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Procedura : 2004/0248(COD)
Ciclo di vita in Aula
Ciclo dei documenti :

Testi presentati :

A6-0412/2005

Discussioni :

PV 01/02/2006 - 20
CRE 01/02/2006 - 20

Votazioni :

PV 02/02/2006 - 8.3
CRE 02/02/2006 - 8.3
Dichiarazioni di voto

Testi approvati :

P6_TA(2006)0036

Resoconto integrale delle discussioni
Giovedì 2 febbraio 2006 - Bruxelles Edizione GU

9. Dichiarazioni di voto
Processo verbale
  

– Relazione Markov (A6-0005/2006)

 
  
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  Gyula Hegyi (PSE). – (HU) Ho votato con grande piacere a favore dell’atto legislativo sulle condizioni di lavoro dei conducenti che operano nel settore dei trasporti su strada. Approvo l’introduzione, per i conducenti, di periodi di riposo minimo, e ritengo altrettanto importante verificare l’effettiva applicazione di tali norme. Tuttavia, va sottolineato che l’incremento dei trasporti su strada è in contraddizione con il principio fondamentale dello sviluppo sostenibile. Lo spreco energetico, il grave inquinamento atmosferico, il deterioramento delle strade e del territorio sono dirette conseguenze dell’aumento del traffico di autocarri. Per questo l’Unione europea dovrebbe cercare di sviluppare mezzi di trasporto alternativi. Oltre a migliorare le condizioni di lavoro dei conducenti, dovremmo anche occuparci della situazione di chi vive in città e paesi attraversati giorno e notte da camion in corsa.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. — (EN) Accolgo con favore questa nuova normativa, che si propone soprattutto di rafforzare e migliorare la legislazione in materia sociale nel settore dei trasporti su strada.

Vorrei richiamare quattro elementi principali. Il testo stabilisce che ogni nuovo veicolo deve essere equipaggiato di tachigrafo digitale e definisce “periodo di riposo giornaliero normale” ogni periodo di riposo della durata di almeno 11 ore consecutive, da dividere, in alternativa, in due periodi. Inoltre, si è trovato un accordo sulla nuova definizione di “tempo di guida”, così come sulle norme dell’Accordo europeo riguardo alle prestazioni lavorative degli equipaggi dei veicoli addetti ai trasporti internazionali, che verranno allineate con quelle della normativa. Infine, il progetto di risoluzione stabilisce che deve essere rispettato un orario massimo di lavoro settimanale di 60 ore.

Nel complesso, sono persuaso che questo atto legislativo potrà dare un significativo contributo all’incremento della sicurezza stradale in Europa.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) La relazione dell’onorevole Markov su cui il Parlamento ha votato oggi solleva molte questioni per i paesi europei geograficamente periferici, come Portogallo, Spagna e Grecia.

Sono consapevole degli sforzi compiuti durante tutto il periodo dei negoziati. Credo inoltre che la questione dovrebbe essere risolta non solo migliorando la sicurezza stradale sulle autostrade europee, ma anche assicurando, in tutti gli Stati membri, l’equità economica relativamente allo sviluppo e all’espansione del settore dei trasporti su strada.

La lettura di questi testi mi ha portato a concludere che, a dispetto degli sforzi compiuti dai negoziatori, le proposte sono state elaborate per gli autotrasportatori dell’Europa centrale, che percorrono tendenzialmente distanze più brevi.

In qualità di deputato eletto per il Portogallo, non posso quindi far altro che votare contro queste disposizioni, e devo rilevare che per giungere al completamento del mercato interno è necessario tener conto anche dei paesi in cui i trasporti avvengono su lunghe distanze, nonché rispecchiare gli interessi di tutti gli Stati membri, senza eccezioni.

 
  
  

– Relazione Markov (A6-0006/2006)

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per scritto. – (PT) Gli eurodeputati del partito comunista portoghese, insieme alle associazioni dei lavoratori impiegati nei trasporti autostradali e urbani, hanno condotto una lunga campagna a favore dei diritti lavorativi dei conducenti professionali, allo scopo di assicurare il rispetto degli orari di lavoro e dei periodi di riposo previsti per legge, ed evitare che il mostro sacro della concorrenza, con la sua insaziabile voracità, intacchi quei diritti.

Come hanno messo in rilievo i sindacati, sebbene il regolamento appena adottato possa migliorare in alcuni paesi le condizioni sociali dei lavoratori, non tiene conto delle disposizioni dei contratti collettivi di lavoro vigenti in Portogallo, riguardo all’organizzazione dell’orario di lavoro, la determinazione dei periodi di riposo minimi giornalieri e settimanali e al monitoraggio dell’applicazione di tali norme.

Tra i vari aspetti trattati, il regolamento insiste nel mantenere separati i due concetti di “tempo di guida” e “orario di lavoro”, penalizzando così i lavoratori. Per di più, il “nuovo” concetto di periodo di riposo ridotto rende più difficoltoso il compito di monitorare il rispetto dei periodi di riposo minimo, e aumenta la probabilità che le giornate e le settimane lavorative dei conducenti vengano oberate di lavoro. Ci auguriamo pertanto che l’adozione di questo regolamento non sia un (falso) pretesto per giustificare (indebitamente) nuovi attacchi ai diritti dei lavoratori.

(Testo abbreviato conformemente all’articolo 163, paragrafo 1, del Regolamento)

 
  
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  Jörg Leichtfried (PSE), per iscritto. – (DE) Il regolamento relativo all’armonizzazione delle disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada si prefiggeva lo scopo di introdurre norme unitarie, da tempo necessarie, rispetto alle condizioni di lavoro e alla sicurezza del traffico stradale. Resta ancora da vedere se, grazie al presente accordo, la condizione sociale dei conducenti interessati migliorerà effettivamente. Nel settore dei trasporti su strada si è finalmente arrivati a stabilire periodi di guida e periodi di riposo unitari, tuttavia il documento definitivo non include alcuni aspetti a mio avviso importanti, tra cui riferimenti accurati alla direttiva sull’orario di lavoro.

Deploro profondamente che il regolamento oggi approvato non preveda divieti per la retribuzione dei conducenti in base alla distanza percorsa e alla quantità di carico: ho sostenuto vivamente l’importanza di tale misura, come mezzo fondamentale per migliorare le condizioni sociali dei conducenti di camion. Ciò che realmente tutela gli interessi di ogni lavoratore è la retribuzione fissa, e credo che vi abbia diritto anche il personale impiegato nel settore dei trasporti.

La decisione di introdurre norme sociali uniformi nei trasporti su strada europei è, in termini generali, condivisibile, ma se considero i miglioramenti che mi ero aspettato inizialmente per le condizioni dei conducenti, il risultato ci fa tornare con i piedi per terra. Per questo non posso fare altro che respingere entrambe le proposte.

 
  
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  Karin Scheele (PSE), per iscritto. – (DE) Nonostante l’armonizzazione delle norme sociali europee nel settore dei trasporti su strada sia in generale auspicabile, è anche necessario migliorare le condizioni sociali dei conducenti. Poiché in questo caso tale obiettivo non è stato raggiunto, ho votato contro entrambe le proposte.

Il regolamento relativo all’armonizzazione di alcune disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada si prefiggeva lo scopo di introdurre norme unitarie, da tempo necessarie, rispetto alle condizioni di lavoro dei conducenti e alla sicurezza del traffico stradale. Nel settore dei trasporti su strada, si è finalmente arrivati a stabilire periodi di guida e periodi di riposo unitari; tuttavia il documento definitivo non include alcuni aspetti a mio avviso importanti, tra cui riferimenti accurati alla direttiva sull’orario di lavoro.

