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Procedura : 2004/0001(COD)
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Testi presentati :

A6-0409/2005

Discussioni :

PV 14/02/2006 - 12
PV 14/02/2006 - 14
CRE 14/02/2006 - 12
CRE 14/02/2006 - 14

Votazioni :

PV 16/02/2006 - 6.1
CRE 16/02/2006 - 6.1
Dichiarazioni di voto

Testi approvati :

P6_TA(2006)0061

Resoconto integrale delle discussioni
Giovedì 16 febbraio 2006 - Strasburgo Edizione GU

7. Dichiarazioni di voto
Processo verbale
  

– Relazione Gebhardt (A6-0409/2005)

 
  
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  Marta Vincenzi (PSE). – Signor Presidente, desidero sottolineare la positività della posizione comune raggiunta dal Parlamento, che restituisce ai cittadini europei quel segnale di unità politica e di fiducia di cui hanno bisogno.

Sottolineo l’impatto positivo che l’articolo 31, nella versione modificata, avrà nel campo molto importante dei servizi turistici. Si tratta, infatti, di permettere la creazione di un grande e armonico incoming turistico, mediante un percorso attento che individui l’armonizzazione delle molteplici figure turistiche esistenti nei diversi paesi. Invito pertanto la Commissione a rilanciare, dopo un’accurata revisione, la direttiva 320 del 1992, che finora è stata disattesa da molti Stati membri, affinché la politica della qualità dei servizi si realizzi pienamente e, con essa, anche l’obiettivo di un turismo europeo sostenibile.

 
  
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  Marc Tarabella (PSE).(FR) Signor Presidente, se oggi, per la prima volta, ritengo opportuno giustificare il mio voto, ciò dipende da un duplice motivo: innanzi tutto, questa è una relazione importante – forse la più importante dell’intera legislatura – e poi il mio voto contrasta con la posizione maggioritaria del mio gruppo.

Non ho difficoltà a riconoscere i progressi realizzati rispetto alla proposta iniziale del Commissario Bolkestein, e me ne congratulo con la relatrice, onorevole Gebhardt; mi lasciano tuttavia insoddisfatto le incertezze legate all’articolo 16. Pur avendo votato a favore degli emendamenti di compromesso presentati su questa relazione, non mi sento di approvarla e alla fine ho deciso di respingerla, in quanto essa segna una grave rottura simbolica con i principi che finora hanno consentito all’integrazione europea di progredire. La solidarietà e i regolamenti lasciano il posto alla concorrenza tra i paesi e i popoli d’Europa: è uno sviluppo che giudico negativo.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE).(FR) Quella che il nostro Parlamento ha approvato stamattina è una nuova direttiva. Viene limitato il campo d’applicazione, è finalmente eliminato il principio del paese d’origine, viene preservato il diritto del lavoro: abbiamo trasformato lo spirito e la lettera del progetto che ci era stato sottoposto, e di questo mi rallegro vivamente.

Il nostro Parlamento è l’unica Istituzione europea che poteva essere in grado di introdurre un così profondo mutamento d’ispirazione. Ciò si deve senza dubbio al fatto che noi abbiamo ascoltato i nostri concittadini, i loro timori e le loro paure; di conseguenza, noi siamo in primo luogo i difensori di un modello europeo di valori comuni e preferiamo costantemente l’armonizzazione verso l’alto al dumping verso il basso. Abbiamo fatto un buon lavoro, e sarà opportuno che la Commissione e il Consiglio tengano finalmente conto del forte segnale politico che noi oggi inviamo, manifestando la volontà di realizzare il mercato interno senza però rinunciare al nostro modello sociale. Da parte nostra, continueremo a vigilare.

 
  
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  Frank Vanhecke (NI).(NL) Signor Presidente, non c’è dubbio che la versione della direttiva sui servizi che abbiamo adottato sia notevolmente migliore dell’originale; a mio parere l’inaccettabile principio del paese di origine è stato molto indebolito, anche se forse non è stato spazzato via completamente.

In parecchi punti, però, il documento che abbiamo adottato oggi resta poco chiaro; attualmente, nessuno può dire con precisione quali saranno le conseguenze di numerosi punti del testo.

Ancora adesso, per esempio, non sono affatto sicuro che questo testo sia in grado di evitare completamente il dumping sociale; anche la possibilità di monitorare il rispetto del documento mi sembra alquanto insoddisfacente. I frequenti abusi – perpetrati peraltro anche dalle Istituzioni – che si segnalano nell’applicazione dei normali bilanci europei ci inducono a nutrire un certo scetticismo sull’efficienza del monitoraggio effettuato a livello europeo.

Di conseguenza mi sono astenuto dal voto; infatti, anche se questo è chiaramente un passo – e un passo importante – nella giusta direzione, nondimeno rimangono troppi aspetti dubbi, che bisognerà assolutamente eliminare in sede di seconda lettura. Posso solo augurarmi di non avere difficoltà ad esprimere un voto favorevole in quell’occasione.

 
  
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  Koenraad Dillen (NI).(NL) Signor Presidente, certo è un fatto positivo che la nostra Assemblea sia riuscita oggi a modificare il testo originale della direttiva sui servizi, anche se occorre dire che molti emendamenti, delle centinaia che sono state presentate, non erano necessari. La versione originale della direttiva aveva forse istituzionalizzato il dumping sociale, ma anche questa versione lo ammette, almeno sotto una certa forma e insieme ad altri abusi di ogni sorta; d’altra parte, essa non definisce in maniera chiara il principio del paese d’origine.

Non è forse estremamente significativo il fatto che sia stata respinta la richiesta, avanzata dal gruppo UEN, di istituire un centro di monitoraggio per garantire che la direttiva non spalanchi le porte al dumping sociale? Con la nostra astensione noi intendiamo inviare un messaggio politico: il mio partito, il Vlaams Belang, come ha già fatto il mese scorso durante il dibattito sulla liberalizzazione dei servizi portuali, opporrà una strenua resistenza ad ogni tentativo di intaccare il principio della priorità del proprio paese.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE).(SK) Il motivo della mia astensione nella votazione sulla relazione dell’onorevole Evelyne Gebhardt, riguardante la direttiva sui servizi, è la mancata adozione dell’emendamento n. 250, presentato da alcuni deputati del gruppo PPE-DE provenienti dai nuovi Stati membri; per tali paesi quest’emendamento era considerato di capitale importanza.

L’emendamento n. 250 doveva modificare la direttiva introducendo l’articolo 35 bis in sostituzione degli articoli 24 e 25 sul distacco dei lavoratori, eliminati dalla proposta della Commissione nel corso delle votazioni in sede di commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori. Esso avrebbe semplificato le procedure per il distacco dei lavoratori, dal momento che la direttiva sul distacco dei lavoratori non prevede alcuna cooperazione amministrativa tra il paese d’origine e il paese di destinazione.

Sono lieta che la direttiva sia stata approvata in prima lettura dal Parlamento europeo; mi rammarico però che i deputati dei nuovi Stati membri non siano riusciti neppure questa volta a coagulare un sostegno sufficiente.

 
  
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  Véronique De Keyser (PSE).(FR) Signor Presidente, il mio voto negativo sulla relazione Gebhardt non vuole rappresentare una sconfessione dello straordinario lavoro compiuto dalla relatrice. Sono sinceramente convinta che, dovendo basarsi su un testo pessimo, l’onorevole Gebhardt abbia fatto miracoli; tuttavia, nonostante tutti i suoi sforzi, la collega non è riuscita ad arginare un’ondata liberista che minaccia l’intero nostro edificio sociale. Di compromesso in compromesso, questo testo astruso è divenuto illeggibile; per chi vuol tenere gli occhi aperti rimane evidente l’abbandono di una volontà armonizzatrice da parte della Commissione, a favore di una regolamentazione caso per caso che potrà essere effettuata – o non effettuata – in nome dell’interesse generale.

Senza una direttiva sui servizi d’interesse generale e sui servizi di interesse economico generale, in questo testo rimangono zone grigie che apriranno la strada a innumerevoli ricorsi legali; l’Europa si sta ulteriormente allontanando dai suoi cittadini.

 
  
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  Francisco Assis, Luis Manuel Capoulas Santos, Paulo Casaca, Fausto Correia, Edite Estrela, Emanuel Jardim Fernandes, Elisa Ferreira, Ana Maria Gomes, Joel Hasse Ferreira, Jamila Madeira e Manuel António dos Santos (PSE), per iscritto. (PT) La vecchia direttiva Bolkestein, radicalmente trasformata, costituisce un netto progresso nel processo di costruzione del mercato unico dei servizi.

Abbiamo quindi votato a favore di questa proposta nel suo testo emendato, in quanto riteniamo che essa garantisca un equilibrato progresso verso la creazione di un mercato interno europeo dei servizi; a nostro parere, inoltre, l’esclusione dei servizi di interesse generale, delle lotterie e dei servizi sanitari essenziali rende la direttiva più equilibrata.

Nella sua formulazione attuale, la direttiva avrà effetti positivi sull’economia portoghese, soprattutto perché il principio del paese di origine verrà abbandonato e l’apertura del mercato europeo dei servizi permetterà di creare numerosi posti di lavoro; con questo testo si eliminerà definitivamente il cosiddetto dumping sociale.

La direttiva consentirà di ridurre le ingiustificabili barriere burocratiche esistenti in diversi Stati membri, assoggettando la fornitura di servizi alle norme del paese in cui il servizio viene prestato. L’esclusione del lavoro temporaneo e la non interferenza con la direttiva sul distacco dei lavoratori contribuiranno a loro volta a garantire l’equilibrio e la coesione sociale.

Tutte queste considerazioni ci hanno indotto a votare a favore.

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) In prima lettura ho votato a favore della proposta di direttiva relativa ai servizi nel mercato interno, quale emendata dal Parlamento europeo sulla base del compromesso negoziato tra il PPE-DE e il PSE. Esprimo un particolare apprezzamento per il notevole lavoro svolto dall’onorevole Harbour, che ha seguito il dossier per conto del PPE-DE insieme al collega Toubon. Era divenuto urgente legiferare, per non lasciare alla Corte di giustizia delle Comunità europee il compito di creare il diritto sul tema della quarta libertà fondamentale dell’Unione, relativa ai servizi.

Il compromesso permette di delineare un quadro a sostegno della competitività e dello sviluppo delle attività nei servizi, che rappresentano il 70 per cento del PIL con un forte potenziale di crescita e di creazione di occupazione, nonché la possibilità di combattere il rischio di dumping sociale. Il Presidente della Repubblica francese Jacques Chirac si è giustamente battuto contro il primo testo presentato dalla Commissione Prodi nel gennaio 2004, mentre il Parlamento europeo ha correttamente svolto il suo ruolo di colegislatore. Ecco una vittoria della democrazia responsabile e una tappa fondamentale nella costruzione di un’economia sociale di mercato.

 
  
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  Pervenche Berès (PSE), per iscritto. – (FR) Dopo più di un anno di dibattiti in sede di commissione parlamentare e in seno all’opinione pubblica europea, il Parlamento europeo si è pronunciato oggi sulla direttiva relativa ai servizi.

Fedele alle mie convinzioni e all’impegno preso con i numerosi cittadini che mi avevano interpellata in merito a questa direttiva, in un primo tempo ho votato per la reiezione della direttiva stessa – così come ha fatto l’intera delegazione socialista francese. Tale reiezione, tuttavia, non è stata approvata (153 voti contro 486).

Per i socialisti francesi si ponevano tre esigenze fondamentali: l’esclusione dei servizi di interesse economico generale dal campo di applicazione della direttiva, il riferimento esplicito al principio del paese di destinazione, il riferimento a una direttiva quadro sui servizi pubblici.

Ho sostenuto perciò il complesso degli emendamenti che miravano a limitare il campo di applicazione del testo, escludendone chiaramente i servizi pubblici e i settori vitali per il nostro modello sociale: in particolare l’istruzione, la cultura, la sanità e così via. Anche questi emendamenti sono stati respinti.

Dal momento che il compromesso tra PPE-DE e PSE non risponde alle mie esigenze di conservazione del nostro modello sociale europeo, nella votazione finale ho votato contro il testo.

Noto peraltro che l’emendamento di reiezione del testo quale emendato ha riscosso (con 215 voti) un’adesione più ampia di quanto lasciava prevedere il primo voto sul ritiro del testo.

 
  
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  Emma Bonino (ALDE), per iscritto. Ho votato “no” al compromesso raggiunto sulla direttiva Bolkestein.

Ho votato “no” per ragioni opposte a quelle di coloro che alla sinistra di questo emiciclo hanno mantenuto un “no” ideologico, che in definitiva è un “no” all’Europa.

La proposta della Commissione Prodi non era frutto del dottor Stranamore, ma del Trattato e degli orientamenti emersi da Lisbona.

Cosa è rimasto in piedi?

La libera circolazione non si applica ai servizi d’interesse generale e fuori uno. Idem per i servizi finanziari, ci mancherebbe. Non ai servizi giuridici, non a quelli medico-sanitari, né agli audiovisivi per carità, per quelli fiscali non se ne parla nemmeno, né alle professioni, dovessero offendersi notai e avvocati ed altri, e anche per il gioco d’azzardo la pallina della roulette deve essere nazionale. Infine fuori anche i trasporti, anche se è rimasta, ed è forse simbolico, la liberalizzazione delle pompe funebri.

