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Resoconto integrale delle discussioni
Martedì 14 febbraio 2006 - Strasburgo Edizione GU

13. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni al Consiglio)
Processo verbale
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  Presidente. L’ordine del giorno reca il Tempo delle interrogazioni (B6-0002/2006).

Saranno quindi prese in esame le seguenti interrogazioni rivolte al Consiglio.

Prima parte

Annuncio l’interrogazione n. 1 dell’onorevole Dimitrios Papadimoulis (H-0006/06):

Oggetto: Negoziati di adesione della Serbia-Montenegro

Il 20 giugno 2003, il Consiglio europeo di Salonicco ha deciso che in prospettiva tutti i paesi dei Balcani occidentali potranno aderire all'UE. Ovviamente, la Serbia-Montenegro veniva esclusa dai lavori europei e solo il 10 ottobre 2005 il Commissario per l'allargamento, Olli Rehn, ha dato avvio ai negoziati in vista di un accordo di stabilità e associazione tra l'Unione Europa e la Serbia-Montenegro.

Può il Consiglio far sapere a che cosa è dovuto questo orientamento? Nel caso della Serbia-Montenegro, varranno gli stessi criteri che per la Croazia? Ritiene il Consiglio che l'atteggiamento della Serbia nei negoziati sul regime definitivo del Kosovo influirà sui negoziati relativi all'accordo di stabilità e associazione?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, in risposta all’interrogazione dell’onorevole Papadimoulis vorrei sottolineare che ovviamente valgono gli stessi criteri per tutti i paesi dei Balcani occidentali. Il Consiglio ha sempre ribadito questo principio che, inutile dirlo, si applica anche alla Serbia-Montenegro.

Permettetemi di ricordarvi che, in occasione del Vertice tenutosi a Zagabria nel novembre 2000, i capi di Stato e di governo degli Stati membri dell’Unione e i paesi dei Balcani occidentali avevano espresso il loro impegno nei confronti del processo di stabilizzazione e di associazione. Si era affermato a chiare lettere che l’adesione all’Unione europea può avvenire solo a patto che vengano rispettate le condizioni sancite dal Trattato sull’Unione europea, che vengano soddisfatti i criteri di Copenaghen e che si compiano progressi in merito all’accordo di stabilizzazione e di associazione. Va da sé che tutti i paesi devono ottemperare ai suddetti requisiti nello stesso modo, senza alcuna discriminazione.

E’ inoltre previsto un impegno per quanto riguarda la cooperazione regionale e di buone relazioni di vicinato, elementi essenziali del processo di stabilizzazione e di associazione.

Tale impegno è stato ribadito nella dichiarazione del Vertice di Salonicco del 2003, che ha inoltre rilevato la prospettiva europea di questi paesi. A questo punto vorrei nuovamente precisare che la Presidenza austriaca, nel quadro delle sue priorità, intende proprio riaffermare tale prospettiva europea concentrandosi sui Balcani durante i sei mesi del suo mandato; i paesi dei Balcani occidentali devono avere la possibilità di aderire all’Unione europea qualora ottemperino ai requisiti previsti.

Per quanto riguarda la Serbia-Montenegro, dal 2000 questo paese beneficia di concessioni commerciali e di assistenza tecnica e finanziaria nell’ambito del processo di stabilizzazione e di associazione. Dal 2001, l’Unione europea ha inoltre fornito sostegno politico alla Serbia-Montenegro attraverso la task force consultiva e, successivamente, tramite il dialogo permanente rafforzato in vista dei negoziati su un accordo di stabilizzazione e di associazione.

Per progredire nelle varie fasi del processo negoziale, la Serbia-Montenegro dovrà continuare a collaborare a stretto contatto e in maniera costante con il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia. Questo principio vale per la Serbia-Montenegro, come valeva per la Croazia, e si applica anche a tutti gli altri paesi della regione.

La Commissione europea sorveglia inoltre la cooperazione di Serbia-Montenegro con il Tribunale penale internazionale durante i negoziati sull’accordo di stabilizzazione e di associazione. Qualora la Commissione dovesse accertare che la cooperazione non è totale, potrà decidere, insieme al Consiglio, di sospendere tali negoziati.

Come ho già evidenziato, la Serbia-Montenegro e tutti gli altri paesi della regione devono ovviamente soddisfare i criteri di Copenaghen, tra cui figurano la stabilità politica, il rispetto dei diritti umani e la capacità di ottemperare agli specifici requisiti del processo di stabilizzazione e di associazione.

L’onorevole deputato ha inoltre sollevato la questione del Kosovo. Vorrei precisare che, per quanto riguarda il Kosovo, il Consiglio europeo ha affermato chiaramente ciò che l’Unione europea si aspetta dalle parti nel giugno 2005. Ha chiesto sia a Belgrado che a Pristina di non ostacolare l’introduzione degli standard necessari in Kosovo. Come sapete, i negoziati sullo status del Kosovo sono in corso. Tuttavia, affinché sia possibile raggiungere una soluzione accettabile per entrambe le parti, ciascuna di esse dovrà dare prova di buona volontà in questo processo.

In quell’occasione il Consiglio ha affermato che qualsiasi soluzione dovrà essere pienamente compatibile con i valori e le norme europei, contribuendo alla realizzazione della prospettiva europea per il Kosovo e la regione. Ha inoltre dichiarato che la definizione dello status del Kosovo dovrà rafforzare la sicurezza e la stabilità della regione e che, pertanto, sarebbe inaccettabile qualsiasi soluzione unilaterale o che risultasse dall’uso della forza.

 
  
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  Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL).(EL) Signor Presidente in carica del Consiglio, grazie molte per la risposta. Ho notato con particolare interesse che il Consiglio e la Presidenza austriaca seguiranno esattamente gli stessi criteri e dimostreranno la medesima attenzione sia per le prospettive europee di Serbia-Montenegro che per quelle della Croazia.

Nello specifico, vorrei chiederle esattamente in che modo il Consiglio collega le prospettive europee di Serbia-Montenegro alle discussioni sul futuro del Kosovo.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, i colloqui sul Kosovo sono in corso sotto l’egida delle Nazioni Unite. Il processo di stabilizzazione e di associazione si sta realizzando sotto gli auspici dell’Unione europea. Probabilmente in questo momento sarebbe insensato chiedersi cosa succederebbe se dovesse verificarsi un’ipotesi piuttosto che un’altra.

Entrambi i processi devono proseguire e alla fine dovranno fondersi. Ovviamente è altrettanto chiaro che, a prescindere dallo status finale del Kosovo, anche questo paese dovrà avere una prospettiva europea, qualunque forma esso assuma. In questo momento non dobbiamo lasciarci influenzare dalla questione dei negoziati sullo status, ma insistere sul processo di stabilizzazione e di associazione per la Serbia-Montenegro.

 
  
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  Bart Staes (Verts/ALE).(NL) Signor Presidente, il Presidente in carica del Consiglio è indubbiamente a conoscenza del fatto che, nel corso dei bombardamenti effettuati all’inizio della guerra in Kosovo nel marzo 1999, molte migliaia di persone sono state rapite e sono scomparse. A tutt’oggi, sono ancora 2 500 le persone di cui non si sa più nulla, e questo provoca molta sofferenza in Kosovo. Fratelli, sorelle, genitori e figli non sanno dove siano i loro cari. E’ stata istituita una commissione mista serbo-croata per risolvere la questione, ma i serbi non stanno fornendo un contributo concreto.

Il Presidente in carica del Consiglio conviene con me che, per soddisfare uno dei requisiti per l’adesione all’Unione europea, occorre fare qualcosa per risolvere i citati problemi umanitari, in modo che si possa sapere dove sono queste persone, se sono vive o morte, e che sia possibile riportarle in Kosovo?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, vorrei precisare che nei colloqui e nei negoziati con la Serbia-Montenegro vengono ovviamente sollevate tutte le questioni relative ai diritti dell’uomo. I valori europei comuni rivestono particolare importanza soprattutto in questi negoziati, in cui si affrontano anche i problemi citati dall’onorevole deputato.

 
  
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  Hubert Pirker (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, nell’interesse della stabilità dell’Unione europea, è molto apprezzabile che l’Austria si stia impegnando nei confronti dell’Europa sudorientale. Ora sappiamo che ad aprile potrebbe tenersi una votazione sull’indipendenza del territorio del Montenegro. In che modo potrà cambiare, o cambierà, la strategia dell’Unione europea nei confronti di questo nuovo Stato del Montenegro? Quale forma di sostegno fornirà l’Unione europea alla costruzione di un paese stabile?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, in risposta a questa domanda vorrei dire che probabilmente al momento non avrebbe senso anticipare l’effetto che il potenziale esito di un eventuale referendum potrebbe avere sulle relazioni tra Serbia e Montenegro o tra un eventuale nuovo Stato del Montenegro e l’Unione europea; non sappiamo nemmeno in quali condizioni si terrà questo referendum.

