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Resoconto integrale delle discussioni
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Lunedì 13 marzo 2006 - Strasburgo Edizione GU
1. Ripresa della sessione
 2. Dichiarazioni della Presidenza
 3. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 4. Verifica dei poteri: vedasi processo verbale
 5. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale
 6. Mandato di un deputato: vedasi processo verbale
 7. Accesso al mercato dei servizi portuali (conclusione della procedura): vedasi processo verbale
 8. Firma di atti adottati in codecisione: vedasi processo verbale
 9. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
 10. Dichiarazioni scritte (articolo 116): vedasi processo verbale
 11. Trasmissione di testi di accordo da parte del Consiglio: vedasi processo verbale
 12. Seguito dato alle risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale
 13. Storni di stanziamenti: vedasi processo verbale
 14. Petizioni: vedasi processo verbale
 15. Ordine dei lavori
 16. Interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica
 17. Prostituzione coatta nel quadro di eventi sportivi mondiali – Misure anti-tratta adottate dall’UE e lancio di una giornata contro il traffico di esseri umani(discussione)
 18. Trasferimento di imprese nel contesto dello sviluppo regionale (discussione)
 19. Quarto Forum mondiale dell’acqua di Mexico City (16-22 marzo 2006) (discussione)
 20. Strumento di preparazione e di reazione rapida alle emergenze gravi (discussione)
 21. Strategia comunitaria sul mercurio (discussione)
 22. Libera circolazione dei lavoratori e periodi di transizione (discussione)
 23. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
 24. Chiusura della seduta
 25. Chiusura della sessione annuale


  

PRESIDENZA DELL’ ON. BORRELL FONTELLES
Presidente

(La seduta inizia alle 17.05)

 
1. Ripresa della sessione
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  Presidente. Dichiaro ripresa la sessione del Parlamento europeo, interrotta giovedì 16 febbraio 2006.

 
  
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  Struan Stevenson (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, intervengo su una questione avente rilevanza politica ai sensi dell’articolo 144 del Regolamento.

Ho letto con interesse le sue osservazioni sulle proposte di riforma interna del Parlamento e lei merita un grande encomio, in quanto invoca una presenza e una partecipazione più attive dei deputati ai dibattiti. Sono però anche assai sconcertato, poiché nella frenesia di garantire il coinvolgimento di tutti i deputati nei lavori dell’Assemblea, lei li ha esclusi totalmente trasmettendo la proposta direttamente alla stampa anziché consultarsi prima con i deputati per cui lei professa di volersi adoperare tanto.

Perché la proposta non figura all’ordine del giorno? Sono poi oltremodo stupito che per l’antica questione della partecipazione dei deputati lei proponga di accentrare tutti i poteri decisionali nella Conferenza dei presidenti che lei presiede. Signor Presidente, forse potrebbe spiegare a me e al resto dell’Assemblea in che modo si sposa la sua grandiosa visione di inclusione e partecipazione con modalità di attuazione basate sulla centralizzazione e sull’esclusione. Riprendendo quanto affermato dal presidente del nostro gruppo, l’onorevole Poettering, la proposta in definitiva punta a instaurare una nicchia grigia di gestione del tutto indefinita all’interno del Parlamento.

(Applausi dai banchi del gruppo PPE-DE)

 
  
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  Presidente. L’articolo cui lei si è richiamato, onorevole Stevenson, non era la norma corretta per le osservazioni che ha espresso. La sua interpretazione del Regolamento è errata. Le ho permesso di proseguire per evitare malintesi nel caso in cui l’avessi interrotta. Il suo richiamo al Regolamento non era però appropriato.

Lei ha accusato il Presidente di aver divulgato un documento che era in possesso di almeno una trentina di persone. Inoltre non ha affatto compreso neppure la procedura in atto. La Conferenza dei presidenti ne ha discusso e continuerà a discuterne poi a tempo debito anche lei sarà pienamente informato delle decisioni che assumerà.

La prego di volersi appellare all’articolo corretto la prossima volta che intende fare un richiamo al Regolamento, altrimenti il Presidente sarà costretto ad interromperla.

 
  
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  Martin Schulz, a nome del gruppo PSE.(DE) Signor Presidente, desidero esprimere alcune osservazioni in merito all’intervento dell’onorevole Stevenson. Il gruppo socialista al Parlamento europeo le è grato, in quanto lei si è assunto l’iniziativa di presentare delle riforme, che noi peraltro sosteniamo. Anche in seno alla Conferenza dei presidenti ho avuto l’impressione che vi fosse unanimità avessimo intenzione di avviare una riflessione all’interno dei nostri rispettivi gruppi.

L’onorevole Poettering ha affermato chiaramente che il suo gruppo aveva necessità di discuterne, come d’altro canto ho fatto io stesso insieme ad altri colleghi. Ne discuteremo in seno ai gruppi e il dibattito sarà approfondito e di ampio respiro, ma desidero rimarcare – e dovrò chiedere ai servizi di inserire a verbale l’articolo corretto – che il Presidente sul tema delle riforme gode della piena fiducia del gruppo socialista.

 
  
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  Presidente. – Onorevole Schulz, sarà individuato l’articolo applicabile, ma non siamo in presenza di una mozione di fiducia sul Presidente, perlomeno non ancora. La Conferenza dei presidenti proseguirà i propri lavori, i gruppi prenderanno parte ai dibattiti e i presidenti dei gruppi politici fungeranno da portavoce delle rispettive posizioni. Sono certo che insieme formuleremo proposte destinate a migliorare il funzionamento del Parlamento.

E infatti è proprio questo l’intento di tutti, anche del presidente del suo gruppo, se me lo permette, onorevole Stevenson.

 

2. Dichiarazioni della Presidenza
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  Presidente. Ora desidero rendere una dichiarazione su due recenti ricorrenze.

L’8 marzo tutto il mondo ha celebrato la festa della donna e, nella convinzione di potermi esprimere a nome dell’Assemblea, desidero cogliere questa opportunità per pronunciare la condanna del Parlamento per le violenze perpetrate dalla polizia di Teheran contro un gruppo di donne che manifestavano pacificamente in difesa dei propri diritti.

Alla luce di tali fatti, che il Parlamento deplora, desidero inoltre esprimere la solidarietà dell’Assemblea a tutte le donne che nel mondo manifestano pacificamente chiedendo il rispetto dei loro diritti.

E’ questa un’opportunità importante per noi per riflettere sul problema delle disuguaglianze di genere, non solo in occasione dell’8 marzo, ma ogni giorno dell’anno.

A questo proposito desidero congratularmi con la commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere che ha celebrato questa giornata attribuendole il rilievo che merita e in maniera particolarmente opportuna. In vista dell’imminente campionato mondiale di calcio infatti la commissione per i diritti della donna ha organizzato un seminario – che ha avuto un’ampia eco – sul tema della prostituzione coatta nel contesto di eventi sportivi internazionali.

Vi ricordo inoltre la Seconda giornata europea dedicata alla memoria delle vittime del terrorismo che quest’anno, come l’anno passato, il Parlamento ha commemorato con una cerimonia in suffragio delle vittime.

Sono stati invitati 600 studenti provenienti da Londra e da Bruxelles che hanno espresso le loro opinioni sul terrorismo in un dibattito molto ricco cui hanno preso parte anche diversi deputati e che è stato presieduto dall’onorevole Lambrinidis, vicepresidente della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni. Colgo l’occasione per ringraziarlo per aver fatto le mie veci nel dibattito.

E’ nostro dovere ricordare il tragico attentato terroristico che ha colpito la Spagna due anni fa, provocando la morte di 192 persone, insieme all’attentato di Londra del luglio dello scorso anno.

Dobbiamo quindi proseguire l’azione contro tutte le forme di terrorismo e il Parlamento, che si è sempre battuto per la dignità della persona umana, resta pienamente impegnato in una lotta che nessun paese europeo potrà mai vincere da solo. Solo uniti i fautori della democrazia riusciranno ad affrontare efficacemente questa minaccia.

Con questo mio intervento ho voluto ricordarvi quanto ha fatto il Parlamento su questo versante nel corso del fine settimana.

(Applausi)

 

3. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale

4. Verifica dei poteri: vedasi processo verbale

5. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale

6. Mandato di un deputato: vedasi processo verbale

7. Accesso al mercato dei servizi portuali (conclusione della procedura): vedasi processo verbale

8. Firma di atti adottati in codecisione: vedasi processo verbale

9. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale

10. Dichiarazioni scritte (articolo 116): vedasi processo verbale

11. Trasmissione di testi di accordo da parte del Consiglio: vedasi processo verbale

12. Seguito dato alle risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale

13. Storni di stanziamenti: vedasi processo verbale

14. Petizioni: vedasi processo verbale

15. Ordine dei lavori
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  Presidente. Il progetto definitivo di ordine del giorno, fissato dalla Conferenza dei presidenti, ai sensi degli articoli 130 e 131 del Regolamento, nella riunione di giovedì 9 febbraio 2006, è stato distribuito. Sono state presentate le seguenti proposte di modifica:

per quanto riguarda martedì

Il gruppo PPE-DE ha chiesto che sia rinviato a mercoledì il voto sulla relazione dell’onorevole Cottigny previsto per domani.

Vi sono interventi per spiegare la richiesta avanzata dal gruppo PPE-DE?

 
  
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  Ria Oomen-Ruijten, a nome del gruppo PPE-DE – (NL) Signor Presidente, il relatore ombra ha bisogno di un po’ più di tempo per conferire con gli altri relatori ombra e con i referenti dei diversi gruppi. In considerazione dei numerosi emendamenti che sono stati presentati e visto che sarà necessario tenere una serie di votazioni per parti separate chiediamo quindi che il voto sia rinviato a mercoledì.

 
  
  

(Il Parlamento approva la proposta)

Per quanto riguarda mercoledì

 
  
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  Martin Schulz, a nome del gruppo PSE.(DE) Signor Presidente, guardando alla proposta di ordine dei lavori ho una richiesta per quanto riguarda il mercoledì. A mio giudizio a fronte di un siffatto ordine dei lavori con le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulla preparazione del Consiglio europeo e sulla strategia di Lisbona contando tra l’altro che tra le 15.00 e le 19.00 sono previsti i dibattiti sulla dichiarazione del Consiglio in merito ai risultati del Consiglio informale dei ministri degli Affari esteri, sulla relazione Brok e su altre relazioni tocchiamo il limite massimo di quanto è umanamente possibile in termini di organizzazione. Propongo quindi di inserire dei limiti di riferimento ai tempi di parola.

Per quanto riguarda la dichiarazione del Consiglio sul vertice, le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione e il dibattito il tempo di parola è ripartito come segue: il Consiglio ha 30 minuti, la Commissione 20, mentre all’Assemblea ne sono stati assegnati complessivamente 60. In questo modo le due Istituzioni hanno circa lo stesso tempo di parola assegnato ai deputati e ai gruppi. Di conseguenza, nel dibattito il gruppo PPE-DE ha a disposizione 18 minuti, il mio gruppo ne ha 14, i liberali ne hanno 7, mentre i verdi ne hanno 4 e mezzo. Ho appena fatto presente al mio gruppo che questo stato di cose è destinato a suscitare controversie all’interno dei gruppi, poiché, se dovessi far intervenire tutti gli esperti del mio gruppo, avrei bisogno di più tempo di parola di quello assegnatoci. Pertanto i gruppi saranno costretti a ridurre il tempo di parola di ciascun oratore attribuendo ad ognuno non più di un minuto a testa. Se, da un lato, questa soluzione potrebbe permettere di mantenere la pace all’interno dei gruppi, non giova certo alla qualità del dibattito in Aula. Proprio a fronte di questa situazione priva di senso, signor Presidente, continueremo a esortarla a proseguire nella riforma cui ha dato avvio. L’istanza che emerge con estrema chiarezza infatti è che abbiamo bisogno di più tempo per dibattiti del genere.

Occorre inoltre che le altre Istituzioni, considerando le circostanze in cui ci troviamo a lavorare, riducano in qualche modo il loro tempo di parola e infatti è proprio questa la nostra richiesta di oggi. Sono del tutto certo che il Consiglio e la Commissione saranno perfettamente in grado di esprimere i concetti fondamentali all’Assemblea in meno di 30 e di 20 minuti, tenendo conto che personalmente dispongo di soli 5 minuti e che finora mi è sembrato di esserci sempre riuscito. Sarebbe meraviglioso se avessimo a disposizione 20 minuti, non solo per me ma anche per l’Assemblea!

(Si ride)

Per ora però chiedo alla Presidenza e ai servizi di seduta di conferire con le due Istituzioni entro mercoledì – ossia con il Presidente di turno del Consiglio e con il rappresentante della Commissione che prenderanno parte al dibattito – per ridurre il loro tempo di parola in modo da ricavare più tempo per consentire all’Assemblea di tenere una discussione fattiva. Consentitemi ora di dare lettura dei tempi del pomeriggio. Il tempo di parola per gli interventi è di 50 minuti a testa per il Consiglio e per la Commissione, mentre l’onorevole Brok, il relatore, ne ha 5 – che è assolutamente insufficiente vista l’importanza della relazione – e i deputati complessivamente ne hanno 90. Signor Presidente, le faccio presente che una situazione del genere è del tutto insoddisfacente. Le chiedo quindi in primo luogo di concordare con le Istituzioni una riduzione del tempo di parola e in una prospettiva più ampia le chiedo che l’Assemblea definisca l’ordine dei lavori in modo che i deputati abbiamo abbastanza tempo per discutere delle questioni importanti.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. Onorevole Schulz, lei sa che non esistono norme sul tempo di parola assegnato alle altre Istituzioni. Il Regolamento tace su questo argomento e di solito le altre Istituzioni hanno piena libertà, ossia intervengono per tutto il tempo che ritengono opportuno. E’ diverso, però, il caso dei deputati, il cui tempo di parola è assai limitato.

Credo che la Commissione e il Consiglio abbiano debitamente preso nota della richiesta dell’onorevole Schulz e sono certo che la esaudiranno. Rammento che per questo punto dell’ordine del giorno sono previste tre dichiarazioni e le relative repliche, quindi i 50 minuti comprendono tutti questi interventi. Visto che i tempi sono stretti, sono certo che le due Istituzioni si limiteranno in modo che i deputati abbiano tempo per intervenire.

 
  
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  Daniel Marc Cohn-Bendit, a nome del gruppo Verts/ALE.(FR) Signor Presidente, la sua risposta mi lascia alquanto perplesso, soprattutto dopo gli applausi che per una volta l’intero Emiciclo ha tributato all’onorevole Schultz, presidente del grande gruppo del PSE.

In pratica le chiediamo di attivarsi per abbreviare la durata degli interventi della Commissione e del Consiglio sulla strategia di Lisbona. Ce l’hanno già spiegata tre volte, la conosciamo ormai. Pertanto possono anche limitarsi a discorsi di un quarto d’ora a testa per esprimere le rispettive opinioni in merito, lasciandoci quindi il tempo per la discussione. Non bisogna trattare la gente come se fosse stupida! I problemi connessi alla strategia di Lisbona ci sono noti, il Presidente Barroso li ha già illustrati tre volte in quest’Aula e trovo assai poco verosimile che questa volta ci porti qualche elemento di novità. Mi sembra quindi giusto assegnare un tempo di parola di un quarto d’ora alle Istituzioni e riservare il resto al Parlamento.

 
  
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  Presidente. La ringrazio molto, onorevole Cohn-Bendit. Se ho ben compreso la richiesta dell’onorevole Schulz, egli si riferiva al pomeriggio di mercoledì, mentre lei parlava della mattinata.

Ad ogni modo parlerò con la Commissione in modo che rispetti il tempo di parola a sua disposizione.

(L’ordine dei lavori è approvato)

 

16. Interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica
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  Presidente. L’ordine del giorno reca gli interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica.

Vi informo che non tutti i deputati che avevano chiesto la parola avranno la possibilità di intervenire, altrimenti si supererebbero i 30 minuti di tempo riservati a questo punto dell’ordine del giorno. Darò quindi priorità ai deputati che non hanno potuto intervenire nelle sedute precedenti e vi chiedo di attenervi rigorosamente al minuto a vostra disposizione in modo da limitare il numero di deputati che non potranno intervenire per mancanza di tempo. Vi invito a collaborare affinché tutti possano prendere la parola. Comincerò – lo ripeto – dai deputati che non hanno avuto modo di intervenire nelle sedute precedenti.

 
  
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  Frederika Brepoels (PPE-DE).(NL) Signor Presidente, vorrei che oggi l’Assemblea si soffermasse sulla situazione dei curdi in Turchia. La settimana scorsa infatti abbiamo tragicamente appreso dell’efferato omicidio degli anziani genitori del presidente dell’Istituto curdo di Bruxelles, avvenuto nel Kurdistan turco. Vi sono motivi di credere che l’attentato sia stato perpetrato dagli squadroni della morte turchi. Purtroppo non si tratta di un caso isolato, poiché ogni settimana abbiamo notizia di crimini analoghi perpetrati contro i curdi. Saprete certamente che lo stesso vicecomandante in capo dell’esercito turco sarebbe il mandante del gruppo criminale che si prefigge di sterminare i separatisti curdi.

Ho scritto al Commissario Rehn, chiedendo che la Commissione avvii un’approfondita inchiesta indipendente in merito a questi brutali omicidi che non devono rimanere impuniti. Spero che le commissioni parlamentari e la delegazione per la Turchia di quest’Assemblea attribuiranno a questi fatti l’attenzione che meritano.

 
  
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  Catherine Guy-Quint (PSE).(FR) Signor Presidente, vi devo informare che da diversi anni ormai la società LG-Philips sopprime posti di lavoro a Dreux, ma anche ad Aquisgrana, oltre che nei Paesi Bassi e in Ungheria

La formula applicata è un classico. Bisogna inoltre ricordare che nel 2001 questa impresa fu creata proprio per impedire che i problemi riscontrati nel settore degli schermi catodici ostacolassero la Philips. Il fatto è gravissimo, in quanto evidenzia che le grandi imprese possono tranquillamente sottrarsi alle loro responsabilità economiche, sociali e industriali. Erano state fatte delle promesse ai dipendenti di questi tre stabilimenti, ma finora non è ancora stato fatto nulla di concreto per onorarle. Inoltre la liquidazione di questa società ci riporta alla mente quanto avvenne con la HP nel dipartimento d’Isère e ci ricorda altresì che i grandi gruppi possono agire come meglio credono e, così facendo, stanno smantellando pian piano la politica industriale europea.

 
  
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  Libor Rouček (PSE).(CS) Signor Presidente, esprimo apprezzamento per il Libro verde sull’energia, approvato la settimana scorsa dalla Commissione, che a mio avviso giunge con particolare tempestività. L’Europa sta accrescendo sempre più la propria dipendenza dall’approvvigionamento esterno e parallelamente appare chiaro che i problemi connessi all’energia devono essere risolti facendo fronte comune. Dobbiamo completare, ad esempio, la liberalizzazione del mercato interno e lavorare insieme per il risparmio energetico e per sviluppare fonti alternative, compresa l’energia atomica. Dobbiamo inoltre affrontare insieme anche la questione della sicurezza energetica. Ribadisco quindi il mio fervido sostegno al Libro verde che deve dare il via al dibattito da cui scaturirà una politica europea autenticamente condivisa in materia di energia.

 
  
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  Diana Wallis (ALDE).(EN) Signor Presidente, oggi pomeriggio lei ha ricordato la Giornata internazionale della donna. La scorsa settimana ricorreva anche la settimana di sensibilizzazione per l’endometriosi. I dati che afferiscono a questa patologia femminile sono rimasti invariati quando l’anno scorso ne parlai per la prima volta in questa sede: sono 14 milioni le donne che ne soffrono in Europa, mentre ammontano a 30 miliardi di euro i costi a carico dell’economia europea a causa della perdita di giornate di lavoro.

Sull’endometriosi continuano a esserci diagnosi scorrette, ignoranza e idee errate; possono infatti passare anche 11 anni dall’insorgenza alla diagnosi. Posso assicurarvi – e la cosa non mi rende affatto felice – che interverrò in Aula in ogni occasione opportuna finché ogni donna e ogni figura professionale in Europa non conosceranno la patologia, i sintomi, gli effetti e le opzioni terapeutiche.

 
  
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  José Ribeiro e Castro (PPE-DE).(PT) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, desidero parlare della Seconda giornata europea in memoria delle vittime del terrorismo che è stata commemorata l’11 marzo.

La ringrazio, signor Presidente, per averci informato dell’iniziativa messa in atto dal Parlamento per onorare questa data. Desidero però chiedere a lei i ai suoi servizi di prendere contatti con il Consiglio affinché questa commemorazione riceva maggiore attenzione e acquisisca la dignità che merita in tutti gli Stati membri. Credo sia essenziale. Inoltre sono fermamente convinto che debbano essere coinvolti anche i parlamenti nazionali nell’iniziativa tesa a onorare le memoria delle vittime del terrorismo e che in futuro debba essere assicurata una maggiore visibilità a questa giornata. A mio giudizio è molto importante a fronte della pericolosissima minaccia che incombe su di noi.

 
  
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  Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL).(EL) Signor Presidente, come abbiamo già avuto modo di sentire, i genitori di Derwich Ferho, presidente dell’Istituto curdo di Bruxelles e rifugiato politico in Belgio da 28 anni, sono stati brutalmente ammazzati per mano di criminali che, secondo quanto si è appreso, sarebbero alle dipendenze dello Stato turco. Questo fatto è gravissimo. La scorsa settimana si è svolta una manifestazione a Bruxelles, mentre il ministro degli Esteri fiammingo ha inviato una lettera all’ambasciatore turco a Bruxelles chiedendo spiegazioni.

Visto che la Turchia ha chiesto di aderire all’Unione europea e visto che questo tipo di condotta è l’antitesi dei valori europei che il paese vuole incarnare, chiedo che anche il Parlamento pretenda delle delucidazioni in merito a questo atroce crimine, oltretutto anche per non dare ai cittadini l’impressione che questo consesso subisce l’influenza di taluni centri di potere.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, sono ormai pochissime le speranze che le elezioni presidenziali previste per domenica prossima in Bielorussa si svolgano all’insegna della legalità e della democrazia. La campagna elettorale si è tenuta in un clima irto di pericoli. Nel corso del periodo preelettorale infatti Aleksandr Kozulin, uno dei candidati in lizza per la presidenza, è stato picchiato a sangue da uomini dei servizi segreti. Inoltre moltissimi attivisti sono stati arrestati e hanno subito intimidazioni nell’intento di farli desistere dal sostenere il candidato democratico Aleksandr Milinkievich.

In questo contesto ho trovato deludenti le dichiarazioni rese da alcuni esponenti dell’UE. Quando fu resa nota l’intenzione del Parlamento europeo di inviare una delegazione ad hoc a Minsk, il Commissario Ferrero-Waldner annunciò che i membri di tale delegazione avrebbero agito esclusivamente a titolo personale. Signor Presidente, le chiedo gentilmente di ricordare alla Commissione che, diversamente dai membri dell’Esecutivo, i deputati di quest’Assemblea sono gli unici ad essere stati eletti direttamente dai cittadini europei. I deputati al Parlamento europeo hanno quindi il diritto di esprimersi anche a nome del proprio elettorato e non solo a titolo personale.

E’ assolutamente deprecabile che la Commissione europea renda questo genere di dichiarazioni riprovevoli, quando dovrebbe perlomeno dare un sostegno morale ai deputati che si apprestano a svolgere una missione di osservazione delle elezioni a Minsk e dovrebbe altresì dichiararsi pronta a intervenire in difesa dei parlamentari alla benché minima provocazione da parte del regime del Presidente Lukashenko.

 
  
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  Presidente. Onorevole Andrikienė, quando i colleghi prendono parte a una missione di osservazione, non agiscono a titolo personale. Non rappresentano solo se stessi, ma questa Istituzione.

Forse c’è stato un malinteso da parte della signora Commissario, infatti sono certo che anche lei condivide questo principio. Quando avrò occasione di parlarle, glielo ricorderò, anche se non credo sia necessario, poiché sono convinto che la signora Commissario conosce perfettamente il ruolo che spetta al Parlamento.

 
  
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  Miguel Angel Martínez Martínez (PSE).(ES) Signor Presidente, in veste di socialista e di attivista per i diritti umani, e semplicemente come oppositore della pena capitale, desidero esprimere in questo consesso tutta l’angoscia che sento per la famiglia di Pablo Ibar, un cittadino spagnolo che nel 2000 è stato condannato alla pena di morte per omicidio in Florida.

Il 2 febbraio scorso la Corte suprema dello Stato aveva annullato la condanna alla pena capitale a carico del presunto complice dell’omicidio, decretando che erano stati commessi degli errori nel corso del processo di primo grado e che le prove contro le persone in stato di fermo erano inconsistenti.

Tuttavia il lumicino di speranza che si era accesso si è drammaticamente spento il 9 marzo, quando la stessa Corte suprema ha confermato la pena di morte per il cittadino europeo, Pablo Ibar.

Il gruppo socialista al Parlamento europeo chiede alle autorità competenti statunitensi di ricercare una soluzione a questa situazione ingiusta e disumana. Chiedo a lei, signor Presidente, e al presidente della delegazione per le relazioni con gli Stati Uniti di rivolgersi a tali autorità, da un lato, per reiterare il nostro ormai noto rifiuto della pena di morte e, dall’altro, per chiedere che sia fatta giustizia sul caso di Pablo Ibar, che è stato condannato in maniera iniqua, in quanto pare ormai comprovato il proscioglimento della persona che era stata condannata come presunto complice del medesimo omicidio.

 
  
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  Ioannis Gklavakis (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, l’Unione europea sta giustamente prendendo tutte le misure necessarie per contrastare l’influenza aviaria. La patologia però ha già seminato il panico tra i consumatori tanto che il consumo di carne di pollo si è drasticamente ridotto dell’80 per centro, mentre il consumo di uova ha subito un calo del 45 per cento.

In siffatta situazione il settore dell’allevamento avicolo si è trovato in una posizione estremamente difficile, mentre l’Unione europea, dal canto suo, non sta assumendo provvedimenti adeguati per aiutare il comparto. Non dovremmo permettere mai che ciò accada. Chiedo quindi che siano prese misure idonee per aiutare gli allevatori di pollame. Altrimenti, una volta passata la bufera, l’Unione europea si ritroverà senza allevamenti per far fronte alla domanda futura, senza contare poi che i prodotti a base di carne aviaria dell’UE sono certamente di uno standard più elevato rispetto ai prodotti che saremo costretti a importare dai paesi terzi. Chiedo pertanto al Parlamento di dar prova di solidarietà verso il comparto.

 
  
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  Gyula Hegyi (PSE).(EN) Signor Presidente, sei anni fa il grave episodio di inquinamento da cianuro del fiume Tisza, avvenuto presso la miniera d’oro di Baia Mare in Romania, ha aperto uno squarcio sui pericoli dell’attività di estrazione dell’oro nel cuore dell’Europa. All’epoca l’Ungheria non era ancora uno Stato membro, ma l’intera Unione europea diede prova di solidarietà verso il mio paese che fu investito dalla massa di acque inquinate.

L’Unione europea ha recentemente varato una direttiva sui rifiuti delle attività minerarie che è destinata a bloccare tutte le attività minerarie pericolose per l’ambiente. Per noi è stato motivo di grande soddisfazione quando il governo rumeno annunciò la sua intenzione di recepire la direttiva ben prima dell’adesione. Ora però, secondo le ultime e preoccupanti notizie che circolano negli ambienti politici ed economici, sta riaffiorando ancora una volta l’idea di aprire un impianto per l’estrazione dell’oro con tecnologia a cianuro in Romania. Vi invito quindi a pronunciare un “no” deciso e senza appello dinanzi a questi pericoli e a iniziative azzardate di questo genere. Esorto inoltre l’Assemblea a chiedere al governo rumeno di tenere fede ai propri impegni.

 
  
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  Andrzej Jan Szejna (PSE).(PL) Signor Presidente, desidero esprimere alcune brevi considerazioni sulle elezioni in Bielorussia e in Ucraina.

La situazione in Bielorussia è oltremodo chiara ed è veramente difficile. Verosimilmente le elezioni non saranno né libere né democratiche. La repressione contro i capi e i candidati dell’opposizione si sta palesemente rivelando più feroce di quanto si prevedesse.

Parallelamente è importante tenere presente che è in corso un’altra campagna elettorale. Andrà infatti alle urne anche l’Ucraina, un paese che ha già dato prova della sua inclinazione spiccatamente europeista.

Io stesso sono stato a Lvov per conto del gruppo PSE per sostenere la campagna del partito socialista ucraino. Devo dire che mi sono acceso di entusiasmo dinanzi a quanto ho potuto vedere direttamente. Ho visto l’Ucraina e ho sentito molti slogan elettorali proeuropeisti. Desidero però denunciare una questione importante che suscita preoccupazione. Mi è stato fatto presente che alcuni registri elettorali, ossia gli elenchi dei cittadini aventi diritto di voto, potrebbero essere stati compilati erroneamente. Questo caso pertanto mette in luce l’enorme importanza dell’azione svolta dal Parlamento europeo non solo in Bielorussia ma anche in Ucraina.

 
  
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  Charles Tannock (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, finora il Presidente Mahmoud Abbas – che mercoledì interverrà dinanzi a quest’Assemblea – ha esercitato in maniera molto deludente la Presidenza dell’Autorità palestinese. Si è dimostrato incapace o restio a contrastare i terroristi kamikaze, tra cui anche gli esponenti della sua stessa Brigata dei martiri di Fatah al-Aqsa. Non è riuscito a disarmare i militanti di Hamas e della Jihad islamica e pare incapace di fermare la dilagante corruzione che in parte è stata una delle cause che hanno portato alla vittoria dello stesso Hamas. Fermo restando che l’Unione europea deve sostenere in maniera ferma e imparziale la roadmap per la pace nel contesto del Quartetto, non dobbiamo però finanziare l’Autorità palestinese se prima Hamas non si riforma giacché per ora rimane un’organizzazione terrorista bandita dall’Unione europea che si è impegnata per la Jihad e per l’instaurazione di un califfato governato dalla sharia.

Innanzi tutto Hamas deve rinunciare alla violenza e riconoscere a Israele il diritto di esistere. Se a seguito dell’interruzione dei finanziamenti europei l’Autorità palestinese finisse per essere foraggiata dall’Iran e dall’Arabia Saudita, che sia! Allora taglieremo i finanziamenti anche all’Iran e bloccheremo così la produzione di armi nucleari.

 
  
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  Malcolm Harbour (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, il 28 febbraio a Bruxelles quattro Commissari, competenti per le imprese, l’ambiente, la concorrenza e l’energia, hanno presieduto la prima riunione del gruppo ad alto livello incaricato di esaminare le tematiche afferenti all’energia, all’ambiente e alla competitività. Al tavolo erano presenti anche 4 ministri, 12 massimi esponenti del settore della produzione e dei consumatori di energia, 3 ONG, il presidente della Confederazione europea dei sindacati e 3 legislatori.

C’erano però quattro sedie vuote a questo tavolo consultivo di fondamentale importanza, il primo incontro teso a fissare un programma biennale. Per gli onorevoli colleghi forse sarà una sorpresa sapere che quelle quattro sedie vuote erano riservate ai deputati del Parlamento europeo. Non solo mi sembra una scortesia verso la Commissione, ma faccio altresì presente che si tratta di questioni di cruciale importanza, e se veramente vogliamo prendere parte alla loro definizione, forse, signor Presidente, potrebbe spiegare a me e all’Assemblea perché quelle sedie sono rimaste vuote. Intende attivare la procedura tesa a nominare i delegati? Se lei non ne ha facoltà, si potrebbero effettuare in questa sede le nomine e le relative elezioni per riempire quelle quattro sedie?

 
  
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  Presidente. – Se non vado errato, mi pare che quelle sedie siano rimaste vuote perché la Conferenza dei presidenti aveva deciso di non nominare rappresentanti parlamentari a quel tavolo e al contempo aveva chiesto alla Commissione di fornire delucidazioni circa lo status, lo scopo e il ruolo dei rappresentanti del Parlamento in seno a questa commissione tecnica. Non avendo ricevuto spiegazioni, la Conferenza dei presidenti ha deciso di non nominare rappresentanti del Parlamento. Non si è trattato di un caso in cui i rappresentanti non si sono recati alla riunione, ma piuttosto di mancata nomina.

 
  
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  Malcolm Harbour (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, la ringrazio per le rassicurazioni che mi ha dato. Per un anno ho fatto parte del gruppo di lavoro ad alto livello sull’industria automobilistica. Le condizioni di partecipazione erano del tutto chiare e credo che sia stata fondamentale la presenza del Parlamento sin dal primo momento. Se mi avesse interpellato, avrei spiegato il funzionamento del sistema.

Oltretutto avevamo tenuto un’audizione in Aula proprio sul gruppo di alto livello. Il coinvolgimento dell’Assemblea è assolutamente fondamentale. Il mio cruccio è che il problema non sia stato risolto prima del primo incontro, poiché il gruppo si riunisce ogni tre mesi ed ora quindi è già stato fissato il programma e la relativa architettura per i prossimi due anni di lavoro senza la partecipazione dei deputati del Parlamento.

 
  
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  Presidente. La ringrazio molto, onorevole Harbour. Sottolineo che la Conferenza dei presidenti aveva chiesto al Presidente Barroso di spiegare lo scopo della presenza dei deputati in questi gruppi e infatti il Presidente interverrà in seno alla Conferenza per fornire tutti i ragguagli del caso.

E’ suo diritto dissentire rispetto alla decisione assunta, io mi limito solo a comunicagliela.

 
  
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  Bogusław Sonik (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, negli ultimi giorni la Bielorussia è stata pervasa da un’ondata di arresti di attivisti dell’opposizione. L’Unione europea non può rimanere indifferente dinanzi alla violazione dei diritti fondamentali su cui poggia la società civile.

Chiedo quindi alla Commissione europea di attivarsi immediatamente e di stilare una lista nera della nomenklatura, un elenco che deve essere il più lungo possibile. Deve essere infatti vietato l’ingresso nell’Unione europea a tutti coloro che fanno parte dell’entourage del dittatore Lukashenko. Il divieto deve valere anche per tutti coloro che hanno preso parte alla decisione di usare la forza nonché ai responsabili delle attività delle forze interne di sicurezza e deve altresì estendersi ai circoli connessi alla propaganda mediatica. L’imposizione del divieto sul rilascio dei visti a queste persone rappresenta un metodo efficace per indebolire la posizione del governo, evitando al contempo un contraccolpo negativo sulla popolazione. In questo modo inoltre si trasmetterà un segnale chiaro all’opposizione, affermando a chiare lettere che i vicini occidentali non sono indifferenti dinanzi alla loro situazione. I responsabili dell’ultima ondata di arresti infatti devono essere puniti.

Dando risonanza all’intenzione di redigere una lista nera, come ho accennato prima, forse potremo anche salvare la vita di molte persone, proteggendole dalla repressione. Una misura preventiva di questo genere darà prova che gli europei parlano con una sola voce e sono veramente uniti nella difesa dei diritti umani fondamentali.

 
  
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  Diamanto Manolakou (GUE/NGL).(EL) Signor Presidente, il governo della Repubblica ceca sta cercando di vietare il Movimento giovanile comunista nel paese, in quanto propone la concezione della lotta di classe e i principi del marxismo e leninismo; si tratta di un tentativo altamente offensivo che infatti ha suscitato l’indignazione di migliaia di sostenitori della democrazia in Europa e nel mondo. In proposito ho infatti inviato un memorandum e una petizione a lei e ai presidenti dei gruppi politici. Questo genere di situazioni è inammissibile, considerando anche che il Partito comunista della Boemia e della Moravia è un partito molto attivo, ha un forte ascendente e gode di un grande riconoscimento presso il popolo ceco, oltre ad avere una rappresentanza di sei deputati al Parlamento europeo. Sinceramente, come vi sentireste se fosse messa in discussione la legittimità del movimento giovanile del partito cui appartenete?

Questo tipo di condotta rientra nella strategia anticomunista ed è contraria al pensiero della stragrande maggioranza delle persone. Chiedo pertanto all’Assemblea di pronunciare parole di condanna, ribadendo la nostra azione in difesa dei diritti democratici, della libertà di azione politica e di espressione ideologica, esortando il governo e le autorità della Repubblica ceca a mettere immediatamente fine alla persecuzione ideologica e politica dei giovani comunisti cechi.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (NI).(PL) Signor Presidente, l’arte di scrivere lettere sta certamente conoscendo un periodo estremamente fiorente. Invece di dedicarsi a questa attività i Commissari dell’Unione europea farebbero meglio a mettersi a lavorare sodo per rafforzare i poteri dell’Unione che si stanno via via affievolendo. Purtroppo, però, i Commissari hanno deciso di impegnare il loro tempo scrivendo lettere in cui impartiscono un’infinità di ordini agli Stati membri.

Vi cito il caso del Commissario olandese, uno dei membri più controversi della Commissione. La signora Commissario Kroes è attualmente sotto inchiesta da parte del Parlamento per presunto conflitto di interessi e attività di lobby. Ultimamente si è data la pena di inviare una lettera al governo polacco in merito alla fusione di due banche polacche. Mi è sembrato che la signora Commissario avrebbe fatto meglio a condividere con il governo polacco la sua esperienza diretta di come si perde un referendum sulla Costituzione. La signora Commissario ha invece pensato bene di dispensare prediche al governo polacco, anche se una banca olandese, la ING, si è prontamente lanciata all’acquisto di una delle maggiori banche polacche, la Bank Śląski. L’offensiva lettera della signora Commissario assume toni oltremodo paternalistici e incarna l’atteggiamento tipico dei paesi della vecchia Unione verso i nuovi Stati membri. La signora Commissario avrebbe fatto meglio a indirizzare le sue prediche al governo olandese su come prevenire le tensioni etniche e razziali, che stanno rapidamente diventando un dato di fatto nel suo paese.

 
  
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  Ashley Mote (NI).(EN) Signor Presidente, lei ha chiesto un maggiore impegno ai deputati verso il Parlamento europeo. Questo consesso però non è esattamente un parlamento nella mentalità del popolo britannico. Bandiere a parte, quest’Aula assomiglia a un Soviet supremo. Conduce le proprie attività come un Soviet e i dibattiti che vi si svolgono non sono certo dei dibattiti nel vero senso della parola.

In qualità di semplice deputato, se riesco a ottenere un minuto di parola – per gentile concessione dei funzionari e non in virtù delle mie qualifiche o per mia necessità – posso già ritenermi fortunato. Non vi sono interventi veri e propri, non vi è spazio e non vi è alcuna possibilità di contraddire o di sviscerare le idee presentate. Questa è solo una bella foglia di fico democratica e siamo tutti parte di una grande farsa.

 
  
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  Georgios Toussas (GUE/NGL).(EL) Signor Presidente, l’annientamento e il vergognoso omicidio dell’ex Presidente della Jugoslavia, Slobodan Milošević, presso il centro di detenzione del Tribunale penale internazionale dell’Aia, ordito e attuato dagli imperialisti statunitensi e dell’UE – su cui peraltro ricade la responsabilità della guerra e del disgregamento della Jugoslavia – è un altro anello della lunga catena di crimini contro i popoli che si sono opposti alla barbarie imperialista.

Coloro che hanno prima organizzato e poi dato seguito al rapimento, alla detenzione e al processo di Slobodan Milošević all’Aia, rifiutandosi di prendere provvedimenti per proteggere la sua vita, nonostante i gravi problemi di salute, lo hanno annientato. Gli USA e l’Unione europea hanno montato un processo da farsa all’Aia per riparare ai crimini perpetrati contro il popolo jugoslavo che essi stessi bombardarono per 78 giorni nel 1999 solo ed unicamente perché la Jugoslavia, pur accettando l’accordo di Rambouillet, aveva respinto il dispiegamento di forze della NATO sul suo territorio.

Gli attacchi imperialistici e l’occupazione dell’Iraq e dell’Afghanistan che hanno seguito il bombardamento contro il popolo jugoslavo hanno, per l’ennesima volta, svelato il vero e repellente volto dell’imperialismo americano ed eurounificante e sui suoi abietti crimini contro i popoli e contro l’umanità.

I popoli però continueranno a lottare contro l’imperialismo e per difendere il loro diritto di determinare il proprio destino.

 
  
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  Harald Ettl (PSE).(DE) Signor Presidente, desidero richiamare nuovamente l’attenzione dell’Assemblea sul caso delle cinque infermiere bulgare e del medico palestinese che si trovano in stato di detenzione in Libia. Nel 1999 essi furono accusati di aver deliberatamene usato il sangue destinato alle trasfusioni per infettare 400 bambini con il virus dell’AIDS. Nel 2004 sono stati condannati a morte, ma ora a seguito dei ricorsi le sentenze sono state sospese. Accogliamo con favore la decisione della Corte suprema e attendiamo con ansia lo svolgimento di procedimenti giudiziari trasparenti e un processo giusto.

Queste persone sono in carcere e subiscono torture da sette anni ormai e ora speriamo che il loro processo non sia sfruttato e strumentalizzato per fini politici. Finché non saranno liberati, è nostro dovere di parlamentari tenere alta l’attenzione su questo caso e seguirne gli sviluppi da vicino.

 
  
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  Inés Ayala Sender (PSE).(ES) Signor Presidente, desidero esprimere all’Assemblea la mia soddisfazione e il mio sollievo per la decisione assunta dalla dirigenza della General Motors il 15 febbraio di produrre il nuovo modello di Opel Meriva presso l’impianto di Figueruelas nei pressi di Saragozza; in questo modo è stato definitivamente scongiurato il rischio di delocalizzazione su cui la società rifletteva da mesi e che avrebbe investito 7 600 lavoratori oltre alle numerose imprese dell’indotto.

Mi congratulo con i lavoratori per il loro impegno sul versante della produttività, con i dirigenti spagnoli e con gli ingegneri per il buon lavoro svolto nonché con l’amministrazione regionale guidata dal Presidente Marcelino Iglesias per il sostegno accordato.

La vicenda però non si può ancora considerare completamente chiusa. L’altro contendente era l’impianto di Gliwice in Polonia. L’unico vantaggio che presentava erano i bassi costi della manodopera. Grazie ai contatti intercorsi negli ultimi mesi abbiamo avuto modo di comprendere più a fondo la frustrazione dei lavoratori polacchi e quindi sosteniamo la proposta del Forum europeo dei lavoratori di produrre il modello Agila a Gliwice.

Al contempo, come contropartita, il governo spagnolo si è detto favorevole alla possibilità di introdurre la libera circolazione dei lavoratori, ma anche questa soluzione appare insufficiente. In realtà occorre una politica industriale europea.

 
  
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  Sophia in ’t Veld (ALDE).(NL) Signor Presidente, sono lieta che il Commissario Frattini sia già presente per assistere al prossimo dibattito. In una recente dichiarazione il ministro olandese per l’Integrazione, la signora Verdonk, ha annunciato una modifica alla politica prevista per il rientro in Iran dei richiedenti asilo omosessuali e cristiani. Secondo il Ministro, visto che l’omosessualità e la fede cristiana non sono vietati per legge in Iran, i richiedenti asilo possono tranquillamente fare ritorno nel paese. Pur ammettendo che in linea teorica tale rientro potrebbe essere possibile, in pratica gli omosessuali e i cristiani hanno motivi fondati per temere per la loro sicurezza. E’ noto infatti che la pratica dell’omosessualità è punita con la pena di morte.

Chiedo pertanto al Commissario Frattini se la Commissione intende accertarsi che la politica di rientro che il governo olandese si appresta a varare sia in linea con le norme minime sul diritto di asilo previste dalla direttiva che dovrà essere attuata entro l’ottobre di quest’anno e se è in linea con gli accordi internazionali.

 
  
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  Joseph Muscat (PSE).(MT) L’era della tv digitale dovrebbe contraddistinguersi per una maggiore concorrenza e quindi per una maggiore possibilità di scelta tra servizi di qualità a beneficio dei consumatori. Purtroppo però la transizione al digitale a Malta sta creando nuovi monopoli in cui i consumatori sono costretti a pagare per vedere eventi sportivi di grande popolarità che fino ad oggi avevano visto gratuitamente. Inoltre si sta delineando una situazione di fatto in cui non esiste alcuna interoperabilità tra i diversi sistemi per la tv digitale. Diventa pertanto molto difficile passare da un sistema all’altro e di conseguenza la scelta dei consumatori risulta ridotta. Quel che è peggio è che i consumatori devono versare un canone agli operatori privati per poter ricevere i canali nazionali che finora ricevevano gratuitamente, mentre le autorità continuano a pretendere lo stesso importo per il canone televisivo. L’era del digitale si sarebbe dovuta contraddistinguere per l’accesso universale alle informazioni e all’intrattenimento e non per una crescente limitazione dell’accesso del numero di utenti.

 
  
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  Åsa Westlund (PSE).(SV) Signor Presidente, ho avuto l’onore di ricevere una dichiarazione di un gruppo di giovani che giovedì scorso hanno visitato il Parlamento europeo. Visto che erano rimasti assai delusi per non aver avuto la possibilità di parlare con un numero maggiore di parlamentari, ho promesso loro di trasmettervi il loro messaggio. Essi provengono dalla Scuola della seconda possibilità e questo è il loro messaggio:

(EN) “Noi, giovani di tutta Europa, riuniti nel vertice giovanile dell’E2C di Copenaghen del giugno 2005, con la presente dichiariamo che: tutti i giovani hanno il diritto di decidere della loro vita e di crearsi il proprio futuro. Tutti i giovani hanno il diritto all’istruzione di ogni ordine e grado. Tutti i giovani hanno il diritto di essere diversi gli uni dagli altri e di essere se stessi. Il rispetto ha carattere universale e presuppone reciprocità. Nessun giovane deve subire discriminazioni o repressioni. Tutti i giovani hanno diritto di avere una casa, di avere di che nutrirsi e di ricevere cure.”

(SV) Provenendo da una delle scuole per cui combattiamo così strenuamente, ossia le scuole che assicurano l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, credo che sia un messaggio che dovremo tenere presente nei nostri prossimi lavori politici.

(Applausi da vari banchi)

 
  
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  Margie Sudre (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, l’epidemia di chikungunya che dilaga a Réunion ha fatto sprofondare questa regione comunitaria ultraperiferica in una gravissima crisi sanitaria ed economica le cui conseguenze a lungo termine rimangono molto difficili da prevedere.

Il virus, trasmesso dalle zanzare, ha già infettato 200 000 persone a fronte di una popolazione complessiva di 760 000 abitanti e sarebbe la causa diretta di 5 decessi.

La virulenza della patologia, che ha un’intensità che mai si sarebbe potuta immaginare fino all’inizio di quest’anno, minaccia direttamente alcune delle fasce più fragili della popolazione, in particolare gli anziani, i bambini, le donne in gravidanza oltre che le persone già affette da altre patologie.

In un momento in cui l’Unione europea, giustamente, si adopera per contrastare un’altra crisi sanitaria che colpisce il comparto agricolo, ma che minaccia potenzialmente anche la popolazione, le sarei infinitamente riconoscente, signor Presidente, se volesse già da oggi esprimere solidarietà a nome del Parlamento europeo ai cittadini dell’Unione che vivono nel terrore di contrarre la chikungunya. La ringrazio sin d’ora a nome dei cittadini dell’isola di Réunion.

 
  
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  Sylwester Chruszcz (NI).(PL) Signor Presidente, desidero mettere in luce due aspetti che riguardano la zona serba del Kosovo.

In primo luogo, nei prossimi mesi è assai probabile che si scateni una catastrofe umanitaria in questa zona, un disastro che investirebbe i territori abitati dai rifugiati serbi. Tenete presente che in queste aree la corrente elettrica viene fornita solo per un’ora al giorno, mentre bande di terroristi chiedono il pizzo per consentire il passaggio di farmaci. La sicurezza non esiste. I gruppi terroristici fanno esplodere le chiese ortodosse, che oltre a essere luoghi di culto, fanno anche parte del comune patrimonio europeo. A mio parere, la distruzione delle chiese ortodosse è certamente un crimine paragonabile alla distruzione delle statue del Buddha in Afghanistan per mano di Al-Qaeda.

Signor Presidente, purtroppo ho l’impressione che l’Europa stia volgendo le spalle al Kosovo e ai serbi. Essa infatti ignora un popolo che ha a cuore la democrazia e i diritti umani.

 
  
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  Presidente. La ringrazio molto, onorevole Chruszcz. Mi dispiace di dover annunciare che 15 deputati non potranno intervenire per mancanza di tempo.

La discussione è chiusa.

 

17. Prostituzione coatta nel quadro di eventi sportivi mondiali – Misure anti-tratta adottate dall’UE e lancio di una giornata contro il traffico di esseri umani(discussione)
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  Presidente. L’ordine del giorno reca in discussione congiunta:

l’interrogazione orale (O-0006/2006 B6-0008/2006) presentata dall’onorevole Anna Záborská a nome della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, sulla prostituzione coatta nel contesto di eventi sportivi mondiali, alla Commissione;

l’interrogazione orale (O-0011/2006 B6-0011/2006) presentata dagli onorevoli Karin Riis-Jørgensen ed Elizabeth Lynne a nome del gruppo Verts/ALE, sulle misure anti-tratta adottate dall’UE e sul lancio di una giornata contro il traffico di esseri umani, alla Commissione;

l’interrogazione orale (O-0017/2006 B6-0014/2006) presentata dall’onorevole Hiltrud Breyer a nome del gruppo Verts/ALE, sulle azioni dell’Unione europea contro la tratta di esseri umani e sul lancio di una giornata di lotta contro la tratta di esseri umani, alla Commissione;

l’interrogazione orale (O-0019/2006 – B6-0015/2006) presentata dall’onorevole Lissy Gröner a nome del gruppo PSE, sulle misure anti-tratta adottate dall’UE e sul lancio di una giornata contro il traffico di esseri umani, alla Commissione; e

l’interrogazione orale alla Commissione (O-0021/2006 – B6-0016/2006) presentata dagli onorevoli Eva-Britt Svensson, Sylvia-Yvonne Kaufmann, Kartika Tamara Liotard, Feleknas Uca, Ilda Figueiredo e Věra Flasarová a nome del gruppo GUE/NGL, sulle misure anti-tratta adottate dall’UE e sul lancio di una giornata contro il traffico di esseri umani, alla Commissione.

 
  
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  Anna Záborská (PPE-DE), autore. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, oggi intervengo in veste di presidente della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, ma voglio altresì esprimere la mia solidarietà di donna verso le vittime della prostituzione coatta.

E’ inammissibile che una donna sia costretta a prostituirsi e a vendere il proprio corpo. Purtroppo però, onorevoli colleghi, è proprio questa la triste realtà. Nella capitale tedesca infatti nei pressi dello stadio olimpico è appena stata aperta una grande casa di tolleranza di 3 000 metri quadrati destinata ad accogliere simultaneamente 650 clienti. Per soddisfare il fabbisogno del dopo partita degli spettatori dei campionati mondiali di calcio si calcola che saranno “importate” dall’est oltre 40 000 giovani donne provenienti da ambienti poveri.

La lotta contro la tratta delle donne e la lotta contro la prostituzione coatta devono essere una priorità per tutte le donne impegnate in politica, soprattutto per una donna che risponde al nome di Angela Merkel. Invitiamola quindi a unire la sua voce alla nostra!

Onorevoli deputati di tutti gli schieramenti, noi disponiamo di strumenti potenti. Vi esorto allora a condannare questa indecenza, facciamoci valere qui in Parlamento ma anche negli Stati membri, nel Consiglio d’Europa e in tutti i consessi in cui possiamo far sentire la nostra voce. Facciamoci sentire con fermezza e determinazione. Non è la prima volta che i diversi organismi delle Nazioni Unite, il Consiglio d’Europa e le Istituzioni dell’Unione europea si avvalgono dello sport come veicolo per trasmettere un messaggio di civiltà e di progresso.

I responsabili implicati in questa vicenda vogliono farci credere che è solo una sfortunata coincidenza. Ma l’avvocato del gruppo che ha costruito questo “palazzo del piacere” ha dichiarato che: “Il calcio e il sesso vanno di pari passo”. Com’è possibile che nelle più alte sfere del calcio un fatto simile non scandalizzi nessuno?

Incitare i giovani alla bestialità organizzata contro delle giovani donne sembra non indignare nessuno, la mancanza di prevenzione contro questi atti e di protezione delle vittime da una simile degenerazione organizzata non suscita il benché minimo scandalo. Il Presidente della FIFA, Joseph Blatter, in una lettera indirizzata alla commissione per i diritti della donna afferma che la sua organizzazione non ha alcuna responsabilità per quanto accade al di fuori degli stadi. L’UEFA come pure i campioni delle squadre nazionali non hanno proferito nemmeno una parola.

L’UEFA dopo tutto si prefigge di promuovere il calcio in Europa in uno spirito di pace senza alcuna discriminazione. Il mondo del calcio è un mondo maschile, come dimostra la realtà degli stadi e in fin dei conti sono proprio gli uomini a chiedere l’atto della prostituzione e ad abusare delle donne. Mi rivolgo pertanto anche agli uomini, ai colleghi e a tutti coloro che rivestono posizioni influenti.

In effetti, onorevoli colleghi, posso affermare che possiamo contare sul sostegno pubblico degli uomini per contrastare la tratta delle donne e la prostituzione coatta.

Ringrazio infatti il collega, l’onorevole Christopher Heaton-Harris, egli stesso arbitro professionista, che si è adoperato affinché l’intergruppo per lo sport si levasse contro la tratta delle donne e la prostituzione coatta. Ringrazio anche l’onorevole Simon Coveney, che in questa sede sovrintende all’iniziativa “degli imprenditori contro la tratta degli esseri umani” e alla campagna Stop the traffic.

Infine, vi invito tutti a sostenere l’immane lavoro svolto dal Consiglio d’Europa che il 16 marzo 2005 a Varsavia ha varato la prima “Convenzione per la lotta contro la tratta di esseri umani”. Ad oggi però sono solo undici gli Stati membri che l’hanno firmata, mentre nessuno l’ha ancora ratificata.

Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, dobbiamo ricorrere a tutti gli strumenti giuridici e a tutte le misure politiche possibili per far sì che nessuna donna sia mercificata al servizio del sesso, non solo a Berlino ma ovunque nel mondo.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ ON. ROTH-BEHRENDT
Vicepresidente

 
  
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  Elizabeth Lynne (ALDE), autore. – (EN) Signora Presidente, la piaga della tratta di esseri umani è un ambito in cui, senza ombra di dubbio, l’Unione europea può e deve intervenire. Ed è proprio per questo motivo che l’onorevole Karin Riis-Jørgensen ed io abbiamo presentato un’interrogazione orale. Vogliamo delle risposte oggi, se possibile.

Non viene data sufficiente visibilità a questo sporco commercio. In molti casi la colpa viene riversata sulle vittime e dobbiamo quindi adoperarci per sovvertire questa situazione. Sono lieta che a livello europeo questo tema stia ricevendo attenzione ultimamente. La relazione d’iniziativa del Parlamento è un atto dovuto, mentre il Consiglio ha varato un piano d’azione in dicembre e disponiamo altresì della Convenzione del Consiglio d’Europa. Eppure i progressi su questo fronte sono ancora scarsi. Gli incontri tra Stati membri in definitiva non servono a nulla se non vengono immediatamente messe in atto delle azioni concrete.

Queste donne – e parliamo soprattutto di donne e di ragazze – al momento non dispongono di alcuna garanzia di protezione. Sono trattate come immigrate clandestine e quindi vengono espulse, dopodiché in molti casi finiscono nuovamente nella spirale della tratta. C’è la possibilità di intraprendere determinate azioni, come indica anche la Convenzione europea contro la tratta di esseri umani. Dobbiamo creare delle case di accoglienza in cui le giovani donne e le ragazze possano trovare rifugio. Dobbiamo garantire che sia introdotto il periodo di attesa di 30 giorni, come previsto nella Convenzione europea, in modo che queste donne possano decidere se intendono prendere parte al procedimento giudiziario contro i trafficanti.

Nel Regno Unito esiste solo un centro di accoglienza che ha una capienza di 25 posti, mentre si calcola che ogni anno siano introdotte illegalmente nel Regno Unito oltre 1 000 persone ai fini dello sfruttamento sessuale. E’ davvero deplorevole che il problema non sia stato affrontato efficacemente. Il Regno Unito e tutti gli altri paesi devono quindi firmare la Convenzione del Consiglio d’Europa.

Infine, alla vigilia dei mondiali di calcio in Germania dobbiamo attivarci maggiormente per sensibilizzare l’opinione pubblica. Si prevede che migliaia di donne e bambini cadranno vittima della tratta in questo periodo per poi essere destinati alla prostituzione coatta. Nell’interrogazione orale e nel dibattito di oggi non si parla di un fenomeno in cui le prostitute hanno coscienza delle loro azioni. Stiamo parlando di un moderno commercio di schiavi in cui donne e bambini non hanno altra scelta dinanzi alla prostituzione. E’ questo l’argomento del dibattito di oggi e non dobbiamo confondere i vari aspetti di un problema più ampio. Per questo motivo mi sono impegnata nella campagna volta a dare il cartellino rosso alla prostituzione coatta e spero che tutti i tifosi, i calciatori, le società sportive e tutte le altre organizzazioni vi aderiscano in modo da cancellare per sempre questo orrendo commercio.

 
  
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  Hiltrud Breyer (Verts/ALE), autore.(DE) Signora Presidente, spero che questa risoluzione finisca dritta nella rete avversaria, facendo uscire una volta per tutte questo tema dalla zona tabù per portarlo al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica. La prostituzione coatta è un argomento di cui nessuno vuole parlare: non vogliono farlo le persone implicate e purtroppo nemmeno le vittime. In proposito sarebbe opportuno prestare maggiore attenzione anche al collegamento tra migrazione e creazione di occupazione.

La Lega calcio tedesca voleva che la vicenda rimanesse argomento tabù ed è stato quindi un grande successo essere riusciti a sfondarne la difesa. Com’è già stato detto, dobbiamo veramente dar prova di fermezza, mostrando un bel cartellino rosso al traffico di esseri umani e alla prostituzione coatta. Dobbiamo affermare chiaramente che in nome della lealtà sportiva occorre pronunciare un deciso “no” alla prostituzione coatta. Il fenomeno non può essere assolutamente tollerato in alcun caso. Devo dire però al Commissario Frattini che, oltre a individuare i criminali e gli stessi trafficanti – benché sia necessario – a tal fine bisogna trovare soluzioni che non criminalizzino solo le donne, come invece accade ora. Spero che lei ne parli nel suo intervento.

Non credo siano sufficienti le norme in materia di visti, poiché sarebbero ancora le donne a pagarne lo scotto, quando invece occorre prevenzione, assistenza e sostegno per le vittime. Come già insegna la legge italiana in materia di immigrazione, dobbiamo garantire alle donne disposte a testimoniare il diritto di rimanere nel paese di accoglienza. Dobbiamo infatti fare di più se vogliamo che le donne riescano a sfuggire alla prostituzione coatta.

 
  
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  Lissy Gröner (PSE), autore.(DE) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, “A time to make friends” è il motto dei campionati mondiali di calcio che si svolgeranno in Germania. La comunità sportiva si sta preparando all’evento, ma si sta preparando anche la criminalità organizzata dedita alla tratta di esseri umani che per l’appunto si appresta a inviare migliaia di donne in Germania per sfruttarle. Queste donne saranno attirate in Germania con false promesse per poi essere costrette a prostituirsi. La povertà è una delle principali cause del fenomeno ed è anche il punto da cui dobbiamo partire. Nell’opera di accoglienza di tutte le persone che arriveranno in Germania per questo evento dobbiamo altresì proteggere le donne che ne hanno bisogno, invece di far finta di non vedere.

In tutto il mondo sono 800 000 le donne che cadono vittima della tratta, 100 000 delle quali provengono dall’Unione europea. Benché non sia possibile pronosticare quante saranno in Germania quest’estate, dobbiamo estrarre il cartellino rosso dinanzi ai trafficanti. Signor Commissario Frattini, mi aspetto che lei terrà in considerazione le proposte avanzate dalla commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere contenute nella relazione Prets e il piano d’azione contro la tratta delle donne e li usi come base per dar vita ad azioni concrete.

Se vogliamo sostenere la campagna delle organizzazioni femminili per l’attivazione di numeri verdi plurilingui, occorrono fondi. Devono essere attuati progetti per proteggere le vittime. E’ già stato fatto accenno all’apatia di cui gli Stati membri hanno dato prova nel recepimento della direttiva del 2002 in materia di asilo e quindi bisogna incitarli all’azione. Il Belgio ha annunciato che accorderà il diritto di rimanere nel paese alle donne che saranno disposte a salire sul banco dei testimoni e che sono decise a uscire dal giro della prostituzione; il governo ha inoltre fatto sapere che sarà predisposta un’assistenza idonea a tal fine. E’ meraviglioso.

Il moderno commercio di donne deve essere contrastato con efficacia, bisogna coinvolgere maggiormente l’Europol e ovviamente anche le società sportive hanno un margine di azione, motivo per cui confidiamo nella loro cooperazione affinché lancino un appello ai tifosi invitandoli a rimanere vigili e fare la loro parte, com’è loro dovere. Richiedere visti speciali per le donne è alquanto precipitoso e non sono a favore di questa misura; vi invito pertanto a rifletterci più attentamente.

 
  
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  Eva-Britt Svensson (GUE/NGL), autore.(SV) Signora Presidente, milioni di persone in tutto il mondo attendono con grande entusiasmo gli ormai imminenti campionati mondiali di calcio, ma quante migliaia di donne devono essere sacrificate affinché gli uomini, oltre ad assistere alle partite, possano anche acquistare servizi sessuali offerti loro con tanta facilità? Per raggiungere una massa critica in termini di servizi sessuali, decine di migliaia di donne, tra cui donne disperate, dovranno andare ad integrare il già elevato numero di prostitute che lavorano in Germania. Questo traffico di esseri umani è vergognoso e del tutto disumano. Rivela una visione oppressiva delle donne ed è altresì indice della scarsa considerazione con cui si guardano i tifosi che si recheranno ad assistere alle partite del mondiale.

Per mettere fine alla violenza contro donne e bambini, la responsabilità della schiavitù sessuale e della prostituzione non deve essere scaricata sulle vittime, bensì su coloro che si arrogano il diritto di comprare e di vendere il corpo della donna. Parlando di “prostituzione coatta” si potrebbe dare adito all’idea che esiste anche il suo contrario, ossia una qualche forma di prostituzione per così dire “volontaria”. Non esiste assolutamente nulla del genere. Le donne non scelgono la prostituzione, sono costrette a prostituirsi per un motivo o per l’altro. La prostituzione può essere indotta dalla criminalità organizzata, ma anche dalla povertà e dalla disoccupazione. Soprattutto, però, emerge un collegamento innegabile tra la prostituzione e il fatto che le donne in passato siano state soggette ad abusi fisici, psicologici e sessuali.

E’ inoltre necessario studiare più a fondo il nesso tra la legalizzazione della prostituzione e l’aumento del traffico a fini di schiavitù sessuale. Ad esempio, che valenza ha il fatto che la prostituzione sia legale in Germania rispetto all’aumento del numero delle vittime del traffico a fini sessuali e in relazione ai campionati mondiali di calcio? Le legge che consente la prostituzione deve essere esaminata e raffrontata, ad esempio, alla legislazione svedese che criminalizza il cliente. La legge svedese infatti dimostra che, una volta ridotta la domanda, diminuisce di pari passo anche il numero di vittime della tratta e della prostituzione. La responsabilità infatti ricade su chi di dovere: ossia sui clienti. Sono infatti i clienti che devono prendersi carico della propria sessualità senza comprare il corpo delle donne.

Se accettiamo che gli uomini possano arrogarsi il diritto di comprare il corpo della donna, allora siano costretti ad accettare anche una situazione in cui circa quattro milioni di donne e di bambini vengono sballottati da un posto all’altro e da paese all’altro ai fini dello sfruttamento sessuale.

Condannare lo sfruttamento sessuale e la prostituzione non significa colpevolizzare le donne che lavorano come prostitute. Certo che no. Vogliamo che tutte le donne possano avere il diritto alla propria sessualità in condizioni di parità e senza oppressioni di alcun genere. Le donne non sono una merce. Non sono in vendita.

(Applausi da diversi banchi)

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. Signor Presidente, onorevoli deputati, le questioni poste dalla presidente Záborská e dalle altre onorevoli rappresentanti intervenute mi impongono una risposta dettagliata: è giusto e doveroso da parte mia fornire risposte concrete. Nelle varie questioni sono stati toccati 16 punti diversi, con domande molto precise alle quali tenterò di dare una risposta.

In termini più generali, ritengo impensabile che si possa approfittare di un evento sportivo, che per principio dovrebbe costituire l’esaltazione di valori positivi, per tollerare o incoraggiare la prostituzione forzata. Al riguardo ho sentito un riferimento davvero triste, ovvero che il calcio e il sesso vanno insieme, come se la prostituzione forzata fosse la conseguenza inevitabile di un grande evento sportivo. Ma sarebbe la negazione dei valori più sani dello sport.

Risulta pertanto necessario iniziare dalla legislazione, precisamente dalla legislazione europea pertinente adottata in questo senso, la quale prevede l’incriminazione per quanti contribuiscono a costringere alla prostituzione persone, donne e bambini in particolare, ma bisogna dirlo, anche uomini.

Come sapete, esiste una decisione quadro europea, mentre attualmente, per quanto riguarda la Germania, una legge nazionale è entrata in vigore nel 2005, ossia è una legge pienamente applicabile; prepareremo inoltre entro la fine di aprile una relazione al Consiglio e al Parlamento sull’applicazione della decisione quadro sul traffico di esseri umani e sulle misure penali di incriminazione per garantire che tutti gli Stati membri abbiano adottato leggi nazionali di trasposizione di questa decisione quadro prima del periodo di svolgimento del campionato della coppa del mondo di calcio.

Tra le norme più importanti ce n’è una che impone agli Stati membri di perseguire penalmente i responsabili nel paese di provenienza e non nel paese dove hanno commesso il reato. La decisione quadro lo prevede al fine di assicurare l’effettivo svolgimento di un processo e l’irrogazione delle sanzioni penali.

Dopo la presentazione del rapporto, entro la fine di aprile, il Consiglio, e se lo riterrà opportuno anche il Parlamento, potranno affrontare a fondo il tema delle ulteriori misure che a livello europeo, a livello legislativo europeo, potrebbero essere adottate. A mio parere, in relazione a queste misure, si dovrebbe pensare, anche senza rispondere già non oggi in via definitiva, alla punibilità di coloro che come clienti si avvalgono delle prestazioni di persone, sapendo che sono state vittime di costrizione e addirittura in qualche caso di un vero e proprio traffico che le ha ridotte in schiavitù.

Ovviamente la questione delle legalità della prostituzione viene affrontata nei paesi membri in modo molto diverso, tuttavia a mio parere, se il cliente è consapevole che la persona con cui si intrattiene è vittima del traffico, di una forzatura, di una costrizione, allora va fatta una riflessione ulteriore, anche dal punto di vista di un’eventuale sanzione penale.

In questo ambito il ruolo di Europol e di Eurojust devono essere ovviamente potenziati. Tra gli argomenti prioritari che ho sollevato quando ho incontrato il Presidente di Eurojust e il Direttore di Europol c’era proprio quello di rafforzare la capacità di Europol e di Eurojust nell’applicazione del piano di azione contro il traffico degli esseri umani da noi presentato, come questo Parlamento ricorda, alla fine dello scorso anno. Europol può avere un ruolo molto importante nel coordinamento di azioni a livello europeo contro queste forme odiose di criminalità. Lo abbiamo già fatto con successo per colpire la pedofilia, riuscendo grazie ad un’azione di Europol a smantellare una rete di pedofili in 13 paesi europei; questa è un’altra strada che va perseguita.

C’è poi la questione specifica della Coppa del mondo in Germania: avevo promesso a questo Parlamento, quando per la prima volta si discusse del tema, di interessare formalmente il ministero federale tedesco degli Interni. Ovviamente l’ho fatto e il Ministro Schäuble, al quale mi sono rivolto, mi ha risposto pochi giorni fa assicurandomi formalmente non solo che la legge federale entrata in vigore sarà rigorosamente applicata, ma che seguirà anche in modo specifico iniziative di prevenzione sul terreno in tutte le città della Germania interessate dallo svolgimento delle partite di calcio.

Posso quindi affermare con certezza che il governo federale tedesco, per bocca del suo ministro degli Interni, non solo assicura una piena collaborazione, ma sollecita anche una riflessione da parte del Consiglio dei ministri degli Interni che si riunirà ad aprile per esaminare il tema al fine di elaborare una strategia operativa, in questo caso non legislativa, ma proprio operativa di prevenzione sul terreno, al fine di evitare che l’evento sportivo sia utilizzato per trasferire un enorme numero di vittime di questo odioso traffico.

A questo punto vorrei fare due riflessioni sulle misure concrete che in veste di rappresentante della Commissione intendo presentare al vertice di aprile del Consiglio dei ministri degli Interni. Anzitutto per quanto riguarda il tema dei visti, confermo con grande chiarezza in particolare all’onorevole Groener, ma anche a quanti mi hanno scritto una lettera dopo il seminario dell’8 marzo, che non ho mai né inteso né voluto né pensato l’introduzione di visti per donne. I visti non si introducono per categorie di persone, i visti si regolamentano per paesi, per nazionalità. Avevo annunciato l’intenzione di valutare se alcuni paesi terzi, considerabili a rischio, siano ancora oggi non soggetti a visto e quindi eventualmente se fosse opportuno estendere il visto temporaneamente per un paese di provenienza di un probabile traffico; ovviamente non per le donne, mi scuso se sono stato frainteso al seminario dell’8 marzo.

Ho approfondito il tema e posso anche darvi la risposta: non ci sono paesi terzi rispetto all’Unione europea dai quali, secondo dati delle polizie, provengono flussi di traffico di esseri umani non soggetti a visto. Non sarà quindi necessario introdurre modifiche all’attuale regime dei visti solo perché tutti i paesi terzi cosiddetti a rischio – secondo le statistiche – sono già coperti da visto. In ogni caso non si sarebbe mai trattato di un visto per le donne, sarebbe stato solo previsto di un controllo maggiore su alcuni paesi. Il problema non sussiste, ma è evidente che occorre – e al Consiglio formulerò una proposta in tal senso – un controllo maggiore da parte dei consolati sulle effettive finalità di viaggi di gruppi di visitatori, in quanto è evidente che i trafficanti di donne per fini sessuali dichiarano o fanno dichiarare ragioni false.

Quindi il controllo spetta alle frontiere e ai consolati – ciò richiede una cooperazione tra tutti gli Stati membri dell’Unione europea – e dovrà essere un controllo rafforzato sulla veridicità degli obiettivi dichiarati. Come sapete, spesso si dichiara uno scopo puro e semplice di turismo che non corrisponde a verità. Un controllo approfondito è necessario.

Poi è evidente che, come alcune di voi hanno suggerito, sono indispensabili misure di concreto supporto alle vittime. Personalmente sono favorevole all’idea di promuovere linee telefoniche dedicate cioè delle linee telefoniche in grado, tramite un servizio di traduzione simultanea, di offrire un immediato soccorso nel più ampio numero possibile di lingue straniere.

Ovviamente ciò riguarda sia il periodo della coppa del mondo di calcio sia il periodo successivo: simili misure non possono cessare con il mese di luglio di quest’anno. Queste misure di sostegno immediato e operativo possono essere considerate proprio nel piano di azione europeo, grazie ai progetti e ai finanziamenti che l’Europa può destinare a proposte concrete di questo genere.

Un’altra misura che mi sembra necessaria è uno studio comparato di tutte le leggi degli Stati membri relative alla prostituzione e al rapporto tra la prostituzione, laddove è consentita, e il traffico di esseri umani a scopi sessuali. E’ evidente il legame tra l’aumento della domanda e, diciamo così, l’incentivo ai trafficanti a compiere quella ignobile attività. Esiste uno studio promosso proprio da questo Parlamento, precisamente uno studio sul crimine transnazionale. Partendo proprio da esso intendo proporre di condurre uno studio comparato per avere una visione più chiara di quale sia il legame tra l’aumento della domanda e l’aumento del traffico.

Naturalmente, sempre nell’ambito dei programmi Dafne, sarà possibile cofinanziare da parte dell’Unione europea iniziative in materia al fine di accrescere la consapevolezza nell’opinione pubblica sulla necessità di ridurre la domanda di prostituzione, infatti riducendo la domanda di prostituzione si limita o si contribuisce a limitare il traffico di persone per scopi sessuali.

Un’altra proposta che si può formulare riguarda un contatto più forte con i governi locali, con i governi delle regioni, con i governi delle città. E’ evidente che simili fenomeni hanno una diffusione nel territorio e infatti, come sapete, esiste una rete europea relativa alle attività di prevenzione della criminalità; vedremo se questa rete europea o altre formule potranno permettere di coinvolgere di più i governi locali nell’attività di prevenzione da un lato e di assistenza alle vittime del traffico dall’altro.

Per l’assistenza alle vittime c’è inoltre l’applicazione delle norme che sono state da ultimo citate, le quali garantiscono uno status alle donne vittime e a quanti sono in genere vittime del traffico di esseri umani o di costrizione alla prostituzione. In detta normativa europea è in particolare la direttiva europea del 2004 che garantisce un permesso di residenza, come qualcuno ha sollecitato poco fa, e voi sapete che gli Stati membri possono trasporre la direttiva europea entro il 6 agosto di quest’anno: fortunatamente alcuni Stati membri lo hanno già fatto, per incoraggiare un po’ gli Stati membri che non l’hanno fatto entro la primavera, cioè molto prima di agosto, convocherò un incontro tecnico con i rappresentanti di tutti gli Stati membri per capire quali problemi abbiano finora impedito la trasposizione nazionale di quella direttiva e per chiedere formalmente, prima della scadenza del termine, che tutti gli Stati membri entro agosto garantiscano alle vittime dello sfruttamento sessuale e del traffico di esseri umani lo status preferenziale che la normativa europea ha voluto.

Restano altre questioni importanti, per esempio la necessità di disporre di dati statistici effettivi sul fenomeno. Come già avevo anticipato, intendiamo promuovere fra poche settimane con un’apposita pubblicazione una riflessione e presenteremo una comunicazione europea su una tipologia di dati statistici europei relativi alla criminalità, con particolare riferimento a questo tipo di criminalità, onde avere almeno una certezza di dati statistici attendibili sul fenomeno, sulle sue vittime, sulle denunce presentate e sulle sanzioni comminate.

Ovviamente non è un’iniziativa dedicata solo al campionato della coppa del mondo in Germania, è una necessaria iniziativa a medio termine. Signora Presidente, mi accingo a concludere e mi scuso per la lunghezza, ma c’erano 16 punti diversi e non vorrei che qualcuno degli intervenuti poi dicesse che non ho dato risposte.

Promuoveremo un programma per accrescere a livello europeo la coscienza sul fenomeno. Sono personalmente favorevole all’idea di una giornata europea contro il traffico di esseri umani e contro la prostituzione forzata, intendo promuovere nelle prossime settimane un seminario a livello tecnico, aperto ovviamente a tutti, per lo scambio delle migliori pratiche per prevenire questo fenomeno. Grazie.

 
  
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  Presidente. La ringrazio, signor Commissario. Il forte impegno da lei profuso mi ha impedito di interromperla allo scadere dei dieci minuti che aveva a disposizione. Mi sarebbe veramente dispiaciuto molto doverla interrompere. Il tempo però si sta esaurendo e dobbiamo proseguire velocemente.

 
  
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  Nicole Fontaine, a nome del gruppo PPE-DE.(FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, ci sono voluti dei millenni prima che il mondo civilizzato riuscisse a sradicare la tratta degli schiavi, le condizioni disumane del lavoro, la sottomissione della donna per non parlare della pena di morte, senza contare poi che non tutte queste battaglie sono terminate.

Il secolo appena iniziato deve essere il secolo in cui sarà cancellata per sempre dalle nostre società la prostituzione coatta, la nuova forma di schiavitù che ogni anno miete migliaia di vittime tra donne e bambini. E’ questo il senso delle interrogazioni orali che la commissione per i diritti della donna ha presentato oggi.

Il Parlamento europeo – ho il piacere di ricordarlo – all’interno e all’esterno dell’Europa si pone come instancabile difensore dei valori universali della persona e della dignità umana. Lo scorso 16 gennaio approvando a schiacciante maggioranza la relazione dell’onorevole Christa Prets abbiamo già inviato un segnale molto forte che anche lei ha raccolto, Commissario Frattini, come d’altro canto hanno confermato le parole che lei ha pronunciato poc’anzi, se mai ce ne fosse stato bisogno.

Oggi le interrogazioni orali che abbiamo presentato si inseriscono nello spirito del voto dello scorso gennaio come pure nell’azione dell’8 marzo e ribadiscono la nostra indignazione. Siamo scandalizzati che i preparativi per l’imminente coppa del mondo di calcio si svolgano nella tolleranza più assoluta della promozione, oltre che della costruzione, di un luogo che qualcuno ha osato esaltare come il più grande bordello del mondo. E’ inammissibile, come lei stesso ha affermato, Commissario Frattini, che le competizioni sportive siano diventate ricettacoli della prostituzione coatta e organizzata.

Signor Commissario, le nostre proteste, seppur levate con forza, non sono sufficienti e lei l’ha ben compreso. Noi la ringraziamo per aver risposto a buona parte delle interrogazioni che le abbiamo posto. Visto che i campionati mondiali di calcio in Germania sono ormai imminenti, bisogna però agire con urgenza. Tutte le iniziative cui lei ha fatto accenno sono eccellenti, ma le faccio presente che devono essere attuate per tempo. Per tale ragione è necessario predisporre sin d’ora un attento monitoraggio. Il Parlamento europeo, da parte sua, vi contribuirà con tutte le sue forze.

 
  
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  Christa Prets, a nome del gruppo PSE.(DE) Signora Presidente, signor Commissario, sono lieta che siano state adottate molte delle proposte contenute nella mia relazione ed è importante sensibilizzare l’opinione pubblica con questo dibattito. A tal fine sono di capitale importanza i dati e le statistiche che devono essere uniformi, non solo all’interno dell’Unione europea, ma anche in relazione ai paesi terzi da cui arriveranno certamente parte dei flussi di visitatori. Bisogna tenere conto anche di questo.

Pur apprezzando tantissimo l’intenzione del Commissario di approntare uno studio sugli effetti della prostituzione in relazione al traffico di esseri umani, faccio presente che sarebbe opportuno considerare anche la prostituzione illegale oltre a quella legale. Sorgono infatti interrogativi anche in merito ai paesi in cui la prostituzione è vietata. Che dire poi della mobilità dei clienti delle prostitute? Nello studio dovrebbe essere valutato anche questo aspetto.

Signor Commissario, lei ha già spiegato lo scopo dell’introduzione di norme speciali per i visti in occasione della coppa del mondo di calcio. Presumo – e spero – che intenda anche inasprire i controlli sul rilascio di visti invece di introdurre visti temporanei; in tal caso infatti si porrebbe il problema del termine di inizio e di scadenza della validità. In realtà, guardiamo ai campionati mondiali di calcio come un’opportunità proprio per l’interesse che essi suscitano nell’opinione pubblica, e puntiamo proprio a far leva su questo interesse per mettere in luce il fenomeno e tutte le implicazioni legate all’evento sportivo. Il problema della prostituzione coatta però investe anche i congressi, le fiere e persino Strasburgo nei periodi di seduta del Parlamento. In questo senso diventa assolutamente problematico introdurre norme temporanee sui visti.

Le chiedo quindi di definire le sue priorità per il vertice del Consiglio previsto in aprile a Bruxelles. L’Austria dovrà prepararsi ad affrontare il problema se vuole ospitare i campionati europei nel 2008. Ecco perché i buoni suggerimenti sono di fondamentale importanza, ne abbiamo tutti bisogno in fondo.

Benché lei abbia sottolineato l’importanza di Europol, tradotto in termini concreti ciò significa che Europol deve essere dotato non solo di un maggiore organico ma anche di più poteri, altrimenti non si potrà far nulla. Si potrebbe parlare ancora molto di questo argomento, ma forse lo faranno altri colleghi.

 
  
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  Maria Carlshamre, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signora Presidente, ci troviamo a un bivio nella lotta contro la tratta di esseri umani. La scorsa settimana in occasione dell’8 marzo e ancora poco fa il Commissario Frattini ha annunciato che quest’anno sarà avviato uno studio approfondito sugli effetti delle leggi in materia di prostituzione in relazione alla tratta nei diversi Stati membri. E’ veramente una bella notizia.

Lo scorso settembre la commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere ha presentato uno studio analogo ma su scala minore. E’ stato il primo di questo genere. Da tale studio emerge nettamente che la criminalizzazione della domanda ha un impatto molto forte e provoca una spiccata diminuzione del numero di ragazze e di giovani donne oggetto della tratta. La legalizzazione, d’altro canto, ha l’effetto opposto: provoca un aumento del numero delle vittime.

I dati inoltre mostrano chiaramente che la legalizzazione della prostituzione non solo induce un aumento della parte legale dell’attività, ma anche un aumento della prostituzione illegale. Lo studio che sarà pubblicato dalla Commissione rafforzerà quindi la base di fatti concreti su cui imperniare le misure contro la tratta, in particolare criminalizzando la domanda. Non si tratta più di una questione di opinione, sono fatti. Apprezzo molto il lavoro svolto dal Commissario Frattini su questo versante. Vogliamo veramente contrastare la tratta di esseri umani? Esiste un modo per farlo. Abbiamo abbastanza coraggio?

 
  
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  Margrete Auken, a nome del gruppo Verts/ALE.(DA) Signora Presidente, personalmente non attribuisco alcun significato all’espressione “prostituzione coatta”, poiché la prostituzione è sempre un fenomeno legato alla coercizione; il mio gruppo tuttavia sostiene la risoluzione che ci è stata presentata. Il traffico di esseri umani è un commercio di schiavi. E’ un crimine vergognoso, abietto e discriminatorio. E’ quindi fondamentale che l’Assemblea si attivi maggiormente per aiutare le donne e i bambini vittime della tratta, una categoria estremamente debole e vulnerabile.

A titolo personale mi compiaccio per il dibattito approfondito che stiamo tenendo in materia di prostituzione. E’ importante mettere definitivamente fine al mito della prostituta felice. La maggioranza delle prostitute vive una vita misera, corre costantemente il rischio, ad esempio, di subire percosse e stupri e di contrarre malattie veneree. In nessun settore della società è ammissibile che la vita lavorativa possa infliggere un danno così tremendo alla persona. Inoltre tra i deputati di quest’Aula chi sarebbe felice che la propria figlia si desse alla prostituzione? A questo punto potrebbe essere molto utile proseguire e ampliare il dibattito.

 
  
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  Vittorio Agnoletto, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, i mondiali di calcio in Germania sono un’occasione per affrontare la questione dello sfruttamento di esseri umani.

A mio parere, bisogna appoggiare le iniziative portate avanti dalla Commissione per i diritti della donna; condivido l’idea di lanciare una campagna informativa, educativa per combattere il fenomeno dello sfruttamento sessuale.

Occorre intraprendere iniziative a livello europeo, anche attraverso strumenti internazionali quali la Convenzione del Consiglio d’Europa, ma è altrettanto importante operare una distinzione chiara che separi il mondo della prostituzione forzata da coloro che la praticano come libera scelta. Esistono infatti associazioni di donne e uomini che si prostituiscono, una loro rappresentanza è venuta qui al Parlamento, per chiedere il riconoscimento della loro professione, a cominciare da una Carta dei diritti e da una dichiarazione dei principi.

Sul piano politico risulta necessario stabilire se una donna non obbligata a prostituirsi sia libera di farlo oppure no. Riconoscere la prostituzione volontaria e lo statuto di una professione significa riconoscere una serie di diritti e di doveri; tra i diritti, per citarne qualcuno, quello di vivere in modo libero e sicuro, di praticare il proprio lavoro liberi dalla schiavitù, di sposarsi, visto che in alcuni paesi questo non è ammesso.

(L’oratore è interrotto dalla Presidente)

 
  
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  Urszula Krupa, a nome del gruppo IND/DEM.(PL) Signora Presidente, il dibattito di oggi sul traffico di esseri umani e sulla prostituzione coatta nel contesto di eventi sportivi mondiali è emblematico del dramma che vivono le migliaia di donne sfruttate nel mercato del sesso. Tale discussione inoltre dimostra quanto sia assurdo il concetto liberale di libertà secondo cui tutti sono liberi di agire come meglio credono. Questo tipo di licenza porta dritto all’omicidio, alla diffusione di malattie, alla tossicodipendenza, alla prostituzione, alla pornografia e ad altri mali di questo genere.

L’autentica libertà ha senso quando è al servizio della verità e dell’amore. Di conseguenza, la violenza, la manipolazione e l’inganno devono essere bollati come distruttivi e inaccettabili, mentre la prostituzione deve essere percepita come sfruttamento della persona. L’impiego del cosiddetto “cartellino rosso” per combattere la prostituzione e affrontare le moderne forme di schiavitù appare un approccio alquanto inefficace e scoordinato nel contesto della propaganda liberale. E’ necessario invece introdurre restrizioni a livello giuridico.

 
  
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  Jan Tadeusz Masiel (NI).(PL) Signora Presidente, nel 1999 in Belgio sono stato testimone diretto del trattamento che fu riservato a una donna polacca violentata da un albanese. A questa donna fu ingiunto di lasciare il paese dopo che ebbe sporto denuncia alla polizia. Non si sa invece quale sia stato il destino dello stupratore. Potrebbe anche averla fatta franca filandosela via, in quanto era un candidato con requisiti abbastanza scarsi per poter ottenere asilo. La sfortunata vittima dello stupro invece non ebbe alcun genere di risarcimento o di sostegno psicologico, benché queste misure in realtà fossero previste. Fu impossibile aiutare la vittima, poiché le fu notificato l’obbligo di lasciare il paese entro tre giorni.

E’ quindi importante concedere uno status speciale alle vittime della violenza, degli stupri e della prostituzione coatta, consentendo la residenza temporanea nel paese e assicurando un qualche sostegno finanziario.

 
  
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  Edit Bauer (PPE-DE). (SK) Signora Presidente, signor Commissario, la tratta di esseri umani è inequivocabilmente un sopruso gravissimo dei diritti umani e uno dei fenomeni più spregevoli che funestano il mondo di oggi. Questa moderna forma di schiavitù cui assistiamo non può esistere in una società civilizzata. In realtà però ha una portata imponente e miete migliaia di vittime in Europa. Oltretutto si stima che l’85 per cento delle vittime tra donne e ragazze sia oggetto di abusi sessuali.

In tale contesto desidero porre in luce due questioni in particolare. La Convenzione europea contro la tratta di esseri umani funge da strumento giuridico, ma, stando alle informazioni pubblicate sul sito del Consiglio d’Europa, sono 13 i paesi europei, membri dell’UE, che non hanno firmato la Convenzione, mentre nessuno sinora l’ha ratificata. Neppure l’Unione europea ha firmato questo strumento. Signor Commissario Frattini, come intende affrontare questa questione? In secondo luogo, mi chiedo come sia possibile contrastare efficacemente la tratta di esseri umani, se la domanda è sostanzialmente invisibile e, a parte alcuni casi, se questo genere di servizi continua a essere tollerato. Secondo alcune ricerche, gli europei spendono miliardi di euro per acquistare questi servizi e di conseguenza la domanda diventa la forza trainante di un’attività che in fin dei conti è estremamente lucrosa.

Attendo quindi con ansia che siano presentate la strategia e la comunicazione che ci è stata promessa sui piani d’azione tesi a contrastare il traffico di esseri umani che, a mio parere, rappresentano il quadro più appropriato per continuare la nostra discussione su questo importante tema e per esprimere le nostre opinioni al riguardo.

 
  
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  Martine Roure (PSE).(FR) Signora Presidente, in molti paesi migliaia di donne vengono sfruttate e sono costrette a prostituirsi; le vittime di questa prostituzione coatta sono perlopiù giovani donne che si trovano in una situazione precaria.

Le più fragili vengono soggiogate dai protettori che le sorvegliano e infliggono loro angherie fisiche, economiche e morali, spesso accompagnate da minacce di morte. Ci si può allora chiedere perché queste donne non denunciano i loro sfruttatori. Talvolta è l’amore a frenarle, ma più spesso la paura. Esse allora, in preda alla disperazione, accettano questo incubo poiché non hanno più altra scelta.

Per alcune esiste persino una fase quasi congeniale della prostituzione. Eppure vediamo sempre più spesso, senza vederle veramente, queste nuove schiave che passeggiano sui marciapiedi. Se la ragazza non lavora abbastanza, subisce un’infinità di abusi fisici. Lo sfruttatore esercita su di lei pressioni costanti per incitarla a essere più redditizia. Laddove la prostituzione è legale, il protettore difende la ragazza, la mette in relazione con i titolari della casa di tolleranza e la costringe a piegarsi a ogni genere di richiesta. Per realizzare i suoi fini ricorre alla seduzione, alle minacce, alla violenza. La vittima è costretta a consegnare il suo guadagno al protettore direttamente o tramite terzi.

Sotto la minaccia della violenza, queste giovani donne sono costrette a lavorare per saldare debiti piuttosto ingenti contratti per coprire il costo del loro viaggio e del loro documento di identità. Essendo clandestine e molto spesso private del denaro, non hanno più alcuna prospettiva di migliorare la loro condizione. Quando si oppongono alle pressioni dei trafficanti, esse stesse o i loro figli o le loro famiglie subiscono intimidazioni. E’ una situazione senza uscita e le condizioni dell’ambiente in cui lavorano spesso le fanno sprofondare nella tossicodipendenza.

Nessuno si può lavare le mani dinanzi a un dramma di queste proporzioni. Noi abbiamo il dovere di lottare contro questa infamia, come altri che prima di noi hanno lottato contro la schiavitù, contro il razzismo e contro le limitazioni arbitrarie alla libertà. Questa discussione in fondo ci riguarda tutti in tutti i paesi europei.

 
  
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  Milan Horáček (Verts/ALE).(DE) Signora Presidente, è molto importante che le modalità di lotta contro la tratta di esseri umani e delle donne siano discusse prima del fischio d’inizio dei campionati mondiali di calcio in Germania. Stiamo parlano di un aumento nel numero di prostitute dell’ordine delle migliaia, la maggior parte di queste persone saranno costrette a lavorare contro la loro volontà e sotto coercizione. I miei lunghi anni di esperienza con le ONG nel campo della prostituzione minorile nelle zone di confine tra la Repubblica ceca, la Germania e l’Austria mi hanno portato alla conclusione che questi reati possono essere affrontati solo migliorando le leggi, attribuendo maggiori poteri alle diverse istituzioni e autorità e attraverso la cooperazione transfrontaliera con l’Europa centro-orientale. In una prospettiva di lungo termine, però, occorre contrastare la povertà e organizzare campagne di informazione in modo da cancellare per sempre la prostituzione coatta. Istituendo una giornata di lotta contro la tratta poi anche l’opinione pubblica sarà sensibilizzata al problema.

 
  
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  Johannes Blokland (IND/DEM).(NL) Signora Presidente, le interrogazioni presentate sono pregevoli per il modo in cui affrontano i temi del traffico di esseri umani e della prostituzione. In particolare sostengo con fervore la richiesta di approntare uno studio sulla relazione tra questi problemi e la situazione che si sta delineando in vista dei campionati mondiali di calcio. Ho trovato eccellente la risposta del Commissario Frattini e mi compiaccio che la Commissione sia disposta a svolgere uno studio comparativo sulla prostituzione nei diversi Stati membri a livello giuridico e concreto e sull’impatto delle varie politiche attuate.

Chiedo quindi al Commissario Frattini di prendere in considerazione anche la trasparenza e il controllo sulla prostituzione, l’entità della prostituzione coatta, le opportunità offerte alle prostitute che intendono lasciare la professione e la domanda di prostituzione. Vorrei inoltre avere maggiori ragguagli in merito alle modalità più efficaci per contrastare gli effetti nefasti della prostituzione. Per concludere devo dire che sono oltremodo soddisfatto per il tono che ha assunto questo dibattito.

 
  
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  Christa Klaß (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, un’amica di mia figlia, che ha 20 anni, ultimamente mi ha detto, saltando di gioia, che aveva trovato lavoro come hostess ai campionati mondiali di calcio. Le chiesi allora come lo aveva trovato e lei – una ragazza molto sportiva – mi disse che aveva fatto domanda all’Associazione sportiva tedesca.

In questo caso sono certa che si tratta di una proposta di lavoro del tutto seria, ma immaginate di vivere nella povertà e che vostra figlia vi annunci che quest’estate ha la possibilità di andare in Germania dove l’attende un bellissimo lavoro. Ovviamente i genitori sono sempre felici per le opportunità che i propri figli riescono a ottenere, ma chi in effetti considera i rischi o si accerta che l’offerta sia seria? Questo oltretutto è solo uno dei possibili scenari in cui si innescano drammi del genere.

Dobbiamo quindi cominciare fornendo informazioni sulla sede delle persone – il Commissario ha fatto accenno ai molti studi che sono stati fatti – ma dobbiamo sensibilizzare l’opinione pubblica, genitori e ragazzi, circa i pericoli insiti nelle offerte di lavoro equivoche. Sappiamo che la domanda dei servizi sessuali lievita in occasione di eventi di grande portata come i campionati mondiali di calcio e ovviamente aumenta di pari passo anche l’attività criminosa legata alla tratta e alla prostituzione coatta.

Sono pochissime le donne e i bambini che lavorano fuori dai bordelli o senza la protezione di uno sfruttatore. Migliaia di persone vengono attirate nell’Unione europea dall’Europa centro-orientale, dall’Africa, dall’Asia e dall’America latina, abbagliate dalle bugie e sono costrette a lasciare il proprio paese a causa della povertà e per poter sfamare la famiglia. Una volta arrivate in Europa le loro vite vengono spezzate, sono sfruttate nella maniera più bieca e quindi perdono la propria dignità e il rispetto per se stesse.

Oltre a fornire informazioni sul posto, dobbiamo prendere provvedimenti idonei anche nel paese che ospita l’evento, come campagne di comunicazione e un numero verde plurilingue attivo 24 ore al giorno; si tratta di provvedimenti in corso di esame, motivo per cui li sosteniamo. Nel caso in oggetto in vista dei mondiali di calcio dobbiamo assolutamente estrarre il cartellino rosso. Invito quindi l’Assemblea a discutere delle modalità per farlo.

 
  
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  Katerina Batzeli (PSE).(EL) Signora Presidente, il fenomeno della tratta delle donne è un problema di proporzioni mondiali che si acuisce ancor più in vista di eventi sportivi. Ovviamente all’interno del problema non può esserci una distinzione tra prostituzione coatta e prostituzione “volontaria”, giacché entrambe le forme hanno la medesima radice: le cause sono l’indigenza estrema e l’emarginazione sociale che portano le donne sull’orlo dello sfruttamento. Tuttavia, anche da un punto di vista giudiziario, quando le vittime decidono di prendere parte ai procedimenti, com’è possibile tracciare una distinzione tra prostituzione coatta e prostituzione in genere e come è possibile punire i responsabili?

E’ assolutamente fondamentale garantire che gli eventi sportivi rimangano nella coscienza di tutti come esempi di valori e di cultura. Qualsiasi cosa che possa macchiare gli incontri di culture deve quindi essere estirpata. Signor Commissario Frattini, credo che le proposte cui lei ha accennato insieme alle proposte dell’onorevole Prets formino un quadro solido a livello europeo e internazionale.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE-DE).(PT) Signora Presidente, signor Commissario Frattini, onorevoli colleghi, desidero ringraziare il Commissario per l’attenzione che ha dedicato al tema del traffico di esseri umani. E’ una delle manifestazioni più orrende della criminalità internazionale. E’ una grave violazione dei diritti umani e delle leggi in materia di immigrazione e di lavoro e ha un effetto altamente negativo sulla sicurezza nazionale e internazionale.

Stando ai dati delle Nazioni Unite, questo genere di crimine registra un’allarmante crescita ed è divenuto l’attività più lucrosa della criminalità internazionale. E’ un fenomeno transnazionale ed è fonte di grande preoccupazione per moltissimi paesi, siano essi paesi d’origine, di transito o di destinazione.

Occorre quindi una strategia complessiva e coordinata che implichi uno sforzo maggiore sia sul fronte legislativo che su quello operativo. A livello legislativo con l’adozione della decisione quadro nel 2002 sono state armonizzate le disposizioni penali e le sanzioni applicabili tra gli Stati membri, mentre i giudici ora possono spiccare mandati di arresto europei anche in altri Stati membri per i criminali dediti alla tratta di esseri umani; in effetti è stato un passo importante.

Questa decisione quadro avrebbe dovuto essere recepita entro l’agosto del 2004. Ad oggi però stiamo ancora aspettando la relazione sulla valutazione delle misure varate a livello nazionale e sull’attuazione da parte degli Stati membri.

A livello operativo ritengo che le principali priorità siano: il rafforzamento di Europol, che al momento è sottoutilizzato, una reazione rapida e complessiva a sostegno delle vittime, in modo da offrire loro un’assistenza immediata, e il miglioramento dello scambio di informazioni e di dati statistici, cui anche il Commissario ha alluso poc’anzi.

 
  
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  Edite Estrela (PSE).(PT) Signora Presidente, signor Commissario Frattini, onorevoli colleghi, il traffico di esseri umani è un flagello che va combattuto con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione. Ogni anno oltre 700 000 donne e bambini cadono nella rete dei trafficanti. Solo in Europa 100 000 donne e bambini all’anno finisco nella spirale della tratta e subiscono atti che violano la loro integrità fisica e nuocciono alla loro salute mentale.

La tratta di donne e bambini è l’attività criminosa che registra l’aumento più rapido ed è noto che il problema si acuisce in concomitanza con grandi eventi sportivi. La tratta di donne inoltre si ricollega all’immigrazione clandestina. Sono infatti migliaia le donne ingannate dalla promessa di un lavoro dignitoso e ben pagato che poi vengono costrette a prostituirsi.

Alla luce di quanto è stato detto, i mondiali di calcio fornisco alla Commissione l’occasione di stabilire un valido precedente nella lotta contro la tratta e lo sfruttamento sessuale delle donne attraverso programmi sull’inclusione sociale e sulla riabilitazione delle donne, nonché mediante l’assistenza legale, medica, psicologica e linguistica.

 
  
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  Manolis Mavrommatis (PPE-DE).(EL) Signora Presidente, il fenomeno dello sfruttamento di donne e bambini sotto forma di prostituzione coatta in concomitanza con grandi eventi sportivi è uno dei mali più orrendi della nostra epoca. In un’era in cui la parità di genere, la libertà di pensiero e i diritti umani sono al centro dei nostri interessi e delle nostre riflessioni, credo che aprire i confini all’Unione europea democratica sia un’opportunità, mentre mi pare un insulto offrire asilo alla criminalità organizzata sotto forma di prostituzione coatta di donne e bambini.

I dati elaborati in vista dei mondiali di calcio in Germania sono allucinanti. E’ impossibile immaginare che 40, 50 o 100 mila donne e bambini di tutto il mondo confluiscano a frotte in un paese europeo con un unico fine, e si parla di donne e bambini che a causa della povertà e dell’incapacità del mondo di affrontare il problema saranno sacrificati sull’altare del sesso a pagamento della prostituzione.

Signor Commissario, offrire consulenza o varare leggi nazionali non è sufficiente per combattere il fenomeno. Non è abbastanza prevenire le gravissime malattie che minacciano la salute a causa del sesso a pagamento affidandosi alla distribuzione di migliaia di milioni di contraccettivi gratuiti, come è accaduto altre volte in occasione di grandi eventi sportivi. E’ nostro dovere non legalizzare tacitamente l’umiliazione inflitta a donne e bambini che nella società vengono gettati in pasto ai leoni degli interessi economici per mezzo della prostituzione coatta.

Vorrei concludere, signor Commissario, rammentando che lei nel corso di una recente visita ad Atene ha proposto di proclamare il 25 marzo giornata internazionale di lotta contro il traffico di esseri umani. Le chiedo di spostare la commemorazione al giorno successivo, in quanto il 25 marzo è una festività in Grecia, una delle ricorrenze più significative della nostra storia. Pur rispettando le donne, onoriamo anche le festività nazionali. La ringrazio sin d’ora.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ ON. ONYSZKIEWICZ
Vicepresidente

 
  
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  Presidente. Comunico di aver ricevuto una proposta di risoluzione ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 5, del Regolamento(1).

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà mercoledì alle 11.30.

Dichiarazione scritta (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Godfrey Bloom (IND/DEM).(EN) La tratta di esseri umani, o schiavitù, come veniva chiamata un tempo quando l’Impero britannico vi mise fine con la forza della Royal Navy, ora ritorna ad essere un triste dato di fatto nel nuovo impero di Bruxelles. Questo meschino commercio viene involontariamente favorito da un programma politico dominato da lesbiche che odiano gli uomini e che non hanno alcuna conoscenza e comprensione del mondo reale. Se ne dubitate, date un’occhiata ai siti Internet di questa gente e giudicate da soli.

 
  

(1) Cfr. Processo verbale.


18. Trasferimento di imprese nel contesto dello sviluppo regionale (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0013/2006), presentata dall’onorevole Hutchinson a nome della commissione per lo sviluppo regionale, sulle delocalizzazioni nel contesto dello sviluppo regionale [2004/2254/(INI)].

 
  
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  Alain Hutchinson (PSE), relatore. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, la mia relazione verte su un tema – quello delle delocalizzazioni delle imprese – delicato ma di scottante attualità. Ho toccato con mano la delicatezza dell’argomento non appena ho presentato il mio primo progetto di relazione alla commissione per lo sviluppo regionale; anche se non sono deputato da molto tempo, devo dire che raramente ho assistito a un dibattito così acceso in sede di commissione. Tuttavia il confronto delle idee è spesso illuminante, e a mio parere siamo giunti a elaborare un testo valido ed equilibrato, che espone parecchie idee interessanti e ci consente di demistificare, chiarire e comprendere meglio i complessi meccanismi di questo autentico problema sociale. Approfitto del tempo che mi è stato concesso per ringraziare i relatori ombra, oltre a tutti i colleghi che hanno contribuito a elaborare questa relazione.

Onorevoli colleghi, in quest’Aula sono numerosi – in generale, anche se non forse stasera – coloro che hanno potuto constatare personalmente come assai spesso le delocalizzazioni abbiano notevoli conseguenze economiche per la regione che le subisce. Tuttavia, una delocalizzazione significa anche – ed è questo il punto che ci tocca più da vicino – perdita di posti di lavoro, ed è quindi un dramma per le famiglie che ne rimangono vittima.

D’altra parte, la prima osservazione preliminare che ho avuto modo di fare mentre preparavo questa relazione riguarda la debolezza dello strumento statistico europeo in questo campo; ho potuto del resto constatare che la nostra Assemblea aveva già affrontato questo problema in occasione di altre relazioni. In una prima risoluzione del 13 marzo 2003, relativa alla chiusura di imprese che avevano goduto di aiuti finanziari dell’Unione europea, il Parlamento europeo additava il grave pericolo che le delocalizzazioni rappresentano per l’obiettivo principale della politica regionale, ossia la coesione economica e sociale. C’è stata poi la risoluzione presentata il 6 luglio 2005 dal collega Hatzidakis sulla riforma dei Fondi strutturali; in quell’occasione il Parlamento ha formulato numerose proposte sul tema delle delocalizzazioni.

La mia relazione si riallaccia naturalmente alle risoluzioni votate in precedenza dal Parlamento europeo: ho cercato di riprenderne i principi essenziali. Dopo aver ricordato che la politica di sviluppo regionale intende favorire lo sviluppo delle regioni dell’UE, e che gli aiuti pubblici non devono incoraggiare le delocalizzazioni di attività economiche, la relazione approvata dalla commissione per lo sviluppo regionale propone di adottare, a livello comunitario e nazionale, misure per prevenire sia le potenziali conseguenze negative che le delocalizzazioni potrebbero avere sullo sviluppo economico, sia i drammi sociali che dalle delocalizzazioni derivano.

In primo luogo, chiediamo di poter disporre di uno strumento che ci consenta l’accesso a informazioni più precise. Proponiamo quindi di affidare all’Osservatorio di Dublino l’incarico di studiare, valutare e seguire il fenomeno delle delocalizzazioni, per poterne stimare in maniera oggettiva le ripercussioni sul piano economico e sociale nonché sulla politica di coesione e di sviluppo regionale. Oltre a questo strumento – e in assenza di un miglior coordinamento dei nostri sistemi sociali nazionali – la commissione per lo sviluppo regionale giudica ormai indispensabile adottare una strategia europea globale di prevenzione, inquadramento e monitoraggio delle delocalizzazioni di imprese all’interno e all’esterno dell’Unione. Proponiamo alcune misure che analizziamo concretamente nella relazione.

In primo luogo – e si tratta, mi sembra, di un elemento essenziale della relazione – chiediamo alla Commissione di adottare tutte le misure necessarie per evitare che la politica regionale europea possa incoraggiare le delocalizzazioni.

In secondo luogo, sosteniamo la proposta, avanzata dalla Commissione, di punire le imprese che, pur avendo usufruito di un aiuto finanziario dell’Unione europea, delocalizzano le loro attività in un arco di sette anni a decorrere dalla concessione dell’aiuto. Chiediamo pure che, in caso di mancato rispetto della legislazione nazionale e internazionale, queste stesse imprese non possano più beneficiare di aiuti pubblici per il loro nuovo luogo di attività.

Chiediamo alla Commissione di prevedere misure per quelle che definisco delocalizzazioni invertite ossia quelle che comportano un deterioramento delle condizioni occupazionali senza trasferimento dell’attività dell’impresa. Riteniamo che la concessione e il mantenimento degli aiuti pubblici a vantaggio delle imprese vadano subordinati a impegni precisi in fatto di occupazione e sviluppo locale. Suggeriamo alla Commissione di mettere a punto un dispositivo per comminare sanzioni più severe alle aziende che, dopo aver fruito di aiuti pubblici, delocalizzano in tutto o in parte le proprie attività all’esterno dell’Unione europea. Chiediamo inoltre alla Commissione di includere clausole sociali nei trattati internazionali, e chiediamo inoltre di affiancare all’applicazione di tali clausole azioni positive e incentivi a favore dei paesi e delle imprese che alle clausole si attengono. Appoggiamo inoltre la proposta della Commissione finalizzata alla creazione di un Fondo di globalizzazione per prevenire e affrontare le crisi economiche e sociali risultanti dalle ristrutturazioni e dalle delocalizzazioni.

Infine, la commissione per lo sviluppo regionale ritiene che le conseguenze di non poche delocalizzazioni dovrebbero indurci a riflettere in maniera aperta e costruttiva sulla problematica della creazione di un effettivo spazio sociale europeo, e ritiene che il dialogo sociale debba svolgere un ruolo di primo piano in sede di prevenzione delle delocalizzazioni e di esame delle incidenze ad esse correlate.

Onorevoli colleghi, da qualche tempo, come sappiamo e come costantemente si ripete, l’Unione europea sta attraversando una crisi di grande rilievo. L’aspetto più grave di tale crisi è certamente la perdita di fiducia o il disinteresse dei cittadini per il grande e storico progetto dell’integrazione europea. Sia tramite questa risoluzione sulle delocalizzazioni, sia per mezzo di altri testi, noi – deputati europei, rappresentanti eletti del popolo europeo – abbiamo il dovere di ascoltare e comprendere questa inquietudine. Penso che la relazione da noi votata in commissione contenga interessanti indicazioni di lavoro e costituisca una risposta alle legittime domande che i cittadini ci rivolgono in questo campo.

 
  
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  Stavros Dimas, Membro della Commissione. – (EL) Signor Presidente, desidero porgere le mie congratulazioni e un caloroso ringraziamento al relatore, onorevole Hutchinson, nonché alla commissione per lo sviluppo regionale, per quest’eccezionale relazione concernente un delicato problema che, nei mesi scorsi, è già stato al centro di un vasto dibattito negli Stati membri.

Senza nulla togliere alla delicatezza del problema, vorrei ricordare che il diritto di stabilimento in qualsiasi parte della Comunità rappresenta un diritto fondamentale, oltre che uno degli elementi essenziali del mercato unico. E’ perciò dannoso incentivare o vietare le decisioni relative agli investimenti. La specializzazione e i cambiamenti della località in cui viene esercitata l’attività economica rappresentano un elemento dello sviluppo economico, e sono anzi indispensabili se vogliamo stimolare la crescita e aumentare quantità e qualità dell’occupazione.

La Commissione è tuttavia lucidamente consapevole del fatto – già sottolineato dall’onorevole Hutchinson – che nell’ambito dell’Unione le delocalizzazioni di imprese e la perdita di posti di lavoro rappresentano fenomeni davvero preoccupanti. Naturalmente non possiamo interferire nelle decisioni prese da aziende e imprenditori nel quadro del loro lavoro, tuttavia siamo decisi a combattere le conseguenze sociali di tali decisioni.

Sia nell’attuale periodo di programmazione che in quelli successivi, gli obiettivi dei Fondi strutturali rimarranno la creazione di posti di lavoro, la crescita e l’ulteriore progresso economico. Si tratta di obiettivi flessibili, perfettamente in grado di alleviare e limitare le difficoltà che, nelle regioni interessate e per i cittadini, insorgono quando un’azienda decide di chiudere e delocalizzare in tutto o in parte le proprie attività economiche in un altro Stato membro o al di fuori dell’Unione europea.

I regolamenti attuali, ma anche quelli che adotteremo in futuro, impongono a qualsiasi azienda che abbia ricevuto un finanziamento a titolo dei Fondi strutturali dell’Unione europea e delocalizzi nel giro di cinque anni dall’ottenimento della sovvenzione stessa di restituire la sovvenzione. Grazie a questa norma sarà possibile porre fine alla caccia alle sovvenzioni da parte delle imprese.

Concludo assicurandovi che la Commissione esaminerà attentamente qualsiasi proposta il Parlamento intenda presentare nel quadro dei dibattiti sui regolamenti futuri.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), relatore per parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali. – (PT) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, sappiamo quanto siano gravi le delocalizzazioni di imprese in diversi paesi dell’Unione europea: esse aggravano la disoccupazione, la povertà e l’esclusione sociale ostacolando lo sviluppo di vaste regioni e soprattutto di paesi dall’economia debole come il Portogallo, in cui predominano le cosiddette industrie tradizionali come il tessile e l’abbigliamento, la calzatura e la ritorcitura.

E’ evidente, come si sottolinea nel parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, che la delocalizzazione non riguarda soltanto le industrie tradizionali ma anche industrie ad alta intensità di capitale, per esempio la siderurgia, l’aeronautica, la meccanica e le attrezzature elettroniche, senza trascurare importanti settori dei servizi come lo sviluppo di programmi informatici e i servizi finanziari, l’informazione e la logistica.

E’ positivo che la commissione per lo sviluppo regionale, attraverso il relatore, onorevole Hutchinson, abbia accolto la maggior parte dei suggerimenti avanzati dalla commissione per l’occupazione e gli affari sociali, e in particolare la proposta di inserire clausole sociali nei trattati internazionali, sulla base delle Convenzioni dell’OIL, per ottenerne il rispetto da parte dei paesi e delle aziende; personalmente, tuttavia, considero tali misure insufficienti. Ciononostante, come già avevamo sostenuto in occasione del dibattito e del voto sulla risoluzione del Parlamento del 13 marzo 2003 relativa alla chiusura di aziende beneficiarie di un aiuto finanziario dell’Unione europea, è indispensabile che la Commissione e gli Stati membri agiscano per impedire il protrarsi di questo autentico flagello economico e sociale che serve unicamente a incrementare i profitti delle multinazionali e dei gruppi economici che non dimostrano il minimo segno di responsabilità sociale.

E’ essenziale che questo dibattito abbia una ricaduta pratica, per salvaguardare i diritti dei lavoratori ed evitare che negli Stati membri dell’Unione europea si continuino a finanziare gruppi economici con un passato di delocalizzazioni e disoccupazione.

E’ urgente che la Commissione europea, in collaborazione con gli Stati membri e tenendo conto del parere dei comitati aziendali europei, compili e renda nota una lista nera delle aziende e dei gruppi economici e/o finanziari che hanno utilizzato le delocalizzazioni per incrementare i propri profitti, esigendo altresì la restituzione degli aiuti concessi. Nei prossimi regolamenti in materia di Fondi comunitari la Commissione dovrà inoltre fissare requisiti più severi per la salvaguardia dell’occupazione e dello sviluppo regionale.

 
  
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  László Surján, a nome del gruppo PPE-DE. – (HU) Signor Presidente, la commissione per lo sviluppo regionale ha approvato questa relazione a larga maggioranza. Il relatore ha dovuto armonizzare posizioni del tutto divergenti, e merita il nostro ringraziamento.

Il gruppo PPE-DE non è mai stato favorevole a limitare le libertà – in questo caso la libertà di circolazione dei capitali. Il nostro compromesso si è basato su tale principio, e anche in futuro dovremo costantemente evitare di pensare che una limitazione delle libertà possa servire a risolvere i problemi locali. Purtroppo, la vicenda della direttiva sui servizi ci ha offerto di recente un allarmante esempio di questa tendenza.

Un protezionismo nato dall’egoismo e dalla paura avrà sempre conseguenze deprecabili. Nei paesi in cui il mercato del lavoro è stato aperto ai lavoratori provenienti dai nuovi Stati membri la produzione è cresciuta, mentre il livello della disoccupazione è diminuito. Altrove, alcune aziende hanno delocalizzato verso regioni in cui i salari sono più bassi. Le delocalizzazioni delle aziende sollevano molteplici preoccupazioni; se la proprietà di un’azienda bada solo al profitto, riuscirà forse a incrementare il livello dei profitti medesimi, ma a danno di altri. Un aumento degli utili a vantaggio degli azionisti non può certo confortare i dipendenti che perdono il lavoro perché la loro azienda ha delocalizzato in paesi in via di sviluppo, o magari in un’altra regione dell’Unione europea.

Dobbiamo quindi individuare i metodi migliori per realizzare il bene comune, ma temo che nessuna legge possa in alcun caso sostituire il sentimento di reciproca responsabilità che deve unire lavoratori e datori di lavoro, attenti tutti al benessere della controparte. Il rapporto tra lavoratori e datori di lavoro avrà un “volto umano” solo quando si baserà su considerazioni non puramente economiche, ma anche etiche. Sono certo perciò che, nella nostra ricerca di nuove strade e nuove soluzioni, dovremo tornare sul problema delle delocalizzazioni di imprese.

 
  
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  Constanze Angela Krehl, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, sono lieta che il relatore sia riuscito a raggiungere un compromesso così vasto su questa relazione dopo che all’inizio, in sede di commissione parlamentare, si erano registrate posizioni così fortemente differenziate; è un compromesso che sostengo senza riserve.

Vorrei sottolineare tre punti. In primo luogo, ho appreso con interesse che pochissime tra le imprese che delocalizzano i propri stabilimenti ricevono effettivamente aiuti europei, ossia aiuti pagati dai contribuenti europei, e credo che il tema della politica strutturale e di coesione, il quale si riconnette al problema della solidarietà con le regioni più deboli, non venga posto in discussione dalla nostra Assemblea.

In secondo luogo, occorre maggiore trasparenza nella modalità di attribuzione dei diversi tipi di aiuti alle imprese, per poter spiegare chiaramente agli elettori quali sono le attività dell’Unione europea e a chi viene destinato il nostro sostegno. In ogni caso, non tollereremo certo la caccia alle sovvenzioni.

In terzo luogo, per le delocalizzazioni che comportano la perdita di posti di lavoro si rende necessario uno strumento che consenta di venire in aiuto ai lavoratori colpiti: tale strumento potrebbe essere il Fondo di globalizzazione.

 
  
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  Jean Marie Beaupuy, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono lieto di constatare che, dopo aver dedicato lunghe ore di lavoro alla relazione dell’onorevole Hutchinson, siamo giunti – come hanno appena notato due colleghi – se non a un consenso assoluto, almeno a una convergenza su gran parte degli elementi.

Tornando alla relazione e alle osservazioni che sono state formulate, ritengo senz’altro opportuno tener conto della motivazione che ha guidato il collega Hutchinson, vale a dire il fatto che una delocalizzazione sconvolge i lavoratori che ne sono colpiti e la regione interessata. Infatti, ogni delocalizzazione importante costituisce un autentico trauma sia per i lavoratori che per l’intera regione.

Come ha detto anche il relatore, non è ammissibile che i responsabili di alcune imprese ricorrano al ricatto. Dobbiamo però ricordare che nell’ambito di un’economia aperta esistono differenze anche all’interno di una stessa regione, tanto che talvolta si registrano delocalizzazioni persino all’interno dei nostri paesi: vi sono differenze in termini di salari e di competitività tecnica, che possono effettivamente indurre un’impresa a delocalizzare alcune delle proprie unità produttive, sia che si tratti della produzione di beni che di quella di servizi.

Infine, non dimentichiamo che in base all’Atto unico europeo del 1986, dobbiamo agevolare la libera circolazione di beni, persone e servizi negli Stati membri. Prima di parlare di delocalizzazioni, occorre porsi la seguente fondamentale domanda: se un’impresa che deve far fronte alla concorrenza e offrire un servizio ai propri clienti non delocalizza, che altro deve fare? Non parlo dei truffatori; parlo di un certo numero di imprese che si sono trovate di fronte a questa scelta. Di fatto, un certo numero di queste imprese ha avuto successo creando e mettendo a punto un servizio di ricerca e sviluppo, creando nuovi mercati e attuando indovinate operazioni di parziale delocalizzazione.

Concludo sottolineando quanto sia importante che l’Unione europea – come ha affermato l’onorevole Krehl – non utilizzi i suoi fondi impropriamente per sostenere le delocalizzazioni; al contrario, dobbiamo utilizzare i fondi disponibili per sostenere i lavoratori e le regioni che si trovano in difficoltà quando si verificano delocalizzazioni di imprese.

 
  
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  Elisabeth Schroedter, a nome del gruppo Verts/ALE.(DE) Signor Presidente, la caccia alle sovvenzioni è un gioco ricattatorio assai in voga nell’Unione europea, che avviene palesemente a spese dei contribuenti. Questo gioco non è iniziato con l’ingresso nell’Unione dei dieci nuovi Stati membri; già all’epoca dell’adesione della Svezia, un’azienda di Brema che aveva appena ricevuto una sovvenzione fu indotta a trasferirsi nella nuova regione svedese dell’obiettivo 2. I provvedimenti pubblici presi a Brema per contrastare la disoccupazione furono così vanificati.

Quest’esempio dimostra chiaramente quale sia il tema in discussione: non si tratta di limitare la libertà di stabilimento, bensì del fatto che le imprese che ricevono denaro pubblico contraggono nei confronti delle regioni in cui operano l’obbligo di crearvi occupazione. Questo punto dev’essere regolamentato in maniera vincolante.

La Commissione ha proposto un periodo di cinque anni; mi sembra troppo poco. E’ puramente simbolico e soprattutto inefficace. Se si pensa che le imprese ricevono dalla pubblica amministrazione sovvenzioni che possono raggiungere il 50 per cento dei propri investimenti, ne emerge la necessità di un periodo più lungo, cioè almeno sette anni, come aveva proposto la precedente Commissione. Cinque anni costituiscono una palese riduzione; perfino sette, in questo caso, sono un periodo troppo breve. Per limitare davvero la caccia alle sovvenzioni occorre questo prolungamento del periodo.

Mi sembra che la relazione dell’onorevole Hutchinson – un documento veramente importante – affronti alcuni punti essenziali. Dalla Commissione mi attendo un ripensamento sul limite dei cinque anni, che con sovvenzioni di questa entità costituisce di per sé una distorsione della concorrenza; mi attendo l’inserimento nel suo regolamento sugli aiuti del limite indicato dal Parlamento; mi attendo infine che essa eserciti un controllo più severo sulle imprese che praticano la caccia alle sovvenzioni, inserendole in una lista nera come propone il relatore.

 
  
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  Pedro Guerreiro, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) Esattamente tre anni fa, il 13 marzo 2003, sulla scia delle tenaci lotte dei lavoratori in difesa dell’occupazione e della sopravvivenza delle imprese, come nel caso della CG & Clark in Portogallo, il Parlamento approvò una risoluzione accompagnata da alcune raccomandazioni sulle chiusure di imprese beneficiarie di un aiuto finanziario dell’Unione europea.

A tre anni di distanza, cos’ha fatto l’Unione europea per tradurre in realtà queste raccomandazioni? Cos’ha fatto per subordinare la concessione di aiuti comunitari ad accordi di lungo periodo in materia di occupazione e sviluppo locale? La Commissione ha forse pubblicato il registro delle inadempienze contrattuali commesse dalle aziende che hanno effettuato delocalizzazioni e hanno beneficiato direttamente o indirettamente di aiuti pubblici? Quante volte la Commissione ha rifiutato di concedere o imposto il rimborso di finanziamenti comunitari a imprese che non avevano rispettato integralmente i contratti stipulati? Quali misure concrete ha adottato per aiutare i lavoratori e sostenere la ripresa economica delle regioni colpite dalle delocalizzazioni? Infine, la Commissione ha elaborato il codice di condotta proposto per evitare la delocalizzazione delle imprese?

Una chiara risposta a queste domande ci è offerta dalla relazione in esame, che – dopo tre anni – rivolge nuovamente alla Commissione europea le medesime raccomandazioni. Le imprese tendono a considerare le delocalizzazioni un investimento. Grazie ai più svariati incentivi e aiuti pubblici e allo sfruttamento di una manodopera sottopagata e priva di diritti, le imprese che effettuano delocalizzazioni cercano di accumulare in breve tempo forti profitti, fino al momento in cui trovano un luogo che presenta maggiori vantaggi sotto il profilo dei costi in cui delocalizzare ancora una volta la propria attività, senza tener fede agli impegni assunti e trascurando i gravissimi danni economici e sociali così provocati.

La delocalizzazione delle imprese serve inoltre da ricatto permanente nei confronti dei lavoratori quale strumento di pressione per abbassare i salari, prolungare gli orari, inasprire la flessibilità dei mercati del lavoro e in ultima analisi per ridurre i diritti dei lavoratori stessi. Proponiamo pertanto l’adozione di un quadro giuridico e normativo adeguato per contrastare le delocalizzazioni, con l’auspicio di non dover ripetere questo dibattito fra altri tre anni.

 
  
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  Graham Booth, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, desidero dedicare il mio intervento al concetto di aiuti statali diretti quale strumento di sviluppo regionale, cui l’onorevole Hutchinson accenna nella sua relazione. Si tratta di un concetto strettamente connesso all’idea di Fondi strutturali e di coesione regionale, e nell’ambito dell’Unione europea tutto questo costa già assai caro al mio paese, ossia al Regno Unito.

Il relatore chiede che alle aziende le quali hanno ricevuto aiuti pubblici e poi hanno delocalizzato all’interno dell’Unione europea, non vengano più concessi aiuti di Stato o finanziamenti strutturali per sette anni. Ma che si deve pensare dei casi in cui aziende di fama hanno correttamente richiesto giustificati aiuti di Stato, non hanno ottenuto risposta dal governo britannico a causa dei ritardi della Commissione nel dare il via libera, e poi hanno delocalizzato in altre regioni dell’Unione europea, più rispondenti all’idea di coesione in auge a Bruxelles e perciò libere da analoghe restrizioni?

Nel 2002 la Peugeot ha chiesto alla Commissione europea di approvare un pacchetto di aiuti di Stato, allo scopo di costruire a Ryton, nelle West Midlands inglesi, il nuovo modello 207. Dopo aver vanamente atteso per più di due anni una risposta dalla Commissione, Peugeot ha abbandonato l’impresa, e ha annunciato che la 207 sarebbe stata costruita in Francia e in Slovacchia; senza dubbio a Bruxelles questa vicenda viene considerata una missione economica brillantemente compiuta. Il futuro di Ryton rimane però assai incerto; quando cesserà la produzione del modello 206 – costruito finora in quella località con alti standard qualitativi e competitivi – la fabbrica dovrà forse chiudere, dopo molti anni di produzione sotto diverse proprietà. Immagino che in qualche modo tutto questo si possa definire una delocalizzazione, ma è difficile darne la colpa a Peugeot. Forse sarebbe più opportuno infliggere alla Commissione un divieto settennale di pronunciarsi in materia di aiuti di Stato e di appesantire l’economia con normative soffocanti. Un tale provvedimento verrebbe sicuramente accolto con entusiasmo nelle West Midlands ove una manodopera competente e qualificata soffre le conseguenze della politica economica dell’Unione europea.

A spargere altro sale sulle ferite di questi lavoratori, giunge ora la notizia che Peugeot avrebbe concluso un accordo con Kia Motors per costruire la 206 in Indonesia dove, secondo voci non confermate, verrebbe costruita pure la 207. Non potrebbe esserci esempio più chiaro dell’analfabetismo economico dell’Unione europea. Se vogliamo incrementare l’occupazione, dobbiamo trovare, per le imprese, il giusto punto di equilibrio tra regolamentazione e flessibilità. L’eccesso normativo crea posti di lavoro artificiali, che non hanno giustificazione economica.

 
  
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  Seán Ó Neachtain, a nome del gruppo UEN. – (EN) Signor Presidente, giudico con favore questa relazione dell’onorevole Hutchinson sulle delocalizzazioni nel contesto dello sviluppo regionale. Essa ribadisce l’importanza della politica di coesione dell’Unione europea come strumento per mitigare le disparità nelle regioni più arretrate.

Provengo da un paese che ha beneficiato dei Fondi strutturali dell’Unione europea. Apprezzo quindi questa relazione da un punto di vista irlandese, ma ancor più dal punto di vista della mia regione, che comprende le zone occidentali e nordoccidentali d’Irlanda; si tratta di una regione prevalentemente rurale – il 70 per cento della popolazione abita in aree rurali – e di conseguenza è assai più vulnerabile della media agli effetti delle delocalizzazioni. L’Europa deve tutelare regioni come l’ovest e il nordovest d’Irlanda, soprattutto per quanto riguarda i modelli d’insediamento, per i quali è indispensabile il sostegno di un equilibrato sviluppo regionale. L’Europa deve affrontare con decisione e tenacia i deficit infrastrutturali, soprattutto in settori come i trasporti, l’energia e le moderne comunicazioni a banda larga; tali deficit ostacolano infatti la competitività regionale.

A tale proposito, sono veramente lieto che la settimana scorsa la Commissione europea abbia approvato la decisione del governo irlandese di stanziare 170 milioni di euro per estendere la rete a banda larga a 70 città del paese. Misure come queste gioveranno alla competitività delle regioni interessate, attireranno investimenti mobili e infine, com’è auspicabile, scoraggeranno le aziende a stabilirsi in località già congestionate. E’ questa la difesa più valida contro le delocalizzazioni, nonché il metodo migliore per rafforzare le regioni che più hanno bisogno d’aiuto.

 
  
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  Jana Bobošíková (NI). (CS) Signor Presidente, naturalmente non desidero che il denaro dei contribuenti europei vada a finanziare lo sviluppo di imprese che delocalizzano al di fuori dell’Unione europea o si comportano in maniera scorretta. Respingo però incondizionatamente questa relazione, poiché ritengo che imporre alle imprese un divieto settennale di delocalizzare le proprie attività significhi non comprendere affatto i meccanismi dell’economia globale.

Analogamente, non comprendo perché nell’ambito dell’Unione europea a un’impresa non debba essere consentito di spostarsi in un’altra regione, se vi è concorrenza fra i tipi di aiuti statali concessi dai singoli Stati membri. Congelare gli spostamenti delle imprese non servirà certo a tutelare un’occupazione sostenibile; non farà altro che sovraccaricare un sistema fiscale e occupazionale già oneroso e rigido, condannandolo a un’immobilità ancor più soffocante. Ciò stimolerà l’ulteriore crescita di una burocrazia inutile e la diffusione di un’insensata strategia di lotta contro le delocalizzazioni di imprese; la pubblica amministrazione è impegnata in una sterile battaglia contro i mulini a vento, usando il denaro dei contribuenti europei. In altre parole, il capitale finisce sempre per dirigersi ove è meglio apprezzato, senza seguire le istruzioni formulate dal Parlamento e dalla Commissione.

 
  
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  Konstantinos Hatzidakis (PPE-DE). (EL) Signor Presidente, con la relazione Hutchinson il Parlamento europeo non desidera certo vietare alle aziende di delocalizzare in altri paesi: sarebbe una misura restrittiva e antidemocratica. Noi – almeno noi del gruppo PPE-DE – sappiamo bene che un’azienda per sopravvivere deve essere competitiva, e che i singoli Stati membri devono disporre di un contesto fiscale e di un contesto economico complessivo che attragga gli investimenti.

Tuttavia non è corretto che l’Unione europea incoraggi la continua delocalizzazione delle imprese attingendo alle risorse del bilancio europeo. Per tale motivo la relazione Hutchinson propone, ancora una volta, di comminare sanzioni alle imprese che, pur avendo usufruito di un aiuto finanziario dell’Unione europea, delocalizzano le loro attività in un arco di sette anni a decorrere dalla concessione dell’aiuto. Essa propone altresì che le imprese che hanno beneficiato di aiuti di Stato – specie in caso di mancato rispetto di tutti gli obblighi correlati a tali aiuti – non possano usufruire degli aiuti di Stato per il loro nuovo luogo di attività e che esse siano del pari escluse in futuro dal beneficio dei Fondi strutturali.

La relazione Hutchinson sottolinea anche la necessità di assumere un atteggiamento ancor più severo nei confronti delle imprese che delocalizzano al di fuori dell’Unione europea. A mio avviso le proposte del Parlamento europeo sono realistiche e offrono una proposta equilibrata a un problema reale. Infine desidero soffermarmi sulla proposta relativa al Fondo di globalizzazione contenuta nella relazione Hutchinson: giudichiamo positivamente la proposta formulata dalla Commissione europea e siamo convinti che il Fondo di globalizzazione diventerà presto una realtà capace di affrontare le conseguenze negative della situazione contemporanea, da cui scaturiscono opportunità per tutti, ma anche rischi che occorre contrastare con efficacia.

 
  
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  Gábor Harangozó (PSE).(HU) Signor Presidente, inizialmente sembrava che molti intendessero sfruttare questa discussione per approfondire il divario che separa i vecchi Stati membri dell’Unione europea da quelli nuovi; ma il nostro compito è quello di approvare normative che possano garantire, a ogni Stato membro e a ogni cittadino, un’Europa migliore, più sicura e destinata a espandersi. Se le normative si rivelassero fallaci, la politica di coesione che si basa sulla solidarietà – uno dei nostri valori fondanti – potrebbe contribuire allo sviluppo delle regioni meno avanzate creando incertezza e vulnerabilità nelle altre.

All’autore della relazione è stato assegnato il difficile compito di assicurare che il tema delle delocalizzazioni industriali non diventasse motivo di ulteriori divisioni tra est e ovest, ma rappresentasse invece un passo avanti verso l’unificazione dell’Europa. Grazie all’opera del relatore disponiamo ora di proposte più equilibrate – nel rispetto degli obiettivi della politica regionale – che garantiscono sicurezza sociale ed economica ai lavoratori di tutti i venticinque Stati membri. Mi congratulo quindi con il relatore.

 
  
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  Alfonso Andria (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch’io vorrei congratularmi con il collega Hutchinson per l’ottimo lavoro svolto: è evidente la necessità di attuare politiche efficaci volte a contrastare fenomeni di dumping fiscale tra i vari Stati membri.

La scelta di delocalizzare la produzione all’interno dell’Unione, se è motivata dalla maggiore concorrenzialità di un territorio rispetto ad un altro, può tuttavia portare benefici all’economia europea nel suo complesso. Diverso e preoccupante è invece il fenomeno delle delocalizzazioni fuori dell’Unione europea, dovute in genere a legislazioni del lavoro alquanto permissive in molti paesi terzi.

E’ chiaro che il modello sociale europeo è costoso e a farne le spese è in primo luogo la competitività delle nostre imprese, ma, non per questo, possiamo accettare compromessi al ribasso. Occorre innanzitutto incentivare la produzione europea in termini di qualità e di specializzazione. In secondo luogo bisogna introdurre misure volte ad attenuare i costi sociali di una delocalizzazione con interventi a favore della formazione e della riconversione dei lavoratori nelle regioni colpite da ristrutturazioni.

Su un argomento del genere ci siamo soffermati in passato, quando questo Parlamento discusse della crisi dell’acciaio con particolare riferimento alla vicenda della Thyssen Krupp di Terni in Italia. Sono d’accordo sull’applicazione di sanzioni severe alle imprese beneficiarie di aiuti pubblici, europei o nazionali che decidano di delocalizzare all’esterno dell’Unione parte della propria produzione.

Ho concluso, signor Presidente, vorrei solo riprendere la proposta di istituire un marchio europeo per i beni prodotti interamente nel territorio dell’Unione: a mio avviso è un importante incentivo alla produzione all’interno dell’Unione europea.

 
  
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  Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL).(EL) Signor Presidente, in un’intervista rilasciata il mese scorso a un giornale finanziario francese, il Commissario Danuta Hübner ha sottolineato la necessità di favorire le delocalizzazioni nell’ambito dell’Unione europea. Secondo il Commissario infatti questo rappresenta uno dei principi fondamentali del mercato interno, e l’applicazione di norme artificiose intese a limitarlo avrebbe conseguenze negative per la competitività delle imprese comunitarie.

Se però la Commissione vuole sviluppare un’economia europea competitiva, è opportuno garantire che l’attuazione di tale principio non comporti la distruzione del modello sociale europeo, lo smantellamento dei diritti dei lavoratori o comunque la creazione di un contesto in cui le aziende siano incoraggiate a violare tali diritti. Un’economia europea competitiva non rappresenta necessariamente un’evoluzione negativa per i lavoratori europei, ma gli strumenti utilizzati per raggiungere tale obiettivo e la sua filosofia ispiratrice sono stati solo fonte di problemi per i lavoratori.

La relazione Hutchinson rappresenta indubbiamente un concreto passo avanti, e merita quindi la mia approvazione e il mio sostegno, dal momento che concordo con gran parte del suo contenuto; vorrei anche far notare che è una delle poche relazioni prodotte di recente da un eurodeputato socialista che, finalmente, sembra opera di un autentico socialista.

 
  
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  Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk (UEN).(PL) Signor Presidente, prendo la parola in questo dibattito per attirare l’attenzione dell’Assemblea su due questioni importanti.

La delocalizzazione, ossia il processo di trasferire l’attività economica all’estero, è un processo economico oggettivo, messo in moto dall’esigenza di rispondere a una concorrenza sempre più agguerrita che va di pari passo con la necessità di ridurre i costi di produzione. E’ vero: in alcuni paesi le delocalizzazioni provocano la riduzione dei posti di lavoro, ma soltanto nel breve periodo. Le ricerche che sono state condotte nel settore hanno dimostrato che, nel lungo periodo, le delocalizzazioni producono nuovi posti di lavoro.

La società di consulenza McKenzie ha svolto una ricerca su 600 imprese tedesche e ha confermato che il trasferimento di posti di lavoro nell’Europa orientale favorisce la creazione di nuovi posti di lavoro in Germania. Per il 40 per cento delle imprese esaminate, la creazione di un nuovo posto di lavoro all’estero ha comportato la contemporanea creazione di tre nuovi posti di lavoro in Germania. Lo stesso vale per le imprese britanniche e francesi che investono all’estero.

Di conseguenza, non ha alcun senso economico imporre vincoli amministrativi e sanzioni finanziarie alle imprese che desiderano delocalizzare la propria attività o alle autorità locali che offrono aiuti pubblici per attrarre investimenti. Ho quindi deciso di votare contro la relazione dell’onorevole Hutchinson.

 
  
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  Carl Lang (NI).(FR) Signor Presidente, io rappresento la regione francese del Nord-Pas de Calais, in cui ogni anno nei vari settori industriali – e soprattutto in quello tessile – scompaiono migliaia di posti di lavoro; in tale veste approvo naturalmente la proposta di esigere il rimborso degli aiuti europei concessi alle imprese che delocalizzano i loro impianti.

Si tratta di una proposta di buonsenso dal punto di vista economico e sociale che il Fronte nazionale aveva già avanzato in occasione delle elezioni regionali del 2004, limitatamente alle sovvenzioni versate dai consigli regionali.

Questa misura, indispensabile, non è tuttavia più sufficiente, così come l’istituzione, il 1° marzo scorso, di un Fondo di globalizzazione. In questa vicenda la Commissione europea non fa che riparare con una mano, apparentemente sociale, il male fatto dall’altra mano ultraliberista.

Le delocalizzazioni non sono una fatalità, bensì la conseguenza dell’ideologia commerciale dell’Unione europea che, abbattendo le frontiere economiche, espone le nostre imprese alla concorrenza di gruppi per cui il costo della manodopera è irrisorio. Questo dumping sociale viene esercitato a vantaggio dei paesi extraeuropei, ma anche all’interno dell’Unione europea. Anzi, esistono numerose direttive europee che di fatto favoriscono le delocalizzazioni tra gli Stati membri, nonché un livellamento verso il basso delle legislazioni sociali.

Per tentare di conservare l’occupazione e salvare il nostro modello di vita, dovremo ripristinare le nostre frontiere commerciali e istituire un’IVA sociale sui prodotti d’importazione. Un giorno diventerà inevitabile la scelta tra il ripristino di una politica di protezione nazionale ed europea, da un lato, e la vostra politica di integralismo liberista, foriera di un generalizzato regresso sociale, dall’altro lato.

 
  
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  Rolf Berend (PPE-DE). (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, nell’Unione europea vige notoriamente il principio – sancito nel Trattato CE – della liberta circolazione delle persone, dei beni e dei capitali; non è quindi possibile vietare completamente la scelta del luogo di stabilimento, tanto più che un tale divieto produrrebbe una dannosa immobilità dell’economia europea. E’ però necessario – e qui entra in gioco la riforma dei Fondi strutturali e della legislazione sulle sovvenzioni – integrare i principi della libera circolazione, restando nell’ambito della politica di coesione. In altre parole è assolutamente indispensabile che la Commissione, allorché eroga sovvenzioni o anche stanziamenti dei Fondi strutturali, verifichi che la concessione di tali sovvenzioni sia vincolata a garanzie di medio termine in merito all’occupazione e alla sede dello stabilimento. Su quest’aspetto l’Europa deve vigilare.

Nella relazione del collega Hutchinson si afferma chiaramente – sia pure in seguito a vivaci discussioni in sede di commissione parlamentare – che le imprese che ricevono sovvenzioni devono impegnarsi a contribuire alla politica di coesione economica, sociale e territoriale. In concreto, ciò significa che una coerente applicazione delle proposte formulate dalla Commissione europea in merito ai Fondi strutturali implica le seguenti condizioni: le imprese che hanno ricevuto sovvenzioni pubbliche, ma non hanno ottemperato agli impegni ad esse connessi, dovranno restituirle; tali imprese non potranno in nessun caso ricevere sovvenzioni pubbliche per i loro nuovi stabilimenti, e per un periodo di almeno cinque anni – anche se sette anni sarebbe ancora meglio – dalla data di delocalizzazione non potranno godere del sostegno dei Fondi strutturali né di aiuti statali.

Con questa relazione si vuole sottolineare la necessità di prendere tutte le misure necessarie per impedire che la politica regionale europea finisca per stimolare delocalizzazioni di imprese con una conseguente perdita di posti di lavoro. Nella sua forma attuale la relazione dell’onorevole Hutchinson si presenta equilibrata e merita il nostro sostegno.

 
  
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  Jacky Henin (GUE/NGL).(FR) Signor Presidente, sotto la pressione del “no” con cui francesi e olandesi hanno respinto la Costituzione, il Parlamento si occupa finalmente delle delocalizzazioni. Non posso non approvare le misure proposte; esse devono entrare in vigore al più presto, poiché ogni giorno che passa segna la distruzione di migliaia di posti di lavoro. Non vorrei che ci limitassimo a somministrare rimedi omeopatici, quando sarebbero invece necessarie dosi da cavallo!

Tuttavia, la relativa timidezza della relazione testimonia della grave contraddizione che affligge la politica economica dell’Unione: la concorrenza non può mai essere allo stesso tempo totalmente libera e non falsata. Le imprese ricorrono al ricatto delle delocalizzazioni per costringere i lavoratori ad accettare condizioni sociali che violano le leggi del loro paese. A questo ricatto sociale si accompagna un ricatto fiscale: si ricorre sistematicamente alla minaccia delle delocalizzazioni per ottenere sgravi fiscali.

In un’efficace lotta contro le delocalizzazioni deve rientrare anche l’armonizzazione europea – rapida e diretta verso l’alto – della fiscalità e della legislazione sociale. Cosa ancor più importante, occorre porre fine all’indipendenza della Banca centrale europea, che favorisce costantemente la rendita dei titoli pubblici a scapito degli interessi del mercato del lavoro.

 
  
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  Zdzisław Zbigniew Podkański (UEN).(PL) Signor Presidente, la Polonia è favorevole alla delocalizzazione delle imprese all’interno dell’Unione europea. Secondo noi, infatti, la proposta di penalizzare le imprese che hanno trasferito la propria attività, impedendo loro di usufruire di aiuti comunitari per un periodo di sette anni, è eccessiva e ingiustificata. E’ difficile capire perché si voglia impedire alle aziende dell’Unione europea di rispondere alle esigenze del mercato se questo è nell’interesse reciproco di consumatori e produttori.

Respingiamo altresì la proposta di redigere elenchi speciali delle aziende che hanno trasferito la propria attività, poiché questo sarebbe contrario ai principi fondamentali dell’Unione europea. Invitiamo tutti i deputati dell’Assemblea a respingere disposizioni così ingiuste, che violano i principi del libero mercato e sono particolarmente dannose per i nuovi Stati membri.

 
  
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  James Hugh Allister (NI).(EN) Signor Presidente, la delocalizzazione delle industrie verso economie dai salari più bassi lascia una scia di macerie sociali ed economiche che non uniscono ma dividono le regioni europee. All’interno dell’Unione europea si tratta naturalmente, almeno in parte, di un effetto della libertà di circolazione dei beni sancita dal Trattato, che ha assunto le caratteristiche di un autentico problema a causa della rapidità e delle dimensioni dell’allargamento.

Dal momento che i Fondi di coesione vengono indirizzati ai nuovi Stati membri, la situazione è destinata a peggiorare; ne risulterà un deficit di sviluppo in altre regioni europee. Una politica che agevola le delocalizzazioni danneggia quindi la coesione sociale. E’ urgentemente necessaria una politica più severa, che preveda il divieto di concedere fondi dell’Unione europea, insieme a uno strumento che consenta di recuperarli da qualsiasi impresa che delocalizzi la produzione in un altro Stato membro.

Cinque anni sono un periodo troppo breve. Togliere posti di lavoro ai vecchi Stati membri per sviluppare i nuovi Stati membri è un’operazione senza futuro; i fondi dell’Unione europea devono rimanervi estranei, e non dobbiamo neppure offrire alle aziende la possibilità di arraffare finanziamenti per poi trasferirsi altrove.

 
  
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  Oldřich Vlasák (PPE-DE).(CS) Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi affrontiamo il tema delle delocalizzazioni nel tentativo di trovare un equilibrio fra l’impatto prodotto dalle norme per il mercato interno e il sostegno alla politica di coesione al fine di garantire condizioni paritarie per le regioni europee. Non dimentichiamo però che non dovremmo affrontare questo problema se sostenessimo concretamente tutti i principi dell’Unione europea, tra cui la libera circolazione dei servizi e dei lavoratori. Attualmente è garantita soltanto la libera circolazione di beni e capitali, e questo in qualche modo favorisce la delocalizzazione delle attività produttive verso aree in cui si registrano costi inferiori.

In effetti gli aiuti regionali non devono alterare le norme del mercato interno, né la politica regionale europea deve incoraggiare le delocalizzazioni aziendali. Tuttavia, l’intervento dell’Unione europea nell’economia deve fermarsi qui. Sono contrario a proteggere aziende e lavoratori che non accettino alcuna forma di flessibilità, e ritengo che impedire le delocalizzazioni aziendali equivalga a violare il principio della libertà di circolazione, che è una delle libertà fondamentali della Comunità europea. Dissento dall’onorevole Schroedter per principio, e ritengo che un periodo di cinque anni per il mantenimento delle attività finanziate dai Fondi strutturali sia già sufficientemente lungo, e non vi sia alcun motivo per estenderlo; tale periodo dev’essere collegato all’obiettivo di investimento per cui sono state stanziate le risorse in questione, e non deve superare la durata effettiva del progetto né estendersi oltre il suo ambito operativo. Non è giusto impedire agli imprenditori di trasferire la propria attività in regioni in cui possono disporre di una manodopera più economica, più istruita e forse addirittura di migliore qualità; non possiamo neppure impedire ai governi nazionali di attirare gli investimenti stranieri, ed è ugualmente impossibile imporre agli Stati membri il livello della fiscalità diretta.

Onorevoli colleghi, se cercheremo di reprimere questa tendenza, l’economia dell’Unione europea conoscerà un periodo di inerzia e sprechi. E’ in gioco il libero mercato, i cui principi verrebbero meno se si applicassero normative più severe alle delocalizzazioni aziendali. A mio avviso, sono le delocalizzazioni all’esterno dell’UE a offrire scenari da incubo, e su queste perciò dobbiamo concentrare la nostra azione.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI).(DE) Signor Presidente, a causa del minore costo del lavoro e di condizioni di produzione apparentemente migliori un numero sempre maggiore di imprese è indotto a trasferirsi a est; per tale operazione esse cercano naturalmente anche di ottenere fondi dall’Unione europea, in quanto la delocalizzazione comporta alti costi.

Sino a oggi questo fenomeno ha colpito soprattutto i settori a bassa tecnologia e alta intensità di manodopera; ora però si delinea una tendenza analoga anche nel settore della ricerca e della tecnologia. Per questo motivo ora, finalmente, deve risuonare anche in Europa un segnale d’allarme. Anche per gli ottimisti più irriducibili dev’essere ormai chiaro che per le multinazionali è del tutto indifferente devastare l’ambiente, portare alla rovina le piccole e medie imprese o lasciare dietro di sé un esercito di disoccupati. I fondi europei e gli aiuti nazionali non possono certo alterare questa situazione, che non sarà mutata nemmeno da garanzie di permanenza settennale che non valgono la carta su cui sono scritte.

Non si tratta più di un problema di solidarietà o concorrenza tra Stati membri; è in gioco invece la pura e semplice sopravvivenza dell’economia europea, che non è formata solo da grandi gruppi, di cui dobbiamo finanziare le delocalizzazioni, ma anche da piccole e medie imprese che in ultima analisi hanno altrettanto bisogno di incentivi e sovvenzioni,attesi ormai da molto tempo.

 
  
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  Jan Olbrycht (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, il testo della risoluzione che stiamo per votare è stato oggetto di concessioni e compromessi difficili; vorrei comunque attirare l’attenzione dell’Assemblea su alcune questioni importanti che sono emerse nel corso della discussione.

In primo luogo, il testo mette opportunamente in risalto il pericolo dell’uso improprio dei fondi europei qualora vengano utilizzati per trasferire le attività produttive, se tali fondi sono legati ad aree d’intervento strutturale in una regione specifica; in un certo senso, quindi, i fondi sono legati a tale regione.

In secondo luogo, il testo è di tipo interventista, e contiene una serie di proposte di natura preventiva o repressiva.

In terzo luogo, in questo testo la delocalizzazione viene percepita come una vera minaccia concreta, sebbene si faccia riferimento a conseguenze soltanto potenzialmente negative. Solo all’inizio della risoluzione si afferma che possono esserci diversi motivi per delocalizzare l’attività produttiva, e che questi possono essere correlati all’efficienza e alla redditività. La relazione quindi si concentra esclusivamente su meccanismi negativi, accennando solo brevemente alla differenza tra delocalizzazioni esterne e interne e trascurando la necessità di promuovere quei meccanismi positivi che incoraggerebbero gli investitori a rimanere nell’Unione europea. Il testo inoltre non fa distinzione alcuna fra le aziende piccole e grandi delle varie categorie, differenza importante per quanto riguarda gli aiuti pubblici. In futuro, testi di questo tipo dovranno essere accompagnati da analisi economiche dettagliate che descrivano le condizioni economiche e la durata del ciclo produttivo.

 
  
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  Ambroise Guellec (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, il fenomeno delle delocalizzazioni suscita forte inquietudine in tutta l’Unione europea, ma in particolare nei vecchi Stati membri. Ne conosciamo le ragioni, che sono state ricordate dai colleghi: globalizzazione dell’economia, distorsioni della concorrenza sul piano sociale oltre che fiscale, e così via. E’ ovvio che tutto questo ha avuto un’influenza indiscutibile sul recente dibattito costituzionale, e noi in Francia ne abbiamo visto le conseguenze.

Questa relazione va dunque accolta con favore, e da parte mia plaudo al lavoro del relatore, nonché ai miglioramenti apportati dalla commissione per lo sviluppo regionale. Disponiamo ora di un testo equilibrato, che può recare un effettivo contributo alla lotta contro le delocalizzazioni e alla prevenzione degli effetti negativi che ne possono derivare.

Desidero poi soffermarmi su un punto specifico, che si colloca evidentemente nel contesto dello sviluppo regionale: il rapporto ribadisce l’importanza del corretto utilizzo dei Fondi strutturali per scongiurare rischi di delocalizzazioni a breve, medio e lungo termine. Ciò riguarda in primo luogo gli aiuti direttamente concessi ai settori economici da sostenere, ma è noto che un cruciale fattore di rischio, che potrebbe indurre le aziende a delocalizzare, è l’isolamento, insieme alla precaria accessibilità delle unità produttive. Occorre dunque che la nuova generazione di Fondi strutturali destinati alla competitività e all’occupazione annoveri tra le proprie priorità il miglioramento dell’accessibilità per le regioni gravemente svantaggiate da questo punto di vista. Sarebbe questa la miglior garanzia di stabile continuità delle attività economiche in queste regioni.

Da parte mia mi auguro che la Commissione – oltre a esaminare con attenzione le richieste e le raccomandazioni contenute nella relazione – sia altrettanto disponibile nei confronti di questa specifica sollecitazione, che certamente emergerà nel corso dell’elaborazione dei nuovi programmi di sviluppo regionale.

 
  
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  Hynek Fajmon (PPE-DE).(CS) Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei rivolgere alcune critiche alla relazione in oggetto, che riguarda le delocalizzazioni nel contesto dello sviluppo regionale. Il fenomeno noto come delocalizzazione aziendale è un déja-vu nella storia europea – un processo attualmente in corso che certamente si ripeterà in futuro. In breve, individui e aziende cercano il luogo migliore in cui concretizzare le proprie idee e offrire i propri beni e i propri servizi, e non c’è niente di male in questo – non c’è mai stato né mai ci sarà. E’ l’affermarsi di un comportamento razionale che rappresenta il nucleo centrale della civiltà europea; se l’Europa si opponesse a questa razionalità economica, sarebbe destinata a un futuro di povertà. Fin dalle sue origini, l’Unione europea ha cercato di garantire la libera circolazione di persone, beni, servizi e capitali, e quindi la libera circolazione delle aziende europee. Grazie a questa politica di liberalizzazione, i paesi dell’Europa occidentale hanno raggiunto un tenore di vita molto alto; e questo è stato possibile proprio perché essi hanno aperto i propri mercati, invece di impedire agli altri di accedervi.

La relazione propone esattamente il contrario, ossia una politica basata su nuove barriere alla circolazione dei capitali – una politica che ritengo inaccettabile in qualsiasi circostanza. Quello degli aiuti europei che si frappongono alla libera circolazione dei capitali all’interno dell’Unione europea è un problema reale, tuttavia la soluzione non è quella di imporre requisiti più rigorosi per concedere aiuti alle imprese né quella di legare gli aiuti al luogo di attività dell’azienda. Piuttosto dobbiamo porre fine definitivamente agli aiuti europei alle imprese; si tratta infatti di investimenti assolutamente ingiustificati dal punto di vista economico, il cui unico effetto sarà quello di alterare il mercato europeo. Se la Commissione ritiene che le delocalizzazioni rappresentino un problema, dovrà fare di più per migliorare le condizioni per gli imprenditori e le imprese, e dovrà considerare con attenzione la possibilità che le imprese siano indotte ad abbandonare l’Europa proprio dall’eccessiva regolamentazione dello stesso Esecutivo. A mio avviso è proprio quello che sta succedendo. Gli oneri legislativi europei sono eccessivi e dovranno essere ridotti quanto prima. Allora assisteremo all’arrivo di un gran numero di aziende all’interno dei nostri confini e alla crescita dell’occupazione nell’Unione europea.

 
  
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  Markus Pieper (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, le condizioni quadro della politica strutturale europea stanno subendo un netto cambiamento. La globalizzazione affretta i mutamenti strutturali, e le imprese devono confrontarsi con una concorrenza sempre più incalzante. Inoltre, la marcia trionfale dell’economia di mercato globalizzata è accompagnata da una crescente offerta di potenziali luoghi di produzione; come logica conseguenza di tali situazioni, assistiamo a trasferimenti di sede sempre più rapidi. Qui entra in gioco l’industria: con le nuove sedi essa apre nuovi sbocchi di mercato, mentre la pressione dei costi la costringe a operare delocalizzazioni nei paesi ove i costi sono minori. Assistiamo perciò a delocalizzazioni nell’ambito dell’Unione europea, così come in Asia o anche in Ucraina.

Tali delocalizzazioni di aziende si verificano, e sono anzi una normale espressione dei mutamenti strutturali. L’Unione europea non dovrebbe porre in questo campo ostacoli giuridici. E’ altrettanto chiaro, però, che non possiamo sovvenzionare decisioni già prese da molto tempo a livello imprenditoriale. Nessun imprenditore trasferirà la propria sede a causa di un’unica sovvenzione; lo farà solo quando le caratteristiche locali si saranno stabilizzate nel tempo. Di conseguenza, queste sovvenzioni alle delocalizzazioni provocano un effetto di trascinamento; ma è proprio quest’effetto che in futuro dovremo evitare, poiché i Fondi strutturali europei sono troppo preziosi per essere utilizzati a tal fine.

C’è un altro argomento contro le sovvenzioni alle delocalizzazioni, legato all’accettazione dell’ideale europeo da parte dei cittadini, ed è il fatto che i lavoratori di un luogo dal quale un’impresa ha deciso di spostare la propria attività vedono che il denaro da loro versato come contribuenti viene utilizzato per il trasferimento del proprio posto di lavoro.

Ci rammarichiamo che la Commissione e i socialdemocratici tedeschi neghino l’esistenza di queste sovvenzioni alle delocalizzazioni. Naturalmente gli incentivi regionali europei stimolano questo superfluo effetto di trascinamento. L’esiguo numero di casi conosciuti si spiega facilmente con la soglia troppo alta fissata per l’obbligo di notifica. Chiediamo perciò alla Commissione di prendere sul serio gli ammonimenti del Parlamento e del Consiglio dei ministri; chiediamo una normativa giuridicamente vincolante, che impedisca una volta per tutte un così insensato spreco dei fondi europei.

 
  
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  Stavros Dimas, Μembro della Commissione. (EL) Signor Presidente, vorrei ringraziare sia lei che i deputati al Parlamento europeo per i significativi interventi che si sono succeduti nel corso del dibattito. La Commissione europea riconosce che le delocalizzazioni e la conseguente perdita di posti di lavoro costituiscono un problema allarmante.

In occasione dell’ultimo Vertice tenutosi a Hampton Court, la Commissione, d’accordo con gli Stati membri, ha dichiarato che la protezione sociale e la tutela dei diritti dei lavoratori costituiscono parte integrante dei valori europei. In un contesto globalizzato, è l’impresa a decidere autonomamente dove ubicare o delocalizzare la propria attività.

Su questa decisione influiscono numerosi fattori: per esempio, a giudicare dalle informazioni in nostro possesso, fattori decisivi sarebbero la presenza di manodopera specializzata, la possibilità di accedere a varie infrastrutture e il livello di formalità amministrative e burocratiche. L’adeguato funzionamento del mercato interno consente alle aziende di adattare il proprio processo produttivo alle opportunità che si profilano in diverse situazioni; questo aspetto dinamico del mercato interno genera benefici per tutte le regioni.

Come ho affermato in precedenza durante il mio discorso introduttivo, la Commissione ha proposto e applicato misure per evitare che i Fondi strutturali vengano usati per fini diversi dallo sviluppo sostenibile di ogni zona. Inoltre, la Commissione propone di realizzare un Fondo di globalizzazione, proposta che è stata sostenuta dal Consiglio europeo nel dicembre scorso.

Infine, vorrei sottolineare che la Commissione sostiene la necessità di effettuare una migliore analisi comparativa dei dati statistici settoriali e di redigere ulteriori studi sui benefici e i costi delle delocalizzazioni.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. McMILLAN-SCOTT
Vicepresidente

Presidente. – La discussione è chiusa. La votazione si svolgerà domani.

Dichiarazione scritta (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Francesco Musotto (PPE-DE). – Occorre sempre ricordare gli obiettivi della politica di sviluppo regionale: coesione economica, sociale e territoriale, piena occupazione e progresso sociale.

In seno all’Unione, la libera circolazione di beni, capitali e persone è sancita dal trattato istitutivo della Comunità europea e pertanto è difficile sostenere un divieto assoluto di scelta del luogo di stabilimento della propria sede di attività, tanto più che un siffatto divieto comporterebbe un immobilismo negativo per l’economia europea.

La politica di coesione economica e sociale è essenziale per la salvaguardia del consenso e dell’attaccamento dei cittadini all’UE. Essa si basa sullo sviluppo armonioso e solidale di tutte le regioni d’Europa. Pertanto sarebbe in contrasto con tale obiettivo colmare il ritardo di sviluppo economico e sociale di talune regioni promovendo metodi atti a determinare un deficit di sviluppo in altre regioni d’Europa. Simili processi di delocalizzazione non corrispondono ad un aumento complessivo degli investimenti su scala europea, ma solo ad una loro riallocazione spiegata da un vantaggio temporaneo di costo. Per questo le imprese con sede in un Paese membro che decidono di delocalizzare le proprie attività in un altro Paese membro non dovrebbero poter usufruire di contributi provenienti dai Fondi strutturali.

 

19. Quarto Forum mondiale dell’acqua di Mexico City (16-22 marzo 2006) (discussione)
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  Presidente. L’ordine del giorno reca l’interrogazione orale (O-0001/2006 – B6-0003/2006), presentata dagli onorevoli Roberto Musacchio a nome del gruppo GUE/NGL, Caroline Lucas e Alain Lipietz a nome del gruppo Verts/ALE, Glyn Ford, Giovanni Berlinguer e Béatrice Patrie a nome del gruppo PSE, alla Commissione, sul quarto Forum mondiale dell’acqua a Città del Messico (16-22 marzo 2006).

 
  
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  David Hammerstein Mintz (Verts/ALE), autore.(ES) Signor Presidente, il Forum mondiale dell’acqua si svolge in un momento altamente significativo. Attualmente infatti sono oltre due miliardi le persone nel mondo che non hanno accesso all’acqua potabile o che non hanno un approvvigionamento idrico domestico sufficiente, mentre ogni anno muoiono oltre due milioni di persone a causa della penuria di acqua, un elemento che è fondamentale per la vita.

Se, da un lato, l’acqua deve essere distribuita in maniera più equa, dall’altro lato, anno dopo anno si riduce progressivamente la disponibilità di acqua dolce a causa del cambiamento climatico e della distruzione degli ecosistemi, come le zone umide, le foreste, le coste e i fiumi.

Dobbiamo reagire mettendo in atto misure rigorose e concrete, impegni finanziari e un trattato sulle risorse idriche mondiali, promuovendo al contempo una cultura positiva in materia di acqua. Occorre una legislazione internazionale atta a consentire una gestione più efficiente di questa risorsa.

Nell’Unione europea dobbiamo applicare la direttiva quadro in materia di acque in tutte le nostre azioni, nella cooperazione e negli accordi bilaterali. Dobbiamo poi promuovere buone prassi agricole. Dobbiamo rispettare le norme europee anche al di fuori dell’Europa e dobbiamo assicurare che sia preservata nel medio e nel lungo termine la quantità di acqua ottenuta mediante mezzi complessi attraverso gli ecosistemi e attraverso la lotta contro il cambiamento climatico.

Questi obiettivi non possono essere realizzati solo attraverso programmi di natura pratica o grandi opere edili, ma servono anche politiche articolate e integrate.

 
  
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  Roberto Musacchio (GUE/NGL), autore. – Grazie signor Presidente, onorevoli colleghi, l’acqua deve essere un bene comune, un diritto dell’umanità garantito a tutte e tutti, donne e uomini, in tutti i continenti. Queste parole impegnative le vogliamo approvate solennemente da questo Parlamento e fatte valere alla Conferenza mondiale sull’acqua di Città del Messico dei prossimi giorni. Sono parole necessarie e urgenti di fronte ad una realtà drammatica, che vede miliardi di persone deprivate del diritto all’acqua e cioè alla vita, tanto che sono milioni quelli che muoiono e si ammalano per le conseguenze di ciò.

Per l’acqua si combattono guerre e conflitti e la disponibilità stessa di questa risorsa fondamentale è compromessa per le cattive politiche che l’hanno ridotta enormemente, alterandone il ciclo vitale; c’è addirittura chi vuole privatizzare l’acqua, trattarla come una merce che si dà solo a chi può pagare. Sarebbe come privatizzare l’aria e far respirare solo chi ha denaro.

E’ l’ora di scelte impegnative che devono vedere l’Europa protagonista di politiche giuste e non partecipe dell’assalto delle multinazionali. A Johannesburg non si è voluto scrivere che l’acqua è un diritto, ma solo un bisogno. A Città del Messico, in una Conferenza che vorremmo fosse ben più direttamente gestita dall’ONU piuttosto che da altri organismi, occorre che questo diritto sia sancito solennemente: ce lo chiede chi con il diritto all’acqua si vede il diritto negato alla vita, in tanti continenti a partire da quello africano. Non deludiamoli, facciamo in modo che da questo Parlamento arrivi una voce di speranza e un impegno concreto!

 
  
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  Stavros Dimas, Μembro della Commissione. (EL) Signor Presidente, il Forum mondiale dell’acqua è una piattaforma internazionale che consente di scambiare opinioni ed esperienze sulle migliori soluzioni possibili per gestire le risorse idriche e contrastare la penuria di acqua.

Il quarto incontro del Forum, che si terrà a Città del Messico a fine mese, è dedicato alle azioni che possono essere intraprese a livello locale per affrontare la sfida globale legata alla scarsità di acqua. L’obiettivo è quello di discutere delle diverse idee per meglio sostenere le azioni locali su scala mondiale. Gli esiti dei dibattiti costituiranno un contributo sostanziale per la sezione speciale sui temi legati all’acqua e alle strutture igienico-sanitarie nell’ambito della 16a riunione della Commissione delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile che si terrà nel 2008.

Non ci si attendono iniziative o decisioni politiche nuove al quarto Forum mondiale dell’acqua. La Commissione europea e gli Stati membri pertanto non saranno chiamati ad assumere nuove posizioni. Di conseguenza, la Commissione non è tenuta a chiedere un mandato per prendere parte a questo specifico scambio di opinioni. Pur essendo presenti rappresentanti della Commissione e degli Stati membri, a Città del Messico non è prevista alcuna delegazione ufficiale accreditata dell’Unione europea.

Al quarto Forum mondiale dell’acqua la Commissione si propone di sottolineare e di promuovere politiche e mezzi concordati tra l’Unione europea e altre parti interessate, ad esempio, nell’ambito dell’Iniziativa comunitaria sull’acqua, dello strumento ACP-UE sull’acqua e in relazione a numerosi aspetti del piano d’azione Agenda 21.

Inoltre la Commissione fornirà informazioni in merito ai risultati ottenuti grazie a tecnologie idriche innovative sviluppate nell’ambito del programma quadro di ricerca nonché gli esiti della revisione sui lavori che attengono alla gestione integrata delle risorse idriche.

Per quanto concerne la gestione delle risorse idriche e il mercato interno, la Commissione, semmai dovesse rivelarsi necessario, potrebbe illustrare la posizione dell’Unione europea, ossia che le norme vigenti nell’Unione sono neutre sul tema della proprietà dell’acqua e delle società per la gestione delle risorse idriche.

L’Esecutivo reputa, come ha affermato poc’anzi anche il relatore, che l’approvvigionamento costante di acqua potabile rientri tra i bisogni umani di base e che le politiche perseguite in materia di sviluppo sostenibile debbano affrontare il problema di una gestione equa e sostenibile delle risorse idriche nell’interesse della società nel suo complesso. Questa posizione è stata altresì ripresa nell’Iniziativa comunitaria sull’acqua.

Allo stadio attuale rimane ancora aperto il dibattito sull’eventualità di istituire un trattato internazionale atto ad assicurare un approvvigionamento idrico costante in tutto il mondo. Ad ogni modo, il Forum mondiale dell’acqua non è la sede adatta per tenere questo tipo di discussione.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola, a nome del gruppo PPE-DE.(FI) Signor Presidente, gli aiuti corrisposti dall’Unione europea e dagli Stati membri per migliorare la situazione mondiale dell’acqua ammontano complessivamente a 1,4 miliardi di euro all’anno e ci pongono al primo posto tra i donatori. Considerando l’entità di questa somma, il messaggio dell’UE dovrà per forza essere ascoltato al Forum mondiale dell’acqua che prenderà avvio questa settimana, tale messaggio infatti non è insignificante. D’altronde i dati sono allarmanti: ogni giorno muoiono 3 900 bambini per mancanza di acqua dolce. Un quinto della popolazione mondiale, ossia un miliardo e 100 mila persone, soffrono per la mancanza di acqua dolce. Al contempo oltre il 40 per cento è privo di adeguati servizi di scolo e di una rete idrica. I numeri inoltre ci ricordano anche che bisogna prendere seriamente l’idea che possano scatenarsi guerre per l’acqua. Non si tratta infatti di una faccenda che afferisce esclusivamente allo sviluppo sostenibile: si ricollega anche alle minacce alla sicurezza.

Secondo la relazione pubblicata la scorsa settimana dall’ONU dal titolo “Acqua: una responsabilità condivisa”, la ragione che sta alla base di questa situazione precaria a livello mondiale è da ricercare perlopiù nella gestione inadeguata delle risorse idriche. Gli aiuti arrivano a destinazione più lentamente a causa della burocrazia e del processo decisionale gerarchico. Oltretutto le decisioni sulle modalità e sui tempi di distribuzione dell’acqua non vengono prese solo a livello nazionale, ma anche dalle autorità locali, dal settore privato e in seno alla società civile. Gli aiuti poi sono particolarmente necessari per rafforzare il potere decisionale regionale e la cooperazione e per sostenere uno spirito di equità. Il problema non è certo alleviato dal fatto che molti dei paesi colpiti dalla penuria di acqua sono anche ai primi posti per la corruzione. Ad esempio, secondo hindu.com in India vanno sprecati milioni di dollari ogni anno nel settore delle risorse idriche a causa della corruzione politica. Un sondaggio infatti rivela che circa un terzo degli indiani dichiara di aver dovuto pagare tangenti per allacciarsi alla rete idrica e fognaria.

Vi rammento inoltre che per migliorare la situazione dell’acqua a livello regionale non si può prescindere da altri settori della politica di sviluppo. Recentemente sono stati pubblicati studi in cui si dimostra che, se si risolve esclusivamente il problema dell’acqua, potrebbe persino aggravarsi il quadro generale nel caso in cui intervenga un’accelerazione nella crescita demografica, che a sua volta provocherebbe una penuria alimentare. Scavare pozzi quindi non è abbastanza. In tutti gli aiuti allo sviluppo dobbiamo adottare una visione complessiva in modo che la soluzione di un problema non ne provochi inavvertitamente degli altri.

 
  
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  Pierre Schapira, a nome del gruppo PSE.(FR) Signor Presidente, i forum mondiali dell’acqua rappresentano un’occasione unica per riunire tutti gli interlocutori mondiali, come le agenzie dell’ONU, le banche per lo sviluppo, i governi, le organizzazioni professionali, le ONG e le autorità locali.

Questi incontri consentono di definire una politica mondiale sull’acqua più giusta e più solidale, garantendo il rispetto del diritto all’acqua come elemento essenziale della dignità umana.

Gli organizzatori hanno deciso di dare un tema conduttore ai dibattiti in Messico: “Azioni locali per una sfida mondiale”. Si mira infatti a consacrare le autorità locali quali attori centrali nella gestione delle risorse idriche. A tal fine i paesi in via di sviluppo devono essere incentivati ad affidare le risorse di bilancio e la gestione della politica in materia di acqua alle autorità locali. La politica in materia di acqua deve sempre essere definita a seconda delle specificità del territorio e, nella misura del possibile, secondo le esigenze degli utenti.

La risoluzione del Parlamento esorta la Commissione a riconoscere le formidabili risorse umane e la grande abilità finanziaria delle autorità locali europee e ad attingervi maggiormente. Forti della loro esperienza positiva e delle loro competenze tecniche, le città del nord del mondo sono infatti desiderose di apportare il loro aiuto ad altre città nei paesi in via di sviluppo.

Per favorire queste operazioni di cooperazione decentralizzata da città a città, si chiede alla Commissione di incoraggiare e di privilegiare il finanziamento di progetti presentati da città del nord. In particolare, per l’assegnazione di fondi europei per l’acqua, la Commissione potrebbe limitare l’ammissibilità a tali fondi agli operatori più idonei per aiutare le autorità del sud.

Nel primo invito a presentare proposte in relazione allo strumento per l’acqua ACP-UE solo il 3 per cento dei progetti ritenuti idonei sono stati presentati da enti del luogo, e tale percentuale è del tutto insufficiente, tenuto conto del valore aggiunto che le autorità locali apportano in questo settore.

 
  
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  Fiona Hall, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signor Presidente, desidero esprimere alcune brevi considerazioni sul ruolo dello strumento per l’acqua ACP-UE cui il Commissario ha fatto riferimento. Se ne è parlato anche di recente in seno alla commissione per gli affari sociali e ambientali dell’Assemblea parlamentare congiunta ACP-UE.

Ritengo ancora positiva la decisione assunta nel 2004 dal consiglio ACP-UE di varare uno strumento per l’acqua del valore di 500 milioni di euro, ma la delusione è tanta per la lentezza con cui l’iniziativa viene messa in atto. Infatti è emerso che nessuno ha ancora potuto usufruire di acqua potabile nel quadro di tale iniziativa. E’ importante quindi che sia assegnata sufficiente attenzione alle procedure e che sia assicurato il rispetto di norme rigorose atte a garantire probità nell’amministrazione, specialmente quando sono in gioco importi così ingenti; la valutazione conclusiva si è comunque svolta nel gennaio di quest’anno e alla fine sono state selezionate 97 proposte. Vorrei quindi sapere se riusciremo a fornire acqua potabile ad altri 10 milioni di persone entro il 2010, come previsto, e se la procedura sarà più spedita quando sarà pubblicato il secondo invito a presentare proposte.

 
  
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  Marie-Arlette Carlotti (PSE).(FR) Signor Presidente, un miliardo e 200 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile, motivo per cui ogni minuto muoiono nel mondo 15 persone, di cui la metà sono bambini. Ci troviamo quindi in corsa contro il tempo. A fronte di un siffatto contesto il Forum mondiale deve definire proposte di tre tipi.

Innanzi tutto si pone la questione del diritto. L’acqua è un bene comune dell’umanità e l’accesso all’acqua è un diritto fondamentale della persona che deve essere sancito per mezzo di un trattato internazionale.

Per quanto attiene alla questione dei mezzi, è un obiettivo ambizioso dimezzare entro il 2015 la quota della popolazione che non ha accesso all’acqua. Occorre però trovare 100 miliardi di dollari in più all’anno. A tal fine vanno mobilitate tutte le risorse disponibili mediante aumenti degli aiuti pubblici allo sviluppo, l’incremento delle risorse del decimo FES, il sostegno a partenariati innovativi tra pubblico e privato e alle operazioni di cancellazione reciproca del debito in modo da favorire gli investimenti.

Per quanto riguarda infine la questione della gestione, le politiche in materia di acqua devono essere definite mediante un approccio partecipativo e democratico, che riunisca gli utenti, la società civile e le donne, e devono essere messe in atto a livello locale mediante politiche tariffarie atte a garantire l’accesso all’acqua alle fasce meno abbienti a prezzi accessibili. Mi auguro che la Commissione difenda questi orientamenti al Forum mondiale di Città del Messico.

 
  
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  Karin Scheele (PSE).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, lei ha affermato che non saranno assunte nuove posizioni al quarto Forum mondiale dell’acqua. Resta però il fatto che l’Esecutivo ha molto lavoro da fare. Lei ha parlato del diritto all’acqua come un diritto dell’uomo, ma è proprio su questo punto che si sono scatenate le controversie nell’ultimo Forum dell’acqua. Il motivo del contendere riguardava il problema di stabilire se la disponibilità di acqua dolce è un diritto umano che lo Stato è tenuto a garantire o un fabbisogno che spetta al mercato soddisfare. Nonostante le imponenti proteste inscenate dagli attivisti sul posto, i ministri presenti al Forum si rifiutarono di inserire nella dichiarazione conclusiva un riferimento all’acqua come diritto inalienabile. Le auguro quindi di riuscire a far riconoscere l’acqua come diritto dell’uomo a Città del Messico.

Per quanto attiene più specificamente a questa edizione del Forum, dovremo anche considerare di quale legittimità democratica dispone. E’ organizzato dal Consiglio mondiale sull’acqua, che è in buona parte dominato dal comparto privato e dalle imprese. Poiché il suo presidente è a capo di una consociata di società francesi per l’approvvigionamento idrico, dobbiamo ovviamente chiederci fino a che punto esso viene influenzato dall’industria e quanto siano utili le soluzioni che potrebbero delinearsi. Il mio auspicio è che i dibattiti – che idealmente dovrebbero tenersi in seno a una futura riunione delle Nazioni Unite dotata di piena legittimità democratica – non siano pesantemente dominati dalle imprese che in molti paesi del mondo si stanno arricchendo grazie all’approvvigionamento idrico e ai servizi fognari.

 
  
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  Stavros Dimas, Μembro della Commissione. (EL) Signor Presidente, il dibattito ha evidenziato un’identità di vedute in merito al Forum mondiale dell’acqua e spero che la Commissione possa trarre vantaggio dalla partecipazione a una discussione in cui, come ho detto prima, non mi aspetto che vengano prese decisioni a prescindere da quanto possano essere necessarie. Ad ogni modo, benché non ci si attenda alcuna decisione, ci sarà naturalmente una discussione approfondita e uno scambio di opinioni a livello mondiale su questi temi importantissimi il cui significato è stato messo in risalto anche dall’Assemblea.

In particolare spero che affronteremo la questione delle azioni locali, sui cui si incentra il quarto Forum mondiale dell’acqua e ci attendiamo che emergano idee interessanti sulla gestione delle risorse idriche. Desidero aggiungere che quest’anno abbiamo iniziato a finanziare i primi piani, mentre a giugno si aprirà la seconda fase del finanziamento. La nostra speranza e il nostro intento sono quelli di assicurare acqua potabile a 10 milioni di persone entro il 2010, mentre saranno 5 milioni le persone che avranno accesso a strutture igienico-sanitarie.

Vi ringrazio vivamente per l’interesse che avete dimostrato e spero che insieme, lavorando di stretto concerto, riusciremo a promuovere un’azione comune in questa materia così importante per l’umanità.

 
  
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  Presidente. Comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione(1) ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 5, del Regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà mercoledì.

 
  

(1)Cfr. Processo verbale.


20. Strumento di preparazione e di reazione rapida alle emergenze gravi (discussione)
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  Presidente. L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0027/2006), presentata dall’onorevole Dimitrios Papadimoulis a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, sulla proposta di regolamento del Consiglio che istituisce uno strumento di risposta rapida e preparazione alle emergenze gravi [COM(2005)0113 – C6-0181/2005 – 2005/0052(CNS)].

 
  
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  Stavros Dimas, Μembro della Commissione. (EL) Signor Presidente, prima di tutto desidero ringraziare il Parlamento europeo e soprattutto la commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare insieme al relatore, onorevole Papadimoulis, per la relazione davvero eccellente di cui discutiamo oggi.

La proposta della Commissione sull’istituzione di uno strumento di risposta rapida e preparazione alle emergenze gravi mira a mantenere un unico quadro finanziario per le azioni di protezione civile. Al momento infatti le azioni di risposta e preparazione rientrano in diversi strumenti finanziari, come il programma d’azione o il meccanismo comunitario di protezione civile.

Tuttavia, l’aspetto più importante è che lo strumento finanziario proposto tiene conto delle richieste avanzate dal Parlamento europeo e dal Consiglio e quindi è destinato a rafforzare la capacità di risposta nel settore della protezione civile in Europa. Di conseguenza, la cooperazione nel campo della protezione civile sarà intensificata mediante il consolidamento del lavoro già svolto nonché tramite il varo di nuove azioni.

In proposito è opportuno mettere in risalto due innovazioni: in primo luogo proponiamo di finanziare il costo della mobilitazione dell’assistenza prestata nell’ambito della protezione civile. Molto spesso infatti ci siamo trovati in circostanze in cui l’assistenza in effetti era disponibile, ma mancavano i mezzi per poterla erogare sul luogo della crisi. Di conseguenza, in questi casi l’assistenza o non viene erogata affatto, oppure arriva tardi. Per tale ragione la Commissione chiede che le sia dato lo strumento necessario per reperire i mezzi di trasporto necessari da paesi terzi o attraverso imprese private.

Sussiste un problema analogo anche per le attrezzature della protezione civile: nel caso in cui l’emergenza scatti contemporaneamente in più paesi, come per gli incendi boschivi in estate o le inondazioni in primavera, o nel caso in cui sull’Europa dovessero incombere più minacce terroristiche simultaneamente, gli Stati membri potrebbero trovarsi in difficoltà a prestare assistenza a un altro Stato membro a causa della necessità di dare priorità al proprio fabbisogno. In tali eventualità l’Unione deve essere in grado di prestare assistenza agli Stati membri investiti dalla crisi. Pertanto la Commissione propone di istituire una rete di finanziamento di riserva a livello comunitario per poter reperire l’attrezzatura supplementare che potrebbe rendersi necessaria.

Riforme ambiziose ma necessarie, come quelle di cui discutiamo oggi, ovviamente richiedono ingenti risorse finanziarie e, come sosteneva Demostene, “il denaro è la radice di tutto”.

La Commissione è certa che il Parlamento europeo comprenda, come d’altro canto illustra la relazione oggi in discussione, l’importanza del beneficio che scaturirà da queste riforme. La cooperazione rafforzata nel settore della protezione civile migliorerà la protezione dei cittadini dell’Unione europea e delle popolazioni dei paesi terzi. E’ l’unico modo per assicurare la capacità dell’Unione di fornire un’assistenza più coordinata, efficace e tempestiva a tutti i paesi interessati da gravi emergenze.

 
  
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  Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL), relatore. – (EL) Signor Presidente, convengo con il Commissario Dimas che dobbiamo fare di più per rendere più incisiva e più efficace l’azione dell’Unione europea nei casi di catastrofi naturali gravi che colpiscono l’Europa, come le inondazioni, le siccità e gli incendi, e di altre catastrofi che si verificano al di fuori dei nostri confini, come lo tsunami o gli uragani che si sono abbattuti sul Mississippi e sulla Louisiana. Il nostro intento quindi è quello di fare di più e meglio tutti insieme. Se riusciremo a soddisfare la richiesta dei cittadini europei che vogliono maggiore sicurezza e un miglioramento della qualità della vita, potremo anche realizzare economie di scala, poiché un meccanismo europeo più efficace può favorire il risparmio delle risorse dei singoli Stati membri.

Mi preme precisare che la sfida che ci troviamo ad affrontare consiste nell’istituire un meccanismo efficace di protezione civile. Se vogliamo riuscirci, come Demostene aveva giustamente enfatizzato circa 2 500 anni fa, anche il Consiglio deve dare la sua adesione, incrementando le risorse disponibili. La Commissione e il Consiglio convengono altresì sulla necessità di trovare il modo di rafforzare l’assistenza per affrontare le emergenze anche al di fuori dei confini dell’Unione europea. Di conseguenza, dobbiamo finanziare questo strumento e, se investiremo in maniera più perspicace per consolidare la cooperazione adesso, riusciremo a scongiurare gravi perdite di vite umane e ingenti danni materiali che, qualora non si riuscissero a evitare, rappresenterebbero anche un costo molto più elevato per l’Unione.

Desidero ringraziare i relatori ombra di tutti gli schieramenti politici per l’eccellente cooperazione in seno alla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, che si riflette nella relazione e nell’approvazione pressoché unanime, con 49 voti a favore e un solo voto contrario, di alcuni emendamenti che abbiamo apportato alla proposta originale della Commissione.

I miei emendamenti, adottati dalla commissione per l’ambiente e incorporati nel testo della relazione, si imperniano su quattro punti principali.

Il primo verte sul cambiamento della base giuridica, che consentirà al Parlamento di inserire il provvedimento nel quadro più appropriato e soprattutto di non limitarsi a un ruolo puramente consultivo, in quanto acquisirebbe la possibilità di prendere parte alla procedura di codecisione; pertanto questa Istituzione, che è vicina ai cittadini europei, avrà modo di esercitare maggiore influenza sul processo decisionale.

La seconda modifica riguarda l’inclusione della prevenzione nel campo d’azione dello strumento. Inutile dire che la gestione integrata delle catastrofi naturali deve comprendere, oltre alle misure di preparazione e di risposta rapida, anche gli investimenti nella prevenzione. La prevenzione infatti rappresenta uno dei pilastri per affrontare il problema e sono estremamente lieto che su questo punto siamo sulla stessa linea d’onda della Commissione e del Consiglio.

Lo stesso vale anche per il terzo punto, ossia la necessità di estendere lo strumento e le relative azioni a paesi al di fuori dell’Unione europea giacché le catastrofi naturali non conoscono confini.

Il quarto emendamento proposto è inteso a integrare la sanità pubblica nel campo d’azione dello strumento; si tratta di un aspetto importante specialmente se pensiamo al rischio che si scateni una pandemia di influenza aviaria.

Per concludere, auspico che il voto di domani rifletta lo stesso consenso espresso in seno alla commissione per l’ambiente per trasmettere un messaggio chiaro sia ai cittadini europei che al Consiglio, come abbiamo fatto anche in passato in una serie di risoluzioni sulle catastrofi naturali e antropiche. Questo messaggio è necessario, in quanto ci aiuterà a realizzare la cooperazione tra le tre Istituzioni in modo da poter addivenire rapidamente a un risultato positivo.

 
  
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  Marcello Vernola, a nome del gruppo PPE-DE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, a quanto ha detto il collega Papadimoulis rispetto alle integrazioni che la commissione per l’ambiente ha fatto alla proposta della Commissione con il principio dell’estensione del campo di applicazione del regolamento all’inquinamento marino, vorrei aggiungere che oggi non esistono altri specifici strumenti destinati alla gestione delle conseguenze derivanti dai disastri marini.

Condividendo il lavoro fatto da Papadimoulis, sostanzialmente all’unanimità, la commissione per l’ambiente ha approvato altri specifici emendamenti da me proposti, fra cui la centralità dei problemi ambientali nella gestione delle calamità; è stato chiesto alla Commissione di garantire, nell’ambito dei diversi meccanismi e strumenti comunitari nel campo della protezione civile, maggiore attenzione a favore delle regioni isolate e più periferiche per peculiarità geografiche, territoriali e socioeconomiche, nonché di integrare nei moduli di insegnamento e nelle campagne di comunicazione e di informazione le misure di protezione civile per aumentare la consapevolezza della necessità di prevenzione, preparazione e risposta rapida ai gravi incidenti e per garantire la partecipazione della società civile all’azione preventiva e di risposta. In altre parole, occorre puntare sui giovani, sull’educazione nelle scuole.

Un ultimo emendamento importante è stato approvato dalla commissione per l’ambiente, ossia quello volto a valorizzare il volontariato sia organizzato in gruppo che il singolo cittadino, in quanto possono fornire servizi vitali in assenza di operatori d’emergenza il cui arrivo può essere ritardato a seguito d’una grande catastrofe. Credo che con queste proposte il regolamento assuma una visione estremamente più ampia nella gestione delle emergenze gravi.

 
  
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  Åsa Westlund, a nome del gruppo PSE.(SV) Signor Presidente, ringrazio l’onorevole Papadimoulis per il meticoloso lavoro svolto in questa relazione.

Viviamo in un’epoca in cui le catastrofi sembrano essere sempre più frequenti. Alcuni anni fa l’Iran fu colpito da un terribile e devastante terremoto. Me ne ricordo molto bene, perché ogni giorno la televisione mostrava le immagini degli iraniani che erano soli a estrarre i sopravvissuti dalle macerie. Proprio un anno fa l’Asia sudorientale fu devastata dallo tsunami che ha inferto un duro colpo anche al mio paese. Secondo alcune notizie che ci giunsero dai luoghi del disastro alcuni Stati membri si impegnarono a portare in salvo i propri cittadini, lasciando gli altri al proprio destino.

Ad ogni modo è emerso chiaramente che l’opera di soccorso sarebbe stata molto più efficace se la cooperazione europea fosse stata più incisiva. E’ altresì vero che gli aiuti avrebbero potuto essere forniti più efficacemente anche nelle catastrofi che hanno investito gli Stati membri, come le grandi inondazioni e gli incendi boschivi. Inoltre è assai probabile che questo tipo di catastrofi diventi più frequente man mano che si intensifica il cambiamento climatico. Per questa ragione lo strumento in questione riveste un’importanza capitale.

Noi socialdemocratici abbiamo insistito in particolare affinché lo strumento possa essere attivato sia all’interno che all’esterno dell’Unione europea, in parte per il fatto che i cittadini europei spesso si spostano al di fuori dei confini comunitari, ma soprattutto in nome della solidarietà nei confronti degli altri popoli. Reputiamo inoltre estremamente importante che l’UE cooperi anche con l’ONU – suo partner naturale – in questo settore.

Abbiamo altresì presentato un emendamento sul bilancio dello strumento. Confidiamo nel sostegno generale, poiché esso afferma che il bilancio naturalmente dipenderà dall’esito dei negoziati sulle prospettive finanziarie. Sosteniamo poi il relatore anche rispetto alla base giuridica e all’estensione dello strumento in modo che nel suo campo di applicazione possano rientrare anche le crisi che attengono alla sanità pubblica.

Se dobbiamo fissare le priorità in relazione ai lavori in corso in materia di bilancio, per noi socialdemocratici sono più importanti gli sforzi diretti e i relativi preparativi sia all’interno che al di fuori dell’Unione europea.

 
  
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  Sajjad Karim, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signor Presidente, il dramma causato dallo tsunami in Asia meridionale per la prima volta ha fatto comprendere alla gente che calamità simili potrebbero abbattersi anche sulle loro case e sulla loro vita. Fatte le dovute proporzioni, alcune settimane più tardi Carlisle – una cittadina del mio collegio elettorale – è stata colpita da una forte perturbazione con precipitazioni eccezionali, aggravata da violentissime raffiche di vento e dall’alta marea. Gli argini sono tracimati e sono state allagate 3 000 abitazioni e centinaia di uffici, provocando la morte di due anziane signore sorprese nel sonno e l’evacuazione di centinaia di persone che hanno dovuto lasciare le loro case, in alcuni casi per molti mesi.

Sono rimasto sconvolto per la devastazione di Carlisle tanto quanto sono rimasto sconvolto per lo tsunami e per il terremoto in Asia meridionale di alcuni mesi dopo. L’Unione europea è stata colpita da dolorosi lutti, in quanto il mare ha inghiottito i turisti che si trovavano a Sri Lanka e in Tailandia, mentre i nostri amici e familiari in Pakistan e in Kashmir hanno perso la vita sotto le macerie.

Volendo vedere anche il lato positivo, è stata rafforzata la fiducia nella forza della comunità in tutto il mondo attraverso lo stanziamento di aiuti e la buona volontà di cui hanno dato prova i governi e le singole persone. In queste avversità è uscito il meglio della natura umana. Però anche i migliori sentono la fatica e in novembre, quando il Kashmir fu colpito dalla seconda ondata di morte a causa delle malattie e della situazione igienica, emerse chiaramente che la comunità dei donatori non è in grado di reagire con fermezza laddove manca la volontà politica.

Lo strumento di risposta rapida e di preparazione alle emergenze gravi dell’Unione europea è volto proprio a colmare questa lacuna ed è stato concepito per affiancare il sistema delle Nazioni Unite in modo da valorizzare al massimo le risorse comuni e garantire che, laddove viene lanciata una domanda di aiuto, possiamo accorrere a prestare soccorso. Visto l’impatto del cambiamento climatico, dobbiamo prendere atto che le calamità continueranno a verificarsi e con maggiore frequenza.

A Carlisle abbiamo approntato una nuova strategia per la gestione delle inondazioni, predisponendo spazi appositi per le acque e attraverso progetti pilota sul drenaggio urbano integrato per studiare il modo migliore per gestire le inondazioni. La prevenzione è fondamentale, mentre le tematiche ambientali, come una solida gestione delle risorse naturali quali le foreste e le zone umide, sono strumenti irrinunciabili per affrontare le calamità, mitigandone gli effetti sulle persone, sulle abitazioni e sull’economia locale.

A prescindere dalla strategia di prevenzione e dalla portata degli investimenti, è irrealistico pensare che queste calamità possano essere scongiurate in via definitiva. Dobbiamo invece trarne insegnamento. Sono necessari fondi ingenti da investire in meccanismi di allerta, mappe dei rischi e campagne pubbliche di informazione affinché i cittadini siano consapevoli dei rischi.

Dobbiamo garantire che i meccanismi di prevenzione, difesa e allerta contro le calamità naturali in Europa e nel mondo siano solidi e mettano i nostri cittadini – da Carlisle al Kashmir – nelle condizioni migliori per prevenire, prepararsi e reagire dinanzi alle calamità.

Con la relazione in esame il Parlamento ha migliorato sensibilmente la proposta della Commissione ed esorto quindi l’Assemblea ad approvarla.

 
  
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  Satu Hassi, a nome del gruppo Verts/ALE.(FI) Onorevoli colleghi, ringrazio l’onorevole Papadimoulis per l’eccellente lavoro svolto. Parlando della capacità dell’Unione europea di reagire dinanzi alle catastrofi, dobbiamo ricordare che negli ultimi decenni le catastrofi meteorologiche sono aumentate e si prevede un ulteriore incremento a causa del cambiamento climatico. Pertanto risulta fondamentale ridurre le emissioni dei gas a effetto in modo da limitare in futuro la frequenza delle gravi inondazioni e delle perturbazioni eccezionali.

Dal 1990 il mondo è stato colpito da una ventina di catastrofi meteorologiche gravi all’anno; lo stesso numero di catastrofi è stato registrato solo tre volte nei precedenti vent’anni. Dal 1990, stando alle statistiche delle compagnie di assicurazione, i danni causati annualmente dalle catastrofi meteorologiche si sono più che raddoppiati, mentre i risarcimenti liquidati si sono quadruplicati. I ricercatori affermano che le perturbazioni e le inondazioni non solo stanno diventando più frequenti, ma ne aumenta anche l’intensità. Il WWF recentemente ha pubblicato uno studio da cui risulta che il cambiamento climatico è responsabile dell’aumento delle perturbazioni in Europa, soprattutto attorno al Mare del Nord e alle isole britanniche, nei Paesi Bassi e in Francia. I picchi nella velocità dei venti potrebbero aumentare fino al 15 per cento entro la fine del secolo. Dall’esperienza maturata si evince che nel Regno Unito l’incremento della velocità dei venti potrebbe provocare un aumento del 50 per cento dei danni causati dalle perturbazioni, mentre in Olanda un incremento del 6 per cento della velocità dei venti potrebbe quintuplicare i danni provocati dalle inondazioni. In altre parole, onorevoli colleghi, dobbiamo comprendere che la tutela del clima è un fattore cruciale per ridurre la frequenza delle catastrofi meteorologiche in futuro.

 
  
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  Irena Belohorská (NI). (SK) Onorevoli colleghi, anch’io mi associo ai ringraziamenti espressi al relatore, onorevole Papadimoulis, e all’apprezzamento per il lavoro svolto per stilare la relazione. L’Unione europea ultimamente ha registrato un aumento nel numero di catastrofi naturali, tecnologiche e industriali. Pertanto condivido e sostengo pienamente l’idea di unire le forze per prevenirle e per assicurare una risposta rapida nelle crisi che ne conseguono. Entrambe le attività in realtà sono inscindibili, tuttavia si può parlare di prevenzione di una possibile catastrofe solo se la si può effettivamente individuare prima che si verifichi. Molte catastrofi sono impossibili da prevedere e quindi non può esserci alcuna prevenzione; non ci resta allora che prepararci a far fronte alle conseguenze.

Sono lieta che i miei emendamenti alla relazione siano stati accolti. La normativa mira essenzialmente a proteggere le persone, ma è altresì necessario specificare la natura di questa tutela, soprattutto nell’ambito della protezione della salute pubblica e della sicurezza. Nello stesso spirito sarebbe opportuno includere, nel rispetto del principio di solidarietà, anche i paesi terzi in questo processo. Dobbiamo comprendere che le catastrofi naturali, tecnologiche e industriali come pure gli attentati terroristici non conoscono confini.

Mi preme sottolineare che è altresì fondamentale tutelare gli interessi finanziari dell’Unione e quindi raccomando che l’articolo 12 contenuto nella proposta sia emendato come segue: “Qualora il beneficiario degli aiuti finanziari non riesca a giustificare l’impiego degli aiuti e, dopo essere stato invitato a comunicare le sue osservazioni, non dimostra che gli aiuti sono stati utilizzati ai sensi della normativa, deve essere applicata la norma sul recupero dei fondi. La Commissione deve quindi annullare il sostegno finanziario residuo e procedere al recupero dei fondi già erogati”.

 
  
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  Richard Seeber (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, anch’io desidero ringraziare il relatore per il formidabile lavoro che ha svolto. Dall’esito del voto è palese che egli ha lavorato con tutti i gruppi e che si è espresso a nome dell’intera Assemblea.

Desidero altresì ringraziare il Commissario per l’approccio olistico che ha assunto nel settore della reazione alle crisi e della gestione delle catastrofi naturali. Lo strumento di reazione alle crisi che stiamo vagliando dopo tutto è solo una parte del quadro complessivo attraverso cui l’Unione europea sta cercando di affrontare le calamità o sta tentando di individuare modalità di reazione. Per rimanere in tema, anch’io provengo da una regione che è stata colpita da inondazioni e la Commissione lo scorso venerdì ha stanziato ingenti fondi per alleviare le conseguenze di questa catastrofe. Colgo quindi questa occasione per esprimere la mia gratitudine per la solidarietà europea.

E’ fondamentale seguire il suggerimento del relatore e modificare la base giuridica. Credo infatti che l’articolo 175 sia il più idoneo per creare una base giuridica adatta a questo strumento. Reputo parimenti essenziale che il campo d’azione sia esteso alla prevenzione, alla protezione civile di paesi terzi e all’inquinamento marino.

In linea generale si può affermare che lo strumento in questione rappresenta un’opportunità per rispondere alle preoccupazioni e agli interrogativi dell’opinione pubblica europea mediante un meccanismo rapido per stanziare gli aiuti evitando lungaggini burocratiche. E’ infatti proprio in questo ambito che l’Unione può acquisire visibilità ed è anche a tal fine che lo strumento va utilizzato. Non è utile a nessuno imporre norme comunitarie che implicano complesse lungaggini burocratiche o infinite attese prima della riunione del comitato competente, quando in realtà serve un aiuto snello e spedito che in definitiva risulta molto più efficace delle costose campagne di informazione che di solito non approdano a nulla.

Per concludere, in questo caso è totalmente inappropriato il dettame dello statista francese Talleyrand che sosteneva: “Soprattutto niente zelo”, nella fattispecie infatti lo zelo non è mai abbastanza quando si tratta di alleviare le conseguenze delle catastrofi naturali.

 
  
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  Edite Estrela (PSE).(PT) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, innanzi tutto mi voglio congratulare con il relatore per l’eccellente relazione.

Negli ultimi anni, come hanno già detto altri colleghi, si è registrato un aumento nella frequenza delle catastrofi naturali anche a causa del cambiamento climatico, dei danni inferti all’ambiente e delle carenze riscontrate nella pianificazione territoriale. Per rispondere in maniera rapida ed efficace alle emergenze gravi, l’Unione europea dispone di una serie di strumenti, come questa normativa in fase di elaborazione.

Le terribili catastrofi naturali dell’estate del 2005 – le grandi inondazioni nell’Europa centrale, la grave siccità nell’Europa meridionale e gli incendi che hanno distrutto migliaia di ettari di bosco nel mio paese, il Portogallo, e in Spagna – richiedono una prevenzione adeguata e un’azione rapida nonché misure di risposta nel settore della protezione civile.

Nell’ambito delle riunioni operative con le autorità locali, regionali e nazionali dei sei paesi colpiti da catastrofi naturali che ho visitato in veste di relatrice per la commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare per la relazione di iniziativa sulle catastrofi naturali, l’istanza che emergeva ogni volta era quella di una maggiore semplificazione e flessibilità; per aiutare le comunità, gli strumenti comunitari di risposta per le emergenze devono essere razionalizzati e le norme devono essere rese più flessibili. E’ altresì opportuno rafforzare il coordinamento a livello europeo e incrementare il sostegno finanziario.

 
  
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  Stavros Dimas, Μembro della Commissione. (EL) Signor Presidente, ringrazio i deputati dell’Assemblea per i loro contributi estremamente costruttivi. Avete presentato una serie di emendamenti molto importanti, che sono tesi a rafforzare le strutture della protezione civile a livello europeo e che attengono alla prevenzione, alla necessità di garantire il finanziamento per operazioni di protezione civile nei paesi terzi e di innalzare l’efficienza dei sistemi di allarme e di allerta precoce. La Commissione infatti accoglie la maggior parte degli emendamenti presentati.

Mi preme poi commentare in particolare l’aspetto della prevenzione. E’ opportuno rammentare che alcune componenti, come la prevenzione degli incendi boschivi o delle inondazioni, sono già disciplinati in specifici strumenti finanziari comunitari. La Commissione intende evitare sovrapposizioni rispetto a strumenti finanziari già in atto. Tuttavia, riconosciamo la necessità di rafforzare le direttrici generali della prevenzione nell’ambito della protezione civile e quindi saremo lieti di includere gli emendamenti proposti nello strumento finanziario.

Benché la Commissione accolga la maggior parte degli emendamenti proposti, ve ne sono alcuni che sono problematici e che non possono essere integrati nel testo della proposta.

In primo luogo, per quanto riguarda lo strumento finanziario di protezione civile la Commissione non ritiene necessario sostituire la base giuridica con l’articolo 175, paragrafo 1, del Trattato. Visto che il Trattato non prevede una base giuridica apposita per la protezione civile, in questi casi si è sempre ricorso all’articolo 308 del Trattato CE. Gli strumenti finanziari esistenti per la protezione civile, il programma d’azione e il meccanismo comunitario di protezione civile si basano infatti su questo articolo. Inoltre la base giuridica proposta fa riferimento alla protezione ambientale e alla sanità pubblica, mentre le azioni di protezione civile devono necessariamente vertere anche sulla tutela delle persone e delle cose, compreso il patrimonio culturale.

Per quanto concerne l’integrazione nello strumento finanziario degli interventi di emergenza al di fuori dell’Unione europea, la Commissione conviene con il Parlamento europeo sulla necessità di salvaguardare questo genere di azione di finanziamento.

La Commissione ha però deciso di dividere il finanziamento delle azioni comunitarie interne ed esterne varando strumenti giuridici distinti. In questo modo, le azioni di protezione civile adottate nei paesi che partecipano al meccanismo comunitario rientreranno nello strumento finanziario di risposta rapida, mentre gli interventi della protezione civile nei paesi terzi saranno finanziati dallo strumento di stabilità.

Ad ogni modo, affinché lo strumento di stabilità costituisca una base chiara per il finanziamento di operazioni di questo genere al di fuori dell’Unione europea, deve essere fatto esplicito riferimento alla protezione civile.

Su questo punto la posizione dell’Esecutivo differisce da quella espressa nella relazione del Parlamento. Tuttavia, desidero sottolineare che queste divergenze di opinione non devono mettere in ombra i nostri obiettivi comuni, che sono importantissimi. Conveniamo appieno con l’ambizione del Parlamento di sviluppare uno strumento europeo più forte per gli interventi di protezione civile sia all’interno che all’esterno dell’Unione e la necessità di incrementare il finanziamento. A questo proposito infatti desidero ringraziarvi sentitamente per il sostegno manifestato.

D’altro canto, mi preme sottolineare che con gli strumenti, le strutture e le competenze attuali la protezione civile e il meccanismo della Commissione hanno reagito benissimo nelle crisi dell’anno scorso, ossia negli incendi, ad esempio in Portogallo, e in occasione delle inondazioni in paesi quali la Bulgaria e la Romania. Abbiamo attuato 13 interventi, mentre nelle due gravi crisi che hanno investito l’Asia sudorientale a causa dello tsunami l’Unione europea, grazie al meccanismo di protezione civile, è stata la prima a inviare rappresentanti sul posto. Inoltre l’Unione è intervenuta anche per fermare l’opera distruttrice dell’uragano Katrina, fornendo assistenza dopo soli tre giorni dalla proposta avanzata alle autorità competenti negli Stati Uniti, motivo per cui abbiamo ricevuto i complimenti del Consiglio europeo. Credo infatti che sia utile ricordare e mettere in risalto alcuni aspetti che hanno caratterizzato – voglio sottolinearlo – gli strumenti esistenti. Ovviamente però, come afferma la relazione Papadimoulis, occorre rafforzare la protezione civile.

Provvederò a consegnare l’elenco completo della posizione della Commissione sugli emendamenti al Segretariato del Parlamento(1). Desidero infine rinnovare i miei ringraziamenti al relatore e agli onorevoli deputati per i suggerimenti avanzati.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani.

Dichiarazione scritta (Articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Véronique Mathieu (PPE-DE).(FR) La violenza delle recenti catastrofi naturali ci ricorda la vulnerabilità delle nostre società nei confronti dei rischi legati all’ambiente: in vent’anni le catastrofi naturali hanno ucciso 1,5 milioni di persone in tutto il mondo. