e riforma costituzionale, nonché sull’obiettivo finale legato agli strumenti per realizzarla. Soltanto dopo aver completato l’esercizio di ascolto, basato sui risultati dei dibattiti nazionali, potremo trarre conclusioni sul migliore accordo costituzionale per l’Europa. Anche per questo la Commissione vuole concentrarsi sulle priorità politiche concernenti le preoccupazioni dei cittadini sulla crescita, sui posti di lavoro, sull’occupazione e sulla sicurezza.

In secondo luogo, condivido pienamente la vostra resistenza alle proposte volte a costituire coalizioni di Stati membri. Noi vogliamo un’Europa per tutti, non soltanto per alcuni. L’Unione sta consolidando il più recente processo di allargamento. Dobbiamo ancora lavorare sodo per assicurare ai nuovi Stati membri un’agevole integrazione. Il mio parere è che qualsiasi cooperazione rafforzata debba, in ogni circostanza, essere intrapresa all’interno dei Trattati esistenti e rimanere aperta a tutti gli Stati membri.

Vi assicuro che la Commissione e io non sosterremo alcuna proposta di cooperazione rafforzata al di fuori della struttura istituzionale dell’Unione europea.

(Applausi)

In terzo luogo, mi sembra ragionevole elaborare le conclusioni finali sul periodo di riflessione nel 2007, sotto la Presidenza tedesca o portoghese. Il Consiglio europeo di giugno 2006 è chiaramente un’importante pietra miliare in questo processo, ma non dovrebbe costituirne la conclusione. Dipenderà, ovviamente, dal Consiglio europeo decidere una potenziale proroga del periodo di riflessione oltre il giugno 2006, proroga già suggerita dalla Presidenza austriaca. In ogni caso, come annunciato nel piano D, la Commissione preparerà una comunicazione per il Consiglio europeo di giugno con il suo parere sul feedback iniziale ricevuto durante il periodo di riflessione; questo lavoro sarà basato sulle visite nazionali che stiamo attualmente svolgendo il Presidente, io e i colleghi Commissari, su uno speciale rapporto dell’Eurobarometro, sui forum di discussione e sulle conferenze del 9 maggio.

Questa relazione di sintesi dovrebbe spiegare il contesto e l’approccio adottato dalla Commissione nell’ultimo anno, delineare i risultati iniziali dell’esercizio di ascolto e offrire una serie di conclusioni per la Presidenza austriaca sui prossimi passi da compiere. Tale documento completerà la relazione sulla situazione di fatto che sarà preparata dalla Presidenza austriaca sulla base dei contributi degli Stati membri.

In quarto luogo, sostengo il vostro rifiuto per un’attuazione frammentaria della Costituzione. La ragione è semplice – riguarda il rispetto. Rispetto per chi ha detto no e per chi invece ha già ratificato, e rispetto per l’equilibrio istituzionale. Un’attuazione selettiva potrebbe dare l’impressione che l’Unione stia cercando di aggirare i risultati dei referendum nazionali rischiando di minare l’equilibrio istituzionale complessivo.

Dovremmo rispettare la differenza tra le nostre Istituzioni e quelle degli Stati membri e, soprattutto, quando ci impegniamo in varie iniziative e progetti lodevoli dovremmo sempre rispettare le tradizioni democratiche di ciascun paese. Tutti noi svolgiamo ruoli importanti, ma diversi.

In conclusione, vorrei sottolineare che non possiamo discutere tali questioni senza entrare in un dibattito politico e discutere le priorità politiche. I cittadini europei vedranno che vi sono differenze politiche in Europa. Questo è un altro forum per discutere le priorità politiche, ma senza di esso e senza alcuna discussione sulle questioni costituzionali niente funzionerà. Parallelamente a questo processo dobbiamo anche legittimare le nostre Istituzioni, realizzando i risultati politici auspicati dai cittadini europei; quindi dobbiamo tenere in considerazione le loro preoccupazioni quotidiane oltre alle questioni costituzionali.

(Applausi)

 
  
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  Elmar Brok (PPE-DE), relatore per parere della commissione per gli affari esteri. – (DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Vicepresidente, onorevoli colleghi, grazie soprattutto ai parlamenti nazionali, che costituivano il gruppo più ampio della Convenzione, quest’ultima e la Conferenza intergovernativa hanno dato al progetto di Trattato costituzionale un’accoglienza equilibrata: 14 paesi lo hanno ratificato, due dei quali mediante referendum, mentre due non lo hanno ratificato. Questo fallimento, che è imputabile non solo a problemi nazionali, ma anche agli umori diffusi tra l’opinione pubblica di tutta Europa, rappresenta un fallimento della politica nazionale, ma anche della politica europea, in quanto non siamo riusciti a giustificare l’Europa.

Dobbiamo prendere sul serio le preoccupazioni dei cittadini, anche in Francia e nei Paesi Bassi; non possiamo ignorarle, ma dovremmo spiegare perché abbiamo bisogno di questo tipo di Europa. Il periodo di riflessione deve essere sfruttato per questo; non deve servire a discutere i dettagli della Costituzione, ma è un’occasione per giustificare l’Europa di fronte ai suoi cittadini.

Deve essere chiaro a noi, e dobbiamo spiegarlo chiaramente agli altri, che il Trattato costituzionale contiene elementi la cui assenza è stata precedentemente criticata dall’opinione pubblica, come una maggiore capacità di agire nelle questioni di politica estera e di sicurezza; su questo punto verte il parere che ho redatto e del resto, secondo tutti i sondaggi di opinione, è proprio ciò che vogliono i cittadini. Essi vogliono che l’Europa sia rappresentata al di fuori dei suoi confini, ed è proprio perché possa esserlo che sono state introdotte regole nella Costituzione, regole stabilite unicamente al suo interno e che noi, alle condizioni attuali, non possiamo fissare senza di essa. Il Trattato costituzionale crea una nuova forma di sussidiarietà che coinvolge i parlamenti nazionali, rendendo così impossibile l’accentramento, e sostiene questo concetto di sussidiarietà con la solidarietà.

I diritti dei cittadini e la Carta dei diritti fondamentali hanno un ruolo essenziale da svolgere a questo proposito. Questa Costituzione coinvolge i cittadini nel processo decisionale e offre loro protezione. Dobbiamo anche avere chiaro che in futuro, ad esempio, il Presidente della Commissione, come capo dell’esecutivo europeo, sarà designato direttamente con le elezioni del Parlamento europeo, e gli elettori avranno quindi un ruolo da svolgere nella sua nomina. Per questo motivo dovremmo concentrarci sul fatto che le parti I e II sono il vero e proprio Trattato costituzionale, mentre la parte III è il Trattato di Nizza, sul quale sono sorti malintesi che non siamo stati capaci di fugare; perciò sono grato alla Presidenza austriaca per la sua disponibilità a presentare una “roadmap” e sono lieto che la Germania, durante la sua Presidenza, intenda prendere nuove iniziative. Ora dovremmo concentrarci sul dialogo, valutare il periodo di riflessione e presentare le nostre proposte nel 2007. Ne consegue che non possiamo agire nell’immediato, come propongono gli onorevoli Duff e Voggenhuber; sarebbe una mossa prematura, contraria alla volontà dei cittadini europei.

 
  
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  Hannes Swoboda (PSE), relatore per parere della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia. – (DE) Signor Presidente, sono molto grato a entrambi i relatori per la relazione. So che le questioni appena sollevate dall’onorevole Brok hanno suscitato molte discussioni, anche all’interno dei raggruppamenti politici in questo Parlamento, e c’è molto da dire a favore di entrambe le posizioni. Magari dovremmo cominciare con le questioni di sostanza, che forse abbiamo trascurato in una certa misura; ad esempio, come possiamo convincere l’opinione pubblica che l’Europa ha bisogno di una Costituzione come quella che è stata formulata? Ho dato numerosi esempi nel parere da me elaborato a nome della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, e forse posso aggiungerne uno che non pesava ancora molto all’epoca in cui lo stavo redigendo, ma che ha acquisito rilevanza negli scorsi giorni in Parlamento. Mi riferisco, ovviamente, alla questione dell’energia.

E’ stato piuttosto sorprendente, anzi davvero stupefacente, vedere quanti deputati al Parlamento europeo che, fino a poco tempo fa, avevano magari adottato una visione piuttosto scettica al riguardo, ora sono convinti fautori di una politica comune in materia di energia; mi ha fatto molto piacere ascoltare ciò che aveva da dire l’onorevole Saryusz-Wolski sull’argomento. Il Cancelliere federale è un costante fautore della sussidiarietà; oggi, come Presidente del Consiglio, ha sostenuto con vigore una politica energetica comune. Questo è solo un esempio che dimostra l’importanza di utilizzare al meglio i poteri e le prerogative che, soprattutto nella Costituzione, abbiamo concesso a livello europeo. Ritengo che sia questa la direzione da seguire.

A questo punto, potrei parlare, ad esempio, della politica spaziale, che ha costituito un altro argomento di dibattito in questa sede e che non riguarda l’invio di europei nello spazio, ma piuttosto il monitoraggio dell’ambiente o la diffusione di allarmi tempestivi in caso di tsunami. Vi sono molte altre cose realistiche e fattibili che possono essere spiegate ai cittadini se ci concentriamo sulle questioni di sostanza piuttosto che sui problemi istituzionali.

Ciò che il Parlamento si aspetta, ovviamente, è una roadmap o un’indicazione su come procedere. Le chiedo, signor Presidente in carica del Consiglio, in tutte le questioni importanti che dovrà affrontare nelle prossime settimane e nei prossimi mesi di questa Presidenza, di mettere in evidenza quanto potremmo gestirle meglio se avessimo una Costituzione europea. E’ della massima importanza.

 
  
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  Paolo Costa (ALDE), relatore per parere della commissione per i trasporti e il turismo. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, come è stato brillantemente detto, la vicenda europea è stata per cinquant’anni una partita di calcio giocata a porte chiuse. Con il referendum sulla Costituzione di Francia e Olanda, i cittadini che si volevano ammettere come spettatori sugli spalti sono andati oltre e hanno organizzato delle vere e proprie invasioni di campo. Oggi la crisi europea risiede anche nel fatto che non è più possibile ritornare alle porte chiuse, all’Europa dei trattati e delle decisioni elitarie e che, nel contempo, non si sa come riportare i cittadini sugli spalti a esprimere le loro opinioni attraverso un tifo corretto.

La reinvenzione di un circuito di partecipazione e di accountability, ossia di rendicontazione dell’Unione diretta ai cittadini, senza le intermediazioni interessate, falsificanti e fuorvianti degli Stati membri, è un presupposto per rimettere in moto il progetto europeo, qualunque siano i suoi nuovi contenuti. Ma rendicontazione di che cosa? L’errore da evitare è quello di trasformare la pausa di riflessione in una pausa di inazione.

Nessun “piano D” avrà successo se oltre alle “D” di “dibattito”, “dialogo” e “democrazia” non vi sarà anche la “D” di “delivery. Delivery è il miglior contesto entro il quale ridefinire il testo della Costituzione, il miglior modo per far capire quanto sia utile l’Europa. Ed è per questo che possono diventare simbolicamente pericolosi anche insuccessi auto-inflitti, come la rinuncia di fatto di oggi a regolare l’accesso al mercato dei servizi portuali.

Esistono aree di riconosciuta competenza europea per le quali i trattati esistenti prevedono già oggi il voto a maggioranza qualificata e la codecisione interistituzionale – i trasporti ne sono un esempio – ed aree per le quali la sussidiarietà va correttamente interpretata al contrario: non lasciar fare male agli Stati membri quello che può essere fatto meglio a livello europeo. Per queste aree di competenza l’Unione deve aumentare il suo tasso di delivery, deve dimostrare il coraggio della sua utilità.

Oggi l’Unione europea come soluzione intelligente dei problemi della guerra, anche di quella fredda, non basta più: abbiamo bisogno di un’Unione all’altezza delle sfide globali del Terzo millennio. Riflettiamo pure per capire meglio cosa fare domani, ma occorre fare attenzione affinché ciò non sia la causa inaccettabile di una nostra inazione di oggi. Rischieremmo infatti di vanificare ogni nostra riflessione, per quanto intelligente.

 
  
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  Vladimír Železný (IND/DEM), relatore per parere della commissione per lo sviluppo regionale. – (CS) Sono orgoglioso di essere membro del gruppo Indipendenza/Democrazia, che è stato ritratto in modo non troppo accurato come euroscettico. Perciò forse è risultato sorprendente che io sia stato nominato relatore per parere della commissione per lo sviluppo regionale, riguardo alla relazione sul periodo di riflessione successivo al rifiuto della Costituzione. Lo considero un segnale dell’apertura con la quale la nostra commissione ha affrontato la questione. Il principio che impone di ascoltare anche l’altra parte – audiatur et altera pars – è uno dei requisiti fondamentali per un autentico dialogo.

I miei pareri hanno provocato un dibattito costruttivo in commissione, sfociato in un compromesso ben ponderato e tutt’altro che inefficace. La relazione è stata approvata da tutti i membri della commissione, senza voti contrari e con quattro astensioni. Questo dimostra che il dialogo sul futuro dell’Unione è possibile. La nostra relazione difende di fatto principi che non compaiono nella relazione degli onorevoli Duff e Voggenhuber. Mi riferisco in particolare al principio di precauzione giuridica, che dovrebbe guidarci – nei regolamenti che approviamo durante il periodo di riflessione – per evitare i costanti riferimenti ad una Costituzione che attualmente è morta da un punto di vista giuridico, ma che potrebbe essere riportata alla luce nella sua forma originale. E’ ingenuo ed erroneo credere che più spesso facciamo riferimento alla Costituzione più aumentiamo le sue possibilità di recupero. Corriamo il rischio, inutilmente, di invalidare le regole in futuro.

La relazione della nostra commissione raccomanda anche di cooperare con le istituzioni dei parlamenti nazionali e regionali, che possiedono un alto grado di competenza e di legittimità, e non solo una volta l’anno per salvare le apparenze, come raccomandato nella relazione oggi all’esame. Purtroppo, vi sono altre parti della relazione che costituiscono una nota discorde; in particolare è sorprendente che essa si avventuri a stabilire quale dovrebbe essere il risultato del dialogo aperto. Afferma persino che la Costituzione ora morta sarà ratificata nel 2009. Questo equivale a calpestare la volontà democratica dei cittadini di almeno due Stati membri dell’Unione europea. Se vogliamo prescrivere in anticipo il risultato del dialogo, se riduciamo il dialogo a una farsa con attori non rappresentativi diretti da dietro le quinte, se continuiamo a spendere soldi in modo che solo i pareri più gratificanti vengono ascoltati, l’Unione europea non avrà mai alcuna possibilità di sviluppare strutture efficaci.

 
  
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  Willem Schuth (ALDE), relatore per parere della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero innanzi tutto congratularmi con gli onorevoli Duff e Voggenhuber per l’imparzialità della loro relazione, e sono molto lieto di potervi presentare oggi il parere della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale. Il Parlamento ha condotto una lunga lotta per la codecisione nel settore agricolo, e va accolto con favore l’inserimento della codecisione nel progetto di Costituzione – inserimento che risale al Trattato di Amsterdam – per i settori della protezione ambientale, della sicurezza alimentare e della tutela dei consumatori. Tuttavia, in materia di politica agricola, il Consiglio dei ministri dell’Agricoltura può ancora non tener conto del parere del Parlamento europeo, poiché la procedura di codecisione non è applicabile, in virtù del Trattato attuale, alla politica agricola comune.

Sebbene il progetto di Costituzione, considerato alla luce di quanto detto, faccia sperare in un aumento di legittimazione democratica, in quanto tutte le decisioni in materia di politica agricola dovrebbero essere soggette alla procedura di codecisione, la commissione per l’agricoltura crede che il testo esistente abbia ancora bisogno di alcuni miglioramenti. Gli obiettivi della politica agricola comune, stabiliti all’articolo III-227, contraddicono gli obiettivi dell’Unione europea descritti all’articolo I-3, e non hanno più alcuno scopo giustificabile. Devono essere aggiornati con urgenza per tenere conto del carattere multifunzionale della nostra agricoltura attuale, che fornisce lavoro a dieci milioni di persone nell’Unione europea, è l’unica garanzia dello sviluppo sostenibile delle aree rurali e non può essere considerata separatamente da loro.

Questo progetto di Costituzione non riesce a creare una PAC accettabile all’intera società; quindi, qualsiasi Trattato futuro deve porsi il compito prioritario di estendere la codecisione alla politica agricola comune e, in particolare, di eliminare le scappatoie che rimangono negli articoli III-230, paragrafo 2, e III-231, paragrafo 2, del testo nella sua forma attuale.

Tenuto conto dell’importanza della PAC e della sua rilevante posizione nel bilancio dell’Unione, i cittadini europei hanno tutti i diritti al massimo livello possibile di trasparenza e, soprattutto in questo settore sensibile, di codecisione – che, a mio parere, non può significare nient’altro che la piena codecisione per il Parlamento europeo in merito a tutte le questioni riguardanti la politica agricola, la tutela dei consumatori e la sicurezza alimentare.

 
  
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  Maria Berger (PSE), relatore per parere della commissione giuridica. – (DE) Signor Presidente, entrambi i relatori meritano davvero i nostri complimenti, non solo per la relazione ora all’esame, ma anche per l’impegno che hanno costantemente dimostrato a favore dell’idea di una Costituzione, perfino nei momenti in cui essa godeva di scarso gradimento. Spero che ormai quella situazione appartenga al passato.

Ho avuto l’onore di redigere il parere della commissione giuridica, che è decisamente in linea con il contenuto di questa proposta di relazione della commissione competente nel merito. La commissione giuridica si è battuta per scongiurare un precoce abbandono dell’attuale progetto di Costituzione. Negli ambiti che davvero ci interessano – come la composizione e i poteri della Corte di giustizia delle Comunità europee, il riordino del processo di legislazione e della procedura di comitatologia, e la cooperazione giudiziaria – non riteniamo che una completa rottura col passato ci consentirebbe di realizzare reali miglioramenti; è più probabile che abbia l’effetto opposto. Mi rammarico di aver dovuto ascoltare oggi le critiche rivolte dalla Presidenza austriaca ai poteri della Corte di giustizia, e il fatto che tali critiche ora non provengano solo da quella fonte mi induce a pensare che le soluzioni previste in questo progetto di Costituzione siano davvero ottime.

Abbiamo buone ragioni giuridiche per opporci a una divisione frettolosa del progetto di Costituzione. La parte I contiene un gran numero di principi fondamentali, e sappiamo tutti che erano soltanto le deroghe contenute nella parte III a renderli politicamente accettabili. Abbiamo anche, benché con rammarico, buone ragioni giuridiche per considerare legate le parti I e III, e non sarà possibile una nuova struttura senza una sostanziale rielaborazione della parte III.

Concludo esprimendo la mia grave delusione per la lettera dei tre presidenti di parlamenti nazionali. Vedere in quest’Aula molti ex membri della Convenzione mi ricorda l’impegno con cui i deputati dei parlamenti nazionali hanno lavorato con noi sul progetto di Costituzione, nonché le importanti proposte che avevano da presentare e, in considerazione di ciò, non posso ritenere che questa lettera dei tre presidenti costituisca l’ultima parola sull’argomento.

 
  
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  Jean-Marie Cavada (ALDE), relatore per parere della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni. – (FR) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio Winkler, Commissario Wallström, la commissione per le libertà civili ha adottato a larga maggioranza, lo scorso 28 novembre, il parere che avevo preparato. Che cosa dice questo parere? Innanzi tutto, ricorda tutti i miglioramenti apportati dalla Costituzione rispetto ai Trattati in vigore. I miglioramenti in materia di sicurezza, di libertà e di giustizia erano numerosi e significativi e soprattutto, avevano il consenso delle nazioni che compongono l’Europa.

Non intendo ricordarli tutti, ma menzionerò semplicemente quattro punti che potrebbero farci uscire dalla situazione negativa che attraversiamo e che l’eccellente relazione dei miei colleghi, onorevoli Duff e Voggenhuber, rimette all’ordine del giorno.

Innanzi tutto, l’introduzione generalizzata del voto a maggioranza qualificata e la semplificazione degli atti normativi ci permettono di formulare una politica senza essere bloccati dalle sue sfumature. Poi, l’estensione della giurisdizione della Corte di giustizia – fucina del diritto comunitario quando il Parlamento non è in grado di produrre tale diritto. Citiamo ancora il rafforzamento definitivo del ruolo del Parlamento in qualità di colegislatore; dobbiamo esserne i promotori. Infine, l’integrazione della Carta dei diritti fondamentali nel testo stesso della Costituzione conferisce a questa un valore giuridico. Vi sono naturalmente altri punti positivi, ma quelli che ho appena enumerato sono veramente fondamentali.

Perdonate questa allusione a tali possibilità ancora aperte, ma volevo sottolineare i progressi apportati da questa Costituzione in un campo che non viene trattato negli Stati membri dell’Unione, vale a dire quello della Carta dei diritti fondamentali e dello spazio di libertà, giustizia e sicurezza. In essa sono contenuti infatti gli elementi necessari per creare sin da ora una struttura di base, in attesa di un nuovo testo. Perché gli Stati membri non se ne avvalgono per cercare di cementare nuovamente un’Unione in difficoltà?

Infine, consideriamo prioritario tenere conto sistematicamente dell’impatto delle politiche dell’Unione sui diritti fondamentali e sottolineiamo l’urgenza di creare, per compiere senza indugio un primo passo, un’agenzia indipendente dei diritti fondamentali, come ha chiesto il Parlamento lo scorso 26 maggio.

 
  
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  Edit Bauer (PPE-DE), relatore per parere della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere. – (SK) Signor Presidente, Ministro Winkler, signora Commissario, raramente discutiamo questioni più importanti di quella che stiamo discutendo oggi. Dobbiamo ringraziare i relatori che hanno preso l’iniziativa e, sulla base di discussioni di ampia portata, hanno presentato questo tema.

Il futuro dell’Europa è il nostro problema comune, ugualmente importante per giovani e anziani, per uomini e donne. Come ha sottolineato il Commissario Wallström, la maggior parte dei cittadini europei non considera problematici i meccanismi decisionali delle Istituzioni europee. Il loro problema è primariamente una mancanza di chiarezza nella visione che hanno del proprio futuro, delle loro prospettive, della loro sicurezza e delle nuove sfide alle quali stanno ancora cercando di trovare una risposta.

L’incertezza e il timore del futuro sono stati chiaramente le cause principali dell’esito negativo dei referendum sulla Costituzione. Chiaramente, spetta a tutti noi la responsabilità di trovare una direzione lungo la quale procedere. Noi deputati al Parlamento europeo dovremmo essere consapevoli dei messaggi e dei segnali che inviamo quando prendiamo decisioni, ad esempio sugli strumenti di coesione o sul trasferimento dei diritti pensionistici, o quando accordiamo un trattamento preferenziale agli immigrati provenienti da paesi terzi piuttosto che ai cittadini dei nuovi Stati membri.

Anche i governi degli Stati membri hanno la loro parte di responsabilità, poiché spesso si comportano come se le questioni europee, ad esempio gli obiettivi di equilibrio tra vita e lavoro formulati nella strategia di Lisbona, non li riguardassero. Rimane una domanda fondamentale: saremo capaci di sviluppare una visione comune sufficientemente convincente, e i nostri valori europei saranno abbastanza forti per produrre un livello adeguato di coesione sociale?

Signor Presidente, le donne rappresentano oltre la metà di tutti i cittadini ed elettori europei. Hanno problemi specifici, che richiedono un approccio sensibile e soluzioni soddisfacenti. Si dovrebbe quindi prestare sufficiente attenzione ai pareri delle donne nel dibattito imminente. Signor Presidente, in conclusione vorrei sottolineare che, secondo il parere della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, una nuova divisione tra i paesi centrali dell’Europa e gli altri paesi sarebbe uno dei peggiori risultati possibili dei nostri sforzi intesi a trovare una via da percorrere.

 
  
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  Alexander Stubb, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, vorrei fare tre osservazioni. In primo luogo, è positivo ricominciare a parlare della Costituzione. La questione del bilancio è stata risolta; possiamo cominciare a concentrarci su altre questioni. Ho come l’impressione che la Costituzione sia stata in terapia intensiva per otto o nove mesi. Ora, pian piano, ne è uscita e penso che il processo di ricupero sarà lento, ma a mio parere dovremmo guardare al 2009.

Penso che il messaggio di questa relazione sia che tutte le opzioni sono aperte; con la calma si fa tutto; non diciamo che la Costituzione è morta; non cominciamo a rinegoziare; non diciamo che questo Trattato non può entrare in vigore. Abbiamo tempo e dobbiamo riflettere.

Il secondo punto è che di recente c’è stata qualche controversia tra il Parlamento europeo e i presidenti di tre parlamenti nazionali. Dobbiamo però trasformare questa vicenda in un elemento positivo. Il Parlamento europeo non dovrebbe, e non deve, essere arrogante o paternalistico verso i parlamenti nazionali. Sì, istituiamo un forum europeo, ma agendo congiuntamente e dando vita a un reale dibattito sul futuro dell’Unione.

La mia osservazione finale è che da alcune parti nei mesi scorsi abbiamo sentito parlare di uno “zoccolo duro” dell’Europa. Io penso che sia una totale assurdità, perché le persone che ne parlano sono di solito le stesse che vogliono mettere i freni all’integrazione. Incominciamo a ratificare la Costituzione; incominciamo a lavorare, lavoriamo insieme e, soprattutto, lavoriamo insieme all’interno delle Istituzioni dell’Unione europea. Io rabbrividisco quando sento parlare di uno “zoccolo duro” dell’Europa. Il modo migliore di procedere è agire nell’ambito del Trattato, insieme, e sono sicuro che sapremo superare questo momento e avere una Costituzione entro il 2009.

 
  
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  Richard Corbett, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signor Presidente, un anno fa il Parlamento approvò la Costituzione con una maggioranza schiacciante. Ora all’interno di quella maggioranza sono presenti almeno due punti di vista. Secondo il primo, questo testo della Costituzione è morto dopo le sconfitte dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi, e faremmo meglio a cominciare a pensare a qualcos’altro e a preparare un percorso diverso da seguire. L’altro punto di vista è quello di chi afferma: un momento, questo testo è stato ratificato da una maggioranza di Stati membri. I capi di governo nel Consiglio europeo non lo hanno dichiarato morto, hanno esteso il periodo di ratifica e hanno avviato un periodo di riflessione. In questo periodo di riflessione dobbiamo ascoltare coloro che hanno detto “no”, ma dobbiamo ascoltare anche la maggioranza che ha detto “sì” e trovare una via su cui procedere che possa riunire le due fazioni.

La relazione realizza una sintesi di questi due punti di vista. Dice che è troppo presto per concludere ora il periodo di riflessione, che dovrebbe essere esteso almeno fino al 2007. Fino ad allora dobbiamo mantenere aperte tutte le opzioni. Abbiamo bisogno di una riflessione più prolungata e più profonda. Naturalmente – come ci si aspetta – affermiamo che il Parlamento preferirebbe mantenere il testo attuale, ma riconosciamo che ciò sarebbe possibile solo se fossero adottate misure volte a rassicurare e convincere l’opinione pubblica. Quali siano queste misure è una questione aperta. Vi sono, in teoria, numerose opzioni: dichiarazioni interpretative supplementari, protocolli aggiuntivi, una riformulazione parziale del testo o una riformulazione totale, cioè l’elaborazione di un nuovo testo. Lo decideremo alla fine del periodo di riflessione, ma per ora continuiamo tale riflessione, approfondiamola, ampliamola e tra un anno potremo trarre le conclusioni.

Una cosa è certa, signor Presidente: lo status quo – rappresentato dai Trattati in vigore – non è sufficiente per far funzionare in modo efficace o democratico questa Unione nella sua forma allargata. E’ una questione che non si risolverà da sola.

 
  
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  Bronisław Geremek, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signor Presidente, i liberaldemocratici del gruppo ALDE accolgono con soddisfazione la relazione Duff-Voggenhuber sul periodo di riflessione. Eravamo già persuasi del fatto che l’Unione ha bisogno del quadro costituzionale. Consideravamo il Trattato costituzionale uno strumento efficace per fare avanzare l’Unione, per darle la necessaria dimensione politica e l’indispensabile orizzonte sociale. Non abbiamo cambiato opinione e pensiamo che non si debba dichiarare morta la Costituzione prima ancora di sentirle il polso: se non lo facciamo è impossibile dichiarare che il paziente è morto.

Ma non si può neppure ignorare che nel corso del processo di ratifica è emerso un distacco tra il desiderio di una più profonda integrazione, manifestato dalle élite europee, e i sentimenti di una parte della società europea. Tale distacco non riguarda solamente i due paesi che hanno rifiutato la ratifica. Si tratta di un problema grave.

Jean Monnet diceva che, di fronte a un problema grave, qualche volta bisogna cambiarne il contesto. E’ proprio questo l’obiettivo del periodo di riflessione. Il grande dibattito pubblico sull’avvenire dell’Unione europea dovrebbe creare un nuovo contesto per l’impresa costituzionale europea. Spetta al Parlamento europeo definire il quadro e le disposizioni per tali dibattiti, farvi partecipare i parlamenti nazionali e la società civile, delineare le questioni e stabilire la necessaria agenda. In questo modo il forum europeo potrà concretizzarsi in quanto spazio pubblico per l’Europa. Non dobbiamo ancora decidere il futuro del testo. Il momento verrà dopo il periodo di riflessione, dopo il dibattito europeo, dopo aver cambiato il contesto. La relazione che ci è stata presentata lo dice molto bene.

 
  
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  Monica Frassoni, a nome del gruppo Verts/ALE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo dei Verdi/Alleanza libera europea sostiene la relazione Duff-Voggenhuber. L’Unione europea ha bisogno di una Costituzione democratica e non può vivacchiare con Nizza. Il dibattito che dovrà svolgersi intorno alla Costituzione deve essere un dibattito europeo e la lettera stessa dei tre presidenti dei parlamenti dimostra che non si può lasciare la responsabilità della discussione a livello nazionale e che c’è bisogno di un organo davvero europeo, come il Parlamento, per condurlo. Ebbene sì, dobbiamo dirlo in modo non timido, anche guidarlo.

Nella relazione mancano però due elementi, che speriamo di riuscire a introdurre con la votazione in Aula. Infatti, onorevole Corbett, io non sono d’accordo con lei: non è assolutamente vero che il fronte di coloro che hanno votato “sì” alla Costituzione è stato diviso tra coloro che ora vogliono uccidere il testo e coloro invece che lo vogliono mantenere. Non è così. Nell’emendamento che sottoporremo alla votazione di domani si dice esplicitamente che una possibilità – non teorica, ma pratica – potrebbe consistere nella modifica del testo e che, se questo dovesse succedere, si impone un nuovo processo costituzionale, che si potrebbe anche concludersi con un referendum.

Pensare, invece, che l’unica proposta che noi dobbiamo formulare, come Parlamento europeo, sia quella di sostenere esclusivamente l’attuale testo, è illusorio e miope ed è ciò che potrebbe veramente dividere il fronte proeuropeo, cioè il fronte che in questa, con cinquecento voti, ha ottenuto un ampio sostegno per la Costituzione.

Ritengo pertanto che i due emendamenti presentati dai relatori debbano essere sostenuti da un’ampia maggioranza di questo Parlamento, perché affermano semplicemente la possibilità di discutere varie opzioni. Nessuna opzione è forse migliore delle altre, ma credo che tutte debbano essere discusse, compresa quella che in questo momento risulta stranamente così drammatica, ossia che si debba riaprire la discussione con i cittadini anche sulla Costituzione.