In ogni caso, la Presidenza e la Commissione vogliono che Serbia e Montenegro procedano quanto più rapidamente possibile verso l’integrazione nelle strutture europee. Il nostro obiettivo è questo. Al momento non siamo in grado di dire come ci comporteremo qualora le due parti dello Stato attuale venissero separate. Tuttavia, e questa è forse la risposta diretta alla sua domanda, di certo non vogliamo che il processo di convergenza con l’Unione europea si interrompa, anche nel caso in cui il Montenegro dovesse diventare indipendente. Dobbiamo essere pronti a ogni possibilità. Per ora, comunque, il processo deve essere portato avanti in maniera coerente e dobbiamo essere pronti a qualsiasi evenienza.

 
  
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  Presidente. Annuncio l’

interrogazione n. 2 dell’onorevole Richard Corbett (H-0036/06):

Oggetto: Critiche del Presidente del Consiglio alla Corte di Giustizia

Le recenti critiche rivolte dal presidente del Consiglio Wolfgang Schüssel alla Corte di giustizia sono condivise dall'intero Consiglio?

Ritiene il Consiglio che la giurisprudenza risalente al 1985 su cui si basa il principio di non discriminazione sulla base della nazionalità per avere accesso all'istruzione secondaria sia illegittima?

In caso affermativo, perchè il Consiglio non ha espresso tale parere in via preliminare e non ha invitato la Commissione ad avanzare proposte per cambiare la situazione giuridica?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (EN) L’Istituzione della Corte di giustizia delle Comunità europee è indubbiamente un elemento importante dell’Unione. Nessuno lo ha mai messo in dubbio e sicuramente il Consiglio non ha mai contestato questo fatto, perché è fuori discussione.

Se un politico, e in questo caso il Cancelliere austriaco, contribuisce al dibattito sul funzionamento delle Istituzioni europee, non per questo viene messa in discussione l’Istituzione della Corte di giustizia stessa. Dobbiamo poter dibattere e discutere del funzionamento delle varie Istituzioni comunitarie, compresa la Corte di giustizia, ma, lo ribadisco, questo non significa in alcun modo che stiamo mettendo in discussione l’Istituzione in sé.

Si tratta inoltre di una questione di cui il Consiglio, come Istituzione, non ha discusso e pertanto non posso dare una risposta a suo nome. Credo sia legittimo discutere e riflettere sul funzionamento della Corte e di altre Istituzioni. Si trattava di un contributo al dibattito sul futuro dell’Europa.

 
  
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  Richard Corbett (PSE).(EN) La ringrazio per la risposta, ma vorrei ricordarle che, diversamente da quanto avviene per la Corte suprema degli Stati Uniti, che è nominata dalle istituzioni federali degli USA, la nostra Corte di giustizia viene di fatto nominata dagli Stati membri; eppure, sembra che siano proprio questi ultimi a lamentarsi di alcune delle sue sentenze.

La Corte non può intervenire in qualunque questione: può pronunciarsi solo sulle controversie che le vengono deferite. Concluderò citando le parole di un ex Presidente della Corte di giustizia, che disse: “La Corte non prende decisioni politiche, ma talvolta deve ricordare ai politici le decisioni che hanno preso”.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (EN) Ritengo che questa sia davvero una domanda alla quale non posso dare una risposta. Sicuramente conveniamo che, come ha detto lei, la Corte è un’Istituzione costituita attraverso gli Stati membri, così come conveniamo che la Corte si pronuncia ed emette sentenze che gli Stati membri hanno il dovere di accettare. Questo non significa che non si possa esprimere il proprio parere sulla sentenza.

 
  
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  Reinhard Rack (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, le critiche del Cancelliere austriaco erano suffragate da un antefatto concreto, ovvero dall’esistenza di problemi di cifre e di problemi finanziari tra l’Austria e la Repubblica federale di Germania riguardo all’accesso all’istruzione superiore, simili a quelli sorti tra Francia e Belgio. Considerata la differenza di dimensioni, per lo Stato più piccolo è difficile garantire sempre tutto ciò che, sia a livello finanziario che organizzativo, l’accesso assolutamente illimitato all’istruzione superiore richiederebbe.

L’Austria ritiene che vi siano soluzioni al problema specifico dell’accesso all’istruzione superiore, e se sì, quali?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, le critiche dell’Austria sulla sentenza emessa dalla Corte di giustizia delle Comunità europee in merito all’accesso all’istruzione superiore, cui ha fatto riferimento l’onorevole deputato, in realtà riguardavano essenzialmente gli effettivi problemi emersi a seguito della sentenza e dell’applicazione – a nostro parere eccessivamente rigorosa – del divieto di discriminazione nell’ambito della politica dell’istruzione. A tale proposito si era anche affermato – osservazione che, a sua volta, avrebbe davvero dovuto essere presa in considerazione – che se si fossero istituiti periodi di transizione e non si fosse imposto l’effetto retroattivo, si sarebbe agito in assoluta coerenza con la tradizione delle Corti supreme. Tutti questi punti danno adito alla formulazione di osservazioni sulla sentenza.

Questa sentenza ha di fatto precluso l’accesso di cittadini austriaci a molti settori dell’istruzione superiore, soprattutto a settori che sono importanti per soddisfare, in questo caso specifico, il fabbisogno di medici dell’Austria. Questa turbativa di quella che dopo tutto è un’importantissima questione nazionale è un problema che va risolto. Occorre trovare una soluzione affinché ogni anno in Austria – o in Belgio – venga formato un numero di medici sufficiente a soddisfare le esigenze del paese; si tratta sicuramente di una richiesta legittima.

Sono state formulate proposte per superare ed eliminare il problema. Una di queste, che in ultima analisi dovrà essere approvata dal Parlamento europeo perché dovrà essere trasformata in legge, consiste nel fissare un limite per lo studio della medicina – odontoiatria e medicina umana – che si baserà non sulla nazionalità, ma sul possesso del diploma di scuola superiore austriaco, grazie al quale sarà possibile accedere all’istruzione superiore. In questo modo sarà salvaguardato il numero di studenti di medicina, di dottori, di cui l’Austria ha bisogno a livello nazionale per il proprio servizio sanitario.

Riteniamo che questa soluzione sia compatibile sia con il diritto comunitario che con la sentenza della Corte di giustizia, che in definitiva ha rilevato che l’unica manchevolezza era l’assenza di una documentazione numerica di questa turbativa. A un anno di distanza, ora questa documentazione è disponibile. Credo che questa soluzione, che è molto simile a quella cui sono addivenuti Belgio e Francia, reggerà anche il vaglio del diritto comunitario. Ritengo che a questo proposito siamo vicini a una soluzione valida.

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, la strategia di Lisbona resterà un obiettivo prioritario del Consiglio, della Commissione, del Parlamento e in ultima analisi anche dei cittadini europei fino al 2010. A suo parere, quale ruolo devono svolgere la politica dell’istruzione e la questione dell’accesso all’istruzione superiore all’interno della strategia di Lisbona?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Come il Parlamento europeo e la Commissione, anche il Consiglio ritiene che l’istruzione sia dotata di un potenziale altissimo per la realizzazione degli obiettivi di Lisbona. Può apportare un importantissimo contributo ed è sicuramente anche uno degli elementi su cui dobbiamo concentrarci se vogliamo raggiungere gli obiettivi che la strategia di Lisbona si è data.

Oltre ad approvare i nuovi orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione, tra cui figurano gli orientamenti generali per le politiche economiche e gli orientamenti per l’occupazione, riteniamo sia altrettanto importante riflettere sulla compatibilità reciproca della strategia di Lisbona e del processo di Bologna nel dibattito in corso sul futuro dell’Unione europea e delle sue Istituzioni.

Il processo di Bologna, che porterà alla creazione di uno spazio europeo per l’istruzione superiore entro il 2010, riveste una grande importanza soprattutto per i nostri giovani. Probabilmente questo è dovuto al fatto che le norme che disciplinano l’accesso all’istruzione superiore si trovano a dover fare in conti, da un lato, con i diritti dei cittadini europei nel mercato interno e, dall’altro, con il pieno rispetto della responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione del sistema di istruzione, che è sancito dal Trattato CE.