Purtroppo, il regolamento oggi approvato non prevede divieti per la retribuzione dei conducenti in base alla distanza percorsa e alla quantità di carico, nonostante la retribuzione fissa rappresenti la principale tutela degli interessi di ogni lavoratore e spetti naturalmente anche al personale impiegato nel settore dei trasporti.

 
  
  

– Relazione Toubon (A6-0412/2005)

 
  
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  James Hugh Allister (NI), per iscritto. – (EN) Oggi ho votato contro una proposta della Commissione che mira ad armonizzare e ricondurre al sistema metrico decimale le unità di misura dei prodotti alimentari, compresi pane e latte. Tale direttiva avrebbe decretato la fine della misurazione britannica in pinte, per il latte in bottiglia, e modificato la misura standard del nostro pane.

Oltre a imporre un’uniformità priva di senso, entrambi i provvedimenti avrebbero comportato spese enormi, nel Regno Unito, per i panificatori e gli operatori dell’industria del latte, per il necessario rinnovo delle attrezzature. Avevo incontrato alcuni rappresentanti dell’industria del pane nell’Irlanda del Nord, e nutrivo forti dubbi circa l’intollerabile e costosa imposizione che si prospettava.

Per questo sono molto lieto che il Parlamento europeo abbia rifiutato questo punto dell’ultima folle proposta di Bruxelles.

 
  
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  Lena Ek e Cecilia Malmström (ALDE), per iscritto. – (SV) Se si vuole creare un mercato ben funzionante in Europa, bisogna anche salvaguardare gli interessi dei consumatori. Le correzioni apportate dalla commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori alla proposta legislativa della Commissione recante disposizioni sulle quantità nominali dei prodotti preconfezionati non sono tuttavia atte a creare tale situazione. Il relatore ha proposto alcune norme che regolamentano l’imballaggio, per esempio, di burro, latte, pasta e riso. Credo che i consumatori europei debbano poter scegliere tra vari prodotti, e non riconosco alcun valore intrinseco ad una legislazione che mette al bando le confezioni svedesi di latte attualmente in commercio, che contengono, per esempio, 300 ml di latte. Oggigiorno, i consumatori sono in grado di decidere da soli cosa acquistare comparando i prezzi. Dobbiamo promulgare leggi che migliorino le condizioni di base della concorrenza e garantiscano maggior protezione ai consumatori, ma occorre, come ambisce fare anche la Commissione, abolire le norme superflue. Per questo ho votato a favore di una legislazione europea più agile, che si focalizzi sugli aspetti realmente importanti, invece di introdurre norme superflue, che comportano costi superflui per l’industria alimentare.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) In generale, la proposta di direttiva su cui l’Assemblea ha votato oggi in prima lettura si inserisce nell’ambito del processo di semplificazione della legislazione in materia di mercato interno, sostenuta dalla Commissione. Obiettivo della proposta è raccogliere in un unico atto la legislazione esistente e abrogare (o deregolamentare) tutte le dimensioni d’imballaggio esistenti.

In alcuni settori specifici, tuttavia, verrà mantenuta la regolamentazione in vigore, che si basa sull’armonizzazione totale. Secondo la proposta, gamme obbligatorie potrebbero essere giustificate per settori molto specifici, in cui la normativa comunitaria ha già fissato dimensioni obbligatorie armonizzate: vale a dire vino, alcolici, caffè solubile, prodotti sotto forma di aerosol e zucchero bianco.

Il Parlamento ha anche specificato che la presente direttiva non si applicherà al pane preconfezionato, ai grassi spalmabili, né al tè, cui continueranno ad applicarsi le disposizioni nazionali sulle quantità nominali. In tutti gli altri settori si potranno confezionare e potranno essere acquistati prodotti in una gamma potenzialmente infinita di dimensioni.

Nella relazione si osserva inoltre che per alcuni altri prodotti alimentari di base, quali caffè, burro, sale, riso, pasta e latte alimentare, andrebbero mantenute le gamme obbligatorie in vigore, in deroga alla liberalizzazione.

 
  
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  Hélène Goudin (IND/DEM), per iscritto. − (SV) La relazione presenta una proposta di deregolamentazione ma, al tempo stesso, di armonizzazione delle dimensioni consentite dei prodotti preconfezionati. Da un lato, relativamente al mercato interno, l’esistenza di dimensioni unitarie potrebbe costituire, in definitiva, un vantaggio per il consumatore. Dall’altro, però, la relazione contiene una proposta di regolamentazione comunitaria dettagliata e di vasta portata.

Uno degli emendamenti approvati dalla commissione parlamentare competente asserisce che taluni studi effettuati dalla Commissione dimostrano che i prezzi unitari non sono utilizzati né compresi dai consumatori in modo generalizzato. In una certa misura, tale affermazione dichiara i cittadini degli Stati membri incapaci di badare ai propri interessi, testimoniando così uno spiacevole atteggiamento nei confronti della popolazione.

Oggi ho votato contro la relazione, poiché implica la regolamentazione in un ambito rispetto al quale le decisioni non andrebbero prese a livello europeo, bensì dai singoli Stati membri.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. − (PT) Accolgo con piacere l’obiettivo di semplificazione della legislazione perseguito dalla Commissione. Uno dei più gravi ostacoli all’efficacia economica negli Stati membri dell’Unione europea è rappresentato dall’eccessiva legislazione e dalla regolamentazione esageratamente complessa − in altre parole, da quella che potremmo chiamare lentocrazia.

Sono favorevole alla proposta di semplificazione e liberalizzazione, che è stata in certa misura stemperata dalla natura cautelativa degli emendamenti proposti dal Parlamento. Nei casi in cui è apparso chiaro che la liberalizzazione non avrebbe giovato, o addirittura avrebbe agito contro l’interesse dei consumatori, sono state poste alcune limitazioni. Per questo ho votato a favore della direttiva.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Alcune delle proposte avanzate dalla Commissione avrebbero avuto conseguenze negative per numerose industrie dell’Unione europea, in particolare l’industria del whisky in Scozia; per questo sono lieto che la commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori vi abbia apportato diversi cambiamenti, che sostengo con piacere. Il mercato interno ha costituito un enorme vantaggio per i produttori dell’Unione europea, e noi abbiamo l’obbligo di garantire che quei vantaggi restino in primo piano.

 
  
  

– Relazione Brok (A6-0389/2005)

 
  
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  Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signor Presidente, al momento sono in corso due gravi crisi che richiedono la nostra completa attenzione e disponibilità, e che non si possono allontanare con belle parole, come quelle pronunciate dall’attuale Presidenza austriaca del Consiglio.

In primo luogo, dobbiamo prendere atto della vittoria elettorale di Hamas in Palestina, che va evidentemente accettata come espressione democratica del volere della popolazione. D’altra parte, però, Hamas è un movimento che non ha ancora rinunciato all’uso della violenza e, al contempo, il popolo palestinese ha più che mai bisogno dell’aiuto europeo, anche di natura finanziaria. Nell’evenienza che Hamas formi il nuovo governo, si dovrà ovviamente esigere che rinunci alla violenza.

Passando alla questione iraniana, è auspicabile che non sia troppo tardi per tentare la soluzione che privilegiamo, ossia quella diplomatica, da concordarsi naturalmente con Russia e Cina. Dal momento che l’Iran sembra disposto ad avviare trattative con la Russia circa l’arricchimento dell’uranio, dovremmo percorrere in primo luogo questa strada; allo stesso tempo, però, è importante prendere posizione contro la cooperazione nucleare tra Stati Uniti e India, che sembra confermare il giudizio negativo di Teheran sugli Stati Uniti, definiti un’“autoproclamata polizia mondiale” la cui condotta è, per giunta, ipocrita.

