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Resoconto integrale delle discussioni
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Giovedì 16 febbraio 2006 - Strasburgo Edizione GU
1. Apertura della seduta
 2. Ordine del giorno: vedasi processo verbale
 3. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
 4. Storni di stanziamenti: vedasi processo verbale
 5. Dichiarazioni scritte (articolo 116): vedasi processo verbale
 6. Turno di votazioni
  6.1. Servizi nel mercato interno (votazione)
  6.2. Orientamenti strategici per lo sviluppo rurale (2007-2013) (votazione)
  6.3. Nuovo meccanismo di finanziamento per lo sviluppo nell’ambito degli obiettivi del Millennio (votazione)
  6.4. Diritto alla libertà di espressione e rispetto del credo religioso (votazione)
  6.5. Prospettive per la Bosnia-Erzegovina (votazione)
  6.6. Situazione in Bielorussia in vista delle elezioni presidenziali del 19 marzo (votazione)
  6.7. Gestione dei rischi e delle crisi nel settore agricolo (votazione)
  6.8. Messa in atto della strategia forestale dell’Unione europea (votazione)
 7. Dichiarazioni di voto
 8. Correzioni di voto: vedasi processo verbale
 9. Statistiche sulla struttura e l’attività delle consociate estere (discussione)
 10. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 11. Comunicazione delle posizioni comuni del Consiglio: vedasi processo verbale
 12. Revisione strategica del Fondo monetario internazionale (discussione)
 13. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale
 14. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (articolo 115 del Regolamento del Parlamento) (discussione)
  14.1. Patrimonio culturale in Azerbaigian
  14.2. Situazione nello Sri Lanka
  14.3. Guantánamo
 15. Turno di votazioni
  15.1. Patrimonio culturale in Azerbaigian (votazione)
  15.2. Guantánamo (votazione)
 16. Correzioni di voto: vedasi processo verbale
 17. Decisioni concernenti taluni documenti: vedasi processo verbale
 18. Dichiarazioni scritte che figurano nel registro (articolo 116 del Regolamento): vedasi processo verbale
 19. Trasmissione dei testi approvati nel corso della presente seduta: vedasi processo verbale
 20. Calendario delle prossime sedute: vedasi processo verbale
 21. Interruzione della sessione
 ALLEGATO (Risposte scritte)


  

PRESIDENZA DELL’ON. BORRELL FONTELLES
Presidente

 
1. Apertura della seduta
  

(La seduta inizia alle 10.05)

 
  
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  Struan Stevenson (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, vorrei fare un richiamo al Regolamento, ai sensi dell’articolo 166 del medesimo. L’8 novembre 2005 il presidente della commissione per la pesca ed io le abbiamo scritto una lettera, sottoscritta dai coordinatori di tutti i gruppi politici, in merito al blocco di una mia relazione. Non avendo ricevuto nessuna risposta da parte del suo Ufficio, desideravo chiederle se è sua consuetudine, in qualità di Presidente del Parlamento, non rispondere ai membri di quest’Assemblea.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. Prendiamo atto del suo commento, sebbene non si tratti di un richiamo al Regolamento. I servizi stanno redigendo la risposta relativa a un conflitto di competenze tra la commissione per la pesca e la commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare. Fino a quanto tale conflitto non verrà risolto, sarà difficile per me informarla sull’esito della questione.

 

2. Ordine del giorno: vedasi processo verbale

3. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale

4. Storni di stanziamenti: vedasi processo verbale

5. Dichiarazioni scritte (articolo 116): vedasi processo verbale

6. Turno di votazioni
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  Presidente. L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.

(Per i risultati e ulteriori dettagli sulle votazioni: cfr. processo verbale)

 

6.1. Servizi nel mercato interno (votazione)
  

Prima della votazione

 
  
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  Monica Frassoni (Verts/ALE). – Signor Presidente, desidero solo comunicare che, conformemente all’articolo 165 e 171 del Regolamento, il mio gruppo chiede di mettere ai voti, al termine della votazione, una richiesta di sospendere la seduta per cinque-dieci minuti.

 
  
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  Francis Wurtz (GUE/NGL).(FR) Signor Presidente, naturalmente il mio gruppo è favorevole a qualunque misura che permetta ai deputati di pronunciarsi con cognizione di causa. E’ una questione di trasparenza e di responsabilità, sebbene il mio gruppo ed io riteniamo che il risultato finale di una votazione dipenda nettamente dall’andamento della discussione. Ritengo del tutto legittimo che i deputati ancora incerti possano consultarsi tra loro per pronunciarsi con piena cognizione di causa.

Sono pertanto a favore della sospensione prima della votazione finale.

 
  
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  Hannes Swoboda (PSE).(DE) Signor Presidente, sebbene io intenda avvalermi delle stesse argomentazioni dell’onorevole Wurtz, le conclusioni cui giungo sono opposte. Proprio perché abbiamo trattato la questione tanto in dettaglio nel corso delle ultime settimane e, con la guida dell’onorevole Gebhardt, siamo riusciti a farcene un’idea approfondita nonostante i numerosi emendamenti, siamo contrari a tale sospensione. Dovremmo procedere immediatamente alla votazione.

(Applausi a sinistra)

 
  
  

(Il Parlamento respinge la richiesta del gruppo Verde/Alleanza libera europea)

– Dopo la votazione sugli emendamenti nn. 233/403

 
  
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  Evelyne Gebhardt (PSE), relatore. – (DE) Signor Presidente, devo proprio chiedere al gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei se intendano tener fede all’impegno che hanno assunto con noi, parte del quale prevedeva che avremmo espresso parere contrario a questa proposta. Trovo inaccettabile che si negozi per settimane e che poi certe persone non tengano fede a quanto concordato.

(Applausi e tumulto)

 
  
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  Malcolm Harbour (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, in risposta alla relatrice, voglio che sia assolutamente chiaro che le nostre discussioni sul pacchetto, perfettamente intatto, vertevano sull’inclusione della sanità privata e che il mio gruppo aveva libertà di voto su questo punto. Si può del resto constatare che al gruppo non è stata data alcuna indicazione di voto. Questo è quanto abbiamo detto ieri ai socialisti. Si è trattato di una libera votazione in cui decidere se si voleva includere la sanità privata, non la sanità tout court, nell’ambito della direttiva. Molti, anche al di fuori del mio gruppo, hanno chiaramente ritenuto di esprimersi in tal senso, ma questo non altera minimamente il nostro impegno circa l’intero pacchetto in esame.

(Applausi dal gruppo PPE-DE)

 
  
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  Daniel Marc Cohn-Bendit (Verts/ALE).(FR) Signor Presidente, ai sensi dell’articolo 171, potrebbe essere opportuno che il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei e il gruppo socialista al Parlamento europeo richiedano una sospensione della seduta al fine di raggiungere un accordo.

 
  
  

Sulla votazione sull’emendamento n. 233

 
  
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  Toine Manders (ALDE).(NL) Signor Presidente, ai sensi dell’articolo 66, vorrei sapere che ne è stato della votazione sull’emendamento n. 233 perché, da quanto ho udito, lei è giunto alla conclusione sbagliata.

 
  
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  Evelyne Gebhardt (PSE), relatore. – (DE) Signor Presidente, chiedo scusa, ma l’emendamento n. 380 all’articolo 72 non è presente nella mia documentazione, mentre l’emendamento n. 297 sì. Si riferisce alla cancellazione del riferimento al diritto del lavoro. L’articolo 72 trattava una questione totalmente diversa.

 
  
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  Presidente. Il segretariato della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori ci ha informato che l’approvazione dell’emendamento n. 72 escludeva automaticamente l’emendamento n. 297 e in base a tale informazione è stata preparata la votazione. Naturalmente, se la relatrice non è d’accordo, ci atterremo alle sue indicazioni.

 
  
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  Martin Schulz (PSE).(DE) Signor Presidente, ritengo sensato operare come suggerito dalla relatrice. In fin dei conti, è ben possibile che il segretariato di una commissione abbia commesso un errore. Riteniamo estremamente importante votare sull’emendamento n. 297 e chiedo di procedere subito in tal senso.

 
  
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  Presidente. Procederemo secondo le indicazioni della relatrice. Procederemo alla votazione sull’emendamento n. 297 per appello nominale.

– Prima della votazione sull’emendamento n. 357

 
  
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  Toine Manders (ALDE).(NL) Signor Presidente, vorrei fare un richiamo al Regolamento. Abbiamo votato sull’emendamento n. 233 e lo abbiamo approvato, con la conseguenza che la direttiva si riferisce ora alla sanità privata, ma non a quella pubblica. Adesso stiamo nuovamente per esprimerci sulla sanità pubblica, ma non vedo come ciò sia possibile: ci si presenta un problema di rapporto tra emendamenti e ritengo ci sia qualche difetto nel modo in cui vengono stilate le liste per le votazioni e viene stabilito l’ordine degli emendamenti.

 
  
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  Presidente. Non ci risulta nessuna incongruenza nell’ordine di votazione, ma la relatrice ha facoltà di dirci se concorda con lei.

 
  
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  Evelyne Gebhardt (PSE), relatore. – (DE) Signor Presidente, l’Ufficio di Presidenza ha svolto un ottimo lavoro nel comporre le liste e personalmente non rilevo errori nell’ordine di votazione.

 
  
  

Prima della votazione sull’emendamento n. 293

 
  
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  Monica Frassoni (Verts/ALE). – Signor Presidente, nella versione rivista numero 4 dell’emendamento 293, vengono soppressi dal paragrafo 3, che permette allo Stato membro di imporre requisiti in materia di fornitura di servizi, i termini “politica sociale” e “protezione dei consumatori”.

Questa soppressione non è innocente e dà un segnale politico chiaro che noi non approviamo. Pertanto, a norma dell’articolo 150, paragrafo 5 del Regolamento, chiediamo che tali termini soppressi vengano reinseriti nel testo.

 
  
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  Presidente. Non si tratta propriamente di un emendamento ritirato, pertanto non è possibile applicare l’articolo da lei citato.

 
  
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  Monica Frassoni (Verts/ALE). – Signor Presidente, prima di presentare un emendamento rivisto è necessario ritirare l’emendamento precedente. Questa procedura è stata seguita ed è stato presentato un emendamento rivisto. Per tale motivo, a norma dell’articolo 150, paragrafo 5, del Regolamento, chiedo che sia ripristinato l’emendamento precedente.

 
  
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  Evelyne Gebhardt (PSE), relatore. – (DE) Signor Presidente, prima di imbarcarci in questa revisione, il mio gruppo e quello del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei avevano chiesto al servizio giuridico di esaminare molto attentamente che ci fosse conformità con il Regolamento del Parlamento europeo. Gli uffici competenti di questa Istituzione ci hanno assicurato che tutto era in regola e perciò abbiamo introdotto l’emendamento in questa forma. Desidero chiarire all’onorevole Frassoni che la questione è già stata attentamente ponderata. Sembrerebbe che sia possibile procedere in questo modo e perciò adesso dovremmo passare alla votazione.

(Vivi applausi)

 
  
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  Graham Watson (ALDE).(EN) Signor Presidente, l’onorevole Gebhardt può scoprire nuovi elementi riguardo al servizio giuridico del Parlamento, ma al mio gruppo sembra che la questione sollevata dall’onorevole Frassoni sia assolutamente giustificata ai sensi del Regolamento, pertanto sostiene la sua richiesta di votare questo emendamento.

(Applausi)

 
  
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  Robert Goebbels (PSE).(FR) Signor Presidente, è giunta l’ora che lei faccia valere la sua autorità di Presidente della seduta. Siamo nel bel mezzo delle votazioni e non è questo il momento di riaprire la discussione.

(Applausi)

Mi permetto di segnalare all’onorevole Frassoni che la protezione dei consumatori e la politica sociale figurano in numerosi punto all’interno del testo che ci apprestiamo a votare. Suggerisco pertanto di esprimerci a favore del compromesso nella sua forma attuale.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. Onorevoli colleghi, questo non è un problema di discussione politica quanto di procedura. La Presidenza vuole accertarsi che stiamo procedendo nel rispetto del nostro Regolamento e delle interpretazioni giuridiche adeguate. Avendo consultato i servizi, devo informarvi che riteniamo che l’interpretazione dell’onorevole Gebhardt sia corretta. Manterremo quindi inalterato l’ordine di votazione.

 
  
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  Monica Frassoni (Verts/ALE). – Signor Presidente, quanto dichiarato dall’onorevole Gebhardt non ha nulla a che vedere con quello che io ho chiesto.

Benché in seno al nostro gruppo vi siano moltissimi dubbi sulla legittimità di presentare fuori tempo massimo una revisione a un emendamento, siamo comunque disposti ad accettarla. Io non dubito affatto che l’onorevole Gebhardt possa aver presentato l’emendamento rivisto. Tuttavia, a nome del mio gruppo, dichiaro di voler riprendere l’emendamento precedente, in piena conformità con il regolamento.

Signor Presidente, se lei vuole interpretare il Regolamento secondo quanto affermato dalla maggioranza, vale a dire dall’onorevole Gebhardt, è libero di farlo. Ciò non toglie che, a norma del Regolamento, io sia perfettamente legittimata a chiedere di porre in votazione l’emendamento nella versione da me ripresa. Tengo comunque a precisare che non dubitiamo del fatto che l’onorevole Gebhardt abbia avuto ragione a presentare un emendamento rivisto.

 
  
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  Nigel Farage (IND/DEM).(EN) Signor Presidente, per cercare di essere utile in questa situazione piuttosto difficile…

(Reazioni diverse)

Perché tutto questo scetticismo? Sono qui per dare una mano! Rimando all’articolo 168, paragrafo 2. Poiché questa sta diventando una vera e propria farsa, suggerisco che si proceda immediatamente alla votazione, ai sensi dell’articolo 168, paragrafo 2. Propongo di rinviare questa relazione in commissione in modo che possa poi essere riportata in Parlamento e votata con criterio, cosa che adesso non sta succedendo.

(Reazioni diverse)

 
  
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  Martin Schulz (PSE).(DE) Signor Presidente, vorrei chiedere di considerare il Regolamento nel suo insieme. In quest’Aula sono stati esposti due punti di vista diversi, uno, sicuramente accettabile, dall’onorevole Frassoni e l’altro dall’onorevole Gebhardt. Il Regolamento parla chiaro e l’onorevole Frassoni, in qualità di membro della Conferenza dei presidenti, lo ha applicato. In casi di dubbio come questo è il Presidente che decide come procedere. Lei ha consultato i servizi, signor Presidente, e loro le hanno fornito una raccomandazione, che lei ha accettato. Chiedo quindi di procedere ora come ha indicato e di passare alla votazione.

(Applausi)

 
  
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  Roberto Musacchio (GUE/NGL). – Signor Presidente, io sostengo l’interpretazione giuridica dell’onorevole Frassoni. La risposta del Presidente si riferiva alla prima osservazione, per cui pregherei vivamente gli autori del compromesso di non far prevalere le logiche politiche sulle logiche procedurali di questo Parlamento, perché ciò non sarebbe affatto opportuno.

 
  
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  Daniel Marc Cohn-Bendit (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, l’articolo 150, paragrafo 5, non permette simili distinzioni. Se ne deduce che non c’è spazio per una discussione tra due possibili alternative, perché si può percorrere una sola strada. L’onorevole Gebhardt ha ragione a sottolineare che avete il diritto di modificare un vostro emendamento e l’informazione fornita dai servizi è perciò giusta. Indipendentemente dalle vostre intenzioni, però, noi abbiamo il diritto di fare nostro un emendamento già presentato, perché non è la maggioranza ad avere ragione, bensì la legge. Sta scritto nell’articolo 150, paragrafo 5, e non ha nulla a che vedere con il modo in cui vi comportate.

A nome del gruppo Verde/Alleanza libera europea annuncio che facciamo nostro l’emendamento originariamente da voi presentato in modo che rientri di nuovo in gioco e che il Parlamento si esprima su di esso. E’ così che si sono sempre applicate le norme in quest’Assemblea.

(Vivi applausi)

 
  
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  Nigel Farage (IND/DEM).(EN) Signor Presidente, in base all’articolo 168, paragrafo 2, ho proposto di mettere ai voti il rinvio in commissione. Questo articolo, a mio avviso molto chiaro, dice che “tale richiesta è messa immediatamente ai voti”.

Forse, però, le cose sono leggermente peggiorate dal mio ultimo intervento. Adesso, perciò, citerò il Regolamento e, come avete detto voi stessi, dobbiamo seguire scrupolosamente quanto indicato in esso. L’articolo 170, paragrafo 4, recita: “Prima o durante una votazione, un gruppo politico o almeno trentasette deputati possono proporne l’aggiornamento. La votazione sulla proposta ha luogo immediatamente”. Che siate contrari o a favore dell’Unione europea, sicuramente tutti voi in quest’Aula siete in grado di vedere che è diventata una farsa! Signor Presidente, per cortesia, potremmo votare sull’aggiornamento di questa votazione?

(Applausi dal gruppo IND/DEM)

 
  
  

(Il Parlamento respinge la richiesta di aggiornamento della votazione)

– Prima della votazione sugli emendamenti nn. 307 e 219

 
  
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  Evelyne Gebhardt (PSE), relatore. – (DE) Signor Presidente, abbiamo concordato con il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei che gli emendamenti nn. 307 e 219, relativi alla protezione dei consumatori, non devono essere inclusi nei considerando, ma devono essere aggiunti all’articolo 3. Chiedo quindi di tenerne conto quando verranno incorporati nel documento, sempre che, ovviamente, essi vengano approvati.

 
  
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  Francis Wurtz (GUE/NGL).(FR) Signor Presidente, sono nondimeno sorpreso per tutte queste allusioni a discussioni avvenute dietro le quinte quando ci apprestiamo a votare su una direttiva così importante. Propongo che lei chieda che tali situazioni non si ripetano più.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. La Presidenza non è a conoscenza di accordi tra i gruppi politici. Tiene conto esclusivamente delle osservazioni del relatore che contribuiscono al corretto svolgimento della votazione. Qualunque altra osservazione è inaccettabile.

– Prima della votazione sulla proposta di direttiva (modificata)

 
  
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  Evelyne Gebhardt (PSE), relatore. – (DE) Signor Presidente, prima di procedere alla votazione finale, vorrei esprimere ancora una volta il mio ringraziamento a tutti coloro che hanno contribuito all’ottimo risultato che abbiamo ottenuto. Abbiamo modificato lo spirito della direttiva dandole quella dimensione sociale di cui necessitano i cittadini dei nostri Stati membri. Per tale ragione chiedo al mio gruppo di votare a favore di questa relazione.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. VIDAL-QUADRAS ROCA
Vicepresidente

 

6.2. Orientamenti strategici per lo sviluppo rurale (2007-2013) (votazione)

6.3. Nuovo meccanismo di finanziamento per lo sviluppo nell’ambito degli obiettivi del Millennio (votazione)

6.4. Diritto alla libertà di espressione e rispetto del credo religioso (votazione)
  

Prima della votazione sul paragrafo 13

 
  
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  Mario Mauro (PPE-DE). – Signor Presidente, anche a nome del mio gruppo chiedo che, al paragrafo 13, il termine “denuncia” sia sostituito con il termine “condanna”, in considerazione del fatto che quest’ultimo termine è già utilizzato al paragrafo 6 per giudicare le violenze contro le ambasciate. Ritengo che, a maggior ragione, si dovrebbe usare il termine “condanna” per giudicare le violenze contro le persone.

 
  
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  Elmar Brok (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, riprendendo il suggerimento dell’onorevole Mauro e l’emendamento dell’onorevole Cohn-Bendit, propongo di impiegare in quel punto la parola “condanna”, e di usare la seconda parte – nella formulazione proposta dal gruppo Verts/ALE – come paragrafo 13 bis; in tal caso la sosterrei anch’io. Avremmo così una votazione divisa in due parti, che rappresenterebbe una soluzione di compromesso cui l’Assemblea potrebbe aderire.

 
  
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  Monica Frassoni (Verts/ALE). – Signor Presidente, comunico che noi accettiamo questa richiesta e che desideriamo presentarne un’altra, sempre sul paragrafo 13. Nel testo in inglese si parla di religious fanatics, ovvero di fanatici religiosi, utilizzando la forma plurale. Noi chiediamo che venga invece utilizzato il singolare, perché in realtà Padre Santoro è stato ucciso da un solo fanatico religioso.

 
  
  

(Il Parlamento approva gli emendamenti orali)

 

6.5. Prospettive per la Bosnia-Erzegovina (votazione)
  

Prima della votazione sul paragrafo 8

 
  
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  Doris Pack (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, il paragrafo 8 inizia con la parola “suggerisce”, che io preferirei sostituire col termine “invita”, più adatto a questo documento.

 
  
  

(Il Parlamento approva l’emendamento orale)

Prima della votazione sul paragrafo 11

 
  
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  Doris Pack (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, al paragrafo 11 preferirei che l’espressione “piena attuazione di tutte le condizioni” venisse sostituita da “progressi significativi nell’attuazione delle condizioni”.

 
  
  

(Il Parlamento approva l’emendamento orale)

 

6.6. Situazione in Bielorussia in vista delle elezioni presidenziali del 19 marzo (votazione)

6.7. Gestione dei rischi e delle crisi nel settore agricolo (votazione)

6.8. Messa in atto della strategia forestale dell’Unione europea (votazione)
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  Presidente. – Con questo si conclude il turno di votazioni.

 

7. Dichiarazioni di voto
  

– Relazione Gebhardt (A6-0409/2005)

 
  
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  Marta Vincenzi (PSE). – Signor Presidente, desidero sottolineare la positività della posizione comune raggiunta dal Parlamento, che restituisce ai cittadini europei quel segnale di unità politica e di fiducia di cui hanno bisogno.

Sottolineo l’impatto positivo che l’articolo 31, nella versione modificata, avrà nel campo molto importante dei servizi turistici. Si tratta, infatti, di permettere la creazione di un grande e armonico incoming turistico, mediante un percorso attento che individui l’armonizzazione delle molteplici figure turistiche esistenti nei diversi paesi. Invito pertanto la Commissione a rilanciare, dopo un’accurata revisione, la direttiva 320 del 1992, che finora è stata disattesa da molti Stati membri, affinché la politica della qualità dei servizi si realizzi pienamente e, con essa, anche l’obiettivo di un turismo europeo sostenibile.

 
  
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  Marc Tarabella (PSE).(FR) Signor Presidente, se oggi, per la prima volta, ritengo opportuno giustificare il mio voto, ciò dipende da un duplice motivo: innanzi tutto, questa è una relazione importante – forse la più importante dell’intera legislatura – e poi il mio voto contrasta con la posizione maggioritaria del mio gruppo.

Non ho difficoltà a riconoscere i progressi realizzati rispetto alla proposta iniziale del Commissario Bolkestein, e me ne congratulo con la relatrice, onorevole Gebhardt; mi lasciano tuttavia insoddisfatto le incertezze legate all’articolo 16. Pur avendo votato a favore degli emendamenti di compromesso presentati su questa relazione, non mi sento di approvarla e alla fine ho deciso di respingerla, in quanto essa segna una grave rottura simbolica con i principi che finora hanno consentito all’integrazione europea di progredire. La solidarietà e i regolamenti lasciano il posto alla concorrenza tra i paesi e i popoli d’Europa: è uno sviluppo che giudico negativo.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE).(FR) Quella che il nostro Parlamento ha approvato stamattina è una nuova direttiva. Viene limitato il campo d’applicazione, è finalmente eliminato il principio del paese d’origine, viene preservato il diritto del lavoro: abbiamo trasformato lo spirito e la lettera del progetto che ci era stato sottoposto, e di questo mi rallegro vivamente.

Il nostro Parlamento è l’unica Istituzione europea che poteva essere in grado di introdurre un così profondo mutamento d’ispirazione. Ciò si deve senza dubbio al fatto che noi abbiamo ascoltato i nostri concittadini, i loro timori e le loro paure; di conseguenza, noi siamo in primo luogo i difensori di un modello europeo di valori comuni e preferiamo costantemente l’armonizzazione verso l’alto al dumping verso il basso. Abbiamo fatto un buon lavoro, e sarà opportuno che la Commissione e il Consiglio tengano finalmente conto del forte segnale politico che noi oggi inviamo, manifestando la volontà di realizzare il mercato interno senza però rinunciare al nostro modello sociale. Da parte nostra, continueremo a vigilare.

 
  
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  Frank Vanhecke (NI).(NL) Signor Presidente, non c’è dubbio che la versione della direttiva sui servizi che abbiamo adottato sia notevolmente migliore dell’originale; a mio parere l’inaccettabile principio del paese di origine è stato molto indebolito, anche se forse non è stato spazzato via completamente.

In parecchi punti, però, il documento che abbiamo adottato oggi resta poco chiaro; attualmente, nessuno può dire con precisione quali saranno le conseguenze di numerosi punti del testo.

Ancora adesso, per esempio, non sono affatto sicuro che questo testo sia in grado di evitare completamente il dumping sociale; anche la possibilità di monitorare il rispetto del documento mi sembra alquanto insoddisfacente. I frequenti abusi – perpetrati peraltro anche dalle Istituzioni – che si segnalano nell’applicazione dei normali bilanci europei ci inducono a nutrire un certo scetticismo sull’efficienza del monitoraggio effettuato a livello europeo.

Di conseguenza mi sono astenuto dal voto; infatti, anche se questo è chiaramente un passo – e un passo importante – nella giusta direzione, nondimeno rimangono troppi aspetti dubbi, che bisognerà assolutamente eliminare in sede di seconda lettura. Posso solo augurarmi di non avere difficoltà ad esprimere un voto favorevole in quell’occasione.

 
  
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  Koenraad Dillen (NI).(NL) Signor Presidente, certo è un fatto positivo che la nostra Assemblea sia riuscita oggi a modificare il testo originale della direttiva sui servizi, anche se occorre dire che molti emendamenti, delle centinaia che sono state presentate, non erano necessari. La versione originale della direttiva aveva forse istituzionalizzato il dumping sociale, ma anche questa versione lo ammette, almeno sotto una certa forma e insieme ad altri abusi di ogni sorta; d’altra parte, essa non definisce in maniera chiara il principio del paese d’origine.

Non è forse estremamente significativo il fatto che sia stata respinta la richiesta, avanzata dal gruppo UEN, di istituire un centro di monitoraggio per garantire che la direttiva non spalanchi le porte al dumping sociale? Con la nostra astensione noi intendiamo inviare un messaggio politico: il mio partito, il Vlaams Belang, come ha già fatto il mese scorso durante il dibattito sulla liberalizzazione dei servizi portuali, opporrà una strenua resistenza ad ogni tentativo di intaccare il principio della priorità del proprio paese.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE).(SK) Il motivo della mia astensione nella votazione sulla relazione dell’onorevole Evelyne Gebhardt, riguardante la direttiva sui servizi, è la mancata adozione dell’emendamento n. 250, presentato da alcuni deputati del gruppo PPE-DE provenienti dai nuovi Stati membri; per tali paesi quest’emendamento era considerato di capitale importanza.

L’emendamento n. 250 doveva modificare la direttiva introducendo l’articolo 35 bis in sostituzione degli articoli 24 e 25 sul distacco dei lavoratori, eliminati dalla proposta della Commissione nel corso delle votazioni in sede di commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori. Esso avrebbe semplificato le procedure per il distacco dei lavoratori, dal momento che la direttiva sul distacco dei lavoratori non prevede alcuna cooperazione amministrativa tra il paese d’origine e il paese di destinazione.

Sono lieta che la direttiva sia stata approvata in prima lettura dal Parlamento europeo; mi rammarico però che i deputati dei nuovi Stati membri non siano riusciti neppure questa volta a coagulare un sostegno sufficiente.

 
  
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  Véronique De Keyser (PSE).(FR) Signor Presidente, il mio voto negativo sulla relazione Gebhardt non vuole rappresentare una sconfessione dello straordinario lavoro compiuto dalla relatrice. Sono sinceramente convinta che, dovendo basarsi su un testo pessimo, l’onorevole Gebhardt abbia fatto miracoli; tuttavia, nonostante tutti i suoi sforzi, la collega non è riuscita ad arginare un’ondata liberista che minaccia l’intero nostro edificio sociale. Di compromesso in compromesso, questo testo astruso è divenuto illeggibile; per chi vuol tenere gli occhi aperti rimane evidente l’abbandono di una volontà armonizzatrice da parte della Commissione, a favore di una regolamentazione caso per caso che potrà essere effettuata – o non effettuata – in nome dell’interesse generale.

Senza una direttiva sui servizi d’interesse generale e sui servizi di interesse economico generale, in questo testo rimangono zone grigie che apriranno la strada a innumerevoli ricorsi legali; l’Europa si sta ulteriormente allontanando dai suoi cittadini.

 
  
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  Francisco Assis, Luis Manuel Capoulas Santos, Paulo Casaca, Fausto Correia, Edite Estrela, Emanuel Jardim Fernandes, Elisa Ferreira, Ana Maria Gomes, Joel Hasse Ferreira, Jamila Madeira e Manuel António dos Santos (PSE), per iscritto. (PT) La vecchia direttiva Bolkestein, radicalmente trasformata, costituisce un netto progresso nel processo di costruzione del mercato unico dei servizi.

Abbiamo quindi votato a favore di questa proposta nel suo testo emendato, in quanto riteniamo che essa garantisca un equilibrato progresso verso la creazione di un mercato interno europeo dei servizi; a nostro parere, inoltre, l’esclusione dei servizi di interesse generale, delle lotterie e dei servizi sanitari essenziali rende la direttiva più equilibrata.

Nella sua formulazione attuale, la direttiva avrà effetti positivi sull’economia portoghese, soprattutto perché il principio del paese di origine verrà abbandonato e l’apertura del mercato europeo dei servizi permetterà di creare numerosi posti di lavoro; con questo testo si eliminerà definitivamente il cosiddetto dumping sociale.

La direttiva consentirà di ridurre le ingiustificabili barriere burocratiche esistenti in diversi Stati membri, assoggettando la fornitura di servizi alle norme del paese in cui il servizio viene prestato. L’esclusione del lavoro temporaneo e la non interferenza con la direttiva sul distacco dei lavoratori contribuiranno a loro volta a garantire l’equilibrio e la coesione sociale.

Tutte queste considerazioni ci hanno indotto a votare a favore.

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) In prima lettura ho votato a favore della proposta di direttiva relativa ai servizi nel mercato interno, quale emendata dal Parlamento europeo sulla base del compromesso negoziato tra il PPE-DE e il PSE. Esprimo un particolare apprezzamento per il notevole lavoro svolto dall’onorevole Harbour, che ha seguito il dossier per conto del PPE-DE insieme al collega Toubon. Era divenuto urgente legiferare, per non lasciare alla Corte di giustizia delle Comunità europee il compito di creare il diritto sul tema della quarta libertà fondamentale dell’Unione, relativa ai servizi.

Il compromesso permette di delineare un quadro a sostegno della competitività e dello sviluppo delle attività nei servizi, che rappresentano il 70 per cento del PIL con un forte potenziale di crescita e di creazione di occupazione, nonché la possibilità di combattere il rischio di dumping sociale. Il Presidente della Repubblica francese Jacques Chirac si è giustamente battuto contro il primo testo presentato dalla Commissione Prodi nel gennaio 2004, mentre il Parlamento europeo ha correttamente svolto il suo ruolo di colegislatore. Ecco una vittoria della democrazia responsabile e una tappa fondamentale nella costruzione di un’economia sociale di mercato.

 
  
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  Pervenche Berès (PSE), per iscritto. – (FR) Dopo più di un anno di dibattiti in sede di commissione parlamentare e in seno all’opinione pubblica europea, il Parlamento europeo si è pronunciato oggi sulla direttiva relativa ai servizi.

Fedele alle mie convinzioni e all’impegno preso con i numerosi cittadini che mi avevano interpellata in merito a questa direttiva, in un primo tempo ho votato per la reiezione della direttiva stessa – così come ha fatto l’intera delegazione socialista francese. Tale reiezione, tuttavia, non è stata approvata (153 voti contro 486).

Per i socialisti francesi si ponevano tre esigenze fondamentali: l’esclusione dei servizi di interesse economico generale dal campo di applicazione della direttiva, il riferimento esplicito al principio del paese di destinazione, il riferimento a una direttiva quadro sui servizi pubblici.

Ho sostenuto perciò il complesso degli emendamenti che miravano a limitare il campo di applicazione del testo, escludendone chiaramente i servizi pubblici e i settori vitali per il nostro modello sociale: in particolare l’istruzione, la cultura, la sanità e così via. Anche questi emendamenti sono stati respinti.

Dal momento che il compromesso tra PPE-DE e PSE non risponde alle mie esigenze di conservazione del nostro modello sociale europeo, nella votazione finale ho votato contro il testo.

Noto peraltro che l’emendamento di reiezione del testo quale emendato ha riscosso (con 215 voti) un’adesione più ampia di quanto lasciava prevedere il primo voto sul ritiro del testo.

 
  
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  Emma Bonino (ALDE), per iscritto. Ho votato “no” al compromesso raggiunto sulla direttiva Bolkestein.

Ho votato “no” per ragioni opposte a quelle di coloro che alla sinistra di questo emiciclo hanno mantenuto un “no” ideologico, che in definitiva è un “no” all’Europa.

La proposta della Commissione Prodi non era frutto del dottor Stranamore, ma del Trattato e degli orientamenti emersi da Lisbona.

Cosa è rimasto in piedi?

La libera circolazione non si applica ai servizi d’interesse generale e fuori uno. Idem per i servizi finanziari, ci mancherebbe. Non ai servizi giuridici, non a quelli medico-sanitari, né agli audiovisivi per carità, per quelli fiscali non se ne parla nemmeno, né alle professioni, dovessero offendersi notai e avvocati ed altri, e anche per il gioco d’azzardo la pallina della roulette deve essere nazionale. Infine fuori anche i trasporti, anche se è rimasta, ed è forse simbolico, la liberalizzazione delle pompe funebri.

Quanto alla tanto vituperata clausola del paese d’origine, il testo ne fa fuori il principio e la forza innovatrice, che nei fatti si applica a tanti altri settori economici.

Oggi vincono gli interessi corporativi, vince la paura dell’idraulico polacco, l’ipocrisia di chi dice che tanto c’è sempre il lavoro nero degli immigrati, ma perde l’Europa.

 
  
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  Udo Bullmann, Matthias Groote, Wolfgang Kreissl-Dörfler, Jo Leinen, Willi Piecyk e Mechtild Rothe (PSE), per iscritto. – (DE) La direttiva Bolkestein aveva come obiettivi il dumping sociale e la deregolamentazione; il gruppo socialista del Parlamento europeo è riuscito a trasformare questa direttiva nel suo esatto contrario.

Il principio del paese d’origine è stato abbandonato, e al suo posto è subentrato un accesso illimitato al mercato; si dovrà applicare la legislazione in materia di lavoro vigente nel paese in cui i servizi vengono prestati.

La direttiva sul distacco dei lavoratori continua ad applicarsi senza restrizioni, e sarà necessario emendarla.

Sono previste deroghe per il lavoro temporaneo e a contratto. Invitiamo il Consiglio a non ostacolare ulteriormente il processo legislativo europeo.

La direttiva non si applica affatto ai servizi di interesse generale, e si applica solo parzialmente a quelli di interesse economico generale. Chiediamo il varo di una direttiva quadro europea con provvedimenti distinti, da applicare a quest’importantissimo settore.

Nelle prossime fasi del processo legislativo occorrerà rivolgere la nostra attenzione a diversi aspetti specifici.

Per esempio, le libertà fondamentali dei lavoratori – secondo la definizione che ne dà la “clausola Monti” dell’Unione europea – devono avere la precedenza sulle norme della vita economica.

Non si devono mettere a repentaglio i diritti di codecisione e codeterminazione, che hanno il loro fondamento nella legge.

Occorre prendere in debita e sistematica considerazione i motivi imperativi di interesse generale, così come li definisce l’articolo 4, paragrafo 7 bis, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee.

Gli obblighi aventi base giuridica, formulati nell’interesse dei lavoratori del paese o di quelli stranieri (contributi obbligatori ad associazioni sindacali, fondi per il pagamento delle ferie, eccetera), devono applicarsi a tutti coloro che prestano servizi sia in patria che all’estero.

Non si deve prendere alcun provvedimento che possa aprire spiragli al falso lavoro autonomo. Devono mantenere piena validità le norme che fissano standard qualitativi, relativamente all’assegnazione di contratti pubblici.

 
  
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  Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. (SV) Noi conservatori riteniamo necessario rispettare sempre la Carta dei diritti fondamentali, quali che siano i problemi o i provvedimenti legislativi in gioco. Giudichiamo positivamente il Trattato costituzionale, che avrebbe reso la Carta giuridicamente vincolante per tutti i cittadini dell’Unione europea. Riteniamo sbagliato che la direttiva sui servizi menzioni solo la parte della Carta relativa al diritto del lavoro, e ci siamo quindi astenuti dal voto sui punti in merito ai quali si fa riferimento alla Carta.

 
  
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  Richard Corbett (PSE), per iscritto. (EN) Ho votato per modificare radicalmente – anziché respingere – la proposta di direttiva sui servizi. Abbiamo cercato di realizzare un equilibrio, e in questa prima lettura, mi sembra, ci siamo ampiamente riusciti. Vogliamo eliminare gli ostacoli burocratici alla libertà di circolazione dei servizi nel mercato europeo, ma non vogliamo creare una situazione che metta a repentaglio i nostri servizi sociali, gli standard della legislazione sul lavoro, la normativa in materia di sanità e sicurezza, o altri essenziali elementi di tutela; vogliamo protezione, non protezionismo. Il testo modificato realizza quell’equilibrio che mancava al testo originale.

 
  
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  Dorette Corbey (PSE), per iscritto. (NL) L’articolo 16, paragrafo 1, lettere b) e c), assoggetta la legislazione nazionale a test che ne verifichino la necessità e proporzionalità: la ritengo un’inaccettabile interferenza nella sovranità nazionale. Se la mia interpretazione del testo è corretta, ne derivano incertezza giuridica ed ostacoli per l’operato delle autorità nazionali. E’ giusto, naturalmente, chiedere che la legislazione su problemi come l’ambiente rispetti il principio della proporzionalità, ma si tratta di una questione su cui il giudizio sarà sempre di natura politica. Non è auspicabile che i legislatori nazionali debbano sentire sul collo il fiato dell’Unione europea e della Corte di giustizia. Quindi, sono in grado di sostenere questo compromesso con l’eccezione del paragrafo 1, lettere b) e c).

 
  
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  Mia De Vits (PSE), per iscritto. (NL) Ho votato contro la proposta di direttiva sui servizi, e vorrei ricordare tre motivi che mi hanno indotta a tale decisione.

1) La nostra Assemblea avrà anche apportato delle migliorie alla proposta della Commissione, ma – a mio avviso – non in misura sufficiente. Non è giusto che la direttiva continui ad applicarsi a numerosi settori dei servizi pubblici, a quelli che sono denominati di interesse economico generale. Essa non dovrebbe assolutamente valere per servizi come – ad esempio – la raccolta dei rifiuti domestici o la fornitura idrica. Occorre inoltre predisporre una legislazione quadro che garantisca in maniera inequivocabile il diritto alla fornitura dei servizi pubblici.

2) Alcuni punti della direttiva si possono interpretare in maniera contrastante. Attualmente, l’opinione pubblica considera l’Europa con scetticismo, e quindi l’incertezza giuridica della legislazione è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno.

3) In realtà, ci occorre un’Europa sociale e affidabile, con un mercato interno nel cui ambito valgano le medesime regole armonizzate di base, ma questa direttiva non serve affatto a tale scopo.

Noto comunque con soddisfazione che settori sensibili come i servizi portuali, le agenzie di collocamento, l’assistenza agli anziani, la sanità e le cure dell’infanzia sono stati esclusi dalla portata della direttiva; inoltre, le conquiste sociali di ogni paese rimangono intatte, e ciò rende impossibile il dumping sociale. Ho votato a favore di tutti gli emendamenti presentati a tale scopo, e inoltre di tutti gli altri emendamenti che hanno migliorato il testo rendendolo più chiaro.

 
  
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  Antoine Duquesne (ALDE), per iscritto. – (FR) L’adozione della direttiva sui servizi segna per l’Unione europea un sensibile passo in avanti. Malgrado tutto, è stato possibile conservare il nucleo essenziale del progetto, e il testo adottato favorirà il successo della strategia di Lisbona, come testimoniano i più recenti studi compiuti dalla Commissione europea.

Questa direttiva incoraggerà l’attività nel settore dei servizi, il quale rappresenta un importantissimo serbatoio di posti di lavoro. Si tratta di un vantaggio essenziale, soprattutto per un paese come il Belgio, la cui economia è decisamente orientata verso i servizi.

Gli emendamenti introdotti dalla commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, precisando la portata della direttiva, hanno consentito di fornire una risposta alle principali preoccupazioni dell’opinione pubblica e di porre fine a una lunga campagna di disinformazione. La prima proposta di compromesso presentata da PPE-DE e PSE svuotava la proposta di direttiva di qualsiasi significato. Fortunatamente il compromesso finale – pur non avendo ricevuto un’accoglienza entusiastica – rappresenta un primo passo, comunque preferibile all’immobilità, e viene incontro alle principali preoccupazioni dei fautori della direttiva.

Spetta ora al Consiglio confermare e perfezionare il compromesso finale raggiunto dal Parlamento.

 
  
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  Lena Ek (ALDE), per iscritto. (SV) Oggi il Parlamento europeo esprime il proprio parere sulle modalità con cui ci accingiamo a creare la libera circolazione dei servizi nell’ambito dell’Unione europea – una delle quattro libertà su cui si basa la nostra cooperazione europea. In un’economia mondiale sempre più globalizzata, ove la concorrenza si fa sempre più intensa, l’economia europea deve sfruttare sino in fondo i settori in cui siamo competitivi; tra questi settori vi è quello dei servizi. I compromessi conclusi tra i gruppi PPE-DE e PSE hanno purtroppo aperto nuove possibilità di protezionismo giuridico, tali da ostacolare il commercio dei servizi tra paesi vicini e colpire duramente i nuovi Stati membri. Nonostante tutto, ho deciso di votare a favore di questa proposta annacquata, che può comunque costituire un primo passo verso l’obiettivo da me auspicato: una libertà di circolazione per i servizi – del resto già esposti alla concorrenza – che sia all’altezza del nostro mercato interno comune europeo.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Ci rammarichiamo che non sia stata approvata la nostra proposta di reiezione della direttiva Bolkestein, nucleo centrale della cosiddetta strategia di Lisbona ed elemento essenziale del neoliberismo nel settore dei servizi nonché strumento degli interessi dei grandi gruppi economici e finanziari dell’Unione europea, come dimostrano le posizioni assunte dalle loro organizzazioni rappresentative, e in particolare dall’UNICE, l’Unione delle confederazioni delle industrie della comunità europea.

Le lotte operaie e popolari hanno sicuramente imposto qualche concessione e alcune modifiche – che abbiamo sostenuto nella misura in cui si presentavano positive – ma il malaugurato compromesso tra PSE e PPE-DE ha frustrato le aspettative di quanti si auguravano che il Parlamento europeo potesse respingere una proposta tanto gravosa per i lavoratori e le masse popolari dei diversi Stati membri.

Abbiamo quindi votato contro la proposta complessiva, e contro molti dei suoi aspetti particolari che giudichiamo negativi; pensiamo in particolare ai seguenti, che riguardano:

– la liberalizzazione generale dei servizi, comprese aree sensibili di settori e servizi pubblici, come ad esempio l’approvvigionamento idrico, l’edilizia sociale, l’energia, i servizi postali, la ricerca, l’istruzione e la formazione, i servizi culturali e i servizi di sicurezza; in questo campo sono state respinte le proposte da noi avanzate per l’esclusione di tali servizi dall’ambito della direttiva;

– la maggiore precarietà che contraddistingue la contrattazione dei lavoratori, in particolare per quel che riguarda i lavoratori autonomi;

– l’inasprimento delle difficoltà concernenti la tutela dei diritti dei consumatori, degli utenti dei servizi pubblici e dell’ambiente.

 
  
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  Jean-Claude Fruteau (PSE), per iscritto. – (FR) Il testo sottoposto a votazione mirava a realizzare un autentico mercato interno dei servizi, correggendo un progetto di direttiva la cui impostazione ideologica – basata sulla concorrenza tra le legislazioni sociali e fiscali degli Stati membri – avrebbe prodotto conseguenze drammatiche, con un livellamento verso il basso dei diversi modelli sociali.

Se il primo di questi obiettivi è stato raggiunto, lo stesso non si può dire per il secondo. Certo, il Parlamento ha contribuito a modificare ampiamente la linea del testo originale, eliminando il principio del paese d’origine, escludendo i servizi d’interesse generale dal campo di applicazione della direttiva e tutelando il diritto del lavoro.

Permangono tuttavia numerose ombre. Sui servizi di interesse economico generale e sui servizi sociali continua a incombere la minaccia diretta di un inaccettabile dumping sociale. Il vuoto giuridico prodotto dall’eliminazione del principio del paese d’origine fa inoltre prevedere una situazione nuova, in cui saranno i giudici della Corte di giustizia delle Comunità europee a detenere il potere di definire le legislazioni sociali, senza alcuna garanzia né di risultato né di controllo democratico.

Per tali importanti ragioni, pur rallegrandomi per i progressi compiuti su questo dossier, non posso approvare il testo finale presentato al Parlamento.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) La direttiva sui servizi, nella forma in cui è stata adottata oggi, rimane inaccettabile; essa, infatti, è ancora la direttiva originaria, malamente imbellettata.

La stragrande maggioranza delle attività artigianali resta sottoposta alla concorrenza, benché nel mio paese questo settore sia il primo datore di lavoro e la principale fonte di occupazione. Anche se sono scomparsi i riferimenti troppo espliciti al principio del paese d’origine, vi sono ancora dei settori in cui questo principio scandaloso troverà applicazione totale o parziale. Rimangono dubbi, zone d’ombra e incoerenze che daranno alla Corte di giustizia del Lussemburgo il potere di interpretare la direttiva. La Corte di giustizia, però, ha sempre dato ragione a coloro che consideravano determinate norme – soprattutto quelle di carattere sociale – un intollerabile ostacolo alla concorrenza. La Commissione avrà così un pretesto per cercare un’armonizzazione verso il basso nei settori che non sono di sua competenza, come la protezione sociale e il diritto del lavoro.

Mi oppongo quindi alla direttiva Bolkestein, emendata o non emendata; mi oppongo ai principi aberranti che ne sono il fondamento, al dumping sociale e giuridico, alla libera concorrenza portata all’estremo e generatrice di disoccupazione; mi oppongo alle delocalizzazioni annunciate, e a una certa eurocrazia che si rifiuta di tener conto delle opinioni dei popoli, per continuare a imporre loro politiche che essi non desiderano.

 
  
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  Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. (SV) Anche la Lista di giugno ritiene che il mercato interno dei servizi non sia stato completato. Guardiamo quindi con favore alla direttiva sui servizi e crediamo che, indipendentemente dal paese d’origine, le società di servizi non debbano subire discriminazioni in alcun paese dell’Unione europea.

Nel dibattito in corso in merito alla direttiva sui servizi il punto cruciale è appunto quello di decidere se la direttiva si debba ispirare al principio del paese d’origine (articolo 16). La Lista di giugno ritiene ugualmente importanti il mercato interno e l’autodeterminazione nazionale. La domanda fondamentale è perciò la seguente: il principio del paese d’origine comporta vantaggi tali da indurci a rinunciare alla sovranità nazionale? La nostra risposta è “no”.

Il principio del paese d’origine riguarda settori significativi ma estremamente limitati, come l’edilizia, le opere d’installazione e i servizi di consulenza. Siamo favorevoli allo sviluppo della concorrenza nell’ambito di tali settori, ma riteniamo che essa si debba realizzare a condizioni eque per tutte le parti in causa. Crediamo inoltre che le norme svedesi debbano applicarsi sul territorio svedese e sosteniamo quindi il principio del paese di destinazione.

Riteniamo altresì che sia necessario rispettare i monopoli nazionali sui servizi; quanto all’aspetto preciso che tali servizi dovranno assumere, saranno i singoli Stati membri a decidere mediante ampi dibattiti.

Per tutti questi motivi, abbiamo deciso di sostenere il compromesso avanzato dai gruppi PPE-DE e PSE.

 
  
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  Françoise Grossetête (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della proposta emendata. Spero che la votazione sulla direttiva relativa ai servizi serva a dissipare la falsa convinzione secondo cui la Commissione europea avrebbe l’ultima parola su tutto.

Il fatto che un testo venga proposto dalla Commissione non significa che esso si debba applicare tale e quale. A causa di manovre politiche dettate da circostanze elettorali, si è fatto credere ai francesi che così fosse: la cosiddetta direttiva “Bolkestein” è un simbolo di manipolazione popolare. Il Parlamento europeo ha dimostrato oggi che il potere di legiferare appartiene ai rappresentanti dei cittadini.

La proposta della Commissione europea non era di buon livello. Di conseguenza, noi l’abbiamo modificata per trovare un punto di equilibrio tra i vantaggi economici della liberalizzazione dei servizi da un lato, e l’assoluta necessità di evitare qualsiasi forma di dumping sociale dall’altro.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La maggioranza del Parlamento europeo ha approvato il compromesso tra PSE e PPE-DE, che ha cercato di mantenere alcuni aspetti essenziali della proposta di direttiva sulla liberalizzazione dei servizi, anziché respingerla, com’era stato proposto da parte nostra.

Grazie alla ferma denuncia degli aspetti più negativi di questa proposta, nonché alla lotta dei lavoratori che chiedevano la reiezione della direttiva, la maggioranza del Parlamento europeo ha escluso alcuni servizi dal suo campo di applicazione, rinviandoli a una decisione successiva, e con un gioco di prestigio giuridico ha dissimulato la norma sull’applicazione del principio del paese d’origine del fornitore dei servizi.

Anche se non si sono realizzati tutti gli ambiziosi obiettivi dei grandi gruppi economici e finanziari, siamo comunque di fronte a un inasprimento della concorrenza in numerosi settori dei servizi, compresi i servizi pubblici; questo comporterà conseguenze negative per i diritti dei lavoratori e i servizi forniti alla popolazione. Analogamente, con il rafforzamento del ruolo della Corte di giustizia delle Comunità europee, si introdurranno nuove limitazioni alla sovranità degli Stati.

Ma la direttiva sulla liberalizzazione dei servizi non è stata ancora approvata. Il Consiglio – di cui fa parte il governo portoghese – dovrà assumersi le sue responsabilità; da parte nostra continueremo a lottare per ottenere la reiezione di questa proposta di direttiva che – qualora venisse approvata – metterebbe a repentaglio gli interessi dei lavoratori e del nostro paese.

 
  
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  Jacky Henin (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Tutto si riassume in due dati: oggi nell’Unione i servizi rappresentano il 70 per cento del valore aggiunto ma costituiscono appena il 20 per cento degli scambi intracomunitari.

Di conseguenza, non potendo delocalizzare la maggioranza delle aziende fornitrici di servizi, si delocalizzano i salari da fame, e a questo scopo è stata inventata la direttiva Bolkestein. Ecco il suo obiettivo: ridurre i salari al minimo, abbassare i livelli di protezione sociale, limitare i diritti dei consumatori e smantellare i servizi pubblici. Non siamo neanche più all’ultraliberismo, siamo al liberismo totale.

Il compromesso tra PPE-DE e PSE non serve affatto a regolamentare il principio del paese d’origine o a sottrarre i servizi pubblici alla legge inesorabile del mercato; esso si limita a conferire alla Commissione e alla Corte di giustizia il ruolo di arbitro supremo. Se si considera l’orientamento ultraliberistico della Commissione e della Corte di giustizia, ciò equivale a mettere le volpi a guardia del pollaio.

Approvare la direttiva sui servizi significherebbe condannare a morte, in Europa, la protezione dei lavoratori e dei consumatori nonché i servizi pubblici.

I popoli d’Europa non hanno bisogno di una direttiva che metta in concorrenza le scelte di politica sociale e fiscale che essi hanno democraticamente effettuato.

(Testo abbreviato conformemente all’articolo 163, paragrafo 1, del Regolamento)

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Dal pacchetto di compromesso concordato dai gruppi socialista e conservatore scaturisce un risultato poco chiaro. Per esempio, i due gruppi maggiori si sono rifiutati di escludere completamente i servizi sociali dalla portata della direttiva, nonostante le forti preoccupazioni di molti operatori del settore dell’assistenza sociale; in ogni caso sono stati esclusi servizi “come l’edilizia sociale, la cura dei bambini e i servizi alle famiglie”. Quest’elenco incompleto di alcuni servizi sociali produce incertezza giuridica, e impedisce di individuare i servizi sociali che saranno interessati dalla direttiva, a parte i settori della casa, della cura dei bambini e dei servizi alle famiglie.

Il compromesso non garantisce l’esclusione completa di settori essenziali come l’istruzione, l’acqua e la cultura; esso minaccia anzi i diritti dei consumatori, poiché non permette agli Stati membri di imporre requisiti fondati sulla protezione dei consumatori.

Per tali motivi ho votato contro la relazione emendata.

 
  
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  Karin Jöns (PSE), per iscritto. – (DE) I veri obiettivi della proposta di direttiva della Commissione relativa ai servizi erano il dumping sociale e la deregolamentazione. Constato con piacere che il mio gruppo è riuscito a trasformare la direttiva nel suo esatto contrario.

Il principio del paese d’origine è stato abbandonato, per essere sostituito da un accesso al mercato scevro da discriminazioni; si deve quindi applicare il diritto del lavoro del luogo in cui avviene la prestazione di servizi. E’ anche importante che la direttiva sul distacco dei lavoratori continui ad essere applicata senza restrizione alcuna, e che vi sia una deroga per i servizi forniti dalle agenzie di lavoro temporaneo. Adesso sta al Consiglio rinunciare a ostacolare ulteriormente la legislazione europea su questo tema.

Sono lieta che la direttiva non si applichi più ai servizi di interesse generale, ma mi rammarico del fatto che i servizi di interesse economico generale siano comunque soggetti, in una certa misura, alla direttiva. Abbiamo urgentemente bisogno di una direttiva quadro europea che fissi alcune norme in questo importante settore.

Con l’evoluzione del processo legislativo, dovremo rivolgere la nostra attenzione ad alcuni aspetti specifici.

Le libertà fondamentali dei lavoratori, previste dalla “clausola Monti”, dovranno avere la precedenza rispetto alle norme che regolano l’attività economica. I diritti di codecisione e codeterminazione, che hanno la loro base nella legge, non devono essere messi a repentaglio.

Sarà opportuno rivolgere costante attenzione ai motivi imperativi di interesse generale, secondo quanto previsto dall’articolo 4, paragrafo 7 bis, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee.

Gli obblighi aventi base giuridica, formulati nell’interesse dei lavoratori del paese o di quelli stranieri (contributi obbligatori ad associazioni sindacali, fondi per il pagamento delle ferie, eccetera), devono applicarsi a tutti coloro che prestano servizi sia in patria che all’estero.

 
  
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  Timothy Kirkhope (PPE-DE), per iscritto. – (EN) Io e i miei colleghi conservatori britannici siamo da lungo tempo convinti sostenitori delle misure tese a completare il mercato unico nell’Unione europea. La liberalizzazione dei servizi nel mercato interno costituisce un importante progresso verso tale obiettivo, ed offre al settore dei servizi britannico, che può vantare lusinghieri successi, l’opportunità di un brillante futuro.

Anche se oggi abbiamo votato a favore del pacchetto finale, ci rammarichiamo che sia sfumata l’occasione di accordarsi su una direttiva di autentica liberalizzazione; invitiamo perciò il Consiglio e il Primo Ministro britannico ad agire senza indugio per rafforzare la direttiva.

Votare contro questo pacchetto – con tutte le sue carenze – e contribuire così al suo naufragio avrebbe portato acqua al mulino di quei settori della sinistra europea che avversano per motivi ideologici la liberalizzazione, il libero mercato e le riforme economiche. L’economia europea ha urgente bisogno di liberalizzazione, e noi continueremo a batterci per raggiungere tale obiettivo quando il Parlamento riesaminerà la questione in seconda lettura.

 
  
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  Jean Lambert (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ho votato contro questa relazione poiché ritengo che in numerosi settori il risultato finale non garantisca sufficiente chiarezza. Non è chiaro se abbiamo veramente eliminato il cosiddetto principio del paese di origine: non è chiaro, infatti, quale legislazione dovrà essere applicata a un’impresa che intenda fornire servizi transfrontalieri su base temporanea. Non è chiaro neppure dove corra la linea di separazione per i servizi che hanno veste di servizio pubblico, ma sono forniti da operatori privati o subappaltatori. Sono lieta che dalla direttiva sia stata eliminata la mobilità dei pazienti – sarebbe stato meglio non inserirla affatto. In effetti l’ampia proposta della Commissione era mal concepita e peggio elaborata; nella prossima proposta mi attendo emendamenti sostanziali.

 
  
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  Carl Lang (NI), per iscritto. – (FR) Sin dal Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000, in cui la Francia era rappresentata da Jacques Chirac e Lionel Jospin, e che poi è stato messo in secondo piano dai lavori del Consiglio “Mercato interno” e dalle relazioni parlamentari Berger e Harbour, adottate entrambe con il completo sostegno del PPE-DE e del PSE, liberali, conservatori e socialisti europei sono stati gli autentici artefici della cosiddetta direttiva Bolkestein.

In questa vicenda il Consiglio europeo di Lisbona ha svolto unicamente il ruolo di specchio di una classe politica ideologicamente ansiosa di realizzare con la massima rapidità possibile il mercato interno dei servizi.

Il soprassalto di autodifesa sociale con cui i popoli olandese e francese hanno respinto il progetto di Costituzione europea ha fortunatamente arrestato la bomba a orologeria della liberalizzazione selvaggia dei servizi.

La sinistra, intrappolata nella rete dell’europeismo liberale, annaspa oggi in una confusione patetica, soffocata dalle proprie contraddizioni interne.