Quanto alla tanto vituperata clausola del paese d’origine, il testo ne fa fuori il principio e la forza innovatrice, che nei fatti si applica a tanti altri settori economici.

Oggi vincono gli interessi corporativi, vince la paura dell’idraulico polacco, l’ipocrisia di chi dice che tanto c’è sempre il lavoro nero degli immigrati, ma perde l’Europa.

 
  
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  Udo Bullmann, Matthias Groote, Wolfgang Kreissl-Dörfler, Jo Leinen, Willi Piecyk e Mechtild Rothe (PSE), per iscritto. – (DE) La direttiva Bolkestein aveva come obiettivi il dumping sociale e la deregolamentazione; il gruppo socialista del Parlamento europeo è riuscito a trasformare questa direttiva nel suo esatto contrario.

Il principio del paese d’origine è stato abbandonato, e al suo posto è subentrato un accesso illimitato al mercato; si dovrà applicare la legislazione in materia di lavoro vigente nel paese in cui i servizi vengono prestati.

La direttiva sul distacco dei lavoratori continua ad applicarsi senza restrizioni, e sarà necessario emendarla.

Sono previste deroghe per il lavoro temporaneo e a contratto. Invitiamo il Consiglio a non ostacolare ulteriormente il processo legislativo europeo.

La direttiva non si applica affatto ai servizi di interesse generale, e si applica solo parzialmente a quelli di interesse economico generale. Chiediamo il varo di una direttiva quadro europea con provvedimenti distinti, da applicare a quest’importantissimo settore.

Nelle prossime fasi del processo legislativo occorrerà rivolgere la nostra attenzione a diversi aspetti specifici.

Per esempio, le libertà fondamentali dei lavoratori – secondo la definizione che ne dà la “clausola Monti” dell’Unione europea – devono avere la precedenza sulle norme della vita economica.

Non si devono mettere a repentaglio i diritti di codecisione e codeterminazione, che hanno il loro fondamento nella legge.

Occorre prendere in debita e sistematica considerazione i motivi imperativi di interesse generale, così come li definisce l’articolo 4, paragrafo 7 bis, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee.

Gli obblighi aventi base giuridica, formulati nell’interesse dei lavoratori del paese o di quelli stranieri (contributi obbligatori ad associazioni sindacali, fondi per il pagamento delle ferie, eccetera), devono applicarsi a tutti coloro che prestano servizi sia in patria che all’estero.

Non si deve prendere alcun provvedimento che possa aprire spiragli al falso lavoro autonomo. Devono mantenere piena validità le norme che fissano standard qualitativi, relativamente all’assegnazione di contratti pubblici.

 
  
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  Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. (SV) Noi conservatori riteniamo necessario rispettare sempre la Carta dei diritti fondamentali, quali che siano i problemi o i provvedimenti legislativi in gioco. Giudichiamo positivamente il Trattato costituzionale, che avrebbe reso la Carta giuridicamente vincolante per tutti i cittadini dell’Unione europea. Riteniamo sbagliato che la direttiva sui servizi menzioni solo la parte della Carta relativa al diritto del lavoro, e ci siamo quindi astenuti dal voto sui punti in merito ai quali si fa riferimento alla Carta.

 
  
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  Richard Corbett (PSE), per iscritto. (EN) Ho votato per modificare radicalmente – anziché respingere – la proposta di direttiva sui servizi. Abbiamo cercato di realizzare un equilibrio, e in questa prima lettura, mi sembra, ci siamo ampiamente riusciti. Vogliamo eliminare gli ostacoli burocratici alla libertà di circolazione dei servizi nel mercato europeo, ma non vogliamo creare una situazione che metta a repentaglio i nostri servizi sociali, gli standard della legislazione sul lavoro, la normativa in materia di sanità e sicurezza, o altri essenziali elementi di tutela; vogliamo protezione, non protezionismo. Il testo modificato realizza quell’equilibrio che mancava al testo originale.

 
  
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  Dorette Corbey (PSE), per iscritto. (NL) L’articolo 16, paragrafo 1, lettere b) e c), assoggetta la legislazione nazionale a test che ne verifichino la necessità e proporzionalità: la ritengo un’inaccettabile interferenza nella sovranità nazionale. Se la mia interpretazione del testo è corretta, ne derivano incertezza giuridica ed ostacoli per l’operato delle autorità nazionali. E’ giusto, naturalmente, chiedere che la legislazione su problemi come l’ambiente rispetti il principio della proporzionalità, ma si tratta di una questione su cui il giudizio sarà sempre di natura politica. Non è auspicabile che i legislatori nazionali debbano sentire sul collo il fiato dell’Unione europea e della Corte di giustizia. Quindi, sono in grado di sostenere questo compromesso con l’eccezione del paragrafo 1, lettere b) e c).

 
  
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  Mia De Vits (PSE), per iscritto. (NL) Ho votato contro la proposta di direttiva sui servizi, e vorrei ricordare tre motivi che mi hanno indotta a tale decisione.

1) La nostra Assemblea avrà anche apportato delle migliorie alla proposta della Commissione, ma – a mio avviso – non in misura sufficiente. Non è giusto che la direttiva continui ad applicarsi a numerosi settori dei servizi pubblici, a quelli che sono denominati di interesse economico generale. Essa non dovrebbe assolutamente valere per servizi come – ad esempio – la raccolta dei rifiuti domestici o la fornitura idrica. Occorre inoltre predisporre una legislazione quadro che garantisca in maniera inequivocabile il diritto alla fornitura dei servizi pubblici.

2) Alcuni punti della direttiva si possono interpretare in maniera contrastante. Attualmente, l’opinione pubblica considera l’Europa con scetticismo, e quindi l’incertezza giuridica della legislazione è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno.

3) In realtà, ci occorre un’Europa sociale e affidabile, con un mercato interno nel cui ambito valgano le medesime regole armonizzate di base, ma questa direttiva non serve affatto a tale scopo.

Noto comunque con soddisfazione che settori sensibili come i servizi portuali, le agenzie di collocamento, l’assistenza agli anziani, la sanità e le cure dell’infanzia sono stati esclusi dalla portata della direttiva; inoltre, le conquiste sociali di ogni paese rimangono intatte, e ciò rende impossibile il dumping sociale. Ho votato a favore di tutti gli emendamenti presentati a tale scopo, e inoltre di tutti gli altri emendamenti che hanno migliorato il testo rendendolo più chiaro.

 
  
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  Antoine Duquesne (ALDE), per iscritto. – (FR) L’adozione della direttiva sui servizi segna per l’Unione europea un sensibile passo in avanti. Malgrado tutto, è stato possibile conservare il nucleo essenziale del progetto, e il testo adottato favorirà il successo della strategia di Lisbona, come testimoniano i più recenti studi compiuti dalla Commissione europea.

Questa direttiva incoraggerà l’attività nel settore dei servizi, il quale rappresenta un importantissimo serbatoio di posti di lavoro. Si tratta di un vantaggio essenziale, soprattutto per un paese come il Belgio, la cui economia è decisamente orientata verso i servizi.

Gli emendamenti introdotti dalla commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, precisando la portata della direttiva, hanno consentito di fornire una risposta alle principali preoccupazioni dell’opinione pubblica e di porre fine a una lunga campagna di disinformazione. La prima proposta di compromesso presentata da PPE-DE e PSE svuotava la proposta di direttiva di qualsiasi significato. Fortunatamente il compromesso finale – pur non avendo ricevuto un’accoglienza entusiastica – rappresenta un primo passo, comunque preferibile all’immobilità, e viene incontro alle principali preoccupazioni dei fautori della direttiva.

Spetta ora al Consiglio confermare e perfezionare il compromesso finale raggiunto dal Parlamento.

 
  
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  Lena Ek (ALDE), per iscritto. (SV) Oggi il Parlamento europeo esprime il proprio parere sulle modalità con cui ci accingiamo a creare la libera circolazione dei servizi nell’ambito dell’Unione europea – una delle quattro libertà su cui si basa la nostra cooperazione europea. In un’economia mondiale sempre più globalizzata, ove la concorrenza si fa sempre più intensa, l’economia europea deve sfruttare sino in fondo i settori in cui siamo competitivi; tra questi settori vi è quello dei servizi. I compromessi conclusi tra i gruppi PPE-DE e PSE hanno purtroppo aperto nuove possibilità di protezionismo giuridico, tali da ostacolare il commercio dei servizi tra paesi vicini e colpire duramente i nuovi Stati membri. Nonostante tutto, ho deciso di votare a favore di questa proposta annacquata, che può comunque costituire un primo passo verso l’obiettivo da me auspicato: una libertà di circolazione per i servizi – del resto già esposti alla concorrenza – che sia all’altezza del nostro mercato interno comune europeo.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Ci rammarichiamo che non sia stata approvata la nostra proposta di reiezione della direttiva Bolkestein, nucleo centrale della cosiddetta strategia di Lisbona ed elemento essenziale del neoliberismo nel settore dei servizi nonché strumento degli interessi dei grandi gruppi economici e finanziari dell’Unione europea, come dimostrano le posizioni assunte dalle loro organizzazioni rappresentative, e in particolare dall’UNICE, l’Unione delle confederazioni delle industrie della comunità europea.

Le lotte operaie e popolari hanno sicuramente imposto qualche concessione e alcune modifiche – che abbiamo sostenuto nella misura in cui si presentavano positive – ma il malaugurato compromesso tra PSE e PPE-DE ha frustrato le aspettative di quanti si auguravano che il Parlamento europeo potesse respingere una proposta tanto gravosa per i lavoratori e le masse popolari dei diversi Stati membri.

Abbiamo quindi votato contro la proposta complessiva, e contro molti dei suoi aspetti particolari che giudichiamo negativi; pensiamo in particolare ai seguenti, che riguardano:

– la liberalizzazione generale dei servizi, comprese aree sensibili di settori e servizi pubblici, come ad esempio l’approvvigionamento idrico, l’edilizia sociale, l’energia, i servizi postali, la ricerca, l’istruzione e la formazione, i servizi culturali e i servizi di sicurezza; in questo campo sono state respinte le proposte da noi avanzate per l’esclusione di tali servizi dall’ambito della direttiva;

– la maggiore precarietà che contraddistingue la contrattazione dei lavoratori, in particolare per quel che riguarda i lavoratori autonomi;

– l’inasprimento delle difficoltà concernenti la tutela dei diritti dei consumatori, degli utenti dei servizi pubblici e dell’ambiente.

 
  
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  Jean-Claude Fruteau (PSE), per iscritto. – (FR) Il testo sottoposto a votazione mirava a realizzare un autentico mercato interno dei servizi, correggendo un progetto di direttiva la cui impostazione ideologica – basata sulla concorrenza tra le legislazioni sociali e fiscali degli Stati membri – avrebbe prodotto conseguenze drammatiche, con un livellamento verso il basso dei diversi modelli sociali.

Se il primo di questi obiettivi è stato raggiunto, lo stesso non si può dire per il secondo. Certo, il Parlamento ha contribuito a modificare ampiamente la linea del testo originale, eliminando il principio del paese d’origine, escludendo i servizi d’interesse generale dal campo di applicazione della direttiva e tutelando il diritto del lavoro.

Permangono tuttavia numerose ombre. Sui servizi di interesse economico generale e sui servizi sociali continua a incombere la minaccia diretta di un inaccettabile dumping sociale. Il vuoto giuridico prodotto dall’eliminazione del principio del paese d’origine fa inoltre prevedere una situazione nuova, in cui saranno i giudici della Corte di giustizia delle Comunità europee a detenere il potere di definire le legislazioni sociali, senza alcuna garanzia né di risultato né di controllo democratico.

Per tali importanti ragioni, pur rallegrandomi per i progressi compiuti su questo dossier, non posso approvare il testo finale presentato al Parlamento.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) La direttiva sui servizi, nella forma in cui è stata adottata oggi, rimane inaccettabile; essa, infatti, è ancora la direttiva originaria, malamente imbellettata.

La stragrande maggioranza delle attività artigianali resta sottoposta alla concorrenza, benché nel mio paese questo settore sia il primo datore di lavoro e la principale fonte di occupazione. Anche se sono scomparsi i riferimenti troppo espliciti al principio del paese d’origine, vi sono ancora dei settori in cui questo principio scandaloso troverà applicazione totale o parziale. Rimangono dubbi, zone d’ombra e incoerenze che daranno alla Corte di giustizia del Lussemburgo il potere di interpretare la direttiva. La Corte di giustizia, però, ha sempre dato ragione a coloro che consideravano determinate norme – soprattutto quelle di carattere sociale – un intollerabile ostacolo alla concorrenza. La Commissione avrà così un pretesto per cercare un’armonizzazione verso il basso nei settori che non sono di sua competenza, come la protezione sociale e il diritto del lavoro.

Mi oppongo quindi alla direttiva Bolkestein, emendata o non emendata; mi oppongo ai principi aberranti che ne sono il fondamento, al dumping sociale e giuridico, alla libera concorrenza portata all’estremo e generatrice di disoccupazione; mi oppongo alle delocalizzazioni annunciate, e a una certa eurocrazia che si rifiuta di tener conto delle opinioni dei popoli, per continuare a imporre loro politiche che essi non desiderano.