(Applausi)

 
  
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  Francis Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signor Presidente, il periodo di riflessione decretato dal Consiglio europeo in seguito alla vittoria del “no” in Francia e nei Paesi Bassi ha avuto un primo risultato: ha riportato di moda le buone maniere. Ad esempio, i due correlatori della risoluzione in discussione non hanno ritenuto opportuno riprendere oggi, per descrivere la maggioranza dell’elettorato francese e olandese, gli stessi epiteti assai poco cortesi che erano stati pronunciati qualche mese fa.

Grazie dunque all’onorevole Voggenhuber e all’onorevole Duff per aver sottolineato questa volta, almeno nella loro risoluzione, che questi cittadini hanno (cito testualmente) “espresso delle preoccupazioni e delle inquietudini di cui è necessario tenere conto”, che “è necessario rispettare” la loro decisione e “analizzare attentamente le ragioni dei risultati negativi”. E’ un passo avanti. Sarebbe ancora più chiaro se la relazione precisasse che questo progetto di Trattato è oramai antiquato e che il dibattito riguarda ciò che deve sostituirlo. Il mio gruppo è pronto a partecipare attivamente al dibattito sul futuro dell’Unione con i nostri concittadini. In quanto ai temi proposti per questo confronto di idee, siamo essenzialmente d’accordo.

La domanda che sorge è la seguente: quale sarà il risultato politico di questo dibattito? Fino a che punto siete disposti a trasformare le politiche e le strutture dell’attuale Unione europea, per soddisfare le esigenze che emergono dalla maggior parte delle società europee e di cui il rifiuto del Trattato costituzionale è stato l’elemento rivelatore più spettacolare? Questo è il punto dolente. La relazione all’esame propone soltanto, e cito, di “rassicurare l’opinione pubblica”, per garantire, e cito ancora, “l’entrata in vigore della Costituzione nel corso del 2009”. Allora non si tratta più di un dibattito, ma di una campagna di comunicazione.

Seguire questo orientamento sarebbe un peccato. Sarebbe un’occasione mancata. Perciò il mio gruppo, quasi all’unanimità, non seguirà questa via.

 
  
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  Jens-Peter Bonde, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, vorrei chiedere alla maggioranza di questa Assemblea, che è fedele alla politica dello struzzo: non avete sentito che il 55 per cento degli elettori francesi ha votato “no”, andando contro le raccomandazioni del 90 per cento dei loro deputati e senatori? Non avete visto che il 62 per cento degli elettori olandesi non ha seguito il consiglio dell’80 per cento dei parlamentari nazionali? Non avete letto i Trattati, che prevedono l’unanimità per qualunque modifica dei Trattati stessi? Perché violare le vostre stesse regole? Avete occhi e orecchie: usateli!

La Costituzione proposta è morta! Eppure esortate i parlamenti nazionali a violare la legge. Continuate a divulgare il testo. Fuori da questo edificio proclamate ancora “sì” alla Costituzione. Ve lo immaginate un parlamento nazionale che rechi incisi sulla facciata della propria sede un elogio della politica laburista e una condanna di quella dei conservatori? No, non ve lo immaginate, vero? Usate ancora i soldi dei contribuenti per distribuire milioni di opuscoli che propagandano un testo ormai respinto. Avete avviato la ratifica di un documento che non era ancora stato tradotto in modo corretto. Avete rifiutato di pubblicare un’edizione di più facile lettura della Costituzione, perché volevate che il testo venisse approvato senza essere letto. Avete manipolato il calendario per lo svolgimento dei referendum e avete sperato di mettere alle strette il Regno Unito dopo 24 ratifiche. Ma, onorevoli colleghi, avete perso, come in passato ho perso molte volte anch’io.

Ora tocca a voi adeguarvi al verdetto degli elettori. Invece, finanziate altra propaganda: 300 000 euro al Movimento europeo; 110 000 euro ai Federalisti europei; milioni di euro a chi è favorevole alla Costituzione.

Noi chiediamo un dibattito libero, equo e aperto con una pari rappresentanza del “sì” e del “no”. Chi voterà per calpestare gli elettori olandesi e francesi dovrebbe vergognarsi! L’intergruppo SOS per la democrazia ha avviato una relazione di minoranza. Noi rifiutiamo l’idea di una Costituzione statale, e chiediamo invece una revisione dei Trattati esistenti e un accordo di cooperazione.

Un nuovo accordo potrebbe essere elaborato da una convenzione direttamente eletta e potrebbe essere sottoposto a referendum in tutti gli Stati membri, magari contemporaneamente alle prossime elezioni europee. In tal modo conosceremmo il verdetto dei cittadini. Gli elettori francesi non sono pentiti del loro “no”; molti elettori olandesi hanno cambiato idea, ma si tratta di quelli che avevano votato “sì”. Ascoltate gli elettori, ricominciamo da capo.

(Applausi)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. DOS SANTOS
Vicepresidente

 
  
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  Brian Crowley, a nome del gruppo UEN. – (EN) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto ringraziare i relatori per il loro lavoro e per ciò che hanno cercato di realizzare con questa relazione. In secondo luogo, desidero soprattutto ringraziare la Presidenza austriaca per avere avuto il coraggio politico di far uscire la questione dal regno dell’esoterico e inserirla nuovamente sull’agenda politica.

Una delle questioni più importanti che dobbiamo esaminare – mi rifaccio direttamente a quello che ha appena detto l’onorevole Bonde – è la seguente: quando un “no” è davvero un “no”? Quando un solo paese può fermare il cammino di tutti gli altri paesi? Quando due paesi possono impedire agli altri paesi di procedere? L’unicità del progetto comunitario sta proprio nel fatto che l’Unione europea si è sforzata di trovare un terreno comune tra interessi molto diversi e disparati. Solo perché ci siamo imbattuti in un ostacolo sul cammino delle modifiche costituzionali e della riforma dei Trattati, per giungere ad un processo decisionale più efficace ed efficiente, dobbiamo forse mettere la testa sotto la sabbia, come direbbe qualche collega? Lo struzzo, anche se a volte mette la testa sotto la sabbia, rimane pur sempre l’animale più veloce del mondo.

Dobbiamo imparare a rispondere tempestivamente alle preoccupazioni della popolazione, che non riguardano soltanto il modello dell’Unione europea. Molti di coloro che hanno votato “no” in Francia o nei Paesi Bassi lo hanno fatto per ragioni politiche nazionali. Hanno votato così anche per paura. Come abbiamo scoperto anni fa in Irlanda, in alcune persone c’era una paura irrazionale quando hanno votato “no”: il timore di un enorme afflusso di immigranti che ci avrebbero sottratto posti di lavoro, derubandoci del nostro benessere sociale e rovinando il nostro paese. La realtà era totalmente diversa: l’integrazione è possibile; il buonsenso e la calma sono possibili e, si noti, non soltanto all’interno di questa oasi parlamentare e all’interno dei parlamenti nazionali. Finché non convinceremo i cittadini coinvolgendoli nel progetto dell’Unione europea, non potremo veramente dire di avere un’Europa dei cittadini che appartenga loro a pieno titolo.

 
  
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  James Hugh Allister (NI).(EN) Signor Presidente, dopo il clamoroso fallimento della Costituzione, che non è riuscita a superare la prova di sopravvivenza, ossia l’approvazione di tutti gli Stati membri, una relazione tanto cieca di fronte alla realtà attuale poteva nascere solamente nella rarefatta atmosfera di irrealtà che regna nella commissione per gli affari costituzionali. Con l’incredibile arroganza che ha contraddistinto anche l’ultimo intervento, questa relazione giudica col senno di poi e vuole ripudiare il verdetto democratico dei cittadini di Francia e Olanda dichiarando che i risultati non riguardavano il rifiuto della Costituzione, ma il dissenso e altre questioni.

Sciocchezze! La domanda sulla scheda di votazione riguardava una sola cosa, l’accettabilità della Costituzione, e la risposta è stata altrettanto chiara. Perché non affrontare la realtà? Avete perso. Invece, i filoeuropei in questa Assemblea hanno un nuovo slogan che considerano molto intelligente: “il problema è il contesto, non il testo”. Questo periodo di riflessione non è altro che una presa in giro. Stanno studiando come rivendere il testo in una nuova confezione in modo da rifilare la prossima volta agli elettori un prodotto deteriorato come la Costituzione.

 
  
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  Jean-Luc Dehaene (PPE-DE).(NL) Signor Presidente, sulla base di ciò che hanno detto gli ultimi oratori devo concludere, con mio grande stupore, che un cittadino è importante quando dice “no” ed evidentemente non lo è quando dice “sì”, ma vorrei soltanto ricordare a questo punto che ci sono stati anche referendum con esito positivo e che 13 Stati membri hanno già approvato la Costituzione. Questo è per me altrettanto importante, il che non significa che non si debba tenere conto dei “no”, poiché anche questi lanciano un forte messaggio che dovremmo prendere in considerazione. Tuttavia, è soltanto un messaggio negativo che non offre un’alternativa, mentre, paradossalmente, il timore espresso con questo “no” sarebbe probabilmente fugato al meglio con una Costituzione europea, con una risposta europea.

Infatti, come ha sottolineato giustamente la signora Commissario, dalle indagini dell’Eurobarometro risulta che i cittadini sanno molto bene che un certo numero di problemi transfrontalieri richiede una risposta europea e “più Europa”. Penso in particolare al secondo e al terzo pilastro, vale a dire le aree su cui principalmente si sarebbe concentrata la Costituzione. Un altro paradosso è che durante i dibattiti per i referendum, il rafforzamento di questa Europa politica è stato trascurato proprio nel secondo e nel terzo pilastro.

Io ritengo che questo sia davvero il momento di sfruttare attivamente il periodo di riflessione previsto dal piano D della Commissione. In altri termini, dovremmo prenderci tutto il tempo di cui abbiamo bisogno e non affrettarci a decidere nulla. Sostengo quindi la relazione all’esame perché punta in quella direzione, anche se temo che certi emendamenti che i relatori hanno riproposto favoriscano le scorciatoie e traggano conclusioni premature. Penso che dovremmo prenderci tutto il tempo necessario, insieme ai parlamenti nazionali, per dare una risposta alla domanda di base riportata nella relazione.

 
  
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  Carlos Carnero González (PSE).(ES) Signor Presidente, vorrei ricordare alla signora Commissario e ad alcuni colleghi che venti anni fa la Spagna entrò nell’Unione europea. Fu una buona notizia per il mio paese e sicuramente per tutta l’Unione. Dico questo perché noi spagnoli abbiamo aderito venti anni fa e poco più di un anno fa, in un referendum, abbiamo votato “sì” alla Costituzione europea, con gli stessi diritti, doveri e responsabilità con i quali altri paesi, Francia e Paesi Bassi, hanno votato “no”. I sì e i no hanno lo stesso valore, espressi mediante referendum o per via parlamentare. Oggi la maggioranza assoluta dei membri dell’Unione ha detto sì alla Costituzione europea.

Ho avuto l’occasione di lavorare con i due relatori per quattro mesi, come relatore ombra del gruppo socialista, e questa relazione costituisce un risultato equilibrato, che essenzialmente sostiene quattro punti.

In primo luogo, il Parlamento continua a considerare la Costituzione il migliore strumento per creare un’Unione più democratica e più efficace.

In secondo luogo, se non entra in vigore, i problemi politici e istituzionali dell’Unione non solo persisteranno, ma si aggraveranno e inoltre sarà impossibile portare a termine ulteriori allargamenti sulla base del Trattato di Nizza dopo l’adesione della Bulgaria e della Romania.

In terzo luogo, dobbiamo aprire un autentico periodo di riflessione e di dibattito tra le Istituzioni e con la cittadinanza, per cercare soluzioni alla crisi attuale. Sarà al termine di tale periodo che dovremo trarre conclusioni che ci permettano di proseguire e di migliorare l’unione politica.

In quarto luogo, in linea con la nostra posizione del gennaio 2005, riteniamo che mantenere il testo attuale costituirebbe un risultato positivo del periodo di riflessione, che però sarebbe possibile solo adottando misure adeguate. Definiremo quindi tali misure adeguate.

Oggi il contesto politico ci permette di dire che vi sono elementi nuovi per proseguire con la Costituzione e per smentire due posizioni: quella di chi afferma che la Costituzione è morta – la notizia della sua morte è risultata un po’ gonfiata – e, in secondo luogo, l’idea che prima sia necessario occuparsi della disoccupazione, dell’immigrazione o della lotta contro la criminalità, dimenticando che, per farlo, abbiamo bisogno proprio di questa Costituzione. Non è un tema che riguarda solo gli istituzionalisti.

(Applausi)

 
  
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  Ignasi Guardans Cambó (ALDE).(FR) Signor Presidente, vi propongo di passare dalle metafore cliniche alle metafore culinarie. Inviterei quindi l’Assemblea a rifiutare questa minestra riscaldata. Ci troviamo davanti un piatto di avanzi, che ha perso tutto il suo gusto e tutto il suo profumo. Si potrebbero certamente usare gli stessi ingredienti per cucinare un altro piatto, magari aggiungendo alcune spezie ed eliminando gli ingredienti più indigesti. Ma i cittadini dell’Europa hanno diritto a una nuova ricetta, a un nuovo piatto cucinato secondo il gusto di tutti e che non sia semplicemente un avanzo riscaldato del giorno prima.

Devo dire, con tutto il rispetto per i colleghi, che talvolta, ascoltando alcuni di essi, ho l’impressione che siano legati da sentimenti personali al cadavere della Costituzione – per tornare alla metafora clinica. Vorrei tanto che questi colleghi avessero il coraggio di staccarsi da questo testo che hanno visto nascere tra le loro braccia e di iniziare una nuova fase, elaborando la nuova ricetta di cui l’Europa e i cittadini hanno bisogno.

 
  
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  Bernat Joan i Marí (Verts/ALE).

(L’oratore si esprime in catalano)

 
  
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  Presidente. – Onorevole Joan i Marí, le chiedo di non proseguire il suo intervento, perché gli interpreti hanno l’ordine di non tradurre dal catalano. Se continua a parlare in catalano, i deputati in Aula non potranno capire ciò che sta dicendo.

 
  
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  Bernat Joan i Marí (Verts/ALE).

(L’oratore prosegue in catalano)

 
  
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  Presidente. – Come le ho detto prima, onorevole Joan i Marí, il suo intervento non è stato tradotto dagli interpreti e il testo del discorso non sarà riportato nel resoconto integrale della seduta.

 
  
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  Sylvia-Yvonne Kaufmann (GUE/NGL).(DE) Signor Presidente, c’è una frase nella relazione sulla quale non si insisterà mai troppo: “il Trattato di Nizza non rappresenta una base solida per un futuro approfondimento del processo d’integrazione europeo”. Aggiungerei che questo Trattato rappresenta l’inizio della fine per un’Unione dei cittadini allargata. Perché cosa stabilisce Nizza? Nessun diritto fondamentale vincolante a norma di legge, nessuna iniziativa dei cittadini, nessuna delimitazione chiara dei poteri, negazione dei pieni diritti in materia di bilancio per il Parlamento europeo, nessun diritto dei parlamenti nazionali di intervenire in risposta alle proposte della Commissione, nessun controllo parlamentare su Europol, nessun ministro degli Esteri e nessun servizio diplomatico europeo.

L’elenco di tutto ciò che l’Europa perde senza una Costituzione è molto lungo; non si può tornare al passato. Vogliamo sul serio che il Trattato di Nizza rimanga come un blocco di cemento? Io non voglio che l’Unione europea degeneri in una zona di libero scambio con una responsabilità sociale limitata; è inaccettabile un’Europa dello “zoccolo duro” che traccia nuove linee divisorie al suo interno, e perciò il processo costituzionale deve continuare. L’Europa ha bisogno di un nuovo Trattato. L’unica cosa del tutto chiara è che non andremo da nessuna parte con l’immobilismo.

Le preoccupazioni e i problemi della gente devono finalmente essere presi sul serio – questo è il messaggio che emerge chiaramente dai referendum sulla Costituzione in Francia e nei Paesi Bassi. Abbiamo bisogno di un cambiamento politico nell’Unione europea, in particolare di un progresso verso un’Europa sociale. Soltanto così avremo il sostegno attivo dei cittadini per l’Unione allargata e per un’Europa unita nella pace.

 
  
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  Bastiaan Belder (IND/DEM).(NL) Signor Presidente, il tono della relazione degli onorevoli Duff e Voggenhuber mi ricorda la discussione svoltasi in plenaria un anno fa, quando il Parlamento abbracciò con grande ostentazione la Costituzione e sembrava che nulla ne ostacolasse la ratifica da parte di tutti i 25 Stati membri.

Oggi devo concludere con mia grande delusione che il Parlamento non ha imparato nulla dalla lezione del duplice “no”. Il Parlamento non sta riflettendo sul futuro dell’Europa, ma su una strategia per ottenere che la Costituzione due volte respinta sia infine ratificata. Tutto questo, ovviamente, dietro la facciata di importanti misure volte a rassicurare l’opinione pubblica.

Sullo sfondo di questi evidenti tentativi di ignorare la volontà espressa dall’elettorato francese e olandese, vorrei comunque esprimere il mio apprezzamento per una serie di emendamenti proposti da entrambi i relatori. Essi infatti non si stanno ossessivamente arroccando sulla Costituzione attuale; sembra che abbiano anche compreso il “no” della Francia e dei Paesi Bassi meglio dei membri dei grandi gruppi e dimostrano anche una maggiore volontà di analizzare realmente le questioni.

L’onorevole Voggenhuber parlava di nazionalismo. Avendo una grande stima delle sue capacità intellettuali, presumo che non includa in questa categoria tutti gli oppositori di questa Costituzione, poiché non è certo quello il mio obiettivo.

 
  
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  Irena Belohorská (NI). (SK) Desidero ringraziare l’onorevole Duff per l’ottima relazione. Agli occhi di molti cittadini europei l’Unione europea passa il tempo a discutere di banane, della forma di una carota e dei livelli di radiazione solare, ma non delle questioni legate alla vita quotidiana dei cittadini europei. Sette cittadini su dieci in Slovacchia sanno molto poco dell’Unione europea e della sua struttura. I cittadini considerano l’Unione un’entità distante dai loro problemi quotidiani. E’ sconcertante che si siano registrati più votanti in un recente reality show televisivo come il Grande Fratello che alle elezioni del Parlamento europeo.

I mass media svolgono un ruolo importante e cruciale nell’informare i cittadini europei. I cittadini sono interessati all’Unione europea e vorrebbero più informazioni sul suo funzionamento. I mezzi d’informazione dovrebbero cominciare a informarli sul lavoro delle Istituzioni europee e sui modi in cui le decisioni prese da queste ultime possono influire sulla vita quotidiana. Perché questo accada, tuttavia, occorre creare le giuste condizioni. Posso capire che un giornalista trovi difficile spiegare progetti di legge che contengono migliaia di emendamenti, specialmente se il testo è pubblicato solo alcuni giorni prima della votazione e non in tutte le lingue. Per informare obiettivamente i cittadini riguardo al lavoro dell’Unione europea, i media devono concentrarsi su tale lavoro e non sui pettegolezzi o sugli scandali. Allo stesso tempo, dobbiamo creare comunque le condizioni perché i cittadini possano essere informati meglio; dobbiamo eliminare la complessità della legislazione europea e limitare il numero di dibattiti svolti a porte chiuse.

 
  
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  Íñigo Méndez de Vigo (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, spero che tutti mi capiscano, visto che parlo in una lingua ufficiale. Io sono convinto che le lingue siano un veicolo di comunicazione e non di isolamento.

A mio parere, signor Presidente, questa relazione stabilisce tre punti importanti. Gli onorevoli Dehaene e Stubb hanno già detto alcune cose importanti su questo tema, ma vi sono tre punti che desidero segnalare.

In primo luogo, questa Costituzione è frutto di un consenso e, finché non avremo un menù alternativo, questo è quello che abbiamo. E’ un consenso positivo, perché coloro che hanno votato “no” in certi paesi dell’Unione Europea non sono capaci di prendere un caffè insieme, né di produrre un testo alternativo. Questa è la realtà. I sostenitori del “no” sono persone che rifiutano ma non costruiscono, non propongono niente. Finché non esiste un altro menù sul tavolo, io mi adeguo a questo menù e questa è anche la posizione del Parlamento.

In secondo luogo, siamo contro l’applicazione parziale di alcuni aspetti della Costituzione. Perché? Per la stessa ragione, perché la Costituzione è frutto di un consenso e, anche se non siamo tutti d’accordo su tutto, siamo concordi sull’insieme del testo e, pertanto, non accetteremmo – e fa bene il Parlamento a specificarlo nella relazione – l’idea di un’attuazione selettiva. Siamo d’accordo in senso generale, ma non accettiamo il cosiddetto cherry picking.

In terzo luogo, nella relazione il Parlamento afferma, non a caso, che non vi saranno nuovi allargamenti dell’Unione europea senza una Costituzione. Siamo consapevoli che l’Unione non funzionerà, né democraticamente né efficacemente, in assenza delle disposizioni stabilite nella Costituzione. Questo compare all’articolo 49 dei Trattati in vigore, signor Presidente, e lo dico ai nostri amici struzzi, perché il Parlamento deve pronunciarsi su qualsiasi allargamento dell’Unione europea e con questa relazione il Parlamento assume un impegno molto chiaro e molto solenne: non vi saranno allargamenti senza la Costituzione.

 
  
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  Jo Leinen (PSE).(DE) Signor Presidente, in qualità di presidente della commissione per gli affari costituzionali desidero ringraziare i relatori per aver affrontato una questione molto importante in un momento piuttosto difficile. La relazione Duff-Voggenhuber ha suscitato vivaci discussioni e come tale fa parte del piano D del Commissario, signora Wallström.

Ciò che è emerso dalle nostre discussioni è molto incoraggiante: la vasta maggioranza in Parlamento rimane favorevole alla Costituzione europea. Lungi dal venir meno, le ragioni a favore del nuovo Trattato europeo sono divenute più pressanti: maggiore efficacia, più trasparenza, più democrazia. Tutte le riforme e i progressi che la Costituzione porta con sé sono urgentemente necessari. I dibattiti nei Paesi Bassi e in Francia non li hanno consegnati all’oblio. Sono contento che la Presidenza austriaca stia dando nuova vita a questo dibattito. In questi ultimi mesi siamo rimasti in un certo senso paralizzati. Per il 2006 abbiamo bisogno di un dibattito di ampio respiro in tutti i 25 paesi e posso dire al Presidente del Consiglio e alla Vicepresidente che spero che tutti i 25 Stati membri diano il loro contributo. Ho visto la relazione intermedia del Vertice di dicembre; lasciava molto a desiderare. Nella maggior parte degli Stati membri il dibattito non è neppure incominciato e sarebbe quindi un grave errore adesso, nel gennaio 2006, presentare i risultati di un dibattito che non si è ancora svolto. Ciò che dobbiamo fare ora è dedicare un anno a discutere le grandi questioni della politica europea con tutte le parti interessate in tutti gli Stati membri e poi, nel 2007, potremo trarre conclusioni sulla procedura da seguire per portare questo progetto a una conclusione positiva. Abbiamo a disposizione varie scelte; il Cancelliere del mio paese ha chiesto perché non ampliamo la Costituzione aggiungendo un protocollo sull’Europa sociale, e anche questa è una possibilità che dovremmo discutere.

Questo periodo di riflessione darà nuova forza a noi e alla democrazia europea. Abbiamo ogni possibilità di uscire da questa crisi in condizioni migliori di quando è cominciata.

(Applausi)

 
  
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  Jules Maaten (ALDE).(NL) Signor Presidente, il Trattato costituzionale è morto, viva il Trattato costituzionale. Anche se è vero che è stato rifiutato più per il contesto che per il testo, è altrettanto vero che il testo del Trattato costituzionale si è dimostrato troppo debole per risolvere i problemi nel contesto: non aveva un numero sufficiente di idee coraggiose e coinvolgenti.

Perché non diamo ai cittadini un reale potere e non facciamo in modo che eleggano direttamente il Presidente della Commissione, ad esempio, o non creiamo la possibilità di un referendum collettivo europeo – non 25 o 27 piccoli referendum, ma un vero referendum europeo – o uno spazio politico veramente europeo, in altre parole una res publica europea?

Riguardo al contesto, i cittadini olandesi – come, presumo, anche quelli della maggior parte degli altri Stati membri – non vogliono in ogni caso mettere in discussione le Istituzioni, per il momento, e gliene siamo grati. Ciò che vogliono è piuttosto un’Europa che diventi competitiva, che crei occupazione, che combatta il terrorismo e la criminalità transfrontaliera, che persegua una politica estera adeguata e che, finalmente, risponda alle aspettative nei suoi confronti. Se non ci riusciamo, dare nuova vita alla revisione del Trattato è fatica sprecata e qualsiasi discorso diventa un esercizio di pura retorica.

Certamente, abbiamo bisogno di un nuovo Trattato per rendere l’Europa più democratica e più efficiente, ma non c’è fretta. Alcune delle numerose ottime idee che i nostri relatori hanno fatto emergere sono mirate a estendere il periodo di riflessione fino alla fine del 2007 e a mantenere aperto un maggior numero di opzioni; anche in generale sono favorevole a un metodo che ci guidi nello svolgimento del dibattito. Tuttavia, non abbiamo bisogno di un documento intitolato “Costituzione”, che spaventa i cittadini invece di coinvolgerli. In fondo, quella che chiamiamo rosa, anche con un altro nome avrebbe il suo profumo. Di conseguenza, per il mio gruppo ostinarsi a mantenere questo nome e il testo attuale costituisce un problema insuperabile.

Se la soluzione è presentare un testo migliorato – e davvero spero che riusciremo in questo intento, perché è importante – allora sono favorevole a sottoporlo a tutti i cittadini europei in un referendum, in coincidenza con le prossime elezioni europee.

 
  
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  Roger Knapman (IND/DEM).(EN) Signor Presidente, la relazione Voggenhuber-Duff fa rima con bluff. La domanda è: la Costituzione è morta o sta solo dormendo? Se avesse vinto il “sì”, senza dubbio i Commissari non avrebbero avuto alcuna difficoltà a spiegare cosa significa “sì”. Invece noi poveri ignoranti che crediamo nel “no” ora abbiamo bisogno che ci venga spiegato cosa significa “no”.

“No” in questo caso significa pura e semplice arroganza da parte della Commissione nel presumere di portare avanti questo progetto, quando il 70 per cento degli elettori in Austria non vuole che vada avanti; quando due terzi della popolazione in Gran Bretagna non vede alcun vantaggio nella futura appartenenza a questo Parlamento fittizio; quando la popolazione in Francia e nei Paesi Bassi ha votato “no”.

Quali aspetti del “no” risultano oscuri alla Commissione? “No” significa che un’ampia percentuale della popolazione in Europa non vuole continuare con questa finzione. Pensavamo di unirci a un mercato comune, che è cresciuto a dismisura, fino a quest’ultima relazione, che ci sta spingendo verso una completa unione politica. Ebbene, sarà un fallimento, senza alcun dubbio, perché non è ciò che i cittadini pensavano di aver votato. Sono lieto che invece l’UKIP non sarà un fallimento, perché nulla può fermare un’idea quando è giunto il suo momento, e questa idea è la libertà nazionale.

 
  
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  Jan Tadeusz Masiel (NI).(PL) Signor Presidente, l’Europa sorse nel Medioevo, con il cristianesimo a suo fondamento. L’Unione europea fu creata in origine per prevenire lo scoppio di ulteriori guerre. Nazioni e popoli tendono a unirsi attorno a qualcosa o contro qualcosa.

Ora l’Europa appartiene al passato. E’ stata sostituita dall’Unione europea, alla quale però manca ancora una visione comune in grado di unire i suoi membri. Attualmente, chiunque tra noi può tirar fuori un motivo per cui rifiutare la Costituzione. C’è chi ritiene che il bilancio sia troppo ridotto, chi sostiene che è troppo ingente, chi nutre preoccupazioni riguardo alla Turchia. I nuovi Stati membri sono insoddisfatti della ingiusta politica agricola comune e della chiusura del mercato del lavoro. Comunque, vogliamo rimanere uniti.

Dobbiamo eliminare tutte le divisioni che ci separano prima di riportare la Costituzione ai cittadini e questa volta dobbiamo ascoltare cosa questi ultimi hanno da dirci e tenerlo in considerazione.

 
  
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  József Szájer (PPE-DE).(HU) Signor Presidente, anche se la minoranza è sempre molto più chiassosa, molti di noi qui in Parlamento sono del parere che per funzionare in modo adeguato l’Unione europea abbia bisogno di un Trattato costituzionale, in particolare in settori come la maggiore trasparenza e il maggiore ruolo di controllo del Parlamento o anche la tutela dei diritti delle minoranze in Europa.

Comunque, la ragione principale della crisi che si è creata non è il contenuto della Costituzione, che garantisce una migliore regolamentazione del futuro funzionamento dell’Unione europea, ma il fatto che agli occhi di molti cittadini l’azione dell’Unione europea non è soddisfacente né convincente. Le Istituzioni e l’élite che gestiscono l’Unione europea hanno perso la fiducia di numerosi cittadini.

Sono d’accordo con la Commissione europea, e come ho accennato nella mia proposta di emendamento, che è stata approvata, è importante che uno degli obiettivi del periodo di riflessione sia quello di trovare il modo per l’Unione europea di riguadagnare la fiducia dei cittadini. Riteniamo anche che per conseguire un risultato positivo abbiamo bisogno di discutere in che modo l’Unione europea possa migliorare la propria azione e contribuire alla soluzione dei problemi reali dei cittadini.

Il Trattato costituzionale deve essere mantenuto almeno nelle sue sezioni più importanti. Ma dobbiamo sapere che la fiducia dei cittadini dell’Unione europea non può essere riconquistata con testi complicati, bensì con i risultati dell’Unione europea, con posti di lavoro, con la crescita economica e l’efficace rappresentanza degli interessi comuni europei nel mondo. Se sapremo riconquistarne la fiducia, i cittadini sosterranno anche il Trattato costituzionale.

 
  
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  Pierre Moscovici (PSE).(FR) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto ringraziare i correlatori, onorevoli Duff e Voggenhuber, i quali hanno fatto un lavoro notevole e di ampie vedute che, come si è detto, costituisce un’eccellente base di discussione.

Sono stato membro della Convenzione, sono socialista e francese – l’ordine è puramente casuale – e vorrei ora intervenire in questo famigerato dibattito sulla morte o sulla vita della Costituzione. Rispetto profondamente i popoli che hanno votato a favore di questo testo – io stesso ho votato “sì” – ma, allo stesso tempo, non possiamo fare come se niente fosse accaduto, come se il voto degli olandesi e dei francesi non avesse cambiato la situazione. Né possiamo agire come se ormai vi fosse un’unica soluzione, un’unica via d’uscita, cioè, dopo qualche peripezia, ratificare il testo che è stato respinto dai francesi e dagli olandesi.

Per questa ragione dobbiamo aiutare i relatori e a tale scopo sono cofirmatario, con loro e l’onorevole Berès, di un certo numero di emendamenti che chiedono di tenere conto della realtà. Segnalo in particolare tre emendamenti: l’emendamento n. 18, l’emendamento n. 24, l’emendamento n. 27. Penso che se li adotteremo, se il Parlamento europeo li adotterà, esso si darà un ampio ventaglio di possibilità, non dimostrerà rigidità, contribuirà realmente al dibattito, non si chiuderà in un’unica soluzione, in un’unica parola o in un unico pensiero. In definitiva, voglio votare a favore di questo testo, come i socialisti francesi, ma non possiamo farlo se è una strada a senso unico. Continuiamo quindi il nostro percorso, votando domani a favore di questi emendamenti.

