Bruno Gollnisch (NI). – (FR) Signor Presidente, qual è il senso di questa cosiddetta modifica del Regolamento del Parlamento europeo per evitare turbative in Aula, visto che questa è una delle più monotone, squallide e tristi assemblee del mondo? La modifica, inoltre, non varrebbe unicamente per l’Aula, ma anche per ciò che accade nei corridoi!
Diversi nostri colleghi sono stati costretti a far cessare una mostra autorizzata che dimostrava le analogie esistenti tra la cultura della morte del regime di Hitler e la cultura della morte dell’odierna società edonistica, ambedue ispirate a principi eugenici. Eppure, proprio mentre sto parlando dinanzi a questo consesso, un’altra esposizione sta decantando i presunti meriti della democrazia maoista in Cina, dove tuttora vi sono decine di milioni di prigionieri nei campi di lavoro, detenuti per reati di opinione, e l’ideologia totalitaria comunista, ancora imposta, ha commesso le sue atrocità più efferate!
L’onorevole Onesta, autore della relazione, è un uomo del tutto rispettabile, ma appartiene ad un gruppo che è stato responsabile del più incredibile scompiglio contro un capo di Stato presente in quest’Aula, il Presidente Jacques Chirac, all’epoca appena eletto. Verità oggi, errore domani: due pesi e due misure a seconda che si appartenga ad un gruppo grande o piccolo!
Christopher Heaton-Harris (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, anch’io nutro qualche apprensione in merito alla relazione Onesta, nonostante abbia votato a favore. Ho grande rispetto per il relatore, uomo veramente amabile che mi ha aiutato in più occasioni. La mia preoccupazione riguarda piuttosto il modo in cui le norme saranno interpretate da un Presidente di parte del Parlamento, come quello attualmente in carica, che non pare comprendere il concetto di libertà di parola ed è molto autoritario nei modi in cui tratta i deputati.
In occasione della seduta solenne tenutasi in quest’Aula in omaggio delle vittime del terrorismo nel marzo 2005, egli ci aveva saggiamente consigliato di non sfruttare quegli eventi esecrabili per lanciare messaggi politici, e invece lui stesso l’ha fatto. Non possiamo dunque non chiederci come vigilerà sull’applicazione delle nuove norme in Parlamento.
Maria da Assunção Esteves (PPE-DE), per iscritto. (PT) Occorre procedere con estrema cautela quando si stila un codice di comportamento per gli eurodeputati. Il tema è infatti controverso. Il Parlamento è l’incarnazione istituzionale della libertà.
Proprio nella rappresentanza politica la democrazia ha trovato il suo fondamento legittimante: la legislazione come atto di volontà dell’elettorato in uno spirito di reciproco consenso ed espressione sovrana. E proprio i sistemi politici democratici hanno promosso le istituzioni parlamentari per l’apertura e la trasparenza dei loro dibattiti e perché il popolo poteva controllarne i membri all’atto delle elezioni. I rappresentanti godono di fatto di uno “statuto speciale” conferito loro in quanto sono visti come “spaccato della popolazione”. La loro libertà è un diritto e un dovere, la loro responsabilità è politica e, come disse Popper una volta, per loro il giorno del giudizio è il giorno delle elezioni.
Per questo il gruppo PPE ha esortato ad adottare un approccio cauto al riguardo in seno alla commissione per gli affari costituzionali. Dopo tutto, un codice di tale natura ha dei limiti che derivano proprio dall’integrità dell’esercizio del mandato. Sono i limiti della libertà con cui il popolo ha costituito il Parlamento, nel cui ambito è rappresentato in Parlamento e che non vuole sia sottratta al Parlamento.
Carl Lang (NI), per iscritto. – (FR) La relazione presentata dal deputato francese del gruppo Verts/ALE, onorevole Onesta, sulle sanzioni che dovrebbero essere imposte ai parlamentari che creino turbative in Aula e al di fuori di essa è uno schiaffo alla libertà di espressione, soprattutto per le minoranze politiche.
E’ l’inizio di un’irregimentazione, una forma di totalitarismo larvato, di normalizzazione come usavano chiamarla quando il comunismo era in auge, e non sorprende il fatto che provenga dai Verdi.
Chiaramente, non è abbastanza per il Parlamento europeo che le sue minoranze, soprattutto i deputati non iscritti, siano vittime di una discriminazione oltraggiosa per quanto concerne i diritti degli europarlamentari; dobbiamo andare oltre e punirli, anche finanziariamente, se la maggioranza ritiene che il loro comportamento non sia “politicamente corretto”. Questo “colpo di Stato” normativo è intollerabile e liberticida.
Con oltre 20 milioni di disoccupati in Europa e un’immigrazione che sta sommergendo i nostri Stati nazione, penso che il Parlamento europeo abbia di meglio da fare che svilire la democrazia parlamentare, anche se è europea.
David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della relazione. E’ un atto di accusa contro la condotta di una minoranza di deputati che la rende persino necessaria.
Jean-Claude Martinez (NI), per iscritto. – (FR) La presente relazione, nata da una penna di notevole caratura scientifica nel campo del diritto parlamentare e dalla cui lettura emergono chiaramente richiami alle figure più autorevoli in questa disciplina, come Eugène Pierre, si fonda su una scelta filosofica: la scelta dell’oligarchia, ossia, nel linguaggio di Aristotele, “il governo dei pochi”.
Una trentina di europarlamentari (ossia presidenti di seduta e deputati incaricati di infliggere le sanzioni, ascoltare i sanzionati e confermare le sanzioni) vigileranno dunque sui loro colleghi. E poiché tutti i parlamentari devono la loro posizione alla sovranità, sia essa popolare o nazionale, sarà la stessa sovranità ad essere gerarchicamente vigilata.
L’invenzione della sovranità parlamentare in Francia, subentrata alla sovranità popolare, risale al 1791. Tuttavia, poiché il parlamento, in ragione della sua composizione, rappresentava unicamente una classe sociale, ossia la borghesia e le altre cosiddette professioni liberali, sfruttava la sovranità popolare o nazionale a proprio beneficio.
Nella presente relazione, questo manipolo di oligarchi sta introducendo strumenti per neutralizzare qualsiasi rappresentante del popolo che potrebbe sfuggire a filtri elettorali e mediatici.
La relazione, pertanto, che avrebbe dovuto limitarsi ad un’unica parola – “libertà” dei rappresentanti del popolo – può riassumersi con un termine diverso: oligarchia.
Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Le nuove modifiche apportate al Regolamento del Parlamento europeo relativamente alle norme di comportamento degli eurodeputati è un tentativo, compiuto in nome di un regolare funzionamento del Parlamento, di sfruttare compiti di vigilanza e sanzioni per limitare e controllare l’espressione di reazione, protesta o disaccordo e terrorizzare i parlamentari che desiderino esprimere la propria opposizione alla politica contro il popolo dell’Unione europea, a certi suoi aspetti o a gravi avvenimenti politici. Le nuove misure autocratiche prevedono sanzioni pecuniarie, esclusione da riunioni e istituzioni e persino una proposta di esonero dalla carica parlamentare. In tal modo, esse tentano di limitare qualunque reazione con cartelli, picchetti e altro, osservando con “squisita delicatezza” che siffatte reazioni non saranno tollerate ove creino “scontri” o turbino l’attività parlamentare. Tali minacce e sanzioni sono previste nei casi in cui si violino disposizioni che disciplinano la riservatezza in merito a “riunioni chiuse” e sulla pubblicazione di documenti che, va notato, spesso trapelano ai mezzi di comunicazione.
Noi abbiamo votato contro le nuove modifiche autocratiche. Dichiariamo inoltre che non intendiamo essere disciplinati e cercheremo in ogni modo di promuovere i problemi delle classi lavoratrici e di informare coloro ai quali siamo chiamati a rendere conto.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. (PT) Il senso di responsabilità, rispetto e rigore intellettuale che ci si aspetta dal mandato degli eurodeputati non ha mai ostacolato la loro capacità di esprimere apertamente le proprie posizioni, al contrario. Sebbene vi siano stati diversi abusi inaccettabili ben documentati, è altrettanto vero che alcuni paesi coltivano pratiche e abitudini che non sminuiscono in alcun modo il prestigio delle loro assemblee parlamentari, conferendo loro un carattere proprio e idiosincratico.
Basti pensare al Regno Unito. La mia impressione è che, a prescindere dalle disposizioni dei regolamenti in vigore, norme e comportamenti siano principalmente dettati dalla pratica che, per definizione, soprattutto nel caso del Parlamento europeo, è in continua evoluzione. Compito di ogni eurodeputato è esercitare libertà e responsabilità, e non vi è motivo per ritenere che ai rappresentanti eletti manchi l’una o l’altra.
Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Sono favorevole a molte misure contenute nella presente relazione, sebbene sia fermamente convinto che il Parlamento debba procedere per votazione singola su ogni modifica apportata al nostro Regolamento, mentre il voto odierno ha coperto contestualmente una serie di punti. Per questo motivo ho optato per l’astensione, benché apprezzi l’adozione della relazione nel suo complesso poiché è chiaro che – valga un esempio per tutti – sinora vari parlamentari hanno tratto vantaggio dalle nostre norme alquanto permissive.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’eccellente relazione dell’onorevole Vasto sull’attuazione della Carta europea per le piccole imprese in quanto esse rappresentano il vero fulcro per generare ricchezza e progresso sociale per moltissimi nostri concittadini europei e appoggio le proposte volte a conferire un ruolo importante alla collaborazione internazionale tra le Camere di commercio in termini di competitività delle piccole imprese e riconoscimento delle imprese artigianali. La relazione giustamente sottolinea che né la Commissione europea né alcuni Stati membri hanno colto la portata della notevole sfida posta dal pensionamento di milioni di persone che gestiscono piccole imprese. Infine, dobbiamo adoperarci al meglio per rendere la gestione quotidiana di questo tessuto economico, così vitale per la crescita, l’occupazione e la soddisfazione del consumatore, più semplice e sicura a livello giuridico, fiscale e sociale.
Giles Chichester (PPE-DE), per iscritto. (EN) La delegazione dei conservatori britannici è lieta di avallare i contenuti della maggior parte della relazione Vasto, ma ha deciso di astenersi per la formulazione del paragrafo 22.
Riteniamo che la concorrenza fiscale sia proficua e non costituisca un aiuto di Stato illegale; non siamo pertanto favorevoli alla creazione di una base imponibile consolidata comune.
Ci congratuliamo nondimeno con l’onorevole Vlasto e ribadiamo il nostro impegno per la creazione di un ambiente che incoraggi la prosperità delle piccole imprese.
Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. (SV) Le piccole imprese sono un elemento decisivo per la creazione di posti di lavoro negli Stati membri e, dunque, per il futuro sviluppo dell’Europa. Questa, tuttavia, non è una problematica transfrontaliera. Al contrario, ogni Stato membro deve decidere per sé come intende disegnare la propria politica per le piccole imprese. Una concorrenza istituzionale, nella quale gli Stati membri siano in grado di trovare indipendentemente soluzioni appropriate senza essere bloccati da rigide regolamentazioni comunitarie, è incredibilmente importante per lo sviluppo delle piccole imprese, e proprio per questo riteniamo che l’Unione europea non rappresenti la soluzione per la creazione di un ambiente che promuova le piccole imprese.
La relazione afferma che sussistono ostacoli allo sviluppo delle piccole imprese, per esempio per quanto concerne l’ottenimento di crediti e la gestione di complessi sistemi fiscali e procedure amministrative per avere accesso ai Fondi strutturali e di sviluppo. Gli Stati membri devono fare di più per semplificare le cose per le piccole imprese, e le profonde differenze in materia di formazione all’imprenditorialità e coltivazione dello spirito imprenditoriale nelle scuole non possono non destare preoccupazione. Inoltre, la relazione afferma che la Carta dovrebbe avere forza di legge ed essere vincolante perché, in tal modo, il coinvolgimento degli Stati membri sarebbe maggiore.