 
  
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  Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. (SV) Anche la Lista di giugno ritiene che il mercato interno dei servizi non sia stato completato. Guardiamo quindi con favore alla direttiva sui servizi e crediamo che, indipendentemente dal paese d’origine, le società di servizi non debbano subire discriminazioni in alcun paese dell’Unione europea.

Nel dibattito in corso in merito alla direttiva sui servizi il punto cruciale è appunto quello di decidere se la direttiva si debba ispirare al principio del paese d’origine (articolo 16). La Lista di giugno ritiene ugualmente importanti il mercato interno e l’autodeterminazione nazionale. La domanda fondamentale è perciò la seguente: il principio del paese d’origine comporta vantaggi tali da indurci a rinunciare alla sovranità nazionale? La nostra risposta è “no”.

Il principio del paese d’origine riguarda settori significativi ma estremamente limitati, come l’edilizia, le opere d’installazione e i servizi di consulenza. Siamo favorevoli allo sviluppo della concorrenza nell’ambito di tali settori, ma riteniamo che essa si debba realizzare a condizioni eque per tutte le parti in causa. Crediamo inoltre che le norme svedesi debbano applicarsi sul territorio svedese e sosteniamo quindi il principio del paese di destinazione.

Riteniamo altresì che sia necessario rispettare i monopoli nazionali sui servizi; quanto all’aspetto preciso che tali servizi dovranno assumere, saranno i singoli Stati membri a decidere mediante ampi dibattiti.

Per tutti questi motivi, abbiamo deciso di sostenere il compromesso avanzato dai gruppi PPE-DE e PSE.

 
  
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  Françoise Grossetête (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della proposta emendata. Spero che la votazione sulla direttiva relativa ai servizi serva a dissipare la falsa convinzione secondo cui la Commissione europea avrebbe l’ultima parola su tutto.

Il fatto che un testo venga proposto dalla Commissione non significa che esso si debba applicare tale e quale. A causa di manovre politiche dettate da circostanze elettorali, si è fatto credere ai francesi che così fosse: la cosiddetta direttiva “Bolkestein” è un simbolo di manipolazione popolare. Il Parlamento europeo ha dimostrato oggi che il potere di legiferare appartiene ai rappresentanti dei cittadini.

La proposta della Commissione europea non era di buon livello. Di conseguenza, noi l’abbiamo modificata per trovare un punto di equilibrio tra i vantaggi economici della liberalizzazione dei servizi da un lato, e l’assoluta necessità di evitare qualsiasi forma di dumping sociale dall’altro.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La maggioranza del Parlamento europeo ha approvato il compromesso tra PSE e PPE-DE, che ha cercato di mantenere alcuni aspetti essenziali della proposta di direttiva sulla liberalizzazione dei servizi, anziché respingerla, com’era stato proposto da parte nostra.

Grazie alla ferma denuncia degli aspetti più negativi di questa proposta, nonché alla lotta dei lavoratori che chiedevano la reiezione della direttiva, la maggioranza del Parlamento europeo ha escluso alcuni servizi dal suo campo di applicazione, rinviandoli a una decisione successiva, e con un gioco di prestigio giuridico ha dissimulato la norma sull’applicazione del principio del paese d’origine del fornitore dei servizi.

Anche se non si sono realizzati tutti gli ambiziosi obiettivi dei grandi gruppi economici e finanziari, siamo comunque di fronte a un inasprimento della concorrenza in numerosi settori dei servizi, compresi i servizi pubblici; questo comporterà conseguenze negative per i diritti dei lavoratori e i servizi forniti alla popolazione. Analogamente, con il rafforzamento del ruolo della Corte di giustizia delle Comunità europee, si introdurranno nuove limitazioni alla sovranità degli Stati.

Ma la direttiva sulla liberalizzazione dei servizi non è stata ancora approvata. Il Consiglio – di cui fa parte il governo portoghese – dovrà assumersi le sue responsabilità; da parte nostra continueremo a lottare per ottenere la reiezione di questa proposta di direttiva che – qualora venisse approvata – metterebbe a repentaglio gli interessi dei lavoratori e del nostro paese.

 
  
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  Jacky Henin (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Tutto si riassume in due dati: oggi nell’Unione i servizi rappresentano il 70 per cento del valore aggiunto ma costituiscono appena il 20 per cento degli scambi intracomunitari.

Di conseguenza, non potendo delocalizzare la maggioranza delle aziende fornitrici di servizi, si delocalizzano i salari da fame, e a questo scopo è stata inventata la direttiva Bolkestein. Ecco il suo obiettivo: ridurre i salari al minimo, abbassare i livelli di protezione sociale, limitare i diritti dei consumatori e smantellare i servizi pubblici. Non siamo neanche più all’ultraliberismo, siamo al liberismo totale.

Il compromesso tra PPE-DE e PSE non serve affatto a regolamentare il principio del paese d’origine o a sottrarre i servizi pubblici alla legge inesorabile del mercato; esso si limita a conferire alla Commissione e alla Corte di giustizia il ruolo di arbitro supremo. Se si considera l’orientamento ultraliberistico della Commissione e della Corte di giustizia, ciò equivale a mettere le volpi a guardia del pollaio.

Approvare la direttiva sui servizi significherebbe condannare a morte, in Europa, la protezione dei lavoratori e dei consumatori nonché i servizi pubblici.

I popoli d’Europa non hanno bisogno di una direttiva che metta in concorrenza le scelte di politica sociale e fiscale che essi hanno democraticamente effettuato.

(Testo abbreviato conformemente all’articolo 163, paragrafo 1, del Regolamento)

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Dal pacchetto di compromesso concordato dai gruppi socialista e conservatore scaturisce un risultato poco chiaro. Per esempio, i due gruppi maggiori si sono rifiutati di escludere completamente i servizi sociali dalla portata della direttiva, nonostante le forti preoccupazioni di molti operatori del settore dell’assistenza sociale; in ogni caso sono stati esclusi servizi “come l’edilizia sociale, la cura dei bambini e i servizi alle famiglie”. Quest’elenco incompleto di alcuni servizi sociali produce incertezza giuridica, e impedisce di individuare i servizi sociali che saranno interessati dalla direttiva, a parte i settori della casa, della cura dei bambini e dei servizi alle famiglie.

Il compromesso non garantisce l’esclusione completa di settori essenziali come l’istruzione, l’acqua e la cultura; esso minaccia anzi i diritti dei consumatori, poiché non permette agli Stati membri di imporre requisiti fondati sulla protezione dei consumatori.

Per tali motivi ho votato contro la relazione emendata.

 
  
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  Karin Jöns (PSE), per iscritto. – (DE) I veri obiettivi della proposta di direttiva della Commissione relativa ai servizi erano il dumping sociale e la deregolamentazione. Constato con piacere che il mio gruppo è riuscito a trasformare la direttiva nel suo esatto contrario.

Il principio del paese d’origine è stato abbandonato, per essere sostituito da un accesso al mercato scevro da discriminazioni; si deve quindi applicare il diritto del lavoro del luogo in cui avviene la prestazione di servizi. E’ anche importante che la direttiva sul distacco dei lavoratori continui ad essere applicata senza restrizione alcuna, e che vi sia una deroga per i servizi forniti dalle agenzie di lavoro temporaneo. Adesso sta al Consiglio rinunciare a ostacolare ulteriormente la legislazione europea su questo tema.

Sono lieta che la direttiva non si applichi più ai servizi di interesse generale, ma mi rammarico del fatto che i servizi di interesse economico generale siano comunque soggetti, in una certa misura, alla direttiva. Abbiamo urgentemente bisogno di una direttiva quadro europea che fissi alcune norme in questo importante settore.

Con l’evoluzione del processo legislativo, dovremo rivolgere la nostra attenzione ad alcuni aspetti specifici.

Le libertà fondamentali dei lavoratori, previste dalla “clausola Monti”, dovranno avere la precedenza rispetto alle norme che regolano l’attività economica. I diritti di codecisione e codeterminazione, che hanno la loro base nella legge, non devono essere messi a repentaglio.

Sarà opportuno rivolgere costante attenzione ai motivi imperativi di interesse generale, secondo quanto previsto dall’articolo 4, paragrafo 7 bis, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee.

Gli obblighi aventi base giuridica, formulati nell’interesse dei lavoratori del paese o di quelli stranieri (contributi obbligatori ad associazioni sindacali, fondi per il pagamento delle ferie, eccetera), devono applicarsi a tutti coloro che prestano servizi sia in patria che all’estero.

 
  
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  Timothy Kirkhope (PPE-DE), per iscritto. – (EN) Io e i miei colleghi conservatori britannici siamo da lungo tempo convinti sostenitori delle misure tese a completare il mercato unico nell’Unione europea. La liberalizzazione dei servizi nel mercato interno costituisce un importante progresso verso tale obiettivo, ed offre al settore dei servizi britannico, che può vantare lusinghieri successi, l’opportunità di un brillante futuro.

Anche se oggi abbiamo votato a favore del pacchetto finale, ci rammarichiamo che sia sfumata l’occasione di accordarsi su una direttiva di autentica liberalizzazione; invitiamo perciò il Consiglio e il Primo Ministro britannico ad agire senza indugio per rafforzare la direttiva.

Votare contro questo pacchetto – con tutte le sue carenze – e contribuire così al suo naufragio avrebbe portato acqua al mulino di quei settori della sinistra europea che avversano per motivi ideologici la liberalizzazione, il libero mercato e le riforme economiche. L’economia europea ha urgente bisogno di liberalizzazione, e noi continueremo a batterci per raggiungere tale obiettivo quando il Parlamento riesaminerà la questione in seconda lettura.

 
  
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  Jean Lambert (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ho votato contro questa relazione poiché ritengo che in numerosi settori il risultato finale non garantisca sufficiente chiarezza. Non è chiaro se abbiamo veramente eliminato il cosiddetto principio del paese di origine: non è chiaro, infatti, quale legislazione dovrà essere applicata a un’impresa che intenda fornire servizi transfrontalieri su base temporanea. Non è chiaro neppure dove corra la linea di separazione per i servizi che hanno veste di servizio pubblico, ma sono forniti da operatori privati o subappaltatori. Sono lieta che dalla direttiva sia stata eliminata la mobilità dei pazienti – sarebbe stato meglio non inserirla affatto. In effetti l’ampia proposta della Commissione era mal concepita e peggio elaborata; nella prossima proposta mi attendo emendamenti sostanziali.

 
  
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  Carl Lang (NI), per iscritto. – (FR) Sin dal Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000, in cui la Francia era rappresentata da Jacques Chirac e Lionel Jospin, e che poi è stato messo in secondo piano dai lavori del Consiglio “Mercato interno” e dalle relazioni parlamentari Berger e Harbour, adottate entrambe con il completo sostegno del PPE-DE e del PSE, liberali, conservatori e socialisti europei sono stati gli autentici artefici della cosiddetta direttiva Bolkestein.

In questa vicenda il Consiglio europeo di Lisbona ha svolto unicamente il ruolo di specchio di una classe politica ideologicamente ansiosa di realizzare con la massima rapidità possibile il mercato interno dei servizi.

Il soprassalto di autodifesa sociale con cui i popoli olandese e francese hanno respinto il progetto di Costituzione europea ha fortunatamente arrestato la bomba a orologeria della liberalizzazione selvaggia dei servizi.

La sinistra, intrappolata nella rete dell’europeismo liberale, annaspa oggi in una confusione patetica, soffocata dalle proprie contraddizioni interne.

La versione modificata della direttiva sui servizi, che ci è stata proposta, cambia solamente la forma del testo senza intaccarne la sostanza. Con o senza modifiche la direttiva resta pessima, poiché la strategia per il mercato interno che viene proposta è intrinsecamente nociva.

Alla relazione Gebhardt noi opponiamo dunque un “no” sociale e nazionale.

 
  
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  Jean-Marie Le Pen (NI), per iscritto. – (FR) Il voto del 29 maggio 2005 sulla Costituzione europea è stato un autentico detonatore politico e sociale.

Il vero piano B è stato in effetti il ritiro della direttiva Bolkestein. Senza l’esito negativo dei referendum svoltisi in Francia e nei Paesi Bassi, socialisti e verdi, UMP e UDF – tutti favorevoli alla Costituzione europea e all’intensificazione della concorrenza in Europa – non avrebbero mostrato tanto zelo nel denunciare il principio del paese d’origine e gli attacchi sferrati contro i servizi pubblici commerciali e non commerciali.

Questa messinscena politico-mediatica ha l’unico scopo di far dimenticare i voltafaccia del partito socialista, che con Lionel Jospin aveva contribuito alla liberalizzazione delle Poste, di EDF e di France Télécom. In questa vicenda non possiamo assolvere nessuno: liberali, paleo- o postmarxisti e internazionalisti sono tutti responsabili e tutti colpevoli. Solo la struttura nazionale di cui noi siamo i difensori può proteggerci dalla direttiva Bolkestein, da Mittal Steel o dalle OPA ostili delle multinazionali o dei fondi pensione americani.

L’Europa si lacera a causa della direttiva sui servizi, in attesa che l’accordo generale sul commercio dei servizi in seno all’OMC metta tutti d’accordo in nome della libera concorrenza e della supremazia del mercato.