(Applausi)

 
  
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  Nils Lundgren (IND/DEM).(SV) Signor Presidente, con i referendum in Francia e nei Paesi Bassi è stato respinto il progetto di Costituzione. Su questo non può esservi alcun dubbio. Due paesi hanno votato contro nei rispettivi referendum, con grandi maggioranze e un’elevata affluenza. Il fatto che l’establishment politico europeo stia ora cercando di liquidare questo fatto con qualche spiegazione è uno scandalo democratico. Politici e funzionari di alto livello stanno apertamente discutendo come eludere i risultati di questi referendum. Hanno l’audacia, di loro iniziativa, di interpretare i risultati in termini di insoddisfazione per i governi in carica in entrambi i paesi. Stanno cominciando a calcolare quanti paesi erano favorevoli al progetto di Costituzione, nonostante fosse chiara la condizione che tutti i paesi dovevano approvare la proposta.

Raramente è stato così evidente il divario tra l’élite politica e le popolazioni sulle questioni dell’Unione europea. Tutto indica che il progetto di Costituzione sarebbe stato respinto anche in Germania, se si fosse svolto un referendum. Lo stesso vale per il Regno Unito, l’Austria, la Svezia, la Danimarca e forse anche per altri paesi. L’élite al potere dell’Unione europea, tuttavia, parla spudoratamente di difficili ostacoli che hanno fatto sentire la loro presenza l’anno scorso. Vorrei sottolineare che i risultati democratici sono ostacoli soltanto per coloro che ne sono usciti sconfitti perché manca loro il sostegno della base. E’ un fatto incontestabile.

 
  
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  Daniel Hannan (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, ascoltare questa discussione mi ha riportato alla mente la frase di Bertolt Brecht:

(DE) Wäre es dann nicht doch einfacher, die Regierung löste das Volk auf und wählte ein anderes?” – Non sarebbe più semplice se il governo sciogliesse il popolo e ne eleggesse un altro?

(EN) I popoli di due importanti Stati fondatori hanno mandato a monte i vostri progetti, amici miei. So che è difficile accettare la sconfitta, ma considerate le cifre: il 55 per cento degli elettori francesi; il 62 per cento degli elettori olandesi. Forse potreste tentare di asserire che gli elettori hanno sbagliato, che soffrono di ciò che i marxisti chiamavano falsa coscienza, che hanno bisogno di una migliore propaganda, che tocca a noi – l’euroélite – indirizzarli nella direzione corretta. A ciò rispondo: “Mettetecela tutta”.

Gli attuali sondaggi nei Paesi Bassi indicano che ora voterebbe “no” l’82 per cento degli elettori olandesi – un tributo al buon senso di quel popolo coraggioso. Ma se pensate di poterli convincere, onorevoli colleghi, fate pure. Così facendo dimostrereste almeno il vostro impegno per gli ideali democratici che tanto spesso invocate.

Sarebbe ben più oltraggioso procedere con l’attuazione della Costituzione – o, almeno, dei suoi contenuti – senza il consenso popolare. Eppure state facendo proprio questo. Guardate il numero di politiche e di istituzioni previste dalla Costituzione che è stato realizzato o si sta realizzando, malgrado tutto: il Servizio europeo per l’azione esterna, l’Agenzia europea per i diritti umani, l’Agenzia europea di difesa, il Programma spaziale europeo, l’Agenzia europea per le frontiere esterne, una Carta dei diritti fondamentali discutibile: nessuno di questi ha una adeguata base giuridica al di fuori della Costituzione. Adottandoli comunque, dimostrate che non permetterete ad alcuna forza – interna o esterna, né alle vostre stesse regole né all’opposizione espressa dai popoli nell’urna elettorale – di arrestare la corsa verso l’assimilazione politica. Così facendo, giustificate le critiche più severe dei vostri oppositori.

Con le parole del mio compatriota Oliver Cromwell, “vi supplico, per le viscere di Cristo, di contemplare la possibilità di avere torto”.

(Applausi)

 
  
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  Genowefa Grabowska (PSE).(PL) Signor Presidente, la risoluzione che stiamo discutendo è un documento di compromesso valido e sufficientemente equilibrato, che inoltre è stato elaborato a tempo di record. Si pone in linea con le priorità che la Presidenza austriaca ci ha presentato oggi e anche con la Presidenza finlandese e la futura Presidenza tedesca.

Questo significa che nonostante i dubbi e la riluttanza che sono stati espressi, la Costituzione non è certamente stata messa da parte. Non appartiene al passato. Al contrario, continua a comparire in primo piano nei nostri programmi. Come risultato del “no” francese e olandese, la Costituzione rimane viva, perché stiamo continuando a discuterne. Tutti gli europei devono trovare una risposta alla domanda sul tipo di Europa che vogliono.

Con questa risoluzione, il Parlamento esorta tutti i cittadini europei a partecipare a una discussione di vasta portata sulla domanda appena menzionata. Invita anche tutti i parlamenti e i governi nazionali a esprimere le loro aspettative. Dovremmo far presente ai governi dei nove Stati membri che non hanno ancora ratificato la Costituzione che siccome i loro Primi Ministri hanno firmato il documento, dovrebbero avviare le procedure di ratifica perché è loro diritto e dovere farlo in virtù del diritto internazionale. E’ un dovere ai sensi della Convenzione sul diritto dei trattati.

Vorrei aggiungere un’ultima osservazione. L’approccio di un paese nei confronti della Costituzione europea non è semplicemente una prova della sua volontà di contribuire a costruire un’Europa comune. E’ anche una prova della credibilità di quel paese come partner nelle relazioni internazionali.

 
  
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  Maria da Assunção Esteves (PPE-DE).(PT) Signor Presidente, oggi il Parlamento europeo ha dato il via a un grande dibattito. Istituzioni politiche e attori sociali, insieme ai media, si assumeranno la responsabilità di affrontare la seguente domanda: l’Europa vuole davvero assicurarsi un futuro?

La questione costituzionale non è una semplice questione di architettura delle istituzioni. E’ soprattutto il modo in cui l’Europa unisce l’efficacia delle sue Istituzioni con una coscienza morale a livello mondiale. Tutti noi, cittadini europei, nei corridoi del potere e in prima linea, sentiamo il peso di questa sfida. Come governare uno spazio cosmopolita enorme e aperto? Come realizzare un progetto di giustizia sia all’interno che all’esterno dei confini dell’Europa? Come costruire un modo di vivere non basato sulla tradizione? Come trasformare l’Europa in una potenza democratica, fondatrice di un nuovo ordine mondiale? Come essere un modello di unione tra comunità diverse? Come trovare una forma comune di difesa dei diritti umani in tutto il mondo? Come trovare un modo comune di influenzare il mondo? Come restituire alla politica il suo potere legislativo su un’economia globalizzata e deregolamentata? Come collegare giustizia ed efficienza? Come aprire le porte a nuovi modelli politici?

Il futuro non lascia spazio per la paura. E’ urgente discutere l’integrazione politica, esaminare la possibilità di una vita cosmopolita e più umana, discutere in che misura la Costituzione stessa rappresenta e costruisce la nostra identità europea, perché la nostra identità europea non nasce dalla tradizione, ma dalla moralità, dalla volontà e dalla ragione.

 
  
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  Pasqualina Napoletano (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il rischio di disfacimento del progetto europeo è reale e lo stiamo toccando con mano. Per costruire o ricostruire la fiducia nei cittadini abbiamo bisogno di visione, politiche efficaci e strumenti e tra questi ultimi ci sono le risorse e le istituzioni.

Io credo che, come Parlamento, non dobbiamo abbandonare la prospettiva del Trattato costituzionale e, rispetto alla diatriba sul testo attuale, ritengo che il Parlamento debba difendere tutto quello che con esso è stato acquisito. Potrà il dibattito spingersi oltre? Credo che non sarà facile ma, francamente, non mi precluderei anche questa strada.

Vorrei inoltre, come già sottolineato, che facessimo un tale percorso in stretta collaborazione con i parlamenti nazionali giacché, a mio avviso, il dibattito sulla questione è stato condotto in modo non esauriente e scorretto, soprattutto da parte dei governi europei. Desidero ringraziare la Presidenza austriaca per aver finalmente riesumato in parte la discussione. Speriamo che d’ora in poi ci possa essere una maggiore sintonia tra le diverse istituzioni.

 
  
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  Panayiotis Demetriou (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, non ripeterò gli argomenti che oggi abbiamo ascoltato dai relatori e da altri oratori sulla Costituzione. Né farò riferimento alle discussioni particolareggiate, estese ed esaurienti svolte l’anno scorso; mi soffermerò sul dialogo che ne è l’oggetto.

A mio parere, il dialogo di cui abbiamo bisogno deve riguardare non la Costituzione ma i problemi esistenziali dell’Unione europea, vale a dire: in primo luogo, in che misura l’Unione europea è ancora necessaria; in secondo luogo, se l’Unione europea è necessaria, che tipo di Unione europea vogliamo e, in terzo luogo, in che misura vogliamo che sia allargata.

Se non c’è una risposta comune a queste domande esistenziali sia a livello di politiche che di cittadini, temo che nessuna forma di Costituzione per l’Europa sarà mai accettabile ai cittadini europei. Se e nella misura in cui crediamo che l’Unione europea abbia bisogno di essere unificata e rafforzata, la nostra sfida è convincere anche i cittadini della correttezza di questo modo di procedere. La fiducia e la fede nella visione europea sono la base del consenso universale di Stati e cittadini alle disposizioni costituzionali per il funzionamento dell’Unione europea.

Se i cittadini degli Stati europei non si rendono conto dell’importanza per l’umanità dell’esistenza e dell’ulteriore unificazione e rafforzamento dell’Unione europea, prevedo che nessuna proposta costituzionale sarà accettata in futuro. Perciò credo che non dovremmo sprecare altro tempo. Dobbiamo costruire a partire dalla base che abbiamo e questa base oggi è la Costituzione. E’ su questa che dobbiamo lavorare e che dobbiamo costruire, perché temo che qualsiasi altro sforzo per creare un’alternativa fallirà e sarà un fallimento definitivo alle spese dell’unificazione e del progresso dell’Unione europea.

 
  
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  Stavros Lambrinidis (PSE).(EL) Signor Presidente, otto mesi dopo la reiezione del testo del Trattato costituzionale nei referendum tenuti in Francia e nei Paesi Bassi, siamo ancora in un periodo interminabile di riflessione sulle parole per definirlo. E’ ora di metterci al lavoro. In cosa consiste questo lavoro? A mio parere, non consiste nell’analizzarci in discussioni interminabili sulla definizione precisa del nuovo Stato sociale, dei finanziamenti dell’Unione europea e così via. Se crediamo che trovare un terreno comune tra noi su tutte queste questioni sia il presupposto per poter fare un nuovo tentativo riguardo alla Costituzione, credo che non avremo mai una Costituzione europea.

A mio parere, al contrario, questo periodo di riflessione dovrebbe avere un unico obiettivo finale. Indipendentemente delle convinzioni politiche di ciascuno, dobbiamo persuaderci che, per quanto riguarda tutte queste importanti scommesse europee, possiamo, come europei, affrontarle meglio congiuntamente che separatamente. Questo è forse anche il più importante contesto che manca perché qualsiasi testo possa risultare accettabile a tutti.

 
  
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  Reinhard Rack (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, non ho alcuna simpatia per l’idea di democrazia sposata da certi critici dell’Unione europea, che di solito si nascondono dietro le loro bandiere nazionali e cercano di conquistare altri cittadini europei alla loro causa. Ora sentiamo ripetere, più e più volte, che il 70 per cento degli austriaci non vuole questa Costituzione – un evidente riferimento agli ultimi sondaggi dell’Eurobarometro, non più significativo di quanto non siano questi ultimi, unito a un clamoroso disprezzo per le regole e le procedure democratiche vigenti in Austria, il mio paese, dove entrambe le camere del parlamento hanno ratificato la Costituzione a vasta maggioranza. Alcuni, tuttavia, danno maggiore peso alle percentuali dei sondaggi che alle procedure imposte dal diritto costituzionale.

Né ho alcuna simpatia per il modus operandi adottato da coloro che vogliono già discutere le alternative, ancor prima che il processo di ratifica in corso sia completato. Coloro che ora chiedono nuove alternative stanno trattando con disprezzo le decisioni prese democraticamente nella maggior parte degli Stati membri dell’Unione europea.

Più in particolare, dove sono queste alternative? Nella Convenzione sul futuro dell’Europa, abbiamo discusso a lungo su ogni possibilità, su un’Europa più democratica, un’Unione più sociale e così via. Più e più volte, siamo giunti agli stessi risultati. Per quanto desiderabile, ogni miglioramento di quel tipo finirebbe per produrre più Europa, e un’Europa più forte, e quindi proprio ciò che attualmente la maggior parte degli Stati membri e dei cittadini che vi abitano non vuole – una continua perdita di potere da parte degli Stati nazionali. Facciamo quindi ciò che ha proposto la maggioranza nella commissione per gli affari costituzionali; cerchiamo di informare i cittadini europei su cosa contiene realmente e cosa non contiene il Trattato costituzionale del 2004, e impegniamoci una seconda volta per raccogliere un consenso a sostegno della migliore Costituzione presente sul mercato.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, è stata per me un’esperienza molto interessante partecipare a questa discussione e seguire lo scambio di opinioni. Ne sono state espresse molte, ma una cosa che è stata detta mi colpisce in quanto corrisponde al parere della maggioranza nel Consiglio: l’Unione europea, al momento attuale, prima che riusciamo ad avere una visione più chiara della situazione, dovrebbe mantenere aperta ogni opzione realistica e ragionevole, poiché ciò che abbiamo imparato dalle nostre esperienze in questo anno passato è che le valutazioni in tempi rapidi, forse anche premature o precipitose, della situazione non ci portano da nessuna parte in questo dibattito. Sono d’accordo con l’onorevole Leinen: sarebbe incauto da parte della Presidenza del Consiglio, in questa fase del dibattito, cercare di prevenire i risultati, e una tale iniziativa rischierebbe davvero di fare danni.

Ora abbiamo bisogno di una discussione. Vorrei ribadire la mia gratitudine alla commissione per gli affari costituzionali e ai relatori, onorevoli Duff e Voggenhuber, per aver avviato questo dibattito. La Presidenza farà la sua parte. Anche noi crediamo che tutti i pareri espressi in questo dibattito debbano essere rispettati. Come ha detto la Vicepresidente Wallström con parole così appropriate, “vogliamo un’Europa per tutti”. Costruire questa Europa è un compito che si è prefissa anche la Presidenza austriaca del Consiglio. Insieme con gli altri Stati membri e in consultazione con le altre Istituzioni, lavoreremo sulla roadmap alla quale si è fatto riferimento poco fa.

In risposta all’affermazione fatta oggi secondo cui i cittadini non sono interessati ai dibattiti sulle istituzioni, vorrei sottolineare che questa nostra Europa ha, comunque, bisogno di istituzioni e di strutture istituzionali che le consentano di fare ciò che i suoi cittadini si aspettano.

Spero vivamente che ciò che ha detto il Presidente del Consiglio oggi abbia chiarito che la Presidenza austriaca del Consiglio prende davvero sul serio il compito di affrontare i problemi che riguardano e interessano i cittadini europei.

 
  
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  Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. – (SV) Signor Presidente, onorevoli deputati, ho soltanto un paio di brevi osservazioni da aggiungere. Innanzi tutto vorrei citare l’onorevole Brok, il quale, all’inizio della discussione, ha detto che i cittadini sono le parti interessate. I cittadini d’Europa sono il più importante gruppo di beneficiari e sono coloro che hanno più da guadagnare o da perdere a seconda di come affrontiamo la questione di un nuovo Trattato costituzionale per l’Europa.

In secondo luogo, voglio dire che la democrazia non è uno sport da guardare seduti in poltrona. Ci impone di partecipare ai dibattiti e a un dialogo con la popolazione, di coinvolgere i nostri leader politici e i nostri cittadini in ogni modo possibile e di aiutarci reciprocamente a svolgere i nostri diversi ruoli a questo proposito.

Dopo aver ascoltato tanti commenti ironici del tipo “che cosa esattamente non vi è chiaro in un “no”?”, voglio aggiungere che, di fatto, i sondaggi d’opinione e le interviste ci hanno indicato con precisione perché gli elettori hanno votato a favore o contro il Trattato costituzionale. Non lo abbiamo inventato noi. Noi sappiamo che ogni referendum che tocchi problemi costituzionali comporta un rischio di ottenere di fatto risposte a domande che non sono state poste. Di questo sono consapevoli i politici in tutti i nostri Stati membri.

Né è particolarmente strano il fatto che 25 Stati membri, impegnati in un dibattito su come affrontare la sfida costituzionale posta da un’Europa con un numero di paesi aumentato da 15 a 25, si interroghino di fatto su come uscire da una situazione in cui due Stati membri hanno rifiutato il Trattato costituzionale mentre 14 l’hanno approvato. Come risolvere questa situazione? Dobbiamo semplicemente portare a termine il processo o c’è una soluzione alla situazione che si è creata? Non c’è nulla di strano in queste riflessioni. Voi state semplificando un po’ troppo le cose. L’aspetto più interessante è che i rappresentanti dell’UKIP (l’Independence Party del Regno Unito), che definiscono questa Assemblea un Parlamento fittizio, sembrano fin troppo felici di non offrire una sola idea positiva e di lasciare che i contribuenti europei paghino i loro stipendi di deputati di questo Parlamento fittizio.

Io penso che, in realtà, dobbiamo ridare vigore alle nostre idee e condurre un dibattito intellettualmente onesto sui problemi riguardanti l’Europa. Sappiamo molto in proposito e non esistono scorciatoie. Per quanto possa farvi ridere, non possiamo fare altro che impegnarci nel dibattito e nel dialogo con i cittadini e discutere i fatti prima di collegarli alle soluzioni costituzionali che sono necessarie se vogliamo ottenere un’Europa più aperta, più democratica e più efficiente.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 12.00.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI).(FR) Spesso si vede la pagliuzza nell’occhio del prossimo, ma non la trave nel proprio. Gli stessi che ieri condannavano l’incredibile rinnegamento della democrazia parlamentare che aveva condotto la Commissione di Bruxelles a ripresentare la sua direttiva sui servizi portuali dopo che era stata respinta, oggi sono pronti a votare una relazione che, cosa ancor più grave, è un rinnegamento della democrazia popolare.

La Costituzione europea è stata respinta da due dei paesi fondatori dell’Unione europea, i Paesi Bassi e la Francia. Secondo il parere di tutti gli osservatori obiettivi, i cittadini di questi paesi hanno votato dopo essersi documentati in modo molto serio. Non hanno votato solamente nell’ambito di un contesto, hanno votato contro un testo. Dieci Stati membri non si sono ancora pronunciati e molti dei loro leader ritengono di non doverlo fare, perché la Costituzione, in base al diritto e al suo stesso testo, non può entrare in vigore, poiché diversi Stati firmatari si sono rifiutati di ratificarla. E’ morta.

Tutto quel che propone questo Parlamento, tuttavia, è di riflettere sul mezzo migliore di ripresentare ai cittadini la stessa minestra, negli stessi termini, facendo loro il lavaggio del cervello con campagne di propaganda, con l’aiuto compiacente dei media. E’ scandaloso e inaccettabile.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE).(EN) Non posso dare il mio appoggio a questa relazione. Il testo non riconosce che il Trattato costituzionale è stato rifiutato dagli elettori di due Stati membri. Indubbiamente, se fosse prevista la possibilità di altri referendum, emergerebbero anche altri rifiuti. I due relatori vogliono riportare in vita in qualche modo il nucleo del testo attuale, che è stato respinto. Questo non mi sembra credibile. Come si pensa che gli elettori francesi e olandesi possano accettare una simile arroganza? Siamo in un cosiddetto periodo di riflessione: utilizziamolo per ripensare, per sostituire, non per ripresentare un documento che è già stato vigorosamente rifiutato.

 

9. Benvenuto
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  Presidente. – A nome del Parlamento, vorrei porgere il benvenuto a Paavo Lipponen, Presidente del parlamento finlandese, nonché alla delegazione che lo accompagna.

 

10. Situazione in Cecenia dopo le elezioni e società civile in Russia
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulla situazione in Cecenia dopo le elezioni e società civile in Russia.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio.(DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, il conflitto in Cecenia continua a essere fonte di instabilità nel Caucaso settentrionale. La situazione politica, economica, sociale e dei diritti umani in questa repubblica caucasica continua a essere estremamente insoddisfacente e a destare concrete preoccupazioni. Tutte le Istituzioni dell’Unione europea sanno benissimo quanto la questione sia importante per le nostre relazioni con la Federazione russa.

Come sapete, il 28 novembre dello scorso anno in Cecenia si sono svolte le elezioni parlamentari, le prime elezioni legislative che si siano tenute in otto anni nel paese. L’Unione europea e l’OSCE non hanno purtroppo potuto mandare i loro osservatori a seguire queste elezioni per motivi di sicurezza. Tuttavia, il semplice fatto che per la prima volta in otto anni sia stato possibile tenere elezioni parlamentari in Cecenia è stato considerato positivo dall’allora Presidenza del Consiglio, ma occorre sottolineare che si sono verificati alcuni gravi problemi. L’Unione europea ha contribuito a formare osservatori locali per queste elezioni, e la Commissione ha fornito aiuti pari a 60 000 euro per sostenere osservatori elettorali locali, obiettivi e professionali, appartenenti a diverse organizzazioni della società civile.

Subito dopo le elezioni, l’allora Presidenza UE aveva rilasciato una dichiarazione nella quale affermava che le elezioni non si erano svolte senza problemi e che alcuni osservatori avevano manifestato preoccupazioni. La Presidenza aveva fortemente esortato le autorità russe a fare luce sulle notizie di irregolarità o intimidazioni. La dichiarazione concludeva che l’ulteriore rafforzamento delle istituzioni democratiche, nel quadro di un processo politico inclusivo, è essenziale per il sostenibile e pacifico sviluppo a lungo termine della Cecenia, nonché per la pace e la stabilità del Caucaso settentrionale nel suo complesso.

L’Unione europea ha espresso più volte seria preoccupazione riguardo al processo politico in Cecenia e continua a esortare con forza le autorità russe a dotare questo processo politico di maggiore trasparenza e legittimità. Le questioni inerenti i diritti umani e la democrazia vengono regolarmente e ripetutamente sollevate nell’ambito delle relazioni tra Unione europea e Federazione russa. L’accordo di partenariato e cooperazione, nel definire le basi delle relazioni tra Unione europea e Russia, fa riferimento al rispetto di valori condivisi quali la democrazia, i diritti umani e lo Stato di diritto.

La Cecenia è un argomento importante nelle consultazioni semestrali sui diritti umani con la Russia, avviate ufficialmente nel marzo 2005 sotto la Presidenza lussemburghese. L’UE ritiene particolarmente importante utilizzare queste consultazioni per esprimere le sue preoccupazioni in merito alla scomparsa di persone e, in generale, alla mancata incriminazione di chi viola i diritti umani. Queste importantissime consultazioni, tenutesi l’ultima volta a Bruxelles l’8 settembre 2005, proseguiranno quest’anno sotto la Presidenza austriaca. E’ necessario che l’Unione europea e i suoi Stati membri assumano un deciso impegno in proposito, poiché queste consultazioni forniscono l’occasione di discutere in maniera molto aperta e costruttiva di tali questioni.

Dopo lo scoppio del secondo conflitto ceceno, nel settembre 1999, l’Unione europea ha assunto e mantenuto una posizione chiara sulla questione del rispetto dei diritti umani. L’UE continua a invocare una soluzione politica del conflitto, e ha chiesto alla Federazione russa di lavorare a stretto contatto con i meccanismi internazionali per i diritti umani, in particolare con l’ONU e il suo relatore speciale sulla tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, nonché con il Consiglio d’Europa, e in particolare con il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, e ovviamente con l’OSCE. Un ripristino della presenza permanente dell’OSCE, sotto forma di una missione sul campo in Cecenia, sarebbe comunque uno sviluppo gradito. L’OSCE ha già svolto un ruolo estremamente importante nel tentativo di trovare una soluzione al primo conflitto ceceno e sarebbe altrettanto importante se potesse svolgere un ruolo analogo in questa circostanza.

Nel corso del Vertice UE-Russia del novembre 2004, la Russia aveva approvato il programma di aiuti della Commissione europea, del valore di 20 milioni di euro, a sostegno della ripresa socioeconomica del Caucaso settentrionale, nonché la prosecuzione dell’aiuto umanitario. Questo programma è volto a favorire la promozione di un processo politico aperto e democratico in Cecenia.

Per quanto riguarda la società civile, la situazione in cui versano le organizzazioni non governative e gli attivisti per i diritti umani, la riforma giudiziaria e la libertà dei media in Russia sono questioni che destano particolare preoccupazione e che vengono regolarmente sollevate in occasione dei colloqui tra l’UE e i rappresentanti russi. L’UE è fermamente convinta che sia nell’interesse della Russia avere una società civile forte e indipendente.

Alla fine del dicembre 2005, la Duma e il consiglio della Federazione hanno adottato il progetto di legge sulle organizzazioni non governative. L’Unione europea ha ripetutamente espresso la propria preoccupazione in merito a questo progetto legislativo, in particolare nella lettera inviata il 22 novembre 2005 al Presidente della Duma, Boris Gryzlov, e nell’ambito di un’iniziativa diplomatica avviata dalla troika il 2 dicembre 2005. Mi auguro altresì che esprimeremo nuovamente la nostra posizione sulla questione ora che la legge è stata firmata. Secondo il progetto legislativo attuale, le ONG straniere devono fornire alle autorità russe resoconti sui loro programmi e finanziamenti e sulla loro organizzazione. Alle ONG russe potrebbe venire negata la possibilità di lavorare in aree circoscritte, ipotesi che ovviamente limita moltissimo le loro attività in aree e regioni sensibili, o addirittura le rende impossibili.

Ci auguriamo che la Presidenza russa del G8, iniziata il 1° gennaio 2006, non solo stimoli il paese a migliorare la propria immagine sulla scena internazionale, ma lo aiuti anche a compiere sforzi più attivi e determinati di prima per trovare una soluzione al conflitto ceceno e quindi per migliorare la situazione del Caucaso meridionale, in cui occorre risolvere con urgenza i tre conflitti dell’Ossezia meridionale, dell’Abkhazia e del Nagorno-Karabakh. L’UE ha annunciato che seguirà da vicino le azioni della Russia durante la Presidenza del G8. La questione della società civile verrà ripetutamente sollevata anche in occasione delle consultazioni semestrali con la Russia in materia di diritti umani.

Signor Presidente, dobbiamo rimanere determinati a proseguire il dialogo con la Federazione russa sulla Cecenia e sulle altre questioni relative ai diritti umani, indipendentemente da tutte le difficoltà e dalla resistenza che potremmo incontrare, e insistere su un miglioramento della situazione

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli deputati, sono immensamente grata di avere l’opportunità di illustrare il parere della Commissione sul futuro della Cecenia dopo le elezioni. Come ha rilevato la Presidenza, è positivo che le elezioni si siano svolte senza violenza; tuttavia, non si possono ignorare le carenze da cui è stato caratterizzato il processo. Tre partiti hanno ricevuto i voti necessari ad assicurarsi la rappresentanza in seno al nuovo parlamento e, tra questi, il partito pro-Cremlino Russia Unita, ha ottenuto di gran lunga il consenso maggiore. Ci auguriamo che questo sviluppo costituisca un passo avanti verso una maggiore rappresentanza politica, una maggiore stabilità e, infine, verso una democrazia pacifica.

Né l’OSCE né il Consiglio d’Europa hanno inviato in Cecenia una missione di osservazione elettorale a pieno titolo, in quanto le condizioni in loco non lo permettevano, ma il Consiglio d’Europa ha mandato sul posto una missione d’inchiesta composta da otto persone. Non disponiamo pertanto di relazioni ufficiali, ma siamo a conoscenza delle dichiarazioni fornite dai membri di quest’ultima missione e da altre organizzazioni, nelle quali si richiama in particolare l’attenzione sulle lacune del processo, e ci aspettiamo che tali affermazioni vengano debitamente approfondite.

Pur accogliendo con favore l’impegno delle autorità federali russe a destinare somme ingenti ai fini della ricostruzione, riteniamo che si debbano avviare diverse altre azioni affinché queste elezioni costituiscano davvero un passo avanti verso una pace e una democrazia maggiori. Benché in Cecenia sembri essersi registrato un miglioramento in merito alla situazione della sicurezza, permane purtroppo una cultura dell’impunità. Occorre fare piena luce sui casi segnalati di scomparse e torture e i perpetratori, tra cui si annoverano membri delle autorità preposte all’applicazione della legge, devono essere consegnati alla giustizia.

Prendiamo atto che la Russia si è detta disponibile a collaborare con i meccanismi dell’ONU per i diritti umani tra cui, per esempio, l’Alto Commissario per i diritti umani Louise Arbour. Occorre dare attuazione pratica a queste affermazioni e instaurare un rapporto di cooperazione con i relatori speciali delle Nazioni Unite. E’ altrettanto importante fare in modo che, in Cecenia, il mediatore locale adempia ai propri doveri in maniera imparziale ed efficace.

Come si è già detto, vorrei sottolineare che la Commissione europea sta facendo la propria parte nella regione. Abbiamo definito un programma di 20 milioni di euro per la ripresa socioeconomica del Caucaso settentrionale, perché riteniamo che questa sia una delle cause alla radice del conflitto. Si tratta di finanziamenti aggiuntivi rispetto agli aiuti umanitari di cui, tramite ECHO, siamo già i maggiori donatori. Questa è la chiara dimostrazione che intendiamo partecipare attivamente al processo di rafforzamento della democrazia e della stabilità nella regione.

Il nostro programma contribuirà a sostenere il tanto necessario risanamento dei settori della sanità e dell’istruzione e favorirà la creazione di posti di lavoro e le attività finalizzate alla generazione di reddito. Quando rivestivo l’incarico di ministro degli Esteri austriaco, mi sono recata in Cecenia in qualità di Presidente dell’OSCE. Ricordo benissimo quella visita. Abbiamo visto di persona le strutture sanitarie e sono davvero necessari molti miglioramenti.

Abbiamo inoltre intenzione di aprire un ufficio nella regione del Caucaso settentrionale, se possibile a Vladikavkaz, attraverso il quale avremmo la possibilità di controllare l’attuazione del nostro programma e di essere informati in modo più adeguato sulla situazione in loco.

Vorrei tuttavia esprimere la preoccupazione che nutriamo per le costanti difficoltà che devono affrontare le ONG, come diceva la Presidenza, tra cui quelle che ricevono aiuti dalla Commissione europea, come la Società per l’amicizia russo-cecena di Niznij Novgorod. Si tratta di un problema che riguarda anche le ONG che forniscono assistenza umanitaria nel quadro del programma ECHO.