La versione modificata della direttiva sui servizi, che ci è stata proposta, cambia solamente la forma del testo senza intaccarne la sostanza. Con o senza modifiche la direttiva resta pessima, poiché la strategia per il mercato interno che viene proposta è intrinsecamente nociva.

Alla relazione Gebhardt noi opponiamo dunque un “no” sociale e nazionale.

 
  
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  Jean-Marie Le Pen (NI), per iscritto. – (FR) Il voto del 29 maggio 2005 sulla Costituzione europea è stato un autentico detonatore politico e sociale.

Il vero piano B è stato in effetti il ritiro della direttiva Bolkestein. Senza l’esito negativo dei referendum svoltisi in Francia e nei Paesi Bassi, socialisti e verdi, UMP e UDF – tutti favorevoli alla Costituzione europea e all’intensificazione della concorrenza in Europa – non avrebbero mostrato tanto zelo nel denunciare il principio del paese d’origine e gli attacchi sferrati contro i servizi pubblici commerciali e non commerciali.

Questa messinscena politico-mediatica ha l’unico scopo di far dimenticare i voltafaccia del partito socialista, che con Lionel Jospin aveva contribuito alla liberalizzazione delle Poste, di EDF e di France Télécom. In questa vicenda non possiamo assolvere nessuno: liberali, paleo- o postmarxisti e internazionalisti sono tutti responsabili e tutti colpevoli. Solo la struttura nazionale di cui noi siamo i difensori può proteggerci dalla direttiva Bolkestein, da Mittal Steel o dalle OPA ostili delle multinazionali o dei fondi pensione americani.

L’Europa si lacera a causa della direttiva sui servizi, in attesa che l’accordo generale sul commercio dei servizi in seno all’OMC metta tutti d’accordo in nome della libera concorrenza e della supremazia del mercato.

 
  
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  Fernand Le Rachinel (NI), per iscritto. – (FR) La direttiva sui servizi, la famigerata direttiva Bolkestein, è una macchina per la produzione di disoccupati. In Francia, il referendum sulla Costituzione europea aveva consentito ai francesi di smascherare la sua filosofia ultraliberista e distruttrice d’occupazione. Oggi, però, dopo qualche modifica superficiale, essa rimane sostanzialmente immutata.

Anche se il concetto di paese d’origine è stato cancellato, quello di libertà di prestazione dei servizi non è affatto scomparso. Siamo di fronte a una clamorosa farsa, che serve a realizzare ciò che i liberali, i conservatori e la sinistra – tutti uno più europeista dell’altro – hanno astutamente escogitato insieme ai rispettivi governi nazionali da quasi due anni a questa parte. Che si tratti della direttiva Bolkestein, della direttiva sui servizi o della relazione Gebhardt, tutti questi testi al centro di polemiche e di un compromesso strappato all’ultimo minuto tra i gruppi politici del Parlamento europeo restano gli stessi, e sono da respingere con forza.

Siamo fermamente contrari a questa concezione ultraliberista e antinazionale del mercato interno dei servizi, che in ultima analisi – col pretesto della “concorrenza libera e non falsata” – si pone l’unico obiettivo di distruggere l’artigianato e le piccole imprese della Francia.

 
  
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  Marie-Noëlle Lienemann (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato contro questa relazione che, nonostante contenga qualche miglioramento rispetto al testo dell’ex Commissario Bolkestein, proietta tuttavia sul nostro modello sociale l’ombra di cupe minacce.

Il principio del paese d’origine è stato abbandonato formalmente ma non sostanzialmente. In effetti il vuoto giuridico del testo lo fa rientrare dalla finestra – applicazione di fatto della Convenzione di Roma e del principio di prossimità – e lascia alla Corte di giustizia il compito di occuparsi di arbitrati che poi il legislatore dovrà recepire, applicando il principio del paese di destinazione. I servizi d’interesse economico generale rimangono nella portata della direttiva, fatto questo che mette a repentaglio servizi pubblici che in Europa sono già alquanto malridotti. Le votazioni hanno confermato un indirizzo ultraliberista.

Gli Stati sono privi degli strumenti per regolamentare alcune professioni e controllare efficacemente l’applicazione di direttive come quella sul distacco dei lavoratori – fragile diga contro il dumping sociale.

L’Unione europea ha bisogno di un progetto alternativo che includa l’armonizzazione verso l’alto delle norme sociali, ambientali e di protezione dei consumatori, ed escluda invece i servizi pubblici, che hanno bisogno di una direttiva quadro di tutela.

 
  
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  Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho fatto sapere, a chi voleva capire, che sono favorevole a un compromesso, ma non sono affatto disposta ad essere presa per stupida.

Sostengo il principio del paese d’origine. I negoziatori del mio gruppo mi hanno garantito che il nuovo testo – secondo il quale gli Stati membri devono rispettare il diritto dei fornitori di servizi di offrire un servizio in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno la sede – equivale esattamente a tale principio. In tal caso, posso votare a favore del compromesso. I negoziatori del PSE, tuttavia, si vantano pubblicamente di essere riusciti a far piazza pulita di questo principio, in cui essi – sbagliando – scorgono la causa di tutti i mali dell’economia e della società.

L’eliminazione del principio del paese d’origine dall’articolo 16 getterà i fornitori di servizi in una situazione di incertezza giuridica, poiché essi saranno costretti a improvvisare sotto il controllo della Corte di giustizia.

D’altra parte, le clausole di salvaguardia del paragrafo 3 vanno al di là della giurisprudenza, e danno l’impressione che sia possibile esigere l’applicazione della legge del paese di destinazione in base a una semplice “necessità”, senza svolgere test di proporzionalità e non discriminazione. In tal modo, queste disposizioni essenziali diventano così vaghe da indurmi a non sostenere alcuna parte del testo di compromesso concernente l’articolo 16.

(Testo abbreviato conformemente all’articolo 163, paragrafo 1, del Regolamento)

 
  
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  Cecilia Malmström (ALDE), per iscritto. – (SV) Data la rilevanza del settore dei servizi, avrei auspicato che si compissero progressi più rilevanti in questo importante mercato. Purtroppo, il voto odierno rappresenta soltanto un modesto passo avanti, cosa di cui mi rammarico. Questa diabolica alleanza tra conservatori e socialdemocratici spiana la strada al protezionismo e alle controversie giudiziarie e limiterà il mercato dei servizi. Una simile evoluzione porterebbe alla sconfitta dei lavoratori e dei consumatori europei. Purtroppo, con il nostro comportamento diciamo ai nuovi Stati membri che sussiste un divario tra “noi” e “loro”. Con notevole esitazione ho votato a favore della proposta, che costituisce tuttavia un modesto passo avanti per il mercato dei servizi.

 
  
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  Toine Manders (ALDE), per iscritto. – (NL) La versione della direttiva che è stata approvata da questa Assemblea obbliga gli Stati membri a rimuovere tutti gli ostacoli che continuano a frapporsi alla libera circolazione dei servizi. Questo favorisce il progresso, soprattutto per le PMI, ed ho quindi votato a favore del compromesso.

Il mantenimento del principio del paese d’origine implica che questo non scompare dal Trattato, a meno di negare la continua esistenza del mercato interno. Sono certo che la Commissione e il Consiglio risponderanno con una proposta migliore.

Sono favorevole a una maggiore liberalizzazione del mercato dei servizi, e sono quindi deluso dalla posizione assunta dai socialisti e dai democratici-cristiani; soltanto i liberali, fin dall’inizio, hanno inviato un chiaro messaggio, sostenendo il libero funzionamento del mercato in Europa e una maggiore liberalizzazione del mercato interno. Sia i socialisti che i democratici-cristiani hanno tradito la causa pur di restare in buoni rapporti con i sindacati, a spese dei consumatori. Un simile protezionismo mette a rischio il futuro dei nostri figli.

 
  
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  Jean-Claude Martinez (NI), per iscritto. – (FR) Da cinquant’anni a questa parte tra le quattro libertà fondamentali del mercato comune figura la libertà di offrire servizi transfrontalieri. A conferma di ciò, la Corte di giustizia ha riconosciuto il principio del paese d’origine. Per i ciechi, l’accordo generale sul commercio dei servizi, firmato a Marrakech nell’aprile 1994, ha definito a livello mondiale un “quarto modo” per le forniture dei servizi, sotto forma di prestazione transfrontaliera di servizi, ossia un passaggio temporaneo alle condizioni sociali di dumping del paese d’origine.

I leader europei fingono oggi di scoprire questo antico principio, ma il principio del paese d’origine devasta ormai da decenni le economie europee. Se vogliamo conservare il modello sociale europeo di stampo francese con le sue pensioni, l’assistenza sanitaria, le scuole gratuite, gli uffici postali, i treni, gli ospedali, allora è necessario respingere non soltanto l’idea che i lavoratori debbano ricevere il salario più basso pagato nei paesi socialmente più arretrati, ma anche il concetto di un mercato privo di protezione doganale, che è poi la vera causa del dumping sociale di cui il principio del paese d’origine non è che un sintomo. Il punto di partenza del cancro sociale, la prima cellula impazzita, è l’idea del mercato unico senza le barriere rappresentate dai diritti doganali; la norma del paese d’origine è unicamente la metastasi.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Mi rallegro per il risultato di questa storica votazione sul mercato interno nel settore dei servizi, che dimostra la capacità del Parlamento europeo di gestire una legislazione complessa, apportando miglioramenti essenziali che recepiscono gli elementi che più stanno a cuore ai nostri cittadini: in questo caso si tratta di garantire che una legislazione ambiziosa e lungimirante non incida sui diritti dei consumatori e dei lavoratori.

Votando a favore della direttiva sui servizi modificata ho sostenuto misure che individuano un punto di equilibrio tra l’apertura del mercato unico da un lato, e la salvaguardia dei diritti sociali dei lavoratori e dei nostri servizi pubblici vitali dall’altro.

L’apertura del mercato nel settore dei servizi non serve solo a favorire le grandi imprese, ma anche a creare occupazione, diffondendo tra consumatori e produttori potenziali benefici economici del valore di circa 30 miliardi di euro. Questa legislazione darà a piccole e medie imprese l’occasione di fornire servizi transfrontalieri; in tal modo, esse potranno finalmente sfruttare l’integrazione regionale davvero unica che viene offerta da un’Unione a 25 Stati, senza sobbarcarsi costosi procedimenti giudiziari in tribunale.

Di fronte alle sfide che ci vengono lanciate dai fiorenti mercati dei servizi di paesi terzi come l’India e la Cina, l’Europa non poteva lasciarsi sfuggire quest’occasione per migliorare i margini competitivi in un settore dalla crescita così dinamica.

 
  
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  Arlene McCarthy (PSE), per iscritto. – (EN) Come presidente della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, sono felice per lo storico voto odierno, che segna l’apertura del mercato dei servizi in tutta Europa. Abbiamo in tal modo completato l’ardua e complessa costruzione del mercato interno. Per troppo tempo una soffocante burocrazia ha impedito alle piccole e medie imprese di svolgere la propria attività negli altri Stati membri dell’Unione europea. Se consideriamo che presso la Corte di giustizia delle Comunità europee sono in discussione più di 53 casi di imprese che reclamano – in base al Trattato – il diritto di fornire servizi in tutta Europa, è chiaro che è giunto il momento di stabilire le norme per il funzionamento del mercato dei servizi. Il Parlamento ha tenuto conto delle preoccupazioni e dei timori espressi dai cittadini, ed ha impedito che la libertà di fornire servizi si trasformasse in libertà di attaccare le condizioni occupazionali dei cittadini e i loro diritti di consumatori. Vogliamo eliminare il protezionismo, ma proteggere i lavoratori e i consumatori. Siamo lieti di aver votato e sostenuto questo compromesso, che ha realizzato un importantissimo equilibrio di interessi a favore dei cittadini di tutta l’Unione europea.

 
  
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  Kartika Tamara Liotard e Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto. – (NL) L’ex Commissario Bolkestein riteneva che le buone leggi e gli efficaci accordi salariali collettivi riscontrabili in molti Stati membri dell’Unione europea sarebbero stati in costante concorrenza con le deficitarie normative che prevalgono in altri. L’obiettivo era di trasformare le differenze in un fattore di concorrenza, nella convinzione che il peggiore avrebbe avuto la meglio. Questo approccio di neoliberismo estremo mirava a distruggere tutto ciò per cui il movimento sindacale ha combattuto e ciò che esso ha conquistato nel corso di un secolo.

Grazie all’azione di massa dei sindacati e di altre organizzazioni, la versione originaria della direttiva non vedrà la luce, lasciando il posto a un vago compromesso tra i due maggiori gruppi del nostro Parlamento. Se si vuole evitare che l’Assemblea raggiunga decisioni prive di ambiguità, si dovranno attribuire competenze significative alla Corte di giustizia, che potrebbe benissimo optare a favore del controverso principio del paese d’origine. Quelli di noi che fanno parte del partito socialista olandese non hanno avuto parte alcuna in questo compromesso. Voteremo per respingerlo ma, finché la direttiva non entrerà in vigore, sosterremo tutti gli emendamenti che verranno avanzati e che il movimento sindacale considererà idonei a migliorare la direttiva. Nel frattempo, la lotta continua; insieme al movimento sindacale, ci opporremo a qualsiasi tentativo del padronato di assumere personale a salari più bassi.

 
  
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  Claude Moraes (PSE), per iscritto. – (EN) I deputati laburisti al Parlamento europeo hanno votato a favore della direttiva sui servizi modificata, per eliminare il protezionismo ma al tempo stesso garantire la tutela dei lavoratori e dell’occupazione.

Il compromesso che stiamo esaminando è stato discusso a fondo, così da assicurare l’esito più favorevole per i lavoratori e le imprese del Regno Unito.

I mercati del Regno Unito sono già liberalizzati per gli altri paesi dell’Unione europea. Dobbiamo far sì che le imprese – tra cui quelle che operano a Londra, nella mia circoscrizione elettorale – possano competere in condizioni di equità nel resto del territorio del Regno Unito.

I deputati laburisti al Parlamento europeo hanno svolto un duro lavoro per garantire che le preoccupazioni dei sindacati britannici in materia di norme e condizioni di lavoro venissero prese in seria e completa considerazione.

 
  
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  Tobias Pflüger (GUE/NGL), per iscritto. – (DE) Il nostro obiettivo rimane quello di cancellare la direttiva sui servizi. Oggi il Parlamento europeo ha approvato, con 395 voti contro 215, un “compromesso” messo insieme alla bell’e meglio da socialdemocratici e conservatori. A tutte le inopportune concessioni che i socialdemocratici avevano già fatto ai conservatori, se n’è aggiunta un’altra poco prima della conclusione; in tal modo la politica sociale e la protezione dei consumatori non sono state escluse dal campo d’applicazione della direttiva, dopo che, in precedenza, i servizi d’interesse economico generale erano già stati sottoposti alla liberalizzazione dei servizi. Questo è del tutto inaccettabile.

Il testo approvato oggi ha finito per essere non solo un lasciapassare per il dumping sociale in Europa, ma anche uno schiaffo per i sindacati, i difensori della giustizia sociale e tutti coloro che, negli ultimi mesi, settimane e giorni sono scesi in piazza contro la direttiva Bolkestein. E’ particolarmente vergognoso il comportamento dei socialdemocratici tedeschi che, a differenza dei loro colleghi francesi, hanno mantenuto nei confronti della direttiva Bolkestein una fedeltà incrollabile, consegnando al boia la loro stessa base sociale.

La lotta contro la direttiva per il dumping sociale in Europa è però appena all’inizio. Nei prossimi mesi dobbiamo intensificare in Europa la mobilitazione contro i piani della Commissione, dei governi e della Grande coalizione antisociale.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Stabilendo che un fornitore di servizi è libero di offrire i propri servizi in qualunque altro Stato membro, senza che sia lecito opporgli ostacoli inusitati, si difendono gli interessi dei consumatori, dei lavoratori, dei fornitori di servizi; in ultima analisi, si difende l’interesse dell’Europa.

Il mercato dei servizi detiene il maggior potenziale di crescita e sviluppo dell’economia europea, e noi ci poniamo l’obiettivo di promuovere riforme che stimolino l’economia, difendendo i diritti dei lavoratori, dei consumatori e degli imprenditori, in particolare le piccole e medie imprese, tradizionalmente più vulnerabili alle barriere amministrative, politiche ed economiche.

Ho approvato questa relazione in quanto sono favorevole a un’autentica libertà di stabilimento e di prestazione di servizi nell’Unione europea. Se è possibile acquistare liberamente beni e servizi in un altro Stato membro, non è neppure giustificabile impedire al fornitore di servizi di spostarsi, purché sia rispettato un insieme di principi – soprattutto di natura pubblica e sociale – che la versione oggi approvata in effetti salvaguarda.

Nonostante il compromesso – comunque necessario in un gruppo politico con le responsabilità del PPE-DE – siamo di fronte a un risultato equilibrato, e soprattutto al chiaro segnale che la maggioranza del Parlamento europeo desidera un’economia che garantisca più occupazione e sia più efficiente, giusta e competitiva.

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Con il suo voto odierno sulla cosiddetta direttiva Bolkestein, il Parlamento europeo ha certamente scritto una pagina importante nella storia della democrazia parlamentare europea.

Conciliando l’inconciliabile – la posizione della Francia e quella della Polonia, quella della CES e quella dell’UNICE, quella dei socialisti progressisti e quella dei liberali non dogmatici – questo voto rappresenta un passo avanti verso un’Europa della cittadinanza. Un’Unione europea che non transige sul tema del dumping sociale, ma non trascura neppure l’eliminazione delle barriere protezionistiche alla libera prestazione dei servizi e alla libertà di stabilimento.

Sì, da questa votazione il nostro Parlamento esce più grande e più forte. Esso non ha soltanto svolto in pieno il proprio ruolo di legislatore – ad esempio eliminando il principio del paese d’origine – ma ha anche saputo evitare la trappola tesa da una coalizione di euroscettici e di pavidi oppositori per principio che, colpiti da amnesia, sembrano aver dimenticato che il 1° giugno 2004 abbiamo celebrato la riconciliazione europea.

Privilegiando la politica della mano tesa verso i nostri amici dei dieci nuovi Stati membri noi abbiamo fatto cadere un nuovo muro di Berlino; si trattava questa volta di un muro che ingombrava la nostra mente, e spero che sia stato demolito una volta per tutte!

 
  
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  José Albino Silva Peneda (PPE-DE), per iscritto. (PT) La proposta di direttiva sulla liberalizzazione dei servizi concretizza un’aspirazione che risale a circa cinquant’anni fa, dal momento che la libertà di prestazione dei servizi è un elemento essenziale del progetto europeo fin dagli esordi dell’Unione.

La soluzione adottata è una vittoria della democrazia europea, e risolve una situazione di stallo che ancora poco tempo fa sembrava insuperabile. Senza quest’accordo ci troveremmo in una situazione in cui, nei prossimi anni, nessuno oserebbe affrontare l’argomento, con i danni che ne deriverebbero per la crescita dell’economia e la creazione di occupazione.

Il solo fatto di aver eliminato un groviglio di barriere amministrative e burocratiche che impedivano la libera circolazione di persone e imprese prestatrici di servizi giustifica l’approvazione di questa direttiva.

Le piccole e medie imprese ne saranno le principali beneficiarie, poiché si dissiperà quel sentimento di frustrazione che si impadroniva di loro quando cercavano di esercitare la loro attività in un paese vicino. Prima occorreva avere la residenza nel paese di destinazione, oppure tenervi aperti un ufficio o una filiale, o registrarsi preventivamente presso qualche autorità amministrativa, o ancora dimostrare di conoscere la lingua del paese, e così via. Ora, con questa direttiva, tali difficoltà non si presenteranno più.

 
  
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  Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. (NL) Chiunque abbia seguito da vicino il dibattito sulla direttiva sui servizi noterà con sorpresa che il compromesso tra conservatori e socialdemocratici è stato interpretato in diversi modi. Un gruppo della destra difende il compromesso perché “non influisce sul principio del paese d’origine”, mentre la sinistra lo ritiene un “definitivo allontanamento da quello stesso principio del paese d’origine”.

Disponiamo quindi di due opinioni assolutamente divergenti; per di più, questo compromesso non chiarisce in che misura gli Stati membri possano imporre criteri inequivocabili per la fornitura di alcuni servizi sul proprio territorio, per scongiurare il dumping sociale.

Inoltre, il gruppo PPE-DE e il gruppo PSE hanno cancellato ogni riferimento alla politica sociale e alla protezione dei consumatori.

Benché, grazie all’azione del Parlamento, siano previste deroghe per numerosi servizi, la direttiva continua ad essere applicata a un’ampia serie di servizi di interesse economico generale.

Dal momento che questa versione rimaneggiata della direttiva Bolkestein contiene comunque molte ambiguità giuridiche, essa darà luogo, ancora una volta, a numerose azioni legali per cui sarà competente la Corte di giustizia delle Comunità europee. La nuova versione della direttiva, infatti, non garantisce affatto la trasparenza e la certezza giuridica che sarebbero necessarie.

Il gruppo Verde ritiene essenziale che i servizi di interesse economico generale siano esclusi dal documento finale, e che il principio del paese d’origine venga cancellato. Poiché le nostre richieste non sono state soddisfatte, ho deciso di esprimere voto contrario.

 
  
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  Georgios Toussas (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) I parlamentari europei del partito comunista greco hanno votato contro la direttiva sui servizi nel mercato interno, nota come direttiva Bolkestein.

Condanniamo lo sciagurato accordo raggiunto dal gruppo PPE-DE e dal gruppo PSE, con il sostegno del gruppo ALDE, e sfociato, su richiesta dell’UNICE, in un voto favorevole alla fallita direttiva sulla “liberalizzazione dei servizi”.

Gli emendamenti che il PPE, il PSE e i liberali hanno proposto e sostenuto con il loro voto hanno rafforzato il carattere reazionario della direttiva, dal momento che:

a) aumentano la possibilità, per i gruppi monopolistici che operano nel settore dei servizi, di agire senza dover rendere conto a nessuno: essi infatti possono scegliere, come propria sede, paesi dotati di “un ambiente favorevole per le imprese”, che offrano benefici fiscali, bassi standard di servizi, manodopera a basso prezzo e priva di diritti, assenza di contratti collettivi e così via, garantendo massimi profitti;

b) sferrano un duro colpo ai servizi pubblici/sociali (istruzione, gestione delle acque e dei rifiuti, stoccaggio di materiale pericoloso, servizi postali, servizi culturali, servizi di assistenza sociale e così via) che vengono privatizzati e sottoposti al controllo dei monopoli;

c) mettono a repentaglio i diritti fondamentali – sociali e occupazionali – della classe lavoratrice: contratti collettivi, diritti pensionistici e assicurativi, nonché il sacro diritto di sciopero, conquistati dai lavoratori con una dura lotta di classe;

d) cedono la facoltà di acquistare servizi al capitale monopolistico, con conseguenze disastrose per le piccole imprese e i lavoratori autonomi, lasciando la definizione della qualità e dei prezzi dei servizi all’insaziabile ingordigia di profitto che contraddistingue il capitale.

 
  
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  Diana Wallis (ALDE), per iscritto. – (EN) Ho votato contro l’inclusione nella direttiva sui servizi di un nuovo considerando 13 b, perché affermare che i consumatori beneficeranno sempre della protezione loro garantita dalla legislazione sui consumatori vigente nel loro Stato membro è fuorviante, e non descrive correttamente l’effettiva posizione giuridica.

 
  
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  Anders Wijkman (PPE-DE), per iscritto. – (SV) Oggi il Parlamento europeo ha votato su uno dei più importanti provvedimenti legislativi di cui ci siamo mai occupati: la direttiva sui servizi. Essa mira ad eliminare gli ostacoli che si frappongono a due delle libertà che fanno parte del Trattato dell’Unione europea fin dal 1958: la libertà di stabilimento per i prestatori di servizi, e la libertà di circolazione dei servizi. Il potenziale che si apre al commercio dei servizi è immenso, e la Svezia è uno dei paesi che possono trarre i maggiori vantaggi da un efficiente mercato dei servizi.

Il dibattito concernente la direttiva sui servizi ha assunto dimensioni di ampio respiro. I sindacati svedesi ed europei affermano che la direttiva incoraggia il dumping sociale; non è esatto, poiché la direttiva non si occupa di problemi inerenti il diritto del lavoro. Questi ultimi, comunque, sono stati chiariti dalla decisione del Parlamento.

Auspico una direttiva sui servizi costruttiva che elimini norme amministrative e altre barriere al commercio; auspico inoltre che la portata della direttiva sia la più ampia possibile. Di conseguenza, ho votato per includere nella direttiva settori come l’assistenza sanitaria privata, le agenzie di lavoro temporaneo e i servizi di interesse economico generale.

L’odierna decisione del Parlamento si basa in parte su un ampio compromesso. I compromessi raramente sono perfetti, ma spesso si dimostrano necessari, se si desidera raggiungere l’obiettivo in questione. Mi auguro che gli Stati membri dell’Unione europea riescano a prendere una decisione in materia nel corso di quest’anno, per compiere progressi su questo importantissimo problema.

 
  
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  Tatjana Ždanoka (Verts/ALE), per iscritto. – (LV) Ho votato contro gli emendamenti alla direttiva sui servizi che cercavano di fare marcia indietro sull’introduzione del principio del paese d’origine. Contemporaneamente sostengo gli emendamenti che sottolineano la necessità di non consentire un peggioramento della qualità dei servizi, di garantire la tutela degli interessi dei consumatori e di tener presenti le esigenze della sicurezza e della sanità. A mio avviso, la rinuncia al principio del paese d’origine inciderà notevolmente sulla libera circolazione dei servizi nell’Unione europea, limitando, per le aziende dei nuovi Stati membri, la possibilità di competere liberamente nel settore dei servizi dell’UE. Imporre requisiti ingiustificati a un fornitore di servizi avente sede in uno Stato membro dell’Unione e creare situazioni di disuguaglianza non è compatibile con i principi del mercato interno dell’Unione europea, ed è quindi inammissibile.

I cittadini della Lettonia, come quelli degli altri nuovi Stati membri, ritengono che un provvedimento volto praticamente a escludere le nostre aziende e i nostri lavoratori dal settore dei servizi dei vecchi Stati membri equivalga a un inganno, e alla rottura delle promesse che l’Unione europea aveva fatto ai nuovi Stati membri nel corso del processo di adesione. Il popolo lettone ha pagato un prezzo troppo alto per l’adesione all’UE; aprendo completamente il proprio mercato interno ai produttori occidentali la Lettonia ha distrutto la propria industria e la propria agricoltura.

Ritengo necessario accordarci su una direttiva fondata sulla solidarietà tra vecchi e nuovi Stati membri, nonché sul principio della parità di diritti.

 
  
  

– Relazione McGuinness (A6-0023/2006)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’ottima relazione della collega, onorevole McGuinness, concernente la proposta di decisione del Consiglio relativa a orientamenti strategici comunitari per lo sviluppo rurale (periodo di programmazione 2007-2013). Nel quadro della riforma della politica agricola comune, lo sviluppo rurale assume un’importanza determinante per il 90 per cento del territorio dell’Unione europea e per il 50 per cento della sua popolazione. Questi orientamenti sono sostanzialmente validi, e mi rallegro che il Parlamento stia progressivamente riconoscendo che le zone montane devono costituire uno spazio d’intervento privilegiato.

Sarà opportuno vigilare attentamente sulle risorse, specialmente finanziarie, che verranno impiegate. Mi rammarico che non sia stata ribadita adeguatamente la necessità di garantire ai territori rurali pari opportunità nel contesto dell’attuale concorrenza economica e sociale; in particolare, occorre realizzare una politica di grandi opere connesse a infrastrutture come le autostrade, il trasporto ferroviario a grande velocità, la rete del trasporto aereo e l’accesso ai porti, nonché sviluppare le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. L’Unione europea deve farsi garante delle pari opportunità per cittadini e imprese, in qualunque parte del territorio europeo si trovino.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Abbiamo votato a favore di questa relazione in quanto giudichiamo complessivamente positivo il suo indirizzo, anche se dissentiamo su alcuni aspetti particolari.

Nell’insieme essa cerca di fornire risposte ai problemi più sentiti nel mondo rurale: si ribadisce, in particolare, che le zone rurali si trovano in una situazione di svantaggio che richiede un’attenzione particolare, soprattutto considerando la grande diversità di situazioni e le specificità predominanti in ogni Stato membro.

Meritano quindi attenzione particolare le zone rurali più remote, le zone montane e quelle svantaggiate, afflitte da problemi di spopolamento e declino, ma anche le zone periurbane, soggette alla crescente pressione dei centri urbani. Sottolineo inoltre l’inclusione di proposte miranti a incentivare le iniziative esistenti a livello locale: ad esempio, i mercati agricoli e i programmi per l’approvvigionamento di prodotti alimentari locali di qualità, nonché la necessità di garantire un concreto sostegno ai giovani agricoltori, per consentire il ricambio generazionale.

Occorre riservare un trattamento specifico alle regioni ultraperiferiche, dove le aziende agricole si caratterizzano per l’isolamento, le ridotte dimensioni e la scarsa diversificazione produttiva, oltre che per le avverse condizioni climatiche.

 
  
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  Duarte Freitas (PPE-DE), per iscritto. (PT) Gli orientamenti strategici comunitari per lo sviluppo rurale serviranno da base per i futuri programmi nazionali di sviluppo rurale, armonizzando gli obiettivi e le misure da applicare nell’ambito di questo settore così importante in Europa.

Appare estremamente importante una completa e rigorosa definizione delle strategie che punti a intensificare lo sviluppo delle aree rurali europee e a migliorare l’ambiente rurale e le condizioni di vita delle sue popolazioni.

Giudico assai positiva la proposta della Commissione europea, che offre un ventaglio adeguatamente diversificato di obiettivi e misure; apprezzo pure la relazione dell’onorevole McGuinness, che affina e precisa gli orientamenti strategici in vari settori specifici, come la protezione del patrimonio culturale rurale e la conservazione del paesaggio rurale.

 
  
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  Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) Dopo il dibattito sugli orientamenti strategici per lo sviluppo rurale, svoltosi in base alla procedura di conciliazione, la commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento europeo ha presentato molte proposte degne di elogio. Il Parlamento europeo cerca però costantemente di esercitare un controllo più pesante sulle politiche agricole e regionali degli Stati membri: è una tendenza che ci trova ostili.

In materia di sviluppo rurale non riteniamo che gli Stati membri possano rimanere vincolati da ponderosi documenti di definizione degli obiettivi; siamo certi che i parlamenti nazionali e regionali sono in grado di affrontare questo problema in maniera positiva e costruttiva.

Abbiamo quindi votato contro gli emendamenti che il Parlamento europeo desidera apportare alla proposta di decisione del Consiglio relativa agli orientamenti strategici per lo sviluppo rurale.

 
  
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  Sérgio Marques (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Nell’ambito del nuovo regolamento sullo sviluppo rurale è prevista l’adozione di orientamenti strategici comunitari per il prossimo periodo finanziario 2007-2013. Va sottolineata l’importanza della politica di sviluppo rurale, considerando che le zone rurali costituiscono il 90 per cento del territorio dell’Unione europea, e ospitano il 50 per cento della sua popolazione.

Questi orientamenti strategici tendono a individuare i settori in cui il finanziamento comunitario può produrre il massimo valore aggiunto a livello di Unione europea, concretizzare sul piano dello sviluppo rurale le principali priorità dell’Unione, assicurare la coerenza della programmazione con le altre politiche dell’UE, e infine sostenere l’applicazione della nuova PAC, nonché le necessarie ristrutturazioni nei nuovi come nei vecchi Stati membri.

Mi unisco alla relatrice nel sostenere questa proposta di decisione, che risponde all’esigenza di offrire agli Stati membri un orientamento più chiaro sull’applicazione del regolamento. Tuttavia, occorre anche sottolineare con forza la necessità di modernizzare i settori agricolo e silvicolo, nonché di incoraggiare i giovani agricoltori e le loro famiglie a non abbandonare le zone rurali.

 
  
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  Jean-Claude Martinez (NI), per iscritto. – (FR) Può esserci uno sviluppo rurale senza popolazioni rurali? Come possono sopravvivere i villaggi e i paesaggi delle regioni viticole del Mezzogiorno francese, se si distruggono i vigneti, se si chiudono le cantine dei privati e delle cooperative, se le fattorie dei viticoltori sono inghiottite dalle lottizzazioni?

Lo sviluppo rurale del Périgord, del sudovest, delle Cevenne, dei Causses, esige forse la scomparsa delle greggi di pecore, dei pastori e degli allevatori, per sostituirli con folle di pensionati inglesi, olandesi e dell’Europa settentrionale?

Lo sviluppo rurale nel secondo pilastro non è che una cortina fumogena. E’ un termine elegante per indicare la scomparsa delle nostre produzioni agricole a vantaggio dei produttori brasiliani, australiani o del Pacifico meridionale; come premio di consolazione, i superstiti della popolazione contadina francese ed europea si vedranno assegnare una modesta funzione di decorazione del paesaggio.

Sviluppo rurale è un termine ipocrita come “agricoltura multifunzionale”; è un analgesico, un palliativo somministrato alle donne e agli uomini delle campagne che vengono sacrificati, coscientemente ed ignominiosamente, al grande “deal planetario”. Al Pacifico meridionale l’agricoltura, all’Europa l’illusione del mercato dei servizi.

Dopo aver stoltamente venduto i propri contadini, l’Europa inventa ora una farisaica politica di “sviluppo rurale” nel deserto economico e umano cui Bruxelles ha ridotto le nostre campagne.

 
  
  

Nuovi meccanismi di finanziamento dello sviluppo nel quadro degli Obiettivi di sviluppo del Millennio (RC-B6-0119/2006)

 
  
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  Marie-Arlette Carlotti (PSE), per iscritto. – (FR) In questo campo l’Unione europea ha una responsabilità e un’opportunità uniche. Solo l’UE, infatti, risponde alle due condizioni necessarie per mettere in funzione questi nuovi meccanismi: dimensioni critiche e volontà politica. Il testo che ci viene presentato purtroppo non è all’altezza delle aspettative.

Senza dubbio questa risoluzione offre un sostegno di principio alle nuove fonti di finanziamento dello sviluppo: essa infatti insiste affinché tali fondi si aggiungano agli aiuti pubblici tradizionali e non li sostituiscano. Questa posizione del Parlamento è peraltro assai poco ambiziosa.

Il sostegno è infatti espresso a fior di labbra, mentre viene ignorato il concetto centrale del dibattito, ossia la proposta di una “imposta mondiale” per finanziare lo sviluppo. I vari progetti oggi in discussione (tassazione delle transazioni finanziarie, delle emissioni di CO2, delle vendite di armi) non vengono ricordati. Non c’è alcun riferimento ai “beni pubblici mondiali” che questi meccanismi dovrebbero finanziare in maniera prioritaria.

Voterò per questa proposta di risoluzione, poiché la considero un primo passo nella giusta direzione; ma voglio considerarla un incoraggiamento a compiere ulteriori e più rapidi progressi verso la concreta realizzazione su scala europea di questi nuovi strumenti.

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. (EN) Apprezzo vivamente questo dibattito e questa risoluzione che prendono in esame modalità innovative per finanziare la realizzazione degli Obiettivi di sviluppo del Millennio: una tassa sui trasporti aerei oppure una specie di tassa Tobin sulle transazioni valutarie. Da quasi dieci anni sostengo attivamente quest’ultima soluzione, e posso constatare con soddisfazione che Francia e Belgio hanno approvato leggi in merito: analoghi provvedimenti sono in esame in Italia, e l’anno scorso ho sostenuto un’audizione in materia presso le commissioni affari esteri e finanze e tesoro del Senato italiano.

Qualunque sia il metodo usato per raccoglierli, tali fondi vanno rigorosamente convogliati a favore di coloro che vivono in condizioni di povertà estrema – quel miliardo e 200 milioni di persone che dispongono di meno di un euro al giorno – per aiutarli a soddisfare i bisogni fondamentali in fatto di casa, istruzione, risorse idriche e assistenza sanitaria.

Accolgo con particolare favore il paragrafo 7, che contribuirà all’opera della campagna per lo sradicamento della povertà, condotta da David Hillman e dalla Tobin tax network.

 
  
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  Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La lotta contro la povertà è una delle grandi sfide in cui tutti i paesi devono impegnarsi. La Lista di giugno ritiene però che quest’opera si debba finanziare attingendo ai bilanci nazionali dei singoli paesi; né gli aiuti internazionali, né altri pur lodevoli progetti devono in alcun modo condurre alla sostituzione delle leggi fiscali nazionali con una legge fiscale dell’Unione europea. Voteremo quindi contro questa risoluzione.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Benché questa proposta di risoluzione comprenda alcuni aspetti su cui nutriamo forti perplessità, abbiamo comunque deciso di sostenerla, interpretandola nel senso più positivo.

Non basteranno certo misure dalla portata limitata e incerta a realizzare gli Obiettivi del Millennio: sradicamento della povertà estrema e della fame, estensione generalizzata dell’istruzione primaria, promozione della parità di genere e dell’autonomia della donna, riduzione della mortalità infantile, miglioramento della salute materna, lotta contro l’HIV/AIDS, la malaria e altre malattie, garanzia della sostenibilità ambientale e istituzione di un partenariato globale per lo sviluppo.

Per realizzare questi sacrosanti e urgenti obiettivi è necessario modificare profondamente le politiche attualmente promosse dalle principali potenze capitalistiche e dagli organismi che esse egemonizzano a livello mondiale, come la Banca mondiale o il Fondo monetario internazionale; è necessario dire basta alla concorrenza capitalistica, alla liberalizzazione del commercio, alle privatizzazioni, agli attacchi contro i diritti e i salari dei lavoratori, al controllo delle politiche degli Stati da parte dei grandi gruppi economici e finanziari, e infine alla concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi – a prezzo dello sfruttamento e dell’oppressione dei popoli.

Per conseguire questi obiettivi è necessario, in ultima analisi, rovesciare un sistema – quello capitalistico – che genera sfruttamento, disuguaglianza, povertà, violenza ed oppressione.

 
  
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  Claude Moraes (PSE), per iscritto. (EN) Sono tra i firmatari di questa proposta di risoluzione, che a mio avviso definisce in ambito UE un valido meccanismo funzionale per la realizzazione degli obiettivi di sviluppo internazionale, nel quadro degli Obiettivi di sviluppo del Millennio. La realizzazione di tali obiettivi riveste grande importanza per molti elettori della mia circoscrizione londinese.

 
  
  

– Diritto alla libertà di espressione e rispetto delle fedi religiose (RC-B6-0136/2006)

 
  
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  Marcin Libicki (UEN).(PL) Signor Presidente, desidero intervenire sulla risoluzione concernente la libertà di espressione. Non mi è stato possibile sostenerla poiché coloro che, all’inizio, avevano offeso i sentimenti altrui si sono comportati con arroganza. Quando hanno dovuto affrontare la minaccia di un boicottaggio commerciale hanno cominciato a offrire le proprie scuse, commettendo così un atto di vigliaccheria. Il testo non stigmatizza né tale arroganza, né tale vigliaccheria, e proprio per questo non ho potuto sostenere la risoluzione.

(Applausi)

 
  
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  Francesco Enrico Speroni (IND/DEM). – Signor Presidente, non ho votato questa risoluzione in quanto la considero estremamente debole.

In particolare, desidero sottolineare che le reazioni alle vignette, che siano state offensive o meno – cosa che spetterà ai tribunali decidere – non sono partite solo dalla feccia, come è avvenuto nel caso dei disastri nelle periferie francesi.

In questo caso vi sono state reazioni ufficiali, quali il ritiro di ambasciatori e il boicottaggio ufficializzato dei prodotti danesi, che sono prodotti europei. Questo dimostra, come ha già sottolineato più volte anche la scrittrice Oriana Fallaci, che non esiste un Islam tollerante, perché un Islam tollerante avrebbe riso delle vignette e le avrebbe ignorate, ma non avrebbe certo reagito in questo modo.

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) A mio avviso le limitazioni della libertà di espressione sono necessarie solo in rarissime occasioni. Naturalmente dev’essere illegale gridare “Al fuoco!” in un cinema, oppure incitare direttamente all’odio razziale. In tal senso mi risulta difficile comprendere come Nick Griffin – leader di una formazione neofascista, il British Nationalist Party – sia stato assolto, proprio nel mese in corso, dall’accusa di incitamento all’odio razziale dopo le sue dichiarazioni sull’islam e sull’adolescente nero Stephen Lawrence, che era stato assassinato.

Non sono sicuro, tuttavia, che le vignette pubblicate in Danimarca si possano far rientrare nella medesima categoria. Per molti esse erano certamente offensive, ma ciò non significa che si possano definire un esempio di incitamento all’odio razziale. In realtà, constatando che alla loro pubblicazione si sono opposti in Europa i gruppi fondamentalisti della destra cristiana, comincio a temere che in tutto il Continente vengano rispolverate le leggi sulla bestemmia. La posizione più corretta sarebbe stata non quella di impedire la pubblicazione, bensì quella di condannare il contenuto di molte vignette.

Quanto al “codice di condotta” per i giornalisti proposto dal Commissario Frattini, esso ha ricevuto la risposta che meritava. Tuttavia se vogliamo proteggere dall’ironia, dalle aggressioni o dagli insulti le più profonde credenze personali, forse qualche giornale scandalistico britannico potrebbe cominciare a rispettare il mio antirazzismo, la mia avversione per l’omofobia, il mio socialismo e il mio impegno europeo.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Ci allarma profondamente la posizione assunta dalla maggioranza del Parlamento in merito alla crescente tensione internazionale. Tale posizione ignora la surriscaldata atmosfera di provocazione che ha circondato la pubblicazione delle caricature, ampiamente provata dai pericolosi sviluppi che ne sono seguiti.

E’ insensato pretendere di giustificare l’escalation dell’interventismo statunitense nel Medio Oriente suscitando artificiosamente un’atmosfera da scontro di civiltà; non meno allarmante è la tendenza delle grandi potenze dell’Unione europea ad allinearsi alle ambizioni degli Stati Uniti in quella regione. Non bisogna dimenticare che l’iniziativa di bloccare una soluzione negoziata della questione iraniana, sotto l’egida dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, è partita da Francia, Germania e Regno Unito; si tratta di un obiettivo a lungo sostenuto dagli Stati Uniti.

A differenza di quanto qualcuno vorrebbe farvi credere, le minacce alla pace, le guerre, le aggressioni e le occupazioni sono opera degli Stati Uniti e dei loro alleati – specialmente Israele – che occupano l’Afghanistan, l’Iraq, la Palestina, e hanno in quella regione innumerevoli basi e migliaia di soldati. E’ quindi essenziale agire per rovesciare l’attuale spirale di incitamento alla violenza, promuovere la distensione nelle relazioni internazionali e tutelare la pace.

 
  
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  Jeanine Hennis-Plasschaert (ALDE), per iscritto. – (NL) La sottile distinzione che è stata tracciata mi rende in ultima analisi impossibile sostenere questa proposta. Le edificanti parole contenute in alcuni paragrafi mi sembrano del tutto fuori luogo; ancora una volta, si ha l’impressione che la libertà di espressione e la libertà di stampa siano negoziabili. Non posso – e non voglio – sottoscrivere una cosa del genere. Per me la libertà di espressione è un diritto assoluto, e a questo proposito vorrei citare le parole di Voltaire: “Posso disapprovare ciò che dici, ma difenderò sino alla morte il tuo diritto di dirlo”.

Nella società liberale europea la libertà di religione si intreccia strettamente alla libertà di criticare una religione, e ancor più i fenomeni che ne derivano; il mondo islamico può anche protestare, ma questo messaggio va fatto chiaramente comprendere. Altrimenti si rischia di finire dalla padella nella brace.

Con quest’atteggiamento schizofrenico ed eccessivamente cauto, l’Unione europea e i suoi Stati membri si piegano alle opinioni dei musulmani più radicali, che propugnano un’interpretazione fondamentalistica del Corano. Ma le minacce e la paura non devono indurci a gettar via le nostre libertà; la storia ci ha insegnato che non dall’eccesso, ma dalle limitazioni alla libertà nascono i problemi.

 
  
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  Jean Lambert (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore di questa risoluzione che, per molti aspetti, fornisce una risposta equilibrata all’improvvida iniziativa del giornale danese che ha commissionato e pubblicato alcune caricature del profeta Maometto, ben sapendo che la cosa sarebbe stata considerata offensiva. Si sottolinea che le reazioni sono state in gran parte orchestrate da forze politiche desiderose di fomentare l’odio verso alcuni governi occidentali, mentre la vasta maggioranza dei musulmani ha reagito con dignità offesa e non ha opposto violenza alla violenza, ciò che – secondo il loro giudizio – non corrisponderebbe ai valori della loro fede religiosa. Noto però che, ancora una volta, il Parlamento ha mancato di criticare uno degli Stati membri dell’Unione, che è stato criticato dal Consiglio d’Europa per aver arroventato il problema dell’immigrazione; ne è scaturito un clima in cui le tensioni si acuiscono. Il Parlamento deve adottare un approccio coerente verso tutte le carenze: quelle che si registrano al di fuori dei nostri confini, ma anche quelle interne.

 
  
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  Claude Moraes (PSE), per iscritto. (EN) Trovo deludente che questa risoluzione – che riguarda un tema importante e controverso – resti ambigua e poco chiara, e non affronti in maniera adeguata il contesto della controversia sulle caricature. Alla libertà di espressione deve accompagnarsi un uso responsabile di questo potere. E’ un argomento che sta a cuore a molti, tra cui i cittadini della mia circoscrizione londinese, cui sto rispondendo individualmente.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il tentativo del Consiglio, della Commissione e dei gruppi politici che sostengono la politica dell’Unione europea di presentarsi come paladini “della libertà di stampa e del rispetto delle fedi religiose” è un insulto per i popoli. In realtà, si cerca solamente di occultare le responsabilità politiche e gli obiettivi cui mirano la pubblicazione delle caricature di Maometto e la pubblicità di cui hanno goduto sulla stampa borghese europea.

Non è una coincidenza. Le caricature vengono ripubblicate in concomitanza con le elezioni palestinesi e con il salto di qualità dell’aggressione imperialistica in Iran, in Siria e nel resto della regione. Tutti gli intrepidi difensori della “libertà di stampa” ignorano deliberatamente che quelle caricature identificano Maometto e l’islam col terrorismo, per preparare l’opinione pubblica ad accettare nuove guerre e nuovi interventi imperialistici contro i paesi a popolazione musulmana. Esse hanno quindi giustamente provocato una forte reazione e massicce dimostrazioni da parte di quei popoli che hanno pagato e continuano a pagare un prezzo sanguinoso per gli interventi imperialistici e le guerre degli USA e dell’Unione europea.

Il vero conflitto è quello che oppone l’imperialismo ai popoli, gli sfruttatori agli sfruttati: questi ultimi, indipendentemente dalla religione, dal colore della pelle e dal sesso, devono lottare uniti per rovesciare l’intero sistema imperialistico.

 
  
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  Luis Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il valore fondamentale della società in cui siamo così orgogliosi di vivere è la libertà: noi ci definiamo anzitutto come persone libere e, per definizione, responsabili.

Per quanto riguarda i recenti fatti, il nocciolo della questione non è l’esercizio della libertà di espressione, bensì l’inaccettabile reazione di coloro che si sono proclamati offesi. L’indignazione è sempre legittima, mentre non sono legittimi tutti i modi di esprimerla. Il nostro primo dovere è quello di denunciare questi abusi e gli attacchi portati contro gli Stati membri: condanniamo la violenza ed esprimiamo solidarietà alla Danimarca e agli altri Stati membri.

Inoltre, sappiamo bene che questi avvenimenti sono stati sapientemente orchestrati e hanno esercitato un fortissimo impatto sulle relazioni tra l’Occidente e il mondo musulmano. Lasciando da parte le nostre libertà – e specialmente la libertà di espressione – qualsiasi manifestazione o incitamento a manifestazioni di odio, razzismo e xenofobia va severamente condannato; e qualsiasi libertà va esercitata con senso di responsabilità, oggi e in qualsiasi altro momento.

Non abbiamo alcun obbligo di giustificare il nostro diritto alla libertà, ma non dobbiamo neppure cercare di provocare conflitti; al contrario, vogliamo evitare i conflitti poiché sappiamo che la pace e la sicurezza del mondo dipendono largamente dal nostro senso di responsabilità.

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Ecco a cosa siamo ridotti: un intervento di duecento parole al massimo, perché i presidenti dei gruppi hanno deciso, in riunione ristretta, che il nostro dibattito sulla libertà di espressione sarebbe stato privato di quella stessa libertà!

Un oratore per gruppo, cioè un’autentica confisca della democrazia, proprio mentre la vicenda delle caricature suscita vasta eco in tutti i paesi, mettendo una parte del mondo a ferro e fuoco.

Non si è forse ripetuto abbastanza che la caricatura che ha appiccato l’incendio si limitava a illustrare ciò che fanno i terroristi, ossia perpetrare i propri delitti in nome di Allah? Non si tratta di una caricatura dell’islam, ma di una caricatura del fanatismo.

Non si è forse denunciata abbastanza l’indebita sovrapposizione tra un caricaturista e un giornale da un lato, e un paese e il suo governo dall’altro?

Questo è un ricatto alla libertà di stampa e alla libertà di espressione che stanno alla base dei nostri valori. Da parte mia, desidero certo rafforzare i legami tra le culture, ma non accetto alcun mercanteggiamento sui nostri valori: i diritti dell’uomo hanno la precedenza sulla legge di Allah, o di qualsiasi altro dio.

Se vi sono stati eccessi, abusi e incitamenti all’odio tocca ai tribunali occuparsene, ma io rifiuto ogni forma di censura. Non autorizzo nessuno a spegnere quei Lumi di cui rivendico l’eredità.

 
  
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  Wojciech Roszkowski (UEN), per iscritto. – (PL) La crisi provocata dalla pubblicazione delle caricature di Maometto, nonché dalla violenta reazione dei fanatici seguaci dell’islam, non ha solo portato alla luce la profondità della frattura che separa la civiltà occidentale dal mondo islamico – in cui vige il principio della responsabilità collettiva e non c’è rispetto per la libertà di religione – ma ha rivelato anche una grave crisi della democrazia liberale. La democrazia liberale si è dimostrata incapace di imporre il rispetto delle norme dello Stato di diritto alle comunità islamiche europee, e il rispetto della libertà di religione agli Stati musulmani. Per contro, erigendo la libertà di espressione a principio di validità assoluta, è riuscita a offendere i sentimenti religiosi dei musulmani: la libertà senza responsabilità produce inevitabilmente conflitti.

Il rispetto per i sentimenti nazionali e religiosi dev’essere la base per il rispetto delle persone che quei sentimenti esprimono – indipendentemente dal fatto che noi condividiamo o meno le loro opinioni; non è lecito quindi offendere tali sentimenti con rappresentazioni blasfeme della croce, di Maometto o delle vittime della Shoah. Ha torto l’onorevole Cohn-Bendit ad affermare che, nella sfera pubblica, le religioni perderebbero il loro carattere religioso. La religione rimarrà sempre diversa dal dibattito politico, a meno che – naturalmente – non cessi di essere una religione per diventare un’ideologia: una caricatura dell’onorevole Cohn-Bendit non è la stessa cosa che una caricatura di Maometto.

Il fatto è che non possiamo costringere gli altri soggetti attivi sulla scena politica a spogliarsi dei propri sentimenti religiosi; qualsiasi tentativo in questo senso avrebbe le medesime conseguenze della pubblicazione delle caricature di Maometto. Per questo motivo ho votato contro il paragrafo 5 della risoluzione e mi sono astenuto nella votazione sull’insieme della risoluzione, dal momento che il paragrafo 5 è stato approvato.

 
  
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  Gary Titley (PSE), per iscritto. – (EN) Il partito laburista al Parlamento europeo si è astenuto sul paragrafo 5 nonché nella votazione finale su questa proposta di risoluzione comune, in quanto la giudichiamo una proposta confusa e ripetitiva, del tutto priva di chiarezza.

Siamo convinti sostenitori del diritto alla libertà di espressione, bilanciato dal diritto dei giornalisti e degli altri operatori di fare uso responsabile del potere che ne deriva. La proposta di risoluzione non riesce a stabilire un corretto equilibrio tra questi obiettivi conflittuali, e non ricostruisce neppure adeguatamente il contesto da cui è scaturita l’attuale controversia.

Il partito laburista al Parlamento europeo si mantiene in contatto con i cittadini del Regno Unito che ci hanno espresso le loro preoccupazioni.

 
  
  

– Prospettive per la Bosnia-Erzegovina (RC-B6-0095/2006)

 
  
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  Jaromír Kohlíček (GUE/NGL).(CS) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Bosnia-Erzegovina è il paese su cui più violenta si è scatenata la rabbia di coloro che miravano a distruggere la coesistenza multietnica nei Balcani e a scatenare conflitti religiosi tra le popolazioni. Desidero ribadire che qui non sono affatto in gioco le relazioni tra diversi paesi, ma piuttosto i rapporti tra popolazioni di fede cattolica o musulmana; la comunità ebraica è stata costretta ad abbandonare il paese all’inizio del conflitto, cui non ha mai preso parte. Ricordo un altro aspetto peculiare: all’epoca della nascita del paese, gran parte della comunità ortodossa viveva nelle zone rurali, mentre i musulmani abitavano per lo più nelle città. Nell’elaborazione dei programmi di aiuto dell’Unione europea bisognerà tener presente tale circostanza.

Accolgo perciò con favore l’articolo 16 della risoluzione, che esorta a prestare maggiore attenzione alle specifiche esigenze delle zone rurali; è giunto anche il momento di invitare il Tribunale dell’Aia a perseguire finalmente quei criminali di guerra che sono stati spinti ad agire da motivazioni diverse dalla fede religiosa. Nella terminologia qui impiegata, stiamo parlando dei serbi. Dobbiamo ammettere che anche il nostro Parlamento qualche volta è giunto a conclusioni errate; per esempio, alcuni passi della risoluzione in esame, concernenti il decimo anniversario degli eventi di Srebrenica, imputano la responsabilità di quello sterminio a una sola delle parti in causa, in contrasto con i fatti assodati.

Mi rallegro che i metodi dittatoriali cui sono ricorsi gli attuali amministratori del paese siano stati finalmente relegati nel passato. Questa è, ancora una volta, una relazione positiva che mira a sostenere lo sviluppo economico, tra l’altro per mezzo di un accordo tra gli Stati dei Balcani occidentali sui temi del ritorno dei profughi e dei risarcimenti per le proprietà danneggiate; di conseguenza l’abbiamo sostenuta col nostro voto, a condizione che la risoluzione venisse parzialmente rielaborata.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Come interpretare il fatto che la maggioranza del Parlamento abbia respinto gli emendamenti presentati dal nostro gruppo, in cui si sottolineava “il diritto dei cittadini della Bosnia-Erzegovina di decidere del proprio futuro” e si chiedeva che “tutti i reparti militari stranieri abbandonassero al più presto” il paese?

La Bosnia-Erzegovina è attualmente un protettorato, occupato da circa 7 000 militari della NATO e dell’Unione europea. Il paese sta sotto il controllo di un Alto rappresentante dell’Unione europea e delle Nazioni Unite, dotato di poteri antidemocratici ed eccessivi; il Parlamento “invita” comunque l’Alto rappresentante a esercitare tali poteri con “moderazione”.

In tale contesto il Parlamento europeo, con un’inammissibile ingerenza che denota totale mancanza di rispetto per la volontà sovrana del popolo della Bosnia-Erzegovina, invita il Consiglio e la Commissione a partecipare al processo di riforma istituzionale in corso, e ad aprire negoziati per integrare il paese nell’Unione europea. A tale scopo è stato presentato un elenco di richieste specifiche, che comprende tra l’altro “la riforma e la riduzione del rigido sistema di fissazione dei salari, specialmente nel settore pubblico, l’accelerazione del processo di privatizzazione, la riforma e la liberalizzazione del settore energetico e la ristrutturazione e la liberalizzazione del settore ferroviario”, a cui noi ci opponiamo.

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto. – (NL) Il popolo della Bosnia-Erzegovina ha sperimentato dominazioni di vario tipo. Dalla signoria turca trassero vantaggio i musulmani del centro e del nordovest, che si considerano i veri bosniaci; i cattolici del sudovest, che si definiscono croati, fiorirono nel periodo dell’amministrazione austriaca; mentre l’epoca jugoslava favorì gli ortodossi del nord e dell’est, che si dicono serbi. Negli anni ’20 la Bosnia fu sciolta come unità amministrativa, per risorgere dopo la Seconda guerra mondiale come area mista, creata al centro dello Stato federale per contribuire ad integrare le diverse popolazioni nell’ambito della Jugoslavia, di cui la Bosnia-Erzegovina costituiva un modello in miniatura. Questo tentativo si è concluso con un fallimento; nel corso della guerra del 1992-1995 ciascuno dei gruppi che ho ricordato ha tentato unilateralmente di imporre la propria volontà. L’accordo di Dayton è stato concepito come una panacea per assicurare pace e riconciliazione; si tratta di una struttura costosa e inefficiente, che però è scaturita dall’esigenza di conciliare aspirazioni largamente divergenti. Quindi, nonostante tutti i suoi difetti, non è opportuno abbandonarla, ma è preferibile servirsene per costruire un sistema federale che consenta a tutti di vivere insieme e di sperare in una pace duratura. La popolazione della Bosnia deve poter scegliere liberamente, anziché farsi indicare il proprio futuro dall’Europa.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Sull’Unione europea grava una responsabilità comune per la dissoluzione della Jugoslavia, per le guerre della NATO e per la drammatica situazione di quelle popolazioni. Dopo l’accordo di Dayton il popolo della Bosnia-Erzegovina ha subito l’occupazione della NATO, sostituita recentemente da 7 000 militari dell’esercito europeo.