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) Voterò a favore della relazione dell’onorevole Brok relativa alla politica estera e di sicurezza comune. Abbiamo assistito allo sviluppo successivo, in Europa, dell’unione industriale, socioeconomica e monetaria. Oggi l’Unione europea è più grande degli Stati Uniti, con 451 milioni di abitanti, ed economicamente più forte. Eppure nel mondo non parliamo ancora a una sola voce.

Ciò di cui l’Europa ha bisogno, e che sarebbe in grado di darle quella voce, è una politica estera e di sicurezza comune. Con la relazione Brok ci muoviamo nella direzione giusta. Ci saranno molti scontri sui vari dettagli di una simile politica, ma ne abbiamo assoluto bisogno, e dobbiamo realizzarla.

 
  
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  Hélène Goudin (IND/DEM), per iscritto. − (SV) Ancora una volta, figura all’ordine del giorno una relazione sulla politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea, o PESC. E’ ferma convinzione dei membri della Lista di giugno che i problemi relativi alla politica estera e di sicurezza non debbano essere affrontati dall’Unione europea, bensì dai singoli Stati membri.

La relazione prevede inoltre che il Parlamento europeo debba essere consultato all’inizio di ogni anno, nel momento in cui vengono definiti gli orientamenti comuni della politica estera e di sicurezza. In tal modo, il Parlamento cerca di arrogarsi maggior potere, manovra alla quale la Lista di giugno si oppone.

Per le ragioni summenzionate, oggi ho votato contro la relazione.

 
  
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  Richard Howitt (PSE), per iscritto. – (EN) Il gruppo socialista al Parlamento europeo non può che elogiare la relazione dell’onorevole Brok che, con l’impegno a favore di un’efficace PESC, pone l’accento sulla soluzione dei conflitti, la lotta contro la povertà e il rispetto dei diritti umani. Ringraziamo il relatore per le condoglianze espresse in merito agli attentati di Londra. Nondimeno vorrei che fosse messo a verbale anche il nostro sostegno alle norme commerciali e di assistenza a Cipro Nord, più che il contenuto dell’emendamento n. 1, oltre al dissenso che da anni manifestiamo rispetto alle spese militari che gravano sul bilancio generale della Comunità europea.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto – (EN) Accolgo con favore la presente relazione, che stabilisce il diritto del Parlamento a essere consultato più seriamente e a svolgere un ruolo più attivo nella politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea e nella politica europea in materia di sicurezza e di difesa. La relazione della commissione per gli affari esteri stabilisce le priorità necessarie per prevenire i conflitti e sviluppare una cooperazione internazionale basata sul rispetto dei diritti umani e sul diritto internazionale.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della presente relazione perché mi riconosco nel suo contenuto generale, sia in relazione a quelli che sono − o dovrebbero essere − i principali motivi di preoccupazione a livello internazionale, sia rispetto alle indispensabili priorità dell’Unione europea al riguardo.

Sebbene non condivida del tutto alcune delle opinioni espresse nella relazione, soprattutto rispetto a questioni istituzionali, ritengo tuttavia che la concezione generale che ne emerge sia quella giusta. Credo inoltre che il ruolo internazionale dell’Unione europea dipenda più dall’azione pratica e dalla nostra capacità di individuare le preoccupazioni comuni che dalle discussioni sui modelli teorici da adottare. In politica estera la realtà è, di norma, più potente di qualsiasi riflessione teorica.

Infine, noto con piacere una maggior concordia tra i partner transatlantici, e credo che questo costituisca un passo avanti fondamentale sulla via della pace, della democrazia e del benessere mondiali.

 
  
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  Geoffrey Van Orden (PPE-DE), per iscritto. – (EN) Il gruppo conservatore può appoggiare alcune disposizioni della relazione, come l’esortazione a mantenere l’embargo sulle vendite di armi alla Cina, a riprendere i negoziati tra Israele e Palestina e a far sì che i governi africani rispettino gli impegni assunti nei confronti della democrazia e dello Stato di diritto.

Tuttavia, la relazione contiene anche molte proposte alle quali il mio gruppo si oppone fermamente. In generale, cerca di estendere il campo d’azione della politica estera e di sicurezza comune a tutti gli ambiti della politica estera nazionale. Il paragrafo 4 elenca impudentemente le misure adottate “per anticipare l’applicazione di talune disposizioni del nuovo trattato costituzionale relative alla PESC/PESD”, malgrado i caldeggiati rifiuti che sono stati opposti alla Costituzione. Il paragrafo 10 considera erroneamente “la difesa interna come una componente fondamentale della strategia dell’Unione europea in materia di sicurezza”, mentre essa è dominio esclusivo dei governi nazionali. La NATO, che da oltre mezzo secolo costituisce il fondamento della difesa europea e l’organizzazione chiave per quanto riguarda la gestione delle crisi internazionali tramite l’intervento di forze armate, viene a malapena menzionata nella relazione, il cui paragrafo 12 fa ricadere in modo fuorviante il ruolo della NATO entro il “quadro della politica estera e di sicurezza europea”. Ci opponiamo anche all’idea di una missione militare dell’Unione europea nella Repubblica Democratica del Congo e alla creazione di un fondo comunitario per la difesa.

Per questo nella votazione finale ci siamo astenuti.

 
  
  

– Relazione Carlshamre (A6-0404/2005)

 
  
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  Jan Andersson, Anna Hedh, Ewa Hedkvist Petersen, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto.(SV) Abbiamo votato a favore della relazione. Interpretiamo che, con il concetto di “reddito minimo”, che appare al paragrafo 4, lettera f), s’intenda un ragionevole standard di vita garantito, in quanto siamo ben disposti verso un ragionevole standard di vita garantito, ma contrari a stipendi minimi regolati dallo Stato.

 
  
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  Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. (SV) La delegazione dei conservatori svedesi oggi ha scelto l’astensione nella votazione sulla situazione attuale nella lotta alla violenza contro le donne ed eventuali azioni future. Non siamo stati in grado di sostenere la relazione perché tenta in misura eccessiva di assoggettare al processo decisionale comunitario aree di competenza nazionale. Siamo fermamente convinti che, sulle questioni riguardanti la parità tra uomini e donne e sulle politiche in materia di criminalità, le decisioni vadano prese dagli Stati membri, che occupano la posizione migliore per prendere decisioni in tali ambiti. I conservatori hanno aperto la strada a livello nazionale per quanto riguarda molte delle misure discusse nella relazione.

Riteniamo che lo Stato debba adempiere il suo compito primario, e cioè proteggere le persone dagli attacchi criminali, indipendentemente dal sesso della vittima e del perpetratore. Dovremmo porre l’accento sulla responsabilità del singolo autore di violenza anziché procedere sulla base di una visione della società che riduce la responsabilità dell’individuo.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto.(PT) Il Parlamento deve esprimere la propria preoccupazione in merito alla violenza contro le donne. Si tratta di un fenomeno che riguarda donne di ogni età, livello d’istruzione e retroterra sociale, benché alcune forme di violenza siano fortemente legate alla povertà e all’esclusione sociale.

Sosteniamo la raccomandazione che gli Stati membri si orientino alla tolleranza zero per tutte le forme di violenza contro le donne, il che implica attuare metodi efficaci di prevenzione e punizione nonché misure volte a sensibilizzare al problema e a contrastarlo.

Non va dimenticato che la violenza degli uomini contro le donne è un fenomeno associato alla distribuzione iniqua del potere tra i sessi, il che rappresenta di per sé un ulteriore motivo per cui simili crimini non sono stati sufficientemente denunciati e condannati.