 
  
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  Fernand Le Rachinel (NI), per iscritto. – (FR) La direttiva sui servizi, la famigerata direttiva Bolkestein, è una macchina per la produzione di disoccupati. In Francia, il referendum sulla Costituzione europea aveva consentito ai francesi di smascherare la sua filosofia ultraliberista e distruttrice d’occupazione. Oggi, però, dopo qualche modifica superficiale, essa rimane sostanzialmente immutata.

Anche se il concetto di paese d’origine è stato cancellato, quello di libertà di prestazione dei servizi non è affatto scomparso. Siamo di fronte a una clamorosa farsa, che serve a realizzare ciò che i liberali, i conservatori e la sinistra – tutti uno più europeista dell’altro – hanno astutamente escogitato insieme ai rispettivi governi nazionali da quasi due anni a questa parte. Che si tratti della direttiva Bolkestein, della direttiva sui servizi o della relazione Gebhardt, tutti questi testi al centro di polemiche e di un compromesso strappato all’ultimo minuto tra i gruppi politici del Parlamento europeo restano gli stessi, e sono da respingere con forza.

Siamo fermamente contrari a questa concezione ultraliberista e antinazionale del mercato interno dei servizi, che in ultima analisi – col pretesto della “concorrenza libera e non falsata” – si pone l’unico obiettivo di distruggere l’artigianato e le piccole imprese della Francia.

 
  
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  Marie-Noëlle Lienemann (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato contro questa relazione che, nonostante contenga qualche miglioramento rispetto al testo dell’ex Commissario Bolkestein, proietta tuttavia sul nostro modello sociale l’ombra di cupe minacce.

Il principio del paese d’origine è stato abbandonato formalmente ma non sostanzialmente. In effetti il vuoto giuridico del testo lo fa rientrare dalla finestra – applicazione di fatto della Convenzione di Roma e del principio di prossimità – e lascia alla Corte di giustizia il compito di occuparsi di arbitrati che poi il legislatore dovrà recepire, applicando il principio del paese di destinazione. I servizi d’interesse economico generale rimangono nella portata della direttiva, fatto questo che mette a repentaglio servizi pubblici che in Europa sono già alquanto malridotti. Le votazioni hanno confermato un indirizzo ultraliberista.

Gli Stati sono privi degli strumenti per regolamentare alcune professioni e controllare efficacemente l’applicazione di direttive come quella sul distacco dei lavoratori – fragile diga contro il dumping sociale.

L’Unione europea ha bisogno di un progetto alternativo che includa l’armonizzazione verso l’alto delle norme sociali, ambientali e di protezione dei consumatori, ed escluda invece i servizi pubblici, che hanno bisogno di una direttiva quadro di tutela.

 
  
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  Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho fatto sapere, a chi voleva capire, che sono favorevole a un compromesso, ma non sono affatto disposta ad essere presa per stupida.

Sostengo il principio del paese d’origine. I negoziatori del mio gruppo mi hanno garantito che il nuovo testo – secondo il quale gli Stati membri devono rispettare il diritto dei fornitori di servizi di offrire un servizio in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno la sede – equivale esattamente a tale principio. In tal caso, posso votare a favore del compromesso. I negoziatori del PSE, tuttavia, si vantano pubblicamente di essere riusciti a far piazza pulita di questo principio, in cui essi – sbagliando – scorgono la causa di tutti i mali dell’economia e della società.

L’eliminazione del principio del paese d’origine dall’articolo 16 getterà i fornitori di servizi in una situazione di incertezza giuridica, poiché essi saranno costretti a improvvisare sotto il controllo della Corte di giustizia.

D’altra parte, le clausole di salvaguardia del paragrafo 3 vanno al di là della giurisprudenza, e danno l’impressione che sia possibile esigere l’applicazione della legge del paese di destinazione in base a una semplice “necessità”, senza svolgere test di proporzionalità e non discriminazione. In tal modo, queste disposizioni essenziali diventano così vaghe da indurmi a non sostenere alcuna parte del testo di compromesso concernente l’articolo 16.

(Testo abbreviato conformemente all’articolo 163, paragrafo 1, del Regolamento)

 
  
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  Cecilia Malmström (ALDE), per iscritto. – (SV) Data la rilevanza del settore dei servizi, avrei auspicato che si compissero progressi più rilevanti in questo importante mercato. Purtroppo, il voto odierno rappresenta soltanto un modesto passo avanti, cosa di cui mi rammarico. Questa diabolica alleanza tra conservatori e socialdemocratici spiana la strada al protezionismo e alle controversie giudiziarie e limiterà il mercato dei servizi. Una simile evoluzione porterebbe alla sconfitta dei lavoratori e dei consumatori europei. Purtroppo, con il nostro comportamento diciamo ai nuovi Stati membri che sussiste un divario tra “noi” e “loro”. Con notevole esitazione ho votato a favore della proposta, che costituisce tuttavia un modesto passo avanti per il mercato dei servizi.

 
  
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  Toine Manders (ALDE), per iscritto. – (NL) La versione della direttiva che è stata approvata da questa Assemblea obbliga gli Stati membri a rimuovere tutti gli ostacoli che continuano a frapporsi alla libera circolazione dei servizi. Questo favorisce il progresso, soprattutto per le PMI, ed ho quindi votato a favore del compromesso.

Il mantenimento del principio del paese d’origine implica che questo non scompare dal Trattato, a meno di negare la continua esistenza del mercato interno. Sono certo che la Commissione e il Consiglio risponderanno con una proposta migliore.

Sono favorevole a una maggiore liberalizzazione del mercato dei servizi, e sono quindi deluso dalla posizione assunta dai socialisti e dai democratici-cristiani; soltanto i liberali, fin dall’inizio, hanno inviato un chiaro messaggio, sostenendo il libero funzionamento del mercato in Europa e una maggiore liberalizzazione del mercato interno. Sia i socialisti che i democratici-cristiani hanno tradito la causa pur di restare in buoni rapporti con i sindacati, a spese dei consumatori. Un simile protezionismo mette a rischio il futuro dei nostri figli.

 
  
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  Jean-Claude Martinez (NI), per iscritto. – (FR) Da cinquant’anni a questa parte tra le quattro libertà fondamentali del mercato comune figura la libertà di offrire servizi transfrontalieri. A conferma di ciò, la Corte di giustizia ha riconosciuto il principio del paese d’origine. Per i ciechi, l’accordo generale sul commercio dei servizi, firmato a Marrakech nell’aprile 1994, ha definito a livello mondiale un “quarto modo” per le forniture dei servizi, sotto forma di prestazione transfrontaliera di servizi, ossia un passaggio temporaneo alle condizioni sociali di dumping del paese d’origine.

I leader europei fingono oggi di scoprire questo antico principio, ma il principio del paese d’origine devasta ormai da decenni le economie europee. Se vogliamo conservare il modello sociale europeo di stampo francese con le sue pensioni, l’assistenza sanitaria, le scuole gratuite, gli uffici postali, i treni, gli ospedali, allora è necessario respingere non soltanto l’idea che i lavoratori debbano ricevere il salario più basso pagato nei paesi socialmente più arretrati, ma anche il concetto di un mercato privo di protezione doganale, che è poi la vera causa del dumping sociale di cui il principio del paese d’origine non è che un sintomo. Il punto di partenza del cancro sociale, la prima cellula impazzita, è l’idea del mercato unico senza le barriere rappresentate dai diritti doganali; la norma del paese d’origine è unicamente la metastasi.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Mi rallegro per il risultato di questa storica votazione sul mercato interno nel settore dei servizi, che dimostra la capacità del Parlamento europeo di gestire una legislazione complessa, apportando miglioramenti essenziali che recepiscono gli elementi che più stanno a cuore ai nostri cittadini: in questo caso si tratta di garantire che una legislazione ambiziosa e lungimirante non incida sui diritti dei consumatori e dei lavoratori.

Votando a favore della direttiva sui servizi modificata ho sostenuto misure che individuano un punto di equilibrio tra l’apertura del mercato unico da un lato, e la salvaguardia dei diritti sociali dei lavoratori e dei nostri servizi pubblici vitali dall’altro.

L’apertura del mercato nel settore dei servizi non serve solo a favorire le grandi imprese, ma anche a creare occupazione, diffondendo tra consumatori e produttori potenziali benefici economici del valore di circa 30 miliardi di euro. Questa legislazione darà a piccole e medie imprese l’occasione di fornire servizi transfrontalieri; in tal modo, esse potranno finalmente sfruttare l’integrazione regionale davvero unica che viene offerta da un’Unione a 25 Stati, senza sobbarcarsi costosi procedimenti giudiziari in tribunale.

Di fronte alle sfide che ci vengono lanciate dai fiorenti mercati dei servizi di paesi terzi come l’India e la Cina, l’Europa non poteva lasciarsi sfuggire quest’occasione per migliorare i margini competitivi in un settore dalla crescita così dinamica.

 
  
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  Arlene McCarthy (PSE), per iscritto. – (EN) Come presidente della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, sono felice per lo storico voto odierno, che segna l’apertura del mercato dei servizi in tutta Europa. Abbiamo in tal modo completato l’ardua e complessa costruzione del mercato interno. Per troppo tempo una soffocante burocrazia ha impedito alle piccole e medie imprese di svolgere la propria attività negli altri Stati membri dell’Unione europea. Se consideriamo che presso la Corte di giustizia delle Comunità europee sono in discussione più di 53 casi di imprese che reclamano – in base al Trattato – il diritto di fornire servizi in tutta Europa, è chiaro che è giunto il momento di stabilire le norme per il funzionamento del mercato dei servizi. Il Parlamento ha tenuto conto delle preoccupazioni e dei timori espressi dai cittadini, ed ha impedito che la libertà di fornire servizi si trasformasse in libertà di attaccare le condizioni occupazionali dei cittadini e i loro diritti di consumatori. Vogliamo eliminare il protezionismo, ma proteggere i lavoratori e i consumatori. Siamo lieti di aver votato e sostenuto questo compromesso, che ha realizzato un importantissimo equilibrio di interessi a favore dei cittadini di tutta l’Unione europea.

 
  
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  Kartika Tamara Liotard e Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto. – (NL) L’ex Commissario Bolkestein riteneva che le buone leggi e gli efficaci accordi salariali collettivi riscontrabili in molti Stati membri dell’Unione europea sarebbero stati in costante concorrenza con le deficitarie normative che prevalgono in altri. L’obiettivo era di trasformare le differenze in un fattore di concorrenza, nella convinzione che il peggiore avrebbe avuto la meglio. Questo approccio di neoliberismo estremo mirava a distruggere tutto ciò per cui il movimento sindacale ha combattuto e ciò che esso ha conquistato nel corso di un secolo.

Grazie all’azione di massa dei sindacati e di altre organizzazioni, la versione originaria della direttiva non vedrà la luce, lasciando il posto a un vago compromesso tra i due maggiori gruppi del nostro Parlamento. Se si vuole evitare che l’Assemblea raggiunga decisioni prive di ambiguità, si dovranno attribuire competenze significative alla Corte di giustizia, che potrebbe benissimo optare a favore del controverso principio del paese d’origine. Quelli di noi che fanno parte del partito socialista olandese non hanno avuto parte alcuna in questo compromesso. Voteremo per respingerlo ma, finché la direttiva non entrerà in vigore, sosterremo tutti gli emendamenti che verranno avanzati e che il movimento sindacale considererà idonei a migliorare la direttiva. Nel frattempo, la lotta continua; insieme al movimento sindacale, ci opporremo a qualsiasi tentativo del padronato di assumere personale a salari più bassi.

 
  
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  Claude Moraes (PSE), per iscritto. – (EN) I deputati laburisti al Parlamento europeo hanno votato a favore della direttiva sui servizi modificata, per eliminare il protezionismo ma al tempo stesso garantire la tutela dei lavoratori e dell’occupazione.

Il compromesso che stiamo esaminando è stato discusso a fondo, così da assicurare l’esito più favorevole per i lavoratori e le imprese del Regno Unito.

I mercati del Regno Unito sono già liberalizzati per gli altri paesi dell’Unione europea. Dobbiamo far sì che le imprese – tra cui quelle che operano a Londra, nella mia circoscrizione elettorale – possano competere in condizioni di equità nel resto del territorio del Regno Unito.

I deputati laburisti al Parlamento europeo hanno svolto un duro lavoro per garantire che le preoccupazioni dei sindacati britannici in materia di norme e condizioni di lavoro venissero prese in seria e completa considerazione.

 
  
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  Tobias Pflüger (GUE/NGL), per iscritto. – (DE) Il nostro obiettivo rimane quello di cancellare la direttiva sui servizi. Oggi il Parlamento europeo ha approvato, con 395 voti contro 215, un “compromesso” messo insieme alla bell’e meglio da socialdemocratici e conservatori. A tutte le inopportune concessioni che i socialdemocratici avevano già fatto ai conservatori, se n’è aggiunta un’altra poco prima della conclusione; in tal modo la politica sociale e la protezione dei consumatori non sono state escluse dal campo d’applicazione della direttiva, dopo che, in precedenza, i servizi d’interesse economico generale erano già stati sottoposti alla liberalizzazione dei servizi. Questo è del tutto inaccettabile.