In tale contesto, desidero richiamare la vostra attenzione sui recenti emendamenti apportati alla legislazione russa sulle ONG. Abbiamo espresso le nostre preoccupazioni per l’effetto che tale legislazione avrebbe avuto sulle ONG finanziate nell’ambito di ECHO nel Caucaso settentrionale attraverso i programmi EIDHR e TACIS alla presidente del Consiglio presidenziale per lo sviluppo della società civile e dei diritti umani. Ho anche discusso la questione con il ministro degli Esteri Lavrov, che mi ha garantito che la Duma avrebbe modificato la proposta in sede di seconda lettura. Il testo legislativo approvato infine dalla Duma tiene effettivamente conto delle preoccupazioni espresse dall’Unione europea e dal Consiglio d’Europa, fatto di cui ci rallegriamo. Tuttavia, continuiamo a temere che la portata di alcune disposizioni sia troppo ampia – ad esempio per quanto riguarda il divieto di registrazione imposto alle ONG locali e i controlli esercitati sia sulle ONG locali che su quelle straniere.

Stiamo seguendo con attenzione il modo in cui queste disposizioni vengono attuate. Ora è questo il nostro compito. Coglieremo inoltre tutte le occasioni possibili per segnalare alle autorità russe qualsiasi preoccupazione dovesse emergere riguardo a tale attuazione. Il dialogo politico che intratteniamo regolarmente con la Russia e il prossimo ciclo di consultazioni UE-Russia sui diritti umani, previsto per marzo, costituiscono un’ottima occasione per agire in tal senso.

 
  
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  Charles Tannock, a nome del gruppo PPE-DE.(EN) Signor Presidente, la Russia si trova chiaramente dinanzi a una grave minaccia criminale e terroristica in Cecenia, e la regione circostante del Caucaso settentrionale rimane instabile, con uccisioni quotidiane sia tra le forze di sicurezza che tra i criminali. Sono inoltre frequenti i sequestri di civili, che restano impuniti e vengono eseguiti da inaffidabili e pericolose unità paramilitari. Ricordiamo tutti la tragedia di Beslan. Inoltre continuo a non ricevere risposte soddisfacenti dal mio governo, il governo britannico, sui motivi che lo inducono a concedere lo status di rifugiato ad Ahmed Zakayev, che fa parte del cosiddetto governo ceceno in esilio alla pari del terrorista ricercato Shamil Basayev, responsabile della strage di Beslan. Si continua tuttavia ad assistere anche a una fuga verso l’Occidente di rifugiati ceceni effettivamente innocenti, vittime di questa guerra brutale. L’UE ha quindi ogni interesse a chiedere che i diritti umani vengano rispettati, nonché ad assumere un atteggiamento più critico nei confronti degli standard democratici che hanno caratterizzato le elezioni del novembre 2005.

Attualmente siamo preoccupati, ad esempio, per la decisione di un tribunale locale, che ha vietato al Centre for Peacemaking and Community Development, un gruppo umanitario russo-britannico, di operare in Inguscezia. Tale tribunale sta inoltre esaminando la richiesta di proibire le attività di un’altra associazione caritativa, la statunitense International Medical Corps. Questo atteggiamento dimostra quanto la presenza straniera delle ONG umanitarie che operano nella regione sia fortemente osteggiata; inoltre illustra come il fenomeno dell’autoritarismo sia sempre più diffuso in tutta la Russia, come ha perfettamente documentato di recente l’organizzazione Freedom House, e come abbiamo potuto constatare dalla legge sulle ONG straniere da poco approvata dalla Duma, in cui persino la versione definitiva continua a consentire di negare la registrazione a qualunque gruppo straniero minacci la sovranità, il patrimonio culturale e gli interessi nazionali della Russia – argomentazioni vaghe che lasciano spazio all’interpretazione delle autorità amministrative locali.

Con la nostra risoluzione odierna intendiamo continuare a esercitare pressioni sulla Federazione russa affinché applichi standard più elevati in materia di diritti umani in questa sventurata regione, ormai da tempo vittima di conflitti.

 
  
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  Reino Paasilinna, a nome del gruppo PSE.(FI) Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono ormai quasi quindici anni che adottiamo risoluzioni sulla Cecenia, e sono sempre state critiche. Nel 2004 il Parlamento ha anche inviato in Cecenia una delegazione, di cui sono stato presidente. Ovviamente la risoluzione odierna se n’è già dimenticata.

Sono molti gli aspetti critici della posizione comune adottata oggi su questo conflitto. Il documento invita la Duma a costituire una commissione d’inchiesta incaricata di indagare sull’azione delle autorità cecene. Un’altra proposta è quella di istituire un tribunale internazionale temporaneo con il compito di fare luce su questi reati. Vi sono altre proposte. In tutto questo tempo, dalle nostre proposte non è scaturito alcun risultato importante. Ho chiesto al paese che detiene la Presidenza se possiamo occuparci dell’intero conflitto nel suo complesso, e non solo delle parti che preoccupano la Russia, sottoponendo alla Federazione russa l’intera questione. Noi, ovviamente, possiamo fornire il nostro aiuto a tal fine, come ha osservato il Commissario Ferrero-Waldner. Abbiamo tutti interesse a rabbonire la Russia e, poiché la leadership russa ha chiesto qualche buon consiglio, dovremmo sicuramente cercare insieme una soluzione in tal senso. Il capo del paese che detiene la Presidenza dispone dei mezzi giusti per contattare il Presidente Putin a questo riguardo; potrebbe parlargli direttamente.

 
  
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  Cecilia Malmström, a nome del gruppo ALDE.(SV) Signor Presidente, centinaia di migliaia di morti e mutilati e migliaia di bambini rimasti traumatizzati e orfani fanno della Cecenia una ferita aperta sul nostro continente. Con la terribile crisi dei profughi, questa è una tragedia umana sotto ogni aspetto. Vengono commesse atrocità sia dalle forze militari che paramilitari, e nessuno è stato consegnato alla giustizia né è stato chiamato a rendere conto delle proprie azioni. Entrambe le parti hanno commesso abusi, ma i civili ceceni hanno sofferto a dismisura. Questo significa che la comunità internazionale e noi in seno all’Unione europea abbiamo l’obbligo, anzi, il dovere, di intervenire. Non possiamo restare indifferenti. Dobbiamo condannare gli atti di violenza e chiedere alla Russia di intensificare gli sforzi per trovare una soluzione pacifica al problema. Oltre alle azioni molto costruttive che stiamo già portando avanti, noi come Unione europea in futuro dobbiamo anche saper fornire aiuto sotto forma di mediazione, ricostruzione e ulteriore ripristino delle aree colpite dal conflitto.

Nonostante tutto, le elezioni sono state in certa misura un successo. La situazione è tuttavia incerta e resta moltissimo da fare. Occorre individuare le forze democratiche cecene e tentare di avviare un dialogo, poiché l’unica strada possibile sono i negoziati. Ovviamente condanniamo gli atti terroristici commessi dai separatisti ceceni, e non condanneremo mai abbastanza le abominevoli azioni compiute, ad esempio, a Beslan e nel teatro di Mosca.

Con tali negoziati in vista, gli sviluppi in Russia sono molto preoccupanti. Lo hanno affermato sia il Commissario che il Presidente in carica del Consiglio. A seguito non solo della legislazione che frappone ostacoli all’opera delle organizzazioni di volontari, ma anche delle conseguenti restrizioni imposte ai media, è difficile avviare un dialogo. E’ difficile sia formulare critiche sia compiere eventuali progressi.

E’ gratificante che il Presidente in carica del Consiglio abbia espresso così chiaramente le proprie critiche nei confronti della Russia. Il Parlamento europeo è da molto tempo alla ricerca di una strategia più coerente sulla Russia. Purtroppo, sappiamo bene che, a causa del fabbisogno energetico, ad esempio, sono fin troppi i singoli Stati membri che continuano a dare prova di ipocrisia in merito al trattamento riservato ai diritti umani nel nostro grande vicino e alle sue violazioni dello Stato di diritto. La Cecenia deve essere sempre presente nella nostra agenda. Lo dobbiamo sia al popolo russo che a quello ceceno e, se vogliamo rimanere credibili, anche a noi stessi.

(Applausi)

 
  
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  Bart Staes, a nome del gruppo Verts/ALE.(NL) Signor Presidente, Presidente in carica Winkler, signora Commissario, quando vi sento parlare, sono lieto che siamo deputati al Parlamento europeo e che abbiamo la fortuna di non essere diplomatici e di non avere perso il contatto con la realtà. Fortunatamente, abbiamo ancora il diritto di esprimere la nostra sorpresa o indignazione.

E’ per questa ragione che, negli ultimi anni, il Parlamento europeo ha assunto l’iniziativa di condannare gli atti illeciti commessi in Russia e Cecenia. La Cecenia e il Caucaso settentrionale sono pervasi da un inequivocabile senso di illegalità. Si assiste a un sempre maggior numero di sequestri, abusi e uccisioni casuali. E’ corretto dire che la Federazione russa non ha alcun controllo sulla situazione. E’ anzi vero il contrario; attraverso l’Inguscezia, il conflitto si sta diffondendo dalla Cecenia all’intero Caucaso settentrionale.

E’ davvero scandaloso che Consiglio e Commissione affermino che le elezioni organizzate in una situazione simile hanno avuto un esito sufficientemente apprezzabile. Esorto dunque la Commissione, il Consiglio, i ministri degli affari Esteri e in particolare il ministro degli Esteri belga, che è attualmente il presidente in carica dell’OSCE, a dire esattamente come stanno le cose. In conclusione, a questo punto vorrei rivolgere una richiesta d’aiuto affinché la Russia...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Jonas Sjöstedt, a nome del gruppo GUE/NGL.(SV) Signor Presidente, come è stato rilevato in quest’Aula, le elezioni in Cecenia sono state effettivamente caratterizzate da lacune e carenze notevoli. Questo è indubbio. Al tempo stesso, esse rappresentano un passo avanti. Ora esiste la possibilità di costruire istituzioni politiche in Cecenia e di farlo con maggiore credibilità. E’ piuttosto evidente che, dopo tutti questi anni di atrocità e guerra, non può esistere una soluzione militare al conflitto in Cecenia. E’ illusorio credere, come fa il governo russo, che sarà possibile reprimere ogni tipo di opposizione nel paese. In ultima analisi occorrono un processo politico e dei negoziati.

E’ un fatto ovvio per tutti noi che gli abominevoli atti di terrorismo compiuti dai separatisti ceceni vanno condannati. E’ altrettanto importante rilevare che, di fatto, la Russia ha a sua volta condotto una politica di terrorismo contro parti della popolazione cecena. Ha commesso enormi atti di crudeltà senza che nessuno sia stato chiamato a risponderne. Questo comportamento fa direttamente il gioco delle forze cecene più estreme. Soltanto quando atti simili cesseranno sarà presumibilmente possibile dialogare e individuare una soluzione pacifica.

 
  
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  Michał Tomasz Kamiński, a nome del gruppo UEN.(PL) Signor Presidente, il dibattito che si tiene in Aula oggi illustra la natura democratica del Parlamento europeo.

Desidero ringraziare gli oratori precedenti per la loro accurata e attendibile valutazione della situazione in Cecenia. Occorre tuttavia affermare a chiare lettere che, benché in seno al Parlamento europeo si possa svolgere questo tipo di dibattito, non si può fare altrettanto in Russia, perché in quel paese il concetto di democrazia così come lo intendiamo noi in Occidente non esiste. Mosca e San Pietroburgo non sono in guerra. Se non c’è democrazia in quelle regioni, sicuramente non ci sarà neanche a Grozny né nel resto della Cecenia, dove è in corso una guerra.

Oggi il Commissario Ferrero-Waldner ha dichiarato che l’Unione europea non ha potuto inviare osservatori elettorali in Cecenia perché le condizioni nel paese non lo permettevano. Desidero ringraziare il Commissario per la sua onestà. Sono tuttavia costretto a rilevare che, se le condizioni in loco non consentivano di garantire la sicurezza di eventuali osservatori, come possiamo innanzi tutto accettare che quelle stesse condizioni fossero adeguate per lo svolgimento delle elezioni? Semplicemente non lo erano. Uno dei motivi dell’inadeguatezza di tali condizioni era che, in termini di diritto internazionale, la Cecenia è uno Stato indipendente che si trova sotto l’occupazione straniera. Desidero rilevare con forza questo punto. Il popolo ceceno non ha mai espresso liberamente il desiderio di fare parte della Federazione russa. La Cecenia ha dichiarato la propria indipendenza e, a seguito di tale dichiarazione, il mondo intero ha assistito all’invasione del paese da parte dei carri armati russi.

Indipendentemente dal partito politico che rappresentiamo in quest’Aula, se davvero condividiamo i valori fondamentali della democrazia e del diritto all’autodeterminazione su cui si fonda la nostra Comunità, come Parlamento dobbiamo lanciare un appello urgente per chiedere la libertà del popolo ceceno.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho l’impressione che l’Unione europea e il Parlamento non perdano l’occasione di censurare e contrastare, spesso con pochi riscontri oggettivi, autorità e governi di Stati con i quali avrebbe, invece, tutto l’interesse a curare buone relazioni. Questo andrebbe fatto con la Russia, piuttosto che sprecare milioni di euro dei contribuenti europei in dubbie iniziative di sostegno ad organizzazioni cosiddette di “vigilanza democratica”.

Per costruire un’Europa per tutti è indispensabile ragionare in modo omogeneo nel valutare misure di sicurezza e antiterrorismo che hanno o possono influire sulla tranquillità e la stabilità anche della nostra Unione.

Non credo sia necessario ricordare in questa sede alcuni terribili crimini commessi contro la popolazione civile, in Cecenia e in Russia, da chi sostiene di battersi per l’autodeterminazione del popolo ceceno. Voglio però dire che si pretende di interferire e di condannare e che spesso si valutano con due pesi e due misure situazioni omologhe in diverse parti del mondo.

La risoluzione sulla Cecenia ne è l’ennesimo esempio e io ancora una volta non avallo risoluzioni ipocrite oltre che contrarie agli interessi di stabilità alle frontiere sudorientali dell’Unione, interessi che devono considerare la necessità...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Tunne Kelam (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, secondo le organizzazioni russe per i diritti umani, queste cosiddette elezioni sono avvenute solo sulla carta. La partecipazione della popolazione locale è stata molto bassa – pressoché inesistente. Anzi, è scandaloso che migliaia di soldati dell’esercito russo, insieme a una fazione armata di Kadyrov, il leader nominato dal Cremlino, abbiano preso parte alla votazione. Queste elezioni devono quindi essere considerate come una copertura volta a nascondere gli atti di violenza e oppressione che continuano a essere perpetrati nel paese.

Nel 2000, durante l’attacco sferrato dalle forze russe su Grozny, l’attivista cecena per i diritti umani Lida Yusupova si trovava seduta nello scantinato di una casa semidistrutta. La popolazione locale si sentiva indifesa e abbandonata. In qualche modo era venuta a sapere che, in quello stesso momento, a Strasburgo l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa stava discutendo della situazione in Russia. Ascoltando un programma radiofonico, gli abitanti più anziani chiesero alla signora Yusupova: “Ci aiuteranno? Strasburgo è la nostra unica speranza”. A sei anni di distanza, a questa domanda non è ancora stata data risposta.

Ieri, la riunione dei rappresentanti delle organizzazioni russe per i diritti civili ha confermato le preoccupazioni che esprimiamo da molto tempo. L’ultima importante espressione di tale preoccupazione è stata la relazione Malmström. La risoluzione odierna afferma purtroppo che sia il Consiglio che la Commissione non hanno affrontato adeguatamente queste preoccupazioni e la questione delle gravi violazioni dei diritti umani. Si potrebbe persino dire che hanno omesso di farlo. E’ quindi venuto il momento di adottare una posizione unita e di principio su tali questioni, perché le violazioni di massa dei diritti umani in Cecenia, che continuano a restare impunite, si stanno diffondendo nell’intera Federazione russa come un virus.

Infine, la risoluzione odierna...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Richard Howitt (PSE).(EN) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto esprimere il mio profondo rammarico perché, a quanto pare, ieri il Presidente Putin ha firmato una nuova legge volta a controllare le organizzazioni non governative, in concomitanza con la decisione della Corte suprema dell’Inguscezia di non autorizzare l’associazione caritativa britannica The Centre for Peace and Community Development, con il cui rappresentante a Mosca ho parlato questa mattina. Questa organizzazione aveva fornito aiuti umanitari a circa 1 000 bambini profughi ceceni ed è la dimostrazione di quanto questa legge rappresenti un giro di vite.

E’ chiaramente incompatibile con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo ed è indispensabile che l’Unione europea non si limiti semplicemente a protestare, ma intervenga, insistendo tra l’altro affinché le organizzazioni non governative partecipino alle consultazioni sui diritti umani tra UE e Russia.

Sembra invece che quello del Presidente Putin sia un tentativo di giungere a una soluzione militare, accompagnato da flagranti violazioni dei diritti umani quali detenzioni arbitrarie, confessioni forzate e torture, e la scomparsa di circa 2 500 persone dal 1999. Il Presidente Putin si riferisce al vicino Dagestan definendolo “un mini Iraq alle porte della Russia”. Non possiamo permettere che la situazione continui a evolversi in questo modo.

 
  
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  Milan Horáček (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, signora Commissario, la legge sulle ONG è stata firmata in segreto dal Presidente Putin. Alle prime tre organizzazioni per gli aiuti umanitari dell’Inguscezia, una delle quali si occupava di prestare assistenza ai profughi, è già stato impedito di svolgere le loro attività.

Dall’atteggiamento dei regimi autoritari nei confronti della società civile si evince quanto sia loro sgradita la diffusione di notizie attendibili e indipendenti su questioni quali la tragica guerra in Cecenia. ONG come Memorial ci forniscono informazioni su violazioni dei diritti umani in Cecenia, in cui è impossibile tenere elezioni libere.

Così come aveva sollevato la questione di Guantánamo a Washington, il Cancelliere Merkel si è soffermata sul punto dolente della Cecenia nel corso della sua visita in Russia, e la risposta che ha ricevuto dal Presidente di quel paese è stata che nell’ambito della democrazia e dei diritti umani si registrano lacune anche in Occidente, in altre parole anche nell’Unione europea. Tutto ciò che posso dire è: nell’UE non esistono simili restrizioni di massa alla libertà di opinione, né una guerra terribile come quella della Cecenia, né un sistema giudiziario che si fa completamente beffe dello Stato di diritto come nel caso Yukos, né condizioni di detenzione disumane come quelle cui sono stati sottoposti Khodorkovsky e Lebedev. I diritti umani sono universali e indivisibili e vanno rispettati.

 
  
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  Aloyzas Sakalas (PSE).(LT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei innanzi tutto rilevare che la risoluzione proposta è molto più concreta di tutte quelle che l’hanno preceduta, nelle quali il massacro dell’innocente popolo ceceno veniva giudicato a seconda di chi lo attuava – i separatisti o i soldati dell’esercito russo. Le azioni compiute nel primo caso venivano definite come un atto di terrorismo, mentre quelle attuate nel secondo venivano considerate violazioni dei diritti umani. La conclusione che possiamo trarre è che i nostri giudizi non dipendono dal fatto in sé, quanto dal potere di chi l’ha compiuto e dal suo possesso di risorse petrolifere e gassose.

Tuttavia, vorrei precisare che le nostre risoluzioni saranno efficaci solo se gli Stati membri dell’Unione europea adegueranno la loro politica estera al contenuto di tali risoluzioni. D’altra parte, perché il Presidente Putin dovrebbe reagire alle nostre lamentele, quando continua a essere accolto a braccia aperte nei nostri Stati e gli viene addirittura affidato un incarico molto prestigioso e denso di responsabilità come quello di presiedere le riunioni del G8? Pertanto, se da un lato propongo di approvare la proposta di risoluzione, dall’altro vorrei che ad essa seguissero le debite azioni diplomatiche, onde evitare che diventi l’ennesima risoluzione che in sostanza non cambia nulla.

 
  
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  Józef Pinior (PSE).(PL) Signor Presidente, mentre il Parlamento europeo discute della Russia, a Niznij Novgorod continua il processo di Stanislav Dmitrijewski, redattore capo del quotidiano Prawo Zaszczyta e presidente della Società per l’amicizia russo-cecena.

Dmitrijewski è uno dei più illustri difensori dei diritti umani della Federazione russa. Il sito Internet della Società per l’amicizia russo-cecena è la piattaforma principale su cui viene illustrata la situazione dei diritti umani e delle libertà politiche nel Caucaso meridionale, e in particolare in Cecenia. La prossima udienza del processo Dmitrijewski è fissata per il 3 febbraio 2006.

Quando parliamo della Russia tendiamo a esprimere le nostre preoccupazioni per lo stato della democrazia e anche per le restrizioni dei diritti umani e delle attività delle organizzazioni non governative. Tuttavia, è più che giusto ricordare che esiste anche un altro tipo di Russia. Quest’altra Russia è un paese in cui pullulano i difensori dei diritti umani e i politici disposti a tenere testa al sistema politico autoritario. E’ anche una Russia che ha una cultura fiorente e una società civile sensibile che costituisce un autentico legame tra la Russia contemporanea e l’Unione europea.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio.(DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, prendiamo molto sul serio le preoccupazioni espresse nel corso del dibattito sulla situazione in Cecenia e sul trattamento riservato ai diritti umani in Russia. Vorrei riprendere l’affermazione formulata stamani dal Presidente del Consiglio europeo, Cancelliere Schüssel: per noi i diritti umani e le libertà fondamentali sono indivisibili. Sono valori europei e mi preme segnalare che, com’è ovvio, ciò vale anche per la Russia. L’Unione europea – e in questo caso mi riferisco in particolar modo alle attività del Consiglio – discute regolarmente con la Russia, a tutti i livelli, delle violazioni dei diritti umani perpetrate in Cecenia. Non so se il linguaggio che utilizziamo durante tali discussioni sia troppo diplomatico per i vostri gusti, ma resta comunque quello che usiamo con i nostri partner russi.

E’ particolarmente importante mantenere il dialogo perché solo grazie ad esso possiamo esprimere le nostre preoccupazioni sulle violazioni dei diritti umani. Ecco perché le consultazioni sui diritti umani che abbiamo avviato, e che terremo regolarmente, rivestono particolare importanza. Il prossimo ciclo è previsto per marzo, e il Consiglio si sta preparando per queste consultazioni in maniera molto coscienziosa.

Ovviamente, condividiamo anche noi le preoccupazioni sollevate in questa sede in merito alla legge sulle organizzazioni non governative. A nostro parere è deplorevole che questa legge sia stata firmata. State certi che il Consiglio solleverà tali preoccupazioni e seguirà con molta attenzione la situazione delle organizzazioni non governative in Russia. Naturalmente sono d’accordo anche con l’onorevole deputato che ha affermato che dobbiamo consolidare le forze democratiche russe che rispettano la democrazia e i diritti umani. Posso assicurarvi che stiamo facendo proprio questo.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei tornare sulla questione delle elezioni. E’ stato il Consiglio d’Europa a mandare sul posto una missione d’inchiesta composta da otto persone; noi non abbiamo inviato alcuna missione di osservazione elettorale. Le elezioni non sono state né libere né eque e le scorrettezze non sono mancate; al tempo stesso, tuttavia, si sono compiuti progressi, perché per la prima volta il processo elettorale si è svolto senza violenza nonostante le difficili circostanze in cui è avvenuto. Un servizio locale, finanziato dalla Commissione, ha affermato che si sono registrate alcune irregolarità, ma che, in generale, la partecipazione degli elettori è stata più elevata di quanto fosse mai avvenuto in passato: l’affluenza alle urne, infatti, è stata pari al 55 per cento. Constatiamo che si è compiuto qualche progresso, ma sappiamo che, nel complesso, la situazione non è di certo soddisfacente.

Detto questo, permettetemi anche di dire quali sono le ragioni all’origine di tale situazione. Siamo dinanzi a un conflitto politico che richiede una soluzione politica, ma siamo anche dinanzi a una grande povertà e, pertanto, si devono combattere anche le cause che sono alla radice di tale povertà. E’ proprio ciò che la Commissione, con il programma TACIS, sta attualmente cercando di fare in tre settori: sanità, istruzione – in particolare creazione di posti di lavoro – e generazione di reddito. Sappiamo che il motivo principale che spinge molte persone ad abbandonare il paese è la mancanza di occupazione.

In terzo luogo, come ho affermato molto chiaramente, per quanto riguarda le ONG seguiremo ora con grande attenzione il modo in cui le disposizioni vengono attuate, poiché questa legge è stata firmata dal Presidente Putin solo ieri od oggi. Ora dobbiamo esaminarla. Concordo con la Presidenza sulla necessità di intrattenere un regolare dialogo politico con la Russia.

Potete stare certi che non omettiamo mai nulla. Come ho affermato prima, ho parlato con il ministro degli Esteri Lavrov della questione e, perlomeno, sono stati presi in considerazione alcuni emendamenti; tuttavia, nel complesso convengo con quanti affermano che, per quanto riguarda la Russia, è necessaria una politica coerente che includa anche la questione della sicurezza energetica. Sappiamo che per noi la Russia è un importante fornitore, che per noi è un partner strategico, ma è anche un partner con cui talvolta intratteniamo un dialogo in cui vengono espresse osservazioni critiche.

 
  
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  Presidente. – Comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione(1) ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del Regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 12.00.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. KAUFMANN
Vicepresidente

 
  

(1) Cfr. Processo verbale.


11. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni al Consiglio)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca il Tempo delle interrogazioni (B6-0676/2005). Saranno prese in esame le interrogazioni rivolte al Consiglio.

Prima di cominciare il Tempo delle interrogazioni, vorrei innanzi tutto fare un annuncio e in secondo luogo informarvi che, subito dopo, prenderà la parola il Presidente in carica del Consiglio Winkler. Di concerto con il Consiglio, introduciamo da oggi un nuovo sistema per il Tempo delle interrogazioni. I particolari riguardanti questo sistema sono stati forniti a tutti i deputati in una comunicazione datata 9 dicembre 2005. Il Tempo delle interrogazioni sarà ora suddiviso in due parti. Durante la prima parte, il ministro responsabile per gli Affari generali risponderà a quattro interrogazioni prioritarie, scelte dal Presidente. Durante la seconda parte, il ministro degli Affari esteri, in questa occasione, risponderà a nove interrogazioni, nel caso specifico quelle che vanno dal numero 5 al numero 14, tutte riguardanti temi di sua competenza.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, onorevoli deputati, sono lieto di avere oggi per la prima volta l’opportunità di essere qui a rispondere alle vostre interrogazioni. Colgo l’occasione per parlare di un aspetto già menzionato. La Presidenza è consapevole del fatto che il Tempo delle interrogazioni è un importante strumento democratico, perché consente ai deputati di ottenere risposte dal Consiglio a domande importanti per il loro lavoro politico.

Abbiamo quindi studiato, insieme all’Ufficio di presidenza del Parlamento, come utilizzare al meglio e nel modo più efficace il Tempo delle interrogazioni in quanto strumento. Come ha già spiegato l’onorevole Kaufmann, questa riflessione ha fatto emergere alcune idee di riforme che vorremmo sperimentare insieme per la prima volta oggi. Questo nuovo tipo di Tempo delle interrogazioni intende trattare in un primo momento temi attuali di interesse generale e quindi utilizzare il tempo rimanente per discutere un particolare settore specialistico, in altri termini consente di rivolgere interrogazioni al Presidente in carica responsabile per tale ambito. Questo, credo, ci aiuterà a trattare le questioni che vi interessano in modo più mirato. Noi speriamo che questa nuova procedura sia più utile al Parlamento e favorisca altresì un dialogo interistituzionale più positivo e con basi migliori, obiettivo cui la Presidenza austriaca tiene particolarmente.

Stiamo portando avanti questo discorso anche se l’Austria è un paese con un governo relativamente ridotto, e ha quindi un numero di ministri relativamente esiguo per questo nuovo stile di dialogo, ma vogliamo compiere tale sforzo nell’interesse comune. Non è stato particolarmente facile convincere gli altri membri del Consiglio ad accettare questi cambiamenti, ma ci siamo riusciti. Mi auguro, signora Presidente, che il maggior numero possibile di deputati accolga questa nostra proposta e che, in futuro, la loro presenza renda il Tempo delle interrogazioni un momento più animato.

 
  
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  Presidente. – Passiamo ora al Tempo delle interrogazioni.

Annuncio l’interrogazione n. 1 dell’onorevole Liam Aylward (H-1119/05):

Oggetto: Cambiamento climatico

Potrebbe il Consiglio europeo riferire sul successo o meno della Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, tenutasi a Montreal in Canada nella settimana dal 5 dicembre 2005?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, come l’onorevole Aylward saprà, il Consiglio europeo ha di recente accolto con favore i risultati positivi della Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico tenutasi a Montreal dal 28 novembre al 10 dicembre 2005. Nel quadro del piano d’azione di Montreal, le future discussioni in materia di cambiamenti climatici dovrebbero ora seguire due percorsi paralleli. In primo luogo, le parti che hanno ratificato il Protocollo di Kyoto avvieranno negoziati sugli obiettivi giuridicamente vincolanti in materia di emissioni per i paesi industrializzati nel secondo periodo di impegno. In secondo luogo, tutte le parti aderenti alla Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, inclusi gli Stati Uniti e i più grandi paesi in via di sviluppo, hanno concordato di avviare discussioni a livello globale riguardanti misure coordinate a lungo termine in relazione al cambiamento climatico. Nel complesso, il Protocollo di Kyoto ha ora raggiunto la piena funzionalità, e noi crediamo che nel quadro delle Nazioni Unite sia stata spianata la strada a ulteriori progressi.

 
  
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  Liam Aylward (UEN).(EN) Innanzi tutto desidero porgere il benvenuto al Sottosegretario Winkler per la sua prima presenza ufficiale al Parlamento, formulando a lui e ai suoi colleghi di governo i migliori auguri per il loro semestre di Presidenza e ringraziandolo per la sua risposta esauriente.

Accolgo con soddisfazione i risultati dei negoziati di Montreal, che alla fine hanno avuto un esito relativamente positivo. Vorrei, tuttavia, rivolgere una domanda sia al Consiglio che alla Commissione, in relazione alla decisione presa a Sydney il 12 gennaio 2006 dai paesi AP6, vale a dire Cina, India, Corea del Sud, Giappone, Stati Uniti e Australia, i quali hanno stabilito che rappresentano il 45 per cento della popolazione mondiale e sono responsabili di quasi la metà delle emissioni di gas serra. Dato che stanno affrontando la questione da soli e non esiste un meccanismo obbligatorio per il quale debbano rispettare determinati principi, mi chiedo in che modo nel Consiglio e nella Commissione potremo svolgere un ruolo di guida per trattare la questione.

 
  
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  Presidente. – Onorevole Aylward, anche se nei suoi confronti sono stata molto indulgente considerando le parole di benvenuto che ha rivolto alla Presidenza del Consiglio, devo ricordare a tutti i deputati che hanno a disposizione solo 30 secondi per le domande complementari. Se tutti sforiamo il tempo di parola, potremo trattare ben poche interrogazioni, perciò vi chiedo di attenervi al tempo a disposizione per le domande complementari.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, è chiaro – ed è stato dimostrato anche dai negoziati di Montreal – che i maggiori produttori di gas serra sono ora maggiormente coinvolti nel dialogo riguardante un futuro meccanismo per la protezione del clima, ed è importante che nessuno proceda in isolamento.

Il futuro meccanismo potrebbe comportare cambiamenti strutturali grazie ai quali per l’Europa dovrebbe essere decisamente più facile ridurre ulteriormente le emissioni di gas serra mediante gli sforzi compiuti finora. Si sono registrati anche alcuni sviluppi significativi al di fuori del processo internazionale sul clima e varie regioni hanno varato una serie di iniziative.

Il piano d’azione di Gleneagles, se posso fare un accenno in questa occasione, pone l’accento dei più importanti partner commerciali dell’Unione europea sul trasferimento di tecnologia e sulla gestione degli effetti del cambiamento climatico, e comporta un impegno al dialogo e alla cooperazione tecnologica con l’India, la Cina e la Russia.

E’ nell’interesse dell’Unione europea lavorare con tutti i paesi, sia nel quadro del dialogo internazionale sul clima che in altri contesti, per assicurare che i nostri obiettivi comuni di riduzione delle emissioni non siano minati dalle azioni di gruppi o Stati.

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, i rapporti dell’industria indicano che il sistema di scambio delle quote di emissione causa distorsioni del mercato dell’energia e aumenti del prezzo dell’elettricità, oltre ad avere un impatto negativo sulle strategie nazionali in materia di clima. Il Consiglio ritiene che la direttiva dell’Unione europea sugli scambi delle quote di emissione stia soddisfacendo i suoi obiettivi originari e crede che una tassa sul biossido di carbonio possa essere una fonte di entrate per l’Unione europea?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, il sistema europeo di scambio di emissioni è una delle pietre angolari della lotta contro i cambiamenti climatici. Costituisce il primo sistema internazionale per lo scambio di emissioni di CO2 nel mondo, e copre circa 12 000 stabilimenti, raggiungendo quasi la metà di tutte emissioni di CO2 in Europa e aiutando gli Stati membri a realizzare i loro obiettivi in termini di emissioni. Nessun altro sistema consente una riduzione delle emissioni in modo così economico.

Il Consiglio è ben consapevole dei problemi da lei accennati nell’attuazione del sistema di scambio delle emissioni durante la fase pilota. Questo periodo iniziale ha fornito un’esperienza preziosa, che dovrebbe aiutarci nello sviluppo futuro del sistema. In base a queste esperienze iniziali, la direttiva prevede già una revisione completa nel 2006. Tale revisione ci consentirà di esaminare tutti i possibili miglioramenti e di metterli in atto per il periodo successivo al 2012.

 
  
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  Richard Seeber (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, Sottosegretario Winkler, la ringrazio per i commenti molto particolareggiati che ha espresso su questo argomento. Siamo consapevoli del fatto che questo accordo in materia di cambiamenti climatici comporta anche dei costi per l’industria. Nonostante ciò, quali ritiene siano le opzioni a nostra disposizione per migliorare la competitività dell’industria europea, in modo che possa continuare ad avere successo sul mercato internazionale? Abbiamo qualche opzione? Se sì, quali?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, l’Unione europea si è sempre impegnata per attuare una cooperazione globale sulla protezione del clima. L’Unione europea e i suoi rappresentanti lo hanno ribadito in tutti i forum internazionali, nonché nelle conclusioni del Consiglio. La nostra attuazione del Protocollo di Kyoto costituisce una prova credibile del nostro impegno e dimostra che la protezione del clima è realizzabile e compatibile con la crescita economica. Noi riteniamo che gli interessi economici e la protezione del clima non siano in contrasto tra loro. Ad esempio, la scelta operata dall’Unione europea a favore di un sistema di scambio delle quote di emissione è il modo più economico per ridurre le emissioni. Studi internazionali hanno inoltre ripetutamente dimostrato che l’inazione comporterebbe costi molto più elevati di quelli richiesti al momento attuale per le misure di protezione del clima. Prima si provvede a varare misure di protezione del clima, più bassi saranno i costi per l’economia. E’ quindi utile anche in termini economici che l’Unione europea adotti misure di protezione del clima per ragioni di efficienza energetica – e il Parlamento discute spesso di questioni energetiche – che inoltre creano nuovi posti di lavoro.

 
  
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  Presidente. – L’interrogazione n. 2 è stata ritirata dall’autore.

Annuncio l’interrogazione n. 3 dell’onorevole Ursula Stenzel (H-1165/05):

Oggetto: Coordinamento tra le Istituzioni (UE-Consiglio d’Europa-OSCE) e rispetto dei diritti dell’uomo nella lotta contro il terrorismo

Le questioni relative ai diritti dell’uomo svolgono un ruolo sempre più importante nell’ambito dell’UE; è pertanto necessario un efficace coordinamento in questo settore con altre organizzazioni, soprattutto con il Consiglio d’Europa, al fine di evitare doppioni. Il rispetto dei diritti dell’uomo nella lotta contro il terrorismo è altresì di grande importanza e viene continuamente chiesto dal Parlamento europeo.

In che modo intende l’Austria rafforzare durante la sua presidenza la cooperazione tra l’UE e il Consiglio d’Europa ma anche l’OSCE, e quali posizioni sostiene in materia di rispetto dei diritti dell’uomo nell’ambito della lotta contro il terrorismo?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, consentitemi di dire, in risposta all’interrogazione dell’onorevole Stenzel sul coordinamento tra l’Unione europea, il Consiglio d’Europa e l’OSCE e sul rispetto dei diritti dell’uomo nella lotta contro il terrorismo, che abbiamo ottime relazioni con il Consiglio d’Europa, in particolare nel settore della giustizia e degli affari interni; aggiungerei che proprio oggi ho avuto la prima occasione di presentare al Comitato dei ministri le priorità della Presidenza austriaca e ho fatto esplicito riferimento agli interessi condivisi e alla cooperazione tra il Consiglio d’Europa e l’Unione europea in materia di rispetto dei diritti umani.

Vorrei cogliere questa occasione per dire che attribuiamo grande importanza alle riunioni che dal 1997 ogni Presidenza svolge con la troika del Consiglio d’Europa. Il programma dell’ultima riunione, svoltasi il 7 dicembre 2005, comprendeva, in particolare, le linee guida del Consiglio d’Europa sui diritti dell’uomo e la lotta al terrorismo. Per quanto riguarda gli affari esteri, anche il gruppo di lavoro del Consiglio sugli aspetti internazionali del terrorismo mantiene contatti regolari con il Consiglio d’Europa.

Il gruppo di lavoro del Consiglio sui diritti umani segue anch’esso da vicino gli sforzi internazionali compiuti in altre sedi, quali l’OCSE, il Consiglio d’Europa e le Nazioni Unite, in materia di rispetto dei diritti umani nella lotta al terrorismo. Vogliamo assicurare che l’Unione possa svolgere un ruolo attivo in tutti questi sforzi. La Presidenza austriaca è lieta di confermare che intende proseguire questa forma di cooperazione con il Consiglio d’Europa.

Il Vertice del Consiglio d’Europa di Varsavia nel 2004 ha deciso di concludere un accordo con l’Unione europea che disciplini ogni aspetto della cooperazione tra le due organizzazioni, al fine di strutturarla, migliorarla e intensificarla.

Durante la Presidenza britannica è stato elaborato un progetto di accordo, che è già stato trasmesso al Consiglio d’Europa, il quale lo sta ora esaminando secondo le sue procedure. Al riguardo, la Presidenza austriaca, in stretta cooperazione con la Commissione, terrà numerosi colloqui con la Presidenza del Consiglio d’Europa – che, come sapete, nei prossimi sei mesi sarà esercitata dalla Romania – in modo da poter perfezionare questo importante documento nei prossimi mesi. Oggi, quando ho parlato con i rappresentanti dei ministri, mi sono impegnato a fare tutto il possibile, da parte dell’Unione europea, perché il memorandum possa essere ultimato entro il termine della Presidenza rumena, ovvero entro la fine di maggio.

Riguardo all’OSCE, le due organizzazioni sono in stretto contatto sia in loco sia a livello istituzionale e questi legami saranno ulteriormente rafforzati in futuro.

Vorrei rilevare che, nei prossimi anni, tre Stati membri dell’Unione, il Belgio, la Spagna e la Finlandia, eserciteranno consecutivamente la presidenza dell’OSCE. Quasi il 50 per cento degli Stati aderenti all’OSCE fa ora anche parte dell’Unione europea e le loro posizioni e azioni comuni in genere sono condivise da altri 10 Stati.

Nelle discussioni decisive in seno all’OSCE sul miglioramento della sua efficienza, in particolare per quanto riguarda le attività dell’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti dell’uomo (ODIHR), che si occupa di tutela dei diritti umani, l’Unione europea in passato ha sostenuto sistematicamente e con successo che l’organizzazione deve godere di piena autonomia, per poter continuare a svolgere le sue importanti attività di promozione della democrazia e dei diritti umani in tutti gli Stati aderenti all’OSCE, senza discriminazioni o restrizioni.

La Presidenza austriaca continuerà a seguire questa politica, che naturalmente è approvata da tutti gli Stati membri.

 
  
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  Ursula Stenzel (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, sono grata per la risposta esauriente alla mia interrogazione sul coordinamento in materia di diritti umani e lotta al terrorismo. Ho una domanda complementare: qual è la posizione della Presidenza in merito all’inchiesta del Consiglio d’Europa sui sospetti riguardanti i voli illeciti della CIA e i centri di detenzione segreti?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, come ha espressamente affermato il Cancelliere Schüssel nelle sue osservazioni odierne, la Presidenza austriaca sostiene gli sforzi compiuti dall’Assemblea parlamentare e dal Segretario generale del Consiglio d’Europa per far luce sulla questione e avere un quadro chiaro dei fatti.

Qualsiasi dubbio in merito all’impegno di tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa a difendere lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti umani, così come sono definiti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, deve essere fugato. A tal fine, sosterremo anche le indagini condotte al riguardo dal Parlamento europeo.

 
  
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  David Martin (PSE).(EN) La mia domanda complementare riguarda esattamente la stessa questione appena sollevata dall’onorevole Stenzel: il Presidente in carica del Consiglio intende parlare con ciascuno degli altri 24 Stati membri, nella sua funzione di Presidente in carica del Consiglio, per invitarli a garantire la loro piena cooperazione alla commissione temporanea d’inchiesta del Parlamento europeo sui voli CIA?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (EN) L’argomento sarà sicuramente oggetto di consultazioni tra tutti i membri del Consiglio.

 
  
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  Reinhard Rack (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, Sottosegretario Winkler, vorrei sollevare una questione più generale, dal momento che dalla discussione odierna è emerso chiaramente che il rafforzamento dei diritti umani nel quadro dell’Unione europea nel suo insieme figura tra le priorità della Presidenza austriaca. L’Unione europea intende trasformare l’Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia, che attualmente ha sede a Vienna, in un’agenzia per i diritti umani. Ritiene che esistano possibilità di coordinamento e di servizi utili per quanto riguarda il problema in esame?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, per quanto riguarda l’istituzione di un’agenzia europea per i diritti umani quale importante contributo inteso a rafforzare l’efficacia di tutte le Istituzioni dell’Unione, stiamo tentando, in contatto con il Parlamento europeo e con il Consiglio d’Europa e altre istituzioni, di assicurare che tale agenzia diventi uno strumento efficace, in grado di apportare un contributo reale alle discussioni sulla questione da lei sollevata, ovvero la tutela dei diritti umani nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata.

L’agenzia, che mi auguro sarà istituita durante la Presidenza austriaca e che prevediamo possa cominciare i suoi lavori il 1° gennaio 2007, non intende competere con nessuna delle altre Istituzioni esistenti. Non abbiamo alcun desiderio di competere con le importanti e preziose Istituzioni del Consiglio d’Europa, della Corte di giustizia o della Commissione contro la discriminazione, né con altre Istituzioni. Vogliamo un’agenzia efficiente, istituita sulla base dell’Osservatorio dei fenomeni di razzismo e xenofobia di Vienna, ma che goda di competenze più ampie in modo da rafforzare la credibilità dell’Unione europea nel campo dei diritti umani.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 4 dell’onorevole Diamanto Manolakou (H-1178/05):

Oggetto: Sequestro e arresto illegali di pachistani residenti in Grecia

Le rivelazioni circa il sequestro, l’arresto, la detenzione e l’interrogatorio di decine di pachistani residenti in Grecia alcuni giorni dopo l’attentato di Londra hanno sollevato una questione politica di estrema importanza. Alle denunce sporte alle autorità greche si sono aggiunte, stando a reportage della BBC, altre denunce di interrogatori, in inglese, durati diversi giorni, torture psicologiche e sparizioni. L’intera vicenda rimanda all’attività svolta dai servizi segreti britannici in Grecia e si ricollega allo scandalo del trasferimento illecito di detenuti attraverso scali europei.

Condanna il Consiglio il metodo dei sequestri e l’utilizzo delle torture da parte di servizi segreti o di altre autorità o poteri repressivi dello Stato operanti con copertura e su mandato dello Stato stesso? Intende adottare le misure necessarie affinché siano garantite la sovranità del popolo e l’indipendenza di ciascun paese? Intende attivarsi per porre un freno a siffatti episodi, che sono in aumento e suscitano sospetti sulle azioni concordate da più parti e da più paesi in un clima di isteria antiterroristica?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, in merito all’interrogazione presentata dall’onorevole Manolakou sul sequestro e l’arresto di pachistani residenti in Grecia, vorrei ricordare che il Consiglio ha sempre fatto presente che la lotta al terrorismo deve svolgersi nel pieno e illimitato rispetto dei principi generali del diritto internazionale nonché delle disposizioni sui diritti umani sancite dagli strumenti giuridici nazionali e internazionali.

Il Consiglio ribadisce la ferma condanna della tortura e di qualsiasi altra pratica illegale e sottolinea la necessità di attenersi sempre ai principi giuridici generali. Tuttavia, il Consiglio non può e non intende prendere posizione sui dettagli citati dall’onorevole deputata. Questi casi specifici, che nell’interrogazione sono definiti come sequestri, sono al momento oggetto di indagini da parte di diversi organismi internazionali e in particolare del Consiglio d’Europa. Sarebbe prematuro esprimere giudizi prima di disporre dei risultati di tali inchieste.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), in sostituzione dell’autore. – (EL) Signora Presidente, il Sottosegretario ha appena fatto due affermazioni contraddittorie: se, da un lato, ha detto in linea generale che la violazione dei diritti umani è esecrabile, dall’altro ha dichiarato di non voler prendere posizione sugli eventi specifici che hanno causato scalpore in Grecia, legati all’azione dei servizi segreti britannici. Non si tratta di un’operazione della CIA, bensì dell’attività dei servizi segreti di uno Stato membro dell’Unione europea. Per questa ragione consideriamo ipocrita la dichiarazione sulla protezione dei diritti umani. Vorremmo sottolineare semplicemente che tutti questi incidenti sono il risultato dell’applicazione delle misure “antiterrorismo”, il cui obiettivo ultimo non è combattere il cosiddetto terrorismo, bensì terrorizzare la popolazione nel suo complesso.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, se il Parlamento europeo intende esaminare tali accuse, è ovviamente libero di adottare una risoluzione in merito. Da parte nostra ribadiamo che tutta una serie di organismi internazionali sta ancora indagando sulle accuse di cui trattasi e pertanto dobbiamo attendere i risultati che ci verranno presentati.

 
  
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  Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente in carica del Consiglio, la BBC, fonte nota per la sua attendibilità, si è occupata degli incidenti di cui anche lei vorrebbe conoscere i dettagli. Il parlamento britannico ha istituito una commissione e sta esaminando la questione. Anche il parlamento greco ne ha discusso per ore.

In qualità di Presidente in carica del Consiglio, intende contattare le autorità dei due Stati membri interessati affinché riferiscano al Consiglio l’accaduto?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, se il Parlamento europeo intende fare luce su tali accuse, ovviamente ha la possibilità di adottare una risoluzione in merito. Da parte nostra ribadiamo che tutta una serie di organismi internazionali sta ancora indagando sulle accuse di cui trattasi e pertanto dobbiamo attendere i risultati che ci verranno presentati.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 5 dell’onorevole Manuel Medina Ortega (H-1110/05):

Oggetto: Conferenza euromediterranea di Barcellona

Quali misure si propone di adottare il Consiglio per dare attuazione agli accordi raggiunti nel corso della recente Conferenza euromediterranea di Barcellona?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, in risposta all’interrogazione formulata dall’onorevole Medina Ortega sulla Conferenza di Barcellona, vorrei far presente che, al Vertice Euromed tenutosi in occasione del decimo anniversario del processo di Barcellona, si è raggiunto un accordo su un programma di lavoro quinquennale congiunto volto a rafforzare il partenariato, nonché su un codice di condotta per la lotta al terrorismo, che evidenzia chiaramente il nostro comune impegno per combattere il terrorismo in tutte le sue forme.

Il programma di lavoro quinquennale definisce obiettivi a medio termine nei settori del partenariato politico e del partenariato in materia di sicurezza, dello sviluppo socioeconomico sostenibile e delle riforme, della formazione e degli scambi socioculturali, e inoltre affronta questioni relative alla migrazione, all’integrazione sociale, alla giustizia e alla sicurezza.

La Presidenza ritiene importante che ciascuna Presidenza di turno presenti al Consiglio una relazione che illustri nel dettaglio le azioni previste per attuare il programma di lavoro, e invita la Commissione a informare regolarmente il Consiglio sullo stato di attuazione.

Gli accordi stipulati a Barcellona ci consentiranno di progredire nella cooperazione regionale con i partner mediterranei e nel contempo di portare avanti la politica europea di vicinato negoziando ulteriori piani d’azione bilaterali.

Al Vertice si sono conseguiti diversi risultati importanti: è stato approvato uno strumento per la governance al fine di sostenere e rafforzare le riforme politiche, e la liberalizzazione del commercio per le prestazioni di servizi e i prodotti agricoli è stata confermata quale obiettivo comune. E’ emersa la volontà di lottare contro l’immigrazione clandestina – anche attraverso la conclusione di accordi di rimpatrio –, con l’impegno da parte dell’Unione ad agevolare la circolazione legale di persone. A tale riguardo è prevista una futura riunione ministeriale in cui si dovranno affrontare tutte le questioni legate alla migrazione. Ulteriori risultati importanti sono stati un aumento percentuale delle risorse per la formazione grazie a un programma di borse di studio per studenti universitari e la promozione della parità di genere.

Infine, l’accordo su un codice di condotta per la lotta contro il terrorismo costituisce un notevole progresso politico e dimostra che i partner del processo hanno la volontà, nonostante le caratteristiche sensibili della regione, di procedere insieme contro questo flagello che ci riguarda tutti.

 
  
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  Manuel Medina Ortega (PSE). – (ES) Signor Presidente in carica del Consiglio, la ringrazio molto per le informazioni. Ritengo che ci abbia fornito un quadro abbastanza completo e, soprattutto, che si sia soffermato ampiamente sulla lotta contro il terrorismo, che costituisce l’obiettivo immediato.

Tuttavia, come lei sa e ha ricordato, dietro al terrorismo si cela un problema più grave: tutto il versante meridionale del Mediterraneo versa in una situazione di estremo sottosviluppo e si sta creando un’enorme pressione migratoria verso l’Unione europea. Le cifre che ho visto nelle prospettive finanziarie approvate di recente dal Consiglio parlano di uno stanziamento complessivo di 800 milioni di euro in un periodo di sette anni, e al riguardo il Parlamento europeo sta attualmente esprimendo forti critiche.

Lei ritiene, signor Presidente in carica del Consiglio, che le cifre previste nelle prospettive finanziarie siano sufficienti a risolvere i problemi con cui è confrontata la sponda meridionale del Mediterraneo?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, vorrei anzitutto ribadire la posizione del Consiglio, secondo cui è importante, in parallelo alle misure adottate per la lotta contro il terrorismo e l’immigrazione clandestina, sviluppare programmi per migliorare le condizioni di vita nei paesi di origine, come del resto l’Unione sta facendo da tempo. E’ un nostro preciso impegno, previsto anche nell’accordo raggiunto dai governi sulle prospettive finanziarie.

Riteniamo le risorse sufficienti. Spetta ora alla Commissione presentare proposte concrete sulle modalità di finanziamento dei singoli programmi con gli importi globali che sono stati concordati. In seguito, nei negoziati con il Parlamento europeo, si dovrà pervenire a un accordo sulle prospettive finanziarie.

 
  
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  David Martin (PSE). – (EN) Signora Presidente, lo scorso novembre, all’incontro dei ministri dell’Ambiente della regione mediterranea, è emerso un quadro molto grave della gestione delle risorse idriche nell’area in questione. Si prevede una notevole penuria di acqua nei prossimi anni, un problema che non si può circoscrivere all’ambiente in quanto ha implicazioni per la sicurezza. Se si arrivasse a una controversia per l’approvvigionamento idrico, la stabilità della regione potrebbe essere compromessa.

Vorrei sapere dal signor Sottosegretario se prenderà in esame la possibilità di inserire questo tema all’ordine del giorno della prossima Conferenza euromediterranea.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (EN) Ringrazio l’onorevole deputato per il suo intervento e per i suggerimenti, che riferirò al Consiglio. Insieme ad altri membri al suo interno verificherò la possibilità e l’opportunità di sollevare tali questioni alla prossima Conferenza. La ringrazio peraltro per le sue interessanti osservazioni.

 
  
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  Presidente. – Poiché vertono sullo stesso argomento, annuncio congiuntamente l’

interrogazione n. 6 dell’onorevole Bernd Posselt (H-1126/05):

Oggetto: Lo stato del Kosovo

Quali passi intende muovere il Consiglio per contribuire, ancora nell’anno in corso, ad un definitivo chiarimento dello status del Kosovo?

l’interrogazione n. 7 dell’onorevole Dimitrios Papadimoulis (H-1152/05):

Oggetto: Status definitivo del Kosovo

Le trattative sul futuro status del Kosovo sono cominciate con l’incontro fra Martti Ahtisaari, capo del gruppo delle Nazioni Unite che parteciperà a dette trattative sullo status definitivo del Kosovo, e il Presidente del Kosovo, Ibrahim Rugova.

Può dire il Consiglio se continua a condividere il punto di vista secondo cui l’applicazione degli otto criteri che l’ONU ha fissato per il Kosovo dovrà precedere la risoluzione definitiva della questione dello status? Inoltre, intende il Consiglio sollevare con le autorità del Kosovo la questione dell’esistenza di una prigione simile a quella di Guantánamo nella base americana di Camp Bondsteel?

e l’interrogazione n. 8 dell’onorevole Othmar Karas (H-1177/05):

Oggetto: Balcani occidentali/Kosovo

Il 2006 è un anno di importanza decisiva per lo sviluppo dei Balcani occidentali. Tra le prossime sfide da affrontare rientra la soluzione del problema del futuro status del Kosovo. A prescindere dal risultato dei negoziati al riguardo, il Kosovo va inserito in un contesto europeo. In quale forma dovrebbe realizzarsi la concretizzazione della prospettiva europea?

Quali sono i piani della Presidenza austriaca per quanto concerne la politica europea di vicinato, in particolare in relazione all’Ucraina?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, in merito alle interrogazioni degli onorevoli Posselt, Papadimoulis e Karas sul Kosovo vorrei anzitutto ricordare che, conformemente alla dichiarazione di Salonicco, rilasciata dall’Unione europea e dagli Stati balcanici in occasione del Vertice del giugno 2003, il futuro della regione dei Balcani occidentali, Kosovo compreso, è nell’Unione europea.

L’orientamento del Consiglio sul Kosovo è basato su una serie di principi approvati dal Consiglio europeo nel quadro della dichiarazione sul Kosovo adottata in occasione della riunione del 16 e 17 giugno 2005. Qualsiasi soluzione per il Kosovo dovrebbe essere pienamente compatibile con i valori e le norme europei, conforme agli strumenti e agli obblighi giuridici internazionali nonché alla Carta delle Nazioni Unite, contribuendo alla realizzazione della prospettiva europea per il Kosovo e la regione.

Al tempo stesso, qualunque status dovrà garantire che il Kosovo non ricada nella situazione antecedente al marzo 1999. La definizione dello status futuro del Kosovo dovrà basarsi sulla multietnicità e sul pieno rispetto dei diritti umani, compreso il diritto di tutti i rifugiati e gli sfollati a ritornare alle proprie case.

Un altro punto particolarmente importante è che lo status dovrà offrire garanzie costituzionali effettive per tutelare le minoranze, compresi i meccanismi che ne assicurino la partecipazione al governo centrale e alle strutture amministrative locali. Lo status dovrà inoltre contenere salvaguardie specifiche per la protezione del patrimonio culturale e dei siti religiosi e promuovere meccanismi efficaci di lotta alla criminalità organizzata, alla corruzione e al terrorismo.

Lo status del Kosovo dovrà rafforzare la sicurezza e la stabilità della regione. Pertanto, sarebbe inaccettabile qualsiasi soluzione unilaterale o che risultasse dall’uso della forza, nonché qualunque modifica dell’attuale territorio del Kosovo. Non potrà dunque esserci alcuna partizione del Kosovo, né alcuna unione con un altro paese o parte di un altro paese. L’integrità territoriale dei paesi limitrofi dovrà essere pienamente rispettata.

Il Consiglio attribuisce inoltre estrema importanza alla costante applicazione delle norme, sia nella fase attuale che in futuro, soprattutto riguardo alla tutela delle minoranze. A tale proposito il Consiglio ha ripetutamente sottolineato il proprio apprezzamento e sostegno nei confronti del lavoro svolto dal Rappresentante speciale delle Nazioni Unite per il Kosovo, Søren Jessen-Petersen.

Il Consiglio è fermamente deciso a svolgere un lavoro ad ampio raggio per la definizione dello status del Kosovo, inserendosi nel relativo processo negoziale sotto l’egida delle Nazioni Unite. A tale scopo nel novembre 2005 l’Alto rappresentante Solana ha nominato inviato speciale dell’Unione europea Stefan Lehne, che lavorerà in stretta cooperazione con l’inviato delle Nazioni Unite, Martti Ahtisaari. Il Consiglio ha approvato tale incarico.

Il Rappresentante dell’Unione europea trasmette il proprio contributo per i negoziati all’inviato ONU e nel contempo aiuta l’Unione europea a prepararsi al ruolo futuro che dovrà svolgere nel periodo successivo alla risoluzione 1244. Inoltre egli opera in stretta collaborazione con gli Stati membri e la Commissione europea. Quest’ultima avrà una rappresentanza anche a Vienna, dove ha sede l’ufficio dell’inviato speciale delle Nazioni Unite per la questione dello status del Kosovo.

Per l’Unione europea rivestiranno particolare interesse settori quali la tutela dei diritti umani, i problemi delle minoranze, i siti culturali e religiosi, lo Stato di diritto e lo sviluppo economico. L’inviato speciale dell’ONU ha segnalato la propria disponibilità a cooperare da vicino con l’Unione in questi e altri settori.

Al contempo, nell’ambito della ristrutturazione della Missione di amministrazione ad interim delle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK), l’Unione europea, insieme ad altre organizzazioni e partner internazionali, ha anche avviato consultazioni informali con l’UNMIK. Lo scopo è verificare le alternative a una futura presenza internazionale in Kosovo, senza compromettere l’esito dei colloqui sullo status. In tale contesto a dicembre l’Alto rappresentante Solana e il Commissario Olli Rehn hanno presentato al Consiglio una seconda relazione che illustra come l’Unione europea potrebbe prepararsi alle imminenti sfide.

La nuova formazione internazionale per il periodo successivo alla risoluzione 1244 dovrebbe coinvolgere tutti e avere una forte componente UE. L’Unione dovrà svolgere un ruolo centrale nei settori legati allo Stato di diritto, compresa la missione di polizia, alla costruzione di capacità e all’economia. L’autorità competente per tutte le questioni riguardanti la presenza militare internazionale in Kosovo, sotto l’egida delle Nazioni Unite, è il KFOR.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE). – (DE) Signora Presidente, Presidente Winkler, la ringrazio molto per l’eccellente risposta, come c’era da aspettarsi. Questo gennaio ricorre il centenario dell’entrata in vigore del compromesso moravo, un atto esemplare il cui unico difetto era di valere solo per la Moravia. Attualmente commettiamo lo stesso errore: cerchiamo accordi specifici e stabiliamo norme diversificate. In Kosovo vengono elaborate accurate disposizioni sulle minoranze, ma nella valle di Preševo o in Voivodina non esiste niente del genere.

Vorrei quindi esortarla a mettere a punto con obiettività norme uniformi o equiparabili per tutta la regione, perché solo così si potrà pervenire a un accordo di pace.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, l’onorevole Posselt e io abbiamo già avuto modo di conoscerci in altri ambiti. Accolgo senz’altro con piacere la sua opinione e il suo suggerimento. Del resto sono convinto, come ho già affermato oggi, che i diritti dell’uomo e i diritti delle minoranze siano indivisibili.

 
  
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  Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente in carica del Consiglio, lei ha parlato per sei minuti, ma in termini molto generali, alquanto approssimativi. Pertanto le chiedo se la risoluzione 1244 delle Nazioni Unite costituisce ancora un asse attorno a cui ruota la politica del Consiglio.

Cosa succederà, non solo per quanto riguarda il diritto di rimpatriare, ma anche in riferimento alla possibilità di tornare in Kosovo per i serbi e i rom che sono stati costretti ad abbandonare il paese?

Se, come lei ha detto, il posto del Kosovo è in Europa, intende portare all’attenzione delle autorità le accuse riguardanti una prigione simile a quella di Guantánamo presso la base statunitense in Kosovo?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, posso confermare che il Consiglio resta del parere, e manterrà questa posizione anche in futuro, che l’applicazione degli otto criteri stabiliti dalle Nazioni Unite sul Kosovo debba precedere la definizione risolutiva della questione dello status. La risoluzione è vincolante, è applicabile ed è l’asse su cui si baserà la soluzione. Del resto ora i negoziati sullo status sono iniziati e li seguiremo con attenzione. Sulla base della dichiarazione di Salonicco, cui ho già fatto riferimento, il futuro – ci tengo a ribadirlo, poiché si sono menzionati i principi e valori comunitari – è nell’Unione europea, e questo ovviamente implica che i valori dell’Unione vengano accettati. Per quanto riguarda la questione da lei sollevata in merito al campo, è una domanda cui non può rispondere il Kosovo.

 
  
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  Othmar Karas (PPE-DE). – (DE) Signora Presidente, Presidente Winkler, la mia interrogazione faceva riferimento anche alla politica di vicinato. Vorrei solo chiederle di illustrarci il programma della Presidenza austriaca in merito al rafforzamento della politica di vicinato, in particolare riguardo all’Ucraina. Mi interesserebbe sapere se l’Unione ha stanziato sufficienti risorse per assicurare che l’Unione possa svolgere in Kosovo un ruolo adeguato durante i negoziati sullo status e anche in seguito.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, iniziando a rispondere alla seconda parte della domanda, effettivamente si richiede all’Unione europea di stanziare risorse adeguate, cosa che intendiamo fare. Il bilancio per la PESC è stato di recente notevolmente aumentato per l’anno in corso. Poiché tuttavia non si conosce ancora l’entità delle spese future – infatti oggi non si può prevedere che tipo di presenza assicurerà l’Unione europea in Kosovo –, attualmente non è ancora possibile sapere con precisione che cifra sarà necessaria. Del resto, con l’accordo del Parlamento europeo, ai sensi dell’articolo 39 dell’accordo interistituzionale, sarebbe ammissibile un aumento celere del bilancio per la PESC durante l’esercizio. Se il compito che spetta all’Unione europea lo richiederà, lo faremo.

Per quanto riguarda la politica europea di prossimità, nel primo anno abbiamo già osservato un prezioso contributo per una politica di vicinato impegnata dell’Unione, e sosteniamo le proposte della Commissione europea in materia. Si deve proseguire a monitorare il graduale, sistematico e tuttavia specifico avvicinamento alle norme e regole comunitarie, e certamente lo faremo. L’obiettivo dichiarato della politica di prossimità è e rimane offrire e rendere possibile un discreto livello di integrazione. Ciò avviene, come lei ha detto, con l’ausilio di piani d’azione della politica europea di prossimità, tra cui, secondo il nostro parere, ma anche a detta della Commissione europea, si sono distinti per i risultati positivi quelli di Ucraina e Moldavia. Nel 2006, ovvero durante la Presidenza austriaca, si effettuerà una prima verifica dei piani d’azione per l’Ucraina e la Moldavia per il primo anno. D’altro canto a partire dal prossimo anno avremo a disposizione un nuovo strumento finanziario, lo strumento europeo di vicinato e partenariato (ENPI), che offrirà possibilità di sostegno ancora più mirate.

Per noi è importante anche negoziare e concludere al più presto piani d’azione con tutti i paesi soggetti alla politica europea di prossimità. Mi riferisco in particolare, ed è un altro compito che spetterà alla Presidenza austriaca, alle tre repubbliche caucasiche Armenia, Azerbaigian e Georgia. Solo a dicembre si sono svolte consultazioni politiche con i tre paesi. Al riguardo la Commissione ha dichiarato specificamente che proprio con questi tre Stati occorre portare avanti rapidamente i negoziati sui piani d’azione. La Presidenza austriaca appoggia pienamente questa linea.

Per quanto riguarda l’Ucraina, il legame con l’Unione europea nell’ambito della politica europea di prossimità gode di tutto il nostro sostegno. Riteniamo che, avendo soddisfatto i criteri tecnici per lo status di economia di mercato, l’Ucraina possa ora ricevere al più presto in via ufficiale tale status. In questo contesto attribuiamo particolare importanza alla tempestiva adesione dell’Ucraina all’OMC, in quanto si spianerebbe in tal modo la strada alla creazione di una zona di libero scambio con l’Unione europea. Uno studio di fattibilità della Commissione europea è attualmente in fase di ultimazione. Pensiamo che la realizzazione di questo progetto rappresenti un ulteriore importante passo avanti nelle relazioni con l’Ucraina, e continueremo a impegnarci in tal senso.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’

interrogazione n. 9 dell’onorevole John Bowis (H-1149/05):

Oggetto: Persecuzioni e molestie contro cristiani

Esistono prove di persecuzioni e molestie contro cristiani in un certo numero di paesi. Come intende il Consiglio sollevare tali questioni con i governi interessati?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, in risposta all’interrogazione dell’onorevole Bowis sulle persecuzioni e molestie di cui sono vittime i cristiani, desidero precisare che il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione è sancito dalla normativa internazionale di tutela dei diritti umani. Mi riferisco in particolare all’articolo 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, in vigore a livello planetario, che definisce la libertà di pensiero, di coscienza e di religione come diritto individuale. Tale diritto, ai sensi di questa disposizione, include la libertà di avere o di adottare una religione o un credo di propria scelta, nonché la libertà di manifestare, individualmente o in comune con altri, e sia in pubblico sia in privato, la propria religione o il proprio credo nel culto e nell’osservanza dei riti, nelle pratiche e nell’insegnamento.

I diritti umani rivestono grande significato per l’Unione europea, che ne fa costante argomento di discussione con i paesi terzi. Ciò è avvenuto anche di recente a New York, e in tale occasione gli Stati membri dell’UE, nel corso della terza Commissione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, hanno proposto una risoluzione, poi approvata, che chiede l’eliminazione di qualsiasi forma di intolleranza e discriminazione a motivo della religione o delle convinzioni personali.

Il Consiglio ha ripetutamente condannato tutte le forme di intolleranza religiosa e presta inoltre grande attenzione agli sviluppi nel campo dei diritti umani. Coglie altresì l’occasione che gli viene offerta dal dialogo con i paesi terzi per esprimere con forza la propria preoccupazione per l’intolleranza nei confronti delle minoranze religiose e di altra natura.

 
  
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  John Bowis (PPE-DE).(EN) E’ d’accordo, signor Ministro, sul fatto che in un numero sempre crescente di paesi – India, Pakistan, Sri Lanka, Egitto, Nigeria, Vietnam e Cina, ma l’elenco potrebbe continuare – i cristiani vengono perseguitati e i loro governi sono conniventi oppure non adottano misure adeguate per porre fine a tale persecuzione? Si tratta di paesi con cui intratteniamo rapporti commerciali. Intende l’Austria indurre il Consiglio e l’Unione europea a sostenere il diritto dei cristiani a professare la loro fede in questi paesi con cui abbiamo relazioni regolari, proprio come prendiamo posizione a favore della tolleranza e della libertà religiosa all’interno dell’Unione europea?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (EN) Come ho già detto, l’Unione europea tratta regolarmente tale questione, cui attribuisce la massima importanza, in tutti i dialoghi bilaterali e in tutte le sedi internazionali. Abbiamo sollevato il problema anche in seno alle Nazioni Unite. Non vogliamo gettare il biasimo su nessuno, ma se riteniamo, o se abbiamo ragione di ritenere, che vi siano persecuzioni o restrizioni alla libertà religiosa, siamo molto espliciti nei nostri rapporti con i paesi interessati.

Le darò un esempio: nelle discussioni con la Cina in materia di diritti umani diamo ampio spazio alla questione della libertà religiosa perché riteniamo si tratti di un argomento che è nostro dovere dibattere nel contesto del dialogo con quel paese. Potremmo dire la stessa cosa anche per altre aree. L’adozione di una risoluzione da parte di un’ampia maggioranza di Stati membri delle Nazioni Unite ha costituito un passo avanti nella giusta direzione. La nostra posizione ne risulterà rafforzata nei confronti dei paesi in cui esiste il problema. Il fatto che intratteniamo relazioni commerciali con questi paesi non ci impedisce di dichiarare apertamente come la pensiamo in materia di violazioni dei diritti umani.

 
  
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  Presidente. – Vi sono ora tre domande complementari, che sono ammissibili secondo la nuova procedura. Stiamo svolgendo la seconda parte del Tempo delle interrogazioni al Consiglio: può quindi rivolgere la sua domanda complementare l’onorevole Rübig.

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, i cristiani in Turchia devono, oggi come in passato, affrontare molte difficoltà. Che cosa propone di fare la Presidenza per migliorare la loro situazione?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, l’Unione europea tiene sotto attenta osservazione la situazione delle minoranze non musulmane. In base al partenariato di adesione UE-Turchia, è imprescindibile per il successo dei negoziati di adesione che il governo turco avvii ulteriori riforme in materia di libertà religiosa, soprattutto per quanto riguarda la formazione dei sacerdoti e la personalità giuridica delle organizzazioni appartenenti alle minoranze non musulmane, per far sì che il paese si avvicini anche in tali settori ai livelli dell’Unione europea. Non perderemo di vista questo problema nel corso dei negoziati di adesione, ma al contempo sosterremo la Turchia nel necessario processo di riforma.

 
  
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  James Hugh Allister (NI).(EN) Signor Ministro, non vi sono dubbi sull’opportunità di sollevare questi problemi con i paesi interessati, ma è altrettanto certo che non possiamo fare a meno di una politica etica efficace. Non sarebbe il caso di stabilire un legame diretto fra gli scambi commerciali con questi paesi e il rispetto dei diritti umani? Nel liberalizzare il commercio con paesi che perseguitano i cristiani o i seguaci di altre ragioni, non dovremmo porre come condizione il riconoscimento della piena libertà in materia di diritti umani, in modo che alle minoranze di quei paesi non siano negati diritti che diamo per scontati?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (EN) Talvolta vincoliamo le iniziative dell’Unione europea a favore di questi paesi al rispetto dei diritti umani. Per determinati paesi in cui vengono perpetrate violazioni dei diritti umani sono in atto specifiche sanzioni, per esempio per la Birmania/Myanmar. Occorre poi ricordare che in altri casi è nostro dovere sostenere la gente che vive in quei paesi. Dobbiamo essere molto cauti nell’infliggere sanzioni, perché spesso chi ne viene danneggiato non è il governo, ma la popolazione. Riteniamo che le diverse situazioni debbano essere prese in esame singolarmente. Da parte nostra crediamo in un dialogo franco, aperto e diretto. Se questo dialogo non conducesse ai risultati auspicati, dovremmo allora discutere in sede di Consiglio a quali altri metodi potremmo fare ricorso.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE).(DE) La ringrazio per aver avuto il coraggio di interpellare la Cina. Vorrei solo ricordare la situazione di clandestinità della Chiesa e lo stato di detenzione di vescovi e altre personalità religiose. Desidererei anche ricollegarmi all’intervento del collega Rübig per chiedere se si sono avuti sviluppi legislativi in Turchia in materia di religione.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, onorevole Posselt, in verità non credo che ci sia voluto coraggio per parlare con la Cina. Intratteniamo con quel paese un dialogo, cui io stesso ho preso parte, molto aperto e diretto.

Continuiamo naturalmente a seguire la questione da lei sollevata poc’anzi non solo con la Cina, ma anche nei confronti della Turchia. Nelle discussioni con la Turchia abbiamo espresso le nostre preoccupazioni e certamente anche in futuro insisteremo affinché i provvedimenti legislativi e amministrativi che vengono adottati in proposito in quel paese siano compatibili con le nostre aspettative, che del resto riflettono le norme internazionali.

 
  
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  Presidente. – Poiché l’autore non è presente, l’interrogazione n. 10 decade.

Annuncio l’interrogazione n. 11 dell’onorevole Inger Segelström (H-1159/05):

Oggetto: Colombia

La Svezia si è impegnata attivamente nel processo democratico in Colombia. Tuttavia siamo tutti consapevoli del persistere dei problemi in materia di democrazia e dell’aumento delle violazioni dei diritti umani. Un esempio concreto di questo è la rapida intensificazione dell’attività di estrazione dell’olio di palma. Cresce il dissenso contro l’espansione delle piantagioni su larga scala di palma da olio. È una questione di riconoscimento dei diritti fondiari delle popolazioni locali e autoctone. Molti Stati membri dell’UE utilizzano la farina di palmisti per l’alimentazione animale, e molti di noi utilizzano prodotti cosmetici che contengono olio di palma. Può il Consiglio riferire come intende agire affinché gli Stati membri dell’UE continuino a sostenere il processo democratico in Colombia e continuino a cercare di porre fine alle violazioni dei diritti umani nel paese?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, con riferimento all’interrogazione dell’onorevole Segelström sulla Colombia desidero precisare che, benché da varie parti sia giunta notizia di una diminuzione delle violazioni dei diritti umani in quel paese, ogni abuso in materia è per noi causa di grave preoccupazione. Il perdurare del conflitto armato in Colombia è alla radice della maggior parte delle violazioni, commesse soprattutto da gruppi armati irregolari. L’Unione europea fa costantemente appello alle parti in causa affinché rispettino i diritti umani e le norme umanitarie internazionali e, in particolare, mantiene contatti con le autorità colombiane e l’ufficio a Bogotà dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani.

Desidero anche aggiungere che il Vicepresidente colombiano è stato in Austria poco prima di Natale ed io ho personalmente avuto un incontro con lui durante il quale abbiamo trattato in modo approfondito la questione dei diritti umani.

Nelle sue conclusioni del 3 ottobre 2005 il Consiglio ha ribadito il suo pieno sostegno al governo colombiano, segnatamente nei suoi sforzi volti a imporre lo Stato di diritto in tutto il paese e nella lotta al terrorismo e alla produzione e al traffico di sostanze stupefacenti.

Il Consiglio ha anche confermato l’ormai consolidata politica di sostegno al governo colombiano nella sua ricerca di una soluzione negoziata del conflitto interno, senza escludere contatti diretti con i gruppi armati irregolari disposti a impegnarsi in un processo di pace negoziato.

Siamo quindi lieti dei contatti instauratisi di recente fra i gruppi armati irregolari e le autorità colombiane: solleciteremo tutte le parti coinvolte a fare quanto in loro potere per giungere a una soluzione pacifica e porre così fine al conflitto armato che dura ormai da oltre una generazione ed è la causa prima delle violazioni dei diritti umani.

 
  
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  Inger Segelström (PSE).(SV) La ringrazio per la sua risposta, signor Presidente in carica del Consiglio. Mi compiaccio che intrattenga contatti del tipo da lei descritto. Credo siano necessari perché la Colombia sta diventando teatro di uno dei più gravi movimenti di profughi del mondo: pare che quasi tre milioni di persone siano state costrette a trasferirsi abbandonando le loro case. Mi chiedo perciò se l’Unione europea stia facendo abbastanza, o se invece dovremmo esercitare maggiori pressioni. La droga e la corruzione, come lei ha ricordato, sono solo una parte del problema, cui vanno ad aggiungersi la questione dei terreni e il fatto che la gente intende sfruttare la produzione di olio di palma, che è molto importante.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, onorevole Segelström, lei pone una domanda alla quale è impossibile rispondere. L’Unione europea fa abbastanza per combattere le sofferenze in vari paesi del mondo? E’ una domanda alla quale non si può dare una risposta astratta. Facciamo del nostro meglio. Desidero tuttavia richiamare l’attenzione sulle iniziative concrete cui ho già fatto cenno, adottate a seguito delle conclusioni del Consiglio dello scorso ottobre, anche se vorrei precisare che in realtà per la maggior parte rientrano nella sfera di competenza della Commissione. Per esempio, nel dicembre 2005 la Commissione ha deciso di stanziare 1,5 milioni di euro come parte del meccanismo di reazione rapida. Resta da vedere se ciò è sufficiente o se possiamo fare di più.

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, Presidente Winkler, onorevoli colleghi, che cosa può dirci della proposta di tenere una conferenza dei G24 a sostegno del processo di pace nella prima metà del 2006?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, per il momento non posso dire se si terrà tale conferenza nella prima metà del 2006: la decisione dipenderà dalla possibilità da parte della troika del gruppo dei G24, guidata dal Messico, di raggiungere un accordo con il governo colombiano. Se tale conferenza avrà luogo, sarà certamente organizzata in prossimità del Vertice UE-America latina, previsto per la metà di maggio 2006, e delle elezioni presidenziali che si terranno in Colombia alla fine di maggio. Tra l’altro, il Vertice UE-America latina si terrà esattamente fra i due turni elettorali, e pertanto non è certo che il Presidente colombiano possa recarsi a Vienna per la Conferenza

 
  
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  Presidente. – Poiché l’autore non è presente, l’interrogazione n. 12 decade.

Annuncio l’interrogazione n. 13 dell’onorevole Athanasios Pafilis (H-1175/05):

Oggetto: Tentativo di condanna del Comunismo

Malgrado le clamorose proteste e le vive reazioni suscitate, l’Assemblea del Consiglio d’Europa sta per votare un memorandum dal contenuto squisitamente anticomunista, il cui titolo “Condanna dell’ideologia comunista” è stato cambiato in “Necessità di una condanna internazionale dei crimini dei regimi comunisti”.

Quale atteggiamento intende assumere il Consiglio riguardo ai ripetuti tentativi di rivedere la storia e giustificare i reati del fascismo e dell’imperialismo? Intende adottare iniziative per consentire a tutti i partiti politici di svolgere liberamente la loro attività e per bloccare il tentativo di criminalizzare il movimento comunista e di vietare i partiti comunisti?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, per quanto riguarda l’interrogazione dell’onorevole Pafilis, rimando all’articolo 6 del Trattato sull’Unione europea. Anche se sono certo che l’onorevole deputato lo conosce, vorrei tuttavia citarne una parte: “L’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dello Stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri”. Tra questi diritti si annovera anche il diritto alla libertà di espressione, e non spetta alla Presidenza dell’Unione europea intervenire nel processo decisionale dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Infatti l’interrogazione si riferisce all’attività dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, sulla quale non posso pronunciarmi.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL). – (EL) Signora Presidente, non avrei mai immaginato che il Consiglio avrebbe evitato di rispondere in maniera diretta all’interrogazione riguardante il memorandum anticomunista. Se ne parla in ogni paese d’Europa, migliaia di persone di tutte le aree politiche hanno espresso la loro condanna in merito, si tratta di un testo neofascista che equipara il nazismo al comunismo, è irrispettoso nei confronti di milioni di vittime comuniste che hanno sacrificato la vita per combattere il fascismo, criminalizza l’azione politica e l’ideologia dei comunisti e, in particolare – visto che lei ha citato l’articolo 6 –, viola diritti democratici fondamentali. Esortiamo il Consiglio a prendere posizione sul memorandum.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, posso solo ripetere quanto ho già affermato: l’Unione europea non può pronunciarsi sulle attività e deliberazioni, né sulle decisioni di un organo di un’altra organizzazione internazionale.

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE). (DE) Signora Presidente, Presidente Winkler, onorevoli colleghi, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa si trova nelle immediate vicinanze, e ovviamente ha una migliore visione d’insieme delle situazioni politiche. Ritiene che sarebbe possibile avviare anche in tale sede un dibattito sul Trattato costituzionale europeo, in quanto questo potrebbe evidentemente promuovere la futura stabilità in tali paesi?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa può affrontare qualsiasi argomento. Spetta all’Assemblea stessa decidere di quali temi occuparsi. Peraltro è indubbiamente possibile avanzare tali proposte nei colloqui con deputati nazionali facenti parte dell’Assemblea parlamentare. L’Unione europea in quanto tale, o il Consiglio nella sua veste, non può certo proporre simili iniziative a un organo di un’altra Istituzione.

 
  
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  Presidente. – Le interrogazioni che, per mancanza di tempo, non hanno ricevuto risposta, la riceveranno per iscritto (vedasi Allegato).

Con questo si conclude il Tempo delle interrogazioni.

(La seduta, sospesa alle 18.55, riprende alle 21.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. TRAKATELLIS
Vicepresidente

 

12. Politica europea di prossimità
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0399/2005), presentata dall’onorevole Tannock a nome della commissione per gli affari esteri, sulla politica europea di prossimità [2004/2166(INI)].

 
  
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  Charles Tannock (PPE-DE), relatore. – (EN) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto rendere particolare omaggio al mio predecessore, onorevole Laschet, dal quale ho ereditato questa relazione dopo che ha lasciato il Parlamento.

All’inizio, quando il concetto di politica europea di prossimità venne delineato per la prima volta nella comunicazione del 2003 sull’Europa ampliata, ero scettico. Il principale problema concettuale era come coordinare una politica riguardante paesi che all’apparenza hanno scopi diversi e contraddittori, come la Libia, che all’epoca voleva diventare la sede dell’Unione africana, e l’Ucraina, che vuole aderire all’Unione europea.

Compito della classe politica dirigente è trasformare i concetti in realtà, e la politica europea di prossimità è ormai una realtà politica consolidata accettata dai paesi partner. La mia relazione mira a esaminarne il funzionamento, a proporre ulteriori raccomandazioni del Parlamento e a chiarire alcuni malintesi.

La politica europea di prossimità offre la prospettiva di una relazione privilegiata tra l’Unione europea e tutti gli attuali paesi terzi vicini a est e a sud, ad eccezione degli attuali paesi candidati all’adesione e dei potenziali candidati dei Balcani occidentali, per i quali vigono disposizioni particolari. Cosa comporta, tuttavia, tale privilegio? In breve, due cose: in primo luogo, una maggiore condivisione di valori democratici e, in secondo luogo, aiuti e scambi commerciali per promuovere quei valori. La politica europea di prossimità ha pertanto una duplice funzione: da un lato, promuove i valori su cui si fonda l’Unione europea, ossia un impegno nei confronti di valori comuni per quanto riguarda lo Stato di diritto, il buon governo, il rispetto dei diritti umani, la promozione di relazioni di buon vicinato e i principi dell’economia di mercato e dello sviluppo sostenibile; dall’altro lato, la politica europea di prossimità comporta l’applicazione di sanzioni, sotto forma di limitazione degli aiuti o dei privilegi commerciali, in caso di mancato rispetto di tali valori. Il suo scopo è in definitiva la creazione, attorno all’Unione europea, di una cerchia di paesi amici in cui l’obiettivo essenziale, ossia la promozione e il rafforzamento della prosperità, della stabilità e della sicurezza, viene realizzato sulla base del partenariato e a reciproco vantaggio. E’ previsto un potenziamento dell’assistenza finanziaria attraverso uno strumento europeo di prossimità e partenariato, concepito unicamente a tale scopo e applicabile anche alla Russia, che dal 2007 in poi sostituirà gli attuali programmi TACIS e MEDA. Temo tuttavia che la Commissione possa scorporare la politica europea di prossimità dal bilancio dello strumento europeo di prossimità e partenariato, con la conseguenza di una notevole riduzione dei poteri di controllo e scrutinio del Parlamento.

La Commissione ha già presentato un documento di strategia e relazioni su una serie di paesi interessati dalla politica europea di prossimità, seguiti da piani d’azione. Un regolare processo di revisione garantirà il monitoraggio della loro attuazione, per cui miro a ottenere un maggiore coinvolgimento parlamentare. Sono stati adottati sette piani d’azione, nella fattispecie con Israele, Giordania, Marocco, Tunisia, l’Autorità palestinese, Ucraina e Moldova. Altri cinque piani sono in fase di preparazione, per la precisione con Armenia, Azerbaigian, Egitto, Georgia e Libano.

Sostengo con forza la necessità di un migliore accesso dei paesi interessati dalla politica europea di prossimità al mercato unico e, in taluni casi, l’eventuale successiva conclusione di accordi di vicinato e la stipula di veri e propri accordi di libero scambio con l’Unione europea. Appoggio altresì la loro partecipazione alla politica europea di sicurezza e di difesa e alla politica estera e di sicurezza comune, oltre che ai vari gruppi di lavoro del Consiglio, e l’inserimento, ove opportuno, negli organismi decentrati dell’Unione europea.

Occorre inoltre prestare maggiore attenzione al traffico di stupefacenti, armi ed esseri umani e rafforzare lo scambio di informazioni in materia penale tra le autorità nazionali nella lotta al terrorismo internazionale e alla criminalità organizzata, nonché rinnovare gli sforzi per la soluzione pacifica delle controversie territoriali ancora irrisolte, compresi i conflitti congelati. Per pura coincidenza, rappresentanti di Armenia e Azerbaigian si riuniscono oggi a Londra per risolvere la questione del Nagorno-Karabakh.

Numerosi paesi partner della politica europea di prossimità, come l’Azerbaigian e l’Algeria, possiedono grandi risorse energetiche in quanto produttori o trasportatori di petrolio e gas. La politica energetica e la sicurezza energetica dell’UE costituiranno pertanto un pilastro fondamentale della politica europea di prossimità. La recente crisi del gas tra Russia e Ucraina dimostra come la politica energetica e la politica estera siano ormai intercorrelate.

Infine, non ritengo che la politica europea di prossimità sia un’alternativa fissa a lungo termine all’adesione a pieno titolo all’UE dei paesi europei democratici che hanno i titoli per candidarsi e che hanno espresso il desiderio di farlo, come l’Ucraina e la Moldova. La relazione riconosce in qualche modo le loro aspirazioni europee.

Per contro, per quanto riguarda altri ex paesi sovietici dell’Asia centrale, come il Kazakistan, sono del parere che l’Unione europea, nonostante essi non rientrino nella politica europea di prossimità, dovrebbe prendere in seria considerazione la possibilità di estendere loro il diritto di partecipare a questo ambizioso progetto, se lo desiderano, quando i rispettivi accordi di partenariato e cooperazione andranno a scadere.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, desidero ringraziare l’onorevole Tannock per la sua ottima relazione sulla politica europea di prossimità, che mi offre l’opportunità di ritornare sulle priorità di questo importante argomento per i prossimi mesi.

Come abbiamo ribadito in varie occasioni fin dal suo principio nel 2003, la politica di prossimità è una politica ambiziosa, che continua ad essere l’elemento principale, almeno per quanto riguarda la mia sfera di competenza, delle relazioni esterne dell’Unione europea, tenuto conto della sua importanza per promuovere la prosperità, la stabilità e la sicurezza. La posta in gioco per i nostri vicini è molto alta. E’ ovvio che è nell’interesse dell’Unione europea avere nel proprio vicinato paesi partner democratici e ben governati, che possano finalmente partecipare alla dinamica positiva dello sviluppo economico e sociale sostenibile. Come lei ha detto, è anche nel nostro interesse che i conflitti nel nostro vicinato vengano risolti in modo pacifico e che questioni quali migrazione, controllo delle frontiere, criminalità organizzata e terrorismo siano affrontate in maniera più efficace attraverso una più stretta cooperazione.

Il 2005 è stato il primo anno di applicazione della politica europea di prossimità con l’inizio dell’attuazione dei primi sette piani d’azione previsti in tale ambito.

Cosa vogliamo fare in futuro? La Commissione è stata attiva su un fronte molto vasto che comprende, ad esempio, i progressi compiuti in merito al riconoscimento dello status di economia di mercato, le agevolazioni nella concessione dei visti e le questioni energetiche nel caso dell’Ucraina, la missione di assistenza alle frontiere tra Moldova e Ucraina, la creazione di nuove sedi in cui discutere questioni quali democrazia, diritti umani e governance, ad esempio con i paesi partner mediterranei – basti ricordare la Conferenza Euromed svoltasi a Barcellona in novembre –, i preparativi per il perseguimento della cooperazione nel campo dell’istruzione e in particolare per l’estensione ai paesi partner dei programmi di gemellaggio e di assistenza tecnica nonché dello scambio di informazioni nell’ambito di TAIEX, e infine la proposta di un nuovo strumento di vicinato e partenariato che non sarà scorporato dalla politica di prossimità.

Va detto che, per il 2006 e il 2007, per l’ulteriore sviluppo della politica europea di prossimità sarà fondamentale ottenere i risultati auspicati, e i paesi partner saranno investiti di una considerevole responsabilità per la sua attuazione, in quanto da parte nostra continueremo a tener fede ai nostri impegni, ma sarà molto importante anche il modo in cui i paesi partner reagiranno. Continueremo ad attuare i piani d’azione previsti nell’ambito della politica europea di prossimità in stretta collaborazione con i paesi partner. Alla fine del 2006 presenteremo una relazione completa sui progressi compiuti in tale attuazione e apriremo alcuni programmi e agenzie dell’UE ai paesi partner. Ad esempio, con i paesi partner del Mediterraneo inizieremo i negoziati sui prodotti agricoli e della pesca; con Ucraina e Moldova tratteremo le questioni relative alle agevolazioni in materia di visti, mentre nel caso dell’Ucraina il mandato esiste già. Adotteremo anche quanto prima possibile lo strumento di vicinato e partenariato, dotandolo, com’è auspicabile, di risorse adeguate in modo che possa essere pienamente operativo da gennaio 2007. Siamo convinti che tale strumento costituirà per noi un mezzo migliore, più flessibile e più mirato con cui potremo sostenere le riforme e la cooperazione transfrontaliera.

Sia noi che i paesi partner ci troviamo di fronte all’ardua sfida di tradurre in azioni concrete gli impegni contenuti nei piani d’azione. L’attuazione è sempre la prova più importante e il suo esito dipenderà in gran parte dalla volontà politica dei paesi partner e dalla nostra capacità, ma anche dalla loro, di adempiere gli impegni assunti nei piani d’azione. Vi posso assicurare che faremo tutto quanto in nostro potere in tal senso.

Permettetemi anche di dire in breve che la controversia sul gas del 1o gennaio ha dimostrato quanto sia diventata importante la questione energetica. Vorrei aggiungere che dobbiamo trarre con urgenza le conseguenze da tale controversia e dalla questione energetica per la nostra politica estera. Intendo attribuire la massima priorità alla definizione di un’efficace politica estera in materia di energia allo scopo di garantire nel modo più adeguato possibile la sicurezza dell’approvvigionamento energetico dell’Unione europea. Non cominciamo da zero, in quanto esistono già molti strumenti, che però devono essere ulteriormente sfruttati; è in corso, poi, un dialogo sull’energia con la Russia che è già in fase piuttosto avanzata e ha fornito una buona base per affrontare gli aspetti bilaterali, ma dobbiamo approfondirlo e andare avanti. Di recente abbiamo firmato con l’Ucraina un memorandum d’intesa sull’energia e, inoltre, forniremo competenze all’Ucraina e alla Moldova. Esiste pertanto un aspetto multidimensionale e lo affronteremo attraverso istituzioni quali il G8, l’Agenzia internazionale per l’energia, l’OSCE e altre. Abbiamo il Trattato sulla Carta dell’energia, cui la Russia non ha ancora aderito, ma anche il Trattato che istituisce la Comunità dell’energia dell’Europa sudorientale quale strumenti su cui basarci. Questo significa che la politica di prossimità dovrà affrontare anche tali questioni nella giusta forma. Tuttavia, ribadendo ciò che ho detto oggi in un altro contesto, sarà necessaria anche coerenza da parte degli Stati membri.

 
  
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  Elmar Brok, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, vorrei ringraziare il relatore per il lavoro svolto e il suo predecessore, onorevole Laschet, per ciò che ha fatto in fase preparatoria; sono grato anche al Commissario Ferrero-Waldner per aver contribuito a far sì che con la politica di prossimità entriamo in un’area estremamente importante. Tale politica è di aiuto non solo per i paesi interessati, ma è anche nel nostro stesso interesse in quanto politica per la stabilità e la pace.

Ritengo che i programmi d’azione debbano essere basati su uno strumento finanziario dotato di risorse adeguate e che, in collaborazione con il Parlamento europeo, secondo la divisione dei ruoli cui dobbiamo attenerci, debbano essere inclusi settori importanti.

Coinvolgendo i nostri vicini in vari settori politici si aumentano i legami che ci uniscono in termini di politica economica, di aiuti per il loro sviluppo politico, di rispetto dei diritti umani e di molto altro ancora. E’ già stato menzionato l’esempio della politica energetica, che implica, ad esempio, la fornitura di aiuti all’Ucraina. Aiutare l’Ucraina a mantenere il possesso dei propri gasdotti, evitando che cadano in altre mani, è anche nel nostro interesse.

Vorrei sottolineare che questo è importante sia per l’Europa orientale che per il Mediterraneo. In singoli casi, possiamo tuttavia utilizzare metodi e sedi diversi per conseguire gli obiettivi della politica di prossimità. Per i paesi dell’Europa orientale esiste una prospettiva europea che è importante al fine di legittimare gli sforzi di riforma nazionale e di sostenere i governi in modo che possano procedere in tal senso.

Questo non significa tuttavia che ogni paese abbia automaticamente la prospettiva di adesione, come il Primo Ministro francese De Villepin ha detto oggi nel discorso pronunciato a Berlino. Possiamo anche dover trovare metodi che alla fine non sfociano necessariamente nell’adesione. Dovremmo pertanto considerare se lo sviluppo di questa politica debba anche tradursi nella creazione di uno “spazio economico europeo allargato”. Ho usato questa espressione solo con valore esemplificativo di quella che ritengo possa essere un’offerta multilaterale che, in linea di principio, lascia la porta aperta all’adesione all’UE se i paesi interessati ne hanno la capacità e se l’Unione europea è disposta ad accoglierli ed è in grado di farlo. Noi in Parlamento attualmente stiamo discutendo se questa potrebbe essere una possibilità. Questo non è tuttavia lo scopo della relazione, che funge da fase intermedia per alcuni dei paesi balcanici con i quali non sono ancora iniziati i negoziati di adesione, senza mettere in discussione l’impegno di adesione di Salonicco.