Accolgo con favore l’adozione – seppur solo parziale – di alcune delle proposte che abbiamo presentato, soprattutto il riconoscimento che la povertà e l’emarginazione sono cause che stanno alla base dell’aumento del traffico di donne e che la prostituzione non equivale a un lavoro.

Deploro tuttavia che sia stata respinta la proposta che mirava a fornire le risorse necessarie per sviluppare programmi efficaci per l’integrazione di donne implicate nella prostituzione, allo scopo di ridurre gradualmente e infine eliminare la prostituzione.

 
  
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  Hélène Goudin (IND/DEM), per iscritto.(SV) Condivido molte delle opinioni della relatrice al riguardo. E’ estremamente importante sensibilizzare il pubblico degli Stati membri su tali argomenti. Ho votato a favore della relazione perché non raccomanda espressamente una legislazione a livello comunitario. Numerose raccomandazioni vengono presentate sia alla Commissione che agli Stati membri allo scopo di combattere la violenza contro le donne. Credo che in definitiva siano i parlamenti nazionali a dover intraprendere ogni misura necessaria in merito alla questione.

 
  
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  Filip Andrzej Kaczmarek (PPE-DE), per iscritto.(PL) La violenza contro le donne è un’esperienza traumatica, non solo per le donne stesse, ma anche per i loro figli, i parenti e persino per coloro che tentano di aiutare le vittime. Ne ho fatto esperienza personalmente. Una volta ho accompagnato in macchina all’ospedale e alla polizia una donna che era stata picchiata dal marito. In quell’occasione sono stato colto da un’emozione che probabilmente le donne provano spesso. Era rabbia impotente. Si prova questa stessa rabbia sentendo che la polizia ha riportato un ubriacone condannato per maltrattamenti alla famiglia a casa dell’ex moglie, giustificando il proprio operato con il pretesto che l’ultimo domicilio registrato dell’uomo era la casa dell’ex moglie.

Alcuni anni or sono nella mia città natale è accaduta una tragedia. Un uomo è uscito da uno dei centri in cui si portano gli alcolizzati a smaltire l’ubriacatura. Questi centri non sono prigioni. L’uomo è riuscito a camminare per un paio di chilometri, ha ucciso la moglie e ne ha buttato il corpo fuori dalla finestra. Non voglio che accada più nulla di simile.

La violenza non è una questione domestica. Non si può mai giustificare o percepire in termini relativi. L’intera società deve prendere posizione contro la violenza. Non possiamo permettere che il problema sia messo in secondo piano o sottovalutarne l’importanza per la società, né tanto meno possiamo sminuire la portata del fenomeno.

Mi sono espresso a favore della relazione Carlshamre perché siamo tenuti a fare tutto il possibile per eliminare la violenza contro le donne. Il principio di tolleranza zero non è sempre necessario, ma in quest’occasione è davvero indispensabile.

 
  
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  Timothy Kirkhope (PPE-DE), per iscritto.(EN) Io e i miei colleghi del partito conservatore britannico deploriamo ogni violenza contro le donne. In realtà, deploriamo la violenza contro l’altro sesso perpetrata da entrambi i sessi, o da chiunque contro chiunque altro. Crediamo inoltre che le donne debbano essere protette da atti di violenza e che i responsabili di tali atti debbano incontrare il pieno rigore della legge.

Ci siamo tuttavia astenuti dal voto sulla relazione, poiché si tratta di un’occasione sprecata per affrontare un grave problema. Il linguaggio aggressivo rappresenta un limite per l’importante messaggio che la relazione tenta di trasmettere.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto.(EN) Accolgo con favore la presente relazione, che riafferma che la violenza degli uomini contro le donne è una violazione dei diritti umani e che chi commette tale violenza deve essere perseguito con la stessa energia cui si ricorre nei casi di violenza ai danni degli uomini. Vi è una discrepanza tra il modo in cui i crimini violenti vengono trattati e puniti a seconda del sesso della vittima. Il fatto che la violenza sia commessa in un ambiente pubblico o privato non dovrebbe incidere sul modo di affrontarla in quanto reato penale.

Pur ammettendo che la dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1993 è stata un’importante pietra miliare per il riconoscimento del problema della violenza domestica contro le donne, questa relazione sottolinea giustamente che, in ambito comunitario, si può fare di più.

Sostengo in particolare l’invito a procedere a un’analisi approfondita delle dimensioni del problema in seguito agli studi condotti in tre paesi comunitari, che dimostrano che il 40-50 per cento delle donne nel corso della loro vita sono state oggetto di violenza da parte di un uomo. Nell’Unione europea abbiamo il dovere di riconoscere e assicurare i diritti delle donne alla vita e all’incolumità fisica nel rispetto dello Stato di diritto.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto.(DE) Le questioni relative ai diritti delle donne si annoverano tra i problemi scaturiti dalla massiccia influenza di altre culture su cui, per decenni, si è chiuso un occhio a causa di un’idea sbagliata di tolleranza. Dai fatti, soprattutto dalla realtà che una donna su quattro nell’Unione europea subisce violenza da parte di un familiare maschio, che metà degli omicidi totali viene commessa all’interno della famiglia e che si compiono mutilazioni genitali su circa 500 000 donne, emerge con chiarezza che è tempo di iniziare a porre freno una volta per tutte a tali fenomeni.

Pertanto non si può che provare vergogna di fronte al fatto che in questa nostra Unione europea, a quanto pare, è possibile adottare regolamenti sulla curvatura dei cocomeri e delle banane, ma non si riescono definire norme uguali per tutti su come va punita la violenza contro le donne. Non è meno patetico quando pubblici funzionari chiudono un occhio su casi di poligamia o assumono persino un atteggiamento ad essa favorevole, incoraggiando ulteriormente la violazione dei diritti umani.

Per quanto sia lodevole per la Presidenza del Consiglio rispondere a questo stato di cose dichiarando l’intenzione di fare di più in difesa dei diritti delle donne, non basta far sì che dottori, insegnanti e poliziotti diano un briciolo di informazioni in più. Il problema fondamentale riguarda i modelli di ruolo presentati agli uomini; se quelli della nostra società occidentale sono di natura competitiva, il che non è assolutamente una situazione ideale, quelli dell’ideologia musulmana si spingono fino a rendere esemplare l’odio per le donne. Dobbiamo iniziare da questo punto.

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE), per iscritto.(FR) Almeno un terzo delle donne nel corso della vita subiscono un’aggressione fisica o sessuale. E’ la cifra allarmante tratta dall’eccellente relazione della mia collega del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, onorevole Maria Carlshamre.

Di fronte all’escalation di violenza contro le donne e al fatto che sta diventando un fenomeno quotidiano, esiste una sola risposta, decisa e adeguata: tolleranza zero, che la violenza abbia luogo all’interno o al di fuori del matrimonio.

L’Europa ha inoltre affrontato le proprie responsabilità al fine di combattere questa forma di violenza che affligge le donne di ogni gruppo sociale. Nell’ambito del programma DAPHNE II, per il periodo 2004-2008 sono stati destinati 50 milioni di euro alla protezione di quelle donne che tra noi corrono maggiori rischi. Si tratta di una cifra simbolica, perché tutti sappiamo bene che, se si vuole che siano efficaci, le politiche di prevenzione e di sostegno alle vittime vanno condotte su base nazionale.

Pertanto è inquietante apprendere che, ogni anno, tra i cinque e i dieci milioni di bambini vedono e sentono accadere simili atti inumani.