Orbene, ritenere che una Carta europea e relazioni annuali possano essere la soluzione è un altro esempio di come l’Unione europea non sia sufficientemente radicata nella realtà.
Per questo la Lista di giugno ha votato contro la relazione.
Fernand Le Rachinel (NI), per iscritto. – (FR) Le piccole e medie imprese svolgono un ruolo determinante per la competitività e l’innovazione, per la formazione professionale e persino per la pianificazione dell’assetto territoriale. Esse creano posti di lavoro e ricchezza.
Ciò è tanto più degno di nota se si considera che spesso sono soffocate da oneri fiscali, sociali e normativi al limite della sopportabilità, che devono far fronte a una concorrenza globale sfrenata senza le armi delle grandi società per difendersi, che incontrano sempre più difficoltà di accesso al capitale, tanto importante per gli investimenti, e che spesso la loro stessa esistenza è messa a repentaglio da qualsiasi cambiamento a livello di compagine sociale.
Bruxelles è in grado di offrire la soluzione? Ne dubito. Le politiche comunitarie non hanno mai realmente tenuto conto degli interessi e delle caratteristiche delle piccole e medie imprese, nonostante costituiscano il 99 per cento delle aziende. Aiuti e programmi comunitari sono principalmente accessibili alle imprese con uffici specializzati in grado di gestirli. La legislazione europea è incredibilmente complessa e le norme imposte sono costose da attuare. Inoltre, la politica di apertura del mercato ad una concorrenza globale sleale e sfrenata non fa che amplificare il problema.
E’ vero che la libera imprenditoria crea ricchezza e occupazione, come è altrettanto vero che dobbiamo promuoverla. Tuttavia, se l’Unione europea intende svolgere un ruolo in tutto ciò, non può continuare ad essere una tecnocrazia più preoccupata dell’ideologia europea che degli interessi dei suoi cittadini.
Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Questa Carta può considerarsi indubbiamente positiva e persino un successo, visto che è applicabile in 35 paesi. La sua attuazione, tuttavia, lascia molto a desiderare, come descritto nella quinta relazione che, peraltro, fa riferimento soltanto a tre delle dieci linee di azione.
Ho presentato un emendamento nel tentativo di rettificare un’omissione nella Carta, la quale non tiene conto del fatto che, in molti Stati membri, i titolari delle piccole imprese e, soprattutto, i milioni di coniugi che collaborano alla loro gestione, non sono coperti dalla previdenza sociale.
Sin dal 1997, il Parlamento chiede uno statuto quadro per questa forza lavoro invisibile e noi proponiamo un emendamento alla direttiva del 1986 sull’applicazione del principio della parità di trattamento a uomini e donne che svolgono attività in veste di lavoratori autonomi. La Commissione europea, però, ignora le nostre richieste, e ritengo che tale comportamento sia riprovevole, tanto più che la relazione sottoposta al nostro voto non contiene il mio emendamento e una procedura arcana mi ha impedito di ripresentarlo in plenaria.
Nondimeno, poiché la risoluzione fa riferimento ai sistemi previdenziali per stimolare l’imprenditorialità, spero che il mio suggerimento venga tenuto nella debita considerazione all’atto dell’applicazione della terza linea di azione della Carta imperniata su una migliore legislazione e regolamentazione.
Sérgio Marques (PPE-DE), per iscritto. (PT) Desidero complimentarmi con l’onorevole Vlasto per la sua importante relazione sull’attuazione della Carta europea per le piccole imprese. Appoggio pienamente il documento e apprezzo in particolar modo l’idea di ampliare la Carta affinché copra un maggior numero di paesi, e non penso soltanto ai paesi candidati all’adesione all’Unione europea, ma anche ai paesi mediterranei, che contribuiranno a sviluppare la politica di prossimità europea.
E’ fondamentale che vengano adottati programmi di investimento e misure semplificate specifiche, segnatamente creando e sviluppando fondi locali di capitale di rischio e programmi di finanziamento per i “business angel”, che apriranno la via a maggiori investimenti nell’innovazione da parte delle piccole imprese locali e regionali.
David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Apprezzo la presente relazione sull’attuazione della Carta europea per le piccole e microimprese. Si dovrebbe mantenere l'indirizzo di fondo della Carta e incoraggiare ulteriormente la partecipazione di tali imprese a vari programmi dell’Unione europea.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. (PT) La relazione sulla Carta europea per le piccole imprese riviste un’importanza capitale, visto il tessuto imprenditoriale europeo, principalmente costituito da piccole imprese.
In quanto relatore sul turismo sostenibile per l’Unione europea, non ho esitazioni nell’accogliere favorevolmente le misure intraprese in questo campo essenziale per il turismo, che è chiaramente uno dei settori economici più importanti per la crescita e lo sviluppo economici dell’Europa.
A nostro parere, le priorità definite, ossia forza lavoro qualificata, formazione all’imprenditorialità e miglioramenti legislativi, permetteranno di far leva sui punti di forza del settore, far fronte ad eventuali lacune e sostenere la crescita nei vari paesi firmatari della Carta.
Per questo ho votato a favore della relazione Vlasto.
José Albino Silva Peneda (PPE-DE), per iscritto. (PT) Le piccole e medie imprese sono la struttura portante dell’economia europea, della creazione di posti di lavoro e dello sviluppo regionale.
Il coinvolgimento di tali imprese è dunque un fattore determinante per l’attuazione degli obiettivi stabiliti nella strategia di Lisbona volta a promuovere una crescita sostenibile e creare un maggior numero di posti di lavoro di migliore qualità.
Accolgo dunque favorevolmente l’attuazione di una Carta europea per le piccole e medie imprese, che consentirà agli Stati membri dell’Unione europea di trarre beneficio dallo scambio di buone prassi.
La presente relazione è intesa a rafforzare la dimensione delle piccole e medie imprese nella politica comunitaria. In tal senso, essa raccomanda la semplificazione degli strumenti europei esistenti.
Inoltre, la relazione richiama nuovamente l’attenzione sulle difficoltà incontrate dalle piccole e medie imprese nell’accesso ai programmi dell’Unione europea e ai fondi di finanziamento correlati.
Prescindendo da questi ostacoli, la situazione non potrà che peggiorare, visto che gli stanziamenti per le prossime prospettive finanziarie 2007-2013, adottati dal Consiglio, hanno subito drastici tagli, pari circa al 50 per cento. Mi riferisco a progetti dei quali beneficiano le piccole e medie imprese nell’ambito della voce di bilancio “Competitività, crescita e occupazione”, e più specificamente al settimo programma quadro per lo sviluppo e al programma per la competitività e l’innovazione.
Anja Weisgerber (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, quando oggi ho votato a favore delle relazioni dell’onorevole Fruteau sulla riforma del mercato dello zucchero, l’ho fatto deliberatamente, in quanto il mercato dello zucchero nell’Unione europea è estremamente delicato. La barbabietola da zucchero è un prodotto importante per tanti nostri agricoltori, poiché può essere coltivato in luoghi in cui le condizioni sono troppo sfavorevoli per altre colture, e dunque una riforma ben ponderata è fondamentale per garantire la sopravvivenza delle aziende agricole, soprattutto di quelle di piccole e medie dimensioni.
La riforma è necessaria, ma le idee della Commissione al riguardo mancano nuovamente l’obiettivo, per cui oggi ci troviamo a chiedere riduzioni ancora inferiori del prezzo dello zucchero e della barbabietola, maggiore sostegno alla coltivazione di materie prime sostenibili quali sostituti alla coltivazione della barbabietola e maggiori pagamenti di compensazione.
Anche il Consiglio ha ravvisato la necessità di adeguamenti facendo riferimento, nella sua decisione, a molte nostre richieste. In sé, dunque, la decisione del Consiglio rappresenta una vittoria per quest’Aula e per i coltivatori europei di barbabietola da zucchero, ma i tagli sono ancora troppo drastici.
Alla luce di tali avvenimenti, ritengo pertanto che il fatto che il Consiglio, su insistenza della Commissione, abbia formulato una dichiarazione di intenti prima del voto del Parlamento trasmetta un segnale sbagliato. Credo infatti che gli emendamenti oggi proposti costituiscano una via ancora migliore. La riforma prospettata è buona, ma ne voglio una migliore. Per questo mi batto e per questo oggi ho votato.
Marie-Arlette Carlotti (PSE), per iscritto. – (FR) Dobbiamo smetterla di sottrarre con una mano ciò che doniamo con l’altra!
La presente relazione tenta di trovare un equilibrio tra la protezione del reddito dei coltivatori europei e quello degli agricoltori dei paesi ACP, per cui prevede una minore riduzione di prezzo distribuita nel tempo, in modo che i paesi ACP siano meglio in grado di assorbire l’impatto della riforma, e un sostanziale aumento dell’accesso al mercato europeo per lo zucchero proveniente dai paesi meno sviluppati.
Anche i due emendamenti del gruppo PSE vanno nella giusta direzione prevedendo la completa eliminazione delle restituzioni europee all’esportazione (entro e non oltre il 2013) e una compensazione per la ristrutturazione del settore dello zucchero dei paesi ACP sulla base di un fabbisogno stimato di 200 milioni di euro all’anno.
Certo, avrei preferito che l’Unione europea si spingesse oltre erogando immediatamente i fondi necessari per tale ristrutturazione anziché limitarsi a stanziare i 40 milioni di euro promessi (in seno alla commissione per lo sviluppo avevamo proposto il doppio).
Avrei inoltre preferito che l’iniziativa “Tutto fuorché le armi” divenisse operativa nel 2009 e che l’Unione europea abolisse la possibilità di esportare zucchero a prezzi bassi nell’ambito del contingente C.
Proseguiremo dunque la battaglia nel contesto dei negoziati in corso sulla prospettiva finanziaria.
Glenys Kinnock (PSE), per iscritto. (EN) La riforma è essenziale, ma il danno collaterale di tale riforma non dovrebbe essere subito dalle piccole economie vulnerabili dei paesi ACP con i quali intratteniamo un rapporto molto speciale.
I paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) hanno giustamente l’impressione di essere stati abbandonati e traditi da quanto concordato in seno al Consiglio, ma ciò che è stato proposto oggi dal Parlamento è parimenti insoddisfacente e per questo ho votato contro la risoluzione.
Il Parlamento oggi ha votato per un rinvio dell’attuazione dell’accordo “Tutto fuorché le armi”, il che costituirebbe un grave passo indietro rispetto alla promessa di un’iniziativa volta a fornire ai paesi meno sviluppati accesso in esenzione di dazi e contingenti ai mercati dello zucchero dell’Unione europea. Chiedo dunque al Consiglio di onorare l’impegno assunto con l’accordo “Tutto fuorché le armi” senza rinvii o meccanismi di salvaguardia.
Ora dobbiamo guardare al futuro e sincerarci che ai paesi ACP sia fornito un idoneo sostegno finanziario per la loro ristrutturazione. Agli agricoltori europei è stata offerta una compensazione pari a 7,5 miliardi di euro, mentre finora agli ACP sono stati offerti soltanto 40 milioni. Oggi, il Parlamento ha convenuto che il fabbisogno di 200 milioni di euro stimato dalla Commissione per i paesi ACP debba essere soddisfatto con fondi nuovi e freschi. Spero che tale richiesta sia ascoltata.
David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Apprezzo la decisione presa oggi dal Parlamento di avallare l’indispensabile riforma del regime dello zucchero dell’Unione europea, riforma che migliorerà la competitività del settore comunitario dello zucchero abolendo i sostegni artificiali alla produzione che hanno incoraggiato la sovrapproduzione e il dumping dello zucchero europeo sovvenzionato sui mercati mondiali a prezzi spesso inferiori al costo di produzione.