Il testo approvato oggi ha finito per essere non solo un lasciapassare per il dumping sociale in Europa, ma anche uno schiaffo per i sindacati, i difensori della giustizia sociale e tutti coloro che, negli ultimi mesi, settimane e giorni sono scesi in piazza contro la direttiva Bolkestein. E’ particolarmente vergognoso il comportamento dei socialdemocratici tedeschi che, a differenza dei loro colleghi francesi, hanno mantenuto nei confronti della direttiva Bolkestein una fedeltà incrollabile, consegnando al boia la loro stessa base sociale.

La lotta contro la direttiva per il dumping sociale in Europa è però appena all’inizio. Nei prossimi mesi dobbiamo intensificare in Europa la mobilitazione contro i piani della Commissione, dei governi e della Grande coalizione antisociale.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Stabilendo che un fornitore di servizi è libero di offrire i propri servizi in qualunque altro Stato membro, senza che sia lecito opporgli ostacoli inusitati, si difendono gli interessi dei consumatori, dei lavoratori, dei fornitori di servizi; in ultima analisi, si difende l’interesse dell’Europa.

Il mercato dei servizi detiene il maggior potenziale di crescita e sviluppo dell’economia europea, e noi ci poniamo l’obiettivo di promuovere riforme che stimolino l’economia, difendendo i diritti dei lavoratori, dei consumatori e degli imprenditori, in particolare le piccole e medie imprese, tradizionalmente più vulnerabili alle barriere amministrative, politiche ed economiche.

Ho approvato questa relazione in quanto sono favorevole a un’autentica libertà di stabilimento e di prestazione di servizi nell’Unione europea. Se è possibile acquistare liberamente beni e servizi in un altro Stato membro, non è neppure giustificabile impedire al fornitore di servizi di spostarsi, purché sia rispettato un insieme di principi – soprattutto di natura pubblica e sociale – che la versione oggi approvata in effetti salvaguarda.

Nonostante il compromesso – comunque necessario in un gruppo politico con le responsabilità del PPE-DE – siamo di fronte a un risultato equilibrato, e soprattutto al chiaro segnale che la maggioranza del Parlamento europeo desidera un’economia che garantisca più occupazione e sia più efficiente, giusta e competitiva.

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Con il suo voto odierno sulla cosiddetta direttiva Bolkestein, il Parlamento europeo ha certamente scritto una pagina importante nella storia della democrazia parlamentare europea.

Conciliando l’inconciliabile – la posizione della Francia e quella della Polonia, quella della CES e quella dell’UNICE, quella dei socialisti progressisti e quella dei liberali non dogmatici – questo voto rappresenta un passo avanti verso un’Europa della cittadinanza. Un’Unione europea che non transige sul tema del dumping sociale, ma non trascura neppure l’eliminazione delle barriere protezionistiche alla libera prestazione dei servizi e alla libertà di stabilimento.

Sì, da questa votazione il nostro Parlamento esce più grande e più forte. Esso non ha soltanto svolto in pieno il proprio ruolo di legislatore – ad esempio eliminando il principio del paese d’origine – ma ha anche saputo evitare la trappola tesa da una coalizione di euroscettici e di pavidi oppositori per principio che, colpiti da amnesia, sembrano aver dimenticato che il 1° giugno 2004 abbiamo celebrato la riconciliazione europea.

Privilegiando la politica della mano tesa verso i nostri amici dei dieci nuovi Stati membri noi abbiamo fatto cadere un nuovo muro di Berlino; si trattava questa volta di un muro che ingombrava la nostra mente, e spero che sia stato demolito una volta per tutte!

 
  
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  José Albino Silva Peneda (PPE-DE), per iscritto. (PT) La proposta di direttiva sulla liberalizzazione dei servizi concretizza un’aspirazione che risale a circa cinquant’anni fa, dal momento che la libertà di prestazione dei servizi è un elemento essenziale del progetto europeo fin dagli esordi dell’Unione.

La soluzione adottata è una vittoria della democrazia europea, e risolve una situazione di stallo che ancora poco tempo fa sembrava insuperabile. Senza quest’accordo ci troveremmo in una situazione in cui, nei prossimi anni, nessuno oserebbe affrontare l’argomento, con i danni che ne deriverebbero per la crescita dell’economia e la creazione di occupazione.

Il solo fatto di aver eliminato un groviglio di barriere amministrative e burocratiche che impedivano la libera circolazione di persone e imprese prestatrici di servizi giustifica l’approvazione di questa direttiva.

Le piccole e medie imprese ne saranno le principali beneficiarie, poiché si dissiperà quel sentimento di frustrazione che si impadroniva di loro quando cercavano di esercitare la loro attività in un paese vicino. Prima occorreva avere la residenza nel paese di destinazione, oppure tenervi aperti un ufficio o una filiale, o registrarsi preventivamente presso qualche autorità amministrativa, o ancora dimostrare di conoscere la lingua del paese, e così via. Ora, con questa direttiva, tali difficoltà non si presenteranno più.

 
  
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  Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. (NL) Chiunque abbia seguito da vicino il dibattito sulla direttiva sui servizi noterà con sorpresa che il compromesso tra conservatori e socialdemocratici è stato interpretato in diversi modi. Un gruppo della destra difende il compromesso perché “non influisce sul principio del paese d’origine”, mentre la sinistra lo ritiene un “definitivo allontanamento da quello stesso principio del paese d’origine”.

Disponiamo quindi di due opinioni assolutamente divergenti; per di più, questo compromesso non chiarisce in che misura gli Stati membri possano imporre criteri inequivocabili per la fornitura di alcuni servizi sul proprio territorio, per scongiurare il dumping sociale.

Inoltre, il gruppo PPE-DE e il gruppo PSE hanno cancellato ogni riferimento alla politica sociale e alla protezione dei consumatori.

Benché, grazie all’azione del Parlamento, siano previste deroghe per numerosi servizi, la direttiva continua ad essere applicata a un’ampia serie di servizi di interesse economico generale.

Dal momento che questa versione rimaneggiata della direttiva Bolkestein contiene comunque molte ambiguità giuridiche, essa darà luogo, ancora una volta, a numerose azioni legali per cui sarà competente la Corte di giustizia delle Comunità europee. La nuova versione della direttiva, infatti, non garantisce affatto la trasparenza e la certezza giuridica che sarebbero necessarie.

Il gruppo Verde ritiene essenziale che i servizi di interesse economico generale siano esclusi dal documento finale, e che il principio del paese d’origine venga cancellato. Poiché le nostre richieste non sono state soddisfatte, ho deciso di esprimere voto contrario.

 
  
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  Georgios Toussas (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) I parlamentari europei del partito comunista greco hanno votato contro la direttiva sui servizi nel mercato interno, nota come direttiva Bolkestein.

Condanniamo lo sciagurato accordo raggiunto dal gruppo PPE-DE e dal gruppo PSE, con il sostegno del gruppo ALDE, e sfociato, su richiesta dell’UNICE, in un voto favorevole alla fallita direttiva sulla “liberalizzazione dei servizi”.

Gli emendamenti che il PPE, il PSE e i liberali hanno proposto e sostenuto con il loro voto hanno rafforzato il carattere reazionario della direttiva, dal momento che:

a) aumentano la possibilità, per i gruppi monopolistici che operano nel settore dei servizi, di agire senza dover rendere conto a nessuno: essi infatti possono scegliere, come propria sede, paesi dotati di “un ambiente favorevole per le imprese”, che offrano benefici fiscali, bassi standard di servizi, manodopera a basso prezzo e priva di diritti, assenza di contratti collettivi e così via, garantendo massimi profitti;

b) sferrano un duro colpo ai servizi pubblici/sociali (istruzione, gestione delle acque e dei rifiuti, stoccaggio di materiale pericoloso, servizi postali, servizi culturali, servizi di assistenza sociale e così via) che vengono privatizzati e sottoposti al controllo dei monopoli;

c) mettono a repentaglio i diritti fondamentali – sociali e occupazionali – della classe lavoratrice: contratti collettivi, diritti pensionistici e assicurativi, nonché il sacro diritto di sciopero, conquistati dai lavoratori con una dura lotta di classe;

d) cedono la facoltà di acquistare servizi al capitale monopolistico, con conseguenze disastrose per le piccole imprese e i lavoratori autonomi, lasciando la definizione della qualità e dei prezzi dei servizi all’insaziabile ingordigia di profitto che contraddistingue il capitale.

 
  
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  Diana Wallis (ALDE), per iscritto. – (EN) Ho votato contro l’inclusione nella direttiva sui servizi di un nuovo considerando 13 b, perché affermare che i consumatori beneficeranno sempre della protezione loro garantita dalla legislazione sui consumatori vigente nel loro Stato membro è fuorviante, e non descrive correttamente l’effettiva posizione giuridica.

 
  
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  Anders Wijkman (PPE-DE), per iscritto. – (SV) Oggi il Parlamento europeo ha votato su uno dei più importanti provvedimenti legislativi di cui ci siamo mai occupati: la direttiva sui servizi. Essa mira ad eliminare gli ostacoli che si frappongono a due delle libertà che fanno parte del Trattato dell’Unione europea fin dal 1958: la libertà di stabilimento per i prestatori di servizi, e la libertà di circolazione dei servizi. Il potenziale che si apre al commercio dei servizi è immenso, e la Svezia è uno dei paesi che possono trarre i maggiori vantaggi da un efficiente mercato dei servizi.

Il dibattito concernente la direttiva sui servizi ha assunto dimensioni di ampio respiro. I sindacati svedesi ed europei affermano che la direttiva incoraggia il dumping sociale; non è esatto, poiché la direttiva non si occupa di problemi inerenti il diritto del lavoro. Questi ultimi, comunque, sono stati chiariti dalla decisione del Parlamento.

Auspico una direttiva sui servizi costruttiva che elimini norme amministrative e altre barriere al commercio; auspico inoltre che la portata della direttiva sia la più ampia possibile. Di conseguenza, ho votato per includere nella direttiva settori come l’assistenza sanitaria privata, le agenzie di lavoro temporaneo e i servizi di interesse economico generale.

L’odierna decisione del Parlamento si basa in parte su un ampio compromesso. I compromessi raramente sono perfetti, ma spesso si dimostrano necessari, se si desidera raggiungere l’obiettivo in questione. Mi auguro che gli Stati membri dell’Unione europea riescano a prendere una decisione in materia nel corso di quest’anno, per compiere progressi su questo importantissimo problema.

 
  
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  Tatjana Ždanoka (Verts/ALE), per iscritto. – (LV) Ho votato contro gli emendamenti alla direttiva sui servizi che cercavano di fare marcia indietro sull’introduzione del principio del paese d’origine. Contemporaneamente sostengo gli emendamenti che sottolineano la necessità di non consentire un peggioramento della qualità dei servizi, di garantire la tutela degli interessi dei consumatori e di tener presenti le esigenze della sicurezza e della sanità. A mio avviso, la rinuncia al principio del paese d’origine inciderà notevolmente sulla libera circolazione dei servizi nell’Unione europea, limitando, per le aziende dei nuovi Stati membri, la possibilità di competere liberamente nel settore dei servizi dell’UE. Imporre requisiti ingiustificati a un fornitore di servizi avente sede in uno Stato membro dell’Unione e creare situazioni di disuguaglianza non è compatibile con i principi del mercato interno dell’Unione europea, ed è quindi inammissibile.

I cittadini della Lettonia, come quelli degli altri nuovi Stati membri, ritengono che un provvedimento volto praticamente a escludere le nostre aziende e i nostri lavoratori dal settore dei servizi dei vecchi Stati membri equivalga a un inganno, e alla rottura delle promesse che l’Unione europea aveva fatto ai nuovi Stati membri nel corso del processo di adesione. Il popolo lettone ha pagato un prezzo troppo alto per l’adesione all’UE; aprendo completamente il proprio mercato interno ai produttori occidentali la Lettonia ha distrutto la propria industria e la propria agricoltura.

Ritengo necessario accordarci su una direttiva fondata sulla solidarietà tra vecchi e nuovi Stati membri, nonché sul principio della parità di diritti.

 
  
  

– Relazione McGuinness (A6-0023/2006)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’ottima relazione della collega, onorevole McGuinness, concernente la proposta di decisione del Consiglio relativa a orientamenti strategici comunitari per lo sviluppo rurale (periodo di programmazione 2007-2013). Nel quadro della riforma della politica agricola comune, lo sviluppo rurale assume un’importanza determinante per il 90 per cento del territorio dell’Unione europea e per il 50 per cento della sua popolazione. Questi orientamenti sono sostanzialmente validi, e mi rallegro che il Parlamento stia progressivamente riconoscendo che le zone montane devono costituire uno spazio d’intervento privilegiato.

Sarà opportuno vigilare attentamente sulle risorse, specialmente finanziarie, che verranno impiegate. Mi rammarico che non sia stata ribadita adeguatamente la necessità di garantire ai territori rurali pari opportunità nel contesto dell’attuale concorrenza economica e sociale; in particolare, occorre realizzare una politica di grandi opere connesse a infrastrutture come le autostrade, il trasporto ferroviario a grande velocità, la rete del trasporto aereo e l’accesso ai porti, nonché sviluppare le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. L’Unione europea deve farsi garante delle pari opportunità per cittadini e imprese, in qualunque parte del territorio europeo si trovino.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Abbiamo votato a favore di questa relazione in quanto giudichiamo complessivamente positivo il suo indirizzo, anche se dissentiamo su alcuni aspetti particolari.