Ritengo quindi essenziale che i 25 apparati legislativi penali d’ora in avanti considerino vittime sia i bambini che le loro madri.

La nostra società da troppo tempo sottovaluta la gravità degli atti di violenza contro le donne. Dobbiamo porre fine a tale codardia.

 
  
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  Peter Skinner (PSE), per iscritto.(EN) Ho numerose e profonde ragioni per sostenere questa relazione. Per la maggior parte delle persone nella società la violenza contro le donne è un abominio, ma sappiamo che esiste.

La violenza tra persone che si conoscono, ad esempio tra partner, va affrontata con estrema serietà da parte delle autorità. Sono favorevole alle azioni proposte per favorire i cambiamenti, soprattutto in materia di traffico e di violenza domestica.

 
  
  

– Relazione Estrela (A6-0401/2005)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’ottima relazione della collega, onorevole Edite Estrela, sulla parità tra uomini e donne nell’Unione europea, e sono lieto che sia stata adottata quasi all’unanimità dal Parlamento europeo.

La parità di opportunità fa parte dei grandi principi repubblicani della Francia e sostengo che debba essere rispettata a livello europeo conformemente, ad esempio, al Trattato di Roma che istituisce la Comunità europea e alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Qualsiasi disuguaglianza fondata sul genere delle persone è fonte di ingiustizia, violenza sociale e incomprensione tra i nostri concittadini. L’Unione europea ha il dovere di garantire la parità di trattamento degli esseri umani, che è fonte di armonia, pace e progresso. In questo modo, l’Unione europea darà a tutto il mondo un chiaro esempio a favore dei valori umani che difendiamo e che insieme costituiscono uno dei pilastri dell’integrazione europea.

 
  
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  Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. – (SV) La delegazione dei conservatori svedesi ha deciso oggi di astenersi nella votazione sulla parità tra uomini e donne nell’Unione europea. Noi conservatori vogliamo lottare contro la mancanza di libertà derivante dalle disuguaglianze e dai pregiudizi, tuttavia non spetta all’Unione europea definire quali misure devono essere adottate negli Stati membri o da altri attori della società. Non possiamo pertanto sostenere la relazione, che avanza numerose proposte che costituiscono un’ingerenza in settori di competenza degli Stati membri, come ad esempio le proposte relative alle strutture per la custodia dei bambini, a proposito delle quali esistono ampie differenze tra le tradizioni e le caratteristiche culturali distintive degli Stati membri.

La relazione sconfina inoltre in settori che neppure gli Stati membri dovrebbero regolamentare, ad esempio per quanto riguarda la valutazione da parte dei partiti politici di strategie per favorire l’inserimento di un maggior numero di donne nelle loro strutture. Nella relazione vengono tuttavia trattate altre importanti questioni, quale la necessità di raccogliere dati statistici comparabili in materia di retribuzioni di uomini e donne e di lotta contro le discriminazioni.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Abbiamo votato a favore della relazione in esame in quanto ne sosteniamo il contenuto, pur sapendo che si tratta solo di un’altra dichiarazione di intenti da parte del Parlamento europeo contro le politiche già esistenti, che, in alcuni casi, mettono in discussione la parità di diritti e aggravano le discriminazioni, ad esempio nel mercato del lavoro.

Accogliamo con favore l’adozione di una proposta che invita la Commissione a informare il Parlamento in merito ai progressi compiuti nei vari Stati membri, in particolare per quanto riguarda l’attuazione della piattaforma d’azione di Pechino, non da ultimo nel campo della salute riproduttiva e sessuale, e a pubblicare dati statistici su tutti gli Stati membri.

Auspichiamo inoltre che l’Istituto europeo per l’uguaglianza tra uomini e donne sia dotato delle risorse necessarie per fornire un contributo positivo alla promozione della parità di diritti e per garantire che le donne siano trattate con la dignità che meritano.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Approvo la relazione d’iniziativa della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere sul futuro della strategia di Lisbona in merito alla prospettiva di genere. Concordo sul fatto che occorra adottare misure per promuovere l’occupazione femminile e per ridurre le ineguaglianze che permangono tuttora tra donne e uomini.

La relazione sottolinea le disparità ancora esistenti in ambiti fondamentali come l’occupazione, il divario salariale, l’istruzione e la formazione lungo tutto l’arco della vita. Inoltre stabilisce i modi in cui è possibile conciliare con successo la vita professionale con quella familiare e privata.

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Occuparsi della parità fra uomini e donne significa innanzi tutto essere consapevoli di quanta strada è stata fatta nel corso di oltre un secolo dai tempi delle prime lotte per l’emancipazione femminile, ma significa anche considerare quanto si debba ancora fare perché la parità di genere diventi parte integrante della vita quotidiana.

Ecco perché questo pomeriggio sono lieta per l’adozione della relazione Estrela, che mette in evidenza varie forme di discriminazione di cui sono vittime le rappresentanti del sesso femminile e che pertanto costituiscono altrettante sfide da raccogliere. Per citarne solo un paio: un divario di retribuzione stimato al 16 per cento e un tasso di occupazione delle donne tra i 15 e i 24 anni che ristagna, malgrado in quella fascia d’età il livello d’istruzione delle donne sia più elevato.

Rimuovere gli ostacoli che si frappongono all’accesso delle donne nel mercato del lavoro vuol dire ovviamente realizzare un numero sufficiente di strutture pubbliche e private per bambini piccoli, e ciò almeno fino al raggiungimento dell’età della scuola dell’obbligo. Vuole anche dire mettere in pratica la parità dei diritti parentali. Per garantire tutti questi miglioramenti nella vita quotidiana della gente, l’Unione deve battersi per gli standard più elevati, puntare in alto e ambire al successo dei paesi scandinavi in materia di misure relative all’eguaglianza di genere.

 
  
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  Georgios Toussas (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il Partito comunista greco ha votato contro la relazione, perché si serve dei problemi sociali delle classi lavoratrici per accelerare ed estendere le ristrutturazioni capitaliste i cui effetti si ripercuotono su entrambi i sessi.

Per combattere la disoccupazione femminile si propone di estendere le “forme flessibili di occupazione”. In mancanza di strutture assistenziali pubbliche, viene proposto di trasferirne l’onere sulla famiglia, ma in modo paritario. In altre parole, anche gli uomini dovrebbero fare ricorso all’occupazione a tempo parziale per sopperire alla mancanza di assistenza statale nella procreazione e di assistenza agli anziani e ai disabili Ciò comporterebbe in definitiva, per le famiglie delle classi lavoratrici, l’impossibilità di fare fronte alle necessità fondamentali.

La cosiddetta abolizione della discriminazione tra i sessi sul posto di lavoro è stata usata come alibi per revocare diritti derivati dalle esigenze specifiche delle donne, esigenze che sono legate alla loro funzione riproduttiva.

Condanniamo, in quanto fuorviante, il dibattito sul cambiamento della composizione del potere in base al genere. Non è il genere a determinare la politica. Il potere della plutocrazia non cambierà se ci sono più donne nelle istituzioni che la servono.

I problemi delle donne hanno origine nel sistema capitalista che sfrutta donne e uomini, servendosi del genere e dell’età per estendere la politica capitalista a entrambi i sessi.

Le fondamenta per la parità si possono gettare solo nel quadro del potere dei gruppi di base, in cui la rispettiva ricchezza si ottiene attraverso la produzione e i beni prodotti.

 
  
  

– Relazione Ferber (A6-0390/2005)

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE).(PT) A proposito del voto sulla direttiva postale, ritengo sia particolarmente importante menzionare la necessità di mantenere la garanzia del servizio universale. Il completamento del mercato interno dei servizi postali deve tenere conto non solo dell’importanza economica del settore, ma anche della sua dimensione territoriale e sociale insostituibile.

