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Resoconto integrale delle discussioni
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Mercoledì 1 febbraio 2006 - Bruxelles Edizione GU
1. Ripresa della sessione
 2. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 3. Dichiarazione della Presidenza
 4. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
 5. Composizione del Parlamento: vedasi processo verbale
 6. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale
 7. Trasmissione di testi di accordo da parte del Consiglio: vedasi processo verbale
 8. Storni di stanziamenti: vedasi processo verbale
 9. Seguito dato alle posizioni e risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale
 10. Ordine del giorno
 11. Prospettive della politica estera comune per il 2006 – Politica estera e di sicurezza comune – 2004
 12. Risultati delle elezioni in Palestina e situazione in Medio Oriente, nonché decisione del Consiglio di non rendere pubblica la relazione su Gerusalemme Est
 13. Posizione dell’UE nei confronti del governo cubano
 14. Dichiarazioni di gestione nazionale – Responsabilità degli Stati membri relativamente all’esecuzione del bilancio dell’Unione europea
 15. Risorse della pesca nel Mediterraneo
 16. Interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica
 17. Situazione attuale della lotta contro la violenza a danno delle donne ed eventuali azioni future
 18. Parità tra le donne e gli uomini nell’Unione europea
 19. Applicazione della direttiva postale
 20. Disposizioni sulle quantità nominali dei prodotti preconfezionati
 21. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
 22. Chiusura della seduta


  

PRESIDENZA DELL’ON. BORRELL FONTELLES
Presidente

(La seduta inizia alle 15.00)

 
1. Ripresa della sessione
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  Presidente. – Dichiaro ripresa la sessione del Parlamento europeo, interrotta giovedì 19 gennaio 2006.

 

2. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale

3. Dichiarazione della Presidenza
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  Presidente. – Onorevoli colleghi, prima di dare inizio alla seduta plenaria credo che, date le circostanze, la Presidenza abbia il dovere di formulare una breve dichiarazione su due tragici avvenimenti che si sono verificati in due paesi dell’Unione europea.

Come sapete, il 19 gennaio un incidente avvenuto a un aereo dell’esercito slovacco ha provocato la morte di 42 militari che stavano rientrando da una missione NATO per il mantenimento della pace in Kosovo, fatto che mi riporta alla mente altri tragici eventi simili relativi alla presenza di soldati spagnoli in Afghanistan. Questa volta le vittime erano cittadini slovacchi.

Il 28 gennaio, invece, il crollo del tetto di un padiglione fieristico a Katowice ha provocato la morte di diverse decine di persone, un centinaio di feriti e non sappiamo ancora quanti dispersi. Il popolo polacco è sconvolto da questa tragedia e del suo dolore sono partecipi tutti gli altri popoli europei.

Ho trasmesso le nostre più sentite condoglianze e la massima solidarietà del Parlamento europeo alle vittime e alle loro famiglie. I vessilli di Slovacchia e Polonia sono stati esposti a mezz’asta nella nostra Assemblea in segno di lutto.

A nome di tutti voi ho scritto ai capi di entrambi gli Stati per esprimere loro le nostre condoglianze. Vi chiedo ora di rendere omaggio a queste vittime osservando un minuto di silenzio.

(Il Parlamento, in piedi, osserva un minuto di silenzio)

 

4. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale

5. Composizione del Parlamento: vedasi processo verbale

6. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale

7. Trasmissione di testi di accordo da parte del Consiglio: vedasi processo verbale

8. Storni di stanziamenti: vedasi processo verbale

9. Seguito dato alle posizioni e risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale

10. Ordine del giorno
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  Presidente. – Vi sono osservazioni? Do la parola all’onorevole Frassoni.

 
  
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  Monica Frassoni (Verts/ALE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il mio sarà un intervento veramente semplice, molto breve e per niente appassionante: volevo dire che il gruppo dei Verdi vorrebbe aggiungere la sua firma alla risoluzione su Cuba.

 
  
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  Presidente. – D’accordo, provvederemo.

(L’ordine dei lavori è così fissato)

 

11. Prospettive della politica estera comune per il 2006 – Politica estera e di sicurezza comune – 2004
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione congiunta sulla politica estera e di sicurezza comune sui seguenti punti:

– la dichiarazione dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune sulle prospettive della politica estera comune per il 2006; e

– la relazione (A6-0389/2005), presentata dall’onorevole Elmar Brok a nome della commissione per gli affari esteri, sulla relazione annuale del Consiglio al Parlamento europeo sugli aspetti principali e le scelte fondamentali della PESC, comprese le implicazioni finanziarie per il bilancio generale dell’Unione europea – 2004 [2005/2134(INI)].

Prima di dare la parola agli oratori, vorrei rendere omaggio, per il lavoro svolto in occasione delle elezioni tenutesi in Palestina, all’onorevole De Keyser, presidente della missione di osservazione elettorale dell’UE nei territori palestinesi, e all’onorevole McMillan-Scott, presidente della delegazione dei 27 osservatori del Parlamento europeo. Avremo sicuramente occasione di ascoltare la loro testimonianza durante il dibattito, ma desidero sottolineare fin d’ora l’importante ruolo che hanno svolto i nostri deputati dando un’obiettiva testimonianza della vitalità del processo elettorale svoltosi nei territori palestinesi.

Credo che questa sia anche l’occasione giusta per augurarci che le circostanze non impediscano al Presidente Mahmoud Abbas di accettare, quando lo ritenga opportuno, la standing invitation che gli ha rivolto il Parlamento europeo.

 
  
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  Javier Solana, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune. (ES) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto unirmi a lei ed esprimere le mie congratulazioni alla persona che ha rappresentato il Parlamento europeo e l’Unione europea nel suo insieme nella missione di osservazione delle elezioni palestinesi, l’onorevole De Keyser, buona amica di tutti noi e buona amica mia, per il grande lavoro realizzato in questo periodo molto difficile, durante il quale la missione degli osservatori è stata estremamente importante. Non so se l’onorevole De Keyser sia presente in Aula, ma in ogni caso vorrei esprimerle la mia ammirazione e riconoscenza e darle una nuova dimostrazione di amicizia e simpatia.

(Applausi)

Signor Presidente, onorevoli deputati, in tutta onestà devo dire che per me è molto complicato iniziare questa seduta il 1° febbraio 2006. Se torniamo indietro con il pensiero di un mese soltanto, al 1° gennaio di quest’anno, e osserviamo ciò che è accaduto nel mondo in questi ultimi trenta giorni, ci rendiamo conto che può veramente essere utile fare alcune riflessioni in seno al Parlamento. Tali riflessioni riguardano la capacità dell’Unione europea di fare politica, la capacità dell’Unione europea di fare politica internazionale e l’obbligo che abbiamo tutti, se esaminiamo con attenzione ciò che è accaduto in questi trenta giorni che vorrei passare in rassegna, di trarre alcune conclusioni sul modo in cui non possiamo continuare ad agire e sul modo in cui dobbiamo cominciare ad agire. Consentitemi quindi di ricordare molto brevemente ciò che è successo negli ultimi trenta giorni.

Molti di noi hanno passato la notte del 1° gennaio 2006 svegli, per cercare di risolvere un problema gravissimo che ci riguardava da vicino: l’Ucraina e la Russia avevano un problema di difficile soluzione, a causa della mancanza di un accordo energetico tra i due paesi. Se, anziché un accordo energetico, fosse rimasto un disaccordo, vi sarebbero state conseguenze estremamente serie per l’approvvigionamento energetico di molti paesi dell’Unione europea. Questo è successo la prima notte dell’anno.

La terza notte del 2006, il governo iraniano ha preso una decisione importantissima: cominciare l’arricchimento dell’uranio. Meno di una settimana dopo, ha cominciato a rompere i sigilli apposti dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica di Vienna, conformemente alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza e del Consiglio dei governatori di tale organismo.

Pochi giorni dopo, il Primo Ministro Sharon veniva ricoverato in un ospedale di Gerusalemme e purtroppo non si è ancora ristabilito del tutto. Vorrei cogliere l’occasione per rivolgere alla famiglia del Primo Ministro Sharon, a nome di tutti noi, se me lo permettete, i migliori auguri di pronta guarigione. Al di là delle differenze che sono potute emergere tra noi in passato, al di là delle difficoltà e dei malintesi che vi sono stati, gli uomini che hanno lottato, le persone che hanno lavorato con noi, meritano il nostro riconoscimento nei momenti di difficoltà.

Non molti giorni dopo, sono sorti seri problemi con l’inizio del processo elettorale in Palestina e ancora una volta l’onorevole De Keyser era sul posto per cercare di risolverli. Le elezioni si sono svolte alla fine del mese e il risultato ha creato grande scompiglio.

Alcuni giorni dopo, nel contesto di un’altra questione assolutamente fondamentale per l’Unione europea, moriva improvvisamente il Presidente Rugova, il Presidente del Kosovo.

Negli ultimi giorni del mese si è poi svolta una riunione fondamentale dell’Unione africana, con la quale stiamo cooperando in modo molto stretto per tentare di risolvere un problema grave: il problema del Darfur.

Infine, pochissimi giorni fa, sempre nello stesso mese, il Segretario generale delle Nazioni Unite ci ha chiesto di prepararci ad adottare una decisione su un possibile coinvolgimento dell’Unione europea nella sicurezza e nella difesa delle elezioni che si svolgeranno tra pochi mesi in Congo.

Onorevoli deputati, se riflettiamo, anche solo brevemente, su questi ultimi trenta giorni, ci rendiamo conto che se ne possono trarre grandi lezioni. Molte di esse riguardano l’influenza dell’Unione europea nel mondo di oggi, perché in relazione a tutte le problematiche che ho menzionato l’Unione europea ha dovuto svolgere un ruolo fondamentale: la questione della sicurezza energetica, che è fondamentale e continuerà a interessarci per tutto il 2006; la questione dell’Iran, di cui continueremo a occuparci nei prossimi giorni e senza dubbio anche oltre, e su cui tornerò tra un momento; le elezioni in Palestina e le relative conseguenze; la morte del Presidente Rugova e le conseguenze che avrà nel 2006, speriamo solo nel 2006; gli accordi definitivi sullo statuto del Kosovo; le questioni riguardanti i cambiamenti intervenuti nell’Unione africana, con la quale intratteniamo relazioni di profonda amicizia, affetto e cooperazione.

Se il Presidente me lo permette, farò alcune brevi osservazioni sulle problematiche che ho segnalato, le più importanti questioni emerse in quest’ultimo mese, che senza dubbio costituiranno il programma di base del Parlamento e dell’Unione europea nel 2006, ma vorrei prima dire ancora una volta alla Presidenza del Parlamento e agli onorevoli deputati che l’Unione europea è senza alcun dubbio un soggetto fondamentale in politica estera, che deve continuare a esserlo, che l’esperienza dimostra che – ci piaccia o meno – dobbiamo esserlo, e che in soli trenta giorni ci siamo dovuti occupare di tantissime questioni, il che a volte ci ha persino impedito di pensare, tanto è stata intensa l’attività cui ci siamo dedicati durante tutto questo mese.

Onorevoli deputati, stamattina la commissione per gli affari esteri del Parlamento ha ricevuto due rappresentanti dell’Ucraina: il ministro degli Esteri Tarasyuk e Yulia Timoshenko, un’insigne parlamentare. La commissione per gli affari esteri ha preso atto – mi auguro che molti di voi abbiano potuto commentarla – della difficile situazione in cui versa l’Ucraina, un paese amico, un paese fondamentale per la stabilità e la sicurezza in Europa. Circa un anno fa, tutti noi, il Parlamento europeo e io stesso, tentavamo di risolvere un problema gravissimo in Ucraina. Oggi, a distanza di un anno, molti problemi presenti allora non sono più altrettanto gravi, ma, purtroppo, sono ancora abbastanza gravi da imporci di continuare a lavorare, sostanzialmente per assicurare che tale paese non perda la strada, che tale grande paese continui ad avanzare in direzione dello sviluppo economico e politico, della sicurezza e del ravvicinamento all’Europa che tutti auspichiamo. Gli onorevoli deputati che stamattina hanno ascoltato il ministro degli Esteri e l’onorevole Yulia Timoshenko si saranno resi conto che, purtroppo, il problema è molto serio e dobbiamo dedicargli un’attenzione speciale.

Nei pochi minuti di cui dispongo in questo primo intervento non scenderò in maggiori particolari, ma voglio dire che le elezioni che si svolgeranno in Ucraina, non fra un anno, ma fra due mesi, saranno assolutamente fondamentali per tutti noi, non solo per l’Unione europea, ma indubbiamente anche per l’Ucraina e per tutti i paesi della regione orientale del nostro continente, che saranno condizionati dai risultati di tali elezioni.

Sarebbe molto triste per tutti noi se quella che un anno fa abbiamo definito “rivoluzione arancione” dovesse smettere di essere una rivoluzione arancione e diventare una rivoluzione di altro genere, o costituire un passo indietro dopo la serie di passi avanti compiuti da tale paese un anno fa.

Signor Presidente, mi permetta di passare al secondo punto che vorrei affrontare: la situazione con l’Iran. Credo che gli onorevoli deputati siano bene informati su quanto è accaduto in Iran dopo il 3 gennaio di quest’anno, solo poco tempo fa, e soprattutto che cosa è accaduto dopo il 13 gennaio, data in cui l’Unione europea ha deciso, a Berlino, di richiedere la convocazione di una riunione straordinaria del Consiglio dei governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica e successivamente invitare tale Consiglio a trasmettere il dossier sull’Iran al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. D’allora sono successe molte cose, perché i giorni passano come se fossero secondi e i mesi come se fossero ore. Posso dirvi che, in questo preciso momento, i rappresentanti della Cina e della Russia sono a Teheran, con un mandato dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza più l’Unione europea, per tentare di compiere un ultimo sforzo al fine di pervenire a un accordo nella riunione che si svolgerà il 2 febbraio, ossia domani. Posso dirvi che l’altro ieri notte, fino alle prime ore del mattino, i membri dell’Unione europea e gli Stati Uniti hanno condotto una riunione, a mio parere molto importante, con la Russia e la Cina per raggiungere un accordo su un progetto di risoluzione. Posso dirvi che l’accordo è stato raggiunto e sarà presentato oggi pomeriggio a Vienna e discusso domani.

E’ un progetto di risoluzione, onorevoli deputati, nel quale si lanciano i seguenti appelli: in primo luogo, si invita l’Iran a ripristinare la situazione precedente, ovvero ad abbandonare le sue aspirazioni in materia di arricchimento dell’uranio e a ritornare a una posizione di negoziato; in secondo luogo, si sollecita l’approvazione della risoluzione che sarà presentata oggi pomeriggio, con il sostegno della Russia e della Cina, e la trasmissione di tale risoluzione e di tutte le risoluzioni collegate, adottate negli ultimi mesi, al Consiglio di sicurezza e si invita quest’ultimo a non adottare alcuna risoluzione fino alla riunione regolare di marzo del Consiglio dei governatori. E’ nostra intenzione trasmettere un messaggio chiaro alle autorità iraniane e, al tempo stesso, conseguire il maggiore consenso possibile in seno alla comunità internazionale.

La questione che stiamo trattando è fondamentale, ed è legata alla proliferazione delle armi di distruzione di massa; ci sembra quindi essenziale conseguire il più ampio accordo possibile tra i membri della comunità internazionale e, specificamente, tra i membri del Consiglio dei governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Non posso dire di essere ottimista, perché è difficile essere ottimista su questi problemi, ma sono convinto che nelle ultime ore siano stati compiuti enormi sforzi tra tutti i membri della comunità internazionale, guidati, senza alcun dubbio, dalle posizioni che l’Unione europea sostiene da diversi mesi e anni.

(Applausi)

Ci auguriamo quindi che il dibattito che comincerà domani, e che sicuramente durerà più di un giorno, ci permetterà di compiere progressi verso una razionalizzazione della posizione dell’Iran sulle questioni legate all’energia nucleare.

Il terzo punto che vorrei affrontare molto brevemente, signor Presidente, perché il tempo stringe, è l’esito delle elezioni in Palestina. Ho già accennato all’ottimo lavoro realizzato dall’Unione europea in termini di osservazione; vorrei proporre due o tre riflessioni sui risultati. Onorevoli deputati, i risultati sono stati una sorpresa per tutti: una sorpresa per Hamas, una sorpresa per Al Fatah, una sorpresa per Israele e una sorpresa per la comunità internazionale.

Di sicuro ci si attendeva che Hamas ottenesse risultati migliori di quelli raggiunti in precedenza, ma nessuno – né all’interno di Hamas, né all’interno di Al Fatah, né nella comunità internazionale – si aspettava un tale successo di Hamas.

Quali sono le posizioni che a mio parere dovremmo adottare in questo momento? Non si tratta di posizioni personali, ma di posizioni definite dal Consiglio “Affari generali”, dai ministri degli Esteri lunedì mattina – quindi recentissime – e in seno al Quartetto, lunedì pomeriggio, con i nostri amici russi e statunitensi e con il Segretario generale delle Nazioni Unite.

Onorevoli deputati, riteniamo – e credo a ragione – che si debba continuare ad aiutare il Presidente Abu Mazen. Si è presentato alle elezioni con una piattaforma che noi sosteniamo: compiere progressi verso la pace, riconoscere la necessità di negoziare con Israele, porre fine all’intifada e attuare la tabella di marcia. Queste erano le posizioni del Presidente Abu Mazen, per le quali ha ottenuto il sostegno massiccio dei suoi concittadini palestinesi.

Si sono poi svolte le elezioni, che sono state vinte da Hamas con un’ampia maggioranza, una maggioranza assoluta, sulla base di una piattaforma che per certi versi è diversa da quella del Presidente Abbas. Non vi è quindi alcun dubbio che, in futuro – quando il governo sarà formato in seguito a negoziati che dureranno, con tutta probabilità, diverse settimane ed è quindi verosimile che non vi sarà un governo per almeno due o tre mesi – potremmo assistere a un conflitto tra le posizioni delle parti, tra ciò che il Presidente Abu Mazen ha rappresentato e ciò che Hamas rappresenta.

La dichiarazione di lunedì del Consiglio dei ministri degli Esteri, successivamente riconosciuta anche nella riunione del Quartetto, contiene affermazioni a mio parere importanti, che è utile conoscere e soprattutto è utile spiegare. Affermiamo chiaramente che, secondo la relazione degli osservatori, in particolare del capo missione, le elezioni si sono svolte in modo trasparente, pulito ed equo. Nella dichiarazione, affermiamo poi che l’Europa è assolutamente disposta a continuare a lavorare con gli amici palestinesi, con i quali abbiamo cooperato per molti anni, sin dal processo di Oslo, durante il quale abbiamo investito notevoli risorse economiche europee e anche risorse politiche e psicologiche e siamo disposti a continuare a farlo; senza alcun dubbio, siamo disposti a continuare a farlo nel periodo che precederà la formazione del nuovo governo. Tuttavia, una volta formato il nuovo governo, se sarà guidato da Hamas, l’Assemblea dovrà riflettere sulla situazione e stabilire alcune condizioni.

Sarebbe difficile per il Parlamento europeo e l’Unione europea nel suo insieme astenersi dal dire chiaramente agli amici palestinesi alcune cose, in particolare tre: la prima è che la violenza non è compatibile con i risultati elettorali in una democrazia. In una democrazia, i partiti eletti devono rinunciare alla violenza e devono osservare le norme democratiche.

(Applausi)

La seconda cosa che dobbiamo dire con la stessa amicizia e lo stesso affetto che da sempre proviamo per gli amici palestinesi è che, se vogliono l’assistenza dell’Unione europea, è indispensabile che la loro politica sia compatibile con le posizioni che il Parlamento e l’Unione europea sostengono sin dagli accordi di Oslo del 1993. Vogliamo due Stati che coesistano in pace e prosperità; vogliamo che i negoziati si svolgano in modo pacifico – in nessun altro modo – e invitiamo quindi le due parti – se è ciò che desideriamo – a procedere al reciproco riconoscimento. Sarebbe impossibile per il Parlamento sostenere qualsiasi accordo che non preveda un esplicito riconoscimento da parte di tutte le autorità palestinesi, quali che siano, del fatto che Israele è una realtà con la quale devono dialogare e raggiungere l’accordo.

In terzo luogo, dobbiamo dire ai nostri amici palestinesi – l’ho detto personalmente in varie occasioni dopo le elezioni e posso parlare con il Presidente praticamente tutti i giorni – che sarebbe molto utile se il nuovo governo, che sarà formato dopo queste elezioni nell’arco di tre mesi, riconoscesse anche tutti gli accordi siglati dall’Autorità palestinese negli ultimi anni. Sarebbe assurdo ricominciare da zero dopo tutto il lavoro svolto durante un periodo lunghissimo e che anche molti di voi hanno svolto a lungo.

Onorevoli deputati, questo è dunque ciò che intendiamo dire, molto semplicemente, e ritengo che tutti debbano comprenderlo; credo e spero che gli amici palestinesi, a prescindere dal partito cui aderiscono, a prescindere dal partito o dalla formazione che hanno rappresentato nelle elezioni, comprendano che con questo non intendiamo imporre niente a nessuno, né tentare di forzare la volontà di chicchessia, bensì esprimere in modo chiaro e semplice quella che è la posizione dell’Unione europea, non da ieri, ma dal 1993, quando sono stati firmati gli accordi di Oslo. Ritengo si debba essere tutti uniti in questo compito; ritengo che, come abbiamo fatto in sede di Consiglio “Affari generali”, come ha fatto il Quartetto la notte successiva, si debba essere fermi al riguardo. Ciò non significa che in questi momenti difficili, in questi momenti in cui il Presidente Abu Mazen ha l’enorme responsabilità di formare il governo e prendere contatto con tutte le diverse forze politiche, non aiuteremo, o non aiuteremo nella massima misura possibile, il Presidente Abu Mazen finché ha ancora il controllo della situazione, al fine di assicurare che nei prossimi tre mesi, che saranno sicuramente necessari per formare il nuovo governo, non si verifichi un tracollo economico nei territori palestinesi.

A mio parere, commetteremmo un errore gravissimo, dal punto di vista economico, se ora abbandonassimo il Presidente Abu Mazen e se tali risorse non fossero utilizzate o non giungessero a destinazione, e correremmo il rischio di lasciare l’Autorità palestinese in una situazione di estrema difficoltà in un momento già di per sé difficile.

(Applausi)

E’ un invito rivolto a tutti noi e al Parlamento europeo – se a un certo punto la Commissione presenterà una richiesta o una raccomandazione al Parlamento europeo in tal senso, e spero lo faccia – a mostrare generosità e sostenere il Presidente Abu Mazen nei mesi che rimangono prima della formazione del nuovo governo, affinché quest’ultimo possa insediarsi e trovare un posto per sé e per ciò che rappresenta. Ritengo si debba dire “sì”, un sonoro “sì”, perché così sia in futuro.

Vorrei dire che la situazione che dovremo affrontare sarà nuova, difficile, non sarà facile, ma sono convinto che dobbiamo continuare a impegnarci per assicurare che il processo di pace prosegua alle condizioni che ho menzionato poc’anzi. Non sono condizioni assurde, come ho detto; non sono condizioni saltate fuori dal nulla, sono frutto di molti anni di lavoro, di lavoro comune, di lavoro con i nostri amici palestinesi per garantire che questo processo possa proseguire.

Signor Presidente, vorrei ora spendere un paio di parole sulla situazione in Kosovo in seguito alla morte del Presidente Rugova. Ho avuto il triste compito – ma che ho assolto volentieri – di partecipare al funerale del Presidente Rugova. La famiglia mi ha chiesto di prendere la parola a nome dell’Unione europea e l’ho fatto. L’ho fatto pensando a tutti voi, l’ho fatto pensando a tutti i cittadini d’Europa, che sono certo fossero vicini al Presidente Rugova in tale momento. Tuttavia, non dobbiamo farci illusioni: sarà un processo difficile. Infatti, se il processo era già difficile quando il Presidente Rugova era vivo e agiva come una specie di “ombrello”, per così dire, per tutte le operazioni politiche da affrontare, possiamo immaginare come sarà senza di lui. Nel mio intervento, ho chiesto ai dirigenti politici e alla popolazione del Kosovo in generale di dar prova di generosità, unità e responsabilità per poter compiere progressi e credo che in certa misura tali parole, pronunciate da me e da altri, siano state ascoltate: oggi vi è già una persona che sostituisce il Presidente Rugova, cosa che temevo avrebbe richiesto molto più tempo, e che presiederà anche il gruppo che, sotto la direzione dell’ex Presidente della Finlandia Ahtisaari, condurrà i negoziati con i nostri amici serbi.

Speriamo quindi di poter procedere in tale direzione e di poterlo fare con relativa rapidità, ma torno a insistere sulla necessità di spendere grandi energie per proseguire lungo questo cammino fino alla soluzione definitiva della situazione in Kosovo, che senza dubbio rappresenta un passo essenziale per la stabilità nell’intera regione dei Balcani, per la stabilità dei paesi ai quali abbiamo offerto la prospettiva dell’adesione europea al Vertice di Salonicco e in molte altre occasioni.

Signor Presidente, temo che il tempo a mia disposizione si stia esaurendo e mi spiacerebbe molto non riuscire a trattare alcune altre questioni che intendevo discutere con voi, considerata l’intensa attività di questi ultimi venti giorni. Vorrei dire che continuiamo a lavorare sodo con l’Unione africana per tentare di risolvere il problema della pace in Darfur. Abbiamo compiuto molti progressi nei negoziati nord-sud e si è raggiunto un accordo, ma il processo di Abuja purtroppo non procede. Stiamo facendo tutto il possibile al riguardo. Fortunatamente, la riunione dell’Unione africana ha trovato una formula di compromesso, in base alla quale il Presidente dell’Unione africana sarà il Presidente del Congo Brazzaville anziché il Presidente del Sudan, fatto che avrebbe creato grandi problemi per i negoziati futuri. Saremo quindi lieti di fare tutto il possibile perché il processo di Abuja prosegua e, al tempo stesso, cominceremo a pianificare – perché dovremo assumerci molte responsabilità – la transizione da una forza presente sul terreno, diretta dall’Unione africana, a una forza che prima o poi, ma entro pochi mesi, sarà costituita dai caschi blu delle Nazioni Unite e con la quale senza dubbio dovremo continuare a cooperare.

L’ultima cosa che vorrei dire, signor Presidente, è che, come gli onorevoli deputati sanno, abbiamo ricevuto la richiesta, o per lo meno la Presidenza e io abbiamo ricevuto dal Segretario generale delle Nazioni Unite la richiesta di esaminare la possibilità di offrire assistenza nelle elezioni che si svolgeranno nella Repubblica democratica del Congo e che imprimeranno lo slancio finale al processo di transizione democratica in tale paese; se tutto va bene, questo processo porterà stabilità in una parte significativa della colonna vertebrale dell’Africa; si tratta quindi di una questione fondamentale per tutti noi. Ci è stato chiesto aiuto e oggi a Kinshasa è presente una missione conoscitiva, che mi auguro possa presentare i suoi risultati il 7 febbraio, fra pochi giorni, per permetterci di capire se, in definitiva, gli Stati membri dell’Unione europea possano sostenere le Nazioni Unite in risposta a tale offerta, o richiesta. Accettarla sarebbe una decisione positiva.

Onorevoli deputati, signor Presidente, termino qui. Sarebbe infinita la quantità di cose che vorrei condividere con voi in questo primo giorno di febbraio 2006, un anno che è cominciato con un’attività davvero frenetica, che ci renderà tutti frenetici e che deve indurci a lavorare con un’energia, una capacità e un impegno che raramente abbiamo visto nell’Unione europea.

Per volontà degli onorevoli parlamentari, per volontà dei cittadini d’Europa e per volontà dei governi d’Europa, l’Unione europea deve essere un soggetto fondamentale sulla scena internazionale. Come avete appena sentito, onorevoli deputati, considerando ciò che è accaduto soltanto in quest’ultimo mese, non ci resta altra scelta se non quella di svolgere tale ruolo, che ci piaccia o meno: non possiamo chiudere gli occhi davanti ai problemi del mondo e vorrei dire che il mondo vuole un’Europa attiva. Ovunque si vada, si incontrano persone, leader politici, che bussano alla porta dell’Europa dicendo: “Agite. Agite. Ci piace il vostro modo di agire; siamo soddisfatti del vostro modo di agire; il vostro modo di agire è migliore per il mondo, il mondo multilaterale in cui credono i cittadini dell’Unione”.

L’Eurobarometro, signor Presidente, ci dice ogni giorno, ogni mese, oppure ogni due mesi, od ogni volta che lo consultiamo, ciò che vogliono i deputati al Parlamento. Proseguiamo dunque lungo questo cammino, cerchiamo di far sì che il Parlamento e tutte le Istituzioni possano lavorare insieme, perché siamo necessari, se vogliamo creare un mondo migliore.

Signor Presidente, avrei ancora molto da dire, ma so che non è possibile. Mi fermerò qui, dunque, e attenderò le eventuali domande che gli onorevoli deputati vorranno pormi; mi sforzerò di rispondere nel miglior modo possibile, con lo stesso rispetto e con lo stesso affetto che ho sempre provato per il Parlamento. Onorevoli deputati, vi ringrazio.

(Applausi)

 
  
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  Elmar Brok (PPE-DE), relatore. – (DE) Signor Presidente, signor Alto rappresentante, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, onorevoli colleghi, se consideriamo le basi da cui è partita la politica estera e di sicurezza europea diversi anni fa, possiamo solo constatare che ci sono state conquiste straordinarie e che nei Balcani si stanno ottenendo risultati prima d’ora impossibili, attraverso la troika dell’Unione e in molti altri ambiti, e che l’Unione europea, tramite la politica di allargamento, la politica di vicinato, la politica per il Mediterraneo e molte altre iniziative ha apportato un enorme contributo alla stabilità globale.

Il Parlamento ha sempre sostenuto questo lavoro e sa bene di non poter condurre una politica estera attiva, in quanto tale compito spetta all’Esecutivo. Il Parlamento deve però avere la possibilità di esercitare un controllo. La situazione in cui siamo ci impedisce tuttavia di esercitare tale controllo in modo adeguato, in quanto il più delle volte siamo informati dopo, anziché essere coinvolti a priori nel processo di discussione. Dobbiamo sforzarci di introdurre miglioramenti in questo ambito e procedere secondo questa interpretazione dell’articolo 21. Mi auguro sia possibile ottenere l’accordo del Consiglio e della Commissione al riguardo in modo pacifico.

Tuttavia, dobbiamo anche essere consapevoli del fatto che l’Assemblea finora ha potuto far ricorso quasi solo ad argomenti legati al bilancio per far valere il proprio parere. Dobbiamo superare questa situazione, per far sì che il Parlamento possa esercitare un migliore controllo ed essere consultato.

Ci si può chiedere, per esempio, che cosa stia succedendo in Congo. Abbiamo tutti letto sui giornali che si sta valutando la possibilità di un intervento militare in tale paese, ma nessuno, in nessuna fase della procedura, ha pensato di informarne preventivamente il Parlamento o la sua commissione competente. Non credo si possa andare avanti così.

Ho detto che si sono ottenuti molti risultati positivi, ma un bicchiere può essere considerato mezzo pieno o mezzo vuoto. La situazione è molto più complicata rispetto a un anno fa, e non per colpa della politica europea, ma per le circostanze di fatto, e l’Alto rappresentante Solana ha fornito alcuni esempi all’inizio dell’anno. Si pensi solo alla situazione in Iran, dove stiamo faticosamente tentando di avviare trattative e dove nessuno ha un’idea reale del modo in cui prevenire un aggravamento della situazione; alla possibilità che in Iraq si instauri un governo sciita, che potrebbe allearsi con l’Iran; ad Hamas, che ha vinto le elezioni in Palestina e ha legami con l’Iran, dal quale riceve finanziamenti, per non menzionare gli Hezbollah e tutto il resto. Se si pensa al significato di questo scenario in termini di pace nel mondo, e anche in termini di sicurezza del nostro approvvigionamento energetico, e si osserva al tempo stesso il modo in cui una Russia politicamente rinata usa l’energia come strumento politico, destando preoccupazioni nei paesi del nostro vicinato riguardo alla possibilità di conservare la loro indipendenza e libertà di scelta, lo scenario può essere molto deprimente. E questi sono solo alcuni esempi. L’intero scenario dimostra che noi, nell’Unione europea, ci troviamo in una situazione peggiore, in termini di politica estera, rispetto a quella di un anno fa e dobbiamo quindi elaborare una strategia adeguata. Dobbiamo essere molto più attivi e, che si tratti della situazione in Ucraina o della politica energetica in generale, dobbiamo stabilire collegamenti in modo che nessun singolo paese sia penalizzato, e unirci e difendere insieme i nostri interessi. Gli Stati membri e i nostri vicini devono comprendere che possiamo difendere i nostri interessi soltanto se agiamo insieme, anziché ciascuno per proprio conto. Nessuno di noi può salvarsi da solo; soltanto insieme possiamo difendere i nostri interessi e questo concetto deve essere affermato con maggiore chiarezza.

(Applausi)

Dobbiamo apportare il nostro contributo anche nei Balcani, dove quest’anno, con il referendum in Montenegro e i negoziati sullo statuto del Kosovo, si dovranno prendere importanti decisioni. Il modo in cui coinvolgere la Serbia in questo processo è una delle questioni più significative e difficili da risolvere. E’ altresì necessario un netto miglioramento delle relazioni transatlantiche, in modo che, attraverso i valori condivisi, si possano trovare soluzioni per lo scenario che ho descritto poc’anzi.

Ciò significa inoltre che dobbiamo essere abbastanza forti da esercitare un’influenza sulla politica americana e rafforzare quindi la dimensione preventiva della politica e il suo carattere di dialogo, al fine di garantire maggiore sicurezza in un mondo multilaterale.

Significa che dobbiamo affinare alcuni nostri strumenti. Vorremmo che l’Alto rappresentante Solana diventasse ministro degli Esteri dell’Europa il 1° gennaio 2007, ma il fallimento della Costituzione impedisce la realizzazione di tale obiettivo. Di conseguenza, è necessario migliorare i nostri strumenti per rafforzare al massimo l’efficacia di tutte le Istituzioni ed evitare che operino l’una contro l’altra.

Come ha affermato Javier Solana, il mondo vuole una politica estera europea, anche in ragione di questo approccio multilaterale. Anche i cittadini vogliono una politica estera europea; nulla sta loro altrettanto a cuore della necessità di un’azione comune in questo ambito. Ciò ci impone l’obbligo di cooperare con le nostre controparti a livello nazionale al fine di abbandonare le mezze misure del passato e decidere in che modo garantire il diritto alla vita dei nostri cittadini.

(Applausi)

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, nell’introdurre la sua dichiarazione, l’Alto rappresentante si è riferito ai primi 31 giorni dell’anno – e quindi anche di Presidenza austriaca del Consiglio – definendoli turbolenti, e di fatto lo sono stati. Se ne può avere conferma consultando l’ordine dei lavori della prima riunione del Consiglio svoltasi sotto la Presidenza austriaca due giorni fa.

Era importante esaminare in seno al Consiglio le questioni emerse, molte delle quali sono state descritte dal signor Solana, e pervenire a decisioni che contenessero un messaggio chiaro, perché è molto importante che l’Unione europea si esprima in modo chiaro, inequivocabile e con una sola voce sulle importanti questioni di oggi, ed è ciò che stiamo facendo, naturalmente insieme con la Commissione e ricercando al tempo stesso il dialogo con il Parlamento europeo. Vorrei ricordare che, nei 31 giorni di Presidenza austriaca finora trascorsi, il ministro degli Esteri, molti altri Presidenti in carica del Consiglio e io stesso abbiamo avuto più occasioni di discutere con voi varie questioni di vostro interesse. Ieri ho inoltre avuto la possibilità – per la quale sono molto grato – di riferire alla commissione per gli affari esteri in merito agli aspetti della politica estera trattati nella prima riunione del Consiglio sotto la Presidenza austriaca. La Presidenza austriaca intende continuare a garantire questa disponibilità a svolgere discussioni a nome del Consiglio e desidera proseguire il dialogo con l’Assemblea.

In questa breve dichiarazione, vorrei concentrarmi essenzialmente su due punti: in primo luogo, la relazione annuale del Consiglio al Parlamento europeo relativa agli aspetti principali e alle scelte di base della politica estera e di sicurezza comune – che è il tema all’ordine del giorno – e, in secondo luogo, le relazioni tra l’Assemblea e il Consiglio per quanto riguarda il bilancio per tale politica.

Innanzi tutto, l’accordo interistituzionale del 1999 sulla disciplina di bilancio e il miglioramento della procedura di bilancio prevede che il Consiglio elabori una relazione in cui siano esposti gli aspetti principali e le scelte di base della PESC, comprese le implicazioni finanziarie per il bilancio generale. Nell’aprile 2005 il Consiglio ha quindi trasmesso al Parlamento la relazione per il 2004, che oggi figura all’ordine del giorno, nella quale cerca di soddisfare la richiesta del Parlamento e di illustrare la strategia europea in materia di sicurezza. Di conseguenza, la relazione presta particolare attenzione alle questioni di grande rilievo per tale strategia, segnatamente gli aspetti della politica estera e di sicurezza comune riguardanti, per esempio, la gestione delle crisi e la prevenzione dei conflitti, la lotta al terrorismo, il disarmo e la non proliferazione delle armi di distruzione di massa e delle armi di piccolo calibro, le relazioni esterne in diverse regioni geografiche e così via.

Il Consiglio si è sforzato di produrre una relazione esauriente, che fornisse una descrizione accurata dei risultati e delle attività legate alla politica estera e di sicurezza comune. Queste relazioni rappresentano un obbligo per il Consiglio e contribuiscono a rendere visibile e trasparente il lavoro svolto nel contesto della PESC. Si è inoltre fatto il possibile per recepire i pareri del Parlamento europeo, motivo per cui la relazione comprende un capitolo speciale, con una descrizione generale delle attività future e indicazioni per le attività del prossimo anno e per le possibili reazioni a eventuali crisi.

Se posso ora passare al secondo tema, il bilancio per la PESC, vorrei rilevare che lo sviluppo della politica estera e di sicurezza comune e della politica europea in materia di sicurezza e difesa è senza dubbio uno dei successi dell’Unione europea. Le operazioni di gestione delle crisi nei Balcani, in Africa, Asia e Medio Oriente hanno contribuito a rafforzare il profilo dell’Unione europea sulla scena internazionale. Continuare a seguire questa linea in conformità della strategia europea in materia di sicurezza è una priorità, ma lo si può fare in modo efficace soltanto con finanziamenti adeguati. Nelle conclusioni dell’accordo sulle prossime prospettive finanziarie, il Consiglio europeo invita “l’autorità di bilancio ad assicurare un incremento sostanziale del bilancio per la politica estera e di sicurezza comune dal 2007 per soddisfare le reali esigenze prevedibili, valutate in base a previsioni elaborate annualmente dal Consiglio, unitamente ad un ragionevole margine per gli imprevisti”.

La decisione adottata in sede di trilogo di aumentare di 40 milioni di euro il bilancio per la PESC, portandolo a un totale di 102,6 milioni di euro per l’anno in corso, il 2006, è un passo nella giusta direzione. Tuttavia, ci attendono sfide enormi. Un intervento attivo dell’Unione europea in Kosovo verosimilmente richiederà risorse considerevoli, che l’attuale bilancio per la PESC per il 2006 non sarà in grado di fornire. Si sta lavorando per individuare il modo in cui far fronte a una situazione di questo tipo.

La relazione della Presidenza al Consiglio europeo sulla PESD invita la Presidenza austriaca a proseguire i lavori volti a garantire un finanziamento adeguato per le missioni civili nel quadro della PESD tramite il bilancio per la PESC. La Presidenza è impaziente di instaurare una cooperazione costruttiva con il Parlamento europeo in materia e fornirà entro breve le informazioni pertinenti, in conformità dell’accordo sul bilancio 2006 raggiunto in sede di trilogo. Si prevede che il rappresentante del Comitato politico e di sicurezza riferisca in materia nel marzo di quest’anno.

Permettetemi di concludere ribadendo ancora una volta che la Presidenza è impaziente di instaurare una cooperazione costruttiva con l’Assemblea, al fine di ottenere un bilancio per la PESC più cospicuo ed efficace nei negoziati sul futuro accordo interistituzionale e nella procedura di bilancio per il 2007.

(Applausi)

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, se nel 2004 e 2005 abbiamo assistito al terribile scenario dello tsunami, concordo con l’Alto rappresentante Solana sul fatto che quest’anno ci attendono sfide politiche complesse.

Vorrei cominciare con la situazione tra l’Ucraina e la Russia, perché solleva una questione molto importante. Come sapete, la Commissione – il Presidente Barroso, il Commissario Piebalgs e io – lavora sia dietro le quinte sia in prima linea per facilitare il dialogo tra l’Ucraina e la Russia. Innanzi tutto, l’aspetto importante è che noi – come loro – abbiamo trovato una soluzione. In secondo luogo, abbiamo anche appreso una lezione significativa da questa situazione, ossia che la questione dell’energia riveste enorme importanza e dobbiamo accordarle maggiore priorità nella nostra agenda politica. La questione dell’energia comprende la sicurezza energetica, la diversificazione e il modo in cui affrontare questa problematica in futuro. La Commissione preparerà quindi una comunicazione in materia, che terrà conto di tutti questi aspetti.

Il secondo tema che vorrei affrontare è quello delle elezioni palestinesi. Vorrei esprimere le mie congratulazioni all’onorevole De Keyser. Ci siamo incontrate a Gaza due settimane fa in circostanze difficili, quando la situazione della sicurezza era ancora poco chiara. Pensavamo che Hamas avrebbe ottenuto il 30-40 per cento dei voti e, come chiunque altro, siamo state colte di sorpresa dal risultato. Vorrei tuttavia rilevare che l’aspetto più importante è che le elezioni si sono svolte in modo libero ed equo e in condizioni di relativa sicurezza. Questa è già una conquista, e mi induce a ritenere che le missioni di osservazione elettorale stiano diventando sempre più importanti. Ne abbiamo avuto una dimostrazione in Sri Lanka, in Palestina, a Gaza e in Afghanistan, per citare solo alcuni esempi. In futuro, potremo constatarlo in Congo e ad Haiti. Si tratta di uno strumento molto importante, che senza dubbio vorremo usare a favore di tutti i nostri amici europei in seno al Parlamento e al Consiglio, nonché a favore dei cittadini europei.

Per tornare alla Palestina, lunedì si è svolta un’importantissima riunione del Consiglio, cui ha fatto seguito in serata una riunione del Quartetto. Il signor Solana ha già illustrato l’orientamento generale, fondato su tre principi importanti: l’impegno a rinunciare alla violenza, il riconoscimento dello Stato di Israele da parte del nuovo governo palestinese e il rispetto degli obblighi esistenti, ovvero gli accordi di Oslo e la roadmap.

Tuttavia, dobbiamo anche affrontare una sfida. Il governo ad interim potrebbe rimanere in carica per due o tre mesi. Come ci comportiamo, in particolare per quanto riguarda l’assistenza finanziaria? La Commissione dovrà trovare soluzioni. Ho già detto che cercheremo di liberare 10 milioni di euro del nostro strumento per le infrastrutture, a carico del quale vi sono fondi disponibili. Abbiamo anche detto che forniremo assistenza per i servizi, con pagamenti diretti agli israeliani per aiutare anche tale governo.

Dobbiamo tuttavia anche verificare che cosa si possa fare con le risorse del nostro fondo fiduciario presso la Banca mondiale. E’ stato bloccato e non sono stati erogati fondi perché i parametri di riferimento non erano ancora stati soddisfatti. Una missione della Banca mondiale si recherà sul posto e noi dovremo valutare il da farsi. Ciò significa che cercheremo di lavorare in modo coerente, insieme con il Presidente, il Consiglio, il segretariato del Consiglio e il signor Solana, per stabilire quali siano gli strumenti migliori da usare per garantire quanto prima la coerenza, la rapidità e l’efficacia della politica estera.

Restando sull’argomento della politica estera, presto si svolgeranno le elezioni in Ucraina. In queste ultime ore ho incontrato il Ministro Tarasyuk. Sappiamo quanto siano importanti tali elezioni. Anche in questo caso, una missione di osservazione dell’OCSE, magari con il vostro sostegno, sarà fondamentale.

Possiamo inoltre ricordare che nel 2005 è stato fatto molto, per esempio, riguardo alla situazione dell’economia di mercato, ambito in cui abbiamo lavorato con l’Ucraina. Si possono affrontare varie questioni importanti, come l’agevolazione delle pratiche relative ai visti e alla riammissione. Ci auguriamo di poter offrire all’Ucraina, in seguito a elezioni libere ed eque, un accordo più ambizioso, per esempio un accordo di libero scambio. Il paese potrebbe così assumere una posizione e un atteggiamento addirittura migliori nei nostri confronti.

Tutto ciò rimanda a questioni più generali. Sia l’onorevole Brok sia il Sottosegretario di Stato Winkler, il Presidente in carica del Consiglio, hanno sottolineato l’importanza della coerenza tra i diversi strumenti a disposizione dell’Unione europea nel primo e nel secondo pilastro. Non potrei essere più d’accordo. A nostro parere, è essenziale assicurare che tutti gli strumenti di politica estera dell’Unione – aiuti allo sviluppo, diplomazia, politica commerciale, gestione delle crisi civili e militari, rafforzamento delle istituzioni, assistenza umanitaria – funzionino come elementi di un insieme coerente, come gli ingranaggi di una macchina ben oliata. In fondo, è questa la giustificazione logica della “piena associazione” della Commissione alla politica estera e di sicurezza comune. E’ anche la direzione verso cui ci stava indirizzando il Trattato costituzionale. Come evidenzia la relazione dell’onorevole Brok, le sfide cui dobbiamo rispondere in termini di sicurezza interessano settori che rientrano in tutti e tre i pilastri dell’Unione.

La sicurezza non comporta solo la difesa e l’intervento militare, ma anche la gestione delle crisi civili e una saggia gestione delle relazioni bilaterali, che sono tantissime. Sicurezza significa anche salute pubblica: pensate all’influenza aviaria. Significa ambiente: pensate al Protocollo di Kyoto. Significa lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata. Ieri si è svolta la conferenza sull’Afghanistan. Sicurezza significa anche lavorare insieme per rafforzare le istituzioni, o lottare contro il flagello delle droghe. Disponiamo di molti strumenti che possiamo usare e applicare insieme. Non si tratta solo di approvvigionamento e di prezzi dell’energia, ma anche di lotta contro la povertà nel mondo e di capacità di integrare le popolazioni migranti.

Sempre più spesso l’Unione europea è chiamata a rispondere a queste responsabilità globali in materia di pace e sicurezza. Per farlo, disponiamo ora di una formidabile cassetta degli attrezzi. Tuttavia, anche una cassetta ben rifornita si rivela inutile se gli attrezzi non funzionano bene insieme. Questo deve dunque essere il nostro obiettivo. Una risposta efficace alle crisi richiede strumenti che si integrino a vicenda. Abbiamo bisogno di strumenti comunitari incisivi, che intervengano parallelamente agli strumenti della PESC. E’ una formula che può funzionare. Per esempio, il nostro contributo al processo di pace di Aceh è un misto di strumenti PESC e comunitari. La Commissione ha anche finanziato, per esempio, i negoziati di pace del Presidente Ahtisaari utilizzando il meccanismo di reazione rapida. Abbiamo quindi cercato di essere flessibili.

La PESC ha lanciato la missione di osservazione di Aceh per verificare il rispetto dell’accordo di pace. Al tempo stesso, per esempio, la Commissione e gli Stati membri, in cooperazione con la comunità internazionale, hanno adottato un pacchetto di misure a lungo termine per sostenere il processo di pace. Un altro esempio è la missione di assistenza alle frontiere in Moldavia e Ucraina, dove la Commissione finanzia l’invio di squadre mobili per fornire consulenza e formazione sul lavoro agli operatori di frontiera e doganali moldavi e ucraini.

L’obiettivo a lungo termine di facilitare la soluzione del conflitto in Transnistria coincide con quello del Rappresentante speciale dell’Unione. La missione di assistenza alle frontiere lavora quindi in stretta cooperazione con quest’ultimo. Il capo della nostra missione agisce anche in veste di consulente politico di alto livello del Rappresentante speciale, una delle cui squadre ha sede presso la missione stessa. I primi risultati sono molto positivi. L’assistenza comunitaria rafforza l’impatto dell’assistenza nel quadro della PESC e viceversa.

In entrambi i casi, il contributo dell’Unione europea non sarebbe completo o significativo senza l’impiego congiunto degli strumenti comunitari e della PESC e, aspetto ancora più importante, l’impatto sul campo – sulla vita delle persone – sarebbe notevolmente ridotto.

E’ altresì necessario rafforzare gli strumenti esistenti dell’Unione a sostegno dei nostri obiettivi di sicurezza. La diplomazia richiede carote e bastoni, che si tratti di armi di distruzione di massa o di promuovere la stabilità e la prosperità nel nostro vicinato. L’accesso al mercato interno più grande del mondo o ai nostri generosi programmi di assistenza è una carota considerevole. L’uso complementare degli strumenti comunitari e della PESC deve essere la norma, non l’eccezione.

Nel 2006 sarà compito di noi tutti – Parlamento, Consiglio e Commissione – lavorare al fine di migliorare la coerenza dei nostri pilastri e delle nostre politiche. La questione sarà affrontata anche nel documento di riflessione sull’incidenza esterna dell’Unione, annunciato dal Presidente Barroso a Hampton Court, ora previsto per il Consiglio europeo di giugno. La Commissione si concentrerà, in particolare, sul rafforzamento delle sue capacità di risposta alle crisi. Nell’ambito della DG Relazioni esterne, una “piattaforma per le crisi” migliorerà il coordinamento della politica interna ed estera e garantirà un’attuazione più efficiente dei progetti e delle operazioni. Integrerà gli strumenti esistenti, quali il meccanismo di protezione civile, l’assistenza umanitaria e il meccanismo di reazione rapida.

Vogliamo anche migliorare la nostra strategia di allarme e preparazione alle catastrofi. Nel quadro delle nuove prospettive finanziarie, lo strumento di stabilità contribuirà inoltre ad assicurare la continuità tra gli interventi a breve e lungo termine. Il nostro obiettivo è mettere a punto soluzioni flessibili e in grado di rispondere alle situazioni di crisi ed essere così un partner migliore per la componente militare della reazione alle crisi.

Infine, vogliamo instaurare una stretta cooperazione con i due rami dell’autorità di bilancio, al fine di garantire la disponibilità di risorse adeguate per la PESC. La Commissione accoglie con favore il notevole incremento del bilancio per la PESC nel 2006, volto a rispondere a nuove esigenze concrete. Sappiamo che ne emergeranno di nuove.

Comprendiamo le conclusioni del Consiglio europeo riguardo alle prospettive finanziarie future. Il nostro obiettivo comune deve essere quello di disporre di risorse sufficienti a coprire tutte le priorità delle relazioni esterne, tenendo conto della riduzione del 20 per cento proposta dalla Commissione per la rubrica 4. Alla luce dell’esperienza passata, una questione particolare sarà la necessità di assicurare sufficiente flessibilità per rispondere agli imprevisti. Mi auguro che si continui a sostenere lo strumento di stabilità per poter compiere progressi reali in termini di risposta alle crisi e di coerenza.