La NATO ha deciso quali partiti politici potranno operare, e l’amministratore della NATO ha destituito il Presidente eletto del paese. Nel corso di 11 anni la disoccupazione è giunta al 40 per cento, mentre il 50 per cento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, il 50 per cento non gode di assistenza medica e farmaceutica e il 18 per cento è privo di elettricità. Più di 600 000 profughi, in gran parte di origine serba, non hanno ancora fatto ritorno a casa; fioriscono la corruzione, la criminalità organizzata e il mercato nero. Questa “democrazia” è stata introdotta dagli imperialisti, i quali hanno trasformato i paesi balcanici in protettorati che ora si preparano all’annessione all’Unione europea.

La proposta di risoluzione, presentata dai gruppi politici che sostengono la politica imperialistica dell’UE, costituisce un aperto tentativo di obbligare con la forza le popolazioni di quel paese ad accettare i cambiamenti costituzionali imposti dall’imperialismo e a seguire le sue indicazioni nell’approssimarsi delle elezioni politiche di ottobre, sotto la minaccia di non concedere neppure le briciole dell’accordo di associazione e stabilizzazione in corso di negoziazione.

Il partito comunista greco ritiene che i popoli dei Balcani debbano lottare direttamente, insieme con i popoli dell’Unione europea, per costringere le forze d’occupazione ad abbandonare il paese.

 
  
  

– Situazione in Bielorussia (RC-B6-0109/2006)

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Ci si può chiedere perché la Bielorussia sia il paese al cui comportamento il Parlamento europeo ha dedicato il maggior numero di risoluzioni di condanna; si potrebbe rispondere che il motivo è la situazione dei diritti umani in quel paese.

Anche a prendere per buona tale spiegazione, ci si potrebbe chiedere ancora perché mai il Parlamento non adotti, con analogo zelo, risoluzioni su paesi la cui situazione si potrebbe considerare altrettanto seria, se non addirittura peggiore. Non dipenderà per caso dal fatto che sinora la Bielorussia ha rifiutato di piegarsi alle inaccettabili pretese e interferenze degli Stati Uniti e delle grandi potenze dell’Unione europea?

Non dipenderà per caso dal fatto che, a differenza di quasi tutti gli altri paesi della regione, la Bielorussia ha bloccato e anzi rovesciato la tendenza alla privatizzazione nei settori chiave dell’economia, ha investito nell’agricoltura e nella produzione interna ed ha migliorato le condizioni di vita della popolazione – ed è anzi l’unico paese dell’antico blocco sovietico ad aver ristabilito il PIL del 1990?

Non dipenderà per caso dal fatto che la Bielorussia si è impegnata a formare un’unione tra uguali con la Russia, paese con cui ha stipulato un accordo collettivo di difesa?

Non dipenderà, infine, dal fatto che ci troviamo di fronte a un tipico esempio di politica dei due pesi e delle due misure, congegnata a favore degli interessi strategici e delle ambizioni economiche degli Stati Uniti e dei loro alleati europei?

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La sesta inaccettabile e offensiva proposta di risoluzione presentata nel giro di diciotto mesi è un’altra dimostrazione del rabbioso livore con cui l’Unione europea cerca di rovesciare il governo Lukashenko, eletto dal popolo bielorusso, che non accetta di piegarsi alla barbarie imperialistica. Con ipocrisia, si cerca di far passare per repressione dei diritti democratici il tentativo del governo bielorusso di arginare l’intervento degli imperialisti stranieri, che vorrebbero rovesciarlo con massicci finanziamenti dei media e di agenti politici.

L’affermazione relativa agli “standard internazionali”, che non sarebbero rispettati in Bielorussia ma, a parere dell’Unione europea, sarebbero invece soddisfatti in paesi occupati come l’Iraq e l’Afghanistan, è un vero e proprio insulto. Con improntitudine politica si parla di “candidati registrati”, quando tutti sanno che il candidato della “opposizione unita” è stato eletto alla presenza dell’ambasciatore americano e di altri ambasciatori dei paesi dell’Unione europea.

Si esige dalle autorità bielorusse la garanzia di “parità di condizioni” per tutte le forze politiche, quando tutti i partiti politici sono liberi, mentre nei “democratici” paesi baltici, che sono Stati membri dell’Unione europea, i partiti comunisti sono fuori legge, e il 40 per cento della popolazione è privo di cittadinanza o diritti civili. In altre parole, lo svaligiatore sta cercando di convincere tutti che il vero rapinatore è il padrone di casa.

Voteremo contro la proposta di risoluzione, ed esprimiamo la nostra solidarietà al popolo bielorusso che tenta di respingere le aggressioni imperialistiche e vuol scegliere da sé il proprio futuro.

 
  
  

– Relazione Kindermann (A6-0015/2006)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore di quest’interessantissima relazione sull’attuazione di una strategia forestale per l’Unione europea, preparata dal collega, onorevole Kindermann.

Attualmente, le politiche pubbliche europee non tengono adeguatamente conto delle problematiche concernenti foreste e legname nel contesto di un processo di creazione di ricchezza e progresso sociale rispettoso dell’ambiente. E’ tempo che l’Unione europea sostenga con uno sforzo significativo i progetti che poggiano sulla filiera foresta-legname nelle aree geografiche interessate. Occorre stabilire un nesso tra strategia forestale e sviluppo rurale, e a questo proposito mi rammarico che alle zone montane non sia stata riservata un’attenzione particolare. Allo stesso modo – nel quadro della strategia di Lisbona – è importante che l’Unione sostenga i programmi di ricerca dedicati alla valorizzazione del legname, soprattutto nei settori edilizio ed energetico.

Infine, occorre intraprendere uno studio finalizzato all’azione sul tema del trasporto del legname – che è un prodotto pesante – allo scopo di riunire in un insieme coerente zone forestali, zone di consumo e infrastrutture di trasporto stradale, ferroviario e marittimo.

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. – (EN) Apprezzo vivamente la relazione dell’onorevole Kindermann sull’attuazione di una strategia forestale per l’Unione europea in quanto – benché i Trattati non si occupino concretamente di silvicoltura – emerge chiara la necessità di un piano d’azione dell’Unione europea per la gestione sostenibile delle foreste; tale piano dovrà fornire un quadro coerente per l’attuazione delle azioni nel settore forestale, e dovrà servire per il coordinamento delle azioni comunitarie e delle politiche forestali nazionali, in stretta collaborazione con gli Stati membri e con i vari soggetti interessati.

Dal momento che vivo nella zona di una delle ultime grandi foreste di querce rimaste in Inghilterra, non ignoro certo la necessità di una gestione forestale sostenibile. Le foreste svolgono un ruolo multifunzionale; la foresta di Dean offre contemporaneamente grandi bellezze ambientali, un habitat naturale, opportunità turistiche e ricreative, un potenziale occupazionale e realtà industriali, oltre a essere la casa degli abitanti del luogo. Tuttavia, nella maggioranza dei casi, questo ruolo multifunzionale, paragonato alle potenzialità, non si riflette nell’economia delle zone interessate o nel reddito degli abitanti. La politica di sviluppo rurale è lo strumento principale per l’attuazione della strategia forestale a livello comunitario, e gode del mio appoggio.

 
  
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  Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. – (SV) A nostro avviso l’Unione europea non dovrebbe elaborare una politica forestale comune; questo è un settore di grande importanza nazionale. Avremmo preferito che il Parlamento europeo dichiarasse l’obiettivo di lasciare la politica forestale nell’ambito dei processi decisionali nazionali. Quando questa relazione è stata discussa in seno alla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, abbiamo notato che la tesi da noi caldeggiata riscuoteva apprezzabili adesioni. Purtroppo, però, la maggioranza del Parlamento europeo, obbedendo alla consueta ossessione di espandere qualsiasi iniziativa a dimensioni di abnorme gigantismo, ha preparato una relazione che, tra l’altro, condurrà la politica comunitaria dedicata a questo settore e la strategia di Lisbona ad avere un impatto sui problemi forestali; la relazione poi raccomanda di “esaminare in modo oggettivo le possibilità di creare una base giuridica distinta per il bosco” nei Trattati dell’Unione.

Respingiamo con forza questa deriva delle prese di posizione politiche del Parlamento europeo. Occorre chiarire una volta per tutte che la politica forestale è un settore nel quale le decisioni si devono prendere su base puramente nazionale. Non possiamo votare a favore di una relazione che contiene – in maniera più o meno dissimulata – un programma mirante a introdurre una politica forestale a livello di Unione europea, da gestire con fondi prelevati dal bilancio dell’Unione.

 
  
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  Jean-Claude Martinez (NI), per iscritto. – (FR) E’ giunto il momento di dotarsi di una strategia forestale. Soprattutto in una Francia che, nel ventunesimo secolo, aveva saputo creare nelle Lande una delle zone forestali più belle d’Europa, e che ora non è capace di gestire le proprie foreste dal punto di vista commerciale.

In Portogallo, in Francia, in Spagna le nostre foreste sono distrutte dagli incendi; per il legname industriale o per le fibre per la carta dipendiamo dall’Indonesia e dal Brasile; contemporaneamente, versiamo calde lacrime sulla deforestazione e le catastrofi climatiche e biologiche che ne derivano: tutto questo dimostra l’estrema necessità di una reazione politica globale. Occorre trovare la volontà di creare in Europa – e particolarmente in Francia – una grande filiera del legname; ma ciò implica una fiscalità intelligente, investimenti agevolati, la formazione di figure professionali non penalizzate, una visione politica di ampio respiro.

 
  
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  Presidente. – Con questo si concludono le dichiarazioni di voto.

 

8. Correzioni di voto: vedasi processo verbale

9. Statistiche sulla struttura e l’attività delle consociate estere (discussione)
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  Presidente. L’ordine del giorno reca la discussione sulla relazione (A6-0332/2005), presentata dall’onorevole Enrico Letta a nome della commissione per i problemi economici e monetari, sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle statistiche comunitarie sulla struttura e sull’attività delle consociate estere [COM(2005)0088 – C6-0084/2005 2005/0016(COD)].

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. (ES) Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei ringraziare innanzi tutto il relatore, onorevole Letta, e tutti i membri della commissione per i problemi economici e monetari per l’ottimo lavoro svolto sulla proposta di regolamento concernente questo tipo di statistiche.

Desidero ricordare in particolare che il Parlamento ha sottolineato in questa relazione la necessità di rendere i dati in questione disponibili il prima possibile. E’ superfluo ricordarvi che i nostri concorrenti più diretti, gli Stati Uniti e il Giappone, dispongono da oltre vent’anni di informazioni dettagliate sugli investimenti esteri delle proprie aziende; ciò garantisce a questi governi e agli operatori economici un vantaggio significativo su quelli europei per quanto concerne la definizione delle strategie e delle politiche commerciali.

La Commissione ritiene pertanto vivamente auspicabile che il Parlamento e il Consiglio trovino un accordo su questa proposta di regolamento in prima lettura, affinché la compilazione di questo tipo di dati possa cominciare già dall’anno in corso. Credo che le due Istituzioni siano molto vicine a un accordo che speriamo essere di prossima conclusione.

Come ho già detto, il regolamento mira a colmare una lacuna delle statistiche comunitarie che ci sta penalizzando. Al momento disponiamo soltanto dei dati raccolti su base volontaria da alcuni Stati membri nell’ambito dei propri rilevamenti di dati statistici strutturali o delle statistiche per la bilancia dei pagamenti. Non possiamo calcolare i valori aggregati per l’Unione europea dei venticinque a causa delle diversità nelle metodologie adottate e nel tipo di informazioni raccolte.

Non è necessario sottolineare l’importanza del completamento del mercato interno e della Strategia di Lisbona per tutti noi, con i suoi obiettivi di crescita e occupazione in grado di rendere l’Unione europea un polo di attrazione per gli investimenti e l’imprenditorialità. In quest’anno in particolare è evidente l’importanza di difendere gli interessi europei nei negoziati commerciali multilaterali.

I dati richiesti ai sensi al presente regolamento sarebbero preziosi alla luce di queste considerazioni. Onorevoli deputati, stiamo parlando dopotutto di un tipo di statistiche indispensabile a promuovere il dinamismo, la vitalità e la competitività delle aziende e degli operatori economici europei.

Da questo punto di vista, la Commissione ritiene che gli emendamenti presentati e discussi dai deputati possano contribuire ad accelerare la fase di compilazione delle statistiche e come tali possano costituire un punto di riferimento eccellente per il raggiungimento di un compromesso già in sede di prima lettura.

Per questi stessi motivi la Commissione non concorda sugli emendamenti che si riferiscono al ruolo del Parlamento nella fase di attuazione del regolamento poiché, data la natura estremamente tecnica della materia, questo tipo di emendamento fornirebbe uno scarso valore aggiunto, con il solo effetto di impedire quasi certamente il raggiungimento di un accordo con il Consiglio in prima lettura. Mi riferisco nello specifico agli emendamenti nn. 1, 2 e 9 che intendono estendere i procedimenti del cosiddetto processo Lamfalussy utilizzati nella legislazione in materia di servizi finanziari anche alla compilazione delle statistiche.

I deputati e in particolare i membri della commissione per i problemi economici e monetari che hanno seguito anche le trattative attinenti alle direttive sui servizi finanziari si trovano in una posizione privilegiata, da cui sono in grado di apprezzare le differenze tra questi due ambiti. Non occorre ricordarvi che esistono diversi livelli di attuazione della legislazione nel quadro dei servizi finanziari ed è superfluo elencare le ragioni, molto diverse da quelle attinenti al caso odierno, che hanno spinto la Commissione a proporre il conferimento di un maggiore potere di controllo al Parlamento per alcuni di questi livelli rispetto a quanto attualmente previsto dalle disposizioni sulla comitatologia.

Prima di concludere desidero fare presente due aspetti agli onorevoli deputati, nella speranza che le mie osservazioni vi inducano a rivedere la vostra posizione sugli emendamenti nn. 1, 2 e 9.

Primo, dobbiamo tenere presente che le Istituzioni sono già d’accordo a fissare i parametri definitivi per la compilazione delle statistiche tramite la procedura di codecisione, una volta noti i risultati degli studi pilota. Insieme al Consiglio, il Parlamento sarà, perfettamente in grado di svolgere la propria funzione legislativa negli aspetti essenziali che riguardano l’attuazione del regolamento.

Secondo, desidero sottolineare che l’attuale Presidenza austriaca ha espresso la propria volontà politica di raggiungere un accordo soddisfacente con il Parlamento per quanto concerne la revisione delle disposizioni di comitatologia. Come ben sapete, si sta profilando la possibilità di un compromesso in questo ambito che risponda meglio alle aspirazioni legittime del Parlamento di svolgere appieno il proprio ruolo di legislatore.

In questo contesto, signor Presidente, ribadisco che la Commissione è ovviamente disponibile a mantenere costantemente aggiornato il Parlamento sul lavoro delle diverse commissioni e mi auguro che il voto dei deputati possa condurre a un accordo sul regolamento in prima lettura.

 
  
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  Enrico Letta (ALDE), relatore. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero ringraziare la Commissione e il Commissario Almunia per il suo intervento e per il valido lavoro che le due Istituzioni hanno svolto durante la fase preparatoria di questa discussione.

Con questa direttiva, che al di là della sua apparente tecnicità è molto importante, desideriamo regolare due tipi di dati sulle consociate estere, vale a dire le statistiche Inward, che riguardano tutte le imprese e tutti i settori che sono sotto il controllo estero, e le statistiche Outward, relative alle aziende all’estero controllate da una società con sede nell’Unione europea.

Come ha detto il Commissario Almunia, la Commissione propone di stabilire un quadro di riferimento obbligatorio per la compilazione di statistiche comunitarie sulla struttura e sulle attività delle consociate estere.

La proposta della Commissione prevede due modelli differenti per la raccolta di dati Inward e Outward. Il modello per le Inwards FATS è basato sulla regolamentazione delle statistiche strutturali di business, mentre per le Outwards FATS ci si richiama al modello usato per gli investimenti diretti dall’estero nella regolamentazione per le statistiche per la bilancia dei pagamenti. Mentre le Inward sarebbero perlopiù obbligatorie, le disposizioni per le Outward prevedono una fase di sperimentazione volontaria attraverso studi pilota volti a stabilire la fattibilità dei costi della raccolta dei dati.

L’elemento di criticità di questa direttiva è dato dal fatto che, come ha appena ricordato il Commissario Almunia, gli Stati Uniti e il Giappone dispongono già da oltre vent’anni di questo tipo di informazioni, a un livello di dettaglio ancora più elevato di quello che la direttiva vuole introdurre.

Nella sua proposta la Commissione prevede studi pilota e procedure di comitatologia con periodi di transizione lunghi. Ciò rischia di lasciare ancora per troppo tempo i responsabili politici europei senza dati adeguati, mentre le controparti americane e giapponesi possono disporre già ora, anche sulle Outward, di informazioni migliori sulle strategie e sulle tendenze economiche delle proprie aziende e società transnazionali.

Per tutte queste ragioni, noi crediamo che la proposta della Commissione vada supportata, tenendo tuttavia presenti alcune esigenze. In primo luogo, le disposizioni di questa regolamentazione non devono costituire un eccessivo onere burocratico e finanziario per le imprese coinvolte. In secondo luogo, è necessario che i tempi di applicazione della regolamentazione e, conseguentemente, di disponibilità dei dati non siano troppo lunghi, in modo tale da permettere ai policy makers in Europa di essere posti nel più breve tempo possibile nelle medesime condizioni delle loro controparti americane e giapponesi.

La procedura di comitatologia, che è stata ampiamente dibattuta all’interno della nostra commissione quale alternativa alla procedura legislativa per l’implementazione delle Outward FATS, deve essere valutata con molta attenzione e nella consapevolezza che l’obiettivo della disponibilità a breve termine di dati omogenei dovrà essere perseguito con ogni sforzo.

Infine, la Banca centrale europea e le altre Istituzioni che sono particolarmente interessate alla disponibilità di informazioni statistiche adeguate dovrebbero essere coinvolte nella definizione di standard comuni.

La nostra discussione preparatoria al dibattito di oggi ha visto un confronto aperto tra il Parlamento, la Commissione e il Consiglio. Noi abbiamo sempre cercato di arrivare a un compromesso che portasse nel più breve tempo possibile all’approvazione della direttiva in prima lettura. Tuttavia, l’impressione che all’interno del Consiglio non ci fosse la volontà per una conclusione positiva di questo testo in prima lettura ci spinge a valutare le discussioni che si sono tenute sul tema della comitatologia in sede di commissione come una questione che il Parlamento deve tener presente in particolare al momento della votazione degli emendamenti sulla comitatologia.

Per tutti questi motivi credo sia utile e importante raccomandare a quest’Aula di esprimere un voto favorevole alla direttiva. Si tratta di un voto importante perché riesce a rendere il nostro sistema europeo sul lato del commercio internazionale più attento ai dati relativi alla competitività. Fin dall’inizio noi abbiamo mirato a un’approvazione in prima lettura di questa direttiva che, al di là della sua apparente tecnicità, ha un contenuto di grande importanza che mi spinge a suggerire a quest’Aula una votazione favorevole nei tempi più rapidi possibili.

 
  
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  John Purvis, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, desidero ringraziare l’onorevole Letta che ha collaborato alla definizione della nostra posizione in merito a questa relazione.

Il nostro gruppo mira essenzialmente a conseguire il rilevamento dei dati statistici con la massima urgenza, completezza e rapidità. Senza tali dati alla mano diventa assai difficile condurre dei negoziati commerciali con cognizione di causa. L’obbligo di compilazione delle statistiche tanto per le FATS di tipo Inward che Outward rimane la soluzione migliore e mi sconcerta che alcuni Stati membri si rifiutino categoricamente di predisporsi a tale tipo di esercizio. Il Consiglio ha previsto una deroga per gli Stati membri che non hanno ancora mai collaudato questa procedura, sicché essi possono limitarsi a fare fronte alle situazioni contemplate all’articolo 6, lettera D. Questa concessione mi pare sufficiente.

I rilevamenti di dati relativi alle Inward e Outward FATS devono essere obbligatori, così come deve sussistere l’obbligo di partecipazione agli studi pilota per le importazioni e le esportazioni. Altrimenti tra qualche anno gli Stati membri che non hanno partecipato a tali studi su base volontaria affermeranno di nuovo che essi non sono necessari e continueranno a rifiutarsi di raccogliere i dati.

Un altro aspetto che ci interessa è quello della procedura di comitatologia che si profila all’orizzonte. Se la posizione del Parlamento rende inevitabile una seconda lettura, il mio gruppo si adeguerà. Ma insisteremo sulla questione della comitatologia finché il Consiglio non si dimostrerà seriamente intenzionato a dare delle prospettive concrete al Parlamento europeo in questo ambito. Al momento anche solo una dichiarazione rassicurante in tal senso da parte del Consiglio potrebbe essere sufficiente a indurci a rivedere le nostre posizioni.

Il mio gruppo voterà a favore della relazione approvata in seno alla commissione per i problemi economici e monetari.

 
  
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  Manuel António dos Santos, a nome del gruppo PSE. – (PT) Desidero cominciare il mio intervento congratulandomi con l’onorevole Letta per l’eccellente lavoro svolto, culminato nella relazione in discussione. Vorrei ringraziare anche il Commissario Almunia per i chiarimenti puntuali con cui ha contribuito alla discussione e che ci aiuteranno senz’altro a trovare una soluzione tempestiva per la votazione che si terrà nel corso della prossima seduta.

Sono già state spese molte parole sulle caratteristiche e sull’origine di questa discussione, nata dalla proposta di regolamento relativo alle statistiche comunitarie sulla struttura e sulle attività delle consociate estere. Com’è stato detto in questa sede e ribadito dall’onorevole Purvis, queste statistiche forniscono uno strumento vitale ai responsabili politici nazionali e comunitari, in quanto consentono loro di formulare politiche adeguate, e aiutano le aziende a valutare gli sviluppi in atto in un mondo degli affari ormai contraddistinto dalla globalizzazione economica.

Sebbene alcuni dati sulla struttura e sulle attività delle consociate straniere, ossia le statistiche Inward, siano già raccolti volontariamente in pressoché tutti gli Stati membri e rendano potenzialmente fattibile una procedura concertata, lo stesso non si può dire delle statistiche Outward, attualmente compilate solo in pochi Stati membri.

Tali dati sono davvero utili soltanto se messi a disposizione entro tempi brevi da parte di tutti e a condizione che la loro compilazione sia armonizzata; da qui la necessità di stabilire un quadro normativo comune alla prima occasione.

Concordo con il Commissario Almunia sull’importanza di giungere a una soluzione in prima lettura, anche se condivido l’opinione dell’onorevole Purvis, secondo cui non sarebbe una tragedia se ciò non accadesse.

Sebbene sussista un consenso di massima, evidenziato da tutti gli oratori e legato all’urgenza e all’attualità della direttiva stessa, alcuni aspetti sarebbero gestiti meglio tramite la procedura di comitatologia piuttosto che con una procedura di codecisione; in pratica tali aspetti riguardano quello che dovrebbe essere il ruolo del Parlamento in tutte queste procedure, in particolar modo in quelle di natura finanziaria.

E questo deve essere garantito. Mi hanno consolato almeno in parte le osservazioni del Commissario in merito alle prossime modifiche da apportare al processo di comitatologia al fine di tenere conto del ruolo decisionale e di vigilanza che spetta al Parlamento. Mi colpisce che tale ruolo non sia ancora perfettamente garantito. Ribadisco pertanto che non è imperativo addivenire a un accordo in prima lettura, poiché mi sembra più importante ancora costruire una base sana, ragionata e condivisa da cui attuare con efficacia il regolamento in questione.

Il mio gruppo condivide appieno le migliorie suggerite e la necessità di introdurle. Penso che ciò non crei alcuna difficoltà al Consiglio o alla Commissione per quanto concerne gli studi pilota o i periodi di regolamentazione e le scadenze da rispettare per ottenere questo tipo di informazioni.

A mio parere, è fondamentale qualsiasi proposta volta a rendere obbligatori i progetti pilota, a escludere conclusioni obbligatorie dai progetti pilota, a ridurre i periodi di deroga e le scadenze per l’elaborazione di dati definitivi.

Approviamo pertanto le proposte del relatore perché la specificità con cui affrontano questa tematica ne dimostra la validità.

Il mio gruppo è disposto a sfruttare appieno il tempo che ci rimane prima del voto definitivo per raggiungere un accordo nell’ambito di contatti bilaterali, affinché la relazione possa essere approvata in prima lettura. Ripeto comunque che anche se ciò non fosse possibile, questo ritardo non rappresenterebbe un ostacolo insormontabile.

Speriamo anche che il Consiglio, dimostratosi talvolta troppo arroccato sulle proprie posizioni durante questo processo, dia un segnale di maggiore apertura, in sintonia con le parole concilianti e significative del Commissario Almunia.

Concludo ringraziando ancora una volta il relatore. La discussione in seno alla commissione per i problemi economici e monetari è stata estremamente interessante. Il voto unanime con cui è stata approvata la relazione mi dà la certezza che troveremo una soluzione adeguata al problema insieme al Consiglio e alla Commissione.

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. (ES) Signor Presidente, vorrei ringraziare il relatore Letta e gli onorevoli Purvis e dos Santos per i loro interventi e lo spirito di collaborazione dimostrato al fine di ottenere ciò che credo noi tutti desideriamo, ossia una trattativa in grado di sfociare nell’approvazione rapida del regolamento per le ragioni su cui noi tutti concordiamo. Disporre di dati che finora non sono stati accessibili ma che i nostri concorrenti utilizzano da tempo è importante per le Istituzioni europee, nei negoziati commerciali multilaterali e in qualsiasi altro tipo di strategia.

Per quanto concerne i problemi di comitatologia che abbiamo menzionato, vorrei ribadire quanto ho già detto nel mio precedente intervento. Speriamo che il lavoro della Presidenza austriaca ci consentirà di trovare una risposta soddisfacente per tutti entro questo semestre. Ancora una volta sottolineo che la Commissione è disposta a tenere conto delle difficoltà esistenti fino al raggiungimento di un accordo definitivo, ma vi chiedo anche di non permettere che questi problemi interferiscano con un’approvazione tempestiva del regolamento, possibilmente già in prima lettura.

 
  
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  Presidente. La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà nel corso della prossima parte della seduta.

(La seduta, sospesa alle 13.00, riprende alle 15.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MAURO
Vicepresidente

 

10. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale

11. Comunicazione delle posizioni comuni del Consiglio: vedasi processo verbale

12. Revisione strategica del Fondo monetario internazionale (discussione)
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  Presidente. L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0022/2006) presentata dall’onorevole Benoît Hamon, a nome della commissione per i problemi economici e monetari, sulla revisione strategica del Fondo monetario internazionale (2005/2121(INI).

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. (ES) Signor Presidente, onorevoli parlamentari, ritengo che la relazione discussa oggi da questo Parlamento, elaborata dall’onorevole Hamon e discussa dai componenti della commissione per i problemi economici e monetari, giunga in un momento estremamente opportuno, in quanto il Fondo monetario internazionale sta ora dibattendo la propria revisione strategica sulla base del documento presentato dal proprio direttore esecutivo.

Come ben sapete, né la Commissione né l’Unione europea sono direttamente o formalmente presenti nel Fondo monetario internazionale, sono gli Stati membri a esservi rappresentati. Tuttavia, dobbiamo essere coscienti del fatto che gli Stati membri rappresentati nell’Unione europea e in questa Assemblea detengono insieme oltre il 30 per cento delle azioni del Fondo monetario internazionale.

Questo contributo alla discussione, pertanto, mi pare straordinariamente utile per garantire una migliore stabilità economica e finanziaria all’economia globale e includere in questo concetto di stabilità lo sviluppo dei paesi meno avanzati e l’eliminazione della povertà.

Al fine di conseguire questi obiettivi, è sicuramente necessario l’aiuto di istituzioni in grado di agire su scala mondiale, come il Fondo monetario internazionale.

Il primo aspetto che richiama la nostra attenzione, quando analizziamo il ruolo del Fondo monetario nell’economia globale in questi primi anni del ventunesimo secolo, è la pertinenza e l’attualità degli obiettivi che gli furono affidati al momento della sua fondazione, nel 1944.

Tuttavia, se gli obiettivi di promozione della stabilità monetaria internazionale, come agevolare l’espansione degli scambi internazionali, promuovere la stabilità dei cambi e ridurre lo squilibrio nelle bilance dei pagamenti, conservano tutta la loro ragione d’essere, il contesto economico in cui oggi opera il Fondo è radicalmente mutato rispetto a sessant’anni fa

Il Fondo, ovviamente, ne prende atto all’interno della sua revisione strategica, dichiarando che la sfida della globalizzazione svolge un ruolo centrale nell’attività affidata a questa istituzione. Il nuovo approccio del Fondo consiste nel considerare le sue missioni fondamentali di monitoraggio e di concessione di crediti nel contesto della globalizzazione.

A tal fine, il Fondo tiene conto sia dei rischi che delle opportunità. Nel suo documento strategico, ad esempio, riconosce che la libera circolazione dei capitali consente una più efficiente distribuzione delle risorse, ma allo stesso tempo segnala anche che essa produce una maggiore volatilità e un maggiore rischio di reazioni estreme da parte dei mercati in caso di crisi. Constata inoltre la spinta delle economie emergenti, che stanno contribuendo sensibilmente agli alti livelli di crescita dell’economia mondiale, ma nota anche che la potenza di queste economie emergenti sta rendendo più difficile per i paesi più poveri salire sul treno del commercio e della crescita mondiali.

La Commissione condivide la visione della globalizzazione fornita dal Fondo nel suo documento strategico; noi trasmettiamo al Fondo monetario internazionale le nostre opinioni durante i distesi e frequenti contatti che intratteniamo con tale istituzione. In particolare, come sapete, collaboriamo con il Fondo monetario nella definizione delle nostre politiche e nell’adozione delle nostre decisioni in merito all’assistenza macrofinanziaria che la Comunità europea concede ai paesi dei Balcani occidentali o ad alcuni degli Stati dell’ex Unione Sovietica. Tale assistenza, fondata sulle risorse del bilancio comunitario, è sempre legata a una serie di condizioni complementari agli interventi del Fondo in quegli stessi paesi.

Nel campo degli aiuti allo sviluppo e dell’eliminazione della povertà, il Fondo monetario, la Banca mondiale e l’Unione europea rappresentano sicuramente i principali attori mondiali e, in questo caso, esiste anche una stretta e fruttuosa collaborazione tra le diverse istituzioni.

In un modo o nell’altro, tutti questi aspetti sono presenti nella relazione in esame e la Commissione è lieta di manifestare il proprio accordo con le posizioni espresse dal relatore e sostenute dalla commissione per i problemi economici e monetari.

La relazione mette anche in rilievo la necessità di adeguare la distribuzione delle quote e dei diritti di voto nelle istituzioni governative del Fondo, in modo da riflettere in maniera più equilibrata il peso relativo delle economie dei paesi membri. Questo darà più voce ai paesi meno sviluppati e, in particolare, ai paesi africani, la cui attuale quota di rappresentanza e di capitale nel Fondo è bassissima.

Come ricorda il Fondo monetario nei suoi documenti, intraprendere questa riforma relativa alla distribuzione delle quote e dei voti è compito dei paesi azionisti e richiede una forte volontà politica. Occorre capire che aumentare la quota di alcuni a spese di altri può apportare benefici a tutti, nel medio e nel lungo periodo, perché permetterà al Fondo di svolgere meglio le proprie funzioni e di raggiungere gli obiettivi prefissati.

Da ultimo, signor Presidente, intendo affrontare la questione della rappresentanza esterna della zona euro e dell’Unione europea negli affari economici e monetari. Ringrazio il relatore e tutti gli onorevoli deputati che hanno incluso questo punto nella relazione in esame, anche se devo sottolineare che, come ho già detto, credo, l’anno scorso in questa stessa Aula, la Commissione preferirebbe una formulazione più chiara e diretta dell’obiettivo di una rappresentanza esterna più adeguata della zona euro e dell’Unione europea nel suo insieme, come, per esempio, quella proposta nell’emendamento n. 5, presentato dall’onorevole Purvis.

Assieme alla presidenza dell’Eurogruppo, la Commissione ha iniziato a riflettere su quali passi compiere per giungere a una rappresentanza esterna più efficace della zona euro e, in caso, dell’Unione europea. Gradualmente, con volontà e realismo, stiamo cercando di profilare una strategia coerente che ci permetta di arrivare a un miglior coordinamento tra i membri della zona euro al momento di esprimere una posizione comune nelle istituzioni finanziarie internazionali. Nel breve periodo, l’intenzione è quella di individuare alcuni punti dei programmi di tali istituzioni rispetto ai quali si possa conseguire una posizione coordinata degli Stati membri, per esempio, in materia di vigilanza sul bilancio. Nel lungo periodo, l’obiettivo continua a essere quello di ottenere una rappresentanza unica della zona euro nel Fondo, che le consenta di esercitare un’influenza corrispondente al peso economico dell’unione monetaria. A tale scopo si rende indubbiamente necessario il forte sostegno politico degli Stati membri.

La Commissione ritiene che il Parlamento possa e debba fornire un importante contributo per realizzare questa aspirazione, pronunciandosi con la maggior chiarezza possibile in questa direzione.

Concludo, signor Presidente, dichiarando che la Commissione è disposta a studiare il modo in cui il Parlamento può partecipare alla formulazione delle posizioni che i rappresentanti della zona euro o dell’Unione europea sono chiamati a esprimere nelle istituzioni e negli enti finanziari internazionali. Occorre certamente studiare la questione, in quanto non è di facile soluzione; tuttavia, posso assicurare a tutti gli onorevoli deputati la piena disponibilità, mia e della Commissione, ad approfondire la questione quando lo ritengano opportuno.

 
  
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  Benoît Hamon (PSE), relatore. – (FR) Signor Presidente, ringrazio il Commissario Almunia per aver accolto con favore la mia relazione, che è anche quella della commissione per i problemi economici e monetari.

Permettetemi di sottolineare un fatto che merita di essere segnalato: il voto unanime della commissione per i problemi economici e monetari a favore di questa relazione. Vorrei ringraziare anche la commissione per lo sviluppo e la commissione per il commercio internazionale per il suo operato e in particolare per quello dei suoi relatori, gli onorevoli Wijkman e Bourlanges, che hanno contribuito al miglioramento di questa relazione, presentata in un momento in cui il Fondo monetario internazionale sta riflettendo sulla propria strategia e sul modo di valutare l’evoluzione della propria missione, l’impatto delle proprie politiche nonché il proprio funzionamento.

Vorrei tornare allo spirito con cui hanno lavorato i relatori ombra e tutta la commissione, per fare sì che la relazione del nostro Parlamento possa dare un utile contributo alla revisione strategica del Fondo monetario internazionale tenendo contemporaneamente conto delle grandi sfide che tale istituzione è chiamata ad affrontare: in primo luogo la questione della sua governance, quindi la questione della sua dottrina economica e dell’impatto delle sue scelte sugli Obiettivi del Millennio e, infine, più genericamente, il modo in cui, oggi, tramite il suo ruolo di monitoraggio e di prevenzione delle crisi, resta il garante della stabilità macroeconomica e finanziaria globale.

Sul tema della governance, permettetemi di ricordare che gli Stati membri sono oggi suddivisi in nove circoscrizioni, il che significa che oggi l’Unione europea, se di Unione si può parlare in questo contesto, non ha una rappresentanza unica. Quindi, è tramite queste nove, frammentate circoscrizioni che l’Unione europea si esprime. Si constata inoltre, e questo è un punto che la relazione evidenzia, che il coordinamento tra gli Stati membri in seno al Fondo monetario internazionale è scarso o nullo. E’ per questo che la relazione sostiene, da un lato, l’esigenza di un maggiore coordinamento dei seggi europei e, dall’altro, di un progresso graduale verso una rappresentanza dell’Unione europea nel suo complesso in seno al Fondo monetario internazionale, con la prospettiva, naturalmente, di un seggio unico, passando per la tappa intermedia di un seggio unico per la zona euro.

Oggi, la relazione non affronta nello specifico la questione del seggio unico, ma fissa l’obiettivo di garantire che l’Unione europea sia rappresentata e voti come un blocco unico in seno al Fondo monetario internazionale, il che mi pare una tappa assolutamente fondamentale. Per quale ragione? Perché darebbe all’Unione europea la minoranza di blocco di cui oggi non dispone, ovvero il 15 per cento dei diritti di voto in seno al Fondo monetario internazionale. Gli Stati Uniti sono al momento i soli a disporre di questa minoranza di blocco, e conosciamo l’impatto che essa può avere sulle grandi scelte politiche e strategiche adottate dal Fondo monetario internazionale. Si tratta di un elemento chiave fondamentale.

Aggiungo che tali mutamenti nella rappresentanza dell’Unione europea potrebbero anche permettere di risolvere la questione della distribuzione dei diritti di voto e quindi del peso delle economie emergenti e dei paesi in via di sviluppo in seno all’organo direttivo del Fondo monetario internazionale. Pensiamo in effetti che la rappresentanza dei paesi emergenti debba essere più proporzionale al loro peso economico. E’ altresì necessario che i paesi con le popolazioni più numerose e le economie più deboli, ovvero quelli in via di sviluppo, abbiano diritti di voto molto superiori a quelli di cui dispongono oggi, per la semplice ragione che tali paesi sono i “beneficiari” delle politiche del Fondo monetario internazionale. Per questo motivo, la relazione si pronuncia a favore di un aumento dell’assegnazione dei diritti di voto fondamentali: questa è comunque una delle possibilità da esplorare nell’immediato futuro.

Il secondo punto su cui insistiamo è legato alla questione della legittimità degli interventi del Fondo monetario internazionale, soprattutto alla luce del crescente ampliamento dell’ambito di attuazione degli interventi. Noi sosteniamo una maggiore trasparenza del Fondo monetario internazionale e del suo funzionamento. Penso in particolare all’assunzione di esperti e alla necessità di diversificare il loro profilo affinché adeguino più facilmente le proprie raccomandazioni alla varietà delle situazioni incontrate.

L’ultimo punto, non meno spinoso dei precedenti, riguarda il modo in cui possiamo valutare le politiche di aggiustamento strutturale e le raccomandazioni del Fondo monetario internazionale da molti anni a questa parte. Il Fondo oggi è oggetto di molte critiche per l’attuazione di alcune delle sue raccomandazioni, per la sua dottrina macroeconomica e per la sua applicazione troppo rigida del consenso di Washington. E’ questo che ci ha portato a chiedere al Fondo di mostrare un po’ più di flessibilità e di cercare il modo migliore per indurre gli enti locali e i paesi interessati ad attuare strategie di riduzione della povertà. Questa ci sembra una tappa fondamentale.

Abbiamo affermato anche che alcuni interventi del Fondo non sono stati privi di pecche, se si guarda ai risultati raggiunti, ai costi sociali dei piani di aggiustamento strutturale, oppure alla diffusione o perfino al riemergere delle crisi. Abbiamo sottolineato questi punti per convincere il Fondo a modificare alcune delle sue scelte nel quadro della propria revisione strategica.

Aggiungo, e vorrei insistere su questo punto, che non dobbiamo finire per ritrovarci, in materia di governance mondiale, di fronte a una specie di gerarchia implicita di norme che tenti di porre al di sopra di tutto le raccomandazioni del Fondo, con il pretesto che esse non attengono più soltanto alla stabilità macroeconomica e alle politiche di crescita, ma anche alle politiche del mercato del lavoro, al finanziamento dei programmi sociali, dell’istruzione e della sanità. Non ci dobbiamo ritrovare con questa gerarchia di norme che collocano le raccomandazioni del Fondo al di sopra di tutte le organizzazioni internazionali, al punto da creare pesanti contraddizioni tra le raccomandazioni del Fondo e quelle degli accordi internazionali dell’Organizzazione mondiale del lavoro o dell’Organizzazione mondiale della sanità.

In conclusione, auspichiamo che il Parlamento europeo si senta maggiormente coinvolto, soprattutto con la prospettiva di una rappresentanza unica per l’Unione europea, tramite gli amministratori dell’Unione europea in seno al Fondo monetario internazionale. Speriamo che, così come il Fondo intrattiene regolari relazioni con il Congresso americano, le intrattenga anche con il Parlamento europeo e che sia parimenti responsabile delle proprie azioni dinanzi ai rappresentanti del popolo europeo.

 
  
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  Jean-Louis Bourlanges (ALDE), relatore per parere della commissione per il commercio internazionale.(FR) Signor Presidente, la commissione per il commercio internazionale ha presentato un parere che si avvicina molto all’eccellente relazione dell’onorevole Hamon, e credo che le opinioni espresse nei due documenti siano veramente convergenti e i timori molto simili.

Noi abbiamo essenzialmente tre preoccupazioni. Anzitutto, come il relatore, anche noi aspiriamo a un migliore coordinamento di tutte le politiche di sviluppo. Abbiamo segnalato una palese contraddizione: l’FMI fa parte di un insieme più grande, con un compito specifico, ma, allo stesso tempo, è molto più di questo, perché in quanto prestatore di ultima istanza, esso gode, come l’onorevole Hamon ha appena ricordato, di una sorta di preminenza di fatto non priva di problemi, il che crea la necessità di un maggior coordinamento con le altre organizzazioni internazionali, nella fattispecie l’OMC, l’Organizzazione mondiale del lavoro e l’OMS. Occorre riflettere attentamente su queste modalità di coordinamento.

In secondo luogo, dobbiamo occuparci di una ridistribuzione dei poteri. Non vogliamo cedere a un’eccessiva febbre demografica che ci taglierebbe fuori dalla realtà economica mondiale, ma riteniamo che nella fase attuale, le economie emergenti non siano adeguatamente rappresentate e che occorra ridistribuire il potere a loro vantaggio.

Infine, come il relatore, vorremmo vedere l’Europa parlare con una sola voce e agire di concerto. E’ veramente desolante vedere che l’Europa, che, fra tutti i suoi Stati membri, detiene praticamente il doppio dei voti degli Stati Uniti conti così poco nell’ambito dell’organizzazione. Possiamo compiere da subito i primi passi in direzione del seggio unico? Probabilmente no, ma occorre procedere verso modelli informali simili a patti d’azionariato, cominciando dalla zona euro, con l’obiettivo di far poi parlare con una voce sola l’Unione europea nel suo complesso. Queste sono le nostre preoccupazioni e non credo che contraddicano quelle dell’onorevole Hamon.

 
  
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  John Purvis, a nome del gruppo PPE-DE.(EN) Signor Presidente, vorrei anzitutto ringraziare l’onorevole Hamon per il modo piacevole in cui abbiamo lavorato assieme su questa relazione. E’ stato un esempio interessante e, spero, produttivo di collaborazione tra i nostri rispettivi gruppi.

Il gruppo PPE-DE vede con favore la revisione del Fondo monetario internazionale sulle proprie attività e sulla propria direzione futura. Il Fondo svolge da oltre 60 anni un importante ruolo nell’economia mondiale e desideriamo che continui a svolgerlo, ma per farlo deve tornare a concentrarsi sul suo compito principale, ossia quello di promuovere la stabilità finanziaria e sostenere i paesi che incontrano difficoltà a livello di bilancia dei pagamenti. Esso svolge un ruolo fondamentale nella supervisione del sistema monetario mondiale e aiuta a prevenire e a gestire le crisi. Occorre intensificare il suo ruolo di supervisione affinché si concentri sulla riduzione dell’instabilità finanziaria mondiale e sui suoi compiti di consulenza ai singoli paesi in tema di stabilità finanziaria, crescita economica, tassi di cambio e accumulo di riserve perché questi sono prerequisiti essenziali perché i paesi evitino e superino le difficoltà e le trappole della povertà.

Il Fondo è stato criticato per le condizioni a cui concede prestiti a paesi in ristrettezze economiche. Condivido le preoccupazioni di chi pensa che tali condizioni siano state a volte troppo rigide ma, in qualità di prestatore responsabile e depositario di fondi, l’FMI deve essere in grado di imporre le proprie condizioni quando presta denaro. I requisiti che esso richiede hanno lo scopo di migliorare la situazione economica di un paese aprendo i mercati e promuovendo politiche economiche ragionevoli, una sana gestione pubblica e finanziaria. Spesso, infatti, il Fondo rappresenta un utile capro espiatorio per i governi che sono costretti a far approvare riforme impopolari.

Per quanto concerne il ruolo dell’Europa nell’FMI, come l’onorevole Hamon ha osservato, l’UE attualmente è suddivisa in nove circoscrizioni (pensavo fossero dieci ma forse ha ragione a contarne nove) ed è priva di qualunque sembianza di posizione compatta nella definizione della politica del Fondo monetario internazionale. Pertanto, una prima priorità dovrebbe essere quella di un migliore coordinamento. Trovarsi in circoscrizioni diverse ha i suoi vantaggi, non da ultimo quello di avere maggiore potere di voto di qualunque altra parte del mondo e di poter meglio influire sui paesi extracomunitari all’interno di queste circoscrizioni, ma questo conta poco se i nostri Stati membri sono disorganizzati. Un seggio unico per l’Unione europea non è un obiettivo realistico ora come ora, anche se rappresenta un’aspirazione a lungo termine, ma si potrebbero subito ottenere risultati migliori coordinando meglio le posizioni degli Stati membri.

Il mio gruppo presenterà alcuni emendamenti e alcune votazioni per parti separate per contribuire a migliorare la relazione dell’onorevole Hamon che, nel complesso, speriamo di appoggiare.

 
  
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  Ieke van den Burg, a nome del gruppo PSE. (EN) Signor Presidente, desidero ringraziare il relatore e gli altri gruppi per la loro collaborazione in commissione. Spero che la decisione di rinviare la votazione su questa relazione rappresenterà un’opportunità per valutare quali emendamenti, fra quelli presentati, migliorano la relazione e quali hanno l’effetto opposto. Forse, nel frattempo, riusciremo a trovare qualche compromesso.

Convengo inoltre sul fatto che questo dibattito e questa relazione giungono al momento giusto, data l’attuale revisione strategica del Fondo monetario internazionale e il fatto che il Comitato economico e finanziario ha prodotto un documento che sarà discusso al Consiglio ECOFIN. Anche per noi, il ruolo dell’FMI ha un significato centrale per il rafforzamento della stabilità e della solidità del sistema finanziario internazionale, tuttavia vorremmo anche che venisse dato maggiore rilievo e attenzione agli aspetti inerenti alle politiche sociali e pubbliche, ed è per questo che il mio gruppo ha presentato nuovamente alcuni emendamenti precedenti.

Sulla questione delle circoscrizioni e del seggio unico, avete entrambi accennato a come potremmo rafforzare la voce dell’Europa di fronte alle altri parti del mondo. Il relatore conosce le mie osservazioni in questa discussione circa la situazione di Paesi Bassi, in particolare, e Belgio, i quali si trovano in una circoscrizione più grande e sono soggetti a effetti di questo tipo. Tuttavia, credo che potremmo cercare di arrivare a una buona formulazione sul rafforzamento della voce europea e di quella dei paesi meno sviluppati, in particolare nella struttura.

L’altro emendamento su cui vorremmo richiamare l’attenzione è quello relativo alla trasparenza e al dialogo con le ONG. In questo campo, il Fondo potrebbe imparare da molte altre istituzioni internazionali, compresa la nostra Banca europea per gli investimenti, a migliorare il dialogo con le ONG, e la consultazione delle stesse nel loro lavoro. Potrebbe essere importante sottolineare questo tema, oltre a quello della responsabilità dei rappresentanti UE in seno al Fondo monetario internazionale. Crediamo che il Parlamento europeo possa avere un ruolo in tale ambito a seguito di questo dibattito e speriamo di riuscire a concordare metodi e strutture, come l’apposito gruppo di lavoro proposto nei nostri emendamenti, per far sì che questa discussione dia i suoi frutti.

 
  
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  Diamanto Manolakou, a nome del gruppo GUE/NGL. – (EL) Signor Presidente, il moltiplicarsi delle crisi finanziarie, l’aumento del numero dei paesi poveri e la crescita esponenziale del debito dimostrano che il Fondo monetario internazionale è il principale strumento di promozione degli interessi imperialistici. Si tratta di un’organizzazione internazionale al servizio del capitale, che lo impiega per imporre le sue scelte sulle popolazioni dei paesi che necessitano di prestiti, con il solo pretesto della stabilità valutaria e di uno sviluppo equilibrato.

L’FMI pratica il ricatto politico contro i paesi che necessitano dei suoi prestiti, imponendo ignobili condizioni su tutte le politiche pubbliche e il taglio della spesa pubblica, in particolare nel campo dell’istruzione, della sanità, della previdenza sociale e in ogni settore che influisce sul pareggio del bilancio. La politica di severa austerità e le inaccettabili condizioni sociali imposte ai paesi che si rivolgono a esso sono concepite per proteggere i prestatori e salvaguardare i loro capitali, i loro privilegi e i loro utili. Il Fondo si distingue per il suo disprezzo per le conseguenze sociali e le sue riunioni sono contrassegnate da proteste generali e manifestazioni di massa.

Tuttavia, non sono le proteste che lo stanno convincendo a intraprendere una revisione strategica. Al contrario, il Fondo adotterà un approccio ancora più aggressivo nei confronti degli interessi dei lavoratori a seguito di una revisione che ne adeguerà la struttura, l’amministrazione e l’azione, oltre che i settori di intervento diretto e indiretto nella nuova realtà emersa dal rovesciamento dei regimi socialisti e dai mutati equilibri tra i centri imperialisti e i nuovi obiettivi dell’imperialismo. Tutto questo ingenererà uno sfruttamento ancora maggiore dei lavoratori e delle risorse portatrici di ricchezza, naturalmente sotto l’egida delle Nazioni Unite.

L’Unione europea, o in altre parole il capitale euro-unificante, sta cercando di partecipare in modo congiunto e coordinato al Fondo monetario internazionale per aumentare la propria parte di influenza e di profitto, non per cambiare politica, visto che promuove una politica simile tramite ristrutturazioni capitalistiche e la strategia di Lisbona e mercificando i bisogni fondamentali della gente comune.

Gli emendamenti amministrativi proposti non sono nient’altro che un trucco per tentare di nascondere la verità. Soltanto la lotta dei popoli contro l’imperialismo e le sue istituzioni e contro le scelte del capitale può produrre mutamenti basati su relazioni paritarie e su vantaggi reciproci finalizzati a ottenere uno sviluppo che garantisca il benessere della gente comune.

 
  
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  Nigel Farage, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, questo dibattito va dritto al cuore della funzione dell’Unione europea.

Nel Regno Unito, e sicuramente in molti altri paesi, l’argomentazione cui si ricorreva all’inizio della nostra adesione e cui si continua ricorrere è che facciamo parte dell’UE per poter esercitare una maggiore influenza nel mondo parlando con una voce sola. Bene, guardo all’OMC, guardo ai negoziati commerciali in cui ormai nessuno Stato può parlare singolarmente a proprio nome. Cosa vedo? Vedo un Vertice di Hong Kong fallito a dicembre, nonostante la generosa offerta avanzata dagli americani, e vedo una situazione in cui sicuramente la terza nazione più importante del globo in ambito commerciale avrebbe potuto ottenere migliori risultati da sola.

Questa proposta di un seggio unico per l’Europa certamente non piacerà alla Regno Unito, alla Danimarca o alla Svezia. Noi non abbiamo nemmeno aderito all’euro. Per quanto riguarda il Regno Unito, il 1976, anno in cui ci presentammo all’FMI umili e sottomessi, è un vago e confuso ricordo. Un unico seggio in seno all’FMI non è una questione di logica economica, ma di natura puramente politica. Si tratta semplicemente di trasformare l’Unione europea in un superstato internazionale. Come abbiamo sentito in uno o due dei precedenti interventi, si tratta di formare un blocco da opporre all’America. Si sta applicando la stessa logica anche altrove a proposito del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Mi chiedo, considerando ad esempio il Regno Unito, la Francia, la Germania o qualunque altro paese, esercitiamo una maggiore influenza nel mondo in 25, parlando con una voce sola? Oppure la nostra influenza è maggiore se siamo in grado di avanzare le nostre opinioni e di parlare a nome del nostro popolo? Io la risposta la conosco, ma sospetto che la maggioranza dei deputati di questa Assemblea no.

 
  
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  Peter Baco (NI). – (SK) Più di cinque anni fa, le autorità finanziarie, tra cui il finanziere George Soros, già lanciavano ammonimenti e invitavano i governi del mondo ad adottare provvedimenti volti a conferire stabilità e trasparenza ai mercati finanziari.

La risoluzione proposta dal Parlamento europeo sulla strategia da seguire per la revisione del Fondo monetario internazionale è pertanto corretta nell’evidenziare il ruolo di questa istituzione internazionale quale garante della stabilità finanziaria. Il progetto di risoluzione evidenzia anche, giustamente, che questa funzione non è stata pienamente attuata, causa la mancanza di una supervisione mondiale trasparente sul processo di standardizzazione nell’ambito dei mercati finanziari. La piena attuazione di questa funzione da parte dell’FMI avrebbe certamente un positivo impatto sulla stabilità dei mercati finanziari.

Le crescenti pressioni nei mercati finanziari derivano anche dal costante aumento nel volume degli scambi di strumenti derivativi, dove gli Stati Uniti d’America svolgono un ruolo predominante. Il volume di tali scambi è da tempo di gran lunga superiore al volume dei trasferimenti di denaro tangibile. L’andamento in questo settore può pertanto divenire una bomba ad orologeria per le borse mondiali e per l’intera economia mondiale, e credo che la nostra relazione dovrebbe dare decisamente maggior risalto a questo punto. Per questo motivo appoggerò la risoluzione proposta dal relatore, l’onorevole Hamon. Vorrei anche esprimere la mia gratitudine per il suo operato.

 
  
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  Cristóbal Montoro Romero (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, signor Commissario, in primo luogo, questa relazione giunge al momento opportuno, poiché il Fondo monetario internazionale e altri organismi multilaterali ci accompagnano da alcuni anni ormai, svolgendo il compito di disciplinare le condizioni dell’economia mondiale.

Penso che si tratti di una storia di successo. Un successo relativo, come tutti i successi, ma comunque un successo, onorevoli colleghi, anche rispetto al funzionamento dell’FMI, che oggi ha superato il tipo di crisi mondiali che abbiamo conosciuto nella storia dei paesi sviluppati e in via di sviluppo.

L’accento posto dal Fondo monetario internazionale sulla stabilità macroeconomica è fondamentale per promuovere le pari opportunità per tutti nell’ambito dello sviluppo economico. Oggi riteniamo fondamentale che lo sviluppo economico sia fondato su una solida bilancia dei pagamenti, sul controllo dell’inflazione e sul pareggio del bilancio nei paesi in via di sviluppo. Uno stato florido delle finanze pubbliche è fondamentale per creare un clima di fiducia e, in ultima istanza, per consentire a uno Stato di progredire e sviluppare livelli di benessere più elevati e, a sua volta, di promuovere la crescita economica. Da quel punto di vista, la nostra relazione deve porre un forte accento sulla stabilità.

Rispetto alla presenza dell’Unione europea, non dobbiamo dimenticare i problemi che siamo chiamati ad affrontare nell’ambito dell’Unione in termini di coordinamento e, pertanto, benché nel medio e lungo periodo dobbiamo progredire fino a parlare con una voce sola nell’ambito del Fondo monetario e delle altre organizzazioni multilaterali che disciplinano l’economia mondiale, dobbiamo agire con prudenza e discrezione, come ha sottolineato l’onorevole Purvis, tenendo presente che, al momento, procediamo in un ambito in cui i nostri diversi paesi sono rappresentati in categorie diverse.

Inoltre, è importante per noi, come nel caso della Spagna, sostenere gran parte dell’America centrale e dell’America latina, al fine di tenere in maggior conto lo sviluppo economico di una regione fondamentale come quella e garantire un equilibrio allo sviluppo mondiale, oltre ad assicurare sviluppo e pari opportunità ai paesi latinoamericani.

La relazione in esame, quindi, rappresenta una possibilità per il Parlamento di esprimere la propria opinione e, da questo punto di vista, spero anche che riusciremo a ottenere il maggior consenso possibile. Auspico inoltre che questa relazione dia un contributo positivo alla definizione del ruolo che le organizzazioni multilaterali sono chiamate ad assumere nelle moderne economie.

 
  
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  Manuel António dos Santos (PSE).(PT) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, vorrei porre una serie di domande in merito a questa relazione. Molte di queste, tuttavia, sono già state trattate, perciò mi limiterò a un paio di esse.

Vorrei ricordare che il 12 aprile 2005 quest’Assemblea ha adottato un’importante risoluzione che definisce il ruolo dell’Unione europea nella realizzazione degli Obiettivi di sviluppo del Millennio. Questo impegno dell’UE a estirpare la povertà è stato ripetuto in innumerevoli occasioni, il che, oltre ad essere prova di coerenza, conferisce forza e contenuto a politiche specifiche volte a favorire lo sviluppo mondiale.

Ora, è anche in questo quadro che dobbiamo analizzare la relazione di iniziativa dell’onorevole Hamon, che è notevole per le informazioni che fornisce e per le soluzioni che traccia in vista della fondamentale riforma strategica del Fondo monetario internazionale.

Le preoccupazioni e gli impegni della comunità internazionale rispetto agli Obiettivi di sviluppo devono essere imputabili, almeno a livello di strumenti, anche all’FMI e il pieno sfruttamento delle sue potenzialità in vista di quegli obiettivi esige una profonda trasformazione dell’azione del Fondo nei confronti dei paesi debitori.

Quali che siano i giudizi che formuliamo sul Fondo monetario internazionale dalla sua nascita, nel 1944, è indubbio che quest’istituzione sta attraversando oggi una crisi di legittimità, sia rispetto alla natura e alla portata delle sue raccomandazioni e alle politiche di aggiustamento strutturale, sia riguardo alla ripartizione dei diritti di voto e alla rappresentanza marginale dei paesi emergenti e in via di sviluppo.

Ciò mi porta alla seconda questione, quella della dimensione europea. Nutro grandi speranze in merito. Benché riconosca le difficoltà già illustrate di impostare subito una rappresentanza e un seggio unici, sono chiaramente favorevole a tale prospettiva. Tuttavia questo è un problema politico che mi è stato riferito in tono critico da un deputato intervenuto prima di me. Si tratta effettivamente di una questione di scelta ed è un problema politico interno all’Unione europea stessa.

E’ l’Unione europea che deve creare, fin dall’inizio, condizioni di conciliazione e di coordinamento per meritare questa rappresentanza unica in seno al Fondo monetario internazionale.

Una cosa è certa: una sola voce coerente e forte da parte dell’Europa in seno all’FMI è un requisito indispensabile per un vera politica di cooperazione.

Questo è il sunto del messaggio dell’onorevole Hamon e io lo appoggio pienamente.

 
  
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  Jonas Sjöstedt (GUE/NGL).(SV) Signor Presidente, vorrei in primo luogo ringraziare il relatore per la sua relazione, che nel complesso è costruttiva. Condivido la maggior parte delle opinioni ivi espresse. La relazione contiene una critica, misurata, ma nondimeno chiara, nei confronti del programma strutturale del Fondo monetario internazionale e delle condizioni imposte ai paesi beneficiari. Tale critica è di importanza cruciale perché questa politica ha, in effetti, aggravato la povertà e peggiorato i problemi sociali in molti paesi. Pertanto è essenziale che le tematiche evidenziate dalla relazione, ovvero la lotta alla povertà e l’esigenza di raggiungere gli Obiettivi del Millennio, siano inserite come obiettivi predominanti della politica del Fondo. In prospettiva, questo tipo di istituzione dovrebbe senza dubbio entrare a far parte del sistema delle Nazioni Unite e di una politica di sviluppo coerente.

Anch’io mi associo nel criticare uno scarso livello di democraticità all’interno dell’FMI. Un fattore cruciale in questo settore è conferire ai paesi in via di sviluppo maggiore potere, e, ciò che forse è più importante, è la loro esigenza di ottenere un numero più equo di voti durante i processi decisionali. Democratizzazione, tuttavia, deve significare anche che un rappresentante di un paese in via di sviluppo possa essere nominato Amministratore delegato. Questa carica non dovrebbe andare automaticamente a un esponente di uno dei paesi più ricchi. Anche il controllo democratico all’interno dell’UE deve aumentare, ma dovrebbe essere esercitato dai parlamenti nazionali. Non penso che sarebbe giusto trasferire il potere sulla politica dell’FMI alle Istituzioni dell’Unione europea, e pertanto mi oppongo all’emendamento n. 5. Penso che la politica nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio sia un esempio eclatante di carenza di controllo democratico sulla politica comunitaria.

Da molti anni prevale la tendenza a conferire una fiducia indebita alla deregulation e alla libera speculazione valutaria. La maggior parte dei movimenti valutari è di natura sostanzialmente speculativa. Per ottenere la stabilità macroeconomica, è necessario tutelarsi da queste tendenze, sia a livello nazionale che internazionale.

Abbiamo presentato un nostro emendamento che, suppongo, si unisce alle richieste di maggiore democrazia in seno al Fondo monetario e che mira ad aumentare i controlli; speriamo che venga adottato. Voteremo contro la proposta avanzata dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dai Democratici europei, ma a favore della maggior parte delle proposte presentate dal gruppo socialista al Parlamento europeo.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (NI).(PL) Signor Presidente, di solito a quest’Assemblea non piace parlar chiaro. Tendiamo a preferire eufemismi e sottigliezze diplomatiche, ma oggi mi arrischierò a dire le cose come stanno. La relazione in esame rappresenta fondamentalmente un’aspra critica al Fondo monetario internazionale.

Oggi, il Parlamento europeo ha la possibilità di dire ciò che i critici del Fondo dicono da anni. La relazione fa bene a evidenziare il fatto che, cito, “le politiche di stabilizzazione attuate dall’FMI non sempre hanno conseguito gli obiettivi preventivati e che una stabilizzazione troppo drastica delle economie è suscettibile di provocare adeguamenti sociali indesiderati”. Concordiamo anche sul fatto che, cito, “la loro verifica deve essere oggetto di un controllo democratico trasparente”.

Il Fondo talvolta agisce come se si trovasse in mezzo alla giungla, benché si tratti di una giungla di cui esso stesso ha creato le regole.

Il numero delle condizioni che i paesi poveri devono soddisfare per poter accedere agli aiuti aumenta di anno in anno. Un esempio è rappresentato dall’assurda situazione in cui si trovano i paesi dell’Africa subsahariana, i quali devono soddisfare una media di 114 condizioni per ottenere l’accesso ai prestiti.

Il relatore ha giustamente posto l’accento sull’esigenza di creare nuovi strumenti finanziari. Il Fondo ha troppe priorità nell’ambito della riduzione del debito dei paesi più poveri. L’FMI deve ritornare al suo ruolo originario. Il suo principale scopo era la stabilità mondiale dei tassi di cambio, e dovrebbe esserlo ancora oggi, come ricordato poco fa da uno degli oratori che mi ha preceduto.

Nella sua relazione, l’onorevole Hamon dichiara giustamente che l’ampliamento dei compiti del Fondo non è stato accompagnato da una sostanziale riforma della gestione dello stesso, abbiamo perciò il diritto di chiedere di aumentarne la legittimità.

Il relatore sottolinea, giustamente, che il Fondo, e cito, “talvolta non è riuscito ad evitare che le crisi si diffondano e diventino ricorrenti”.

Noi condividiamo assolutamente le critiche rivolte al Fondo. Concordiamo che la sua politica non tiene conto del fatto che l’inflazione non è il solo problema economico che i paesi in via di sviluppo devono affrontare e che il Fondo dovrebbe concentrarsi sugli obiettivi della stabilità macroeconomica e della crescita sostenibile. Infine, siamo soddisfatti delle conclusioni tratte dalla relazione, ovvero che la stabilità macroeconomica non esclude un’equa distribuzione della crescita.

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. (ES) Signor Presidente, vorrei semplicemente ringraziare ancora il relatore e i componenti delle commissioni che hanno contribuito a scrivere questa relazione, la quale, come ho osservato nel mio discorso iniziale, mi sembra utilissima.

Vorrei sottolineare l’importanza della discussione in corso che, si spera, in occasione della riunione del Fondo a Singapore, a settembre, porterà a una ridistribuzione delle quote, cui sarà connessa una ridistribuzione dei diritti di voto e quindi della gestione del Fondo, un elemento sicuramente suscettibile di miglioramenti.

Reputo importante che la voce europea contribuisca a creare una chiara strategia di miglioramento per la governance del Fondo e a far rappresentare i diversi Stati negli organi direttivi del Fondo, in base a criteri equi.

Vorrei sottolineare, e credo che ne converrete a stragrande maggioranza, l’importanza di un maggior coordinamento dei paesi dell’Unione europea circa le posizioni adottate dagli Stati membri in seno al Fondo.

Se vogliamo che il coordinamento delle politiche economiche progredisca, se vogliamo che vi sia una maggiore integrazione tra i diversi Stati membri nel mercato interno e nell’Unione economica e monetaria e se vogliamo che l’influenza esterna dell’Europa includa anche una dimensione economica, è importante che la dimensione economica esterna dell’Unione europea sia rispecchiata anche nelle delibere e nelle discussioni del Fondo monetario.

Credo che il ruolo del Parlamento europeo rispetto al Fondo monetario evolverà migliorando il coordinamento della voce dell’Europa all’interno delle istituzioni del Fondo finché, alla fine (sono convinto che vi arriveremo, anche se non nel breve periodo) avremo una voce sola e una sola rappresentanza all’interno del Fondo monetario per i paesi aderenti alla moneta unica europea. Questo non avverrà oggi, o domani, ma si tratta di una direzione che credo sia inevitabile e auspicabile.

Infine aggiungerò che è stata menzionata l’esigenza, da me condivisa, che il Fondo monetario agisca in armonia con le strategie delineate anche in altri campi da organizzazioni multilaterali e, in particolare, dalle organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite.

Credo che dobbiamo essere lieti del fatto che il Fondo monetario sia coinvolto e impegnato a raggiungere gli Obiettivi del Millennio. Conseguirli rappresenta uno degli obiettivi fondamentali della comunità internazionale. Credo che il coinvolgimento e l’impegno del Fondo, che forse sarebbero stati difficili da immaginare quindici anni fa, siano oggi una realtà.

 
  
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  Presidente. La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà nella tornata di marzo.

Dichiarazione scritta (articolo 142)

 
  
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  Lars Wohlin (IND/DEM).(SV) Il Consiglio di amministrazione dell’FMI è composto da 25 persone, ognuna delle quali rappresenta un singolo paese o un gruppo di paesi. I paesi dell’UE sono rappresentati singolarmente o come membri di nove di questi gruppi.

Il gruppo nordico comprende i paesi nordici e gli Stati baltici, pertanto include paesi come la Norvegia e l’Islanda, che non aderiscono all’UE.

Il ruolo del Fondo monetario internazionale è mutato dalla sua creazione, nell’immediato secondo dopoguerra. Operando nell’ambito di un sistema di tassi di cambio fissi, fin dall’inizio le sue principali mansioni sono state, da un lato, aiutare i paesi con problemi a livello di bilancia dei pagamenti a finanziare temporaneamente i disavanzi nella bilancia dei pagamenti correnti e, dall’altro, di verificare che i paesi in questione si prendessero cura delle loro economie in modo adeguato. Era anche importante che i paesi non svalutassero la loro moneta per acquisire competitività. Oggi, i paesi dell’euro, grazie alla Banca centrale europea, svolgono più o meno lo stesso ruolo del Fondo monetario internazionale. I paesi della zona euro hanno tassi di cambio fissi. Gli eventuali crediti agevolati concessi agli Stati della zona euro che attraversano crisi finanziarie devono essere gestiti nel novero di questi paesi.

I paesi al di fuori della zona euro hanno tassi di cambio fluttuanti e pertanto non si ritrovano con problemi di bilancia dei pagamenti. Inoltre hanno anche un migliore controllo del proprio indice di indebitamento. Sarebbe naturale che i paesi della zona euro formassero un gruppo comune all’interno del Fondo monetario internazionale, con una sede unica. I paesi UE al di fuori della zona euro non dovrebbero far parte di questo gruppo, né vi è ragione per cui la Svezia dovrebbe far parte di un gruppo UE unico. Se così fosse, dovremmo anche perdere la capacità di influenzare attivamente le relazioni dell’FMI con i paesi in via di sviluppo.

 

13. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale

14. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (articolo 115 del Regolamento del Parlamento) (discussione)

14.1. Patrimonio culturale in Azerbaigian
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  Presidente. L’ordine del giorno reca la discussione su sei proposte di risoluzione sul patrimonio culturale in Azerbaigian.

 
  
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  Justas Vincas Paleckis (PSE), autore. (LT) Signor Presidente, in generale, purtroppo, in varie parti del mondo, la distruzione di monumenti storici è conseguenza o preludio dello sterminio di esseri umani. Appoggio dunque la risoluzione e l’idea che dobbiamo ribadire la nostra posizione in merito alla distruzione del patrimonio culturale in Azerbaigian. Nei conflitti come quello che contrappone l’Azerbaigian all’Armenia, è difficile attribuire la colpa a una sola parte in causa. Lì i monumenti storici sono distrutti a causa del conflitto nel Nagorno-Karabakh, che in 18 anni ha mietuto 25 000 vittime e trasformato in profughi un milione di abitanti. Né l’aggressione, la provocazione da una parte o dall’altra né la profanazione del patrimonio culturale contribuiranno a risolvere questo conflitto che vede le parti trincerate dietro le proprie posizioni. Le fiamme potranno essere sedate soltanto se le parti in causa ricercheranno il negoziato, troveranno un linguaggio politico comune e daranno prova di buona volontà al fine di accostarsi all’Unione europea. Secondo recenti sondaggi, una parte notevole della popolazione in ambedue gli Stati desidera che il conflitto sia controllato quanto prima. Gli Stati che intendono svolgere un ruolo attivo nella politica di prossimità dell’Unione europea devono semplicemente salvaguardare in maniera adeguata il patrimonio culturale delle minoranze.

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE), autore. – (EN) Signor Presidente, la distruzione e la profanazione di un cimitero da parte di chiunque, in qualsiasi luogo, è un atto di barbarie. Se poi tale cimitero è anche un monumento di particolare rilevanza archeologica, allora fa pure parte del nostro patrimonio internazionale comune e la sua distruzione rappresenta anche un crimine contro l’umanità.

Il cimitero armeno di Giulfa è un cimitero cristiano di eccezionale importanza storica e culturale. Negli ultimi anni, ignorando il risentimento internazionale, i governi azerbaigiani, per atto di omissione o, più probabilmente, di commissione, si sono resi responsabili della distruzione sistematica di tale monumento. Si ritiene che gli autori effettivi di tale atto esecrabile siano forze azerbaigiane e civili fanatici islamici.

E’ assolutamente inaccettabile che l’ambasciatore azerbaigiano a Bruxelles abbia recentemente inviato messaggi di posta elettronica a europarlamentari attaccando personalmente con veemenza uno degli autori della presente risoluzione e cercando di denigrare e insultare l’integrità e la saggezza di questo Parlamento.

Vi esorto caldamente a votare a favore della risoluzione trasmettendo in tal modo un messaggio molto chiaro in merito ai nostri sentimenti di preoccupazione e riprovazione al governo dell’Azerbaigian per la distruzione del cimitero di Giulfa.

 
  
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  Charles Tannock (PPE-DE), autore. – (EN) Signor Presidente, la presunta devastazione, nel dicembre 2005, del cimitero medievale armeno di Giulfa – noto anche storicamente come Jugha – con la distruzione di molti khatchkar, splendide steli funerarie incise, rappresenta una grave profanazione del patrimonio cristiano europeo.

Secondo quanto affermato dal governo azerbaigiano, il filmato che documenta tale scempio è propaganda armena fraudolenta. Io invece ho ricevuto una conferma indipendente da un architetto britannico, Steven Sim, esperto della regione, che assicura che il filmato è vero . Inoltre, se non vi è stata distruzione, perché gli azerbaigiani negano la possibilità di visitare i luoghi, sostenendo peraltro, cosa alquanto bizzarra, che l’atto potrebbe essere stato compiuto da saccheggiatori in cerca di materia prima per eseguire lavori di costruzione?

Steven Sim ha ribadito che per raggiungere il cimitero occorre attraversare il territorio controllato dall’esercito azerbaigiano, il che è praticamente impossibile senza sostegno ufficiale e palesemente viola il loro dovere di assicurare la protezione del sito.

L’ambasciata azerbaigiana mi ha anche informato che tale distruzione non è nulla a confronto della distruzione di alcune moschee azerbaigiane, e ho effettivamente ricevuto fotografie di moschee distrutte. E’ innegabile il fatto che nel 1991, nella zona di guerra, siano state distrutte moschee, e atti del genere vanno condannati senza riserve. Ritengo tuttavia che le fotografie inviatemi testimonino la distruzione avvenuta 15 anni fa, non 3 mesi fa. Inoltre, il sito di Giulfa nel Nakhichevan non ha mai fatto parte della zona di guerra. A ciò si aggiunge che mi è pervenuta una comunicazione secondo cui le autorità nel Nagorno-Karabakh avrebbero recentemente approvato un progetto per la ricostruzione delle moschee distrutte nel loro territorio.

Ora siamo in un momento critico dei negoziati tra i due presidenti, Kocharian e Aliev, a Rambouillet, in Francia, per la ricerca di una soluzione alla controversia nel Nagorno-Karabakh. Credo dunque che qualsiasi ulteriore atto ipotizzato di distruzione del patrimonio armeno non possa in alcun modo condurre a una pace duratura nella regione.

 
  
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  Marcin Libicki (UEN), autore. – (PL) Signor Presidente, non vi è dubbio quanto al fatto che tutti i monumenti storici nel mondo facciano parte del nostro patrimonio comune e non dovrebbero essere vittime di circostanze politiche o, soprattutto, guerre.

Vi sarei grato se mi lasciaste raccontare un aneddoto personale. Quando mi sono recato in Armenia qualche anno fa e ho avuto modo di vedere tutti i monumenti e le chiese sopravvissuti sino ad oggi dall’inizio del Medioevo, mi è tornata in mente una mia precedente visita in Spagna, all’altro capo del mondo cristiano, un migliaio di chilometri a ovest. Sono rimasto impressionato da quanto fossero simili i monumenti nelle due regioni.

Erano tutti monumenti risalenti alla cultura del primo Medioevo. Noi siamo responsabili di tutti i monumenti del mondo. Nondimeno, i monumenti europei che testimoniano il passato culturale e l’unità dell’Europa dovrebbero starci particolarmente a cuore, si trovino essi nella remota parte orientale dell’Armenia, ai confini occidentali della Spagna o in qualunque altro luogo tra i due.

Mi pare che gli eventi ai quali ora stiamo assistendo siano particolarmente angoscianti perché i monumenti distrutti sono più di una semplice parte del patrimonio europeo. Appartengono infatti a tutto il mondo, e la responsabilità dell’Azerbaigian risulta del tutto evidente se, come affermava poc’anzi l’onorevole Tannock, ci domandiamo perché gli azerbaigiani non consentano ad alcuno di visitare tali luoghi e valutare sul posto l’entità dei danni. Fortunatamente, sappiamo ciò che è accaduto a seguito delle barbare decisioni prese dagli uomini al potere nella regione e disponiamo di prove filmate dei danni.

Dobbiamo adottare la presente risoluzione vigilando poi su ciò che accade. I passi da compiere non possono limitarsi alle parole, per quanto nobili siano. Alle parole devono seguire azioni e ci aspettiamo che l’Azerbaigian agisca.

 
  
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  Marie Anne Isler Béguin (Verts/ALE), autore. – (FR) Signor Presidente, è essenziale ricordare l’importanza dell’impegno dell’Unione europea nel Caucaso meridionale, regione ancora tormentata da conflitti congelati, ma altamente strategica e incontestabilmente europea. Sappiamo che la signora Commissario Ferrero-Waldner è attualmente in visita ufficiale nella regione, ma io vorrei lanciare un appello in particolare ai parlamentari e al senso di responsabilità.

In un momento in cui l’Unione europea sta negoziando piani di azione con ciascun paese per promuovere la stabilità della regione, l’Armenia e l’Azerbaigian sono entrati in una fase delicata, ma carica di speranze, dei negoziati di pace per quanto concerne il conflitto nel Nagorno-Karabakh. I presidenti Aliev e Kocharian si sono incontrati la scorsa domenica a Rambouillet sotto l’egida del gruppo di Minsk dell’OSCE e la riuscita del processo riveste la massima priorità in quanto potrebbe condurre indirettamente a una risoluzione degli altri conflitti nella regione. E’ dunque un prerequisito fondamentale per la stabilizzazione generale dell’area.

Vista la situazione, onorevoli colleghi, pensate realmente, nel profondo del vostro animo, che ora sia il momento di gettare olio sul fuoco eliminando, come propongono gli emendamenti, i paragrafi che giustamente consentono un approccio equilibrato alla risoluzione comune che noi tutti abbiamo negoziato insieme avantieri? Abbiamo già condannato la distruzione del cimitero di Giulfa nella relazione dell’onorevole Tannock di gennaio e continuiamo a condannarla. Tuttavia, onorevoli colleghi, non possiamo tralasciare il contesto globale del conflitto congelato tra l’Armenia e l’Azerbaigian, responsabile di migliaia di morti e profughi; le ferite sono ancora aperte. Possiamo forse ignorare il fatto che il 20 per cento del territorio azerbaigiano è considerato dall’Armenia una zona cuscinetto del Nagorno-Karabakh e che vari simboli del patrimonio culturale e religioso di questi territori occupati sono stati anch’essi distrutti? E’ giunto il tempo di porre fine a questa pericolosa escalation. Sarebbe sconsiderato negare che le parti coinvolte in un conflitto ne sono parimenti responsabili e fare riferimento unicamente alla distruzione causata da una sola parte, così come sarebbe contrario all’impegno da noi assunto di sostenere gli amici armeni e azerbaigiani nel desiderio di comporre le loro differenze.

Infine, la presente risoluzione giunge in un momento di accresciute tensioni tra il mondo musulmano e quello occidentale. Un testo debole potrebbe ridurre tali eventi a un semplice scontro tra i mondi cristiano e musulmano. Vi prego dunque di non fornire argomentazioni agli estremisti di ogni fazione votando per una risoluzione che, se fosse emendata assecondando alcune proposte, sarebbe ingiustamente di parte. E’ una questione di coscienza personale, ma sono in gioco anche la credibilità del Parlamento europeo e, più in generale, le attività dell’Unione europea nella regione.

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL), autore. (NL) Signor Presidente, nei giorni in cui erano al potere gli zar russi, il Transcaucaso era una delle zone conquistate ai margini dell’Impero, dove i territori di georgiani, armeni e azerbaigiani non erano chiaramente definiti e dove i popoli non vivevano in pace uno con l’altro, ma erano soggetti alla legge antidemocratica dello Stato russo.

Si sono dovuti attendere gli anni ’20 perché i tre popoli fossero separati amministrativamente l’uno dall’altro, ciascuno con un proprio territorio. Sebbene ciò fosse necessario per garantire pace, sviluppo e stabilità, in tale processo si sono dovute assegnare zone miste a uno dei gruppi coinvolti nei conflitti. Adesso noi assistiamo agli effetti che ciò ha comportano in aree minoritarie come l’Ossezia meridionale o l’Abkhazia e, soprattutto, nel Nagorno-Karabakh e nel Nakhichevan, sotto l’influenza sia armena che azerbaigiana.

Forte è la tentazione non solo di ricacciare da tali zone quanti appartengano ai popoli confinanti, ma anche di distruggerne gli edifici storici, i luoghi di preghiera e sepoltura, cancellandone per sempre i ricordi. Ora che non esiste più un’Unione sovietica che possa imporsi e gestire tali sommovimenti, è diventato ancor più importante che il resto dell’Europa contribuisca a garantire che i popoli confinanti convivano nella pace e nel rispetto reciproco in quelli che adesso sono Stati indipendenti.

 
  
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  Ioannis Kasoulides, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, per gli armeni – vittime del genocidio e dell’espulsione massiccia dalle terre natie – testimoniare la distruzione del proprio patrimonio culturale è forse l’ultimo capitolo del loro totale sradicamento. “Non sta accadendo nulla”, dicono le autorità azerbaigiane. Io so che non c’è fumo senza incendio. Questo diniego assoluto mi ricorda la negazione totale del fatto che il genocidio sia mai avvenuto, asserendo che si tratta di una finzione della fantasia armena.

In uno scambio di messaggi di posta elettronica, il consulente per gli affari politici dell’ambasciata azerbaigiana mi ha scritto, e cito, “non possiamo escludere che alcuni contadini poveri di livello culturale pari alla loro condizione possano segretamente utilizzare le pietre sottratte al cimitero per realizzare costruzioni o altre opere correlate”.

Non so per certo chi siano gli autori di tali atti, ma non ho dubbi quanto al fatto che la responsabilità di tutelare l’integrità di tali monumenti sia azerbaigiana al 100 per cento.

 
  
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  Martine Roure, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signor Presidente, la cittadina di Giulfa in Azerbaigian è sede di un importante cimitero armeno unico dal punto di vista architettonico, cimitero che testimonia la storia di una regione in cui, fino al primo quarto del XX secolo, più dell’80 per cento degli abitanti era armeno. Il sito era stato abbandonato all’epoca sovietica e, nel 1998, le autorità locali hanno iniziato a distruggerlo. Allora, l’UNESCO si risentì notevolmente per tale decisione, risentimento che sfociò in una temporanea sospensione dell’intervento dei bulldozer. L’UNESCO è peraltro in contatto con le autorità competenti affinché proteggano tale patrimonio, poiché il danno arrecato al sito cimiteriale è stato molto grave.

Elementi di prova e recenti testimonianze oculari tenderebbero a confermare il sospetto che l’opera di distruzione sia ripresa nel dicembre 2005. Dovremmo dunque esortare quanto prima l’Azerbaigian a permettere che una missione si rechi sul luogo al fine di valutare le misure necessarie, nell’immediato e a medio termine, per preservare il sito, così ricco di storia e, cosa più importante, di ricordi e cultura che costituiscono il patrimonio di un popolo.

 
  
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  Urszula Krupa, a nome del gruppo IND/DEM. – (PL) Signor Presidente, l’odierna discussione sui diritti umani e la democrazia riguarda la salvaguardia del patrimonio culturale del popolo armeno, sul quale grava la minaccia di una totale distruzione. L’Armenia, che ha una popolazione di 4 milioni di persone, è cristiana dal 301 d. C., il che la rende il primo paese cristiano del mondo, fatto comprovato non solo da documenti storici, ma anche dalle migliaia di croci incise nelle pietre tombali, chiamate khatchkar, che sono state distrutte, proprio come sono stati distrutti altri tesori della cultura armena in Azerbaigian, Georgia e Turchia.

I khatchkar, termine che letteralmente contraddistingue croci di pietra aventi un’altezza compresa tra 0,5 e 3,5 metri, erano in basalto. Erano posti su una base cubica e la parte anteriore della stele, recante l’immagine della croce, era disposta in modo da essere rivolta a ovest. Gli armeni ravvisavano nei khatchkar un potere protettivo che li avrebbe salvaguardati dalle catastrofi naturali. Tali strutture, erette per commemorare eventi importanti, fungevano da elementi compositivi nelle costruzioni sacre, ma venivano anche impiegate come steli funerarie, sempre poste ai piedi del defunto.

Di recente è stato distrutto un cimitero a Giulfa, cimitero che risaliva al Medioevo ed era ubicato nella regione controllata dall’Azerbaigian. Lo scandaloso processo di devastazione e distruzione dei monumenti storici armeni è iniziato nel 1998, con l’annientamento di 800 croci di pietra come quelle che ho descritto poc’anzi, e sebbene temporaneamente sospeso dopo le proteste dell’UNESCO, è ripreso nel 2002. E’ probabile peraltro che la deprecabile distruzione del patrimonio culturale armeno stia avvenendo con il beneplacito del governo dell’Azerbaigian, il quale avrebbe inviato unità speciali dell’esercito per distruggere le lapidi recanti le croci armene.

Gli armeni sono perseguitati da secoli, hanno sofferto a causa di guerre, aggressioni e occupazioni, e sono una nazione con un ricco bagaglio di esperienze, sia come nazione che come popolo cristiano. Certo, anche gli azerbaigiani hanno vissuto distruzione e sofferenza, ma va detto con chiarezza che nessun conflitto può giustificare la distruzione del patrimonio culturale, lascito comune di tutta l’umanità.

La cultura è un’espressione di comunicazione tra popoli, di pensieri e azioni condivisi. E’ una conferma dell’umanità ed è un’eredità comune fondamentale per le comunità. Esortiamo dunque al rispetto del nostro lascito comune globale, a prescindere da ogni religione e origine.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (NI).(PL) Signor Presidente, ricordo le mie personali impressioni dell’Azerbaigian, di Baku e di quell’enorme edificio al centro della città, ossia l’albergo dove avevano trovato asilo gli azerbaigiani fuggiti dal Nagorno-Karabakh. Una vista spaventosa. E lì quelle stesse persone sono rimaste accampate per molti anni. Com’è ovvio, dunque, anche loro sono nei miei pensieri oggi e non soltanto i monumenti dei quali giustamente stiamo discutendo.

Concordo con l’onorevole Libicki nell’affermare che va da sé che i monumenti debbano essere protetti ovunque nel mondo, a prescindere dalla loro ubicazione geografica. Ritengo altresì che, ad ogni modo, la questione sia una sorta di tattica evasiva utilizzata dal governo dell’Azerbaigian. E’ un tentativo di evitare di affrontare l’assenza di democrazia, le recenti elezioni non molto democratiche, come anche il divieto imposto alla libertà democratica e alla libera espressione nel paese.

E’ giusto combattere per preservare i monumenti. E’ una battaglia dalla quale ritengo che non possiamo esimerci. Nel contempo, però, dovremmo anche promuovere la democrazia in Azerbaigian.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE).(FI) Signor Presidente, oggi intendiamo condannare la reiterata indifferenza dell’Azerbaigian nei confronti della Convenzione sul patrimonio mondiale dell’UNESCO. Tra l’altro, la distruzione del cimitero di Giulfa getta un’ombra sugli impegni assunti dal paese in quanto membro del Consiglio d’Europa. Trascorsi dodici anni dal principale conflitto tra Azerbaigian e Armenia, la posizione della minoranza armena in Azerbaigian è ancora molto instabile, soprattutto per quanto riguarda il rispetto per il suo patrimonio culturale. La distruzione del cimitero di Giulfa può essere paragonata, per esempio, alla distruzione in Afghanistan da parte dei talebani dei pilastri che raffiguravano il Buddha . E’ una questione di rispetto per il passato e la storia della razza umana.

A cosa può portare la condanna di tali eventi? Noi ancora speriamo che un’agenzia imparziale possa ispezionare i danni arrecati al cimitero di Giulfa e che le steli funerarie sopravvissute possano essere riparate. Speriamo inoltre che una protesta contribuisca a evitare la futura distruzione del patrimonio culturale. La devastazione subita dal cimitero di Giulfa è un crimine contro il patrimonio del popolo e, in quanto tale, va condannata. La distruzione di questi manufatti cristiani unici rappresenta una perdita insanabile per l’umanità.

(Applausi)

 
  
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  Joe Borg, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, in primo luogo vorrei ringraziare gli onorevoli parlamentari per tutti i loro interventi. La Commissione è stata informata della presunta distruzione di manufatti nel cimitero di Giulfa, nella Repubblica autonoma azerbaigiana di Nakhichevan. Sia l’Armenia che l’Azerbaigian hanno rilasciato il 22 dicembre 2005 una dichiarazione in occasione della 586a riunione del Consiglio permanente dell’OSCE e l’argomento è stato anche discusso in seno al Consiglio d’Europa il 1° febbraio 2006.

La protezione dei siti che rappresentano un patrimonio culturale mondiale nei paesi terzi esula dalle competenze della Commissione. Sappiamo tuttavia che l’Armenia si è appellata all’UNESCO chiedendo che venga inviata quanto prima una missione nel Nakhichevan.

La Commissione è perfettamente consapevole del fatto che episodi come la distruzione del cimitero di Giulfa, se confermati da fonti indipendenti, sono sintomatici e direttamente legati al perdurante conflitto sul Nagorno-Karabakh, che ha causato sfiducia e distruzione, oltre a mietere vittime da parte sia armena che azerbaigiana sin dall’inizio degli anni ’90.

La Commissione continuerà a utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione per persuadere le parti a ricercare una rapida composizione del conflitto e, una volta auspicabilmente raggiunto un accordo di pace, assisterle nella ricostruzione e nel risanamento della regione.

Il conflitto sul Nagorno-Karabakh è inaccettabile soprattutto oggi, in quanto sia Armenia che Azerbaigian partecipano alla politica di prossimità dell’Unione europea, politica prioritariamente volta a creare fiducia nella regione del Caucaso meridionale incoraggiando la cooperazione regionale in tutti i settori possibili e contribuendo alla pace, alla stabilità e alla prosperità ai confini di un’Unione europea allargata.

E’ un obiettivo ambizioso che cercheremo di conseguire anche attraverso l’attuazione dei piani di azione che la Commissione sta attualmente discutendo con l’Armenia, l’Azerbaigian e la Georgia. In tali documenti, chiediamo ai tre paesi del Caucaso meridionale di intraprendere una serie di passi per avvicinarsi all’Europa, e i documenti trattano un ampio ventaglio di temi, tra cui la cooperazione in materia di istruzione e cultura, nonché la salvaguardia del patrimonio culturale.

La Commissione vigilerà costantemente sull’attuazione dei piani di azione relativi alla politica di prossimità dell’Unione europea e i benefici che ne risulteranno saranno ovviamente subordinati ai risultati conseguiti nel loro ambito.

 
  
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  Presidente. La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà al termine della discussione.

 

14.2. Situazione nello Sri Lanka
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  Presidente. L’ordine del giorno reca la discussione su sei proposte di risoluzione sulla situazione nello Sri Lanka.

 
  
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  Robert Evans (PSE), autore. – (EN) Signor Presidente, sono certo che tutti si rendono conto della grande importanza di questo momento, a una settimana dal previsto inizio dei colloqui di pace.

Penso di essere l’unico tra i presenti ad aver visto di persona i danni causati dalla guerra nel nord e nell’est dello Sri Lanka: proprietà devastate e vite umane distrutte, sofferenze reali – soprattutto da parte dei tamil – e terribili attentati a Colombo, Kandi e in altre località dell’isola, l’archiviazione senza indagini dei decessi di molte personalità di spicco e di comuni cittadini. A tutto ciò si è aggiunto l’anno scorso lo tsunami, che ha accentuato la tragedia e la miseria del paese.

Ora esiste la possibilità concreta di far ripartire lo Sri Lanka. Mi auguro che tutti i partecipanti ai colloqui di pace si renderanno conto dell’importanza di questi ultimi, si assumeranno le loro responsabilità e saranno disponibili a compromessi, senza andare alla ricerca di recriminazioni. Nessuno nello Sri Lanka trarrebbe vantaggio da una ripresa del conflitto.

Personalmente deploro l’assenza dai colloqui di rappresentanti delle comunità musulmana e buddista e delle forze del colonnello Karuna, un’assenza che, credo, complicherà le cose. Il divieto di recarsi nell’Unione europea imposto ai membri dell’LTTE crea una situazione alquanto anomala, che ci costringe a tenere i colloqui a Ginevra o in Norvegia. In ogni caso, il Parlamento europeo dovrebbe fare tutto quanto in suo potere, insieme con la Commissione e il Consiglio, per favorire e non per ostacolare i colloqui.

Formulo i miei migliori auguri.

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL), autore. – (NL) Signor Presidente, le persone che vivono nello Sri Lanka appartengono per la maggior parte all’etnia cingalese e si considerano gli unici veri abitanti dell’isola. Però, nella parte nordorientale vive un altro popolo, i tamil, che vi costituisce la maggioranza. Essendo di lingua, religione e cultura diverse rispetto al resto del paese, i tamil vengono visti da molti come male accetti invasori provenienti dall’India meridionale. I partiti di destra e di sinistra che si alternano al governo cercano di conquistarsi i favori dell’elettorato facendo a gara nel trascurare le esigenze dei tamil.

E’ per questo motivo che nello Sri Lanka da molti anni infuria la guerra e alcune sue regioni non sono sotto il controllo del governo; i programmi di autodeterminazione del nord-est, alla fine, non sono stati attuati e la mediazione straniera non produce alcun risultato. La Norvegia, in particolare, ha investito grandi energie in quest’impresa e il suo ex mediatore ricopre adesso la carica di ministro degli Esteri. Si ha l’impressione che il mondo esterno si stia rassegnando al fatto che il problema dello Sri Lanka non sarà mai risolto, che la violenza continuerà per sempre causando gravi distruzioni e molte vittime, cosicché alcuni degli abitanti dell’isola scapperanno per cercare rifugio da altre parti.

L’acquiescenza è inaccettabile quando sono in gioco la democrazia e i diritti umani. Per tale motivo è opportuno che il Parlamento europeo lanci un messaggio per esprimere l’indignazione dell’Europa riguardo alla mancanza di volontà di trovare una soluzione e per sottolineare gli sforzi che stiamo compiendo per ottenere risultati.

 
  
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  Marcin Libicki (UEN), autore. – (PL) Signor Presidente, oggi è giovedì e, come al solito, stiamo discutendo di questioni riguardanti violazioni dei diritti umani.

Quando abbiamo parlato dell’Azerbaigian, abbiamo affrontato la tematica dei diritti umani in un contesto molto specifico: il contesto culturale. La cultura è un elemento importante dei diritti umani. Nello Sri Lanka, la situazione è di gran lunga più drammatica. Non possiamo aspettarci che in quel paese trionfi la pace. Da un lato, ricordando il vecchio adagio secondo cui sono i popoli a pagare per la follia dei loro governanti, potremmo limitarci a rilevare che la colpa è di coloro che stanno dietro le quinte del conflitto, non della gente dello Sri Lanka, che anela alla pace. Dall’altro lato, però, ci troviamo di fronte a una situazione che non è infrequente nel mondo: ci sono le popolazioni autoctone e i nuovi arrivati. Il conflitto tra gli indigeni cingalesi e i nuovi arrivati tamil ha radici storiche ben più profonde. Oggi è semplicemente impossibile pensare di poter dimenticare la storia e di guardare soltanto al futuro.

Dobbiamo comprendere il senso di umiliazione che prova la popolazione autoctona, convinta com’è che le spettino maggiori diritti di coloro che sono venuti dopo e senza essere stati invitati. I nuovi arrivati non sono giunti nello Sri Lanka a seguito di una decisione presa dai cingalesi, bensì a seguito di decisioni adottate altrove: ecco cos’è accaduto nello Sri Lanka. Dobbiamo quindi impegnarci affinché la pace possa affermarsi quanto prima possibile e la gente non debba più pagare per la follia dei suoi governanti. Ma occorre tener conto anche del fatto che il diritto storico a detenere il potere ha lo stesso valore del diritto di proprietà di chi è stato espropriato.

Mi auguro che l’Unione europea farà tutto quanto in suo potere per assicurare che la pace possa trionfare nello Sri Lanka.

 
  
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  Elizabeth Lynne (ALDE), autore. – (EN) Signor Presidente, probabilmente sarebbe stato meglio rinviare questa discussione, ma era già programmata. Il motivo per cui la volevamo rinviare è, come tutti ben sanno, l’incontro previsto a Ginevra per il 22 e 23 febbraio tra il governo dello Sri Lanka e l’LTTE.

Anch’io, al pari di chiunque altro, mi auguro sinceramente che i colloqui diano buoni risultati. In tal caso, si sarà compiuto un piccolo passo nella giusta direzione, un passo che dovrebbe facilitare l’applicazione del cessate il fuoco, che, com’è noto, non è rispettato appieno né dalle Tigri tamil né dal governo. Inoltre, continua lo scandalo gravissimo dei bambini soldato, che vengono reclutati in gran numero.

Se vogliamo trovare una soluzione politica duratura, è importante non affrontare solo le questioni legate alla sicurezza. Comunque, qualsiasi colloquio su una soluzione politica non potrà non coinvolgere i musulmani e altre organizzazioni tamil, nonché il governo e le Tigri tamil. Solo in questo modo potremo preparare la strada per arrivare a una soluzione duratura.

 
  
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  James Nicholson (PPE-DE), autore. – (EN) Signor Presidente, siamo molto lieti che la settimana prossima inizieranno a Ginevra i negoziati tra il governo dello Sri Lanka e l’LTTE. Sono passati tre anni dagli ultimi colloqui e, per il bene di tutti i cittadini di quel paese, è di vitale importanza che le violenze abbiano fine e si compiano progressi effettivi nel processo di pace.

Stante la delicatezza del momento attuale, non reputiamo opportuno che il Parlamento esprima la sua posizione in modo formale; pertanto, insieme con altri gruppi politici abbiamo deciso di non votare una risoluzione.

E’ dal dicembre 2005 che lo Sri Lanka soffre a causa di un’ondata di violenze che è costata più di 200 morti. Non sorprende che il rapporto di fiducia tra il governo e l’LTTE abbia subito un grave colpo, il quale sta compromettendo il progresso politico e la ripresa economica. Rileviamo con preoccupazione che in questo periodo sono stati attaccati in più occasioni persino gli osservatori disarmati, tra cui la missione di monitoraggio per lo Sri Lanka. Nonostante il governo abbia finora reagito con moderazione a questi fatti, entrambe le parti devono astenersi da atti di violenza e dedicarsi ai prossimi negoziati.

Affinché la pace e la stabilità possano ritornare nello Sri Lanka, il governo e l’LTTE devono essere pronti ad accettare compromessi. Per contribuire utilmente alla ricostruzione di un clima di fiducia le due parti potrebbero rinunciare a usare le mine terrestri antipersona e collaborare alla loro rimozione. A tal fine, il governo dello Sri Lanka potrebbe dare il buon esempio aderendo alla Convenzione di Ottawa, mentre l’LTTE potrebbe, dal canto suo, sottoscrivere il Deed of Commitment di Geneva Call. Con tali gesti di buona volontà dimostrerebbero il loro impegno a favore della pace e getterebbero le fondamenta di nuove iniziative utili a entrambe le parti.

L’Unione europea e i suoi Stati membri possono operare concretamente per facilitare il processo di pace. I paesi europei dovrebbero vigilare sugli aiuti finanziari forniti dalle rispettive comunità tamil, onde accertarsi che essi non siano utilizzati da persone o per attività che minano il già fragile accordo sul cessate il fuoco.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), autore. – (ES) Signor Presidente, speriamo che vada tutto bene e che la settimana prossima, come annunciato, si svolgano effettivamente i colloqui di pace tra il governo dello Sri Lanka e il movimento delle Tigri tamil. Questo processo, però, non è stato facile finora e non lo sarà neppure in futuro.

Il cessate il fuoco proclamato nel 2002 è stato violato più volte, negli scorsi due anni centinaia di persone sono state uccise e ci sono migliaia di profughi interni. Rapimenti, torture e altre forme di abusi vengono tuttora commesse e le aspettative sorte dopo lo tsunami del dicembre 2004, nel senso che quella tragedia potesse contribuire ad affrontare in modo costruttivo il conflitto interno, sono andate ripetutamente deluse. Inoltre, nessuno dei meccanismi di indagine sui diritti umani sembra essere stato attuato in maniera soddisfacente.

Per tutte queste ragioni dovremmo essere contenti che le autorità norvegesi abbiano deciso con grande determinazione di promuovere un processo di pace in circostanze così difficili. Tale processo può insegnarci qualcosa di nuovo sull’importanza di investire nella costruzione della pace, anziché fomentare la guerra.

Se analizziamo gli investimenti fatti dall’Europa in questi ultimi tempi, non solo nello Sri Lanka ma più in generale in quella regione, notiamo che abbiamo investito molto per fomentare la guerra e molto di meno – assai poco, a ben guardare – nella costruzione e nella promozione della pace.

Spero pertanto che i colloqui della settimana prossima portino all’avvio non di un semplice processo di pace, bensì di un processo di creazione di una pace equa e duratura, e che offrano un’opportunità concreta da utilizzare come modello in altri casi e da assimilare in altri processi di pace, soprattutto mettendo in pratica quanto detto dall’onorevole Lynne: è necessario coinvolgere in questo processo tutte le parti del conflitto, senza escludere nessuno, neppure coloro che sono considerati come i peggiori nemici.

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg, a nome del gruppo PSE. – (PL) Signor Presidente, come risulta evidente a tutti gli onorevoli colleghi, la situazione politica, economica e sociale nello Sri Lanka sta diventando vieppiù instabile. La comunità locale, formata soprattutto da donne e bambini, è vittima di violenze brutali e incontrollate. Assassini, eseguiti anche con la complicità dei militari, fanno ormai parte della vita quotidiana nello Sri Lanka.

L’accordo sul cessate il fuoco raggiunto nel 2002 è ora gravemente minacciato e c’è il rischio che scoppi un nuovo conflitto. Lo Sri Lanka ha bisogno di aiuti internazionali cospicui per poter garantire un cessate il fuoco stabile – condizione essenziale per qualsiasi progresso nella regione.

Il Parlamento europeo deve sostenere lo Sri Lanka in tutti i suoi sforzi volti a raggiungere la stabilità, la pace e la democrazia. La lotta contro qualsiasi forma di discriminazione razziale o etnica dovrebbe essere un compito prioritario. La discriminazione colpisce la comunità locale con frequenza quotidiana e costituisce un ostacolo all’ottenimento di una giusta compensazione, soprattutto per le vittime dello tsunami.

Non basta inviare denaro e sentirsi la coscienza a posto per aver compiuto una buona azione; dobbiamo anche accertarci che i fondi che inviamo siano distribuiti equamente, perché solo così gli aiuti finanziari dell’Unione europea potranno dare risultati tangibili. Se gli aiuti non saranno distribuiti in modo equo, diventeranno inevitabilmente un nuovo motivo di conflitto.

 
  
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  Tobias Pflüger, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, dopo anni e anni di guerra civile, dopo che decine di migliaia di persone sono state uccise, lo Sri Lanka si appresta a partecipare a nuovi negoziati. L’unica cosa che possiamo affermare con certezza è che la soluzione al conflitto in corso in quel paese non può essere di tipo militare, bensì soltanto di tipo politico. Sono molto lieto che il governo norvegese abbia assunto l’iniziativa di dare l’avvio ai negoziati, ed è molto interessante che sia la Norvegia a farlo e non l’Unione europea. Il motivo di ciò risiede in un problema di fondo, ovvero nel fatto che i colloqui non possono svolgersi all’interno dell’Unione europea a causa della cosiddetta lista nera delle organizzazioni terroriste stilata dall’Unione, nella quale è inclusa anche l’LTTE. Quindi, le persone incaricate di partecipare ai colloqui non possono neppure mettere piede nell’Unione europea, il che dimostra tutta l’assurdità di questa lista, la quale, secondo me, viene usata molto spesso come pretesto per agire contro persone ritenute politicamente indesiderabili.

Voglio dire molto apertamente che non sono per nulla soddisfatto della decisione di non votare oggi; credo infatti che essa sia stata presa sulla scorta di pressioni politiche. Avrei preferito se avessimo detto a chiare lettere che siamo favorevoli ai negoziati e che auspichiamo l’inizio di un vero processo di pace nello Sri Lanka.

 
  
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  Joe Borg, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, desidero ringraziare nuovamente gli onorevoli deputati per i loro contributi.

Voglio dire innanzi tutto che la Commissione continua a monitorare molto da vicino la situazione nello Sri Lanka e apprezza l’interesse dimostrato dai gruppi politici del Parlamento europeo nella risoluzione, in cui si chiede una soluzione pacifica al conflitto, nell’interesse della popolazione.

La Commissione è lieta che il governo dello Sri Lanka e l’LTTE abbiano concordato di incontrarsi a Ginevra il 22 e 23 febbraio per colloqui, al fine di rafforzare e migliorare l’applicazione dell’accordo sul cessate il fuoco concluso nel febbraio 2002. Ci congratuliamo con il ministro norvegese Erik Solheim per i suoi instancabili sforzi e confermiamo il nostro pieno sostegno a lui e al ruolo della Norvegia quale promotore del processo di pace.

Per quanto riguarda la situazione nello Sri Lanka, siamo tuttora molto preoccupati per l’escalation di violenza degli scorsi due mesi, nonostante essa si sia apparentemente attenuata dopo l’annuncio dei colloqui di Ginevra il 25 gennaio. Oltre 200 persone sono state uccise nel periodo compreso tra l’elezione del nuovo presidente, nel novembre 2005, e la fine di gennaio 2006. L’Unione europea ha espresso la sua grave preoccupazione per il persistere delle violenze nello Sri Lanka e ha sollecitato tutti i loro responsabili nonché coloro che possono esercitare influenza su questi ultimi a porre fine alle violenze e ad arrestare la degenerazione in un conflitto.

Il 2005 e i primi mesi del 2006 sono stati un periodo difficile per il processo di pace, segnato dal fallimento della struttura di gestione operativa post-tsunami (P-TOMS), dall’assassinio del ministro degli Esteri Kadirgamar e dal boicottaggio elettorale imposto in alcune regioni del nord e dell’est del paese. Riteniamo pertanto che i colloqui di Ginevra rappresentino un passo importante, che ci auguriamo contribuisca a stabilizzare la situazione nello Sri Lanka e permetta di individuare una soluzione pacifica, lungamente auspicata, all’aspro conflitto.

Riguardo alle osservazioni sui fondi raccolti a seguito dello tsunami, posso dire che abbiamo incominciato la ricostruzione nonostante il fallimento della P-TOMS. La Commissione ha stanziato per le vittime dello tsunami nello Sri Lanka 5,5 milioni di euro in forma di aiuti mirati a fornire nuovi mezzi di sussistenza alle comunità delle regioni nordorientali e a creare per loro le condizioni economiche di base. Tali aiuti si aggiungono a un vasto programma di assistenza che l’Unione europea sta già attuando nelle aree settentrionali e orientali dello Sri Lanka.

Ciò che ci attendevamo dalla P-TOMS era che desse il via a un processo di ricostruzione generale le cui priorità e i cui progetti fossero concordati dal governo, dall’LTTE e dalla comunità musulmana. Noi avevano sostenuto la P-TOMS con tutte le nostre forze e avevamo stanziato 50 milioni di euro per finanziarne il meccanismo, come dichiarato nel marzo 2005 dal Commissario Ferrero-Waldner a Colombo, dove avevamo fermamente insistito perché si arrivasse a un accordo in tempi rapidi. Tuttora riteniamo che quella fosse la cosa giusta da fare. Se la P-TOMS fosse stata effettivamente realizzata, avremmo invertito la tendenza negativa nel processo di pace.

Oltre a ciò, non dobbiamo dimenticare che la Commissione, attraverso la Direzione generale per gli aiuti umanitari, dall’inizio del processo di pace ha messo a disposizione 23 milioni di euro per le vittime del conflitto nelle zone nordorientali del paese e più di 40 milioni di euro in forma di aiuti per le vittime dello tsunami. Gran parte di essi sono stati utilizzati per coniugare l’assistenza umanitaria con l’opera di ricostruzione.

 
  
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  Presidente. La discussione è chiusa.

Poiché tutte le proposte di risoluzione sull’argomento sono state ritirate, non avrà luogo alcuna votazione.

 

14.3. Guantánamo
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  Presidente. L’ordine del giorno reca la discussione su cinque proposte di risoluzione su Guantánamo.

 
  
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  Martine Roure (PSE), autore. – (FR) Signor Presidente, i prigionieri del carcere di Guantánamo sono tenuti in un vuoto giuridico, senza alcuna accusa, da ormai quattro anni. Siamo allarmati dalle continue accuse di maltrattamenti: ad esempio, si ha notizia che persone che stavano attuando uno sciopero della fame come unica forma di protesta possibile per denunciare la totale negazione del loro diritto ad avere giustizia sarebbero state legate a sedie per ore e ore e sottoposte ad alimentazione forzata fino a vomitare sangue.

Vi ricordo che il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, Manfred Nowak, ha affermato che, se una cosa del genere fosse vera, sarebbe classificata come trattamento disumano, crudele e umiliante. Chiediamo che alle Nazioni Unite e alle organizzazioni non governative sia concessa l’autorizzazione di entrare nel centro di detenzione di Guantánamo e di incontrare i detenuti. Il centro, inoltre, deve essere chiuso immediatamente e i prigionieri devono essere giudicati da un tribunale indipendente.

Infine, gli Stati Uniti devono permettere almeno lo svolgimento di un’indagine indipendente sulle accuse di tortura.

 
  
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  Tobias Pflüger (GUE/NGL), autore. – (DE) Signor Presidente, la storia della base militare statunitense di Guantánamo è una storia di ingiustizia, perché gli americani si trovano lì per il semplice fatto di aver concluso ciò che definiscono un accordo con un precedente governo cubano, accordo che, a loro modo di vedere, può essere invalidato solo se viene annullato da entrambi i firmatari – un ragionamento decisamente perverso.

Non è ora che diciamo chiaro e forte che la base militare deve essere chiusa e la baia di Guantánamo restituita a Cuba? Le notizie che ci giungono dal campo americano per prigionieri di guerra sono terribili. Più di 500 persone vi sono tuttora detenute senza essere state sottoposte a processo né a un procedimento equo, e subiscono pesanti maltrattamenti e torture. Guantánamo è un luogo senza legge. Bisogna mettere fine alle torture e i loro responsabili ed esecutori materiali devono essere condotti sul banco degli imputati. Dobbiamo dire con estrema chiarezza che la chiusura di Guantánamo è invocata da moltissime persone, tra cui il Cancelliere tedesco Angela Merkel, il cui ministro degli Interni, però, si è permesso di dire: “Se sono bene informato, una persona è stata interrogata a Guantánamo dalle autorità tedesche”. E’ evidente che la Germania o altri Stati membri dell’Unione traggono vantaggio da quanto sta succedendo laggiù. L’Unione europea deve smetterla una buona volta con questa doppia morale.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE), autore. – (DE) Signor Presidente, è difficile trovare parole più chiare di quelle pronunciate da Manfred Nowak, il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, il quale ha affermato che “Guantánamo non soddisfa neppure i requisiti minimi del diritto internazionale”. Si tratta di un giudizio devastante. Dal canto suo, l’Unione europea deve dire ai suoi partner statunitensi molto apertamente che non può più considerare accettabili gli atti di ingiustizia compiuti a Guantánamo, e che non lo ha mai fatto.

Sono molto grato al Cancelliere Merkel per aver affrontare questo tema in modo molto diretto durante il suo incontro con il Presidente Bush. La realtà è che la lotta contro il terrorismo, che è di vitale importanza e che noi appoggiamo, può essere portata avanti solo nel rispetto della legge. Se qualcuno lanciasse al mondo il messaggio che, alla fine, è il più forte a vincere, l’effetto sarebbe catastrofico perché chiunque aspirerebbe soltanto a diventare il più forte, e si imporrebbe di nuovo la legge della giungla.

Per tale motivo, la guerra, anche quella contro il peggiore dei mali, può essere condotta solo sulla base della legge, sulla base dei diritti umani e del diritto internazionale, con tutta la determinazione e la risolutezza necessarie, in conformità di una rigorosa adesione ai valori comuni e alle convinzioni condivise dell’alleanza occidentale e dell’Unione europea, di cui a Guantánamo non c’è assolutamente traccia. Tutto ciò che posso fare, quindi, è sollecitare il Presidente Bush a chiudere Guantánamo quanto prima possibile e a consegnare i detenuti a un’autorità giuridica competente.

 
  
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  Graham Watson (ALDE), autore. – (EN) Signor Presidente, “quando, esattamente, finirà quest’incubo?” sono le parole pronunciate da Moazzam Begg, un cittadino britannico rilasciato senza imputazioni dalla prigione di Guantánamo nel gennaio di quest’anno – ma potrebbero essere benissimo le parole di qualsiasi cittadino per bene.

Il carcere di Guantánamo è diventato sinonimo di tutto ciò che vi è di sbagliato nell’attuale risposta degli Stati Uniti al problema del terrorismo. Quattro anni dopo l’arrivo dei primi prigionieri, nessuno di essi è stato sottoposto a un processo vero e proprio e 500 persone sono tuttora recluse, per la maggior parte senza un’accusa precisa e senza essere oggetto di un corretto procedimento giuridico. Proprio oggi le Nazioni Unite hanno pubblicato un rapporto in cui si afferma che il trattamento riservato ai detenuti corrisponde alla definizione di torture così come prevista dalla Convenzione ONU sulla tortura. Gli autori del documento concludono che il governo degli Stati Uniti dovrebbe o sottoporre quanto prima i prigionieri a un processo, o rilasciarli senza indugi.

A nostro parere, tali misure non sono sufficienti. Concordiamo con il direttore di Amnesty International nel Regno Unito, secondo il quale non esistono vie di mezzo per risolvere il problema di Guantánamo: va chiuso e basta. Per questo motivo il mio gruppo appoggerà la risoluzione per invitare le autorità statunitensi a chiudere il carcere di Guantánamo e rilasciare i prigionieri, oppure a processarli in conformità del diritto internazionale.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), autore. – (ES) Signor Presidente, era un po’ di tempo che in queste sedute urgenti, nelle quali ci occupiamo di solito di violazioni dei diritti umani nel mondo, non discutevamo delle responsabilità degli Stati Uniti.

Anche se l’elenco dei temi da affrontare sarebbe molto lungo, mi fa piacere che abbiamo quanto meno l’opportunità di analizzare uno degli attacchi più vergognosi contro l’umanità e, in particolare, contro i nostri tempi: Guantánamo.

Dopo quattro anni, alle circa 500 persone che vi sono tuttora detenute vengono negate anche le minime garanzie giuridiche richieste in qualsiasi democrazia che rispetti lo Stato di diritto e le norme internazionali sui diritti umani.

L’Unione europea non può continuare a essere complice, con il suo silenzio, del mantenimento di ciò che, nei fatti, altro non è che un centro di tortura, un centro nel quale la pena di morte è comminata con metodi arbitrari.

L’esistenza di Guantánamo rappresenta una gravissima macchia nella storia non soltanto degli Stati Uniti, ma anche di tutti coloro al di fuori di quel paese che tacciono e tollerano questo scandalo, il quale, peraltro, rafforza ulteriormente l’immagine di una nazione imperialista e bellicista che non ha alcun rispetto per i reali diritti e le reali libertà che l’attuale governo USA sostiene di difendere in tutto il mondo.

Non esiste, quindi, assolutamente alcuna giustificazione per l’esistenza di Guantánamo, tanto meno con il pretesto della lotta contro il terrorismo. Sono lieto pertanto che il Parlamento europeo abbia finalmente trovato il coraggio di esigere all’unanimità la chiusura di Guantánamo.

In conclusione non mi resta che dirvi, onorevoli colleghi, che dobbiamo compiere un ulteriore passo, che dobbiamo completare il nostro lavoro chiedendo che venga istruita un’indagine su quanto sta succedendo in riferimento all’occupazione dell’Iraq. Più esattamente, dobbiamo condannare le vicende di Abu Ghraib.

 
  
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  Michael Gahler, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, ho l’impressione che il Parlamento sia ampiamente concorde sul tema in discussione. Se l’Unione europea chiede agli Stati di rispettare i diritti umani, deve farlo a livello globale e in modo credibile. Né i diritti umani né le norme internazionali in campo umanitario sono negoziabili, e lo dobbiamo dire molto chiaramente ai nostri alleati americani, con i quali, dopo tutto, abbiamo in comune i valori democratici. Mi turba che tale questione sia diventata motivo di disputa tra noi e gli Stati Uniti, che sono nostri alleati, ma questa è la differenza tra quel paese e gli altri paesi del mondo nei quali invochiamo il rispetto dei diritti umani. E’ positivo e incoraggiante che gli Stati Uniti siano una società aperta e democratica e che questa stessa discussione sia in corso anche lì. Credo che la maggioranza degli americani sia d’accordo con noi sul fatto che, in materia di diritti umani, non è possibile sospendere semplicemente lo Stato di diritto. E’ di vitale importanza continuare a mantenere un elevato standard morale se vogliamo che la nostra lotta contro il terrorismo in altre parti del mondo sia credibile e se vogliamo affermare la causa della democrazia. Non è ammissibile che chiudiamo gli occhi e facciamo finta di non vedere; soprattutto non possiamo farlo nei nostri rapporti con un grande alleato come gli Stati Uniti, assieme al quale stiamo diffondendo la democrazia e il rispetto dei diritti umani in altre zone del mondo, ad esempio in Afghanistan. Vale la pena considerare l’imbarazzo politico e morale in cui verremmo a trovarci se tacessimo su Guantánamo, poiché non potremmo più essere credibili nelle nostre relazioni con i paesi nei quali stiamo cercando di promuovere i diritti umani.