Nell’insieme essa cerca di fornire risposte ai problemi più sentiti nel mondo rurale: si ribadisce, in particolare, che le zone rurali si trovano in una situazione di svantaggio che richiede un’attenzione particolare, soprattutto considerando la grande diversità di situazioni e le specificità predominanti in ogni Stato membro.

Meritano quindi attenzione particolare le zone rurali più remote, le zone montane e quelle svantaggiate, afflitte da problemi di spopolamento e declino, ma anche le zone periurbane, soggette alla crescente pressione dei centri urbani. Sottolineo inoltre l’inclusione di proposte miranti a incentivare le iniziative esistenti a livello locale: ad esempio, i mercati agricoli e i programmi per l’approvvigionamento di prodotti alimentari locali di qualità, nonché la necessità di garantire un concreto sostegno ai giovani agricoltori, per consentire il ricambio generazionale.

Occorre riservare un trattamento specifico alle regioni ultraperiferiche, dove le aziende agricole si caratterizzano per l’isolamento, le ridotte dimensioni e la scarsa diversificazione produttiva, oltre che per le avverse condizioni climatiche.

 
  
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  Duarte Freitas (PPE-DE), per iscritto. (PT) Gli orientamenti strategici comunitari per lo sviluppo rurale serviranno da base per i futuri programmi nazionali di sviluppo rurale, armonizzando gli obiettivi e le misure da applicare nell’ambito di questo settore così importante in Europa.

Appare estremamente importante una completa e rigorosa definizione delle strategie che punti a intensificare lo sviluppo delle aree rurali europee e a migliorare l’ambiente rurale e le condizioni di vita delle sue popolazioni.

Giudico assai positiva la proposta della Commissione europea, che offre un ventaglio adeguatamente diversificato di obiettivi e misure; apprezzo pure la relazione dell’onorevole McGuinness, che affina e precisa gli orientamenti strategici in vari settori specifici, come la protezione del patrimonio culturale rurale e la conservazione del paesaggio rurale.

 
  
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  Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) Dopo il dibattito sugli orientamenti strategici per lo sviluppo rurale, svoltosi in base alla procedura di conciliazione, la commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento europeo ha presentato molte proposte degne di elogio. Il Parlamento europeo cerca però costantemente di esercitare un controllo più pesante sulle politiche agricole e regionali degli Stati membri: è una tendenza che ci trova ostili.

In materia di sviluppo rurale non riteniamo che gli Stati membri possano rimanere vincolati da ponderosi documenti di definizione degli obiettivi; siamo certi che i parlamenti nazionali e regionali sono in grado di affrontare questo problema in maniera positiva e costruttiva.

Abbiamo quindi votato contro gli emendamenti che il Parlamento europeo desidera apportare alla proposta di decisione del Consiglio relativa agli orientamenti strategici per lo sviluppo rurale.

 
  
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  Sérgio Marques (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Nell’ambito del nuovo regolamento sullo sviluppo rurale è prevista l’adozione di orientamenti strategici comunitari per il prossimo periodo finanziario 2007-2013. Va sottolineata l’importanza della politica di sviluppo rurale, considerando che le zone rurali costituiscono il 90 per cento del territorio dell’Unione europea, e ospitano il 50 per cento della sua popolazione.

Questi orientamenti strategici tendono a individuare i settori in cui il finanziamento comunitario può produrre il massimo valore aggiunto a livello di Unione europea, concretizzare sul piano dello sviluppo rurale le principali priorità dell’Unione, assicurare la coerenza della programmazione con le altre politiche dell’UE, e infine sostenere l’applicazione della nuova PAC, nonché le necessarie ristrutturazioni nei nuovi come nei vecchi Stati membri.

Mi unisco alla relatrice nel sostenere questa proposta di decisione, che risponde all’esigenza di offrire agli Stati membri un orientamento più chiaro sull’applicazione del regolamento. Tuttavia, occorre anche sottolineare con forza la necessità di modernizzare i settori agricolo e silvicolo, nonché di incoraggiare i giovani agricoltori e le loro famiglie a non abbandonare le zone rurali.

 
  
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  Jean-Claude Martinez (NI), per iscritto. – (FR) Può esserci uno sviluppo rurale senza popolazioni rurali? Come possono sopravvivere i villaggi e i paesaggi delle regioni viticole del Mezzogiorno francese, se si distruggono i vigneti, se si chiudono le cantine dei privati e delle cooperative, se le fattorie dei viticoltori sono inghiottite dalle lottizzazioni?

Lo sviluppo rurale del Périgord, del sudovest, delle Cevenne, dei Causses, esige forse la scomparsa delle greggi di pecore, dei pastori e degli allevatori, per sostituirli con folle di pensionati inglesi, olandesi e dell’Europa settentrionale?

Lo sviluppo rurale nel secondo pilastro non è che una cortina fumogena. E’ un termine elegante per indicare la scomparsa delle nostre produzioni agricole a vantaggio dei produttori brasiliani, australiani o del Pacifico meridionale; come premio di consolazione, i superstiti della popolazione contadina francese ed europea si vedranno assegnare una modesta funzione di decorazione del paesaggio.

Sviluppo rurale è un termine ipocrita come “agricoltura multifunzionale”; è un analgesico, un palliativo somministrato alle donne e agli uomini delle campagne che vengono sacrificati, coscientemente ed ignominiosamente, al grande “deal planetario”. Al Pacifico meridionale l’agricoltura, all’Europa l’illusione del mercato dei servizi.

Dopo aver stoltamente venduto i propri contadini, l’Europa inventa ora una farisaica politica di “sviluppo rurale” nel deserto economico e umano cui Bruxelles ha ridotto le nostre campagne.

 
  
  

Nuovi meccanismi di finanziamento dello sviluppo nel quadro degli Obiettivi di sviluppo del Millennio (RC-B6-0119/2006)

 
  
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  Marie-Arlette Carlotti (PSE), per iscritto. – (FR) In questo campo l’Unione europea ha una responsabilità e un’opportunità uniche. Solo l’UE, infatti, risponde alle due condizioni necessarie per mettere in funzione questi nuovi meccanismi: dimensioni critiche e volontà politica. Il testo che ci viene presentato purtroppo non è all’altezza delle aspettative.

Senza dubbio questa risoluzione offre un sostegno di principio alle nuove fonti di finanziamento dello sviluppo: essa infatti insiste affinché tali fondi si aggiungano agli aiuti pubblici tradizionali e non li sostituiscano. Questa posizione del Parlamento è peraltro assai poco ambiziosa.

Il sostegno è infatti espresso a fior di labbra, mentre viene ignorato il concetto centrale del dibattito, ossia la proposta di una “imposta mondiale” per finanziare lo sviluppo. I vari progetti oggi in discussione (tassazione delle transazioni finanziarie, delle emissioni di CO2, delle vendite di armi) non vengono ricordati. Non c’è alcun riferimento ai “beni pubblici mondiali” che questi meccanismi dovrebbero finanziare in maniera prioritaria.

Voterò per questa proposta di risoluzione, poiché la considero un primo passo nella giusta direzione; ma voglio considerarla un incoraggiamento a compiere ulteriori e più rapidi progressi verso la concreta realizzazione su scala europea di questi nuovi strumenti.

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. (EN) Apprezzo vivamente questo dibattito e questa risoluzione che prendono in esame modalità innovative per finanziare la realizzazione degli Obiettivi di sviluppo del Millennio: una tassa sui trasporti aerei oppure una specie di tassa Tobin sulle transazioni valutarie. Da quasi dieci anni sostengo attivamente quest’ultima soluzione, e posso constatare con soddisfazione che Francia e Belgio hanno approvato leggi in merito: analoghi provvedimenti sono in esame in Italia, e l’anno scorso ho sostenuto un’audizione in materia presso le commissioni affari esteri e finanze e tesoro del Senato italiano.

Qualunque sia il metodo usato per raccoglierli, tali fondi vanno rigorosamente convogliati a favore di coloro che vivono in condizioni di povertà estrema – quel miliardo e 200 milioni di persone che dispongono di meno di un euro al giorno – per aiutarli a soddisfare i bisogni fondamentali in fatto di casa, istruzione, risorse idriche e assistenza sanitaria.

Accolgo con particolare favore il paragrafo 7, che contribuirà all’opera della campagna per lo sradicamento della povertà, condotta da David Hillman e dalla Tobin tax network.

 
  
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  Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La lotta contro la povertà è una delle grandi sfide in cui tutti i paesi devono impegnarsi. La Lista di giugno ritiene però che quest’opera si debba finanziare attingendo ai bilanci nazionali dei singoli paesi; né gli aiuti internazionali, né altri pur lodevoli progetti devono in alcun modo condurre alla sostituzione delle leggi fiscali nazionali con una legge fiscale dell’Unione europea. Voteremo quindi contro questa risoluzione.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Benché questa proposta di risoluzione comprenda alcuni aspetti su cui nutriamo forti perplessità, abbiamo comunque deciso di sostenerla, interpretandola nel senso più positivo.

Non basteranno certo misure dalla portata limitata e incerta a realizzare gli Obiettivi del Millennio: sradicamento della povertà estrema e della fame, estensione generalizzata dell’istruzione primaria, promozione della parità di genere e dell’autonomia della donna, riduzione della mortalità infantile, miglioramento della salute materna, lotta contro l’HIV/AIDS, la malaria e altre malattie, garanzia della sostenibilità ambientale e istituzione di un partenariato globale per lo sviluppo.

Per realizzare questi sacrosanti e urgenti obiettivi è necessario modificare profondamente le politiche attualmente promosse dalle principali potenze capitalistiche e dagli organismi che esse egemonizzano a livello mondiale, come la Banca mondiale o il Fondo monetario internazionale; è necessario dire basta alla concorrenza capitalistica, alla liberalizzazione del commercio, alle privatizzazioni, agli attacchi contro i diritti e i salari dei lavoratori, al controllo delle politiche degli Stati da parte dei grandi gruppi economici e finanziari, e infine alla concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi – a prezzo dello sfruttamento e dell’oppressione dei popoli.

Per conseguire questi obiettivi è necessario, in ultima analisi, rovesciare un sistema – quello capitalistico – che genera sfruttamento, disuguaglianza, povertà, violenza ed oppressione.

 
  
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  Claude Moraes (PSE), per iscritto. (EN) Sono tra i firmatari di questa proposta di risoluzione, che a mio avviso definisce in ambito UE un valido meccanismo funzionale per la realizzazione degli obiettivi di sviluppo internazionale, nel quadro degli Obiettivi di sviluppo del Millennio. La realizzazione di tali obiettivi riveste grande importanza per molti elettori della mia circoscrizione londinese.

 
  
  

– Diritto alla libertà di espressione e rispetto delle fedi religiose (RC-B6-0136/2006)

 
  
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  Marcin Libicki (UEN).(PL) Signor Presidente, desidero intervenire sulla risoluzione concernente la libertà di espressione. Non mi è stato possibile sostenerla poiché coloro che, all’inizio, avevano offeso i sentimenti altrui si sono comportati con arroganza. Quando hanno dovuto affrontare la minaccia di un boicottaggio commerciale hanno cominciato a offrire le proprie scuse, commettendo così un atto di vigliaccheria. Il testo non stigmatizza né tale arroganza, né tale vigliaccheria, e proprio per questo non ho potuto sostenere la risoluzione.

(Applausi)

 
  
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  Francesco Enrico Speroni (IND/DEM). – Signor Presidente, non ho votato questa risoluzione in quanto la considero estremamente debole.

In particolare, desidero sottolineare che le reazioni alle vignette, che siano state offensive o meno – cosa che spetterà ai tribunali decidere – non sono partite solo dalla feccia, come è avvenuto nel caso dei disastri nelle periferie francesi.

In questo caso vi sono state reazioni ufficiali, quali il ritiro di ambasciatori e il boicottaggio ufficializzato dei prodotti danesi, che sono prodotti europei. Questo dimostra, come ha già sottolineato più volte anche la scrittrice Oriana Fallaci, che non esiste un Islam tollerante, perché un Islam tollerante avrebbe riso delle vignette e le avrebbe ignorate, ma non avrebbe certo reagito in questo modo.

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) A mio avviso le limitazioni della libertà di espressione sono necessarie solo in rarissime occasioni. Naturalmente dev’essere illegale gridare “Al fuoco!” in un cinema, oppure incitare direttamente all’odio razziale. In tal senso mi risulta difficile comprendere come Nick Griffin – leader di una formazione neofascista, il British Nationalist Party – sia stato assolto, proprio nel mese in corso, dall’accusa di incitamento all’odio razziale dopo le sue dichiarazioni sull’islam e sull’adolescente nero Stephen Lawrence, che era stato assassinato.

Non sono sicuro, tuttavia, che le vignette pubblicate in Danimarca si possano far rientrare nella medesima categoria. Per molti esse erano certamente offensive, ma ciò non significa che si possano definire un esempio di incitamento all’odio razziale. In realtà, constatando che alla loro pubblicazione si sono opposti in Europa i gruppi fondamentalisti della destra cristiana, comincio a temere che in tutto il Continente vengano rispolverate le leggi sulla bestemmia. La posizione più corretta sarebbe stata non quella di impedire la pubblicazione, bensì quella di condannare il contenuto di molte vignette.