Questa tensione permea anche altre aree della strategia di Lisbona, in cui le competenze nazionali contrastano con gli obiettivi europei e si devono trovare soluzioni che rendano giustizia ad entrambi i principi, ed è particolarmente accentuata nel settore dell’istruzione. Ecco perché è importante trovare soluzioni soprattutto in questo settore, perché non potremo realizzare gli obiettivi della strategia di Lisbona senza migliorare l’accesso all’istruzione.

 
  
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  Presidente. Annuncio l’

interrogazione n. 3 dell’onorevole Vytautas Landsbergis (H-0045/06):

Oggetto: Confini tra l'Unione europea - e più in particolare l'Estonia - e la Russia

Nel quadro della Dichiarazione comune rilasciata a Roma in occasione del vertice UE/Russia, il 6 novembre 2003, la Russia si era impegnata a concludere rapidamente gli accordi sui confini con Estonia e Lituania, all'epoca ancora in sospeso, risolvendo così definitivamente tutte le questioni relative ai propri confini con l'Unione allargata. Nel 2005 il governo russo ha tuttavia annunciato che non intendeva divenire parte contraente di due trattati già conclusi e relativi ai confini con l'Estonia, trattati che le due parti avevano appena firmato e che il parlamento estone aveva già ratificato. Con una mossa che non ha precedenti, Mosca si è addirittura spinta al punto di revocare la firma del governo russo e recentemente ha fatto pressioni sull'Estonia affinché facesse un passo indietro e riaprisse i negoziati, durati 10 anni. Consiglio e Commissione mantengono una posizione poco chiara, sebbene la provocazione da parte russa stia mettendo a repentaglio la credibilità dell'intera Unione agli occhi dei nuovi Stati membri. Può il Consiglio indicare se è accettabile che la leadership dell'UE rimanga in disparte assumendo il ruolo di un osservatore indifferente? È giusto che il Consiglio rifiuti di prendere posizione in una controversia a nome dell'UE?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevole Landsbergis, non posso che essere d’accordo con lei. Il Consiglio condivide la sua preoccupazione, che poi è la preoccupazione di molti, circa la persistente esitazione della Russia nel firmare e ratificare gli accordi sulle frontiere con Estonia e Lettonia.

Non posso tuttavia concordare con lei su un altro punto. L’Unione europea non è assolutamente, come lei l’ha definita, un osservatore indifferente, ma anzi affronta con regolarità e anche in modo abbastanza diretto questo problema negli incontri con la Russia, come è avvenuto anche nell’ultima riunione della troika tra i ministri degli Esteri europei e la Russia nel novembre 2005. Il Consiglio manterrà questo atteggiamento per tutto il tempo che sarà necessario. Se non ricordo male domani si terrà un’altra riunione della troika tra la Russia e l’Unione europea e in quella sede sarà certamente affrontata anche la presente questione.

 
  
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  Vytautas Landsbergis (PPE-DE). – (EN) La situazione del confine tra l’Unione e la Russia in Estonia si trasformerà in una vera e propria sfida per la solidarietà europea se l’Estonia sarà abbandonata alla pressione e alla provocazione della Russia. Qual è quindi il messaggio generale del Consiglio? Intende quest’ultimo adottare una chiara politica di solidarietà oppure preferisce affidarsi a vaghi giochi diplomatici senza fornire risposte?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (EN) Professor Landsbergis, l’unica risposta che posso dare alla sua domanda è un chiaro “sì”: l’Unione europea si mostrerà certamente solidale con uno Stato membro. Non c’è alcun dubbio a questo proposito, né possono esistere considerazioni che ci inducano a scostarci da questa scelta di solidarietà.

 
  
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  Richard Seeber (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, da parte russa sono arrivate ripetute lamentale circa il mancato rispetto, da parte dei paesi baltici, dei loro obblighi, in particolare nei confronti delle minoranze russe presenti in quegli Stati. Ci sono state difficoltà, soprattutto in Lettonia, per quanto riguarda la naturalizzazione e il completo ripristino dei diritti civili della minoranza russa.

Come intende procedere il Consiglio nei confronti degli Stati membri in questione? Ovvero, come giudica questo problema?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, nel suo dialogo con la Russia il Consiglio sottolinea regolarmente che, in quanto membri dell’Unione europea, i paesi baltici si sono ovviamente conformati ai criteri di Copenaghen e pertanto anche il trattamento della minoranza russa è conforme alle norme di diritto internazionale applicabili, in particolare quelle contenute nelle raccomandazioni del Consiglio d’Europa e dell’OSCE. Inoltre, non esistono preclusioni alla naturalizzazione o all’esercizio dei diritti civili per la minoranza russa.

Il Consiglio tiene quindi a sottolineare che i diritti delle minoranze sono rispettati e che l’Unione europea sta compiendo grandi sforzi concreti per combattere contro qualsiasi forma di discriminazione negli Stati membri. La discriminazione è in contraddizione con le norme in materia stabilite dai criteri di Copenaghen che, come sappiamo, devono essere rispettate da tutti gli Stati membri dell’Unione.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, vorrei solamente sapere se il Consiglio è consapevole del fatto che i problemi dei paesi baltici traggono origine dall’occupazione durata diversi decenni nel quadro del patto Hitler-Stalin in violazione delle norme di diritto internazionale. Oggi questi Stati rappresentano il confine tra la Russia e l’Unione europea. Ritiene il Consiglio che il riconoscimento del citato confine possa essere subordinato al soddisfacimento di determinate condizioni? Non sarebbe forse più giusto imporre alla Russia detto riconoscimento quale presupposto per future relazioni amichevoli e proficue con l’Unione europea?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, è ovvio che il riconoscimento dei confini non può essere subordinato a nessuna condizione, e vorrei che questo fosse chiaro.

Onorevole Posselt, mi consenta di raccontare ciò che mi viene dalla mia esperienza. Ero Rappresentante permanente dell’Austria al Consiglio d’Europa quando la Russia e i paesi baltici sono stati ammessi. Naturalmente sono consapevole delle origini storiche di questa situazione. Ciò che conta è che i paesi baltici, in quanto membri dell’Unione europea, sono tenuti al rispetto delle disposizioni, norme e regole di diritto internazionale applicabili, in particolare quelle del Consiglio d’Europa e dell’OSCE. Perché, grazie a Dio, gli standard che abbiamo nell’Europa del Consiglio d’Europa, ma anche e soprattutto quelli dell’Unione europea, sono in realtà più elevati rispetto al diritto internazionale in generale. Dobbiamo esserne fieri. Anche il Consiglio si sente in dovere di rispettare tali norme e standard più severi.

 
  
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  Presidente. Annuncio l’

interrogazione n. 4 dell’onorevole Proinsias De Rossa (H-0059/06):

Oggetto: Votazioni del Consiglio in pubblico

Il 21 dicembre 2005, il Consiglio ha approvato le sue conclusioni sul miglioramento dell'apertura e della trasparenza al suo interno.

Il punto 4 di tali conclusioni stabilisce che "la votazione su tutti gli atti legislativi adottati mediante la procedura di codecisione avviene in pubblico" e che "il risultato della votazione è indicato chiaramente sullo schermo televisivo che comunica al pubblico la votazione".

Può il Consiglio confermare che dalle informazioni fornite sarà possibile individuare la posizione assunta nelle votazioni da ciascuna delegazione in seno al Consiglio e che un archivio pubblico di tali voti e delle posizioni assunte da ciascuna delegazione sarà successivamente disponibile su Internet?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, all’interrogazione dell’onorevole De Rossa sulla pubblicità delle votazioni del Consiglio posso rispondere nei seguenti termini. Il Cancelliere federale, nel suo discorso di apertura della Presidenza austriaca il mese scorso, ha dichiarato che la trasparenza è un auspicio della Presidenza austriaca. E’ nostra intenzione ottenere la massima trasparenza possibile nel quadro delle possibilità e delle disposizioni vigenti tra le Istituzioni.

Pur nella consapevolezza dei limiti che esistono, la Presidenza sarà lieta di fare tutto quanto è in suo potere, nei cinque mesi che ormai rimangono, e in tal senso sono in corso colloqui anche con la Presidenza finlandese.

L’attuale situazione può essere così descritta: quando il Consiglio agisce in qualità di legislatore, sono pubblicati i risultati delle votazioni, le dichiarazioni di voto dei membri del Consiglio, nonché le dichiarazioni iscritte al verbale del Consiglio. Le informazioni sul voto espresso dalle delegazioni sono pubblicate e sono accessibili sul sito Internet del Consiglio.