I servizi locali prestati dalle poste in ogni Stato membro svolgono un ruolo sociale rilevante al quale non dobbiamo rinunciare. Dobbiamo quindi prestare particolare attenzione alla dimensione territoriale e sociale delle reti postali quando siamo chiamati a prendere decisioni sulle riforme del settore, ricordando l’impatto di vasta portata che tali decisioni possono avere quando i servizi postali sono completamente aperti alla concorrenza. Considero quindi fondamentale che lo studio previsto esamini se le disposizioni della direttiva postale sono sufficientemente chiare per quanto riguarda gli obblighi relativi al servizio universale e se stabilisce un quadro adeguato per gli Stati membri.

Non dobbiamo mettere in pericolo l’obiettivo fondamentale della direttiva di garantire a livello comunitario servizi postali territoriali e sociali minimi di qualità e a prezzi accessibili.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La liberalizzazione dei servizi postali rientra nella cosiddetta “strategia di Lisbona” e mira ad aprire il settore al capitale privato. L’obiettivo finale è la privatizzazione di questo servizio pubblico, cominciando dalle sezioni più proficue e “ovviamente” continuando a essere sostenuto dal finanziamento pubblico (si prenda ad esempio il modello applicato nella gestione degli ospedali).

La lotta dei lavoratori del settore e della popolazione – mi riferisco in particolare alle numerose manifestazioni contro la chiusura di uffici postali e per avere la garanzia della distribuzione postale – è riuscita a rinviare e in qualche caso a bloccare questo processo in alcuni dei suoi aspetti più gravosi.

La presente relazione del Parlamento europeo intende valutare le conseguenze della liberalizzazione attuata sinora negli Stati membri dell’UE, prima di nuove iniziative della Commissione mirate ad approfondirla.

La relazione non critica l’attuale processo di liberalizzazione, né ne evidenzia le conseguenze negative, come la chiusura di punti di accesso, la riduzione della distribuzione quotidiana a domicilio e la diminuzione dei livelli di occupazione; anzi, fa proprio il contrario. Non mette in discussione la liberalizzazione del settore nel 2009, ma difende invece l’apertura del settore e la supremazia della concorrenza.

Pertanto il nostro voto è contrario.

 
  
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  Jörg Leichtfried (PSE), per iscritto. – (DE) L’anno 1997 segnò l’inizio del processo di liberalizzazione del mercato postale europeo, il cui obiettivo era creare un mercato aperto accessibile a ogni prestatore di servizi in quelli che ora sono 25 Stati membri.

I servizi postali nazionali risposero alla pressione derivante dal processo di liberalizzazione incominciando a modificare le proprie strutture e a riposizionarsi.

Nonostante tutti questi progressi, l’attuazione della direttiva a livello nazionale deve essere esaminata da vicino. Ad esempio, è inaccettabile che la legislazione postale austriaca imponga sanzioni sproporzionatamente alte a chi omette di installare nuove cassette postali alla propria abitazione. Non si può dare la colpa di questo alla direttiva postale europea del 2002, poiché quest’ultima non prevedeva tali sanzioni a livello nazionale. Un’attuazione di questo tipo delle direttive incoraggia l’atteggiamento di scetticismo dell’opinione pubblica nei confronti dell’Unione europea e la convinzione che la responsabilità per questo stato di cose è di Bruxelles e di nessun altro.

Chiedo alla Commissione di verificare l’attuazione della direttiva postale, con lo scopo in particolare di evitare l’imposizione a livello nazionale di sanzioni sproporzionate che mettono in pericolo il funzionamento del mercato postale. Dovrebbe essere considerata una priorità da esaminare nel quadro del prossimo studio.

Poiché questa relazione di iniziativa avanza tale richiesta, l’accolgo con favore.

 
  
  

– Proposta di risoluzione: Situazione nel Medio Oriente (RC-B6-0086/2006)

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La situazione è estremamente complicata, ma i risultati delle elezioni non devono essere usati per minare il diritto inalienabile del popolo palestinese alla libertà, a uno Stato sovrano indipendente con Gerusalemme Est come capitale e alla resistenza contro l’occupazione. Né vanno usati per mettere in forse gli aiuti finanziari all’Autorità palestinese, aiuti che sopperiscono alle più basilari necessità di quel popolo, o per alimentare il crescente coinvolgimento militare degli Stati Uniti in tutta l’area del Medio Oriente. E’ d’importanza cruciale dimostrare solidarietà all’eroica lotta del popolo palestinese e del movimento nazionale palestinese.

Infine vorrei esprimere la mia delusione perché la maggioranza parlamentare ha respinto gli emendamenti presentati dal nostro gruppo che invitavano Israele a rispettare le risoluzioni delle Nazioni Unite e le raccomandazioni della Corte internazionale di giustizia, e cercavano di portare in cima all’elenco delle priorità l’esigenza di porre fine all’impasse nel processo di pace, all’occupazione militare, agli insediamenti, al muro, agli omicidi, alle detenzioni, al rifiuto di liberare i prigionieri, alla violenza cui il popolo palestinese è sottoposto e al drammatico degrado delle sue condizioni di vita.

(Dichiarazione di voto abbreviata conformemente all’articolo 163, paragrafo 1, del Regolamento)

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della proposta di risoluzione comune sulla situazione in Palestina. Sebbene sia giusto invitare Hamas a riconoscere Israele e a porre fine al terrorismo, non dobbiamo mettere in discussione l’esito di elezioni democratiche libere e regolari. L’Unione deve continuare a fornire assistenza al popolo palestinese e mantenere il proprio impegno quale membro del Quartetto nella promozione della “roadmap per la pace”.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Quando la democrazia produce un risultato indesiderato, c’è la tentazione di condannare la possibilità che un simile esito possa verificarsi. Ciò è comprensibile, ma di scarsa rilevanza. Quello che la democrazia deve cercare di fare è agire con efficacia per impedire che la gente aderisca a tali movimenti.

E’ tutt’altro che sicuro che ci sia democrazia in Palestina, nonostante le regolari elezioni che si sono svolte, ed è di questo che dobbiamo preoccuparci. La democrazia e lo Stato di diritto, che comportano, inter alia, la coesistenza pacifica con altri paesi senza desiderare la distruzione dei propri vicini e, naturalmente, l’eliminazione del terrorismo, devono essere la pietra angolare della nostra politica relativa a questa parte del mondo.

A prescindere dall’attuale natura del movimento che ha vinto le elezioni palestinesi, l’importante ora è chiedere che il futuro governo dell’Autorità palestinese rispetti gli accordi internazionali e i principi richiesti per la coesistenza pacifica dei due paesi; altrimenti sarà impossibile aiutare i palestinesi. Benché questo risultato rifletta la volontà della gente, le conseguenze potenziali restano gravissime.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) La vittoria di Hamas è stata determinata dalla volontà democratica del popolo palestinese, e benché io abbia presentimenti inquietanti riguardo alle politiche di tale organizzazione, non c’è dubbio che Hamas rappresenti il governo legittimo. L’aiuto col quale l’Unione contribuisce al processo di pace può, anzi deve, essere subordinato al proseguimento delle iniziative per la pace. Se smettessimo di fornire assistenza adesso rischieremmo di inimicarci un’organizzazione con cui l’Unione deve restare impegnata. Credo che, continuando a esercitare pressioni, la Comunità contribuirà al raggiungimento di una soluzione a lungo termine. Non possiamo venire meno ai nostri impegni adesso a causa dell’avversione nei confronti di singoli partner con cui siamo obbligati a collaborare.