Per queste considerazioni è giusto chiedere che il centro di Guantánamo sia chiuso e le persone ivi detenute siano sottoposte a un equo processo. Forse non lo abbiamo detto così esplicitamente, però non si può non trarre la conclusione che, in assenza di prove della loro colpevolezza, quelle persone devono essere rilasciate, nonostante la pericolosità di alcune di esse. Anche a loro, infatti, dobbiamo riconoscere il beneficio del dubbio.

 
  
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  Karin Scheele, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, nel rapporto pubblicato ieri le Nazioni Unite invitano con grande enfasi gli Stati Uniti a chiudere Guantánamo immediatamente, e la nostra risoluzione odierna persegue, com’è ovvio, lo stesso scopo. Fino ad oggi sono state formulate accuse nei confronti soltanto di 10 delle 500 persone internate in quel carcere e le accuse sono venute, per di più, da tribunali militari, non da corti indipendenti. Detenzione arbitraria, torture e maltrattamenti costituiscono gravi violazioni della Convenzione di Ginevra. E’ ora che il governo Bush si renda conto finalmente di quanto cinico e sbagliato sia questo comportamento nella lotta contro il terrorismo. Per contrastare efficacemente il terrorismo occorre compiere un’opera di persuasione nei confronti nel mondo nel suo complesso, nonché ribadire l’importanza del diritto internazionale, che vieta l’uccisione arbitraria di civili. Ed è proprio il diritto internazionale che il governo Bush sta violando, non solo a Guantánamo, ma anche altrove.

 
  
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  Elizabeth Lynne, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, di quali altre prove hanno bisogno gli americani per chiudere quel luogo infernale? L’ultimo rapporto delle Nazioni Unite, pubblicato ieri, fornisce ulteriori elementi a sostegno del fatto che ciò che gli Stati Uniti stanno facendo a Guantánamo è illegale e costituisce una diretta violazione dei diritti umani.

A quattro anni dalla sua apertura, dal carcere continuano a giungerci notizie di torture bandite dalla Convenzione ONU in materia. Il mio elettore, il signor Moazzam Begg, rilasciato l’anno scorso dopo tre anni di detenzione illegale, ha dichiarato di essere stato testimone di pestaggi, a carico di altri detenuti, talmente pesanti che potrebbero averne causato la morte. Ora apprendiamo dal rapporto che persone che stavano attuando uno sciopero della fame sono state costrette all’alimentazione forzata, non perché si voleva salvare loro la vita, bensì per evitare che continuassero a essere motivo d’imbarazzo per il governo statunitense.

In nome dell’umanità, chiediamo che il carcere di Guantánamo sia chiuso e che i detenuti siano sottoposti a equo processo oppure, in assenza di prove, siano rilasciati immediatamente.

 
  
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  Carl Schlyter, a nome del gruppo Verts/ALE. – (SV) Signor Presidente, quella di cui stiamo discutendo è una risoluzione breve che può essere sintetizzata in due sole parole: chiudete Guantánamo. A Guantánamo brilla per la sua assenza il rispetto di qualsiasi forma di diritto umano e l’intera vicenda, dall’inizio alla fine, è caratterizzata non da diritti umani, bensì da errori umani.

Nel corso di una sola presidenza, gli Stati Uniti si sono trasformati da un paese che la maggior parte di noi vorrebbe visitare, con il quale vorrebbe commerciare e intrattenere altri tipi di rapporti, in un paese che molti cercano di evitare. Guantánamo può anche trovarsi in una base militare a Cuba, ma rappresenta un vile tentativo da parte degli Stati Uniti di sfuggire alle proprie leggi. Dagli Stati Uniti esigiamo soltanto che si attengano alla loro costituzione e applichino le convenzioni delle Nazioni Unite. Da entrambe queste prospettive, Guantánamo è un’assurdità. In materie quali il Protocollo di Kyoto, il Tribunale penale internazionale, Abu Ghraib, la guerra contro il popolo iracheno e tutta una serie di convenzioni che vanno dalla lotta contro il fumo al diritto all’alimentazione, il regime Bush si sta comportando come una banda di tirannici padroni coloniali di vecchio stampo.

L’aver voltato le spalle alla cooperazione internazionale e al diritto internazionale danneggia il popolo americano e il mondo in generale. I detenuti di Guantánamo non sono gli unici a soffrire l’oppressione del regime Bush, sono solo quelli che la subiscono maggiormente. Proviamo simpatia per la maggioranza degli americani che non hanno mai sostenuto il regime Bush e sono vittime delle sue procedure arbitrarie. Questa gente comune è colpita pesantemente dall’odio e dalle minacce provenienti dal mondo che la circonda. Il regime Bush potrebbe cominciare a fare penitenza chiudendo Guantánamo.

 
  
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  Jaromír Kohlíček, a nome del gruppo GUE/NGL. – (CS) Signor Presidente, onorevoli colleghi, secondo me è senz’altro giusto che il Parlamento discuta di una risoluzione su Guantánamo. Va ricordato che una risoluzione simile dovrebbe essere approvata per commemorare il 27 gennaio, che, come senz’altro saprete, è la Giornata internazionale per la prevenzione dei crimini contro l’umanità. Siamo naturalmente tutti d’accordo sul fatto che un paese che, per ammissione del suo stesso Presidente, tortura prigionieri ad Abu Ghraib e a Guantánamo non ha diritto di chiedere la collaborazione dell’Unione europea su azioni militari lanciate in modo unilaterale. E’ giunto il momento di imporre sanzioni contro gli Stati Uniti per aver violato i diritti umani. Questa è una posizione che il Parlamento ha ampiamente sottoscritto quando, questa settimana, ha approvato la relazione concernente l’inserimento della clausola sui diritti umani e sulla democrazia negli accordi europei. Forse non lo ricordate, o forse la potenza militare in questione è troppo forte, ma si tratta in tutta evidenza di un problema di doppia morale.

Credo che la risoluzione, che sostengo pienamente, dopo essere stata approvata dovrà essere seguita da una proposta volta a mettere in stato d’accusa coloro che, a Guantánamo e Abu Ghraib, hanno preso parte ad azioni che sono in contrasto con le leggi degli Stati Uniti e violano i diritti umani e gli accordi internazionali. Vorrei quindi proporre che la Commissione insedi un tribunale penale internazionale per giudicare quei criminali. Ritengo altresì importante raccomandare che il paese che detiene la Presidenza chieda al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di presentare una risoluzione che preveda sanzioni a carico degli Stati Uniti. Per inciso, vorrei dire ancora che sappiamo tutti che la base statunitense a Guantánamo per alcuni anni è stata occupata in violazione della volontà contraria del legittimo governo della Repubblica cubana.

 
  
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  Panagiotis Beglitis (PSE).(EL) Signor Presidente, la nostra discussione odierna è pienamente confermata, io credo, dalla recente pubblicazione nel Los Angeles Times del rapporto dei cinque esperti della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani.

Non dobbiamo più restare osservatori passivi di questa barbarie dei nostri giorni. Non dobbiamo più restare in silenzio di fronte alle continue violazioni del diritto internazionale in campo umanitario e delle convenzioni internazionali, né di fronte alle torture e alle umiliazioni che le autorità statunitensi continuano a praticare a Guantánamo. Credo che l’Unione europea e i suoi Stati membri debbano adottare un’iniziativa immediata per sottoporre la questione alle organizzazioni internazionali e alle Nazioni Unite, nonché chiedere l’immediata chiusura da parte degli USA del carcere di Guantánamo, l’apertura di un equo processo davanti a un tribunale internazionale indipendente e l’immediato rilascio dei detenuti.

Penso che continuare a restare in silenzio equivarrebbe a omertà. Il governo Bush non può, con il pretesto della lotta contro il terrorismo internazionale, portare l’umanità in un nuovo Medioevo. Oggi sono i prigionieri di Guantánamo, domani saranno i detenuti di altre carceri se non interveniamo in difesa dei valori umanitari comuni e dei nostri principi democratici.

 
  
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  Ana Maria Gomes (PSE).(PT) Centinaia di detenuti restano in una condizione di vuoto giuridico e subiscono torture. Non sto parlando delle famigerate prigioni di Saddam, dei talebani, della Siria o di altre dittature; no, sto parlando di Guantánamo, un carcere gestito dagli Stati Uniti d’America. Non dobbiamo dimenticare che gli USA hanno svolto un ruolo essenziale nella definizione del diritto internazionale in materia di diritti umani, diritti che ora, sotto il governo Bush, stanno violando in modo ignominioso, non rispettando neppure gli standard minimi della Convenzione di Ginevra.

L’Europa deve far sentire la sua voce riguardo alle vicende di Guantánamo e Abu Ghraib, nonché di qualsiasi altro luogo in cui il governo Bush esporti la tortura per mezzo di una prestazione eccezionale. L’Europa deve aggiungere la sua voce a quelle che si stanno levando sempre più alte negli Stati Uniti, tra cui l’American Civil Liberties Union, nel condannare l’immoralità e l’inutilità delle torture nella lotta contro il terrorismo, nonché l’inaffidabilità degli autori di simili abusi.

L’Unione europea deve chiedere che Guantánamo venga chiuso e che i politici e i responsabili militari americani di più alto livello siano processati per crimini commessi nel nome della lotta contro il terrorismo. Restare in silenzio significa, infatti, fare il gioco dei terroristi e sacrificare i valori fondamentali della dignità umana e dello Stato di diritto, gli stessi valori che i terroristi fanatici hanno cercato di annientare con gli attentati dell’11 settembre, di Madrid e di Londra.

 
  
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  Genowefa Grabowska (PSE).(PL) Signor Presidente, condivido l’affermazione riportata nella risoluzione secondo cui il terrorismo globale rappresenta una minaccia, soprattutto quello diretto contro le società democratiche. Nondimeno, non possiamo contrastare il terrorismo usando tecniche terroristiche: azioni del genere non saranno tollerate, ed è nostro diritto affermarlo.

E’ nostro diritto perché l’Europa è la culla dei diritti umani, dato che le prime convenzioni sulla tutela dei diritti dei prigionieri, della popolazione civile e delle vittime di guerra sono state stilate qui in Europa all’inizio del XX secolo. Dopo la Seconda guerra mondiale abbiamo ulteriormente elaborato questi principi umanitari e creato, qui in Europa, un nostro sistema per la tutela dei diritti umani, con la Corte di Strasburgo, e, nell’Unione europea, abbiamo approvato la Carta dei diritti fondamentali, che sarà – e, nei fatti, è già ora – parte della Costituzione europea. In tutti questi documenti si afferma in modo chiaro e inequivocabile che la dignità umana deve essere rispettata, che nessun essere umano può essere umiliato, minacciato o perseguitato, che nessuno può essere detenuto senza giudizio e che tutti hanno diritto alla difesa.

Ora mi chiedo: tutto questo è stato forse dimenticato a Guantánamo? Non c’è nessuno che lo voglia ricordare? Sia il rapporto di Amnesty International sia quello delle Nazioni Unite citano a chiare lettere quei principi. Non possiamo tollerare una situazione del genere, e per tale motivo condivido pienamente le riflessioni espresse nella risoluzione, la quale afferma che la lotta contro il terrorismo non può comportare alcuna violazione dei diritti umani.

 
  
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  Joe Borg, Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, desidero ringraziare nuovamente gli onorevoli deputati per le loro osservazioni così precise. La lotta a livello mondiale contro il terrorismo su una scala finora sconosciuta ci ha posti di fronte a sfide nuove per quanto attiene alla tutela dei diritti umani. E’ impegno costante della Commissione sottolineare che la lotta contro il terrorismo deve essere subordinata al mantenimento del rispetto dei diritti umani.

In merito alla situazione delle circa 500 persone detenute nel carcere di Guantánamo, la Commissione ne segue da vicino gli sviluppi, pur non avendo competenze per intervenire a nome dei reclusi. Anche i paesi membri hanno manifestato agli Stati Uniti, a livello bilaterale, le loro preoccupazioni per il trattamento subito dai rispettivi cittadini.

La Commissione continua a ribadire che tutte le misure antiterrorismo devono essere conformi al diritto umanitario internazionale e alle norme internazionali sui diritti umani. E’ nostro fermo convincimento che le Convenzioni di Ginevra vadano applicate a tutte le persone fatte prigioniere sul campo di battaglia. Per quanto attiene alla persistente detenzione di persone nel carcere di Guantánamo, ai sensi della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici esistono diritti assoluti che vanno rispettati in qualsiasi circostanza, come il diritto a non essere torturati e a non essere sottoposti a trattamenti crudeli, disumani o umilianti.

In proposito, accogliamo con favore l’emendamento apportato di recente, su proposta del senatore McCain, alla legge sugli stanziamenti per la difesa, nel quale si afferma al di là di ogni dubbio che il divieto di trattamenti crudeli, disumani e umilianti vale anche per le persone tenute in stato di prigionia da parte degli Stati Uniti ovunque nel mondo. Inoltre, a nostro parere, chiunque sia stato detenuto deve godere di uno status in conformità del diritto internazionale e ha il diritto di non essere incarcerato arbitrariamente e di essere sottoposto a un procedimento corretto e a un processo equo.

L’Unione europea ha anche detto chiaramente che sosterrà la richiesta dei relatori speciali delle Nazioni Unite di recarsi in visita a Guantánamo e di poter intervistare i detenuti in privato. L’Unione ha avanzato più volte tale richiesta agli Stati Uniti e continuerà a farlo.

In risposta ad alcuni degli interventi, posso dire che la Commissione ha ripetutamente dichiarato agli Stati Uniti che l’Unione europea è affatto contraria alla pena di morte in qualsiasi circostanza. Voglio aggiungere che il rapporto dei relatori speciali delle Nazioni Unite pubblicato ieri è ora al vaglio della Commissione, la quale intende sollevare di nuovo questo argomento con gli Stati Uniti.

E’ fondamentale che la comunità internazionale cerchi di riaffermare il pieno rispetto delle norme del diritto internazionale, compreso il rispetto dei diritti umani e degli standard umanitari, per quanto riguarda i presunti talebani e appartenenti ad Al-Qaeda detenuti a Guantánamo e in altri luoghi. Solo garantendo il rispetto di questi valori da parte di tutti i soggetti interessati sarà possibile compiere reali passi avanti.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, riallacciandomi brevemente, con il vostro permesso, alle parole dell’onorevole Pflüger sullo Sri Lanka, vorrei dire che ha senz’altro ragione. Il fatto che le risoluzioni presentate possano poi essere ritirate previo accordo tra le parti costituisce un pericoloso precedente. Abbiamo accettato una simile procedura in questo caso, però voglio precisare, e lo faccio a nome del mio gruppo, che non la accetteremo una seconda volta e che non dobbiamo permettere che la circostanza odierna vada a costituire un precedente.

 
  
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  Robert Evans (PSE).(EN) Signor Presidente, mi permetto di informare l’onorevole Posselt che è stato il suo gruppo a chiedere di cancellare la votazione. E’ quindi un po’ strano che ora affermi che non accetteranno tale decisione.

 
  
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  Presidente. La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà immediatamente.

 

15. Turno di votazioni
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  Presidente . L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.

(Per i risultati dettagliati delle votazioni: vedasi processo verbale)

 

15.1. Patrimonio culturale in Azerbaigian (votazione)

15.2. Guantánamo (votazione)
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  Presidente. Ciò conclude il turno di votazioni.

 

16. Correzioni di voto: vedasi processo verbale

17. Decisioni concernenti taluni documenti: vedasi processo verbale

18. Dichiarazioni scritte che figurano nel registro (articolo 116 del Regolamento): vedasi processo verbale

19. Trasmissione dei testi approvati nel corso della presente seduta: vedasi processo verbale

20. Calendario delle prossime sedute: vedasi processo verbale

21. Interruzione della sessione
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  Presidente. Dichiaro interrotta la sessione del Parlamento europeo.

(La seduta è tolta alle 17.00)

 

ALLEGATO (Risposte scritte)
INTERROGAZIONI AL CONSIGLIO (La Presidenza in carica del Consiglio dell’Unione europea è la sola responsabile di queste risposte)
Interrogazione n. 10 dell'on. Marie Panayotopoulos-Cassiotou (H-1112/05)
 Oggetto: Superamento degli ostacoli nei mercati del lavoro europei entro il 2005
 

Nel marzo 2002, il Consiglio di Barcellona ha adottato il progetto d'azione della Commissione riguardante il superamento, entro il 2005, degli ostacoli esistenti sui mercati del lavoro europei e invitato il Consiglio ad adottare i provvedimenti necessari per far sì che le misure proposte abbiano per i lavoratori un riflesso concreto nell'educazione, la ricerca e l'innovazione.

Dispone il Consiglio di elementi concreti relativi ai progressi realizzati per ridurre gli ostacoli frapposti al riconoscimento delle qualifiche professionali e formali nonché dell'istruzione atipica, all'acquisizione di requisiti fondamentali, specie di quelli connessi con le tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni, da parte di tutti i cittadini e di categorie particolari come le donne disoccupate?

 
  
 

Il coordinamento dei sistemi di previdenza sociale e la reversibilità dei diritti di pensione sono oggetto di un regolamento recentemente modificato e di una proposta di direttiva attualmente all’esame degli organi preparatori del Consiglio.

Per quanto riguarda le prestazioni di sicurezza sociale, l’onorevole deputata sarà senz’altro al corrente del fatto che il nuovo regolamento relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale [regolamento (CE) n. 883/2004], che entrerà in vigore insieme al relativo regolamento di attuazione, sostituirà il regolamento attualmente vigente [regolamento (CEE) n. 1408/71]. Il nuovo regolamento, che rappresenta uno strumento giuridico più agevole da recepire e dotato di un approccio più attuale nel contesto della mobilità tra Stati membri, consente un’applicazione più uniforme e pertanto dovrebbe contribuire non solo a migliorare i titoli dei beneficiari a godere di prestazioni di sicurezza sociale, ma anche a semplificare le procedure in tale ambito.

L’onorevole deputata certamente saprà anche che la proposta di direttiva per il miglioramento dei diritti a pensione complementare presentata di recente dalla Commissione mira a rafforzare la mobilità dei lavoratori e a migliorare globalmente la mobilità degli impieghi, consentendo ai lavoratori che si spostano di acquisire, alla fine della loro carriera lavorativa, sufficienti diritti di pensione complementare. La proposta è il risultato di consultazioni a livello europeo protrattesi per un anno, sulla necessità di migliorare il funzionamento dei regimi pensionistici integrativi e sugli strumenti più idonei a raggiungere tale obiettivo.

Come l’onorevole deputata ha giustamente osservato, uno dei principali ostacoli per i cittadini che intendono lavorare o studiare in un altro Stato membro dell’Unione europea, o comunque trasferirsi da un posto all’altro nel mercato del lavoro, è il fatto che le loro qualifiche professionali e formali potrebbero non essere riconosciute. L’obiettivo esplicito della politica europea è rimuovere questi ostacoli, e negli ultimi anni sono stati adottati diversi strumenti e politiche a livello comunitario nell’ottica di agevolare il trasferimento di qualifiche professionali e accademiche. Occorre tuttavia tener presente che si tratta di un processo graduale, per di più soggetto all’articolo 149 del Trattato, ai sensi del quale l’azione della Comunità nel settore dell’istruzione è intesa a promuovere “il riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio”. E’ evidente che questo processo rientra nell’ambito della sussidiarietà.

Per quanto riguarda le qualifiche accademiche, i centri nazionali d’informazione sul riconoscimento accademico (NARIC) forniscono le informazioni pertinenti sul riconoscimento dei diplomi e dei periodi di studio all’estero; altri validi contributi provengono dal sistema europeo di accumulazione e trasferimento dei crediti (ECTS) e dal supplemento al diploma (DS) recentemente introdotto.

Per quanto riguarda le qualifiche professionali, negli Stati membri è stata creata una rete di punti di contatto nazionali quale primo interlocutore per le domande inerenti a tale problematica. In parallelo al supplemento al diploma, che riguarda l’istruzione universitaria, per i requisiti delle qualifiche professionali è stato messo a punto un supplemento ai certificati e, nel contempo, per consentire di esporre in modo efficace le qualifiche e competenze individuali, è stato proposto un modello comune di curriculum vitae europeo. Nel frattempo si è aggiunto un ulteriore strumento, denominato Europass, che contribuisce a promuovere la mobilità nel quadro della formazione in alternanza e dell’apprendistato promuovendo un sistema volontario di registrazione a livello europeo dei periodi di formazione e di pratica effettuati al di fuori dello Stato membro di origine.

Si diffonde sempre più il convincimento dell’utilità dell’istruzione atipica, cui si riferisce l’onorevole deputata, e vengono utilizzate iniziative nel settore dell’istruzione e della gioventù per incoraggiare gli Stati membri a sviluppare meccanismi per il riconoscimento di questo tipo di istruzione. Nel 2004, durante la Presidenza irlandese, il Consiglio ha adottato conclusioni relative ai principi comuni europei concernenti l’individuazione e la convalida dell’apprendimento non formale ed informale, e il gruppo di lavoro del Consiglio sulla gioventù sta attualmente esaminando un progetto di risoluzione in materia.

Passando al tema dell’acquisizione di qualifiche di base, occorre notare che di recente la Commissione – nel quadro del programma di lavoro inserito nella strategia di Lisbona “Istruzione e formazione 2010” – ha adottato una raccomandazione sulle competenze chiave, con riferimento specifico alle TI, attualmente al vaglio di Consiglio e Parlamento. La raccomandazione persegue principalmente lo scopo di identificare e definire le competenze chiave necessarie per la coesione, la realizzazione personale e l’occupabilità in una società della conoscenza; inoltre intende assicurare anzitutto che i giovani, a completamento dell’istruzione e formazione iniziale, abbiano sviluppato le competenze chiave a un livello che li prepari per la vita adulta e, in secondo luogo, che gli adulti siano in grado di svilupparle e aggiornarle in tutto l’arco della loro vita.

Si deve aggiungere che sono in corso consultazioni degli Stati membri sull’eventuale creazione di un quadro di qualifiche europee, il cui scopo principale sarebbe assicurare la correlazione tra sistemi di qualifica nazionali e settoriali, agevolando in tal modo il trasferimento e riconoscimento delle qualifiche per i singoli cittadini.

 

Interrogazione n. 11 dell'on. Justas Vincas Paleckis (H-0037/06)
 Oggetto: Apertura del mercato del lavoro austriaco ai lavoratori dei nuovi Stati membri dell'UE
 

Il Regno Unito, l'Irlanda e la Svezia hanno aperto il loro mercato del lavoro ai cittadini dei paesi dell'Europa orientale. Accogliendo i lavoratori lituani, polacchi o di altri nuovi Stati membri dell'UE, questi paesi riescono ad integrarli nel mercato del lavoro, innalzando così il livello del loro PIL. La questione cruciale del lavoro nero svolto da cittadini dei nuovi Stati membri si pone pertanto in altri Stati dell'UE, in particolare in Germania e Austria, dove restano in vigore restrizioni sui lavoratori migranti. Vista tale situazione, intende l'Austria mantenere, per ancora tre o cinque anni, restrizioni all'immigrazione di lavoratori provenienti dai nuovi Stati membri dell'UE? Quale esempio darebbe in tal caso il paese che detiene la presidenza dell'UE agli altri Stati membri che non hanno ancora aperto il loro mercato del lavoro?

 
  
 

Occorre anzitutto tenere presente che in Austria non si registra un aumento dell’occupazione irregolare di cittadini dei nuovi Stati membri. Come confermato di recente dallo studio realizzato da Biffl, Huber e Walterskirchen, “Übergangsregelung zur Freizügigkeit (misure transitorie sulla libera circolazione), Österreichisches Institut für Wirtschaftsforschung (Istituto austriaco per la ricerca economica – WIFO), febbraio 2006, il lavoro sommerso non presenta incrementi degni di nota in Austria.

L’Austria intende mantenere le misure transitorie relative alla libera circolazione dei lavoratori per altri tre anni. Per quanto riguarda l’estensione delle misure transitorie, non è questione, da parte di un qualsiasi paese, di dare un esempio – come risulta evidente in base ai documenti sull’adesione –, bensì si tratta, per ciascun paese, di prendere una decisione ben ponderata sulla base della sua specifica situazione e degli sviluppi che si registrano sul mercato del lavoro al suo interno.

Le decisioni individuali e autonome di ciascuno Stato membro devono tener conto dello stato delle rispettive economie e del ciclo congiunturale. Un fattore essenziale in tale ambito è la capacità di assorbimento di nuovi lavoratori da parte di ogni mercato, in quanto la responsabilità nei confronti degli immigrati impone di offrire loro i presupposti per l’integrazione e la possibilità di mantenersi con il proprio lavoro. Si deve inoltre tener conto della posizione geografica, poiché la distanza tra il paese d’origine e il luogo di lavoro determinerà l’ampiezza della migrazione. L’Austria, che ha confini con i nuovi Stati membri dell’Unione, costituisce un buon esempio di un paese in cui i presupposti per controllare la migrazione sono completamente diversi da quelli di paesi geograficamente più distanti, come l’Irlanda e il Regno Unito. Sono queste situazioni di fatto e modalità di sviluppo che differenziano gli Stati membri tra loro, per cui non è di alcuna utilità, ai fini dell’estensione delle misure transitorie, citare un qualsiasi paese quale esempio che un altro Stato possa seguire.

 

Interrogazione n. 12 dell'on. Mihael Brejc (H-0043/06)
 Oggetto: Libera circolazione delle persone
 

All'interno dei suoi confini l'Unione europea garantisce quattro libertà – la libera circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali. Inoltre garantisce la libertà di stabilimento. Esse rappresentano libertà fondamentali, e se non saranno estese a tutti i cittadini indistintamente l'UE difficilmente potrà realizzare appieno le sue potenzialità.

Quest'anno vedrà la fine del periodo transitorio di due anni in relazione alla libera circolazione delle persone introdotto da taluni Stati membri al momento dell'allargamento del 2004.

Qual è la posizione della Presidenza austriaca riguardo alla decisione di certi paesi di prorogare di altri tre anni il periodo transitorio?

 
  
 

Ai sensi del trattato di adesione del 2003, la decisione se continuare o meno ad applicare le misure transitorie in relazione alla libera circolazione spetta esclusivamente agli Stati membri interessati. Gli Stati membri che desiderano applicare le misure transitorie per altri tre anni a partire dal 30 aprile 2006, entro tale data devono informare la Commissione della loro intenzione di agire in tal senso.

La Presidenza austriaca ritiene che gli Stati membri debbano decidere sulla base della relazione della Commissione sull’applicazione delle misure transitorie relative alla libera circolazione, e che le loro decisioni debbano essere equilibrate, tener conto delle diverse situazioni di partenza e di tutti i fattori significativi legati alla migrazione di manodopera, ovvero, anzitutto, dello stato dell’economia e del mercato del lavoro nello Stato membro interessato, dato essenziale per stabilire con certezza se il reddito dei lavoratori immigrati sarà sufficiente, almeno per un periodo di tempo adeguato e prevedibile, a coprire le spese di mantenimento. Un altro fattore significativo potrebbe essere la posizione geografica, ovvero la distanza tra il paese di origine di un migrante e il luogo in cui lavora.

 

Interrogazione n. 13 dell'on. Maria Matsouka (H-0088/06)
 Oggetto: Rapporto tra mobilità dei lavoratori e elevato tasso di disoccupazione nell'UE
 

Il 2006 è stato proclamato Anno europeo della mobilità dei lavoratori al fine di sensibilizzarli ai vantaggi di lavorare in un altro paese o in un nuovo settore. Si sostiene che la politica in questione, che implica il trasferimento da una zona all'altra dello stesso paese o da uno Stato membro verso un altro Stato membro dell'Unione europea e che è finalizzata alla ricerca di nuovi sbocchi occupazionali, all'estensione dell'esperienza lavorativa o al miglioramento delle capacità/conoscenze dei lavoratori, contribuirà all'attuazione della strategia di Lisbona rivista. La disoccupazione continua nondimeno ad oscillare a livelli elevati (superiori all'8% nell'UE a 15 e inferiori al 9% nell'UE a 25 agli inizia del 2005). La riduzione minima del tasso in questione è dovuta sia alle sovvenzioni statali per la creazione di posti di lavoro (come nel caso della Francia) sia alla riduzione della forza di lavoro attiva (come nel caso del Regno Unito nel periodo 1991 - 2003).

Stante dunque l'insufficienza degli sbocchi occupazionali in un dato paese o in una data area, può il Consiglio dire che senso ha indurre i lavoratori di altri Stati membri a andarvi a cercare lavoro? Non corrono in realtà il rischio di trasferirsi alla ricerca di posti di lavoro precari e a tempo determinato con tutte le relative conseguenze di carattere sociale, personale e familiare?

 
  
 

Il Consiglio concorda con l’onorevole deputata che la mobilità può implicare difficoltà e costi per i lavoratori.

Per questo motivo la Commissione sta cercando, attraverso la rete di cooperazione internazionale di EURES (servizi pubblici dell’occupazione), di coordinare nel miglior modo il mercato europeo del lavoro. L’EURES ha membri e partner nei 25 Stati membri, nonché in Norvegia, Islanda, Liechtenstein e Svizzera, e promuove la mobilità internazionale dei lavoratori offrendo servizi quali informazioni, consulenza e mediazione per lavoratori e datori di lavoro che desiderano usufruire del diritto alla libera circolazione. Il portale è attualmente utilizzato da 500 000 visitatori al mese e contiene al momento 1,5 milioni di offerte di lavoro.

Il servizio di consulenza della rete fornisce tuttavia anche informazioni ai richiedenti sulle condizioni di vita e di lavoro (alloggio, istruzione, costo della vita, servizi sanitari, legislazione in materia di previdenza sociale, eccetera) nei singoli Stati membri.

Il 2006 – Anno europeo della mobilità – è inteso a garantire la libera circolazione delle persone come diritto fondamentale e a promuovere la mobilità sia professionale che geografica dei lavoratori con una collocazione efficace che tenga conto della richiesta di manodopera del settore e di un utilizzo produttivo e redditizio negli Stati membri. Il mercato del lavoro è soggetto a una dinamica fortemente marcata in Europa, con ampi spostamenti di posti di lavoro nel corso di un anno a causa di crescita o riduzione di settori in risposta alla domanda in costante mutamento nonché a licenziamenti e assunzioni. Inoltre, l’ufficio centrale di statistica europeo opera basandosi sulla supposizione che un presunto aumento annuo di posti di lavoro dell’1-2 per cento in alcune regioni dell’Unione, se l’afflusso di lavoratori sarà troppo scarso, determinerà una diminuzione settoriale di manodopera nel 2010 .

In ogni caso è improbabile che un lavoratore che cerca un lavoro specifico voglia spostarsi in un paese o in una regione in cui l’offerta di posti di quel tipo è molto ridotta. Nonostante il numero totale dei disoccupati nell’Unione europea purtroppo continui a rimanere elevato, i tassi di disoccupazione variano in misura considerevole tra settori diversi o da una regione all’altra.

 

Interrogazione n. 14 dell'on. Elizabeth Lynne (H-1115/05)
 Oggetto: Salute e sicurezza
 

Quali sono le priorità della Presidenza austriaca nella propria politica sociale e per l'occupazione? Non concorda la Presidenza sul fatto che, in teoria, ogni nuova Strategia sulla salute e la sicurezza dovrebbe concentrarsi più sull'attuazione della legislazione esistente nei 25 Stati membri che non sulla creazione di una nuova legislazione?

 
  
 

La domanda posta dall'onorevole parlamentare mira a conoscere in dettaglio le priorità della Presidenza austriaca in materia di occupazione e politica sociale. L'Austria deterrà il mandato della Presidenza dell'UE nel primo semestre del 2006 e durante quel periodo le tematiche legate all'occupazione saranno uno dei punti focali dell'attività del Consiglio. L'anno scorso il Consiglio ha elaborato gli orientamenti relativi alla politica in materia di occupazione per il periodo 2005-2008, orientamenti che in linea di massima rimangono validi per il 2006. Quest'anno l'attività del Consiglio sarà concentrata sulla valutazione del livello di attuazione di tali orientamenti da parte degli Stati membri. Com’è ovvio, le misure nel settore dell’occupazione vengono adottate principalmente ricorrendo al cosiddetto metodo del coordinamento aperto, ossia in assenza di definizione di una normativa.

All’inizio del mandato, la Presidenza austriaca non focalizzerà i propri sforzi esclusivamente sulle problematiche legate all’occupazione, ma anche su aspetti relativi all’inclusione e alla protezione sociale, in quanto il Consiglio, sulla base del lavoro svolto dalla Commissione, presenterà una relazione in merito a queste tematiche in occasione del Vertice di primavera del Consiglio europeo in programma per marzo. La Presidenza austriaca ha inserito altre priorità chiave nella propria agenda, tra cui la modifica della direttiva sull’orario di lavoro, la continuazione dei lavori intrapresi sul versante del coordinamento delle normative nel campo della sicurezza sociale e un’attenta disamina della proposta avanzata di recente dalla Commissione riguardo alla sostenibilità dei sistemi pensionistici.

L’onorevole parlamentare chiede in particolare se la Presidenza non concordi sul fatto che ogni nuova strategia sulla salute e la sicurezza dovrebbe concentrarsi più sull'attuazione della legislazione esistente anziché sulla creazione di una nuova legislazione. A tale proposito, senza dubbio l’onorevole Lynne si riferisce al fatto che, nella sua strategia politica annuale per il 2006, la Commissione ha annunciato che una delle principali iniziative di quest’anno sarà la proposta di una nuova strategia comunitaria in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro. La proposta in oggetto non verrà presentata tuttavia se non a 2006 avanzato, quando il mandato della Presidenza austriaca sarà già scaduto. Questo è il motivo per cui la Presidenza austriaca non potrà avviare alcun dibattito sull’iniziativa in sede di Consiglio. Nondimeno, l’Austria intende proseguire le discussioni preliminari sulla nuova strategia comunitaria in materia di salute e sicurezza avviate sotto la Presidenza britannica. Di conseguenza, la Giornata tematica del Comitato degli Ispettori del Lavoro Esperti (SLIC) che si terrà il 27 marzo 2006 a Vienna sarà dedicata a un dibattito al riguardo.

Posso assicurare all’onorevole parlamentare che la Presidenza austriaca si adopererà attivamente per compiere passi avanti sul versante della riforma del quadro normativo, come riportato, ad esempio, nella dichiarazione congiunta in merito a tale questione. La Presidenza attribuirà particolare priorità all’attuazione di misure volte a migliorare l’attività legislativa.

 

Interrogazione n. 15 dell'on. Reinhard Rack (H-0079/06)
 Oggetto: "Better Regulation"
 

La "Better Regulation" è oggi sulla bocca di tutti. Ciononostante regna in Europa un'evidente insoddisfazione riguardo a molti aspetti dell'UE, che spesso viene anche rappresentata come un "mostro" burocratico.

Che cosa pensa di fare la Presidenza austriaca del Consiglio per cercare di cambiare tale situazione?

 
  
 

Non è sufficiente limitarsi a parlare di “Better Regulation”: imprese e cittadini esigono risultati concreti che producano un effetto diretto su di loro. Le condizioni essenziali che rendono possibile conseguire tali risultati sono già state create a livello comunitario e in molti Stati membri. Ora devono diventare realtà e senza alcun indugio. Rivestono particolare importanza gli aspetti elencati qui di seguito:

Semplificazione delle regole e delle normative comunitarie che hanno un impatto tangibile su imprese e singoli. Grazie all’iniziativa di screening del Commissario Verheugen e agli attuali piani intesi alla semplificazione settoriale, congiuntamente alle altre azioni (orizzontali) in corso in materia di semplificazione, possiamo affermare di avere imboccato la direzione giusta.

La valutazione e la riduzione degli oneri amministrativi produce effetti diretti sui soggetti interessati. Disponiamo degli strumenti necessari a livello europeo, e ora dobbiamo utilizzarli.

Gli effetti del diritto europeo devono essere noti in anticipo, onde poter prendere decisioni consapevoli e adeguatamente informate. Queste ultime sono possibili grazie a valutazioni d’impatto da effettuare puntando al massimo livello di qualità e da usare poi nel processo negoziale. In questo ambito, ciò che assume importanza cruciale per l’economia è la prova di competitività.

Si delinea tuttavia il rischio che i cittadini e il mondo imprenditoriale non siano sufficientemente informati riguardo alle attività in oggetto e che queste ultime non influiscano in misura determinante sui comportamenti negativi di tali soggetti. Un modo per neutralizzare una simile situazione è quello di fornire dettagli più puntuali sulle attuali misure concrete intese alla riforma della regolamentazione e che riguardano i singoli interessati; in questo ambito vi attualmente è una molteplicità di provvedimenti adottati e spesso è difficile persino per gli esperti del campo riuscire ad avere una visione globale del contesto.

In ultima analisi occorre sottolineare che le nostre attività devono sfociare, come già affermato, in chiari vantaggi per tutti gli interessati, sotto forma di riduzione dei costi o di snellimento del lavoro, perché solo procedendo in questo senso saremo in grado di conseguire gli obiettivi che ci siamo posti. Ritengo che le misure citate vadano nella giusta direzione al riguardo.

Un’altra importante possibilità di coinvolgere cittadini e imprese consiste senza dubbio nel consultare entrambe le parti sulle regolamentazioni che li riguarderanno. Vi sono varie iniziative al riguardo, ma ancora una volta deve essere chiaro che le parti interessate devono essere perfettamente informate in merito alle possibilità di consultazione a loro disposizione, le loro opinioni devono essere ascoltate a livello decisionale e ottenere altresì una risposta efficace.

Cittadini e imprese spesso ci fanno presente che decisioni e normative importanti tendono con sempre maggiore frequenza a essere emanate da “Bruxelles”, con gli Stati nazione che vedono il rispettivo ruolo relegato sempre più in secondo piano, situazione che finisce per farli sentire impotenti rispetto all’Unione europea.

E’ di certo eccessivamente semplicistico additare “Bruxelles” come unica colpevole di questo stato di cose. In fin dei conti, la ragione per cui ci siamo uniti dando vita alla Comunità è stata la consapevolezza che ne avremmo innegabilmente tratto vantaggi misurabili a favore di tutti. Facciamo un esempio: a dieci anni dall’introduzione del mercato unico, il PIL dell’UE era superiore dell’1,8 per cento, ovvero 165 miliardi di euro, rispetto a quanto si fosse mai registrato prima dell’avvento del mercato unico, con 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro e un incremento del livello di vita di 877 miliardi di euro (equivalente a 5 700 euro per nucleo familiare).(1)

Ci si deve tuttavia chiedere se centralizzare al massimo a Bruxelles l’attività di regolamentazione sia effettivamente vantaggioso. E’ per questo motivo che il principio della “sussidiarietà” e l’assegnazione delle competenze sono a loro volta elementi importanti della riforma regolamentare e pongono di conseguenza un quesito, ossia quali temi debbano essere disciplinati a quale livello nell’interesse della massima efficacia. A tale riguardo, il 18 e il 19 aprile di quest’anno si terrà a St. Pölten una conferenza sulla sussidiarietà.(2)

 
 

(1) “Mercato interno – Dieci anni senza frontiere”, Commissione europea, Direzione generale Affari economici e finanziari, 2003.
(2) Organizzata della BKA.

 

Interrogazione n. 16 dell'on. Agnes Schierhuber (H-0092/06)
 Oggetto: Legami economici degli Stati mediterranei con l'UE
 

La stabilità economica e lo sviluppo dei Paesi vicini all'UE e i loro legami con la Comunità sono un importante elemento ai fini dell'instaurazione di uno spazio di sicurezza e di benessere attorno all'Unione europea.

Quali misure concrete saranno adottate in questo semestre per ravvicinare economicamente gli Stati mediterranei all'Unione europea (processo Euromed)?

 
  
 

L’evento più importante degli ultimi anni è stato il vertice svoltosi a Barcellona il 29 e 30 novembre in occasione del decimo anniversario della dichiarazione di Barcellona. Nel corso di tale vertice è stato adottato un programma quinquennale incentrato sulla riforma economica e politica ed è stata attribuita priorità alle questioni dell’istruzione e agli aspetti dell’immigrazione legale e illegale.

Il 24 marzo 2006 si terrà a Marrakech una conferenza dei ministri del Commercio. Il 19 e 20 giugno 2006 si svolgerà a Bruxelles la conferenza europea e mediterranea annuale sul cambiamento economico e il 25 e 26 giugno 2006 i ministri delle Finanze si riuniranno a Tunisi per discutere la linea di credito per gli investimenti e il partenariato euromediterranei (FEMIP), per definire un sistema di verifica tra pari e di sostegno reciproco nel processo di riforma e per sollevare questioni specifiche di comune interesse.

Per quanto riguarda la parte economica, la Presidenza si è assegnata il compito di recepire le parti pertinenti del programma di lavoro, il che significa:

ulteriore liberalizzazione degli scambi di prodotti agricoli, in merito alla quale il Consiglio ha accettato un mandato negoziale;

ulteriore liberalizzazione della fornitura di servizi; è inteso che i negoziati inizino ufficialmente nella riunione dei ministri del Commercio euromediterranei che si svolgerà a Marrakech il 24 marzo 2006.

La Presidenza, insieme ai partner euromediterranei, si occuperà inoltre di quanto segue:

integrazione del protocollo paneuromediterraneo originale nei restanti accordi euromediterranei;

convergenza su norme, disposizioni tecniche e valutazioni di conformità;

analisi più approfondita degli effetti delle riforme economiche e cooperazione nella regione;

rapida definizione di un calendario per l’eliminazione dell’inquinamento dal Mediterraneo entro il 2020 e fornitura di sostegno alla Commissione nella preparazione di una conferenza sull’argomento;

progetti subregionali in materia di energia per promuovere un mercato dell’energia nella regione euromediterranea.

 

Interrogazione n. 17 dell'on. Claude Moraes (H-0018/06)
 Oggetto: La Presidenza dell'Austria e la strategia di Lisbona
 

Può il Consiglio far sapere che direzione sta prendendo la Presidenza austriaca con la strategia di Lisbona? In particolare, quali saranno gli orientamenti riguardo al mercato del lavoro, all'utilizzo di nuove tecnologie, alle barriere occupazionali che alcuni settori della comunità devono superare (inclusi lavoratori giovani e anziani lavoratori e coloro che subiscono discriminazioni sul mercato del lavoro)?

Come valuta la Presidenza austriaca i piani d'azione nazionale per combattere l'emarginazione sociale?

 
  
 

La direzione generale presa dalla Presidenza austriaca riguardo alla strategia di Lisbona

Il processo di Lisbona e la priorità attribuita a crescita e occupazione, secondo quanto deciso nel marzo 2005, sono la base della direzione presa dalla Presidenza austriaca nei campi cui l’onorevole parlamentare fa riferimento.

Come il Cancelliere Schüssel ha detto quando ha presentato il programma della Presidenza(1), nei primi tre mesi del suo mandato, ossia fino al Vertice di primavera di marzo, la Presidenza austriaca si concentrerà sull’occupazione. La creazione di posti di lavoro, il ruolo delle piccole e medie imprese nella creazione di occupazione e l’istruzione sono argomenti nei confronti dei quali i cittadini europei nutrono il massimo interesse.

La direzione presa dalla Presidenza austriaca riguardo alle questioni occupazionali (fra cui l’adozione di nuove tecnologie e le barriere occupazionali che alcuni gruppi devono superare)

Il tema prioritario della Presidenza austriaca nel campo della politica in materia di occupazione è la cosiddetta “flexicurity”, che comporta il raggiungimento di un equilibrio tra flessibilità e sicurezza sociale in Europa. Questi due principi non devono essere considerati elementi alternativi, ma complementari: la flessibilità sul mercato del lavoro necessaria ai fini della competitività internazionale può essere raggiunta soltanto sulla base di sistemi di assicurazione e di sicurezza sociale correttamente funzionanti. Al contempo, il mantenimento della competitività è la condizione preliminare più importante per la sostenibilità dei sistemi di sicurezza sociale.(2)

Soltanto i lavoratori qualificati possono adottare nuove tecnologie. La Presidenza austriaca ritiene pertanto che l’attenzione debba essere concentrata su conoscenza, innovazione e ottimizzazione del capitale umano.(3)

Durante la sua Presidenza, l’Austria si impegna a continuare il lavoro iniziato durante le Presidenze precedenti. Nel campo dell’occupazione continuiamo a sostenere l’obiettivo di attrarre in modo permanente un maggior numero di persone verso il mondo del lavoro. L’anno scorso il Consiglio ha adottato questo obiettivo negli orientamenti per le politiche a favore dell’occupazione per il triennio 2005-2008(4). L’orientamento 18 in particolare chiede agli Stati membri di:

- ridurre la disoccupazione giovanile,

- adottare misure volte a aumentare la partecipazione femminile e a ridurre le differenze occupazionali e salariali tra uomini e donne,

- favorire una migliore armonizzazione lavoro-vita privata,

- sostenere l’invecchiamento attivo, comprese condizioni di lavoro appropriate per i lavoratori anziani, e disincentivare il prepensionamento.

Il 25 gennaio 2006 la Commissione ha presentato una relazione sui progressi compiuti nell’attuazione della strategia di Lisbona, che includeva anche un progetto della relazione comune sull’occupazione. Da tale relazione emerge che i singoli Stati membri, come l’Unione europea nel complesso, hanno adottato il giusto approccio: ad esempio, tutti i programmi nazionali di riforma pongono in evidenza le iniziative intraprese per attrarre in modo permanente un maggior numero di persone verso il mondo del lavoro. Si stanno compiendo sforzi particolari per migliorare la situazione occupazionale delle donne, dei lavoratori anziani, dei giovani e dei disabili.

Il Consiglio “Occupazione, politica sociale, salute e protezione dei consumatori” e la Commissione elaboreranno la versione definitiva della relazione comune sull’occupazione. La Presidenza austriaca cercherà di far sì che i messaggi fondamentali espressi dal Consiglio “Occupazione, politica sociale, salute e protezione dei consumatori” affinché vengano esaminati dal Consiglio europeo nel marzo 2006 tengano anche conto del tema principale della “flexicurity” e, nel contesto delle sfide demografiche con cui dobbiamo confrontarci, riservino particolare attenzione all’integrazione dei giovani nel mercato del lavoro. Sulla base della relazione che verrà sottoposta al suo esame, il Consiglio europeo trarrà le sue conclusioni riguardo al primo anno della strategia di Lisbona rinnovata nel campo dell’occupazione.

Lotta contro l’esclusione sociale

Come l’onorevole parlamentare senza dubbio sa, attualmente il Comitato per la protezione sociale sta elaborando la seconda relazione congiunta della Commissione e del Consiglio sulla protezione e l’inclusione sociale, in modo che possa essere adottata nella riunione di marzo del Consiglio “Occupazione, politica sociale, salute e protezione dei consumatori” e presentata al Consiglio europeo nel Vertice di primavera. In questo contesto, spetterà al Comitato per la protezione sociale e al Consiglio “Occupazione, politica sociale, salute e protezione dei consumatori” effettuare una valutazione politica dei piani d’azione nazionali per la lotta contro l’esclusione sociale.

Questa seconda relazione congiunta dovrebbe assegnare il debito peso ai compiti definiti nel corso del Vertice informale di Hampton Court e derivanti dalla revisione della strategia di Lisbona effettuata nella primavera del 2005. La relazione sarà pertanto basata sulla tesi che l’interazione tra il metodo aperto di coordinamento e il processo di Lisbona riveduto dovrebbe essere reciproca: la protezione e l’inclusione sociale devono promuovere il raggiungimento degli obiettivi di crescita e occupazione e la politica per la crescita e l’occupazione deve produrre vantaggi sociali. La relazione congiunta sarà basata sui piani e sulle dichiarazioni politiche presentati dagli Stati membri nel corso del 2005 riguardo ai tre campi di politica “inclusione sociale”, “pensioni” e “salute e assistenza a lungo termine”.

Conclusione

La Presidenza austriaca da parte sua assicurerà che i risultati più importanti della relazione comune sull’occupazione e della seconda relazione congiunta sulla protezione e l’inclusione sociale siano tenuti in debito conto nelle principali raccomandazioni per la politica in materia di occupazione e la politica sociale che saranno presentate al Consiglio europeo nel Vertice di primavera.

 
 

(1)Agence Europe, 9 gennaio 2006.
(2) Fonte: programma della Presidenza nei campi dell’occupazione, della politica sociale e della parità di opportunità (prefazione); disponibile anche in tedesco.
(3) Fonte: programma della Presidenza nei campi dell’occupazione, della politica sociale e della parità di opportunità (priorità per l’occupazione); disponibile anche in tedesco.
(4) Decisione del Consiglio del 12 luglio 2005, GU L 205 del 6.8.2005.

 

Interrogazione n. 18 dell'on. Brian Crowley (H-0073/06)
 Oggetto: Disoccupazione giovanile nell'Unione europea
 

Nel contesto sia della strategia di Lisbona che dell'adozione del patto europeo per la gioventù da parte dei Capi di Stato dell'UE nel marzo 2005, potrebbe il Consiglio chiarire quali misure sta mettendo in atto al fine di ridurre il tasso di disoccupazione giovanile in Europa, che attualmente è doppio del tasso medio di disoccupazione in Europa?

 
  
 

Il 25 gennaio 2006 la Commissione ha presentato la prima relazione annuale sui progressi compiuti in relazione alla strategia di Lisbona rinnovata per la crescita e l’occupazione. Il suo contenuto, e in particolare il progetto di relazione sull’occupazione, sarà discusso in seno al Consiglio “Occupazione, politica sociale, salute e protezione dei consumatori” il 10 marzo e, in seguito, nella riunione di primavera del Consiglio europeo del 23 e 24 marzo.

I programmi nazionali di riforma attribuiscono particolare importanza alla lotta contro la disoccupazione giovanile e all’integrazione dei giovani nel mercato del lavoro. La maggior parte degli Stati membri riserva particolare attenzione a questo gruppo destinatario nei programmi nazionali di riforma.

In tali programmi gli Stati membri si concentrano in particolar modo sull’aumento delle opportunità di occupazione con una combinazione di formazione e lavoro al fine di incrementare il tasso di occupazione. Un maggiore coordinamento tra istruzione, formazione, mobilità, occupazione e politica di integrazione favorirà la transizione dalla scuola alla vita lavorativa. I sistemi di formazione devono essere ammodernati e resi più adeguati alle esigenze dell’economia e deve essere promossa l’imprenditorialità. Tenuto conto che la disoccupazione giovanile ha uno stretto legame con l’abbandono scolastico, deve essere aumentata la percentuale di giovani che completano gli studi secondari o quelli universitari (più rapidamente). Ne consegue che gli sforzi dovranno essere concentrati sul perseguimento di una politica attiva in materia di mercato del lavoro e sul miglioramento della qualità della formazione professionale.

Alcuni Stati membri hanno fissato specifici obiettivi nazionali per il 2010 per ridurre il tasso di abbandono scolastico e aumentare la percentuale di giovani che completano gli studi secondari. Gran parte degli obiettivi aggiuntivi nel settore dell’occupazione riguarda in modo specifico la riduzione della disoccupazione giovanile.

Nei settori in cui alcuni Stati membri hanno già attuato politiche interessanti che hanno dato buoni risultati, l’intenzione è quella di sfruttare le potenzialità esistenti, per apprendere dalle esperienze reciproche e adattare e/o adottare misure.

Il “patto europeo per la gioventù” della strategia di Lisbona è inteso a migliorare la situazione per quanto riguarda l’istruzione generale e la formazione professionale, la mobilità e l’integrazione professionale e sociale dei giovani e, al contempo, a favorire la conciliazione delle esigenze contrastanti della vita professionale e della vita privata. Il patto è volto a garantire il corretto coordinamento di tutte le iniziative con il coinvolgimento delle organizzazioni dei giovani a tutti i livelli.

Il patto fissa obiettivi nei campi dell’occupazione, dell’integrazione e della mobilità sociale verso l’alto, dell’istruzione generale e della formazione professionale, della mobilità e della compatibilità tra la vita professionale e la vita familiare (cfr. allegato). Secondo la Commissione, le reazioni della maggior parte degli Stati membri che emergono dai loro programmi nazionali di riforma sono rassicuranti.

Un nuovo, importante obiettivo contenuto nella relazione sui progressi compiuti è che a tutti i giovani alla ricerca di un’occupazione devono essere offerti un lavoro, o un apprendistato o un posto in un corso di formazione o una misura occupazionale analoga:

- entro sei mesi/entro il 2007;

- entro 100 giorni dal completamento degli studi secondari o universitari/entro il 2010.

Le imprese devono ricevere incentivi finanziari e di altro genere per offrire agli studenti e ai giovani disoccupati un’esperienza di lavoro.

Dal 28 al 31 maggio 2006 verrà organizzato a Vienna e Bad Ischl un “Evento giovanile” su invito del BMSG nell’ambito della Presidenza austriaca dell’UE. Si svolgerà uno speciale seminario sul tema gioventù e occupazione. In tale occasione saranno discussi, tra l’altro, i seguenti aspetti di politica occupazionale: disoccupazione giovanile e misure per affrontarla, politica del mercato del lavoro e politica occupazionale, equilibrio tra famiglia e lavoro.

 

Interrogazione n. 19 dell'on. Paul Rübig (H-0091/06)
 Oggetto: Sesta Conferenza ministeriale dell'OMC di Hong Kong
 

Come giudica il Consiglio i risultati della sesta Conferenza ministeriale dell'OMC svoltasi a Hong Kong?

 
  
 

Dall’inizio alla fine della Conferenza ministeriale di Hong Kong il Consiglio ha presieduto approfondite discussioni sulle questioni più importanti, in merito alle quali sono state adottate decisioni al fine di formulare un progetto di dichiarazione ministeriale.

Il Consiglio ha osservato e valutato i progressi dei negoziati sulla base delle relazioni dei Commissari Mandelson e Fischer Boel. Nelle varie fasi dei negoziati, il Consiglio ha espresso il suo incondizionato sostegno a favore dell’approccio e delle azioni della Commissione.

Nell’ultima riunione del dicembre 2005 il Consiglio ha esaminato il testo finale del progetto di dichiarazione ministeriale dell’OMC scaturito dal processo negoziale. Il Consiglio ha informato i Commissari Mandelson e Fischer Boel che, a suo avviso, malgrado alcune carenze e la mancanza di sufficienti progressi effettivi su varie questioni, i risultati generali sono accettabili. Ha pertanto approvato il testo della dichiarazione e ha preso atto dell’intenzione della Commissione di comunicare, nella sessione conclusiva della Conferenza, che la Comunità europea e gli Stati membri accettano la dichiarazione.

Il Consiglio ha ribadito che l’UE è determinata a perseguire tutti i suoi obiettivi volti a conseguire risultati ambiziosi soddisfacenti per tutte le parti nelle prossime fasi dei negoziati che si svolgeranno l’anno entrante.

Il Consiglio ha preso atto dell’impegno della Commissione di rendere noto quanto segue nella riunione dei capi delegazione:

che per l’UE sarà importante garantire che, nelle restanti fasi dei negoziati, l’accesso al mercato per i prodotti non agricoli e l’agricoltura abbiano parità di trattamento;

che a suo avviso il testo non interferisce con la preferenza manifestata dall’UE, secondo cui la soppressione dei sussidi alle esportazioni dovrebbe essere espressa in termini di valore monetario;

che ritiene importante garantire un esito accettabile sulle questioni non commerciali, incluse le indicazioni geografiche.

Il Consiglio ha preso altresì atto delle assicurazioni fornite dalla Commissione, in base alle quali la graduale soppressione dei sussidi alle esportazioni dovrebbe essere pienamente in linea con le riforme della politica agricola comune concordate.

Il Consiglio ha preso atto del dibattito del Parlamento europeo del 16 gennaio 2006 sulla Conferenza ministeriale dell’OMC e delle dichiarazioni rese dal Commissario Mandelson in tale occasione. Il Consiglio attende con molto interesse la valutazione dei risultati di Hong Kong che il Parlamento dovrebbe presentare entro la fine di aprile 2006.

Nella riunione del 23 gennaio 2006 il Consiglio “Agricoltura e Pesca” ha discusso gli aspetti agricoli della Conferenza di Hong Kong, che sono stati poi esaminati in termini più generali nella riunione del 30 e 31 gennaio 2006 del Consiglio “Affari generali e Relazioni esterne”, che è stata preceduta domenica 29 gennaio da uno scambio di opinioni tra i ministri del Commercio.

Il Consiglio continuerà a seguire con attenzione gli ulteriori progressi dei negoziati a seguito della dichiarazione ministeriale di Hong Kong.

 

Interrogazione n. 20 dell'on. Hubert Pirker (H-0094/06)
 Oggetto: Strategia Flexicurity
 

Quali misure concrete sostiene la Presidenza austriaca nel settore della legislazione in materia di lavoro per attuare la strategia Flexicurity (lavoro flessibile e continuità di reddito)?

 
  
 

La strategia Flexicurity è fondata sull’idea che la creazione e il mantenimento di adeguati dispositivi di sicurezza sociale sono un requisito indispensabile per lo sviluppo della flessibilità e della competitività. Lo scopo non è solo sostenere i disoccupati fino al momento in cui trovano un altro lavoro, ma piuttosto rendere disponibili le strutture e i programmi necessari per far sì che, quando cambiano le circostanze occupazionali, e in “fasi di transizione” quali la formazione o il congedo parentale, le persone non vengano penalizzate e ricevano un sostegno proattivo.