A tal fine, ho votato a favore della sospensione delle sovvenzioni europee all’esportazione che distorcono il mercato mondiale entro e non oltre il 2013, sovvenzioni che deprimono i prezzi del mercato mondiale, hanno un effetto negativo sulla capacità di scambio dei paesi in via di sviluppo e contraddicono gli stessi obiettivi della politica di sviluppo dell’Unione. Ho inoltre votato per garantire che l’Unione europea onori i propri impegni nei confronti di alcuni dei paesi più poveri del mondo per consentire al loro zucchero di accedere, dal 2009, in esenzione di dazi e contingenti ai nostri mercati attraverso l’iniziativa “Tutto fuorché le armi”. Per incentivare lo sviluppo delle neonate industrie di tali paesi, non vi dovrebbero essere ulteriori rinvii o limitazioni.
Mi rammarico dunque del fatto che non siano stati ancora approvati nuovi fondi per aiutare i produttori dei 18 paesi ACP firmatari del protocollo sullo zucchero, visto il generoso pacchetto finanziario reso disponibile nell’ambito di tale riforma ai produttori dell’Unione europea.
Jean-Claude Martinez (NI), per iscritto. – (FR) La filosofia della Commissione è malthusiana. Il suo slogan è “nessun futuro”. Ispirandosi al nichilismo, distrugge: distrugge le miniere di carbone, distrugge le acciaierie, distrugge il settore tessile e, soprattutto, distrugge l’agricoltura.
Abbiamo terreni coltivabili: si lasciano incolti. Abbiamo latte: si impongono contingenti. Abbiamo vigneti: si sradicano. Tutto questo, però, non è bastato per ucciderci, per cui si è riformulata la politica agricola comune. Si è inventato il disaccoppiamento, ossia essere pagati per non produrre nulla, perché questa è la filosofia: non creare. L’ideale è uno solo: un’enorme casa di riposo continentale alimentata da massicci licenziamenti.
Il rifacimento dell’organizzazione comune dei mercati dello zucchero è un esempio perfetto di questa ideologia. Abbiamo raffinerie di zucchero: la Commissione le pagherà per non produrre nulla. Per ogni tonnellata di zucchero non prodotto, riceveranno 400, 500 o 600 euro, per quattro anni. Dopodiché non resteranno produttori, ma soltanto consumatori privati dei mezzi per consumare, per cui non resterà che eliminarli. Viva la morte! Come usavano gridare i brahmani in adunata.
Terence Wynn (PSE), per iscritto. (EN) Accogliamo con estremo favore la riforma del regime dello zucchero, ma vi sono molti passaggi di questa relazione stilata per il Parlamento dalla sua commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale su cui non voterò. Il regime dello zucchero deve essere riformato da almeno 15 anni, ossia da quando la Corte dei conti aveva svolto uno studio approfondito sul regime dello zucchero (relazione speciale 4/91) concludendo che il sistema era caratterizzato da un eccesso di offerta e da modelli di produzione inefficiente, oltre a non essere neutro dal punto di vista del bilancio.
Non posso accettare la richiesta di “introduzione di modifiche”. Abbiamo bisogno di un rifacimento radicale, non di semplici adeguamenti.
Non posso votare per tagli di prezzo inferiori, una maggiore compensazione e tagli di contingenti inferiori rispetto a quanto proposto dalla Commissione.
Non voterò a favore degli strumenti della politica di coesione strutturale o sociale da utilizzare per tranquillizzare i coltivatori di zucchero. Per gli agricoltori europei sono già disponibili ingenti fondi PAC.
Concordo sulla necessità di controllare le importazioni provenienti dai paesi meno sviluppati e proteggerci dalle triangolazioni, ma stiamo parlando di quantità irrisorie: 125 000 sono infatti le tonnellate provenienti da tali paesi, a fronte di una produzione comunitaria di zucchero di circa 17,4 milioni di tonnellate. Perché, dunque, ci stiamo tanto concentrando sulle importazioni dai paesi meno sviluppati? Lo squilibrio del mercato non sarà determinato da tali importazioni.
David Martin (PSE), per iscritto. (EN) La riforma del regime dello zucchero dell’Unione europea richiederà una notevole riorganizzazione dei produttori e dei coltivatori comunitari, ma anche degli agricoltori firmatari del protocollo sullo zucchero, il cui sostentamento dipende da oltre 40 anni dal commercio con l’Unione europea.
Mentre, nell’ambito di un generoso pacchetto finanziario, gli agricoltori europei possono contare sui necessari sistemi di sostegno e compensazione, mi rammarico del fatto che non siano ancora stati concordati fondi nuovi per aiutare i produttori dei 18 paesi ACP firmatari del protocollo sullo zucchero. Ritengo che l’Unione europea abbia il dovere di fornire fondi adeguati per sostenere la ristrutturazione in questi paesi nell’ambito delle prospettive finanziarie, ben oltre i 40 milioni di euro impegnati sinora per il 2006.
Ho dunque votato a favore di un emendamento volto a inserire l’assistenza dell’Unione europea ai paesi ACP nella proposta di sostegno diretto. Ritengo infine che le proposte della Commissione relative alla nuova prospettiva finanziaria, che prevedono un importo annuo di 190 milioni di euro per aiutare i produttori dei paesi ACP ad adeguarsi alla riforma dello zucchero, costituiscano la base per un programma di adeguamento più accettabile per i nostri partner commerciali ACP.
Neil Parish (PPE-DE), per iscritto. (EN) La delegazione dei conservatori britannici ha votato contro la presente relazione in quanto le sue principali raccomandazioni non giovano agli interessi dei produttori di zucchero efficienti del Regno Unito, né, a nostro giudizio, comporterebbero quella riduzione della produzione comunitaria di zucchero necessaria per evitare in futuro tagli lineari dei contingenti. E’ ingiusto che i nostri agricoltori, che tendono a produrre oltre 300 tonnellate all’anno, siano puniti per la loro efficienza ricevendo una compensazione pari solo al 50 per cento. Tale percentuale è notevolmente inferiore a quella proposta sia dalla Commissione che dal Consiglio. Inoltre, l’idea che gli Stati membri possano trattenere un importo indefinito delle loro sovvenzioni legate alla produzione contrasta con la recente riforma della politica agricola comune e permetterebbe ai produttori meno efficienti di mantenere la produzione complessiva a un livello insostenibile. Appoggiamo tuttavia l’orientamento della relazione quanto all’aumento del premio per le colture energetiche e all’aumento della superficie massima garantita per tale produzione in maniera da incoraggiare la promozione dei biocarburanti.
Avril Doyle (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, ho sempre accettato la necessità di una revisione del regime dello zucchero nell’ambito della politica agricola comune, ma contesto la distruzione totale dell’industria dello zucchero nel mio paese e in altri Stati membri dell’Unione europea. L’Irlanda sta affrontando la prospettiva della chiusura del suo unico impianto di trasformazione.
Secondo la FAO, il consumo mondiale di zucchero nel biennio 2004-2005 è stato pari a 144,8 milioni di tonnellate a fronte di una produzione di soli 149 milioni. Possiamo inoltre aspettarci un aumento esponenziale in quanto Cina, India e molte altre economie in rapido sviluppo registrano un aumento del loro consumo di zucchero, che dovrebbe passare dagli attuali 10 kg pro capite all’anno alla media europea di 35 kg pro capite all’anno. Per affrontare queste sfide future, dobbiamo preservare la nostra capacità di produzione e trasformazione.
Avendo perso il voto sull’organizzazione comune dei mercati, ho logicamente appoggiato le altre due relazioni, ossia quella sui regimi di sostegno diretto e la ristrutturazione temporanea dell’industria dello zucchero, per garantire l’esito migliore possibile ai coltivatori irlandesi, europei e dei paesi ACP. Nel complesso, la posizione del Parlamento rappresenta un miglioramento rispetto alle proposte della Commissione e del Consiglio, ma non si spinge abbastanza oltre.
Emanuel Jardim Fernandes (PSE), per iscritto. (PT) Riconosco che il settore europeo dello zucchero ha bisogno di una riforma. Per essere equa ed efficace, tuttavia, la riforma deve assicurare un equilibrio tra:
gli impegni commerciali assunti a livello internazionale;
gli obiettivi proposti per il rafforzamento della competitività del settore;
la stabilità del mercato comunitario;
la redditività e la sostenibilità del settore, soprattutto per quanto concerne le garanzie di reddito ai produttori europei;
e i regimi commerciali preferenziali concessi dall’Unione europea ai paesi ACP e ai paesi meno sviluppati, non da ultimo attraverso incentivi all’esportazione di zucchero nell’Unione europea nell’ambito dell’iniziativa “Tutto fuorché le armi”.
In tal senso, apprezzo gli ampi orientamenti di riforma proposti nella presente relazione, unitamente agli emendamenti per migliorarla rispetto alle proposte di riforma della Commissione, e segnatamente:
una riduzione meno drastica dei prezzi;
la definizione di una regolamentazione degli scambi;
l’attuazione di misure volte ad attenuare l’impatto economico della riforma;
e il sostegno allo sviluppo di prodotti diversi per offrire uno sbocco alternativo alla produzione di zucchero.
Pertanto, ho votato a favore della presente relazione.
Kathy Sinnott (IND/DEM), per iscritto. – (EN) Si dice che è meglio donare una canna da pesca che un pesce.
Ovviamente, se, dando prova di un’assoluta mancanza di sensibilità, dovessimo far cessare la produzione di zucchero in Irlanda e nell’Unione europea, avremo la possibilità e il dovere di prevedere un’adeguata compensazione per gli agricoltori e i produttori, non fosse altro che per metterci la coscienza a posto.
Ma siamo impazziti? Perché cessiamo la produzione di zucchero, quando abbiamo un disperato bisogno di trovare alternative ai carburanti a base di petrolio? Perché paghiamo per avere campi incolti e attrezzature che arrugginiscono, quando abbiamo più che mai bisogno della produzione di zucchero? Lo zucchero ha altri impieghi, oltre ai dolci.
Da un lato, raccomandiamo di tenere conto della scomparsa del petrolio e di promuovere alternative. Dall’altro, compiamo passi che rischiano di causare la scomparsa dello zucchero, una delle alternative praticabili. Una mano sembra non sapere che cosa fa l’altra. Come possiamo ottenere risultati?
Infine, mentre definiamo il nostro pacchetto di compensazioni, non dimentichiamo paesi terzi, come l’isola Maurizio, devastati dalla nostra riforma del settore dello zucchero.
Duarte Freitas (PPE-DE), per iscritto. (PT) Vi è ampio consenso sulla necessità di riformare il settore dello zucchero per rendere più sostenibile questo importante comparto in linea con l’ultima riforma della PAC e con gli obblighi internazionali dell’Unione europea.
Tuttavia, nonostante questi nobili obiettivi, la riforma proposta dalla Commissione comporterebbe gravi problemi per gli agricoltori europei, non ultimo a causa della drastica riduzione del prezzo dello zucchero.
Sostengo pertanto la relazione dell’onorevole Fruteau, nonché il lavoro svolto dai vari gruppi politici in seno alla commissione per l’agricoltura, che ritengo trasmetta un messaggio estremamente chiaro a Commissione e Consiglio.
Oltre al contenimento della riduzione dei prezzi al 30 per cento nell’organizzazione comune dei mercati per lo zucchero, vorrei evidenziare l’emendamento n. 3, relativo al regime di sostegno per gli agricoltori, che prevede la possibilità per gli Stati membri di continuare a beneficiare di sovvenzioni legate alla produzione, perlomeno in una certa misura. Ciò contribuirà a evitare la rapida scomparsa del settore dello zucchero nelle regioni più minacciate dalla presente riforma.
Vorrei infine sottolineare la necessità di salvaguardare la possibilità del Fondo di ristrutturazione a sostegno di quanti rinuncino soltanto a una parte del contingente, di cui all’emendamento n. 7, il maniera da sostenere alcune aziende nella riconversione.
Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. (SV) Siamo a favore di una riforma radicale del settore dello zucchero all’interno dell’Unione europea. E’ assurdo sostenere un mercato non competitivo attraverso forme estese di protezionismo e ingenti aiuti finanziari.
