Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione congiunta sulla politica estera e di sicurezza comune sui seguenti punti:
– la dichiarazione dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune sulle prospettive della politica estera comune per il 2006; e
– la relazione (A6-0389/2005), presentata dall’onorevole Elmar Brok a nome della commissione per gli affari esteri, sulla relazione annuale del Consiglio al Parlamento europeo sugli aspetti principali e le scelte fondamentali della PESC, comprese le implicazioni finanziarie per il bilancio generale dell’Unione europea – 2004 [2005/2134(INI)].
Prima di dare la parola agli oratori, vorrei rendere omaggio, per il lavoro svolto in occasione delle elezioni tenutesi in Palestina, all’onorevole De Keyser, presidente della missione di osservazione elettorale dell’UE nei territori palestinesi, e all’onorevole McMillan-Scott, presidente della delegazione dei 27 osservatori del Parlamento europeo. Avremo sicuramente occasione di ascoltare la loro testimonianza durante il dibattito, ma desidero sottolineare fin d’ora l’importante ruolo che hanno svolto i nostri deputati dando un’obiettiva testimonianza della vitalità del processo elettorale svoltosi nei territori palestinesi.
Credo che questa sia anche l’occasione giusta per augurarci che le circostanze non impediscano al Presidente Mahmoud Abbas di accettare, quando lo ritenga opportuno, la standing invitation che gli ha rivolto il Parlamento europeo.
Javier Solana, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune. (ES) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto unirmi a lei ed esprimere le mie congratulazioni alla persona che ha rappresentato il Parlamento europeo e l’Unione europea nel suo insieme nella missione di osservazione delle elezioni palestinesi, l’onorevole De Keyser, buona amica di tutti noi e buona amica mia, per il grande lavoro realizzato in questo periodo molto difficile, durante il quale la missione degli osservatori è stata estremamente importante. Non so se l’onorevole De Keyser sia presente in Aula, ma in ogni caso vorrei esprimerle la mia ammirazione e riconoscenza e darle una nuova dimostrazione di amicizia e simpatia.
(Applausi)
Signor Presidente, onorevoli deputati, in tutta onestà devo dire che per me è molto complicato iniziare questa seduta il 1° febbraio 2006. Se torniamo indietro con il pensiero di un mese soltanto, al 1° gennaio di quest’anno, e osserviamo ciò che è accaduto nel mondo in questi ultimi trenta giorni, ci rendiamo conto che può veramente essere utile fare alcune riflessioni in seno al Parlamento. Tali riflessioni riguardano la capacità dell’Unione europea di fare politica, la capacità dell’Unione europea di fare politica internazionale e l’obbligo che abbiamo tutti, se esaminiamo con attenzione ciò che è accaduto in questi trenta giorni che vorrei passare in rassegna, di trarre alcune conclusioni sul modo in cui non possiamo continuare ad agire e sul modo in cui dobbiamo cominciare ad agire. Consentitemi quindi di ricordare molto brevemente ciò che è successo negli ultimi trenta giorni.
Molti di noi hanno passato la notte del 1° gennaio 2006 svegli, per cercare di risolvere un problema gravissimo che ci riguardava da vicino: l’Ucraina e la Russia avevano un problema di difficile soluzione, a causa della mancanza di un accordo energetico tra i due paesi. Se, anziché un accordo energetico, fosse rimasto un disaccordo, vi sarebbero state conseguenze estremamente serie per l’approvvigionamento energetico di molti paesi dell’Unione europea. Questo è successo la prima notte dell’anno.
La terza notte del 2006, il governo iraniano ha preso una decisione importantissima: cominciare l’arricchimento dell’uranio. Meno di una settimana dopo, ha cominciato a rompere i sigilli apposti dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica di Vienna, conformemente alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza e del Consiglio dei governatori di tale organismo.
Pochi giorni dopo, il Primo Ministro Sharon veniva ricoverato in un ospedale di Gerusalemme e purtroppo non si è ancora ristabilito del tutto. Vorrei cogliere l’occasione per rivolgere alla famiglia del Primo Ministro Sharon, a nome di tutti noi, se me lo permettete, i migliori auguri di pronta guarigione. Al di là delle differenze che sono potute emergere tra noi in passato, al di là delle difficoltà e dei malintesi che vi sono stati, gli uomini che hanno lottato, le persone che hanno lavorato con noi, meritano il nostro riconoscimento nei momenti di difficoltà.
Non molti giorni dopo, sono sorti seri problemi con l’inizio del processo elettorale in Palestina e ancora una volta l’onorevole De Keyser era sul posto per cercare di risolverli. Le elezioni si sono svolte alla fine del mese e il risultato ha creato grande scompiglio.
Alcuni giorni dopo, nel contesto di un’altra questione assolutamente fondamentale per l’Unione europea, moriva improvvisamente il Presidente Rugova, il Presidente del Kosovo.
Negli ultimi giorni del mese si è poi svolta una riunione fondamentale dell’Unione africana, con la quale stiamo cooperando in modo molto stretto per tentare di risolvere un problema grave: il problema del Darfur.
Infine, pochissimi giorni fa, sempre nello stesso mese, il Segretario generale delle Nazioni Unite ci ha chiesto di prepararci ad adottare una decisione su un possibile coinvolgimento dell’Unione europea nella sicurezza e nella difesa delle elezioni che si svolgeranno tra pochi mesi in Congo.
Onorevoli deputati, se riflettiamo, anche solo brevemente, su questi ultimi trenta giorni, ci rendiamo conto che se ne possono trarre grandi lezioni. Molte di esse riguardano l’influenza dell’Unione europea nel mondo di oggi, perché in relazione a tutte le problematiche che ho menzionato l’Unione europea ha dovuto svolgere un ruolo fondamentale: la questione della sicurezza energetica, che è fondamentale e continuerà a interessarci per tutto il 2006; la questione dell’Iran, di cui continueremo a occuparci nei prossimi giorni e senza dubbio anche oltre, e su cui tornerò tra un momento; le elezioni in Palestina e le relative conseguenze; la morte del Presidente Rugova e le conseguenze che avrà nel 2006, speriamo solo nel 2006; gli accordi definitivi sullo statuto del Kosovo; le questioni riguardanti i cambiamenti intervenuti nell’Unione africana, con la quale intratteniamo relazioni di profonda amicizia, affetto e cooperazione.
Se il Presidente me lo permette, farò alcune brevi osservazioni sulle problematiche che ho segnalato, le più importanti questioni emerse in quest’ultimo mese, che senza dubbio costituiranno il programma di base del Parlamento e dell’Unione europea nel 2006, ma vorrei prima dire ancora una volta alla Presidenza del Parlamento e agli onorevoli deputati che l’Unione europea è senza alcun dubbio un soggetto fondamentale in politica estera, che deve continuare a esserlo, che l’esperienza dimostra che – ci piaccia o meno – dobbiamo esserlo, e che in soli trenta giorni ci siamo dovuti occupare di tantissime questioni, il che a volte ci ha persino impedito di pensare, tanto è stata intensa l’attività cui ci siamo dedicati durante tutto questo mese.
Onorevoli deputati, stamattina la commissione per gli affari esteri del Parlamento ha ricevuto due rappresentanti dell’Ucraina: il ministro degli Esteri Tarasyuk e Yulia Timoshenko, un’insigne parlamentare. La commissione per gli affari esteri ha preso atto – mi auguro che molti di voi abbiano potuto commentarla – della difficile situazione in cui versa l’Ucraina, un paese amico, un paese fondamentale per la stabilità e la sicurezza in Europa. Circa un anno fa, tutti noi, il Parlamento europeo e io stesso, tentavamo di risolvere un problema gravissimo in Ucraina. Oggi, a distanza di un anno, molti problemi presenti allora non sono più altrettanto gravi, ma, purtroppo, sono ancora abbastanza gravi da imporci di continuare a lavorare, sostanzialmente per assicurare che tale paese non perda la strada, che tale grande paese continui ad avanzare in direzione dello sviluppo economico e politico, della sicurezza e del ravvicinamento all’Europa che tutti auspichiamo. Gli onorevoli deputati che stamattina hanno ascoltato il ministro degli Esteri e l’onorevole Yulia Timoshenko si saranno resi conto che, purtroppo, il problema è molto serio e dobbiamo dedicargli un’attenzione speciale.
Nei pochi minuti di cui dispongo in questo primo intervento non scenderò in maggiori particolari, ma voglio dire che le elezioni che si svolgeranno in Ucraina, non fra un anno, ma fra due mesi, saranno assolutamente fondamentali per tutti noi, non solo per l’Unione europea, ma indubbiamente anche per l’Ucraina e per tutti i paesi della regione orientale del nostro continente, che saranno condizionati dai risultati di tali elezioni.
Sarebbe molto triste per tutti noi se quella che un anno fa abbiamo definito “rivoluzione arancione” dovesse smettere di essere una rivoluzione arancione e diventare una rivoluzione di altro genere, o costituire un passo indietro dopo la serie di passi avanti compiuti da tale paese un anno fa.
Signor Presidente, mi permetta di passare al secondo punto che vorrei affrontare: la situazione con l’Iran. Credo che gli onorevoli deputati siano bene informati su quanto è accaduto in Iran dopo il 3 gennaio di quest’anno, solo poco tempo fa, e soprattutto che cosa è accaduto dopo il 13 gennaio, data in cui l’Unione europea ha deciso, a Berlino, di richiedere la convocazione di una riunione straordinaria del Consiglio dei governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica e successivamente invitare tale Consiglio a trasmettere il dossier sull’Iran al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. D’allora sono successe molte cose, perché i giorni passano come se fossero secondi e i mesi come se fossero ore. Posso dirvi che, in questo preciso momento, i rappresentanti della Cina e della Russia sono a Teheran, con un mandato dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza più l’Unione europea, per tentare di compiere un ultimo sforzo al fine di pervenire a un accordo nella riunione che si svolgerà il 2 febbraio, ossia domani. Posso dirvi che l’altro ieri notte, fino alle prime ore del mattino, i membri dell’Unione europea e gli Stati Uniti hanno condotto una riunione, a mio parere molto importante, con la Russia e la Cina per raggiungere un accordo su un progetto di risoluzione. Posso dirvi che l’accordo è stato raggiunto e sarà presentato oggi pomeriggio a Vienna e discusso domani.
E’ un progetto di risoluzione, onorevoli deputati, nel quale si lanciano i seguenti appelli: in primo luogo, si invita l’Iran a ripristinare la situazione precedente, ovvero ad abbandonare le sue aspirazioni in materia di arricchimento dell’uranio e a ritornare a una posizione di negoziato; in secondo luogo, si sollecita l’approvazione della risoluzione che sarà presentata oggi pomeriggio, con il sostegno della Russia e della Cina, e la trasmissione di tale risoluzione e di tutte le risoluzioni collegate, adottate negli ultimi mesi, al Consiglio di sicurezza e si invita quest’ultimo a non adottare alcuna risoluzione fino alla riunione regolare di marzo del Consiglio dei governatori. E’ nostra intenzione trasmettere un messaggio chiaro alle autorità iraniane e, al tempo stesso, conseguire il maggiore consenso possibile in seno alla comunità internazionale.
La questione che stiamo trattando è fondamentale, ed è legata alla proliferazione delle armi di distruzione di massa; ci sembra quindi essenziale conseguire il più ampio accordo possibile tra i membri della comunità internazionale e, specificamente, tra i membri del Consiglio dei governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Non posso dire di essere ottimista, perché è difficile essere ottimista su questi problemi, ma sono convinto che nelle ultime ore siano stati compiuti enormi sforzi tra tutti i membri della comunità internazionale, guidati, senza alcun dubbio, dalle posizioni che l’Unione europea sostiene da diversi mesi e anni.
(Applausi)
Ci auguriamo quindi che il dibattito che comincerà domani, e che sicuramente durerà più di un giorno, ci permetterà di compiere progressi verso una razionalizzazione della posizione dell’Iran sulle questioni legate all’energia nucleare.
Il terzo punto che vorrei affrontare molto brevemente, signor Presidente, perché il tempo stringe, è l’esito delle elezioni in Palestina. Ho già accennato all’ottimo lavoro realizzato dall’Unione europea in termini di osservazione; vorrei proporre due o tre riflessioni sui risultati. Onorevoli deputati, i risultati sono stati una sorpresa per tutti: una sorpresa per Hamas, una sorpresa per Al Fatah, una sorpresa per Israele e una sorpresa per la comunità internazionale.
Di sicuro ci si attendeva che Hamas ottenesse risultati migliori di quelli raggiunti in precedenza, ma nessuno – né all’interno di Hamas, né all’interno di Al Fatah, né nella comunità internazionale – si aspettava un tale successo di Hamas.
Quali sono le posizioni che a mio parere dovremmo adottare in questo momento? Non si tratta di posizioni personali, ma di posizioni definite dal Consiglio “Affari generali”, dai ministri degli Esteri lunedì mattina – quindi recentissime – e in seno al Quartetto, lunedì pomeriggio, con i nostri amici russi e statunitensi e con il Segretario generale delle Nazioni Unite.
Onorevoli deputati, riteniamo – e credo a ragione – che si debba continuare ad aiutare il Presidente Abu Mazen. Si è presentato alle elezioni con una piattaforma che noi sosteniamo: compiere progressi verso la pace, riconoscere la necessità di negoziare con Israele, porre fine all’intifada e attuare la tabella di marcia. Queste erano le posizioni del Presidente Abu Mazen, per le quali ha ottenuto il sostegno massiccio dei suoi concittadini palestinesi.
Si sono poi svolte le elezioni, che sono state vinte da Hamas con un’ampia maggioranza, una maggioranza assoluta, sulla base di una piattaforma che per certi versi è diversa da quella del Presidente Abbas. Non vi è quindi alcun dubbio che, in futuro – quando il governo sarà formato in seguito a negoziati che dureranno, con tutta probabilità, diverse settimane ed è quindi verosimile che non vi sarà un governo per almeno due o tre mesi – potremmo assistere a un conflitto tra le posizioni delle parti, tra ciò che il Presidente Abu Mazen ha rappresentato e ciò che Hamas rappresenta.
La dichiarazione di lunedì del Consiglio dei ministri degli Esteri, successivamente riconosciuta anche nella riunione del Quartetto, contiene affermazioni a mio parere importanti, che è utile conoscere e soprattutto è utile spiegare. Affermiamo chiaramente che, secondo la relazione degli osservatori, in particolare del capo missione, le elezioni si sono svolte in modo trasparente, pulito ed equo. Nella dichiarazione, affermiamo poi che l’Europa è assolutamente disposta a continuare a lavorare con gli amici palestinesi, con i quali abbiamo cooperato per molti anni, sin dal processo di Oslo, durante il quale abbiamo investito notevoli risorse economiche europee e anche risorse politiche e psicologiche e siamo disposti a continuare a farlo; senza alcun dubbio, siamo disposti a continuare a farlo nel periodo che precederà la formazione del nuovo governo. Tuttavia, una volta formato il nuovo governo, se sarà guidato da Hamas, l’Assemblea dovrà riflettere sulla situazione e stabilire alcune condizioni.
Sarebbe difficile per il Parlamento europeo e l’Unione europea nel suo insieme astenersi dal dire chiaramente agli amici palestinesi alcune cose, in particolare tre: la prima è che la violenza non è compatibile con i risultati elettorali in una democrazia. In una democrazia, i partiti eletti devono rinunciare alla violenza e devono osservare le norme democratiche.
(Applausi)
La seconda cosa che dobbiamo dire con la stessa amicizia e lo stesso affetto che da sempre proviamo per gli amici palestinesi è che, se vogliono l’assistenza dell’Unione europea, è indispensabile che la loro politica sia compatibile con le posizioni che il Parlamento e l’Unione europea sostengono sin dagli accordi di Oslo del 1993. Vogliamo due Stati che coesistano in pace e prosperità; vogliamo che i negoziati si svolgano in modo pacifico – in nessun altro modo – e invitiamo quindi le due parti – se è ciò che desideriamo – a procedere al reciproco riconoscimento. Sarebbe impossibile per il Parlamento sostenere qualsiasi accordo che non preveda un esplicito riconoscimento da parte di tutte le autorità palestinesi, quali che siano, del fatto che Israele è una realtà con la quale devono dialogare e raggiungere l’accordo.
In terzo luogo, dobbiamo dire ai nostri amici palestinesi – l’ho detto personalmente in varie occasioni dopo le elezioni e posso parlare con il Presidente praticamente tutti i giorni – che sarebbe molto utile se il nuovo governo, che sarà formato dopo queste elezioni nell’arco di tre mesi, riconoscesse anche tutti gli accordi siglati dall’Autorità palestinese negli ultimi anni. Sarebbe assurdo ricominciare da zero dopo tutto il lavoro svolto durante un periodo lunghissimo e che anche molti di voi hanno svolto a lungo.
Onorevoli deputati, questo è dunque ciò che intendiamo dire, molto semplicemente, e ritengo che tutti debbano comprenderlo; credo e spero che gli amici palestinesi, a prescindere dal partito cui aderiscono, a prescindere dal partito o dalla formazione che hanno rappresentato nelle elezioni, comprendano che con questo non intendiamo imporre niente a nessuno, né tentare di forzare la volontà di chicchessia, bensì esprimere in modo chiaro e semplice quella che è la posizione dell’Unione europea, non da ieri, ma dal 1993, quando sono stati firmati gli accordi di Oslo. Ritengo si debba essere tutti uniti in questo compito; ritengo che, come abbiamo fatto in sede di Consiglio “Affari generali”, come ha fatto il Quartetto la notte successiva, si debba essere fermi al riguardo. Ciò non significa che in questi momenti difficili, in questi momenti in cui il Presidente Abu Mazen ha l’enorme responsabilità di formare il governo e prendere contatto con tutte le diverse forze politiche, non aiuteremo, o non aiuteremo nella massima misura possibile, il Presidente Abu Mazen finché ha ancora il controllo della situazione, al fine di assicurare che nei prossimi tre mesi, che saranno sicuramente necessari per formare il nuovo governo, non si verifichi un tracollo economico nei territori palestinesi.
A mio parere, commetteremmo un errore gravissimo, dal punto di vista economico, se ora abbandonassimo il Presidente Abu Mazen e se tali risorse non fossero utilizzate o non giungessero a destinazione, e correremmo il rischio di lasciare l’Autorità palestinese in una situazione di estrema difficoltà in un momento già di per sé difficile.
(Applausi)
E’ un invito rivolto a tutti noi e al Parlamento europeo – se a un certo punto la Commissione presenterà una richiesta o una raccomandazione al Parlamento europeo in tal senso, e spero lo faccia – a mostrare generosità e sostenere il Presidente Abu Mazen nei mesi che rimangono prima della formazione del nuovo governo, affinché quest’ultimo possa insediarsi e trovare un posto per sé e per ciò che rappresenta. Ritengo si debba dire “sì”, un sonoro “sì”, perché così sia in futuro.
Vorrei dire che la situazione che dovremo affrontare sarà nuova, difficile, non sarà facile, ma sono convinto che dobbiamo continuare a impegnarci per assicurare che il processo di pace prosegua alle condizioni che ho menzionato poc’anzi. Non sono condizioni assurde, come ho detto; non sono condizioni saltate fuori dal nulla, sono frutto di molti anni di lavoro, di lavoro comune, di lavoro con i nostri amici palestinesi per garantire che questo processo possa proseguire.
Signor Presidente, vorrei ora spendere un paio di parole sulla situazione in Kosovo in seguito alla morte del Presidente Rugova. Ho avuto il triste compito – ma che ho assolto volentieri – di partecipare al funerale del Presidente Rugova. La famiglia mi ha chiesto di prendere la parola a nome dell’Unione europea e l’ho fatto. L’ho fatto pensando a tutti voi, l’ho fatto pensando a tutti i cittadini d’Europa, che sono certo fossero vicini al Presidente Rugova in tale momento. Tuttavia, non dobbiamo farci illusioni: sarà un processo difficile. Infatti, se il processo era già difficile quando il Presidente Rugova era vivo e agiva come una specie di “ombrello”, per così dire, per tutte le operazioni politiche da affrontare, possiamo immaginare come sarà senza di lui. Nel mio intervento, ho chiesto ai dirigenti politici e alla popolazione del Kosovo in generale di dar prova di generosità, unità e responsabilità per poter compiere progressi e credo che in certa misura tali parole, pronunciate da me e da altri, siano state ascoltate: oggi vi è già una persona che sostituisce il Presidente Rugova, cosa che temevo avrebbe richiesto molto più tempo, e che presiederà anche il gruppo che, sotto la direzione dell’ex Presidente della Finlandia Ahtisaari, condurrà i negoziati con i nostri amici serbi.
Speriamo quindi di poter procedere in tale direzione e di poterlo fare con relativa rapidità, ma torno a insistere sulla necessità di spendere grandi energie per proseguire lungo questo cammino fino alla soluzione definitiva della situazione in Kosovo, che senza dubbio rappresenta un passo essenziale per la stabilità nell’intera regione dei Balcani, per la stabilità dei paesi ai quali abbiamo offerto la prospettiva dell’adesione europea al Vertice di Salonicco e in molte altre occasioni.
Signor Presidente, temo che il tempo a mia disposizione si stia esaurendo e mi spiacerebbe molto non riuscire a trattare alcune altre questioni che intendevo discutere con voi, considerata l’intensa attività di questi ultimi venti giorni. Vorrei dire che continuiamo a lavorare sodo con l’Unione africana per tentare di risolvere il problema della pace in Darfur. Abbiamo compiuto molti progressi nei negoziati nord-sud e si è raggiunto un accordo, ma il processo di Abuja purtroppo non procede. Stiamo facendo tutto il possibile al riguardo. Fortunatamente, la riunione dell’Unione africana ha trovato una formula di compromesso, in base alla quale il Presidente dell’Unione africana sarà il Presidente del Congo Brazzaville anziché il Presidente del Sudan, fatto che avrebbe creato grandi problemi per i negoziati futuri. Saremo quindi lieti di fare tutto il possibile perché il processo di Abuja prosegua e, al tempo stesso, cominceremo a pianificare – perché dovremo assumerci molte responsabilità – la transizione da una forza presente sul terreno, diretta dall’Unione africana, a una forza che prima o poi, ma entro pochi mesi, sarà costituita dai caschi blu delle Nazioni Unite e con la quale senza dubbio dovremo continuare a cooperare.
L’ultima cosa che vorrei dire, signor Presidente, è che, come gli onorevoli deputati sanno, abbiamo ricevuto la richiesta, o per lo meno la Presidenza e io abbiamo ricevuto dal Segretario generale delle Nazioni Unite la richiesta di esaminare la possibilità di offrire assistenza nelle elezioni che si svolgeranno nella Repubblica democratica del Congo e che imprimeranno lo slancio finale al processo di transizione democratica in tale paese; se tutto va bene, questo processo porterà stabilità in una parte significativa della colonna vertebrale dell’Africa; si tratta quindi di una questione fondamentale per tutti noi. Ci è stato chiesto aiuto e oggi a Kinshasa è presente una missione conoscitiva, che mi auguro possa presentare i suoi risultati il 7 febbraio, fra pochi giorni, per permetterci di capire se, in definitiva, gli Stati membri dell’Unione europea possano sostenere le Nazioni Unite in risposta a tale offerta, o richiesta. Accettarla sarebbe una decisione positiva.
Onorevoli deputati, signor Presidente, termino qui. Sarebbe infinita la quantità di cose che vorrei condividere con voi in questo primo giorno di febbraio 2006, un anno che è cominciato con un’attività davvero frenetica, che ci renderà tutti frenetici e che deve indurci a lavorare con un’energia, una capacità e un impegno che raramente abbiamo visto nell’Unione europea.
Per volontà degli onorevoli parlamentari, per volontà dei cittadini d’Europa e per volontà dei governi d’Europa, l’Unione europea deve essere un soggetto fondamentale sulla scena internazionale. Come avete appena sentito, onorevoli deputati, considerando ciò che è accaduto soltanto in quest’ultimo mese, non ci resta altra scelta se non quella di svolgere tale ruolo, che ci piaccia o meno: non possiamo chiudere gli occhi davanti ai problemi del mondo e vorrei dire che il mondo vuole un’Europa attiva. Ovunque si vada, si incontrano persone, leader politici, che bussano alla porta dell’Europa dicendo: “Agite. Agite. Ci piace il vostro modo di agire; siamo soddisfatti del vostro modo di agire; il vostro modo di agire è migliore per il mondo, il mondo multilaterale in cui credono i cittadini dell’Unione”.
L’Eurobarometro, signor Presidente, ci dice ogni giorno, ogni mese, oppure ogni due mesi, od ogni volta che lo consultiamo, ciò che vogliono i deputati al Parlamento. Proseguiamo dunque lungo questo cammino, cerchiamo di far sì che il Parlamento e tutte le Istituzioni possano lavorare insieme, perché siamo necessari, se vogliamo creare un mondo migliore.
Signor Presidente, avrei ancora molto da dire, ma so che non è possibile. Mi fermerò qui, dunque, e attenderò le eventuali domande che gli onorevoli deputati vorranno pormi; mi sforzerò di rispondere nel miglior modo possibile, con lo stesso rispetto e con lo stesso affetto che ho sempre provato per il Parlamento. Onorevoli deputati, vi ringrazio.
(Applausi)
Elmar Brok (PPE-DE), relatore. – (DE) Signor Presidente, signor Alto rappresentante, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, onorevoli colleghi, se consideriamo le basi da cui è partita la politica estera e di sicurezza europea diversi anni fa, possiamo solo constatare che ci sono state conquiste straordinarie e che nei Balcani si stanno ottenendo risultati prima d’ora impossibili, attraverso la troika dell’Unione e in molti altri ambiti, e che l’Unione europea, tramite la politica di allargamento, la politica di vicinato, la politica per il Mediterraneo e molte altre iniziative ha apportato un enorme contributo alla stabilità globale.
Il Parlamento ha sempre sostenuto questo lavoro e sa bene di non poter condurre una politica estera attiva, in quanto tale compito spetta all’Esecutivo. Il Parlamento deve però avere la possibilità di esercitare un controllo. La situazione in cui siamo ci impedisce tuttavia di esercitare tale controllo in modo adeguato, in quanto il più delle volte siamo informati dopo, anziché essere coinvolti a priori nel processo di discussione. Dobbiamo sforzarci di introdurre miglioramenti in questo ambito e procedere secondo questa interpretazione dell’articolo 21. Mi auguro sia possibile ottenere l’accordo del Consiglio e della Commissione al riguardo in modo pacifico.
Tuttavia, dobbiamo anche essere consapevoli del fatto che l’Assemblea finora ha potuto far ricorso quasi solo ad argomenti legati al bilancio per far valere il proprio parere. Dobbiamo superare questa situazione, per far sì che il Parlamento possa esercitare un migliore controllo ed essere consultato.
Ci si può chiedere, per esempio, che cosa stia succedendo in Congo. Abbiamo tutti letto sui giornali che si sta valutando la possibilità di un intervento militare in tale paese, ma nessuno, in nessuna fase della procedura, ha pensato di informarne preventivamente il Parlamento o la sua commissione competente. Non credo si possa andare avanti così.
Ho detto che si sono ottenuti molti risultati positivi, ma un bicchiere può essere considerato mezzo pieno o mezzo vuoto. La situazione è molto più complicata rispetto a un anno fa, e non per colpa della politica europea, ma per le circostanze di fatto, e l’Alto rappresentante Solana ha fornito alcuni esempi all’inizio dell’anno. Si pensi solo alla situazione in Iran, dove stiamo faticosamente tentando di avviare trattative e dove nessuno ha un’idea reale del modo in cui prevenire un aggravamento della situazione; alla possibilità che in Iraq si instauri un governo sciita, che potrebbe allearsi con l’Iran; ad Hamas, che ha vinto le elezioni in Palestina e ha legami con l’Iran, dal quale riceve finanziamenti, per non menzionare gli Hezbollah e tutto il resto. Se si pensa al significato di questo scenario in termini di pace nel mondo, e anche in termini di sicurezza del nostro approvvigionamento energetico, e si osserva al tempo stesso il modo in cui una Russia politicamente rinata usa l’energia come strumento politico, destando preoccupazioni nei paesi del nostro vicinato riguardo alla possibilità di conservare la loro indipendenza e libertà di scelta, lo scenario può essere molto deprimente. E questi sono solo alcuni esempi. L’intero scenario dimostra che noi, nell’Unione europea, ci troviamo in una situazione peggiore, in termini di politica estera, rispetto a quella di un anno fa e dobbiamo quindi elaborare una strategia adeguata. Dobbiamo essere molto più attivi e, che si tratti della situazione in Ucraina o della politica energetica in generale, dobbiamo stabilire collegamenti in modo che nessun singolo paese sia penalizzato, e unirci e difendere insieme i nostri interessi. Gli Stati membri e i nostri vicini devono comprendere che possiamo difendere i nostri interessi soltanto se agiamo insieme, anziché ciascuno per proprio conto. Nessuno di noi può salvarsi da solo; soltanto insieme possiamo difendere i nostri interessi e questo concetto deve essere affermato con maggiore chiarezza.
(Applausi)
Dobbiamo apportare il nostro contributo anche nei Balcani, dove quest’anno, con il referendum in Montenegro e i negoziati sullo statuto del Kosovo, si dovranno prendere importanti decisioni. Il modo in cui coinvolgere la Serbia in questo processo è una delle questioni più significative e difficili da risolvere. E’ altresì necessario un netto miglioramento delle relazioni transatlantiche, in modo che, attraverso i valori condivisi, si possano trovare soluzioni per lo scenario che ho descritto poc’anzi.
Ciò significa inoltre che dobbiamo essere abbastanza forti da esercitare un’influenza sulla politica americana e rafforzare quindi la dimensione preventiva della politica e il suo carattere di dialogo, al fine di garantire maggiore sicurezza in un mondo multilaterale.
Significa che dobbiamo affinare alcuni nostri strumenti. Vorremmo che l’Alto rappresentante Solana diventasse ministro degli Esteri dell’Europa il 1° gennaio 2007, ma il fallimento della Costituzione impedisce la realizzazione di tale obiettivo. Di conseguenza, è necessario migliorare i nostri strumenti per rafforzare al massimo l’efficacia di tutte le Istituzioni ed evitare che operino l’una contro l’altra.
Come ha affermato Javier Solana, il mondo vuole una politica estera europea, anche in ragione di questo approccio multilaterale. Anche i cittadini vogliono una politica estera europea; nulla sta loro altrettanto a cuore della necessità di un’azione comune in questo ambito. Ciò ci impone l’obbligo di cooperare con le nostre controparti a livello nazionale al fine di abbandonare le mezze misure del passato e decidere in che modo garantire il diritto alla vita dei nostri cittadini.
(Applausi)
Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, nell’introdurre la sua dichiarazione, l’Alto rappresentante si è riferito ai primi 31 giorni dell’anno – e quindi anche di Presidenza austriaca del Consiglio – definendoli turbolenti, e di fatto lo sono stati. Se ne può avere conferma consultando l’ordine dei lavori della prima riunione del Consiglio svoltasi sotto la Presidenza austriaca due giorni fa.
Era importante esaminare in seno al Consiglio le questioni emerse, molte delle quali sono state descritte dal signor Solana, e pervenire a decisioni che contenessero un messaggio chiaro, perché è molto importante che l’Unione europea si esprima in modo chiaro, inequivocabile e con una sola voce sulle importanti questioni di oggi, ed è ciò che stiamo facendo, naturalmente insieme con la Commissione e ricercando al tempo stesso il dialogo con il Parlamento europeo. Vorrei ricordare che, nei 31 giorni di Presidenza austriaca finora trascorsi, il ministro degli Esteri, molti altri Presidenti in carica del Consiglio e io stesso abbiamo avuto più occasioni di discutere con voi varie questioni di vostro interesse. Ieri ho inoltre avuto la possibilità – per la quale sono molto grato – di riferire alla commissione per gli affari esteri in merito agli aspetti della politica estera trattati nella prima riunione del Consiglio sotto la Presidenza austriaca. La Presidenza austriaca intende continuare a garantire questa disponibilità a svolgere discussioni a nome del Consiglio e desidera proseguire il dialogo con l’Assemblea.
In questa breve dichiarazione, vorrei concentrarmi essenzialmente su due punti: in primo luogo, la relazione annuale del Consiglio al Parlamento europeo relativa agli aspetti principali e alle scelte di base della politica estera e di sicurezza comune – che è il tema all’ordine del giorno – e, in secondo luogo, le relazioni tra l’Assemblea e il Consiglio per quanto riguarda il bilancio per tale politica.
Innanzi tutto, l’accordo interistituzionale del 1999 sulla disciplina di bilancio e il miglioramento della procedura di bilancio prevede che il Consiglio elabori una relazione in cui siano esposti gli aspetti principali e le scelte di base della PESC, comprese le implicazioni finanziarie per il bilancio generale. Nell’aprile 2005 il Consiglio ha quindi trasmesso al Parlamento la relazione per il 2004, che oggi figura all’ordine del giorno, nella quale cerca di soddisfare la richiesta del Parlamento e di illustrare la strategia europea in materia di sicurezza. Di conseguenza, la relazione presta particolare attenzione alle questioni di grande rilievo per tale strategia, segnatamente gli aspetti della politica estera e di sicurezza comune riguardanti, per esempio, la gestione delle crisi e la prevenzione dei conflitti, la lotta al terrorismo, il disarmo e la non proliferazione delle armi di distruzione di massa e delle armi di piccolo calibro, le relazioni esterne in diverse regioni geografiche e così via.
Il Consiglio si è sforzato di produrre una relazione esauriente, che fornisse una descrizione accurata dei risultati e delle attività legate alla politica estera e di sicurezza comune. Queste relazioni rappresentano un obbligo per il Consiglio e contribuiscono a rendere visibile e trasparente il lavoro svolto nel contesto della PESC. Si è inoltre fatto il possibile per recepire i pareri del Parlamento europeo, motivo per cui la relazione comprende un capitolo speciale, con una descrizione generale delle attività future e indicazioni per le attività del prossimo anno e per le possibili reazioni a eventuali crisi.
Se posso ora passare al secondo tema, il bilancio per la PESC, vorrei rilevare che lo sviluppo della politica estera e di sicurezza comune e della politica europea in materia di sicurezza e difesa è senza dubbio uno dei successi dell’Unione europea. Le operazioni di gestione delle crisi nei Balcani, in Africa, Asia e Medio Oriente hanno contribuito a rafforzare il profilo dell’Unione europea sulla scena internazionale. Continuare a seguire questa linea in conformità della strategia europea in materia di sicurezza è una priorità, ma lo si può fare in modo efficace soltanto con finanziamenti adeguati. Nelle conclusioni dell’accordo sulle prossime prospettive finanziarie, il Consiglio europeo invita “l’autorità di bilancio ad assicurare un incremento sostanziale del bilancio per la politica estera e di sicurezza comune dal 2007 per soddisfare le reali esigenze prevedibili, valutate in base a previsioni elaborate annualmente dal Consiglio, unitamente ad un ragionevole margine per gli imprevisti”.
La decisione adottata in sede di trilogo di aumentare di 40 milioni di euro il bilancio per la PESC, portandolo a un totale di 102,6 milioni di euro per l’anno in corso, il 2006, è un passo nella giusta direzione. Tuttavia, ci attendono sfide enormi. Un intervento attivo dell’Unione europea in Kosovo verosimilmente richiederà risorse considerevoli, che l’attuale bilancio per la PESC per il 2006 non sarà in grado di fornire. Si sta lavorando per individuare il modo in cui far fronte a una situazione di questo tipo.
La relazione della Presidenza al Consiglio europeo sulla PESD invita la Presidenza austriaca a proseguire i lavori volti a garantire un finanziamento adeguato per le missioni civili nel quadro della PESD tramite il bilancio per la PESC. La Presidenza è impaziente di instaurare una cooperazione costruttiva con il Parlamento europeo in materia e fornirà entro breve le informazioni pertinenti, in conformità dell’accordo sul bilancio 2006 raggiunto in sede di trilogo. Si prevede che il rappresentante del Comitato politico e di sicurezza riferisca in materia nel marzo di quest’anno.
Permettetemi di concludere ribadendo ancora una volta che la Presidenza è impaziente di instaurare una cooperazione costruttiva con l’Assemblea, al fine di ottenere un bilancio per la PESC più cospicuo ed efficace nei negoziati sul futuro accordo interistituzionale e nella procedura di bilancio per il 2007.
(Applausi)
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, se nel 2004 e 2005 abbiamo assistito al terribile scenario dello tsunami, concordo con l’Alto rappresentante Solana sul fatto che quest’anno ci attendono sfide politiche complesse.
Vorrei cominciare con la situazione tra l’Ucraina e la Russia, perché solleva una questione molto importante. Come sapete, la Commissione – il Presidente Barroso, il Commissario Piebalgs e io – lavora sia dietro le quinte sia in prima linea per facilitare il dialogo tra l’Ucraina e la Russia. Innanzi tutto, l’aspetto importante è che noi – come loro – abbiamo trovato una soluzione. In secondo luogo, abbiamo anche appreso una lezione significativa da questa situazione, ossia che la questione dell’energia riveste enorme importanza e dobbiamo accordarle maggiore priorità nella nostra agenda politica. La questione dell’energia comprende la sicurezza energetica, la diversificazione e il modo in cui affrontare questa problematica in futuro. La Commissione preparerà quindi una comunicazione in materia, che terrà conto di tutti questi aspetti.
Il secondo tema che vorrei affrontare è quello delle elezioni palestinesi. Vorrei esprimere le mie congratulazioni all’onorevole De Keyser. Ci siamo incontrate a Gaza due settimane fa in circostanze difficili, quando la situazione della sicurezza era ancora poco chiara. Pensavamo che Hamas avrebbe ottenuto il 30-40 per cento dei voti e, come chiunque altro, siamo state colte di sorpresa dal risultato. Vorrei tuttavia rilevare che l’aspetto più importante è che le elezioni si sono svolte in modo libero ed equo e in condizioni di relativa sicurezza. Questa è già una conquista, e mi induce a ritenere che le missioni di osservazione elettorale stiano diventando sempre più importanti. Ne abbiamo avuto una dimostrazione in Sri Lanka, in Palestina, a Gaza e in Afghanistan, per citare solo alcuni esempi. In futuro, potremo constatarlo in Congo e ad Haiti. Si tratta di uno strumento molto importante, che senza dubbio vorremo usare a favore di tutti i nostri amici europei in seno al Parlamento e al Consiglio, nonché a favore dei cittadini europei.
Per tornare alla Palestina, lunedì si è svolta un’importantissima riunione del Consiglio, cui ha fatto seguito in serata una riunione del Quartetto. Il signor Solana ha già illustrato l’orientamento generale, fondato su tre principi importanti: l’impegno a rinunciare alla violenza, il riconoscimento dello Stato di Israele da parte del nuovo governo palestinese e il rispetto degli obblighi esistenti, ovvero gli accordi di Oslo e la roadmap.
Tuttavia, dobbiamo anche affrontare una sfida. Il governo ad interim potrebbe rimanere in carica per due o tre mesi. Come ci comportiamo, in particolare per quanto riguarda l’assistenza finanziaria? La Commissione dovrà trovare soluzioni. Ho già detto che cercheremo di liberare 10 milioni di euro del nostro strumento per le infrastrutture, a carico del quale vi sono fondi disponibili. Abbiamo anche detto che forniremo assistenza per i servizi, con pagamenti diretti agli israeliani per aiutare anche tale governo.
Dobbiamo tuttavia anche verificare che cosa si possa fare con le risorse del nostro fondo fiduciario presso la Banca mondiale. E’ stato bloccato e non sono stati erogati fondi perché i parametri di riferimento non erano ancora stati soddisfatti. Una missione della Banca mondiale si recherà sul posto e noi dovremo valutare il da farsi. Ciò significa che cercheremo di lavorare in modo coerente, insieme con il Presidente, il Consiglio, il segretariato del Consiglio e il signor Solana, per stabilire quali siano gli strumenti migliori da usare per garantire quanto prima la coerenza, la rapidità e l’efficacia della politica estera.
Restando sull’argomento della politica estera, presto si svolgeranno le elezioni in Ucraina. In queste ultime ore ho incontrato il Ministro Tarasyuk. Sappiamo quanto siano importanti tali elezioni. Anche in questo caso, una missione di osservazione dell’OCSE, magari con il vostro sostegno, sarà fondamentale.
Possiamo inoltre ricordare che nel 2005 è stato fatto molto, per esempio, riguardo alla situazione dell’economia di mercato, ambito in cui abbiamo lavorato con l’Ucraina. Si possono affrontare varie questioni importanti, come l’agevolazione delle pratiche relative ai visti e alla riammissione. Ci auguriamo di poter offrire all’Ucraina, in seguito a elezioni libere ed eque, un accordo più ambizioso, per esempio un accordo di libero scambio. Il paese potrebbe così assumere una posizione e un atteggiamento addirittura migliori nei nostri confronti.
Tutto ciò rimanda a questioni più generali. Sia l’onorevole Brok sia il Sottosegretario di Stato Winkler, il Presidente in carica del Consiglio, hanno sottolineato l’importanza della coerenza tra i diversi strumenti a disposizione dell’Unione europea nel primo e nel secondo pilastro. Non potrei essere più d’accordo. A nostro parere, è essenziale assicurare che tutti gli strumenti di politica estera dell’Unione – aiuti allo sviluppo, diplomazia, politica commerciale, gestione delle crisi civili e militari, rafforzamento delle istituzioni, assistenza umanitaria – funzionino come elementi di un insieme coerente, come gli ingranaggi di una macchina ben oliata. In fondo, è questa la giustificazione logica della “piena associazione” della Commissione alla politica estera e di sicurezza comune. E’ anche la direzione verso cui ci stava indirizzando il Trattato costituzionale. Come evidenzia la relazione dell’onorevole Brok, le sfide cui dobbiamo rispondere in termini di sicurezza interessano settori che rientrano in tutti e tre i pilastri dell’Unione.
La sicurezza non comporta solo la difesa e l’intervento militare, ma anche la gestione delle crisi civili e una saggia gestione delle relazioni bilaterali, che sono tantissime. Sicurezza significa anche salute pubblica: pensate all’influenza aviaria. Significa ambiente: pensate al Protocollo di Kyoto. Significa lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata. Ieri si è svolta la conferenza sull’Afghanistan. Sicurezza significa anche lavorare insieme per rafforzare le istituzioni, o lottare contro il flagello delle droghe. Disponiamo di molti strumenti che possiamo usare e applicare insieme. Non si tratta solo di approvvigionamento e di prezzi dell’energia, ma anche di lotta contro la povertà nel mondo e di capacità di integrare le popolazioni migranti.
Sempre più spesso l’Unione europea è chiamata a rispondere a queste responsabilità globali in materia di pace e sicurezza. Per farlo, disponiamo ora di una formidabile cassetta degli attrezzi. Tuttavia, anche una cassetta ben rifornita si rivela inutile se gli attrezzi non funzionano bene insieme. Questo deve dunque essere il nostro obiettivo. Una risposta efficace alle crisi richiede strumenti che si integrino a vicenda. Abbiamo bisogno di strumenti comunitari incisivi, che intervengano parallelamente agli strumenti della PESC. E’ una formula che può funzionare. Per esempio, il nostro contributo al processo di pace di Aceh è un misto di strumenti PESC e comunitari. La Commissione ha anche finanziato, per esempio, i negoziati di pace del Presidente Ahtisaari utilizzando il meccanismo di reazione rapida. Abbiamo quindi cercato di essere flessibili.
La PESC ha lanciato la missione di osservazione di Aceh per verificare il rispetto dell’accordo di pace. Al tempo stesso, per esempio, la Commissione e gli Stati membri, in cooperazione con la comunità internazionale, hanno adottato un pacchetto di misure a lungo termine per sostenere il processo di pace. Un altro esempio è la missione di assistenza alle frontiere in Moldavia e Ucraina, dove la Commissione finanzia l’invio di squadre mobili per fornire consulenza e formazione sul lavoro agli operatori di frontiera e doganali moldavi e ucraini.
L’obiettivo a lungo termine di facilitare la soluzione del conflitto in Transnistria coincide con quello del Rappresentante speciale dell’Unione. La missione di assistenza alle frontiere lavora quindi in stretta cooperazione con quest’ultimo. Il capo della nostra missione agisce anche in veste di consulente politico di alto livello del Rappresentante speciale, una delle cui squadre ha sede presso la missione stessa. I primi risultati sono molto positivi. L’assistenza comunitaria rafforza l’impatto dell’assistenza nel quadro della PESC e viceversa.
In entrambi i casi, il contributo dell’Unione europea non sarebbe completo o significativo senza l’impiego congiunto degli strumenti comunitari e della PESC e, aspetto ancora più importante, l’impatto sul campo – sulla vita delle persone – sarebbe notevolmente ridotto.
E’ altresì necessario rafforzare gli strumenti esistenti dell’Unione a sostegno dei nostri obiettivi di sicurezza. La diplomazia richiede carote e bastoni, che si tratti di armi di distruzione di massa o di promuovere la stabilità e la prosperità nel nostro vicinato. L’accesso al mercato interno più grande del mondo o ai nostri generosi programmi di assistenza è una carota considerevole. L’uso complementare degli strumenti comunitari e della PESC deve essere la norma, non l’eccezione.
Nel 2006 sarà compito di noi tutti – Parlamento, Consiglio e Commissione – lavorare al fine di migliorare la coerenza dei nostri pilastri e delle nostre politiche. La questione sarà affrontata anche nel documento di riflessione sull’incidenza esterna dell’Unione, annunciato dal Presidente Barroso a Hampton Court, ora previsto per il Consiglio europeo di giugno. La Commissione si concentrerà, in particolare, sul rafforzamento delle sue capacità di risposta alle crisi. Nell’ambito della DG Relazioni esterne, una “piattaforma per le crisi” migliorerà il coordinamento della politica interna ed estera e garantirà un’attuazione più efficiente dei progetti e delle operazioni. Integrerà gli strumenti esistenti, quali il meccanismo di protezione civile, l’assistenza umanitaria e il meccanismo di reazione rapida.
Vogliamo anche migliorare la nostra strategia di allarme e preparazione alle catastrofi. Nel quadro delle nuove prospettive finanziarie, lo strumento di stabilità contribuirà inoltre ad assicurare la continuità tra gli interventi a breve e lungo termine. Il nostro obiettivo è mettere a punto soluzioni flessibili e in grado di rispondere alle situazioni di crisi ed essere così un partner migliore per la componente militare della reazione alle crisi.