Quanto al “codice di condotta” per i giornalisti proposto dal Commissario Frattini, esso ha ricevuto la risposta che meritava. Tuttavia se vogliamo proteggere dall’ironia, dalle aggressioni o dagli insulti le più profonde credenze personali, forse qualche giornale scandalistico britannico potrebbe cominciare a rispettare il mio antirazzismo, la mia avversione per l’omofobia, il mio socialismo e il mio impegno europeo.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Ci allarma profondamente la posizione assunta dalla maggioranza del Parlamento in merito alla crescente tensione internazionale. Tale posizione ignora la surriscaldata atmosfera di provocazione che ha circondato la pubblicazione delle caricature, ampiamente provata dai pericolosi sviluppi che ne sono seguiti.

E’ insensato pretendere di giustificare l’escalation dell’interventismo statunitense nel Medio Oriente suscitando artificiosamente un’atmosfera da scontro di civiltà; non meno allarmante è la tendenza delle grandi potenze dell’Unione europea ad allinearsi alle ambizioni degli Stati Uniti in quella regione. Non bisogna dimenticare che l’iniziativa di bloccare una soluzione negoziata della questione iraniana, sotto l’egida dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, è partita da Francia, Germania e Regno Unito; si tratta di un obiettivo a lungo sostenuto dagli Stati Uniti.

A differenza di quanto qualcuno vorrebbe farvi credere, le minacce alla pace, le guerre, le aggressioni e le occupazioni sono opera degli Stati Uniti e dei loro alleati – specialmente Israele – che occupano l’Afghanistan, l’Iraq, la Palestina, e hanno in quella regione innumerevoli basi e migliaia di soldati. E’ quindi essenziale agire per rovesciare l’attuale spirale di incitamento alla violenza, promuovere la distensione nelle relazioni internazionali e tutelare la pace.

 
  
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  Jeanine Hennis-Plasschaert (ALDE), per iscritto. – (NL) La sottile distinzione che è stata tracciata mi rende in ultima analisi impossibile sostenere questa proposta. Le edificanti parole contenute in alcuni paragrafi mi sembrano del tutto fuori luogo; ancora una volta, si ha l’impressione che la libertà di espressione e la libertà di stampa siano negoziabili. Non posso – e non voglio – sottoscrivere una cosa del genere. Per me la libertà di espressione è un diritto assoluto, e a questo proposito vorrei citare le parole di Voltaire: “Posso disapprovare ciò che dici, ma difenderò sino alla morte il tuo diritto di dirlo”.

Nella società liberale europea la libertà di religione si intreccia strettamente alla libertà di criticare una religione, e ancor più i fenomeni che ne derivano; il mondo islamico può anche protestare, ma questo messaggio va fatto chiaramente comprendere. Altrimenti si rischia di finire dalla padella nella brace.

Con quest’atteggiamento schizofrenico ed eccessivamente cauto, l’Unione europea e i suoi Stati membri si piegano alle opinioni dei musulmani più radicali, che propugnano un’interpretazione fondamentalistica del Corano. Ma le minacce e la paura non devono indurci a gettar via le nostre libertà; la storia ci ha insegnato che non dall’eccesso, ma dalle limitazioni alla libertà nascono i problemi.

 
  
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  Jean Lambert (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore di questa risoluzione che, per molti aspetti, fornisce una risposta equilibrata all’improvvida iniziativa del giornale danese che ha commissionato e pubblicato alcune caricature del profeta Maometto, ben sapendo che la cosa sarebbe stata considerata offensiva. Si sottolinea che le reazioni sono state in gran parte orchestrate da forze politiche desiderose di fomentare l’odio verso alcuni governi occidentali, mentre la vasta maggioranza dei musulmani ha reagito con dignità offesa e non ha opposto violenza alla violenza, ciò che – secondo il loro giudizio – non corrisponderebbe ai valori della loro fede religiosa. Noto però che, ancora una volta, il Parlamento ha mancato di criticare uno degli Stati membri dell’Unione, che è stato criticato dal Consiglio d’Europa per aver arroventato il problema dell’immigrazione; ne è scaturito un clima in cui le tensioni si acuiscono. Il Parlamento deve adottare un approccio coerente verso tutte le carenze: quelle che si registrano al di fuori dei nostri confini, ma anche quelle interne.

 
  
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  Claude Moraes (PSE), per iscritto. (EN) Trovo deludente che questa risoluzione – che riguarda un tema importante e controverso – resti ambigua e poco chiara, e non affronti in maniera adeguata il contesto della controversia sulle caricature. Alla libertà di espressione deve accompagnarsi un uso responsabile di questo potere. E’ un argomento che sta a cuore a molti, tra cui i cittadini della mia circoscrizione londinese, cui sto rispondendo individualmente.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il tentativo del Consiglio, della Commissione e dei gruppi politici che sostengono la politica dell’Unione europea di presentarsi come paladini “della libertà di stampa e del rispetto delle fedi religiose” è un insulto per i popoli. In realtà, si cerca solamente di occultare le responsabilità politiche e gli obiettivi cui mirano la pubblicazione delle caricature di Maometto e la pubblicità di cui hanno goduto sulla stampa borghese europea.

Non è una coincidenza. Le caricature vengono ripubblicate in concomitanza con le elezioni palestinesi e con il salto di qualità dell’aggressione imperialistica in Iran, in Siria e nel resto della regione. Tutti gli intrepidi difensori della “libertà di stampa” ignorano deliberatamente che quelle caricature identificano Maometto e l’islam col terrorismo, per preparare l’opinione pubblica ad accettare nuove guerre e nuovi interventi imperialistici contro i paesi a popolazione musulmana. Esse hanno quindi giustamente provocato una forte reazione e massicce dimostrazioni da parte di quei popoli che hanno pagato e continuano a pagare un prezzo sanguinoso per gli interventi imperialistici e le guerre degli USA e dell’Unione europea.

Il vero conflitto è quello che oppone l’imperialismo ai popoli, gli sfruttatori agli sfruttati: questi ultimi, indipendentemente dalla religione, dal colore della pelle e dal sesso, devono lottare uniti per rovesciare l’intero sistema imperialistico.

 
  
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  Luis Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il valore fondamentale della società in cui siamo così orgogliosi di vivere è la libertà: noi ci definiamo anzitutto come persone libere e, per definizione, responsabili.

Per quanto riguarda i recenti fatti, il nocciolo della questione non è l’esercizio della libertà di espressione, bensì l’inaccettabile reazione di coloro che si sono proclamati offesi. L’indignazione è sempre legittima, mentre non sono legittimi tutti i modi di esprimerla. Il nostro primo dovere è quello di denunciare questi abusi e gli attacchi portati contro gli Stati membri: condanniamo la violenza ed esprimiamo solidarietà alla Danimarca e agli altri Stati membri.

Inoltre, sappiamo bene che questi avvenimenti sono stati sapientemente orchestrati e hanno esercitato un fortissimo impatto sulle relazioni tra l’Occidente e il mondo musulmano. Lasciando da parte le nostre libertà – e specialmente la libertà di espressione – qualsiasi manifestazione o incitamento a manifestazioni di odio, razzismo e xenofobia va severamente condannato; e qualsiasi libertà va esercitata con senso di responsabilità, oggi e in qualsiasi altro momento.

Non abbiamo alcun obbligo di giustificare il nostro diritto alla libertà, ma non dobbiamo neppure cercare di provocare conflitti; al contrario, vogliamo evitare i conflitti poiché sappiamo che la pace e la sicurezza del mondo dipendono largamente dal nostro senso di responsabilità.

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Ecco a cosa siamo ridotti: un intervento di duecento parole al massimo, perché i presidenti dei gruppi hanno deciso, in riunione ristretta, che il nostro dibattito sulla libertà di espressione sarebbe stato privato di quella stessa libertà!

Un oratore per gruppo, cioè un’autentica confisca della democrazia, proprio mentre la vicenda delle caricature suscita vasta eco in tutti i paesi, mettendo una parte del mondo a ferro e fuoco.

Non si è forse ripetuto abbastanza che la caricatura che ha appiccato l’incendio si limitava a illustrare ciò che fanno i terroristi, ossia perpetrare i propri delitti in nome di Allah? Non si tratta di una caricatura dell’islam, ma di una caricatura del fanatismo.

Non si è forse denunciata abbastanza l’indebita sovrapposizione tra un caricaturista e un giornale da un lato, e un paese e il suo governo dall’altro?

Questo è un ricatto alla libertà di stampa e alla libertà di espressione che stanno alla base dei nostri valori. Da parte mia, desidero certo rafforzare i legami tra le culture, ma non accetto alcun mercanteggiamento sui nostri valori: i diritti dell’uomo hanno la precedenza sulla legge di Allah, o di qualsiasi altro dio.

Se vi sono stati eccessi, abusi e incitamenti all’odio tocca ai tribunali occuparsene, ma io rifiuto ogni forma di censura. Non autorizzo nessuno a spegnere quei Lumi di cui rivendico l’eredità.

 
  
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  Wojciech Roszkowski (UEN), per iscritto. – (PL) La crisi provocata dalla pubblicazione delle caricature di Maometto, nonché dalla violenta reazione dei fanatici seguaci dell’islam, non ha solo portato alla luce la profondità della frattura che separa la civiltà occidentale dal mondo islamico – in cui vige il principio della responsabilità collettiva e non c’è rispetto per la libertà di religione – ma ha rivelato anche una grave crisi della democrazia liberale. La democrazia liberale si è dimostrata incapace di imporre il rispetto delle norme dello Stato di diritto alle comunità islamiche europee, e il rispetto della libertà di religione agli Stati musulmani. Per contro, erigendo la libertà di espressione a principio di validità assoluta, è riuscita a offendere i sentimenti religiosi dei musulmani: la libertà senza responsabilità produce inevitabilmente conflitti.

Il rispetto per i sentimenti nazionali e religiosi dev’essere la base per il rispetto delle persone che quei sentimenti esprimono – indipendentemente dal fatto che noi condividiamo o meno le loro opinioni; non è lecito quindi offendere tali sentimenti con rappresentazioni blasfeme della croce, di Maometto o delle vittime della Shoah. Ha torto l’onorevole Cohn-Bendit ad affermare che, nella sfera pubblica, le religioni perderebbero il loro carattere religioso. La religione rimarrà sempre diversa dal dibattito politico, a meno che – naturalmente – non cessi di essere una religione per diventare un’ideologia: una caricatura dell’onorevole Cohn-Bendit non è la stessa cosa che una caricatura di Maometto.

Il fatto è che non possiamo costringere gli altri soggetti attivi sulla scena politica a spogliarsi dei propri sentimenti religiosi; qualsiasi tentativo in questo senso avrebbe le medesime conseguenze della pubblicazione delle caricature di Maometto. Per questo motivo ho votato contro il paragrafo 5 della risoluzione e mi sono astenuto nella votazione sull’insieme della risoluzione, dal momento che il paragrafo 5 è stato approvato.

 
  
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  Gary Titley (PSE), per iscritto. – (EN) Il partito laburista al Parlamento europeo si è astenuto sul paragrafo 5 nonché nella votazione finale su questa proposta di risoluzione comune, in quanto la giudichiamo una proposta confusa e ripetitiva, del tutto priva di chiarezza.

Siamo convinti sostenitori del diritto alla libertà di espressione, bilanciato dal diritto dei giornalisti e degli altri operatori di fare uso responsabile del potere che ne deriva. La proposta di risoluzione non riesce a stabilire un corretto equilibrio tra questi obiettivi conflittuali, e non ricostruisce neppure adeguatamente il contesto da cui è scaturita l’attuale controversia.

Il partito laburista al Parlamento europeo si mantiene in contatto con i cittadini del Regno Unito che ci hanno espresso le loro preoccupazioni.

 
  
  

– Prospettive per la Bosnia-Erzegovina (RC-B6-0095/2006)

 
  
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  Jaromír Kohlíček (GUE/NGL).(CS) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Bosnia-Erzegovina è il paese su cui più violenta si è scatenata la rabbia di coloro che miravano a distruggere la coesistenza multietnica nei Balcani e a scatenare conflitti religiosi tra le popolazioni. Desidero ribadire che qui non sono affatto in gioco le relazioni tra diversi paesi, ma piuttosto i rapporti tra popolazioni di fede cattolica o musulmana; la comunità ebraica è stata costretta ad abbandonare il paese all’inizio del conflitto, cui non ha mai preso parte. Ricordo un altro aspetto peculiare: all’epoca della nascita del paese, gran parte della comunità ortodossa viveva nelle zone rurali, mentre i musulmani abitavano per lo più nelle città. Nell’elaborazione dei programmi di aiuto dell’Unione europea bisognerà tener presente tale circostanza.

Accolgo perciò con favore l’articolo 16 della risoluzione, che esorta a prestare maggiore attenzione alle specifiche esigenze delle zone rurali; è giunto anche il momento di invitare il Tribunale dell’Aia a perseguire finalmente quei criminali di guerra che sono stati spinti ad agire da motivazioni diverse dalla fede religiosa. Nella terminologia qui impiegata, stiamo parlando dei serbi. Dobbiamo ammettere che anche il nostro Parlamento qualche volta è giunto a conclusioni errate; per esempio, alcuni passi della risoluzione in esame, concernenti il decimo anniversario degli eventi di Srebrenica, imputano la responsabilità di quello sterminio a una sola delle parti in causa, in contrasto con i fatti assodati.