Un esempio tratto dalla realtà europea è l’attuale proposta della Commissione di portabilità dei diritti alla pensione complementare basata sul principio della mobilità del lavoro. L’obiettivo è ridurre gli ostacoli alla libera circolazione tra gli Stati membri e al loro interno in quanto influiscono sui crediti di pensione da lavoro. Quando un lavoratore passa da un lavoro a un altro in uno Stato membro, o qualora il nuovo lavoro comporti uno spostamento in un altro Stato membro, il lavoratore, in linea di principio, deve avere la possibilità di scegliere se lasciare i diritti pensionistici nel sistema precedente, congelandoli per così dire, o di trasferirli a quello nuovo.

Un esempio a livello di Stati membri è l’introduzione di moderne forme di diritto del lavoro orientate al mercato nei nuovi Stati membri ex comunisti. L’istituzione di regimi di sostegno a favore dei disoccupati e di regimi pensionistici obbligatori ha svolto un ruolo importante nella creazione delle condizioni dell’economia di mercato, nel senso che ha consentito ai lavoratori di uscire dalle grandi imprese statali che fino ad allora avevano fornito la maggior parte delle prestazioni previdenziali.

Un altro esempio è la creazione in Austria nel 2002 di fondi di trattamento di fine rapporto e pensionistici che hanno reso il lavoro molto più flessibile, ma non meno sicuro. Prima della riforma i lavoratori erano responsabili del loro trattamento di fine rapporto, sulla base del presupposto che il lavoro sarebbe durato molti anni o addirittura per tutta la vita. Tale obbligo è stato trasferito ai fondi previdenziali indipendenti per i lavoratori per i quali i datori di lavoro versano contributi mensili. La conseguenza è stata che i lavoratori avranno diritto a un trattamento di fine rapporto a prescindere da qualsiasi cambiamento di datore di lavoro, mentre al contempo i datori di lavoro potranno suddividere i trattamenti di fine rapporto in modo regolare nel tempo, e pertanto avere un quadro più preciso della loro situazione finanziaria.

Anche il Comitato per l’occupazione ha esaminato il tema della “flexicurity” nella riunione di Bad Ischl del 9 febbraio, durante la quale Austria, Polonia e Norvegia hanno presentato studi di vari casi e si è convenuto che la situazione specifica di ciascun paese è fondamentale nel determinare non solo gli aspetti pratici dell’introduzione di misure orientate alla flexicurity, ma anche i costi connessi.

Il Comitato ha accolto con favore le dichiarazioni della Commissione relative alla flexicurity contenute nella relazione sui progressi compiuti dai singoli paesi. Oltre a includere la flexicurity nel progetto di documento relativo alle questioni chiave per la prossima riunione del Consiglio “Occupazione e Affari sociali”, il Comitato istituirà un gruppo di esperti più ristretto sotto la Presidenza danese. Tale gruppo elaborerà un documento di lavoro dal quale il Consiglio “Occupazione e Affari sociali” trarrà le sue conclusioni nella riunione di giugno.

Ci aspettiamo che il Libro verde sugli sviluppi in materia di diritto del lavoro, annunciato dalla Commissione e che dovrebbe essere pubblicato entro la fine della Presidenza austriaca, stimoli una discussione generale sulle attuali tendenze nello sviluppo di nuove strutture di lavoro e sulle loro implicazioni per il diritto del lavoro a livello nazionale ed europeo. E’ inteso che non solo le Istituzioni europee e gli Stati membri partecipino alla discussione, ma anche, e in particolare, le parti sociali a livello nazionale ed europeo.

Ne consegue che per il momento è ancora prematuro prendere in considerazione l’adozione di misure legislative specifiche, il che, in ogni caso, può avvenire solo se e quando la Commissione presenterà le proposte pertinenti. E’ indubbio che la Commissione vuole innanzi tutto attendere l’esito delle consultazioni sull’argomento del prossimo Libro verde prima di decidere se in qualsiasi iniziativa futura debbano essere incluse misure legislative.

 

Interrogazione n. 21 dell'on. Eoin Ryan (H-1121/05)
 Oggetto: Spazio unico per i pagamenti
 

Può il Consiglio pronunciarsi in merito ai progressi che si stanno facendo per l'attuazione di uno spazio unico per i pagamenti all'interno dell'Unione europea, visto che questo avrebbe il risultato di offrire servizi bancari transfrontalieri più efficienti per i consumatori?

 
  
 

Il 1o dicembre 2005 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, attualmente in fase di esame in seno al gruppo di lavoro del Consiglio sui servizi finanziari. La Presidenza farà tutto il possibile affinché si giunga a un accordo tra l’ECOFIN e il Parlamento europeo, in modo che la direttiva possa essere adottata il più presto possibile nell’ambito della procedura di codecisione.

La direttiva relativa ai servizi finanziari nel mercato interno contribuirà a creare parità di condizioni per i fornitori di servizi finanziari e garantirà la parità di accesso al mercato, oltre ad ammodernare e promuovere le infrastrutture per le operazioni di pagamento. Sarebbe pertanto accolto con favore il tempestivo raggiungimento di un accordo, in modo che possa essere conseguito quanto prima l’obiettivo di stimolare la concorrenza nel settore dei servizi di pagamento.

 

Interrogazione n. 22 dell'on. Seán Ó Neachtain (H-1123/05)
 Oggetto: Programma Interreg
 

Può il Consiglio europeo far sapere se appoggia la continuazione del programma Interreg nell'ambito del quadro di bilancio 2007-2013, alla luce del fatto che questa iniziativa promuove con successo in Europa lo sviluppo economico e sociale transfrontaliero?

 
  
 

Nella riunione del 15 e 16 dicembre 2005, il Consiglio europeo ha deciso di mantenere le misure a sostegno della cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale nel prossimo periodo di programmazione dal 2007 al 2013, nell’ambito dell’obiettivo “cooperazione territoriale”, cui è stato assegnato circa il 2,4 per cento della dotazione finanziaria complessiva della politica di coesione.

Il Consiglio e il Parlamento, tuttavia, devono ancora discutere i regolamenti applicabili a questa forma di cooperazione e raggiungere un accordo, in particolare per quanto riguarda il regolamento generale e il regolamento relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR).

 

Interrogazione n. 23 dell'on. Ryszard Czarnecki (H-1168/05)
 Oggetto: Sostegno finanziario regionale
 

Per quanto tempo ancora il Consiglio ritiene che saranno erogati contributi finanziari a sostegno di regioni UE che, pur essendo ricche, rientrano in categorie geografiche speciali, quali le zone di montagna in Austria?

 
  
 

Anche se nella riunione del 15 e 16 dicembre 2005 il Consiglio europeo è pervenuto a un accordo sul quadro finanziario per il periodo dal 2007 al 2013, fra cui la spesa per il Fondo di coesione, l’accordo interistituzionale sulle prospettive finanziarie non è stato concluso, in quanto ciò può essere fatto soltanto previo negoziato con il Parlamento europeo.

Le disposizioni specifiche per le zone che presentano considerevoli svantaggi geografici o naturali rientreranno nell’ambito dei regolamenti relativi alla politica di coesione, attualmente oggetto di negoziati in cui il Parlamento europeo è profondamente coinvolto.

Al momento pertanto il Consiglio non è in grado di fornire alcuna indicazione precisa riguardo al modo in cui saranno trattate le regioni che rientrano in categorie geografiche speciali, alle quali l’interrogazione fa riferimento.

 

Interrogazione n. 24 dell'on. Pedro Guerreiro (H-1183/05)
 Oggetto: Attività della CIA
 

Considerando l'accumularsi di fatti e di denunce concernenti le attività dei servizi di sicurezza degli Stati Uniti, soprattutto della CIA, tra cui il trasporto, il sequestro e la detenzione illegale di cittadini – in particolare in paesi europei – i quali sono stati successivamente sottoposti al più disumano isolamento, a sevizie e a torture, considerando che si tratta di una situazione che deve essere fermamente denunciata e condannata, e considerando che tale deplorevole violazione del diritto internazionale e della Convenzione contro la tortura si iscrive in una politica di illegalità sistematica attuata dalle autorità statunitensi, le quali, nascondendosi dietro lo slogan della "lotta contro il terrorismo", violano la Carta delle Nazioni Unite e il diritto internazionale,

può il Consiglio indicare quali sforzi e azioni ha intrapreso per appurare tutta la verità dei fatti, e quali misure ha adottato per impedire che tali attività criminose continuino in futuro?

 
  
 

Il 21 novembre il Consiglio “Affari generali e Relazioni esterne” ha esaminato la questione delle notizie riportate dagli organi d’informazione riguardo alle violazioni del diritto internazionale commesse dagli Stati Uniti in relazione alla presunta incarcerazione di sospetti terroristi negli Stati membri dell’UE o, eventualmente, al loro presunto trasferimento attraverso gli Stati membri dell’Unione. Si è deciso che la Presidenza avrebbe chiesto agli Stati Uniti di chiarire il contenuto di tali notizie, e il ministro degli Esteri britannico Straw lo ha fatto in una lettera del 29 novembre 2005 inviata al Segretario di Stato statunitense, Condoleezza Rice, che in seguito ha reso una dichiarazione pubblica sull’argomento.

Libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani e fondamentali e Stato di diritto sono valori condivisi da tutti gli Stati membri, e il diritto comunitario è fondato sui diritti fondamentali e sul loro rispetto da parte dell’Unione europea. Nel suo dialogo politico con i paesi terzi, il Consiglio si avvale di ogni opportunità per affrontare le questioni legate ai diritti umani, e lo fa a tutti i livelli, su base regolare, con gli Stati Uniti.

 

Interrogazione n. 25 dell'on. Avril Doyle (H-1187/05)
 Oggetto: Inchiesta sul presunto coinvolgimento dello Stato in Irlanda del Nord
 

Nel quadro dell'impegno assunto dal Consiglio di promuovere la pace e la riconciliazione mediante il sostegno al Fondo Internazionale per l'Irlanda, ribadito dal Consiglio europeo del 15-16 dicembre 2005, e vista la raccomandazione del giudice Cory, che ha esaminato sei casi di presunto coinvolgimento dello Stato in omicidi perpetrati in Irlanda del Nord, di promuovere un'inchiesta pubblica indipendente sulla questione, ritiene il Consiglio che l'Inquiries Act del 2005 emanato dal governo britannico garantirà lo svolgimento di tale inchiesta?

 
  
 

Il Fondo internazionale per l’Irlanda è stato istituito dai governi irlandese e britannico nel 1986 quale organizzazione internazionale indipendente. L’obiettivo di questo Fondo è promuovere lo sviluppo economico e sociale e incoraggiare il contatto, il dialogo e la riconciliazione tra nazionalisti e unionisti irlandesi. L’Unione europea contribuisce a tale Fondo.

Nella riunione del 15 e 16 dicembre 2005, il Consiglio europeo ha preso atto dell’importante lavoro svolto dal Fondo internazionale per l’Irlanda per promuovere la pace e la riconciliazione. Ha chiesto alla Commissione di prendere le iniziative necessarie al fine di assicurare la prosecuzione del sostegno dell’UE al Fondo, che entra nella cruciale fase finale dei lavori, fino al 2010.

I casi specifici sollevati dall’onorevole parlamentare non rientrano nella sfera di competenza del Consiglio.

 

Interrogazione n. 26 dell'on. Eva-Britt Svensson (H-0009/06)
 Oggetto: Circostanze che hanno condotto al ritiro di una relazione critica nei confronti di Israele
 

Lunedì, 12 dicembre 2005, il Consiglio dei ministri ha bloccato la pubblicazione di una relazione sulla situazione in Gerusalemme Est. Tale relazione, voluta dalla Commissione, è risultata oltremodo critica nei confronti di Israele, con specifico riferimento alle attività dei coloni ed alla costruzione della barriera di sicurezza. La decisione di non pubblicare la relazione è stata accolta con grande soddisfazione dai diplomatici israeliani che negli ultimi tempi avevano dispiegato un'intensa attività di lobbysmo contro la relazione da essi dichiarata 'very unpleasant" oltre ché atta a deteriorare i rapporti fra Israele e l'UE.

La decisione di non pubblicare la relazione è stata presa dai Ministri degli Esteri dell'UE sotto la presidenza di Jack Straw. Tale decisione è stata stigmatizzata oltretutto dal parlamentare britannico Phyllis Starkey che presiede il Labour Middle East Council.

Ovviamente occultare e mantenere segreto un siffatto documento oltre che interrogativi suscita costernazione.

Potrebbe il Consiglio far conoscere i motivi per cui non è stata resa di pubblico dominio la relazione di cui trattasi? E' stata tale decisione adottata in considerazione degli interessi dello Stato di Israele?

 
  
 

L’Unione europea continua a essere preoccupata riguardo alla situazione a Gerusalemme est, di cui hanno discusso i ministri degli Esteri dell’UE nelle riunioni del 21 novembre e del 12 dicembre 2005.

Nella riunione del 12 dicembre, i ministri dell’UE, tenendo conto del cambiamento della situazione in Israele e nei territori occupati, nonché delle prossime elezioni che si svolgeranno da entrambe le parti, hanno deciso che la pubblicazione della relazione sarebbe stata controproducente. Le questioni relative a Gerusalemme est continueranno a essere prioritarie per l’UE nei suoi rapporti con le autorità israeliane a tutti i livelli.

 

Interrogazione n. 27 dell'on. Daniel Caspary (H-0020/06)
 Oggetto: Prenorma europea
 

La prenorma europea ENV 14383-2 (Prevenzione del crimine attraverso la pianificazione e la progettazione urbanistica) è una norma provvisoria del Comitato europeo di normalizzazione (CEN - European Commitee for Standardization). La prenorma contiene una dettagliata descrizione degli obiettivi di pianificazione urbanistica, a sostegno della strategia volta a combattere in modo preventivo la criminalità e l'insicurezza. Le Istituzioni europee non hanno competenze giuridiche nell'ambito dello sviluppo urbano. Analoghe misure possono invece essere adottate in modo più efficace e mirato a livello regionale o comunale. I ministeri competenti, così come le associazioni leader comunali, rifiutano perciò in Germania la norma provvisoria.

Può il Consiglio far sapere se partecipa, unitamente ai suoi gruppi di lavoro competenti, all'elaborazione della prenorma e qual è la posizione dei membri del Consiglio rispetto al suo contenuto?

 
  
 

Il Consiglio, poiché non ha partecipato ai lavori sulla prenorma, non è in grado di fornire all’onorevole parlamentare informazioni riguardo alle posizioni assunte dagli Stati membri in merito al suo contenuto.

 

Interrogazione n. 28 dell'on. Irena Belohorská (H-0039/06)
 Oggetto: Salute riproduttiva delle donne
 

In nessuno Stato membro dell'Unione le donne rappresentano meno del 50% della popolazione. La Presidenza austriaca ha identificato come priorità la salute delle donne, in relazione al problema dell'invecchiamento della popolazione in Europa. La salute delle donne, e in modo particolare la salute riproduttiva, sono, pertanto, parte integrante della strategia di Lisbona.

Tenendo conto del principio di sussidiarietà, quali iniziative intende la Presidenza austriaca intraprendere ai fini di migliorare la salute delle donne nell'UE a 25, con particolare attenzione al campo della ginecologia e dell'ostetricia, per quanto concerne, ad esempio, gli aborti spontanei, i parti prematuri, l'infertilità, la menopausa e la prevenzione del cancro?

 
  
 

Il Consiglio desidera ringraziare l’onorevole parlamentare per aver richiamato la sua attenzione su questa importante problematica.

Il Trattato prevede che lo scopo ultimo di tutte le attività in campo sanitario deve essere il miglioramento della salute dei cittadini europei. La salute delle donne, fra cui la salute riproduttiva, ha un’importanza fondamentale per il benessere dei cittadini nell’Unione europea, oltre a essere rilevante in considerazione dell’invecchiamento della popolazione europea e della riduzione dei tassi di fertilità. La Presidenza austriaca considera pertanto una delle sue priorità garantire che a tale argomento venga dato maggiore rilievo a livello europeo.

Le questioni relative alla salute della donna, in particolare le malattie cardiovascolari e l’aumento dell’incidenza del cancro ai polmoni dovuta a un incremento del numero di donne che fumano, saranno pertanto aspetti fondamentali nelle discussioni che si svolgeranno nel corso delle riunioni informali dei ministri della Sanità dell’UE che si terranno in aprile e in occasione delle quali verrà riservata particolare attenzione anche a malattie quali l’endometriosi e l’osteoporosi.

La Presidenza austriaca intende presentare alla riunione del Consiglio di giugno un progetto di conclusioni sulla salute delle donne, in cui la Commissione sarà invitata a sottoporre una relazione sulla situazione relativa alla salute delle donne nell’UE a 25 e ad attribuire maggiore importanza alla dimensione di genere nelle politiche in campo sanitario.

Nella riunione di giugno, il Consiglio esaminerà inoltre la proposta di risoluzione del Parlamento e del Consiglio a favore di un programma d’azione comunitaria in materia di salute e protezione dei consumatori, che è importante anche per la salute delle donne. La Presidenza compirà pertanto ogni possibile sforzo per giungere a un accordo politico su questa importante proposta, anche se ciò dipenderà dall’esito della votazione del Parlamento europeo, dai negoziati sul quadro finanziario per il periodo 2007-2013 e dal calendario previsto a tale scopo.

 

Interrogazione n. 29 dell'on. Paulo Casaca (H-0042/06)
 Oggetto: Intensificarsi della persecuzione di dissidenti religiosi in Iran
 

Dopo che Amnesty International(1) aveva rilasciato un comunicato sulla morte in detenzione di Dhabihullah Mahrami, prigioniero di coscienza Baha'i, la ONG Compass Direct ha reso di pubblico dominio l'assassinio di Gabor Dordi Tourani.

Entrambi i casi si aggiungono ad innumerevoli altri casi riferiti di persecuzione di dissidenti religiosi fra cui il processo e la condanna del colonnello Hamid Pourmand (cfr. interrogazioni parlamentari P-0400/05, E-1044/05 e P-1466/05) per la sua supposta conversione alla religione cattolica.

Il caso di Gabor Tourani è particolarmente scioccante per le macabre circostanze che hanno accompagnato la sua morte: sequestrato, accoltellato ed il cadavere deposto davanti alla porta della sua residenza. La Compass Direct(2) riferisce altresì su varie perquisizioni compiute dalla polizia segreta iraniana nell'intento di confiscare materiale religioso, e catturare o minacciare i rispettivi proprietari.

Potrebbe il Consiglio far conoscere le modalità con cui ha fatto pervenire al governo iraniano la sua protesta per l'intensificarsi della persecuzione religiosa in tale paese?

 
  
 

L’Unione europea ritiene il trattamento delle minoranze religiose in Iran motivo di grave preoccupazione. Senza un maggiore rispetto dei diritti umani non si compirà alcun progresso nelle relazioni tra l’UE e l’Iran.

L’UE solleva la questione della discriminazione fondata sulla religione non solo nelle sedi internazionali, ma anche nei suoi rapporti con il governo iraniano.

L’UE ha sostenuto la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite dello scorso dicembre sulla situazione dei diritti umani in Iran, in cui si esprimeva grave preoccupazione per le continue discriminazioni contro le minoranze religiose e si chiedeva all’Iran di porre fine a tutti i tipi di discriminazione contro membri di minoranze religiose e ad altre violazioni dei loro diritti umani.

L’UE solleva inoltre queste e altre questioni legate ai diritti umani con il governo iraniano. In gennaio l’UE ha presentato una denuncia al governo di Teheran a nome di Dhabihullah Mahrami e Ghorban Tori(3). Il governo iraniano ha accettato di esaminare tale denuncia e di fornire all’UE le informazioni richieste. L’Unione europea ha anche espresso preoccupazione riguardo al caso Mahrami nel corso del dialogo dell’UE con l’Iran sui diritti umani.

Il dialogo sui diritti umani tra l’UE e l’Iran è stato avviato nel 2002 e l’ultima riunione si è svolta nell’estate del 2004; tuttavia, da allora, nonostante ripetuti tentativi, l’UE non è riuscita a organizzare un’altra riunione. L’Unione ha chiesto all’Iran di dimostrare il suo rispetto per i diritti umani e il suo impegno al dialogo. Nonostante la mancanza di un visibile impegno positivo da parte dell’Iran, l’UE è sempre disposta a discutere con tale paese sui diritti umani, in primo luogo nell’ambito del processo di dialogo.

 
 

(1) MDE 13/004/2006-http://web.amnesty.org/library/index/engmde130042006.
(2) http://www.compassdirect.org/en/newslongen.php?idelement=4090.
(3) L’interrogazione parlamentare fa riferimento a Gabor Dordi Tourani, ma sembra che il caso che si intendeva menzionare fosse lo stesso.

 

Interrogazione n. 30 dell'on. Erna Hennicot-Schoepges (H-0048/06)
 Oggetto: Impegno degli Stati membri a favore della ricerca pubblica nel quadro della strategia di Lisbona
 

Con la strategia di Lisbona gli Stati membri si sono impegnati ad investire l'1% del loro RNL annuo nella ricerca pubblica.

Poiché, secondo la risposta della Commissione all'interrogazione P-3230/05, le statistiche indicano che tra il 1999 e il 2003 (ultima rilevazione disponibile), il livello degli investimenti R&S in percentuale di PIL non ha registrato nell'UE alcun aumento sostanziale, bensì piuttosto una semistagnazione, può il Presidente in carica del Consiglio far sapere quali iniziative intende assumere la presidenza per far sì che gli Stati membri rispettino il loro impegno?

 
  
 

A seguito dell’introduzione della strategia di Lisbona riveduta e di un nuovo sistema di amministrazione, nel 2005, gli Stati membri sono stati esortati a includere nei loro programmi nazionali di riforma (PNR) obiettivi quantitativi per la spesa nel campo della ricerca.

Nei primi PNR, presentati alla Commissione alla fine del 2005, 18 Stati membri hanno fissato obiettivi quantitativi. Nessuno di essi ha raggiunto l’obiettivo di spesa fissato per il 2010, ossia il 3 per cento del PIL, due terzi del quale, va sottolineato, dovrebbe essere finanziato dal settore delle imprese private. Occorre tuttavia precisare che gli obiettivi stabiliti dagli Stati membri corrispondono a un aumento della spesa per la ricerca (pubblica e privata) al 2,6 per cento del PIL entro il 2010, e rappresentano pertanto un considerevole miglioramento rispetto alla situazione attuale, che l’onorevole parlamentare ha descritto a giusto titolo come una semistagnazione, tenuto conto che l’attuale spesa per la ricerca è pari in media all’1,9 per cento del PIL, di cui il 55 per cento è finanziato dalle imprese e dall’industria.(1)

Per quanto sia certamente incoraggiante la volontà politica espressa negli obiettivi quantificati, il livello d’impegno cui si mira è ancora molto inferiore al 3 per cento fissato dal Consiglio europeo nella riunione svoltasi a Barcellona nel 2002.

La Presidenza continuerà pertanto a ribadire l’importanza dell’obiettivo condiviso di Barcellona, che sarà fondamentale per permetterci di conseguire il necessario margine sulla concorrenza, anche se è ovvio che spetta ai singoli Stati membri adottare le misure indispensabili per ottenere la disponibilità di maggiori finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo.

Continuiamo ad adoperarci per conseguire questo obiettivo attraverso il metodo di coordinamento aperto, che è l’unico mezzo disponibile a livello comunitario per incentivare gli Stati membri a raddoppiare i loro sforzi in questo settore.

 
 

(1) Cfr. allegato della comunicazione della Commissione per il Vertice di primavera del Consiglio europeo “E’ ora di cambiare marcia”, doc. 5745/06 ADD 2, pag. 19.

 

Interrogazione n. 31 dell'on. Katerina Batzeli (H-0081/06)
 Oggetto: Attuazione della direttiva sugli organismi geneticamente modificati (OGM)
 

Tra le priorità della Presidenza austriaca figura la prosecuzione del dialogo per l'adozione di nuove regole in materia di coesistenza degli OGM con altre forme di produzione agricola. È noto quali sono le richieste dei consumatori, delle organizzazioni ambientaliste e dei produttori che hanno indirizzato le scelte nazionali verso prodotti biologici e certificati. La direttiva attualmente in vigore sugli OGM e le sue modalità di attuazione da parte della Commissione confliggono con l'attuazione di siffatte politiche e per gli Stati membri hanno conseguenze non solo economiche, quali la prova degli effetti della coesistenza degli OGM con le colture tradizionali o biologiche e l'indennizzo dei produttori in caso di inquinamento. È stato altresì fatto rilevare che l'Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA) fonda le sue valutazioni su criteri che si basano esclusivamente su dati di laboratorio che spesse volte sono lontane dalla realtà.

Intende la Presidenza tener conto dei problemi su esposti onde migliorare le procedure decisionali a livello comunitario e per non attuare il sistema vigente in modo orizzontale?

Intende essa cambiare le modalità secondo le quali l'EFSA valuta la pericolosità di tali sostanze e al contempo rafforzarne il ruolo?

 
  
 

Sono molto lieto che l’onorevole parlamentare abbia rivolto questa interrogazione, che rispecchia le preoccupazioni della Presidenza austriaca. Il sostegno del Parlamento sarà molto prezioso per la Presidenza negli sforzi compiuti per introdurre una politica comunitaria sugli OGM guidata dalle aspettative e dalle preoccupazioni dei cittadini e ispirata alla necessità di tutelare la salute e l’ambiente.

Come l’onorevole parlamentare ha sottolineato, gli OGM sollevano tutta una serie di questioni riguardo ai loro effetti a lungo termine sulla salute e l’ambiente, e si deve anche tenere presente che, a seguito della valutazione estremamente favorevole dell’EFSA, la Commissione dovrebbe approvare alcuni OGM nonostante gli Stati membri in seno al Consiglio si siano frequentemente espressi, in votazioni a maggioranza semplice, contro tale approvazione.

Il 9 marzo 2006 il Consiglio “Ambiente” svolgerà un’approfondita discussione su questo problema, in cui si valuterà come si possa migliorare la valutazione della sicurezza degli OGM e accrescere la trasparenza nella procedura di approvazione.

L’altro importante problema sollevato dagli OGM è come questi possano coesistere con le colture tradizionali o biologiche, vale a dire come istituire forme più efficaci di protezione di tali colture dalla contaminazione accidentale da parte degli OGM.

Posso confermare che all’inizio di aprile si terrà nella capitale austriaca una conferenza organizzata dalla Commissione e che ciò che ne emergerà sarà considerato come base per lo svolgimento di un’approfondita discussione a livello di Consiglio in maggio, quando questa Istituzione presenterà, o almeno me lo auguro, conclusioni o raccomandazioni riguardo all’introduzione di norme comuni vincolanti per la coesistenza con gli OGM. Si tratterebbe di un modo per evitare gli effetti negativi che l’onorevole parlamentare ha giustamente denunciato.

Infine, vorrei sottolineare che la Presidenza austriaca intende tenere una conferenza scientifica sul principio di precauzione nella politica in materia di OGM, che si svolgerà a Vienna il 18 e 19 aprile.

Posso pertanto assicurare all’onorevole parlamentare che la Presidenza farà tutto il possibile per affrontare le questioni relative agli OGM da lei sollevate.

 

Interrogazione n. 32 dell'on. Diamanto Manolakou (H-0096/06)
 Oggetto: Intervento del governo ceco sulla Gioventù comunista ceca
 

Il governo ceco interviene arbitrariamente e minaccia di bloccare l'attività dell'Unione della Gioventù comunista ceca (KSM) al fine di teleguidare il movimento giovanile del paese. Il criterio in base al quale il governo ceco ha compiuto tale intervento palesemente provocatorio nei confronti del KSM sono le posizioni ideologiche e politiche professate da tale organizzazione e il grande seguito che essa ha tra i giovani. L'attacco contro il KSM si estende in realtà al partito comunista di Boemia e Moravia che svolge un'intensa attività politica e è rappresentato da 6 deputati al Parlamento europeo. Tali attività si collocano all'interno della campagna anticomunista che è in pieno fervore, ma incontrano l'opposizione della schiacciante maggioranza dei popoli.

Quali provvedimenti intende assumere il Consiglio per garantire l'attività dell'Unione della Gioventù comunista ceca e, in generale, le libertà democratiche fondamentali della gioventù ceca?

 
  
 

Poiché le Istituzioni dell’Unione europea non sono competenti in materia, il Consiglio non ha mai discusso tale questione.

 

INTERROGAZIONI ALLA COMMISSIONE
Interrogazione n. 46 dell'on. Ioannis Gklavakis (H-0010/06)
 Oggetto: Revisione dell'organizzazione comune di mercato degli ortofrutticoli
 

In Grecia e in altri paesi dell'Unione europea il settore degli ortofrutticoli è molto importante per l'agricoltura. Negli ultimi anni questo settore così sensibile della produzione agricola ha subito gravi danni a causa degli accordi preferenziali stipulati dall'Unione europea con paesi terzi, per cui diventa sempre meno competitivo. Per la sua sopravvivenza occorre la protezione comunitaria soprattutto nei paesi dell'Unione europea in cui esso rappresenta l'unica fonte di occupazione per la popolazione agricola.

Potrebbe la Commissione stabilire il calendario di revisione dell'OCM degli ortofrutticoli e dire se prevede che essa sarà radicale ovvero se condivide l'opinione secondo cui occorre apportarvi parziali migliorie, così come richiesto dagli Stati membri produttori più importanti?

Intende includere nelle sue nuove proposte specifiche misure per la strategia europea intesa a una più efficace promozione degli ortofrutticoli europei, assumendo iniziative per il varo di campagne di sensibilizzazione, l'effettuazione di ricerche di mercato e la creazione di reti di commercializzazione degli ortofrutticoli comunitari?

Ha infine essa in animo di prendere in seria considerazione le posizioni e le osservazioni formulate dal Parlamento europeo ovvero si ripeterà quanto già avvenuto con la revisione dell'OCM dello zucchero, a proposito della quale il Parlamento europeo è stato platealmente ignorato?

 
  
 

Il programma di lavoro della Commissione per il 2006 include la presentazione della riforma dell’organizzazione comune di mercato degli ortofrutticoli freschi e trasformati nella seconda metà del 2006.

A seguito delle conclusioni della Presidenza olandese del novembre 2004, la Commissione rispetta gli impegni assunti riguardo all’esecuzione di una valutazione d’impatto e di analisi sull’organizzazione comune di mercato (OCM) prima di presentare proposte legislative.

Attualmente le analisi sull’OCM vengono effettuate da un consulente esterno, mentre al contempo un gruppo interservizi istituito all’interno della Commissione sta preparando la valutazione d’impatto sulle varie opzioni per la riforma. I risultati finali di entrambi gli studi dovrebbero essere pronti alla fine del primo semestre del 2006.

Dopo che la Commissione avrà adottato i progetti di proposte legislative, il Parlamento avrà l’opportunità di esprimere il suo parere sulla riforma proposta. La Commissione prenderà in considerazione le posizioni e le osservazioni formulate dal Parlamento, come ha fatto nel caso di riforme precedenti, fra cui la recente riforma del settore dello zucchero che non solo era basata su una ristrutturazione del Fondo originariamente proposto dal Parlamento, ma offre anche alcuni esempi concreti dell’influenza di questa Istituzione.

 

Interrogazione n. 47 dell'on. María Isabel Salinas García (H-0012/06)
 Oggetto: Riforma dell'OCM nel settore degli ortofrutticoli
 

Nel suo programma di lavoro per il 2006, la Commissione, come annunciato, include la presentazione della sua proposta per la riforma del regolamento sui prodotti ortofrutticoli.

Può la Commissione precisare quando prevede di presentare tale proposta? Potrebbe essa anticipare le prime conclusioni cui si è giunti attraverso l'elaborazione degli studi d'impatto?

 
  
 

Il programma di lavoro della Commissione per il 2006 include la presentazione della riforma dell’organizzazione comune di mercato (OCM) nel settore degli ortofrutticoli freschi e trasformati nel secondo semestre del 2006.

Attualmente le analisi sull’OCM vengono effettuate da un consulente esterno, mentre al contempo un gruppo interservizi istituito all’interno della Commissione sta preparando la valutazione d’impatto sulle varie opzioni per la riforma.

Per quanto riguarda le analisi, i risultati saranno pronti entro la fine del primo semestre del 2006 e la Commissione li pubblicherà sul suo sito web.

Quanto alla valutazione d’impatto, alle proposte legislative sarà allegato un documento relativo all’analisi delle varie opzioni per la riforma dell’organizzazione comune di mercato nel settore degli ortofrutticoli.

Tenuto conto di quanto precede, la Commissione ritiene che sia troppo presto per esprimere osservazioni sul contenuto delle future proposte.

 

Interrogazione n. 48 dell'on. Dimitrios Papadimoulis (H-0024/06)
 Oggetto: Prospettive finanziarie 2007-2013 e revisione della politica agricola
 

Il paragrafo 80 dell'accordo sulle Prospettive finanziarie 2007-2013, stabilisce che: "Il Consiglio europeo invita pertanto la Commissione a procedere a una revisione generale e approfondita comprendente tutti gli aspetti relativi alle spese dell'UE, compresa la PAC, e alle risorse, inclusa la correzione per il Regno Unito, e a presentarla nel 2008/2009. Sulla scorta di tale revisione il Consiglio europeo potrà decidere in merito a tutte le materie contemplate dalla revisione. Si terrà conto della revisione e anche dei lavori preparatori delle successive Prospettive finanziarie".

Ritiene la Commissione che la suddetta formulazione persegua la revisione della politica agricola comune, in particolare per quanto riguarda le modalità e l'importo del finanziamento della PAC, forse anche prima del 2013?

 
  
 

Nel 2003 la politica agricola comune (PAC) è stata oggetto di una riforma radicale. Da allora il nuovo regime di pagamento unico è stato esteso alla maggior parte dei settori di mercato della PAC, con l’importante eccezione dei settori del vino, delle banane e degli ortofrutticoli, la cui revisione è prevista per il 2006/2007.

Sebbene la riforma includesse clausole di revisione per i nuovi strumenti, e alcuni settori di mercato, nel periodo 2007-2010, la riforma del 2003 è stata concordata conformemente alle conclusioni dei Vertici di Berlino, Göteborg e Bruxelles, nel quadro di un bilancio agricolo per l’UE allargata, fissato all’epoca fino al 2013.

E’ vero, come l’onorevole parlamentare ha indicato, che nel dicembre 2005 il Consiglio europeo ha raggiunto un accordo politico sulle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013, in cui si invita la Commissione a procedere a “una revisione generale e approfondita comprendente tutti gli aspetti relativi alle spese dell’UE, compresa la PAC, e alle risorse, inclusa la correzione per il Regno Unito, e a presentarla nel 2008/2009”.

Attualmente tuttavia le prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013 sono oggetto di discussioni a livello del trilogo tra Parlamento, Consiglio e Commissione.

Ne consegue che, finché la formulazione della decisione finale non sarà resa nota, la Commissione non sarà in grado di esprimersi sulle implicazioni che l’accordo può avere sul metodo e sul livello di finanziamento della PAC. Il massimale concordato a Bruxelles nel 2002 sarà rispettato fino al 2013.

 

Interrogazione n. 49 dell'on. Mairead McGuinness (H-0033/06)
 Oggetto: Conseguenze delle prospettive finanziarie per l'agricoltura e lo sviluppo rurale
 

Può la Commissione esprimersi sul futuro dell'agricoltura e dello sviluppo rurale alla luce della recente proposta sulle prospettive finanziarie, avanzata dagli Stati membri, in particolare la proposta che consentirebbe agli Stati membri di trasferire fino al 20% del pagamento unico per azienda allo sviluppo rurale?

Considerando che questo 20% può essere utilizzato da uno Stato membro nel modo ritenuto più opportuno, può la Commissione far sapere se teme che un tale approccio, che potrebbe voler dire l'inizio della fine di un approccio comune in materia di politica agricola nell'UE, sia inopportuno e se ritiene che, in quanto tale, debba essere contrastato?

 
  
 

L’accordo raggiunto dai capi di governo nel dicembre 2005 offre chiarezza sulle risorse finanziarie disponibili per gli agricoltori e le comunità rurali e rispetta l’accordo concluso a Bruxelles nel 2002 in merito al finanziamento dei pagamenti diretti e della spesa agricola. Tutta la spesa per il sostegno dei mercati e gli aiuti diretti relativi all’allargamento a Bulgaria e Romania dovrà tuttavia essere finanziata entro il limite massimo previsto per l’UE a 25. Questo aumenta la probabilità che debba essere applicata la disciplina finanziaria e che si verifichi pertanto una limitata riduzione dei pagamenti diretti a sostegno dei redditi per gli agricoltori nei vecchi Stati membri.

Per quanto riguarda lo sviluppo rurale, l’importo concordato dai capi di governo è inferiore a quello proposto dalla Commissione e anche a quello disponibile nel periodo attuale. E’ ovvio che questo può influire sulla capacità di affrontare le sfide con cui le zone rurali devono confrontarsi, in particolare nel contesto della riforma in corso della politica agricola comune (PAC), dell’agenda di Lisbona o di Natura 2000.

L’importante in questo momento tuttavia è avviare la programmazione dello sviluppo rurale per il nuovo periodo. Il parere del Parlamento sugli orientamenti strategici per lo sviluppo rurale che verrà adottato durante la presente tornata costituirà pertanto un passo avanti molto importante.

La modulazione volontaria, con cui si trasferiscono fondi dai pagamenti diretti allo sviluppo rurale, è stata introdotta per la prima volta nell’Agenda 2000, che consentiva agli Stati membri di trasferire fino al 20 per cento dei loro pagamenti diretti su base volontaria. Pochi Stati membri si sono avvalsi di questa possibilità, che è stata sostituita da un sistema di modulazione obbligatoria a livello comunitario durante la riforma della PAC del 2003 sulla base di una franchigia di 5000 euro. La Commissione è del parere che questo sistema sia un modo più equo, coerente ed efficace per effettuare tale trasferimento.

La Commissione ritiene che il sistema di modulazione volontaria proposto presenti alcune difficoltà tecniche. L’applicazione della modulazione alla spesa legata al mercato sembra tecnicamente impossibile. La mancanza di un obbligo di cofinanziamento ridurrà lo sforzo finanziario complessivo destinato alle zone rurali, mentre la deroga alla norma in base alla quale la spesa deve essere equilibrata tra gli obiettivi potrebbe mettere in discussione il contributo a favore di alcune priorità dell’UE. In tutti i casi, il sistema dovrebbe essere istituito in modo che non provochi ritardi nel raggiungimento di un accordo sui programmi, in particolare per gli Stati membri che non intendono far uso del sistema.

Se il sistema venisse adottato nella sua forma attuale, sarebbe opportuno riesaminarne il funzionamento nell’ambito della revisione generale del bilancio comunitario prevista per il 2008/2009, in particolare per il motivo che, se verrà applicata la modulazione volontaria, sarebbe molto difficile proseguire con un’ulteriore modulazione obbligatoria, come proposto in precedenza dalla Commissione.

 

Interrogazione n. 50 dell'on. Georgios Papastamkos (H-0047/06)
 Oggetto: Protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli ed alimentari
 

Il regolamento (CEE) n. 2081/92(1) relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli ed alimentari come pure le proposte di regolamento COM(2005)0694 definitivo e COM(2005)0698 definitivo che lo modificano, posseggono una chiara dimensione internazionale di sostegno a tali prodotti nei mercati. Tuttavia, le esperienze negative risultanti da lunghe contestazioni endocomunitarie sul diritto esclusivo di utilizzazione delle DOP e delle DGP, come per esempio nel caso del formaggio greco "Feta", mostrano l'affievolimento del significativo vantaggio commerciale offerto da tale salvaguardia al prodotto a livello internazionale.

Quali misure intende la Commissione adottare in modo che, in futuro, una denominazione di tale tipo non sia oggetto di lunghe dispute burocratiche e giudiziarie tra gli Stati membri dell'UE? Intende la Commissione proporre meccanismi specifici di riparazione morale e materiale per il pregiudizio subito dai produttori di prodotti di cui vengono messi in causa la procedura e il prestigio della denominazione?

 
  
 

Feta, una denominazione di origine protetta (DOP) che designa un formaggio greco, è stata definitivamente registrata dalla Commissione nel 2002. Vari Stati membri hanno presentato richiesta di annullamento della registrazione ai sensi dell’articolo 230 del Trattato. Nella sentenza del 25 ottobre 2005 la Corte di giustizia ha confermato la denominazione “Feta” come denominazione di origine protetta per la Grecia. La questione è stata quindi risolta e il risultato è la certezza giuridica per i produttori e i consumatori per quanto riguarda la protezione della Feta come DOP.

La Commissione comprende le preoccupazioni dell’onorevole parlamentare riguardo alle lungaggini della procedura giuridica nonché ai disagi e ai costi che ne possono derivare, tuttavia il diritto di sottoporre un caso ai tribunali comunitari è sancito nel Trattato. La Commissione non ha intenzione di compensare gli operatori per i costi derivanti da questo tipo di azione legale.

Con la proposta di modifica del regolamento (CEE) n. 2081/92, la Commissione vuole tuttavia snellire e chiarire la procedura di registrazione, e questo può avere l’effetto di ridurre le possibilità di controversie giuridiche.

 
 

(1) GU L 208 del 24.7.1992, pag. 1.

 

Interrogazione n. 51 dell'on. Simon Coveney (H-0056/06)
 Oggetto: Incentivazione di colture adatte alla produzione di energia e combustibili biologici
 

Alla luce della riforma del regime dello zucchero dell'Unione europea, potrebbe la Commissione illustrare la sua opinione per quanto riguarda l'incentivazione di colture adatte per la produzione di energia o combustibili biologici, al fine di fornire ai contadini una coltura alternativa e quali incentivi finanziari che potrebbero aiutare i contadini in questa fase di transizione?

 
  
 

La promozione delle colture energetiche e dei combustibili biologici per fornire ai contadini colture alternative è un argomento che riceve la massima attenzione dalla Commissione.

Nel contesto generale della politica comunitaria in materia di energie rinnovabili, l’8 febbraio 2006 la Commissione ha adottato “una strategia dell’UE per i biocarburanti”, basata sul piano d’azione per la biomassa dell’anno scorso. La strategia per i biocarburanti sarà incentrata in modo specifico sul modo in cui possiamo contribuire a sviluppare la produzione di materie prime e a promuovere l’uso di biocarburanti per il settore dei trasporti.

Per quanto riguarda il settore dello zucchero comunitario in particolare, gli sviluppi che si stanno verificando nel settore dei biocarburanti rappresentano un’interessante opportunità.

La riforma del regime dello zucchero dell’UE concordata di recente, che allinea il settore dello zucchero al processo di riforma del 2003, attraverso l’introduzione del pagamento unico disaccoppiato, accrescerà l’orientamento al mercato e stimolerà la competitività. In questo contesto, tenuto conto che non saranno previste limitazioni nell’ambito dei contingenti per la barbabietola da zucchero coltivata per ottenere bioetanolo, le coltivazioni agricole non alimentari volte alla produzione di bioetanolo rappresentano un’effettiva opportunità per i coltivatori di barbabietola da zucchero.

Inoltre, prima della fine del 2006, la Commissione presenterà una relazione sull’attuazione del regime delle colture energetiche e, se lo riterrà opportuno, misure concrete per incentivare questo tipo di colture. La Commissione intende modificare il pertinente regolamento per far sì che la barbabietola da zucchero sia ammissibile ai pagamenti per le superfici ritirate dalla produzione, nel caso in cui sia coltivata per finalità non alimentari, e per renderla ammissibile all’aiuto alle colture energetiche di 45 euro all’ettaro previsto nell’ambito della riforma della politica agricola comune del 2003.

 

Interrogazione n. 52 dell'on. Leopold Józef Rutowicz (H-0062/06)
 Oggetto: Regolamento concernente la definizione, la descrizione, la presentazione e l'etichettatura delle bevande alcoliche
 

La proposta di regolamento concernente la definizione, la descrizione, la presentazione e l'etichettatura delle bevande alcoliche contiene errori, in particolare l'imprecisa definizione della vodka e la sua errata classificazione nella categoria B, mentre dovrebbe figurare nella categoria A.

La Commissione intende intervenire per rettificare questi errori?

 
  
 

La “proposta di regolamento del Parlamento e del Consiglio relativo alla definizione, alla designazione, alla presentazione e all’etichettatura delle bevande spiritose” adottata dalla Commissione il 15 dicembre 2005 prevede una classificazione delle bevande alcoliche in tre categorie, ossia “acquaviti”, “bevande spiritose specifiche” e “altre bevande spiritose”.

Questa classificazione viene proposta per motivi sistemici e si basa su criteri oggettivi come la fermentazione alcolica diretta e la distillazione, l’uso di alcole etilico di origine agricola, di sostanze aromatizzanti e di edulcoranti.

I prodotti che contengono alcole etilico di origine agricola sono considerati “bevande spiritose specifiche” e i vari prodotti che rientrano in questa categoria sono definiti con chiarezza nell’allegato II della proposta.

La vodka è classificata nella categoria B “bevande spiritose specifiche” in quanto interamente basata su alcole etilico di origine agricola. La Commissione non ritiene pertanto che vi siano errori da rettificare.

 

Interrogazione n. 53 dell'on. Rosa Miguélez Ramos (H-0068/06)
 Oggetto: Riforma dell'OCM del settore vitivinicolo: calendario
 

La Commissione ha annunciato per l'anno in corso la riforma dell'OCM del vino, le cui attuali misure sono state stabilite fino al 2010. Inoltre, sembra che essa starebbe studiando la semplificazione delle procedure degli aiuti all'agricoltura sulla base di uno schema unico.

Può precisare la Commissione a partire da quale campagna ritiene che dovrebbe applicarsi la riforma e quale calendario intende adottare per la presentazione ed il dibattito ad essa relativi?

Ha intenzione la Commissione di utilizzare tale schema unico per l'OCM del vino?

 
  
 

L’attuale organizzazione comune dei mercati (OCM) del vino, uno dei pochi settori agricoli principali non interessati dal processo di riforma della PAC(1) del periodo 2003-2005, dovrebbe essere riveduta e senza dubbio adeguata e probabilmente riformata per preparare i viticoltori, i produttori e i commercianti di vino dell’Unione europea a far fronte alla crescente concorrenza nella nuova situazione del mercato mondiale. E’ stato pertanto avviato il processo di revisione e riforma dell’OCM del vino.

Di seguito viene fornita una descrizione dei lavori da svolgere.

Il lavoro di valutazione d’impatto è appena stato avviato e consisterà in un’analisi economica approfondita della situazione attuale (mercato e OCM) e dei possibili cambiamenti. La relazione sulla valutazione d’impatto riguarderà varie opzioni, che spaziano dallo status quo, che costituisce il quadro di riferimento, a una sostanziale liberalizzazione, e i loro probabili effetti, e dovrebbe essere completata entro la metà del 2006.

In questo periodo di tempo la Commissione assocerà tutte le parti interessate del settore alla valutazione d’impatto e alle analisi. Un’iniziativa sarà quella di organizzare, il 16 febbraio 2006, un forum delle parti interessate.

Entro la metà del 2006 sarà presentata una comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento. A seguito di ulteriore consultazione delle parti interessate, fra cui il Parlamento, sulla base della comunicazione, verso la fine del 2006 verrà presentata un’adeguata proposta legislativa.

Attualmente non è ancora possibile indicare in quale campagna verrà applicata la riforma, in quanto ciò dipenderà dal processo di negoziazione delle proposte della Commissione.

Nella comunicazione del 19 ottobre 2005 su semplificazione e migliore regolamentazione per la politica agricola comune(2), la Commissione prevede di presentare una proposta di progetto di regolamento che comprenda le organizzazioni comuni dei mercati esistenti. Nella stessa comunicazione, la Commissione ha espresso l’intenzione di adottare un “approccio graduale”(3) e ha indicato esplicitamente che in seguito potrebbero essere integrati i settori che saranno oggetto di una sostanziale revisione politica in un prossimo futuro come gli ortofrutticoli e il vino.

 
 

(1) Politica agricola comune.
(2) COM(2005)509 def.
(3) Cfr. pagina 9 della comunicazione.

 

Interrogazione n. 54 dell'on. Michl Ebner (H-0086/06)
 Oggetto: Trasporto di animali da macello
 

Il 23 dicembre 2005, il comitato di gestione delle carni bovine UE riunito a Bruxelles ha deciso l'immediata cessazione delle sovvenzioni UE destinate ai trasporti di animali da macello. Questa normativa riguarda solo gli animali da macello o anche i trasporti di animali da allevamento? La decisione comprende inoltre altri trasporti di animali? Da quando dovrebbero entrare in vigore le misure?

 
  
 

Il regolamento di base relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni bovine prevede che, entro i limiti fissati dagli accordi internazionali, la differenza fra i corsi o i prezzi di alcuni animali vivi della razza bovina e prodotti a base di carni bovine praticati sul mercato mondiale e i prezzi sul mercato comunitario può essere coperta dalle restituzioni all’esportazione nella misura necessaria per consentire l’esportazione di tali animali e prodotti.

Tali restituzioni non possono pertanto essere considerate sovvenzioni destinate al trasporto di animali vivi.

Il 23 dicembre 2005 la Commissione ha presentato al Comitato di gestione delle carni bovine un progetto di regolamento volto a eliminare le restituzioni per i bovini vivi da macello. Lo stesso giorno la Commissione ha adottato questo regolamento, che è stato pubblicato ed è entrato in vigore il 24 dicembre 2005.

Da allora le restituzioni all’esportazione per il bestiame vivo sono pertanto limitate ai bovini femmina di razza pura di età massima di 30 mesi esportati verso tutte le destinazioni tranne Romania e Bulgaria.

Questa decisione riflette il miglioramento della situazione nel mercato delle carni bovine dell’UE e fa seguito alla crescente preoccupazione manifestata dall’opinione pubblica riguardo al trattamento degli animali quando vengono trasportati all’estero per la macellazione.

Inoltre, è in fase di ulteriore rafforzamento il regolamento (CE) n. 639/2003 recante modalità d’applicazione per quanto riguarda le norme in materia di benessere degli animali vivi della specie bovina durante il trasporto ai fini della concessione di restituzioni all’esportazione. L’adozione del regolamento modificato è prevista nel prossimo futuro.

 

Interrogazione n. 55 dell'on. Bart Staes (H-1184/05)
 Oggetto: Controlli doganali e lotta contro i trasporti illegali di rifiuti
 

Da un sondaggio per saggio campione condotto dalla rete europea Impel risulta che il 48% di tutti i trasporti di rifiuti provenienti dall'UE è costituito da rifiuti illegali, come hanno evidenziato controlli doganali effettuati in diversi porti europei. Intende la Commissione elaborare un piano coordinato per garantire ai servizi doganali una formazione e una conoscenza approfondita in merito a tale problematica? In che forma ciò dovrebbe avvenire? Intende altresì la Commissione coordinare e finanziare un più ampio approccio europeo? In caso affermativo, quando ciò dovrebbe avvenire e quali sarebbero gli strumenti messi a disposizione?

 
  
 

Il problema dei trasporti illegali di rifiuti solleva seri motivi di preoccupazione per l’ambiente. La Commissione ha pertanto esaminato con attenzione i risultati delle ispezioni effettuate dalla rete IMPEL(1). Nel 2004 questa rete ha rilevato in alcuni Stati membri un tasso significativo di trasporti illegali di rifiuti. I risultati delle ispezioni dell’IMPEL sono stati presentati alle autorità nazionali nel corso di una riunione riguardante l’attuazione della legislazione in materia di rifiuti organizzata dalla Commissione nel settembre 2004.

Dalle ispezioni condotte dall’IMPEL nell’ottobre 2005 è risultato che il livello dei trasporti illegali di rifiuti resta elevato. Nel novembre 2005 la Commissione ha incontrato esperti degli Stati membri in materia di trasporto di rifiuti per affrontare, tra l’altro, questa problematica. La Commissione ritiene necessaria un’ulteriore intensificazione degli sforzi compiuti per accrescere il coordinamento e la consapevolezza al riguardo, al fine di lottare contro i trasporti illegali di rifiuti. Quest’anno la Commissione prevede pertanto di organizzare corsi di formazione per le autorità nazionali, quali i servizi doganali, con l’obiettivo di svolgere un’opera di sensibilizzazione e di migliorare la cooperazione in merito all’applicazione della legislazione comunitaria sul trasporto di rifiuti.

Nel prossimo futuro la legislazione comunitaria sul trasporto di rifiuti sarà rafforzata quando verrà adottato e diventerà applicabile un nuovo regolamento del Parlamento e del Consiglio che affronterà in modo specifico le questioni dei trasporti illegali di rifiuti e le lacune nell’applicazione della normativa. Questo regolamento consentirà di accrescere la cooperazione tra gli Stati membri per favorire la prevenzione e la rilevazione di trasporti illegali e rafforzerà le norme sulle ispezioni e i controlli a campione.

 
 

(1) Rete dell’Unione europea per l’attuazione e il rispetto della legislazione ambientale.

 

Interrogazione n. 56 dell'on. Marian Harkin (H-1185/05)
 Oggetto: Condizioni occupazionali nell'UE allargata
 

Nella risposta scritta alla mia interrogazione orale H-1078/05 concernente la vertenza "Irish Ferries" e la riattivazione della direttiva sui traghetti, il 13 dicembre 2005 la Commissione ha affermato che, pur non essendo previste altre proposte legislative al riguardo, essa intende esaminare tutte le possibilità per risolvere il problema delle condizioni occupazionali, in particolare nel trasporto intracomunitario di passeggeri, sotto il profilo economico e giuridico.

Può la Commissione far sapere in che modo intende compiere questo esame nonché garantire che siano protetti i diritti di tutti i lavoratori, sia di paesi terzi che dell'Unione europea?

 
  
 

La Commissione intende, da un lato, raccogliere informazioni e dati statistici completi e precisi sul mercato del lavoro nel settore dei servizi di trasporto marittimo di linea intracomunitari e, dall’altro, esaminare le implicazioni giuridiche dell’applicazione delle condizioni sociali del paese ospitante alle navi di paesi terzi impegnate in scambi commerciali intracomunitari.

Per quanto riguarda i diritti dei lavoratori marittimi, la Commissione intende presentare nel 2006 una comunicazione sulle norme in materia di lavoro nel settore marittimo. Tale comunicazione valuterà l’integrazione nel diritto comunitario della Convenzione consolidata sul lavoro marittimo che verrà adottata dall’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) nel corso della 94a sessione marittima della Conferenza internazionale del lavoro, che si svolgerà a Ginevra dal 7 al 23 febbraio 2006, se possibile attraverso un accordo delle parti sociali. La Convenzione in questione riunisce in un quadro internazionale coerente le convenzioni e le raccomandazioni sulle norme in materia di lavoro nel settore marittimo adottate dall’OIL dal 1920.

 

Interrogazione n. 57 dell'on. David Martin (H-1186/05)
 Oggetto: Accordi di riammissione con paesi terzi
 

Quali progressi ha compiuto la Commissione nella negoziazione di accordi di riammissione con paesi terzi?

 
  
 

Finora (gennaio 2006) il Consiglio ha autorizzato la Commissione a negoziare accordi di riammissione comunitari con 11 paesi terzi: Marocco, Sri Lanka, Russia, Pakistan (direttive di negoziato ricevute nel settembre 2000), Hong Kong e Macao (direttive di negoziato ricevute nel maggio 2001), Ucraina (direttive di negoziato ricevute nel giugno 2002) e Albania, Algeria, Cina, Turchia (direttive di negoziato ricevute nel novembre 2002).

Gli accordi con Hong Kong, Macao e Sri Lanka sono entrati in vigore.

I negoziati con Albania e Russia sono stati completati. Attualmente gli accordi relativi a questi due paesi sono in fase di ratifica (entrata in vigore prevista per l’Albania inizio 2006, per la Russia inizio 2007).

I negoziati con Marocco, Pakistan, Turchia e Ucraina sono in corso. Si confida che i negoziati con Ucraina, Pakistan e Marocco possano essere completati entro il primo semestre del 2006.

I negoziati con Cina e Algeria non sono ancora stati formalmente avviati.

 

Interrogazione n. 58 dell'on. Avril Doyle (H-1188/05)
 Oggetto: Inchiesta sul presunto coinvolgimento dello Stato in Irlanda del Nord
 

Nel quadro dell'impegno assunto dal Consiglio di promuovere la pace e la riconciliazione mediante il sostegno al Fondo Internazionale per l'Irlanda, ribadito dal Consiglio europeo del 15-16 dicembre 2005, e vista la raccomandazione del giudice Cory, che ha esaminato sei casi di presunto coinvolgimento dello Stato in omicidi perpetrati in Irlanda del Nord, di promuovere un'inchiesta pubblica indipendente sulla questione, ritiene la Commissione che l'Inquiries Act del 2005 emanato dal governo britannico garantirà lo svolgimento di tale inchiesta?

 
  
 

Dalla fine degli anni ’80 l’Irlanda del Nord beneficia di aiuti finanziari a favore della pace e della riconciliazione. Questa è la più concreta espressione della solidarietà europea verso il processo di pace messo in moto dall’accordo di Belfast nel 1998.

Nel 1989 la Comunità europea è diventata uno dei maggiori contribuenti del Fondo internazionale per l’Irlanda (IFI), un’organizzazione internazionale costituita attraverso un trattato stipulato dal governo del Regno Unito e da quello dell’Irlanda “per promuovere lo sviluppo economico e sociale e incoraggiare il contatto, il dialogo e la riconciliazione tra nazionalisti e unionisti irlandesi”. Attualmente la Comunità europea fornisce all’IFI un contributo di 15 milioni di euro all’anno.

Nel 1995 la Comunità europea ha inoltre creato uno speciale programma per la pace e la riconciliazione (il programma PEACE) che opera nell’Irlanda del Nord e nelle regioni di frontiera irlandesi. Questo programma ha lo scopo di “rafforzare il processo verso una società pacifica e stabile e di promuovere la riconciliazione nella regione”. Dal 2000 a oggi il programma PEACE II ha continuato a mirare al conseguimento di questo obiettivo e il Consiglio europeo ha assegnato un ulteriore importo di 200 milioni di euro per il periodo dal 2007 al 2013.