 
  
  

– Proposta di risoluzione: Cuba (RC-B6-0075/2006)

 
  
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  James Hugh Allister (NI), per iscritto. – (EN) Oggi ho votato a favore della risoluzione congiunta su Cuba, anche se avrei preferito che questo documento dichiarasse espressamente il rammarico per il ritiro delle sanzioni avvenuto nel 2005.

Essendo una comunità fondata sull’imperativo dell’egemonia marxista, non sorprende che Cuba sia un bastione della repressione, dove si schiaccia il dissenso e si nega la libertà.

Il fatto che il Sinn Fein/IRA continui ad avere una rappresentanza a Cuba dà un’idea significativa della realtà totalitaria e marxista che si nasconde dietro la facciata democratica di questo paese. Questa realtà è stata smascherata nel 2001 quando, com’è noto, proprio il rappresentante del Sinn Fein/IRA, Niall Connolly, organizzò assieme ad altri l’ignominioso addestramento dei guerriglieri del FARC in Colombia.

Il ritiro delle sanzioni nel 2005 da parte dell’Unione si è rivelato un fallimento assoluto. Gli abusi contro i diritti umani sono aumentati, non diminuiti. Come sempre, gli estremisti marxisti, siano essi Castro o il Sinn Fein, si limitano a intascare le concessioni e ad andare avanti imperterriti. Penso che a questo punto abbiamo imparato la lezione e che sia ora di ridare nerbo alla nostra posizione contro questo regime odioso.

 
  
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  Bastiaan Belder (IND/DEM), per iscritto. – (NL) Cuba lascia molto a desiderare per quanto riguarda le libertà fondamentali, come risulta sia dall’interrogazione orale che da questa risoluzione, per il resto adeguata.

C’è un aspetto che vorrei sottolineare e si tratta della posizione delle chiese domestiche. Secondo la nuova normativa contenuta nella direttiva n. 43 e nella risoluzione n. 46, tutte le comunità domestiche operative devono registrarsi presso le autorità. E’ prassi regolare che le istanze di registrazione sfocino in trattative estremamente complicate con le autorità. Tali trattative implicano informazioni dettagliate sui membri della comunità e sui loro pastori. Questa nuova normativa ha già determinato la chiusura di molte chiese domestiche.

Nel 1992 le autorità cubane hanno modificato la costituzione, con l’effetto di trasformare il paese da Stato ateo in Stato laico. Si è trattato di un primo passo nella direzione giusta. Dalla nuova legislazione, tuttavia, sembra trasparire una tendenza verso nuove restrizioni. La costituzione cubana riconosce il diritto dei cittadini alla libertà di religione, ma de facto viene imposto un numero sempre maggiore di restrizioni. Perché le chiese cristiane, comprese quelle che sono registrate, sono sottoposte a verifiche così meticolose, controllate e persino infiltrate? Difficilmente si può parlare di vera libertà di credo a Cuba.

Chiederei al Consiglio e alla Commissione di affrontare tali questioni negli incontri con le autorità cubane.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Ho votato contro la risoluzione perché ne disapprovo il contenuto, che non prende assolutamente in considerazione il contesto in cui Cuba è stata costretta a vivere per molti anni, in particolare l’embargo statunitense e tutti gli attacchi che questo paese ha subito.

La risoluzione omette inoltre qualsiasi riferimento all’esistenza della base statunitense di Guantánamo, dove l’Amministrazione Bush detiene prigionieri senza processo e calpesta i diritti umani e la Convenzione di Ginevra.

Inoltre non fa alcun riferimento ai cinque cittadini cubani ancora trattenuti negli Stati Uniti. Alcuni di loro non possono ricevere visite dai familiari, malgrado il tribunale di Atlanta abbia capovolto la sentenza che aveva comportato in un primo momento la loro detenzione.

La posizione assunta a questo riguardo dalla maggioranza del Parlamento è un caso lampante di doppiopesismo e si adegua alla linea degli USA, che consiste in una pressione continua su popoli e governi che non ne seguono gli orientamenti e resistono alla sottomissione.

E’ altrettanto deludente che non ci sia una parola sull’importante contributo che Cuba sta fornendo allo sviluppo sociale dei popoli dell’America latina e dell’Africa. I giovani di queste zone geografiche vanno a Cuba per ricevere formazione e istruzione, e Cuba invia migliaia di medici e altri professionisti in altri paesi.

(Dichiarazione di voto abbreviata conformemente all’articolo 163, paragrafo 1, del Regolamento)

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) Voterò con riluttanza a favore della presente risoluzione. La situazione dei diritti a Cuba è tutt’altro che perfetta e in alcuni casi le autorità cubane sono state i peggiori nemici di se stesse, come quando hanno di recente negato alle rappresentanti dell’associazione Damas de Blanco il permesso di recarsi a Strasburgo per ricevere la propria parte del premio Sacharov. Per ora, a mio avviso, non c’è nessun clima di paura all’Avana come quello che invece ho visto nel Kashmir o, fino a poco tempo fa, ad Aceh.

E’ una questione di proporzionalità. E’ vero, Cuba viola i diritti umani, ma non quanto la Colombia con le sue squadre della morte o Haiti con l’anarchia delle bande criminali e la politica violenta che hanno causato più di 1 000 morti. E’ auspicabile che con le elezioni della prossima settimana si possa cominciare a porre termine a questo stato di cose. Dov’è la preoccupazione costante del Parlamento per questi e altri diritti umani in luoghi che non siano Cuba? Dove sono le nostre preoccupazioni per la Cuba “occupata” della Baia di Guantánamo, dove i rapporti indicano che la situazione è assai peggiore che nelle peggiori prigioni di Cuba?

 
  
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  Hélène Goudin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) Ovviamente ritengo che Cuba debba essere una democrazia parlamentare. Tuttavia, penso anche che la politica estera sia una questione nazionale e che i canali multilaterali come le Nazioni Unite siano la sola alternativa accettabile per influenzare paesi che non si trovano nelle immediate vicinanze dell’Unione.

Per i motivi suesposti ho votato contro la risoluzione.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Duecento parole non basteranno mai per sventare un’altra manovra che s’inquadra nella politica comunitaria d’isolamento e discriminazione nei confronti di Cuba, politica prona alle richieste degli Stati Uniti.

E’ la stessa Unione europea che, non dimentichiamolo, nella sua posizione comune del 1996 ha chiesto un cambiamento nel sistema politico di Cuba, interferendo così in una questione che è di esclusiva competenza del popolo cubano.

La maggioranza di questo stesso Parlamento ha cinicamente criticato l’embargo statunitense contro Cuba, ma ha anche chiesto che venissero mantenute le sanzioni imposte a Cuba dall’Unione. Inoltre non ha espresso una sola parola di solidarietà per i cinque patrioti cubani trattenuti negli Stati Uniti per avere difeso il proprio paese dal terrorismo.

Anche se dà fastidio alla maggioranza dell’Assemblea, Cuba significa speranza e fiducia in una vita decorosa per milioni di uomini e donne. E’ un paese che, ad onta dell’embargo, nel 2005 ha conseguito la crescita economica più elevata degli ultimi 45 anni, un paese destinato ad assumere la presidenza dei paesi non allineati e a ospitarne il vertice del 2006, nonché un paese che invia migliaia di medici, insegnanti e allenatori sportivi in altri paesi, anziché eserciti per occupare, sfruttare e opprimere.