Sul medesimo sito si trovano altresì indicazioni sugli atti giuridici adottati in via definitiva dal Consiglio in un dato mese, come pure l’estratto mensile degli atti giuridici del Consiglio. In tale lista sono riportati anche eventuali voti contrari e astensioni, le dichiarazioni di voto e le regole applicate alla votazione.

Stiamo sforzandoci di ottenere ulteriori miglioramenti. Il Segretariato del Consiglio sta attualmente adottando misure per inserire sul sito Internet del Consiglio anche i risultati delle votazioni relative alle proposte legislative adottate con procedura di codecisione affinché il pubblico possa accedervi.

Infine, vorrei ancora ricordare che, dopo l’adozione definitiva di un atto legislativo, il Segretariato generale rende accessibili al pubblico, senza restrizioni, tutti i documenti già redatti in relazione all’atto in questione ai quali non si applichi un’eventuale deroga.

La nostra Presidenza è impegnata a fare in modo che le restrizioni esistenti e previste siano applicate nel modo più limitato possibile.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE).(EN) La ringrazio per la sua risposta e per il suo impegno a favore della trasparenza. Vorrei chiederle, nello specifico, se la discussione sulla direttiva “servizi” in sede di Consiglio, nei prossimi mesi, sarà aperta al pubblico e se le decisioni adottate a titolo individuale dagli Stati membri saranno disponibili al pubblico. In caso negativo, per quale motivo, tenuto conto che è da molto tempo che l’Unione europea non si trova a discutere di una questione tanto controversa e per la quale esiste un enorme interesse da parte dell’opinione pubblica? Se intendiamo seriamente avvicinare l’Europa al pubblico, ai suoi cittadini, allora questo è proprio il tipo di dibattito che dobbiamo rendere pubblico in seno al Consiglio.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Confermo il nostro indiscusso impegno a favore di un’Europa più vicina ai suoi cittadini. Rispetto alla direttiva “servizi”, agiremo come per tutte le procedure di codecisione – esistono regole molto chiare al riguardo –, il che significa che all’inizio e al termine della procedura si tiene un dibattito pubblico. Non sono in grado, in questa fase, di anticipare se, nel caso della direttiva “servizi”, gli Stati membri saranno disponibili ad andare oltre quanto prescrivono le norme, che noi evidentemente rispetteremo. Il regolamento consente già una certa pubblicità di taluni segmenti della procedura, e ciò si applica alla direttiva “servizi” tanto quanto ad ogni altra direttiva. I risultati delle votazioni, le dichiarazioni di voto e le dichiarazioni iscritte a verbale sono tutti resi pubblici.

Concordo con l’onorevole parlamentare che siamo ancora lontani da ciò che consideriamo auspicabile. Il processo è stato avviato dall’accordo di dicembre. La Presidenza austriaca lo sta applicando e sta cercando di andare oltre, insieme agli amici finlandesi, poiché si tratterà di un lungo processo. Stiamo cercando di rendere le regole più trasparenti, ma ci vorrà un po’ di tempo.

 
  
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  Richard Corbett (PSE).(EN) Accolgo con favore questa eccellente iniziativa adottata sotto la Presidenza britannica. Tuttavia vorrei chiedere se il Consiglio concorda che il principio secondo cui il processo legislativo dovrebbe essere pubblico si dovrebbe applicare, per logica, a tutta la legislazione, non soltanto alla procedura di codecisione. Il Consiglio si riserva di considerare a tempo debito di estendere tale decisione affinché tutte le deliberazioni legislative siano pubbliche? Si può sostenere, infatti, che, quando il Consiglio emana atti legislativi per i quali non è necessariamente richiesta l’approvazione da parte del Parlamento, è ancora più importante che la procedura di adozione sia la più trasparente possibile.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (EN) Confermo che questo è un obiettivo che si dovrebbe perseguire, ma non sono sicuro che si possa raggiungere nella fase attuale. Come dico, si tratta di un processo lungo e richiederà del tempo. In questo momento dovremmo accontentarci di compiere tutti i passi possibili, di continuare a lavorare sulla base di cui già disponiamo, di interpretare le regole nel modo più esteso, e di cercare – se non durante il nostro semestre di Presidenza, nel prossimo – di modificare nuovamente il regolamento interno per ottenere ancora più trasparenza.

Questo è l’obiettivo, ma richiederà del tempo. Mi dispiace di ripetermi, ma così stanno le cose.

 
  
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  Gay Mitchell (PPE-DE).(EN) E’ d’accordo il Presidente in carica del Consiglio che, se una qualunque altra legislatura nell’Unione europea adottasse decisioni e pubblicasse i verbali e le note relative alle discussioni e si offrisse di caricare le informazioni su un sito Internet, la gente penserebbe che si tratta di un atteggiamento assai poco democratico e limpido? Non è forse giunto il momento, una volta per tutte, di fare in modo che, quando il Consiglio dei Ministri agisce in qualità di legislatore, le sue riunioni siano pubbliche? Apprezzo i progressi compiuti, ma è totalmente inaccettabile che nel XXI secolo si continui a legiferare in questa maniera.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (EN) Temo di non poter aggiungere molto a quanto ho già affermato. L’obiettivo di lungo termine deve essere una maggiore trasparenza. Non vi è dubbio in merito e la Presidenza austriaca certamente condivide tale obiettivo. Tuttavia, vi sono regole da modificare e procedure da adeguare e possiamo soltanto lavorare perseguendo l’obiettivo di cui sopra.

Certamente condivido la necessità espressa da tutti gli onorevoli parlamentari intervenuti di avvicinare il pubblico e aiutarlo a comprendere meglio cosa sta succedendo nell’Unione europea e in tutte le sue Istituzioni.

 
  
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  Presidente. Annuncio l’

interrogazione n. 5 dell’onorevole Laima Liucija Andrikiene (H-0069/06):

Oggetto: Nuove prospettive finanziarie 2007 - 2013

Nella sua risoluzione del 18 gennaio 2006 il Parlamento europeo ha sottolineato in modo chiaro che le sue priorità per le nuove prospettive finanziarie 2007-2013 sono la prosperità, la competitività, la solidarietà, la coesione e la sicurezza. La coesione è importante non solo per i nuovi Stati membri dell'UE, ma anche per i vecchi, vale a dire Spagna, Portogallo, Grecia e altri. Il PE ha respinto le conclusioni del Consiglio europeo del 15-16 dicembre 2005 e ha espresso la sua disponibilità ad avviare negoziati costruttivi con il Consiglio sulla base delle rispettive posizioni a condizione che la Presidenza austriaca riceva un effettivo mandato negoziale. Ha trovato il Consiglio un accordo su tale mandato? Condivide la posizione del PE secondo la quale nel periodo 2007-2013 la coesione deve restare una priorità insieme alla competitività, alla sicurezza e alla prosperità?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, in merito all’interrogazione dell’onorevole Andrikienė, in questa fase posso soltanto affermare che sulle prospettive finanziarie 2007-2013 ovviamente il Consiglio sostiene la posizione che è stata concordata nella seduta del Consiglio europeo del 15-16 dicembre 2005. Il Consiglio ha sottolineato che l’obiettivo della coesione economica e sociale dovrà continuare ad essere al centro della politica dell’Unione europea per la durata delle prossime prospettive finanziarie.

Peraltro tale posizione si rispecchia nell’accordo raggiunto dal Consiglio europeo, in base al quale oltre il 35 per cento del bilancio totale per il periodo 2007-2013 sarà dedicato a tale settore della politica.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE-DE).(DE) La verità è che il tempo corre e le due autorità di bilancio dell’Unione europea – il Consiglio e il Parlamento – sono consapevoli che per concludere un accordo in tempo dovranno avviare negoziati costruttivi senza indugio. Quando sarà disposto il Consiglio ad aprire negoziati costruttivi con il Parlamento? Quando avrà un mandato il Consiglio? Quali sono le priorità della Presidenza nei negoziati sulle nuove prospettive finanziarie?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (EN) Vorrei rassicurare l’onorevole parlamentare che siamo impegnati in negoziati costruttivi. E’ nel nostro interesse: nell’interesse del Consiglio, tanto quanto del Parlamento europeo, che tali negoziati si concludano in modo proficuo. Per essere credibile l’Unione europea, nel suo insieme, deve agire tempestivamente e costruttivamente. Il Consiglio è preparato ad agire il più tempestivamente e costruttivamente possibile. Posso garantirle che già nella tradizionale riunione della Commissione con i membri del governo austriaco, tenutasi il 19 gennaio, il Presidente della Commissione e il Presidente in carica del Consiglio Schüssel hanno concordato che le proposte della Commissione saranno sottoposte quanto prima e che il Consiglio negozierà il più rapidamente possibile e in buona fede.