Questa è l’impostazione generale che vorremmo seguire per affrontare il 2006 e le sue sfide politiche.

(Applausi)

 
  
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  João de Deus Pinheiro, a nome del gruppo PPE-DE. – (PT) Nulla mi giunge nuovo, perché già da molti anni sono d’accordo con ciò che affermano l’Alto rappresentante Solana e il Commissario Ferrero-Waldner. L’unico punto su cui sono in disaccordo è l’idea che vi siano risorse sufficienti perché l’Unione europea possa essere un soggetto globale, come ha detto il signor Solana e come chiedono i nostri partner e i nostri cittadini. Non è così. Non è così né in termini di risorse, né in termini di organizzazione, e sarebbe bene pensare sin d’ora a come utilizzare meglio gli strumenti del Trattato di Nizza per coordinare in modo più efficace le azioni e l’organizzazione interna.

Per affrontare questa mancanza di risorse dobbiamo stabilire delle priorità e a tal fine il sostegno delle Istituzioni è fondamentale. Inoltre, il sostegno del Parlamento europeo, consultato a priori e non solo informato a posteriori, è indispensabile per ottenere il consenso. Non vi sono quindi grosse differenze tra ciò che abbiamo sentito dal Consiglio e dalla Commissione per quanto riguarda gli orientamenti. Tuttavia, nemmeno i grandi cuochi, nemmeno i migliori chef, come Bocuse o Alain Ducas, riescono a fare una buona frittata se non hanno abbastanza uova.

D’altro canto, oltre all’unità tra le Istituzioni europee, oggigiorno è essenziale garantire l’esistenza di partenariati strategici con i partner principali, il più importante dei quali è il partenariato transatlantico, seguito dai partenariati strategici con la Russia e la Cina e, su un altro piano, con l’India, il Brasile, l’Indonesia e il Pakistan. E’ un aspetto cruciale, tenuto conto delle problematiche internazionali da affrontare, quali il riciclaggio di denaro e il traffico di droga, ma perché diventi una realtà è necessario disporre di risorse adeguate.

Un’altra questione, signor Presidente, cui ha accennato brevemente il Commissario Ferrero-Waldner, è quella dell’immigrazione. A causa dell’invecchiamento della popolazione dell’Unione europea, nei prossimi decenni sarà necessario un afflusso significativo di immigrati, sia dal sud che dall’est. Dovremo dunque sorvegliare la situazione, esercitando una vigilanza attiva e proattiva e attuando politiche interne che ci permettano di accogliere e integrare gli immigrati in modo adeguato, nonché di controllare più efficacemente le nostre frontiere esterne, ora che l’allargamento ha modificato i confini che esistevano fino a poco tempo fa.

Riguardo alle questioni più controverse della discussione, direi che siamo d’accordo sia sulla Palestina, sia sull’Iran. E’ necessaria cautela, prudenza, ma anche fermezza nei principi. In nessuna circostanza possiamo esitare sui principi che ci guidano da sempre e, su questo tema specifico, sui principi che applichiamo sin dall’inizio degli anni ’90. D’altro canto, dobbiamo anche prevedere un certo margine di manovra. “Fermezza” e “cautela” devono essere le parole d’ordine in questa discussione sull’Iran e sul Medio Oriente. Quanto al Kosovo, elemento fondamentale da molti anni per quanto riguarda i Balcani, continuiamo a insistere sulla necessità di mantenere l’integrità territoriale e soprattutto di garantire il rispetto delle minoranze. Se questi due principi non saranno rispettati in Kosovo, avremo grandi difficoltà a conseguire la stabilità nella regione.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, la sicurezza energetica è ovviamente una questione tecnica, ma è diventata anche una questione politica, perché il fabbisogno continua a crescere, mentre l’offerta tenderà a stabilizzarsi nei prossimi anni. Di conseguenza, le tensioni sono destinate ad aumentare e, come fanno i grandi paesi con i loro interessi vitali, ritengo che dovremmo condurre uno studio completo e dettagliato sugli scenari possibili e sulle strategie per affrontarli. In caso contrario, andremo incontro a spiacevoli sorprese.

(Applausi)

 
  
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  Martin Schulz, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il resoconto fornito dal signor Solana sul modo in cui è cominciato il 2006 è impressionante. Il Sottosegretario di Stato Winkler in sostanza ha sottolineato il parere dell’attuale Presidenza, secondo cui quest’anno ci attendono tempi duri e il Commissario Ferrero-Waldner, da parte sua, ha detto più o meno la stessa cosa. Dobbiamo quindi affrontare delle sfide.

Gli europei devono sapere che ciò che l’Alto rappresentante Solana, il Sottosegretario di Stato Winkler e il Commissario Ferrero-Waldner hanno descritto non è altro che la politica di vicinato dell’Unione europea, alle cui porte si trovano le regioni in crisi che sono state descritte. Esse attraversano una fase critica del loro sviluppo e i rischi intrinseci minacciano ogni singolo cittadino dell’Unione; non vi è altro modo di descrivere la situazione.

Se esaminiamo il modo in cui l’onorevole Brok, nella sua relazione sullo stato attuale della politica estera europea condotta dalle Istituzioni esecutive, ha descritto gli strumenti a disposizione di tali Istituzioni e del Parlamento, il resoconto risulta altrettanto impressionante.

La politica estera dell’Unione europea è ora più che mai un elemento centrale della politica europea e merita rilevare, come fa correttamente l’onorevole Brok, che è una politica voluta e sostenuta dai cittadini. Dobbiamo tuttavia essere onesti con noi stessi: gli strumenti a nostra disposizione non sono sufficienti per condurre una politica europea efficace e fedele alle sue finalità e quindi noi, in seno all’Assemblea, dobbiamo insistere sulla necessità di introdurre miglioramenti in questo ambito.

Prendiamo ad esempio l’Ucraina: un anno fa abbiamo tutti constatato quanto possa essere efficace la nostra azione se siamo presenti sul posto con tutte le nostre capacità riunite insieme nelle persone di Javier Solana, l’Alto rappresentante dell’Unione, autorizzato a intervenire e agire a nome di tutti noi, e del Presidente polacco Kwasniewski, quale capo di uno Stato limitrofo, con buone possibilità di esercitare un’influenza sul paese e con il sostegno costante di altri capi di governo, i quali possono a loro volta influenzare altre parti interessate – il governo russo, per esempio – attraverso l’Unione europea: questi uomini hanno contribuito a garantire la conclusione pacifica della rivoluzione arancione. E’ trascorso un anno e oggi apprendiamo, da ucraini in visita al Parlamento, che si sta verificando un arretramento e molti risultati conseguiti in quest’ultimo anno sono di nuovo a rischio. Non c’è bisogno che aggiunga particolari alla descrizione della minaccia rappresentata dalla situazione dell’energia, che come sappiamo colpisce gravemente anche l’Ucraina.

Com’è possibile che ciò che festeggiavamo con tanto entusiasmo un anno fa debba ora – nell’arco di un anno – subire un tale arretramento? E’ un aspetto su cui dobbiamo riflettere e il Sottosegretario di Stato Winkler ha ragione ad affermare che dobbiamo farlo nel contesto delle prospettive finanziarie, perché è del tutto inaccettabile che il Consiglio, ogni volta che si riunisce, dica al mondo intero che dobbiamo assumere impegni internazionali e poi tagli i finanziamenti che tali impegni richiedono.

(Applausi)

Un aspetto perfettamente chiaro, dunque, non ultimo in termini di situazione finanziaria, è che dobbiamo impegnarci a fare tutto il necessario per conseguire la massima stabilità possibile in Medio Oriente. Hamas deve senz’altro rinunciare alla violenza, ma l’Unione deve anche mantenere la parola data. Dobbiamo dialogare con Hamas se non vogliamo commettere l’errore di non riconoscere il risultato di elezioni legittime, come avvenuto in Algeria. Questo deve essere chiaro a tutti, perché mantenere la parola data significa contribuire alla pace. Se lo facciamo, possiamo anche esigere che altri – Hamas in particolare – compiano progressi verso la democrazia. Mi auguro che ci riusciremo.

(Applausi)

 
  
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  Graham Watson, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, una politica estera e di sicurezza comune che promuova i valori europei nel mondo e offra pace e sicurezza ai nostri vicini è ciò cui aspirano i liberali e i democratici, ma è ciò che i leader d’Europa sono palesemente incapaci di realizzare.

Agendo unita, l’Unione avrebbe potuto usare la sua influenza per promuovere la democrazia e la stabilità. Invece, le sue politiche hanno fornito un tacito sostegno a regimi tirannici, come quelli di Tunisia, Egitto e Siria. Non abbiamo mai fatto dipendere la diplomazia dal rilascio di democratici come Ayman Nour in Egitto, oppure, in Asia, dal riconoscimento del diritto di tornare liberamente nel suo paese al leader dell’opposizione Sam Rainsy, ora in esilio mentre noi finanziamo la dittatura di Hun Sen.

Commissario Ferrero-Waldner, Alto rappresentante Solana, perché vi sorprende il risultato delle elezioni in Palestina? L’Unione europea ha dispensato promesse di democrazia, pace e diritti umani in Palestina, mentre i nostri aiuti allo sviluppo foraggiavano Al Fatah, i cui membri ora bruciano i ritratti di un Primo Ministro europeo, e i negoziati di pace sono a un punto morto. Lungi dall’essere un attore fondamentale, signor Alto rappresentante Solana, le conseguenze del fallimento dell’Europa sono evidenti a tutti.

Israele, indisturbato, costruisce un muro attorno a Gerusalemme est in violazione dei suoi obblighi derivanti dalla roadmap e dal diritto internazionale. I palestinesi, stanchi dei lenti progressi e dei vergognosi servizi sociali, premiano Hamas alle elezioni. Ora le previsioni sono più lugubri che mai. Dopo aver preteso la democrazia, alcuni leader dell’Unione parlano di non riconoscere uno degli unici governi democraticamente eletti nel mondo arabo! E’ ovvio che Hamas deve rinunciare alla violenza e impegnarsi a favore della soluzione dei due Stati, ma deve farlo anche Israele. Come ha detto oggi Leila Shahid, la Rappresentante generale dell’Autorità palestinese: “Bisogna essere in due per ballare il tango”.

Il Commissario ha parlato di politiche basate sui diritti umani, sullo Stato di diritto e sui principi democratici, ma dov’è l’accento su queste belle nozioni quando un pragmatismo svuotato di ogni principio è così spesso all’ordine del giorno?

Un’azione globale a favore della soluzione pacifica dei conflitti sarebbe un importante contrappeso all’approccio oppressivo degli Stati Uniti: garantirebbe la sicurezza, la prosperità e la reputazione dell’Europa nel mondo e ci permetterebbe di esercitare molta più influenza anche su microstati come le Maldive o le Seychelles, i cui governi violano i diritti umani, nonostante dipendano quasi totalmente dai nostri aiuti e dai nostri scambi. Questo è il motivo per cui i liberali e i democratici ritengono sia ora di dotarsi di una politica estera europea responsabile, adeguatamente finanziata e fondata sui valori. Secondo l’Eurobarometro, è un desiderio condiviso dal 70 per cento dei nostri cittadini.

Signor Alto rappresentante Solana, i liberali e i democratici non tollerano che il parere del Parlamento su questioni di importanza globale sia ignorato o disatteso. Vogliamo vederla meno in televisione e più presente in Aula. Siamo stanchi della segretezza del Consiglio e della sua inosservanza del diritto del Parlamento di essere consultato in anticipo sulle priorità politiche. Sono diritti sanciti dall’articolo 21 del Trattato e dall’accordo interistituzionale del 1999.

Ci attendono sfide molto serie: democratizzare il nostro immediato vicinato, soprattutto le ex repubbliche sovietiche attualmente alla mercé delle politiche energetiche della Russia, assicurare che le elezioni in Bielorussia si svolgano in modo libero ed equo e che i referendum in Kosovo e Montenegro non sfocino nella violenza.

Il ruolo della politica estera non si esaurisce qui. Mi risulta che la vendita di armi alla Cina sia di nuovo all’ordine del giorno del Consiglio, sebbene la Cina non abbia ancora ripudiato la strage di piazza Tiananmen, né rilasciato, a distanza di 16 anni, tutte le persone incarcerate. Le chiediamo quindi, Sottosegretario di Stato Winkler, di assicurarci che la Presidenza austriaca non revocherà l’embargo dell’Unione sulla vendita di armi alla Cina.

(Applausi)

Ancora più pressante è la questione dell’Iran. Il Consiglio dei governatori dell’AIEA si riunirà domani per decidere se denunciare l’Iran al Consiglio di sicurezza. Interrompere la produzione di armi nucleari in Iran deve essere il nostro obiettivo. Per questo motivo, l’Europa deve impegnarsi a rispettare le conclusioni dell’AIEA previste per marzo. Tuttavia, compiere progressi verso il disarmo delle attuali potenze nucleari, conformemente agli impegni che abbiamo assunto, è il messaggio più efficace e persuasivo che possiamo trasmettere. Un’Europa che impara a usare i muscoli a favore del bene sarà realmente una forza con cui fare i conti.

(Applausi)

 
  
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  Daniel Marc Cohn-Bendit, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, signor Alto rappresentante, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi,

(DE) Signor Presidente, signora Commissario, signor Alto rappresentante Solana, onorevoli colleghi, la situazione attuale in Palestina e in Iran è realmente difficile e non invidio chiunque tenti di intervenire in tali paesi. L’unica possibilità che ha l’Unione europea, a mio parere, è essere assolutamente chiara ed evitare qualsiasi ambiguità; dobbiamo essere inequivocabili. La carta di Hamas del 1988 è veramente terrificante e chi la legge può solo rabbrividire, ma Hamas è stato legittimamente eletto e, nell’affrontare la situazione, dobbiamo chiarire che la politica estera e le relazioni con Israele non dipendono da Hamas, ma dal Presidente Abbas. E’ a lui che dobbiamo dare infine una possibilità; dobbiamo dire a Israele, una volta per tutte, di dargli una possibilità di dimostrare che esiste una politica diversa da quella di Hamas. Se non lo faremo, saremo sconfitti.

Non devono esistere ambiguità nel nostro atteggiamento verso Hamas, non solo per quanto riguarda la questione della pace, ma anche riguardo al fondamentalismo. Il rischio è che emerga una società fondamentalista. Tuttavia, possiamo essere credibili soltanto se parliamo in modo altrettanto chiaro anche con Israele. La conquista e l’occupazione non offrono alcun futuro ai palestinesi. Israele deve comprenderlo, deve cambiare atteggiamento nella sua politica. Un muro eretto come simbolo di conquista non è un muro che possa garantire la sicurezza.

(FR) Se si pensa alla nostra storia, la sua, per esempio, dal momento in cui protestava contro la NATO al momento in cui ne è diventato il Segretario generale, se si pensa alla mia storia, se si pensa alla storia del Ministro Fischer, ci si accorge che è importante non disperare mai della capacità delle persone di cambiare, e lo stesso vale per Hamas.

(DE) Tuttavia, non possiamo limitarci ad aspettare e vedere che cosa succede. Questo cambiamento è necessario per la nostra stessa sicurezza e dobbiamo costringere Hamas a cambiare. Possiamo farlo soltanto se gli israeliani e i palestinesi comprendono realmente che per l’Unione europea non vi sono discussioni: il diritto di esistere di Israele non è più in discussione e non accettiamo più che sia messo in discussione.

(Applausi)

Il diritto dei palestinesi a uno Stato non è più in discussione e non accettiamo più che sia messo in discussione. I due aspetti sono inseparabili e se riusciamo a farlo accettare come un dato di fatto, riusciremo ad affrontare anche questa situazione problematica.

La posizione nei riguardi dell’Iran non è diversa. Anche l’Iran ha diritto alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico. Come Verde, non sono favorevole all’energia nucleare, ma non possiamo avere Stati che vi fanno sistematicamente ricorso e, al tempo stesso, dire agli iraniani che loro non possono utilizzarla. E’ immorale, totalmente immorale. Dobbiamo senz’altro dire “no” alla bomba atomica, ma dobbiamo anche offrire all’Iran sicurezza per il suo territorio, perché è questo il suo grande timore, sin da quando è stato attaccato dall’Iraq. Questo è il nostro compito: chiarezza e sicurezza ci permetteranno di superare questa situazione.

 
  
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  Francis Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signor Presidente, signor Alto rappresentante, signora Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, vorrei cogliere l’occasione – rara – della presenza in Aula del signor Solana per ricordare alcuni aspetti della politica estera e di sicurezza comune che sono particolarmente problematici per il mio gruppo. Mi baserò, in particolare, sul programma operativo del Consiglio per il 2006, perché si tratta del documento di riferimento più recente. Che cosa si può osservare?

Innanzi tutto, l’importanza smisurata accordata alla dimensione militare della PESC. Con vera e propria avidità, il programma snocciola gli elenchi delle forze, le operazioni di reazione rapida, i gruppi tattici, l’Agenzia europea di difesa e il partenariato strategico tra l’Unione europea e la NATO. I 25 hanno così l’impressione di giocare con i grandi, ma la loro boria è illusoria e mal riposta.

D’altro canto, e questa è la mia seconda osservazione, le grandi ferite aperte in alcune delle regioni più nevralgiche del mondo, ferite che richiedono l’espressione di una creatività politica europea di fronte all’atteggiamento irresponsabile dei leader americani e dei loro alleati, hanno invece una parte marginale nell’agenda della PESC. Così, nel programma operativo per il 2006, si liquida il Vicino Oriente in meno di due righe e mezza su 14 pagine di testo, per rivelare che, cito: “l’Unione europea continuerà a promuovere la piena attuazione della tabella di marcia”. Non una parola sulla scelta dei leader israeliani di seguire una strategia unilaterale che è in netto contrasto con lo spirito della tabella di marcia e dell’intero processo di pace. L’Iraq ha invece diritto a tre righe, senza il benché minimo riferimento alla guerra e alla strategia catastrofica del Presidente Bush, che ci trascina tutti in una tragica impasse.

Ciò mi porta alla nostra critica principale, che ho già avuto occasione di esprimere in Aula nel giugno 2003, all’epoca della pubblicazione della sua relazione sulla strategia europea in materia di sicurezza, tuttora in vigore, signor Alto rappresentante. Vi si trova una descrizione apocalittica delle nuove minacce, senza alcuna analisi delle loro cause profonde, e vi si legge increduli che, cito: “Agendo insieme, l’Unione europea e gli Stati Uniti possono costituire una forza formidabile per il bene nel mondo”.

Qual è la sua valutazione, signor Solana, dei due anni di attuazione di questa strategia? Il mondo è diventato più sicuro e più giusto? A mio parere, un buon criterio per esprimere un giudizio in proposito è il caso del Medio Oriente, sul quale mi voglio ora soffermare.

In questo contesto, permettetemi di segnalare agli onorevoli colleghi la presenza in tribuna della signora Leila Shahid, la nuova rappresentante dell’Autorità nazionale palestinese nell’Unione europea, alla quale vorrei porgere un caloroso benvenuto.

(Applausi)

Ancora prima delle elezioni palestinesi, ho chiesto l’iscrizione all’ordine del giorno del Parlamento della questione della relazione, severa ma giusta, dei diplomatici europei su Gerusalemme, tenuta segreta dal Consiglio per non compromettere le relazioni con le autorità israeliane.

A che punto siamo oggi? Come alcuni altri colleghi, sono appena tornato dalla Palestina, dove abbiamo svolto il ruolo di osservatori delle elezioni legislative. Abbiamo tutti osservato, compiaciuti e commossi, il modo esemplare in cui si è svolto lo scrutinio, il clima festoso nelle strade, nonostante l’occupazione, e la buona accoglienza riservata a noi stranieri. L’orgoglio di poter mostrare al mondo la capacità del popolo palestinese di costruire la democrazia è un importante punto di forza per il futuro, che il risultato delle elezioni non deve farci dimenticare. Lo stesso vale per il desiderio di pace dei palestinesi con i vicini israeliani – due popoli, due Stati – espresso in tutte le conversazioni cui abbiamo avuto occasione di partecipare. Chiunque corresse il rischio di affamare quelle donne, quegli uomini e quei bambini, o di spingerli verso la radicalizzazione, sospendendo aiuti assolutamente indispensabili, si assumerebbe una grave responsabilità. Dobbiamo invece puntare sulle aspirazioni democratiche e verso una pace giusta, che oggi sono predominanti nella società palestinese e delle quali qualsiasi autorità palestinese dovrà tenere conto. E’ in gioco il futuro stesso del partenariato tra le due regioni.

Quanto al risultato delle elezioni, guardiamoci dal fare un’analisi in una prospettiva puramente interna alla Palestina. Il rifiuto popolare di Al Fatah è senz’altro reale. Qualsiasi potere egemonico tende ad allontanarsi dalla società. Tuttavia, com’è possibile non vedere che l’Autorità palestinese ha perso credibilità presso la popolazione soprattutto perché non è riuscita a migliorarne le sorti, né a offrire nuove prospettive, a causa del blocco del processo di pace? Dopo le grandi speranze suscitate dieci anni fa, l’esasperazione è ora al culmine per il perdurare dell’occupazione, l’espansione degli insediamenti, la costruzione del muro, le uccisioni “mirate”, gli arresti, la detenzione di prigionieri, le violenze quotidiane e il degrado delle condizioni di vita dovuto all’isolamento dei territori. Quanto allo Stato palestinese, a Gerusalemme, è opinione diffusa che l’Autorità palestinese abbia accettato molto e ottenuto ben poco.

Che fare dunque? Senza dubbio, come ha detto lei, signor Alto rappresentante, dobbiamo esercitare pressioni su Hamas perché ponga fine alla violenza e agli attentati. Ma che cosa dice alle autorità israeliane? Non ho sentito una parola al riguardo. Dobbiamo essere altrettanto chiari sul fatto che per noi non esiste un diritto internazionale “a geometria variabile”. Come qualsiasi altro Stato, Israele ha il dovere di rispettare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza. Deve anche attenersi alle raccomandazioni della Corte di giustizia internazionale e rispettare gli obblighi derivanti dalla tabella di marcia.

In questo contesto, signor Presidente, l’atteggiamento da adottare riguardo alla relazione dei nostri diplomatici su Gerusalemme è più che mai chiaro: deve essere pubblicata senza indugio, se ne devono attuare le raccomandazioni e, più in generale, si deve infine scegliere una strategia realmente alternativa a quella del Presidente Bush, che è fallita nel Vicino Oriente e, più in là, anche in Medio Oriente. Dobbiamo ascoltare le grida d’allarme lanciate da società sull’orlo della disperazione.

 
  
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  Presidente. Suppongo che tutti gli oratori sappiano che il nostro ordine del giorno prevede un punto specificamente dedicato all’analisi della situazione in Medio Oriente e dei risultati delle elezioni in Palestina e alla decisione di pubblicare o meno la relazione menzionata dall’onorevole Wurtz. Avete scelto voi di organizzare la discussione separando i punti in questo modo. Suppongo siate consapevoli del fatto che state chiaramente alterando l’ordine del giorno e trattando punti che dovremmo discutere più tardi.

 
  
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  Bastiaan Belder, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, esattamente una settimana fa, quando ero in Palestina a osservare le elezioni per conto dell’Assemblea, un gigantesco stendardo, in particolare, ha richiamato la mia attenzione. Era a Ramallah e raffigurava l’ayatollah Khomeini insieme con i leader di Hamas Yassin e Rantisi. Il messaggio politico è chiarissimo. Anziché compiere sforzi a favore di un accordo o della pace con lo Stato ebraico, dovremmo strapparne la pagina dalla storia, perché questo è ciò che voleva Khomeini e, secondo l’attuale Presidente iraniano Ahmadinejad, sono parole sagge.

Assieme alle aspirazioni nucleari del regime dei mullah di Teheran – la cui natura pacifica è altamente dubbia – ciò rappresenta una sfida particolarmente complessa per il mondo occidentale, per l’Unione europea e per gli Stati Uniti. Lo storico Dan Diner, commentando le elezioni politiche in Palestina, ha affermato che “con Hamas a Ramallah, l’Iran è molto più vicino a Israele”, e ha ragione. Secondo recenti rapporti da Teheran, molti filo-occidentali iraniani considerano questa evoluzione come una progressiva vittoria della barbarie sulla civiltà. Mi auguro sinceramente che le Istituzioni europee, lungi dal condividere questo senso di rassegnazione, prendano ferma posizione a favore del diritto di esistere di Israele e quindi della nostra stessa civiltà.

 
  
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  Inese Vaidere, a nome del gruppo UEN. – (LV) Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei richiamare l’attenzione del Consiglio e della Commissione su quattro questioni che richiedono un’azione rapida e coerente nel quadro della politica estera e di sicurezza comune.

La prima priorità è la politica di vicinato. Innanzi tutto, il modo in cui procedere riguardo alla Russia e all’Ucraina. Dobbiamo tenere conto del fatto che al momento la Russia non intrattiene buone relazioni con gli Stati limitrofi, in quanto non stringe relazioni sulla base del rispetto e dell’interesse reciproco, ma facendo sentire il proprio peso tramite sanzioni economiche o energetiche e rifiutandosi di firmare gli accordi conclusi in materia di confini. Al momento la Russia sta bloccando l’esportazione dei prodotti alimentari dell’Ucraina. Esorto quindi l’Alto rappresentante Solana e la Commissione ad adottare provvedimenti immediati per incoraggiare la revoca del blocco e ricordare al tempo stesso alla Russia che tali azioni sono in netto contrasto con le norme dell’Organizzazione mondiale del commercio, alla quale ha dichiarato di voler aderire.

In secondo luogo, la crisi dell’approvvigionamento di gas in Ucraina, Moldavia e Georgia ha costituito un campanello d’allarme per l’Europa, dimostrando che tali forniture non sono sicure, che la diversificazione delle fonti di approvvigionamento è indispensabile, così come lo è il coordinamento delle politiche in materia di energia e sicurezza dell’Unione europea e degli Stati membri.

In terzo luogo, in questo contesto va ricordato l’accordo relativo al gasdotto nordeuropeo, per la cui costruzione è stato conferito un incarico all’ex Cancelliere tedesco, fatto che ha destato sospetti di corruzione politica. Evitando di valutare la situazione dal proprio punto di vista e con sufficiente coerenza, le Istituzioni europee indeboliscono la fiducia dei cittadini europei e, incidentalmente, ci impediscono di parlare di lotta alla corruzione in altre parti del mondo.

Vorrei ora accennare a un’altra regione, la Cina. Attualmente la Cina attraversa una fase di rapido sviluppo ed è pronta a dare alta priorità all’avvio di una cooperazione con l’Unione europea. Se il nostro dialogo con la Cina non diventerà più serio e costruttivo, questo paese potrebbe decidere di stringere strette relazioni in un’altra direzione.

Infine, nelle relazioni tra il Consiglio e il Parlamento, la consultazione non è sufficiente, vogliamo che il parere del Parlamento europeo sia realmente preso in considerazione, soprattutto per quanto riguarda la cosiddetta necessità di “esprimere una sola voce”.

 
  
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  Philip Claeys (NI).(NL) Signor Presidente, la lotta al terrorismo deve essere una delle priorità della politica estera e di difesa comune. La relazione giustamente richiama l’attenzione sull’importanza del rispetto dei diritti umani e delle libertà civili. Vorrei cogliere l’occasione per esprimere la mia solidarietà totale e senza riserve al Primo Ministro danese, che attualmente subisce enormi pressioni affinché adotti provvedimenti contro il vignettista che ha avuto l’audacia di raffigurare niente di meno che il profeta Maometto.

I paesi islamici, compresa la Turchia – un paese candidato all’adesione all’Unione – chiedono scuse e sanzioni e insistono persino sul boicottaggio dei prodotti danesi. Il Primo Ministro Rasmussen ha più che ragione ad affermare che non esiste democrazia senza la libera espressione delle proprie opinioni. Il Consiglio, la Commissione e il Parlamento devono rimanere uniti nella difesa delle nostre libertà. In caso contrario, non vale nemmeno la pena di parlare di politica in materia di sicurezza e di difesa, perché non ci sarà più nulla da difendere.

 
  
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  Bogdan Klich (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, oggi l’Alto rappresentante Solana ha affermato che l’Unione europea deve essere un attore globale. E’ quindi necessario consolidare la politica estera e di sicurezza comune e la crisi costituzionale di sicuro non aiuta. Tuttavia, la coesione non si può conseguire unicamente attraverso le Istituzioni comuni. Essa è principalmente frutto di una volontà politica comune. Molto dipenderà quindi dalle azioni personali, dal buon senso e dalla creatività di cui l’Alto rappresentante Solana e il Commissario Ferrero-Waldner sapranno dare prova nel corso dell’anno.

Il Commissario Ferrero-Waldner ha promesso anche una comunicazione specifica sulla sicurezza energetica dell’Unione europea. Inoltre, la relazione dell’onorevole Brok rileva la necessità di elaborare una strategia in materia di sicurezza energetica. In realtà, queste sono solo soluzioni blande, transitorie. Ciò di cui l’Unione europea ha realmente bisogno è prefiggersi l’obiettivo di creare una politica veramente comune in materia di sicurezza energetica. Solo così sarà possibile prevenire situazioni come quella emersa due anni fa, quando i fornitori russi tennero in ostaggio la Bielorussia, o quella verificatasi all’inizio del mese, quando la Russia ha ricattato l’Ucraina. Anche gli Stati membri dell’Europa centrale sono stati penalizzati. Vogliamo davvero essere oggetto di ricatti di questo tipo in futuro, vogliamo davvero congelare come stanno congelando le persone in Georgia in questo momento? L’unica alternativa è una politica comune dell’Unione europea in materia di energia.

Un’altra osservazione che vorrei fare è che dovremmo modificare la nostra politica nei confronti della Russia. Vi sono motivi per formulare critiche sulla mancanza di progressi in alcuni ambiti, due dei quali sono affrontati nella relazione dell’onorevole Brok, ovvero i problemi riguardanti i diritti umani e la riduzione degli armamenti nella regione di Kaliningrad. L’elenco in realtà è molto più lungo e comprende una soluzione comune per i conflitti regionali, in particolare in Transnistria e nel Caucaso meridionale, assieme all’intera questione di Kaliningrad.

 
  
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  Pasqualina Napoletano (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, come europei non possiamo che rispettare il voto liberamente espresso in Palestina e favorire la formazione di un governo che, come indicato dallo stesso Presidente, Abu Mazen, scelga la via del negoziato, riconosca Israele e rinunci alla violenza.

Questo voto è anche espressione della sofferenza e dell’umiliazione di una vita quotidiana sotto l’occupazione, tra check-point, muro e colonie, e allo stesso tempo suona come una severa critica nei confronti della classe politica palestinese. Lo stesso ritiro unilaterale da Gaza, per ovvi motivi, ha indebolito il ruolo del Presidente Abu Mazen. Da ciò scaturiscono quindi due imperativi: non abbandonare la prospettiva di una pace negoziata e chiedere alle due parti di rinunciare ad atti che la pregiudicano.

Per questo sono d’accordo con le chiare condizioni da lei poste, Alto rappresentante, ai palestinesi. Ma nello stesso spirito le chiedo: niente da obiettare a Israele, che non ha mai accettato di operare nell’ambito della roadmap? Questo dibattito è aperto nella società israeliana. D’altra parte, lo stesso Hamas ha dimostrato la propria capacità di rispettare una tregua negoziata per l’intero anno. Credo che Israele dovrebbe bloccare la colonizzazione ed evitare atti di annessione su Gerusalemme est.

Per quanto riguarda gli aiuti finanziari, sono completamente d’accordo con lei: occorre evitare il collasso e valutare la situazione nella sua evoluzione. Proprio in questo spirito vorrei chiedere a lei, Alto rappresentante, al Consiglio e alla Commissione, se non riteniate di dover esercitare pressioni sulle autorità israeliane perché desistano dal blocco delle rimesse fiscali a favore dei palestinesi. Poiché sono soldi palestinesi, ritengo si tratti di un atto che, allo stato attuale, mette benzina sul fuoco.

 
  
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  Annemie Neyts-Uyttebroeck (ALDE).(NL) Signor Presidente, pensavo che il mio tempo di parola fosse stato prolungato di un minuto, ma forse potrà verificare la cosa durante il mio intervento. Signor Alto rappresentante, signora Commissario, signor Presidente, all’inizio della discussione ci è stata fornita una descrizione impressionante dei fatti accaduti in questi ultimi 30 giorni. Vorrei congratularmi con Javier Solana e con il Commissario Ferrero-Waldner, oltre che con la Presidenza, per l’impegno indefesso con cui hanno affrontato i drammatici avvenimenti e i fatti dolorosi che si sono susseguiti. Vorrei anche associarmi alle congratulazioni espresse per la missione di osservazione elettorale in generale e per le persone che hanno svolto un ruolo attivo nei territori palestinesi in particolare, perché il loro lavoro deve essere stato particolarmente difficile.

A mio parere, si possono trarre due lezioni dal resoconto fornito dall’Alto rappresentante Solana. La prima è che l’Unione europea può essere efficace soltanto se è unita. Sono quindi stata lieta di apprendere l’altro ieri che il Consiglio “Affari generali” ha raggiunto una decisione unanime in merito alle condizioni alle quali potrà essere concessa ulteriore assistenza finanziaria all’Autorità palestinese. Sono anche compiaciuta del fatto che le quattro parti abbiano tenuto una riunione straordinaria quella stessa sera. Immaginate quali sarebbero state le conseguenze se un capo di governo avesse dichiarato una cosa, un altro ministro ne avesse affermata un’altra e un terzo Primo Ministro avesse trasmesso un messaggio ancora diverso.

E’ ovvio che ciò sarebbe stato oltremodo pernicioso, ma non è accaduto, e mi auguro che la situazione non cambi. Va da sé che è necessaria l’unanimità su tutti i dossier. Si devono anche rendere disponibili fondi sufficienti. Non sono altrettanto certa del Commissario che si terrà debito conto di questa esigenza nelle prospettive finanziarie 2007-2013. Come lei, vorrei ribadire che occorre mostrare sufficiente flessibilità. Infine, confermo che, purché coinvolgano regolarmente il Parlamento nelle loro attività, l’Alto rappresentante, il Commissario e il Presidente in carica del Consiglio potranno contare sul nostro assiduo sostegno.

 
  
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  Angelika Beer (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, alla luce delle osservazioni formulate dall’Alto rappresentante Solana sui Balcani, vorrei cogliere l’occasione per dire che accordiamo pieno sostegno ai suoi sforzi in una regione in cui abbiamo la responsabilità diretta della pace in Europa. E’ un compito che nessun altro può svolgere al posto nostro e dobbiamo sviluppare la prospettiva europea per tale regione in modo credibile e rigoroso.

Vorrei congratularmi con lei per la decisione che ha adottato lunedì sera, nella quale è riuscito a riunire insieme le affermazioni molto diverse che si fanno in Europa sull’Iran. Vorrei chiedere a tutti, nel procedere lungo il cammino così definito, di prevedere ampi margini di manovra per la diplomazia e per i negoziati. La prospettiva di una riunione tra l’Iran, la Cina e la Russia è una buona notizia, ma non dobbiamo perdere di vista il fatto che non spetta né al Cancelliere Schüssel né al Ministro Steinmeier decidere se sia stata varcata la linea rossa e sia stata messa a repentaglio la pace nel mondo, ma solo ed esclusivamente alle Nazioni Unite.

Non possiamo controllare la situazione da soli ed è difficile, quando si ha a che fare con un predicatore dell’odio come il Presidente Ahmadinejad, continuare a trovare nuove vie per ricondurlo alla ragione – la ragione che fa parte della strategia europea in materia di sicurezza da lei definita e si basa sulla non proliferazione. Sappiamo che un’eventuale escalation della situazione in Iran rappresenterebbe un’enorme minaccia per gli interessi che ci preme difendere: impedire che l’Iran ottenga armi nucleari, ridurre la minaccia e garantire maggiore sicurezza a Israele. Mi auguro quindi che si riesca a trovare una soluzione pacifica, per quanto difficile possa essere.

Permettetemi di dire, in veste di presidente della delegazione, che esiste un’altra voce in Iran. Non permetterò che le relazioni diplomatiche…

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Gerard Batten (IND/DEM).(EN) Signor Presidente, la giornata di ieri si è distinta per la morte del centesimo militare britannico ucciso in Iraq. Questi uomini coraggiosi hanno compiuto l’estremo sacrificio di dare la vita per il proprio paese. Tuttavia, sono stati traditi. Sono stati mandati in guerra sulla base delle menzogne e delle convinzioni assurde del Primo Ministro Tony Blair. Ciò è accaduto per un motivo molto semplice: il Primo Ministro Blair e il governo laburista non hanno alcuna idea di che cosa sia l’interesse nazionale britannico.

Ora il Primo Ministro Blair vuole coinvolgere la nazione britannica nell’ennesima menzogna e convinzione assurda. Tale menzogna è che l’interesse nazionale britannico risieda in una politica estera comune europea.

La giornata di ieri è stata caratterizzata anche da un altro evento significativo. L’Alto rappresentante Solana è intervenuto a Londra sulla questione palestinese a nome dell’Unione europea. Lo ha fatto nella sua funzione di ministro degli Esteri europeo de facto, anche se la politica estera comune europea dovrebbe essere morta e sepolta dopo il rifiuto della Costituzione europea. E’ un chiaro segnale che il governo laburista sta cedendo il controllo della politica estera all’Unione europea.

Il Cancelliere Bismarck è noto per aver affermato che l’intera regione dei Balcani non valeva le ossa di un solo granatiere della Pomerania. Bene, l’intera politica estera comune europea e il previsto esercito europeo non valgono le ossa di un solo militare britannico.

 
  
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  Ģirts Valdis Kristovskis (UEN).(LV) Commissario Ferrero-Waldner, signor Alto rappresentante Solana, onorevoli colleghi, la discussione odierna verte sulla necessità di adottare una politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea più aperta, più efficace e più responsabile. Possiamo essere soddisfatti dei notevoli progressi compiuti negli ultimi anni nel promuovere la forza militare e civile dell’Europa.

Tuttavia, la relazione dell’onorevole Brok rileva che nella PESC permane purtroppo un numero eccessivo di difetti e problemi tuttora irrisolti. Esistono gravi difficoltà per quanto riguarda l’adozione di posizioni risolute in merito alla politica di sicurezza e difesa comune dell’Europa e alla politica europea in materia di sicurezza e difesa. Tali politiche risentono di una grave mancanza di risorse e si evidenzia anche la necessità di un controllo democratico da parte del Parlamento. Queste sono solo alcune questioni attuali riguardanti l’argomento in discussione.

Il Parlamento europeo deve quindi avere la possibilità di migliorare la situazione, il che significa esigere un coordinamento adeguato delle politiche per garantire un dialogo costante tra il Parlamento europeo e il Consiglio in materia. Sappiamo che non è facile, ma ne va dell’influenza e dello sviluppo istituzionale del Parlamento europeo. Il chiaro sostegno dei cittadini d’Europa per le azioni comuni europee in materia di sicurezza impone al Parlamento europeo il dovere di accrescere la sua influenza e la sua partecipazione istituzionale al processo decisionale. La sicurezza si rafforzerà soltanto se i messaggi del Presidente Chirac, dell’Alto rappresentante Solana o del Cancelliere Merkel o le decisioni adottate in materia di armi di distruzione di massa, lotta al terrorismo o energia saranno prevedibili e non coglieranno il Parlamento europeo di sorpresa e impreparato.

 
  
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  Jan Tadeusz Masiel (NI).(PL) Signor Presidente, una politica estera comune forse avrebbe potuto prevenire la crisi energetica nell’Europa orientale. Avrebbe anche potuto far sì che le preoccupazioni della Polonia riguardo alla costruzione del gasdotto russo-tedesco sotto il Mar Baltico fossero prese in considerazione e l’interesse della Polonia fosse riconosciuto come interesse dell’Europa nel suo insieme. I cittadini dell’Unione europea, e per la verità quelli del mondo intero, si attendono che ci dotiamo di una politica estera comune e difendiamo i deboli, con o senza una Costituzione europea. Israele non può quindi essere autorizzato a monopolizzare la politica estera nella sua parte del mondo. Hamas rinuncerà volentieri al terrorismo e alla violenza quando sarà creato uno Stato palestinese, riducendo così la minaccia terroristica nel mondo. Come l’onorevole Cohn-Bendit, sono contrario alle armi nucleari, ma non riesco a capire perché Israele possa avere la bomba atomica e l’Iran no.

 
  
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  Geoffrey Van Orden (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, quando sento la litania di crisi e di problemi che dobbiamo affrontare, mi preoccupa che così tante persone pensino che la risposta a questi problemi sia più Unione europea. Le ambizioni e le pretese dell’Unione in materia di politica estera si estendono ora a ogni settore, dalla difesa all’immigrazione o all’approvvigionamento energetico, ma ne scaturiscono scarsi risultati concreti. Preferirei un approccio più modesto, che affidi all’Unione europea il compito di concentrarsi solo sui settori in cui può realmente apportare un valore aggiunto, attraverso l’assistenza umanitaria, gli aiuti allo sviluppo, l’osservazione delle elezioni e azioni analoghe.

Vorrei dire anche che in quest’epoca pericolosa, in cui sono emerse nuove forze che minacciano la natura stessa delle nostre società libere, abbiamo bisogno di più solidarietà tra le democrazie e meno protagonismo da parte dell’Unione. Le lezioni degli ultimi anni dimostrano che se le democrazie occidentali sono divise, i loro interessi ne risultano danneggiati. I nemici della democrazia sfrutteranno tali divisioni per i loro fini.

Sono appena tornato dai territori controllati dall’Autorità palestinese e da Gerusalemme est, dove ho partecipato alla missione di osservazione elettorale. I risultati delle elezioni sono stati un grido di protesta dalle strade. Lei ha giustamente affermato che la formazione precisa del nuovo governo dei territori controllati dall’Autorità palestinese non sarà nota prima di alcuni mesi, ma senza dubbio rifletterà il potere recentemente acquisito da Hamas. E’ davvero essenziale rifiutarsi di sostenere tale governo, a meno che non rinunci alla violenza, riconosca il diritto di esistere di Israele e si impegni concretamente nel processo di pace.

In passato ho espresso preoccupazione per la natura dei finanziamenti dell’Unione e l’adeguatezza delle salvaguardie volte a prevenire l’uso abusivo dei nostri fondi. Tali preoccupazioni ora si moltiplicheranno. Non solo dobbiamo assicurare che l’assistenza finanziaria sia trasparente e non possa essere usata per sostenere il terrorismo e l’estremismo: esiste anche l’urgente necessità di assicurare che i nostri fondi siano usati in modo più efficace e che il beneficiario diretto sia il popolo palestinese.

Infine, dobbiamo compiere maggiori sforzi per garantire che non vi siano differenze di approccio tra l’Europa e gli Stati Uniti. Abbiamo un interesse comune alla pace e alla stabilità in Medio Oriente.

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Jan Marinus Wiersma (PSE).(NL) Signor Presidente, abbiamo ascoltato con grande interesse l’intervento dell’Alto rappresentante Solana, in particolare la prima parte, in cui ha elencato ciò che è accaduto a gennaio. Mi auguro che questa non sia la tendenza per il resto dell’anno e spero che, ogni mese, si continuino ad aggiungere nuovi elementi all’agenda estera. Sono rimasto colpito, in particolare, dalle osservazioni che ha fatto, soprattutto all’inizio, sulla situazione emersa in Europa in seguito ai problemi relativi alle forniture di gas in Ucraina e altri paesi.

A mio parere, ciò che è accaduto all’inizio di gennaio ha avuto l’effetto di porre la politica energetica in cima all’elenco delle nostre priorità. Ho tratto alcune conclusioni dai fatti recenti. Innanzi tutto, devo concludere che forse non ci siamo organizzati molto bene come consumatori, perché il nostro approvvigionamento energetico è molto vulnerabile, troppo vulnerabile, a mio parere, in quanto gli effetti di una carenza imprevista di energia possono solo essere devastanti. In secondo luogo, ho notato che alcuni Stati membri sono più vulnerabili di altri, il che in un certo senso contraddice la nozione di solidarietà che coltiviamo nell’Unione europea.

Senza dubbio esistono nel nostro immediato vicinato paesi vulnerabili – almeno questo è diventato evidente – e la questione della solidarietà reciproca, non ultimo tra i nostri vicini, è chiaramente un problema da affrontare. Ovviamente, è anche una questione tecnica. Possiamo investire in fonti di approvvigionamento energetico migliori e più diversificate. La terza osservazione che vorrei fare, in realtà la più importante, è che le fonti di approvvigionamento energetico e il relativo accesso sono usate come armi politiche, in questo caso contro l’Ucraina, ma anche contro la Moldavia e, per certi versi, anche contro la Georgia.

Abbiamo lanciato moniti al riguardo in passato. I russi hanno minacciato di farlo in precedenza e a mio parere dobbiamo essere molto severi con loro, perché è un atteggiamento inaccettabile. Dobbiamo anche assicurare che non diventeremo dipendenti dalla Russia in misura tale da non poterci più permettere di dire alcunché e dover tacere a causa di una dipendenza eccessiva.

Vorrei fare un’ultima osservazione sul programma per quest’anno. Il programma si definisce da solo. L’Unione europea non può ignorare le sue responsabilità. Soprattutto, chiederò al Consiglio e alla Commissione di esaminare come sia possibile, dopo il grande successo in Georgia, e prima ancora in Serbia, e in Ucraina, che la situazione rischi ora di tornare al punto di partenza. Abbiamo commesso errori? Ritengo che anche questo sia un aspetto da analizzare.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. FRIEDRICH
Vicepresidente

 
  
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  Bronisław Geremek (ALDE).(PL) Signor Presidente, vorrei rilevare che, allorché esamina la sua politica estera e di sicurezza comune, l’Europa farebbe bene a rivederne i principi informatori. Ritengo che, per quanto riguarda la sicurezza, e quindi la pace, è essenziale che l’Europa adotti il cosiddetto concetto di sicurezza umana. Ciò significa affrontare questioni quali il miglior modo in cui far fronte a gravi malattie, alla fame, alle violazioni dei diritti umani e agli attacchi contro la democrazia.

A mio parere, un altro elemento fondamentale della politica di sicurezza che l’Unione dovrebbe adottare è una strategia in materia di sicurezza energetica. Vorrei rilevare che l’Europa finora non ha tenuto conto del fatto che l’approvvigionamento energetico può diventare uno strumento per una politica imperialistica. Qui non si tratta di una carenza di gas o di petrolio, ma dell’uso di enormi risorse energetiche quale mezzo per condurre una politica imperialistica. Ritengo che questa sia una grande sfida per l’Europa, alla quale finora non siamo riusciti a rispondere.

 
  
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  Georgios Karatzaferis (IND/DEM).(EL) Signor Presidente, ho letto la relazione e ho ascoltato con attenzione l’Alto rappresentante Solana. Non sono sicuro che difendano principalmente gli interessi dell’Europa. Ho l’impressione che si continuino a difendere gli interessi americani e questo è un problema. Ci stanno trascinando a forza verso l’inimicizia con la Russia, l’ostilità con la Cina e lo stesso vale per l’Iran.

Non dobbiamo farci assorbire dalla mentalità americana. Dobbiamo imparare a dire no agli Stati Uniti, se vogliamo avere una vera e propria politica estera, che naturalmente non capisco come possa essere comune alla Svezia e alla Grecia, a Cipro e all’Estonia, dal momento che ogni Stato deve affrontare questioni assai diverse.

L’onorevole Schulz ha affermato che esiste una minaccia per il ventre molle dell’Europa. Sì, esiste una minaccia. Il casus belli della Turchia contro la Grecia costituisce una minaccia. Le costanti, quotidiane violazioni dello spazio aereo greco da parte di aerei militari turchi costituiscono una minaccia. Il muro a Nicosia costituisce una minaccia. Il muro a Gerusalemme costituisce una minaccia. Si può dunque affermare che tutte le forze di occupazione devono lasciare i paesi in cui si trovano? Che l’esercito di occupazione deve lasciare Cipro, che l’esercito di occupazione israeliano...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk (UEN).(PL) Signor Presidente, sono state sollevate molte questioni nel corso della discussione sulla politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea. A mio parere, sono necessari tre tipi di sicurezza perché tutti gli europei si sentano realmente sicuri.

Comincerò dalla sicurezza energetica. L’intera Unione è molto preoccupata per la questione, così come lo sono i singoli Stati membri, come la Polonia. Sembra non vi sia alcuna volontà di adottare un’azione comune in questo campo. La Germania ha rafforzato la sicurezza del suo approvvigionamento energetico siglando un accordo con la Russia per la costruzione del gasdotto nordeuropeo. Purtroppo, l’azione della Germania ha notevolmente compromesso la sicurezza dell’approvvigionamento energetico della Polonia. L’Unione finora non ha affrontato la situazione, sebbene sia più che evidente che la Russia sta usando la fornitura di materie prime energetiche come strumento incisivo con cui influenzare le politiche di altri paesi. La decisione della Russia di interrompere le forniture di gas all’Ucraina e alla Georgia ha dimostrato fino a che punto tale strumento possa essere efficace.

Passerò ora alla sicurezza alimentare. La sicurezza del nostro approvvigionamento alimentare si basa sulla politica agricola comune, la quale tuttavia subisce sempre più attacchi. Vorrei infine menzionare la sicurezza fisica, ora esposta a una minaccia molto più grave a causa del terrorismo. Non può esistere una politica estera e di sicurezza comune valida senza compiere progressi significativi nei tre settori che ho evidenziato. Mi auguro che l’Alto rappresentante Solana e il Commissario Ferrero-Waldner tengano conto delle mie osservazioni.

 
  
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  Alojz Peterle (PPE-DE).(SL) E’ chiaro che la situazione politica nel mondo, da paese a paese e da regione a regione, non si accorda con i nostri valori e con le nostre aspirazioni e aspettative, né diventa più stabile o più democratica. Al tempo stesso, tuttavia, ci giungono richieste esplicite di più Europa da varie parti del mondo. In Mongolia dicono che l’Unione europea è il loro terzo vicino. Quando visito gli Stati dei Balcani, l’America latina, la regione transcaucasica o l’Asia centrale, sento dire la stessa cosa: più Europa.

Tuttavia, mentre molti partner vogliono più Europa, noi ci ritroviamo spesso immersi nelle nostre preoccupazioni improduttive e dimentichiamo le idee fondamentali di Schuman e degli altri padri fondatori dell’Europa nel desiderio di costruire più Europa con meno fondi. Non mi sorprende che i nostri partner e i nostri cittadini non comprendano il gergo dei vari pilastri della nostra politica, ma essi riescono a capire perfettamente quando siamo uniti e quando siamo divisi e inefficaci.

L’esperienza delle forniture energetiche ci ha insegnato che le politiche nazionali da sole non garantiranno né maggiore sicurezza interna né maggiore influenza esterna. Ho l’impressione che già ora il corso degli eventi richieda più politiche comuni di quelle previste dal Trattato costituzionale già ratificato. Se davvero vogliamo svolgere un ruolo fondamentale nei Balcani, nell’Europa orientale o altrove, dobbiamo trovare modi più energici di esprimere la nostra politica estera e di sicurezza comune. A ciò sicuramente contribuirebbe una maggiore considerazione per il ruolo del Parlamento europeo, che ha dimostrato di essere un soggetto dinamico e responsabile.