Abbiamo molto da fare a questo proposito, signora Commissario, e vorrei, a nome del mio gruppo, offrirle il sostegno necessario per compiere progressi in un rapporto di stretta collaborazione.

 
  
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  Pasqualina Napoletano, a nome del gruppo PSE. – Signor Presidente, signora Commissario, onorevole relatore e onorevoli colleghi, innanzitutto vorrei invitare la Commissione a prendere in seria considerazione la relazione in esame, cosa che non è stata fatta invece in occasione della risoluzione del 2003 di questo Parlamento. Essa contiene infatti una serie di indicazioni utili a rafforzare la politica di vicinato, che costituisce una delle più importanti sfide per l’Europa. L’unica prospettiva per costruire pace e sicurezza intorno a noi è data infatti dalle relazioni positive che saremo in grado di costruire con i nostri vicini.

Si tratta di un di compito non facile per due motivi principali. Il primo è che siamo circondati da aree di grande instabilità e di conflitti: dalla Cecenia al Nagorno-Karabakh, alla Transnistria, all’Afghanistan, all’Iraq e al Medio Oriente. In secondo luogo, perché l’obiettivo di questa politica non è l’ingresso nell’Unione, il che rende più difficile riuscire a influire sia sulle riforme interne dei differenti paesi che sulle relazioni tra loro e tra questi stessi e l’Unione.

Alcuni dei paesi attualmente coinvolti nella politica di vicinato guardano alla prospettiva della piena integrazione europea – è già stato ricordato dal relatore il caso dell’Ucraina e della Moldavia. Anche se non dobbiamo escludere questa prospettiva, dobbiamo però essere onesti nel dire che quest’ultima non è attualmente realizzabile, sia per la situazione interna all’Unione sia per i progressi che questi stessi paesi devono ancora compiere. Ma tutto ciò avvalora ulteriormente questa politica.

L’aspetto che ho scelto di sottolineare è quello del rafforzamento della visione complessiva della politica di vicinato, anche se essa si rivolge ad aree diverse dell’Est, del Sud-Est, del Sud e a paesi molto diversi tra loro. Sicurezza, energia, immigrazione, ambiente e diritti necessitano di una visione e di un dialogo politico, come pure di istituzioni specifiche per poter progredire insieme.

Accanto ai piani d’azione che la Commissione sta negoziando, è questa la dimensione che va rafforzata, anche attraverso politiche specifiche, come quella energetica – ricordata puntualmente dalla signora Commissario – che il Parlamento europeo aveva già indicato nel 2003 come oggetto di attenzione nelle relazioni con i paesi vicini, attenzione che oggi rinnoviamo chiedendo l’elaborazione di una comunicazione sugli aspetti della politica energetica concernenti la politica estera e di vicinato.

Concludo, quindi, con l’appello iniziale rivolto alla Commissione e al Commissario, che ha un ottimo rapporto con noi: non sottovalutate il contributo del Parlamento europeo.

 
  
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  Paavo Väyrynen, a nome del gruppo ALDE. – (FI) Signor Presidente, il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa è molto soddisfatto del contenuto della relazione dell’onorevole Tannock; tuttavia avremmo voluto alcuni miglioramenti concettuali.

In origine la Commissione aveva usato l’espressione “politica di prossimità” insieme al concetto di “Europa allargata”. Nel dibattito scientifico e politico, tale espressione faceva generalmente riferimento a tutta l’Europa. La relazione dell’onorevole Tannock contiene molte osservazioni sul modo di sviluppare la cooperazione paneuropea, fra cui quella nell’ambito del Consiglio d’Europa e dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, ma non se ne tiene conto nei sottoparagrafi della relazione. Vorremmo pertanto proporre di sostituire il sottoparagrafo formulato in maniera infelice inserito dopo il punto 30 con le parole “Europa ampliata”.

Il gruppo ALDE propone inoltre che nella relazione trovi posto il concetto della “dimensione meridionale”, che costituirebbe una descrizione più adatta delle relazioni esterne dell’Unione europea con il sud, la regione mediterranea, il Medio Oriente allargato e i paesi più a est. Sarebbe logico parlare al contempo di dimensione settentrionale e meridionale della politica dell’Unione europea.

La terza proposta concettuale era che la relazione avrebbe dovuto contenere l’idea di un’Europa che si sviluppa quale sistema di cerchi concentrici, costituito, da un lato, da una differenziazione flessibile all’interno dell’UE e, dall’altro lato, dalla creazione di cerchi funzionali di cooperazione attorno ad essa. Questa nozione offre l’opportunità di trovare una soluzione al conflitto tra il consolidamento e l’espansione dell’Unione. L’idea ha ricevuto sostegno nelle discussioni tra i gruppi, ma nessuno ha voluto includerla nella relazione in esame, e mi chiedo perché non sia stato fatto. Poiché non abbiamo ottenuto sufficiente sostegno dagli altri gruppi a favore dell’attuazione di questa e delle altre nostre proposte di miglioramento concettuale, non le includeremo nei turni di votazione, attendendo un momento più opportuno per adottarle.

Ringrazio il relatore, onorevole Tannock, per l’ottima collaborazione e soprattutto per aver adottato la nostra proposta di inserire nella relazione la dimensione settentrionale e le proposte relative alla cooperazione paneuropea, anche se è stato omesso l’importante concetto dell’Europa allargata.

 
  
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  Marie Anne Isler Béguin, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, sono grata all’onorevole Tannock, che ha raccolto il testimone su questa relazione, per la sua disponibilità e la volontà di ascoltare per quanto riguarda le questioni molto complesse emerse nella definizione della politica di prossimità.

La politica di prossimità si è resa necessaria con l’arrivo dei nuovi Stati membri e, coinvolgendo tutti i paesi limitrofi orientali attorno al Mediterraneo, è diventata uno degli elementi fondamentali e dei punti di forza della politica estera dell’Unione europea. A tale scopo, l’Unione europea si è assunta una considerevole responsabilità e avrà l’arduo compito di evitare di deludere le speranze dei paesi vicini, nei quali si è infatti creato un nuovo dinamismo e che adesso si aspettano dall’UE sostegno per il processo di democratizzazione, stabilizzazione e sviluppo sostenibile da loro avviato. Per alcuni paesi si tratta addirittura di un prerequisito per una futura adesione. Se vogliamo garantire la riuscita della politica di prossimità, dobbiamo pertanto evitare di compiere alcuni errori.

Tale politica deve includere una dimensione multilaterale e offrire un quadro istituzionale in cui i paesi partner siano pienamente coinvolti nella definizione delle politiche europee. Non deve limitarsi a una semplice zona di libero scambio, ma deve essere basata su un’effettiva condivisione di valori comuni, sulla democrazia e sul rispetto dei diritti umani. La politica di prossimità deve favorire il consolidamento della società civile attraverso l’istituzione di un forum civile in cui le ONG possano seguire i piani d’azione, che, signora Commissario, non saranno i soliti piani di cooperazione bensì piani specifici ed efficaci, con un’Unione europea determinata a controllarli e ad attuarli secondo precisi criteri.

Signora Commissario, onorevoli colleghi, sostengo non senza orgoglio i piani d’azione a favore dei paesi del Caucaso meridionale, perché è grazie al Parlamento europeo e non alla Commissione e al Consiglio se l’Armenia, l’Azerbaigian e la Georgia fanno parte della politica di prossimità.

Oggi queste tre ex repubbliche sovietiche hanno una pesante responsabilità storica. La politica di prossimità deve aiutarle a trovare una soluzione ai loro conflitti congelati: occorre affrontare la questione del Nagorno-Karabakh; i rifugiati, in particolare gli azerbaigiani, devono poter far ritorno nelle loro case; la demolizione di monumenti storici armeni nel Nakhichevan è inaccettabile; la Turchia deve riaprire le frontiere con l’Armenia; la Russia non può, da un lato, avere un partenariato privilegiato con l’Unione europea e, dall’altro lato, rilasciare passaporti ai separatisti georgiani; l’UE deve sostenere il piano di pace in Georgia per l’Ossezia meridionale e contribuire all’elaborazione di un piano per l’Abkhasia.

Come si può vedere, è indispensabile un forte coinvolgimento dell’Unione europea, attraverso l’elaborazione di un Patto di stabilità nel Caucaso meridionale per giungere a una soluzione pacifica dei conflitti, e sarà una strategia doppiamente vincente, in quanto consentirà a tali paesi di trovare la via verso lo sviluppo e una pace duratura e all’Unione europea di acquistare considerevole credito in una regione dominata dall’influenza della Russia e degli Stati Uniti. Facciamo della politica di prossimità la punta di diamante di un’efficace politica di sicurezza globale comune.

 
  
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  Erik Meijer, a nome del gruppo GUE/NGL. – (NL) Signor Presidente, la politica di prossimità può assumere due forme, molto diverse tra loro. La prima è basata sul puro interesse egoistico, sui tentativi di asservire l’ambiente alle esigenze economiche e militari esistenti nell’Unione europea. I paesi che seguono questo modello sono lieti di avere quali vicini paesi che forniscono loro petrolio e gas, che tengono i rifugiati lontani dal loro territorio e che sottopongono la popolazione a misure dittatoriali volte ad evitare che gli interessi dei paesi che aderiscono a tale modello siano danneggiati.

In un modello di questo tipo, la politica di prossimità è anche un mezzo per tenere una volta per tutte i paesi con un tenore di vita inferiore, meno democrazia e diritti umani più limitati fuori dalla ricca fortezza Europa. Quei paesi servono solo a fornire manodopera a basso costo. Una simile politica di prossimità ricorda il modo in cui gli Stati Uniti hanno trattato l’America latina per due secoli.

Ma è possibile anche un’altra forma di politica di prossimità, completamente diversa, la quale riconosce che in questa parte dell’Europa abbiamo organizzato molte cose meglio che in altri paesi e che abbiamo qualcosa da offrire loro. Promuovere la democrazia e i diritti umani in Bielorussia, Tunisia, Algeria e nelle regioni palestinesi ancora occupate è in linea con questo tipo di politica, oltre a significare che contribuiamo allo sviluppo economico che dovrebbe innalzare il livello di prosperità di quei paesi al nostro livello. In alcuni casi, come nei Balcani occidentali, ma forse anche in Ucraina, Bielorussia, Moldova e Turchia, potrebbe anche rappresentare una fase transitoria verso la piena adesione all’UE.

Mentre il mio gruppo denuncia con forza la prima forma di politica di prossimità, sostiene senza riserve la seconda. Per fortuna quella che domina nella relazione dell’onorevole Tannock è la seconda variante. Inoltre, la maggior parte degli emendamenti pone democrazia, diritti umani e solidarietà al di sopra del vantaggio economico e militare. Se il Consiglio e la Commissione seguiranno questo orientamento, la politica di prossimità procederà nella giusta direzione.

 
  
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  Bastiaan Belder, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, l’onorevole Tannock ha ragione di dedicare parte della sua interessante relazione all’attuale situazione in uno dei paesi vicini dell’Unione europea, la Bielorussia. Nel paragrafo 56, in particolare, egli invita tutte le Istituzioni europee a sostenere maggiormente le attività svolte in Bielorussia dalla società civile e dall’opposizione politica.

Tenendo presente questo aspetto, vorrei chiedere alla signora Commissario a che punto è il piano di Bruxelles di insediare una delegazione a Minsk. Tale delegazione dovrebbe poter operare effettivamente sulla base dei suoi obiettivi e dell’impegno comune degli Stati membri dell’Unione europea a favore dello Stato di diritto, nonché, quale canale ideale per le comunicazioni tra la Commissione e la società civile bielorussa, potrebbe costituire anche una conditio sine qua non per l’adozione di una politica di prossimità attiva con la Bielorussia.

Temo che l’attuale regime autoritario del Presidente Lukashenko non sarebbe molto entusiasta al riguardo, in quanto preferirebbe forse avere sul suo territorio una delegazione europea inoffensiva che gli consenta di legittimare se stesso agli occhi della comunità internazionale. Chiedo al Commissario se questo atteggiamento di Minsk potrebbe ostacolare l’insediamento della delegazione europea nella capitale bielorussa.

L’onorevole Tannock invita inoltre tutte le parti in causa a trovare una soluzione politica all’annosa questione della Transnistria. Purtroppo per la Moldova, appena un mese fa, ossia a metà dicembre 2005, due delle parti in causa, Russia e Ucraina, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta sul conflitto in Transnistria senza coinvolgere Chisinau. I Presidenti Putin e Yushchenko in realtà non hanno coinvolto neppure gli Stati Uniti, l’Unione europea o la Romania. Si sono nominati di comune accordo “potenze garanti” in Moldova e in Transnistria. Potrebbe trattarsi della ripetizione di un’azione precedente intrapresa da Yevgeni Primakov nel 1997, che non ottenne alcun sostegno internazionale e fu respinta con forza dalla Moldova?

Per inciso, Putin e Yushchenko si sono anche nominati responsabili per “la pace, la stabilità e il benessere della popolazione di Moldova, Russia e Ucraina su entrambe le rive del Dniester”. Ciò equivale a un condominio tra Russia e Ucraina. Al contempo, il 15 dicembre 2005 Kiev e Mosca hanno accettato le rispettive soluzioni per il conflitto in Transnistria come “complementari”. Si tratta di proposte trasparenti che, a mio avviso, equivalgono alla conferma di una divisione geografica della Moldova, di una legittimazione internazionale della presenza militare della Russia in Transnistria e di uno “Stato democratico neutrale della Moldova”.

Vorrei chiedere al Commissario come interpreta questo accordo bilaterale tra Putin e Yushchenko sul futuro della Moldova nel contesto della politica europea di prossimità. Resto in attesa di ricevere la sua risposta alle mie due domande.

 
  
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  Konrad Szymański, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, vorrei sottolineare alcuni principi fondamentali che dovrebbero figurare in qualsiasi politica di prossimità solida ed efficace.

Innanzi tutto, tale politica non deve essere presentata come qualcosa di diametralmente opposto all’adesione all’Unione europea. Anzi, nel caso di un paese europeo, una politica di prossimità di successo dovrebbe avvicinare l’adesione. E’ chiaro che tale politica non implica automaticamente l’adesione, può tuttavia portare ad essa.

In secondo luogo, va sottolineato che il livello di aiuto deve essere subordinato alla volontà di conformarsi alle norme democratiche dimostrata dal paese vicino o partner. Questo vale in particolare per la Bielorussia, nel cui caso non abbiamo la possibilità di collaborare con il governo. Dovrebbe tuttavia valere anche per la Russia, dato che in quel paese il livello di conformità alle norme democratiche ha subito una netta riduzione durante l’attuale periodo di attuazione degli accordi di partenariato. Ho l’impressione che ciò che stiamo facendo in Russia contribuisca a costruire strade che verranno utilizzate in seguito per trasportare persone condannate ingiustamente, oppure oleodotti dai quali ci viene negata la fornitura di petrolio.

Il terzo principio è il seguente: ovunque si osservi un livello inadeguato di democrazia, dovremmo compiere uno sforzo particolare per sostenere la società civile e le forze democratiche. Per poterlo fare in modo efficace, dobbiamo poter contare su uno strumento specifico per i diritti umani. Tale strumento dovrebbe essere abbastanza flessibile da servire quale mezzo efficace in un contesto giuridico e politico ostile.

Questi principi sono contenuti nella relazione Tannock e da essa sostenuti. Il mio gruppo è pertanto lieto di votare a favore della relazione.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (NI).(PL) Signor Presidente, la politica europea di prossimità, oggetto della discussione odierna, e la risoluzione in esame sono la prova che, nonostante l’Unione europea stia attraversando una crisi, non abbiamo ancora perso la capacità di pensare in modo strategico. Riconosciamo l’importanza di aprirci ai nostri vicini. I problemi economici dell’Unione allargata e le difficoltà riguardo all’adozione della Costituzione non devono farci desistere dallo sviluppare una visione del futuro oltre le prossime elezioni nei singoli paesi europei.

Le relazioni con i paesi vicini orientali e sudorientali sono un aspetto particolarmente importante della politica di prossimità. Il progetto di risoluzione fa riferimento a giusto titolo a Ucraina, Georgia, Moldova e ai paesi del Caucaso meridionale in generale. E’ anche giusto che riconosciamo l’errore che abbiamo commesso non esercitando un’influenza adeguata sulla Russia affinché svolgesse la sua parte stabilizzando anziché destabilizzando la situazione nelle ex repubbliche sovietiche.

Vorrei formulare un’osservazione rivolta al Commissario Ferrero-Waldner. Non possiamo aspettarci che qualcuno conduca la politica europea di prossimità per nostro conto. Tale responsabilità non deve essere scaricata sul G8 o sull’OSCE, né deve diventare una patata bollente politica da passare ad altri. Dobbiamo anche tenere presente un principio fondamentale, ossia che gli aiuti finanziari nel quadro dello strumento europeo di vicinato e partenariato, di recente creazione, devono essere controllati, come l’onorevole Szymański ha detto in precedenza. Non dobbiamo promuovere gli interessi di governi antidemocratici, i quali devono essere chiamati a sostenere la democrazia nelle società e nelle strutture governative e a promuovere il rispetto dei diritti umani.

In conclusione, la politica europea di prossimità è un’opportunità per l’Unione, non un dovere oneroso. Faremmo bene a ricordarlo.

 
  
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  Pawel Bartłomiej Piskorski (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, noi tutti siamo fermamente convinti che la politica europea di prossimità costituisca un elemento fondamentale nella definizione di una politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea. Siamo anche consapevoli che la politica di prossimità debba essere tale da poter essere adattata alle esigenze dei singoli paesi. Dopo tutto, ad esserne interessati saranno paesi molto diversi tra loro, come il Marocco e l’Ucraina.

Sappiamo inoltre che, pur mantenendo la flessibilità di questo strumento, non dobbiamo dimenticare che ci troviamo di fronte a due tipi di situazioni. E’ opportuno sottolineare questo fatto. Vi sono situazioni in cui si tratta di approfondire e ampliare la cooperazione in settori quali l’energia e la sicurezza e di intervenire se opportuno in altri settori; i paesi dell’Africa settentrionale sono un buon esempio di tali situazioni. Inoltre, però, dobbiamo anche affrontare la situazione in paesi assai diversi, come la Bielorussia e la Siria, in cui dobbiamo confrontarci con dittature e contesti antidemocratici. La politica europea di prossimità dovrebbe servire quale strumento con il quale possiamo esercitare pressioni su tali paesi affinché si impegnino in un processo di democratizzazione.

Siamo lieti di constatare che la relazione Tannock risponde a tali sfide e pertanto merita di essere sostenuta. Un ottimo punto di partenza è che la politica di prossimità non deve essere percepita come un’alternativa alla futura adesione di questi paesi all’Unione europea. Nessuno crede sul serio che paesi quali la Moldova, la Bielorussia o l’Ucraina entreranno presto a far parte dell’Unione europea. L’importante è tuttavia lasciare la porta aperta per consentire ai paesi europei di candidarsi all’adesione in base ai Trattati.

Chiediamo inoltre di sostenere gli emendamenti nn. 55 e 52 presentati dall’onorevole Klich, nei quali si chiede, tra l’altro, di far riferimento al regime bielorusso per quello che è, ossia un regime antidemocratico.

 
  
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  Pierre Schapira (PSE).(FR) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, accolgo con favore la risoluzione sulla politica di prossimità in esame, che illustra in modo esaustivo tutte le priorità fissate dal Parlamento per tale politica: diritti umani, democrazia, immigrazione, ambiente e liberalizzazione degli scambi.

Tuttavia, manca del tutto un argomento fondamentale, ossia la cooperazione allo sviluppo. Consentitemi di rammentare che, dei 17 paesi interessati dalla politica di prossimità, 12 sono paesi in via di sviluppo, e di essi un terzo appartiene alla categoria dei paesi a basso reddito. Con l’attuale riforma degli strumenti dell’azione esterna, i 12 paesi in via di sviluppo in questione non rientreranno nel futuro strumento di cooperazione e sviluppo. Ne consegue che, se nel quadro della politica di prossimità non sarà prevista una politica di sviluppo, questi dodici paesi non riceveranno più da parte nostra alcun aiuto allo sviluppo.

Deploro tuttavia che un testo di carattere politico così generale e ampio come questo non faccia alcun riferimento alla cooperazione. Non ha senso parlare di rafforzamento della prosperità di una regione senza al contempo impegnarsi a eliminare la povertà. Le esigenze elementari delle popolazioni dell’Azerbaigian, della Moldova o della Palestina sono attualmente soddisfatte? Come possono questi paesi lottare contro la dittatura ed essere competitivi nell’economia di mercato quando una parte della popolazione non ha neppure accesso all’acqua potabile, a servizi sociali, all’assistenza sanitaria o a un’istruzione di base? Come possiamo sperare di conseguire gli Obiettivi di sviluppo del Millennio se non siamo neanche in grado di combattere la povertà alle porte dell’Europa?

Adottare una risoluzione sulla politica di prossimità che non tenga alcun conto dell’obiettivo di eradicazione della povertà sarebbe, a mio avviso, un grave errore di valutazione di cui in futuro dovremmo purtroppo assumerci la responsabilità.

 
  
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  Diana Wallis (ALDE).(EN) Signor Presidente, signora Commissario, vorrei intervenire in qualità di presidente della delegazione per le relazioni con la Svizzera, l’Islanda e la Norvegia e della delegazione alla commissione parlamentare mista dello Spazio economico europeo. Mi è dispiaciuto vedere il paragrafo 43 della relazione, che in modo piuttosto maldestro accomuna questi paesi con il resto dei paesi vicini e/o li pone su un piano di parità con Andorra e lo Stato del Vaticano. Purtroppo non è la prima volta che questo accade in Parlamento.

Con il mio emendamento volevo almeno far riferimento all’area SEE-EFTA, in quanto si dovrebbe riconoscere che gli Stati membri dell’UE fanno parte dello Spazio economico europeo. Si tratta di un rapporto stretto e profondo che comporta già la piena partecipazione al mercato interno e ad altri programmi comunitari. Inoltre i paesi dell’area SEE-EFTA sono in effetti già nostri partner e insieme a noi contribuiscono alla costruzione della democrazia e ad altre attività nei nuovi paesi vicini.

Sono sicura che l’onorevole Tannock capirà un’analogia con il calcio britannico. Anche se per il momento questi paesi non aspirano all’obiettivo di essere membri a pieno titolo, attualmente sono nella massima divisione e di certo non agli ultimi posti della lega dilettanti.

Ritengo che l’auspicio sia quello di organizzare una nuova riunione con i ministri degli Esteri dei paesi SEE-EFTA e la commissione per gli affari esteri. Mi auguro che il mio emendamento eviti di creare imbarazzo riguardo al modo in cui percepiamo i paesi partner e vicini più vecchi e più prossimi e riguardo al modo di considerare il SEE-EFTA.

 
  
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  Cem Özdemir (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, signora Commissario, anche noi accogliamo con favore la relazione dell’onorevole Tannock. Vorrei inoltre cogliere l’opportunità di ringraziare in modo particolare l’onorevole Laschet per il lavoro svolto in precedenza.

Un elemento importante della relazione in esame è senz’altro il punto 4, che ancora una volta sostiene la necessità di assicurare che siano stimolate le riforme democratiche e che sia promosso lo sviluppo economico. L’Unione europea deve prestare più attenzione che in passato a garantire che le clausole relative alla democrazia contenute negli accordi conclusi con i paesi terzi siano prese sul serio e al fatto che esse possono avere conseguenze, sia positive che negative. La relazione fa riferimento, in proposito, a un efficace meccanismo di controllo. Si compirebbe un considerevole passo avanti se si potesse istituire l’Agenzia per i diritti fondamentali, di cui discuteremo in questa sede in un’altra occasione, in quanto si disporrebbe di uno strumento con cui valutare efficacemente la situazione nei paesi partner.

E’ anche vero che l’approccio bilaterale che la politica europea di prossimità segue dal 2003, e che noi esplicitamente sosteniamo, può fare giustizia ai vari paesi. Non dobbiamo però dimenticare che esiste un altro approccio, ossia l’approccio regionale del processo di Barcellona. Faremmo bene a considerarli complementari e, al fine di definire una politica omogenea per l’Unione europea, a combinare i punti di forza di entrambi.

Vorrei anche fare riferimento in modo particolare alla politica di immigrazione, che attualmente, purtroppo, non svolge alcun ruolo nel processo di Barcellona. Faremmo bene a discutere la questione con i paesi mediterranei meridionali. Noi tutti ricordiamo le terribili immagini di Ceuta e Melilla, che hanno suscitato viva impressione nell’Unione europea. E’ ovvio che dobbiamo discutere le questioni delle frontiere, gli accordi di riammissione e le procedure di asilo. Al contempo, però, dobbiamo anche parlare del trattamento umano dei rifugiati e del miglioramento della situazione generale in quei paesi. Sono lieto che l’Unione europea stia rafforzando le sue attività a favore dell’istruzione; dobbiamo fare molto di più in questo campo. Mi riferisco in particolare ai giovani nei paesi a sud del Mediterraneo, cui deve essere offerta l’opportunità di partecipare in futuro alla vita dei loro paesi. Solo se i giovani avranno possibilità nei loro paesi, vi resteranno e utilizzeranno le loro conoscenze per accrescere il benessere e migliorare l’organizzazione democratica della società in cui vivono.

Infine, vorrei rammentare la situazione in Egitto. Noi tutti siamo a conoscenza della detenzione del politico dell’opposizione Aiman Nur, e ritengo di parlare a nome di tutti quando esprimo la nostra solidarietà nei confronti suoi e di tutti coloro che lottano per la democrazia e i diritti umani in quel paese, talvolta in condizioni difficili.

 
  
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  Esko Seppänen (GUE/NGL).(FI) Signor Presidente, la relazione della commissione per gli affari esteri elaborata dall’onorevole Tannock è approfondita sotto molti punti di vista. Contiene molte osservazioni su settori politici delicati per i quali nessuno deve assumersi la responsabilità. La relazione è stata realizzata su iniziativa della commissione competente in un settore in cui il Parlamento europeo non ha alcuna competenza.

La relazione riflette la tendenza in base alla quale ai paesi che non fanno parte dell’Unione europea deve essere offerta una speranza di aiuto e sostegno. In questo modo si esprime l’auspicio di vincolare politicamente all’Unione i paesi inclusi nella politica di prossimità, molti dei quali non sono vicini dell’UE. La posizione della relazione in merito ai paesi che possono accedere all’Unione europea non è chiara. Non si vuole dire all’Ucraina, ad esempio, se è o non è ammissibile, anche se l’Ucraina è un paese molto più europeo della Turchia. In realtà, l’adesione dell’Ucraina nel lungo termine è talmente lontana nel tempo da non essere affatto in vista.

Per motivi piuttosto inconsistenti, la relazione include riferimenti alla Costituzione europea anziché riflettere sul modo in cui l’adesione all’UE potrebbe essere affrontata attraverso una struttura come lo Spazio economico europeo e da questo punto di vista.

Un’amministrazione corrotta è all’ordine del giorno in molti paesi vicini. Sarebbe interessante sapere, ad esempio, chi è il proprietario di Ros-Ukr-Energo, che amministra l’accordo relativo alla fornitura di gas tra Russia e Ucraina. Può il Presidente dell’Ucraina essere innocente al riguardo? Dalla “rivoluzione arancione” l’Ucraina è stata un esempio di governo corrotto. L’Azerbaigian, ad esempio, il Kazakistan e il Turkmenistan, che si trovano nella zona più a est in cui sono situate le fonti originarie di gas e petrolio, devono essere valutati anche dal punto di vista dell’abuso di potere dello Stato, e lo stesso vale per la Bielorussia, e non solo da quello delle forniture di gas e petrolio.

 
  
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  Gerard Batten (IND/DEM).(EN) Signor Presidente, la politica europea di prossimità richiede il consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto nei paesi limitrofi dell’Unione europea. Come può l’Unione europea consolidare sul serio la democrazia nei paesi terzi quando la forza trainante centrale dell’adesione all’UE è l’inesorabile eliminazione di qualsiasi responsabilità democratica effettiva e sostanziale nei propri Stati membri? Come può l’Unione europea chiedere sul serio l’estensione dello Stato di diritto nei paesi terzi quando la stessa UE ignora le proprie leggi?

E’ ovvio che mi riferisco alla Costituzione europea che ci è stata proposta, la quale dovrebbe essere morta e sepolta in base alle disposizioni del Trattato a seguito dell’esito negativo dei referendum svoltisi in Francia e Paesi Bassi, mentre invece viene tenuta artificialmente in vita finché l’inconveniente del rifiuto democratico potrà essere superato con qualche sotterfugio. L’onorevole Tannock farebbe meglio a occuparsi degli interessi di coloro che lo hanno eletto per rappresentarli anziché di coloro che non lo hanno eletto.

 
  
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  Ģirts Valdis Kristovskis (UEN).(LV) Signora Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, la relazione dell’onorevole Tannock costituisce un’ottima testimonianza del problema e delle capacità dell’Unione europea di far valere i propri interessi e le proprie politiche nella zona geopolitica attorno all’UE.

E’ ovvio che un paese vicino democratico, stabile e prospero è la migliore garanzia di sviluppo e sicurezza. Come l’autore della relazione sostiene a ragione, tuttavia, la politica europea di prossimità dovrebbe essere resa più efficace attraverso una maggiore precisione dei criteri relativi ai suoi obiettivi, alle sue priorità e alla sua valutazione. Nell’attuazione della politica europea di prossimità, l’esperienza dei nuovi Stati membri dovrebbe essere utilizzata per incoraggiare le riforme nel Caucaso, in Ucraina e Moldova.

La relazione afferma a giusto titolo che il successo della politica di prossimità nei singoli paesi dipende dalle relazioni tra l’UE e la Russia; tuttavia è difficile credere che una Russia che pensa in termini di vecchie categorie geopolitiche possa rivelarsi un alleato degno di fiducia. In effetti, l’invito a conseguire la democratizzazione della Bielorussia insieme alla Russia sembra addirittura ridicolo. E’ un fatto noto che ogni giorno che passa il regime di Putin si allontana sempre più dall’essere un’amministrazione democratica e sta diventando autoritario.

Signora Commissario, i dialoghi bilaterali tra Putin e Schröder, Putin e Blair e Putin e Chirac purtroppo soddisfano la volontà della Russia di negoziare con un’Unione europea frammentata. Questa situazione sta determinando un abbandono dei principi e dei requisiti della politica europea di prossimità. Equilibrare i prezzi del gas di Russia e Ucraina in linea con il cosiddetto gas a basso costo del Turkmenistan è un’iniziativa monopolistica, non determinata dall’azione del mercato.

Sono preoccupato. E’ difficile capire i motivi per cui, nel momento in cui l’economia della Russia è in crescita, la quota di cofinanziamento della Russia nel quadro dell’Unione europea, della dimensione settentrionale, del partenariato globale e dei programmi per lo smantellamento delle armi di distruzione di massa non aumenti. La relazione menziona tuttavia l’uso assennato ed efficace delle risorse della politica europea di prossimità. Vale davvero la pena di compiere ogni possibile sforzo per rafforzare le dimensioni regionale e subregionale. E’ opportuno riflettere sul significato degli aspetti geografici, storici e politici dell’Europa orientale nella creazione di una politica di prossimità dell’Unione europea affidabile.