In linea con l’accordo intercorso tra le tre Istituzioni, speriamo in una conclusione dei negoziati sull’accordo interistituzionale ad aprile e stiamo lavorando in questa direzione. Non posso essere più preciso. Tuttavia, si tratta di un obiettivo credibile che speriamo di raggiungere. Posso assicurare all’onorevole parlamentare che ci stiamo impegnando a fondo per conseguirlo.

 
  
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  Reinhard Rack (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, l’interrogativo continua comunque ad aleggiare: la Presidenza austriaca ha già ottenuto dal Consiglio un mandato specifico per l’avvio dei negoziati? In caso contrario, a quale livello e con quale finalità potranno svolgersi i colloqui in sede di Comitato dei rappresentanti II, fintanto che non vi sarà un mandato?

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio.(DE) Signor Presidente, posso rispondere all’onorevole Rack ricordando che, secondo il programma di lavoro della Presidenza, le riunioni di trilogo saranno preparate dal Comitato dei rappresentanti II. Attualmente la procedura è in corso.

Posso assicurarle – lo so per esperienza diretta – che si sta lavorando assiduamente in tal senso. Tuttavia, lei comprenderà che in questo momento non sono in grado di prendere posizione sullo stato preciso dei necessari chiarimenti tra Consiglio e Commissione, qualunque sia la fase della procedura. Ciò pregiudicherebbe i negoziati.

Vorrei ancora una volta ribadire con particolare enfasi che, ovviamente, proprio nell’interesse del Consiglio, ma anche nell’interesse del Parlamento europeo, faremo tutto il possibile perché i negoziati possano essere avviati, condotti e portati a buon fine il più rapidamente possibile. Lo dobbiamo ai cittadini europei. Anche la credibilità dell’Unione europea dipenderà dalla tempestività e dallo spessore dell’accordo su tale questione.

 
  
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  Agnes Schierhuber (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Ministro, sappiamo tutti quanto la Presidenza austriaca si stia prodigando per finalizzare le nuove prospettive finanziarie. Pertanto le chiedo se il Consiglio continua ad essere convinto che la politica agricola comune e la politica per le aree rurali contribuiscano in modo fondamentale alla realizzazione degli obiettivi di Göteborg e di Lisbona, e se il Consiglio seguita a ritenere prioritario che siano messi a disposizione i fondi necessari a tale scopo nel quadro delle prospettive finanziarie.

 
  
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  Hans Winkler, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevole parlamentare, l’ho già accennato e lo ripeto, poiché questa è la posizione del Consiglio: la nostra base è l’accordo raggiunto a dicembre. Questo è l’ambito in cui ci muoviamo, e le priorità che ne derivano, a questo punto, dovranno essere stabilite nei negoziati. Ovviamente ci riconosciamo negli obiettivi che lei ha indicato e continueremo a rispettare il nostro impegno.

 
  
  

Seconda parte

 
  
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  Presidente. Poiché vertono sullo stesso argomento, le seguenti interrogazioni saranno esaminate congiuntamente e la risposta sarà fornita da Martin Bartenstein, in rappresentanza del Consiglio.

Annuncio l’interrogazione n. 6 dell’onorevole Bernd Posselt (H-1192/05):

Oggetto: Dipendenza energetica dell'Unione europea

Come giudica il Consiglio l'estrema dipendenza energetica dell'Unione europea dalla Russia e dagli Stati del Golfo e quali possibilità intravede di ridurre tale dipendenza mediante la sistematica promozione di materie prime rinnovabili e di energie alternative?

e l’interrogazione n. 7 dell’onorevole Gay Mitchell (H-0027/06):

Oggetto: Sicurezza dei combustibili

Può il Consiglio far presente fino a che punto è preoccupato della sicurezza dei combustibili in Europa?

 
  
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  Martin Bartenstein, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, in merito alle due interrogazioni che mi sono state rivolte, posso affermare che la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, insieme alla competitività e alla sostenibilità – sono questi, dopo tutto, i tre pilastri fondamentali – costituisce da anni una delle principali priorità della politica energetica europea. Ciò vale anche per la nuova politica energetica per l’Europa, attualmente in fase di elaborazione. La disputa sul gas in particolare, la disputa sui prezzi delle ultime settimane e degli ultimi mesi, ha evidenziato che occorre tenere in considerazione anche le priorità dei paesi vicini e dei partner internazionali.

L’Unione europea intrattiene relazioni strette sia con i produttori di energia, come la Russia e l’OPEC, sia con importanti paesi consumatori come la Cina e l’India. In questo senso vorrei anche richiamare accordi internazionali quali il Trattato sulla Carta dell’energia e sulla Comunità energetica dell’Europa sudorientale. La diversificazione delle fonti energetiche, la promozione delle fonti energetiche autoctone, in particolare rinnovabili, e l’efficienza energetica sono elementi fondamentali della sicurezza dell’approvvigionamento energetico. E’ altresì opportuno sottolineare la grande rilevanza degli investimenti nelle infrastrutture e nell’esplorazione. Le reti energetiche transeuropee vanno considerate in questa duplice ottica.

A livello di Unione europea è stata pertanto approvata tutta una gamma di strumenti in vari ambiti. Ai fini della sicurezza dell’approvvigionamento energetico occorre menzionare in particolare la direttiva 2004/67/CE del Consiglio, del 26 aprile 2004, sulle misure volte a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di gas naturale; in ordine alla diversificazione delle fonti energetiche ricordiamo la direttiva del 2001 sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili, il cui obiettivo è produrre il 22 per cento dell’energia elettrica da fonti rinnovabili entro il 2010, nonché la direttiva del 2003 sulla promozione dell’utilizzo di biocarburanti o di altri carburanti da trazione rinnovabili.

Altrettanto cito la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del dicembre 2005 sull’efficienza energetica e i servizi energetici, la cui adozione è prevista tra qualche mese.

Non si può dimenticare nemmeno il sesto programma quadro per la ricerca e l’energia, e in particolare il programma “Energia intelligente per l’Europa”, che, tra le altre cose, mira a promuovere le fonti energetiche nuove e rinnovabili a livello locale e regionale e nei paesi in via di sviluppo. Anche nell’ambito non legislativo il Consiglio dimostra la grande importanza che attribuisce alle energie rinnovabili. Nel loro contributo per il Vertice di primavera del Consiglio, nel marzo 2005, i ministri dell’Energia hanno riconosciuto la priorità della strategia per le energie rinnovabili oltre l’orizzonte temporale del 2010.

La politica energetica, e in particolare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico avranno anche un posto – sicuramente prominente – nell’ordine del giorno della prossima seduta del Consiglio di primavera. Due ulteriori punti salienti della Presidenza sono la disamina del piano d’azione per la biomassa e il piano d’azione annunciato sull’efficienza energetica.

Nel suo contributo al piano d’azione internazionale della Conferenza internazionale per le energie rinnovabili nel giugno 2004 a Bonn, il Consiglio ha constatato che la politica energetica dell’UE dovrebbe mirare ad aumentare in modo significativo l’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili e che anche il maggior apporto delle energie rinnovabili, una migliore efficienza energetica e il ricorso all’energia sostenibile contribuiranno come politiche complementari alla sicurezza dell’approvvigionamento.

Nella sua seduta del 29 novembre 2004 il Consiglio ha adottato delle conclusioni sulle energie rinnovabili, nelle quali si pone in evidenza quanto sia importante rendere più competitive le energie rinnovabili, tra l’altro grazie alla riduzione dei costi di produzione. Tutti questi strumenti e misure rappresentano una solida base per la sicurezza dell’approvvigionamento energetico a breve, medio e lungo termine dell’Unione europea, e hanno dimostrato il proprio valore anche nella solidarietà rispetto alle conseguenze delle catastrofi climatiche dello scorso anno.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, in qualità di deputato di Monaco con una madre della Stiria seguo con piacere la politica progressista dell’Austria in materia di biomassa. La mia domanda riguarda appunto questo argomento: cosa intende fare per introdurre sempre di più questa politica così avanzata anche nel Consiglio dell’Unione e che importanza attribuisce alla biomassa, non soltanto per i carburanti da trazione ma soprattutto anche per i combustibili da riscaldamento?

 
  
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  Martin Bartenstein, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, in qualità di austriaco della Stiria, ma di madre tedesca, onorevole parlamentare, mi rallegro dell’assenso che colgo nella sua domanda complementare.

Le fonti energetiche rinnovabili – e soprattutto, ma non soltanto, la biomassa – sicuramente nei prossimi mesi e nei prossimi anni avranno maggiori opportunità di mercato, poiché il prezzo del petrolio al barile non scenderà più a 10 o 20 dollari. Ciò è positivo, perché sarà un’occasione per aumentare l’indipendenza dell’Europa, anche se non dobbiamo farci illusioni. Forse sarà possibile ridurre il grado di aumento della dipendenza dai combustibili fossili, ma non il grado di dipendenza in sé. Al contempo per alcune zone rurali e per alcuni soggetti, in particolare gli agricoltori, ciò significherà entrate supplementari, derivanti non soltanto dalla produzione di alimenti ma anche da piante a destinazione energetica. Infatti, a lungo termine, la biomassa, le risorse rinnovabili potrebbero diventare la fonte non soltanto del carbonio ma anche direttamente degli idrocarburi impiegabili a loro volta per l’autotrazione. Credo che, a lungo termine, la prospettiva per le centrali elettriche e simili potrebbe orientarsi in un’altra direzione, ma che i combustibili fossili in particolare, che oggi sono sfruttati in pratica esclusivamente nei trasporti, progressivamente potrebbero essere sostituiti da materie prime rinnovabili e idrocarburi derivati da tale fonte.

Ripeto che le opportunità ora sono migliori, è più facile rendere commercialmente interessanti le materie prime rinnovabili e le fonti energetiche rinnovabili quando il prezzo di mercato del barile di greggio è di 60 dollari o quando un kW(h) di elettricità oggi è due volte e mezza più caro rispetto a due anni fa. Oggi un megawatt/ora costa 50 euro. Mi ricordo ancora quando il prezzo era 20 euro.

 
  
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  Gay Mitchell (PPE-DE).(EN) Il Presidente in carica del Consiglio ha affermato che è disponibile tutta una gamma di strumenti, eppure la dipendenza dell’UE a 25 dalle importazioni energetiche, che nel 2002 si attestava al 48 per cento, si prevede raggiungerà il 71 per cento entro il 2030. L’UE a 15 dipende dai paesi del Medio Oriente per il 31 per cento delle importazioni petrolifere, dalla Russia per il 30 per cento delle importazioni di gas e per il 28 per cento delle importazioni petrolifere, e dall’Algeria per il 22 per cento delle importazioni di gas.

A fronte dei passi compiuti di recente dalla Russia e della vulnerabilità di alcuni Stati membri alla petulanza russa, il Presidente il carica del Consiglio non ritiene forse che l’elemento essenziale per mantenere la sicurezza delle forniture sia la completa liberalizzazione del mercato dell’energia nell’Unione europea, e intende muoversi in tale direzione?

 
  
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  Martin Bartenstein, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevole parlamentare, l’Europa ha bisogno di una politica energetica coerente, una politica energetica maggiormente improntata ai nostri comuni interessi. Dobbiamo imparare la lezione, da un lato rispetto alla protezione del clima, dall’altro rispetto al sensibile aumento dei prezzi dei combustibili fossili, dovuto principalmente, anche se non solo, alle scarse capacità di raffinazione, cui si aggiungono gli uragani e le difficoltà geopolitiche. Allo stesso modo dobbiamo trarre le debite conclusioni dall’1 e 2 gennaio di quest’anno, quando – non importa per quale motivo – il gas naturale russo è arrivato in Europa in quantità decisamente ridotte tramite i gasdotti ucraini. Queste sono tre circostanze che dovrebbero indurci a rivedere la nostra posizione.

Lo ribadisco: dobbiamo aspettarci che nei prossimi anni, forse nei prossimi decenni, la dipendenza dell’Europa dalle importazioni, soprattutto di combustibili fossili, aumenti. Tuttavia questo non può e non deve essere un motivo per evitare di puntare maggiormente su fonti energetiche rinnovabili proprie e in ultima analisi di essere più esigenti in termini di efficienza energetica.

A tale riguardo concordo con la Commissione, la quale sostiene che è già abbastanza difficile portare gli Stati membri a un impegno dell’1 per cento annuo: vedremo se in futuro sarà possibile un impegno del 2 per cento annuo. Abbiamo ancora dei margini nell’ambito dell’efficienza energetica e possiamo migliorare, e in questo senso i nuovi Stati membri, in linea di massima, hanno un potenziale maggiore in tale ambito. La loro efficienza in termini di prodotto interno lordo per unità di energia consumata è nettamente inferiore rispetto ai paesi dell’UE a 15, nei quali il legame tra consumo energetico, prodotto interno lordo e crescita ha cominciato a spezzarsi già negli anni ’70 in seguito alle crisi petrolifere del 1973 e 1974.

E’ necessaria una politica energetica coerente che non trascuri nessuna delle possibilità già menzionate: fonti energetiche rinnovabili, maggiore efficienza energetica, ma al contempo diversificazione dei combustibili fossili, cioè il gas, e ovviamente anche diversificazione dei gasdotti. Il problema fondamentale non è stato la penuria di gas, il problema fondamentale del 1° e 2 gennaio è stato che esiste un unico gasdotto che attraversa l’Ucraina per rifornire un gran numero di paesi europei, e che l’80 per cento di tutto il gas proveniente dalla Russia verso l’Europa passa attraverso questo gasdotto.

A tale proposito è certamente sensato che la Germania e la Russia concludano accordi a livello delle rispettive società. Di sicuro è molto importante che anche il Parlamento europeo e la Commissione europea appoggino il progetto del gasdotto Nabucco che a partire dal 2011 potrebbe portare in Europa centrale dal Mar Caspio attraverso la Turchia circa 12 miliardi di metri cubici di gas l’anno, e circa 30 miliardi di metri cubici di gas l’anno a partire dal 2020.

Nell’ambito del gas non dovremmo tuttavia dimenticare il gas naturale liquido, sul quale fino ad oggi in Europa si è puntato poco, ad eccezione di alcuni Stati membri del sud. Per ridurre la nostra dipendenza abbiamo bisogno anche di questo.

Apprezzo molto anche gli annunci della Russia e del ministro delle Finanze russo in questi giorni al Vertice del G8 di Mosca in merito al ripensamento o all’abolizione del monopolio sulle esportazioni da parte della Gazprom. Purtroppo non è stato detto a partire da quando, ma per lo meno l’annuncio è stato fatto. E’ vero che la cooperazione con la Gazprom ha superato la prova del tempo, ma questo significa che in un futuro non definito avremo altri interlocutori russi con cui parlare, negoziare e lavorare.

Dal mio punto di vista la strada delle liberalizzazioni e dalla deregolamentazione seguita fino ad oggi dall’Europa nel settore dell’energia è stata importante e giusta. Tale strategia ha anche contribuito in particolare alla stabilità dei prezzi, ma nei prossimi anni dovremo trovare un difficile equilibrio tra l’aumento della sicurezza delle forniture – in ultima analisi anche dando sicurezza agli investitori in merito al ritorno finale sui loro investimenti tramite contratti di lungo termine – e l’esigenza di creare comunque un mercato interno dell’energia, integrando anche l’Europa sudorientale e l’Ucraina, magari anche la Russia. Se non sarà possibile tramite la Carta dell’energia, magari si potrà ottenerlo con la Comunità energetica, e questa è una proposta concreta che probabilmente la Commissione presenterà nelle prossime settimane.

Dobbiamo tenere conto di tutti questi piani. La politica energetica è una priorità massima, lo abbiamo visto nettamente proprio negli ultimi mesi.

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, Ministro Bartenstein, la dipendenza energetica è la priorità numero uno. La sicurezza dell’approvvigionamento energetico ci terrà intensamente impegnati in futuro.

Il Consiglio dei ministri dell’Energia si occuperà del Protocollo di Kyoto e del periodo successivo al 2012, nonché delle conseguenze che la joint implementation avrà in questo ambito? Sarà questo un elemento centrale degli investimenti in Europa e qual è il modo più efficace per raggiungere l’obiettivo globale della riduzione di CO2?

 
  
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  Martin Bartenstein, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevole Rübig, sul tema del Protocollo di Kyoto e della protezione del clima voglio informare il Parlamento europeo che al Forum mondiale dell’economia di Davos, alla domanda quali erano secondo lui le priorità per il mondo nei prossimi anni, l’ex Presidente americano Bill Clinton ha indicato come massima priorità la protezione del clima. Forse dal punto di vista americano potrà sembrare un po’ insolente, ma è stato l’ex Presidente americano ad affermarlo ed è lui ad aver firmato il Protocollo di Kyoto. Tuttavia il Congresso americano poi non lo ha ratificato, com’è noto.

Al pari vostro e di altri ritengo che la protezione del clima sia una priorità massima. Ne abbiamo bisogno perché il clima globale è in pericolo. Noi europei, però, dobbiamo pensare che oggi siamo responsabili di circa il 14 per cento delle emissioni mondiali di CO2, e nel 2050 questa cifra raggiungerà circa il 10 per cento. Ciò significa che oggi quasi l’86 per cento e in futuro il 90 per cento delle emissioni di CO2 proverranno da una fonte diversa. Fa una grande differenza se l’Unione europea va per la propria strada da sola o se almeno coinvolge i suoi partner negli Stati Uniti, che naturalmente sono anche concorrenti. Tuttavia, oggi come oggi, non si possono azzardare previsioni.

L’altra questione è come comportarci con paesi come la Cina e l’India, che non hanno obblighi ai sensi del Protocollo di Kyoto. Parto dal presupposto – e del resto è comprensibile – che questi paesi affermeranno che l’Europa produce ogni anno circa 10 tonnellate pro capite di CO2, gli americani approssimativamente 20 tonnellate di CO2 e loro soltanto una o due tonnellate. Chiederanno prima di portare il loro sviluppo nell’industria e negli altri ambiti al nostro livello, e poi si impegneranno per la protezione del clima. E’ una questione piuttosto sensibile coinvolgere quanto prima la Cina, l’India e gli altri paesi in via di sviluppo ed emergenti e sensibilizzarli ai nostri argomenti.

Noi europei dovremmo compiere un ulteriore passo, ma al contempo dobbiamo tenere presente la nostra competitività e promuovere la protezione del clima rispettando nel miglior modo possibile l’efficacia dei costi. In questo senso la joint implementation è davvero preziosa.

Se è possibile investire nei paesi europei, ad esempio nei nuovi Stati membri, riducendo le emissioni di CO2 con investimenti relativamente inferiori rispetto, ad esempio, agli Stati membri dell’UE a 15, allora bisognerebbe seguire questa strada, e lo stesso Protocollo di Kyoto lo prevede. Ciò significa, a sua volta, che la protezione del clima è importantissima. Allo stesso tempo ci rendiamo anche conto che i prezzi dell’energia producono un impatto sulla competitività e dunque sull’occupazione.

Siamo sulla buona strada e nei prossimi mesi vedremo come sarà attuata negli Stati membri dell’Unione la seconda fase post-Kyoto e come saranno organizzati i piani nazionali di assegnazione. Il commercio dei certificati di CO2 è partito con il piede giusto e i prezzi sono addirittura superiori alle aspettative: a un certo punto si era parlato di 10 euro la tonnellata, l’ultima quotazione, per quanto mi risulta, si attesta sui 28 euro, ovvero quasi tre volte tanto. Occorreranno valide argomentazioni per comunicare all’industria europea che si vedrà assegnare quantità inferiori rispetto al passato.

Nell’interesse dell’occupazione nella buona vecchia Europa chiedo a chiare lettere di usare la massima attenzione e cautela nei riguardi della nostra economia e della nostra industria ad alta intensità energetica. Quanto al futuro di Kyoto, sono molto favorevole a compiere ulteriori progressi e a seguire un approccio offensivo. Non si devono però mettere a repentaglio posti di lavoro che a quel punto verrebbero dislocati verso paesi che ancora non si preoccupano per nulla della protezione del clima.

 
  
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  Richard Seeber (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, Ministro Bartenstein, proprio nei primi giorni in cui ha assunto l’incarico di Presidente del Consiglio lei si è trovato a gestire il difficile problema dell’Ucraina e della Russia, che, nella sua fase iniziale, non riguardava l’interruzione del flusso di gas, bensì la pretesa da parte della Russia di imporre un prezzo sensibilmente maggiore per il suo gas naturale.

La Presidenza austriaca, a questo punto, intende affrontare la vulnerabilità ai prezzi dell’energia, che riguarda non soltanto l’Ucraina ma naturalmente anche l’economia europea? Sappiamo tutti che un aumento massiccio dei prezzi da noi innescherebbe un aumento dell’inflazione, potrebbe causare un rallentamento considerevole della crescita economica o addirittura una depressione. Cosa pensa di fare riguardo alla vulnerabilità dell’economia europea ai prezzi dell’energia?

 
  
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  Martin Bartenstein, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, fortunatamente la vulnerabilità della nostra economia e del nostro prodotto interno lordo alle fluttuazioni dei prezzi dell’energia oggi è assai meno marcata rispetto al 1973/74. L’OCSE e la stessa Commissione europea reputano che tale vulnerabilità, tale sensibilità, si sia quasi dimezzata proprio grazie al netto miglioramento dell’efficienza energetica della nostra gestione e della produzione. Tuttavia ciò naturalmente non significa che, ancora oggi, sia semplice reggere un aumento del prezzo del petrolio da 30 a 60 dollari e per il prossimo futuro qualcuno preannuncia – speriamo che la previsione non si avveri mai – quotazioni a tre cifre.

Quanto al gas, per equità nei confronti dei nostri amici russi va detto che la loro intenzione consisteva nell’ottenere dall’Ucraina la quotazione applicabile sul mercato mondiale, che a sua volta è relativa, quindi sarebbe meglio dire che per l’Europa il prezzo standard è circa 220 dollari per 1 000 metri cubici. Questo è quanto è stato concordato, alla fine, nella notte tra il 3 e il 4 gennaio nei negoziati tra la Gazprom e l’Ucraina. Il compromesso prevede – nel frattempo i contratti sono stati redatti e firmati – una miscela di gas russo a circa 220 dollari e gas dell’Asia centrale, che è assai più conveniente, e per questa miscela l’Ucraina pagherà circa 95 dollari.

In merito ai prezzi sul mercato mondiale e ai prezzi del gas europeo occorre osservare che gli americani si procurano il gas a prezzi nettamente superiori a quelli europei. In questo senso a tutt’oggi evidentemente non esiste una quotazione mondiale standard, bensì per il gas le differenze sono molto più marcate rispetto al petrolio. Si tratta di un ulteriore argomento a favore di un approccio di più largo respiro in materia di politica energetica e a favore di un partenariato rafforzato. Il dialogo tra Unione europea e Russia da un lato, e OPEC dall’altro deve continuare e intensificarsi. E’ auspicabile una maggiore trasparenza per creare fiducia nei confronti di entrambi i gruppi.

Invito anche caldamente a pensare di più non soltanto alla cooperazione con i produttori di energia, bensì a stabilire un dialogo anche con i consumatori. E’ importante che noi europei troviamo un terreno d’intesa con il Giappone, gli Stati Uniti e anche altri consumatori, in modo da ottenere, in ultima analisi, ciò cui mirano gli stessi paesi produttori, cioè la stabilità dei prezzi a lungo termine. E’ un errore credere che l’interesse primario dei paesi OPEC sia arrivare prima possibile a 100 dollari. Essi sanno perfettamente che durerebbe poco e poi, in virtù dei meccanismi di mercato potrebbe verificarsi una caduta a livelli relativamente bassi. Sanno altrettanto bene che il buon funzionamento della nostra economia e una crescita continua, in ultima analisi, sono rilevanti anche ai fini degli sblocchi per il loro petrolio e il loro gas.

Pertanto è nell’interesse reciproco creare mercati dell’energia stabili e affidabili, e garantire la sicurezza dell’approvvigionamento e la stabilità dei prezzi. Nei prossimi mesi compiremo sicuramente significativi progressi. Il Libro verde, sui cui la Commissione sta discutendo in questi giorni, non ha ancora ufficialmente tale nome, ma, di fatto, lo è e rappresenterà per noi un punto di riferimento per il futuro.

 
  
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  Presidente. Poiché l’autore non è presente, l’interrogazione n. 8 decade.

Annuncio l’interrogazione n. 9 dell’onorevole Othmar Karas (H-0061/06):

Oggetto: Pensioni complementari aziendali

Intende la Presidenza austriaca del Consiglio mettere sul tappeto la proposta di Direttiva della Commissione sulla portabilità delle pensioni complementari aziendali? Quale trattamento sarà ad essa riservato?