Mi rallegro che i metodi dittatoriali cui sono ricorsi gli attuali amministratori del paese siano stati finalmente relegati nel passato. Questa è, ancora una volta, una relazione positiva che mira a sostenere lo sviluppo economico, tra l’altro per mezzo di un accordo tra gli Stati dei Balcani occidentali sui temi del ritorno dei profughi e dei risarcimenti per le proprietà danneggiate; di conseguenza l’abbiamo sostenuta col nostro voto, a condizione che la risoluzione venisse parzialmente rielaborata.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Come interpretare il fatto che la maggioranza del Parlamento abbia respinto gli emendamenti presentati dal nostro gruppo, in cui si sottolineava “il diritto dei cittadini della Bosnia-Erzegovina di decidere del proprio futuro” e si chiedeva che “tutti i reparti militari stranieri abbandonassero al più presto” il paese?

La Bosnia-Erzegovina è attualmente un protettorato, occupato da circa 7 000 militari della NATO e dell’Unione europea. Il paese sta sotto il controllo di un Alto rappresentante dell’Unione europea e delle Nazioni Unite, dotato di poteri antidemocratici ed eccessivi; il Parlamento “invita” comunque l’Alto rappresentante a esercitare tali poteri con “moderazione”.

In tale contesto il Parlamento europeo, con un’inammissibile ingerenza che denota totale mancanza di rispetto per la volontà sovrana del popolo della Bosnia-Erzegovina, invita il Consiglio e la Commissione a partecipare al processo di riforma istituzionale in corso, e ad aprire negoziati per integrare il paese nell’Unione europea. A tale scopo è stato presentato un elenco di richieste specifiche, che comprende tra l’altro “la riforma e la riduzione del rigido sistema di fissazione dei salari, specialmente nel settore pubblico, l’accelerazione del processo di privatizzazione, la riforma e la liberalizzazione del settore energetico e la ristrutturazione e la liberalizzazione del settore ferroviario”, a cui noi ci opponiamo.

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto. – (NL) Il popolo della Bosnia-Erzegovina ha sperimentato dominazioni di vario tipo. Dalla signoria turca trassero vantaggio i musulmani del centro e del nordovest, che si considerano i veri bosniaci; i cattolici del sudovest, che si definiscono croati, fiorirono nel periodo dell’amministrazione austriaca; mentre l’epoca jugoslava favorì gli ortodossi del nord e dell’est, che si dicono serbi. Negli anni ’20 la Bosnia fu sciolta come unità amministrativa, per risorgere dopo la Seconda guerra mondiale come area mista, creata al centro dello Stato federale per contribuire ad integrare le diverse popolazioni nell’ambito della Jugoslavia, di cui la Bosnia-Erzegovina costituiva un modello in miniatura. Questo tentativo si è concluso con un fallimento; nel corso della guerra del 1992-1995 ciascuno dei gruppi che ho ricordato ha tentato unilateralmente di imporre la propria volontà. L’accordo di Dayton è stato concepito come una panacea per assicurare pace e riconciliazione; si tratta di una struttura costosa e inefficiente, che però è scaturita dall’esigenza di conciliare aspirazioni largamente divergenti. Quindi, nonostante tutti i suoi difetti, non è opportuno abbandonarla, ma è preferibile servirsene per costruire un sistema federale che consenta a tutti di vivere insieme e di sperare in una pace duratura. La popolazione della Bosnia deve poter scegliere liberamente, anziché farsi indicare il proprio futuro dall’Europa.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Sull’Unione europea grava una responsabilità comune per la dissoluzione della Jugoslavia, per le guerre della NATO e per la drammatica situazione di quelle popolazioni. Dopo l’accordo di Dayton il popolo della Bosnia-Erzegovina ha subito l’occupazione della NATO, sostituita recentemente da 7 000 militari dell’esercito europeo.

La NATO ha deciso quali partiti politici potranno operare, e l’amministratore della NATO ha destituito il Presidente eletto del paese. Nel corso di 11 anni la disoccupazione è giunta al 40 per cento, mentre il 50 per cento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, il 50 per cento non gode di assistenza medica e farmaceutica e il 18 per cento è privo di elettricità. Più di 600 000 profughi, in gran parte di origine serba, non hanno ancora fatto ritorno a casa; fioriscono la corruzione, la criminalità organizzata e il mercato nero. Questa “democrazia” è stata introdotta dagli imperialisti, i quali hanno trasformato i paesi balcanici in protettorati che ora si preparano all’annessione all’Unione europea.

La proposta di risoluzione, presentata dai gruppi politici che sostengono la politica imperialistica dell’UE, costituisce un aperto tentativo di obbligare con la forza le popolazioni di quel paese ad accettare i cambiamenti costituzionali imposti dall’imperialismo e a seguire le sue indicazioni nell’approssimarsi delle elezioni politiche di ottobre, sotto la minaccia di non concedere neppure le briciole dell’accordo di associazione e stabilizzazione in corso di negoziazione.

Il partito comunista greco ritiene che i popoli dei Balcani debbano lottare direttamente, insieme con i popoli dell’Unione europea, per costringere le forze d’occupazione ad abbandonare il paese.

 
  
  

– Situazione in Bielorussia (RC-B6-0109/2006)

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Ci si può chiedere perché la Bielorussia sia il paese al cui comportamento il Parlamento europeo ha dedicato il maggior numero di risoluzioni di condanna; si potrebbe rispondere che il motivo è la situazione dei diritti umani in quel paese.

Anche a prendere per buona tale spiegazione, ci si potrebbe chiedere ancora perché mai il Parlamento non adotti, con analogo zelo, risoluzioni su paesi la cui situazione si potrebbe considerare altrettanto seria, se non addirittura peggiore. Non dipenderà per caso dal fatto che sinora la Bielorussia ha rifiutato di piegarsi alle inaccettabili pretese e interferenze degli Stati Uniti e delle grandi potenze dell’Unione europea?

Non dipenderà per caso dal fatto che, a differenza di quasi tutti gli altri paesi della regione, la Bielorussia ha bloccato e anzi rovesciato la tendenza alla privatizzazione nei settori chiave dell’economia, ha investito nell’agricoltura e nella produzione interna ed ha migliorato le condizioni di vita della popolazione – ed è anzi l’unico paese dell’antico blocco sovietico ad aver ristabilito il PIL del 1990?

Non dipenderà per caso dal fatto che la Bielorussia si è impegnata a formare un’unione tra uguali con la Russia, paese con cui ha stipulato un accordo collettivo di difesa?

Non dipenderà, infine, dal fatto che ci troviamo di fronte a un tipico esempio di politica dei due pesi e delle due misure, congegnata a favore degli interessi strategici e delle ambizioni economiche degli Stati Uniti e dei loro alleati europei?

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La sesta inaccettabile e offensiva proposta di risoluzione presentata nel giro di diciotto mesi è un’altra dimostrazione del rabbioso livore con cui l’Unione europea cerca di rovesciare il governo Lukashenko, eletto dal popolo bielorusso, che non accetta di piegarsi alla barbarie imperialistica. Con ipocrisia, si cerca di far passare per repressione dei diritti democratici il tentativo del governo bielorusso di arginare l’intervento degli imperialisti stranieri, che vorrebbero rovesciarlo con massicci finanziamenti dei media e di agenti politici.

L’affermazione relativa agli “standard internazionali”, che non sarebbero rispettati in Bielorussia ma, a parere dell’Unione europea, sarebbero invece soddisfatti in paesi occupati come l’Iraq e l’Afghanistan, è un vero e proprio insulto. Con improntitudine politica si parla di “candidati registrati”, quando tutti sanno che il candidato della “opposizione unita” è stato eletto alla presenza dell’ambasciatore americano e di altri ambasciatori dei paesi dell’Unione europea.

Si esige dalle autorità bielorusse la garanzia di “parità di condizioni” per tutte le forze politiche, quando tutti i partiti politici sono liberi, mentre nei “democratici” paesi baltici, che sono Stati membri dell’Unione europea, i partiti comunisti sono fuori legge, e il 40 per cento della popolazione è privo di cittadinanza o diritti civili. In altre parole, lo svaligiatore sta cercando di convincere tutti che il vero rapinatore è il padrone di casa.

Voteremo contro la proposta di risoluzione, ed esprimiamo la nostra solidarietà al popolo bielorusso che tenta di respingere le aggressioni imperialistiche e vuol scegliere da sé il proprio futuro.

 
  
  

– Relazione Kindermann (A6-0015/2006)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore di quest’interessantissima relazione sull’attuazione di una strategia forestale per l’Unione europea, preparata dal collega, onorevole Kindermann.

Attualmente, le politiche pubbliche europee non tengono adeguatamente conto delle problematiche concernenti foreste e legname nel contesto di un processo di creazione di ricchezza e progresso sociale rispettoso dell’ambiente. E’ tempo che l’Unione europea sostenga con uno sforzo significativo i progetti che poggiano sulla filiera foresta-legname nelle aree geografiche interessate. Occorre stabilire un nesso tra strategia forestale e sviluppo rurale, e a questo proposito mi rammarico che alle zone montane non sia stata riservata un’attenzione particolare. Allo stesso modo – nel quadro della strategia di Lisbona – è importante che l’Unione sostenga i programmi di ricerca dedicati alla valorizzazione del legname, soprattutto nei settori edilizio ed energetico.

Infine, occorre intraprendere uno studio finalizzato all’azione sul tema del trasporto del legname – che è un prodotto pesante – allo scopo di riunire in un insieme coerente zone forestali, zone di consumo e infrastrutture di trasporto stradale, ferroviario e marittimo.

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) Apprezzo vivamente la relazione dell’onorevole Kindermann sull’attuazione di una strategia forestale per l’Unione europea in quanto – benché i Trattati non si occupino concretamente di silvicoltura – emerge chiara la necessità di un piano d’azione dell’Unione europea per la gestione sostenibile delle foreste; tale piano dovrà fornire un quadro coerente per l’attuazione delle azioni nel settore forestale, e dovrà servire per il coordinamento delle azioni comunitarie e delle politiche forestali nazionali, in stretta collaborazione con gli Stati membri e con i vari soggetti interessati.

Dal momento che vivo nella zona di una delle ultime grandi foreste di querce rimaste in Inghilterra, non ignoro certo la necessità di una gestione forestale sostenibile. Le foreste svolgono un ruolo multifunzionale; la foresta di Dean offre contemporaneamente grandi bellezze ambientali, un habitat naturale, opportunità turistiche e ricreative, un potenziale occupazionale e realtà industriali, oltre a essere la casa degli abitanti del luogo. Tuttavia, nella maggioranza dei casi, questo ruolo multifunzionale, paragonato alle potenzialità, non si riflette nell’economia delle zone interessate o nel reddito degli abitanti. La politica di sviluppo rurale è lo strumento principale per l’attuazione della strategia forestale a livello comunitario, e gode del mio appoggio.

 
  
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  Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) A nostro avviso l’Unione europea non dovrebbe elaborare una politica forestale comune; questo è un settore di grande importanza nazionale. Avremmo preferito che il Parlamento europeo dichiarasse l’obiettivo di lasciare la politica forestale nell’ambito dei processi decisionali nazionali. Quando questa relazione è stata discussa in seno alla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, abbiamo notato che la tesi da noi caldeggiata riscuoteva apprezzabili adesioni. Purtroppo, però, la maggioranza del Parlamento europeo, obbedendo alla consueta ossessione di espandere qualsiasi iniziativa a dimensioni di abnorme gigantismo, ha preparato una relazione che, tra l’altro, condurrà la politica comunitaria dedicata a questo settore e la strategia di Lisbona ad avere un impatto sui problemi forestali; la relazione poi raccomanda di “esaminare in modo oggettivo le possibilità di creare una base giuridica distinta per il bosco” nei Trattati dell’Unione.

Respingiamo con forza questa deriva delle prese di posizione politiche del Parlamento europeo. Occorre chiarire una volta per tutte che la politica forestale è un settore nel quale le decisioni si devono prendere su base puramente nazionale. Non possiamo votare a favore di una relazione che contiene – in maniera più o meno dissimulata – un programma mirante a introdurre una politica forestale a livello di Unione europea, da gestire con fondi prelevati dal bilancio dell’Unione.

 
  
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  Jean-Claude Martinez (NI), per iscritto. – (FR) E’ giunto il momento di dotarsi di una strategia forestale. Soprattutto in una Francia che, nel ventunesimo secolo, aveva saputo creare nelle Lande una delle zone forestali più belle d’Europa, e che ora non è capace di gestire le proprie foreste dal punto di vista commerciale.

In Portogallo, in Francia, in Spagna le nostre foreste sono distrutte dagli incendi; per il legname industriale o per le fibre per la carta dipendiamo dall’Indonesia e dal Brasile; contemporaneamente, versiamo calde lacrime sulla deforestazione e le catastrofi climatiche e biologiche che ne derivano: tutto questo dimostra l’estrema necessità di una reazione politica globale. Occorre trovare la volontà di creare in Europa – e particolarmente in Francia – una grande filiera del legname; ma ciò implica una fiscalità intelligente, investimenti agevolati, la formazione di figure professionali non penalizzate, una visione politica di ampio respiro.

 
  
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  Presidente. – Con questo si concludono le dichiarazioni di voto.

 
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