 
  
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  Hannes Swoboda (PSE).(DE) Signor Presidente, posso praticamente continuare dal punto in cui ha terminato l’onorevole Peterle, perché, se è vero che, come ha affermato l’Alto rappresentante Solana, sono molti in Europa a chiederci di intervenire, allora è davvero giunto il momento di farlo.

Permettetemi di fare solo due esempi per spiegare ciò che intendo. Non gioisco per le sofferenze altrui se dico che, in realtà, la grandiosa iniziativa americana per la regione del Medio Oriente in generale è fallita e l’intervento in Iraq non ha affatto migliorato la situazione. Il sostegno inadeguato ed esitante per la politica di pace e per l’iniziativa a favore della pace in Medio Oriente ha contribuito alla vittoria elettorale di Hamas; menziono solo di passaggio che lo stesso Al Fatah ha una grande responsabilità al riguardo. Quanto all’Iran, sappiamo tutti che un maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti nella politica di sicurezza svolgerebbe un ruolo importante nel persuadere tale paese a non sviluppare armi nucleari. E’ quindi ora che l’Unione europea – in cooperazione con gli Stati Uniti, anziché in opposizione ad essi, ipotesi che sarebbe assurda – definisca chiaramente le caratteristiche che potrebbe avere una politica estera completa in Medio Oriente, comprendendo ogni aspetto, da una politica di pace vigorosa al sostegno alla società civile nei singoli paesi.

Il secondo esempio è la politica energetica. Come è già stato affermato, noi, che rappresentiamo un grande consumatore, dobbiamo presentare un fronte più unito sul mercato mondiale; dobbiamo mobilitarci e formare coalizioni con altri consumatori. Abbiamo visto esattamente che cosa accade – in Iran, per esempio – se non facciamo causa comune con loro. Se la Russia comincia a sfruttare la sua politica energetica come strumento per condurre una politica nazionalistica, dobbiamo rendere la nostra – o almeno parte di essa – più europea.

Signora Commissario, attendiamo la relazione con grande impazienza. E’ una questione che le ho sottoposto già molto tempo fa, in occasione della sua audizione per la nomina a Commissario. E’ della massima importanza disporre ora di tale relazione e poter dire a chiare lettere che, se da un lato abbiamo bisogno delle nostre politiche energetiche nazionali, dall’altro esse devono essere integrate e ampliate da una valida politica energetica europea, che è anche uno strumento essenziale della politica estera.

 
  
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  Anneli Jäätteenmäki (ALDE).(FI) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il ruolo dell’Unione come soggetto internazionale è importante e si è rafforzato negli ultimi anni. L’Unione ottiene risultati con metodi miti, e con questo intendo tramite negoziati, discussioni, persuasione e gestione delle crisi. A volte si tratta di un processo lento, che però crea una base solida per soluzioni durature e per una società vivibile. Nella sua politica estera, l’Unione europea sottolinea l’importanza della democrazia e vogliamo compiere passi avanti in materia. In questo contesto, vorrei che l’Unione ponesse un maggiore accento sul fatto che non può esistere democrazia senza alfabetizzazione, né senza rispetto dei diritti delle donne. Dobbiamo quindi fare di più per garantire che i bambini, i giovani e le donne nelle varie regioni del mondo sappiano leggere. Ciò creerà una base duratura per la democrazia, la pace e il rispetto dei diritti umani.

 
  
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  Mirosław Mariusz Piotrowski (IND/DEM).(PL) Signor Presidente, dopo il rifiuto del Trattato costituzionale nei referendum (o referenda) di Francia e Paesi Bassi, l’intero documento è ormai privo di validità. Si sta rivelando molto difficile per alcuni accettare la scomparsa di un concetto promosso per molti anni. La politica estera e di sicurezza comune era un elemento importante di tale Trattato, ma vorrei ricordarvi che è stato inequivocabilmente respinto. Siamo quindi esterrefatti che si compiano sforzi riguardo a un documento ormai totalmente privo di significato e praticamente morto. La relazione dell’onorevole Brok è un esempio di questo atteggiamento. Deride l’Assemblea e calpesta i principi democratici sostenuti dalla Comunità europea. Il periodo di riflessione richiesto in seguito alla morte del Trattato non deve essere utilizzato per adottare capitoli specifici della Costituzione con manovre di corridoio. Questo periodo deve invece essere usato per riesaminare l’azione comune a livello internazionale e porre un maggiore accento sull’importanza di questioni quali la sicurezza energetica e le minacce costituite dalle epidemie e dal terrorismo.

 
  
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  Janusz Wojciechowski (UEN).(PL) Signor Presidente, l’Unione europea in realtà ha la fortuna di disporre di una politica di sicurezza efficace, ovvero la politica agricola comune. Da molti anni, ormai, tale politica garantisce la sicurezza alimentare alla Comunità nel suo insieme e ai suoi cittadini, nazioni e paesi. La sicurezza alimentare è essenziale per tutti loro. L’Europa ha ora soddisfatto la sua fame, ma ha l’infelice tendenza a dimenticare il modo in cui ciò si è verificato e grazie a chi. La politica agricola comune è minacciata ed è diventata terreno di prova per riforme irresponsabili come quella del mercato dello zucchero, in conseguenza della quale l’Europa dipenderà presto dal resto del mondo per il suo fabbisogno di zucchero. La protezione dei mercati agricoli europei è in corso di soppressione, come i nostri agricoltori sanno fin troppo bene. In Polonia, i più colpiti sono i produttori di frutta.

Le riduzioni sconsiderate nella politica agricola comune faranno crollare la sicurezza alimentare, indispensabile per la sicurezza dell’Europa nel suo insieme. Vi è ancora tempo per impedire che ciò accada, ma è necessario cambiare atteggiamento politico in materia di agricoltura. Sugli striscioni delle organizzazioni dei lavoratori agricoli polacchi spesso figurano slogan sul ruolo svolto dalla produzione alimentare nella lunga lotta per l’indipendenza della Polonia, assieme alla loro volontà di lottare. Quando discutiamo e prendiamo decisioni sulle questioni agricole, dovremmo sempre ricordare che sono gli agricoltori a nutrirci e difenderci e che sono loro i veri garanti della sicurezza dell’Europa.

 
  
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  Alexander Stubb (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, ho ascoltato con grande attenzione e pensavo di aver sentito di tutto, ma quando ho sentito l’onorevole Cohn-Bendit sostenere l’energia nucleare – sia pure in Iran – devo ammettere che sono rimasto sbalordito. Chi ha detto che il Ministro Fischer è cambiato? Penso che “Danny il rosso” sia parecchio cambiato!

Vorrei esaminare tre aspetti in una prospettiva istituzionale. Il primo è che la PESC e la difesa saranno settori fondamentali per noi in futuro. Siamo una superpotenza commerciale e nel campo degli aiuti, ma troppo spesso siamo inesistenti nella PESC e nella difesa. Dobbiamo fare qualcosa e non sono d’accordo con l’onorevole Piotrowski. La prima cosa di cui abbiamo bisogno è una costituzione.

Il secondo aspetto che vorrei rilevare è che sono necessari tre elementi. Innanzi tutto, è necessaria una difesa comune: abbiamo bisogno delle garanzie di sicurezza che la costituzione fornirebbe. In secondo luogo, è necessario esprimere una sola voce. A tal fine, abbiamo bisogno di un Presidente e di un ministro degli Esteri. In terzo luogo, è necessario aumentare il bilancio della PESC. Tutto ciò va inserito in un unico pacchetto. Se troveremo la volontà politica, credo che potremmo anche ottenere una politica estera e di sicurezza comune.

Il terzo aspetto è che dobbiamo realmente cominciare a pensare ai diversi elementi della costituzione ed esaminarla in due parti. Vi sono iniziative che stiamo già attuando, come l’Agenzia europea per la difesa, i gruppi tattici e la clausola di solidarietà in relazione con il terrorismo. Tuttavia, ve ne sono altri che dovremo cominciare ad attuare il più rapidamente possibile quando la costituzione entrerà in vigore. Tra questi figurano un Presidente, un ministro degli Esteri, un servizio per le relazioni esterne e la consultazione preventiva del Parlamento europeo.

L’ultima osservazione che vorrei fare è che, anziché insistere sulla battaglia istituzionale tra la Commissione, il Consiglio e il Parlamento europeo sugli aspetti della PESC, dobbiamo prepararci, indossare gli abiti da lavoro e agire insieme.

 
  
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  Poul Nyrup Rasmussen (PSE).(EN) Signor Presidente, potevo quasi sentire l’afflizione del mio buon amico Javier Solana mentre descriveva ciò che è accaduto durante il primo mese di quest’anno, immaginando che, se il resto dell’anno sarà come il primo mese, non sarà affatto facile! Ma devo fare un’altra osservazione.

Credo che in sostanza abbia affermato che il mondo nel 2006 si troverà ancora una volta di fronte a una scelta fondamentale: la scelta tra guerre preventive o politiche preventive. Non ho dubbi sul fatto che ciò che sta affermando e ciò che emerge chiaramente dalla sua esperienza è che nel 2006 avremo bisogno di politiche preventive. L’essenza dei valori dell’Unione europea, per quanto riguarda la politica estera, trova espressione nelle politiche preventive. Se esaminiamo gli strumenti citati con grande precisione dal Commissario, è giusto dire che sì, forse è la scelta più difficile, ma è anche la scelta che, storicamente, ha avuto successo. Dobbiamo ricordarlo in questi momenti difficili.

Vorrei dirle, Alto rappresentante Solana, che in Palestina proprio ora sono in molti a tirare nella direzione sbagliata e i poveri palestinesi hanno quindi bisogno di una forte voce europea. Ciò che ha affermato è corretto: è necessario avere pazienza, saggezza ed equilibrio. Sono molto lieto di averla sentita affermare che non dobbiamo essere noi a provocare il fallimento della Palestina, perché lei e io sappiamo che vi sono altri che garantiranno che ciò non accada: l’Iran, l’Egitto e altri paesi. Non è il nostro caso e quindi mi fido di lei. Saremo al suo fianco, per assicurare, assieme alla Commissione e al Presidente in carica del Consiglio Winkler, che l’Europa garantisca porte aperte e dialogo e, mi auguro, porte aperte ancora per i prossimi tre mesi.

 
  
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  Marek Maciej Siwiec (PSE).(PL) Signor Presidente, sono grato per tutto ciò che è stato detto sull’Ucraina. Tuttavia, dobbiamo essere preparati. Gli eventi dei prossimi due mesi determineranno se i frutti della rivoluzione arancione riusciranno a raggiungere la piena maturazione o se cadranno a terra acerbi. L’Ucraina ha bisogno di molta più Europa nei prossimi due mesi. E’ essenziale che le Istituzioni europee si facciano sentire in tale paese. Dobbiamo mantenere un dialogo costante con i leader e con la società dell’Ucraina. Bisogna creare un fronte europeista in Ucraina.

Vi è un coinvolgimento russo senza precedenti nell’evoluzione della situazione in Ucraina. Il gas è usato come un’arma. Deve essere introdotta una nuova costituzione e il prossimo parlamento deciderà se l’Ucraina debba andare a vele spiegate verso l’Europa oppure andare per conto proprio, come ha spesso fatto in passato. Dobbiamo incoraggiare i leader dei partiti politici a lottare per essere rappresentati in parlamento e formare un forte fronte europeista, al fine di poter contare su un buon partner nei prossimi quattro anni.

 
  
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  Helmut Kuhne (PSE).(DE) Signor Presidente, l’onorevole Wurtz ha chiesto a Javier Solana che cosa sia migliorato negli ultimi due anni, come se l’Unione europea in un certo senso avesse il potere decisionale di introdurre miglioramenti decisivi nel mondo. Coloro che volevano un mondo multipolare, con una riduzione del potere dell’unica superpotenza, difficilmente si stupiscono che sia così. Le affermazioni di alcuni deputati tendono a riflettere la loro visione eurocentrica e delusa del nostro ruolo in questo mondo multipolare. Posso solo porgere loro il benvenuto in un mondo che, purtroppo, non è diventato migliore solo perché è multipolare e ospita nuove potenze in rapido sviluppo a livello globale e regionale.

Noi europei non ce la passiamo così male in questa situazione e mi unisco a coloro che si sono congratulati con il signor Solana per aver raggiunto una decisione comune con la Cina e la Russia sull’opportunità di sottoporre le ambizioni nucleari dell’Iran al giudizio del Consiglio di sicurezza. Posso solo augurarmi che tale decisione dia i suoi frutti, ma non sono insoddisfatto dell’attuale linea di condotta.

 
  
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  Libor Rouček (PSE).(CS) Nel suo intervento iniziale, l’Alto rappresentante Solana ha accennato a vari fatti accaduti nel corso dell’ultimo mese e descritto le sfide che l’Europa deve affrontare, tra cui la controversia sull’approvvigionamento di gas dalla Russia, le elezioni in Palestina e la situazione in Medio Oriente, la situazione deprimente in Iraq, la crisi scatenata dal programma nucleare dell’Iran e lo statuto del Kosovo. Tutti questi eventi e problemi hanno una caratteristica in comune: nessun paese europeo, nemmeno il più grande, può gestirli da solo. In altre parole, se vogliamo risolvere tali problemi, dobbiamo unire le forze e sviluppare politiche comuni in materia di affari esteri, sicurezza e difesa. Questo è ciò che vogliono i rappresentanti politici di molti paesi e, come hanno affermato altri oratori, è ciò che vogliono anche i cittadini d’Europa.

La relazione dell’onorevole Brok, sulla quale voteremo domani, cita i progressi compiuti nel settore della politica estera e di difesa comune, ma descrive anche vari problemi, tra cui la partecipazione insufficiente del Parlamento europeo al processo di definizione della politica estera. Vorrei quindi chiedere al Consiglio di rispettare l’articolo 21 del Trattato sull’Unione europea e di consultare sempre il Parlamento all’inizio dell’anno sui progressi e sulle previsioni, anziché limitarsi a presentare una sintesi relativa all’anno precedente.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, mi permetta di riprendere alcune questioni trattate nel corso della discussione.

La questione più importante, come molti di voi hanno affermato, è che oggi abbiamo bisogno di un’Europa più incisiva in politica estera. Perché l’Europa sia più incisiva in politica estera dobbiamo lavorare insieme. Dobbiamo lavorare insieme soprattutto sui temi che sono oggi di grande attualità. Uno di essi, menzionato da molti di voi, è la politica energetica. Come ho già detto, ci stiamo lavorando. Ciò significa, naturalmente, che dobbiamo disporre di una politica energetica migliore, se non di una politica estera comune. So che come minimo dobbiamo prendere questa direzione, e disponiamo già di diversi strumenti preziosi per farlo, tra cui i dialoghi politici e i dialoghi specifici sull’energia. Vi sono anche i dialoghi multilaterali: dobbiamo coinvolgere l’OPEC, dobbiamo parlare di più con l’OPEC e con il Consiglio di cooperazione del golfo.

Come ho detto, la strategia di diversificazione sarà fondamentale per tutti noi. Dobbiamo esaminare la possibilità di integrare i mercati energetici dei nostri vicini nel mercato europeo dell’energia, per esempio ispirandoci alla Comunità energetica dell’Europa sudorientale. Disponiamo anche di numerosi strumenti finanziari per incoraggiare la convergenza dei temi energetici. La sicurezza dell’approvvigionamento energetico, come ho già detto, è fondamentale. Posso quindi assicurarvi che stiamo lavorando su questo aspetto e, non appena sarà pubblicata la comunicazione, torneremo sull’argomento.

Come ha affermato l’onorevole Rasmussen, anche la diplomazia preventiva è molto importante. E’ fondamentale. Concordo al riguardo. Come sappiamo, a volte la diplomazia richiede pazienza. Non si può eradicare la povertà da un giorno all’altro; non si possono elaborare tutti i vari tipi di gestione delle crisi o persino di gestione post-crisi e ottenere un cambiamento immediato. Per questo è necessario un approccio sostenibile e coesivo.

La migrazione è un altro tema nuovo e molto importante della politica estera. Anche in questo caso, dovremo collaborare con i paesi d’origine, con i paesi di transito e con l’Unione europea per trovare il giusto equilibrio tra politica interna ed estera.

La lotta contro il terrorismo, la lotta contro gli stupefacenti: tutto questo richiederà molti anni, ma sono battaglie che dovremo sempre più combattere facendo fronte comune. Le armi di distruzione di massa, il sostegno della democrazia, dello Stato di diritto e di elezioni libere ed eque: tutto questo figura nella nostra politica di vicinato, quindi è chiaro che lo prenderemo molto sul serio. Abbiamo un incentivo concreto in materia nel nostro programma di Barcellona, per esempio, ma abbiamo anche bisogno di tutto il sostegno possibile per poter compiere progressi reali con questa politica.

I partenariati strategici con le grandi potenze, come il partenariato transatlantico, le relazioni con la Cina, l’India, il Brasile e le ottime relazioni con l’America latina sono tutti elementi importanti, perché ci permettono di lavorare insieme in un quadro multilaterale, cooperando anche con le Nazioni Unite, come è stato affermato. E’ chiaro che è altrettanto importante riuscire a integrare il lavoro a favore dei nostri valori comuni nella strategia multilaterale.

La politica di vicinato è un elemento importante della strategia in materia di sicurezza, perché cerchiamo realmente di esportare la stabilità collaborando con l’Ucraina, i paesi del Caucaso meridionale e i paesi del Mediterraneo. Abbiamo quindi alte aspirazioni di rendere l’Europa più sicura; sappiamo che ci attendono molte sfide, ma non vedo altro modo in cui procedere se non cercando di potenziare tutti i nostri strumenti e lavorare per un’Europa comune, fondata su valori comuni, insieme con il mondo.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. (DE) Signor Presidente, signora Commissario, signor Alto rappresentante, onorevoli deputati, non mi è possibile, nel breve tempo a mia disposizione, riesaminare nei particolari tutte le questioni sollevate nel corso della discussione, ma vorrei affrontare alcuni punti che, in veste di rappresentante del Consiglio, considero importanti.

L’Alto rappresentante è stato il primo a dirlo, ma molti gli hanno fatto eco: sussiste l’esigenza di una politica estera europea a livello globale. E’ una questione importante anche per i cittadini europei e noi – il Consiglio, la Commissione e il Parlamento europeo – dobbiamo lavorare insieme per rispondere a tale esigenza. Come ha affermato l’onorevole Watson, dobbiamo costruire l’Unione europea sulla base dei valori e ciò riguarda palesemente e specificamente la politica estera, nella quale dobbiamo essere esemplari per poter portare pace e stabilità nel mondo. Non posso che essere pienamente d’accordo al riguardo e vi assicuro che la Presidenza austriaca, come le presidenze che l’hanno preceduta e che le succederanno, s’impegna, nei sei mesi di mandato, a sostenere la tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali e anche, per riprendere le affermazioni dell’onorevole Geremek, la cosiddetta “sicurezza umana”: la promozione della salute e la campagna contro gli armamenti e il riarmo.

La politica estera dell’Unione europea è pacifica; non siamo, in questo senso, una potenza militare. La diplomazia preventiva è l’elemento essenziale. Nell’ambito del nostro impegno a favore del multilateralismo, ci sforziamo di agire in conformità della Carta delle Nazioni Unite e nel rispetto del diritto internazionale. E’ l’unico modo di preservare la nostra credibilità agli occhi del mondo.

Vorrei fare alcune brevi osservazioni su talune delle questioni sollevate. In risposta ai numerosi oratori che hanno parlato della politica energetica, vorrei aggiungere un paio di parole a ciò che ha detto il Commissario Ferrero-Waldner. Va da sé che la Commissione svolge un ruolo essenziale e importante in questo ambito, e la Presidenza del Consiglio sta lavorando in stretta cooperazione con essa. Al Consiglio europeo di marzo, la politica energetica europea sarà una questione centrale, per la quale la Presidenza britannica ha già posato la prima pietra. Intendiamo portare avanti il processo che ha iniziato. Nella discussione si è anche parlato di sicurezza dell’approvvigionamento energetico, un problema fondamentale, che comporta la diversificazione delle fonti e delle reti energetiche, nonché la riduzione della dipendenza unilaterale da forniture e reti energetiche e, in particolare, il sostegno e la promozione attiva delle energie rinnovabili e delle fonti energetiche alternative. Ovviamente, dedicheremo grande attenzione alla questione.

La Russia è stata menzionata più volte in questo contesto. La politica europea di vicinato in generale e la politica europea nei confronti della Russia rivestono entrambe importanza cruciale. La Russia è un partner importante e, nel dialogo con tale paese, dobbiamo dare risalto ai valori di cui ho parlato. E’ superfluo dire che i diritti umani sono un’altra questione da sollevare con le autorità russe, cosa che facciamo nell’ambito di un dialogo di ampio respiro. Ritengo tuttavia che si debba essere consapevoli del fatto che per l’Unione europea la Russia è un partner altrettanto importante degli Stati Uniti.

Sono particolarmente grato all’onorevole Beer per aver sollevato la questione dei Balcani, come ha fatto il signor Solana nella sua introduzione. La Presidenza austriaca del Consiglio, nei sei mesi di mandato, attribuirà ai Balcani occidentali la massima priorità, nell’interesse della stabilità nella regione e, di conseguenza, della pace e della stabilità in Europa.

Un’altra osservazione fatta sulla politica estera europea è che dovremmo concentrarci soprattutto sui nostri vicini. E’ ciò che stiamo facendo ed è importante farlo, ma, nel mondo di oggi, non vi è crisi o situazione che non incida anche sugli interessi e sulla stabilità dell’Unione europea. Questo è ciò che rende l’Unione europea un soggetto globale ed è anche il motivo per cui essa deve dotarsi delle risorse necessarie per svolgere tale ruolo. Se l’Alto rappresentante oggi non si stanca – nel vero senso della parola – di viaggiare in tutto il mondo al servizio della pace, egli lo fa nell’interesse di una politica estera europea credibile, nel nostro stesso interesse e anche nell’interesse della stabilità e della pace in Europa.

Vorrei ora affrontare una questione che riveste particolare importanza per i cittadini e figura anche tra le priorità della Presidenza austriaca. Mi riferisco alla protezione dei cittadini europei nei paesi terzi, della quale, come gli eventi e le crisi recenti hanno già dimostrato, noi come Unione europea siamo responsabili. La Presidenza austriaca del Consiglio intende contribuire a organizzare meglio la cooperazione consolare per proteggere i cittadini che si trovano all’estero, nonché dotarla di risorse adeguate.

Permettetemi infine di accennare a ciò che è stato affermato sulla Cina. L’unica cosa che voglio dire riguardo all’embargo sulla vendita di armi è che al momento, come sapete, in seno al Consiglio non vi è consenso. L’argomento non è all’ordine del giorno, ma, al di là della decisione che potrà essere presa, è una questione di principio per il Consiglio e per la politica estera europea assicurare che non vi siano aumenti nella quantità di armi esportate in Cina.

 
  
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  Javier Solana, Alto rappresentante. (EN) Signor Presidente, voglio solo concludere brevemente, perché molto di ciò che ho affermato in termini generali è una ripetizione di ciò che pensiamo. Stiamo cercando di ripetere con parole diverse l’opinione della maggioranza sulla politica estera dell’Unione europea. Anziché passare in rassegna una litania di argomenti ogni volta che ci riuniamo, preferirei cercare di affrontarne alcuni in modo approfondito. In fin dei conti, abbiamo trattato tutti i problemi del mondo in due ore circa, con non so quanti interventi. Vogliamo che questa discussione sia utile. Per questo ringrazio l’onorevole Watson per il suo saggio consiglio di apparire meno in televisione e più in Aula. Vi prometto che ogni volta che andrò in televisione vi chiamerò in anticipo, così potrete prendere nota di quanto tempo passo in televisione e quante ore passo qui. Prendetene nota, dunque!

Dopo aver detto questo con simpatia e amicizia all’onorevole Watson, vorrei, se possibile, organizzare una discussione che ci permetta di approfondire la materia, che è molto importante. Cercherò di concentrarmi su un numero ridotto di argomenti che rivestono particolare importanza.

Si può parlare di politica estera comune, ma, se falliremo, non sarà una politica estera comune. Se falliremo, tanto vale chiudere. Prendete i Balcani: se non siamo pronti e disposti a risolvere la situazione nei Balcani, possiamo parlare di Iran, possiamo parlare di qualsiasi cosa vogliate, ma falliremo, e io non voglio fallire. Pertanto, mi troverete sempre al lavoro. Questo è ciò che sto cercando di fare e che continuerò a fare.

Vi ringrazio per le buone parole che alcuni di voi hanno avuto per il mio lavoro. Ringrazio anche chi non lo apprezza. Vorrei inoltre ringraziare Leila Shahid per le buone parole che ha detto su di me in questi giorni, quando ho difeso, come lei dovrebbe difendere, la posizione del Presidente Abu Mazen, cui dobbiamo cercare di dare il massimo aiuto possibile. Penso sia la persona più importante da sostenere in questo momento.

Sulle altre questioni, stiamo a vedere come evolve la situazione. Nelle prossime ore probabilmente dovremo prendere decisioni molto importanti. Sarò pronto e disponibile, se il tempo lo permetterà e se voi riuscirete a essere presenti, a fare una dichiarazione esplicativa qualora dovesse succedere qualcosa di grande importanza. Signor Presidente, le cedo la parola. Se vuole prenderla, bene, altrimenti va bene lo stesso.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani.

 

12. Risultati delle elezioni in Palestina e situazione in Medio Oriente, nonché decisione del Consiglio di non rendere pubblica la relazione su Gerusalemme Est
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sui risultati delle elezioni in Palestina e situazione in Medio Oriente, nonché la decisione del Consiglio di non rendere pubblica la relazione su Gerusalemme est.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio.(DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, benché si sia già parlato molto delle elezioni in Palestina, delle conseguenze che ne scaturiranno e della strada da seguire nel periodo immediatamente successivo ad esse al punto 4 dell’ordine dei lavori, vorrei soffermarmi su alcune questioni che sono state oggetto della riunione del Consiglio tenutasi lunedì scorso.

La prima cosa da dire – e vorrei cogliere l’occasione per ringraziare l’onorevole De Keyser e tutti i deputati che hanno preso parte a questa missione di osservazione elettorale – è che le elezioni si sono svolte regolarmente. Su questo tutti sono d’accordo e credo che queste consultazioni elettorali siano state un’inequivocabile e democratica espressione del volere del popolo. Questo è indubbio.

La reazione della Presidenza e praticamente di tutti i ministri degli Esteri degli Stati membri dell’Unione europea è stata immediata; hanno agito tutti indipendentemente l’uno dall’altro, dimostrando così di ispirarsi sostanzialmente ai medesimi principi. Vorrei inoltre riferire all’Assemblea le dichiarazioni rilasciate dal Quartetto per il Medio Oriente tra il 26 e il 30 gennaio, che precisano che la comunità internazionale continua a ritenere che si possa giungere a una soluzione duratura e pacifica del conflitto tra Israele e Palestina solo sulla base della non violenza, del riconoscimento del diritto a esistere di Israele e del rispetto degli obblighi bilaterali vigenti.

E’ stato ed è particolarmente importante che le dichiarazioni del Consiglio e degli Stati membri dell’Unione europea siano state pressoché identiche a quelle rilasciate dai nostri partner del Quartetto. Ciò che sia il Quartetto che l’Unione europea si aspettano da qualunque futuro governo palestinese è un inequivocabile impegno nei confronti dei principi che ho elencato, ed entrambi rilevano che la nuova Autorità autonoma palestinese riceverà il sostegno della comunità internazionale esclusivamente a patto che vengano rispettati tali principi.

Il Quartetto ha nuovamente ricordato a Israele e all’Autorità autonoma palestinese gli impegni che devono assolvere in conformità della roadmap e, nel seguire questa linea, ha ricevuto un sostegno concreto dal Consiglio, il quale a sua volta si aspetta che il neoeletto Consiglio legislativo palestinese sostenga la formazione di un governo impegnato a favore di una soluzione pacifica e negoziata del conflitto con Israele, basata sugli accordi vigenti e sulla roadmap, sullo Stato di diritto, sulle riforme e sulla corretta gestione delle proprie finanze. Se verranno soddisfatti tutti questi requisiti, l’Unione europea sarà disposta a continuare a sostenere lo sviluppo economico della Palestina e la costruzione di uno Stato palestinese democratico.

Allo stato attuale sarebbe prematuro prendere decisioni e, giacché non possiamo farlo, dobbiamo invece dire a chiare lettere che l’Unione europea, al pari degli altri partner che stanno apportando il proprio contributo, è disposta a continuare ad accordare il proprio sostegno purché vengano rispettate determinate condizioni.

Questo dibattito, ovviamente, in origine è scaturito dalla questione di Gerusalemme est, ed ora vorrei spendere un paio di parole proprio su questo argomento. Dal precedente dibattito è emersa la chiara aspettativa che l’Unione europea adotti un approccio equo, caratterizzato da una politica coerente per il Medio Oriente che non sia determinata esclusivamente dagli interessi israeliani o palestinesi, ma che faccia dell’equilibrio un requisito assoluto.

L’Unione europea, inoltre, è preoccupata per le attività di Israele all’interno di Gerusalemme est e nella zona ad essa circostante, nonché per le costanti opere di insediamento e costruzione del muro di separazione e per la distruzione delle case dei palestinesi. Queste attività violano il diritto internazionale, rendono meno probabile una soluzione definitiva della questione di Gerusalemme e minacciano di rendere impossibile una soluzione fondata sulla coesistenza di due Stati autonomi.

Queste considerazioni hanno spinto il Consiglio a chiedere ai propri servizi competenti di fornire all’UE un’analisi dettagliata della situazione di Gerusalemme est, prendendo spunto dai dati raccolti dalle missioni condotte dall’Unione europea a Gerusalemme e Ramallah.

Tuttavia, in vista di un cambiamento della situazione, e soprattutto alla luce delle elezioni israeliane per la Knesset, il 12 dicembre il Consiglio ha deciso di non pubblicare questo studio, ma di informare gli alti rappresentanti del governo israeliano delle preoccupazioni nutrite dall’Unione europea in quest’ambito.

Da allora vi sono state due iniziative diplomatiche: una ad opera della troika dell’Unione europea, che il 19 dicembre si è rivolta al ministro degli Esteri israeliano, e l’altra indirizzata dalla Presidenza ai principali partiti politici israeliani il 23 di quello stesso mese.

L’Unione europea ha appreso con soddisfazione la decisione di Israele di acconsentire allo svolgimento di parte delle elezioni a Gerusalemme est, iniziativa che contribuirà al buon andamento elettorale.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, come abbiamo affermato nel dibattito precedente, siamo effettivamente dinanzi a una nuova realtà. Lunedì i ministri degli Esteri dell’Unione europea e il Quartetto si sono riuniti per definire la nostra reazione all’ingresso di Hamas sulla scena politica nazionale palestinese e discutere le implicazioni della nostra assistenza all’Autorità palestinese.

Vorrei ricordare tre elementi. In primo luogo, i nostri principi, che devono essere assolutamente chiari. Abbiamo sostenuto queste elezioni fornendo un aiuto finanziario di 18,5 milioni di euro. Si è parlato inoltre dei 240 osservatori elettorali sotto l’eccellente guida dell’onorevole De Keyser. Abbiamo altresì dimostrato il nostro impegno nei confronti della creazione di istituzioni democratiche. Credo che questa sia evidentemente una posizione basata su principi. Oggi dovremmo forse abbandonare questa posizione perché non condividiamo il risultato delle elezioni? Credo che si tratterebbe altrettanto evidentemente di un errore. Dovremmo piuttosto chiedere che tutti rispettino l’esito di un’elezione democratica. Quando mi sono recata a Gaza, ho affermato a chiare lettere che eravamo disposti a lavorare con un governo intenzionato a ottenere la pace con mezzi pacifici. Come ha ribadito il Quartetto, tale obiettivo si raggiunge mediante la cooperazione, con un chiaro impegno in favore della non violenza, con il riconoscimento di Israele e l’accettazione degli impegni assunti precedentemente, tra cui la roadmap e l’accordo di Oslo.

In secondo luogo, le responsabilità: ora tocca ai leader palestinesi. E’ loro dovere comportarsi da partner e rispettare i criteri stabiliti dalla comunità internazionale. Non è ancora chiaro come Hamas, nell’ambito della sua piattaforma di cambiamento e riforma, eserciterà le responsabilità che un nuovo governo palestinese dovrà assumersi. Occorrerà del tempo per discernere le loro intenzioni. In entrambe le discussioni, ho chiesto alla comunità internazionale di lanciare un chiaro messaggio sulle nostre aspettative. Ho anche affermato che la Commissione europea è pronta a lavorare con qualsiasi governo intenda davvero ricercare la pace con mezzi pacifici.

Tuttavia, non dimentichiamo le esigenze economiche e umanitarie del popolo palestinese, che sono davvero immense. Ricordiamo altresì le legittime aspirazioni all’indipendenza dello Stato palestinese. Non dobbiamo dimenticare che i finanziamenti dei donatori sono essenziali per alleviare le difficili condizioni in cui versano i cittadini comuni della Palestina e impedire il circolo vizioso della povertà e dell’estremismo. Tuttavia, ricordiamo anche di aver assunto un impegno nei confronti di una soluzione a due Stati e delle esigenze di sicurezza di Israele.

Di conseguenza, ci aspettiamo innanzi tutto che i futuri membri del governo palestinese s’impegnino a rispettare questi tre principi, come previsto dall’accordo di associazione ad interim UE-Palestina, in cui si afferma chiaramente che la libertà della democrazia, lo Stato di diritto e i diritti umani devono essere rispettati. Inoltre, il piano d’azione negoziato nel quadro della politica di vicinato stabilisce altrettanto espressamente che la roadmap dev’essere la strada da seguire per raggiungere la pace.

Se da un lato la condotta di Hamas, come organizzazione, continuerà a essere oggetto di grande attenzione, dall’altro il nuovo governo palestinese dovrà innanzi tutto essere giudicato sulla base delle proprie azioni, tra cui la sua capacità di garantire sicurezza e stabilità.

La stabilizzazione delle finanze pubbliche è una sfida importante e immediata. Sono pronta ad assumere un approccio costruttivo nei confronti dei problemi fiscali dell’Autorità palestinese – cui ora devono far fronte soprattutto il governo ad interim e il governo di transizione – alleviando i loro problemi di liquidità. A dover fare la loro parte, però, sono anche altri, compreso Israele, cui è stato chiesto di continuare a trasferire il gettito dei dazi doganali all’Autorità palestinese. Io, alla pari di altri membri del Quartetto, parlerò inoltre personalmente agli israeliani della questione.

Anche il ruolo dei palestinesi stessi sarà fondamentale. La Banca mondiale invierà una missione incaricata di esaminare il da farsi e di valutare il modo in cui l’Autorità palestinese potrebbe soddisfare i criteri previsti, eventualmente tramite una riduzione del bilancio. Occorrerà individuare la possibilità di revocare la sospensione dei pagamenti a titolo del Fondo fiduciario della Banca mondiale, a carico del quale sono ancora disponibili 35 milioni di dollari. Questi finanziamenti non sono stati erogati perché non era possibile farlo. Spero di poter contare sul sostegno del Parlamento per trovare una soluzione a breve termine. Tuttavia, per il nuovo governo sarà inoltre importante riavviare riforme essenziali, agendo nello stesso spirito che aveva caratterizzato il nostro lavoro con l’Autorità palestinese in passato.

Nel frattempo, la Commissione intende portare avanti i programmi di aiuto volti a soddisfare le esigenze di base dei palestinesi, intervenendo tra l’altro nell’ambito delle infrastrutture, dell’aiuto alimentare e dell’assistenza umanitaria e ai profughi.

Per concludere vorrei dire che il processo di pace si trova – come tutti sappiamo – in un momento molto critico. Il 2005 è stato dominato dalle azioni unilaterali da parte di Israele e dalla paralisi istituzionale palestinese. La comunità internazionale deve ora fornire una concreta prospettiva di progresso, compiendo sforzi su entrambi i versanti, sia nei confronti degli israeliani che dell’Autorità palestinese. Convengo che, in tale contesto, dobbiamo rafforzare Mahmoud Abbas e la sua autorità per fornire stabilità e dimostrare che dai negoziati scaturiranno risultati positivi. Per questo motivo vorrei sottolineare l’importanza di evitare tutte le azioni unilaterali che rischiano di pregiudicare i negoziati sullo status finale, compresi gli attentati terroristici, l’espansione degli insediamenti e la costruzione del muro di separazione.

Ora, dunque, dobbiamo collaborare a stretto contatto: i giorni e i mesi a venire saranno assolutamente cruciali per la stabilità non solo del Medio Oriente, ma anche nostra.

 
  
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  Edward McMillan-Scott (PPE-DE), presidente della missione di osservazione del Parlamento europeo.(EN) Signor Presidente, ho avuto il privilegio di rivestire nuovamente l’incarico di presidente della più ampia missione di rappresentanti eletti per l’osservazione delle elezioni in Palestina: quella del Parlamento europeo. Vorrei subito ringraziare per il lavoro svolto gli altri 26 deputati al Parlamento europeo impegnati nella delegazione, rivolgendomi in particolar modo alla mia vicepresidente, onorevole Napoletano, e ovviamente alla collega De Keyser, osservatore capo della missione dell’Unione europea. Desidero altresì ringraziare il personale del Parlamento europeo che è venuto con noi e che ha svolto un ottimo lavoro in circostanze molto difficili.

La settimana scorsa, per le strade della Palestina, abbiamo sentito il clamore della scelta e del cambiamento. Abbiamo sentito il rumore della democrazia. Ci siamo resi conto, come ha osservato uno dei miei colleghi, che tutto si stava svolgendo in modo perfetto. Gli elettori si sono recati liberamente alle urne: uomini, donne, giovani e anziani. Le sezioni elettorali, generalmente situate all’interno di edifici scolastici e gestite da insegnanti, si sono rivelate efficienti e ben organizzate. Nel complesso, le forze israeliane si sono tenute fuori del processo elettorale, che è stato perfetto; il risultato emerso ha indubbiamente rispecchiato il volere della gente, esprimendo più la disperazione che il popolo prova nei confronti di Al Fatah che non il suo amore per Hamas. Per la verità, i membri di Hamas che abbiamo incontrato non erano persone molto cordiali.

Non solo in Palestina, ma in ogni parte del mondo arabo – anche in Egitto, dove la Fratellanza musulmana ha ottenuto ottimi risultati a novembre e dicembre, e nelle prossime elezioni parlamentari marocchine – assisteremo all’emergere di una politica del fondamentalismo islamico in tutto il mondo arabo, un mondo arabo composto da 250 milioni di persone. Questa è la sfida cui devono far fronte tutte le nostre Istituzioni. Dobbiamo collaborare, perché a mio parere, pur avendo impartito il processo della democrazia, non ne abbiamo impartito i valori, che per noi sono la norma nell’Unione europea. Democrazia, Stato di diritto, diritti umani e rispetto per la protezione delle minoranze: sono questi i valori che dobbiamo trasmettere.

 
  
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  Véronique De Keyser , presidente della missione di osservazione elettorale dell’UE nei territori palestinesi.(FR) Signor Presidente, i miei primi pensieri vanno ai membri della missione che si trovano ancora sul posto. Ho ricevuto diverse parole di ringraziamento che vorrei condividere con loro: hanno svolto un lavoro straordinario. Ho inoltre ricevuto un grande aiuto dal Consiglio, da Marc Otte, rappresentante speciale dell’Unione europea per il processo di pace in Medio Oriente, che era presente in Palestina, e da Jeanette. Tuttavia, signora Commissario, desidero ringraziare soprattutto lei per avermi aiutato a prendere alcune decisioni difficili.

Ne illustrerò due. Innanzi tutto, l’invio della nostra missione a Gaza in condizioni di sicurezza precarie. Fin dall’inizio, la nostra è stata l’unica missione di osservazione elettorale presente a Gaza. Poi, signora Commissario, la delicata decisione di incontrare i candidati di “Cambiamento e riforma”, la lista elettorale di Hamas. Ovviamente, abbiamo scelto noi i candidati che avremmo incontrato, ed erano candidati moderati. Vorrei anche aggiungere, però, che la nostra è stata l’unica missione ad aver incontrato alcuni candidati del partito “Cambiamento e riforma” e che la storia ci ha dato ragione, poiché il 44 per cento del popolo palestinese ha votato a loro favore.

Vorrei ora rilevare che ci troviamo dinanzi a tre sfide. La prima sfida – che trovo difficile anch’io – è rispettare la scelta del popolo palestinese, che, come ha affermato l’onorevole McMillan-Scott, si è pronunciato a favore del cambiamento e non necessariamente dell’islamismo radicale. Non tutti i palestinesi, o per lo meno la metà di loro, sono diventati islamisti radicali. Vogliono un cambiamento sia all’interno che all’esterno della Palestina, nonché una pace che tarda a venire.

La seconda sfida, signora Commissario, è di non cedere alla tentazione dell’unilateralismo nella ricerca della pace. E’ dall’epoca di Yitzhak Rabin che non scorgiamo più alcuna traccia di bilateralismo nelle decisioni e nei negoziati tra Israele e Palestina. Il ritiro da Gaza è stata una decisione unilaterale. Oggi la presenza di Hamas all’interno del governo palestinese rafforzerebbe quell’unilateralismo e non porterebbe alla pace. Mi auguro che l’Unione europea lavori in questo senso.

La terza sfida consiste nell’operare una distinzione, a prescindere dalle circostanze, tra il governo palestinese, che dovrà assumersi le proprie responsabilità, e il popolo palestinese, che non può essere tenuto in ostaggio in virtù della propria scelta. Certo, il popolo palestinese ha compiuto questa scelta, ma ha esigenze basilari che dobbiamo fare in modo vengano soddisfatte, qualunque cosa riservi il futuro, perché altrimenti andremo incontro a una catastrofe.

Per concludere, vorrei riferirvi ciò che mi ha detto una donna palestinese subito dopo le elezioni. Quando le ho chiesto: “Non ha paura di essere governata dalla legge della sharia?”, lei mi ha risposto: “No, non abbiamo avuto paura di dire di no agli israeliani, che sono più forti di noi. Non abbiamo avuto paura di dire di no a Fatah perché ci ha deluso. Sapremo dire di no a Hamas se ci deluderà a sua volta”. Ecco qui l’intera lezione di democrazia parlamentare che i palestinesi hanno compreso appieno.

(Applausi)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. KAUFMANN
Vicepresidente

 
  
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  Ignasi Guardans Cambó, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signora Presidente, le elezioni sono come una fotografia. In realtà, sono come la radiografia di una società in un preciso momento storico. Queste elezioni devono indurci tutti a essere realisti e a porre fine all’ipocrisia in seno alla comunità internazionale. Milioni di palestinesi sono disperati. Non hanno nulla da perdere e votano per chi promette qualsiasi tipo di cambiamento e riforma, nonché la fine della corruzione.

Parliamo troppo del Medio Oriente e troppo poco dell’effettiva situazione in cui versano uomini, donne, bambini e anziani che, insieme alle loro famiglie, sono disperati. Dobbiamo rispettare questa volontà. Dobbiamo trasmettere un messaggio di rispetto a questa nuova maggioranza, che deve tuttavia essere accompagnato da un messaggio da cui si evinca che il nostro sostegno è vincolato alla fine della violenza, della resistenza violenta e del terrorismo. Dobbiamo però rispettare il volere della popolazione.

Non cerchiamo di mettere in scena lo stesso film e di mantenere la stessa sceneggiatura sostituendo semplicemente uno dei personaggi. In questo modo andremmo sicuramente incontro al fallimento. Siamo dinanzi a un nuovo scenario che richiede nuove proposte, un nuovo impegno e nuove pressioni su entrambi i fronti. Siamo nella situazione attuale proprio perché non abbiamo agito in tal senso. Dobbiamo esercitare nuove pressioni su entrambe le parti del conflitto. Dobbiamo cercare la pace, senza però mai dimenticare che parliamo di persone in carne e ossa.

 
  
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  David Hammerstein Mintz, a nome del gruppo Verts/ALE.(ES) Signora Presidente, credo che ora il ruolo di mediazione dell’Unione europea sia più necessario che mai. Ora meno che mai possiamo abbandonare la regione né possiamo abbandonare il popolo palestinese; al tempo stesso, tuttavia, dovremmo trarre le debite lezioni. Che cosa abbiamo imparato dal nostro intervento nella regione e dal nostro aiuto al popolo palestinese? Che cosa abbiamo imparato dopo aver proclamato per anni che le elezioni e la democrazia erano la soluzione nonché una tappa e una condizione per la pace, quando ora ci rendiamo conto che le elezioni stesse sono diventate un problema anziché una soluzione?

Non ho sentito alcuna autocritica da parte del Consiglio o della Commissione sugli errori che abbiamo commesso, dopo i miliardi di euro investiti.

Credo che questa vittoria di Hamas incarni la realizzazione di una profezia proclamata dalla politica israeliana. Per anni gli israeliani hanno affermato: non esiste un partner palestinese per la pace. Alla fine sono riusciti a tradurre a tutti gli effetti quest’affermazione in realtà.

Ora l’Unione europea deve affermare a chiare lettere che, se Hamas vuole continuare, deve accettare le regole del gioco e gli accordi già sottoscritti dal governo palestinese, riconoscere Israele e sciogliere il proprio esercito. Al tempo stesso, dobbiamo impegnarci a fondo per aprire un orizzonte di pace.

Una delle ragioni fondamentali della vittoria di Hamas è che non ci sono speranze, non ci sono speranze di un accordo definitivo in Medio Oriente. Inoltre, la qualità di vita dei palestinesi è andata peggiorando di anno in anno. Gli impegni assunti sul campo dal Quartetto al fine di migliorare il benessere dei palestinesi vengono assolti a passo di lumaca, molto lentamente, e le vie tortuose e gli ostacoli sorti non sono stati superati in maniera convincente.

Credo che dobbiamo agire da mediatori e lavorare più che mai per aprire questo orizzonte di pace.

 
  
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  Adamos Adamou, a nome del gruppo GUE/NGL.(EL) Signora Presidente, innanzi tutto vorrei ringraziare anch’io Véronique De Keyser ed Eduard McMillan-Scott per gli sforzi che hanno compiuto, insieme agli altri europarlamentari, durante la loro missione.

Il conteggio elettorale ha confermato la leadership politica di Hamas e questo risultato va rispettato. Al tempo stesso, l’esito elettorale non deve sorprenderci. E’ la conseguenza di molti fattori, sia locali che internazionali.

I palestinesi, nonostante le dichiarazioni dell’Occidente, purtroppo non hanno ancora visto promuovere l’obiettivo della creazione di un loro Stato indipendente. Tuttavia, hanno assistito alla legalizzazione della politica razzista del muro e degli insediamenti. Il risultato elettorale lancia un messaggio sia ai palestinesi stessi che alla comunità internazionale, soprattutto a noi, riguardo all’inadeguatezza della politica condotta; infatti, invece di esercitare pressioni su Israele affinché applicasse la roadmap e le risoluzioni dell’ONU per promuovere un processo politico, ci siamo limitati semplicemente a sostenere finanziariamente i palestinesi.

Purtroppo, credo che non siamo stati in grado di recepire questi messaggi, visto che oggi il Parlamento europeo promuove una risoluzione univoca e unilaterale.

Non possiamo reagire al nuovo governo ponendo fine agli sforzi volti a riavviare il processo di pace, come annunciato dagli Stati Uniti. Nondimeno, Hamas deve denunciare la violenza, riconoscere il diritto a esistere dello Stato di Israele e cooperare con il Presidente Abbas per portare avanti il processo di pace. Nel contempo, sia l’Unione europea che gli altri membri del Quartetto devono ribadire il loro impegno a creare uno Stato indipendente palestinese accanto allo Stato di Israele, che abbia come capitale Gerusalemme est.

 
  
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  Mario Borghezio, a nome del gruppo IND/DEM. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’Europa raccoglie ciò che ha seminato: i miliardi profusi verso la Palestina, che sono stati male utilizzati e la cui gestione non è stata monitorata come si doveva, hanno prodotto lo tsunami Hamas. Al potere è quindi salita un’organizzazione terroristica, che ha come fine strategico e dichiarato – come confermato dalle numerose ambiguità con cui i dirigenti dell’organizzazione hanno risposto alle nostre domande durante la missione – la creazione dello Stato della sharia, con tanti saluti alla pace, ai diritti umani, ai diritti delle donne e delle minoranze religiose. Hamas ha fornito una risposta molto chiara, rifiutando tutte le richieste del Quartetto sul Medio Oriente.

L’Internazionale socialista, per bocca dell’on. Schulz, si è già espressa a favore di un’apertura verso Hamas, pur non avendo mai levato la voce contro l’uso scandaloso degli aiuti versati all’Autorità palestinese. Ma la realtà è che chi scommette su un’apertura moderata di Hamas consegna definitivamente la Palestina agli integralisti, un destino che il popolo palestinese, fatto di gente coraggiosa, umile, intelligente e laboriosa, non merita certamente.

 
  
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  Frank Vanhecke (NI).(NL) Signora Presidente, che la famosa relazione dei diplomatici europei sia ufficiale o meno, dobbiamo concludere che questo documento, che è stato oggetto di un intenso dibattito, ha avuto se non altro l’effetto di fornire l’ennesima dimostrazione dell’eccessivo unilateralismo degli organi ufficiali dell’Unione europea a favore dei palestinesi. I rappresentanti europei sostengono costantemente, come faceva Bismarck, di essere mediatori onesti, ma in realtà difendono principalmente le richieste dei palestinesi, comportamento che è nocivo per l’indipendenza dell’Unione europea.

Già che ci siamo, potremmo anche riconoscere che i diversi miliardi di contributi europei erogati all’Autorità palestinese negli ultimi anni sotto forma di aiuto sono essenzialmente serviti a sostenere un regime interamente corrotto. A questo riguardo, ho rivolto molte domande al Consiglio e alla Commissione, che però le hanno respinte ogni volta e ora ne paghiamo le conseguenze. I corrotti sono stati spazzati via della vittoria elettorale del movimento terroristico islamico Hamas. La responsabilità dell’Unione europea a tale proposito è schiacciante.

 
  
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  José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra (PPE-DE).(ES) Signora Presidente, benché i recenti risultati delle elezioni palestinesi non inducano proprio all’ottimismo, credo che uno dei maggiori errori che potrebbero commettere l’Unione europea, in generale, e questo Parlamento, in particolare, sarebbe giungere a conclusioni affrettate.

Ciò che invece, a mio parere, possiamo affermare senza ombra di dubbio è che la presenza della missione di osservazione elettorale dell’Unione europea è stata un successo notevole per la Commissione europea e che – come ha dichiarato il Commissario Ferrero-Waldner – accresce la visibilità dell’Unione e contribuisce al consolidamento della democrazia in tutto il mondo. Dobbiamo quindi congratularci con la Commissione e anche con i colleghi Edward McMillan-Scott e Véronique De Keyser, nonché con gli altri membri dell’Assemblea che li hanno accompagnati.