 
  
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  Martin Bartenstein, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, poiché è la prima volta che intervengo al Parlamento europeo per rispondere nel Tempo delle interrogazioni, sono ancora legato alle tradizioni del mio Parlamento, dove le interrogazioni sono sempre ripetute. Sicuramente imparerò le regole prima del termine della nostra Presidenza: del resto mancano ancora quattro mesi e mezzo.

Le pensioni aziendali integrative sono un tema importante anche rispetto al nostro concetto di flexicurity, flessibilità tramite la sicurezza. Il Consiglio ha già avviato l’esame della proposta di direttiva per il miglioramento della portabilità delle pensioni complementari, presentata dalla Commissione nell’ottobre 2005. Alla fine di febbraio l’organo preparatorio del Consiglio incaricato di tale dossier, il gruppo del Consiglio “Questioni sociali” avrà esaminato la proposta in sei riunioni. La Presidenza austriaca ha incluso tale proposta nel progetto di ordine del giorno per la seduta del Consiglio. A fronte dell’enorme complessità tecnica del dossier occorrerà verificare se tale disamina avrà compiuto progressi per la seduta del Consiglio di giugno. Non nascondo che, a prescindere dalla complessità generale, rimangono da chiarire ancora alcune questioni centrali, mai in linea di massima ritengo che si tratti – come è giusto che sia – di un contributo importantissimo alla maggiore mobilità dei lavoratori in Europa.

 
  
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  Othmar Karas (PPE-DE).(DE) Ministro Bartenstein, si tranquillizzi, non ha bisogno di imparare null’altro perché già ai blocchi di partenza è molto più in gamba di tanti suoi predecessori. In merito al suo intervento volevo aggiungere che la previdenza aziendale naturalmente si scontra anche con competenze e sistemi fiscali diversi. La diversità delle competenze negli Stati membri ha costituito un ostacolo significativo alla mobilità. Ritiene che in questo ambito siano necessarie norme minime europee, basi di calcolo comuni per i prodotti europei e un dibattito europeo di più ampio respiro sulle pensioni, pur nel rispetto delle prerogative nazionali?

 
  
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  Martin Bartenstein, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevole Karas, questa proposta di direttiva è certamente un passo nella direzione nella quale vogliamo e dobbiamo muoverci. Chi vuole la mobilità dei lavoratori al di là delle frontiere in Europa deve anche offrire loro la possibilità di portare con sé, senza troppe difficoltà, i diritti acquisiti in termini di pensione complementare. Del resto, nell’ambito della sicurezza sociale, è evidente che ciascun paese ha le proprie tradizioni e qualunque tentativo di armonizzazione sarebbe votato all’insuccesso a priori. Non è quello che vogliamo: nell’ambito della sicurezza sociale le formule uguali per tutti decisamente non funzionano.

Laddove è opportuno e ragionevole introdurre norme minime, se ne può discutere. In materia di diritti pensionistici non si dimentichi che la stragrande maggioranza dei paesi europei ha come base della previdenza statale un sistema contributivo. Al contempo sappiamo che sarebbe utile completare in parte tale sistema contributivo con un sistema capitalizzato, anche nel settore statale. Si aggiunga che nell’ambito del possibile – tenuto conto della situazione retributiva dei lavoratori europei e dei risparmiatori – occorrerebbe naturalmente favorire le pensioni private e aziendali.

Suppongo che questo tema continuerà e dovrà continuare a lungo a rientrare nelle competenze e nei poteri decisionali degli Stati membri, ma bisognerebbe stabilire, in particolare tramite la direttiva, in che modo i lavoratori europei iscritti a un fondo pensioni possono ottenere più facilmente la portabilità dei propri diritti pensionistici in tutta Europa, e ciò evidentemente sarebbe notevolmente semplificato dall’introduzione di norme minime.

 
  
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  Hubert Pirker (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, Ministro Bartenstein, condivido il suo parere che la portabilità delle pensioni complementari aziendali senza dubbio favorisce la mobilità. Ogni misura volta ad aumentare la mobilità è contemporaneamente anche una misura che aumenta la sicurezza del posto di lavoro. Sono convinto che la Presidenza abbia previsto anche altre misure intese ad accrescere la mobilità e quindi la sicurezza dell’occupazione. Quali di queste misure per promuovere la mobilità saranno sottoposte agli altri Stati membri ancora nel corso del semestre di Presidenza?

 
  
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  Martin Bartenstein, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, sappiamo che i cittadini in Europa beneficiano di minore mobilità che altrove. Molte delle statistiche disponibili dimostrano che negli Stati Uniti la mobilità è doppia rispetto all’Europa. Certamente non possiamo eliminare improvvisamente le barriere linguistiche in Europa – e forse non vogliamo neanche farlo – né possiamo istituire da un giorno all’altro i principi federali che si applicano negli Stati Uniti.

Ciononostante, generalmente ai nostri giovani viene offerta un’opportunità di migliorare la loro mobilità e per loro si apre un mercato europeo di lavori interessanti con opportunità di carriera. Fatte salve queste riserve, poiché certamente non vogliamo adottare seduta stante la situazione americana, per noi l’aumento della mobilità per i lavoratori e i giovani è una finalità.

Migliorare la mobilità dei lavoratori richiede l’introduzione graduale di misure. Quanto alla direttiva nello specifico, vi ricordo che la Commissione ha proclamato il 2006 “Anno europeo per la mobilità dei lavoratori”, che ci sarà un portale per l’occupazione, EURES, di cui sarà presentata una versione riveduta a una riunione nei prossimi giorni, il 20/21 febbraio a Bruxelles, dove sarà dato il via ufficiale al processo. Avrò l’onore di parteciparvi personalmente, e anche il Presidente della Commissione Barroso, il Commissario Špidla e il Presidente del Parlamento europeo hanno confermato la loro presenza.

Questa riunione includerà una discussione sul tema della “mobilità, come strumento per più occupazione e occupazione di migliore qualità” e il dibattito continuerà nei workshop. Non vogliamo soltanto la direttiva sulla portabilità delle pensioni complementari, vogliamo una tendenza generale. E’ anche importante che tra le autorità, i sindacati e il settore privato, si avvii un processo sulle migliori prassi, e vogliamo anche ampliare la base delle conoscenze. Pertanto questa è una parte importante della strategia di Lisbona.

L’Anno europeo per la mobilità dei lavoratori è appena iniziato: la conferenza di chiusura si terrà a novembre sotto la Presidenza finlandese. Ciò nondimeno credo sia positivo che vi siano già dei piani per il seguito da riservare al primo Anno europeo per la mobilità.

 
  
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  Richard Seeber (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Presidente, sappiamo tutti che la mobilità, soprattutto tra accademici e giovani con formazione universitaria, è già relativamente elevata. Quali progetti ha la Presidenza in particolare per i tirocinanti e i giovani che non hanno un grado di istruzione così alto? Cosa possiamo fare per aumentare il tasso di mobilità di questa categoria?

 
  
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  Martin Bartenstein, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, penso che, in Europa, tutti i cittadini, a prescindere dal livello di istruzione – e nei paesi di lingua tedesca abbiamo un elevato numero di tirocinanti che seguono una formazione professionale – debbano avere le stesse opportunità che negli anni passati, magari, sono state limitate a chi possedeva un’istruzione superiore, accademica. So che in Austria ci sono esempi di “migliori prassi” grazie alle quali è possibile offrire ai tirocinanti in fase di formazione dei soggiorni all’estero. Mi sembra assolutamente necessario, con tutto il rispetto per il regime linguistico in uso in Europa, insegnare ai giovani soprattutto l’inglese come lingua della mobilità. Spero adesso di non essere sommerso di proteste da Parigi e da altre parti.

Se vogliamo concedere ai giovani europei opportunità professionali in tutta Europa, naturalmente dobbiamo essere disposti a organizzare programmi durante la formazione e a accordare borse di studio, affinché i giovani nel quadro di questi programmi possano almeno provare questa mobilità che, più avanti, nella vita professionale, li porterà ad ottenere un’occupazione in altri paesi europei.

 
  
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  Presidente. Le interrogazioni che, per mancanza di tempo, non hanno ricevuto risposta, la riceveranno per iscritto (vedasi allegato).

Con questo si conclude il Tempo delle interrogazioni.

(La seduta, sospesa alle 19.00, riprende alle 21.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MR ONYSZKIEWICZ
Vicepresidente

 
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