Il Parlamento europeo sta tentando di ostacolare le proposte di riforma della Commissione. La nostra Istituzione vuole che la riforma sia attuata in un arco di tempo più lungo, che le riduzioni di prezzo siano limitate, che gli aiuti alla ristrutturazione siano incrementati e che la produzione nelle zone con “condizioni climatiche strutturali” possa beneficiare di forme speciali di sostegno. Di conseguenza, i necessari adeguamenti strutturati saranno rinviati. Nel complesso, le proposte di riforma della Commissione sono più lungimiranti. Abbiamo dunque scelto di votare contro le proposte del Parlamento europeo.
Rosa Miguélez Ramos (PSE), per iscritto. (ES) Vorrei illustrare i miei voti contro gli emendamenti nn. 73, 18/rev. e 18 alle relazioni Fruteau riguardanti, rispettivamente, l’organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero, le norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell’ambito della politica agricola comune e il regime temporaneo per la ristrutturazione dell’industria dello zucchero nella Comunità europea.
Ho seguito questo dossier con estrema attenzione, viste le ripercussioni economiche e sociali che una riforma attuata in maniera non corretta potrebbe comportare per molte regioni europee, molte delle quali spagnole. Ricordo bene le argomentazioni formulate sia dalla signora Commissario che dal presidente della commissione per l’agricoltura del Parlamento europeo in difesa della possibilità per il Consiglio di giungere a un consenso politico prima della conclusione della procedura parlamentare. La Conferenza di Hong Kong non ci avrebbe aspettati, né lo avrebbe fatto la stagione della semina. Il Presidente Daul lo aveva spiegato con una lettera alla signora Commissario Fischer Boel.
Le argomentazioni erano forti e le avevamo comprese. Oggi, pertanto, rispetto a questo dossier, non posso votare a favore delle critiche assolutamente ingiustificate del Consiglio. Per tutti questi motivi, e poiché l’accordo raggiunto è quanto più vicino possibile alla posizione della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, ho votato contro questi tre emendamenti.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. (PT) Il settore dello zucchero deve essere riformato per renderlo più sostenibile a seguito dell’ultima riforma della PAC. Tale riforma, tuttavia, comporterebbe gravi problemi per gli agricoltori europei, non ultimo a causa della drastica riduzione del prezzo dello zucchero.
Il fatto che la proposta della Commissione sia stata formulata più dal punto di vista degli interessi dei principali paesi che producono eccedenze che da quello dei paesi più piccoli, i quali non producono abbastanza barbabietola da zucchero neanche per soddisfare il proprio fabbisogno, come nel caso del Portogallo, serve soltanto a rammentarci che non sono paesi come il Portogallo a squilibrare il mercato internazionale.
Di conseguenza, vorrei sottolineare la possibilità, proposta nella presente relazione, che gli Stati membri continuino a beneficiare di sovvenzioni legate alla produzione, perlomeno in una certa misura. Ciò contribuirà ad evitare la rapida scomparsa del settore dello zucchero nelle regioni più minacciate dalla presente riforma.
Mi è parso poi che siano stati salvaguardati sia la possibilità del Fondo di ristrutturazione che il sostegno a quanti rinuncino soltanto a una parte del contingente. In questo modo, l’industria dello zucchero in alcuni paesi, come il Portogallo, potrebbe convertirsi passando dalla coltivazione alla trasformazione.
Ho votato dunque a favore delle relazioni Fruteau.
David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della risoluzione perché condanno fermamente i reiterati abusi dei diritti dell’uomo ai danni di cittadini innocenti perpetrati su vasta scala in Cecenia. I diritti umani e democratici e gli aspetti del buon governo devono essere parte integrante della politica comunitaria di cooperazione con la Russia. Una Russia caratterizzata da democrazia, Stato di diritto e rispetto per i diritti dell’uomo è una Russia più attraente per gli investimenti stranieri e anche un vicino più stabile e prevedibile.
Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto. (NL) La Cecenia è stata conquistata dalla Russia imperiale nel XIX secolo; il suo popolo è stato a più riprese deportato da Stalin, e più recentemente, sotto Yeltsin e Putin, è stato bombardato e massacrato. Dopo il primo conflitto, negli anni ’90, il negoziatore di pace Alexander Lebed aveva accettato, per conto della Russia, la possibilità di compiere una scelta democratica di indipendenza dopo un periodo di transizione, ma ciò non si è mai concretizzato, per cui non possiamo più aspettarci che i ceceni considerino il loro paese parte della Russia. Nessun popolo è disposto ad assoggettarsi a quanti hanno dato prova di brutalità estrema nel massacrarlo e opprimerlo. La resistenza, pertanto, non cesserà mai e temo che parimenti non cesserà la sua soppressione con i mezzi di una superpotenza militare.
La presente risoluzione è relativamente blanda per quanto concerne l’intimidazione e l’inganno che hanno contraddistinto le elezioni appena tenutesi con l’intento di rievocare un sostegno maggioritario per i burattini di Mosca. Inoltre, il testo pone nuovamente l’accento sull’integrità territoriale della Russia, sebbene il mantenimento di questa regione quale parte della Russia si fondi unicamente sulla violenza. Ad ogni modo, vista l’attuale situazione disperata, la presente risoluzione, che giustamente richiama l’attenzione sui tanti abusi, è preferibile al continuo silenzio di fronte ai misfatti del nostro principale fornitore di energia. Per questo ho votato a suo favore.
Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. (EN) E’ con estremo piacere che ho appoggiato la presente risoluzione e il lavoro del collega del mio gruppo Bart Staes, che, come posso confermare, ha lavorato in stretta collaborazione con la comunità cecena. La situazione in Cecenia può essere migliorata con il coinvolgimento dell’Unione europea e la presente proposta di risoluzione contiene idee che vanno sviluppate con il massimo impegno.
Frank Vanhecke (NI). – (NL) Signor Presidente, con la relazione Duff/Voggenhuber il Parlamento europeo denigra la democrazia, esprime la convinzione che i referendum nei Paesi Bassi e in Francia siano irrilevanti e che la Costituzione debba entrare in vigore nel 2009 ad ogni costo e qualunque cosa accada.
In tal modo, si comporta addirittura peggio della Commissione europea, la quale semplicemente agisce come se la questione non fosse di suo interesse. Tra i due comportamenti non so quale sia più deprecabile. Noi, in quest’Aula, siamo in pessima compagnia con un’Unione europea sotto la Presidenza dell’Austria, il cui Cancelliere Schüssel è, di fatto, così spudorato da chiedere di indire nuovi referendum in Francia e nei Paesi Bassi, come se i cittadini dovessero continuare a votare finché non esprimono il voto desiderato dagli eurocrati. Anche questa prospettiva, però, ha qualche aspetto positivo, visto che ci sono paesi in cui al popolo non è offerta affatto la possibilità di votare – penso al mio, per esempio, dove non è previsto un voto su temi come la Costituzione europea – e questa mostruosità dovrà farsi strada, con grande fatica, all’interno dei parlamenti senza alcuna consultazione democratica.
In ogni caso, tutte le Istituzioni europee sono manifestamente unite nel loro disprezzo per le democrazie nazionali e la volontà democratica del popolo. Non è questo il modo per fare qualcosa contro la grande ripugnanza che i nostri cittadini provano per l’Europa.
Christopher Heaton-Harris (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, avendo ascoltato ieri la discussione su questo argomento, ho deciso che avrei detto qualcosa in merito al bizzarro concetto di democrazia che accomuna alcuni parlamentari e la Commissione.
Ho sentito dire che sinora ai referendum i “sì” sono stati superiori ai “no” in tutti i paesi e che, pertanto, dovremmo proseguire con questa meravigliosa Costituzione.
Come mi ha detto un gruppo di miei elettori molto saggi di Northampton e Daventry durante le elezioni politiche tenutesi nel Regno Unito lo scorso anno, in Inghilterra il mio partito, quello conservatore, ha ottenuto più voti dei laburisti e dei liberaldemocratici. Applicando la splendida visione degli eurocrati, dovremmo dunque essere al potere.
Democrazia significa assecondare le aspirazioni democratiche del popolo e garantire che i singoli abbiano la facoltà di scegliere l’orientamento del loro governo locale, del Parlamento o dell’Europa. Non significa privare i cittadini di potere, ignorando i loro punti di vista, per darlo a una classe politica che ritiene di sapere tutto. Per questo ho votato contro la presente relazione.
Gérard Onesta (Verts/ALE). – (FR) Signor Presidente, durante le discussioni sulla relazione Duff/Voggenhuber, alcuni membri hanno formulato una serie di commenti assai divertenti paragonando a struzzi i parlamentari in disaccordo con loro. Lo hanno fatto con grande senso dell’umorismo e me ne compiaccio in quanto lo scorso anno, sullo stesso argomento, si erano espressi con tanta violenza da dimostrarci che avevamo ragione a volere modificare il Regolamento.
Vorrei ergermi a difesa di questo uccello tanto canzonato, perché nessun naturalista ha mai visto uno struzzo affondare la testa nella sabbia. Al contrario, è ben noto che, avvicinato da un leone, uno struzzo si sacrifica per proteggere il suo piccolo abbandonando il nido per farsi divorare dalla belva. Lo struzzo, dunque, è pronto a immolarsi per le generazioni future: è simbolo di coraggio e dedizione! Pertanto, per qualsiasi studioso o naturalista essere descritto come uno struzzo non è un insulto, ma un onore!
Camiel Eurlings (PPE-DE). – (NL) Signor Presidente, vorrei formulare una breve dichiarazione sul mio voto in merito alla relazione Voggenhuber/Duff. E’ una relazione valida, dalla quale essenzialmente emerge che l’Europa deve avanzare, e questo è importante perché anche coloro che hanno votato per il “no” ai referendum erano scontenti dell’attuale stato dell’Europa. La relazione afferma che il sostegno popolare è essenziale e che sono disponibili varie alternative, elemento anch’esso importante perché i referendum sono un dato di fatto, con i loro “no” in Francia e nei Paesi Bassi e i loro “sì” in Spagna e Lussemburgo.
Sono inoltre particolarmente lieto che nel presente testo sia stato incorporato l’emendamento n. 18, il quale afferma espressamente che alle obiezioni espresse dai cittadini in paesi come Francia e Paesi Bassi occorre andare incontro a metà strada. Questo è chiaro come la luce del sole ed è proprio ciò che rende estremamente valida la relazione, la cui essenza è che dobbiamo andare avanti con audacia per uscire da questa impasse, ma dobbiamo farlo sfruttando le varie alternative a nostra disposizione e il periodo di riflessione che stiamo attualmente attraversando, tenendo conto anche dei cittadini di quei paesi in cui le cose non sono andate bene, approccio che trovo assolutamente sano e per il quale noi della delegazione CDA appoggiamo entusiasticamente questa linea d’azione.
Philip Claeys (NI). – (NL) Signor Presidente, trascorsi sei mesi dal “no” francese e olandese, vediamo il Parlamento europeo buttare nel cestino della carta straccia la volontà democraticamente espressa dalla maggioranza. Pare che la Costituzione debba assolutamente entrare in vigore nel corso del 2009, accada quel che accada. E’ assurdo che, tra le ragioni elencate nella relazione a sostegno della necessità di una Costituzione europea, figuri l’impossibilità di ulteriori allargamenti dopo l’adesione di Bulgaria e Romania sulla base del Trattato di Nizza attualmente in vigore.
Tutti sanno, infatti, che l’opposizione a ulteriori allargamenti, e sicuramente all’eventuale adesione della Turchia, è stata una delle ragioni più importanti del rifiuto della Costituzione. Oggi l’Aula dimostra ancora una volta quanto sia grande la distanza che la separa dai cittadini che nondimeno pretende di rappresentare.