L’impegno dell’UE nei confronti della pace e della riconciliazione è stato pertanto ampiamente dimostrato.

La nomina di un giudice che esamini eventi accaduti in passato nell’Irlanda del Nord è una questione delicata in merito alla quale devono decidere gli Stati membri interessati, che hanno una conoscenza specifica della regione e del contesto storico. Si tratta di una questione sulla quale la Commissione non ha il potere di pronunciarsi e sarebbe inopportuno esprimere un parere su un’eventuale indagine futura.

 

Interrogazione n. 59 dell'on. Andreas Mölzer (H-1191/05)
 Oggetto: Bande di accattoni ai mondiali di calcio
 

Gli accattoni provenienti dall'Europa dell'est stanno diventando un problema crescente, poiché in seguito all'allargamento ad est è notevolmente diminuito il controllo della polizia. Da una verifica eseguita nel capoluogo bavarese è risultato che tutti gli accattoni provenivano dalla città slovacca di Rimavska Sobota, un indizio del fatto che la mafia dell'Europa dell'est si ripartisce le città europee. In vista dei campionati mondiali di calcio, che avranno luogo in Germania in giugno e in luglio, la polizia si aspetta enormi gruppi di mendicanti diretti da professionisti e perfettamente organizzati. Particolarmente allarmante è la crescente aggressività nelle metropolitane e tra le auto bloccate nel traffico.

E' la Commissione al corrente di questo problema, e quali iniziative concrete intende adottare per far fronte alle bande di mendicanti?

 
  
 

E’ ovvio che tale questione interessa tutti i cittadini europei, in particolare alla luce dei prossimi campionati mondiali di calcio che si svolgeranno quest’anno in Germania.

L’accattonaggio è un ovvio problema sociale, con conseguenze indesiderabili per le persone che lo praticano e per quelle lo subiscono.

Nell’ambito del processo di creazione di uno spazio di giustizia, libertà e sicurezza, la Commissione è impegnata ad accrescere il coordinamento, la cooperazione e la condivisione delle informazioni tra le forze di polizia degli Stati membri, con particolare attenzione alla criminalità organizzata. L’accattonaggio, se si svolge in forma organizzata, costituisce un’attività illecita, ad esempio quando è legato al traffico di esseri umani, e in questo caso si può far ricorso alle misure corrispondenti. D’altro canto, tenuto conto del carattere transfrontaliero dei problemi legati alle principali manifestazioni sportive come il campionato mondiale di calcio, esistono misure specifiche in base alle quali i servizi degli Stati membri possono collaborare per ridurre al minimo la criminalità, i disordini pubblici e la violenza spesso associati a tali eventi.

Nel quadro del programma dell’Aia del 2004(1), la Commissione è stata incaricata di portare avanti varie iniziative che potrebbero avere attinenza con questo particolare problema. Le azioni specifiche da intraprendere in questo contesto sono state descritte nel piano d’azione comune del Consiglio e della Commissione per l’attuazione del programma dell’Aia(2). Uno dei principali requisiti del programma dell’Aia è che dal 1o gennaio 2008 lo scambio di informazioni tra le autorità degli Stati membri incaricate dell’applicazione della legge sia subordinato al principio di disponibilità: ciò significa che le informazioni devono essere trasmesse tra i servizi di contrasto, senza che costituisca in alcun modo un impedimento il fatto che le informazioni devono attraversare le frontiere nazionali. I lavori al riguardo sono già in corso, in quanto di recente la Commissione ha presentato al Consiglio una proposta di decisione quadro.

Allo stesso modo, è stata attribuita priorità alla cooperazione di polizia in generale. Il 18 luglio 2005 la Commissione ha adottato una proposta sul miglioramento della cooperazione delle autorità di contrasto fra gli Stati membri alle frontiere interne, cui ha fatto seguito lo svolgimento di riunioni mensili del gruppo di lavoro sulla cooperazione di polizia(3). Inoltre, a seguito dell’adozione, il 20 settembre 2005, di una proposta della Commissione(4), all’Accademia europea di polizia è stato attribuito lo status di agenzia dell’Unione europea, e questo dovrebbe costituire un importante passo avanti verso il rafforzamento della cooperazione di polizia e della comprensione reciproca. Allo stesso modo, nel programma AGIS(5) per il 2006 è stato incluso quale priorità un programma di scambio per funzionari di polizia. Tutte queste misure accresceranno la capacità delle forze di polizia nazionali di lottare contro la criminalità transfrontaliera in modo più efficace.

Tenuto conto che queste bande di accattoni sembrano essere organizzate, la Commissione sta elaborando una strategia specifica sulla criminalità organizzata a livello di UE, e di recente è stata presentata una comunicazione sull’argomento(6). I principali obiettivi sono migliorare la conoscenza del fenomeno e rafforzare la prevenzione, le indagini e la cooperazione nel campo della criminalità organizzata nell’Unione europea. Questa strategia mira inoltre a intensificare la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali come Interpol ed Europol.

L’onorevole parlamentare esprime comprensibilmente particolare preoccupazione in relazione al prossimo campionato del mondo di calcio che si svolgerà quest’anno in Germania. Oltre alle iniziative illustrate in precedenza, la Commissione sostiene attivamente la definizione di iniziative intese a migliorare la prevenzione e il controllo della criminalità in occasione di manifestazioni sportive internazionali, e di quelle calcistiche in particolare. E’ stata prestata particolare attenzione al settore dello scambio di esperienze tra gli Stati membri dell’UE, al fine di definire norme comuni in materia di sicurezza e di ordine pubblico. A questo proposito, va citata in particolare la risoluzione del Consiglio del 6 dicembre 2001(7) concernente un manuale di raccomandazioni per la cooperazione internazionale tra forze di polizia e misure per prevenire e combattere la violenza e i disordini in occasione delle partite di calcio a livello internazionale alle quali è interessato almeno uno Stato membro. Inoltre, un gruppo di lavoro del Consiglio si occupa di aspetti degli atti di violenza compiuti nel corso di eventi sportivi, e di partite di calcio in particolare.

La Commissione ha definito, e sta definendo, iniziative che dovrebbero contribuire in misura considerevole a potenziare la capacità delle forze di polizia nazionali di contrastare le attività transfrontaliere di natura illecita.

 
 

(1) 16054/04, GAI 559.
(2) 09246/05, GAI 184.
(3) COM (2005) 317 def.
(4) 2005/681/GAI.
(5) Programma quadro volto a sostenere la cooperazione tra forze di polizia, sistema giudiziario e professionisti degli Stati membri dell’UE e dei paesi candidati in materia penale e nella lotta contro la criminalità.
(6) COM (2005) 232 def.
(7) GU C 22 del 24.1.2002.

 

Interrogazione n. 60 dell'on. Bernd Posselt (H-1193/05)
 Oggetto: Ricerca sulle cellule staminali
 

Come giudica la Commissione le riserve etiche sollevate in numerosi Stati membri nei confronti del finanziamento comunitario della ricerca sulle cellule staminali embrionali e che cosa pensa della proposta di privilegiare invece il finanziamento della ricerca sulle cellule staminali adulte?

 
  
 

La Commissione rispetta le preoccupazioni etiche espresse da molti Stati membri. Nelle proposte della Commissione per il settimo programma quadro di ricerca e sviluppo (7PQ) dell’UE si afferma con chiarezza che le attività di ricerca finanziate devono rispettare i principi etici fondamentali, compresi quelli enunciati nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Si terrà conto dei pareri del gruppo europeo per l’etica delle scienze e delle nuove tecnologie.

Nel 6PQ qualsiasi decisione di finanziamento riguardante la ricerca sulle cellule staminali dell’embrione umano è basata su un’approfondita valutazione dell’eccellenza scientifica(1) e del valore aggiunto europeo della proposta di R&S, su un doppio esame etico rigoroso a livello nazionale e comunitario e sull’approvazione da parte di un comitato di regolamentazione che rappresenta tutti i 25 Stati membri.

L’Unione europea finanzia in larga misura la ricerca sulle cellule staminali adulte. Attualmente solo 6 progetti finanziati del 6PQ hanno una componente di ricerca che si occupa di cellule staminali dell’embrione umano, mentre oltre 60 progetti finanziati riguardano cellule staminali adulte, ossia più del 90 per cento di tutti i progetti di ricerca sulle cellule staminali finanziati dall’UE.

Le proposte per il 7PQ non pregiudicano tuttavia la possibilità di apportare modifiche in fasi successive dell’iter legislativo e a seguito di dibattiti avviati a livello di Parlamento e di Consiglio.

 
 

(1) In cui gli esperti valutano anche se l’uso delle cellule staminali dell’embrione umano è necessario per conseguire gli obiettivi scientifici stabiliti nella proposta.

 

Interrogazione n. 61 dell'on. Frank Vanhecke (H-0001/06)
 Oggetto: Divieto imposto dalla Turchia nei confronti delle navi battenti bandiera cipriota
 

Il 29 luglio 2005 la Turchia ha firmato un protocollo addizionale che estende l'unione doganale tra la CEE e la Turchia ai dieci nuovi paesi membri. Nel contempo, la Turchia ha rilasciato una dichiarazione in cui si afferma che tale protocollo non implica il riconoscimento di Cipro. Il 21 settembre 2005 l'UE ha emanato una sorta di controdichiarazione, affermando che la dichiarazione turca aveva carattere unilaterale, non rientrava nel protocollo e non pregiudicava gli obblighi della Turchia previsti dallo stesso (Commissione, relazione sui progressi realizzati dalla Turchia, SEC (2005) 1426, 9 novembre 2005, p. 40).

Nel mese di dicembre 2005 il governo turco ha dichiarato ufficialmente che la Turchia non aprirà i propri porti e aeroporti alle navi e agli aerei battenti bandiera cipriota. Nella sua relazione del novembre 2005 sui progressi realizzati dalla Turchia, la Commissione afferma che, tale decisione costituisce una violazione della libertà di circolazione delle merci (pag. 56).

Una fonte della Commissione ha affermato che la stessa intende stabilire chiare condizioni all'inizio di ogni capitolo. In occasione dei precedenti ampliamenti tale strategia era stata applicata soltanto in maniera molto eccezionale.

Secondo la Commissione, quando inizieranno i negoziati sul capitolo "libertà di circolazione delle merci"? Intende la Commissione esigere come condizione per l'apertura di questo capitolo che Ankara abroghi il divieto di accesso alle navi e agli aerei battenti bandiera cipriota?

 
  
 

In questo momento non è possibile prevedere quando avranno inizio i negoziati di adesione con la Turchia sul capitolo specifico relativo alla libera circolazione delle merci. L’esame di questo capitolo dovrebbe essere completato nel corso del primo trimestre del 2006; in seguito, la Commissione riferirà agli Stati membri sui risultati dell’esame effettuato.

Come per tutti i capitoli, la relazione analitica comprenderà una raccomandazione da cui risulterà se è possibile avviare i negoziati sul capitolo in questione. Se ritiene che i negoziati non debbano essere avviati su un determinato capitolo, la Commissione può proporre che vengano soddisfatti alcuni parametri per consentire l’apertura di tale capitolo. In base alle procedure stabilite nel quadro dei negoziati di adesione, i parametri includeranno tra l’altro, a seconda del capitolo, “l’adempimento degli impegni connessi all’accordo di associazione, in particolare quelli relativi all’unione doganale CE-Turchia e quelli che rispecchiano i requisiti dell’acquis”. A questo proposito, la decisione del Consiglio relativa al partenariato per l’adesione con la Turchia, che viene controllato in seno agli organismi stabiliti dall’accordo di associazione, stabilisce, tra le priorità a breve termine, la necessità di “eliminare tutte le restrizioni alla libera circolazione delle merci dovute a discriminazioni contro i trasportatori degli Stati membri, a causa della loro nazionalità o dei porti di scalo precedenti”.

La Commissione invita inoltre l’onorevole parlamentare a fare riferimento alla dichiarazione dell’UE del 21 settembre 2005, in cui si sottolinea che l’apertura dei negoziati sui vari capitoli dipende dalla conformità della Turchia ai suoi obblighi contrattuali nei confronti di tutti gli Stati membri.

 

Interrogazione n. 62 dell'on. Salvador Garriga Polledo (H-0002/06)
 Oggetto: Multilinguismo nell'Unione europea e nelle sue istituzioni
 

La Commissione ha recentemente annunciato un piano di riduzione del numero dei traduttori che colpisce in modo grave la lingua spagnola e i cittadini europei che parlano spagnolo.

Quali sono le implicazioni di bilancio di questa decisione per la Commissione?

Ritiene la Commissione che la dotazione di bilancio destinata alle lingue costituisca una spesa eccessiva quando si vuol fare in modo che il cittadino abbia pieno accesso all'Unione europea, soprattutto tenendo conto del particolare sforzo di comunicazione che l'Unione europea deve compiere in un momento di crisi istituzionale come quello che stiamo attraversando?

Quale costo comporterà, secondo i calcoli della Commissione, la traduzione e interpretazione in altre lingue non ufficiali recentemente promossa da alcuni Stati membri dell'Unione?

 
  
 

Come l’onorevole parlamentare senza dubbio sa, l’allargamento del 2004 ha costituito una sfida senza precedenti per i servizi di traduzione dell’UE, in particolare quelli della Commissione. Di fronte a una grave mancanza di capacità di traduzione nelle nuove lingue, è stato necessario adottare misure drastiche, che sono consistite nel ridurre la domanda e nell’aumentare la capacità di traduzione(1), in modo da far sì che la Commissione potesse adempiere all’obbligo giuridico di tradurre in tutte le lingue ufficiali i testi legislativi e i documenti importanti sotto il profilo politico.

La strategia in materia di risorse umane della Direzione generale della traduzione della Commissione è uno strumento di gestione interna che ha lo scopo di garantire l’uso più efficace possibile delle risorse esistenti.

La Commissione desidera assicurare all’onorevole parlamentare che il numero complessivo dei membri del personale linguistico non sarà ridotto; parte della capacità di traduzione esistente sarà assegnata a compiti legati al multilinguismo quali traduzione di pagine web, terminologia, e così via, che sono sempre più richiesti in quanto costituiscono un mezzo per comunicare direttamente con i cittadini.

Non vi saranno implicazioni di bilancio né conseguenze negative per la comunicazione dell’UE con i cittadini.

Per la traduzione nelle lingue diverse da quelle ufficiali dell’UE, la Commissione invita l’onorevole parlamentare a far riferimento alle conclusioni del Consiglio del 13 giugno 2005(2), in cui si afferma che i costi diretti o indiretti connessi all’attuazione di qualsiasi accordo amministrativo riguardante la traduzione in tali lingue saranno a carico dello Stato membro interessato.

 
 

(1) Cfr. comunicazione “Matching Supply and Demand for Translation” [SEC(2004) 638].
(2) GU C 148 del 18.6.2005.

 

Interrogazione n. 63 dell'on. María Esther Herranz García (H-0026/06)
 Oggetto: Multilinguismo nell'Unione europea e nelle sue istituzioni
 

Lo scorso 29 novembre la Commissione ha annunciato un piano di riduzione del numero dei suoi traduttori. Questo provvedimento interessa soprattutto i traduttori di lingua spagnola, in quanto prevede una diminuzione del 33% del loro numero. Nel caso dello spagnolo il taglio è particolarmente grave e sorprendente, poiché questa lingua è parlata da più di 45 milioni di cittadini dell'UE e da più di 400 milioni di persone nel mondo.

Inoltre, lo spagnolo è la quinta lingua più parlata dell'Unione, la quarta lingua straniera più studiata e la lingua dell'Unione il cui numero di parlanti cresce in maggior misura, sia fuori che dentro di essa. La riduzione del numero di traduttori la posizionerebbe paradossalmente in sesta posizione per quanto concerne il livello di traduzione.

Può la Commissione comunicare qual sia l'esatto contenuto del suddetto piano di riduzione del numero dei traduttori, di cui fino ad ora si è al corrente solo grazie ai mezzi di informazione, e di quale base giuridica si sia servita per stabilire una distinzione fra "lingue procedurali" e le altre lingue ufficiali?

 
  
 

La Commissione desidera assicurare all’onorevole parlamentare che ribadisce più che mai il suo impegno nei confronti del principio del multilinguismo. In base all’articolo 1 del regolamento n. 1/1958 del Consiglio(1), tutte le lingue ufficiali dell’UE devono essere trattate su un piano di parità per quanto riguarda la pubblicazione dei testi legislativi e di altri documenti di applicazione generale.

Questo significa che lo spagnolo ha lo stesso valore di qualsiasi altra lingua ufficiale. Inoltre, nessun traduttore perderà il posto di lavoro. I traduttori interessati non subiranno svantaggi in relazione a grado, retribuzione, avanzamento nella carriera o altri aspetti simili.

Il principio del multilinguismo non è legato al numero di persone che parlano una lingua, ma una necessità democratica: i cittadini dell’UE devono poter leggere i documenti che li riguardano direttamente nella lingua ufficiale del loro paese, a prescindere dal fatto che le persone che la parlano come madrelingua siano 40 milioni o 400 000. E’ pertanto logico che spagnolo, slovacco, olandese, svedese e tutte le altre lingue ufficiali siano trattate su un piano di parità, in modo che a tutti i cittadini dell’UE siano riconosciuti gli stessi diritti democratici.

In base all’articolo 6 del regolamento n. 1/1958 del Consiglio, la Commissione può tuttavia decidere quali delle lingue ufficiali e di lavoro debbano essere utilizzate per la comunicazione al suo interno. Questo non deve essere confuso con l’obbligo del pieno rispetto del principio del multilinguismo nella traduzione di documenti di carattere legislativo o normativo.

La strategia in materia di risorse umane della Direzione generale della traduzione della Commissione è uno strumento di gestione interna che ha lo scopo di garantire l’uso più efficace possibile delle risorse esistenti. In generale, i dipartimenti di lingua inglese, francese e tedesca richiedono un maggior numero di persone per la revisione degli originali, la traduzione dei documenti provenienti dagli Stati membri, e così via.

Il personale di traduzione sarà utilizzato in modo adeguato per rispondere alla nuova e crescente domanda anche in altri settori linguistici quali la traduzione di pagine web, la revisione, e in generale il rafforzamento del multilinguismo in tutti gli aspetti delle attività della Commissione.

 
 

(1) Regolamento n. 1/1958, GU P 17 del 6.10.1958, modificato dal regolamento (CE) n. 920/2005 del Consiglio del 13 giugno 2005 che modifica il regolamento n. 1, del 15 aprile 1958, che stabilisce il regime linguistico della Comunità economica europea e il regolamento n. 1, del 15 aprile 1958, che stabilisce il regime linguistico della Comunità europea dell’energia atomica e che introduce misure di deroga temporanea a tali regolamenti, GU L 156 del 18.6.2005.

 

Interrogazione n. 64 dell'on. Cristina Gutiérrez-Cortines (H-0029/06)
 Oggetto: Multilinguismo nell'Unione Europea e nelle sue istituzioni e promozione delle lingue ufficiali
 

La Commissione europea ha reso pubblica l'intenzione di ridurre il numero di traduttori, decisione che colpirà in modo drammatico lo spagnolo. Ciò comporta un'evidente discriminazione di questa lingua ufficiale. L'articolo 290 del trattato che istituisce le Comunità europee stabilisce che "il regime linguistico delle istituzioni della Comunità è fissato, senza pregiudizio delle disposizioni previste dallo statuto della Corte di giustizia, dal Consiglio, che delibera all'unanimità". Sulla base di quest'articolo, nel 1958, il Consiglio dei ministri ha approvato il regolamento numero 1 riguardante il regime linguistico che comprende (tenendo conto delle sue varie modifiche) l'elenco delle lingue ufficiali dell'UE, ad oggi 21. Esso stabilisce, inoltre, che le istituzioni possono determinare il proprio regime linguistico attraverso i loro regolamenti interni.

Può la Commissione far sapere qual sia il contenuto della sua decisione e su quale base giuridica essa si fonda?

 
  
 

La Commissione desidera assicurare all’onorevole parlamentare che il numero complessivo dei membri del personale linguistico non sarà ridotto. La nuova strategia della Direzione generale della traduzione della Commissione è uno strumento di gestione interna, non una decisione della Commissione, che ha lo scopo di garantire l’uso più efficace possibile delle risorse esistenti.

Il personale di traduzione sarà utilizzato in modo adeguato per rispondere alla nuova e crescente domanda anche in altri settori linguistici quali la traduzione di pagine web, la revisione e in generale il rafforzamento del multilinguismo in tutti gli aspetti delle attività della Commissione.

La Commissione ribadisce più che mai il suo impegno nei confronti del principio del multilinguismo e dell’applicazione del regolamento n. 1/1958 del Consiglio(1).

 
 

(1) Regolamento n. 1/1958, GU P 17 del 6.10.1958, modificato dal regolamento (CE) n. 920/2005 del Consiglio del 13 giugno 2005 che modifica il regolamento n. 1, del 15 aprile 1958, che stabilisce il regime linguistico della Comunità economica europea e il regolamento n. 1, del 15 aprile 1958, che stabilisce il regime linguistico della Comunità europea dell’energia atomica e che introduce misure di deroga temporanea a tali regolamenti, GU L 156 del 18.6.2005.

 

Interrogazione n. 65 dell'on. Maria Badia I Cutchet (H-0038/06)
 Oggetto: Il ruolo delle lingue nella strategia in materia di comunicazione dell'Unione europea
 

Nel luglio 2005 la Commissione ha approvato un Piano di azione per migliorare la comunicazione dell'Unione europea. Parallelamente, alla fine del 2004, il governo spagnolo ha presentato una proposta al Consiglio dell'Unione europea per autorizzare, a certe condizioni, l'utilizzo delle lingue co-ufficiali della Spagna, cioè il catalano, il galiziano e il basco, anche nelle comunicazioni scritte dei cittadini spagnoli con le istituzioni dell'Unione, cosa che verrebbe finanziata dallo stesso governo spagnolo.

Nonostante che altre istituzioni comunitarie abbiano già approvato un accordo in questo senso, sono consapevole delle difficoltà politiche che questa proposta suscita all'interno di questo Parlamento. Ma, poiché non si tratta di un problema finanziario, credo che i rappresentanti politici comunitari dovrebbero comprendere l'importanza di questa rivendicazione, non soltanto come garanzia della protezione della ricchezza della pluralità linguistica e culturale, ma anche per avvicinare coloro che parlano il catalano, il galiziano e il basco, senza pregiudicare il castigliano, alle istituzioni e alle politiche dell'Unione europea.

Vedendo, dunque, che la Commissione condivide l'idea di rendere agevole ai cittadini la lettura e la comunicazione con le istituzioni comunitarie nelle loro lingue, non ritiene la Commissione che l'approvazione di questo accordo potrebbe favorire anche una maggiore vicinanza di questi cittadini all'UE e una loro maggiore integrazione politica nell'Unione?

 
  
 

La Commissione condivide il parere dell’onorevole parlamentare riguardo all’importanza di comunicare con i cittadini nella loro lingua per avvicinarli alle Istituzioni dell’Unione europea.

A seguito dell’invito formulato dal Consiglio, il 21 dicembre 2005 la Commissione ha concluso con la Spagna un accordo amministrativo che consentirà a tutti i cittadini e residenti spagnoli di corrispondere per iscritto con la Commissione in qualsiasi lingua che sia riconosciuta come ufficiale dalla costituzione spagnola (basco, catalano e galiziano). L’accordo sarà attuato nel corso del 2006.

 

Interrogazione n. 66 dell'on. Carlos Carnero González (H-0041/06)
 Oggetto: Conferma o modifica della decisione di ridurre il numero dei traduttori di spagnolo nella Commissione europea
 

Lo scorso 18 gennaio la Commissione ha risposto alla mia interrogazione scritta P-4568/05 in merito alla riduzione del numero dei traduttori di spagnolo nei suoi servizi. Oltre a non condividere le ragioni addotte nella risposta firmata dal Commissario Figel, ritengo che non venga chiarito pienamente se la Commissione intende confermare i programmi resi noti pubblicamente all'inizio del novembre 2005. Questi prevedevano, fra le altre cose, una riduzione inaccettabile del numero dei traduttori di spagnolo senza prendere in considerazione ragioni importantissime, quali il numero di persone che parlano questa lingua e la sua straordinaria espansione, sia dentro che fuori dall'Unione. Intende la Commissione adottare i programmi menzionati oppure ha deciso di modificarli come richiesto dall'opinione pubblica, dal Governo spagnolo e dal sottoscritto, al fine di non arrecare danno allo straordinario valore aggiunto che l'uso dello spagnolo costituisce per l'UE, essendo una delle sue principali lingue ufficiali, e di evitare qualsiasi discriminazione rispetto all'inglese, al francese e al tedesco?

 
  
 

La Commissione ribadisce la dichiarazione secondo cui, in base al regolamento n. 1/1958 del Consiglio(1), lo spagnolo ha lo stesso valore di qualsiasi altra lingua ufficiale.

Nell’adempiere agli obblighi previsti dal regolamento, la Commissione deve utilizzare nel modo più efficace possibile le risorse esistenti, il che significa che ai fini della comunicazione interna la traduzione viene fornita in base alle esigenze effettive. Questo non influisce tuttavia sul pieno rispetto del principio del multilinguismo per quanto riguarda la traduzione di documenti di carattere legislativo o regolamentare.

La Commissione desidera assicurare all’onorevole parlamentare che il numero complessivo dei membri del personale linguistico non sarà ridotto; parte della capacità di traduzione esistente sarà assegnata a compiti legati al multilinguismo quali traduzione di pagine web, terminologia, e così via, che sono sempre più richiesti in quanto costituiscono un mezzo per comunicare direttamente con i cittadini.

Alla luce delle considerazioni che precedono, la Commissione ritiene che non esista alcun motivo per cambiare la sua politica.

 
 

(1) Regolamento n. 1/1958, GU P 17 del 6.10.1958, modificato dal regolamento (CE) n. 920/2005 del Consiglio del 13 giugno 2005 che modifica il regolamento n. 1, del 15 aprile 1958, che stabilisce il regime linguistico della Comunità economica europea e il regolamento n. 1, del 15 aprile 1958, che stabilisce il regime linguistico della Comunità europea dell’energia atomica e che introduce misure di deroga temporanea a tali regolamenti, GU L 156 del 18.6.2005.

 

Interrogazione n. 67 dell'on. Pilar del Castillo Vera (H-0067/06)
 Oggetto: Traduzione alla Commissione europea
 

La stampa spagnola ha informato di recente del progetto della Commissione europea di ridurre il numero dei traduttori in lingua spagnola che lavorano presso i suoi servizi.

Può riferire la Commissione quali siano con esattezza i piani di riduzione previsti per la lingua spagnola? Quanti traduttori verranno concretamente colpiti dal taglio che intende effettuare? In base a quali criteri sarà effettuato tale taglio? Vengono presi in considerazione criteri quali il numero di abitanti del paese e il numero di persone che parlano questa lingua nel mondo?

 
  
 

La strategia della Direzione generale della traduzione della Commissione è uno strumento di gestione interna che ha lo scopo di garantire l’uso più efficace possibile delle risorse esistenti, a seguito della strategia per la gestione della domanda attuata dopo l’allargamento del 2004 per far fronte alla grave mancanza di capacità di traduzione nelle nuove lingue(1). Questa strategia ha comportato una diminuzione del numero di documenti da tradurre, che a sua volta ha ridotto la necessità di traduttori nelle lingue dei vecchi Stati membri. In questo contesto, si è reso necessario assegnare parte della capacità di traduzione esistente a compiti legati al multilinguismo quali traduzione di pagine web, terminologia, e così via, che sono sempre più richiesti in quanto costituiscono un mezzo per comunicare direttamente con i cittadini.

Questa strategia riguarda tutti i dipartimenti linguistici e non influisce in alcun modo sullo status delle lingue ufficiali dell’UE.

La Commissione desidera assicurare all’onorevole parlamentare che il numero complessivo dei membri del personale linguistico non sarà ridotto; nessun traduttore perderà il posto di lavoro. Il personale di traduzione sarà utilizzato in modo adeguato per rispondere alla nuova e crescente domanda anche in altri settori linguistici quali la traduzione di pagine web, la revisione, e in generale il rafforzamento del multilinguismo in tutti gli aspetti delle attività della Commissione.

I traduttori interessati non subiranno svantaggi in relazione a grado, retribuzione, sviluppo della carriera o altri aspetti simili.

Il principio del multilinguismo non è legato al numero di persone che parlano una lingua, ma è una necessità democratica: i cittadini dell’UE devono poter leggere i documenti a loro direttamente applicabili nella lingua ufficiale del loro paese, a prescindere dal fatto che le persone che la parlano come madrelingua siano 40 milioni o 400 000. E’ pertanto logico che, ad esempio, spagnolo, slovacco, olandese, svedese e tutte le altre lingue ufficiali siano trattate su un piano di parità, in modo che a tutti i cittadini dell’UE siano riconosciuti gli stessi diritti democratici.

La Commissione ribadisce più che mai il suo impegno nei confronti del principio del multilinguismo e dell’applicazione del regolamento n. 1/1958 del Consiglio(2).

 
 

(1) Cfr. comunicazione “Matching Supply and Demand for Translation” [SEC(2004) 638].
(2) Regolamento n. 1/1958, GU P 17 del 6.10.1958, modificato dal regolamento (CE) n. 920/2005 del Consiglio del 13 giugno 2005 che modifica il regolamento n. 1, del 15 aprile 1958, che stabilisce il regime linguistico della Comunità economica europea e il regolamento n. 1, del 15 aprile 1958, che stabilisce il regime linguistico della Comunità europea dell’energia atomica e che introduce misure di deroga temporanea a tali regolamenti, GU L 156 del 18.6.2005.

 

Interrogazione n. 68 dell'on. Yiannakis Matsis (H-0004/06)
 Oggetto: Dichiarazione di Hilmi Özkök sulla presenza dell'esercito turco e Cipro
 

Nel suo messaggio per il nuovo anno 2006, il Generale turco, Hilmi Özkök, ha toccato la questione cipriota e asserito, fra le altre cose, che la presenza dell'esercito turco a Cipro è intesa a tutelare gli interessi della Turchia e a salvaguardare il suo ruolo geo-strategico nella regione. La posizione del generale conferma l'intenzione della Turchia di mantenere, nella Repubblica di Cipro, che è uno Stato membro dell'Unione Europea, l'illecito regime di occupazione, in violazione dell'indipendenza di Cipro e in contrasto con i principi e i valori dell'Unione Europea e del diritto internazionale.

Quali misure intende prendere l'UE affinché l'esercito turco si ritiri dalla Repubblica di Cipro, Stato membro dell'UE? Sarebbe disposta l'UE a sostenere, nell'ambito di queste misure, l'avvio quanto più tempestivo possibile delle operazioni di ritiro dell'esercito turco dalla Repubblica di Cipro e la sua sostituzione con una forza europea, in collaborazione con le Nazioni Unite?

 
  
 

La Commissione, come dichiarato in numerose occasioni, ribadisce il pieno impegno a sostenere una ripresa dei colloqui sotto gli auspici delle Nazioni Unite per una soluzione globale della questione di Cipro, che affronti tutti i problemi fondamentali quali sicurezza, costituzione, proprietà e territorio. La Commissione si augura che tali colloqui possano essere riavviati il più presto possibile.

 

Interrogazione n. 69 dell'on. Antonio Masip Hidalgo (H-0014/06)
 Oggetto: Catalogo nomenclatore della specialità di chirurgia plastica
 

Nel nuovo catalogo nomenclatore elaborato dall'UE per le specialità mediche, pubblicato dal sistema CONSLEG dell'Ufficio delle pubblicazioni ufficiali dell'UE (CONSLEG: 1993L0016-01/05/2004), la specialità di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica viene chiamata "Chirurgia Estetica".

Tale denominazione è inaccettabile, poiché la chirurgia plastica comprende molto di più che la mera chirurgia estetica; poiché in Europa non esiste il titolo riconosciuto di specialista in chirurgia estetica; infine, poiché si legalizza l'esercizio della chirurgia estetica senza il possesso di alcun titolo, tramite l'autodichiarazione di "specialisti in chirurgia estetica". Coloro che si sottopongono a interventi, credendo che i suddetti specialisti siano debitamente formati e qualificati, vengono quindi messi in pericolo.

Quali iniziative concrete intende adottare la Commissione a tale proposito?

 
  
 

Varie organizzazioni professionali rappresentative dei chirurghi plastici hanno già richiamato l’attenzione della Commissione sul fatto che, nel testo francese della direttiva 93/16/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993 intesa ad agevolare la libera circolazione dei medici e il reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli(1), la specialità di chirurgia plastica è stata indicata per errore con la denominazione “chirurgie esthétique” anziché “chirurgie plastique” e hanno chiesto alla Commissione cosa intenda fare per porvi rimedio.

Come la Commissione ha già comunicato alle organizzazioni professionali interessate, nella versione originale della direttiva 93/16/CEE la denominazione è stata formulata nel modo corretto, ossia “chirurgie plastique”. Nel 2001 detta direttiva è stata modificata dalla direttiva 2001/19/CEE. Durante l’iter legislativo in seno al Consiglio e al Parlamento e nella traduzione in francese della direttiva successiva, la denominazione “chirurgie plastique” è stata cambiata per errore in “chirurgie esthétique”.

Tenuto conto che la direttiva 93/16/CEE, modificata dalla direttiva 2001/19/CEE, è stata di recente rifusa nell’ambito della nuova direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, la Commissione ha già richiamato l’attenzione del Segretariato generale del Consiglio su tale errore allo scopo di farlo correggere e includerlo in una “rettifica” della nuova direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali attualmente in fase di elaborazione.

 
 

(1) GU L 165 del 7.7.1993.

 

Interrogazione n. 70 dell'on. John Purvis (H-0017/06)
 Oggetto: Regole di trasparenza
 

Secondo un articolo del Financial Times (11.1.06), il timore di sanzioni per una mancata comunicazione immediata di informazioni atte ad influenzare il prezzo, secondo quanto prevedono le nuove norme contenute nella direttiva sugli abusi di mercato, rende le aziende riluttanti a concedere conferenze stampa, interviste o a tenere riunioni informali con la stampa. Può la Commissione far sapere se è preoccupata del fatto che le norme sulla divulgazione inducano le aziende ad essere più caute e quindi più riluttanti a fornire informazioni agli investitori e ai media?

 
  
 

La direttiva 2003/6/CE sugli abusi di mercato, e le relative misure di applicazione, ossia le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE, 2004/72/CE e il regolamento (CE) n. 2273/2003, sono state attuate solo di recente negli Stati membri. La direttiva 2003/6/CE introduce disposizioni più coerenti e di più ampia portata in merito al trattamento di informazioni privilegiate in tutti i mercati finanziari in Europa. Di norma, gli emittenti adesso devono rendere note al pubblico il più presto possibile le informazioni privilegiate che lo riguardano direttamente. Qualora divulghino, nel normale esercizio delle loro funzioni, informazioni privilegiate a un terzo, gli emittenti hanno l’obbligo di dare efficace divulgazione al pubblico di tali informazioni, simultaneamente in caso di divulgazione intenzionale, tempestivamente in caso di divulgazione non intenzionale. Questa disposizione non si applica se la persona che riceve le informazioni è soggetta a un obbligo di riservatezza nei confronti dell’emittente.

La direttiva sugli abusi di mercato ha reso gli emittenti (e altre persone interessate) più attenti al corretto trattamento della divulgazione di informazioni privilegiate. Adesso sono più responsabili per quanto riguarda l’accesso di terzi a informazioni privilegiate. La Commissione lo ritiene uno sviluppo positivo. La Commissione è anche sicura che le parti interessate esistenti e potenziali riconosceranno gli sforzi compiuti dalle imprese per conformarsi alle disposizioni della direttiva sugli abusi di mercato relative alla divulgazione, assicurando al contempo la fornitura al pubblico di un flusso costante e significativo di informazioni sulle loro attività.

La Commissione è fiduciosa che, in questo periodo iniziale di applicazione della direttiva sugli abusi di mercato, gli emittenti riceveranno orientamento dalle autorità nazionali di regolamentazione dei valori mobiliari responsabili della supervisione e dell’applicazione delle disposizioni in materia di abusi di mercato. E’ ovvio che la Commissione seguirà con attenzione e valuterà l’impatto della direttiva in questione e delle relative misure di attuazione sul funzionamento dei mercati dei valori mobiliari dell’UE.

 

Interrogazione n. 71 dell'on. Claude Moraes (H-0019/06)
 Oggetto: Finanziamenti della Commissione alle PMI
 

Di quale aiuto possono disporre le PMI nei loro rapporti con la Commissione? Una nota impresa di ingegneria della mia circoscrizione è stata soggetta a una verifica finanziaria da parte dell'EU e ha incontrato grandi difficoltà nel contestare i risultati. La Commissione ha estese risorse che mancano spesso alle PMI. In che modo può la Commissione garantire che le piccole imprese siano trattate in modo equo nelle loro relazioni con la Commissione? Come possono le PMI avere accesso a consulenze dettagliate, pertinenti e specializzate?

 
  
 

L’onorevole parlamentare fa riferimento al caso specifico di un’impresa che è stata soggetta a una verifica finanziaria da parte dell’UE. La Commissione ha difficoltà a esprimersi al riguardo in mancanza di informazioni più precise. Come norma generale, una delle condizioni del finanziamento della Commissione è tuttavia che i progetti finanziati a titolo del bilancio comunitario possono essere sottoposti a controlli ex post, come previsto all’articolo 60, paragrafo 4, del regolamento finanziario. La Commissione riesamina regolarmente il regolamento finanziario, come previsto all’articolo 184 del medesimo. L’ultimo riesame è stato effettuato nel 2005 e ha comportato una proposta di modifica del regolamento finanziario(1), che attualmente è in fase di negoziazione con il Consiglio e il Parlamento e che, secondo la proposta della Commissione, entrerà in vigore il 1o gennaio 2007. Tenuto conto che l’articolo 184 prevede un riesame del regolamento finanziario ogni tre anni, oppure ogni volta che si riveli necessario, si può prevedere che nel 2007/2008 verrà avviato un nuovo riesame, con entrata in vigore nel 2010.

Quando effettua tali verifiche, la Commissione applica le pertinenti norme internazionali, fra cui la possibilità di esprimersi in merito ai risultati e alle raccomandazioni dei revisori, e pertanto un’impresa o qualsiasi altro organismo che sia stato oggetto di verifica ha la possibilità, nel corso di quello che viene definito “contraddittorio”, di sottoporre all’attenzione della Commissione ulteriori informazioni che possono determinare una revisione riguardo alla posizione iniziale. Questo deve essere fatto per iscritto, con mezzi quali lettere o posta elettronica, che sono accessibili per le piccole e medie imprese (PMI).

In merito alla questione più generale sollevata, la Commissione intende assistere le PMI e desidera sottolineare quanto segue.

- Nel novembre 2005 la Commissione ha adottato una comunicazione su una politica moderna a favore delle PMI per la crescita e l’occupazione. Tale comunicazione è intesa a istituire un quadro politico globale per le iniziative riferite alle PMI e prevede le azioni da intraprendere per garantire che si tenga conto delle PMI quando si valuta o si elabora la legislazione comunitaria, e per semplificare le norme e ridurre la complessità delle procedure al fine di promuovere la partecipazione delle PMI ai programmi comunitari. La Commissione accoglierebbe con favore il sostegno parlamentare a favore di un’ulteriore riduzione dell’onere amministrativo per le PMI e di un rafforzamento della loro partecipazione ai programmi comunitari.

- La Commissione ha potenziato il ruolo del Rappresentante per le PMI, attualmente svolto dal Vicedirettore generale della DG ENTR(2). Il Rappresentante per le PMI e il suo gruppo di collaboratori hanno il compito di integrare la dimensione delle PMI nelle politiche dell’UE, di ascoltare le PMI e i loro rappresentanti e di segnalare le loro preoccupazioni ai vari servizi della Commissione. Il Rappresentante per le PMI può essere contattato direttamente all’indirizzo ENTR-SME-ENVOY@cec.eu.int.

- La rete degli Euro Info Centre (EIC) fornisce consulenze dettagliate, pertinenti e specializzate alle PMI su tutte le tematiche europee, fra cui i programmi comunitari. La rete comprende quasi 270 EIC e più di 300 uffici locali di minori dimensioni collegati agli EIC ufficiali in tutta Europa. La Commissione ha definito due nuovi meccanismi, denominati “SME feedback” e “SME panel”, al fine di migliorare il sistema di consultazione delle PMI nel processo di definizione delle politiche comunitarie attraverso la rete degli Euro Info Centre. “SME feedback” individuerà le difficoltà incontrate dalle PMI nell’attuazione della legislazione e delle politiche europee, mentre “SME panel” verificherà l’effetto di un atto legislativo o di una politica in fase di elaborazione tra un gruppo di PMI locali. L’EIC più vicino può pertanto esaminare il problema con le PMI in questione.

- Sono stati inoltre definiti o sono in fase di esame strumenti e iniziative specifici, fra cui helpdesk per le PMI, punti di contatto locali o specifici inviti a presentare proposte, volti a migliorare le informazioni disponibili per le PMI su programmi in corso e futuri e a sostenere la partecipazione delle PMI a programmi dell’UE.

 
 

(1) COM(2005)181 del 3.5.2005.
(2) DG Imprese e Industria.

 

Interrogazione n. 72 dell'on. Alejo Vidal-Quadras Roca (H-0022/06)
 Oggetto: Applicazione della direttiva 95/46/CE relativa alla tutela dei dati personali
 

Di recente si è appreso che la Generalità di Catalogna si è servita di anamnesi cliniche per valutare l'uso della lingua catalana nei servizi sanitari. La direttiva 95/46/CE(1) relativa alla tutela delle persone con riguardo al trattamento dei dati personali, negli articoli 8, 11, 14 e 18 proibisce il trattamento dei dati relativi alla salute senza l'esplicito consenso dell'interessato, impone di comunicare all'interessato le caratteristiche del trattamento di tali dati, garantisce alle persone il diritto di opporsi al loro trattamento e impone di notificare all'autorità di controllo le operazioni di trattamento dei dati per la loro valutazione. L'articolo 6 impone che i dati siano "rilevati per finalità (...), esplicite e legittime".

Ritiene la Commissione che quanto sopra riportato abbia soddisfatto tutti questi requisiti? Considerando l'importanza di garantire i diritti fondamentali dei cittadini, in particolar modo la loro privacy, la Commissione intende chiedere spiegazioni al Governo spagnolo in merito a quanto successo?

 
  
 

In base alla direttiva 95/46/CE, i dati personali relativi allo stato di salute di una persona sono considerati “dati di natura delicata” che richiedono una tutela specifica. L’articolo 8 della direttiva subordina il trattamento dei dati personali relativi allo stato di salute di una persona a condizioni particolari. In sostanza, il loro trattamento richiede il consenso della persona interessata oppure norme nazionali che ne autorizzino il trattamento e che prevedano adeguate garanzie, ad esempio nel quadro della somministrazione di cure mediche o della gestione di centri di cura, o quando sia necessario per la salvaguardia dell’interesse vitale della persona interessata. La direttiva consente agli Stati membri di trattare questi dati di natura delicata per altri motivi di interesse pubblico rilevante a condizione che si istituiscano adeguate garanzie.

La Commissione deve sottolineare che, nell’ambito del sistema stabilito dalla direttiva sulla protezione dei dati, le autorità responsabili della protezione dei dati negli Stati membri sono le autorità cui spetta controllare la liceità delle attività di trattamento dei dati personali eseguite nel loro territorio. Tali autorità devono adottare le misure adeguate per applicare la legislazione in materia di protezione dei dati e prevenire o porre fine alle attività illecite di trattamento dei dati, in particolare per mezzo di controlli o sanzioni.

La Commissione chiederà alle autorità spagnole di fornire informazioni in merito ai fatti cui si fa riferimento nell’interrogazione, per verificare che l’indagine condotta dalla Generalità di Catalogna sia conforme alle disposizioni della direttiva 95/46/CE relativa alla protezione dei dati personali, in particolare agli articoli 7, 8, 10, 11, 18 e 20. Sulla base delle informazioni fornite, la Commissione deciderà in merito ai provvedimenti più adeguati da adottare al riguardo.

 
 

(1) GU L 281 del 23.11.1995, pag. 31.

 

Interrogazione n. 73 dell'on. Albert Deß (H-0025/06)
 Oggetto: E.coli negli alimenti (formaggio a pasta dura); diversi valori limite per l'importazione in Australia e nell'Unione europea
 

Situazione giuridica nell'Unione europea: ai sensi del regolamento (CE) n. 2073/2005(1), in vigore dall'1.1.2006, gli E.coli sono da considerare come criteri d'igiene del processo. Su cinque campioni prelevati, soltanto due possono contenere tra 100 e 1000 E.coli per grammo.

Situazione legale in Australia: il valore limite ammesso per gli E.coli su cinque campioni prelevati è completamente diverso da quello dell'Unione. Qui soltanto un campione su cinque può contenere tra 10 e 100 E. coli per grammo, anche se non si tratta di criteri d'igiene del processo, ma di criteri commerciali stabiliti per la protezione del consumatore.

Tale situazione rappresenta una distorsione della concorrenza e impedisce l'esportazione di formaggio dall'Unione europea all'Australia.

Quali misure ha intrapreso la Commissione per rimuovere quest'immenso ostacolo commerciale?

Nel caso in cui non possano essere concordati valori limite unitari per l'importazione, può la Commissione provvedere affinché le importazioni dei prodotti in questione nell'UE siano applicati i bassi valori limite australiani?

 
  
 

La Commissione ringrazia l’onorevole parlamentare per aver richiamato la sua attenzione su tale questione e assicura al Parlamento che la solleverà con l’Australia allo scopo di chiarire la situazione.

Va tuttavia sottolineato che, nel contesto dell’accordo dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) sull’applicazione di misure sanitarie e fitosanitarie (l’accordo SPS), i membri dell’OMC hanno il diritto di definire un proprio livello di tutela adeguato, a condizione che non si tratti di una restrizione degli scambi mascherata, arbitraria o discriminatoria. La Commissione esaminerà a tempo debito la misura adottata dall’Australia per determinare se sia conforme all’accordo SPS e informerà di conseguenza il Parlamento.

 
 

(1) GU L 338 del 22.12.2005, pag. 1.

 

Interrogazione n. 74 dell'on. Gay Mitchell (H-0028/06)
 Oggetto: Comunicazione della difficile situazione dei paesi in via di sviluppo
 

La Commissione vuole riavvicinare l'EU alla popolazione europea. Concorda la Commissione sul fatto che, come testimoniato da molte manifestazioni pubbliche, ci sia tra i cittadini dell'EU un'enorme preoccupazione concernente la difficile situazione dei nostri vicini nei paesi in via di sviluppo? Può la Commissione farne una priorità di comunicazione?

 
  
 

Il carattere dell’UE, la sua complessità istituzionale e l’assenza di un’opinione pubblica “europea” unificata e omogenea sono sfide importanti quando si definiscono le priorità di comunicazione.

La Commissione concorda che il pubblico europeo ha una percezione relativamente scarsa dell’assistenza esterna dell’UE e del suo ruolo nel mondo. Anche se dai sondaggi di opinione è emerso che gli europei sono estremamente favorevoli all’idea di fornire aiuti allo sviluppo, solo pochi associano l’Unione europea a una politica di sviluppo. La Commissione ne è ben consapevole e, insieme agli Stati membri, ad altre Istituzioni dell’UE e organizzazioni internazionali, sta cercando di affrontare questa sfida. Il piano d’azione in materia di comunicazione della Direzione generale (DG) dello Sviluppo prevede un’ampia serie di attività in tutti gli Stati membri dell’UE e nei paesi partner dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) per promuovere la politica europea di sviluppo. Per poter raggiungere nel miglior modo possibile i vari gruppi destinatari, la Commissione ha rivolto particolare attenzione ai servizi informativi di sostegno per la stampa e i mezzi di comunicazione. A Bruxelles vengono organizzati specifici seminari di formazione per i giornalisti dei nuovi Stati membri e dei paesi partner e vengono inviati per via elettronica bollettini di informazione settimanali e mensili. Nel corso del 2005 la Commissione ha anche realizzato vari prodotti audiovisivi al fine di rafforzare la visibilità della politica di sviluppo e in particolare il sostegno dell’Europa a favore degli Obiettivi di sviluppo del Millennio. Alcuni di tali prodotti hanno anche fatto parte della campagna di informazione rivolta al pubblico in generale in occasione del Vertice mondiale delle Nazioni Unite svoltosi nel settembre 2005. La Commissione ha prodotto e commercializzato diversi spot televisivi, ha prodotto e distribuito vari notiziari in edizione video quale servizio per i mezzi audiovisivi, per non parlare di altre pubblicazioni. Nel 2005 è stato messo in linea un sito web specifico, che quest’anno sarà ulteriormente potenziato, sulle principali iniziative europee nel campo della politica di sviluppo, e in particolare sul sostegno europeo agli Obiettivi di sviluppo del Millennio. Per collegarsi alle persone in Europa, il Commissario responsabile per lo sviluppo e gli aiuti umanitari mette anche a disposizione la sua pagina web ed è stato lieto di organizzare uno scambio via Internet con i cittadini europei. Nel 2006 la Commissione continuerà a intensificare gli sforzi compiuti in questo settore e ritiene queste attività di comunicazione indispensabili per la visibilità delle sue azioni esterne. E’ importante che con le varie iniziative politiche e di comunicazione intraprese si comunichi che l’impegno dell’Europa è un valore aggiunto per l’Africa e lo sviluppo dell’Africa è un valore aggiunto per l’Europa. La Commissione farà la sua parte, tuttavia il successo dipende da altri impegni positivi. L’Unione europea in quanto tale fornisce più della metà degli aiuti allo sviluppo ufficiali mondiali. E’ chiaro che l’Unione europea merita maggiore visibilità per l’enorme contributo dato alla lotta contro la povertà e alla sua eliminazione, anche per quanto riguarda la parte proveniente direttamente dagli Stati membri o attraverso le organizzazioni internazionali.

Al termine della riunione del Consiglio europeo del giugno 2005, i capi di Stato e di governo hanno dichiarato l’avvio di un “periodo di riflessione” a seguito dell’esito negativo delle votazioni sulla Costituzione europea svoltesi in Francia e Paesi Bassi. Già nel luglio 2005 la Commissione ha concordato un piano d’azione per migliorare la comunicazione sull’Europa. Al piano d’azione ha fatto seguito un piano D concordato dalla Commissione nell’ottobre 2005. Il piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito prevede un processo strutturato per stimolare un dibattito pubblico sul futuro dell’Unione europea. Nell’ambito dell’ambizioso obiettivo di informare le persone sul ruolo dell’Unione europea attraverso risultati e progetti concreti e prestando ascolto alle aspettative delle persone riguardo a ciò che si dovrebbe fare in futuro, vi è un chiaro riferimento alle frontiere dell’Europa e al suo ruolo nel mondo. Il gruppo dei Commissari responsabili per le relazioni esterne prendono questo compito sul serio e affrontano insieme questa sfida.

Le sfide del mondo odierno sono enormi, tuttavia la Commissione ha molti dati positivi da riferire. Insieme agli Stati membri, ad altre Istituzioni dell’UE, ad altre organizzazioni internazionali e alla società civile, la Commissione renderà noti tali dati e sentirà ciò che i cittadini hanno da dire.

Il Commissario responsabile per lo sviluppo e gli aiuti umanitari è personalmente impegnato a rispondere a questa sfida insieme al Vicepresidente per le relazioni istituzionali e la strategia di comunicazione e ad altri colleghi.

Comunicare i risultati della politica di sviluppo e dell’assistenza esterna dell’UE ai cittadini era, è e sarà una delle priorità della Commissione.

 

Interrogazione n. 75 dell'on. Georgios Toussas (H-0031/06)
 Oggetto: Linee di cabotaggio in Grecia
 

Con parere motivato, la Commissione denuncia la Grecia per la mancata attuazione della legislazione comunitaria ed invita tale paese ad adottare misure arbitrarie che aggraveranno ulteriormente i problemi dei marittimi e, in generale, dei lavoratori residenti nelle isole e che, allo stesso tempo, accresceranno i rischi in materia di sicurezza della navigazione e di protezione dell'ambiente, provocando una tempesta di proteste.

Ritiene la Commissione che la soppressione dei criteri obiettivi di tonnellaggio e di potenza delle imbarcazioni per determinare la composizione dell'equipaggio, il limite di età fissato per il ritiro delle imbarcazioni vetuste e la liberalizzazione totale del prezzo dei biglietti in classe economica servano gli interessi degli utenti di tali servizi, l'occupazione e lo sviluppo della Grecia insulare o servano esclusivamente gli interessi e la redditività delle compagnie di navigazione? In tal caso, non dovrebbe la Commissione rivedere la sua posizione?

 
  
 

Nel parere motivato inviato alla Grecia il 19 dicembre 2005 la Commissione ha rammentato la necessità di rispettare il regolamento (CEE) n. 3577/1992(1) che applica il principio fondamentale della libera prestazione dei servizi al cabotaggio marittimo.

L’apertura di questi servizi alla concorrenza ne consente l’erogazione a un costo inferiore per i passeggeri e per la collettività in generale. Qualora l’iniziativa privata sia insufficiente, possono essere imposti obblighi di servizio pubblico. Anche se il Trattato CE tiene conto della particolarità delle regioni insulari, i servizi di cabotaggio insulari non possono tuttavia essere automaticamente classificati tutti come servizi pubblici. La Grecia deve giustificare per ognuna delle linee interessate la necessità degli obblighi di servizio pubblico imposti.

Nel parere motivato la Commissione non ha espresso alcuna rimostranza riguardo al limite di età fissato dalla legislazione greca per il ritiro delle imbarcazioni vetuste.

Il parere motivato della Commissione non comporta la liberalizzazione totale del prezzo dei biglietti in classe economica. La Commissione ha soltanto constatato che quasi tutte le linee insulari sono assoggettate a misure di limitazione dei prezzi senza che sia stata fornita o ricercata la prova che sull’insieme delle linee considerate le sole forze del mercato non sarebbero sufficienti a garantire livelli di prezzi soddisfacenti rispetto alle esigenze di servizio pubblico. Vi sono varie linee con un traffico intenso nel corso di tutto l’anno e sulle quali intervengono vari operatori per le quali non è stata dimostrata l’esistenza di un tale contesto.

Per quanto riguarda la determinazione della composizione dell’equipaggio, la Commissione ha sottolineato che, per ciascuna categoria di marittimi, la legislazione greca determina il numero di questi ultimi che deve essere impiegato su un’imbarcazione, unicamente sulla base del suo tonnellaggio, del numero di passeggeri autorizzati a essere trasportati e del periodo dell’anno. Impedendo agli operatori di poter tener conto del tipo di imbarcazione in questione e delle sue esigenze specifiche, tale legislazione ostacola la libertà degli operatori di scegliere il modo in cui intendono fornire i loro servizi agli utenti, senza che sia dimostrata l’utilità di questa legislazione per quanto riguarda le questioni della sicurezza e della protezione dell’ambiente.

 
 

(1) Regolamento del Consiglio del 7 dicembre 1992 concernente l’applicazione del principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi fra Stati membri (cabotaggio marittimo), GU L 364 del 12.12.1992.

 

Interrogazione n. 76 dell'on. Michael Gahler (H-0034/06)
 Oggetto: Politica linguistica della Commissione europea
 

Può la Commissione far sapere perché al suo interno vige una normativa secondo la quale i futuri capi unità devono seguire un programma di preparazione esclusivamente in francese e in inglese, per cui la competenza linguistica richiesta viene ridotta artificiosamente solo a queste lingue e, come risultato, la lingua tedesca, che è la seconda lingua più capita nell'UE e lingua di lavoro della Commissione, viene discriminata? Come si concilia questa pratica con la politica del "multilinguismo" decantata dalla Commissione, vale a dire conoscenza della lingua madre più quella di due lingue straniere? Intende la Commissione offrire il programma di preparazione richiesto in una forma tale che gli stessi interessati possano sempre scegliere due delle tre lingue in cui desiderano seguire questo corso?

Preferirebbe la Commissione una normativa che, comunque, escludesse la lingua materna dalle due lingue da scegliere, così che la "libera scelta" fra le tre lingue verrebbe garantita "solamente" a coloro che parlano come lingua madre una delle 17 "lingue non di lavoro"? È inoltre disposta in simili situazioni ed occasioni ad adoperarsi in modo adeguato per un pari trattamento, non solo formale, del tedesco e del francese, qualora sia possibile scegliere il francese allora lo sia anche per il tedesco, qualora non sia possibile scegliere il tedesco allora non lo sia neanche per il francese?

 
  
 

Il corso di preparazione alla gestione “First Steps in Managing People” della Commissione è inteso a fornire ai futuri capi unità le capacità di gestione necessarie per svolgere la loro funzione in modo efficace. Il corso non ha lo scopo di verificare la competenza linguistica dei partecipanti né di svilupparne le capacità linguistiche. La decisione di offrire questo corso specifico soltanto in francese e in inglese è stata determinata tenendo conto delle lingue in cui di fatto i dirigenti per lo più operano nel loro lavoro quotidiano, rispetto a quelle che possono utilizzare, e assicurando un equilibrio tra considerazioni di multilinguismo e di gestione sana ed efficace delle risorse finanziarie del bilancio centrale per la formazione.

Le capacità linguistiche vengono sviluppate in corsi specifici separati, che includono 28 lingue. Tutto il personale può sviluppare le proprie competenze linguistiche in tutte queste lingue, conformemente alla politica di multilinguismo della Commissione e alle specifiche esigenze di lavoro. Ai dirigenti della Commissione viene inoltre offerta, in alternativa ai corsi normali, una formazione linguistica individuale e intensiva, con particolare attenzione per il tedesco, il francese e l’inglese.