Signora Presidente, credo che sarebbe prematuro giungere alla conclusione che il claudicante processo di pace in Medio Oriente verrà seppellito dall’esito di queste elezioni o che esse costituiscono l’epitaffio degli accordi di Oslo. Credo che si debba lasciar passare un po’ di tempo e vedere quali saranno le prossime mosse. In particolare, nonostante gli errori commessi, dobbiamo considerare il Presidente dell’Autorità nazionale palestinese come un interlocutore legittimo, attendere la costituzione del nuovo governo senza dimenticare – come diceva l’onorevole De Keyser – che il 75 per cento dei cittadini che hanno votato a favore di questa formazione politica non vuole la distruzione dello Stato di Israele e, infine, signora Presidente, valutare quale sarà l’impatto di questo processo elettorale sulle elezioni israeliane.

Tuttavia, signora Commissario, prima o poi, a prescindere dalle urgenze del breve periodo, l’Unione europea dovrà pronunciarsi su un punto fondamentale, ovvero stabilire se le immense esigenze – come lei ha affermato – del popolo palestinese sono compatibili con l’esistenza di Hamas, nella cui carta di fondazione si chiede di liquidare e distruggere lo Stato di Israele, e con la sua inclusione nell’elenco delle organizzazioni terroristiche dell’Unione europea.

A questo proposito, signora Presidente, l’Unione europea non può agire utilizzando due pesi e due misure: o si rinuncia alla violenza come mezzo di azione politica e al terrore o si dovrà rinunciare all’intervento e all’aiuto dell’Unione europea.

 
  
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  Pierre Schapira (PSE).(FR) Signora Presidente, desidero ringraziare gli onorevoli McMillan-Scott e De Keyser: le elezioni si sono svolte senza problemi di alcun tipo. Inoltre, queste sono elezioni storiche: si tratta della prima alternanza democratica nel mondo arabo.

Il popolo palestinese non ha votato a favore di Hamas, ha votato contro Fatah. Hamas ha vinto sulla base di un programma incentrato sulla lotta alla corruzione e sulla riforma dell’OLP, l’unica organizzazione autorizzata a negoziare. Soprattutto, ha vinto sulla base di un programma sociale da attuare specificamente all’interno della Palestina. Sono state queste le precise impressioni che ho avuto, quando, a margine della nostra missione, ho incontrato i sindaci palestinesi e la loro associazione, che è dominata da Hamas. Quanto agli aiuti, dobbiamo continuare ad aiutare il popolo palestinese, facendo in modo che i funzionari vengano pagati e, soprattutto, dobbiamo impedire il crollo dello Stato, perché altrimenti l’Autorità palestinese finirà nelle mani di un altro paese.

E’ imperativo attendere, onorevoli colleghi, ma cerchiamo di non diventare troppo ingenuamente ottimisti. Leggete la carta di Hamas: è spregevole e ignobile. Deve essere invalidata affinché il nuovo governo possa diventare un partner di discussione. Dobbiamo fissare una data, un calendario, in modo che Hamas si assuma le proprie responsabilità, poiché è diventato un partito legittimo in un paese democratico.

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE).(FR) Signora Presidente, sarò breve. Dispongo infatti di un solo minuto per dire quanto per me sia stato deludente constatare come, in quest’Aula, il Parlamento europeo abbia deciso accuratamente di evitare di “dire la verità”.

Questo testo sull’esito elettorale palestinese è costituito da sei trattini, sette considerando e dodici paragrafi, ma non cita neanche una volta – non vi si accenna nemmeno – a Hamas e alla carta incentrata sull’odio su cui si fondano la sua ideologia e la sua azione. L’onorevole Schapira ha appena detto quanto sia spregevole – penso che il termine da lui utilizzato fosse questo – tale carta, mentre l’onorevole Cohn-Bendit ha parlato di una carta ripugnante. Ovviamente condivido queste opinioni.

Oserei dire che ci meritiamo un Premio Nobel per la banalità quando, nonostante la carta, abbiamo di fatto sentito il Quartetto per il Medio Oriente, i ministri dell’Europa, i media e l’Alto rappresentante Solana, porsi, solo qualche istante fa, la domanda cruciale: come potremo cooperare con Hamas e continuare a fornire la nostra vitale assistenza ai palestinesi se Hamas non rinuncerà al terrore e non riconoscerà Israele? Mahmoud Abbas, da parte sua, non usa mezzi termini quando deve avanzare le proprie richieste dinanzi agli islamisti.

Sì, le elezioni sono state democratiche – per lo meno se si considerano le modalità secondo cui si sono svolte. Sì, Hamas ha vinto. Sì, vogliamo continuare ad aiutare l’Autorità palestinese. Sì, in ultima analisi oggi spetta a Hamas prendere le decisioni cruciali e cambiare. Questo è ciò che bisognava dire non meno chiaramente e direttamente ai pragmatisti di entrambe le parti: un’elezione democratica ha appena portato al potere un’ideologia antidemocratica. E’ questa la difficilissima equazione che dobbiamo risolvere oggi.

 
  
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  Margrete Auken (Verts/ALE).(DA) Signora Presidente, lo svolgimento delle elezioni palestinesi è stato esemplare. Desidero congratularmi con i palestinesi e rivolgere un grande ringraziamento ai miei colleghi. In Israele e in Palestina, tuttavia, i problemi da risolvere sono ancora molti. La Palestina è occupata, fatto evidenziato in una serie di risoluzioni ONU che criticano le costanti violazioni del diritto internazionale da parte di Israele, nonché gli insediamenti, l’orribile muro e il tentativo di annettere Gerusalemme est – solo per citare i problemi peggiori.

La difficile situazione in cui versa la Palestina è illustrata dalla proposta di risoluzione comune, che contiene diversi punti costruttivi. La proposta definisce le condizioni relative a Hamas. Dobbiamo vigilare con attenzione affinché Hamas non faccia più ricorso al terrorismo, dopo aver mantenuto la pace ormai da più di un anno. Certo, non dobbiamo privare i palestinesi del diritto alla resistenza armata all’occupazione previsto dalla Convenzione di Ginevra, ma dobbiamo compiere sforzi risoluti e attentamente soppesati per fare in modo che la situazione non sfugga a ogni controllo. Occorre procedere al disarmo di tutti i gruppi non governativi sia in Palestina che tra i coloni israeliani. Dobbiamo scoraggiare ogni forma di radicalizzazione sia in Palestina che in Israele.

La proposta di risoluzione in esame potrebbe benissimo essere intesa come un riconoscimento unilaterale e, se dobbiamo contribuire a portare la pace in Medio Oriente, questo sarebbe ovviamente pericoloso. Esorto pertanto i colleghi a votare a favore degli emendamenti presentati dal gruppo dei Verdi/Alleanza libera europea, e in particolare a favore dell’emendamento al paragrafo 10, che contiene una formulazione molto chiara della decisione del Consiglio di non pubblicare la relazione su Gerusalemme est, preparata dai capi delegazione in Palestina. Quando le critiche espresse da questa relazione in merito alla situazione di Gerusalemme est e le relative raccomandazioni saranno state chiaramente ritirate, la proposta di risoluzione sarà uno strumento adatto a compiere ulteriori progressi verso una giusta pace tra Israele e Palestina.

In questo momento dobbiamo essere coerenti. Non godiamo di sufficiente credibilità presso i palestinesi, ed è ora che cominciamo ad acquisirla.

 
  
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  Luisa Morgantini (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, esprimo la mia gratitudine per la sensibilità e l’intelligenza della Commissione, nonché di Véronique De Keyser, di Edward McMillan-Scott e di tutti noi. Ritengo tuttavia che la mancata pubblicazione del documento su Gerusalemme est – ed è su questo tema che si svolge in realtà la discussione – e il mancato avvio di opportune iniziative abbiano fornito effettivamente un piccolo aiuto ad Hamas, perché non c’è dubbio che su certe verità non si può tacere.

Penso che quella di Hamas sia stata una vittoria annunciata. Gran parte della responsabilità ricade sulla comunità internazionale, che non ha saputo, dopo la firma degli accordi di Oslo, far prevalere e rispettare il diritto internazionale: non ha cioè dato attuazione al principio dei “due popoli, due Stati”, né ha assicurando un adeguato sostegno a Mahmoud Abbas – giacché non bastano i finanziamenti: è il sostegno politico che i palestinesi vogliono – e, contemporaneamente, non ha esercitato le necessarie pressioni su Israele per impedire la crescita delle colonie e l’annessione di territorio.

In particolare, ritengo che la Comunità internazionale, pur disponendo della forza necessaria per esercitare pressioni, non abbia saputo assicurare la ripresa concreta dei negoziati. Ciò nondimeno, i palestinesi hanno saputo rispondere con un processo e una partecipazione democratica, esprimendo il loro bisogno di vita, di giustizia e di pace.

Per me che sono donna, la vittoria di Hamas è un fatto terribile: penso però che si tratti certamente di un voto di protesta contro Al Fatah, che ha dominato in maniera egemonica la società palestinese per molti anni e non ha saputo realizzare le sue promesse, oltre che contro la corruzione, che però è una questione alquanto demagogica. Ritengo che spetti veramente alla Commissione europea e alla comunità internazionale riavviare e tenere vivo il dialogo, facendo sì che sia Hamas che Israele possano cessare la violenza e riconoscere nella pratica il principio dei “due popoli, due Stati”.

 
  
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  James Hugh Allister (NI).(EN) Signora Presidente, Hamas è il male: è responsabile di alcuni dei più vili attentati terroristici che si siano mai visti. Il fatto che ora gli sia stato attribuito un mandato democratico non modifica né sminuisce il suo carattere terroristico. Come deputato nordirlandese, posso parlare in base all’esperienza di un’organizzazione terroristica analoga – l’IRA – che si è assicurata a sua volta un mandato elettorale. In quel caso sono stati commessi errori madornali nella speranza di incoraggiare i membri di tale organizzazione ad abbandonare la strada del terrore. Sono stati distorti i valori della democrazia, è stata effettuata una concessione ingiustificata dopo l’altra, ma, poiché ogni richiesta è andata a segno, ne sono state avanzate delle altre. E’ questo il modo in cui le organizzazioni terroristiche pensano e lavorano, mentre combattono la loro lunga guerra multiforme.

Chiedo pertanto di assumere una posizione ferma e risoluta, che non si discosti né venga meno al principio secondo cui l’Unione europea non può concedere alcun aiuto a un’autorità gestita dai terroristi di Hamas. Se non rispetteremo questa regola, noi e la democrazia ne usciremo sconfitti.

 
  
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  Antonio Tajani (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’Europa deve avere un obiettivo fondamentale per la costruzione della pace in Medio Oriente e per colpire il terrorismo anche attraverso la politica: tale obiettivo è la garanzia dell’esistenza e della sicurezza per Israele e della contemporanea nascita di uno Stato palestinese. Negli ultimi tempi, grazie all’azione di Sharon e di Abu Mazen, sono stati compiuti importanti passi avanti in questa direzione.

Il successo elettorale di Hamas rischia di farci tornare indietro? Rischia di trasformare la Palestina in un nuovo regime teocratico e integralista? Certo, le parole di Mohammad Zahar, portavoce di Hamas, che preannuncia un nuovo governo palestinese senza laici, perché “sono portatori di AIDS e omosessualità”, non ci fanno ben sperare. Né ci fanno ben sperare altre dichiarazioni a proposito di Israele.

L’Europa ha il dovere di fare ascoltare la sua voce, con iniziative politiche forti per spingere Hamas a seguire il percorso già intrapreso. L’Europa dovrà far capire al nuovo governo che, qualora pensasse di minacciare l’esistenza di Israele, perderebbe i fondi destinati alla Palestina. Se Hamas sceglierà la via dell’intolleranza, recherà un grave danno al suo popolo e condizionerà negativamente il risultato elettorale in Israele. Sosteniamo dunque Abu Mazen e ben venga una sua visita al Parlamento europeo. Difendiamo anche i diritti dei palestinesi cristiani: si tratta di una minoranza a rischio di estinzione in Medio Oriente, che rappresentano però un importante elemento di pace e di stabilità.

Lavoriamo con fiducia perché non prevalga il pensiero di Arwan Zaboun, secondo cui i negoziati con Israele sono haram, ovvero sono proibiti dalla religione. Il popolo palestinese, ne sono convinto, non la pensa così.

 
  
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  Lilli Gruber (PSE).(DE) Signora Presidente, il nuovo parlamento palestinese è frutto di elezioni internazionalmente riconosciute dalla comunità internazionale. Rispettiamo l’esito di queste elezioni e sosteniamo il Presidente Abu Mazen nel tentativo di mettere insieme un governo forte che sappia difendere il diritto internazionale e opporsi alla violenza.

Sembra quindi paradossale minacciare oggi il blocco dei contributi europei all’Autorità nazionale palestinese. Se questo accadesse, infatti, si correrebbe il rischio che l’Unione europea sia sostituita da Stati e gruppi aggressivi e che Al-Qaeda finisca per assoldare soldati e poliziotti palestinesi disoccupati.

Non dimentichiamo che, il 13 giugno 1980, in seno al Vertice di Venezia, la Comunità europea aveva riconosciuto l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Attraverso il dialogo l’ex organizzazione terroristica è stata accompagnata sulla via del riconoscimento del diritto all’esistenza di Israele e della partecipazione al processo di pace. Il successo elettorale di Hamas ci pone oggi dinanzi a una sfida simile. Va rilevato che, prima delle elezioni, gli USA avevano fatto sapere che si dovevano tenere colloqui con Hamas, nonostante si trovasse sull’elenco delle organizzazioni terroristiche.

Spetta ora al Parlamento europeo apportare il suo contributo costruttivo e invitare al più presto una delegazione della neoeletta assemblea palestinese a Bruxelles. Infatti, più che di atteggiamenti di minaccia, oggi c’è urgente bisogno di iniziative che stabiliscano un clima di fiducia.

 
  
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  Sajjad Karim (ALDE).(EN) Signora Presidente, nelle settimane scorse abbiamo assistito all’avvicendarsi di contrasti e contraddizioni che hanno caratterizzato le relazioni dell’Unione europea con il Medio Oriente. Pretendiamo legittimità e trasparenza dai nostri partner, eppure mettiamo a tacere la verità quando ci costringe giuridicamente ad agire. Agevoliamo le elezioni democratiche in Palestina, eppure mettiamo in discussione la voce del popolo quando questa si fa sentire. Aiutiamo la corrotta Fatah per anni, ma nel giro di pochi giorni mettiamo in dubbio le dichiarate intenzioni umanitarie dei membri della futura nuova Autorità palestinese. Mettiamo in discussione la volontà della nuova Autorità palestinese di costruire ponti di fiducia e cooperazione, ma ignoriamo il protrarsi della costruzione della barriera di separazione da parte di Israele. Finanziamo giustamente le istituzioni democratiche in Palestina, ma impediamo il diritto all’autodeterminazione delle persone annesse a Gerusalemme est. Chiediamo giustamente a Hamas di rinunciare alla violenza o di subire le conseguenze della sua scelta, eppure rimaniamo immobili mentre l’esercito israeliano spara su bambini innocenti a Gaza e Ramallah senza subire alcuna conseguenza. Chiediamo giustamente a Hamas di riconoscere Israele, eppure rimaniamo in silenzio mentre Israele viola le leggi internazionali.

Fondamentalmente, i palestinesi chiedono: l’Unione europea è sinonimo di democrazia o di repressione? L’UE costruisce ponti o barriere? L’UE è sinonimo di rispetto o di sprezzo per il diritto internazionale? La decisione di Hamas di mettere da parte le pallottole per affidarsi alle urne rappresenta un potenziale cambio di rotta strategico da cui potrebbero scaturire colloqui con Israele. L’Unione europea deve essere all’altezza di questo cambio di rotta e dimostrare l’uguaglianza e l’equità fondamentali che sono necessarie per la creazione di uno Stato palestinese, che conviva pacificamente con Israele.

 
  
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  Jana Bobošíková (NI).(CS) Onorevoli colleghi, dobbiamo porre immediatamente fine allo stanziamento di fondi a favore della Palestina, dove Hamas è salito al potere. Si tratta di un movimento di stampo chiaramente terroristico, che non riconosce lo Stato di Israele, non vuole il disarmo e segue la legge della sharia. Quale uso farà Hamas del denaro dei contribuenti europei? Caverà gli occhi alla gente, lapiderà le donne o amputerà le mani delle persone? Quanti uomini verranno uccisi dalle armi di Hamas?

Onorevoli colleghi, dobbiamo ammettere che l’Unione deve assumersi la sua giusta parte di responsabilità per la polveriera mediorientale, perché ha nascosto la testa sotto la sabbia e perseguito una politica ambigua. Sono ceca e il mio paese è stato uno dei primi a fornire armi al nuovo Stato di Israele nel 1948 affinché potesse difendere il proprio territorio. All’epoca, gli allora Stati membri dell’Unione europea espressero orrore per l’olocausto e sostennero la creazione di uno Stato ebraico. In che modo si sono comportati da allora? A chi è inequivocabilmente andato il sostegno dell’Unione, a Israele o ai terroristi palestinesi? Per favore, mettiamo fine a questa ambiguità e diciamo forte e chiaro che Hamas, per anni indirettamente finanziato dall’Unione, persegue politiche inique e che i cittadini dell’Unione europea non le sovvenzioneranno con i propri contributi.

 
  
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  Elmar Brok (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, signora Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, eccoci qui, a reagire con stupore a un fatto che in realtà si spiega da solo: la vittoria elettorale di un partito che ha fatto sentire alle persone di avere interesse per loro, mentre gli altri sono stati liquidati come una manica di imbroglioni corrotti. Da questo dobbiamo trarre delle conclusioni. Dobbiamo impegnarci ancora di più per rendere visibile l’aiuto dell’Unione europea, perché così facendo trasmetteremo ai cittadini il messaggio che vale la pena di sostenere la pace e la democrazia. Credo che non siano solo i governi a dover recepire tale concetto.

L’esito di queste elezioni è un disastro per la regione. In questo caso si può indubbiamente parlare di ritmo quinquennale: sono trascorsi circa dieci anni dalla morte di Rabin e dalla mancata elezione di Peres a causa degli attentati terroristici; cinque anni dopo è iniziata l’intifada, e ora ci risiamo. Si ritorna continuamente al punto di partenza.

Ciononostante, credo che non dobbiamo perdere la speranza che Hamas possa contribuire allo sviluppo, ma dobbiamo precisare le condizioni entro cui questo può avvenire. Se, sulla base dei seggi vinti in parlamento, Hamas assumerà il governo dell’Autorità palestinese, dovrà accettare di rinunciare alla violenza, riconoscere il diritto all’esistenza dello Stato di Israele e rispettare gli accordi vigenti, perché altrimenti occorrerà ricominciare tutto daccapo.

La mia speranza è che questo avvenga prima delle elezioni israeliane, onde evitare che possano emergere circostanze avverse che ostacolerebbero un nostro ravvicinamento. Durante questo periodo il Quartetto dovrà affermare chiaramente che, se tutto andrà per il verso giusto, verranno erogati gli aiuti e la sicurezza sarà garantita. Per questo sono lieto che il Quartetto abbia risposto tanto rapidamente nel fine settimana.

Vorrei inoltre esprimere la mia gratitudine all’onorevole De Keyser e al suo gruppo e anche alla nostra delegazione parlamentare, guidata dall’onorevole McMillan-Scott, per il lavoro svolto.

 
  
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  Panagiotis Beglitis (PSE).(EL) Signora Presidente, vorrei subito congratularmi anch’io con gli onorevoli colleghi Véronique De Keyser ed Edward McMillan-Scott per l’importante contributo apportato al monitoraggio delle elezioni palestinesi.

Il popolo palestinese ha votato in maniera democratica e credo che tutti noi oggi dovremmo rispettare il volere democratico del popolo palestinese e formulare la nuova strategia europea sulla base della nuova realtà politica che domina il Medio Oriente e la Palestina.

Purtroppo l’Alto rappresentante Solana oggi non è presente in Aula, perché avrei voluto dirgli che ha commesso un gravissimo errore quando, una settimana prima delle elezioni palestinesi, ha affermato che gli aiuti economici a favore della Palestina sarebbero stati congelati qualora la vittoria fosse andata a Hamas. Questa dichiarazione di Javier Solana è stata utilizzata da Hamas e si è essenzialmente ritorta come un boomerang contro le forze moderate progressiste palestinesi.

Stando così le cose, riscontro una grave lacuna in seno all’Unione europea. Non ho sentito alcuna affermazione o presa di coscienza sulla politica unilaterale condotta dal governo israeliano, né ho udito dichiarazioni sulla politica e sulla decisione di Olmert di congelare la restituzione di 50 milioni di dollari all’Autorità palestinese.

Ho una richiesta da rivolgere alla Commissione: che chieda la proroga della tregua da parte di Hamas. Si tratta di una questione importante, più di quanto lo siano le varie condizioni unilateralmente imposte ai palestinesi.

 
  
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  Charles Tannock (PPE-DE).(EN) Signora Presidente, quando si è concesso a Hamas di candidarsi alle elezioni palestinesi senza che questo movimento fosse stato riformato, sono stato assalito dai dubbi più profondi. Forse il Presidente Bush e altri pensavano che Hamas non avrebbe vinto, oppure che, se fosse stato incluso nel processo elettorale, avrebbe significativamente modificato la propria retorica e le proprie politiche. Mi permetto di dissentire.

Hamas rimane un’organizzazione terroristica che ha legami con la Fratellanza musulmana e gli Hezbollah. Il suo obiettivo è sterminare Israele e istituire uno Stato islamico che abbia Gerusalemme come capitale. Per la verità, dalla sua carta si evince che si tratta di un movimento che persegue la jihad globale, obiettivo che prevede il ricorso a kamikaze e l’istituzione di una teocrazia e di un califfato islamico in ogni parte del mondo. Ovviamente, se esprimesse queste posizioni all’interno di qualsiasi Stato membro dell’Unione europea, Hamas verrebbe bandito come partito politico.

Ho sempre criticato il dilagare della corruzione sotto il Presidente Arafat e ho cercato di fare luce su questa situazione nel corso della precedente legislatura, ma purtroppo gli elementi individuati dal mio gruppo di lavoro non sono mai stati discussi in plenaria. Ora assistiamo a un massiccio voto di protesta da parte dei palestinesi comuni. Tuttavia, è evidente che un’organizzazione come Hamas, che viene bandita come movimento terroristico, non può essere un interlocutore legittimo per l’UE né ricevere un centesimo del denaro dei contribuenti europei fino a quando non rinuncerà alla violenza e riconoscerà lo Stato di Israele. Ho sempre difeso il muro di sicurezza poiché ha salvato vite umane dal male dei kamikaze. Purtroppo questa barriera ha diviso le comunità, ma non costituisce l’ultima frontiera di un futuro Stato palestinese.

Tuttavia, la vittoria di Hamas renderà molto più difficile realizzare un accordo improntato al principio “terra in cambio di pace”. Inoltre, giungere a una soluzione definitiva della questione di Gerusalemme est, nonché di quelle del diritto alle restituzioni, sarà pressoché impossibile con Hamas al governo dell’Autorità palestinese.

 
  
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  Carlos Carnero González (PSE).(ES) Signora Presidente, sicuramente la vittoria elettorale di Hamas non è una buona notizia per i democratici e i progressisti, e nemmeno per chi è di sinistra; questa vittoria è tuttavia il frutto di elezioni svoltesi in maniera corretta, e ciò va riconosciuto. Dobbiamo quindi rallegrarci di un fatto, ossia della presenza di Hamas nell’arena politica, e questo è già un progresso. Tuttavia, per integrare ulteriormente questa organizzazione sulla scena politica, dobbiamo saperla inserire pienamente anche nelle relazioni tra l’Autorità nazionale palestinese e l’Unione europea.

Vorrei precisare che, probabilmente, la prima volta che un rappresentante eletto di Hamas si incontrerà con l’Unione europea sarà nel quadro dell’Assemblea parlamentare euromediterranea che si svolgerà i giorni 26 e 27 marzo. In quell’occasione, dopo le elezioni israeliane, interverranno anche i nuovi deputati eletti in tale paese. In seno a quell’assemblea comune, dunque, potremo contribuire tutti a un dialogo e a un ammodernamento democratico di Hamas di cui beneficerà il mondo intero.

 
  
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  Jana Hybášková (PPE-DE).(EN) Signora Presidente, le statistiche parlano chiaro: se Hamas ottiene un seggio in più a livello nazionale, il numero di quelli che acquista a livello circoscrizionale è molto maggiore. La popolazione si fida di Hamas a livello locale e dobbiamo rispettare il suo volere in maniera intelligente, trasparente e responsabile. Abbiamo un piano per farlo? Abbiamo una strategia: non violenza, disarmo e riconoscimento dell’esistenza di Israele.

Quanto alla non violenza, se un giorno pronunceremo una dichiarazione di denuncia contro la violenza e il giorno seguente subiremo un attentato terroristico, come ci comporteremo? Hamas è un movimento di resistenza. Se l’occupazione continuerà, il governo non escluderà una resistenza violenta. E allora come ci comporteremo?

Quanto all’esistenza dello Stato di Israele, è sufficiente iniziare i negoziati dopo le elezioni israeliane?

Quanto al disarmo, vogliamo includere le milizie di Hamas nelle forze di sicurezza e di polizia palestinesi? A quali condizioni? Abbiamo qualche programma in merito?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio.(DE) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, ovviamente è innegabile che in passato si siano commessi degli errori, ma ora è arrivato il momento di guardare avanti. Non dobbiamo giungere a conclusioni premature, bensì soppesare attentamente la strategia da seguire nella prossima fase.

Nel corso del dibattito si è detto – e a ragione – che naturalmente continuiamo ad avere un partner nel Presidente Abbas, che è una persona con cui possiamo ancora parlare e con cui dobbiamo continuare a negoziare. Possiamo continuare a contare su di lui come partner, poiché il nuovo governo non potrà modificare la costituzione che sta per entrare in vigore, né lo farà. Non dobbiamo perdere la speranza, anzi, dobbiamo guardare al futuro.

Una cosa è chiara, però – il Consiglio lo ha affermato lunedì e il Quartetto ha fatto altrettanto – ed è che vi sono principi dai quali non dobbiamo discostarci, e non devono esserci dubbi sul fatto che tra questi figurano la non violenza, il riconoscimento del diritto all’esistenza dello Stato di Israele e la continuazione del processo di pace.

Si è anche detto più volte che la politica europea deve essere equa, e su ciò non posso che essere d’accordo; di fatto, questa è una verità lapalissiana. Nel mio intervento introduttivo ho anche illustrato la posizione del Consiglio in merito alle nostre relazioni con Israele e le nostre critiche nei suoi confronti.

L’importante è che l’Europa parli con una voce sola. Se vogliamo far sentire la nostra influenza, dobbiamo anche parlare la stessa lingua dei nostri partner del Quartetto, e anche questo è essenziale. Sono particolarmente grato alla Commissione per aver elaborato, con la debita considerazione e senza una fretta immotivata, una strategia volta ad aiutare il popolo palestinese. Come hanno rilevato diversi partecipanti al dibattito, il popolo palestinese ha sofferto molto e continua a soffrire, e noi non possiamo deluderlo. So, signora Commissario Ferrero-Waldner, che la politica della Commissione nei confronti dei palestinesi è molto valida e coerente e, tramite essa, dobbiamo accordare il nostro sostegno a questa popolazione.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione.(DE) Signora Presidente, signor Presidente in carica Winkler, onorevoli colleghi,

(EN) In primo luogo desidero ringraziarvi tutti per le gentili parole che avete avuto per le elezioni e il lavoro di osservazione. Il merito va interamente all’onorevole De Keyser e ai membri della sua missione nonché all’onorevole McMillan-Scott e alla delegazione da lui presieduta. Va riconosciuto il merito anche al popolo palestinese, che ha dimostrato di saper svolgere le elezioni in maniera libera e corretta, anche se non siamo pienamente soddisfatti del risultato.

Ora dobbiamo deciderci a rispettare il volere del popolo palestinese. Come si è detto nella dichiarazione del Quartetto, i palestinesi hanno votato a favore del cambiamento. Sappiamo perché. Al tempo stesso, i palestinesi desiderano la pace. Dai sondaggi emerge che una lieve maggioranza della popolazione è favorevole alla pace con Israele. E’ questa la strada da seguire. Siamo disposti a continuare a sostenere il popolo palestinese. E’ nostra intenzione farlo proprio come abbiamo fatto finora. A parte l’Unione europea, e in particolare la Commissione europea, nessun’altra organizzazione fa da anni così tanto per il popolo palestinese.

Tuttavia, essere eletti e salire al potere è anche una questione di responsabilità politica. Per questo chiediamo – e addirittura ci aspettiamo – che un nuovo governo palestinese confermi il proprio impegno nei confronti della pace avvalendosi di mezzi pacifici, rispettando però soprattutto le tre condizioni elencate nella dichiarazione del Quartetto: rinuncia alla violenza, riconoscimento dello Stato di Israele e rispetto degli obblighi esistenti, ossia l’accordo di Oslo e la roadmap. Queste condizioni comportano chiaramente l’assunzione di un impegno nei confronti della pace, di una soluzione a due Stati, ma anche di un’ambiziosa agenda di riforma per l’Autorità palestinese. Mi premeva molto sottolineare questo punto.

Vorrei altresì dire che la politica del Quartetto – e su questo punto stiamo davvero collaborando – è molto equilibrata. Ho sentito che, secondo alcuni deputati, il nostro è stato un approccio unilaterale: chi ancora non avesse letto l’ultima dichiarazione del Quartetto è pregato di farlo. Vorrei citare l’ultimo paragrafo, in cui si afferma che il Quartetto ribadisce il proprio impegno nei confronti dei principi delineati nella roadmap e nella precedente dichiarazione, e rinnova il proprio impegno verso una soluzione giusta, completa e duratura del conflitto arabo-israeliano sulla base delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU 242 e 338. Penso che questa affermazione, di per sé, rifletta il nostro sostegno nei confronti degli obblighi reciproci.

Permettetemi di ribadire che ora il nostro primo obiettivo sarà fare in modo che Israele trasferisca il gettito fiscale palestinese all’Autorità. Per la precisione, si tratta di denaro palestinese. Riteniamo che per Israele non sarebbe costruttivo trattenere questi fondi in un momento tanto cruciale. Ne parlerò anche con le autorità israeliane e so che lo faranno anche altri membri del Quartetto. Mi auguro vivamente che i fondi vengano trasferiti al più presto, perché coprirebbero buona parte degli stipendi dei dipendenti dell’Autorità palestinese e fornirebbero anche un reddito estremamente necessario per le famiglie. Questo sarebbe un gesto umanitario che Israele potrebbe compiere in un momento cruciale.

Sono stata rassicurata anche dal Presidente della Banca mondiale, che è dello stesso parere. Ho incontrato Paul Wolfowitz ieri a Londra. Secondo quanto pubblicato oggi, egli avrebbe affermato che “se la vita del palestinese medio migliorerà, a giovarne sarà l’intero processo; dovremmo essere le ultime persone al mondo a parlare di disimpegno”. Accolgo con grande favore questa affermazione e spero che sia d’aiuto. Tuttavia, è anche per questo che i membri della Lega araba dovrebbero onorare quanto prima le loro promesse di sostegno. Affinché questo avvenga, ieri, in seno alla Conferenza di Londra sull’Afghanistan, il ministro degli Esteri austriaco Ursula Plassnik ed io abbiamo sfruttato tutte le opportunità a nostra disposizione per parlare con i vari rappresentanti arabi.

Dobbiamo quindi essere molto vigili in questo periodo. E’ un momento cruciale perché si terranno anche le elezioni israeliane. Vogliamo che il processo di pace possa continuare in futuro. Invito quindi i deputati a continuare a sostenerci. Nonostante le difficoltà di cui è lastricata, vorremmo che in futuro la strada per la pace fosse meno sconnessa.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – A conclusione della discussione, comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del Regolamento(1).

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani.

Dichiarazione scritta (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Alessandro Battilocchio (NI). – L’Europa, vinto il primo stupore per il risultato delle elezioni in Palestina, deve ora prendere atto della legalità della consultazione, della legittimità del nuovo governo, ed anzi accogliere con favore la grande partecipazione dei cittadini palestinesi alla consultazione. Solo dimostrando una piena fiducia e continuando a collaborare potremo pretendere dal nuovo governo l’impegno necessario a portare a termine la roadmap. Naturalmente la nostra attenzione deve essere maggiore, proprio in virtù delle grandi tensioni sorte negli ultimi anni tra il partito al potere e la cosiddetta società occidentale, ma sono sicuro che non è stringendo il pugno che tali attriti saranno eliminati. Occorre al contrario dare l’opportunità ad Hamas di dimostrare di poter rispettare l’impegno, più volte dichiarato dallo stesso Presidente Abbas, di attuare la tabella di marcia, rispettare gli accordi e gli obblighi esistenti e perseguire una soluzione negoziata del conflitto con Israele. Tagliare i fondi all’Autorità Palestinese, pertanto, non è la soluzione. Servirà, e su questo dobbiamo essere irremovibili, rafforzare il sistema di controllo, anche tramite una maggiore cooperazione a livello internazionale, affinché le risorse siano esclusivamente utilizzate per lo sviluppo economico, politico e sociale della società palestinese, e non per la distruzione della nostra.

 
  

(1) Cfr. Processo verbale.


13. Posizione dell’UE nei confronti del governo cubano
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  Presidente. L’ordine del giorno reca l’interrogazione orale (O-0112/2005 – B6-0675/2005) degli onorevoli Graham Watson, Cecilia Malmström, Emma Bonino e Marco Pannella, a nome del gruppo ALDE, al Consiglio, sulla posizione dell’UE nei confronti del governo cubano.

 
  
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  Cecilia Malmström (ALDE), autore. – (SV) Signora Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, un po’ oscurato dai drammatici avvenimenti del Medio Oriente, il barbuto dittatore di Cuba che per decenni si è fatto beffe del mondo governa un paese nel quale i diritti umani sono violati, la gente vive in grande povertà e i dissidenti vengono imprigionati e perseguitati. Dopo la Cina, Cuba è la più grande prigione al mondo di giornalisti.

Nella primavera del 2003, un’ondata di oppressione ha spazzato l’isola: esponenti di spicco del movimento democratico sono stati arrestati e, dopo processi farsa, 75 di essi sono stati condannati a lunghe pene detentive. L’anno scorso molti giovani sono stati arrestati a titolo preventivo, nella presunzione che potessero causare disordini. Questi fatti rivelano chiaramente la paura che regna a Cuba. Quando, poco prima di Natale, il Parlamento europeo ha assegnato il Premio Sacharov alle Damas de Blanco, ovvero alle mogli e alle figlie dei dissidenti incarcerati, ai rappresentanti del movimento non è stato permesso di lasciare l’isola per recarsi a Strasburgo.

Cuba è un’orribile dittatura, e i fatti che ho ricordato sono ben noti. Negli ultimi anni la situazione è peggiorata e per i dissidenti politici è diventata molto grave. Il mio amico Héctor Palacios, che è stato condannato a 25 anni di carcere, è gravemente ammalato e i medici temono per la sua vita. Non ha la possibilità di curare l’alta pressione sanguigna di cui soffre, né le complicanze connesse con i suoi problemi cardiaci. Un altro caso è quello di Adolfo Fernandez Seinz, un giornalista condannato a 15 anni di prigione, che versa a sua volta in gravi condizioni di salute ed è dimagrito di 20 chili da quando si trova in carcere.

Fuori dalle prigioni, anche i dissidenti vengono perseguitati, come il vincitore del Premio Sacharov Oswaldo José Payá Sardiñas e l’attivista per i diritti umani Juan Carlos Gonzalez Leiva, cieco, che è agli arresti domiciliari dall’aprile 2004. E’, ovviamente, del tutto inaccettabile che a Cuba le persone continuino a stare in carcere a causa delle loro opinioni. Ed è altrettanto inaccettabile che tutti questi prigionieri non ricevano l’aiuto di cui hanno bisogno quando sono in gravi condizioni di salute.

Un anno fa il Consiglio dei ministri decise di modificare la posizione comune che aveva sostenuto per molti anni e di avviare un dialogo con il regime cubano perché riteneva di aver colto una sorta di apertura nell’atteggiamento di Cuba, da cui potevano emergere nuove prospettive. La maggioranza del Parlamento europeo criticò quel cambiamento di politica e ora, a un anno di distanza, occorre riconoscere che esso non ha dato alcun risultato. E’ stata una decisione sbagliata, che va rivista. Cosa intende fare adesso il Consiglio per aiutare i dissidenti cubani? Come possiamo aiutare concretamente il movimento democratico e il popolo di Cuba? Dobbiamo intensificare la pressione su Fidel Castro e, allo stesso tempo, dobbiamo definire una strategia che ci consenta di individuare le forze democratiche positive, che pure ci sono. Se è possibile aiutare le forze democratiche in Bielorussia, perché è così difficile fare altrettanto a Cuba? Castro è tuttora circondato da un’imbarazzante aura di romanticismo. Sarei molto lieta di ricevere qualche risposta da parte del Consiglio alle domande che ho posto.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signora Presidente, onorevole Malmström, il Consiglio valuta positivamente il crescente interesse del Parlamento per il miglioramento della situazione a Cuba. Porteremo avanti i nostri sforzi congiunti al fine di promuovere in quel paese un cambiamento pacifico.

Vorrei citare un passo della posizione comune definita nel dicembre 1996, che è tuttora valido e nel quale si affermava, inter alia, che l’obiettivo dell’Unione europea nelle sue relazioni con Cuba era quello di incoraggiare il processo di transizione verso una democrazia pluralista e il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, nonché un miglioramento sostenibile delle condizioni di vita del popolo cubano. Inoltre, nello stesso passo si sosteneva che la transizione aveva buone possibilità di realizzarsi in modo pacifico se fosse stato lo stesso regime al governo a dare inizio o ad autorizzare tale processo, e che la politica dell’Unione europea non mirava a indurre il cambiamento per mezzo di misure coercitive, che avrebbero aggravato le difficoltà economiche del popolo cubano.

Allo scopo di favorire un cambiamento pacifico della situazione a Cuba, l’Unione europea ha avviato un dialogo con le autorità cubane e con tutti i settori della società cubana, durante il quale ha costantemente fatto presente alle autorità la loro responsabilità fondamentale per quanto riguarda i diritti umani, in particolare la libertà di espressione e la libertà di associazione.

Posto che è inutile adottare misure politiche se esse non producono alcun effetto sulla gente, il Consiglio ha modificato alcuni aspetti pratici della sua politica onde renderli più efficienti, soprattutto al fine di intensificare il dialogo con l’opposizione pacifica, che ha accolto con grande favore questi contatti ravvicinati.

Sulla scia delle conclusioni del Consiglio del 31 gennaio 2005, sia le Presidenze lussemburghese e britannica sia, in particolare, la delegazione dell’Unione europea all’Avana hanno rafforzato i contatti con l’opposizione e con elementi indipendenti, focalizzando la loro attenzione su questioni fondamentali di medio termine collegate al tema della transizione e sviluppando in tale contesto, ad esempio, il dialogo con importanti esponenti dell’opposizione pacifica specialmente sui loro progetti concreti per il futuro, nonché sulla ricerca di altri strumenti atti a sostenere le organizzazioni indipendenti e della società civile.

Nel contempo, il Consiglio ha recisamente condannato l’intollerabile condotta delle autorità cubane non solo all’interno del paese ma anche nei confronti di politici e visitatori europei. La Presidenza ha sollevato la questione dell’accesso ai ministeri all’Avana e ha comunicato al governo cubano che esso non può attendersi un dialogo se nega tale accesso agli ambasciatori dell’Unione europea e se si rifiuta di riconoscere o di parlare con rappresentanti dell’UE.

Il Consiglio ha inoltre sottolineato la sua volontà di continuare il dialogo costruttivo con le autorità cubane su una base di reciprocità e di non discriminazione su alcuni temi, tra cui la concessione di visti per visite di rappresentanti dei governi interessati.

In una dichiarazione ufficiale, la Presidenza dell’Unione europea ha espresso il proprio rammarico per la decisione del governo cubano di impedire alle cosiddette Damas de blanco, alle “Donne in bianco”, di recarsi a Strasburgo per ricevere il Premio Sacharov 2005 per la libertà intellettuale, loro assegnato dal Parlamento europeo.

Fatti di questo tipo, tra cui anche il rifiuto del governo cubano di permettere a Oswaldo Payá di partecipare a dicembre a un forum di organizzazioni non governative sulla libertà di espressione, dimostrano quanto le autorità di quel paese disprezzino il diritto dei loro cittadini alla libertà di circolazione, previsto dall’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Il Consiglio deplora altresì la mancanza di ulteriori progressi per quanto attiene alla liberazione dei prigionieri politici e ha denunciato l’arresto, l’estate scorsa, di numerosi esponenti dell’opposizione pacifica nonché la decisione delle autorità cubane di limitare la libertà di espressione, di riunione e di stampa.

Il Consiglio continua a chiedere la liberazione di tutti i detenuti politici a Cuba. L’Unione europea è intervenuta riguardo alla situazione dei prigionieri che, per protesta contro le condizioni di detenzione, hanno iniziato uno sciopero della fame.

Concludo ricordando al Parlamento europeo il ruolo attivo e costante svolto dall’Unione, con il vostro aperto sostegno, presso la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite, nel cui ambito è stata l’anno scorso tra i cofirmatari della risoluzione su Cuba.

 
  
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  José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra, a nome del gruppo PPE-DE. – (ES) Signora Presidente, Cuba è l’unico paese dell’America latina a non avere legami con l’Unione europea sotto forma di un accordo di associazione o cooperazione, e ciò non per colpa dell’Unione europea né dei deputati al Parlamento europeo, molti dei quali invece si sono prodigati per mantenere aperti i canali di dialogo con le autorità e il popolo cubani.

Eventi deplorevoli, come il divieto alle Damas de blanco di venire al Parlamento europeo o l’inasprimento della repressione ai danni di giornalisti indipendenti e di militanti pacifici e attivisti dei diritti umani, citato nel testo della risoluzione che il Parlamento approverà domani e denunciato di recente da Giornalisti senza frontiere, dimostrano chiaramente che a Cuba i diritti fondamentali sono sistematicamente ignorati.

Nella risoluzione si afferma pertanto che simili eventi frustrano la nostra volontà di migliorare le relazioni tra l’Unione europea e Cuba, il che è peraltro il principale obiettivo dei cambiamenti apportati dal Consiglio alla posizione comune nel gennaio 2005, e si invita il Consiglio, attraverso il suo Presidente in carica, ad agire di conseguenza.

Mi permetto di ricordarle, signor Presidente in carica del Consiglio, che quando avete approvato la revoca delle misure accompagnatorie della posizione comune del Consiglio, avete chiesto il rilascio immediato e incondizionato delle persone incarcerate, la cui situazione è ora peggiorata.

Signora Presidente, Andrei Sacharov diceva che le voci che contano di più sono spesso quelle che non si sentono, e io credo, signora Presidente, che il Parlamento europeo abbia dovuto levare ancora una volta la sua voce in quest’Aula, che rappresenta i cittadini d’Europa, per perorare la causa della libertà e per difendere e denunciare la condizione dei cittadini cubani che lottano per la loro libertà e dignità.

 
  
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  Raimon Obiols i Germà, a nome del gruppo PSE. – (ES) Signor Presidente in carica del Consiglio, il nostro gruppo è lieto che il contesto in cui si sta svolgendo questa discussione su Cuba sia tale da assicurare un ampio consenso sulla proposta di risoluzione. Abbiamo sempre creduto che all’interno del Parlamento e delle Istituzioni europee vi sia un’ampia base disponibile a trovare un accordo e a far avanzare le nostre relazioni con Cuba nella giusta direzione.

Come gruppo, la nostra posizione è molto chiara: primo, nel contesto attuale, possiamo soltanto confermare che le autorità cubane non hanno lanciato i segnali auspicati per quanto riguarda il miglioramento della situazione dei diritti umani nel paese. Secondo, ci è impossibile consegnare il Premio Sacharov alle Damas de blanco e dobbiamo pertanto insistere presso le autorità cubane affinché consentano loro di venire in Europa in risposta all’invito del Parlamento europeo. Nel contempo, penso sia nostro dovere sollecitare il Presidente del Parlamento a fare tutto quanto in suo potere per garantire che il Premio sia consegnato in maniera adeguata.

Nondimeno riteniamo che, considerato lo stato attuale delle nostre relazioni, le possibilità di miglioramento siano ora maggiori che con la precedente politica del Consiglio, che ci ha condotti in un vicolo cieco, così come ha fatto – per non dire di peggio – la decennale politica fondata sulle sanzioni e sull’embargo.

Riteniamo che l’attuale politica del Consiglio vada confermata, nell’ottica di raggiungere due obiettivi: primo, continuare a chiedere con fermezza il rispetto dei diritti umani, il rilascio dei prigionieri di coscienza e degli oppositori pacifici e il rispetto delle libertà democratiche a Cuba; secondo, mantenere e rafforzare le relazioni e il dialogo con tutti gli ambienti politici e sociali di Cuba che sono impegnati o interessati a intrattenere relazioni con l’Europa e a promuovere lo sviluppo del paese nonché gli inevitabili cambiamenti cui assisteremo a Cuba nel prossimo futuro.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. VIDAL-QUADRAS ROCA
Vicepresidente

 
  
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  Raül Romeva i Rueda, a nome del gruppo Verts/ALE. – (ES) Penso anch’io che vi siano molti segnali allarmanti dai quali risulta che il regime cubano sta tuttora praticando una politica di repressione dei dissidenti, di incarcerazioni arbitrarie dei gruppi dell’opposizione e di continue vessazioni ai danni di chiunque osi manifestare opinioni contrarie alla linea politica del governo. Preoccupa altresì la repressione di certe categorie di persone stigmatizzate dal regime, come gli omosessuali e certi intellettuali.

Nel caso specifico di cui ci stiamo occupando, ovvero il rifiuto del regime di permettere alle Damas de blanco di lasciare il paese per venire a ricevere il Premio Sacharov, è un ulteriore esempio di questa preoccupante situazione. Ma, come già osservato, la politica di blocco e isolamento che è stata imposta a Cuba per decenni da molte potenze occidentali non ha avuto altro esito se non quello di rafforzare la posizione dei sostenitori della linea dura all’interno del regime cubano. Sono quindi lieto che nel giugno 2005 il Consiglio dell’Unione europea abbia deciso di offrire a Cuba l’opportunità di avviare nuovamente un dialogo politico, allo scopo, tra le altre cose, di iniziare a preparare il terreno per quella che, negli auspici di molti di noi, dovrebbe essere un’imminente transizione alla democrazia.

Coloro tra noi che hanno vissuto l’esperienza di una dittatura sanno quanto sia difficile creare la democrazia, specialmente quando le persone che dovrebbero essere i tuoi alleati all’esterno ti voltano le spalle. In proposito, è un segnale di speranza il fatto che siano comparsi sempre più comunità e gruppi universitari e scientifici, sia nelle aree rurali sia nelle città, all’interno di chiese o di centri educativi e sociali; si tratta di gruppi che non esistevano prima e il cui lavoro potrebbe fornire un prezioso contributo allo sviluppo di Cuba dal punto di vista politico. Il regime cubano deve ormai comprendere che può garantirsi il futuro non mantenendo lo status quo bensì affrontando in maniera seria e credibile il processo di transizione invocato dallo stesso popolo cubano più di chiunque altro.

L’Unione europea deve quindi dire in modo chiaro e netto che la nostra intenzione è semplicemente quella di aiutare Cuba a fare il suo ingresso nel mondo moderno dalla porta della democrazia. A tal fine dobbiamo dunque continuare a chiedere il rilascio di tutte le persone condannate a molti anni di carcere per essersi opposte con mezzi pacifici al regime.

 
  
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  Willy Meyer Pleite, a nome del gruppo GUE/NGL. – (ES) Signor Presidente, voglio dire che sono contrario all’iniziativa comune su cui voteremo domani, che si fonda – come emerge più che chiaramente dal testo – su una posizione eccezionale, una posizione che l’Unione europea sostiene da tempo. Cuba è l’unico paese al mondo con il quale l’Unione mantiene una situazione di eccezionalità; non esistono altri casi del genere. Credo che ciò sia non solo ingiusto ma anche sterile. E’ chiaro che quella posizione domani sarà approvata, ma non produrrà alcun risultato. Invito a porre fine a questa situazione di eccezionalità.

L’Unione europea deve trattare Cuba allo stesso modo in cui tratta tutti gli altri paesi del mondo. Dobbiamo mantenere una posizione che permetta di avviare una discussione comune per affrontare tutte le questioni. Dobbiamo naturalmente chiedere innanzi tutto che gli Stati Uniti revochino l’embargo contro l’isola di Cuba. E ovviamente dobbiamo discutere della richiesta di estradizione del terrorista Posada Carriles nonché, naturalmente, includere nel Vertice iberoamericano tutte le tematiche connesse con ciò che è stato discusso al Vertice iberoamericano tra l’Unione europea e Cuba.

Cuba ha certamente molti difetti, però è esemplare nel suo contributo alla cooperazione sud-sud. Così come è esemplare la società cubana per quanto riguarda tutti i servizi pubblici, considerato che si tratta di un paese povero.

Credo che l’Unione europea non debba lasciarsi guidare dai diktat imposti dal Dipartimento di Stato degli USA. Non deve farlo. Pertanto, chiedo naturalmente che definiamo una posizione indipendente tale da mettere fine alla situazione di eccezionalità tra l’Unione europea e Cuba.

 
  
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  Alessandro Battilocchio (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, parlo a nome del nuovo PSI. Per tante e troppe volte questo Parlamento ha discusso del mancato rispetto dei diritti umani a Cuba. “Parole, parole, parole” in attesa di segnali positivi da parte di un regime morente che non ha alcuna intenzione di invertire la rotta.

Nel gennaio 2005 il Consiglio ha concesso delle aperture, nella speranza di un atteggiamento diverso. Le aspettative sono state tutte puntualmente deluse: la libertà di espressione è ancora, purtroppo, solo una chimera, come dimostrato anche dalla mancata autorizzazione alle Damas de Blanco a recarsi a ritirare il premio Sacharov 2005.

Non si può più attendere. In questo contesto, è nostro preciso obbligo e dovere, come Unione europea, fare di più, più in fretta e meglio. Sono un socialista riformista e sogno quindi una società imperniata sui valori di libertà, partecipazione, democrazia ed equità sociale. Sono anche il deputato più giovane dell’Aula e ho nella mente e nel cuore le aspirazioni dei miei coetanei cubani, che vogliono poter guardare al futuro con ottimismo, sognando un paese finalmente più aperto, più moderno e più giusto.

 
  
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  José Ribeiro e Castro (PPE-DE).(PT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho già avuto modo di parlare in quest’Aula delle sofferenze di Cuba, in particolare delle sofferenze di coloro che continuano a lottare in modo pacifico per la democrazia e i diritti umani. Sfortunatamente, la triste realtà ci costringe ora a nuove parole di condanna e di protesta. Durante l’ultima seduta plenaria dell’anno scorso abbiamo visto a quali livelli di intolleranza è giunto il regime di Fidel Castro. A un gruppo di donne il cui unico reato è quello di chiedere la liberazione dei loro mariti e figli, in carcere per motivi politici dal giro di vite del marzo 2003, è stato impedito di venire al Parlamento europeo per ricevere il Premio Sacharov, nonché il nostro doveroso tributo e i messaggi di rispetto da parte dei cittadini europei.

Purtroppo, quella decisione e l’atteggiamento che le sta alla base non sono una sorpresa. Anche a Oswaldo Payá, insignito del Premio Sacharov nel 2002, è stato più volte impedito di venire in Europa per raccontarci di persona ciò che sta realmente succedendo a Cuba e per discutere della situazione con noi. Il Parlamento ha quindi tenuto aperto l’invito nei suoi confronti, affinché egli possa venire qui non appena gli sarà permesso di farlo. Dobbiamo ora estendere tale invito alle Damas de blanco, così come dobbiamo impegnarci affinché anch’esse possano venire a ricevere di persona il nostro affettuoso tributo e le nostre espressioni di solidarietà. Potremmo anche andare a consegnare il premio all’Avana, ma non dobbiamo accontentarci di questa ipotesi perché sarebbe una soluzione di minima, mentre è nostro dovere mirare più in alto. Non possiamo accettare gesti compiuti in modo fugace o di nascosto, né dobbiamo accondiscendere ai capricci della dittatura.

A Oswaldo Payá e alle Damas de Blanco deve essere messo a disposizione uno spazio pubblico nel quale poter esprimere il messaggio della loro pacifica campagna a favore della libertà e della giustizia. I cittadini europei, soprattutto i più giovani tra loro, devono conoscere la storia di quelle persone e la loro esemplare lotta per i diritti umani.

Mi auguro che il risultato di questa discussione sarà quello di convincere tutti della necessità di denunciare senza alcuna incertezza una brutale dittatura. Spero che il Consiglio riconoscerà alfine il proprio errore e la smetterà di illudersi – un comportamento che, come abbiamo visto, non fa altro che inasprire ulteriormente la repressione e l’ingiustizia. Noi continueremo a impegnarci affinché l’Europa agisca con maggiore fermezza. Non dobbiamo permettere a nessuno di dire che il Parlamento europeo ha esitato nel condannare in modo inequivocabile un regime dittatoriale. Questo è il mio appello, da democratico a democratici.

 
  
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  Miguel Angel Martínez Martínez (PSE).(ES) Desidero ringraziare il mio gruppo per avermi permesso di parlare pur sapendo che non condivido la sua posizione. Non voterò a favore della risoluzione perché la giudico non equilibrata, priva di effetto e dannosa per l’immagine dell’Unione europea nel mondo in via di sviluppo. Inoltre, il fatto che ora siano presenti in Aula soltanto 20 deputati dimostra quale importanza i membri del Parlamento europeo attribuiscono a questa discussione.

Preferivo la proposta socialista, dalla quale però sono scomparsi gli elementi fondamentali, come l’embargo da parte degli Stati Uniti e Guantánamo, la più scandalosa violazione dei diritti umani che si sta compiendo sull’isola di Cuba. Lo squilibrio è tanto più grande se si considera che la risoluzione non riconosce alcune delle attività di Cuba, in particolare l’opera che sta svolgendo nell’ambito della cooperazione con i paesi dei Caraibi, dell’America latina, dell’Africa e perfino dell’Asia.

La settimana scorsa, durante la discussione su disabilità e sviluppo, abbiamo ricordato che, nel 2005, 208 000 ciechi dei paesi testé citati sono stati operati gratuitamente a Cuba. Per il Parlamento europeo, questo non sembra essere un dato rilevante; lo è invece, e molto, per le persone cui è stata restituita la vista e per i loro paesi. Il fatto che oltre 20 000 medici cubani e quasi altrettanti insegnanti e istruttori sportivi lavorino in questo stesso campo della solidarietà tra paesi del sud del mondo dimostra qualcosa che molte persone qui da noi negano o sottacciono; ma il loro approccio settario, che produce risoluzioni come questa ora in discussione, danneggia l’immagine dell’Unione europea tra i paesi e i popoli del sud, che verso Cuba nutrono rispetto e gratitudine.

Infine, l’unica cosa che la risoluzione riuscirà a ottenere sarà confermare il convincimento delle autorità cubane che l’Unione europea non è un interlocutore indipendente, ma solo un’estensione degli interessi e delle strategie dell’amministrazione Bush, e non le convincerà a compiere un solo passo nella direzione in cui molti di noi vorrebbero che quel paese progredisse. In altre parole, anche da questo punto di vista la risoluzione è sostanzialmente inutile, tranne per coloro in quest’Aula che mirano soltanto a discriminare Cuba e vogliono continuare a trattarla come un’eccezione, in modo diverso da quello in cui trattano gli altri paesi con regimi simili. E la cosa più deplorevole è che, con tale approccio, l’Europa sta perdendo sempre più importanza su buona parte della scena internazionale.

Per tutti questi motivi ribadisco che non voterò a favore della risoluzione. Mi auguro che i colleghi vorranno quanto meno stare a sentire le mie argomentazioni, indipendentemente da come voteranno domani. Se voteranno come me, tanto meglio.

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL).(NL) Signor Presidente, per alcuni – Europa compresa – Cuba è il paradiso, per altri è l’inferno. Se la valutiamo secondo l’attuale parametro dell’Europa, ovvero quello della democrazia multipartitica e del rispetto dei diritti umani dei singoli, Cuba lascia molto a desiderare. Da quasi mezzo secolo sono al potere lo stesso movimento politico e lo stesso leader. I cittadini cubani non possono viaggiare liberamente all’estero, neppure per andare a ritirare un premio loro assegnato.

Le opposizioni hanno poche possibilità di organizzarsi e anche quando, nonostante tutto, riescono a farlo, non viene concessa loro l’opportunità di misurare il loro seguito tra la gente in occasione di elezioni. Al pari del suo grande vicino, gli Stati Uniti, Cuba continua ad applicare la pena capitale – una pratica che si può, anzi, si deve condannare. Vista l’ondata di critiche che vengono riversate su Cuba, è evidente che non si tratta di una dittatura qualsiasi. Il paese mena gran vanto di sé e per anni ha funto da esempio per il resto dell’America latina nei campi dell’istruzione, dell’assistenza sanitaria e di altri servizi pubblici, nonché della protezione degli strati più deboli della popolazione.

Dal punto di vista della democrazia e del rispetto dei diritti umani, la situazione a Cuba non era certo peggiore rispetto al resto dell’America latina. Cuba è tuttora fonte d’ispirazione per gli elettori – e sono la maggioranza – che vogliono la modernizzazione in Venezuela, Bolivia, Cile, Argentina e Uruguay. L’Europa non ha mai seguito la tattica dell’America settentrionale di isolare Cuba, e ha fatto bene perché molto di ciò che non va a Cuba è stato causato proprio da quella tattica. Se vogliamo che Cuba compia passi avanti, dobbiamo lavorare per instaurare relazioni aperte.

 
  
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  Frank Vanhecke (NI).(NL) Signor Presidente, il fatto che in quel museo dello stalinismo che è la dittatura comunista cubana la situazione dei diritti umani sia ulteriormente peggiorata è naturalmente una disgrazia; vorrei tuttavia far presente al Parlamento che un nostro Commissario europeo, il belga Louis Michel, è quanto meno parzialmente responsabile di tale peggioramento. Non molto tempo fa, infatti, era stato proprio il Commissario Michel, dopo una visita di quattro giorni all’Avana, a dire con decisione al Consiglio europeo di non prendere in considerazione l’ipotesi di sanzioni diplomatiche.

Ed era stato lo stesso Louis Michel a replicare alle organizzazioni dei diritti umani dicendo loro di non provocare il regime di Fidel Castro. Ad esempio, quando Human Rights Watch aveva invitato l’Unione europea a non normalizzare le sue relazioni economiche con Cuba per lo meno fino a quando non fossero stati liberati i detenuti politici e non fossero state attuate riforme democratiche, il Commissario Michel si era dichiarato favorevole all’estensione incondizionata a Cuba dell’accordo di Cotonou. La realtà è, ovviamente, che Louis Michel è buon amico degli Adolf Hitler, degli Stalin e dei Mao del nostro tempo, dei quali Fidel Castro è degno compare.

 
  
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  Peter Šťastný (PPE-DE).(SK) La situazione a Cuba è molto grave: i diritti umani fondamentali vengono sempre più negati e il numero dei prigionieri politici aumenta.

L’Europa potrebbe dare il buon esempio. Nella mia qualità di deputato al Parlamento europeo, ho adottato un prigioniero politico cubano, insieme con gli onorevoli Pleštinská e Gaľa, e per tale motivo sarei molto lieto se l’opinione pubblica internazionale esercitasse maggiore pressione su Fidel Castro. Mi piace pensare che una delle prime decisioni che saranno adottate su pressione dell’opinione pubblica potrebbe essere quella di liberare i prigionieri politici, che nelle carceri subiscono maltrattamenti e vivono in condizioni disumane.

Questo è uno dei motivi per cui appoggio la proposta di risoluzione sulla posizione dell’Unione europea nei confronti del governo cubano. Il paragrafo 9 della risoluzione cita le sanzioni che il Consiglio europeo ha imposto nuovamente nei confronti di Cuba. Non so perché esse erano state temporaneamente sospese il 31 gennaio 2005, dato che nel paragrafo 1 della proposta si dice chiaramente che Cuba non ha compiuto alcun progresso significativo in materia di diritti umani dal 2003 a oggi. Si è trattato forse di una ricompensa per l’ignoranza, o c’erano altri motivi al fondo?

Mi piacerebbe poter credere che questa volta il Consiglio applicherà le sanzioni con maggiore efficacia. A tal fine è necessaria la cooperazione, il che, idealmente, significherebbe collaborare in particolare con le Nazioni Unite e il governo degli Stati Uniti. Mi rendo conto del fatto che è quasi impossibile trovare un accordo a livello di Nazioni Unite; tuttavia, se le sanzioni fossero coordinate con gli Stati Uniti, e forse anche con il Canada, potrebbero dare i risultati richiesti. Signor Presidente, l’Unione europea e le sue Istituzioni non possono restare e non resteranno mai indifferenti al destino di milioni di persone che vivono situazioni di oppressione e al destino dei molti che sono incarcerati in condizioni terribili.

 
  
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  Margrietus van den Berg (PSE).(NL) Signor Presidente, è stato nel 2005 che gli stessi Castro e Roque hanno sollevato per primi il tema della Cuba del dopo-Castro. Nel frattempo, i cittadini cubani sono stanchi e stufi di dover lottare quotidianamente per sopravvivere, e per i piccoli gruppi di cubani che hanno il coraggio di svolgere attività politica o sociale la vita è diventata un inferno. All’Avana l’Europa deve parlare con una voce sola per condannare le gravi violazioni dei diritti umani e per chiedere l’apertura di un dialogo con le autorità sulle riforme politiche ed economiche, al fine di evitare che le conquiste fatte nel campo dell’assistenza sanitaria e dell’istruzione nei primi anni della rivoluzione siano vanificate.

Ma il dialogo deve anche porre fine al regime totalitario e al blocco delle riforme economiche. Solo così i cubani, grazie alle iniziative personali, all’agricoltura e ai piccoli mercati, potranno avere nuovamente prospettive di una vita migliore e non segnata dalla violenza che non provengano da Miami. L’Europa deve ora vagliare l’ipotesi di offrire alla Cuba del dopo-Castro una prospettiva sociale, economica e democratica. L’Alto rappresentante Solana, la Commissione e il Consiglio devono avviare un dialogo in tal senso. Dobbiamo unire tutti i nostri sforzi e concentrarci sul rispetto dei diritti umani e su un dialogo che offra molte prospettive nuove. Spetta a Castro e Roque prendere posizione in merito e aderire a un simile progetto.

In gennaio sono stato a Cuba, da dove le Damas de blanco mandano i loro più cordiali saluti e accolgono con gioia il premio che è stato loro assegnato.

 
  
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  András Gyürk (PPE-DE).(HU) “Più di tutto, la tirannia teme coloro che praticano la libertà”: queste parole di José Martín, eroe della lotta per l’indipendenza cubana nel XIX secolo, sono altrettanto attuali oggi di quanto lo erano quando lui le pronunciò. Possiamo poi aggiungere che, oltre all’opposizione interna, una dittatura teme anche coloro che praticano la libertà in altri paesi. Quindi noi, i rappresentanti delle democrazie europee, dobbiamo essere consapevoli della responsabilità particolare che abbiamo quando discutiamo di uno degli ultimi regimi comunisti rimasti al mondo.

A titolo personale, vorrei aggiungere che, come giovane politico ungherese, sono estremamente consapevole di questa responsabilità, perché la mia generazione è stata educata da genitori e nonni nel contesto di una dittatura socialista simile a quella cubana. Anche per loro dobbiamo combattere con decisione per affermare i nostri principi.

E’ ormai evidente che la sospensione, l’anno scorso, delle misure coercitive contro Cuba non ha prodotto i risultati sperati e ha avuto come unico esito quello di indurre il governo cubano a inasprire l’oppressione. Gli arresti sono aumentati; nel 2005 sono stati incarcerati circa trenta esponenti dell’opposizione, il che significa che a tutt’oggi oltre 300 persone sono detenute, spesso in condizioni disumane, a causa delle loro opinioni politiche. Pertanto, le raffigurazioni di una dittatura da operetta guidata da un gioviale rivoluzionario da salotto non corrispondono alla realtà. Nel frattempo, agli osservatori stranieri viene impedito di recarsi nel paese, come ho potuto sperimentare recentemente di persona. L’anno scorso, infatti, a me e a molti altri colleghi del Parlamento europeo è stato negato il visto d’ingresso per partecipare a un incontro dell’opposizione. Nel caso non lo sapessimo già, impariamo adesso che una dittatura – non importa se di destra o di sinistra – non tollera compromessi. E questo è un altro motivo per cui non possiamo approvare la sospensione delle misure coercitive.

La storia è un testimone inequivocabile: i movimenti di opposizione dell’ex blocco socialista non avrebbero potuto raggiungere i loro obiettivi senza gli stimoli delle democrazie dell’Europa occidentale. Oggi tocca all’Europa riunificata dare forza a tutti coloro che rappresentano i valori della democrazia all’ombra della dittatura.

 
  
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  Filip Andrzej Kaczmarek (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, secondo un detto polacco, un ricco non può comprendere un povero. Nondimeno, per quelli tra noi che sanno cosa significhi la privazione della libertà è più facile capire ciò che sta accadendo a Cuba. Coloro che sono contrari ad adottare una linea dura nei confronti di Cuba sostengono che ciò avrebbe conseguenze negative per la gente comune. Mi chiedo se si sono presi la briga di scoprire cosa ne pensino i cittadini cubani. Castro si preoccupa forse di sapere ciò che pensano i cubani?

Negli anni ’80 i comunisti polacchi reagirono alle sanzioni economiche degli Stati Uniti, delle quali si pensava che avrebbero avuto anch’esse conseguenze negative sulla gente comune, annunciando a mo’ di rappresaglia che avrebbero inviato un migliaio di sacchi a pelo ai vagabondi di New York. Come reagì la gente comune del mio paese? Sulla stampa cominciarono ad apparire brevi annunci in cui si offriva la possibilità di scambiare grandi appartamenti a Varsavia con sacchi a pelo a New York. Molti cubani sembrano ragionare allo stesso modo, e L’Avana è molto più vicina a New York di quanto lo sia Varsavia.

Se i grandi rivoluzionari come Fidel Castro vengono trattati con i guanti, interpretano un simile comportamento come un segno di debolezza. Ma non è giunto il momento di dimostrare, invece, che l’Europa non è debole? E’ ora di comprendere che Cuba non può essere trattata come un’intoccabile fortezza totalitaria. Se Castro continua a negare a chi è stato insignito del Premio Sacharov il permesso di andare a Cuba, noi non dovremmo recarci a Cuba come se nulla fosse successo.

A mio parere, dobbiamo convincere gli europei a non considerare Cuba come una meta di vacanze, ossia a non andarvi in qualità di turisti. Cuba non è un luogo adatto per trascorrervi le ferie. Nessuno va in vacanza ad Auschwitz o in un gulag: sarebbe assurdo. Ed è altrettanto assurdo contribuire allo sviluppo di un’industria turistica che aiuta a mantenere al potere un regime nel quale la violazione dei diritti umani è una pratica quotidiana.

 
  
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  Anna Záborská (PPE-DE).(SK) Due fatti risalenti al dicembre 2005 caratterizzano la situazione a Cuba: alle Damas de blanco è stato attribuito il Premio Sacharov per la libertà di pensiero; le autorità cubane hanno vietato loro di lasciare il paese per ritirare il Premio di persona. A Cuba la libertà di pensiero non viene premiata, e ciò dimostra chiaramente che il Premio Sacharov è stato conferito alle persone giuste, ovvero alle mogli e alle madri dei prigionieri politici cubani colpevoli soltanto di aver pensato liberamente.

Il rilascio di tutti i prigionieri politici cubani rimane la principale richiesta del movimento delle Damas de blanco. Oggigiorno, in un mondo in cui molte regioni sono sconvolte da violenze, guerre e terrore, è veramente confortante vedere un gruppo di donne disarmate capaci di esercitare grande pressione morale con mezzi non violenti.

Venendo da una regione governata fino a pochi anni fa da un regime comunista che imprigionava anch’esso coloro che osavano pensare liberamente, vi posso garantire che il sostegno da parte di paesi democratici ha una grandissima importanza. Sollecito pertanto le Istituzioni europee a usare tutti gli strumenti pacifici a loro disposizione per mettere sotto pressione il regime castrista e per costringerlo a liberare le persone che sono in carcere solo perché ragionano con la loro testa. La politica di prevaricazioni e concessioni nei confronti di uno dei regimi meno democratici al mondo non fa altro che prolungare le sofferenze della gente di quel paese e le violazioni dei diritti umani.

Sostenendo l’opposizione democratica di Cuba ed esercitando una pressione costante sul regime di Castro, l’Europa può garantire il rispetto dei principi democratici in quel paese socialista. Se vogliamo che gli sforzi compiuti dall’Unione europea al fine di promuovere cambiamenti in senso democratico abbiano successo e siano efficaci, dobbiamo adottare una posizione non ambigua sul modo in cui realizzare tali cambiamenti e affermare la democrazia a Cuba.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, vi ringrazio per questa discussione. Ho ascoltato con grande attenzione e ho preso nota di una serie di punti a beneficio mio e del Consiglio. Mi pare che ci venga chiesto di continuare a difendere attivamente i valori che l’Unione europea rappresenta: rispetto dei diritti umani, tutela delle libertà fondamentali di espressione e riunione.

Ho rilevato inoltre che è desiderio del Parlamento che continuiamo a fornire aiuto concreto all’opposizione pacifica e che esercitiamo pressioni per ottenere il rilascio dei prigionieri.

E’ però un dato di fatto – di cui, peraltro, dobbiamo prendere atto – che le nostre opzioni sono limitate, se Cuba non darà prova di almeno un minimo di buona volontà. In tutta onestà, neppure la politica fondata sullo scontro e sull’embargo che talvolta è stata proposta in passato ha prodotto i risultati sperati. Pensiamo quindi che sia nostro dovere portare avanti la politica di dialogo critico, di impegno e di stimolo alle riforme.

 
  
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  Presidente. – A conclusione del dibattito, comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione(1) ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 5, del Regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 11.00.

 
  

(1)Cfr. Processo verbale.


14. Dichiarazioni di gestione nazionale – Responsabilità degli Stati membri relativamente all’esecuzione del bilancio dell’Unione europea
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  Presidente. L’ordine del giorno reca l’interrogazione orale (O-0102/2005 – B6-0347/2005) degli onorevoli Szabolcs Fazakas, Terence Wynn e Jan Mulder, a nome della commissione per il controllo dei bilanci, al Consiglio, sulle dichiarazioni di gestione nazionale – Responsabilità degli Stati membri relativamente all’esecuzione del bilancio dell’Unione europea.

 
  
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  Terence Wynn (PSE), autore. – (EN) Signor Presidente, l’interrogazione orale comprende 6 domande specifiche cui spero il Presidente in carica del Consiglio risponderà. Vi è tuttavia anche una settima domanda altrettanto importante sulla vecchia questione delle dichiarazioni nazionali. Il Consiglio si metterà davvero a discutere tale questione con il Parlamento cosicché si riesca a individuare un obiettivo comune? Tale aspetto di questo vecchio dibattito è assente da quando l’Assemblea ha approvato il discarico. In tale occasione avevamo formulato le raccomandazioni cui fa riferimento la presente interrogazione orale.

Abbiamo chiesto agli Stati membri di fare ordine al loro interno in modo da garantire l’efficacia e l’adeguatezza dei sistemi di controllo introdotti, nonché un corretto utilizzo del denaro comunitario speso. Il problema è che la Corte dei conti nella sua relazione annuale non può rilasciare una dichiarazione di affidabilità positiva a causa dei problemi riscontrati a livello di Stati membri. Finché negli Stati membri non ci sarà un monitoraggio ufficiale della Commissione su ogni singola voce di spesa europea, non risolveremo mai il problema.

Spetta agli Stati membri aiutarci a garantire che il denaro dei contribuenti europei sia speso correttamente. Devo ringraziare in modo particolare il Commissario Kallas per come ha sostenuto il Parlamento persuadendo la Commissione a tenere conto di queste raccomandazioni e ad elaborare un percorso volto a ottenere una dichiarazione di affidabilità positiva.

Nell’ambito di questo processo, la Commissione e la precedente Presidenza hanno organizzato un’audizione di due giorni sui possibili modi per conseguire tale obiettivo. Ho partecipato all’audizione in entrambi i giorni. Mi ha rattristato l’approccio negativo di alcuni Stati membri che volevano solo perpetuare lo status quo, con il pretesto che non ci sarebbe niente di sbagliato e che non occorre cambiare nulla. Da questa audizione sono emerse due constatazioni: forse ci sono altri problemi secondari, ma i problemi fondamentali sono due. Il primo problema fondamentale è che le istituzioni superiori di controllo degli Stati membri temono che per un motivo o per l’altro tale prassi venga rilevata dalla Corte dei conti delle Comunità europee. Fortunatamente tale timore è stato dissipato. Insieme alla Corte dei conti ho partecipato alla riunione annuale delle istituzioni superiori di controllo svoltasi a Stoccolma e ne ho ricavato l’impressione che si riconosca che l’intenzione non è questa. Sono inoltre giunto alla conclusione che le istituzioni superiori di controllo sono disposte a contribuire ad aiutarci a risolvere tale problema.

L’altro problema fondamentale emerso dai due giorni di audizione, e forse il principale, è che abbiamo chiesto agli Stati membri una firma d’impegno a livello politico per rendere effettive queste dichiarazioni nazionali. Per alcuni Stati membri, come i Paesi Bassi, tale richiesta non è un problema perché questo compito ricade nella sfera di competenza del Ministro responsabile e nessun altro potrebbe arrogarsene la competenza. Per molti Stati membri, però, è un problema capitale. Tutto considerato devo riconoscere che, se avessimo espunto le parole “firma politica” nella nostra relazione sul discarico forse non avremmo allarmato così tanto il Consiglio. Nella situazione attuale abbiamo la necessità di giungere ad un accordo con il Consiglio sul modo di ottenere dichiarazioni nazionali in grado di soddisfare davvero non solo la Corte dei conti, ma anche la Commissione e gli stessi Stati membri, dimostrando ai contribuenti europei che siamo in grado di provare che il loro denaro viene speso correttamente.

Mi auguro che il Presidente in carica del Consiglio ci fornisca risposte chiare alle sei domande contenute nell’interrogazione orale e che non siano le risposte date dal Consiglio ECOFIN dell’8 novembre 2005. In tutta onestà tale Consiglio non ci ha fatto andare avanti. Vorrei inoltre che rispondesse alla settima domanda che formulo oralmente: il Consiglio si metterà a discutere tale questione con il Parlamento nella speranza di riuscire a ottenere una risoluzione in materia?

(Applausi)

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, ringrazio per questa opportunità di illustrare il parere del Consiglio sull’importante questione della dichiarazione di affidabilità (DAS) sulla gestione del bilancio comunitario che deve essere emessa dalla Corte dei conti. Per iniziare vorrei fare un’osservazione piuttosto ovvia, ovvero che la gestione del bilancio comunitario è molto complicata e unica al mondo.

Il bilancio comunitario tocca diversi livelli governativi partendo dai vari servizi della Commissione, passando attraverso i governi centrali, regionali e locali degli Stati membri per giungere ai singoli beneficiari finali. E’ nell’interesse di tutte le parti coinvolte, comprese le autorità di bilancio e per il discarico, contribuire a un’adeguata gestione dei fondi comunitari.

Al pari di questa Assemblea anche il Consiglio ha ripetutamente espresso la propria delusione per la situazione, soprattutto in relazione alla procedura di discarico. L’8 novembre, a seguito di approfondite discussioni al suo interno e in seno alle sue formazioni, il Consiglio ha adottato le conclusioni sulla comunicazione della Commissione “Percorso verso un quadro di controllo interno integrato” e posso assicurarvi che non è stata un’impresa facile.

Detto documento sintetizza le discussioni tenute da un gruppo di esperti di tutti gli Stati membri, in rappresentanza dei ministeri delle finanze, dei servizi competenti e delle autorità di controllo, in un’audizione di due giorni cui ha preso parte anche la Commissione. Questo lavoro preparatorio ha costituito una base valida per le approfondite discussioni svoltesi in seno alle formazioni del Consiglio e si è dimostrato utile in quanto ci ha permesso di raggiungere un accordo sulle conclusioni di suddetto Consiglio. Presumo che abbiate già avuto la possibilità di leggere il documento e, pertanto, ora mi limiterò a menzionarne i punti principali.

Vorrei lasciare come ultimo punto del mio intervento la questione delle dichiarazioni che devono rilasciare i singoli Stati membri. Sono consapevole della particolare importanza che attribuite alla questione, ma vi chiedo di essere pazienti.

Nelle sue conclusioni il Consiglio mette in rilievo che sono stati già compiuti numerosi sforzi per garantire una gestione finanziaria sempre più sana: introduzione di controlli interni, requisiti più rigorosi in materia di affidabilità dei contabili della Commissione e creazione di un sistema integrato di gestione e controllo, per non fare che qualche esempio.

Alla luce dell’importanza dei Fondi strutturali nel bilancio dell’Unione europea, vorrei richiamare la vostra attenzione sugli sforzi compiuti per introdurre organismi pagatori ed estendere ulteriormente i controlli interni ed ex post sulle misure strutturali. Uno dei primi punti menzionati nelle conclusioni del Consiglio è una relazione equilibrata tra le competenze di Commissione e Stati membri nel dare esecuzione al bilancio europeo in conformità del Trattato, di cui occorre tenere conto all’atto di migliorare i controlli e le garanzie pertinenti.

Il Consiglio ritiene inoltre di capitale importanza che tali miglioramenti si fondino sulle strutture di controllo esistenti e mirino a migliorare il rapporto costi/benefici e a semplificare i sistemi. Il Consiglio reputa che un quadro efficace di controllo interno integrato fondato sui principi delineati nel parere della Corte dei conti sull’audit unico fornirà garanzie in merito alla gestione del rischio di errore nelle operazioni sottostanti.

Uno dei punti principali delle conclusioni del Consiglio riguarda il miglioramento dei sistemi di controllo. Gli Stati membri e la Commissione devono ottimizzare l’efficacia, il rendimento economico e l’efficienza degli attuali sistemi di controllo. A prescindere dalle differenze esistenti negli accordi amministrativi tra i vari Stati membri, il Consiglio caldeggia la definizione di principi ed elementi generali comuni in materia di controlli interni.

Il parere del Consiglio afferma che gli Stati membri dovrebbero continuare a collaborare con la Commissione per attuare e migliorare i controlli dei fondi per la cui gestione sono congiuntamente responsabili, in base alle competenze previste dal Trattato, dal regolamento finanziario e dalle pertinenti disposizioni dei regolamenti settoriali.

Ad esempio alcuni Stati membri sono disposti ad adottare misure precauzionali nel quadro del contratto di fiducia, in conformità di quanto previsto per i programmi dei Fondi strutturali. Poiché gli Stati membri sono d’accordo con il Consiglio, parlo a nome di tutti gli Stati membri e non solo a nome del Consiglio.

Come sapete, i servizi della Commissione hanno pubblicato un’analisi iniziale delle carenze del loro quadro di controllo interno in rapporto ai principi di controllo delineati nella proposta della Corte dei conti per un quadro di controllo interno comunitario. In relazione alla gestione concorrente il Consiglio ha invitato la Commissione a valutare l’attuazione degli attuali regolamenti relativi alle verifiche per sondaggio su operazioni, alle autorità di pagamento e alla liquidazione delle attività degli organismi.

Le conclusioni del Consiglio propongono che la Commissione, in collaborazione con gli Stati membri, fornisca una valutazione degli attuali controlli effettuati a livello settoriale e regionale, nonché il valore degli estratti e delle dichiarazioni esistenti.

Passerò ora alla questione del controllo. Nell’introdurre il quadro di controllo interno dobbiamo operare una distinzione tra controlli interni e revisioni esterne. Qualsiasi forma di cooperazione tra le istituzioni superiori di controllo indipendenti può fondarsi unicamente sul Trattato, poiché tali autorità non fanno parte del quadro di controllo interno. E’ un punto importante. Alcune istituzioni di controllo sono disposte ad approfondire con la Corte dei conti le discussioni su come rafforzare il loro contributo. Posso garantirvi che tutti gli Stati membri hanno espresso la volontà di fare tutto il possibile per ridurre il rischio di errore e migliorare i controlli.

La Commissione e gli Stati membri dovrebbero garantire che il loro approccio al quadro di controllo interno integrato sia fondato su standard di controllo comuni e confrontarsi vicendevolmente sui possibili modi di applicare tali standard con maggiore efficacia.

A tal fine il Consiglio invita gli Stati membri a discutere a livello bilaterale con la Corte dei conti i risultati delle revisioni DAS al fine di risolvere eventuali problemi endemici. Il Consiglio richiede alla Commissione di presentare una relazione che delinei soluzioni ai problemi comuni a diversi Stati membri. Infine, punto particolarmente importante, la Corte dei conti ha esortato Parlamento europeo e Consiglio a giungere a un’intesa comune sul rischio tollerabile nelle operazioni sottostanti.

Le conclusioni del Consiglio attribuiscono notevole importanza a questa intesa comune e il Consiglio attende con ansia ulteriori progressi in proposito.

Passo ora a un argomento di capitale importanza per tutti noi: la semplificazione. Occorre una semplificazione in vista dell’armonizzazione dei principi di controllo, della legislazione e dei requisiti di controllo per i regolamenti da adottare per il periodo di programmazione 2007-2013. A parere del Consiglio la semplificazione non dovrebbe portare ad alcun aumento dell’attuale livello dei costi amministrativi e di controllo e dovrebbe assicurare la soppressione dei controlli interni multipli da parte di diversi organi ed enti coinvolti nel quadro di controllo.

Vorrei infine affrontare l’importantissimo argomento delle dichiarazioni associate alla gestione decentrata dei fondi comunitari. Il Consiglio ritiene che le dichiarazioni esistenti a livello operativo possano fornire un’utile garanzia per la Commissione e in ultima analisi per la Corte dei conti, che dovrebbero essere utili ed efficaci dal punto di vista dei costi ed essere prese in considerazione in modo da giungere ad una DAS positiva. Occorre evitare che l’attuale equilibrio tra Commissione e Stati membri venga messo a repentaglio.

Sono consapevole che vi aspettavate di più in proposito, ma sono sicuro che converrete con me che questo testo è già di per sé da considerare un significativo e importante passo avanti. Al fine di compiere ulteriori progressi al riguardo, nell’ambito della procedura di discarico per l’esercizio 2004 il Consiglio ha accettato di esaminare il piano d’azione della Commissione per colmare le carenze nell’attuale quadro di controllo. Alle conclusioni del Consiglio dell’8 novembre faranno naturalmente seguito ulteriori passi nel 2006.

Come è già stato detto, una dichiarazione di affidabilità positiva è un obiettivo notevole e molto ambizioso che non può essere conseguito di punto in bianco. Reputo tuttavia che le conclusioni del Consiglio costituiscano un passo significativo in vista del conseguimento di detto obiettivo. Tali conclusioni confermano inoltre che il Consiglio continua a sostenere gli sforzi della Commissione intesi a contribuire attivamente alla gestione finanziaria a tutti i livelli.

Alcuni di voi forse sono del parere che il Consiglio avrebbe dovuto compiere un ulteriore passo e lo ritengo del tutto comprensibile. Dovreste tuttavia tenere presente che su tale questione la Presidenza è stata limitata dall’esigenza dell’unanimità. Grazie per l’attenzione!

 
  
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  Siim Kallas, Vicepresidente della Commissione. (EN) Signor Presidente, nel corso di tutto il mandato di questa Commissione abbiamo condiviso la preoccupazione di ottenere una DAS positiva, cosa che non è stata possibile. Si tratta di una questione estremamente tecnica il cui risvolto politico è estremamente negativo, in quanto sembra dare ragione a chiunque voglia affermare che il denaro dell’Unione europea è stato speso impropriamente. Affermazione, questa, che naturalmente è del tutto falsa.

Abbiamo lavorato insieme per trovare soluzioni e modi di unire tutti gli sforzi al fine di produrre sufficienti prove che permettessero alla Corte dei conti di affermare che le operazioni sono affidabili. Non neghiamo l’immenso lavoro che gli Stati membri stanno svolgendo per garantire sistemi di controllo adeguati. Sono appena rientrato da uno Stato membro dove ho incontrato l’istituzione di controllo nazionale, ed è stato svolto un immenso lavoro per garantire un uso adeguato del denaro nazionale ed europeo in caso di gestione concorrente.

La Commissione non ricusa le proprie responsabilità in materia di esecuzione del bilancio, neppure nella gestione concorrente. Manca però un anello della catena: in ultima analisi non sappiamo come rendere comprensibili al massimo livello, ossia alla Corte dei conti, tutti i risultati del lavoro di controllo e di revisione.

La Commissione ha pertanto sostenuto con forza la proposta, trasmessa al Consiglio dal relatore, onorevole Wynn, e dalla commissione per il controllo dei bilanci, in cui si richiede una dichiarazione politica, una firma a livello nazionale, che a nostro parere potrebbe costituire l’anello mancante. Detta proposta è stata respinta lo scorso novembre e adesso dobbiamo pensare a quale sarà il prossimo passo da compiere, in quanto il problema continuerà ad esistere.

Il 17 gennaio la Commissione ha adottato un piano d’azione e lo ha trasmesso a Consiglio e Parlamento. Il piano d’azione contiene 16 azioni concrete a tutti i livelli e in tutti i settori. L’azione 5, che affronta specificamente l’oggetto del dibattito di questa sera, afferma: “Gli Stati membri dovrebbero nominare un organismo nazionale di coordinamento per settore politico, incaricato [..] di fornire a tutte le parti interessate una sintesi delle garanzie disponibili in merito alle azioni comunitarie attuate, nell’ambito di una gestione concorrente e indiretta, nel loro Stato membro. La cooperazione degli Stati membri sarà necessaria per inserire tale disposizione nella prossima legislazione e per vegliare sulla sua applicazione tramite modalità di applicazione e orientamenti”.

Forse questa potrebbe essere una soluzione, almeno in via transitoria, per collegare insieme i livelli tecnici, gli organismi pagatori e i controlli e fornire prove adeguate per il discarico generale.

 
  
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  José Javier Pomés Ruiz, a nome del gruppo PPE-DE.(ES) Signor Presidente, in effetti ci aspettavamo di più al riguardo da lei, Presidente Winkler, e anche dalla Presidenza austriaca. Non è la prima volta che il Parlamento vede il Consiglio venir meno alle proprie aspettative.

Adesso noi europei ci troviamo dinanzi a un problema grave: nelle prospettive finanziarie il Parlamento ci ha chiesto di spendere l’1,14 per cento, ma il Presidente di turno, Tony Blair, ha abbassato questo importo all’1,04 per cento. Da questa decisione sembrerebbe che le politiche comunitarie, che sono così efficaci e che hanno contribuito così tanto a fare avanzare l’Europa, siano state gestite negativamente dall’Unione europea e che pertanto la cosa migliore da fare sia quella di ridurre il bilancio visto che l’amministrazione è stata negativa. Nella fattispecie dobbiamo fare in modo che non vi siano politiche europee, bensì politiche nazionali: rinazionalizziamo la politica agricola comune, spendiamo negli Stati membri. Dietro a questa posizione ci sono dieci anni di mancata approvazione dei conti europei da parte della Corte dei conti. Ma di quali conti europei stiamo parlando, visto che l’80 per cento del bilancio comunitario viene gestito e speso negli Stati membri? Solo un quinto del bilancio viene gestito a Bruxelles. Che cosa sta succedendo? Alcune istituzioni nazionali, che vogliono diminuire le spese e togliere carburante alle politiche europee, adesso che siamo in un’Europa a 25 e stiamo per diventare 27, vanno dicendo “spendete male”.

Che cosa chiede la commissione per il controllo dei bilanci? Chiediamo che ci venga detto dove il denaro viene speso male; se è uno Stato membro a spenderlo scorrettamente, vogliamo che si dica che la responsabilità è da imputare a tale Stato e non a Bruxelles. Vogliamo che ci venga detto se i problemi si sono verificati a Bruxelles o in un determinato Stato membro. A tal fine sarebbe utile se gli Stati membri confermassero come viene speso il denaro comunitario.

Ritengo che mediamente il denaro comunitario venga speso meglio e con maggiore efficacia a Bruxelles di quanto avviene negli Stati membri. Cionondimeno il sistema in vigore fa sì che Bruxelles venga tacciata di cattiva gestione al posto degli Stati membri. So che il Consiglio deve difendere il buon nome degli Stati membri.

Vorremmo una corresponsabilità, un’approvazione da parte di una qualsivoglia autorità, che sia il ministro delle Finanze o la giurisdizione competente, a conferma del fatto che in ogni Stato membro i conti vengono gestiti come auspicato dai cittadini europei, cosicché la responsabilità non ricada sempre sul Vicepresidente Kallas o sulla commissione parlamentare per il controllo dei bilanci, ma si attribuiscano le colpe e se indichino i responsabili.

Vorrei pertanto che confermaste come ciascuno Stato membro spende il denaro dei cittadini europei.

 
  
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  Szabolcs Fazakas, a nome del gruppo PSE. – (HU) In qualità di presidente della commissione per il controllo dei bilanci e come uno dei rappresentanti dei nuovi Stati membri, vorrei esprimere la mia gratitudine per la possibilità di discutere la questione delle dichiarazioni nazionali con i rappresentanti di Commissione e Consiglio. Auspico vivamente che questa discussione non si esaurirà in una dichiarazione preparata a priori dal Sottosegretario Winkler, ma che vi troveranno spazio anche risposte concrete alle domande dell’onorevole Terence Wynn e nostre. Ci auguriamo davvero di ricevere delle risposte, giacché il Parlamento europeo ha la responsabilità politica di garantire ai cittadini dell’Unione europea che i fondi comunitari sono utilizzati in modo legittimo e corretto.

Alla luce del fatto che la Corte dei conti delle Comunità europee non è riuscita a emettere una dichiarazione di affidabilità positiva (DAS) in assenza di dichiarazioni di affidabilità nazionali, sta emergendo tra i cittadini l’opinione negativa secondo la quale i finanziamenti europei sarebbero usati in modo non trasparente e non sempre in conformità dei regolamenti. Per tale motivo la relazione del collega Terence Wynn, sostenuta dalla stragrande maggioranza di questo Parlamento, e corroborata dalla relazione Böge sulle prospettive finanziarie dell’Unione europea, sollecitava l’introduzione di dichiarazioni di affidabilità nazionali nell’ambito della procedura di discarico dello scorso anno. Siamo inoltre lieti che questo punto sia stato incluso nel percorso verso un quadro di controllo interno integrato, annunciato dalla Commissione nella persona del Vicepresidente Siim Kallas. Questa riforma, che coinvolge Parlamento, Commissione e Corte dei conti, si fonda sulla fiducia reciproca e la stretta cooperazione. Oltre a ciò occorre altresì il sostegno del Consiglio e della Presidenza poiché alcuni Stati membri continuano a essere restii a introdurre dichiarazioni di affidabilità nazionali. In veste di deputato ungherese vorrei anche far presente che i nuovi Stati membri non si sono limitati ad accettare l’acquis comunitario e a ricevere i fondi strutturali, ma sono pienamente consapevoli di essere tenuti a creare propri sistemi di pagamento e di controllo in conformità dei principi di legittimità, legalità e osservanza delle norme. Per tali Stati non è dunque un problema soddisfare le aspettative del Parlamento europeo e della Commissione, visto che, così facendo, contribuirebbero a far funzionare l’Europa in modo più efficiente, disciplinato e trasparente.

 
  
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  Jan Mulder, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Signor Presidente, la risoluzione in discussione stasera si commenta da sola: è la diretta conseguenza della risoluzione sul discarico 2003 presentata dall’onorevole Wynn. E’ importante riuscire a ottenere un miglior controllo dei finanziamenti comunitari. Sappiamo tutti che nel corso degli ultimi 11 anni la Corte dei conti non è riuscita a emettere una dichiarazione di affidabilità positiva. Occorre rendere merito alla Commissione per aver accolto pressoché integralmente le raccomandazioni del Parlamento, fatto da considerarsi positivo.

Purtroppo gli Stati membri hanno un parere diverso e molto più ottuso, motivo per cui la discussione di stasera è vista soprattutto come un confronto con il Consiglio. Devo dire che non sono del tutto persuaso dalle risposte e dalle osservazioni espresse stasera dal Presidente in carica del Consiglio Winkler. Di fatto in questa risoluzione non chiediamo nulla di diverso da quanto già succede in alcuni casi. Vorremmo riprendere la precedente risoluzione in cui chiedevamo alle massime autorità politiche di firmare detta dichiarazione.

In questa risoluzione non si va oltre le dichiarazioni di livello inferiore. Se prendiamo in esame la prassi vigente per la spesa agricola, possiamo constatare che sono già stati introdotti organismi di certificazione che effettuano controlli indipendenti sugli enti pagatori e svolgono indagini indipendenti. Mi sfugge il motivo per cui gli Stati membri sono disposti ad accettare tale prassi nel settore della spesa agricola, ma non in altri settori di spesa di bilancio, come i Fondi strutturali. La discussione di stasera è accompagnata da alcune condizioni. Presumo che il Consiglio conosca la risoluzione Böge sulle prospettive finanziarie.

Non chiediamo solo maggiori fondi a seguito delle decisioni del Consiglio, chiediamo altresì una migliore supervisione finanziaria. Tale è il vero scopo della risoluzione che ci auguriamo venga approvata domani.

 
  
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  Bart Staes, a nome del gruppo Verts/ALE. – (NL) Signor Presidente, effettivamente questa è innanzitutto una discussione con il Consiglio. Devo dire che l’intervento del Ministro è stato a mio avviso deludente; il Presidente in carica del Consiglio non ha affatto risposto alla nostra interrogazione, e questo proprio in un momento in cui la fiducia nell’Unione europea è ai minimi storici. Domani il Commissario Wallström presenterà un Libro bianco sulla comunicazione quale mezzo per rafforzare la fiducia nell’UE. A mio avviso, però, migliaia di Libri bianchi o di misure non faranno la differenza, se l’Unione europea non riuscirà a spendere i propri fondi con avvedutezza.

Per questo motivo vi chiedo di nuovo perché state organizzando l’irresponsabilità organizzata. Perché il Consiglio lascia che gli Stati membri spendano l’80 per cento dei fondi comunitari, anziché garantire che i singoli Stati membri e le singole regioni, dove sono responsabili di farlo, affermino che i fondi da loro spesi sono adeguatamente controllati e utilizzati con avvedutezza? Non riesco a capire perché il Consiglio non possa fare quanto richiesto dal Parlamento al riguardo. Ritengo che stiate mettendo in grande difficoltà questa Assemblea.

 
  
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  Jeffrey Titford, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Dichiarazioni di gestione nazionale! Signor Presidente, vorrei chiedere al Commissario Kallas se tali dichiarazioni saranno simili ai conti interni comunitari per cui i direttori generali della Commissione firmano con riserva per i rispettivi dipartimenti visto che non hanno la più pallida idea di dove sia finito il denaro. Se così fosse, mi sembrerebbe infatti un po’ come cercare di tamponare la rottura di un’arteria con un cerotto: troppo poco e troppo tardi.

Come tutti sanno, non credo nell’Unione europea; la ritengo nemica della democrazia e affronto la questione dal punto di vista opposto. Nessuno Stato dovrebbe versare il denaro dei contribuenti in un sistema corrotto. Dopo 11 lunghi anni in cui i conti dell’UE sono stati bocciati dai revisori interni, mi sembra che questo fiacco tentativo di cambiare il sistema equivalga a riversare ingenti quantitativi di polvere d’oro in un setaccio pensando nel contempo che forse sarebbe meglio cercare di tappare qualche buco. Nessuno si interroga sulla saggezza di riversare polvere in un setaccio e sul fatto che il modo di impedirne la dispersione sarebbe semplicemente quello di smettere di versarla.

Esorto pertanto i deputati qui presenti a fare ritorno nei vari paesi e a perorare con urgenza la necessità di chiudere il rubinetto. Bisogna semplicemente smettere di erogare denaro a questa mostruosa dittatura burocratica che non ha alcun rispetto né per i governi né per i cittadini europei. Nel mio paese si dice che “la carità comincia in casa”. Salvate il denaro che attualmente state sperperando nell’UE e che in larga parte va comunque perso in frodi e corruzione.

 
  
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  Presidente. Onorevole Titford, la richiamo all’ordine. Lei ha accusato per due volte le Istituzioni europee di reati. Lei ha detto “frode” e “corruzione” due volte. La prego di tener presente in futuro che in quest’Aula le accuse di reato a persone o istituzioni devono essere suffragate da prove. Altrimenti lei abusa della libertà di parola di cui gode in quanto deputato al Parlamento.

 
  
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  Hans-Peter Martin (NI).(DE) Signor Presidente, quando l’Assemblea discute su questioni finanziarie, accade raramente che io sia molto meno esplicito degli oratori che mi hanno preceduto. Anche se la responsabilità nazionale è un obiettivo che non oso neppure sognare, non ho dimenticato, Presidente Winkler, quello che il suo e mio Cancelliere ha detto in questa stessa Aula, dove si trova lei adesso, sulla questione dei sussidi finanziati con i fondi comunitari. Le parole del Cancelliere Schüssel, in veste di Presidente del Consiglio, sono state: “E’ più che giusto che tali informazioni vengano rese pubbliche cosicché la gente sappia chi ne ha effettivamente beneficiato”. Ripeto quanto è stato detto: “E’ più che giusto che tali informazioni vengano rese pubbliche”; e allora pubblicatele!

In alcuni Stati membri che sono molto più critici su molti aspetti, come ad esempio il Regno Unito, la cosa è scontata. Fate dell’Austria un fulgido esempio da seguire e diteci una buona volta che fine fa l’80 per cento! Chi ottiene che cosa, quanto e quando?

La mia seconda richiesta, probabilmente molto più facile da accogliere, è che lei sostenga il suo gruppo politico, ovvero l’onorevole Gräßle, che sta introducendo riforme nel nuovo regolamento finanziario che ci permetterebbero davvero di lavorare, e che lei riuscirà senza difficoltà a tenere al riparo da critiche gratuite, purché però vi sia una maggiore trasparenza.

 
  
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  Paulo Casaca (PSE).(PT) Ritengo che questo sia stato un dibattito davvero proficuo nell’ambito delle procedure di controllo del bilancio comunitario. La questione cruciale in gioco è la semplificazione legislativa. Mi sembra che sia per i Fondi strutturali che per la politica agricola comune i regolamenti affermino con chiarezza che gli Stati membri devono effettuare un controllo indipendente ex ante ed ex post. Tali normative sono rimaste immutate dall’inizio dell’attuale quadro di programmazione finanziaria. In proposito la priorità principale, a mio avviso, è garantire che gli Stati membri osservino i regolamenti e che la Commissione ne controlli il rispetto. Tutto il resto produrrà solo una mancanza di chiarezza in merito alle responsabilità.

Vorrei pertanto invitare entrambe le Istituzioni a chiarire il livello di conformità con le normative comunitarie in relazione a questi controlli ex ante ed ex post, affinché possiamo essere adeguatamente informati quando intraprendiamo delle iniziative.

Infine, vorrei spendere qualche parola sulle informazioni inerenti ai destinatari dei finanziamenti comunitari. Avevo avanzato questa richiesta in una relazione da me elaborata alcuni anni fa e sono lieto che il Commissario Kallas abbia dato seguito a questa iniziativa. Mi auguro che, quando si rimprovera ai politici la mancanza di trasparenza, ci si ricordi che il Parlamento ha richiesto tale trasparenza alcuni anni or sono nella relazione da me elaborata.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, ho ascoltato con molta attenzione le vostre osservazioni e naturalmente trasmetterò al Consiglio i pareri che avete espresso. Desidero tuttavia ribadire che sono qui per rappresentare il Consiglio e gli Stati membri, in altre parole le opinioni espresse in questa sede dalla Presidenza del Consiglio sono quelle approvate all’unanimità in seno al Consiglio. Mi rammarico di aver deluso alcuni di voi, ma in questa fase non posso dire nulla di più. Posso tuttavia ribadire, e mi auguro che sarete così cortesi da prendere per buono tale impegno, che abbiamo accettato di esaminare il piano d’azione elaborato dalla Commissione in relazione alla procedura di discarico per l’esercizio 2004. Posso inoltre confermarvi che il Consiglio continuerà a sostenere gli sforzi profusi dalla Commissione al fine di contribuire attivamente alla gestione finanziaria a tutti i livelli.

Senz’ombra di dubbio il Consiglio si assumerà la sua parte di responsabilità, cui non ha intenzione di abdicare. Continueremo a collaborare con la Commissione, onde trovare soluzioni accettabili per tutti, anche per questa Assemblea. Purtroppo devo farvi presente che, in questa fase relativamente iniziale della Presidenza austriaca, non sono in grado di dire di più.

 
  
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  Siim Kallas, Vicepresidente della Commissione. (EN) Signor Presidente, grazie molte per la discussione. La questione di specie è estremamente tecnica. E’ molto difficile spiegare al grande pubblico ciò che sta davvero dietro alla dichiarazione di affidabilità. Dobbiamo tuttavia adoperarci al fine di trovare soluzioni che evitino il risvolto politico estremamente negativo connesso alla constatazione che il denaro è fuori controllo. Mi auguro pertanto che Consiglio e Stati membri uniranno i propri sforzi a partire da questa nuova base, come è già avvenuto a livello di enti pagatori e di altri organismi esecutivi. Dobbiamo cercare di fornire una garanzia di affidabilità integrata unica che costituisca altresì una prova positiva per la Corte dei conti. Dobbiamo cercare di trovare soluzioni.

Come ho detto prima, la Commissione sa benissimo in quali dei suoi settori la Corte dei conti ha rilevato numerosi errori nelle politiche interne e nell’ambito della ricerca e sviluppo. Il piano d’azione comprende 16 azioni, di cui solo una si rivolge direttamente agli Stati membri. Auspico tuttavia che questa cooperazione sarà fruttuosa.

Vorrei fare un’osservazione concreta sulla dichiarazione secondo la quale la Corte dei conti avrebbe bocciato i nostri conti. Si tratta di un’affermazione sbagliata. Nel corso del mio mandato la Corte dei conti non ha mai bocciato i nostri conti; non è stata sempre in grado di garantire la legittimità e la correttezza delle operazioni sottostanti, come stabilito dal Trattato. Questo significa che non è in grado di affermare che milioni di operazioni sono state controllate adeguatamente, il che è vero.

E’ inoltre di capitale importanza descrivere la complessità del quadro generale nei contatti con la stampa, compito, questo, che è immane. Il discarico per il bilancio comprende milioni di dettagli. Una migliore comprensione del quadro generale sarà certamente di aiuto.

 
  
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  Jeffrey Titford (IND/DEM).(EN) Signor Presidente, vorrei sollevare una mozione di procedura ai sensi dell’articolo 145 del Regolamento. Mi sembra che purtroppo ci sia stato un malinteso circa l’esatto motivo per cui siamo qui. Pensavo che avremmo parlato delle direzioni della gestione. Il motivo per cui abbiamo chiesto l’introduzione di tali direzioni è che il denaro andava perso.

In qualità di membro della commissione per il controllo dei bilanci ho sempre avuto la funzione di indagare dove il denaro veniva perso o utilizzato scorrettamente e dove venivano compiuti errori, frase utilizzata poco fa dal Commissario Kallas. Ho sempre lavorato partendo dal presupposto che il motivo per cui abbiamo invocato tali dichiarazioni fosse di indurre gli Stati membri a indagare dove si erano verificati sprechi, frodi e forse addirittura corruzione. Questi sono i termini in cui mi era stato richiesto di esprimere le mie opinioni nel mio intervento.

 
  
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  Terence Wynn (PSE).(EN) Signor Presidente, intervengo per una mozione di procedura ai sensi dell’articolo 108 del Regolamento. Avevamo presentato un’interrogazione orale che conteneva sei quesiti; questa sera avevo aggiunto oralmente una settima domanda; non abbiamo ricevuto risposta neppure a un quesito. La Presidenza potrebbe cortesemente fornirci tali risposte almeno per iscritto?

 
  
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  Presidente. Sì, onorevole Wynn, riceverà le risposte per iscritto.

Onorevole Titford, nutro pieno rispetto per tutte le opinioni politiche di quest’Aula, motivo per cui non l’ho interrotta e l’ho lasciata terminare il suo intervento. La mia osservazione intendeva solo ricordarle che il linguaggio che utilizziamo in Aula dovrebbe esprimere le nostre opinioni e posizioni politiche. Si trattava solo di una cordiale osservazione con cui, in veste di Presidente della seduta, volevo dire che dovremmo cercare di utilizzare un linguaggio e dei termini non indebitamente offensivi e irrispettosi. Fatta salva questa premessa, lei ha piena libertà di espressione in questa sede, onorevole Titford.

A conclusione del dibattito, comunico di aver ricevuto una proposta di risoluzione (1) ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 5, del Regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 11.00.

 
  

(1) Cfr. Processo verbale.


15. Risorse della pesca nel Mediterraneo
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  Presidente. L’ordine del giorno reca l’interrogazione orale (O-0095/2005 – B6-0346/2005) dell’onorevole Philippe Morillon, a nome della commissione per la pesca, al Consiglio, sulle misure di gestione applicabili alle risorse della pesca nel Mediterraneo.

 
  
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  Philippe Morillon (ALDE), autore. – (FR) Signor Presidente, Presidente in carica del Consiglio Winkler, l’interrogazione orale cui dobbiamo il dibattito di questa sera e le proposte che saranno presentate al Parlamento per la votazione di domani si basano sulla constatazione che le uniche misure di gestione finora applicate alla pesca nel Mediterraneo risalgono al 1994. Tali misure non sono tuttavia più adeguate alla situazione delle risorse né alle decisioni adottate in merito ad altre regioni marittime dell’Unione europea allo scopo di attuare una politica comune della pesca che consenta lo sviluppo sostenibile di questo settore della nostra economia e la salvaguardia delle risorse che l’Unione deve poter continuare a utilizzare attraverso lo sfruttamento dei suoi mari per far fronte alla necessità di garantire nel lungo periodo la sufficienza alimentare dei cittadini.

Un tale periodo di tempo è dovuto innanzi tutto al fatto che il Mediterraneo è riconosciuto come una delle regioni più varie e complesse sotto il profilo sia biologico che ecologico, sociale ed economico. Per questo motivo, il Parlamento non era riuscito a giungere a un accordo durante la precedente legislatura e la relazione dell’onorevole Lisi era sfociata in un’ammissione di fallimento. Per lo stesso motivo questo argomento è stato reinserito nel programma di lavoro della nuova legislatura quale priorità e ha dato luogo all’elaborazione di un compromesso molto delicato al termine dei lavori della relatrice, onorevole Carmen Fraga, cui ho il dovere di rendere omaggio in Aula per il suo impegno personale.

La relazione è stata adottata, prima in sede di commissione e quindi in seduta plenaria, lo scorso giugno. Le misure in essa raccomandate non sono ancora state finora oggetto di alcuna decisione di attuazione da parte del Consiglio. Conosciamo alcuni dei motivi di questo attendismo, tuttavia ne avevo informato a titolo personale i colleghi nel tentativo di far approvare alcuni emendamenti volti a evitare il divieto dell’uso di determinati tipi di reti tradizionalmente impiegati dai pescatori della regione.

La questione riguardava e continua a riguardare 75 imbarcazioni che danno da vivere a 350 famiglie e che generano l’80 per cento del fatturato dei pescatori utilizzando reti da posta fisse, note come tenailles. Questo tipo di pesca aveva l’inconveniente di provocare la cattura accidentale di delfini finché il settore mise a punto un programma che ha consentito di ridurre dell’80 per cento tali catture accidentali attraverso l’uso di allarmi sonori e la presenza sistematica di osservatori a bordo delle navi.

Il motivo per cui ritorno su questo argomento è che le ripercussioni socioeconomiche delle misure raccomandate meritano di essere prese in considerazione in modo più adeguato. Sulla base di questo presupposto sostengo, e il mio gruppo sosterrà, la proposta di risoluzione presentata dal gruppo Verde/Alleanza libera europea, che all’articolo 4 insiste affinché i pescatori interessati dal nuovo regolamento che dovranno cambiare i loro metodi di pesca ricevano un’adeguata compensazione finanziaria.

Nel corso della riunione di ieri della commissione competente, il Commissario europeo responsabile per la pesca, Joe Borg, ha potuto rendersi conto di quanto gli amici spagnoli siano stati irritati dalla prospettiva dell’imposizione di un divieto sulle reti da posta fisse usate per la pesca in alcune zone vicine al litorale spagnolo. Tale divieto metterebbe in discussione il futuro di una flotta di 80 pescherecci che danno da vivere a 1 500 persone. Si tratta di un caso del tutto simile a quello delle attività di pesca artigianale praticate lungo le coste francesi del Mediterraneo.

Detto questo, signor Presidente, anche se posso comprendere che alcune decisioni proposte dalla relazione Fraga meritino di essere ulteriormente discusse e forse integrate da uno studio d’impatto, questo non può giustificare la sospensione a tempo indefinito dell’applicazione dell’intero contenuto di una relazione riguardo alla quale tutti sono concordi nel riconoscere che costituisce di per sé un buon compromesso.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, onorevole Morillon, lei vuole sapere se la Comunità europea rispetta gli obblighi assunti nell’ambito di organismi internazionali, tenuto conto che il Consiglio non ha ancora adottato la proposta di regolamento del Consiglio relativo alle misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse di pesca nel Mar Mediterraneo.

Nel febbraio 2005 la Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo, di cui la Comunità è parte contraente, ha adottato raccomandazioni vincolanti volte a migliorare le misure di conservazione e di gestione del Mediterraneo, che sono state integrate nella proposta di compromesso della Presidenza sottoposta all’esame del Consiglio “Agricoltura e pesca” nella sua riunione del 19 e 20 settembre dello scorso anno. Durante le discussioni era risultato chiaro tuttavia che non esisteva sufficiente sostegno al riguardo, e pertanto la Presidenza si era resa conto che era impossibile che il Consiglio potesse giungere a un accordo politico sulla proposta di regolamento contenente misure tecniche di gestione del Mediterraneo, fra cui le raccomandazioni della Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo. Il Consiglio prosegue le discussioni sulla proposta relativa a misure di gestione del Mediterraneo in stretta consultazione con la Commissione, e la Presidenza intende inserire l’argomento all’ordine del giorno della riunione del Consiglio di aprile.

 
  
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  Carmen Fraga Estévez, a nome del gruppo PPE-DE. – (ES) Signor Presidente, in qualità di relatrice per la commissione per la pesca, mi rendo perfettamente conto delle difficoltà relative alla proposta in esame. Il Parlamento ha svolto un ruolo efficace e fondamentale per sbloccare la situazione dopo che la proposta era stata presentata poco più di due anni e mezzo fa, trovando anche una procedura che ha consentito di raggiungere un compromesso tra la Commissione e il Parlamento per superare le difficoltà create dalla proposta e che, inoltre, ha ricevuto il sostegno della maggior parte del settore e delle amministrazioni nazionali.

Non si riesce a capire il motivo per cui, nonostante l’esistenza di un così ampio consenso, il Consiglio, dall’aprile dell’anno scorso, abbia ritardato l’approvazione di quello che attualmente rappresenta forse il pacchetto di misure tecniche che deve essere adottato con maggiore urgenza. Questa irresponsabilità ha molte conseguenze: il Mediterraneo è l’unica regione comunitaria che è ancora lungi dall’aver soddisfatto i requisiti minimi di una pesca responsabile e di uno sviluppo sostenibile, mentre in altre acque comunitarie vengono intraprese azioni molto più drastiche al riguardo.

E’ vergognoso che la stragrande maggioranza degli stessi pescatori mediterranei abbia capito meglio del Consiglio l’urgente necessità di regolamentare queste zone di pesca, nonostante il prezzo che dovranno pagare.

Viene pertanto messa in seria discussione la credibilità del Consiglio, oltre al fatto che corriamo il rischio che non vengano rispettati gli obblighi internazionali assunti nell’ambito delle due organizzazioni regionali della pesca che operano nel Mediterraneo.

Signor Presidente, con quale coraggio possiamo ancora proporre misure di gestione più restrittive ai paesi terzi, quando noi stessi non siamo capaci di attuarle nel nostro territorio?

Signor Presidente in carica del Consiglio, oltre a parlarci del calendario in relazione alla domanda alla quale non ha ancora risposto, vorrei pertanto chiederle di spiegare al Parlamento il motivo per cui, tenuto conto che non esiste una minoranza bloccante, il Consiglio non è in grado di adottare una decisione in materia.

 
  
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  Rosa Miguélez Ramos, a nome del gruppo PSE. – (ES) Signor Presidente in carica del Consiglio, da molto tempo si ritiene che le risorse ittiche del Mediterraneo siano eccessivamente sfruttate, e vi sono alcuni stock che hanno un elevato valore commerciale; mi riferisco in particolare al tonno rosso che, secondo tutti gli esperti, fra cui le organizzazioni ecologiche e gli stessi pescatori, è al di sotto del livello minimo.

Anche se gli obiettivi della politica comune della pesca sono gli stessi nel Mediterraneo e in altre acque comunitarie, sembra che la politica di conservazione nel Mar Mediterraneo si sia evoluta in un modo molto diverso, e oggi ci troviamo di fronte a una situazione in cui le uniche misure di gestione applicabili a questo mare possono essere descritte soltanto come del tutto obsolete. La mancanza di un regolamento per il Mar Mediterraneo ha creato un’evidente discriminazione tra i pescatori europei che svolgono la loro attività nel Mediterraneo e quelli che operano in altre acque comunitarie.

A mio avviso, signor Presidente, e non credo di essere molto lontana dalla verità, è nostro dovere garantire che la legislazione sulla pesca nel Mediterraneo si evolva in modo da essere allineata a quella relativa ad altre regioni comunitarie. A questo proposito, è chiaro inoltre che siamo molto preoccupati per l’atteggiamento passivo del Consiglio, in quanto trovo tale mancanza di interesse nei confronti di questo mare del tutto inspiegabile. Stiamo parlando di un mare e di una regione che, oltre a rivestire una grandissima importanza, sono molto complessi, lo ammetto, anche da un punto di vista geopolitico; ritengo tuttavia che per il Consiglio questo dovrebbe costituire più un incentivo che un ostacolo. Il comportamento del Consiglio è ancor più inspiegabile alla luce di ciò che l’onorevole Fraga ha detto poc’anzi, ossia che la relazione in esame è stata approvata grazie alla stretta cooperazione, sostenuta dal Parlamento, instaurata tra la commissione per la pesca e la Direzione generale della Pesca.

Per tutti questi motivi, vorrei chiedere di imprimere l’impulso finale e considerare molto importante ciò che è stato ottenuto, evitando di compiere passi indietro o di prendere in considerazione soluzioni che indeboliscono il contenuto della relazione.

 
  
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  Marie-Hélène Aubert, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, da parte mia vorrei sottolineare un aspetto su cui, come potrete constatare, esiste un effettivo consenso, ossia l’urgente necessità di sbloccare la situazione, in quanto lo stato delle risorse ittiche nel Mediterraneo è davvero allarmante. Questo vale in particolare per il tonno rosso, ma anche per altre specie, come l’onorevole collega ha sottolineato. L’attendismo, le battute d’arresto e le prevaricazioni sono pertanto un vero disastro per il futuro del Mediterraneo.

Vogliamo inoltre salvaguardare la pesca artigianale, che è davvero fondamentale nelle regioni interessate, in cui, com’è stato detto, costituisce una fonte di reddito per migliaia di persone. Eppure, non è esentando la pesca artigianale da alcune misure importanti che riusciremo a farlo, ma piuttosto aiutando innanzi tutto questo settore ad adeguarsi e sostenendolo in modo che possa continuare a svolgere le sue attività conformemente ai regolamenti, che devono essere quelli menzionati nella relazione.

Ritengo pertanto che dobbiamo salvaguardare il Mediterraneo: si tratta di una questione fondamentale per il futuro della pesca oltre che dal punto di vista culturale. Il Consiglio deve rendersene conto e cercare di sbloccare subito la situazione.

 
  
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  Ioannis Gklavakis (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, il Mediterraneo rappresenta una parte molto importante dell’Unione europea. La pesca nel Mediterraneo rappresenta un settore importante della pesca comunitaria. Vogliamo che il Mediterraneo sia un mare vivo, non morto. Per molti di noi questo mare è la nostra vita. Vogliamo che vengano salvaguardati gli stock ittici, che si eviti l’eccessivo sfruttamento delle risorse e che sia garantita la sostenibilità in questo mare.

Il Parlamento europeo e la Commissione hanno approvato un pacchetto di misure di gestione per la pesca nel Mediterraneo. Chiediamo con urgenza che vengano recepite e attuate le misure decise. Non vorrei lasciarmi trascinare troppo, però non sarebbe esagerato dire che qualsiasi ritardo in materia sarebbe criminale. Chiediamo che in futuro le misure vengano estese; in altre parole, chiediamo che da parte nostra vengano esercitare pressioni sui paesi terzi del Mediterraneo e che vengano applicate le misure in vigore. E’ nostro dovere farlo per proteggere il Mediterraneo, che è la nostra vita. Prima di tutto, oggi, non domani, chiediamo tuttavia al Consiglio di iniziare ad applicare le misure concordate.

 
  
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  Stavros Arnaoutakis (PSE).(EL) Signor Presidente, a un anno dall’approvazione della relazione sulla proposta del Consiglio relativa a una pesca sostenibile nel Mediterraneo, è ovvio che il Consiglio non ha mai adottato una decisione per applicarla.

In seno alla commissione per la pesca è stato anche detto, con nostra grande sorpresa, che la dotazione finanziaria per il Fondo per la pesca è già stata ridotta del 20 per cento. E’ pertanto una conseguenza naturale che i problemi della pesca restino e che i cittadini che lavorano nel settore a livello professionale o sportivo siano preoccupati, mentre la situazione diventa sempre più complicata e, a mio avviso, sta peggiorando.

Al contempo, il bacino del Mediterraneo viene continuamente abitato da nuovi gruppi di persone, con un costante aggravamento della situazione dovuto ai rifiuti industriali, urbani e di altro genere che ha gravi effetti negativi diretti sulla pesca.

E’ ovvio che le pertinenti proposte di regolamento e i progetti di relazione devono anche includere studi da parte della comunità scientifica sugli effetti dell’inquinamento atmosferico, sui cambiamenti geologici, sulle differenze delle popolazioni e sul consumo di pesce prima di procedere all’applicazione di qualsiasi misura.

E’ indubbio che la politica decisa non sia stata applicata e che, al contempo, nel settore della pesca restino irrisolti i problemi per quanto riguarda soprattutto i metodi di pesca, le riduzioni degli stock e il continuo divario tra pescatori professionali e pescatori sportivi. Dobbiamo pertanto utilizzare i mezzi politici di cui disponiamo per promuovere l’attuazione della relazione da parte del Consiglio e avviare il dialogo con gli organismi interessati per migliorare il regolamento esistente con la massima tempestività.

 
  
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  Iles Braghetto (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che la risoluzione sull’adozione di misure di gestione applicabili alle risorse alieutiche del Mediterraneo, che voteremo domani in quest’Aula, abbia una forte rilevanza economica, sociale e ambientale.

L’attuale regolamento risale, come è stato ricordato, al 1994 ed era già allora considerato obsoleto. Con quale coraggio potremo ancora continuare a porre gli operatori del settore davanti alla presunta responsabilità di minare la sostenibilità ambientale dell’attività di pesca, se le regole, signor Presidente, sono anacronistiche e non calibrate al contesto? E se non sarà dato seguito a quanto il Parlamento europeo ha già favorevolmente votato un anno fa?

Il settore della pesca non vuole discriminazioni: vuole invece sentire l’Unione europea vicina e attenta alle sue uniche specificità. Pensiamo alla grande differenza fra la morfologia e la profondità dei fondali delle coste adriatiche rispetto a quelle atlantiche, al problema della pesca multispecifica e all’annoso problema del rispetto delle taglie, quando vengono già rispettate le misure delle maglie e delle reti. E, da ultimo, ma non certo meno importante, pensiamo all’esistenza di regole diverse in vigore per gli Stati che si affacciano sul Mediterraneo ma che non appartengono all’Unione europea e che, in mancanza di accordi bilaterali equilibrati, disciplinano con due pesi e due misure lo stesso ambito di pesca. Il momento di porre fine a queste evidenti disparità è già passato da tempo.

Auspichiamo, quindi, con questa risoluzione, che il Consiglio, nel quale riponiamo stima e fiducia, si faccia carico al più presto di dare il segnale da tanto tempo atteso.

 
  
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  David Casa (PPE-DE).(MT) Grazie, signor Presidente. Sono sicuro che tutti coloro che lavorano in stretto rapporto con il settore della pesca, e in particolare coloro che vi sono coinvolti nel Mar Mediterraneo, sanno molto bene quanto questa regione sia complessa. Si tratta di una regione con una diversità biologica e ambientale molto evidente, che ha enormi ripercussioni socioeconomiche sui suoi abitanti. Purtroppo il Consiglio dei ministri non si è assunto alcun chiaro impegno a individuare tale diversità e a prendere tutti i provvedimenti necessari. Questo è molto preoccupante per quelli di noi che hanno presentato la risoluzione in esame, in quanto sappiamo che la mancanza di iniziativa da parte del Consiglio ci ha messi in una posizione molto lontana dall’obiettivo di uno sviluppo sostenibile. Siamo in un vicolo cieco dal quale possiamo uscire solo adottando disposizioni più responsabili e più conformi alla politica comune della pesca, rendendo gli obiettivi molto più raggiungibili. Va rammentato che le sole disposizioni esistenti per la gestione della pesca sono in vigore da più di dieci anni, e anche tali misure non sono così adeguate. E’ molto importante tenere presente che rischiamo di venir meno agli obblighi internazionali in materia di gestione della pesca, soprattutto a quelli assunti nell’ambito delle organizzazioni regionali della pesca e, in particolare, della Commissione internazionale per la conservazione del tonno atlantico e della Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo. Esorto pertanto il Consiglio ad adottare senza indugio tutte le misure necessarie in modo da poter raggiungere un equilibrio ideale nel Mediterraneo e garantire i mezzi di sostentamento dei pescatori. Potremo quindi rivolgere l’attenzione ad altri progetti nel Mediterraneo, una regione che, lo ripeto, purtroppo è stata trascurata per un tempo molto lungo. Molte grazie.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, volevo solo concludere dicendo che il Consiglio è ben consapevole dell’importanza dell’argomento trattato. Non è vero inoltre che il Consiglio sia inattivo o addirittura disinteressato alla situazione degli stock ittici e della pesca nel Mediterraneo. Per motivi sui quali la Presidenza non intende esprimersi, non è ancora stato raggiunto un accordo.

La Presidenza austriaca attualmente si sta occupando della questione e cercherà attivamente di trovare una soluzione. Come ho detto, l’intenzione è quella di affrontare l’argomento nella riunione del Consiglio di aprile di quest’anno.

 
  
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  Presidente. – A conclusione del dibattito, comunico di aver ricevuto tre proposte di risoluzione(1) ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 5, del Regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 11.00.

(La seduta, sospesa alle 20.30, riprende alle 21.00)

 
  
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  Sebastiano (Nello) Musumeci (UEN). – Signor Presidente, in occasione del dibattito sullo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel Mediterraneo, ebbi già modo di dire che il compromesso raggiunto dal Parlamento e dalla Commissione – pur non entusiasmandoci oltre misura – rappresenta indubbiamente un miglioramento rispetto alla proposta iniziale.

Non è questo il momento opportuno per ricordare i pro e i contro del compromesso; diciamo che lo considero – almeno, questo è l’auspicio – come una tappa verso una ragionevole gestione delle risorse alieutiche nel Mediterraneo, combinata con un doveroso sostegno al precario livello di occupazione del settore ittico, coinvolgente migliaia di famiglie dislocate sulle coste del Mare nostrum.

Il dado è tratto. Non si può tornare indietro. Mi auguro, pertanto, che il Consiglio – nelle sue decisioni – non si ispiri alle preghiere del giovane Sant’Agostino rivolte all’Onnipotente, evocate nelle sue “Confessioni”: “mio Dio dammi la castità ma non subito!”.

Si aspetti pure qualche altro mese per l’adozione del regolamento, ma non si indugi troppo: fra i nostri pescatori c’è grande attesa.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ONESTA
Vicepresidente

 
  

(1)Cfr. Processo verbale.


16. Interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica
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  Presidente. – La seduta riprende con gli interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica.

 
  
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  James Nicholson (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, vorrei richiamare l’attenzione dell’Assemblea su una notizia riportata questa settimana secondo cui tre delle maggiori compagnie petrolifere del mondo non possiedono più direttamente le proprie stazioni di rifornimento di benzina nell’Irlanda del Nord. La cessione di tali stazioni sarebbe dovuta ai continui problemi di contrabbando e riciclaggio di benzina.

L’anno scorso il Parlamento ha condannato con estrema fermezza il Sinn Féin, ossia l’IRA, per le sue continue attività criminali. E’ ovvio che le decine di milioni di sterline che si calcola vengano ricavate ogni anno dal commercio illegale di benzina riciclata sono sufficienti a far sì che i rappresentanti politici restino indifferenti a tali critiche. L’ottava relazione della Independent Monitoring Commission pubblicata oggi afferma che i membri dell’IRA continuano a essere ancora ampiamente coinvolti nel contrabbando di benzina, e che il livello di contrabbando è rimasto pressoché costante. Questo è tutto per quanto riguarda la pretesa del Sinn Féin di essere un partito politico normale.

E’ spaventoso pensare che nel 2006, in un’Unione europea che si vanta del suo impegno nei confronti del libero scambio e della libera circolazione, uno Stato membro possa essere afflitto da un’organizzazione così perversa che neppure le maggiori compagnie petrolifere del mondo riescono a sopravvivere alla sua minaccia. Confido che il Parlamento continui a condannare coloro che non condividono il nostro impegno nei confronti delle libertà fondamentali.

 
  
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  Marianne Mikko (PSE).(ET) Signor Presidente, onorevoli colleghi, in qualità di socialdemocratica proveniente da uno dei nuovi Stati membri, ossia l’Estonia, continuo a essere preoccupata riguardo alla diffusione e al consolidamento del doppiopesismo nell’Unione europea.

Lo scorso lunedì è entrata in vigore una direttiva relativa ai cittadini di paesi terzi, creando una situazione assurda in cui i cittadini dei nuovi Stati membri non sono neppure cittadini di seconda classe nel mercato del lavoro. Le circostanze hanno contribuito a rendere possibile una situazione in cui il mercato del lavoro dell’Unione europea è aperto ai cittadini di alcuni paesi terzi, ma non ai cittadini di altri paesi terzi che soddisfano gli stessi requisiti. Mi chiedo tuttavia da chi difendiamo chi nell’Unione europea a 25 Stati membri.

Ho già chiesto al ministro dell’Economia e del Lavoro Martin Bartenstein una spiegazione sui tempi entro i quali possiamo aspettarci di vedere i risultati dell’attività dell’Austria, in quanto paese di turno della Presidenza dell’Unione europea, per quanto riguarda l’apertura del mercato del lavoro. Lo scorso mercoledì il ministro non è stato in grado di dare una risposta diretta alla mia domanda. Vorrei far presente che le questioni relative all’apertura del mercato del lavoro resteranno una delle mie priorità. La libera circolazione delle persone è una delle quattro principali libertà dell’Unione europea. L’impedimento dell’esercizio di tale libertà può essere approvato solo in casi eccezionali.

 
  
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  Danutė Budreikaitė (ALDE).(LT) Il cosiddetto scandalo spionistico di Mosca ha dimostrato le vere intenzioni del Cremlino di eliminare le organizzazioni della società civile in Russia e nei paesi dell’ex blocco sovietico.

Approfittando della dipendenza dei paesi europei dall’energia russa e usando la fornitura di energia per esercitare pressioni, la Russia sta destinando sempre più fondi a campagne di natura manifestamente propagandistica.

Nei paesi dell’Europa orientale, queste campagne sono dirette soprattutto contro organizzazioni non governative, in particolare le fondazioni finanziate da George Soros, allo scopo di minare la fiducia della società nelle istituzioni che diffondono i valori occidentali e di mantenere la società nella sfera di influenza culturale e politica della Russia. L’Unione europea dovrebbe essere più attiva nella promozione dei processi democratici nella zona postsovietica e nei paesi orientali suoi vicini, dovrebbe esprimere la sua opinione sulla propaganda antioccidentale e non dovrebbe applicare due pesi e due misure nei confronti della Russia sulla base del presupposto di una dipendenza dall’energia russa.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL).(PT) Le organizzazioni che rappresentano i lavoratori del settore delle apparecchiature elettriche ed elettroniche in Portogallo hanno segnalato che negli ultimi tre anni più di 8 000 persone sono state licenziate dalle multinazionali operanti nel settore, quali Lear, Vishay, Philips, Yazaky Saltano, Alcoa Fujikura e Delphi, con la conseguenza di gravi riduzioni dei livelli di occupazione. La situazione è destinata a peggiorare se verrà dato effettivo seguito alle minacce di ordinare i prodotti altrove e di delocalizzare le attività delle multinazionali. Le delocalizzazioni hanno già causato la perdita di oltre 6 000 posti di lavoro.

In questo contesto, le multinazionali sono arrivate al punto di ricattare i lavoratori, svalutando tra l’altro le retribuzioni e rendendo più flessibili gli orari di lavoro e più precarie le condizioni di lavoro. Devono essere attuate le misure da tempo definite per porre fine a questa corsa al massimo profitto e al massimo sfruttamento, che ha scarso riguardo per le ripercussioni sociali e che talvolta viene inspiegabilmente sostenuta con risorse finanziarie comunitarie.

 
  
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  Urszula Krupa (IND/DEM).(PL) Signor Presidente, i mezzi d’informazione dell’intera Unione europea hanno dipinto il governo e il Primo Ministro polacchi come personaggi di una commedia; vorrei pertanto esprimere la mia protesta per l’immagine che ne hanno dato. Anche la rivista European Voice si è abbassata a questo livello nella sua ultima edizione. Le forze del liberismo si rifiutano di accettare la volontà di una nazione che ha votato in libere elezioni affidando il potere a cattolici per i quali Dio, verità e bontà sono più importanti del libero mercato. Ciononostante, i nostri nuovi dirigenti vengono perseguitati e criticati dai liberali sui mezzi d’informazione.

Anche la democrazia viene utilizzata come una cortina di fumo per offuscare il terrorismo mediatico attualmente perpetrato nella più totale impunità in Polonia. L’obiettivo è il sacerdote che è a capo dell’emittente radiofonica Radio Maryja, che conta milioni di ascoltatori nel paese. La stampa liberale ha pubblicato negli ultimi otto anni almeno diciottomila articoli offensivi. Viene da chiedersi per quale motivo le agenzie dell’Unione, il cui scopo è difendere la democrazia, i diritti umani e le libertà fondamentali e lottare contro l’intolleranza, reagiscono solo ad alcuni tipi di violazioni dei diritti umani, chiudendo occhi e orecchie quando ad essere interessati sono i cattolici. In realtà, tali agenzie sono simili nel comportamento a quelle sezioni dei mezzi d’informazione che si oppongono ai valori tradizionali. Vorrei rammentare all’Assemblea che una democrazia non basata sulla verità è destinata inevitabilmente a diventare una dittatura basata sul relativismo.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (NI).(PL) Signor Presidente, i mezzi d’informazione polacchi hanno annunciato che l’Unione europea ha deciso di non erogare risorse a titolo del Fondo di coesione per la costruzione del serbatoio di prevenzione delle inondazioni di Racibórz Dolny sul fiume Oder. I residenti del bacino idrografico dell’Oder sono stati profondamente delusi da questa notizia e hanno perso molta della fiducia che nutrivano nelle Istituzioni europee.

Nel luglio 1997 nel bacino idrografico dell’Oder si verificò una disastrosa inondazione che causò la morte di cinquantaquattro persone e danni materiali per un importo totale di quasi 5 miliardi di euro. Il governo polacco si è impegnato immediatamente a ricostruire le zone colpite. Nonostante le enormi difficoltà finanziarie della Polonia, il programma per la costruzione di barriere di prevenzione delle inondazioni è stato portato avanti con costanza ed efficacia. Sono stati ricostruiti più di mille chilometri di tali barriere e la pianura alluvionale è stata aumentata di oltre 150 milioni di metri quadrati. Nel corso di tutto il programma il mio paese ha collaborato in stretto rapporto con i paesi vicini, in particolare Germania e Repubblica ceca.

Nella regione transfrontaliera del bacino idrografico dell’Oder la Polonia soddisfa gli obblighi di adesione per quanto riguarda le disposizioni della direttiva quadro in materia di acque. Vorrei pertanto chiedere quali sono i motivi per cui alla Polonia non sono stati concessi aiuti finanziari per questo progetto e sapere se è possibile mettere rapidamente a disposizione risorse del Fondo di coesione a tale scopo.

 
  
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  Milan Gal’a (PPE-DE).(SK) Vorrei ringraziare tutti voi per aver espresso solidarietà e cordoglio per il tragico evento che ha sconvolto i cittadini slovacchi due settimane fa. Come tutti voi sapete, il 19 gennaio è precipitato un aereo militare slovacco che trasportava 43 passeggeri tra soldati e personale militare. Purtroppo solo una persona è sopravvissuta al disastro.

L’aereo arrivava da Priština, in Kosovo, dove soldati slovacchi e altre truppe della comunità internazionale partecipano alla missione di pace della NATO. Per la Slovacchia il 23 gennaio è stata una giornata di lutto nazionale.

Vorrei ringraziare il Presidente del Parlamento europeo per aver deciso quello stesso giorno di ordinare che la bandiera nazionale della Repubblica slovacca venisse esposta a mezz’asta davanti all’edificio del Parlamento. Queste espressioni di solidarietà hanno un grande significato per il popolo slovacco. Non si è trattato solo della perdita di militari professionisti di alto livello, ma anche di giovani all’inizio della carriera e di singole vite, di figli e mariti nonché padri di 36 orfani affranti. Che riposino in pace.

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi (PSE).(HU) Nel corso del Forum economico mondiale di Davos, il Primo Ministro francese Dominique de Villepin ha dato la colpa dei mali dell’Europa all’allargamento. Secondo il Primo Ministro francese, il processo decisionale è diventato più difficile a seguito dell’adesione dei dieci nuovi Stati membri e l’accettazione dei paesi dell’Europa orientale è spesso stata considerata nella metà occidentale del continente un onere finanziario eccessivamente gravoso. La dichiarazione del Primo Ministro de Villepin è oltraggiosa e inaccettabile. Sembra che il Primo Ministro della Francia, paese fondatore dell’Unione europea, non sia neppure a conoscenza dei processi fondamentali. La crisi dell’Unione europea, che in effetti è in una situazione di difficoltà, non è stata causata dai nuovi Stati membri, anzi. L’allargamento costa a ciascun cittadino dei vecchi Stati membri 20 euro all’anno; tenuto conto di questo, l’osservazione del Primo Ministro de Villepin secondo cui l’onere finanziario è eccessivo è incomprensibile. Inoltre, la stagnazione economica in Francia è iniziata alla metà degli anni ’90. E’ deplorevole che il Presidente Borrell, che era presente in quell’occasione, non abbia difeso i nuovi Stati membri.

(FR) Non dovremmo essere i capri espiatori dell’attuale crisi della Francia.

 
  
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  Gerard Batten (IND/DEM).(EN) Signor Presidente, di recente la stampa britannica ha riferito di una conferenza svoltasi a Salisburgo e organizzata dalla Presidenza austriaca. A quanto pare lo scopo era discutere in quale modo l’Europa potrebbe rilanciare il dialogo con i suoi cittadini. Per puro caso questo evento è coinciso pressappoco con il duecentocinquantesimo anniversario della nascita dell’immortale e glorioso Wolfgang Amadeus Mozart, che nel corso di tale conferenza è stato presentato come una specie di federalista protoeuropeo, per il solo fatto che nella sua breve carriera aveva viaggiato molto in tutta Europa.

Quali erano tuttavia le opinioni politiche di Mozart, ammesso che ne avesse? Nell’apprendere la notizia della liberazione di Gibilterra da parte della Gran Bretagna e della vittoria sulla marina francese a Trincomalee, egli scrisse a suo padre Leopold: “Mi è giunta voce delle vittorie inglesi e anch’io ne sono molto lieto, in quanto, come tu sai, sono inglese nel modo più assoluto”. La Presidenza austriaca sapeva che stava celebrando l’anniversario della nascita di una persona che si autodefiniva inglese?

 
  
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  James Hugh Allister (NI).(EN) Signor Presidente, lo scorso venerdì l’Irlanda del Nord ha subito il doppio colpo della perdita di due stabilimenti a causa dell’incapacità di competere con i prodotti d’importazione a basso costo. Si tratta di Farm-Fed Chickens, uno stabilimento di produzione di carni avicole di vecchia data situato a Coleraine, che ha annunciato la sua chiusura con la perdita di 350 posti di lavoro, e di Barber Threads di Lisburn, che ha subito una sorte analoga, questa volta nel settore del tessile, con la perdita di 85 posti di lavoro.

I prodotti d’importazione a basso costo costituiscono attualmente un flagello per i settori della produzione e della trasformazione dell’Unione europea. A giudicare dall’atteggiamento del Commissario Mandelson nell’ambito dell’OMC, sembra che la Commissione voglia accelerare ulteriormente il passo lungo questa strada che porta alla distruzione. Nel nome di coloro che vengono privati del loro lavoro in tutta Europa, chiedo che venga radicalmente riesaminato il nostro atteggiamento nei confronti dei prodotti d’importazione a basso costo, in modo da prestare la debita attenzione alle conseguenze economiche e sociali.

Non possiamo consentire che continui l’emorragia di posti di lavoro a livello locale a causa di quello che è un dogma davvero inaccettabile.

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (PSE).(PL) Signor Presidente, sono lieta che a dicembre il Consiglio abbia finalmente raggiunto un compromesso sulle future prospettive finanziarie. Ritengo tuttavia che il cosiddetto metodo dei “regali del Nuovo anno” applicato dalla Presidenza britannica sia irresponsabile e non favorisca la politica di coesione europea, senza contare inoltre che le drastiche riduzioni della spesa per i Fondi strutturali non contribuiscono di certo a costruire un’Europa della solidarietà. Si nutrono preoccupazioni anche per quanto riguarda la mancanza di chiari criteri per le modalità di utilizzo del futuro fondo di riserva delle risorse inutilizzate del Fondo di coesione. Ritengo che la probabile conseguenza sarà che l’Europa, anziché essere rafforzata, diventerà sempre più divisa.

E’ trascorso il primo mese della Presidenza austriaca e il nuovo Consiglio dovrebbe ormai essere pronto a impegnarsi in discussioni specifiche con il Parlamento. Nel frattempo, la mancanza di un mandato negoziale ci ha indubbiamente fatto capire che il tempo è denaro. Più dovremo aspettare un compromesso, più è probabile che si verifichino ritardi nell’attuazione dei nuovi programmi, soprattutto di quelli legati alla politica strutturale in un’Europa allargata.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL).(PT) Negli ultimi due giorni si è discusso della strategia di Lisbona e della sua revisione. Si tratta di un argomento della massima importanza. I deputati dei parlamenti nazionali hanno partecipato al dibattito, che senza dubbio ha richiamato l’attenzione sulla situazione locale negli Stati membri.

Adesso la Commissione e il Consiglio devono tener conto entrambi della situazione in ciascuno degli Stati membri, dove la disoccupazione è in aumento e restano elevati livelli di povertà e di esclusione sociale; sarà così possibile conseguire gli obiettivi annunciati sei anni fa al Vertice di Lisbona. E’ anche indispensabile un radicale cambiamento rispetto alle politiche neoliberali di privatizzazioni e liberalizzazioni e alla proposta di direttiva Bolkestein, in modo da poter migliorare le condizioni socioeconomiche e realizzare effettivamente nell’Unione europea una maggiore coesione economica e sociale.

 
  
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  Presidente. – Con questo si concludono gli interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica.

 

17. Situazione attuale della lotta contro la violenza a danno delle donne ed eventuali azioni future
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  Presidente. L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0404/2005), presentata dall’onorevole Maria Carlshamre a nome della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, sulla situazione attuale della lotta contro la violenza a danno delle donne ed eventuali azioni future [2004/2220(INI)].

 
  
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  Maria Carlshamre (ALDE), relatore. – (EN) Signor Presidente, il problema della violenza degli uomini contro le donne non è una questione irrilevante che affiora ai margini della società. E’ ovunque e riguarda direttamente e indirettamente l’intera società. Sono grata della comprensione crescente che avverto nei confronti della portata di tale problema. Voglio ringraziare i colleghi eurodeputati della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere per il prezioso aiuto e sostegno che mi hanno accordato durante questo lavoro. Sono inoltre lieta che il Commissario Franco Frattini abbia dimostrato un impegno forte e sincero. Abbiamo ora l’importante opportunità di dare un riconoscimento a tutte le donne che hanno subito violenza ma che non hanno avuto giustizia.

La mia relazione poggia essenzialmente sul fatto che occorrono dati corretti. A livello comunitario non esistono studi affidabili. Tuttavia, tre studi di prevalenza nazionali condotti in Finlandia nel 1999, in Svezia nel 2001 e in Germania nel 2004 indicano che le valutazioni precedenti hanno sottovalutato enormemente la portata del problema. Utilizzando la definizione delle Nazioni Unite di violenza contro le donne, tali studi dimostrano che nei tre paesi sopramenzionati il 40-50 per cento delle donne ha subito violenza da parte di un uomo almeno una volta nella propria vita. Vorrei sottolineare che si tratta del 40-50 per cento di tutte le donne di età compresa tra i 16 e i 67 anni. Rapportando tali percentuali all’UE nel suo insieme, si giungerebbe a cifre incredibilmente elevate: 80-100 milioni di donne.

E’ evidente che per adottare misure efficaci, occorre basarsi su fatti e dati corretti ed è pertanto molto forte l’esigenza di elaborare studi simili per gli altri Stati membri. L’entità del problema in sé indica che tutti gli Stati membri stanno ripetutamente violando le norme di base delle libertà civili e dello Stato di diritto in una misura che non è ancora stata pienamente compresa. Potreste pensare che si tratta di un’esagerazione, ma vi sbagliate.

Vorrei citare un liberale classico. Più di 300 anni fa il filosofo britannico John Locke introdusse un concetto basilare: il governo deve essere considerato come uno strumento a difesa dei diritti fondamentali; il più importante fra i diritti civili fondamentali è il diritto alla vita e all’incolumità fisica. Questa è la base normativa morale dello Stato e pertanto la sua ragion d’essere. I cittadini accettano di obbedire alle leggi, ma ciò presuppone che, in cambio, lo Stato adempia all’obbligo fondamentale che gli compete, vale a dire proteggere la vita, la libertà e la proprietà dei suoi cittadini. Qualsiasi Stato che non riesca a far fronte a tale impegno, rompe il contratto. Quando si tratta di violenza contro le donne, il mancato rispetto di tale impegno è presente e misurabile in tutti gli Stati membri dell’Unione. Qualsiasi forma di violenza è una minaccia per la nostra civiltà e per lo Stato di diritto. Tuttavia, la violenza degli uomini contro le donne rappresenta una minaccia specifica per il contratto, di cui tutte le politiche comuni sono espressione.

Esiste una sistematica discrepanza riguardo alle modalità di trattamento e punizione dei reati di violenza, a seconda del sesso della vittima. Gli atti di violenza cui di solito sono esposti gli uomini avvengono in un contesto pubblico e sono commessi da persone di sesso maschile, spesso estranee. Le donne, invece, sono vittime di violenza in un contesto privato da parte di un uomo conosciuto dalla vittima, molto spesso un uomo con cui la donna intrattiene o ha intrattenuto una relazione. Da un punto di vista politico, la differenza più rilevante è che la violenza privata contro le donne non è perseguita in modo così serio come accade nel caso della violenza pubblica contro gli uomini. Il problema della violenza degli uomini contro le donne non è una questione irrilevante che affiora ai margini della società, ha anche una storia alle spalle.

Mentre la violenza nelle strade da parte di un estraneo, fenomeno che riguarda soprattutto gli uomini, da secoli è considerata un reato penale in Europa, solo in tempi relativamente recenti si è iniziato a considerare come reati penali i casi di violenza che accadono fra le mura domestiche. Ancora nel pieno del XX secolo, in Europa esistevano molte leggi che giustificavano in vari modi la violenza domestica degli uomini contro le donne. Tale retaggio continua a sopravvivere all’interno dell’Unione; possiamo coglierlo nell’ambito della giurisprudenza, negli atteggiamenti e nell’impressione che la violenza privata sia di per sé meno grave.

Il problema della violenza degli uomini contro le donne non è una questione irrilevante che affiora ai margini della società. La violenza degli uomini contro le donne è stato anche un modo per mantenere la posizione di potere degli uomini, in generale.

Quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel 1993, ha adottato la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, è stata la prima volta in cui un documento dell’ONU ha considerato la violenza degli uomini contro le donne nella prospettiva del potere connesso alla specificità di genere; il documento, infatti, collega esplicitamente la violenza alla posizione dominante degli uomini. Adesso occorre un intervento tempestivo. Prima dobbiamo avere a disposizione dati corretti, e poi occorre procedere a individuare le soluzioni più adeguate. Il problema della violenza degli uomini contro le donne non è una questione irrilevante che affiora ai margini della società: riguarda tutti noi. Chiedo tolleranza zero nei confronti della violenza degli uomini contro le donne.

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. Signor Presidente, condivido pienamente la relazione e l’intervento dell’onorevole relatrice. La violenza contro le donne è certamente oggi il caso più diffuso di violazione, a livello universale, dei diritti umani. Si tratta di una forma di violenza che non conosce barriere geografiche o limiti di età delle vittime, né fa alcuna distinzione di classe, di origini culturali e familiari; è veramente il delitto più diffuso al mondo, contro il quale la Commissione europea e le istituzioni dell’Unione europea hanno un dovere istituzionale e morale di reagire fermamente.

Apprezzo particolarmente la relazione in oggetto perché affronta i principali temi di cui le Istituzioni europee debbono occuparsi. La Commissione ha avviato alcune iniziative per aiutare gli Stati membri a realizzare politiche incisive di prevenzione e di reazione, volte a debellare la violenza contro le donne. Stiamo sviluppando strumenti giuridici per favorire una stretta cooperazione tra gli Stati membri nell’attività di polizia, nella definizione dei reati, che spesso non coincidono, e ovviamente nel rafforzamento degli strumenti intesi a perseguire e sradicare dalla società civile questi reati, nonché a garantire una più efficace protezione delle vittime della violenza.

La maggior parte delle azioni evocate nella relazione rientrano nell’ambito del progetto Dafne, che tutti conosciamo: si tratta di azioni per il sostegno alle vittime e per la formazione, programmi di reintroduzione nel tessuto sociale delle vittime delle violenze, progetti di studi e ricerca, sviluppo di politiche europee, raccolta di dati e definizione degli indicatori, che purtroppo sono a tutt’oggi assenti.

Il programma Dafne, che la Commissione intende proseguire e sviluppare ulteriormente, copre tutte le forme di violenza, compresa la violenza domestica, che è uno dei casi più gravi, che sfuggono purtroppo alle statistiche giudiziarie perché nella stragrande maggioranza dei casi le vittime non denunciano gli episodi di violenza che avvengono tra le mura familiari. Le azioni in questione prevedono anche una lotta tenace contro le mutilazioni genitali femminili, una pratica orrenda contro cui dobbiamo fermamente reagire, e i cosiddetti “crimini di onore”, che dovremmo definire “crimini di disonore”: guai parlare di crimini di “onore” quando si colpisce la donna per questo genere di ragioni.

La relazione evoca la necessità di raccogliere dati e acquisire statistiche, giacché statistiche affidabili sono una delle premesse fondamentali per prendere delle decisioni più incisive a livello europeo. La Commissione sta lavorando a tale aspetto, avendo avviato, in cooperazione con Eurostat, un sistema europeo di statistiche sulla criminalità e la giustizia penale: ovviamente la violenza contro le donne è uno dei settori su cui pubblicheremo molto rapidamente delle statistiche tratte dalle azioni e dai dati che gli Stati membri ci mettono a disposizione. Credo che entro il mese di giugno 2006 potremo pubblicare per la prima volta una serie di statistiche europee sui reati e sulla risposta giudiziaria agli stessi, che conterranno ovviamente un capitolo dedicato alla violenza contro le donne.

Riguardo alle mutilazioni genitali femminili, la Commissione ha finanziato numerose iniziative, sempre nell’ambito del progetto Dafne, che hanno dato risultati positivi. Posso inoltre aggiungere che, proprio nell’area di azione europea sull’immigrazione e sull’asilo, la direttiva sulle norme minime per l’attribuzione della qualifica di rifugiato definisce gli atti di violenza sessuale contro le donne come ragioni sufficienti per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato. Posso inoltre assicurare all’onorevole relatrice che la Commissione considera proprio le mutilazioni genitali femminili, sebbene non siano esplicitamente richiamate nel testo della direttiva in questione, come atti di violenza perpetrati per finalità sessuali, che rientrano quindi tra i motivi che, a mio avviso, giustificano il riconoscimento dello status di rifugiato.

Ho fatto questo esempio, signor Presidente, per ribadire la necessità di affrontare, a livello europeo e da ogni prospettiva possibile, il tema della violenza contro le donne: dalla tratta di esseri umani, alle politiche migratorie, alle pari opportunità – e quindi la necessità di non discriminazione – e più in genere di utilizzare la giustizia, la politica del lavoro e le politiche sociali come strumenti di risposta concreta. Io mi sento istituzionalmente, politicamente ma anche moralmente vincolato a tali obiettivi, che costituiranno pertanto priorità concrete nel lavoro dei prossimi mesi.

 
  
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  Piia-Noora Kauppi, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto ringraziare la relatrice per il lavoro svolto e per averci offerto l’opportunità di parlare della violenza di cui le donne sono quotidianamente vittime.

La violenza contro le donne non è un problema marginale; le donne di tutte le fasce sociali possono essere vittima della violenza. A volte le professioniste affermate e di successo si credono intoccabili. Tutte le donne possono essere vittima di abusi. Non si può dire che non è un problema per noi o per le donne dell’Unione.

Benché la relazione si incentri sulla violenza degli uomini contro le donne, e soprattutto sulla violenza tra le mura domestiche, non dobbiamo dimenticare che questo non è l’unico tipo di violenza, anche se è innegabilmente il più diffuso. Spesso la violenza domestica colpisce deplorevolmente anche i bambini e gli uomini. Benché questi soggetti non siano oggetto della discussione odierna, non va dimenticato che accadono anche queste cose.

Non dovremmo permettere alcun tipo di violenza domestica. La relatrice ha affermato che nell’UE 100 milioni di donne hanno subito almeno una volta violenza da parte degli uomini. La Commissione stima che in Europa muoiano ogni anno circa 1 000 donne a causa della violenza subita nell’ambito del loro rapporto. Solo in Finlandia, la polizia risponde a 80 000 richieste di intervento da casa, e 17 000 sono rappresentate da casi di violenza domestica – e il nostro paese è al quinto posto nella classifica mondiale della parità dei sessi.

Sono dati tremendi. Dobbiamo intervenire. E che cosa possiamo fare? In primo luogo dobbiamo assicurarci che gli Stati membri si attivino per combattere la violenza domestica. Una legislazione più efficiente e un’attuazione autentica della medesima sono essenziali, insieme al coordinamento tra tutti coloro che sono coinvolti in questo campo. Dovremmo inoltre prendere atto degli studi condotti negli Stati Uniti, dai quali è risultata una correlazione evidente tra gli abusi contro gli animali e la violenza domestica. E’ stato dimostrato che molti casi di violenza domestica sono stati preceduti da violenze ai danni degli animali. Per noi in Europa questo esempio potrebbe essere educativo.

Oltre alla tipologia più tradizionale di violenza contro le donne, di recente abbiamo assistito all’aumento dei reati d’onore e della mutilazione dei genitali. Mi ha fatto piacere constatare che la Commissione sta ponendo maggiormente in evidenza tale diritto umano. Ogni donna ha il diritto di decidere del proprio corpo. E’ un aspetto molto importante.