(Dichiarazione di voto abbreviata conformemente all’articolo 163, paragrafo 1, del Regolamento)

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Cuba rappresenta la prova del fatto che, nel mondo occidentale, non tutti i muri della vergogna sono caduti. Tra l’idealismo assurdo di certuni e il pragmatismo spudorato di altri, c’è chi sembra determinato a dimenticare che a Cuba non c’è democrazia, né diritti umani, né libertà, nulla di ciò che siamo abituati a considerare i mattoni fondamentali delle nostre società. Nessun romanticismo impenetrabile e nessun pragmatismo possono giustificare alcun cambiamento alla sostanza della posizione: condanna coerente di Cuba e invito alla democratizzazione, senza la quale non sarà possibile mantenere stretti legami con questo governo tirannico.

 
  
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  Esko Seppänen (GUE/NGL), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della proposta di risoluzione comune su Cuba, ma in questo documento mancano molti fatti importanti relativamente al contesto politico.

Il problema principale della situazione cubana è causato dall’embargo statunitense e dalla minacciosa aggressività degli Stati Uniti nei confronti di Cuba.

Porre fine all’embargo e fermare le minacce aggressive degli Stati Uniti costituirebbe il passo più importante per instaurare un clima in cui ci sarebbero possibilità migliori per dar luogo a una vera democrazia a Cuba.

L’aggressiva politica statunitense, però, non costituisce l’unica ragione delle severe restrizioni che la libertà di espressione e la democrazia patiscono a Cuba. Anche il governo cubano deve assumersi le proprie responsabilità.

Ne è un esempio, tra gli altri, la decisione di non permettere alle vincitrici del Premio Sacharov, le Damas de Blanco, di uscire dal paese per ritirare il premio a Strasburgo.

Ho votato a favore della risoluzione, ma protesto contro il divieto imposto dal governo cubano alle Damas de Blanco di effettuare il viaggio.

 
  
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  Jonas Sjöstedt (GUE/NGL), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della proposta di risoluzione su Cuba, anche se in questo documento mancano molti fatti importanti relativamente al contesto politico.

Il problema principale della situazione cubana è causato dall’embargo statunitense e dalle minacce aggressive degli Stati Uniti ai danni di Cuba.

Porre fine all’embargo e fermare le minacce aggressive degli Stati Uniti costituirebbe il passo più importante per instaurare un clima in cui ci sarebbero possibilità migliori per dar luogo a una vera democrazia a Cuba.

L’aggressiva politica statunitense, però, non costituisce l’unica ragione delle severe restrizioni che la libertà di espressione e la democrazia patiscono a Cuba. Anche il governo cubano deve assumersi le proprie responsabilità.

Ne è un esempio, tra gli altri, la decisione di non permettere alle vincitrici del Premio Sacharov, le Damas de Blanco, di uscire dal paese per ritirare il premio a Strasburgo.

Voterò a favore della risoluzione, malgrado le sue imperfezioni, dal momento che intendo protestare contro il divieto imposto dal governo cubano alle Damas de Blanco di effettuare il viaggio.

 
  
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  Sahra Wagenknecht (GUE/NGL), per iscritto. – (DE) Respingo la risoluzione su Cuba, che è unilaterale e non rende assolutamente giustizia alla complessa realtà di tale paese. Se condanniamo Cuba,

– non teniamo in nessun conto gli sforzi compiuti da questo paese, a dispetto dell’ostilità che la circonda, per seguire una nuova via di sviluppo;

– ignoriamo i risultati esemplari che Cuba ha conseguito prodigandosi per il benessere del suo popolo e che continua a ottenere nonostante l’embargo americano e gravi problemi economici;

– non riconosciamo che l’esistenza duratura del sistema cubano offre un barlume di speranza a quelli del cosiddetto Terzo mondo che si trovano dalla parte dei vinti in un mondo globalizzato, dove i mercati e i profitti contano più di qualsiasi altra cosa.

La presente risoluzione si limita a una visione riduttiva del concetto di diritti umani, e il modo in cui se ne serve tradisce una doppiezza morale intollerabile. La risoluzione non mira a difendere i diritti umani, ma piuttosto a condannare il sistema cubano e contribuire alla sua caduta. Non voglio contribuire a tutto ciò.

 
  
  

– Proposta di risoluzione: Esecuzione del bilancio dell’Unione Europea (RC-B6-0074/2006)

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’esecuzione del bilancio comunitario, il cui scopo è garantire l’effettiva attuazione delle decisioni politiche, è una questione molto importante.

Purtroppo la procedura di bilancio è sempre meno trasparente e più frammentata, rendendo difficile accertare la destinazione finale dei fondi.

I risparmi di bilancio imposti dal Patto di stabilità e di crescita e dai principali paesi contribuenti ha significato che, a seguito dell’adozione del bilancio comunitario annuale, molti settori prioritari sono sottofinanziati, e ciò ha comportato una politica di ridistribuzione, riduzioni tra le rubriche di bilancio e innumerevoli bilanci rettificativi. In altre parole, viene incoraggiata la non esecuzione in determinati settori per finanziarne altri, a prescindere dal bilancio approvato.

Esistono anche politiche e strumenti, come il Patto di stabilità e di crescita, che contribuiscono alla mancata esecuzione. A questo proposito, la Commissione e il Consiglio non possono sottrarsi alle loro responsabilità, tenuto conto della costante riduzione dei pagamenti rispetto alle autorizzazioni.

L’attuazione nazionale deve andare di pari passo con la definizione delle priorità nazionali in loco, soprattutto quando si tratta di Fondi strutturali. A prescindere dagli strumenti appena proposti, non riteniamo che i negoziati sulle nuove prospettive finanziarie debbano essere subordinati alle proposte che vengono adottate.

(Testo abbreviato conformemente all’articolo 163, paragrafo 1, del Regolamento)

 
  
  

– Proposta di risoluzione: Risorse della pesca (RC-B6-0076/2006)

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La proposta di risoluzione su cui abbiamo appena votato sottolinea la necessità di adottare nuove misure di gestione per il Mediterraneo, tenendo sempre conto del principio secondo cui, per garantire che la pesca sia redditizia, che le flotte possano continuare a operare, che i posti di lavoro possano essere mantenuti e che le comunità dei pescatori possano svilupparsi, deve essere assicurata la sostenibilità delle risorse ittiche.

Riteniamo pertanto che il Consiglio debba adottare il regolamento in materia di gestione riguardo al quale il Parlamento ha ora espresso il suo parere.

Tenuto conto che la situazione attuale può creare discriminazioni tra i pescatori che operano in altre acque, riteniamo tuttavia indispensabile garantire un effettivo decentramento e la partecipazione delle principali parti interessate alle decisioni in materia di gestione, in particolare i pescatori e le loro organizzazioni rappresentative, poiché le misure concrete devono riflettere le realtà specifiche di ciascuna zona di pesca o regione.

Siamo anche del parere che il regolamento in materia di gestione debba essere accompagnato dalle misure necessarie per compensare con fondi comunitari le ripercussioni socioeconomiche dovute allo stesso regolamento. Tutte le misure devono essere basate su una ricerca scientifica nel campo della pesca.

 
  
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  Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ci sono molti casi in cui un’Unione europea di 25 Stati non ha senso e le decisioni uniformi non funzionano più – se mai hanno funzionato. Non c’è motivo per cui io, quale deputato della Scozia a questo Parlamento, dovrei avere voce in capitolo sul Mediterraneo, e di conseguenza mi sono astenuto dal voto. L’Unione deve escogitare nuovi modi di operare per garantire la legittimità delle nostre decisioni. Continuare a credere che tutti siano ugualmente interessati a tutto è insostenibile e scredita l’Unione stessa.

 
  
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  Presidente. – Con questo si concludono le dichiarazioni di voto.

 
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