 
  
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  Frank Vanhecke (NI).(NL) Signor Presidente, non credo che si sminuisca in alcun modo il lavoro dell’onorevole Tannock se concludiamo che questa politica europea di prossimità rappresenta in realtà un’enorme opportunità mancata per la Commissione, ossia garantire, quale priorità, che uno dei paesi vicini – la Turchia – sia incluso in tale politica e occupi, come dovrebbe, un posto di primo piano e molto privilegiato. Dovrebbe essere chiaro ormai che la maggior parte dei cittadini europei si oppone in modo categorico all’adesione a pieno titolo della Turchia all’UE, e che pertanto sarebbe molto antidemocratico ignorare questa forte disapprovazione. Vorrei rammentare ancora una volta che la Turchia non è un paese europeo, non lo è dal punto di vista geografico, storico, religioso o in alcun altro modo. La Turchia è tuttavia un paese vicino con il quale vogliamo instaurare le migliori relazioni possibili, un paese che avrebbe potuto facilmente svolgere una parte importante, e molto prominente, nella politica europea di prossimità. Si tratta pertanto di un’occasione mancata e di un errore che prima o poi ci costeranno cari.

Vorrei aggiungere un’altra osservazione alle considerazioni formulate nella relazione sulle nostre relazioni con i paesi del Maghreb. Deploro l’omissione di un aspetto molto importante, ossia la recente dichiarazione del governo marocchino che chiedeva una politica di reimmigrazione, il ritorno di una vasta parte dei 2,5 milioni di marocchini che attualmente risiedono in Europa, i più giovani dei quali, come sapete, rischiano di entrare a far parte della schiera del 40 per cento di disoccupati o di finire per essere altrimenti assistiti dallo Stato. Si tratta di un cambiamento molto importante da parte del governo del Marocco, e gli europei dovrebbero sostenerlo attivamente, anche attraverso la politica di prossimità.

 
  
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  Francisco José Millán Mon (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, signora Commissario, i legami con i vicini rivestono estrema importanza sia per le persone che per i paesi. Le relazioni con i paesi vicini sono importanti anche per l’Unione europea. Tali relazioni devono essere positive e inserirsi nell’obiettivo di creare attorno all’Unione europea una cerchia di paesi che siano pacifici, prosperi, rispettosi dei diritti umani, stabili e che condividano i principi della democrazia e dello Stato di diritto. La realizzazione di una cerchia di questo genere è necessaria per gli interessi dell’Unione europea, come il Commissario ha poc’anzi riconosciuto.

Con la globalizzazione e l’interdipendenza è evidente che nessun muro può isolare l’Unione europea dai paesi limitrofi più vicini, e pertanto è importante un’attiva e generosa politica di prossimità.

Ritengo che, come viene precisato nella relazione dell’onorevole Tannock, con il quale vorrei congratularmi vivamente per il lavoro svolto, le politiche di prossimità debbano differenziarsi essenzialmente in base al paese vicino in questione. La differenza non deve dipendere dal continente al quale il paese appartiene, perché in tal modo si darebbe l’impressione che esista una politica di prossimità di prima classe e una di seconda classe per i paesi mediterranei vicini non europei. Si tratterebbe di un errore, tenuto conto che molti di questi paesi mediterranei hanno con l’Unione europea relazioni strette e di lunga data, molto più di quelle che legano l’Unione a vari paesi europei che sono anche oggetto della politica di prossimità.

Questi paesi mediterranei sperano, in base ai nostri impegni, di instaurare relazioni più strette possibili con l’Unione europea. Essi hanno inoltre bisogno di una maggiore cooperazione da parte nostra per porre rimedio alla loro arretratezza nei campi dello sviluppo democratico istituzionale, della crescita economica e sociale e così via.

Una politica europea di prossimità più stretta implica, tuttavia, anche la promozione di riforme orientate verso la democrazia, il rispetto dei diritti umani e l’economia di mercato, nonché il compimento di progressi per quanto riguarda, ad esempio, l’apertura economica, il controllo delle frontiere, la cooperazione nella lotta contro il terrorismo, la criminalità organizzata e l’immigrazione illegale. E’ ovvio che tali progressi sarebbero vantaggiosi per i paesi vicini interessati e per tutta la regione.

Signor Presidente, vorrei formulare un’ulteriore osservazione. Ritengo deplorevole che, al Vertice di Barcellona dello scorso novembre, il livello di partecipazione dei paesi vicini del sud del Mediterraneo sia stato così deludente. Credo che essi abbiano sprecato un’occasione unica per dimostrare il loro interesse a rafforzare le relazioni con l’Unione europea. Nonostante tale delusione, dobbiamo guardare al futuro e alle esigenze strategiche dell’Unione europea. Questo significa che dobbiamo attribuire la priorità alle relazioni con i nostri vicini, non solo nel loro interesse, ma anche nel nostro.

 
  
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  Panagiotis Beglitis (PSE).(EL) Signor Presidente, anch’io desidero ringraziare il Commissario Ferrero-Waldner e sottolineare il contributo particolarmente positivo dell’onorevole Tannock alla formulazione del testo finale.

Vorrei menzionare alcuni aspetti relativi agli sviluppi da cui dipenderà l’attuazione degli obiettivi ambiziosi della politica europea di prossimità.

Innanzi tutto, non può esistere una politica europea di prossimità affidabile senza un approccio geografico equilibrato. Dobbiamo fare tutto il possibile per evitare che gli Stati membri adottino un approccio individualistico sulla base dei loro singoli interessi nazionali.

La condizione preliminare indispensabile per l’efficacia della politica di prossimità è la volontà politica degli Stati membri di far uso del meccanismo previsto per la protezione dei diritti umani e delle libertà democratiche. L’esperienza negativa del processo di Barcellona in questo settore dovrebbe renderci tutti più accorti.

La politica di prossimità deve essere combinata con l’attuazione della strategia europea in materia di sicurezza, soprattutto nei settori della lotta al terrorismo internazionale, della criminalità organizzata, della sicurezza energetica e delle sfide ambientali.

La politica europea di prossimità non deve dare luogo a sovrapposizioni o creare confusione per quanto riguarda le prospettive europee e la futura integrazione nell’Unione europea dei paesi balcanici. Deve anche essere definito con maggiore chiarezza il rapporto con il processo di cooperazione euromediterraneo.

Sono necessari un maggiore coordinamento e una migliore cooperazione con le organizzazioni di finanziamento internazionali per l’attuazione dei programmi d’azione. E’ indispensabile una programmazione finanziaria più efficace nel 2006 per l’adozione del pertinente regolamento relativo al nuovo meccanismo di finanziamento. La politica europea di prossimità deve essere trasformata in un processo con la partecipazione dei cittadini e delle comunità dei paesi terzi. Occorre inoltre intensificare ed estendere la cooperazione regionale nonché integrare e rafforzare l’unione doganale regionale.

La situazione energetica internazionale è tale che l’Unione europea deve armonizzare e integrare i propri mercati dell’energia con quelli dei paesi interessati dalla politica di prossimità.

Per concludere, vorrei sottolineare la necessità di accelerare i negoziati relativi all’adozione di programmi d’azione con i paesi del Caucaso meridionale, soprattutto i negoziati con la Georgia. Occorre tener conto in particolare della situazione dei diritti umani e della situazione del gruppo etnico greco nella zona di Tsalka nella Georgia, dove esistono seri problemi per quanto riguarda i diritti umani e i diritti di proprietà della comunità greca.

 
  
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  Cecilia Malmström (ALDE).(SV) Signor Presidente, quella in esame è una relazione molto costruttiva e importante su una delle questioni più rilevanti per il futuro dell’Unione europea. Quale tipo di relazioni dobbiamo avere con i paesi vicini? Come possiamo intensificare la cooperazione su questioni riguardo alle quali dobbiamo collaborare, come la lotta contro il terrorismo, i problemi ambientali, la sicurezza e l’energia? Come possiamo contribuire al rafforzamento della democrazia e dello Stato di diritto nei paesi del nostro vicinato?

Sono del parere che, nella situazione attuale, non dovremmo definire le frontiere dell’Europa. I paesi europei che possono e vogliono soddisfare tutti i criteri dovrebbero avere chiare prospettive di adesione. Abbiamo visto cosa questo ha significato per la trasformazione dei nuovi Stati membri. Per loro, l’adesione all’Unione europea ha avuto la funzione della carota e del bastone ed è stata estremamente importante per la loro trasformazione. L’adesione riveste estrema importanza anche per la democratizzazione e il processo di riforma nei Balcani e in Turchia. Sono pertanto dell’avviso che dovremmo offrire all’Ucraina la prospettiva dell’adesione.

E’ ovvio che l’Unione non può espandersi in qualsiasi misura, e per questo motivo la politica di prossimità può offrire un’alternativa all’adesione. In tal caso, deve tuttavia offrire un’alternativa allettante. Il messaggio del Parlamento è chiaro al riguardo. Dobbiamo specificare e definire ulteriormente cosa dobbiamo fare con tale politica. Quali devono essere le nostre priorità? Possiamo risolvere le questioni istituzionali che emergeranno in relazione a questi paesi? Sono necessari valori e settori politici comuni. Inoltre, gli accordi di cooperazione devono essere adattati alle singole esigenze, in quanto, com’è stato sottolineato, tra i vari paesi esistono enormi differenze.

L’attenzione deve essere concentrata sulle questioni relative alla democrazia. Il fondo transitorio o per la promozione della democrazia proposto dall’onorevole Tannock è un’idea molto valida. Vorrei ancora una volta ringraziare l’onorevole Tannock per la sua relazione molto costruttiva.

 
  
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  Hélène Flautre (Verts/ALE).(FR) Signor Presidente, signora Commissario, se vogliamo davvero garantire la riuscita della politica di prossimità, dobbiamo ottenere la piena cooperazione dei paesi vicini. Da questo punto di vista, vorrei richiamare l’attenzione, a poche settimane di distanza dal Vertice di Barcellona, sul fatto che la maggior parte dei capi di Stato e di governo dei paesi mediterranei, fra cui anche quelli che sono nostri partner nel quadro della politica di prossimità, hanno boicottato tale Vertice. Ritengo importante che la Commissione e il Consiglio traggano le debite conclusioni dall’atteggiamento dei paesi partner e facciano sì che non si ripetano gli stessi risultati nel contesto della politica di prossimità.

Questo boicottaggio è stato in parte una dimostrazione della disapprovazione dei paesi partner nei confronti, da un lato, delle pressioni molto forti esercitate su di loro dalla Commissione e dagli Stati membri per la conclusione di accordi di cooperazione sulle politiche in materia di immigrazione e sulla lotta contro il terrorismo e, dall’altro lato, della mancanza di prospettive finanziarie per l’attuazione di un’effettiva politica di cooperazione e di sviluppo. Possiamo esseri sicuri che l’Unione europea ne abbia tratto tutti gli insegnamenti possibili?

Tutti i piani d’azione già negoziati finora nel quadro della politica di prossimità includono sezioni riguardanti la cooperazione per garantire la sicurezza delle frontiere dell’Unione europea attraverso la lotta al terrorismo e all’immigrazione illegale. E’ inaccettabile che l’Unione europea conduca una politica che mira a far svolgere ai paesi vicini il ruolo di guardiani delle nostre frontiere. E’ inaccettabile perché i paesi partner non la sostengono e perché il Parlamento europeo si è già espresso in modo molto chiaro contro tale tendenza. Siamo stati tuttavia consultati in un momento qualsiasi dei negoziati sui piani d’azione nazionali?

Per avere successo la politica dell’Unione europea deve essere reciproca, ossia deve rispondere agli interessi di entrambe le parti. E’ anche importante che la politica dell’Unione europea sia coerente. Non possiamo, ad esempio, chiedere ai paesi vicini di concludere accordi di riammissione, quando alcuni Stati membri dell’UE non rispettano le disposizioni della Convenzione di Ginevra. Non possiamo neppure, da un lato, incoraggiarli a rispettare i diritti umani e i principi democratici e, dall’altro lato, chiudere gli occhi su flagranti violazioni di tali diritti e principi commesse nel nome della lotta contro il terrorismo.

Per quanto riguarda i diritti umani, la Commissione sta negoziando l’istituzione di sottocomitati “diritti dell’uomo e democrazia”. Si tratta di sedi importanti per valutare la nostra efficacia in materia. Trovo pertanto deplorevole che l’Unione europea non compia alcuno sforzo per creare tali sottocomitati con alcuni paesi, come ad esempio Israele.

 
  
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  Irena Belohorská (NI).(SK) Grazie, onorevole Tannock, per l’ottimo testo che ci ha presentato sulle relazioni dell’Unione europea con i paesi vicini e sulla creazione di una cerchia di paesi amici attorno all’Unione europea. Aiutando i nostri vicini in realtà aiutiamo noi stessi. La cerchia comprende paesi che non aspirano all’adesione all’Unione europea ma sono interessati a instaurare una stretta cooperazione con l’UE, e da altri paesi che vorrebbero diventare membri ma non sono ancora in grado di soddisfare i criteri fissati per potersi candidare all’adesione. E’ positivo che siano stati conclusi accordi di associazione e piani d’azione con questi paesi e che questi ultimi si siano impegnati a compiere tutti i passi necessari per partecipare al mercato interno dell’UE e stiano armonizzando la loro legislazione con quella comunitaria.

Esaminando l’attuazione di questi accordi a distanza di qualche anno, risulta evidente che alcuni degli obiettivi erano ambiziosi ma non realistici. L’Unione europea offre considerevole assistenza finanziaria ai paesi interessati dalla politica europea di prossimità. E’ tuttavia necessario verificare la conformità ad altre importanti disposizioni degli accordi, che riguardano il rispetto dei diritti umani. La violazione di tali disposizioni può comportare la sospensione o la cessazione dell’assistenza finanziaria. Sembra che queste disposizioni esistano solo sulla carta e che i paesi in questione continuino a ricevere assistenza finanziaria nonostante le flagranti violazioni dei diritti umani. Invito pertanto a migliorare il controllo della conformità in questo settore.

 
  
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  Anna Ibrisagic (PPE-DE).(SV) Signor Presidente, signora Commissario, innanzi tutto voglio dire che la relazione dell’onorevole Tannock sulla politica europea di prossimità è un documento cui va tutto il mio sostegno, e non posso che congratularmi con lui per l’ottimo lavoro svolto. La sua relazione dimostra che egli conosce molto bene la storia europea e l’attuale situazione. Solo coloro che conoscono il passato possono rispondere alle sfide di domani.

Le condizioni nelle quali il relatore ha lavorato non sono state tuttavia sempre facili, in quanto la politica europea di prossimità include ormai, da un lato, i paesi europei legittimati a candidarsi all’adesione e che possono diventare Stati membri dell’UE e, dall’altro lato, i paesi non europei che non possono diventare Stati membri dell’UE. A mio parere personale, la politica di prossimità dovrebbe essere applicata solo ai paesi che sono vicini dell’Europa. I paesi che sono europei e che vogliono ottenere l’adesione non devono essere considerati vicini, bensì potenziali Stati membri dell’UE, e devono essere offerte loro chiare prospettive di adesione all’UE.

Inoltre, il dibattito su tali questioni ha subito di recente una svolta considerevole. Quando parliamo di politica europea di prossimità, ci riferiamo a una prospettiva a lungo termine; per quanto riguarda una prospettiva a breve termine, spesso non esiste nulla del genere. Questo significa che le posizioni all’interno e all’esterno del Parlamento sono cambiate, oppure che ci manca il coraggio politico? Un anno fa, ad esempio, l’opinione riguardo all’Ucraina era che il paese avesse chiare prospettive di adesione all’UE, e non sussisteva alcun dubbio sulla sua appartenenza alla famiglia europea. Ricordiamo tutti le numerose sciarpe arancione che si sono viste in quest’Aula quale manifestazione di sostegno a favore del processo di democratizzazione dell’Ucraina. Se la questione dello stato dei negoziati per l’adesione dell’Ucraina fosse stata discussa allora, sono quasi convinta che ben pochi si sarebbero opposti all’adesione di quel paese. Oggi la situazione è diversa. E’ vero che continuiamo a dire all’Ucraina che vorremmo che diventasse uno Stato membro dell’UE, ma sottolineiamo che questo richiederà un po’ di tempo e che non si deve avere fretta.

Passando ora a un altro paese, la situazione in Bielorussia assomiglia a quella di una dittatura ed è tutt’altro che soddisfacente. Il suo cammino verso una possibile adesione all’UE sarà lungo. Ciononostante, ritengo che, insieme agli inviti alla democratizzazione, dovremmo inviare chiari segnali sul fatto che, quando un giorno diventerà democratica, anche la Bielorussia avrà il suo posto nella famiglia europea. Quello che cerco nella politica di prossimità e nel dibattito europeo in generale sono visioni e ottimismo. Senza ottimismo e auspici espressi con chiarezza riguardo a ciò che vogliamo ottenere e quale tipo di Europa vogliamo vedere in futuro, non riusciremo ad affrontare le sfide attuali.

 
  
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  Ana Maria Gomes (PSE).(PT) Signor Presidente, vorrei congratularmi con l’onorevole Tannock per la sua relazione sulla nuova politica europea di prossimità, che diventerà uno degli strumenti di maggiore importanza strategica dell’Unione europea, anche dal punto di vista della sicurezza globale, come ha sottolineato il Commissario Ferrero-Waldner, alla quale rendo omaggio.

Non ha senso che l’Unione si rinchiuda dentro i suoi confini come in una fortezza per proteggersi da rischi quali il terrorismo, la criminalità organizzata, il traffico di stupefacenti, l’immigrazione illegale, la tratta di donne e bambini. Per quanto alti i muri possano essere, vi sarà sempre un modo di aggirarli, come dimostrano i casi drammatici di Lampedusa, Ceuta e Melilla.

Un buon vicinato implica per i vicini interessati una maggiore sicurezza reciproca. Una corretta applicazione di questa politica riveste pertanto estrema importanza. La politica europea di prossimità ci consentirà di sostenere i paesi vicini attraverso programmi specifici che abbiano un’influenza diretta sul rafforzamento della sicurezza, sia loro che nostra. Aiutandoli a risolvere i loro problemi di sicurezza contribuiremo anche ad ampliare la zona di stabilità attorno a noi.

La parte sudoccidentale della cerchia di sicurezza attorno all’Europa che questa nuova politica mira a creare presenterebbe tuttavia una lacuna se Capo Verde, nonostante i suoi forti legami con l’Europa e la sua frontiera comune con l’Unione europea attraverso le isole Canarie, fosse esclusa da questo strumento. La relazione deve fornire una soluzione in base alla quale Capo Verde sia ammissibile ai programmi che rientrano nell’ambito della politica europea di prossimità.

L’Unione europea non può lasciare che Capo Verde diventi un anello debole della sua catena di vicini. Se potrà beneficiare dei programmi rientranti nell’ambito della politica europea di prossimità, Capo Verde potrà svolgere un ruolo importante nella sicurezza europea e mondiale. E’ necessario aiutare le autorità capoverdiane a impedire che il loro territorio si trasformi in una base per la criminalità organizzata, l’immigrazione illegale e il terrorismo. Per questo motivo, con il sostegno del mio gruppo, ho presentato due emendamenti, che mi auguro siano sostenuti dalla maggioranza del Parlamento.

 
  
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  Jana Bobošíková (NI).(CS) Onorevoli colleghi, sono soddisfatta dell’ottima relazione dell’onorevole Tannock sulla politica europea di prossimità, in quanto essa offre risposte pratiche ai problemi che l’Unione europea deve risolvere se vuole rabbonire i profeti di sventura dell’antiglobalizzazione. Non è possibile che ad ogni allargamento dell’Unione europea si spostino le linee latitudinali e longitudinali sulla mappa dell’Europa e che il nostro territorio sia ridisegnato sulla sabbia; la stessa sabbia, per inciso, in cui potremmo nascondere la testa, anziché affrontare i problemi del mondo che ci circonda, compresi quelli dei vicini dell’UE. E’ proprio questo fenomeno, a mio avviso, che la relazione affronta e cerca di risolvere. La politica europea di prossimità consiste nell’offerta di relazioni privilegiate tra l’Unione europea e i suoi vicini più prossimi, con il sostegno di strumenti finanziari quali TACIS e MEDA, che nel 2007 dovranno essere sostituiti dallo strumento europeo di vicinato e partenariato.

Dall’altro lato, l’Unione europea sembra spesso non rendersi conto del fatto che non dovrebbe invocare il diritto di dettare ai paesi vicini ciò che dovrebbero o non dovrebbero fare per il semplice motivo che fornisce loro sostegno finanziario – e non ho paura di dirlo. Non parliamo di paesi irresponsabili o inferiori, e questo è qualcosa di cui l’Unione europea non di rado si dimentica, nella sua convinzione spesso arrogante di essere al centro del mondo. L’Unione europea deve rispettare pienamente i suoi vicini e non cercare di esercitare pressioni su di essi. Questo è l’unico modo in cui possiamo parlare di politica europea di prossimità.

 
  
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  Alojz Peterle (PPE-DE).(SL) Stiamo parlando di una delle politiche fondamentali dell’Unione europea e sono lieto di poter ringraziare l’onorevole Tannock per l’ottima relazione presentata e lei, signora Commissario, per l’ambizione molto alta di cui ha dato prova. La sicurezza dell’Unione europea dipende essenzialmente dalla qualità della democrazia e dello sviluppo economico tra i suoi vicini. Sostengo la volontà politica chiaramente espressa che non ci accontenteremo dello status quo per motivi pragmatici, ma sosterremo attivamente il rafforzamento della democrazia, il rispetto dei diritti umani e lo sviluppo di un’economia di mercato sociale su base permanente tra i paesi vicini.

Sostengo in particolare l’invito rivolto alla Commissione di stabilire criteri chiari per valutare i risultati politici dei nostri vicini; presumo che il rispetto dei diritti umani occuperà una posizione fondamentale tra questi criteri. Devo ribadire l’eccezionale importanza della cooperazione regionale, nonché dei progetti a livello locale. Inoltre, nell’ambito dei programmi d’azione vorrei che venissero previsti anche progetti di cooperazione in materia di gioventù e in particolare progetti volti allo sviluppo della società civile.

Se mi è consentito, vorrei concludere manifestando forte sostegno a favore dell’opinione relativa all’OSCE e al Consiglio d’Europa. Sono fermamente convinto che l’Unione europea può e deve ottenere attraverso l’OSCE più di quanto non abbia fatto finora, anche nelle regioni al di là dei confini dei nostri vicini più prossimi, e mi riferisco in particolare all’Asia centrale. Vi ringrazio per l’attenzione e mi auguro che in futuro potremo anche rafforzare la dimensione parlamentare della cooperazione.

 
  
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  Marianne Mikko (PSE).(ET) Onorevoli colleghi, sono molto lieta che questa relazione così attuale sia stata completata. Dopo l’ultimo allargamento, l’Unione europea ha più che mai bisogno di una politica di prossimità determinata e flessibile. La Commissione europea deve formulare in modo molto chiaro gli obiettivi e le priorità della politica di prossimità e i criteri per valutarne il successo. La politica di prossimità come viene attualmente condotta sta scomparendo. I paesi interessati da tale politica stanno scivolando in una zona grigia.

In qualità di capo della delegazione del Parlamento europeo, ho avuto modo di osservare questo andamento in Moldova. Il paese è ostaggio del problema della Transnistria, e questo è un fatto che non dobbiamo ignorare. Il conflitto in Transnistria è uno dei motivi più importanti del lento sviluppo economico in Moldova.

Eppure l’Europa, come si osserva anche nella relazione in esame, non ha tratto pieno vantaggio dal suo partenariato strategico con la Russia per risolvere il conflitto. Oggi il Cancelliere Schüssel ha elogiato il suo governo per il positivo intervento riguardo al problema del gas sorto tra Russia e Ucraina, e in tale elogio è stato sostenuto da Barroso. Il fatto che il problema analogo della Moldova non abbia ricevuto alcuna attenzione, e che il paese si sia pertanto trovato a dover affrontare una crisi negli approvvigionamenti di gas che è durata quasi tre settimane, dimostra l’inadeguatezza dell’attuale politica di prossimità. Ignorare un paese partner nella politica di prossimità, ignorare un paese al centro dell’Europa con una popolazione di quattro milioni di persone non è un tipo di comportamento che l’Unione europea dovrebbe continuare a praticare.

Sostengo l’invito del relatore a riconoscere le aspirazioni di Ucraina e Moldova per quanto riguarda l’adesione all’Unione europea e accolgo con favore la richiesta di offrire loro la possibilità di diventare membri dell’Unione europea quando saranno stati soddisfatti tutti e tre i criteri di Copenaghen. L’opportunità di ottenere l’adesione all’UE è della massima importanza per la democratizzazione e le riforme economiche. Questo è proprio l’argomento che è stato sottolineato per giustificare l’avvio dei negoziati di adesione con la Turchia.

Se possiamo dare un’opportunità alla Turchia, la cui popolazione sarà presto maggiore di quella della Germania, perché non possiamo inviare un chiaro messaggio all’Ucraina, che è grande la metà, e alla Moldova, che ha un ventesimo della popolazione della Turchia? In questo senso la relazione sulla politica di prossimità è una generosa eccezione nell’Unione europea. Ringrazio ancora una volta il relatore e tutti voi per l’ attenzione.

 
  
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  Christopher Beazley (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, vorrei rendere omaggio al Commissario Verheugen per l’impegno profuso al fine di garantire il successo dell’allargamento agli Stati baltici. Potrebbe il Commissario Ferrero-Waldner, nella sua risposta a questa discussione, chiarire un aspetto che è un po’ confuso? Parliamo di “politica di prossimità”, ma la Russia è un nuovo vicino dell’Unione europea. La Russia fa parte della politica di prossimità o esiste una politica distinta dell’UE per quel paese?

George Orwell, che era un mio connazionale, scrisse un libro intitolato “La fattoria degli animali”, in cui utilizzò l’espressione: “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”. Mi auguro che i governi degli Stati membri dell’Unione europea non condividano tale punto di vista, ma aderiscano alla politica estera e di sicurezza comune e all’idea che non ci saranno negoziati bilaterali con alcuno dei nostri vicini.

Il poeta americano Robert Frost, parlando di vicinato, affermò che: “Buone recinzioni fanno buoni vicini”. Mi auguro che la Russia si trovi presto in condizione di poter ratificare gli accordi relativi alle frontiere con Estonia e Lettonia. E’ molto difficile, per quanto forte possa essere la nostra opinione riguardo ai rapporti di buon vicinato, se non solo le frontiere degli Stati membri ma anche quelle dell’Unione europea non vengono riconosciute da un vicino. Forse il Commissario potrebbe esprimere un parere sui progressi compiuti con il Presidente Putin e i suoi colleghi in vista della conclusione di un accordo su quella che deve essere una questione fondamentale. E’ ovvio che stiamo investendo molto con i colleghi e amici russi, ma se essi non riconoscono le nostre recinzioni, è molto difficile per noi nutrire un senso reciproco di fiducia.

Due minuti non sono molti per discutere questo argomento di fondamentale importanza, ma vorrei invitare gli onorevoli colleghi a far riferimento al paragrafo 1 dell’ottima relazione dell’onorevole Tannock, in cui si afferma che il Parlamento europeo “dichiara che l’obiettivo dello sviluppo di relazioni di prossimità privilegiate con i paesi vicini implica, quale indispensabile condizione preliminare, un impegno attivo e concreto a favore di valori comuni relativamente allo Stato di diritto, al buon governo, al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, alla democrazia e ai principi di un’economia sociale di mercato ...”.

Mi auguro che il Presidente Putin possa trovare il tempo per leggere almeno il paragrafo 1 della relazione dell’onorevole Tannock.

 
  
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  Ioannis Varvitsiotis (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, anch’io ringrazio il Commissario e il relatore, onorevole Tannock, per le loro posizioni integrate. E’ indubbio che la politica europea di prossimità è una politica di successo.

Ritengo tuttavia che sia giunto il momento di valutare se essa non debba, forse, acquisire una base istituzionale. La mia proposta è specifica ed è la seguente: tutti i paesi che oggi prendono parte alla politica europea di prossimità devono formare una confederazione, una versione migliorata del British Commonwealth. In questo modo l’Unione europea potrebbe creare attorno a sé un’ampia zona di pace, libertà e prosperità.

In questo regime, in questa confederazione, l’unione doganale sarà valida per tutti i paesi, ma i cittadini non saranno liberi di trasferirsi nei paesi dell’Unione europea, di accedere alle Istituzioni comunitarie con funzioni decisionali o di partecipare alla moneta unica.

Questo rapporto particolare offrirà vantaggi economici e di altro tipo in settori quali le infrastrutture, l’energia, l’ambiente e i trasporti, che costituiranno incentivi per unirsi alla confederazione.

L’istituzione della confederazione può diventare una preziosa soluzione di riserva nel caso che la piena integrazione di un paese nell’Unione europea incontri serie difficoltà. Potrebbe anche essere il modo in cui i paesi alla periferia dell’Europa potranno convergere più rapidamente con l’Europa. Si creerebbe una zona di paesi orientati all’Europa e si risolverebbe una volta per tutte il dilemma tra il costante allargamento e l’approfondimento dell’Unione europea. Al contempo, verranno ridotti al momento opportuno molti dei problemi esistenti all’interno dell’Europa e si eviteranno nuovi dilemmi e nuove polarizzazioni nell’Unione prima che essi possano comprometterne l’unità. Ci unirà e ci rafforzerà allo stesso tempo, senza alcun costo significativo e con molti meno rischi.

 
  
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  Józef Pinior (PSE).(PL) Signor Presidente, il dibattito di questa sera in Aula riguarda una delle sfide più importanti con cui l’Unione europea deve confrontarsi. Mi riferisco alla definizione di una politica di prossimità che consenta di ampliare la zona di sicurezza, democrazia, libertà politica e sviluppo economico nel mondo contemporaneo nelle immediate vicinanze dell’Unione europea.

L’Unione europea è diventata un protagonista mondiale, sempre sulla base dei suoi principi, ovvero il rispetto della pace, la ricerca di un compromesso, oltre alla difesa dei diritti umani e di una democrazia liberale. In particolare, è impegnata in uno sforzo di promozione della democrazia in paesi dell’Africa settentrionale, del Medio Oriente, del Caucaso e dell’Europa orientale. Va sottolineato che questa politica comporta tutta una rete di legami politici, economici, scientifici e culturali reciproci.

Vorrei richiamare l’attenzione sull’aspetto dei diritti umani della politica europea di prossimità. Le società che lottano contro la mancanza di democrazia e di rispetto dei diritti umani nei loro paesi percepiscono l’Unione europea come un partner e un garante dei processi democratici. La politica europea di prossimità dovrebbe tener conto delle aspirazioni delle società in tali paesi. Dovrebbe sostenere la società civile e aiutare a definire politiche in materia di visti. Dovrebbe anche favorire un’effettiva apertura dello spazio europeo della ricerca ai paesi al di fuori dell’Unione europea.

Infine, la politica europea di prossimità non dovrebbe diventare un ostacolo per i paesi europei che sperano in futuro di potersi candidare per l’adesione all’Unione.

 
  
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  Libor Rouček (PSE).(CS) Signora Commissario, onorevoli colleghi, negli ultimi giorni e nelle ultime settimane si è molto parlato delle dipendenza energetica dell’Europa da fonti esterne. Gli Stati membri dell’UE continuano a essere in larga misura dipendenti dalle forniture di petrolio greggio e di gas di paesi oggetto della relazione in esame, quali Russia, Algeria, Libia, Egitto e Azerbaigian, nonché di altri paesi in fase di transizione quali Ucraina, Bielorussia e Georgia, attraverso i quali passano le forniture di queste materie prime di importanza strategica.

A questo proposito, vorrei soffermarmi su un aspetto della politica di pro