Infine, vogliamo instaurare una stretta cooperazione con i due rami dell’autorità di bilancio, al fine di garantire la disponibilità di risorse adeguate per la PESC. La Commissione accoglie con favore il notevole incremento del bilancio per la PESC nel 2006, volto a rispondere a nuove esigenze concrete. Sappiamo che ne emergeranno di nuove.
Comprendiamo le conclusioni del Consiglio europeo riguardo alle prospettive finanziarie future. Il nostro obiettivo comune deve essere quello di disporre di risorse sufficienti a coprire tutte le priorità delle relazioni esterne, tenendo conto della riduzione del 20 per cento proposta dalla Commissione per la rubrica 4. Alla luce dell’esperienza passata, una questione particolare sarà la necessità di assicurare sufficiente flessibilità per rispondere agli imprevisti. Mi auguro che si continui a sostenere lo strumento di stabilità per poter compiere progressi reali in termini di risposta alle crisi e di coerenza.
Questa è l’impostazione generale che vorremmo seguire per affrontare il 2006 e le sue sfide politiche.
(Applausi)
João de Deus Pinheiro, a nome del gruppo PPE-DE. – (PT) Nulla mi giunge nuovo, perché già da molti anni sono d’accordo con ciò che affermano l’Alto rappresentante Solana e il Commissario Ferrero-Waldner. L’unico punto su cui sono in disaccordo è l’idea che vi siano risorse sufficienti perché l’Unione europea possa essere un soggetto globale, come ha detto il signor Solana e come chiedono i nostri partner e i nostri cittadini. Non è così. Non è così né in termini di risorse, né in termini di organizzazione, e sarebbe bene pensare sin d’ora a come utilizzare meglio gli strumenti del Trattato di Nizza per coordinare in modo più efficace le azioni e l’organizzazione interna.
Per affrontare questa mancanza di risorse dobbiamo stabilire delle priorità e a tal fine il sostegno delle Istituzioni è fondamentale. Inoltre, il sostegno del Parlamento europeo, consultato a priori e non solo informato a posteriori, è indispensabile per ottenere il consenso. Non vi sono quindi grosse differenze tra ciò che abbiamo sentito dal Consiglio e dalla Commissione per quanto riguarda gli orientamenti. Tuttavia, nemmeno i grandi cuochi, nemmeno i migliori chef, come Bocuse o Alain Ducas, riescono a fare una buona frittata se non hanno abbastanza uova.
D’altro canto, oltre all’unità tra le Istituzioni europee, oggigiorno è essenziale garantire l’esistenza di partenariati strategici con i partner principali, il più importante dei quali è il partenariato transatlantico, seguito dai partenariati strategici con la Russia e la Cina e, su un altro piano, con l’India, il Brasile, l’Indonesia e il Pakistan. E’ un aspetto cruciale, tenuto conto delle problematiche internazionali da affrontare, quali il riciclaggio di denaro e il traffico di droga, ma perché diventi una realtà è necessario disporre di risorse adeguate.
Un’altra questione, signor Presidente, cui ha accennato brevemente il Commissario Ferrero-Waldner, è quella dell’immigrazione. A causa dell’invecchiamento della popolazione dell’Unione europea, nei prossimi decenni sarà necessario un afflusso significativo di immigrati, sia dal sud che dall’est. Dovremo dunque sorvegliare la situazione, esercitando una vigilanza attiva e proattiva e attuando politiche interne che ci permettano di accogliere e integrare gli immigrati in modo adeguato, nonché di controllare più efficacemente le nostre frontiere esterne, ora che l’allargamento ha modificato i confini che esistevano fino a poco tempo fa.
Riguardo alle questioni più controverse della discussione, direi che siamo d’accordo sia sulla Palestina, sia sull’Iran. E’ necessaria cautela, prudenza, ma anche fermezza nei principi. In nessuna circostanza possiamo esitare sui principi che ci guidano da sempre e, su questo tema specifico, sui principi che applichiamo sin dall’inizio degli anni ’90. D’altro canto, dobbiamo anche prevedere un certo margine di manovra. “Fermezza” e “cautela” devono essere le parole d’ordine in questa discussione sull’Iran e sul Medio Oriente. Quanto al Kosovo, elemento fondamentale da molti anni per quanto riguarda i Balcani, continuiamo a insistere sulla necessità di mantenere l’integrità territoriale e soprattutto di garantire il rispetto delle minoranze. Se questi due principi non saranno rispettati in Kosovo, avremo grandi difficoltà a conseguire la stabilità nella regione.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, la sicurezza energetica è ovviamente una questione tecnica, ma è diventata anche una questione politica, perché il fabbisogno continua a crescere, mentre l’offerta tenderà a stabilizzarsi nei prossimi anni. Di conseguenza, le tensioni sono destinate ad aumentare e, come fanno i grandi paesi con i loro interessi vitali, ritengo che dovremmo condurre uno studio completo e dettagliato sugli scenari possibili e sulle strategie per affrontarli. In caso contrario, andremo incontro a spiacevoli sorprese.
(Applausi)
Martin Schulz, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il resoconto fornito dal signor Solana sul modo in cui è cominciato il 2006 è impressionante. Il Sottosegretario di Stato Winkler in sostanza ha sottolineato il parere dell’attuale Presidenza, secondo cui quest’anno ci attendono tempi duri e il Commissario Ferrero-Waldner, da parte sua, ha detto più o meno la stessa cosa. Dobbiamo quindi affrontare delle sfide.
Gli europei devono sapere che ciò che l’Alto rappresentante Solana, il Sottosegretario di Stato Winkler e il Commissario Ferrero-Waldner hanno descritto non è altro che la politica di vicinato dell’Unione europea, alle cui porte si trovano le regioni in crisi che sono state descritte. Esse attraversano una fase critica del loro sviluppo e i rischi intrinseci minacciano ogni singolo cittadino dell’Unione; non vi è altro modo di descrivere la situazione.
Se esaminiamo il modo in cui l’onorevole Brok, nella sua relazione sullo stato attuale della politica estera europea condotta dalle Istituzioni esecutive, ha descritto gli strumenti a disposizione di tali Istituzioni e del Parlamento, il resoconto risulta altrettanto impressionante.
La politica estera dell’Unione europea è ora più che mai un elemento centrale della politica europea e merita rilevare, come fa correttamente l’onorevole Brok, che è una politica voluta e sostenuta dai cittadini. Dobbiamo tuttavia essere onesti con noi stessi: gli strumenti a nostra disposizione non sono sufficienti per condurre una politica europea efficace e fedele alle sue finalità e quindi noi, in seno all’Assemblea, dobbiamo insistere sulla necessità di introdurre miglioramenti in questo ambito.
Prendiamo ad esempio l’Ucraina: un anno fa abbiamo tutti constatato quanto possa essere efficace la nostra azione se siamo presenti sul posto con tutte le nostre capacità riunite insieme nelle persone di Javier Solana, l’Alto rappresentante dell’Unione, autorizzato a intervenire e agire a nome di tutti noi, e del Presidente polacco Kwasniewski, quale capo di uno Stato limitrofo, con buone possibilità di esercitare un’influenza sul paese e con il sostegno costante di altri capi di governo, i quali possono a loro volta influenzare altre parti interessate – il governo russo, per esempio – attraverso l’Unione europea: questi uomini hanno contribuito a garantire la conclusione pacifica della rivoluzione arancione. E’ trascorso un anno e oggi apprendiamo, da ucraini in visita al Parlamento, che si sta verificando un arretramento e molti risultati conseguiti in quest’ultimo anno sono di nuovo a rischio. Non c’è bisogno che aggiunga particolari alla descrizione della minaccia rappresentata dalla situazione dell’energia, che come sappiamo colpisce gravemente anche l’Ucraina.
Com’è possibile che ciò che festeggiavamo con tanto entusiasmo un anno fa debba ora – nell’arco di un anno – subire un tale arretramento? E’ un aspetto su cui dobbiamo riflettere e il Sottosegretario di Stato Winkler ha ragione ad affermare che dobbiamo farlo nel contesto delle prospettive finanziarie, perché è del tutto inaccettabile che il Consiglio, ogni volta che si riunisce, dica al mondo intero che dobbiamo assumere impegni internazionali e poi tagli i finanziamenti che tali impegni richiedono.
(Applausi)
Un aspetto perfettamente chiaro, dunque, non ultimo in termini di situazione finanziaria, è che dobbiamo impegnarci a fare tutto il necessario per conseguire la massima stabilità possibile in Medio Oriente. Hamas deve senz’altro rinunciare alla violenza, ma l’Unione deve anche mantenere la parola data. Dobbiamo dialogare con Hamas se non vogliamo commettere l’errore di non riconoscere il risultato di elezioni legittime, come avvenuto in Algeria. Questo deve essere chiaro a tutti, perché mantenere la parola data significa contribuire alla pace. Se lo facciamo, possiamo anche esigere che altri – Hamas in particolare – compiano progressi verso la democrazia. Mi auguro che ci riusciremo.
(Applausi)
Graham Watson, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, una politica estera e di sicurezza comune che promuova i valori europei nel mondo e offra pace e sicurezza ai nostri vicini è ciò cui aspirano i liberali e i democratici, ma è ciò che i leader d’Europa sono palesemente incapaci di realizzare.
Agendo unita, l’Unione avrebbe potuto usare la sua influenza per promuovere la democrazia e la stabilità. Invece, le sue politiche hanno fornito un tacito sostegno a regimi tirannici, come quelli di Tunisia, Egitto e Siria. Non abbiamo mai fatto dipendere la diplomazia dal rilascio di democratici come Ayman Nour in Egitto, oppure, in Asia, dal riconoscimento del diritto di tornare liberamente nel suo paese al leader dell’opposizione Sam Rainsy, ora in esilio mentre noi finanziamo la dittatura di Hun Sen.
Commissario Ferrero-Waldner, Alto rappresentante Solana, perché vi sorprende il risultato delle elezioni in Palestina? L’Unione europea ha dispensato promesse di democrazia, pace e diritti umani in Palestina, mentre i nostri aiuti allo sviluppo foraggiavano Al Fatah, i cui membri ora bruciano i ritratti di un Primo Ministro europeo, e i negoziati di pace sono a un punto morto. Lungi dall’essere un attore fondamentale, signor Alto rappresentante Solana, le conseguenze del fallimento dell’Europa sono evidenti a tutti.
Israele, indisturbato, costruisce un muro attorno a Gerusalemme est in violazione dei suoi obblighi derivanti dalla roadmap e dal diritto internazionale. I palestinesi, stanchi dei lenti progressi e dei vergognosi servizi sociali, premiano Hamas alle elezioni. Ora le previsioni sono più lugubri che mai. Dopo aver preteso la democrazia, alcuni leader dell’Unione parlano di non riconoscere uno degli unici governi democraticamente eletti nel mondo arabo! E’ ovvio che Hamas deve rinunciare alla violenza e impegnarsi a favore della soluzione dei due Stati, ma deve farlo anche Israele. Come ha detto oggi Leila Shahid, la Rappresentante generale dell’Autorità palestinese: “Bisogna essere in due per ballare il tango”.
Il Commissario ha parlato di politiche basate sui diritti umani, sullo Stato di diritto e sui principi democratici, ma dov’è l’accento su queste belle nozioni quando un pragmatismo svuotato di ogni principio è così spesso all’ordine del giorno?
Un’azione globale a favore della soluzione pacifica dei conflitti sarebbe un importante contrappeso all’approccio oppressivo degli Stati Uniti: garantirebbe la sicurezza, la prosperità e la reputazione dell’Europa nel mondo e ci permetterebbe di esercitare molta più influenza anche su microstati come le Maldive o le Seychelles, i cui governi violano i diritti umani, nonostante dipendano quasi totalmente dai nostri aiuti e dai nostri scambi. Questo è il motivo per cui i liberali e i democratici ritengono sia ora di dotarsi di una politica estera europea responsabile, adeguatamente finanziata e fondata sui valori. Secondo l’Eurobarometro, è un desiderio condiviso dal 70 per cento dei nostri cittadini.
Signor Alto rappresentante Solana, i liberali e i democratici non tollerano che il parere del Parlamento su questioni di importanza globale sia ignorato o disatteso. Vogliamo vederla meno in televisione e più presente in Aula. Siamo stanchi della segretezza del Consiglio e della sua inosservanza del diritto del Parlamento di essere consultato in anticipo sulle priorità politiche. Sono diritti sanciti dall’articolo 21 del Trattato e dall’accordo interistituzionale del 1999.
Ci attendono sfide molto serie: democratizzare il nostro immediato vicinato, soprattutto le ex repubbliche sovietiche attualmente alla mercé delle politiche energetiche della Russia, assicurare che le elezioni in Bielorussia si svolgano in modo libero ed equo e che i referendum in Kosovo e Montenegro non sfocino nella violenza.
Il ruolo della politica estera non si esaurisce qui. Mi risulta che la vendita di armi alla Cina sia di nuovo all’ordine del giorno del Consiglio, sebbene la Cina non abbia ancora ripudiato la strage di piazza Tiananmen, né rilasciato, a distanza di 16 anni, tutte le persone incarcerate. Le chiediamo quindi, Sottosegretario di Stato Winkler, di assicurarci che la Presidenza austriaca non revocherà l’embargo dell’Unione sulla vendita di armi alla Cina.
(Applausi)
Ancora più pressante è la questione dell’Iran. Il Consiglio dei governatori dell’AIEA si riunirà domani per decidere se denunciare l’Iran al Consiglio di sicurezza. Interrompere la produzione di armi nucleari in Iran deve essere il nostro obiettivo. Per questo motivo, l’Europa deve impegnarsi a rispettare le conclusioni dell’AIEA previste per marzo. Tuttavia, compiere progressi verso il disarmo delle attuali potenze nucleari, conformemente agli impegni che abbiamo assunto, è il messaggio più efficace e persuasivo che possiamo trasmettere. Un’Europa che impara a usare i muscoli a favore del bene sarà realmente una forza con cui fare i conti.
(Applausi)
Daniel Marc Cohn-Bendit, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, signor Alto rappresentante, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi,
(DE) Signor Presidente, signora Commissario, signor Alto rappresentante Solana, onorevoli colleghi, la situazione attuale in Palestina e in Iran è realmente difficile e non invidio chiunque tenti di intervenire in tali paesi. L’unica possibilità che ha l’Unione europea, a mio parere, è essere assolutamente chiara ed evitare qualsiasi ambiguità; dobbiamo essere inequivocabili. La carta di Hamas del 1988 è veramente terrificante e chi la legge può solo rabbrividire, ma Hamas è stato legittimamente eletto e, nell’affrontare la situazione, dobbiamo chiarire che la politica estera e le relazioni con Israele non dipendono da Hamas, ma dal Presidente Abbas. E’ a lui che dobbiamo dare infine una possibilità; dobbiamo dire a Israele, una volta per tutte, di dargli una possibilità di dimostrare che esiste una politica diversa da quella di Hamas. Se non lo faremo, saremo sconfitti.
Non devono esistere ambiguità nel nostro atteggiamento verso Hamas, non solo per quanto riguarda la questione della pace, ma anche riguardo al fondamentalismo. Il rischio è che emerga una società fondamentalista. Tuttavia, possiamo essere credibili soltanto se parliamo in modo altrettanto chiaro anche con Israele. La conquista e l’occupazione non offrono alcun futuro ai palestinesi. Israele deve comprenderlo, deve cambiare atteggiamento nella sua politica. Un muro eretto come simbolo di conquista non è un muro che possa garantire la sicurezza.
(FR) Se si pensa alla nostra storia, la sua, per esempio, dal momento in cui protestava contro la NATO al momento in cui ne è diventato il Segretario generale, se si pensa alla mia storia, se si pensa alla storia del Ministro Fischer, ci si accorge che è importante non disperare mai della capacità delle persone di cambiare, e lo stesso vale per Hamas.
(DE) Tuttavia, non possiamo limitarci ad aspettare e vedere che cosa succede. Questo cambiamento è necessario per la nostra stessa sicurezza e dobbiamo costringere Hamas a cambiare. Possiamo farlo soltanto se gli israeliani e i palestinesi comprendono realmente che per l’Unione europea non vi sono discussioni: il diritto di esistere di Israele non è più in discussione e non accettiamo più che sia messo in discussione.
(Applausi)
Il diritto dei palestinesi a uno Stato non è più in discussione e non accettiamo più che sia messo in discussione. I due aspetti sono inseparabili e se riusciamo a farlo accettare come un dato di fatto, riusciremo ad affrontare anche questa situazione problematica.
La posizione nei riguardi dell’Iran non è diversa. Anche l’Iran ha diritto alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico. Come Verde, non sono favorevole all’energia nucleare, ma non possiamo avere Stati che vi fanno sistematicamente ricorso e, al tempo stesso, dire agli iraniani che loro non possono utilizzarla. E’ immorale, totalmente immorale. Dobbiamo senz’altro dire “no” alla bomba atomica, ma dobbiamo anche offrire all’Iran sicurezza per il suo territorio, perché è questo il suo grande timore, sin da quando è stato attaccato dall’Iraq. Questo è il nostro compito: chiarezza e sicurezza ci permetteranno di superare questa situazione.
Francis Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signor Presidente, signor Alto rappresentante, signora Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, vorrei cogliere l’occasione – rara – della presenza in Aula del signor Solana per ricordare alcuni aspetti della politica estera e di sicurezza comune che sono particolarmente problematici per il mio gruppo. Mi baserò, in particolare, sul programma operativo del Consiglio per il 2006, perché si tratta del documento di riferimento più recente. Che cosa si può osservare?
Innanzi tutto, l’importanza smisurata accordata alla dimensione militare della PESC. Con vera e propria avidità, il programma snocciola gli elenchi delle forze, le operazioni di reazione rapida, i gruppi tattici, l’Agenzia europea di difesa e il partenariato strategico tra l’Unione europea e la NATO. I 25 hanno così l’impressione di giocare con i grandi, ma la loro boria è illusoria e mal riposta.
D’altro canto, e questa è la mia seconda osservazione, le grandi ferite aperte in alcune delle regioni più nevralgiche del mondo, ferite che richiedono l’espressione di una creatività politica europea di fronte all’atteggiamento irresponsabile dei leader americani e dei loro alleati, hanno invece una parte marginale nell’agenda della PESC. Così, nel programma operativo per il 2006, si liquida il Vicino Oriente in meno di due righe e mezza su 14 pagine di testo, per rivelare che, cito: “l’Unione europea continuerà a promuovere la piena attuazione della tabella di marcia”. Non una parola sulla scelta dei leader israeliani di seguire una strategia unilaterale che è in netto contrasto con lo spirito della tabella di marcia e dell’intero processo di pace. L’Iraq ha invece diritto a tre righe, senza il benché minimo riferimento alla guerra e alla strategia catastrofica del Presidente Bush, che ci trascina tutti in una tragica impasse.
Ciò mi porta alla nostra critica principale, che ho già avuto occasione di esprimere in Aula nel giugno 2003, all’epoca della pubblicazione della sua relazione sulla strategia europea in materia di sicurezza, tuttora in vigore, signor Alto rappresentante. Vi si trova una descrizione apocalittica delle nuove minacce, senza alcuna analisi delle loro cause profonde, e vi si legge increduli che, cito: “Agendo insieme, l’Unione europea e gli Stati Uniti possono costituire una forza formidabile per il bene nel mondo”.
Qual è la sua valutazione, signor Solana, dei due anni di attuazione di questa strategia? Il mondo è diventato più sicuro e più giusto? A mio parere, un buon criterio per esprimere un giudizio in proposito è il caso del Medio Oriente, sul quale mi voglio ora soffermare.
In questo contesto, permettetemi di segnalare agli onorevoli colleghi la presenza in tribuna della signora Leila Shahid, la nuova rappresentante dell’Autorità nazionale palestinese nell’Unione europea, alla quale vorrei porgere un caloroso benvenuto.
(Applausi)
Ancora prima delle elezioni palestinesi, ho chiesto l’iscrizione all’ordine del giorno del Parlamento della questione della relazione, severa ma giusta, dei diplomatici europei su Gerusalemme, tenuta segreta dal Consiglio per non compromettere le relazioni con le autorità israeliane.
A che punto siamo oggi? Come alcuni altri colleghi, sono appena tornato dalla Palestina, dove abbiamo svolto il ruolo di osservatori delle elezioni legislative. Abbiamo tutti osservato, compiaciuti e commossi, il modo esemplare in cui si è svolto lo scrutinio, il clima festoso nelle strade, nonostante l’occupazione, e la buona accoglienza riservata a noi stranieri. L’orgoglio di poter mostrare al mondo la capacità del popolo palestinese di costruire la democrazia è un importante punto di forza per il futuro, che il risultato delle elezioni non deve farci dimenticare. Lo stesso vale per il desiderio di pace dei palestinesi con i vicini israeliani – due popoli, due Stati – espresso in tutte le conversazioni cui abbiamo avuto occasione di partecipare. Chiunque corresse il rischio di affamare quelle donne, quegli uomini e quei bambini, o di spingerli verso la radicalizzazione, sospendendo aiuti assolutamente indispensabili, si assumerebbe una grave responsabilità. Dobbiamo invece puntare sulle aspirazioni democratiche e verso una pace giusta, che oggi sono predominanti nella società palestinese e delle quali qualsiasi autorità palestinese dovrà tenere conto. E’ in gioco il futuro stesso del partenariato tra le due regioni.
Quanto al risultato delle elezioni, guardiamoci dal fare un’analisi in una prospettiva puramente interna alla Palestina. Il rifiuto popolare di Al Fatah è senz’altro reale. Qualsiasi potere egemonico tende ad allontanarsi dalla società. Tuttavia, com’è possibile non vedere che l’Autorità palestinese ha perso credibilità presso la popolazione soprattutto perché non è riuscita a migliorarne le sorti, né a offrire nuove prospettive, a causa del blocco del processo di pace? Dopo le grandi speranze suscitate dieci anni fa, l’esasperazione è ora al culmine per il perdurare dell’occupazione, l’espansione degli insediamenti, la costruzione del muro, le uccisioni “mirate”, gli arresti, la detenzione di prigionieri, le violenze quotidiane e il degrado delle condizioni di vita dovuto all’isolamento dei territori. Quanto allo Stato palestinese, a Gerusalemme, è opinione diffusa che l’Autorità palestinese abbia accettato molto e ottenuto ben poco.
Che fare dunque? Senza dubbio, come ha detto lei, signor Alto rappresentante, dobbiamo esercitare pressioni su Hamas perché ponga fine alla violenza e agli attentati. Ma che cosa dice alle autorità israeliane? Non ho sentito una parola al riguardo. Dobbiamo essere altrettanto chiari sul fatto che per noi non esiste un diritto internazionale “a geometria variabile”. Come qualsiasi altro Stato, Israele ha il dovere di rispettare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza. Deve anche attenersi alle raccomandazioni della Corte di giustizia internazionale e rispettare gli obblighi derivanti dalla tabella di marcia.
In questo contesto, signor Presidente, l’atteggiamento da adottare riguardo alla relazione dei nostri diplomatici su Gerusalemme è più che mai chiaro: deve essere pubblicata senza indugio, se ne devono attuare le raccomandazioni e, più in generale, si deve infine scegliere una strategia realmente alternativa a quella del Presidente Bush, che è fallita nel Vicino Oriente e, più in là, anche in Medio Oriente. Dobbiamo ascoltare le grida d’allarme lanciate da società sull’orlo della disperazione.
Presidente. Suppongo che tutti gli oratori sappiano che il nostro ordine del giorno prevede un punto specificamente dedicato all’analisi della situazione in Medio Oriente e dei risultati delle elezioni in Palestina e alla decisione di pubblicare o meno la relazione menzionata dall’onorevole Wurtz. Avete scelto voi di organizzare la discussione separando i punti in questo modo. Suppongo siate consapevoli del fatto che state chiaramente alterando l’ordine del giorno e trattando punti che dovremmo discutere più tardi.
Bastiaan Belder, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, esattamente una settimana fa, quando ero in Palestina a osservare le elezioni per conto dell’Assemblea, un gigantesco stendardo, in particolare, ha richiamato la mia attenzione. Era a Ramallah e raffigurava l’ayatollah Khomeini insieme con i leader di Hamas Yassin e Rantisi. Il messaggio politico è chiarissimo. Anziché compiere sforzi a favore di un accordo o della pace con lo Stato ebraico, dovremmo strapparne la pagina dalla storia, perché questo è ciò che voleva Khomeini e, secondo l’attuale Presidente iraniano Ahmadinejad, sono parole sagge.
Assieme alle aspirazioni nucleari del regime dei mullah di Teheran – la cui natura pacifica è altamente dubbia – ciò rappresenta una sfida particolarmente complessa per il mondo occidentale, per l’Unione europea e per gli Stati Uniti. Lo storico Dan Diner, commentando le elezioni politiche in Palestina, ha affermato che “con Hamas a Ramallah, l’Iran è molto più vicino a Israele”, e ha ragione. Secondo recenti rapporti da Teheran, molti filo-occidentali iraniani considerano questa evoluzione come una progressiva vittoria della barbarie sulla civiltà. Mi auguro sinceramente che le Istituzioni europee, lungi dal condividere questo senso di rassegnazione, prendano ferma posizione a favore del diritto di esistere di Israele e quindi della nostra stessa civiltà.
Inese Vaidere, a nome del gruppo UEN. – (LV) Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei richiamare l’attenzione del Consiglio e della Commissione su quattro questioni che richiedono un’azione rapida e coerente nel quadro della politica estera e di sicurezza comune.
La prima priorità è la politica di vicinato. Innanzi tutto, il modo in cui procedere riguardo alla Russia e all’Ucraina. Dobbiamo tenere conto del fatto che al momento la Russia non intrattiene buone relazioni con gli Stati limitrofi, in quanto non stringe relazioni sulla base del rispetto e dell’interesse reciproco, ma facendo sentire il proprio peso tramite sanzioni economiche o energetiche e rifiutandosi di firmare gli accordi conclusi in materia di confini. Al momento la Russia sta bloccando l’esportazione dei prodotti alimentari dell’Ucraina. Esorto quindi l’Alto rappresentante Solana e la Commissione ad adottare provvedimenti immediati per incoraggiare la revoca del blocco e ricordare al tempo stesso alla Russia che tali azioni sono in netto contrasto con le norme dell’Organizzazione mondiale del commercio, alla quale ha dichiarato di voler aderire.
In secondo luogo, la crisi dell’approvvigionamento di gas in Ucraina, Moldavia e Georgia ha costituito un campanello d’allarme per l’Europa, dimostrando che tali forniture non sono sicure, che la diversificazione delle fonti di approvvigionamento è indispensabile, così come lo è il coordinamento delle politiche in materia di energia e sicurezza dell’Unione europea e degli Stati membri.
In terzo luogo, in questo contesto va ricordato l’accordo relativo al gasdotto nordeuropeo, per la cui costruzione è stato conferito un incarico all’ex Cancelliere tedesco, fatto che ha destato sospetti di corruzione politica. Evitando di valutare la situazione dal proprio punto di vista e con sufficiente coerenza, le Istituzioni europee indeboliscono la fiducia dei cittadini europei e, incidentalmente, ci impediscono di parlare di lotta alla corruzione in altre parti del mondo.
Vorrei ora accennare a un’altra regione, la Cina. Attualmente la Cina attraversa una fase di rapido sviluppo ed è pronta a dare alta priorità all’avvio di una cooperazione con l’Unione europea. Se il nostro dialogo con la Cina non diventerà più serio e costruttivo, questo paese potrebbe decidere di stringere strette relazioni in un’altra direzione.
Infine, nelle relazioni tra il Consiglio e il Parlamento, la consultazione non è sufficiente, vogliamo che il parere del Parlamento europeo sia realmente preso in considerazione, soprattutto per quanto riguarda la cosiddetta necessità di “esprimere una sola voce”.
Philip Claeys (NI). – (NL) Signor Presidente, la lotta al terrorismo deve essere una delle priorità della politica estera e di difesa comune. La relazione giustamente richiama l’attenzione sull’importanza del rispetto dei diritti umani e delle libertà civili. Vorrei cogliere l’occasione per esprimere la mia solidarietà totale e senza riserve al Primo Ministro danese, che attualmente subisce enormi pressioni affinché adotti provvedimenti contro il vignettista che ha avuto l’audacia di raffigurare niente di meno che il profeta Maometto.
I paesi islamici, compresa la Turchia – un paese candidato all’adesione all’Unione – chiedono scuse e sanzioni e insistono persino sul boicottaggio dei prodotti danesi. Il Primo Ministro Rasmussen ha più che ragione ad affermare che non esiste democrazia senza la libera espressione delle proprie opinioni. Il Consiglio, la Commissione e il Parlamento devono rimanere uniti nella difesa delle nostre libertà. In caso contrario, non vale nemmeno la pena di parlare di politica in materia di sicurezza e di difesa, perché non ci sarà più nulla da difendere.
Bogdan Klich (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, oggi l’Alto rappresentante Solana ha affermato che l’Unione europea deve essere un attore globale. E’ quindi necessario consolidare la politica estera e di sicurezza comune e la crisi costituzionale di sicuro non aiuta. Tuttavia, la coesione non si può conseguire unicamente attraverso le Istituzioni comuni. Essa è principalmente frutto di una volontà politica comune. Molto dipenderà quindi dalle azioni personali, dal buon senso e dalla creatività di cui l’Alto rappresentante Solana e il Commissario Ferrero-Waldner sapranno dare prova nel corso dell’anno.
Il Commissario Ferrero-Waldner ha promesso anche una comunicazione specifica sulla sicurezza energetica dell’Unione europea. Inoltre, la relazione dell’onorevole Brok rileva la necessità di elaborare una strategia in materia di sicurezza energetica. In realtà, queste sono solo soluzioni blande, transitorie. Ciò di cui l’Unione europea ha realmente bisogno è prefiggersi l’obiettivo di creare una politica veramente comune in materia di sicurezza energetica. Solo così sarà possibile prevenire situazioni come quella emersa due anni fa, quando i fornitori russi tennero in ostaggio la Bielorussia, o quella verificatasi all’inizio del mese, quando la Russia ha ricattato l’Ucraina. Anche gli Stati membri dell’Europa centrale sono stati penalizzati. Vogliamo davvero essere oggetto di ricatti di questo tipo in futuro, vogliamo davvero congelare come stanno congelando le persone in Georgia in questo momento? L’unica alternativa è una politica comune dell’Unione europea in materia di energia.
Un’altra osservazione che vorrei fare è che dovremmo modificare la nostra politica nei confronti della Russia. Vi sono motivi per formulare critiche sulla mancanza di progressi in alcuni ambiti, due dei quali sono affrontati nella relazione dell’onorevole Brok, ovvero i problemi riguardanti i diritti umani e la riduzione degli armamenti nella regione di Kaliningrad. L’elenco in realtà è molto più lungo e comprende una soluzione comune per i conflitti regionali, in particolare in Transnistria e nel Caucaso meridionale, assieme all’intera questione di Kaliningrad.
Pasqualina Napoletano (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, come europei non possiamo che rispettare il voto liberamente espresso in Palestina e favorire la formazione di un governo che, come indicato dallo stesso Presidente, Abu Mazen, scelga la via del negoziato, riconosca Israele e rinunci alla violenza.
Questo voto è anche espressione della sofferenza e dell’umiliazione di una vita quotidiana sotto l’occupazione, tra check-point, muro e colonie, e allo stesso tempo suona come una severa critica nei confronti della classe politica palestinese. Lo stesso ritiro unilaterale da Gaza, per ovvi motivi, ha indebolito il ruolo del Presidente Abu Mazen. Da ciò scaturiscono quindi due imperativi: non abbandonare la prospettiva di una pace negoziata e chiedere alle due parti di rinunciare ad atti che la pregiudicano.
Per questo sono d’accordo con le chiare condizioni da lei poste, Alto rappresentante, ai palestinesi. Ma nello stesso spirito le chiedo: niente da obiettare a Israele, che non ha mai accettato di operare nell’ambito della roadmap? Questo dibattito è aperto nella società israeliana. D’altra parte, lo stesso Hamas ha dimostrato la propria capacità di rispettare una tregua negoziata per l’intero anno. Credo che Israele dovrebbe bloccare la colonizzazione ed evitare atti di annessione su Gerusalemme est.
Per quanto riguarda gli aiuti finanziari, sono completamente d’accordo con lei: occorre evitare il collasso e valutare la situazione nella sua evoluzione. Proprio in questo spirito vorrei chiedere a lei, Alto rappresentante, al Consiglio e alla Commissione, se non riteniate di dover esercitare pressioni sulle autorità israeliane perché desistano dal blocco delle rimesse fiscali a favore dei palestinesi. Poiché sono soldi palestinesi, ritengo si tratti di un atto che, allo stato attuale, mette benzina sul fuoco.
Annemie Neyts-Uyttebroeck (ALDE). – (NL) Signor Presidente, pensavo che il mio tempo di parola fosse stato prolungato di un minuto, ma forse potrà verificare la cosa durante il mio intervento. Signor Alto rappresentante, signora Commissario, signor Presidente, all’inizio della discussione ci è stata fornita una descrizione impressionante dei fatti accaduti in questi ultimi 30 giorni. Vorrei congratularmi con Javier Solana e con il Commissario Ferrero-Waldner, oltre che con la Presidenza, per l’impegno indefesso con cui hanno affrontato i drammatici avvenimenti e i fatti dolorosi che si sono susseguiti. Vorrei anche associarmi alle congratulazioni espresse per la missione di osservazione elettorale in generale e per le persone che hanno svolto un ruolo attivo nei territori palestinesi in particolare, perché il loro lavoro deve essere stato particolarmente difficile.
A mio parere, si possono trarre due lezioni dal resoconto fornito dall’Alto rappresentante Solana. La prima è che l’Unione europea può essere efficace soltanto se è unita. Sono quindi stata lieta di apprendere l’altro ieri che il Consiglio “Affari generali” ha raggiunto una decisione unanime in merito alle condizioni alle quali potrà essere concessa ulteriore assistenza finanziaria all’Autorità palestinese. Sono anche compiaciuta del fatto che le quattro parti abbiano tenuto una riunione straordinaria quella stessa sera. Immaginate quali sarebbero state le conseguenze se un capo di governo avesse dichiarato una cosa, un altro ministro ne avesse affermata un’altra e un terzo Primo Ministro avesse trasmesso un messaggio ancora diverso.
E’ ovvio che ciò sarebbe stato oltremodo pernicioso, ma non è accaduto, e mi auguro che la situazione non cambi. Va da sé che è necessaria l’unanimità su tutti i dossier. Si devono anche rendere disponibili fondi sufficienti. Non sono altrettanto certa del Commissario che si terrà debito conto di questa esigenza nelle prospettive finanziarie 2007-2013. Come lei, vorrei ribadire che occorre mostrare sufficiente flessibilità. Infine, confermo che, purché coinvolgano regolarmente il Parlamento nelle loro attività, l’Alto rappresentante, il Commissario e il Presidente in carica del Consiglio potranno contare sul nostro assiduo sostegno.
Angelika Beer (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, alla luce delle osservazioni formulate dall’Alto rappresentante Solana sui Balcani, vorrei cogliere l’occasione per dire che accordiamo pieno sostegno ai suoi sforzi in una regione in cui abbiamo la responsabilità diretta della pace in Europa. E’ un compito che nessun altro può svolgere al posto nostro e dobbiamo sviluppare la prospettiva europea per tale regione in modo credibile e rigoroso.
Vorrei congratularmi con lei per la decisione che ha adottato lunedì sera, nella quale è riuscito a riunire insieme le affermazioni molto diverse che si fanno in Europa sull’Iran. Vorrei chiedere a tutti, nel procedere lungo il cammino così definito, di prevedere ampi margini di manovra per la diplomazia e per i negoziati. La prospettiva di una riunione tra l’Iran, la Cina e la Russia è una buona notizia, ma non dobbiamo perdere di vista il fatto che non spetta né al Cancelliere Schüssel né al Ministro Steinmeier decidere se sia stata varcata la linea rossa e sia stata messa a repentaglio la pace nel mondo, ma solo ed esclusivamente alle Nazioni Unite.
Non possiamo controllare la situazione da soli ed è difficile, quando si ha a che fare con un predicatore dell’odio come il Presidente Ahmadinejad, continuare a trovare nuove vie per ricondurlo alla ragione – la ragione che fa parte della strategia europea in materia di sicurezza da lei definita e si basa sulla non proliferazione. Sappiamo che un’eventuale escalation della situazione in Iran rappresenterebbe un’enorme minaccia per gli interessi che ci preme difendere: impedire che l’Iran ottenga armi nucleari, ridurre la minaccia e garantire maggiore sicurezza a Israele. Mi auguro quindi che si riesca a trovare una soluzione pacifica, per quanto difficile possa essere.
Permettetemi di dire, in veste di presidente della delegazione, che esiste un’altra voce in Iran. Non permetterò che le relazioni diplomatiche…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Gerard Batten (IND/DEM). – (EN) Signor Presidente, la giornata di ieri si è distinta per la morte del centesimo militare britannico ucciso in Iraq. Questi uomini coraggiosi hanno compiuto l’estremo sacrificio di dare la vita per il proprio paese. Tuttavia, sono stati traditi. Sono stati mandati in guerra sulla base delle menzogne e delle convinzioni assurde del Primo Ministro Tony Blair. Ciò è accaduto per un motivo molto semplice: il Primo Ministro Blair e il governo laburista non hanno alcuna idea di che cosa sia l’interesse nazionale britannico.
Ora il Primo Ministro Blair vuole coinvolgere la nazione britannica nell’ennesima menzogna e convinzione assurda. Tale menzogna è che l’interesse nazionale britannico risieda in una politica estera comune europea.
La giornata di ieri è stata caratterizzata anche da un altro evento significativo. L’Alto rappresentante Solana è intervenuto a Londra sulla questione palestinese a nome dell’Unione europea. Lo ha fatto nella sua funzione di ministro degli Esteri europeo de facto, anche se la politica estera comune europea dovrebbe essere morta e sepolta dopo il rifiuto della Costituzione europea. E’ un chiaro segnale che il governo laburista sta cedendo il controllo della politica estera all’Unione europea.
Il Cancelliere Bismarck è noto per aver affermato che l’intera regione dei Balcani non valeva le ossa di un solo granatiere della Pomerania. Bene, l’intera politica estera comune europea e il previsto esercito europeo non valgono le ossa di un solo militare britannico.
Ģirts Valdis Kristovskis (UEN). – (LV) Commissario Ferrero-Waldner, signor Alto rappresentante Solana, onorevoli colleghi, la discussione odierna verte sulla necessità di adottare una politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea più aperta, più efficace e più responsabile. Possiamo essere soddisfatti dei notevoli progressi compiuti negli ultimi anni nel promuovere la forza militare e civile dell’Europa.
Tuttavia, la relazione dell’onorevole Brok rileva che nella PESC permane purtroppo un numero eccessivo di difetti e problemi tuttora irrisolti. Esistono gravi difficoltà per quanto riguarda l’adozione di posizioni risolute in merito alla politica di sicurezza e difesa comune dell’Europa e alla politica europea in materia di sicurezza e difesa. Tali politiche risentono di una grave mancanza di risorse e si evidenzia anche la necessità di un controllo democratico da parte del Parlamento. Queste sono solo alcune questioni attuali riguardanti l’argomento in discussione.
Il Parlamento europeo deve quindi avere la possibilità di migliorare la situazione, il che significa esigere un coordinamento adeguato delle politiche per garantire un dialogo costante tra il Parlamento europeo e il Consiglio in materia. Sappiamo che non è facile, ma ne va dell’influenza e dello sviluppo istituzionale del Parlamento europeo. Il chiaro sostegno dei cittadini d’Europa per le azioni comuni europee in materia di sicurezza impone al Parlamento europeo il dovere di accrescere la sua influenza e la sua partecipazione istituzionale al processo decisionale. La sicurezza si rafforzerà soltanto se i messaggi del Presidente Chirac, dell’Alto rappresentante Solana o del Cancelliere Merkel o le decisioni adottate in materia di armi di distruzione di massa, lotta al terrorismo o energia saranno prevedibili e non coglieranno il Parlamento europeo di sorpresa e impreparato.
Jan Tadeusz Masiel (NI). – (PL) Signor Presidente, una politica estera comune forse avrebbe potuto prevenire la crisi energetica nell’Europa orientale. Avrebbe anche potuto far sì che le preoccupazioni della Polonia riguardo alla costruzione del gasdotto russo-tedesco sotto il Mar Baltico fossero prese in considerazione e l’interesse della Polonia fosse riconosciuto come interesse dell’Europa nel suo insieme. I cittadini dell’Unione europea, e per la verità quelli del mondo intero, si attendono che ci dotiamo di una politica estera comune e difendiamo i deboli, con o senza una Costituzione europea. Israele non può quindi essere autorizzato a monopolizzare la politica estera nella sua parte del mondo. Hamas rinuncerà volentieri al terrorismo e alla violenza quando sarà creato uno Stato palestinese, riducendo così la minaccia terroristica nel mondo. Come l’onorevole Cohn-Bendit, sono contrario alle armi nucleari, ma non riesco a capire perché Israele possa avere la bomba atomica e l’Iran no.
Geoffrey Van Orden (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, quando sento la litania di crisi e di problemi che dobbiamo affrontare, mi preoccupa che così tante persone pensino che la risposta a questi problemi sia più Unione europea. Le ambizioni e le pretese dell’Unione in materia di politica estera si estendono ora a ogni settore, dalla difesa all’immigrazione o all’approvvigionamento energetico, ma ne scaturiscono scarsi risultati concreti. Preferirei un approccio più modesto, che affidi all’Unione europea il compito di concentrarsi solo sui settori in cui può realmente apportare un valore aggiunto, attraverso l’assistenza umanitaria, gli aiuti allo sviluppo, l’osservazione delle elezioni e azioni analoghe.
Vorrei dire anche che in quest’epoca pericolosa, in cui sono emerse nuove forze che minacciano la natura stessa delle nostre società libere, abbiamo bisogno di più solidarietà tra le democrazie e meno protagonismo da parte dell’Unione. Le lezioni degli ultimi anni dimostrano che se le democrazie occidentali sono divise, i loro interessi ne risultano danneggiati. I nemici della democrazia sfrutteranno tali divisioni per i loro fini.
Sono appena tornato dai territori controllati dall’Autorità palestinese e da Gerusalemme est, dove ho partecipato alla missione di osservazione elettorale. I risultati delle elezioni sono stati un grido di protesta dalle strade. Lei ha giustamente affermato che la formazione precisa del nuovo governo dei territori controllati dall’Autorità palestinese non sarà nota prima di alcuni mesi, ma senza dubbio rifletterà il potere recentemente acquisito da Hamas. E’ davvero essenziale rifiutarsi di sostenere tale governo, a meno che non rinunci alla violenza, riconosca il diritto di esistere di Israele e si impegni concretamente nel processo di pace.
In passato ho espresso preoccupazione per la natura dei finanziamenti dell’Unione e l’adeguatezza delle salvaguardie volte a prevenire l’uso abusivo dei nostri fondi. Tali preoccupazioni ora si moltiplicheranno. Non solo dobbiamo assicurare che l’assistenza finanziaria sia trasparente e non possa essere usata per sostenere il terrorismo e l’estremismo: esiste anche l’urgente necessità di assicurare che i nostri fondi siano usati in modo più efficace e che il beneficiario diretto sia il popolo palestinese.
Infine, dobbiamo compiere maggiori sforzi per garantire che non vi siano differenze di approccio tra l’Europa e gli Stati Uniti. Abbiamo un interesse comune alla pace e alla stabilità in Medio Oriente.
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Jan Marinus Wiersma (PSE). – (NL) Signor Presidente, abbiamo ascoltato con grande interesse l’intervento dell’Alto rappresentante Solana, in particolare la prima parte, in cui ha elencato ciò che è accaduto a gennaio. Mi auguro che questa non sia la tendenza per il resto dell’anno e spero che, ogni mese, si continuino ad aggiungere nuovi elementi all’agenda estera. Sono rimasto colpito, in particolare, dalle osservazioni che ha fatto, soprattutto all’inizio, sulla situazione emersa in Europa in seguito ai problemi relativi alle forniture di gas in Ucraina e altri paesi.
A mio parere, ciò che è accaduto all’inizio di gennaio ha avuto l’effetto di porre la politica energetica in cima all’elenco delle nostre priorità. Ho tratto alcune conclusioni dai fatti recenti. Innanzi tutto, devo concludere che forse non ci siamo organizzati molto bene come consumatori, perché il nostro approvvigionamento energetico è molto vulnerabile, troppo vulnerabile, a mio parere, in quanto gli effetti di una carenza imprevista di energia possono solo essere devastanti. In secondo luogo, ho notato che alcuni Stati membri sono più vulnerabili di altri, il che in un certo senso contraddice la nozione di solidarietà che coltiviamo nell’Unione europea.
Senza dubbio esistono nel nostro immediato vicinato paesi vulnerabili – almeno questo è diventato evidente – e la questione della solidarietà reciproca, non ultimo tra i nostri vicini, è chiaramente un problema da affrontare. Ovviamente, è anche una questione tecnica. Possiamo investire in fonti di approvvigionamento energetico migliori e più diversificate. La terza osservazione che vorrei fare, in realtà la più importante, è che le fonti di approvvigionamento energetico e il relativo accesso sono usate come armi politiche, in questo caso contro l’Ucraina, ma anche contro la Moldavia e, per certi versi, anche contro la Georgia.
Abbiamo lanciato moniti al riguardo in passato. I russi hanno minacciato di farlo in precedenza e a mio parere dobbiamo essere molto severi con loro, perché è un atteggiamento inaccettabile. Dobbiamo anche assicurare che non diventeremo dipendenti dalla Russia in misura tale da non poterci più permettere di dire alcunché e dover tacere a causa di una dipendenza eccessiva.
Vorrei fare un’ultima osservazione sul programma per quest’anno. Il programma si definisce da solo. L’Unione europea non può ignorare le sue responsabilità. Soprattutto, chiederò al Consiglio e alla Commissione di esaminare come sia possibile, dopo il grande successo in Georgia, e prima ancora in Serbia, e in Ucraina, che la situazione rischi ora di tornare al punto di partenza. Abbiamo commesso errori? Ritengo che anche questo sia un aspetto da analizzare.
PRESIDENZA DELL’ON. FRIEDRICH Vicepresidente
Bronisław Geremek (ALDE). – (PL) Signor Presidente, vorrei rilevare che, allorché esamina la sua politica estera e di sicurezza comune, l’Europa farebbe bene a rivederne i principi informatori. Ritengo che, per quanto riguarda la sicurezza, e quindi la pace, è essenziale che l’Europa adotti il cosiddetto concetto di sicurezza umana. Ciò significa affrontare questioni quali il miglior modo in cui far fronte a gravi malattie, alla fame, alle violazioni dei diritti umani e agli attacchi contro la democrazia.
A mio parere, un altro elemento fondamentale della politica di sicurezza che l’Unione dovrebbe adottare è una strategia in materia di sicurezza energetica. Vorrei rilevare che l’Europa finora non ha tenuto conto del fatto che l’approvvigionamento energetico può diventare uno strumento per una politica imperialistica. Qui non si tratta di una carenza di gas o di petrolio, ma dell’uso di enormi risorse energetiche quale mezzo per condurre una politica imperialistica. Ritengo che questa sia una grande sfida per l’Europa, alla quale finora non siamo riusciti a rispondere.
Georgios Karatzaferis (IND/DEM). – (EL) Signor Presidente, ho letto la relazione e ho ascoltato con attenzione l’Alto rappresentante Solana. Non sono sicuro che difendano principalmente gli interessi dell’Europa. Ho l’impressione che si continuino a difendere gli interessi americani e questo è un problema. Ci stanno trascinando a forza verso l’inimicizia con la Russia, l’ostilità con la Cina e lo stesso vale per l’Iran.
Non dobbiamo farci assorbire dalla mentalità americana. Dobbiamo imparare a dire no agli Stati Uniti, se vogliamo avere una vera e propria politica estera, che naturalmente non capisco come possa essere comune alla Svezia e alla Grecia, a Cipro e all’Estonia, dal momento che ogni Stato deve affrontare questioni assai diverse.
L’onorevole Schulz ha affermato che esiste una minaccia per il ventre molle dell’Europa. Sì, esiste una minaccia. Il casus belli della Turchia contro la Grecia costituisce una minaccia. Le costanti, quotidiane violazioni dello spazio aereo greco da parte di aerei militari turchi costituiscono una minaccia. Il muro a Nicosia costituisce una minaccia. Il muro a Gerusalemme costituisce una minaccia. Si può dunque affermare che tutte le forze di occupazione devono lasciare i paesi in cui si trovano? Che l’esercito di occupazione deve lasciare Cipro, che l’esercito di occupazione israeliano...
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk (UEN). – (PL) Signor Presidente, sono state sollevate molte questioni nel corso della discussione sulla politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea. A mio parere, sono necessari tre tipi di sicurezza perché tutti gli europei si sentano realmente sicuri.
Comincerò dalla sicurezza energetica. L’intera Unione è molto preoccupata per la questione, così come lo sono i singoli Stati membri, come la Polonia. Sembra non vi sia alcuna volontà di adottare un’azione comune in questo campo. La Germania ha rafforzato la sicurezza del suo approvvigionamento energetico siglando un accordo con la Russia per la costruzione del gasdotto nordeuropeo. Purtroppo, l’azione della Germania ha notevolmente compromesso la sicurezza dell’approvvigionamento energetico della Polonia. L’Unione finora non ha affrontato la situazione, sebbene sia più che evidente che la Russia sta usando la fornitura di materie prime energetiche come strumento incisivo con cui influenzare le politiche di altri paesi. La decisione della Russia di interrompere le forniture di gas all’Ucraina e alla Georgia ha dimostrato fino a che punto tale strumento possa essere efficace.
Passerò ora alla sicurezza alimentare. La sicurezza del nostro approvvigionamento alimentare si basa sulla politica agricola comune, la quale tuttavia subisce sempre più attacchi. Vorrei infine menzionare la sicurezza fisica, ora esposta a una minaccia molto più grave a causa del terrorismo. Non può esistere una politica estera e di sicurezza comune valida senza compiere progressi significativi nei tre settori che ho evidenziato. Mi auguro che l’Alto rappresentante Solana e il Commissario Ferrero-Waldner tengano conto delle mie osservazioni.
Alojz Peterle (PPE-DE). – (SL) E’ chiaro che la situazione politica nel mondo, da paese a paese e da regione a regione, non si accorda con i nostri valori e con le nostre aspirazioni e aspettative, né diventa più stabile o più democratica. Al tempo stesso, tuttavia, ci giungono richieste esplicite di più Europa da varie parti del mondo. In Mongolia dicono che l’Unione europea è il loro terzo vicino. Quando visito gli Stati dei Balcani, l’America latina, la regione transcaucasica o l’Asia centrale, sento dire la stessa cosa: più Europa.
Tuttavia, mentre molti partner vogliono più Europa, noi ci ritroviamo spesso immersi nelle nostre preoccupazioni improduttive e dimentichiamo le idee fondamentali di Schuman e degli altri padri fondatori dell’Europa nel desiderio di costruire più Europa con meno fondi. Non mi sorprende che i nostri partner e i nostri cittadini non comprendano il gergo dei vari pilastri della nostra politica, ma essi riescono a capire perfettamente quando siamo uniti e quando siamo divisi e inefficaci.
L’esperienza delle forniture energetiche ci ha insegnato che le politiche nazionali da sole non garantiranno né maggiore sicurezza interna né maggiore influenza esterna. Ho l’impressione che già ora il corso degli eventi richieda più politiche comuni di quelle previste dal Trattato costituzionale già ratificato. Se davvero vogliamo svolgere un ruolo fondamentale nei Balcani, nell’Europa orientale o altrove, dobbiamo trovare modi più energici di esprimere la nostra politica estera e di sicurezza comune. A ciò sicuramente contribuirebbe una maggiore considerazione per il ruolo del Parlamento europeo, che ha dimostrato di essere un soggetto dinamico e responsabile.
Hannes Swoboda (PSE). – (DE) Signor Presidente, posso praticamente continuare dal punto in cui ha terminato l’onorevole Peterle, perché, se è vero che, come ha affermato l’Alto rappresentante Solana, sono molti in Europa a chiederci di intervenire, allora è davvero giunto il momento di farlo.
Permettetemi di fare solo due esempi per spiegare ciò che intendo. Non gioisco per le sofferenze altrui se dico che, in realtà, la grandiosa iniziativa americana per la regione del Medio Oriente in generale è fallita e l’intervento in Iraq non ha affatto migliorato la situazione. Il sostegno inadeguato ed esitante per la politica di pace e per l’iniziativa a favore della pace in Medio Oriente ha contribuito alla vittoria elettorale di Hamas; menziono solo di passaggio che lo stesso Al Fatah ha una grande responsabilità al riguardo. Quanto all’Iran, sappiamo tutti che un maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti nella politica di sicurezza svolgerebbe un ruolo importante nel persuadere tale paese a non sviluppare armi nucleari. E’ quindi ora che l’Unione europea – in cooperazione con gli Stati Uniti, anziché in opposizione ad essi, ipotesi che sarebbe assurda – definisca chiaramente le caratteristiche che potrebbe avere una politica estera completa in Medio Oriente, comprendendo ogni aspetto, da una politica di pace vigorosa al sostegno alla società civile nei singoli paesi.
Il secondo esempio è la politica energetica. Come è già stato affermato, noi, che rappresentiamo un grande consumatore, dobbiamo presentare un fronte più unito sul mercato mondiale; dobbiamo mobilitarci e formare coalizioni con altri consumatori. Abbiamo visto esattamente che cosa accade – in Iran, per esempio – se non facciamo causa comune con loro. Se la Russia comincia a sfruttare la sua politica energetica come strumento per condurre una politica nazionalistica, dobbiamo rendere la nostra – o almeno parte di essa – più europea.
Signora Commissario, attendiamo la relazione con grande impazienza. E’ una questione che le ho sottoposto già molto tempo fa, in occasione della sua audizione per la nomina a Commissario. E’ della massima importanza disporre ora di tale relazione e poter dire a chiare lettere che, se da un lato abbiamo bisogno delle nostre politiche energetiche nazionali, dall’altro esse devono essere integrate e ampliate da una valida politica energetica europea, che è anche uno strumento essenziale della politica estera.
Anneli Jäätteenmäki (ALDE). – (FI) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il ruolo dell’Unione come soggetto internazionale è importante e si è rafforzato negli ultimi anni. L’Unione ottiene risultati con metodi miti, e con questo intendo tramite negoziati, discussioni, persuasione e gestione delle crisi. A volte si tratta di un processo lento, che però crea una base solida per soluzioni durature e per una società vivibile. Nella sua politica estera, l’Unione europea sottolinea l’importanza della democrazia e vogliamo compiere passi avanti in materia. In questo contesto, vorrei che l’Unione ponesse un maggiore accento sul fatto che non può esistere democrazia senza alfabetizzazione, né senza rispetto dei diritti delle donne. Dobbiamo quindi fare di più per garantire che i bambini, i giovani e le donne nelle varie regioni del mondo sappiano leggere. Ciò creerà una base duratura per la democrazia, la pace e il rispetto dei diritti umani.
Mirosław Mariusz Piotrowski (IND/DEM). – (PL) Signor Presidente, dopo il rifiuto del Trattato costituzionale nei referendum (o referenda) di Francia e Paesi Bassi, l’intero documento è ormai privo di validità. Si sta rivelando molto difficile per alcuni accettare la scomparsa di un concetto promosso per molti anni. La politica estera e di sicurezza comune era un elemento importante di tale Trattato, ma vorrei ricordarvi che è stato inequivocabilmente respinto. Siamo quindi esterrefatti che si compiano sforzi riguardo a un documento ormai totalmente privo di significato e praticamente morto. La relazione dell’onorevole Brok è un esempio di questo atteggiamento. Deride l’Assemblea e calpesta i principi democratici sostenuti dalla Comunità europea. Il periodo di riflessione richiesto in seguito alla morte del Trattato non deve essere utilizzato per adottare capitoli specifici della Costituzione con manovre di corridoio. Questo periodo deve invece essere usato per riesaminare l’azione comune a livello internazionale e porre un maggiore accento sull’importanza di questioni quali la sicurezza energetica e le minacce costituite dalle epidemie e dal terrorismo.
Janusz Wojciechowski (UEN). – (PL) Signor Presidente, l’Unione europea in realtà ha la fortuna di disporre di una politica di sicurezza efficace, ovvero la politica agricola comune. Da molti anni, ormai, tale politica garantisce la sicurezza alimentare alla Comunità nel suo insieme e ai suoi cittadini, nazioni e paesi. La sicurezza alimentare è essenziale per tutti loro. L’Europa ha ora soddisfatto la sua fame, ma ha l’infelice tendenza a dimenticare il modo in cui ciò si è verificato e grazie a chi. La politica agricola comune è minacciata ed è diventata terreno di prova per riforme irresponsabili come quella del mercato dello zucchero, in conseguenza della quale l’Europa dipenderà presto dal resto del mondo per il suo fabbisogno di zucchero. La protezione dei mercati agricoli europei è in corso di soppressione, come i nostri agricoltori sanno fin troppo bene. In Polonia, i più colpiti sono i produttori di frutta.
Le riduzioni sconsiderate nella politica agricola comune faranno crollare la sicurezza alimentare, indispensabile per la sicurezza dell’Europa nel suo insieme. Vi è ancora tempo per impedire che ciò accada, ma è necessario cambiare atteggiamento politico in materia di agricoltura. Sugli striscioni delle organizzazioni dei lavoratori agricoli polacchi spesso figurano slogan sul ruolo svolto dalla produzione alimentare nella lunga lotta per l’indipendenza della Polonia, assieme alla loro volontà di lottare. Quando discutiamo e prendiamo decisioni sulle questioni agricole, dovremmo sempre ricordare che sono gli agricoltori a nutrirci e difenderci e che sono loro i veri garanti della sicurezza dell’Europa.
Alexander Stubb (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, ho ascoltato con grande attenzione e pensavo di aver sentito di tutto, ma quando ho sentito l’onorevole Cohn-Bendit sostenere l’energia nucleare – sia pure in Iran – devo ammettere che sono rimasto sbalordito. Chi ha detto che il Ministro Fischer è cambiato? Penso che “Danny il rosso” sia parecchio cambiato!
Vorrei esaminare tre aspetti in una prospettiva istituzionale. Il primo è che la PESC e la difesa saranno settori fondamentali per noi in futuro. Siamo una superpotenza commerciale e nel campo degli aiuti, ma troppo spesso siamo inesistenti nella PESC e nella difesa. Dobbiamo fare qualcosa e non sono d’accordo con l’onorevole Piotrowski. La prima cosa di cui abbiamo bisogno è una costituzione.
Il secondo aspetto che vorrei rilevare è che sono necessari tre elementi. Innanzi tutto, è necessaria una difesa comune: abbiamo bisogno delle garanzie di sicurezza che la costituzione fornirebbe. In secondo luogo, è necessario esprimere una sola voce. A tal fine, abbiamo bisogno di un Presidente e di un ministro degli Esteri. In terzo luogo, è necessario aumentare il bilancio della PESC. Tutto ciò va inserito in un unico pacchetto. Se troveremo la volontà politica, credo che potremmo anche ottenere una politica estera e di sicurezza comune.
Il terzo aspetto è che dobbiamo realmente cominciare a pensare ai diversi elementi della costituzione ed esaminarla in due parti. Vi sono iniziative che stiamo già attuando, come l’Agenzia europea per la difesa, i gruppi tattici e la clausola di solidarietà in relazione con il terrorismo. Tuttavia, ve ne sono altri che dovremo cominciare ad attuare il più rapidamente possibile quando la costituzione entrerà in vigore. Tra questi figurano un Presidente, un ministro degli Esteri, un servizio per le relazioni esterne e la consultazione preventiva del Parlamento europeo.
L’ultima osservazione che vorrei fare è che, anziché insistere sulla battaglia istituzionale tra la Commissione, il Consiglio e il Parlamento europeo sugli aspetti della PESC, dobbiamo prepararci, indossare gli abiti da lavoro e agire insieme.
Poul Nyrup Rasmussen (PSE). – (EN) Signor Presidente, potevo quasi sentire l’afflizione del mio buon amico Javier Solana mentre descriveva ciò che è accaduto durante il primo mese di quest’anno, immaginando che, se il resto dell’anno sarà come il primo mese, non sarà affatto facile! Ma devo fare un’altra osservazione.
Credo che in sostanza abbia affermato che il mondo nel 2006 si troverà ancora una volta di fronte a una scelta fondamentale: la scelta tra guerre preventive o politiche preventive. Non ho dubbi sul fatto che ciò che sta affermando e ciò che emerge chiaramente dalla sua esperienza è che nel 2006 avremo bisogno di politiche preventive. L’essenza dei valori dell’Unione europea, per quanto riguarda la politica estera, trova espressione nelle politiche preventive. Se esaminiamo gli strumenti citati con grande precisione dal Commissario, è giusto dire che sì, forse è la scelta più difficile, ma è anche la scelta che, storicamente, ha avuto successo. Dobbiamo ricordarlo in questi momenti difficili.
Vorrei dirle, Alto rappresentante Solana, che in Palestina proprio ora sono in molti a tirare nella direzione sbagliata e i poveri palestinesi hanno quindi bisogno di una forte voce europea. Ciò che ha affermato è corretto: è necessario avere pazienza, saggezza ed equilibrio. Sono molto lieto di averla sentita affermare che non dobbiamo essere noi a provocare il fallimento della Palestina, perché lei e io sappiamo che vi sono altri che garantiranno che ciò non accada: l’Iran, l’Egitto e altri paesi. Non è il nostro caso e quindi mi fido di lei. Saremo al suo fianco, per assicurare, assieme alla Commissione e al Presidente in carica del Consiglio Winkler, che l’Europa garantisca porte aperte e dialogo e, mi auguro, porte aperte ancora per i prossimi tre mesi.
Marek Maciej Siwiec (PSE). – (PL) Signor Presidente, sono grato per tutto ciò che è stato detto sull’Ucraina. Tuttavia, dobbiamo essere preparati. Gli eventi dei prossimi due mesi determineranno se i frutti della rivoluzione arancione riusciranno a raggiungere la piena maturazione o se cadranno a terra acerbi. L’Ucraina ha bisogno di molta più Europa nei prossimi due mesi. E’ essenziale che le Istituzioni europee si facciano sentire in tale paese. Dobbiamo mantenere un dialogo costante con i leader e con la società dell’Ucraina. Bisogna creare un fronte europeista in Ucraina.
Vi è un coinvolgimento russo senza precedenti nell’evoluzione della situazione in Ucraina. Il gas è usato come un’arma. Deve essere introdotta una nuova costituzione e il prossimo parlamento deciderà se l’Ucraina debba andare a vele spiegate verso l’Europa oppure andare per conto proprio, come ha spesso fatto in passato. Dobbiamo incoraggiare i leader dei partiti politici a lottare per essere rappresentati in parlamento e formare un forte fronte europeista, al fine di poter contare su un buon partner nei prossimi quattro anni.
Helmut Kuhne (PSE). – (DE) Signor Presidente, l’onorevole Wurtz ha chiesto a Javier Solana che cosa sia migliorato negli ultimi due anni, come se l’Unione europea in un certo senso avesse il potere decisionale di introdurre miglioramenti decisivi nel mondo. Coloro che volevano un mondo multipolare, con una riduzione del potere dell’unica superpotenza, difficilmente si stupiscono che sia così. Le affermazioni di alcuni deputati tendono a riflettere la loro visione eurocentrica e delusa del nostro ruolo in questo mondo multipolare. Posso solo porgere loro il benvenuto in un mondo che, purtroppo, non è diventato migliore solo perché è multipolare e ospita nuove potenze in rapido sviluppo a livello globale e regionale.
Noi europei non ce la passiamo così male in questa situazione e mi unisco a coloro che si sono congratulati con il signor Solana per aver raggiunto una decisione comune con la Cina e la Russia sull’opportunità di sottoporre le ambizioni nucleari dell’Iran al giudizio del Consiglio di sicurezza. Posso solo augurarmi che tale decisione dia i suoi frutti, ma non sono insoddisfatto dell’attuale linea di condotta.
Libor Rouček (PSE). – (CS) Nel suo intervento iniziale, l’Alto rappresentante Solana ha accennato a vari fatti accaduti nel corso dell’ultimo mese e descritto le sfide che l’Europa deve affrontare, tra cui la controversia sull’approvvigionamento di gas dalla Russia, le elezioni in Palestina e la situazione in Medio Oriente, la situazione deprimente in Iraq, la crisi scatenata dal programma nucleare dell’Iran e lo statuto del Kosovo. Tutti questi eventi e problemi hanno una caratteristica in comune: nessun paese europeo, nemmeno il più grande, può gestirli da solo. In altre parole, se vogliamo risolvere tali problemi, dobbiamo unire le forze e sviluppare politiche comuni in materia di affari esteri, sicurezza e difesa. Questo è ciò che vogliono i rappresentanti politici di molti paesi e, come hanno affermato altri oratori, è ciò che vogliono anche i cittadini d’Europa.
La relazione dell’onorevole Brok, sulla quale voteremo domani, cita i progressi compiuti nel settore della politica estera e di difesa comune, ma descrive anche vari problemi, tra cui la partecipazione insufficiente del Parlamento europeo al processo di definizione della politica estera. Vorrei quindi chiedere al Consiglio di rispettare l’articolo 21 del Trattato sull’Unione europea e di consultare sempre il Parlamento all’inizio dell’anno sui progressi e sulle previsioni, anziché limitarsi a presentare una sintesi relativa all’anno precedente.
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, mi permetta di riprendere alcune questioni trattate nel corso della discussione.
La questione più importante, come molti di voi hanno affermato, è che oggi abbiamo bisogno di un’Europa più incisiva in politica estera. Perché l’Europa sia più incisiva in politica estera dobbiamo lavorare insieme. Dobbiamo lavorare insieme soprattutto sui temi che sono oggi di grande attualità. Uno di essi, menzionato da molti di voi, è la politica energetica. Come ho già detto, ci stiamo lavorando. Ciò significa, naturalmente, che dobbiamo disporre di una politica energetica migliore, se non di una politica estera comune. So che come minimo dobbiamo prendere questa direzione, e disponiamo già di diversi strumenti preziosi per farlo, tra cui i dialoghi politici e i dialoghi specifici sull’energia. Vi sono anche i dialoghi multilaterali: dobbiamo coinvolgere l’OPEC, dobbiamo parlare di più con l’OPEC e con il Consiglio di cooperazione del golfo.
Come ho detto, la strategia di diversificazione sarà fondamentale per tutti noi. Dobbiamo esaminare la possibilità di integrare i mercati energetici dei nostri vicini nel mercato europeo dell’energia, per esempio ispirandoci alla Comunità energetica dell’Europa sudorientale. Disponiamo anche di numerosi strumenti finanziari per incoraggiare la convergenza dei temi energetici. La sicurezza dell’approvvigionamento energetico, come ho già detto, è fondamentale. Posso quindi assicurarvi che stiamo lavorando su questo aspetto e, non appena sarà pubblicata la comunicazione, torneremo sull’argomento.
Come ha affermato l’onorevole Rasmussen, anche la diplomazia preventiva è molto importante. E’ fondamentale. Concordo al riguardo. Come sappiamo, a volte la diplomazia richiede pazienza. Non si può eradicare la povertà da un giorno all’altro; non si possono elaborare tutti i vari tipi di gestione delle crisi o persino di gestione post-crisi e ottenere un cambiamento immediato. Per questo è necessario un approccio sostenibile e coesivo.
La migrazione è un altro tema nuovo e molto importante della politica estera. Anche in questo caso, dovremo collaborare con i paesi d’origine, con i paesi di transito e con l’Unione europea per trovare il giusto equilibrio tra politica interna ed estera.
La lotta contro il terrorismo, la lotta contro gli stupefacenti: tutto questo richiederà molti anni, ma sono battaglie che dovremo sempre più combattere facendo fronte comune. Le armi di distruzione di massa, il sostegno della democrazia, dello Stato di diritto e di elezioni libere ed eque: tutto questo figura nella nostra politica di vicinato, quindi è chiaro che lo prenderemo molto sul serio. Abbiamo un incentivo concreto in materia nel nostro programma di Barcellona, per esempio, ma abbiamo anche bisogno di tutto il sostegno possibile per poter compiere progressi reali con questa politica.
I partenariati strategici con le grandi potenze, come il partenariato transatlantico, le relazioni con la Cina, l’India, il Brasile e le ottime relazioni con l’America latina sono tutti elementi importanti, perché ci permettono di lavorare insieme in un quadro multilaterale, cooperando anche con le Nazioni Unite, come è stato affermato. E’ chiaro che è altrettanto importante riuscire a integrare il lavoro a favore dei nostri valori comuni nella strategia multilaterale.
La politica di vicinato è un elemento importante della strategia in materia di sicurezza, perché cerchiamo realmente di esportare la stabilità collaborando con l’Ucraina, i paesi del Caucaso meridionale e i paesi del Mediterraneo. Abbiamo quindi alte aspirazioni di rendere l’Europa più sicura; sappiamo che ci attendono molte sfide, ma non vedo altro modo in cui procedere se non cercando di potenziare tutti i nostri strumenti e lavorare per un’Europa comune, fondata su valori comuni, insieme con il mondo.
Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. (DE) Signor Presidente, signora Commissario, signor Alto rappresentante, onorevoli deputati, non mi è possibile, nel breve tempo a mia disposizione, riesaminare nei particolari tutte le questioni sollevate nel corso della discussione, ma vorrei affrontare alcuni punti che, in veste di rappresentante del Consiglio, considero importanti.
L’Alto rappresentante è stato il primo a dirlo, ma molti gli hanno fatto eco: sussiste l’esigenza di una politica estera europea a livello globale. E’ una questione importante anche per i cittadini europei e noi – il Consiglio, la Commissione e il Parlamento europeo – dobbiamo lavorare insieme per rispondere a tale esigenza. Come ha affermato l’onorevole Watson, dobbiamo costruire l’Unione europea sulla base dei valori e ciò riguarda palesemente e specificamente la politica estera, nella quale dobbiamo essere esemplari per poter portare pace e stabilità nel mondo. Non posso che essere pienamente d’accordo al riguardo e vi assicuro che la Presidenza austriaca, come le presidenze che l’hanno preceduta e che le succederanno, s’impegna, nei sei mesi di mandato, a sostenere la tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali e anche, per riprendere le affermazioni dell’onorevole Geremek, la cosiddetta “sicurezza umana”: la promozione della salute e la campagna contro gli armamenti e il riarmo.
La politica estera dell’Unione europea è pacifica; non siamo, in questo senso, una potenza militare. La diplomazia preventiva è l’elemento essenziale. Nell’ambito del nostro impegno a favore del multilateralismo, ci sforziamo di agire in conformità della Carta delle Nazioni Unite e nel rispetto del diritto internazionale. E’ l’unico modo di preservare la nostra credibilità agli occhi del mondo.
Vorrei fare alcune brevi osservazioni su talune delle questioni sollevate. In risposta ai numerosi oratori che hanno parlato della politica energetica, vorrei aggiungere un paio di parole a ciò che ha detto il Commissario Ferrero-Waldner. Va da sé che la Commissione svolge un ruolo essenziale e importante in questo ambito, e la Presidenza del Consiglio sta lavorando in stretta cooperazione con essa. Al Consiglio europeo di marzo, la politica energetica europea sarà una questione centrale, per la quale la Presidenza britannica ha già posato la prima pietra. Intendiamo portare avanti il processo che ha iniziato. Nella discussione si è anche parlato di sicurezza dell’approvvigionamento energetico, un problema fondamentale, che comporta la diversificazione delle fonti e delle reti energetiche, nonché la riduzione della dipendenza unilaterale da forniture e reti energetiche e, in particolare, il sostegno e la promozione attiva delle energie rinnovabili e delle fonti energetiche alternative. Ovviamente, dedicheremo grande attenzione alla questione.
La Russia è stata menzionata più volte in questo contesto. La politica europea di vicinato in generale e la politica europea nei confronti della Russia rivestono entrambe importanza cruciale. La Russia è un partner importante e, nel dialogo con tale paese, dobbiamo dare risalto ai valori di cui ho parlato. E’ superfluo dire che i diritti umani sono un’altra questione da sollevare con le autorità russe, cosa che facciamo nell’ambito di un dialogo di ampio respiro. Ritengo tuttavia che si debba essere consapevoli del fatto che per l’Unione europea la Russia è un partner altrettanto importante degli Stati Uniti.
Sono particolarmente grato all’onorevole Beer per aver sollevato la questione dei Balcani, come ha fatto il signor Solana nella sua introduzione. La Presidenza austriaca del Consiglio, nei sei mesi di mandato, attribuirà ai Balcani occidentali la massima priorità, nell’interesse della stabilità nella regione e, di conseguenza, della pace e della stabilità in Europa.
Un’altra osservazione fatta sulla politica estera europea è che dovremmo concentrarci soprattutto sui nostri vicini. E’ ciò che stiamo facendo ed è importante farlo, ma, nel mondo di oggi, non vi è crisi o situazione che non incida anche sugli interessi e sulla stabilità dell’Unione europea. Questo è ciò che rende l’Unione europea un soggetto globale ed è anche il motivo per cui essa deve dotarsi delle risorse necessarie per svolgere tale ruolo. Se l’Alto rappresentante oggi non si stanca – nel vero senso della parola – di viaggiare in tutto il mondo al servizio della pace, egli lo fa nell’interesse di una politica estera europea credibile, nel nostro stesso interesse e anche nell’interesse della stabilità e della pace in Europa.
Vorrei ora affrontare una questione che riveste particolare importanza per i cittadini e figura anche tra le priorità della Presidenza austriaca. Mi riferisco alla protezione dei cittadini europei nei paesi terzi, della quale, come gli eventi e le crisi recenti hanno già dimostrato, noi come Unione europea siamo responsabili. La Presidenza austriaca del Consiglio intende contribuire a organizzare meglio la cooperazione consolare per proteggere i cittadini che si trovano all’estero, nonché dotarla di risorse adeguate.
Permettetemi infine di accennare a ciò che è stato affermato sulla Cina. L’unica cosa che voglio dire riguardo all’embargo sulla vendita di armi è che al momento, come sapete, in seno al Consiglio non vi è consenso. L’argomento non è all’ordine del giorno, ma, al di là della decisione che potrà essere presa, è una questione di principio per il Consiglio e per la politica estera europea assicurare che non vi siano aumenti nella quantità di armi esportate in Cina.
Javier Solana, Alto rappresentante. (EN) Signor Presidente, voglio solo concludere brevemente, perché molto di ciò che ho affermato in termini generali è una ripetizione di ciò che pensiamo. Stiamo cercando di ripetere con parole diverse l’opinione della maggioranza sulla politica estera dell’Unione europea. Anziché passare in rassegna una litania di argomenti ogni volta che ci riuniamo, preferirei cercare di affrontarne alcuni in modo approfondito. In fin dei conti, abbiamo trattato tutti i problemi del mondo in due ore circa, con non so quanti interventi. Vogliamo che questa discussione sia utile. Per questo ringrazio l’onorevole Watson per il suo saggio consiglio di apparire meno in televisione e più in Aula. Vi prometto che ogni volta che andrò in televisione vi chiamerò in anticipo, così potrete prendere nota di quanto tempo passo in televisione e quante ore passo qui. Prendetene nota, dunque!
Dopo aver detto questo con simpatia e amicizia all’onorevole Watson, vorrei, se possibile, organizzare una discussione che ci permetta di approfondire la materia, che è molto importante. Cercherò di concentrarmi su un numero ridotto di argomenti che rivestono particolare importanza.
Si può parlare di politica estera comune, ma, se falliremo, non sarà una politica estera comune. Se falliremo, tanto vale chiudere. Prendete i Balcani: se non siamo pronti e disposti a risolvere la situazione nei Balcani, possiamo parlare di Iran, possiamo parlare di qualsiasi cosa vogliate, ma falliremo, e io non voglio fallire. Pertanto, mi troverete sempre al lavoro. Questo è ciò che sto cercando di fare e che continuerò a fare.
Vi ringrazio per le buone parole che alcuni di voi hanno avuto per il mio lavoro. Ringrazio anche chi non lo apprezza. Vorrei inoltre ringraziare Leila Shahid per le buone parole che ha detto su di me in questi giorni, quando ho difeso, come lei dovrebbe difendere, la posizione del Presidente Abu Mazen, cui dobbiamo cercare di dare il massimo aiuto possibile. Penso sia la persona più importante da sostenere in questo momento.
Sulle altre questioni, stiamo a vedere come evolve la situazione. Nelle prossime ore probabilmente dovremo prendere decisioni molto importanti. Sarò pronto e disponibile, se il tempo lo permetterà e se voi riuscirete a essere presenti, a fare una dichiarazione esplicativa qualora dovesse succedere qualcosa di grande importanza. Signor Presidente, le cedo la parola. Se vuole prenderla, bene, altrimenti va bene lo stesso.