 
  
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  Anna Hedh, a nome del gruppo PSE.(SV) Signor Presidente, colgo l’occasione per ringraziare la relatrice di averci dato l’opportunità di inserire nel dibattito odierno una questione incredibilmente importante per l’UE. Oltre a rappresentare un reato penale e una violazione dei diritti umani, la violenza degli uomini contro le donne è un problema sociopolitico grave che colpisce il mondo intero. Noi del gruppo socialista al Parlamento europeo riteniamo che la violenza degli uomini contro le donne sia legata ai rapporti non paritari di potere che sussistono tra uomini e donne, e il problema è destinato a crescere se gli Stati membri non utilizzeranno le leggi vigenti per opporsi in maniera forte e chiara a tale violenza.

La violenza degli uomini contro le donne produce naturalmente conseguenze notevoli dal punto di vista sociale e umano. Sono sempre stata del parere che, dietro a ogni donna che viene picchiata, molto spesso vi sono numerosi bambini che, oltre a essere sottoposti a notevoli sofferenze fisiche e psicologiche, sono convinti che tutto ciò rientri nella normalità, un’opinione che, a lungo andare, potrebbe indurli ad adottare il medesimo atteggiamento da adulti. Dobbiamo rompere tale circolo vizioso. Inoltre, spesso ci dimentichiamo dei bambini in tali circostanze. E’ importante che i bambini che assistono alla violenza contro le madri vengano anch’essi considerati alla stregua di vittime e abbiano il diritto di portare il loro caso all’attenzione dei tribunali.

E’ stato inoltre dimostrato che la violenza contro le donne è un fattore rilevante nella vita delle donne e delle ragazze che cadono vittima del traffico degli esseri umani e della prostituzione. Vorrei inoltre cogliere l’occasione per sottolineare che dovremmo opporci all’atteggiamento di coloro che paragonano la prostituzione all’esercizio di una professione. Tale forma di violenza e di grave violazione degli esseri umani è assolutamente inaccettabile. La prostituzione, il traffico di esseri umani e tutte le forme di violenza contro le donne, compresa la mutilazione dei genitali e la violenza correlata al concetto di onore, rientrano nella medesima categoria. L’UE deve dare il buon esempio e assumere una posizione nel combattere tali espressioni di discriminazione tra i sessi e di iniqua distribuzione del potere tra i medesimi. E’ inoltre importante svolgere un lavoro di prevenzione sotto forma di ricerca, trasmissione di informazioni e scambio di conoscenze tra gli Stati membri. Accade molto spesso che l’accento venga naturalmente posto sulle vittime, ma occorre anche mettere a punto strategie preventive attive nei confronti di coloro che perpetrano la violenza e di coloro che rischiano di commetterla.

Infine, voglio solo menzionare brevemente uno dei miei emendamenti che riguardano il rapporto tra l’alcol e la violenza. Spesso l’alcol svolge un ruolo importante negli atti di violenza, ed è essenziale che, nei casi di violenza degli uomini contro le donne, le richieste di inserire lo stato di ebbrezza tra le circostanze attenuanti vengano respinte dai tribunali. Al momento della revisione delle strategie per la riduzione dei danni sociali provocati dall’alcolismo, va tuttavia tenuto indubbiamente conto dell’effetto esercitato dall’alcol nell’innescare la violenza degli uomini contro le donne.

(Applausi da vari banchi)

 
  
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  Raül Romeva i Rueda, a nome del gruppo dei Verts/ALE.(ES) Signor Presidente, mi rattrista molto dover tenere questo dibattito sulla violenza contro le donne, in quanto significa che stiamo parlando di un tema vivo e attivo.

La relazione dell’onorevole Carlshamre, con cui mi congratulo per il lavoro svolto, ci ricorda tra l’altro che la violenza contro le donne è un flagello che non conosce confini nazionali, religiosi, sociali o economici; al contrario, come è stato detto, è un fenomeno universale correlato alle disuguaglianze nella nostra società in termini di distribuzione del potere e di ruoli tra i sessi. E’ per questo motivo che la risposta deve essere risoluta, qui in Europa e in altri paesi dove, come in Messico o Guatemala, la situazione è talmente grave che si parla addirittura di “femminicidi”. Il tempo della retorica e della condanna è tuttavia trascorso da un pezzo. Adesso è tempo di agire, di adottare misure a sostegno delle vittime, di applicare strategie proattive e preventive e di stabilire sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive. Tuttavia, per essere efficaci, tali misure devono essere corredate di risorse umane e finanziarie adeguate.

Pochi giorni fa in Spagna abbiamo celebrato il primo anniversario della legge sulla violenza di genere. La ricorrenza ci ha fornito l’occasione per insistere, come fa la relazione Carlshamre, sul fatto che la violenza contro le donne deve essere vista come una violazione palese dei diritti umani più fondamentali e che, oltre a misure reattive, dobbiamo stabilire programmi di natura olistica che trattino seriamente la questione della distribuzione dei ruoli nella nostra società; in particolare, dobbiamo combattere la convinzione che tuttora permane nel caso di molti uomini secondo cui le donne sono semplici oggetti a loro disposizione, ed essi hanno pertanto il diritto di picchiarle o di maltrattarle, e a volte persino di ucciderle.

In breve, temo che il vero problema sia racchiuso nella mentalità di molti uomini, ed è lì che è opportuno intervenire.

 
  
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  Ilda Figueiredo, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) La violenza contro le donne, compreso il traffico degli esseri umani, la prostituzione, la violenza tra le mura domestiche e sul posto di lavoro, è una questione estremamente grave.

Di tali manifestazioni, la violenza domestica è la più diffusa e colpisce milioni di donne in Europa. La relatrice, che desidero ringraziare per il lavoro svolto, ci ha presentato alcuni dati, benché sia già noto che a livello comunitario non è stato condotto alcuno studio. Signor Commissario, dobbiamo adottare misure tempestive per assicurare maggiore visibilità a tale fenomeno. Dopo tutto, è sconcertante che ogni anno nell’Unione si registrino decessi causati da atti violenti, tra le cui vittime si registrano oltre 100 000 donne e molti bambini, un’altra area che deve essere debitamente considerata.

Spero pertanto che, dopo questo dibattito, le cose non continuino semplicemente ad andare avanti come prima. Auspico che gli strumenti vengano effettivamente rafforzati, come promesso, che vengano attuate misure e che affiori la volontà politica di apportare cambiamenti efficaci in tale settore.

 
  
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  Urszula Krupa, a nome del gruppo IND/DEM. – (PL) Signor Presidente, non voglio sminuire l’importanza di questo problema fondamentale. Tuttavia, in qualità di membro della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, vorrei precisare che la violenza non è solamente prerogativa del comportamento maschile. E’ una manifestazione di una personalità che non si è sviluppata in maniera adeguata, e può verificarsi nel caso sia degli uomini sia delle donne. La violenza psicologica perpetrata dalle donne è meno immediatamente ovvia ma può essere altrettanto dannosa, come confermano le ricerche sui casi di violenza nei rapporti tra donne e uomini dello stesso sesso. Va sottolineato che i fattori sociali svolgono un ruolo basilare nella diffusione della violenza. Mi riferisco all’aggressione nei mezzi di comunicazione e allo stile di vita edonistico e liberale che viene attualmente incoraggiato e che non è soggetto ad alcuna restrizione, regola o divieto. Si tratta di uno stile di vita caratterizzato da un’ondata inarrestabile di pansessualismo e pornografia, e dalla convinzione che gli esseri umani siano oggetti che possono essere acquistati e venduti. Infine, la guerra tra i sessi, chiamata in causa di recente, che richiama alla memoria il conflitto di classe comunista, ha fomentato le aggressioni anziché ridurle.

 
  
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  Irena Belohorská (NI). – (SK) Onorevoli colleghi, vorrei esprimere i miei ringraziamenti alla relatrice, onorevole Carlshamre, per la sua relazione, che delinea aspetti molto importanti della lotta contro la violenza perpetrata ai danni delle donne. Mi associo a lei, e ritengo che sia molto importante per tutti noi adottare una tolleranza zero verso tutte le forme di violenza.

Si dice che una catena sia forte solo tanto quanto il suo anello più debole, e la nostra società dev’essere debole se non riesce a proteggere il suo anello più indifeso, vale a dire i bambini. I movimenti femministi hanno sempre messo in luce la violenza contro le donne e lottato per i diritti femminili. Poiché assistiamo a una diminuzione costante dell’età delle vittime, la società deve avere il coraggio di proteggere le giovani donne dalla violenza e dagli abusi. Tuttavia, i colpevoli vengono smascherati solo di rado, e solitamente quando è già troppo tardi.

Purtroppo, le storie tragiche permettono di scrivere buoni articoli e aumentano gli incassi dei giornali scandalistici. E’ deplorevole per le vittime, ma è un tragico dato di fatto. Le ragazze giovani di solito non hanno la possibilità di vivere a fondo la loro infanzia – a causa della violenza diventano precocemente donne e a volte madri. E’ per questo motivo che anch’io oggi ho voluto far sentire la mia voce, per richiamare l’attenzione su questo problema, e per contribuire agli sforzi volti a porre termine alla violenza della cui esistenza nella società siamo tutti al corrente, anche se tendiamo a scaricare sugli altri la responsabilità di combatterla al nostro posto.

E’ molto importante adottare leggi, raccomandazioni e regolamenti, ma dobbiamo anche sostenere una loro attuazione e rispetto coerenti nella nostra vita di ogni giorno. Non lontano dal Parlamento europeo, sul ciglio della strada c’è una giovane donna con uno o due bambini che porge una tazza chiedendo l’elemosina. Poiché si tratta di una donna di un’etnia diversa, fingiamo che la cosa non sia di nostra competenza, le regaliamo un paio di monete e tiriamo dritto.

 
  
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  Anna Záborská (PPE-DE). – (SK) Consentitemi in primo luogo di esprimere i miei ringraziamenti alla relatrice, onorevole Maria Carlshamre, e a tutti gli altri colleghi che l’hanno aiutata a produrre questa relazione.

La violenza è un abuso di superiorità esercitato da una parte sull’altra, ma va detto che l’incapacità di impedire la violenza è anch’essa una forma di violenza. Il nostro atteggiamento di base deve essere contraddistinto da una tolleranza zero nei confronti di ogni forma di violenza contro le donne. Ogni soluzione dipenderà soprattutto dalla capacità di insegnare il rispetto per il prossimo e dalla cooperazione intensa tra governi, parlamenti e organizzazioni non governative. Tali organi dovrebbero sviluppare congiuntamente procedure per combattere questo fenomeno.

Le statistiche sono necessarie, ma la nostra buona riuscita dipende in primo luogo da misure preventive efficaci, soprattutto perché ogni atto di violenza consumato all’interno delle famiglie colpisce anche i bambini, e viene tramandato alle generazioni future. Le comunità e le minoranze etniche con culture diverse, e le loro forme specifiche di violenza, devono essere anch’esse al centro della nostra attenzione. Ogni Stato dell’Unione europea deve emanare leggi complete ed efficaci in materia di violenza domestica, al fine di criminalizzare determinate forme di violenza. Né le pratiche consuetudinarie né l’alcol dovrebbero essere considerati fattori attenuanti. Dobbiamo dimostrare chiaramente che la violenza è semplicemente inaccettabile nella società.

Signor Presidente, sono fermamente convinta che la violenza domestica sia fonte di vergogna per la società democratica e altamente sviluppata in cui viviamo, in quanto costituisce una violenza commessa contro la volontà umana. La prevenzione della violenza ai danni delle donne deve essere una missione per tutti noi.

 
  
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  Iratxe García Pérez (PSE).(ES) Signor Presidente, la relazione oggetto del dibattito odierno ci dà la possibilità di rivolgere un forte appello alle Istituzioni europee e agli Stati membri affinché combattano un fenomeno reale: la violenza contro le donne per la sola ragione che sono donne. Non possiamo restare impassibili di fronte a una situazione del genere; è nostro dovere chiamare in campo tutti gli strumenti necessari per porre termine a questa piaga sociale. La violenza contro le donne costituisce una violazione dei diritti umani, dei diritti fondamentali, quali la libertà, l’uguaglianza, la vita e la non discriminazione. Dobbiamo chiedere agli Stati membri di inasprire le pene e di applicare leggi complete per rispondere a tale realtà. A tale riguardo, la Spagna offre un esempio chiaro per tutta Europa, grazie alla legge adottata lo scorso anno per combattere la violenza contro le donne. Anche se tale violenza non potrà ovviamente cessare da un giorno all’altro, questa legge rappresenta un impegno chiaro a combatterla con risolutezza e con tutti gli strumenti necessari.

Non possiamo negare che oggi vi sia una maggiore consapevolezza del problema, grazie agli sforzi compiuti dalle organizzazioni femminili nella loro lotta a ogni forma di violenza contro le donne. Adesso possiamo dire che non si tratta più di un reato invisibile, bensì di un crimine che suscita la repulsione collettiva. Aspetti importanti quali la protezione delle vittime devono essere accompagnati da altre misure, quali programmi specifici sull’accesso al mondo del lavoro o agli alloggi popolari, in modo da affrontare tale realtà in maniera completa, tenendo conto degli aspetti correlati all’istruzione, all’assistenza legale e alla salute, e senza dimenticare che queste situazioni violente spesso colpiscono anche i minori presenti nelle famiglie.

Non possono essere accampate scuse per non combattere la violenza contro le donne in maniera decisiva e impegnata, in quanto una società non può progredire quando i diritti di una parte così importante che la compone – le donne – vengono violati. Stiamo parlando di un problema sociale grave, e da parte nostra dovremo compiere ogni sforzo possibile per sradicarlo. Il passo che compiamo oggi rappresenta un ulteriore avvicinamento all’obiettivo finale. Dobbiamo fare tutto il possibile, e anche di più, per conseguire tale obiettivo.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE). – (SK) La violenza contro le donne esiste da sempre nella storia dell’uomo. Per dare vita a strategie efficaci capaci di sradicare questo grave problema sociale è necessario avere una comprensione approfondita del fenomeno e delle caratteristiche specifiche che assume in nazioni diverse.

I paesi postcomunisti, compresa la Slovacchia, hanno ignorato a lungo questo problema. Tradizioni forti hanno sempre tenuto nascosta la violenza domestica, confinandola dietro a porte chiuse. Un altro fattore determinante è stato il fatto che alcuni tipi di violenza riguardavano questioni molto delicate, e per tale motivo la vittima spesso non denunciava gli episodi di violenza, soprattutto per paura dell’aggressore, per proteggere i bambini o per lealtà verso la famiglia. Tali paesi, in particolare, hanno sempre avuto livelli molto bassi di denuncia di aggressioni a sfondo sessuale. Si stima che il numero reale delle violenze sia da cinque a dieci volte superiore al numero dei casi denunciati.

Spesso le donne hanno difficoltà a parlare della violenza, a causa dello choc subito o per vergogna, e sono convinte che nessuno le possa aiutare. Altre non considerano nemmeno l’esperienza vissuta alla stregua di una violenza. Per tali ragioni, concordo con la relatrice, onorevole Carlshamre, che nella sua relazione ha sottolineato che una maggiore sensibilizzazione della società nel suo complesso nei confronti di tale problematica deve essere una priorità. La relazione sfida i governi e i parlamenti degli Stati membri a prendere provvedimenti tesi a squarciare il silenzio che avvolge la violenza contro le donne. La violenza non può essere una questione privata, deve divenire un tema pubblico, che riguarda tutti noi.

La raccolta accurata dei dati è l’unico modo per andare a fondo di questo problema grave e per concentrare gli sforzi volti a sradicarlo. Alla realizzazione di tale obiettivo, oltre alle organizzazioni non governative, ai mezzi di comunicazione, agli istituti di ricerca e di istruzione possiamo contribuire anche tutti noi che ci rifiutiamo di tollerare questo problema sociale grave, che è divenuto un ostacolo allo sviluppo di una società democratica. Per concludere, consentitemi di esprimere i miei ringraziamenti alla relatrice per il lavoro svolto.

 
  
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  Marianne Mikko (PSE).(ET) Onorevoli colleghi, purtroppo nemmeno io sono un uomo, bensì l’ennesima donna a intervenire in questo dibattito, e vorrei ringraziare la relatrice Maria Carlshamre per la sua tempestiva relazione. La relazione sostiene fondatamente che la violenza contro le donne è legata alla supremazia maschile nella società. La relazione dedica molta attenzione al dilagare preoccupante degli omicidi d’onore e della mutilazione dei genitali nell’Unione europea. Si tratta di tradizioni che gli immigrati portano con sé da paesi in cui l’equilibrio dei poteri tra i sessi propende in maniera ancor più evidente che in Europa verso la controparte maschile.

Gli Stati membri dell’Unione europea non possono ignorare tale violazione dei diritti umani solo perché la violenza viene perpetrata all’interno del nucleo familiare. Occorrono misure forti e sanzioni commisurate al reato ed equilibrate che agiscano da deterrente, come indicato nella relazione. Le pene dirette andrebbero accompagnate da misure volte a migliorare l’equilibrio dei poteri tra i sessi. Vorrei mettere in luce un altro tipo di violenza che rappresenta e simboleggia meglio di qualunque altro la divisione iniqua dei poteri. Sto parlando della vendita del corpo delle donne. L’acquisto delle prestazioni sessuali costituisce un atto di violenza e una perpetuazione della violenza stessa. Il vivaio della prostituzione è strettamente correlato alla disoccupazione delle giovani donne e alle basse retribuzioni concesse alle medesime. Il persistere della violenza e dei problemi sociali ad essa connessi rendono molto difficile l’integrazione delle donne nel mercato del lavoro. Concordo con la collega, onorevole Figueiredo, che ha affermato: “La prostituzione non significa una pari partecipazione al mercato del lavoro”.

Nel mio paese d’origine sto cercando di trasformare in reato penale l’acquisto del sesso. Non voglio che proseguano la violenza contro le donne e le disuguaglianze tra i sessi. Non voglio che il deterioramento delle condizioni di vita che accompagna l’industria della prostituzione continui a minacciare le nostre città. Il Parlamento europeo dovrebbe prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di rendere l’acquisto di prestazioni sessuali perseguibile in tutta l’Unione europea. Sarebbe un passo verso l’uguaglianza tra i sessi e un grande contributo per l’abolizione della violenza contro le donne. Grazie dell’attenzione.

 
  
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  María Esther Herranz García (PPE-DE).(ES) Le cose non vanno poi così male: è da quasi un decennio che ci occupiamo della questione, e il fatto che siamo qui, che continuiamo a parlarne e che le donne ora denunciano le violenze che subiscono dimostra che le cose stanno migliorando. E’ da tempo che questa forma di violenza va avanti, e le donne hanno sempre sofferto in silenzio, e non solo nel loro personale silenzio, bensì anche nel silenzio complice delle loro famiglie, dei vicini e dell’intera società. Come abbiamo detto oggi in questa sede, si tratta di un flagello che riguarda tutti i settori della società: i ricchi, i poveri, gli istruiti, i meno istruiti... Ognuno di noi conosce qualcuno che ha subito questa violenza. Non solo andrebbero condotti studi sulla natura della violenza domestica stessa, ma varrebbe anche la pena indagare se, nei casi di violenza tra le mura domestiche, la persona che commette tale violenza si comporta allo stesso modo anche sul posto del lavoro, se si abbandona alle pratiche cosiddette di mobbing, e se cerca di distruggere fisicamente e psicologicamente le persone che la circondano, in quanto, in questi casi, i soggetti che commettono tali reati sono malati e non conoscono altro modo di esprimersi se non tramite questo tipo di violenza.

Di conseguenza, dobbiamo anche considerare quali misure deve mettere in pratica l’Unione europea. Legiferare va bene, ma è anche importante offrire aiuto temporaneo, fornire istruzione e attuare programmi come DAPHNE, in quanto tutto ciò contribuisce a porre gradualmente fine a tale piaga e alla macchia persistente sulla nostra società.

Occorre ovviamente produrre statistiche e osservare il loro andamento, perché se vogliamo fornire risorse reali, se siamo veramente decisi a stanziare i fondi necessari ad attuare tali programmi essenziali, dobbiamo poter vedere come si evolve la situazione per correggere tempestivamente eventuali errori ed essere quanto più efficaci possibile. Stiamo gestendo denaro pubblico, e tali fondi devono essere adeguatamente giustificati e, soprattutto, utilizzati per lo scopo per cui sono stati stanziati, che corrisponde né più né meno alla fine della violenza contro tutte le donne, non solo qui nell’Unione europea, bensì anche nei paesi terzi, per i quali eroghiamo aiuti ma dai quali non esigiamo il rispetto delle leggi applicate qui da noi.

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (PSE).(PL) Signor Presidente, spesso la violenza contro le donne viene sottovalutata o semplicemente ignorata. Cionondimeno, si tratta di un problema che riguarda una donna su tre a livello mondiale. La violenza commessa dagli uomini ai danni delle donne è un reato e una violazione dei diritti umani fondamentali, quali il diritto alla vita, alla sicurezza, alla dignità e all’inviolabilità fisica. Di norma, è vietata dalla legge, ma continua tristemente a essere tollerata dalla società e dalle statistiche emerge che sono un miliardo le donne che nel mondo continuano a essere picchiate, costrette a prestarsi a rapporti sessuali contro la loro volontà e abusate in altro modo.

Non si tratta di un problema che riguarda esclusivamente il mondo in via di sviluppo. Anche nei paesi membri dell’Unione europea muoiono in media tre donne al giorno a causa della violenza domestica. Ciò significa che le vittime degli omicidi domestici vivono in mezzo a noi, non in qualche luogo remoto. La violenza all’interno del nucleo familiare è un problema sociale enorme, causato da una distribuzione iniqua del potere tra i sessi che ha caratterizzato tutta la storia dell’umanità. Nella nostra epoca, ogni Stato dovrebbe salvaguardare i diritti di tutti i suoi cittadini, e di conseguenza combattere la discriminazione e la violenza contro le donne redigendo e attuando disposizioni di legge adeguate.

 
  
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  Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, anch’io vorrei associarmi ai complimenti rivolti all’onorevole Carlshamre per la relazione che ha redatto con passione, assicurandosi di dare il giusto rilievo a uno dei problemi che affliggono la società umana civilizzata.

Dalla relazione metodica stilata dalla direzione competente della Commissione europea e pubblicata nel dicembre 2005, e dalle ricerche svolte dal Consiglio d’Europa, emerge che la violenza contro le donne rappresenta la causa principale di morte tra le donne di età compresa tra i 16 e i 44 anni.

Benché, come ha rilevato il signor Commissario, non esista una definizione globale di violenza contro le donne, tale fenomeno non conosce confini e non risparmia alcuna fascia sociale. Qualsiasi donna può diventare preda della violenza, e ogni forma di violenza costituisce una violazione dei diritti umani e dei diritti alla vita, alla sicurezza, alla dignità e all’integrità fisica e mentale. E’ un ostacolo per lo sviluppo di una società democratica. Isola le donne dalla vita sociale e dal mercato del lavoro. Potrebbe dare luogo a emarginazione e a povertà. Tale problema sociale deve essere sradicato, in vista dell’integrazione di un maggior numero di donne nel mercato del lavoro.

La violenza psicologica – umiliazioni, minacce e insulti – rappresenta una forma di violenza che destabilizza la personalità di una donna e sconvolge il suo comportamento, al punto che non è in grado di offrire un contributo al proprio ambiente.

Tuttavia, per ottenere dei risultati, la violenza deve essere confessata, e per tale motivo occorre rafforzare la fiducia nelle autorità, nei ministeri competenti, nei tribunali. Le misure da adottare devono essere coordinate, e voglio congratularmi con lei, signor Commissario, per aver dimostrato di essere disposto ad adottare tali misure individuando le basi giuridiche adeguate e mantenendo separati da altre questioni i programmi volti a combattere la violenza.

 
  
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  Presidente. La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 11.00.

 

18. Parità tra le donne e gli uomini nell’Unione europea
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  Presidente. L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0401/2005), presentata dall’onorevole Estrela a nome della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, sulla parità tra le donne e gli uomini nell’Unione europea [2004/2159(INI)].

 
  
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  Vladimír Špidla, Membro della Commissione. – (CS) Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei innanzi tutto congratularmi con l’onorevole Estrela per la sua relazione e la proposta di risoluzione sulla parità tra uomini e donne nell’Unione europea. L’uguaglianza di genere non è solo una pietra miliare dell’Unione europea, ma anche un settore in cui l’Europa ha precorso i tempi e ha sempre anticipato gli sviluppi sociali. La posizione delle donne in Europa è cambiata in misura considerevole grazie alle iniziative intraprese a livello comunitario, innanzi tutto in ambito legislativo e quindi attraverso i Fondi strutturali e l’inclusione della dimensione di genere in tutti i settori delle politiche comunitarie. In occasione del decimo anniversario della piattaforma d’azione di Pechino, celebrato esattamente un anno fa, gli Stati membri hanno affermato con chiarezza che la questione della parità tra uomini e donne riceve tutto il loro incondizionato sostegno. Anche se è indubbio che siano stati compiuti passi avanti nel settore della parità tra uomini e donne, ci attendono compiti importanti. La Commissione lo sottolinea nella relazione sulla parità tra uomini e donne, che viene presentata ogni anno nel corso del Vertice di primavera dei capi di Stato e di governo. Dobbiamo perseverare e rafforzare le basi giuridiche. La proposta di risoluzione vi fa chiaramente riferimento e sottolinea con forza che la promozione della parità si fonda su tre pilastri, come di seguito specificato.

1. Una legislazione che garantisca la parità di trattamento per uomini e donne e i diritti fondamentali di ogni individuo, accompagnata da misure di attuazione efficaci.

2. L’integrazione delle questioni legate all’uguaglianza di genere nelle politiche comunitarie, soprattutto nella strategia di Lisbona e nelle politiche mirate all’integrazione sociale, sostenuta dai principi del buon governo e dell’impegno politico al massimo livello.

3. L’attuazione di misure particolari intese a sostenere gruppi e obiettivi specifici, come l’accesso per le donne a posizioni decisionali e l’integrazione delle donne migranti e delle donne appartenenti a minoranze etniche.

La Commissione ha seguito questa impostazione in passato e continuerà a farlo in futuro. Il suo impegno nel settore dell’uguaglianza di genere sarà rafforzato nella tabella di marcia per la parità tra uomini e donne, che il Presidente Barroso e io abbiamo annunciato alcuni mesi fa e che la Commissione intende presentare a marzo. La tabella di marcia stabilirà compiti e misure intesi a sostenere la parità tra uomini e donne per il periodo dal 2006 al 2010 e illustrerà in modo approfondito il modo in cui l’Unione intende affrontare tali questioni con le sue politiche. La maggior parte delle misure cui si fa riferimento nella proposta di risoluzione figureranno quali priorità nella tabella di marcia, insieme con la promozione dell’indipendenza economica per uomini e donne, la parità di accesso a posizioni decisionali, la conformità al principio della parità di trattamento e la lotta contro la violenza domestica e la tratta degli esseri umani.

 
  
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  Edite Estrela (PSE), relatore. – (PT) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, la relazione della Commissione sulla parità tra uomini e donne nell’Unione europea illustra i progressi compiuti in materia di uguaglianza di genere, tuttavia giunge alla conclusione che resta ancora molto da fare se si vuole porre fine a tutte le forme di discriminazione e far sì che le donne godano delle medesime condizioni degli uomini nella vita pubblica e in quella privata. A tale scopo, è necessario agevolare la conciliazione della vita familiare con quella lavorativa, migliorare la posizione delle donne nel mercato del lavoro, aumentare le strutture di custodia dei bambini e di altre persone non autonome e integrare la dimensione di genere nelle politiche in materia di immigrazione e di integrazione.

Sono due le sfide principali alla base di qualsiasi politica in materia di parità tra uomini e donne, ossia colmare il divario retributivo esistente tra i sessi e agevolare la conciliazione della vita familiare con quella lavorativa sia per gli uomini che per le donne. E’ inaccettabile che le donne siano le ultime ad avere accesso a un posto di lavoro e le prime a essere licenziate, anche se sono competenti e coscienziose nel proprio lavoro. Il divario tra uomini e donne in materia di occupazione è pari al 15,8 per cento, mentre la quota di donne che lavora a tempo parziale è del 30,4 per cento rispetto al 6,6 per cento di uomini. Il tasso di occupazione tra le donne con bambini piccoli è del 13,6 per cento inferiore a quello delle donne senza figli, mentre per gli uomini con bambini piccoli il tasso di occupazione è del 10 per cento superiore a quello degli uomini senza figli.

Le donne svolgono la maggior parte del lavoro domestico e pertanto hanno meno tempo per il lavoro retribuito. Nelle coppie con figli fino a sei anni di età, gli uomini svolgono meno del 40 per cento dei lavori domestici e sono responsabili della custodia dei bambini in misura compresa tra il 25 e il 35 per cento. La disponibilità di adeguate strutture di custodia dei bambini resta uno strumento fondamentale per consentire alle donne di entrare nel mondo del lavoro e rimanervi. Le donne scarseggiano in tutti i settori di attività, soprattutto in quelli tradizionalmente considerati maschili. E’ stato dimostrato che le donne sono buone dirigenti e le loro capacità creative e innovative nella pianificazione urbana e nell’edilizia sono ampiamente riconosciute. Come ha detto una volta una donna architetto italiana di successo, gli uomini non progettano marciapiedi adeguatamente proporzionati né si preoccupano delle barriere architettoniche perché non portano i tacchi alti né camminano spingendo un passeggino.

Signor Commissario, onorevoli colleghi, vorrei cogliere l’opportunità per condividere alcune preoccupazioni che meritano di essere ulteriormente approfondite. Spetta ai politici leggere i segnali in modo da impedire un peggioramento della situazione. Si è parlato poc’anzi, nella discussione precedente, della violenza domestica, e vorrei richiamare l’attenzione sulla violenza giovanile e sul fatto che è in aumento. Le immagini dei fatti recenti accaduti in Francia viste in tutto il mondo ci inducono a domandarci quali siano i motivi per cui centinaia di giovani usano la violenza per richiamare l’attenzione sui loro problemi. Famiglie, responsabili politici e la società nel complesso devono dialogare e capire dove hanno sbagliato e perché. Questo problema non è confinato alla Francia. Il livello di violenza tra i giovani è alto ovunque e si tratta di un problema molto serio. Cosa induce giovani di età compresa tra i 13 e i 17 anni ad aggredire e addirittura uccidere persone inermi quale forma di divertimento? I fatti venuti alla luce sono sconvolgenti. Un gruppo di giovani ha derubato alcuni mendicanti e immigranti per puro divertimento e ha ripreso il tutto con la videocamera del telefono cellulare per vantarsene in seguito con i compagni di scuola. Un altro gruppo ha gettato benzina su una senzatetto e le ha dato fuoco. La donna è morta per le ustioni riportate. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte a tanta crudeltà. Non è sufficiente limitarsi a esprimere parole di condanna, ma occorre agire, per non doverci poi pentire, come il genitore di uno di questi giovani, che ha detto di sentirsi un fallimento come padre.

La causa principale, secondo gli esperti, è l’assenza dei genitori. Migliaia di giovani nell’Unione europea sono stati affidati alla televisione, a Internet e alla strada fin da bambini. I genitori trascorrono più di 12 ore fuori di casa, lasciando i figli incustoditi e alla mercé di qualsiasi tipo di influenza negativa, con conseguenze come insuccessi scolastici, interruzione degli studi, indolenza, uso di stupefacenti ed emarginazione. La seconda causa è l’inattività. Senza un’occupazione, senza studiare o lavorare, i giovani diventano irresponsabili. A questo si aggiunga una cultura permissiva in cui si hanno pochi doveri, o non se ne hanno affatto, e tutti i diritti; non esiste disciplina, non si esige nulla e non viene dato alcun valore al lavoro o al merito.

Vorrei che la Commissione, il Consiglio e il Parlamento esaminassero il problema e adottassero misure adeguate mentre siamo ancora in tempo. Mi auguro che la prossima relazione della Commissione possa riportare maggiori progressi nel campo della parità. Vorrei esprimere la mia gratitudine ai membri e al segretariato della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere per il loro contributo all’elaborazione della relazione.

 
  
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  Edit Bauer, a nome del gruppo PPE-DE. – (HU) Spesso sembra che non vi sia niente di nuovo da dire sulla parità tra uomini e donne. Molto spesso ci limitiamo a ripetere sempre le stesse cose. Purtroppo questo non significa che non vi sia più niente da dire sull’argomento, ma che parliamo sempre delle stesse preoccupazioni, in quanto in termini concreti i progressi sono relativamente lenti, e un passo avanti è talvolta seguito da un passo indietro. La prova migliore di questa situazione è che, nonostante le innumerevoli direttive e proposte riguardanti la parità di opportunità tra uomini e donne che sono state elaborate da quando venne concluso l’accordo di Roma, la situazione non è cambiata con molta rapidità.

La relazione, per la quale mi congratulo con l’autrice, sottolinea ripetutamente che la direttiva 75/117/CE, approvata esattamente trent’anni fa, vieta livelli di retribuzione diversi per uomini e donne, affermando tuttavia che, secondo gli ultimi dati, la differenza tra i livelli salariali di uomini e donne è ancora pari in media al 15 per cento, con valori compresi tra il 4 e il 25 per cento. Un’altra questione è quanti paesi hanno effettivamente recepito e attuato l’ultima direttiva 2004/113/CE? Oppure guardiamo qual è stata la sorte degli impegni assunti dal Consiglio a Barcellona nel 2002 al fine di agevolare la conciliazione della vita familiare con quella professionale. Sono aspetti importanti per un aumento del tasso di occupazione delle donne, tuttavia potrebbero anche rappresentare un fattore decisivo nella crisi demografica.

La legislazione dell’Unione europea sta diventando inaffidabile. I regolamenti possono essere trasgrediti continuamente, senza alcuna conseguenza. L’autorità delle Istituzioni dell’Unione europea viene sminuita se i loro impegni esistono solo sulla carta. Sono sicura che in futuro la Commissione verificherà il recepimento e l’applicazione dell’acquis con maggiore serietà.

 
  
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  Justas Vincas Paleckis, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signor Presidente, finora la maggior parte delle voci che si sono sentite su questo importante argomento, e sulla relazione precedente, sono state quelle delle donne. E’ mio onore pertanto rimediare in una certa misura a tale discrepanza e sottolineare che la parità tra uomini e donne può essere raggiunta solo con il sostegno e la forte partecipazione degli uomini. Mi auguro che questa affermazione e la relazione in generale vengano accolte con favore da un’assoluta maggioranza di tutti gli uomini dell’Unione europea.

Un obiettivo molto importante che la relazione in esame si prefigge è quello di colmare il divario retributivo tra uomini e donne e di creare regimi pensionistici che non siano discriminatori nei confronti delle donne. L’esperienza dei paesi nordici dimostra che i tenori di vita più elevati e la massima qualità della vita possono essere raggiunti in quei paesi in cui le donne non hanno in alcun modo meno successo degli uomini quando si tratta di occupare i più alti incarichi politici.

Dobbiamo concentrarci di più sui livelli deprecabili e allarmanti della tratta delle donne, che in un certo senso è paragonabile al commercio di stupefacenti e per la quale purtroppo esiste una domanda elevata nei nuovi e nei vecchi Stati membri. Tali crimini meritano pene più severe in tutti gli Stati membri dell’UE.

La parità tra uomini e donne è stata sempre una delle più importanti indicazioni dei valori europei per i nuovi Stati membri. Sono lieto di sottolineare che oggi questi paesi, fra cui la Lituania, hanno in molti casi superato i “vecchi” Stati membri.

Insieme ai miei colleghi, sono lieto per la decisione di attivare l’Istituto europeo per la parità tra uomini e donne. I nuovi Stati membri hanno motivi molto validi per chiedere che questo istituto abbia sede nel loro territorio. La Lituania, che in molti casi occupa una posizione preminente nell’attuazione delle politiche in materia di parità tra uomini e donne, è più che disposta a ospitare la sede di questa istituzione a Vilnius.

Ancora una volta, vorrei congratularmi con la relatrice, onorevole Estrela.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda, a nome del gruppo Verts/ALE. – (ES) Signor Presidente, sono ancora una volta lieto di congratularmi con l’onorevole Estrela per aver elaborato una relazione che è fondamentale per la lotta a favore della parità tra uomini e donne nell’Unione europea, in quanto purtroppo il modo in cui uomini e donne vengono trattati è ancora del tutto ingiusto, in particolare per quanto riguarda retribuzioni, riconoscimenti e opportunità.

Il livello di ingiustizia varia tuttavia a seconda degli Stati membri. La Commissione deve pertanto verificare sul serio l’applicazione da parte degli Stati membri della legislazione comunitaria relativa alla parità di opportunità e adottare le misure necessarie nei casi in cui non viene rispettata.

Inoltre, dal momento che fra due mesi diventerò padre, sono anche preoccupato della scarsa attenzione che in generale viene rivolta all’esigenza di conciliare la vita familiare con quella lavorativa, e in particolare alla difficoltà che molti uomini ancora incontrano in molti paesi a svolgere un ruolo paterno responsabile, con la conseguenza che le donne devono assumersi maggiori responsabilità all’interno della famiglia a scapito della loro carriera professionale.

In breve, dobbiamo sostenere misure volte a garantire la parità in materia di occupazione e per quanto riguarda l’accesso ai beni e ai servizi e alla loro fornitura.

 
  
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  Věra Flasarová, a nome del gruppo GUE/NGL. – (CS) Onorevoli colleghi, come emerge con estrema chiarezza dalla strategia di Lisbona e dalla relazione dell’onorevole Estrela, una comunità integrata è basata su libertà, solidarietà e parità, eppure in molti settori continuano a esistere disparità tra uomini e donne. Sostengo con forza la richiesta di colmare il divario esistente tra i sessi in materia di retribuzione e di attuare la legislazione europea. Devo tuttavia far presente che le donne non sono solo svantaggiate sotto il profilo salariale, ma spesso sono anche vittime di discriminazione; ad esempio, i datori di lavoro spesso non hanno alcuna comprensione per le donne in stato di gravidanza. Nella Repubblica ceca le donne subiscono quella che viene definita discriminazione silenziosa. I datori di lavoro spesso partono dal presupposto che le donne incinte sono deboli e indifese. Nella Repubblica ceca devono ancora essere introdotte leggi contro la discriminazione volte a tutelare le donne. In alcuni paesi esiste una discriminazione silenziosa nei confronti dei lavoratori, in particolare sulla base di età, maternità, salute e handicap. E’ giunto il momento di cambiare.

 
  
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  Urszula Krupa, a nome del gruppo IND/DEM. – (PL) Signor Presidente, sono una donna che è stata cresciuta in Polonia, dove i valori cristiani sono universalmente riconosciuti. Posso assicurare all’Assemblea che non ho mai subito alcuna discriminazione in famiglia, a scuola, all’università o sul luogo di lavoro. Purtroppo però le donne rischiano di essere discriminate a seguito delle politiche dell’Unione europea. Non riesco pertanto a capire la preoccupazione espressa dall’autrice della relazione sulla parità tra uomini e donne nell’Unione europea per il fatto che il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra i 15 e i 24 anni non sia aumentato. Si tratta del periodo in cui le giovani donne dovrebbero studiare o iniziare a crearsi una famiglia.

Il 2007 è stato proclamato “Anno europeo per le pari opportunità”. In questa prospettiva, vorrei chiedere parità di opportunità anche per i bambini, che dovrebbero avere almeno la stessa possibilità che abbiamo avuto noi di creare un legame con la propria madre. I bambini non devono essere separati dalla madre poco dopo la nascita, facendo rientrare la madre al lavoro e affidando il bambino a strutture di assistenza per l’infanzia. Da un punto di vista medico, sembra piuttosto strano pensare di concedere il congedo di maternità agli uomini anziché alle donne. Dopo tutto, le donne hanno davvero bisogno di tale periodo per riprendersi dopo il parto. Per i neonati è un periodo di adattamento alla vita al di fuori dell’utero materno.

E’ particolarmente importante trascorrere i primi mesi di vita a stretto contatto con una madre amorevole, le cui attenzioni sono vitali per il corretto sviluppo dei neonati e dei bambini piccoli. Anziché concedere congedi ai padri, sarebbe più opportuno aumentare le prestazioni a sostegno della famiglia e riconoscere il tempo trascorso a crescere i propri figli quando si calcola il diritto alla pensione. Gli uomini non hanno un istinto materno e il loro senso di responsabilità paterna si sviluppa in un momento successivo. Ancora una volta, chiedo di essere responsabili, che le donne siano trattate con dignità e rispetto e che i bambini non siano sottoposti a esperimenti sociali.

 
  
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  Rolandas Pavilionis, a nome del gruppo UEN. – (LT) Vorrei richiamare la vostra attenzione su vari aspetti. Ritengo che si riuscirà a trovare una soluzione adeguata al problema della parità tra uomini e donne, in primo luogo, quando verrà introdotta nei programmi scolastici e universitari un’educazione alle tematiche dell’uguaglianza di genere. In secondo luogo, quando non ci limiteremo più a relazioni governative e ministeriali formali e i governi saranno chiamati a dimostrare di aver ottenuto risultati concreti per quanto riguarda l’attuazione delle politiche in materia di parità tra uomini e donne. Terzo, quando l’Istituto europeo per la parità tra uomini e donne, attualmente in fase di creazione, non si limiterà a raccogliere dati statistici, ma nominerà osservatori imparziali, in grado di valutare la situazione in ogni paese dell’Unione europea. E’ ovvio che ci esprimeremmo a favore di una proposta di stabilire tale istituto in Lituania. Quarto, quando si terrà conto dell’osservazione espressa dalla Commissione europea secondo cui non è pervenuta alcuna domanda di finanziamento di progetti da parte delle organizzazioni non governative dei paesi baltici, che sono interessate dall’attuazione delle politiche in materia di parità tra uomini e donne, per il semplice motivo che tali organizzazioni non dispongono dei fondi per cofinanziare i progetti e pertanto non possono neppure avere accesso ai Fondi strutturali.

 
  
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  Jan Tadeusz Masiel (NI).(PL) Signor Presidente, uomini e donne godono degli stessi diritti in base alla legislazione comunitaria. L’Unione europea percepisce infatti questo come uno dei suoi compiti principali in relazione all’attuazione pratica dei diritti umani. Sono sicuro che nessuno di noi ritiene che dovrebbe essere altrimenti. E’ ovvio che siamo favorevoli a compiere progressi nei settori in cui uomini e donne non vengono ancora trattati su un piano di parità. E’ ovvio che le donne non dovrebbero subire violenza da parte degli uomini, anche se attualmente vi sono anche molti casi di uomini che subiscono maltrattamenti. E’ ovvio che le donne devono ricevere la stessa retribuzione per un lavoro di pari valore.

Nel mio paese vi sono più donne che uomini che continuano gli studi e ottengono qualifiche di livello universitario. A mio avviso, le donne non proseguono gli studi né assumono posizioni importanti nelle imprese o in campo politico non perché siano oggetto di discriminazioni, ma per il semplice motivo che le donne hanno altre priorità nella vita, hanno obiettivi molto più significativi e urgenti da raggiungere degli uomini. E’ importante tenere presente che il tempo è un fattore che agisce in modo molto diverso nel corso della vita di un uomo e di una donna. Le donne devono procreare in una fase specifica della loro vita e vivono più a lungo per compensare questo fatto. Nulla impedisce agli elettori di votare a favore delle donne, ad esempio per farsi rappresentare nel Parlamento europeo. Non è colpa nostra se le stesse donne preferiscono votare per gli uomini. Personalmente ho votato per il candidato migliore del mio collegio elettorale, e si dà il caso che quel candidato fosse una donna.

Tutto l’ordine mondiale è basato sul fatto che vi sono due versioni dell’essere umano, ossia il maschio e la femmina. Il Creatore, o la natura se preferite, onorevoli colleghi, ha stabilito che, pur essendo uguali, uomini e donne non sono identici. Sono fisicamente diversi e hanno ruoli diversi da svolgere nella società. Purtroppo anche le loro situazioni finanziarie sono diverse, e questo è un problema cui occorre porre rimedio. Tra i due sessi esistono anche alcune differenze psicologiche. Invito le donne a riconoscere gli aspetti positivi dell’essere donna e a comprendere che ottenere esattamente ciò che hanno gli uomini non sempre significa avere una parità assoluta.

 
  
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  Rodi Kratsa-Tsagaropoulou (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, l’argomento della relazione Estrela è al centro delle nostre preoccupazioni riguardo alla qualità della democrazia europea ed è anche direttamente collegato ai nostri obiettivi di sviluppo, e in modo specifico alla strategia di Lisbona, che è stata oggetto della riunione svoltasi nei giorni scorsi tra il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali.

La relazione dell’onorevole Estrela riveste particolare importanza e per questo motivo la ringrazio per aver preso l’iniziativa di realizzarla, in quanto si tratta della prima relazione che si riferisce alla situazione della parità tra uomini e donne nell’Unione europea a 25 Stati membri.

Nonostante il suo carattere descrittivo, fornisce utili informazioni sulla situazione e sottolinea la necessità di affrontare le disuguaglianze. Possiamo constatare che, nonostante il rallentamento economico, l’occupazione tra le donne è in aumento. L’attuale media del 55,1 per cento è un segnale ottimistico che fa ben sperare nella possibilità di conseguire l’obiettivo di Lisbona del 60 per cento entro il 2010. Da un’analisi più attenta e profonda risulta tuttavia che la posizione delle donne nel mercato del lavoro è precaria, in quanto la disoccupazione è in aumento a scapito delle donne, la quota di lavoro a tempo parziale è molto maggiore tra le donne che tra gli uomini, continuano a esistere differenze retributive in tutti i settori e alcune categorie, come gli immigranti, sono vittime di particolari forme di discriminazione nel mercato del lavoro.

Conciliare la vita familiare con quella lavorativa continua a costituire una delle principali sfide, soprattutto per le donne con bambini piccoli. Le proposte contenute nella relazione Estrela sono state approvate, credo, all’unanimità in seno alla commissione competente e anch’io sostengo che è necessaria una strategia nazionale con obiettivi ben coordinati negli Stati membri che, da un lato, promuovano l’integrazione del principio della parità tra uomini e donne in tutte le politiche e, dall’altro lato, applichino le misure volte ad eliminare le discriminazioni laddove esistono. E’ inoltre necessaria tuttavia un’ottima collaborazione tra organi governativi e parti sociali e organizzazioni non governative, soprattutto le organizzazioni delle donne, e la Commissione deve verificare l’applicazione dell’acquis comunitario e deve affrontare più a fondo la questione compiendo analisi più adeguate.

 
  
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  Marian Harkin (ALDE).(EN) Signor Presidente, vorrei innanzi tutto congratularmi con la relatrice per il suo testo molto esaustivo. A differenza di altri oratori, la ritengo necessaria e opportuna. Vorrei soffermarmi solo su tre aspetti.

Il divario retributivo tra uomini e donne continua a essere inaccettabilmente elevato in tutta Europa, con un valore del 16 per cento. In Irlanda tale divario è pari a circa il 15 per cento, e questo ha considerevoli implicazioni per il tenore di vita delle donne, per le loro famiglie e per la qualità della loro vita. Tale questione deve essere affrontata a livello sia nazionale che comunitario.

In secondo luogo, sostengo l’invito rivolto dalla relatrice a tutti gli Stati membri affinché garantiscano che le donne abbiano parità di accesso ai regimi di previdenza sociale. In Irlanda le mogli di lavoratori autonomi o di agricoltori spesso non usufruiscono di una propria copertura previdenziale, anche se lavorano nell’azienda agricola o nell’impresa. Ne consegue che non possono godere di molti vantaggi e diritti. Si tratta di una discriminazione e la situazione deve cambiare.

Infine, vi è l’assoluta necessità di una discriminazione positiva nei confronti delle donne nel sistema politico da parte dei partiti politici a tutti i livelli, in particolare a livello di selezione dei candidati. Propongo una quota del 50 per cento di donne. Vorrei dire a coloro che sostengono che in questo modo non sempre emergono le persone migliori che non è affatto vero; il 51 per cento della popolazione è costituito da donne e da loro si può ottenere la stessa qualità dell’altro 49 per cento. Perché insisto su questo punto? Perché problemi come l’assistenza in famiglia, la violenza in ambito familiare, la tratta delle donne e molti altri aspetti che vengono visti come qualcosa che interessa esclusivamente le donne non sono questioni solo femminili, ma anche sociali. Finché non avremo un numero sufficiente di donne a livello decisionale, tali questioni non saranno integrate nelle risposte politiche e non saranno affrontate in modo adeguato.

 
  
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  Vladimír Špidla, Membro della Commissione. – (CS) Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei ringraziarvi per questo interessante dibattito, cui ha partecipato un numero relativamente ampio di uomini. Lo considero un segno dei progressi che abbiamo compiuto nel settore della parità di opportunità. La parità tra uomini e donne è una questione non solo sociale, ma anche economica, e le nostre politiche saranno ancor più efficaci se terranno conto di questo aspetto. La parità deve essere basata su un approccio ampio, che comprenda misure specifiche e l’integrazione di questa dimensione in tutte le politiche. Occorre promuovere la politica in materia di parità tra uomini e donne attraverso l’impegno politico al massimo livello, la conformità alla legislazione e il buon governo a tutti i livelli di potere. Stiamo compiendo ogni possibile sforzo in questa direzione e sono sicuro che la tabella di marcia per la parità tra uomini e donne, che presenteremo a marzo, fornirà un considerevole contributo.

Se mi è consentito, vorrei rispondere a una delle domande che è stata rivolta. La direttiva 2002/73/CE è entrata in vigore il 5 ottobre 2005 ed è stata recepita dalla maggior parte dei paesi. Attualmente la Commissione sta analizzando la situazione e, se del caso, avvierà le procedure adeguate.

 
  
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  Presidente. La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 11.00.

Dichiarazione scritta (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Zita Gurmai (PSE).(EN) Il testo dell’onorevole Estrela sulla parità tra uomini e donne nell’Unione europea svolge un ruolo fondamentale nel modo orizzontale di affrontare le questioni della parità. Lo scopo era presentare la seconda relazione annuale sulla parità, la prima relativa all’UE allargata a 25 Stati membri. Sono fermamente convinta che si possano ottenere risultati misurabili solo con un lavoro sistematico. Un messaggio importante del testo in questione è che ogni anno verrà presentata una relazione. La relazione menziona gli orientamenti strategici della politica in materia di parità. Vorrei sottolineare due dei diritti più elementari che dovrebbero essere assicurati a tutti, ossia un lavoro dignitoso e parità di retribuzione per un lavoro di pari valore. Sono del parere che le donne costituiscano la chiave per conseguire l’obiettivo generale della strategia di Lisbona di rilanciare la crescita e l’occupazione nell’Unione europea. Il compito principale è aumentare i servizi di custodia dei bambini a prezzi accessibili, seguendo il buon esempio dato da Svezia e Danimarca. Questo aspetto è al centro della strategia per la crescita e gli investimenti del gruppo PSE, concordata dai governi socialdemocratici di tutta Europa. Ultimo punto, ma non meno importante, potremo conseguire i risultati sopra menzionati solo con l’attivo contributo degli uomini alla parità tra uomini e donne.

 

19. Applicazione della direttiva postale
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  Presidente. L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0390/2005), presentata dall’onorevole Ferber a nome della commissione per i trasporti e il turismo, sull’applicazione della direttiva postale (direttiva 97/67/CE, modificata dalla direttiva 2002/39/CE) [2005/2086(INI)].