James Hugh Allister, Adam Jerzy Bielan, Jens-Peter Bonde, Mogens N.J. Camre, Ryszard Czarnecki, Hélène Goudin, Daniel Hannan, Michał Tomasz Kamiński, Nils Lundgren, Ashley Mote, Carl Schlyter, Esko Seppänen, Kathy Sinnott e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (EN) Lasciamo che sia il popolo a decidere. I Trattati possono essere emendati soltanto all’unanimità. La Costituzione proposta è stata respinta dal 55 per cento degli elettori in Francia e dal 62 per cento nei Paesi Bassi. Il loro verdetto va rispettato. Pertanto, secondo le norme adottate unanimemente dagli Stati membri dell’Unione europea, la Costituzione proposta è davvero morta.
La prossima riunione del Consiglio europeo deve dunque dichiarare che il progetto di testo è morto, riflettere sui “no”, rileggere i quesiti della dichiarazione di Laeken e tornare ai principi iniziali.
Condizione sine qua non è decidere se i Trattati richiedano l’approvazione popolare. Noi siamo dell’avviso che i Trattati debbano essere adottati in via referendaria in tutti gli Stati membri in cui ciò è giuridicamente possibile e i referendum dovrebbero possibilmente tenersi lo stesso giorno.
Ai sostenitori e ai detrattori della Costituzione si dovrebbe chiedere di produrre un testo comune da discutere sui nostri possibili scenari futuri, testo che potrà contenere emendamenti comuni su trasparenza e procedure democratiche nel caso in cui il gruppo di lavoro sia d’accordo, ma che sicuramente dovrà contenere varie proposte di categorie di competenze nel caso in cui i membri siano in disaccordo.
Dopo un anno di discussione, agli elettorati nazionali dovrebbero essere prospettate due alternative: da un lato, una Costituzione rinnovata; dall’altro, un accordo di cooperazione tra democrazie europee.
La neoeletta Convenzione deve lavorare pubblicamente nell’ambito di gruppi di lavoro e riunioni plenarie per un anno. A ogni capitolo dei Trattati esistenti dovrà essere dedicato uno speciale gruppo di lavoro per permettere una radicale semplificazione dei testi complessi esistenti.
Infine, la plenaria della Convenzione potrà adottare due diverse proposte, ossia un progetto di Costituzione e un progetto di accordo di cooperazione, per poi chiedere agli elettori ciò che preferiscono.
Una volta ottenuto il verdetto dei cittadini, gli Stati membri potranno incontrarsi in occasione di una conferenza intergovernativa formale per prendere le decisioni del caso da adottare formalmente in base ai requisiti delle costituzioni nazionali. Se uno o due Stati membri dovessero respingere i progetti, sarà necessario trovare una soluzione unanime in base alle norme concordate per emendare i Trattati.
Noi, minoranza nella commissione per gli affari costituzionali del Parlamento europeo e nell’intergruppo SOS Democrazia presso il Parlamento europeo, speriamo e crediamo che i popoli della maggior parte degli Stati non ravviseranno alcun bisogno di una Costituzione in aggiunta alle rispettive costituzioni nazionali. Ci aspettiamo che i sostenitori della Costituzione diano prova dello stesso rispetto per la democrazia.
La nostra alternativa potrebbe basarsi su sette proposte delineate a grandi linee come segue:
1) Accordo di cooperazione in luogo della Costituzione
La Costituzione è morta. In luogo di una Costituzione complessa e del Trattato di Nizza, prioritari rispetto alle costituzioni nazionali, vogliamo un accordo di cooperazione contenente non più di 50 articoli. I paesi che non intendano aderire all’accordo di cooperazione potranno optare, al suo posto, per un accordo di libero scambio.
Il Consiglio europeo dovrebbe istituire un gruppo di lavoro composto da sostenitori e detrattori della Costituzione in pari numero per presentare una proposta di norme abbastanza flessibile da permettere loro di unire e non dividere l’Europa come fa la Costituzione, e lo abbiamo potuto riscontrare sul campo.
2) Apertura e trasparenza
La regola principale sarà l’apertura e il pieno accesso ai documenti. Qualunque deroga dovrà essere approvata con una maggioranza del 75 per cento. Il Mediatore europeo, la Corte dei conti e il Parlamento europeo dovranno poter controllare tutte le uscite.
3) Elezioni dirette
I decisori dovranno essere direttamente responsabili, attraverso il voto, nei confronti di coloro che devono rispettare le loro decisioni in ogni paese.
4) Maggioranza del 75 per cento in Consiglio con diritto di veto
Le leggi dovrebbero essere adottate all’unanimità o con una maggioranza del 75 per cento degli Stati membri e la maggioranza semplice nel Parlamento europeo. Dovrebbe essere prevista la possibilità di veto nel caso in cui un parlamento nazionale voti contro una proposta di legge comunitaria e chieda al Primo Ministro di sottoporre la questione al successivo Vertice.
5) Sussidiarietà dal basso verso l’alto
Il principio di sussidiarietà dovrebbe essere controllato dai parlamenti nazionali. Le 100 000 pagine di legislazione esistenti dovranno essere riviste in maniera critica eliminando o rinviando agli Stati membri gran parte di esse.
6) Maggiore flessibilità e requisiti minimi
Le leggi dovrebbero essere approvate come serie comune di norme minime che conferisca agli Stati membri maggiore flessibilità e la possibilità di ottenere un livello superiore di tutela della sicurezza, sanità, ambiente, condizioni di lavoro, condizioni sociali e protezione dei consumatori. Dovremmo preferire il riconoscimento reciproco all’armonizzazione totale.
7) Maggiore cooperazione anziché unione obbligatoria
Politica estera e di sicurezza, eurocooperazione e cooperazione giuridica non dovrebbero essere un elemento obbligatorio della cooperazione, ma potrebbero rientrare nel contesto di una maggiore cooperazione qualora i singoli paesi lo desiderino. La difesa dovrebbe essere completamente distinta dall’Unione.
Pervenche Berès (PSE), per iscritto. – (FR) Nella presente relazione sul periodo di riflessione, il Parlamento ha avuto un’occasione unica per fare qualcosa di utile: avrebbe potuto essere la prima Istituzione europea a riflettere sulle alternative realistiche per risolvere la situazione creata dai “no” di Francia e Paesi Bassi basandosi su due aspetti: un testo costituzionale reincentrato sulle Parti I e II e una revisione della Parte III sulle politiche. Questo è quanto volevano i correlatori del gruppo Verts/ALE e del gruppo ALDE, dei quali apprezzo gli sforzi incessanti e di cui ho firmato gli emendamenti volti a promuovere un “nucleo costituzionale”.
Il gruppo PPE-DE e il gruppo PSE hanno respinto questa politica pragmatica e utile, ribadendo il loro attaccamento all’attuale testo della Costituzione, il che rispecchia l’idea che sia ancora possibile far votare nuovamente francesi e olandesi sul medesimo testo. Questa negazione del voto popolare è sterile, a prescindere dalle posizioni delle varie parti: per questo mi compiaccio del fatto che i socialisti francesi, con rare eccezioni, si siano astenuti. Alla fine, l’unico messaggio valido che emerge da questa relazione è che il periodo di riflessione dovrà proseguire fino al giugno 2007.
Kathalijne Maria Buitenweg e Joost Lagendijk (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Sinora, la pausa di riflessione sulla Costituzione europea è stata caratterizzata più dal silenzio che dalla discussione. Sebbene il Parlamento, con questa risoluzione, stia compiendo un tentativo apprezzabile di rilanciare il dibattito, la risoluzione dà voce anche all’aspettativa che un risultato del periodo di riflessione sia il mantenimento dell’odierno testo della Costituzione, cosa che io reputo deludente e indesiderabile, in quanto non tiene conto del rifiuto della Costituzione da parte dell’elettorato francese e olandese. E’ deprecabile che, su questo punto, il Parlamento abbia ignorato il segnale di allerta lanciato dai suoi relatori, onorevoli Duff e Voggenhuber, ed è per questo motivo che abbiamo scelto di astenerci nella votazione conclusiva sulla risoluzione.
Il periodo di riflessione deve essere sfruttato per preparare il consenso su una procedura che sia quanto più democratica possibile per una nuova riforma dei Trattati. Dicendo “no” alla Costituzione, francesi e olandesi non stavano certamente dicendo “sì” all’Europa attuale.
Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. – (SV) Abbiamo votato a favore della relazione su una valutazione del dibattito sull’Unione europea. Riteniamo infatti che la relazione sia essenzialmente valida, ma vorremmo sottolineare che non è compito delle Istituzioni europee convincere i cittadini in merito a quali siano i cambiamenti necessari o costruttivi. Formazione delle opinioni e dibattito politico sono processi che devono fondarsi sull’impegno dei singoli e ispirarsi a quanti svolgono un ruolo nella società democratica, ai partiti politici e ad altre associazioni volontarie.
Dorette Corbey (PSE), per iscritto. (NL) La relazione Duff/Voggenhuber giudica erroneamente le realtà politiche, sia nei Paesi Bassi che in Francia, Chiedere, come fa, che sia garantita l’entrata in vigore della Costituzione nel 2009 è un insulto non solo nei confronti degli elettori olandesi, ma anche nei confronti dello Stato di diritto nell’Unione europea, e vari altri passaggi (paragrafi 1, 5, 7 e 31) non rendono parimenti giustizia all’inequivocabile voto negativo espresso dai Paesi Bassi. E’ per questo che mi risulta impossibile votare a favore della relazione.
Ritengo altresì che i Paesi Bassi debbano dire chiaramente ciò che desiderano, ossia se intendono rinegoziare la Costituzione, proseguire sulla base del Trattato di Nizza o riavviare ex novo l’intero processo. Qualora i Paesi Bassi dovessero optare per una rinegoziazione, essi dovranno indicare chiaramente ciò che vogliono. Un messaggio esplicito ai Paesi Bassi da parte di quest’Aula sarebbe stato tanto più utile in quanto, nel paese, il dibattito è stato annullato.
Emanuel Jardim Fernandes (PSE), per iscritto. (PT) Appoggio la relazione sottoposta alla nostra attenzione e ho votato a suo favore. La Costituzione europea non è “morta”. I “no” dei referendum francese e olandese sul Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa non sono stati un “certificato di morte”, ma semplicemente un rinvio del processo di ratifica in corso in quel momento.
Nondimeno, alla luce dei risultati negativi in Francia e nei Paesi Bassi, non pare possibile proseguire nel tentativo di ratificare il testo corrente senza emendarlo. Detto ciò, l’idea di abbandonare il progetto di Costituzione è fuori questione. Un accordo costituzionale, come sottolineano i relatori, è fondamentale se l’Unione europea vuole (ri)conquistare la fiducia dei cittadini europei, mantenere la dinamica dell’integrazione europea e svolgere un ruolo credibile sulla scena internazionale.
In questo contesto, il “periodo di riflessione” dovrebbe servire a rilanciare il progetto di Costituzione sulla base di un ampio dibattito pubblico sul futuro dell’Europa che coinvolga i cittadini, la società civile, le parti sociali e i parlamenti nazionali e regionali. Scopo di tale discussione dovrebbe essere quello di chiarire, approfondire e perfezionare la Costituzione, analizzare le critiche mosse nei suoi confronti, nonché trovare soluzioni alla crisi costituzionale e affrontare le preoccupazioni dei cittadini europei.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Abbiamo votato contro la presente relazione, che riteniamo eserciti una pressione inaccettabile sugli Stati membri e le loro istituzioni democratiche a seguito del rifiuto della cosiddetta Costituzione europea da parte di francesi e olandesi.
Benché il Parlamento riconosca che la ratifica della Costituzione ora si scontra con “difficoltà che potrebbero rivelarsi insormontabili”, se non potranno essere adottate misure intese a rispondere alle preoccupazioni espresse in Francia, nei Paesi Bassi e in altri Stati membri, la maggioranza continuerà a procedere trasformando l’attuale periodo di riflessione nel rilancio del progetto di Costituzione sulla base di un ampio dibattito pubblico sul futuro dell’integrazione europea.
La maggioranza del Parlamento vorrebbe assistere ad una massiccia campagna propagandistica che eserciti pressione sui cittadini affinché accettino la cosiddetta Costituzione europea.