 

Interrogazione n. 77 dell'on. Georgios Karatzaferis (H-0035/06)
 Oggetto: Tasso di utilizzazione degli stanziamenti comunitari da parte del Ministero greco della cultura
 

La stampa greca ("TO VIMA" del 24.1.2006) riferisce che il Primo Ministro greco Karamanlìs che da circa due anni è anche Ministro della cultura, ha in totale trascorso in questo lasso di tempo appena 9,5 ore nel suo ufficio presso detto Ministero, per incontrarvi personalità della cultura e delle lettere e convocare un'unica riunione della commissione istruzione - cultura, i cui membri sono stipendiati e percepiscono regolarmente il loro stipendio già da un anno. Il tasso di utilizzazione degli stanziamenti comunitari da parte del Ministero della cultura a beneficio della cultura contemporanea è di appena il 6%. Può la Commissione dire per quale motivo tale tasso registra un livello così basso?

 
  
 

Nella sua interrogazione l’onorevole parlamentare menziona il tasso di utilizzazione degli stanziamenti comunitari da parte del ministero greco della Cultura a beneficio della “cultura contemporanea”.

La Commissione invita l’onorevole parlamentare a far riferimento alla risposta approfondita fornita all’interrogazione scritta P-5020/05 dell’onorevole Sifounakis che verte sullo stesso argomento.

 

Interrogazione n. 78 dell'on. Irena Belohorská (H-0040/06)
 Oggetto: Salute riproduttiva delle donne
 

Senza una popolazione sana non sarà possibile raggiungere gli obiettivi previsti dalla strategia di Lisbona. La salute riproduttiva delle donne è perciò essenziale per il miglioramento dell'economia europea.

Nel 1997 è stata elaborata una relazione sullo stato di salute delle donne nei 15 Stati membri dell'EU (COM(1997)0224 finale). In seguito all'adesione di dieci nuovi Stati membri, intende la Commissione iniziare a raccogliere dati sullo stato di salute delle donne e prevede di redigere una relazione analoga, che riguardi i 25 Stati membri dell'EU? In caso affermativo, questa relazione includerà dati di ambito ginecologico e ostetrico?

 
  
 

Nel quadro del programma d’azione comunitaria nel campo della sanità pubblica, la Commissione ha avviato il progetto comunitario REPROSTAT volto a sviluppare indicatori della salute riproduttiva nell’Unione europea. Questo progetto contiene un elenco finale minimo raccomandato di indicatori che i paesi dell’UE possono utilizzare per controllare la salute riproduttiva. Sono stati definiti indicatori fondamentali essenziali per controllare la salute riproduttiva e la relativa assistenza sanitaria. Tra gli aspetti importanti della salute riproduttiva sono state individuate anche la salute sessuale e la violenza sessuale.

L’attuale programma di lavoro per il 2006 relativo all’attuazione del programma d’azione comunitaria nel campo della sanità pubblica include un’azione sul “funzionamento del sistema d’informazione e conoscenza in campo sanitario” che prevede la redazione di relazioni sui problemi sanitari peculiari a ciascun sesso e sulla salute sessuale e riproduttiva nell’UE a 25.

Il programma di lavoro per il 2006 prevede inoltre quale priorità dell’UE la definizione di indicatori per migliorare l’informazione inerente ad aspetti specifici della sfera ginecologica e della menopausa.

La Commissione ha un forte interesse a realizzare una relazione aggiornata sulla salute delle donne riferita all’UE a 25 che includa anche i problemi ginecologici e di salute riproduttiva. Tale relazione dovrebbe essere elaborata in base alle disposizioni del programma di lavoro per il 2006 relativo all’attuazione del programma d’azione comunitaria nel campo della sanità pubblica, e la Commissione attende di ricevere proposte di progetti pertinenti per consentire di portare avanti questa iniziativa.

 

Interrogazione n. 79 dell'on. Panagiotis Beglitis (H-0046/06)
 Oggetto: Pacchetto di proposte del sig. Gül, Ministro degli Affari esteri della Turchia, sulla questione cipriota e dichiarazioni del Commissario Rehn
 

La comunicazione del sig. Rehn del 25.1.2006 suscita seri dubbi quanto al ruolo istituzionale e politico della Commissione nella sua veste di garante del Trattato, dell'acquis comunitario e della legalità in Europa. Ritiene realmente il Commissario competente che il tentativo del governo turco di compensare tutti i suoi obblighi, decorrenti dalla firma dell'Unione doganale e dalla decisione del Consiglio dei ministri del 3.10.2005 sull'avvio dei negoziati di adesione, con il rafforzamento delle relazioni ed il miglioramento del regime turco-cipriota possano essere oggetto di un attento esame e di uno sforzo di progredire nella questione cipriota? Per quale ragione la Commissione, invece di insistere, com'è suo dovere, sulla ratifica tempestiva e su una attuazione fluida del Protocollo di Unione doganale si affretta con la sua comunicazione ad accettare sostanzialmente la modifica dell'agenda degli obblighi del paese candidato all'adesione, la Turchia, contribuendo in tal modo alla "decolpevolizzazione" della Turchia rispetto ai suoi impegni contrattuali? Quali obiettivi serve effettivamente questa mossa della Commissione quando permette alla Turchia di darsi al mercanteggiamento nei confronti dell'Unione europea sabotando e, alla fin fine, annullando le stesse decisioni del Consiglio europeo e del Consiglio dei ministri?

 
  
 

La Commissione è disposta a valutare qualsiasi iniziativa che possa consentire di compiere progressi nell’attuale situazione di stallo che si è creata riguardo alla questione cipriota. La sua posizione da molto tempo è quella di sostenere la ripresa dei colloqui condotti dall’ONU(1) per giungere a una soluzione globale il più presto possibile.

Questa posizione si riflette nella dichiarazione del Commissario responsabile per l’allargamento del 25 gennaio 2006 sull’iniziativa della Turchia relativa a Cipro. La dichiarazione non si esprime sulla sostanza delle proposte, ma fa riferimento alla necessità di analizzarle con molta attenzione. La Commissione è disposta a contribuire alla discussione delle proposte se verranno accettate dalle parti interessate.

La Commissione è del parere che non esista alcuna condizionalità o compromesso per quanto riguarda il protocollo aggiuntivo dell’accordo di Ankara, che estende l’accordo, fra cui l’unione doganale CE-Turchia, ai dieci nuovi Stati membri, e il regolamento relativo agli scambi commerciali diretti con la parte settentrionale di Cipro.

Il 29 luglio 2005 la Turchia ha firmato il protocollo di Ankara e dovrebbe darvi piena attuazione. La Commissione controllerà questo processo.

Il 26 aprile 2004 il Consiglio ha espresso la sua determinazione a porre fine all’isolamento della comunità turcocipriota. In risposta all’invito del Consiglio, il 7 luglio 2004 la Commissione ha proposto un pacchetto di aiuti e di misure commerciali a tale scopo e si augura che il Consiglio adotti quanto prima una decisione su questa base.

 
 

(1) Organizzazione delle Nazioni Unite.

 

Interrogazione n. 80 dell'on. Erna Hennicot-Schoepges (H-0049/06)
 Oggetto: Impegno degli Stati membri a favore della ricerca pubblica nel quadro della strategia di Lisbona
 

Uno dei maggiori ostacoli alla mobilità degli artisti all'interno dell'Unione europea è costituito dalla mancanza di un regime di sicurezza sociale che tenga conto della mobilità degli artisti. Visto che i periodi contributivi nei vari Stati membri sono soggetti alle normative nazionali, non sempre i contributi versati danno diritto ad una prestazione.

Prevede la Commissione di tener conto della mobilità allorché avvierà un progetto pilota per un sistema di sicurezza sociale mobile che rispetti la specificità della professione di artista?

 
  
 

I sistemi di previdenza sociale degli Stati membri non sono armonizzati a livello comunitario, e pertanto spetta agli stessi Stati membri determinare il proprio regime in materia, tuttavia esiste una forma di coordinamento tra i sistemi di sicurezza sociale nazionali.

Tale coordinamento, istituito dai regolamenti (CEE) n. 1408/71(1) e (CEE) n. 574/72(2), mira a consentire alle persone di spostarsi nell’Unione europea senza perdere i diritti di sicurezza sociale e si applica ai lavoratori che sono o sono stati soggetti alla legislazione sulla sicurezza sociale di uno o più Stati membri che si spostano nell’Unione europea, e sotto questo punto di vista riguarda anche gli artisti.

Per evitare che una persona perda i diritti di sicurezza sociale quando si sposta nell’Unione europea, il coordinamento è inteso in particolare a stabilire un principio di totalizzazione in base al quale i periodi di assicurazione compiuti in uno Stato membro sono presi in considerazione per riconoscere il diritto alle prestazioni conformemente alla legislazione di un altro Stato membro, in modo che i periodi di assicurazione non vengano mai persi.

La Commissione richiama l’attenzione dell’onorevole parlamentare sul fatto che, nel quadro della legislazione comunitaria vigente, non esiste una base giuridica per istituire un sistema di sicurezza sociale a livello comunitario applicabile agli artisti.

 
 

(1) Regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio del 14 giugno 1971 relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità – GU L 149 del 5.7.1971.
(2) Regolamento (CEE) n. 574/72 del Consiglio del 21 marzo 1972 che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CEE) n. 1408/71 relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità – GU L 74 del 27.3.1972.

 

Interrogazione n. 81 dell'on. Astrid Lulling (H-0050/06)
 Oggetto: Apicoltura e prodotti fitosanitari
 

Nella risoluzione P5(2003)0410(1) il Parlamento europeo aveva chiesto alla Commissione di adottare misure preventive relative all'utilizzo delle nuove generazioni di prodotti neurotossici residui, in particolare attraverso l'istituzione di un comitato di esperti specializzati in apicoltura, al fine di adeguare i protocolli di omologazione di questi prodotti tenendo conto dei problemi concernenti la salute delle arnie.

Quale seguito è stato dato dalla Commissione europea a tali richieste? Come può la Commissione consentire tuttora l'impiego di molecole neurotossiche sulla base di procedure di autorizzazione i cui protocolli di valutazione sono obsoleti e non prendono in esame gli effetti subletali di tali molecole (spesso correlati a lungo termine con una tossicità cronica)? È disposta la Commissione a studiare i legami esistenti tra la presenza dei neurotossici largamente disseminati nell'ambiente(2) e la mortalità delle api, un problema registrato in diversi Stati membri e dall'impatto non trascurabile sulla produzione europea di miele?

 
  
 

A seguito della risoluzione del Parlamento sulle difficoltà incontrate dall’apicoltura europea nel 2003, nella sua politica di sostegno all’apicoltura la Commissione ha preso in considerazione le perdite economiche provocate dalla mortalità delle api.

Quando nel 2004 è stato modificato il regolamento del Consiglio relativo ai programmi apicoli nazionali, le azioni ammissibili nell’ambito di tali programmi sono state esplicitamente estese al ripopolamento del patrimonio apicolo per considerare la mortalità delle api, che è una realtà in alcune regioni dell’UE.

Nell’ambito di questa nuova azione, l’acquisto di colonie e di api regine può essere finanziato dalla Commissione e dagli Stati membri nel quadro dei programmi apicoli nazionali al fine di limitare le ripercussioni economiche della mortalità delle api sugli apicoltori europei.

Dai programmi apicoli nazionali trasmessi dagli Stati membri alla Commissione è risultato che, dei 23 milioni di euro disponibili nel bilancio dell’UE per il 2005 per programmi apicoli, circa 1,5 milioni di euro erano stati assegnati a questa azione specifica.

L’immissione in commercio e l’autorizzazione dei prodotti fitosanitari sono disciplinate dalla direttiva 91/414/CEE del Consiglio, la quale prevede che i pesticidi possono essere utilizzati solo se è stato dimostrato che il loro uso non ha effetti inaccettabili sulla salute dell’uomo o degli animali e sull’ambiente. Tale valutazione riguarda i rischi per le api da miele e le loro larve e le prove applicate sono basate su norme definite da organizzazioni intergovernative come l’Organizzazione europea e mediterranea per la protezione delle piante, in cui collaborano 47 governi. Le sue norme sono sottoposte a revisione periodica. Quelle relative alle api da miele sono state rivedute nel 2002/2003 e pertanto la Commissione non è convinta che siano obsolete.

Attualmente la Comunità sta attuando un ampio programma di rivalutazione di vecchi pesticidi che è iniziato nel 1993 e deve essere concluso entro il 2008.

L’onorevole parlamentare è sorpreso che alcune delle sostanze continuino a essere presenti su determinati mercati, tuttavia va sottolineato che, in attesa di un atto della Commissione, restano applicabili le norme nazionali.

Questo vale anche nel caso dei due insetticidi che gli apicoltori francesi ritengono responsabili dell’aumento della mortalità delle api, in particolare il fipronil (nome commerciale Regent®) e l’imidacloprid (nome commerciale Gaucho®), e ai quali molto probabilmente l’onorevole parlamentare fa riferimento.

Queste sostanze sono state sospese dalle autorità francesi da molti anni e attualmente l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ne sta valutando la sicurezza.

La Commissione è in attesa di conoscere i risultati di tale valutazione. Per il fipronil, le conclusioni dell’EFSA dovrebbero essere rese note entro marzo 2006 e per l’imidacloprid dopo l’estate. La Commissione avrà a disposizione sei mesi dalla data di presentazione di questa valutazione scientifica per adottare una decisione sull’accettabilità o meno dell’uso delle sostanze in questione.

 
 

(1) GU C 77 E del 16.3.2004, pag. 329.
(2) Relazione intermedia per il 2005 della "Enquête Prospective Multifactorielle des troubles des abeilles".

 

Interrogazione n. 82 dell'on. Johan Van Hecke (H-0053/06)
 Oggetto: Elezioni in Angola
 

Benché la guerra in Angola sia terminata appena quattro anni fa, in gran parte del paese continua ancora a regnare il caos, la popolazione civile continua ad essere pesantemente armata e vaste aree non sono accessibili a causa delle mine terrestri e dei danni alle infrastrutture. Normalmente, nel settembre di quest'anno in Angola dovrebbero svolgersi le elezioni.

Quali misure intende adottare la Commissione al fine di rendere possibile l'organizzazione di elezioni in Angola nel 2006?

 
  
 

La Commissione attribuisce una priorità particolare alle elezioni legislative in Angola, in quanto rappresentano una prova importante dell’impegno del governo e del paese nel cammino verso la democrazia. La situazione generale dell’Angola a quattro anni dalla fine del conflitto, come descritto nell’interrogazione orale, comporta enormi difficoltà di ordine pratico e logistico per l’organizzazione delle elezioni. Il Presidente dos Santos non ha ancora ufficialmente annunciato la data delle elezioni, ma dalle ultime informazioni risulta che il loro svolgimento nel 2006 è sempre meno probabile.

Per quanto riguarda le misure sostenute dalla Commissione in Angola, il “programma di azioni urgenti di sminamento per il rimpatrio sostenibile e il reinsediamento”, con una dotazione di 26 milioni di euro, è inteso ad affrontare le sfide individuate e contribuisce a creare le condizioni per lo svolgimento delle elezioni.

E’ stato anche compiuto un considerevole sforzo per contribuire alla riconciliazione nazionale, a livello centrale e locale, con un sostegno diretto a favore di progetti nel settore dei diritti umani e della promozione del processo democratico, con organizzazioni della società locale angolana, a titolo degli stanziamenti della linea di bilancio relativa alla democrazia e ai diritti dell’uomo.

Inoltre, come indicato di recente nella risposta all’interrogazione scritta 2512/05 dell’onorevole Ribeiro-Castro, la Commissione ha informato in varie occasioni il governo angolano della sua volontà di contribuire attivamente e più direttamente ai preparativi per le elezioni, tuttavia il governo non ha ancora risposto ufficialmente a questa offerta di aiuto.

La Commissione ritiene nondimeno probabile che il governo angolano valuterà l’offerta di aiuto per i preparativi per le elezioni quando sarà annunciata ufficialmente la data delle elezioni.

 

Interrogazione n. 83 dell'on. Bill Newton Dunn (H-0057/06)
 Oggetto: Distribuzione di medicine da parte dei medici
 

Un dottore nel mio distretto "ha ricevuto notizia che l'Unione europea è di nuovo in procinto di eliminare il diritto di cui dispongono cinquemila medici britannici di distribuire direttamente medicinali ai loro pazienti, senza l'intervento di un farmacista".

Che cosa c'è di vero in questa notizia?

 
  
 

La legislazione comunitaria sui medicinali armonizza il rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio di medicinali, oltre ad affrontare alcuni aspetti della distribuzione di medicinali come il requisito di una prescrizione medica e il commercio all’ingrosso. Per contro, il commercio al dettaglio non rientra nell’ambito di applicazione di questa legislazione.

La Commissione non è a conoscenza di un’azione a livello di Unione europea che miri a regolamentare o limitare la possibilità di cui dispongono i medici in Gran Bretagna di distribuire direttamente medicinali ai loro pazienti, senza l’intervento di un farmacista.

 

Interrogazione n. 84 dell'on. Albert Jan Maat (H-0058/06)
 Oggetto: Conseguenze della sentenza della Corte di giustizia europea del 6 dicembre 2005
 

A seguito della sentenza relativa all'etichettatura del cibo destinato agli animali, potrebbe la Commissione riferire al Parlamento europeo quali sono le sue intenzioni rispetto all'annunciata semplificazione delle norme dell'UE sull'etichettatura dei mangimi, considerando il necessario adeguamento conseguente a tale recente sentenza?

Sarebbe disposta la Commissione a presentare sia al Parlamento europeo, sia al Consiglio un'unica proposta legislativa consolidata, al fine di pervenire ad un regolamento armonizzato sull'etichettatura dei mangimi?

Qual è il suo parere sugli effetti delle norme sulle etichettature che prevedono l'indicazione quantitativa, in merito alla sicurezza dei mangimi e del cibo, all'informazione al consumatore e ai diritti di proprietà intellettuale?

Come intende garantire il giusto equilibrio fra la necessità di proteggere i consumatori e di fornire informazioni non fuorvianti agli acquirenti di mangimi da un lato e, dall'altro, la necessità di proteggere i diritti di proprietà intellettuale e di fornire sicurezza giuridica alle imprese produttrici di mangimi e ai loro acquirenti?

 
  
 

A seguito della sentenza pronunciata in via pregiudiziale dalla Corte di giustizia il 6 dicembre 2005, è ovvio che la Commissione adotterà le misure necessarie per conformarsi a tale sentenza.

La Corte di giustizia ha dichiarato nulla solo una disposizione specifica della legislazione sull’etichettatura dei mangimi, e attualmente la Commissione sta valutando quale seguito giuridico dare alla sentenza.

La Commissione si è anche impegnata a presentare una proposta di rifusione della legislazione sull’etichettatura dei mangimi entro il primo trimestre del 2007, come previsto nel programma rinnovabile di semplificazione della Commissione. Sono stati conclusi una valutazione d’impatto e un ciclo di consultazioni con le parti interessate.

Su questa base, la Commissione preparerà una valutazione d’impatto integrata prima di presentare una proposta al Parlamento e al Consiglio, che terrà conto anche della sentenza della Corte di giustizia.

Poiché la futura proposta sarà elaborata sulla base dell’esito della valutazione d’impatto, è prematuro indicare in quale modo la Commissione affronterà in modo specifico l’etichettatura quantitativa, che di per sé non è stata dichiarata nulla dalla Corte.

Gli obiettivi della futura proposta saranno quelli di garantire la sicurezza di alimenti e mangimi e di favorire il corretto funzionamento del mercato interno, ma anche di tutelare gli interessi economici di tutti gli operatori del settore dei mangimi.

 

Interrogazione n. 85 dell'on. Proinsias De Rossa (H-0060/06)
 Oggetto: Applicazione in Irlanda della Direttiva relativa al distacco dei lavoratori
 

La comunicazione della Commissione (COM(2003)0458 definitivo) del luglio 2003 sull'applicazione negli Stati membri della Direttiva sul distacco dei lavoratori (96/71/CE(1)) fa notare (pagina 8 della versione inglese) che in Irlanda non è stata adottata alcuna misura specifica di ricevimento della Direttiva, ma che una disposizione contenuta nella legge sulla protezione dei lavoratori dipendenti (lavoro a tempo parziale) del 2001, che recepisce un'altra Direttiva comunitaria, stabilisce che alcuni provvedimenti della normativa irlandese si applicano ai lavoratori distaccati in Irlanda.

Ritiene la Commissione che la Direttiva sui lavoratori distaccati sia stata interamente e correttamente trasposta in Irlanda, in base ai criteri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte Europea di Giustizia? C'è stato uno scambio di corrispondenza tra la Commissione e le autorità irlandesi su questa materia e quale è stata la loro risposta? Che azioni intende prendere la Commissione nel caso in cui constati che l'Irlanda non ha trasposto correttamente questa direttiva?

 
  
 

In base alle informazioni di cui i servizi della Commissione dispongono, l’Irlanda ha recepito la direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi(2) stabilendo nella legge sulla protezione dei lavoratori dipendenti (lavoro a tempo parziale) che alcuni provvedimenti si applicano ai lavoratori distaccati. I provvedimenti cui si fa riferimento in questa disposizione riguardano le condizioni di lavoro e di occupazione enunciate nell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva.

Come indicato nella comunicazione della Commissione sull’applicazione della direttiva 96/71/CE(3), sono stati rilevati vari problemi riguardo, tra l’altro, al recepimento della direttiva nei sistemi giuridici degli Stati membri, in particolare di quegli Stati membri che non hanno ritenuto necessario adottare misure di recepimento specifiche ed esplicite. La Commissione ha inoltre sostenuto che questa situazione potrebbe essere ritenuta non rispondente ai criteri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia relativa al recepimento delle direttive comunitarie.

Per quanto riguarda l’interrogazione dell’onorevole parlamentare, la Commissione contatterà pertanto le autorità irlandesi per ulteriori chiarimenti.

 
 

(1) GU L 18 del 21.1.1997, pag. 1.
(2) GU L 18 del 21.1.1997.
(3) COM(2003) 458 def. del 25.7.2003.

 

Interrogazione n. 86 dell'on. Andrzej Jan Szejna (H-0063/06)
 Oggetto: Reiezione da parte della Polonia dell'accordo sull'IVA
 

Dal 1999 nove dei 25 Stati membri sono autorizzati ad applicare un'aliquota IVA inferiore per "i servizi a forte intensità di manodopera": rinnovo di alloggi, assistenza domestica, lavaggio di vetri, piccole riparazioni di biciclette e di abiti e acconciature dei capelli. Ultimamente l'Austria aveva proposto di prorogare l'autorizzazione per questi Stati membri fino al 2010. Alla Polonia e alla Repubblica ceca era stato concesso, fino alla fine del 2007, un periodo di deroga che consentisse loro di applicare un'aliquota di IVA ridotta per gli alloggi nuovi. Tuttavia non è stata adottata la proposta di prorogare tale periodo oltre il 2007. Lunedì 30 gennaio 2006 la Polonia ha respinto un accordo sottoscritto da tutti gli altri 24 Stati membri dell'Unione europea. Il rifiuto polacco significa che gli altri paesi dell'UE violano la legge allorché continuano ad imporre un'aliquota IVA più bassa sui suddetti servizi e che si possono adottare nei loro confronti azioni legali.

Di quali altri progetti dispone la Commissione per risolvere questo problema?

 
  
 

La Polonia ha accettato il compromesso inizialmente raggiunto da 22 Stati membri in occasione della riunione del Consiglio ECOFIN del 24 gennaio 2006, cui in seguito si sono aggiunti altri due Stati membri.

Ne consegue che i problemi sollevati dall’onorevole parlamentare sono stati risolti.

 

Interrogazione n. 87 dell'on. Diamanto Manolakou (H-0064/06)
 Oggetto: Licenziamenti in massa allo stabilimento della Coca Cola in Grecia
 

Il 19 gennaio 2006 la Coca Cola 3E di Grecia ha annunciato la chiusura dello stabilimento di Atene e dei depositi di Rodi, Corfù e Messolongi con la conseguente perdita di centinaia di posti di lavoro, mentre 150 lavoratori sono stati licenziati in tronco. Dato che nel solo primo semestre 2005 gli utili della società sono passati a 205 milioni di euro dai 156 milioni di euro dello stesso periodo 2004 con un incremento quindi del 17%, si ha l'impressione che quel che la società definisce "ristrutturazione" altro non sia che la sua intenzione di incrementare ancora di più i suoi utili stratosferici. Ciò conferma che i licenziamenti non vengono effettuati soltanto da imprese in difficoltà, ma anche da quelle più redditizie e "floride", giacché col pretesto della "competitività" considerano i lavoratori alla stregua di bene "di consumo".

Quali provvedimenti intende assumere la Commissione per impedire i licenziamenti in massa e in generale assicurare il mantenimento, l'incremento e il miglioramento dei posti di lavoro?

 
  
 

La Commissione è consapevole dei possibili effetti negativi che la chiusura di uno stabilimento, se confermata, può avere sui lavoratori coinvolti, le loro famiglie e la regione interessata. Non spetta tuttavia alla Commissione esprimere un parere o intervenire sulle decisioni adottate all’interno di imprese, salvo in caso di violazione del diritto comunitario.

A questo proposito, va sottolineato che la legislazione comunitaria prevede varie disposizioni volte a garantire un’adeguata gestione e giustificazione delle ristrutturazioni, in particolare nel caso della chiusura di un’impresa. Si tratta in modo specifico della direttiva 98/59/CE concernente i licenziamenti collettivi(1), della direttiva 2001/23/CE relativa ai trasferimenti di imprese(2), della direttiva 94/45/CE riguardante i comitati aziendali europei(3), della direttiva 2002/74/CE relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro(4) e della direttiva 2002/14/CE che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori(5).

Il 31 marzo 2005(6) la Commissione ha adottato una comunicazione intitolata “Ristrutturazioni e occupazione”, nella quale viene formulato un orientamento globale e coerente dell’Unione europea per affrontare le situazioni di ristrutturazione e vengono specificate le politiche comunitarie volte ad anticipare e accompagnare le trasformazioni economiche, a sostenere l’occupazione e a incoraggiare lo sviluppo regionale.

La politica industriale della Commissione, la strategia per l’occupazione, le azioni in materia di pari opportunità nonché l’intervento dei Fondi strutturali rivestono particolare importanza nella situazione cui l’onorevole parlamentare fa riferimento. Di recente il Consiglio europeo del 15 e 16 dicembre 2005 ha inoltre accolto il principio della creazione di un Fondo di adeguamento alla globalizzazione aggiuntivo, per aiutare i lavoratori licenziati a seguito di eventi legati a grandi cambiamenti derivanti dalla globalizzazione a ricevere una formazione e a trovare un nuovo lavoro.

 
 

(1) Direttiva 98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998 concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi – GU L 225 del 12.8.1998.
(2) Direttiva 2001/23/CE del Consiglio del 12 marzo 2001 concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti – GU L 82 del 22.3.2001.
(3) Direttiva 94/45/CE del Consiglio del 22 settembre 1994 riguardante l’istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie – GU L 254 del 30.9.1994.
(4) Direttiva 2002/74/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 settembre 2002 che modifica la direttiva 80/987/CEE del Consiglio concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro.
(5) Direttiva 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 marzo 2002 che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori – GU L 80 del 23.3.2002.
(6) COM(2005) 120 del 31.3.2005.

 

Interrogazione n. 88 dell'on. Herbert Reul (H-0066/06)
 Oggetto: Revisione del quadro giuridico delle telecomunicazioni
 

Nell'Agenda di Lisbona il settore dell'informazione e delle comunicazioni viene indicato come essenziale per la promozione della crescita nell'UE. Ma proprio nel settore delle telecomunicazioni l'Europa rischia di restare indietro rispetto agli Stati Uniti. Negli USA la deregolamentazione ha suscitato un'ondata di investimenti nelle reti a fibre ottiche ad alta velocità. I grandi gestori europei di reti continuano invece ad essere soggetti ad una doppia vigilanza, da parte delle autorità preposte alla tutela generale della concorrenza e da parte delle autorità di regolamentazione. Il quadro giuridico attualmente vigente è stato istituito oltre 10 anni fa come semplice normativa transitoria per consentire il passaggio dai monopoli al regime di concorrenza. Esso si rivela ormai un freno agli investimenti per le nuove reti e i nuovi mercati.

Ha intenzione la Commissione di sfruttare l'opportunità dell'imminente riesame del quadro giuridico delle telecomunicazioni per rinunciare alla regolamentazione settoriale dei prezzi e dell'accesso, o intende almeno stabilire in modo chiaro, ai fini della certezza degli investimenti, una data per la cessazione di tale regolamentazione?

Ha intenzione di avvalersi delle possibilità di deregolamentazione delle nuove reti di cui dispone nell'ambito del quadro giuridico tuttora vigente, in modo da stimolare fin da subito gli investimenti di cui vi è urgente necessità?

 
  
 

E’ un po’ fuorviante asserire che il settore delle telecomunicazioni nell’Unione europea è indietro rispetto a quello degli Stati Uniti; nelle comunicazioni a banda larga, ad esempio, vari Stati membri hanno penetrazioni più alte di quelle degli Stati Uniti. La concorrenza tra gli operatori via cavo statunitensi e gli operatori storici sta stimolando gli investimenti nelle reti a fibra ottica. La concorrenza tra infrastrutture ha consentito alle autorità di regolamentazione negli Stati Uniti di rendere meno rigorose le disposizioni relative all’accesso alle reti a fibra ottica degli operatori storici. Questi ultimi negli Stati Uniti sono tuttavia ancora soggetti alla supervisione delle autorità statali e nazionali(1). Per il momento molti operatori storici europei hanno deciso di sfruttare pienamente le reti di accesso in rame esistenti anziché investire nelle reti a fibra ottica. In una certa misura questo è dovuto alle considerevoli differenze esistenti tra le architetture delle reti degli Stati Uniti e dell’Unione europea, e in particolare alle limitazioni tecniche delle reti statunitensi, in cui la lunghezza della rete locale rende impossibile l’impiego dei sistemi xDSL per il 60 per cento delle famiglie statunitensi.

Da recenti dati dell’Associazione europea per la concorrenza nelle telecomunicazioni (ECTA) risulta che, dall’introduzione dell’attuale quadro di regolamentazione, avvenuta nel 2002(2), e non dieci anni fa, gli investimenti in Europa sono aumentati a un ritmo più veloce rispetto a quelli dell’America settentrionale o della regione dell’Asia e del Pacifico, anche se con considerevoli differenze tra gli Stati membri. Ad esempio, gli investimenti nelle telecomunicazioni in Germania sono stati pari a 57 euro pro capite rispetto a 154 euro pro capite nel caso del Regno Unito(3).

L’onorevole parlamentare esorta la Commissione a valutare la possibilità di rinunciare alla regolamentazione settoriale o di includere una clausola di durata massima ai fini della certezza degli investimenti in occasione del prossimo riesame della legislazione comunitaria. La rinuncia alla regolamentazione dei prezzi e dell’accesso è già prevista nel quadro attuale ogni volta che i mercati siano effettivamente competitivi, in base al principio che i mercati emergenti non devono essere regolamentati in maniera inadeguata. Anche se la certezza degli investimenti è importante, l’esperienza acquisita con la crescita della banda larga nell’Unione europea dal 1995 dimostra che la concorrenza e non l’esenzione dalla regolamentazione è il principale fattore di stimolo degli investimenti. Uno studio della rete SPC(4) ha rilevato nel 2005 che la penetrazione della banda larga in Europa è aumentata del 3 per cento per ogni 1 per cento di aumento della concorrenza tra le varie vie di fornitura, fra cui cavo, disaggregazione della rete locale/accesso condiviso e bitstream)(5).

L’onorevole parlamentare solleva inoltre l’importante questione del modo migliore per garantire la concorrenza e gli investimenti nelle reti di prossima generazione. Attualmente in Europa la decisione sulla ricerca del giusto equilibrio tra concorrenza e investimenti non può più essere esclusivamente di carattere nazionale. Si tratta di un processo europeo, e il riesame del quadro normativo non deve incoraggiare approcci nazionali frammentari che possono favorire solo gli operatori storici nazionali e pertanto potrebbero bloccare lo sviluppo di un effettivo mercato europeo delle comunicazioni.

 
 

(1) La commissione federale delle comunicazioni, le commissioni per i servizi pubblici, la commissione federale del commercio, il dipartimento di giustizia degli Stati Uniti, oltre ai tribunali federali.
(2) Ricerca Infonetics del novembre 2005 http://www.infonetics.com/resources/purple.shtml?db05sp.2Q05.nr.shtml.
(3) Prospettive delle comunicazioni dell’OCSE, edizione 2005.
(4)Strategy and Policy Consultants Network.
(5) Studio della rete SPC del febbraio 2005: Broadband and i2010: The importance of dynamic competition to market growth
http://www.spcnetwork.co.uk/cgi-bin/publisher/search.cgi?dir=news&template=news.html&output_number=1&ID_option=1&ID=1032-1105-71421.

 

Interrogazione n. 89 dell'on. Laima Liucija Andrikienė (H-0070/06)
 Oggetto: Ingresso della Lituania nella zona euro
 

La Lituania desidera diventare membro della zona euro a partire dal 1° gennaio 2007. L'anno scorso sono state pubblicate delle stime secondo le quali la Lituania e l'Estonia sono un po' troppo povere per poter entrare a far parte della zona euro, e ciò costituirebbe la vera ragione per non ammettere i due paesi baltici nella zona euro a partire dal 1° gennaio 2007, come essi sperano.

Conosciamo i criteri obbligatori che un paese deve soddisfare per divenire membro della zona euro. Sta forse la Commissione esaminando la possibilità di modificare ancora quest'anno tali criteri e di introdurre nuovi criteri supplementari per i paesi che intendono entrare a far parte della zona euro? Può la Commissione confermare che non vi saranno nuovi criteri supplementari da soddisfare e che la Lituania, l'Estonia e gli altri paesi che desiderano entrare nella zona euro saranno valutati sulla base degli stessi cinque criteri, e cioè tasso d'inflazione, tasso d'interesse a lungo termine, deficit pubblico, debito pubblico netto e stabilità del corso della moneta nazionale?

 
  
 

L’articolo 122, paragrafo 2, del Trattato stabilisce la procedura da seguire per consentire al Consiglio di decidere in merito all’eventuale abolizione della deroga di uno Stato membro con deroga (ad esempio per consentire allo Stato membro di adottare l’euro).

La Commissione non intende modificare questa procedura o introdurre criteri supplementari.

 

Interrogazione n. 90 dell'on. Pedro Guerreiro (H-0071/06)
 Oggetto: Importazioni di prodotti tessili e d'abbigliamento
 

La Commissione ha presentato una nuova proposta tesa ad autorizzare nuove licenze di importazioni supplementari di prodotti tessili e d'abbigliamento superiori alle quote di importazioni rinegoziate lo scorso settembre 2005, tutelando così gli interessi delle grandi società importatrici a tutto scapito delle industrie del tessile e dell'abbigliamento esistenti nei vari paesi dell'UE.

Come spiega la Commissione che, in una precedente risposta, cercando di respingere il ricorso alle clausole di salvaguardia abbia sostenuto che il cosiddetto "Memorandum di intesa" costituisce un "accordo definitivo", che "intende evitare una situazione di negoziato permanente" che "qualsiasi altra opzione sarebbe pregiudizievole" e che "non ha l'intenzione" di aumentare i contingenti?

Perché la Commissione non assume la responsabilità, senza adottare provvedimenti atti ad aggravare la situazione delle industrie del tessile e dell'abbigliamento esistenti nei vari paesi dell'UE, di "mitigare talune difficoltà che assillano gli imprenditori impossibilitati a rispettare i contratti stipulati prima dell'11 giungo 2005" poiché è essa stessa la prima responsabile di una siffatta situazione?

Perché non promuove la Commissione l'iniziativa di rinegoziare l'accordo, come da tempo sollecitato da esponenti del settore tessile e dell'abbigliamento, onde difendere le capacità produttive e i posti di lavoro in tale settore?

 
  
 

La Commissione non ha proposto nuove licenze per gli importatori di prodotti tessili e di abbigliamento dell’UE.

La questione dei prodotti tessili cinesi, emersa nel 2005, è stata risolta attraverso la conclusione del memorandum d’intesa definitivo tra UE e Cina in data 10 giugno 2005, come modificato dal protocollo d’intesa del 5 settembre 2005, che prevede limiti quantitativi. L’immediata entrata in vigore del memorandum d’intesa ha comportato difficoltà transitorie durante l’estate. Per applicare in modo equo i limiti quantitativi concordati nel memorandum d’intesa, il 5 settembre 2005 è stato negoziato con la Cina un perfezionamento del memorandum d’intesa. Da parte dell’UE, il 7 settembre 2005 il Consiglio lo ha approvato. La Commissione rammenta che è da escludere la rinegoziazione di questo accordo complessivo. A tale proposito, la Commissione e l’onorevole parlamentare sono dello stesso parere.

 

Interrogazione n. 91 dell'on. Brian Crowley (H-0074/06)
 Oggetto: Biblioteche digitali europee
 

Può la Commissione illustrare i passi avanti compiuti finora in termini di attuazione dell'iniziativa europea di biblioteche digitali?

 
  
 

Il 30 settembre 2005 la Commissione ha adottato al comunicazione “i2010: le biblioteche digitali” (COM(2005)465), che delinea una strategia basata su tre pilastri principali: (1) digitalizzazione dei contenuti archiviati nei formati tradizionali; (2) accessibilità in linea di tali contenuti; (3) conservazione digitale, al fine di garantire che il patrimonio culturale in formato digitale sia disponibile anche per le generazioni future.

La strategia per le biblioteche digitali fa parte dei più ampi sforzi compiuti dalla Commissione per promuovere un uso più adeguato delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la crescita economica, l’occupazione e la qualità della vita, come definito nell’iniziativa i2010. L’iniziativa relativa alle biblioteche digitali dimostra le potenzialità di queste nuove tecnologie in progetti a favore dei cittadini.

Nei quattro mesi successivi all’adozione della comunicazione, le discussioni e i lavori in materia di biblioteche digitali hanno subito un’accelerazione a livello nazionale e comunitario. Si stanno compiendo progressi in varie direzioni, a dimostrazione del fatto che la strategia della Commissione è sostenuta in modo adeguato dalle varie parti interessate, fra cui gli Stati membri, e istituzioni culturali quali le biblioteche.

La comunicazione è stata discussa nel corso della riunione del Consiglio dei ministri della Cultura del 14 novembre 2005, in cui gli Stati membri hanno manifestato forte sostegno a favore dell’iniziativa e hanno approvato l’idea di una biblioteca digitale europea basata sulla messa in rete delle risorse nazionali e sulle iniziative esistenti.

La Conferenza delle biblioteche nazionali europee (CENL), un’organizzazione composta da 45 importanti biblioteche europee, si è impegnata a contribuire alla biblioteca digitale europea sulla base di un modello incrementale e decentrato, con un punto di accesso centrale multilingue preferenziale per gli utenti. La Commissione contribuisce a queste iniziative di collaborazione.

Un gruppo di esperti di alto livello fornirà alla Commissione consulenza sul modo di affrontare le sfide legate alla realizzazione delle biblioteche digitali e riunirà le parti interessate delle istituzioni culturali (biblioteche, archivi, musei), editori, organizzazioni dei titolari dei diritti e imprese del settore delle tecnologie dell’informazione. Tale gruppo sarà istituito entro breve e la sua prima riunione è prevista per la fine di marzo 2006.

Il 30 settembre 2005 è stata avviata una consultazione in linea, che si è conclusa il 20 gennaio 2006. Le risposte pervenute sono state più di 200 e sono reperibili sul seguente sito: http://europa.eu.int/information_society/activities/digital_libraries/index_en.htm.

Il contributo delle parti interessate, attualmente in fase di esame, sarà considerato nell’elaborazione di una proposta di raccomandazione della Commissione sulla digitalizzazione e la conservazione digitale, che dovrebbe essere adottata dalla Commissione entro l’anno in corso. La Commissione ha anche avviato i lavori preparatori per l’annunciata comunicazione sulle biblioteche digitali nel campo dell’informazione scientifica. Si tratta di un settore con caratteristiche e dinamiche specifiche derivanti dalla necessità di gestire e archiviare enormi quantità di dati digitali e dal rapido moltiplicarsi di pubblicazioni disponibili esclusivamente in formato digitale.

Si stanno rendendo disponibili maggiori possibilità di cofinanziamento per iniziative relative a biblioteche digitali con ambito e valore aggiunto effettivamente europei. Sono stati stanziati 60 milioni di euro per progetti relativi a biblioteche digitali attraverso il programma eContentplus (2005-2008). Attualmente è in fase di selezione una prima serie di progetti ricevuti nell’ambito dell’invito a presentare proposte per il 2005 relativo a eContentplus. Infine, la Commissione intende intensificare i finanziamenti destinati alla ricerca in questo settore nell’ambito del settimo programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico. Il programma di lavoro dettagliato, fra cui le proposte riguardanti l’iniziativa di creazione delle biblioteche digitali, è attualmente in fase di elaborazione.

 

Interrogazione n. 92 dell'on. Liam Aylward (H-0078/06)
 Oggetto: Doping nello sport
 

Può la Commissione precisare quali misure concrete sta mettendo a punto per combattere l'uso di sostanze illecite nelle attività sportive?

 
  
 

La Commissione attribuisce molta importanza a questa problematica delicata e complessa.

Va sottolineato innanzi tutto che misure di sostegno giuridicamente vincolanti da parte dell’Unione europea richiederebbero una base giuridica che non esiste nel quadro degli attuali Trattati. Tali misure rientrano pertanto nella sfera di competenza degli Stati membri e delle rispettive organizzazioni sportive.

In mancanza di strumenti formali, la Commissione sostiene tuttavia a livello politico gli Stati membri nelle loro azioni coordinate in campo internazionale. La lotta contro il doping nello sport è un tema costantemente iscritto all’ordine del giorno delle riunioni dei ministri dello Sport dell’Unione europea.

La Commissione riserva inoltre grande attenzione agli incontri con la società civile. Nel giugno 2005 la Commissione ha organizzato una conferenza consultiva con il movimento sportivo europeo intitolata “The EU and Sport: matching expectations”. In questo contesto, si è svolto un seminario sulla lotta contro il doping(1). Nell’ottobre 2005 lo stesso argomento è stato discusso in una riunione di esperti di una giornata con rappresentanti dei governi degli Stati membri. In tali riunioni l’attenzione si concentra su scambio di esperienze e buone prassi.

Infine, nell’ambito del programma d’azione comunitaria nel campo della sanità pubblica per il periodo 2003-2008, nel 2004 la Commissione ha cofinanziato un progetto triennale sul doping e la salute inteso in modo specifico a divulgare materiale documentale avanzato riguardante gli effetti collaterali del doping e dell’abuso di farmaci relativi a vari gruppi di età, il rischio di assuefazione e le differenze specifiche tra i sessi(2).

 
 

(1) Cfr. la relazione della riunione all’indirizzo : http://europa.eu.int/comm/sport/documents/workshop_report_en.pdf.
(2) Per maggiori informazioni, cfr. http://europa.eu.int/comm/health/ph_projects/2004/action3/action3_2004_26_en.htm.

 

Interrogazione n. 93 dell'on. Eoin Ryan (H-0080/06)
 Oggetto: Settore dei fondi di gestione degli attivi
 

Vi è urgente necessità di estendere le libertà offerte dal mercato unico ai gestori di fondi in Europa, in quanto ciò potrà contribuire a permettere la transizione verso un aumento dei capitali di finanziamento per le pensioni.

A tale proposito, può la Commissione indicare i progressi raggiunti a livello di sviluppo di una struttura su scala europea per il settore dei fondi di gestione degli attivi?

 
  
 

Un settore dei fondi d’investimento efficiente è fondamentale per mobilitare il risparmio e incanalarlo verso gli investimenti nell’economia reale e per aiutare le famiglie ad accumulare risparmi per la pensione. La normativa comunitaria in questo settore si limita a consentire che i fondi d’investimento vengano commercializzati in altri Stati membri sulla base dell’autorizzazione del paese di origine (il “prodotto/passaporto per gli OICVM(1)”). Il passaporto per gli OICVM, pur avendo incontrato alcuni problemi nella sua attuazione pratica, ha aperto la strada alla vendita transfrontaliera di fondi d’investimento, anche se questo non è stato sufficiente per favorire il consolidamento e una maggiore efficienza del settore. Il mercato europeo dei fondi continua a essere caratterizzato dalla presenza di fondi relativamente piccoli e inefficienti.

La questione se la Commissione debba fare di più per consentire al settore dei fondi di fornire un servizio più adeguato all’investitore europeo è stata al centro del Libro verde del luglio 2005. La Commissione ha invitato a esprimere osservazioni su una serie di nuove libertà del mercato unico per il settore dei fondi, fra le quali il diritto dei gestori dei fondi di svolgere la loro attività in un’altra giurisdizione (passaporto per le società di gestione), misure per consentire di rendere più efficaci la gestione congiunta e la fusione di fondi e la possibilità di utilizzare per i fondi servizi di custodia e di deposito di banche di paesi partner.

Dalle riposte ricevute è emerso un alto livello di interesse a espandere il quadro del mercato unico ad alcune di queste possibilità. Si tratta di questioni che sono anche in primo piano nelle discussioni preparatorie sulla relazione d’iniziativa del Parlamento in risposta al Libro verde della Commissione. Le risposte del settore, degli investitori e delle autorità nazionali sollevano tuttavia alcune questioni commerciali e di supervisione che richiedono un ulteriore esame. La Commissione sta intraprendendo alcune iniziative al fine di contribuire a individuare azioni attuabili per risolvere tali questioni in modo efficace sotto il profilo dei costi, e ha chiesto a un gruppo di esperti di riferire in merito a queste problematiche in giugno. Le eventuali raccomandazioni saranno verificate con altre parti interessate. La Commissione ha anche avviato due studi intesi ad analizzare le principali sfide emergenti nel settore della gestione degli attivi.

Tutto questo lavoro servirà a valutare le ulteriori iniziative che potrebbero essere avviate per potenziare il mercato unico dei fondi d’investimento. La Commissione presenterà le sue conclusioni definitive in materia sotto forma di un Libro bianco, che dovrebbe essere adottato nell’autunno 2006 e che potrebbe essere rapidamente seguito da misure pertinenti volte a migliorare il funzionamento del mercato unico europeo dei fondi d’investimento.

 
 

(1) Organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari.

 

Interrogazione n. 94 dell'on. Anne E. Jensen (H-0083/06)
 Oggetto: Introduzione del tachigrafo digitale
 

La caotica gestione dell'introduzione del tachigrafo digitale, rinviata già a più riprese, è stata definita dall'industria come una farsa. Può la Commissione garantire che i tachigrafi digitali, ed il software necessario a leggere e a controllare i dati in essi registrati, saranno adattati alle nuove disposizioni sui tempi di guida e di riposo, nel momento in cui questi entreranno in vigore all'inizio del 2007? Può, altresì, garantire che interverrà tempestivamente, qualora si presentassero problemi?

 
  
 

Il nuovo regolamento relativo ai tempi di guida e ai periodi di riposo non influirà sul corretto funzionamento del tachigrafo digitale, e del relativo software, tuttavia stabilirà la data per l’introduzione obbligatoria del tachigrafo digitale (venti giorni dalla data di effettiva pubblicazione del regolamento nella Gazzetta ufficiale prevista per maggio 2006).

L’obiettivo del tachigrafo digitale e della carta del conducente è registrare e archiviare fatti, ossia le attività del veicolo e del conducente, a prescindere dalla durata, in modo più sicuro e certo del tachigrafo analogico. Questo significa che l’impostazione del tachigrafo digitale non dovrà essere modificata quando nel 2007 entreranno in vigore le nuove disposizioni sui tempi di guida e i periodi di riposo.

Le autorità incaricate dell’applicazione della legge degli Stati membri sono responsabili dell’interpretazione dei dati archiviati nel tachigrafo digitale, in base alle disposizioni sui periodi di guida e di riposo. Le loro politiche di applicazione della legge, e anche i loro strumenti, dovranno essere adattati alle nuove disposizioni.

La Commissione continuerà a controllare la situazione negli Stati membri. A tale scopo, dal marzo 2005 è stato istituito un progetto denominato “Controllo dell’applicazione del tachigrafo digitale”. Oltre a controllare il processo di applicazione, il progetto offre un prezioso sostegno agli Stati membri nell’istituzione di un quadro per l’applicazione delle disposizioni in materia, tra cui seminari di formazione e informazione per i funzionari incaricati dei controlli.

 

Interrogazione n. 95 dell'on. Ryszard Czarnecki (H-0087/06)
 Oggetto: Costruzione di un bacino di ritenuta per la prevenzione delle inondazioni presso Racibórz sul fiume Oder
 

L'Unione europea non ha accordato alcun sostegno finanziario a titolo del Fondo di coesione alla costruzione del bacino di ritenuta presso Racibórz sull'Oder. Gli abitanti del bacino dell'Oder ne sono rimasti fortemente delusi, e la loro fiducia nelle istituzioni europee è notevolmente diminuita. Nel luglio 1997 il bacino del fiume Oder è stato teatro di una catastrofica inondazione, che ha provocato la morte di 54 persone nonché danni materiali per un totale di quasi 5000 milioni di euro. Il governo polacco si è immediatamente attivato per rimediare ai danni: infatti, sono stati ricostruiti oltre 1000 km di dighe e la capacità di ritenuta idrica è stata aumentata di oltre 150 milioni di metri cubi. Per realizzare tale progetto, lavoriamo in stretta collaborazione con i nostri vicini tedeschi e cechi. Nella prospettiva dell'adesione, la Polonia si sta inoltre conformando ai propri obblighi in materia di recepimento delle disposizioni della direttiva quadro sull'acqua.

Ciò premesso, può la Commissione indicare per quali ragioni alla Polonia non è stato concesso un aiuto finanziario per il progetto in questione, e quali sono le probabilità di una mobilizzazione delle risorse del Fondo di coesione nel prossimo futuro?

 
  
 

Il 24 novembre 2005 la Direzione generale della Politica regionale della Commissione europea ha ricevuto dall’autorità di gestione del Fondo di coesione in Polonia una richiesta di cofinanziamento per il progetto relativo a un “bacino di ritenuta per la prevenzione delle inondazioni presso Racibórz Dolny sul fiume Oder”. Dopo essere stata verificata, questa richiesta di finanziamento di un progetto è stata considerata ammissibile. E’ stata inviata una lettera all’autorità di gestione in cui è stata confermata l’ammissibilità ed è stato attribuito un numero di progetto (2005 PL 16 C PE 020). Il cofinanziamento previsto a titolo del Fondo di coesione è di 130 milioni di euro.

I servizi della Commissione stanno esaminando la richiesta e si prevede che, sulla base della descrizione del progetto, verranno rivolte alcune domande alle autorità polacche. Se le risposte che verranno fornite saranno soddisfacenti e se saranno disponibili sufficienti risorse finanziarie per consentire l’approvazione di questo progetto nel 2006, la Commissione potrebbe adottare una decisione entro la fine del 2006.

Per quanto riguarda il settore ambientale le risorse finanziarie per il periodo fino alla fine del 2006 sono tuttavia già tutte impegnate per 88 progetti approvati. La disponibilità di risorse finanziarie dipende pertanto dalla presentazione alla Commissione da parte dell’autorità di gestione, entro la fine del 2006, di un numero sufficiente di richieste per disimpegnare i risparmi ottenuti nell’ambito degli 88 progetti in questione. Solo sulla base di questi risparmi la Commissione potrebbe approvare entro la fine del 2006 il progetto menzionato in precedenza e altri 11 progetti nel settore ambientale per i quali la Commissione ha ricevuto dall’autorità di gestione richieste ammissibili, per un valore totale di 335 milioni di euro.

Se le risorse finanziarie necessarie non saranno rese disponibili, il progetto di “bacino di ritenuta per la prevenzione delle inondazioni presso Racibórz Dolny sul fiume Oder” potrebbe essere proposto per il finanziamento a titolo del Fondo di coesione nell’ambito delle disposizioni relative alle prossime prospettive finanziarie (2007-2013).

 

Interrogazione n. 96 dell'on. Lambert van Nistelrooij (H-0090/06)
 Oggetto: L'energia come priorità per i criteri "Convergenza" e "Competitività regionale e occupazione" nel quadro dei Fondi strutturali 2007-2013
 

La politica sull'energia deve rientrare anche nella politica regionale, come è peraltro indicato nei criteri "convergenza" e "competitività e occupazione" dei Fondi europei per lo sviluppo regionale attualmente all'esame del Parlamento europeo in seconda lettura. Si tratta di aspetti quali il sostegno agli investimenti energetici dovuti a motivi ambientali, il miglioramento dell'efficienza energetica, il principio della promozione dell'efficienza energetica e della produzione di fonti rinnovabili e lo sviluppo di sistemi di gestione efficienti per l'energia. A una recente conferenza organizzata dal Parlamento europeo con delegati dei parlamenti nazionali è emerso che le priorità fissate dalla Commissione in materia non sono chiare.

Come valuta la Commissione l'applicazione concreta di tale principio e, in particolare, come è possibile integrare concretamente nella politica dell'Unione europea e in quella degli Stati membri e delle loro regioni la ricerca scientifica e lo sviluppo regionale della produzione di energia a partire da fonti rinnovabili e sostenibili?

Prevede la Commissione di definire priorità che gli Stati membri possono seguire in sede di attuazione della politica regionale?

 
  
 

La Commissione riconosce l’importanza delle azioni di politica energetica nel quadro del prossimo periodo della politica regionale dell’Unione europea dal 2007 al 2013. Oltre alle pertinenti disposizioni stabilite nel progetto di regolamento relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale, cui l’onorevole parlamentare fa riferimento nella sua interrogazione, la Commissione aveva proposto specifiche priorità per le future azioni di politica energetica dell’UE attraverso programmi comunitari di sviluppo regionale nella comunicazione intitolata “Politica di coesione a sostegno della crescita e dell’occupazione: linee guida della strategia comunitaria per il periodo 2007-2013”(1), in particolare sostenere i progetti volti a migliorare l’efficienza energetica e promuovere la diffusione di modelli di sviluppo a bassa intensità energetica e delle tecnologie rinnovabili e alternative (energia eolica, energia solare e biomassa).

Il ruolo degli strumenti di finanziamento comunitari viene ulteriormente specificato in comunicazioni tematiche della Commissione, in particolare quella sulle principali sfide politiche per la politica energetica dell’Unione europea. Esempi recenti sono il Libro verde sull’efficienza energetica, il piano d’azione per la biomassa e la strategia dell’UE per i biocarburanti. Per il prossimo Consiglio europeo di primavera la Commissione intende presentare un Libro verde su una politica energetica sicura, competitiva e sostenibile per l’Europa, che aprirà il dibattito su una politica energetica europea integrata. La Commissione intende quindi elaborare nel prosieguo del 2006 una comunicazione finale sulla politica energetica. Tutti questi documenti nel complesso dovrebbero fornire ulteriori orientamenti per gli Stati membri e le loro regioni.

Per quanto riguarda l’integrazione della ricerca scientifica nella politica dell’Unione europea, va sottolineato che uno degli scopi della politica dell’UE nel campo della ricerca è contribuire al conseguimento degli obiettivi della politica energetica dell’Unione nonché contribuire ad attuare in modo efficace le direttive comunitarie a livello nazionale, regionale e locale sostenendo progetti di ricerca e di dimostrazione. In questo modo si prendono in considerazione sia lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili che il miglioramento dell’efficienza energetica, affrontando al contempo l’esigenza di attenuare gli effetti sull’ambiente della produzione e dell’uso dell’energia. Le principali priorità nel campo energetico proposte dalla Commissione per il settimo programma quadro (2007-2013) sono elettricità, combustibili e fonti rinnovabili per il riscaldamento, efficienza e risparmio energetico, idrogeno e celle a combustibile, tecnologie del carbone pulito, produzione dell’energia a zero emissioni e reti di energia intelligenti.

 
 

(1) COM(2005)299.

 

Interrogazione n. 97 dell'on. Cristobal Montoro Romero (H-0095/06)
 Oggetto: Indipendenza dei tribunali di difesa della concorrenza
 

Può la Commissione indicare se è soddisfatta del grado di indipendenza dimostrato dai tribunali nazionali di difesa della concorrenza nei processi di concentrazione che riguardano settori strategici per la realizzazione del mercato unico e la crescita dell'economia europea, come quello dell'energia?

 
  
 

L’organizzazione del sistema nazionale di controllo delle fusioni è di competenza degli Stati membri. A questo proposito, spetta anche agli Stati membri determinare il grado di indipendenza delle autorità nazionali garanti della concorrenza. Detto questo, si può constatare che negli ultimi dieci anni si è verificata una chiara tendenza verso una maggiore indipendenza di tali autorità, e la Commissione accoglie con favore questo fatto.

L’onorevole parlamentare menziona anche gli effetti delle fusioni in settori strategici per il mercato interno e la crescita dell’economia europea, citando in particolare l’esempio del settore dell’energia. L’onorevole parlamentare saprà che di recente la Commissione ha espresso preoccupazione riguardo alla ripartizione dei casi tra la Commissione e le autorità nazionali garanti della concorrenza in questo contesto. In particolare, dall’esperienza acquisita con le fusioni nel settore dell’energia negli ultimi anni è emerso che casi simili sono talvolta trattati dalla Commissione e altri dalle autorità nazionali garanti della concorrenza. E’ pertanto importante garantire che casi simili, in termini di effetti sul funzionamento del mercato interno, vengano trattati in maniera coerente.

Per questo motivo, la Commissione ha avviato un riesame della regola dei 2/3 che ha un effetto diretto sulla suddivisione delle competenze tra la Commissione e gli Stati membri. In base a questa regola, le concentrazioni in cui ciascuna impresa interessata realizza più di due terzi del fatturato comunitario nello stesso Stato membro non rientrano nella sfera di competenza della Commissione. Quest’ultima ha iniziato a raccogliere dati pertinenti relativi alle fusioni che, in mancanza di tale regola, sarebbero state esaminate a Bruxelles. Sarà quindi possibile valutare in quale modo la regola dei 2/3 ha funzionato nella pratica in termini di (a) numero di casi interessati e (b) natura di tali casi. Al termine di questa indagine si valuterà se la Commissione possa proporre miglioramenti al sistema attuale.

 
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