 
  
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  Markus Ferber (PPE-DE), relatore. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, innanzi tutto desidero ringraziare la Commissione per avere elaborato una relazione molto ambiziosa sull’applicazione della direttiva postale, oggetto del dibattito di oggi e del voto di domani al Parlamento europeo.

Con molta chiarezza si è capito – come anche affermato nella risoluzione da noi adottata nella commissione per i trasporti e il turismo – che il cammino iniziato nel 1992 con il Libro verde sullo sviluppo dei servizi postali nell’Unione europea è proseguito, sino a oggi, senza ostacoli. Siamo riusciti a raggiungere un compromesso tra la fornitura di servizi postali efficienti e di elevata qualità e la crescente concorrenza del settore, due obiettivi sostanzialmente contradditori. Questo, ovviamente, è l’obiettivo che ci poniamo per il 2006, se vogliamo anche tenere fede agli obblighi previsti dalla direttiva postale esistente. Sono felice, signor Commissario, che la Commissione abbia proposto un calendario molto ambizioso, che lo studio analitico previsto dalla direttiva sia stato commissionato e che, in base ai suoi risultati, saremo in grado di prendere ulteriori decisioni.

Ovviamente non possiamo accontentarci dei risultati raggiunti: dobbiamo garantire il completamento del mercato interno anche in questo settore. Il mercato postale, però, non è uguale a quello delle telecomunicazioni, né a quello dell’elettricità o del gas. Ecco perché dobbiamo valutare meglio come conseguire ulteriori progressi. Nella relazione abbiamo cercato di porre una serie di domande alle quali, ovviamente, gradiremmo avere delle risposte, signor Commissario, quando presenterete gli studi previsti per quest’anno, fornendoci gli strumenti necessari per prendere decisioni.

La domanda è: come garantire il funzionamento dei servizi postali in tutta l’Unione europea, non solo nelle grandi città, nella contea di Londra, nella valle della Ruhr, a Berlino, Madrid o Roma, ma anche in tutte le regioni dell’UE? Come garantire stabilmente la qualità elevata che ora abbiamo persino nelle regioni transfrontaliere, e come farlo in un settore che – come afferma anche la comunicazione della Commissione – è in continua crescita? Ricordo ancora i dibattiti in Aula quando si pensava che i servizi postali sarebbero comunque scomparsi, perché potevamo usare fax e posta elettronica. I servizi postali sono un settore in crescita: come mobilitare le forze di mercato per sviluppare nuovi prodotti e creare più posti di lavoro in questo comparto?

Sono interrogativi su cui, nel corso dell’anno, la nostra commissione si aspetta risposte dalla Commissione europea. Sono interrogativi che abbiamo incluso in questa relazione.

Se quest’anno riusciremo a lavorare insieme con impegno – la Commissione e il Parlamento europeo con il contributo, successivamente, del Consiglio, che al momento non è molto coinvolto – allora riusciremo a procedere in questo settore che, alla fin fine, si dimostrerà all’altezza di tutte queste aspettative.

Sono molto grato a tutti i colleghi che hanno lavorato con tanto impegno su questo tema. I servizi postali riguardano tutti noi: in ogni circoscrizione elettorale ci sono molti clienti, molti uffici postali e centri di smistamento, in alcuni casi gestiti da fornitori di servizi postali. Per questo motivo i dibattiti in sede di commissione e in plenaria sono sempre molto accesi. Ringrazio di cuore tutti coloro che mi hanno aiutato a elaborare questa relazione. Vorrei inoltre essere molto chiaro: a un relatore fa sempre piacere quando vengono presentati solo alcuni emendamenti. Il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei ha presentato un emendamento che, sicuramente, contribuisce a meglio formulare un punto che non era risultato molto chiaro dopo il voto in commissione. Spero che riscuota ampio consenso. In questo modo avremo redatto, nel complesso, una relazione completa che darà al Parlamento europeo la possibilità di portare a termine i propri compiti legislativi.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, sono lieto di avere l’opportunità di spiegare brevemente all’Assemblea la posizione della Commissione riguardo alla politica postale della Comunità, e illustrare quali saranno, a mio avviso, i suoi sviluppi nel 2006. Prima di tutto, però, permettetemi di ringraziare l’onorevole Ferber per la relazione che risulta essere tempestiva, costruttiva, equilibrata e ben documentata. In realtà, le conclusioni della relazione corrispondono al nostro pensiero. Anche noi, infatti, siamo convinti che la riforma postale dell’Unione europea abbia prodotto risultati positivi per tutte le parti in causa e contribuito in maniera significativa alla competitività dell’Unione europea.

Questa direttiva ha già spianato la strada chiedendo alla Commissione di presentare, entro l’anno, tre iniziative: una terza relazione sull’applicazione della direttiva postale, uno studio analitico sul possibile effetto che mercati postali competitivi potrebbero avere su servizi universali, e una proposta sulla futura politica postale dell’UE, i cui contenuti saranno influenzati da una serie di fattori. Uno di questi, forse il più importante, è l’impatto delle norme comunitarie sul settore postale.

La direttiva postale, nella sua versione modificata, stabilisce principi adeguati per consentire un graduale sviluppo della concorrenza mantenendo, al tempo stesso, le garanzie necessarie alla fornitura di un servizio universale. A tale proposito devo dire che gli sviluppi sinora registrati non rivelano l’esigenza di modificare i termini previsti nella direttiva postale. Il 2009 rimane, quindi, la data di riferimento per il nostro lavoro.

La Commissione garantirà che il processo di liberalizzazione vada di pari passo con l’applicazione delle disposizioni del Trattato sulla concorrenza. Per quanto riguarda le norme in materia di aiuti di Stato, nel luglio 2005 la Commissione ha adottato un pacchetto di misure che fornisce orientamenti sui principi di valutazione del compenso pubblico per servizi di interesse economico generale.

La Commissione, inoltre, è pienamente cosciente dell’importanza sociale dei servizi postali e presterà particolare attenzione alla situazione di ciascuno Stato membro allo scopo di raggiungere un punto d’incontro. In tal senso ci aiuteranno i risultati dello studio analitico, che contribuiranno all’analisi delle condizioni necessarie a garantire la buona riuscita del mercato postale interno.

Ulteriori elementi saranno forniti dai risultati della nostra consultazione pubblica online, condotta di recente, sul futuro dei servizi postali europei. La Commissione continuerà il lavoro preliminare con la massima trasparenza, portando avanti il dialogo con tutte le parti interessate.

Questa relazione di iniziativa del Parlamento europeo è un ottimo punto di partenza per proseguire il dibattito: l’accolgo con favore e ringrazio vivamente l’onorevole Ferber e i suoi colleghi della commissione per i trasporti e il turismo per l’ottimo lavoro svolto.

 
  
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  Georg Jarzembowski, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei appoggia pienamente il parere espresso dal relatore, onorevole Ferber, in merito alla relazione sullo stato di avanzamento della Commissione. Come auspicato dal relatore, vogliamo essere sicuri che la Commissione si avvalga delle misure annunciate sino al 31 dicembre di quest’anno per esaminare attentamente tutti gli aspetti economici, tecnologici, sociali e geografici della crescente apertura del mercato postale, informandoci delle sue conseguenze.

A tutt’oggi – vorrei ricordarglielo, signor Commissario, e sono ansioso di sentire la sua risposta – non tutti gli Stati membri, a quanto sappiamo noi e il relatore, hanno attuato la direttiva postale in maniera corretta entro i termini dovuti. Credo sia dovere della Commissione monitorare con estrema cura l’attuazione delle misure adottate nei singoli Stati membri, far rispettare gli obblighi e, se del caso, deferirli alla Corte di giustizia. Il diritto comunitario deve essere applicato in tutti gli Stati membri. Tuttavia, per favorire il compromesso posso dire che, dopo gli sviluppi generalmente positivi registrati nel mercato postale a vantaggio dei consumatori, la Commissione dovrebbe tener fede alla decisione congiunta per completare l’apertura dei servizi postali nel 2009.

Vi chiederei, inoltre, di approfondire ancora una volta la questione del servizio universale. Per riassumere, servizio universale significa che possiamo aspettarci servizi di elevata qualità a prezzi accessibili in tutti gli Stati membri. Questo è il nostro obiettivo, ma dobbiamo valutare le cose attentamente. Vi farò un esempio: se ora anche la Germania viola il principio che prevede la stessa affrancatura per una lettera ordinaria spedita internamente o a uno degli altri 24 Stati membri, bisogna considerare le possibili conseguenze. L’affrancatura ordinaria in Germania ora costa 55 centesimi, ma per spedire la stessa lettera diretta a qualsiasi altro paese dell’UE si spendono 70 centesimi: è la prima volta che si è introdotta una differenza. Se questo significa che l’affrancatura dipende dai costi – distanza e tipo di consegna – per quale motivo deve esistere un servizio universale? C’è qualcosa che giustifichi la limitazione della concorrenza da parte di un settore riservato regolamentato?

Dobbiamo valutare con attenzione cos’è il servizio universale, quali garanzie vogliamo ottenere e se, a tal fine, occorre un settore riservato. Aspetto quindi la sua valutazione e la sua opinione con grande interesse. I più vivi ringraziamenti, signor Commissario.

 
  
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  Gary Titley, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signor Presidente, è chiaramente importante che oggi si tenga questo dibattito, perché il 1° gennaio si è avuta l’ultima riduzione di peso a 50 grammi per il settore riservato, e noi stiamo aspettando lo studio della Commissione sul completamento del mercato interno nel 2009 che, come auspicabile, sarà pubblicato in estate.

Il settore postale si trova di fronte a grandi sfide, ma anche a grandi opportunità. La posta deve stare al passo con gli sviluppi in altri settori, non ultimo il passaggio dal commercio consumer to consumer al commercio business to consumer, ma anche con il mercato unico. Per l’Unione europea è una condanna che, a 13 anni dal completamento del mercato unico, vi siano ancora grandi ostacoli all’attività postale transfrontaliera, al mercato delle televendite in fase di espansione e agli editori di giornali e riviste.

Per garantire il buon funzionamento di questo processo dobbiamo assicurare trasparenza, chiarezza, certezza e la partecipazione di consumatori e fruitori di servizi postali. Ovviamente riconosciamo l’unicità di ogni mercato postale, ma ciò non giustifica le forti asimmetrie normative che provocano gravi distorsioni di mercato. Occorre una struttura che imponga alle autorità di regolamentazione nazionali di lavorare insieme. Occorre maggiore chiarezza e trasparenza nel processo di autorizzazione, e questo è un settore su cui la Commissione deve concentrarsi. Gli Stati membri devono adottare e applicare gli standard di qualità dei servizi elaborati dal CEN, cosicché si possano fare paragoni. Dobbiamo garantire che i clienti dei servizi postali, piccoli o grandi che siano, siano coinvolti nell’intero processo.

In definitiva, il successo o meno di questa impresa dipenderà da quanto saremo in grado di garantire alla popolazione che i nostri anziani che vivono in luoghi isolati possano ancora usufruire di un servizio universale. Se lo faremo, l’impresa avrà buoni risultati.

 
  
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  Nathalie Griesbeck, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi unisco subito agli altri nel ringraziare il collega, onorevole Ferber, per la relazione di iniziativa. Permettetemi di presentare il mio punto di vista da due prospettive diverse.

Innanzi tutto, insieme al gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, sono lieta che questa relazione ci dia, d’ora innanzi, l’opportunità di discutere del quadro giuridico che l’Unione deve attuare entro il 2009 per regolamentare la liberalizzazione dei servizi postali. In secondo luogo, sostengo il metodo proposto che ci permette di adottare un approccio controllato ed equilibrato al processo di modernizzazione del settore.

Tuttavia, onorevoli colleghi, se questa liberalizzazione ha l’obiettivo, come è appena stato spiegato, di modernizzare il settore di attività in questione e di migliorare i servizi forniti ai clienti, nessuno ignora la posta in gioco della riforma o i timori legittimi dei nostri concittadini per il mantenimento di un servizio di qualità e la copertura di tutte le zone, anche quelle più remote. Aspetto quindi con grande interesse lo studio di impatto economico che la Commissione europea deve presentare durante l’anno. Esso dovrebbe basarsi su dati economici affidabili e sui risultati delle consultazioni con tutte le parti interessate, dai sindacati alle camere di commercio e d’industria, interpellando tutte le parti sociali coinvolte.

Inoltre, attiro l’attenzione della Commissione e del Consiglio sulla necessità di lottare contro la distorsione della concorrenza in tutte le sue forme. Penso, in particolare, all’assoggettamento IVA e all’armonizzazione fiscale.

Per concludere, conto sulla Commissione per proporre meccanismi di finanziamento del servizio universale giusti e pertinenti, senza pregiudicare scelte che il Parlamento dovrà fare perché, in ultima istanza, onorevoli colleghi, spetta proprio al Parlamento, il nostro organo democratico, spiegare ai 450 milioni di europei che l’Europa forte che vogliamo costruire insieme appartiene a loro.

 
  
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  Eva Lichtenberger, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, quando parliamo del futuro dei servizi postali dovremmo iniziare esaminando quello che vogliamo raggiungere. Il completamento del mercato interno non può essere fine a se stesso, bensì – come affermato in tutte le dichiarazioni d’intenti – deve portare risultati positivi per i cittadini europei.

Tuttavia, già si può vedere come in molti Stati la riduzione dei servizi abbia avuto un forte impatto sulle regioni e le zone periferiche a bassa densità di popolazione. Le persone che vivono in zone difficilmente accessibili non devono essere escluse dai servizi. L’idea che la liberalizzazione del mercato avrebbe, come affermato dal relatore in commissione, automaticamente garantito la fornitura dei servizi alla famosa anziana signora che abita in montagna si è dimostrata falsa, come dimostrato da alcuni classici esempi.

Per questo motivo, uno studio come quello elaborato non deve formulare le domande lasciando praticamente intendere la risposta voluta come, ad esempio, è stato fatto al punto 13. Questo punto dimostra chiaramente il desiderio dell’autore di avere una determinata risposta, in realtà in maniera così chiara da rendere quasi superfluo lo studio. Se commissioniamo uno studio dobbiamo essere pronti ad accettare la realtà.

 
  
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  Georgios Toussas, a nome del gruppo GUE/NGL. – (EL) Signor Presidente, la liberalizzazione dei servizi postali si inserisce nel quadro della liberalizzazione generica dei servizi e della privatizzazione delle imprese di servizi pubblici, e danneggia tutti i lavoratori.

L’esigenza sociale di servizi postali moderni e affidabili viene ora sfruttata per garantire maggiori profitti alle grandi imprese.

Con il pretesto di nuovi programmi operativi, i licenziamenti e i cambiamenti ai contratti di lavoro delle persone che operano nel settore stanno assumendo proporzioni di massa.

Sempre con il pretesto di cambiare il modello di comunicazione, la relazione apre la strada a una nuova definizione di servizio universale. Cerca di abolire l’obbligo gravante sul fornitore di servizi di garantire accesso immediato alla rete postale a tutti gli utenti mediante punti d’accesso fissi per la raccolta e la distribuzione, che coprono i servizi nazionali e transfrontalieri.

Obiettivamente questi emendamenti, nel quadro della liberalizzazione e del completamento del mercato interno dei servizi postali nel 2009, consentono agli uffici postali privati, come affermato nella relazione, di subentrare all’egemonia degli uffici postali pubblici con maggiore facilità, con gravi conseguenze per gli utenti e i lavoratori in generale. Per questo siamo contrari e voteremo contro la relazione.

 
  
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  Michael Henry Nattrass, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, abbiamo assistito al no dei francesi e degli olandesi alla Costituzione proposta per l’Europa. Anche le direttive sulle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici e sui servizi portuali sono state respinte. Nonostante questi rifiuti, la spinta all’armonizzazione prosegue inesorabile, anche quando non ha niente a che vedere con il commercio o l’efficienza dell’UE ed è dannosa per i cittadini.

Eccolo qui, un altro provvedimento di serie B, la direttiva postale. La faccenda non riguarda l’Unione europea, a cui consiglio di starne fuori. La direttiva postale cerca di imporre un’imposta sul valore aggiunto alle tariffe postali in un momento in cui i messaggi di posta elettronica fanno grande concorrenza alle lettere tradizionali. Il Regno Unito non vuole questo! Il British Post Office ha ora 371 anni, e sono stati i britannici, nel 1840, a far uscire il primo francobollo raffigurante la testa della Regina Vittoria.

Ora l’Unione europea vuole lasciare l’impronta della propria inefficienza. Un’alta filigrana di interferenza filatelica, bucherellata solo dall’ignoranza della tradizione britannica e dal desiderio di uccidere per sempre l’arte dell’epistolografia. Dal Penny Black all’attacco dell’UE in 166 anni! E’ forse questo il progresso?

Nel 2004 il ministro delle Poste e Telecomunicazioni ha categoricamente affermato che il governo britannico non voleva l’IVA sui francobolli. La Royal Mail mi ha comunicato proprio questa settimana che non la vuole, perché sarebbe negativa per le piccole imprese, gli enti di beneficenza e i clienti. I britannici non la vogliono: già pagano i costi della politica agricola comune dell’UE.

Cosa avrebbe detto Stanley Gibbons dallo Strand di Londra se fosse ancora vivo? Credo che avrebbe pubblicato un libro con fotografie di eurodeputati che ficcano il naso nelle tradizioni postali britanniche intitolato “Catalogo Gibbons dei francobolli Stanley”.

Quando l’UKIP voterà su questa relazione, voterà in base ai desideri dei cittadini britannici. Mi auguro che gli eurodeputati britannici prendano le difese del Regno Unito. La gente starà a guardare mentre gli europeisti presenteranno alle proprie nazioni un altro esempio dell’eccessiva autorità dell’UE. Grazie, signor Presidente, e buona fortuna agli interpreti!

 
  
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  Presidente. Onorevole Nattrass, per sua informazione il suo gruppo oggi può disporre di cinque minuti, suddivisi nel modo seguente: un minuto all’onorevole Krupa, un minuto all’onorevole Bloom, un altro minuto e mezzo per l’onorevole Krupa e un minuto e mezzo per lei, e non due minuti e mezzo. Se l’onorevole Farage le ha “venduto” cinque minuti, le ha venduto qualcosa che non gli apparteneva.

 
  
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  Seán Ó Neachtain, a nome del gruppo UEN. – (EN) Signor Presidente, la direttiva postale deve essere utile per tutti i consumatori e, in particolare, soddisfare le esigenze di chi abita nelle zone rurali. La liberalizzazione dei servizi spesso avvantaggia chi vive in zone ad alta densità di popolazione a spese dei consumatori in zone meno popolate.

In qualità di deputato al Parlamento europeo per l’ovest e il nordovest dell’Irlanda, rappresento una circoscrizione elettorale prevalentemente rurale. In base alla mia esperienza, negli anni molte direttive hanno avuto un impatto negativo sulle zone rurali e lo sviluppo rurale perché, inavvertitamente o meno, hanno favorito zone densamente popolate ove era più facile seguire politiche liberali.

L’ufficio postale di zona nelle comunità rurali è un’istituzione economica, sociale e culturale di vitale importanza, e non si può ignorare il diritto ai servizi postali di chi abita in campagna quando, nell’UE, si elaborano piani di liberalizzazione in materia. La fornitura e l’accesso ai servizi postali sono alla base di uno sviluppo rurale sostenibile.

Occorre sottolineare che la liberalizzazione dei servizi postali non sempre arreca vantaggi in termini di maggiore occupazione, e vorrei chiedere alla Commissione di affrontare la questione in uno studio dettagliato che si concentrerà sull’uguaglianza, l’efficienza e l’orientamento al cliente nel settore postale, soprattutto nelle zone periferiche.

L’intenzione della direttiva postale era buona ma, come accade con tutte le buone intenzioni, la sua applicazione non si è rivelata all’altezza. Chiedo alla Commissione e al relatore di provare a mettere a punto un sistema di servizi postali che sia equo per tutti, un servizio universale.

 
  
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  Armando Dionisi (PPE-DE). – Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, il percorso di progressiva liberalizzazione del settore postale, avviato negli ultimi anni, ha prodotto una trasformazione positiva, in quanto ha incentivato gli operatori a migliorare la qualità e l’efficienza del servizio e i processi produttivi.

La relazione del collega Ferber sull’applicazione della direttiva postale è equilibrata: essa sottolinea gli effetti positivi della liberalizzazione fin qui intrapresa ma evidenzia anche la necessità di valutare le conseguenze sociali e occupazionali di un’ulteriore tappa nel completamento del mercato interno, tenendo conto delle specificità nazionali. Quest’ulteriore tappa dipenderà interamente dai risultati dello studio della Commissione europea, che ha il compito di valutare, per ogni Stato membro, l’impatto del completamento del mercato sul servizio universale. Ogni anticipazione rispetto a questo studio risulta pertanto inopportuna.

Il ruolo del Parlamento in questa fase è quello di ribadire che l’incidenza della liberalizzazione sul servizio postale universale deve essere valutata con riferimento alle differenze nazionali e alla peculiarità geografica, sociale ed economica e che le scelte politiche di liberalizzazione devono avvenire nel pieno rispetto del principio di proporzionalità e di sussidiarietà.

Il servizio postale rappresenta in alcune aree un collegamento essenziale per i nostri cittadini. Il mantenimento degli attuali livelli di servizio universale richiede un approccio graduale. Per queste ragioni la delegazione italiana non può sostenere l’emendamento proposto dal collega Ferber, perché mette implicitamente in dubbio la necessità del servizio universale che, a mio vedere, rimane un diritto e un dovere irrinunciabile dei servizi postali europei.

 
  
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  Gilles Savary (PSE). – (FR) Signor Presidente, sarò molto breve dicendo che i servizi postali non sono come gli altri servizi. Hanno una dimensione umana, com’è stato ricordato, ma anche una dimensione sociale e territoriale, il che significa che i servizi erogati sono molto diversi da paese a paese.

C’è una grande differenza tra servire una popolazione ad alta densità, come quella dei Paesi Bassi, concentrata su un territorio molto piatto, e servire, alle stesse condizioni, lo stesso numero di abitanti distribuito tra migliaia di isole, come in Grecia, o su un territorio molto diversificato, come in Francia.

Spero quindi che la valutazione prevista dalla Commissione sia obiettiva e non si basi su un presupposto condiviso da una parte dell’Assemblea, cioè che non c’è bisogno di alcun quadro perché il mercato, e solo il mercato, può regolamentare i servizi postali. Spero inoltre che la valutazione contribuisca a garantire che l’apertura del mercato postale – necessaria all’Europa – si faccia nel pieno rispetto di quello che le poste rappresentano: un servizio universale dalla dimensione sociale e territoriale insostituibile.

 
  
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  Guntars Krasts (UEN). – (LV) L’obiettivo di liberalizzare il settore postale entro il 2009 è reale e perseguibile: lo dimostrano i risultati degli Stati membri ove la riforma postale è stata più rapida. E’ difficile capire perché la relazione sottolinei che, a causa della concorrenza nel settore postale, non sempre sono stati mantenuti i precedenti livelli di occupazione. L’obiettivo della riforma postale non è mantenere i posti di lavoro, né tanto meno ridurli. Si possono perdere posti di lavoro anche senza la liberalizzazione, a causa, ad esempio, della modernizzazione tecnologica. Non dobbiamo esaminare la riforma industriale dal punto di vista del settore postale inteso come attività commerciale. Lo sviluppo di questa attività e il suo adeguamento alle nuove condizioni di mercato sono temi legati alla gestione aziendale.

L’obiettivo fondamentale della ristrutturazione del settore postale è soddisfare con maggiore efficacia gli interessi dei consumatori, dando agli abitanti dell’Unione europea l’opportunità di usufruire di un servizio universale. Al tempo stesso, però, la posta non deve rimanere esclusivamente un settore dedito al mantenimento del servizio universale. Non dimentichiamoci che la maggioranza dei clienti dei servizi postali – in realtà oltre il 90 per cento – è rappresentata da attività commerciali, che potrebbero avere esigenze diverse. Occorre quindi sviluppare un’ampia gamma di servizi postali di alta qualità per garantire non solo la sopravvivenza, ma anche lo sviluppo del comparto.

I vari tipi di servizi postali interagiscono sempre più con altri settori quali i servizi finanziari, la pubblicità e il commercio: il loro futuro dipenderà dal buon esito di questa interazione. Lo sviluppo del settore postale è uno dei motori dello sviluppo economico, della produttività e della competitività dell’Unione europea. Purtroppo, si continua a progredire lentamente verso un mercato postale comune dell’Unione europea.

 
  
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  Inés Ayala Sender (PSE). – (ES) Per l’ennesima volta assistiamo a un dibattito che riguarda uno dei servizi pubblici più emblematici della società europea, che ha forte valore simbolico e ispira grande fiducia: da qui la sua diversità e le forti radici. Inoltre, i servizi postali sono fondamentali vista l’importanza che rivestono per l’alto tasso di occupazione di personale con un livello di formazione e un senso di appartenenza al servizio che meritano enorme rispetto e riconoscimento.

Oltretutto, la capacità dei servizi postali di potenziare la coesione sociale e territoriale è fondamentale in un’Europa allargata e sempre più individualista. In questa nuova fase che sta iniziando – e a questo punto vorrei ricordare anche l’amico Simpson, che avrei voluto fosse qui presente e spero sarà qui più avanti – vorrei dire alla Commissione che il nuovo processo deve assolutamente avere una giustificazione plausibile e accettabile ed essere pienamente credibile, perché ci dicono che in futuro il servizio risulterà migliore, ma quello che oggi vediamo è che ci viene proposta maggiore insicurezza in termini di posti di lavoro, con molti interrogativi riguardanti il servizio.

Crediamo quindi sia di vitale importanza garantire pienamente il servizio universale con tutte le sue condizioni in termini di prezzo e qualità del servizio, e tenere conto della coesione sociale e territoriale e della diversità dei sistemi attuali valutandone i lati positivi, perché non tutti possono essere uniformati.

 
  
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  Emanuel Jardim Fernandes (PSE). – (PT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, desidero congratularmi con il relatore, onorevole Ferber, per l’eccellente relazione che chiarisce l’importanza sociale ed economica dei servizi postali di fronte a prospettive di disoccupazione e accentramento. Penso sia necessario evitare che, con l’avvento della liberalizzazione, questo servizio pubblico diventi un servizio meramente economico, in cui solo le fasce più agiate della società possano esercitare il semplice diritto di spedire una lettera, e la fornitura di un servizio universale venga negata ai meno privilegiati e a chi vive nelle regioni più isolate.

Pertanto invito la Commissione, nelle future analisi del settore, a fare una differenziazione in funzione dei costi associati al finanziamento del servizio universale, soprattutto tenendo conto dei vincoli geografici e demografici, per garantire a tutti l’accesso a questo servizio di interesse generale.

Come il relatore, credo che i servizi postali siano fondamentali per l’Unione europea e che esercitino un’influenza positiva su vari settori della società quali il commercio, i servizi e l’occupazione, grazie alla modernizzazione di investimenti capaci di aumentare la competitività, la qualità e l’efficienza che, a loro volta, garantiscono prezzi più contenuti ai cittadini e alle imprese. In tal modo, essi danno un contributo decisivo al raggiungimento degli obiettivi della strategia di Lisbona in qualità di settore in grado di generare crescita e occupazione.

 
  
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  Presidente. La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 11.00.

Dichiarazione scritta (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Hélène Goudin (IND/DEM). – (SV) Sono favorevole al fatto che la relazione sottolinei la necessaria applicazione del principio di sussidiarietà alla procedura di autorizzazione. Inoltre, accolgo con favore il fatto che il Parlamento europeo ricordi alla Commissione di essere particolarmente attenta all’impatto che la liberalizzazione del mercato postale avrà sugli abitanti delle regioni scarsamente popolate (paragrafo 9).

Tuttavia avrei voluto vedere affermazioni rigorose, che dichiarassero apertamente l’inaccettabilità di peggiori condizioni di servizio per le popolazioni delle regioni isolate d’Europa. La Commissione non ha adottato alcuna posizione riguardo alle modifiche alle norme sulla frequenza di distribuzione della posta (si veda l’interrogazione orale H-1135/05). Neppure il Parlamento europeo si pronuncia chiaramente su questo punto.

Una condizione fondamentale per permettere ai servizi postali di essere usati, in futuro, da persone che abitano in regioni scarsamente popolate è che i servizi abbiano un prezzo paragonabile a quello applicabile nel resto del paese. Il Parlamento europeo non adotta una posizione in materia nella relazione, e neppure la Commissione l’ha fatto.

Infine, non sono d’accordo con le critiche del Parlamento europeo ai regimi IVA nazionali nel mercato postale (paragrafo 18) e con la proposta in base a cui la Commissione europea deve valutare le modalità con cui sono gestite le passività legate alle pensioni degli operatori postali pubblici (paragrafo 17). Sono temi che dovrebbero essere affrontati a livello nazionale.

Voterò contro questa relazione.

 

20. Disposizioni sulle quantità nominali dei prodotti preconfezionati
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  Presidente. L’ordine del giorno reca la discussione sulla relazione (A6-0412/2005), presentata dall’onorevole Toubon, a nome della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che reca disposizioni sulle quantità nominali dei prodotti preconfezionati, abroga le direttive 75/106/CEE e 80/232/CEE del Consiglio e modifica la direttiva 76/211/CEE del Consiglio [COM(2004)0708 – C6-0160/2004 – 2004/0248(COD)].

 
  
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  Günther Verheugen, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, la direttiva in esame sui preimballaggi si presenta come un fascicolo estremamente tecnico, ma in realtà fa parte di una delle iniziative politiche in materia di semplificazione e perfezionamento della legislazione che maggiormente stanno a cuore alle nostre Istituzioni.

E’ pur vero che esiste già una normativa comunitaria sui preimballaggi, ma da questo punto di vista la situazione giuridica attuale non si può definire né soddisfacente né chiara. L’Unione europea ha adottato un quadro giuridico ben preciso per quanto riguarda il vino e le bevande alcoliche, in base al quale tali prodotti vengono venduti in quantità prestabilite su tutto il territorio della Comunità. La normativa in vigore ha inoltre introdotto l’armonizzazione facoltativa per altri 70 prodotti, un’opzione che non tutti gli Stati membri hanno esercitato allo stesso modo: alcuni, come ad esempio il Belgio o i Paesi Bassi, hanno completamente deregolamentato le dimensioni degli imballaggi; altri, come la Svezia, hanno lasciato ai produttori la facoltà di scegliere se conformarsi o meno alle norme comunitarie, mentre in altri ancora le stesse sono diventate obbligatorie solo per i produttori nazionali. Alcune leggi nazionali si ispirano in tutto e per tutto alle direttive comunitarie facoltative esistenti, mentre altre, come ad esempio quelle tedesche, sono sostanzialmente divergenti da queste ultime. Si può pertanto affermare che la situazione normativa è – per usare un eufemismo – alquanto confusa.

Allo stesso tempo, le merci circolano liberamente da un paese all’altro e quindi i consumatori possono scegliere tra una grande varietà di prodotti presente sul mercato. Finora nessun consumatore si è mai lamentato per la disponibilità di una scelta troppo vasta. La proposta della Commissione mira infatti a semplificare la normativa senza per questo privare il consumatore del diritto di scegliere liberamente cosa acquistare. Ciò che la Commissione propone è un unico quadro normativo cui tutti gli Stati membri dell’Unione abbiano l’obbligo di attenersi. In sostanza, proponiamo di regolamentare le dimensioni degli imballaggi solo per un limitato numero di prodotti, in particolare vini e bevande alcoliche, in modo da non intaccare quella libertà di scelta di cui il consumatore gode attualmente.

La Commissione prende atto dell’approvazione di massima della sua proposta da parte dalla commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, la quale ha tuttavia espresso un parere differente per quanto riguarda il numero di settori per i quali la normativa comunitaria dovrebbe prevedere quantità nominali fisse.

Sulla base di un’ampia consultazione tra i consumatori dei diversi Stati membri e tra le confederazioni europee del commercio, la Commissione ritiene che solo i settori del vino e delle bevande alcoliche dovrebbero essere regolamentati. Tuttavia, come richiesto dal Parlamento dopo un primo rinvio, la Commissione ha deciso di aggiungere alla lista dei prodotti che rientrano nella proposta legislativa anche il caffè solubile e lo zucchero bianco.

Pur condividendo tale approccio nella sua globalità, la commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori ritiene che la normativa dovrebbe essere estesa ad altri prodotti quali il latte, il burro, il caffè torrefatto, le paste alimentari secche, il riso e lo zucchero bruno. La Commissione ritiene che le motivazioni a supporto di tale richiesta non siano sufficienti. Del resto l’industria europea, con la sola eccezione del settore del caffè, si è detta contraria ad un provvedimento del genere e gli stessi consumatori non hanno chiesto una normativa che ne limiti la libertà di scelta. Accettare l’emendamento proposto significherebbe proprio eliminare dal mercato una parte dei prodotti oggi presenti; inoltre, gli Stati membri che non hanno mai imposto limitazioni alle dimensioni degli imballaggi o che le hanno abolite, sarebbero costretti a reintrodurre una normativa in tal senso. Tutto ciò si scontra con l’intento politico di migliorare e semplificare la legislazione e non serve certo a tutelare il consumatore. La Commissione apprezza il fatto che il Parlamento abbia effettuato una valutazione d’impatto relativa agli emendamenti proposti in quanto tale iniziativa riflette l’intento della Commissione di migliorare e semplificare la legislazione europea nell’interesse di tutti.

In conclusione, la Commissione ritiene che oggi tutelare il consumatore non significhi limitarne la libertà di scelta, ma piuttosto fornirgli un’informazione corretta e vietare pratiche ingannevoli in modo da favorire una scelta libera e consapevole da parte del consumatore stesso.

Va ancora precisato, per correttezza, che la Commissione, così come la Corte di giustizia delle Comunità europee, fa sempre riferimento a un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. La regolamentazione delle quantità nominali, infatti, non contribuisce a rendere meno vulnerabili determinate categorie di consumatori che possono invece essere meglio tutelate mediante una corretta applicazione delle norme comunitarie già esistenti in materia, come ad esempio quelle sull’etichettatura e sul divieto di utilizzare confezioni ingannevoli. A questo proposito la Commissione sta già mettendo a punto nuove strategie di applicazione del diritto comunitario di comune accordo con gli Stati membri al fine di tutelare sempre di più e sempre meglio proprio i consumatori vulnerabili.

 
  
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  Jacques Toubon (PPE-DE), relatore. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione che presento a nome della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori modifica in modo sostanziale la proposta della Commissione. Essa è stata approvata con 28 voti a favore e un’astensione.

Propongo di approvare la liberalizzazione dei formati così come ha deciso anche la Commissione sulla scorta della giurisprudenza nella causa Cidrerie Ruwet. La Commissione ha inoltre proposto di mantenere gamme obbligatorie per particolari settori: vini, alcolici, caffè solubile e zucchero bianco. Tale deroga dovrebbe, sempre secondo la Commissione, avere una durata di 20 anni.

I membri della commissione per il mercato interno hanno immediatamente sollevato dubbi in merito alla pertinenza di una simile proposta e alla qualità della valutazione d’impatto su cui la stessa si basa. E’ questa la ragione che mi ha spinto a proporre l’introduzione di altri prodotti di base tra quelli soggetti a gamme obbligatorie; si tratta di caffè, burro, riso, pasta e latte alimentare. Le gamme da me proposte prevedono intervalli piuttosto ampi, senza contare che al di sotto del formato più piccolo e al di sopra di quello più grande non si applicano restrizioni. Propongo altresì di rivedere la norma tra otto anni e non tra 20 come richiesto dalla Commissione.

Vi chiederete quali siano le ragioni che hanno spinto la commissione per il mercato interno a presentare una tale proposta. Innanzitutto la tutela dei consumatori, in particolare di quelli più vulnerabili come anziani e ipovedenti, ancora ben lungi dal comprendere appieno il meccanismo del prezzo unitario introdotto nel 1998. La seconda ragione è data dalla valutazione d’impatto indipendente realizzata su incarico della nostra commissione, la quale conferma che la liberalizzazione potrebbe comportare rischi per i consumatori senza peraltro garantire una maggiore concorrenza tra produttori e distributori. Infine, perché legiferare meglio non significa non legiferare affatto. Come disse Lacordaire negli anni ’30 del secolo XIX, “Tra il forte e il debole, è la libertà che opprime e la legge che affranca”. Come vedete questo testo apparentemente insignificante e tecnico ci consente di porre quesiti importanti.

In conclusione, vorrei sottolineare tre aspetti: innanzi tutto la realizzazione di una valutazione d’impatto finanziata dallo stesso Parlamento e quindi indipendente sia dalla Commissione che dai lobbisti; in secondo luogo, un concetto di “legislazione migliore” basato non su considerazioni di tipo ideologico, ma unicamente sulle reali esigenze dei nostri concittadini; e, infine, la volontà di conservare le nostre culture nazionali, perché i popoli europei sono molto legati alle tradizioni alimentari e alle loro abitudini in materia di consumo.

 
  
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  John Purvis (PPE-DE), relatore per parere della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia. – (EN) Signor Presidente, la commissione per l’industria, la ricerca e l’energia accoglie favorevolmente la proposta della Commissione di deregolamentare e quindi liberalizzare le dimensioni degli imballaggi. La commissione che rappresento ritiene che sia proprio il libero mercato ciò che meglio di ogni altra cosa tutela gli interessi del consumatore. Eravamo disposti ad accettare la proposta della Commissione di fare un’eccezione per bevande alcoliche, caffè solubile, zucchero bianco – e zucchero bruno, che abbiamo aggiunto per coerenza – oltre che per i prodotti venduti sotto forma di aerosol. Sempre per coerenza abbiamo anche proposto di introdurre come misura obbligatoria per le bottiglie di alcolici quella da 750 cl, che è la più diffusa per i vini. Poteva infatti risultare fuorviante fissare 750 cl come misura standard per le bottiglie di vino e invece 700 per quelle degli alcolici. Siamo pertanto estremamente dispiaciuti per il rifiuto opposto dalla commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori alla proposta in oggetto.

Ci rendiamo conto dell’impegno profuso nell’analisi di tutti questi aspetti dalla commissione e dal suo zelante relatore e mio buon amico, onorevole Toubon. Debbo tuttavia esprimere anche la delusione con cui noi membri della commissione per l’industria abbiamo accolto le proposte della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori che prevedono l’introduzione di misure fisse, uniformi e obbligatorie per tutta una lunga serie di prodotti di base mai armonizzati prima d’ora. Esiste già l’obbligo di etichettatura nonché il divieto riguardante la pubblicità ingannevole. Le norme comunitarie prevedono l’indicazione obbligatoria del prezzo unitario in modo che sia ben chiaro il costo di una determinata quantità scelta appunto come unità e sia pertanto più facile per il consumatore confrontare i prezzi. La facoltà di decidere liberamente delle dimensioni dell’imballaggio è a tutto vantaggio delle imprese più piccole e innovative nonché di quelle che si affacciano sul mercato e, quindi, anche del consumatore. Non c’è alcuna ragione che giustifichi la scomparsa dal mercato dei formati cui siamo abituati, così come non c’è alcuna ragione per cui misure tradizionali come la pinta e la libbra debbano sparire dall’uso. Del resto la Commissione non aveva inserito alcun riferimento al latte nella sua proposta. E in effetti non c’era alcuna necessità di modificare alcunché rispetto alla situazione attuale.

La commissione per l’industria suggerisce quindi al Parlamento di appoggiare il lodevole tentativo della Commissione di evitare l’introduzione di norme inutili e di votare contro la proposta della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori che prevede l’estensione della normativa sulle dimensioni obbligatorie degli imballaggi a tutte le sopraccitate categorie di prodotti.

 
  
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  Malcolm Harbour, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, vorrei congratularmi con l’onorevole Toubon per il lavoro svolto e soprattutto per l’approccio adottato; la commissione per il mercato interno e la tutela del consumatore è stata infatti la prima commissione parlamentare a far eseguire una valutazione d’impatto nella quale – in questo caso nell’interesse dei consumatori – abbiamo deciso di aggiungere ulteriori settori alla regolamentazione proposta dalla Commissione.

Il documento è a disposizione di tutti. In esso si legge che, nonostante la maggiore complessità che ne deriverebbe, dal punto di vista dell’analisi economica gli effetti sulla concorrenza sarebbero relativamente scarsi; vi si appoggia quindi il parere del relatore secondo cui tale maggiore complessità sarebbe compensata da benefici per i consumatori. Sicuramente seguiranno altre discussioni su questo punto, ma io vorrei congratularmi fin d’ora con la Commissione nel suo complesso per l’approccio adottato. La sua encomiabile proposta comprende infatti una vasta gamma di altri prodotti oltre alle esenzioni, di cui dobbiamo tener conto nel discutere di questioni specifiche.

Il signor Commissario certamente saprà che nel mio paese, il Regno Unito, gli organi di stampa hanno alimentato un dibattito assolutamente fuorviante su questa proposta legislativa. In questa sede mi limito a citare questo fatto a titolo puramente informativo. Innanzi tutto, partendo dal presupposto che siamo favorevoli all’introduzione del latte alimentare tra i prodotti citati nella direttiva, riteniamo, ovviamente, altrettanto importante che le tradizionali bottiglie di latte vendute nel Regno Unito siano preservate. Sono certo che colleghi potranno comprendermi appieno e che si adopereranno per impedire che la tradizionale “pinta” inglese sparisca.

Vorrei inoltre sottolineare un secondo ma più importante fatto, vale a dire l’esistenza di numerosi regolamenti nazionali che disciplinano la vendita del pane. Nel Regno Unito consumiamo moltissimo pane a fette preconfezionato e ritengo quindi del tutto giustificata un’eventuale esenzione dall’applicazione della normativa che consenta alla Gran Bretagna di conservare le confezioni previste dai suoi regolamenti interni per questo prodotto così importante per i consumatori.

 
  
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  Evelyne Gebhardt, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevole Toubon, molte grazie per l’eccellente relazione presentata poc’anzi. All’onorevole Harbour vorrei dire che trovo estremamente importare il rispetto, da parte nostra, delle culture e delle tradizioni degli Stati membri e che, anzi, la legislazione europea dovrebbe sempre tenerne conto. Ritengo che anche il mio gruppo approverà senza alcun problema gli emendamenti presentati.

Commissario Verheugen, lei ha appena affermato che l’Unione ha bisogno di una migliore legislazione e, soprattutto, di una migliore attuazione della stessa. Su questo sono assolutamente d’accordo con lei, ma vorrei ricordarle che spetta alla Commissione garantire che il diritto comunitario sia effettivamente applicato. Vorrei chiederle di essere particolarmente fermo su questo punto perché, in quanto europea, mi preme che le decisioni che prendiamo in Europa siano davvero attuate.

D’altro canto lei ha anche affermato di aver preso a riferimento, proprio come la Corte di giustizia, il consumatore medio; si tratta di una scelta comprensibile, e del resto un punto di partenza ci deve essere. Per casi come questo, tuttavia, da socialdemocratica avrei preso a riferimento proprio quelle persone che non rientrano nella media ma presentano situazioni particolari, o perché disabili, o perché anziane o perché, per qualunque ragione, usufruiscono delle diverse alternative disponibili negli Stati membri e offerte dalle aziende. E’ proprio in questi casi che il consumatore deve potersi fidare ogni volta che acquista un prodotto alimentare di base, come il pane o il latte. Per questa ragione noi dobbiamo impegnarci affinché i prodotti distribuiti in Europa siano sempre affidabili e sempre per questa ragione voteremo a favore della proposta del relatore.

 
  
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  Toine Manders, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Signor Presidente, vorrei ringraziare l’onorevole Toubon per l’impegno profuso e per l’approccio adottato sulle questioni in discussione. Vorrei altresì rivolgere un particolare ringraziamento alla Commissione e al Commissario Verheugen per la proposta avanzata al fine di elaborare una legislazione ed una liberalizzazione migliori. Ci lascia quindi alquanto perplessi la controproposta del Parlamento di inserire una lunga serie di eccezioni. Noi olandesi, un popolo che ha rifiutato il Trattato costituzionale, troviamo superfluo che l’Europa si occupi di questioni come i formati del caffè o del latte, visto che questi sono già regolamentati dal mercato interno e che è previsto il mutuo riconoscimento dei prodotti.

Siamo pertanto assolutamente contrari all’aggiunta di eccezioni o prodotti, proposta nel tentativo di raggiungere un più alto livello di armonizzazione. Per questa ragione voteremo contro tali eccezioni e, se non riuscissimo ad escluderle dal testo e quindi non fosse approvata la proposta presentata dalla Commissione, noi liberali siamo pronti a respingere l’intera proposta. Ci dispiacerebbe molto dover prendere una simile decisione, anche perché in questo modo potrebbe crearsi un precedente. Mi auguro quindi che non sia necessario procedere in tal modo e che, una volta rientrato nel mio paese, non sarò costretto, in occasione del prossimo referendum sul Trattato costituzionale, ad ammettere che il Parlamento si occupa di questioni marginali che dovrebbero piuttosto essere lasciate alla gente comune.

Le norme in vigore già tutelano il consumatore imponendo l’indicazione del prezzo unitario per litro o chilogrammo. Poiché, quindi, la tutela è già garantita dal prezzo, ritengo che non si dovrebbe sottovalutare la classe dei consumatori europei o proteggerli trattandoli come bambini o cittadini di serie B. Sono del parere che si debba dare fiducia alle persone, le quali sono in grado di effettuare autonomamente le proprie scelte; ciò che dobbiamo fare noi, invece, è proprio dare loro questa possibilità di scelta. Sarebbe ugualmente un peccato se, trovandoci in un altro paese europeo, come turisti o per altri scopi, non potessimo più avere il piacere di trovarvi pesi e misure tipici, come, ad esempio, la pinta inglese.

Trovo spiacevole non aver optato per una legislazione e una liberalizzazione migliori come proposto dalla Commissione e ci rammarichiamo che siano state proposte eccezioni.

 
  
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  Carl Schlyter, a nome del gruppo Verts/ALE. – (SV) Signor Presidente, non capita spesso che io sia d’accordo con la Commissione quando si tratta di liberalizzare, ma quella proposta è una forma ragionevole di liberalizzazione. Apprezzo la serietà dell’onorevole Toubon nello svolgimento del lavoro e la valutazione d’impatto da lui realizzata, ma non credo siano sufficienti a giustificare un intervento legislativo a livello di Unione. Se uno Stato ritiene di dover regolamentare i formati di pane e pasta è libero di farlo, ma l’Unione non deve intervenire. Certe questioni diventano addirittura ridicole se affrontate in ambito europeo.

Ciò che i consumatori chiedono è, ovviamente, una tutela contro gli additivi pericolosi e una revisione di quelli attualmente utilizzati. Essi chiedono inoltre etichette chiare, sufficientemente grandi da essere leggibili e scritte nella loro lingua in modo da capire quali ingredienti contengano i vari prodotti. Le norme contro la diffusione di informazioni fuorvianti riguardano tutti quei problemi che un consumatore può trovarsi ad affrontare a causa di formati che possono creare confusione. E’ questo il genere di norme che va incontro alle esigenze dei consumatori.

Se invece parliamo di alcol, allora concordo con la Commissione nel considerarla una questione diversa. In questo caso, infatti, si tratta di monitorare il consumo del prodotto in altro modo e in tal senso, sia le norme già esistenti che quelle proposte dalla Commissione sono adeguate. In questo particolare ambito la regolamentazione è giustificata. Ritengo quindi che la proposta della Commissione di non appesantire la legislazione europea sia appropriata.

 
  
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  Charlotte Cederschiöld (PPE-DE). – (SV) Signor Presidente, Commissario Verheugen, onorevole Toubon, accolgo favorevolmente la proposta della Commissione di liberalizzare gli imballaggi. Spero che, portando avanti il dibattito, il nostro approccio si avvicini sempre più a quello della Commissione, in modo che siano i consumatori, e non i politici, a scegliere.

Il relatore, onorevole Toubon, si è mostrato disponibile e favorevole ad accettare l’emendamento da me proposto per salvaguardare le confezioni svedesi di latte e permettere quindi ai miei concittadini di continuare ad avere a disposizione il latte per il loro caffè sul posto di lavoro. Per quanto riguarda invece la liberalizzazione di burro e pasta, e, in generale, lo snellimento della normativa, la strada è ancora lunga. Sarebbe un danno sia per la concorrenza che per i consumatori se, con le misure adottate a livello politico, mettessimo in difficoltà le piccole e medie imprese a favore della scalata al mercato da parte dei grandi gruppi. I deputati che rappresentano paesi piccoli non possono accettare una relazione così strutturata. Abbiamo già dibattuto a sufficienza su cetrioli e fragole; ora non discutiamo anche dello “scippo del latte” e poniamo piuttosto al centro delle nostre trattative la garanzia di una maggiore libertà per il consumatore. Per questa questione siamo infatti ben lungi dall’aver trovato una soluzione soddisfacente.

 
  
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  Anna Hedh (PSE). – (SV) Signor Presidente, per molti paesi le modifiche dell’onorevole Toubon alla proposta della Commissione rappresentano un ampliamento della normativa comunitaria per la regolamentazione di un mercato che in realtà già funziona. Noi socialdemocratici svedesi riteniamo che gli emendamenti del relatore non comportino alcun beneficio per i consumatori, ma che, anzi, in caso di approvazione degli stessi, si renderebbero necessari rilevanti costi di conversione per molte aziende europee senza un’effettiva necessità o addirittura senza la volontà da parte di quei gruppi di cittadini che pretendiamo di rappresentare di modificare lo status quo.

Ad esempio, l’Associazione svedese dei consumatori, che coopera attivamente con diversi gruppi di lavoro e associazioni proprio per definire questioni legate agli imballaggi, non ha mai ricevuto, stando alle informazioni che ci giungono dall’Associazione stessa, alcuna richiesta in merito alle dimensioni fisse per gli imballaggi. Inoltre, le Istituzioni europee non terrebbero fede all’impegno di legiferare meglio evitando normative troppo dettagliate. Noi socialdemocratici svedesi non abbiamo nulla contro l’imposizione di misure rigorose alle imprese se questo significa tutelare meglio il consumatore, siamo anzi favorevoli. In questo caso, invece, la regolamentazione risulta superflua e quindi voteremo contro la relazione.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 11.00.

Dichiarazione scritta (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  David Martin. (PSE). – (EN) Ho apprezzato la relazione presentata in questa sede a proposito delle quantità nominali dei prodotti preconfezionati.

Sono favorevole a definire quantità specifiche per la vendita dei prodotti alimentari di base in quanto ritengo importante mantenere quantità nominali nell’interesse del consumatore britannico. La relazione lascia invariate parti essenziali della normativa esistente e, in particolare, neutralizza l’ingiustificato tentativo della Commissione di abolire le dimensioni fisse entro 20 anni. Vista la complessità della questione legata all’”indicazione del prezzo unitario”, la normativa di tutela del consumatore farà sì che la vendita della classica pinta di latte inglese non sia messa a rischio. Contrariamente a quanto affermato dagli euroscettici che hanno creato molto scompiglio tra i consumatori, nel Regno Unito potremo continuare ad acquistare in piena libertà.

 

21. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale

22. Chiusura della seduta
  

(La seduta termina alle 23.25)

 
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