Concordiamo sul fatto che il Trattato di Nizza non costituisca un fondamento per il futuro, e per questo abbiamo votato contro, ma contestiamo i tentativi di seguire il percorso di un maggiore neoliberalismo, federalismo e militarismo.
Vogliamo invece un’Europa in cui vi sia maggiore cooperazione tra Stati membri sovrani e uguali, maggiore coesione economica e sociale, maggiore solidarietà e un impegno concreto nei confronti della pace e del progresso sociale.
Robert Goebbels (PSE), per iscritto. – (FR) Il fallimento del Trattato costituzionale è più un problema di contesto che di testo. Dall’esterno, l’Europa viene considerata come l’entità politica con il massimo livello di libertà pubbliche, diritti sociali e salvaguardia ambientale al mondo.
Al suo interno, invece, i nostri popoli nutrono dubbi circa un progetto di integrazione per il quale gli Stati membri si rifiutano di fornire le risorse. La relazione del Parlamento non dà alcuna risposta ai dubbi, ai timori e agli egoismi nazionali. Anziché affrontare i problemi – mancanza di crescita, disoccupazione, tensioni nelle campagne e nelle città – la Commissione e il Parlamento promuovono il dialogo, i forum, in altre parole “futili chiacchiere”.
Dialogo, certo, ma su cosa? Su interrogativi ai quali le classi politiche non sono in grado di trovare risposte? L’Unione europea è priva non solo di una visione concreta del futuro, ma soprattutto di veri uomini di Stato. Nondimeno, ho votato a favore della presente relazione, ma soltanto per evitare di schierarmi con gli oppositori di un’Europa più integrata improntata a una maggiore solidarietà.
Mathieu Grosch (PPE-DE), per iscritto. (DE) Il dibattito sui grandi temi europei al quale abbiamo assistito negli ultimi mesi è stato caratterizzato più dall’emozione che dal pensiero. Che si parli della Costituzione, della direttiva sui servizi o di REACH – solo per citare alcuni esempi – la sfida che si profila dinanzi a noi è quella di semplificare il linguaggio che usiamo e il modo in cui comunichiamo per non lasciare campo libero ai cosiddetti populisti. Forse poche altre istituzioni possiedono così tante strutture e così tanti mezzi per sostenere la comunicazione, eppure forse poche altre istituzioni utilizzano un linguaggio la cui complessità lascia ampio spazio ad ambiguità ed equivoci, siano essi deliberati o involontari. Fin troppo spesso, i due elementi che si perdono per strada in qualunque dibattito sull’Europa sono il riferimento comune ai risultati raggiunti e una spiegazione del nuovo in tale contesto. Per quanto concerne il futuro dell’Europa, vi sono essenzialmente due grandi scuole di pensiero. Uno degli obiettivi conseguiti dalla Costituzione è stato dimostrare come quanti vogliono più Europa e quanti ne vogliono meno, sommandosi, portino l’Europa a un punto di stallo, non per il loro modo di pensare, bensì per la loro maniera di votare. Se tali contraddizioni fossero rese più chiare e più facilmente comprensibili per i cittadini, ne scaturirebbe un nuovo, vero dibattito europeo. La relazione Duff si muove nella giusta direzione. Tutto ciò che occorre è agire.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La maggioranza in Parlamento, tra cui i socialisti e i socialdemocratici portoghesi, ha adottato una relazione che, come si suol dire, “se la canta e se la suona”.
Con il pretesto di un “periodo di riflessione”, afferma che è necessario un dibattito, ma, abbandonando ogni prudenza, già trae la sua conclusione: “rilanciare il progetto costituzionale europeo”; “evitare un’altra battuta d’arresto”; “approfondire” il “consenso sulla Costituzione”; “pubblicizzare” con “fondi adeguati” per “rassicurare e convincere l’opinione pubblica” e “garantire che la Costituzione entri in vigore” “nel corso del 2009”.
Prescindendo dal fatto che non ha il potere per farlo, il Parlamento sta cercando di intorbidire le acque sostenendo in maniera fraudolenta che la “Costituzione europea” non è stata realmente respinta, mentre di fatto è stata rifiutata da francesi e olandesi, per cui ha cessato di avere qualunque valore, quantomeno secondo i Trattati.
Non è un caso che l’UNICE, l’associazione europea dei datori di lavoro, abbia dichiarato in una lettera inviata alla Presidenza austriaca che è assolutamente necessario trovare un modo per uscire dall’attuale crisi istituzionale nell’Unione europea. La lettera prosegue affermando che la pausa di riflessione… pare essere più pausa che riflessione.
Il grande patronato europeo e le forze politiche che attuano i suoi orientamenti stanno cercando, ancora una volta in contrasto con l’espressa volontà del popolo, di riprendere l’iniziativa.
Ewa Hedkvist Petersen (PSE), per iscritto. (SV) Ho votato a favore del paragrafo 27, ma non sono d’accordo con la seconda frase. L’opinione pubblica non ha bisogno di essere rassicurata. Il popolo è in grado di pensare autonomamente e assumere la propria posizione sulla Costituzione.
Sérgio Marques (PPE-DE), per iscritto. (PT) Vorrei complimentarmi con gli onorevoli Duff e Voggenhuber per la loro eccellente relazione sul periodo di riflessione: struttura, temi e contesto per una valutazione del dibattito sull’Unione europea. Condivido la proposta che tale periodo di riflessione sia sfruttato per rilanciare il progetto costituzionale sulla base di un ampio dibattito pubblico sul futuro dell’integrazione europea.
Parimenti appoggio il suggerimento che questo nuovo dialogo democratico, che va visto come un’opportunità per promuovere la democrazia europea, sia condotto e coordinato a livello dell’Unione, strutturato su temi comuni e in fasi realistiche, secondo la cornice concordata per la valutazione, e porti a scelte politiche decisive.
Riconosco altresì che per le istituzioni politiche è strategicamente importante incoraggiare un atteggiamento proattivo dei mezzi di informazione (in particolare della televisione, della stampa e delle radio locali), mobilitandoli a favore della pubblicità e dell’intensificazione del dibattito.
Convengo infine sul fatto che le conclusioni del periodo di riflessione vadano tratte al più tardi nella seconda metà del 2007, che si debba decidere chiaramente in tale fase come procedere con la Costituzione e che, in ogni caso, si compiano tutti gli sforzi necessari per garantire l’entrata in vigore della Costituzione nel corso del 2009.
David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Apprezzo la presente relazione che chiarisce, dopo il “no” francese alla Costituzione, a che punto siamo in termini di future riforme costituzionali dell’Unione europea.
I relatori giustamente osservano che l’Unione dispone di varie opzioni, tra cui figurano l’abbandono completo del progetto costituzionale, il proseguimento degli sforzi per la ratifica senza modifiche del testo attuale, il tentativo di chiarire o integrare il testo attuale, la ristrutturazione e/o la modifica del testo attuale con l’obiettivo di migliorarlo ovvero una totale riformulazione.
Non giungeremo ad alcuna conclusione in merito a tali alternative sino al termine del periodo di riflessione, prevista per il secondo semestre del 2007.
Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto. (NL) La Costituzione, che gli elettori olandesi e francesi hanno respinto con una maggioranza schiacciante, era un pot-pourri. La maggior parte dell’elettorato si è dimostrata assolutamente a favore di riunioni del Consiglio aperte al pubblico, di un test di sussidiarietà per i parlamenti nazionali o di tentativi per giungere all’iniziativa dei cittadini di cui all’articolo 47, ma tutto questo avremmo potuto introdurlo molto tempo fa, anche senza Costituzione. Decisamente più controverse sono state invece le scelte in materia di politica economica e militare che tale testo doveva sancire, come la libera concorrenza senza alcun tipo di restrizione, uno dei principali obiettivi dell’Unione europea, la liberalizzazione dei servizi, costantemente estesa, o il continuo aggiornamento degli arsenali degli Stati membri. I due relatori vorrebbero adottare la pratica di una “vendita abbinata”, in cui con gli aspetti positivi si dovrebbero accettare anche quelli negativi, nella convinzione che l’approvazione sia solo questione di tempo. Essi vorrebbero persino sospendere l’ammissione di nuovi Stati membri sino all’adozione della Costituzione.
Il mio partito, quello socialista, è il più grande tra i partiti che, nei Paesi Bassi, hanno intrapreso una campagna riuscita contro questo progetto di Trattato costituzionale. Dopo che è stato respinto dagli elettori, abbiamo presentato al parlamento olandese proposte riguardanti l’apertura, un test di sussidiarietà e l’iniziativa dei cittadini, analogamente a quanto l’onorevole Brok aveva raccomandato a quest’Aula a nome della commissione per gli affari esteri, stessa identica alternativa che avevo formulato nell’emendamento n. 6, la cui reiezione rappresenta un’occasione mancata.
Cristiana Muscardini (UEN), per iscritto. – Signor Presidente, la scarsa attenzione rivolta alle radici storiche e religiose dell’Unione, l’inserimento con un’operazione di banale “copia e incolla” della Carta dei Diritti fondamentali all’interno del Trattato senza che si potesse intervenire sui contenuti della stessa, la mancata o comunque scarsa informazione che è pervenuta ai cittadini sulle decisioni che si stavano prendendo in seno alla Convenzione e un allargamento, che indubbiamente rappresenta un valore e un arricchimento per tutta l’Europa, presentato ai cittadini senza un’efficace campagna mediatica che ne spiegasse le ragioni e le opportunità per tutti, sono solo alcune delle ragioni che hanno determinato l’interruzione del processo di ratifica di un Trattato che avrebbe dovuto essere costitutivo di un’Unione in cui i propri cittadini, purtroppo, stentano, ancora oggi, a riconoscersi.
Sono convinta che i miglioramenti al Trattato costituzionale siano necessari e per questo auspichiamo che alla fine del periodo di riflessione si possa iniziare un nuovo percorso che porti a definire meglio ed in modo più comprensibile i temi oggi controversi.
Per questo motivo voteremo a favore di questa risoluzione nella speranza che in tempi brevi e con il coinvolgimento di tutte le Istituzioni comunitarie e nazionali e dei rappresentanti della società civile e del mondo accademico si arrivi ad un nuovo testo magari semplificato ma dotato di un’anima comune in cui tutti i cittadini possano riconoscersi.
Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La relazione rappresenta un tentativo inaccettabile di stravolgere la volontà dei popoli di Francia e Paesi Bassi, che esultanti hanno decretato la bocciatura del reazionario Trattato costituzionale europeo; attraverso questa relazione, infatti, si cerca di reintrodurlo furtivamente.
Il testo non si prende nemmeno la briga di apportare qualche piccola modifica ai contenuti della Costituzione europea, che viene data per scontata. Con sommo sprezzo per la volontà espressa dal popolo, esso punta ad attuare campagne di disinformazione con il fine ultimo di costringere i lavoratori ad accettare la Costituzione europea, in modo che possa entrare in vigore nel 2009.
Per tale ragione la relazione mira a concertare un “dialogo sociale”, secondo un copione già fissato, e conferisce ai media un ruolo ancora più attivo nel tentativo di fare un lavaggio del cervello alle masse affinché, con la pistola alla tempia, prima o poi acconsentano al varo della Costituzione europea. Per tale ragione propone lo stanziamento di fiumi di denaro per far cambiare idea alla gente.
Si deve accettare il fatto che la Costituzione europea è morta e sepolta e che nessuna campagna di coercizione delle masse potrà resuscitarla. I popoli dell’Unione europea devono comprendere che l’unione imperialista del capitale europeo non potrà mai produrre un buon testo costituzionale. L’unico sviluppo positivo per i lavoratori e per le classi lavoratrici è una politica che indebolisca l’Unione europea ed elimini definitivamente qualsiasi tentativo di reintrodurre il sedicente testo costituzionale stilato da questo organismo reazionario.
Tobias Pflüger (GUE/NGL), per iscritto. – (DE) Continuo a oppormi alla Costituzione europea per le seguenti ragioni:
1. Se vogliamo conservare la speranza di realizzare un’Europa sociale e civile, il Trattato costituzionale deve essere definitivamente archiviato.
2. La Costituzione europea è volta ad accelerare notevolmente la militarizzazione dell’Unione; infatti (titolo III-311) prevede un ampio ventaglio di progetti militaristici.
3. La Costituzione europea è tesa a preparare l’Unione europea affinché possa condurre azioni di guerra su scala globale. Spiana la strada a interventi militari in tutto il mondo (I-41,1 e III-309).
4. Il Trattato costituzionale prevede esplicitamente l’obbligo di riprendere il riarmo (I-41,3). Se dovesse essere ratificato, si rafforzerebbe ancor più la tendenza a stanziare fondi sempre più cospicui per gli armamenti.
5. Con il Trattato costituzionale la politica estera comunitaria sarebbe legata solamente ai principi della Carta dell’ONU invece che alla Carta nella sua interezza (I-3,4). Di conseguenza, l’Unione europea potrebbe interpretarli in modo da poter dichiarare guerra anche in assenza di un mandato delle Nazioni Unite.
6. Il Trattato costituzionale funge da piano programmatico, consentendo di premere sulla militarizzazione dell’UE senza alcun riferimento ai Trattati vigenti. Tra gli esempi cito l’ampliamento dell’Agenzia europea per gli armamenti (III-311) e l’istituzione di un gruppo di combattimento (III-312).
7. Il Trattato costituzionale è volto a conferire una veste costituzionale al neoliberismo (III-177), di cui l’antisociale direttiva Bolkestein di stampo è solo un piccolo assaggio. E’ poi assolutamente scandalosa la proposta del Cancelliere tedesco, Angela Merkel, la quale vuole che sia ripetuto il voto in Francia e nei Paesi Bassi, usando come espediente la semplice aggiunta al testo costituzionale di una dichiarazione sulla “dimensione sociale” dell’Europa che oltretutto sarebbe priva di valore vincolante.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. (PT) Una delle nostre più impellenti preoccupazioni è preparare la struttura istituzionale comunitaria in vista delle prossime sfide, come i futuri allargamenti. Convengo pertanto sul fatto che presto dovremo riprendere il dibattito istituzionale. Reputo inoltre che debba essere portato a termine il dibattito che è stato avviato sul Trattato costituzionale. Accolgo e sostengo l’idea che debba esserci un periodo di riflessione e di dibattito per poi chiudere la questione. D’altro canto, non accetto e non sottoscrivo l’opinione che alcuni esprimono secondo cui l’esito può essere solamente univoco, a prescindere da quale possa essere. Il dibattito, e in particolare il dibattito tanto necessario con i cittadini, è per definizione aperto e libero e sono quindi pronto a denunciare qualsiasi tentativo atto a distorcerlo.
Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. (EN) La proposta di Costituzione era semplicemente la strada sbagliata per il futuro dell’Europa, quindi i tentativi per ravvivarla sono del tutto fuori luogo. Sono il primo a dire che l’Unione europea ha bisogno di una metodologia di lavoro nuova, nonché di una nuova costituzione, ma non certo del testo difettoso che è stato bocciato in maniera tanto netta dagli elettori olandesi e francesi. Dobbiamo riportare l’Unione europea ai suoi principi originari e stabilirne gli scopi, gli ambiti in cui apporta un valore aggiunto e quelli in cui, di fatto, questo non avviene. Nell’Unione europea le Istituzioni e le prassi comunitarie riscuotono scarso favore agli occhi dell’elettorato, che d’altro canto non possiamo biasimare, quindi dobbiamo cambiare il nostro metodo di lavoro. Se l’Unione europea non esistesse, dovremmo inventarla, ma non nel quadro del progetto di Costituzione e non nella forma che attualmente riveste.
Geoffrey Van Orden (PPE-DE), per iscritto. (EN) Ho votato contro la relazione, poiché mi oppongo totalmente a qualsiasi iniziativa tesa a resuscitare la Costituzione europea. L’opportuna bocciatura della Costituzione avrebbe dovuto offrire ai capi di Stato e di governo delle nazioni europee l’occasione di compiere una riflessione sincera sulla natura e sulla direzione da imprimere all’Unione. Di certo il popolo britannico e i popoli di molti altri paesi non vogliono accorpare la loro nazione in una sorta di Stato chiamato Europa.
Molti condividono la visione dei conservatori britannici secondo cui l’Unione europea deve essere una comunità libera di Stati sovrani, imperniata sul mercato unico e su una stretta cooperazione in altri ambiti in cui effettivamente può apportare un valore aggiunto. Rilevo invece con apprensione la determinazione degli euro-integralisti che vogliono reintrodurre la Costituzione europea entro il 2009 e spendere altro denaro pubblico per campagne di propaganda a sostegno di questo obiettivo, introducendo altresì limiti geografici e politici all’Unione europea.
Diana Wallis (ALDE), per iscritto. (EN) Ho votato contro la seconda parte dell’emendamento n. 26. Il mio gesto, tuttavia, non implica che sono contraria a una consultazione referendaria europea. In realtà, sono molto favorevole all’idea. Tuttavia, gli studi e l’esperienza stessa indicano che tali consultazioni non devono svolgersi in concomitanza con le elezioni politiche.
Anna Záborská (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Le conclusioni della relazione non collimano con la situazione in cui attualmente si trova l’Unione europea: come si può affermare che la ratifica della Costituzione europea deve avvenire nel 2009 e che il Trattato di Nizza è del tutto inutile? Come si può parlare di “periodo di riflessione” quando l’attuale progetto di Costituzione è stato definitivamente stroncato da due Stati fondatori dell’Unione?
Il Trattato vigente è sicuramente inadeguato, ma ha una propria utilità. Deve essere migliorato progressivamente per mezzo di altri trattati e accordi, che potranno altresì riprendere determinati elementi della prima parte della Costituzione. Allo stadio attuale della riunificazione europea la Costituzione non è forse prematura?
Al momento è più che mai necessario, nell’interesse degli Stati membri e dei cittadini, nonché nell’interesse dell’Europa stessa, avvicinarsi alle realtà concrete vissute dai cittadini dei nuovi Stati membri, senza ignorarli, altrimenti si accentuerà ancor più il deficit democratico.
Riusciremo a conquistare la fiducia dei nuovi Stati membri affinché possano credere nel progetto europeo? Non tiriamo quindi conclusioni affrettate, sostituendoci ai cittadini dei nostri paesi.
Christopher Heaton-Harris (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, è risaputo che il Parlamento ha difficoltà a comunicare con i popoli di cui teoricamente è il rappresentante. Recentemente, nel tentativo di trovare il modo migliore per superare questo problema, ho affrontato pubblicamente la questione e mi è stato detto che, in genere, i politici vengono considerati noiosi e grigi e che hanno un linguaggio del tutto antiquato.
Per far capire meglio la politica comunitaria di prossimità, il gruppo con cui stavo parlando mi ha dato un gentile suggerimento e, riprendendo il brano di un interprete contemporaneo, Tony Hatch, ha intonato: “Neighbours, everybody needs good neighbours; just a friendly wave each morning helps to make a better day. Neighbours need to get to know each other; next door is only a footstep away. Neighbours, everybody needs good neighbours; with a little understanding you can find the perfect blend. Neighbours should be there for one another; that’s when good neighbours become good friends.” (Vicini, tutti hanno bisogno di bravi vicini; un salutino veloce ogni mattina e la giornata sarà migliore. I vicini devono conoscersi; la porta accanto in fondo dista solo pochi passi da casa. Vicini, tutti hanno bisogno di bravi vicini; capendosi un pochino, si può trovare una perfetta armonia. I vicini devono darsi una mano; ed è proprio in questo modo che possono diventare anche buoni amici).
Gli estimatori dell’opera di Tony Hatch saranno molto orgogliosi del fatto che oggi la sua canzone è stata letta in questa sede.
Roselyne Bachelot-Narquin (PPE-DE). – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho dato il mio sostegno alla relazione dell’onorevole Tannock sulla politica europea di prossimità, che è stata approvata nello stesso giorno della relazione Duff-Voggenhuber sul futuro del processo costituzionale. Il Parlamento ha quindi assunto una posizione politica coerente e al contempo ambiziosa che apprezzo molto.
Il Trattato costituzionale non potrà essere ratificato fino a quando non ne verranno chiaramente definiti i confini, in modo da individuare i paesi del continente euroasiatico che non sono destinati a divenire membri dell’UE e quelli che invece devono prepararsi attivamente all’adesione. Inoltre, tra le ambizioni dell’Unione europea figura una politica estera e di sicurezza comune che, prima di collocare l’UE sulla grande scena diplomatica internazionale, deve concentrarsi sulla propria sfera di influenza attraverso partenariati con i vari paesi e con le diverse realtà politiche nelle zone circostanti. Il Parlamento può contribuire attivamente al conseguimento di tale obiettivo definendo i contenuti futuri della nostra politica nei confronti della Russia, della Turchia, del Medio Oriente e del Maghreb.
Per concludere, apprezzo il riferimento della relazione alla necessità di definire in un prossimo futuro la politica di prossimità d’intesa con le organizzazioni paneuropee come l’OCSE e il Consiglio d’Europa.
Gyula Hegyi (PSE). – (HU) Signor Presidente, ho votato con piacere a favore della relazione sulla politica europea di prossimità. L’Unione europea non è una fortezza e non è nemmeno un’isola. Abbiamo bisogno di buone relazioni di prossimità e di cooperazione con i paesi partner. Più saranno i paesi che godono di pace, stabilità e prosperità, maggiore sarà la nostra stessa sicurezza.
La ragione per cui ho chiesto la parola è che, a mio parere, l’importanza di una buona politica di prossimità va molto al di là dell’interpretazione che attualmente le viene conferita dall’Unione europea. Secondo il ragionamento corrente, infatti, l’allargamento forzato svolge un ruolo preponderante rispetto alla politica di prossimità. Alcuni paesi non potranno mai diventare membri dell’Unione europea, ad altri vengono fatte vaghe promesse, mentre altri ancora, secondo alcuni, avrebbero una posizione privilegiata. A mio giudizio sarebbe più opportuno sviluppare una sorta di partenariato speciale, approfondendo la politica di prossimità. Anziché accogliere alcuni paesi e ignorarne rigorosamente altri, dovremmo muoverci nell’ambito di una buona politica di prossimità.
Emanuel Jardim Fernandes (PSE), per iscritto. – (PT) L’Unione europea non deve trascurare il proprio dovere di promuovere il rispetto per il diritto internazionale e lo sviluppo di un’economia sociale di mercato. Pertanto dobbiamo plasmare l’immagine dell’UE nel mondo, conferendo un ruolo centrale alla politica europea di prossimità (ENP) attraverso il mantenimento di relazioni costruttive con i paesi più vicini al nostro continente nella prospettiva di costruire uno spazio di pace e di prosperità.
Ho votato a favore della relazione Tannock a fronte dell’importanza che essa attribuisce all’articolo 6 del Trattato di Maastricht quale pilastro dell’ENP, pur chiarendo che tale politica non rappresenta un’alternativa all’adesione all’UE.
Infine, sono lieto che sia stato riconosciuto il contributo reso da partner futuri come Capo Verde alla lotta comune contro il terrorismo, il traffico illecito di armi, la povertà e la schiavitù di esseri umani. Tale riconoscimento proviene dalle eccellenti posizioni geostrategiche assunte da questi partner e dalle radicali riforme che molti di essi hanno intrapreso, nonché da un’affinità culturale e storica di lunga data che li lega sia al continente europeo che alle regioni ultraperiferiche, comprese quelle atlantiche, in ragione della prossimità geografica.
Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La Lista di giugno in linea di massima sostiene la politica europea di prossimità, poiché è volta a rafforzare la democrazia e a promuovere gli scambi e la prosperità in paesi che si trovano nelle immediate vicinanze dell’Unione europea. Pertanto ci esprimeremo a favore della relazione nella votazione finale.
Reputiamo che gli strumenti della politica di prossimità debbano essere flessibili e all’insegna di un buon rapporto costi-efficacia. Devono inoltre essere fissate norme chiare per verificarne i risultati.
La politica di prossimità dovrebbe limitarsi a temi inerenti alla cooperazione in materia di scambi, democrazia e diritti umani. Contrariamente a quanto accade attualmente, non deve essere strumentalizzata per estendere la sfera d’interesse dell’Unione attraverso la politica estera e di sicurezza comune.
Sérgio Marques (PPE-DE), per iscritto. (PT) La politica europea di prossimità rispecchia la grande importanza che l’Unione europea attribuisce alla costruzione di future relazioni con i paesi limitrofi, a prescindere dal fatto che siano candidati all’adesione. E’ certamente nell’interesse dell’Unione promuovere lo sviluppo democratico nelle regioni circostanti.
La politica europea di prossimità deve dar corpo a una strategia più netta nelle relazioni con i paesi vicini in modo da contribuire alla creazione e allo sviluppo di uno spazio comune di pace, stabilità, sicurezza, rispetto per i diritti umani, democrazia, Stato di diritto e prosperità e offrire ai paesi partner relazioni privilegiate e una posizione di spicco nelle relazioni esterne dell’UE rispetto alle altre regioni del mondo.
Sottoscrivo le proposte del relatore, che mettono in luce la necessità di aumentare il finanziamento per lo Strumento europeo di vicinato e partenariato (ENPI) per poter quindi affrontare il problema dell’accesso al mercato interno, fissare una strategia chiara contro il terrorismo internazionale e la criminalità organizzata, migliorare le normative sulle reti di energia e di trasporto e cooperare su tematiche ambientali.
Per concludere, deve essere assegnata una rilevanza particolare alla politica energetica, visto che l’Unione europea è circondata dai più estesi giacimenti di petrolio e gas naturale esistenti al mondo.
David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Accolgo con favore la relazione. La politica europea di prossimità rappresenta una strategia fondamentale per l’Unione allargata per stabilire relazioni strutturate con tutti i suoi nuovi vicini sul versante orientale e meridionale, per difendere e affermare i valori comuni di democrazia, rispetto dei diritti umani e sviluppo di politiche comuni.
Tobias Pflüger (GUE/NGL), per iscritto. – (DE) La relazione che l’Assemblea ha votato oggi, stilata dall’eurodeputato del partito conservatore britannico Charles Tannock, rafforza ulteriormente la politica europea di prossimità, tesa a perseguire gli interessi geopolitici dell’UE, ammantandoli della retorica sui diritti umani.
1. In realtà la politica europea di prossimità è stata concepita come mezzo per creare una sfera geopolitica di influenza per l’Unione europea e i suoi Stati membri, la cui opera mira a istituire “partenariati privilegiati” con i paesi vicini, compresi quelli del Caucaso meridionale.
2. La relazione è molto franca sull’orientamento geostrategico della politica europea di prossimità, che in effetti è volta a garantire l’approvvigionamento di materie prime per l’UE. La “politica energetica” è destinata a divenire un tema importante nella politica di prossimità dell’UE, dal momento che l’Unione “è circondata dai più estesi giacimenti di petrolio e gas naturale esistenti al mondo (Russia e bacino del Mar Caspio, Medio Oriente e Africa settentrionale)”. Il testo inoltre enfatizza a più riprese il significato geostrategico di paesi di transito quali la Georgia e l’Armenia.
4. L’intento è rafforzare l’influenza dell’UE, favorendo un cambio di regime in Bielorussia e in altri paesi. Basta pensare al diverso trattamento che è stato riservato alla Bielorussia e all’Uzbekistan; quest’ultimo paese, infatti, tollera la presenza di basi militari di Stati membri, come la base tedesca a Termez. Deve pertanto risultare chiaro che in questo caso la preoccupazione principale è l’ampliamento della sfera di influenza dell’UE.
5. Anche in termini di politica militare i paesi vicini sono agganciati all’Unione europea, poiché l’idea di base è che devono essere in grado di prendere parte agli interventi e alla struttura militare dell’UE.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. (PT) L’Unione europea ha tutte le carte in regola per svolgere un ruolo importante sulla scena internazionale; non nel modo in cui qualcuno vorrebbe, ma può essere di certo un organismo importante nelle relazioni internazionali.
Questa idea è scaturita dalla politica europea di prossimità – sia a livello formale che sostanziale – visto che, a mio parere, è nelle regioni circostanti che l’Unione europea può e deve svolgere il suo ruolo principale sulla scena internazionale. Pur essendo a favore di un ulteriore allargamento, sono altresì conscio della natura finita del processo e del fatto che – succeda quel che succeda – sarà sempre necessario sviluppare una politica tesa a promuovere una vasta area di pace, stabilità e prosperità intorno a noi. Si tratta sia di un’esigenza geostrategica che di un obbligo morale.
Reputo pertanto fondamentale che il Parlamento segua molto da vicino questa politica – e il corrispondente quadro finanziario – poiché è un settore in cui è davvero possibile tradurre le parole in fatti. L’esperienza mediterranea potrebbe non essere di buon auspicio, ma ve ne sono state altre più positive da cui dobbiamo trarre ispirazione.
José Ribeiro e Castro (PPE-DE), per iscritto. (PT) Capo Verde è un esempio perfetto di democrazia, buon governo e rispetto per i diritti umani ed è legato all’Unione europea da profonde radici storiche, politiche, culturali e geografiche. Pertanto è in una posizione unica e privilegiata per sviluppare legami ancora più stretti tra Europa e Africa. Il paese inoltre è un avamposto sicuro e stabile dell’area europea.
Benché sito sul confine atlantico sudorientale, Capo Verde è stato inserito in altri programmi che, in sé, non riflettono né l’effettiva prossimità del paese né riconoscono la sua identificazione con i valori che condividiamo, come lo Stato di diritto, la promozione di buone relazioni con gli Stati vicini, i principi dell’economia di mercato e lo sviluppo sostenibile.
E’ noto che i primi contatti sono stati avviati su iniziativa del governo capoverdiano con il supporto del principale partito di opposizione al fine di ottenere uno status speciale o stabilire un partenariato con l’Unione europea. L’inserimento del paese nella politica di prossimità potrebbe quindi rivelarsi un passo importante in questa direzione. Capo Verde potrebbe inoltre costituire un contrappeso vitale in tale politica, che altrimenti risulterebbe inadeguata se fosse imperniata solamente sui confini meridionali e occidentali.
Sono pertanto lieto che siano stati approvati gli emendamenti nn. 36 e 38.
Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ho assistito in prima persona all’attuazione della politica europea di prossimità in diversi paesi, ed è fondamentale mantenere questo settore politico in modo che il nostro spazio di democrazia e di libertà possa espandersi. L’Unione europea è molto più aperta verso l’esterno di quanto spesso si creda e, benché negli ultimi anni siano salite alla ribalta delle cronache le preoccupazioni di carattere interno, la maggior parte dei risultati conseguiti è stata ottenuta a livello esterno, spesso dietro le quinte. E’ vitale che attività di questo genere siano perseguite e quindi ho sostenuto con piacere la risoluzione.
Frank Vanhecke (NI). – (NL) Signor Presidente, se la relazione Estrela non passa alla storia come la peggiore relazione mai adottata dal Parlamento è solamente grazie all’accordo raggiunto sulla tematica di fondo. Le donne hanno il diritto di essere completamente integrate nei normali processi lavorativi su base paritaria rispetto agli uomini; inoltre hanno diritto a una pari retribuzione per un pari lavoro, benché sia risaputo che occorre ancora compiere dei progressi su questo versante. Su questi punti concordiamo.
Desidero però precisare che, in tutti gli Stati membri dell’Unione, un numero significativo di donne sceglie liberamente di lavorare in casa, rimanendo accanto alla famiglia, e molte altre compirebbero la stessa scelta se ne avessero la possibilità economica. Il lavoro a tempo parziale e le strutture per la cura dell’infanzia sono solo soluzioni frammentarie, mentre l’introduzione di una retribuzione parentale piena per coloro che lavorano in casa o che hanno bambini in tenera età sarebbe un ottimo passo in avanti. Inoltre, va detto che si devono risolvere i problemi dei diritti pensionistici e le questioni legate alla previdenza sociale per i genitori che lavorano in casa a tempo pieno o parziale, il cui contributo alla società ha un valore inestimabile.
Anna Hedh, Ewa Hedkvist Petersen e Inger Segelström (PSE), per iscritto. – (SV) Abbiamo votato a favore dell’emendamento n. 19 interpretando il concetto di “reddito minimo garantito”, che compare nell’emendamento sopra citato, come una richiesta di condizioni di vita garantite e ragionevoli, concetto che ci trova favorevoli, mentre siamo contrari all’introduzione di salari minimi regolamentati dallo Stato.
Timothy Kirkhope (PPE-DE), per iscritto. – (EN) I colleghi del partito conservatore britannico ed io sosteniamo pienamente il principio delle pari opportunità tra uomini e donne. Muoviamo infatti dalla convinzione che sia le donne che gli uomini hanno un importante ruolo da svolgere nel conseguimento degli obiettivi economici della strategia di Lisbona, che a sua volta è tesa ad assicurare una crescita economica a lungo temine e livelli elevati di occupazione.
Ci siamo però astenuti sulla relazione, poiché riteniamo che le misure delineate nel testo abbiano un taglio eccessivamente normativo e quindi risulterebbero inefficaci per conseguire l’obiettivo sperato, ossia migliorare la posizione delle donne nella vita economica quotidiana degli Stati membri dell’Unione europea. Gli uomini e le donne chiedono prima di tutto di lavorare in una società in cui la crescita economica, fornendo maggiori e migliori opportunità occupazionali e di sviluppo professionale, apporti un più elevato livello di prestazioni sociali, come peraltro auspicato nella relazione.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. (PT) L’obiettivo del rinnovamento economico, sociale e ambientale, enunciato nella strategia di Lisbona, era fare dell’Europa l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.
Pur sostenendo senza riserve questi obiettivi, le mie preoccupazioni risiedono principalmente nel fatto che le famiglie europee si trovano ancora a dover fronteggiare delle disparità in ambito sociale. Il problema va contrastato al fine di consentire alle persone di conciliare il lavoro, la famiglia e la vita privata.
Questo è l’unico modo in cui possiamo costruire una società orientata verso l’istruzione e la formazione lungo tutto l’arco della vita, alla cui radice si colloca la garanzia che i nostri cittadini acquisiscano un patrimonio di conoscenze e siano informati.
Per tali ragioni ho votato a favore della relazione Estrela.
José Albino Silva Peneda (PPE-DE), per iscritto. (PT) L’inclusione sociale e il rispetto per la parità di genere sono principi fondamentali su cui poggia alla strategia di Lisbona.
Questi principi, però, devono ancora trovare espressione concreta al di là delle buone intenzioni.
In relazione alla parità di genere la situazione è estremamente allarmante: differenze nei tassi di occupazione, nella retribuzione, nell’accesso al mondo del lavoro e nella carriera, nell’istruzione nonché nella partecipazione a programmi professionali e di formazione. Per le donne, inoltre, è molto più difficile conciliare la vita professionale con quella familiare.
La parità di trattamento deve essere un principio fondamentale del diritto comunitario, tuttavia i principi politici vanno anche tradotti in pratica. La diagnosi è nota da tempo. Il problema è sempre lo stesso: agli Stati membri manca il coraggio e la determinazione per applicare le soluzioni che essi stessi hanno individuato.
Le prospettive finanziarie, approvate dal Consiglio, non promettono nulla di buono, visti i drastici tagli operati ai fondi più strettamente collegati alla strategia di Lisbona. Spero vivamente che i colloqui tra Parlamento, Commissione e Consiglio riescano a limitare i danni già inferti.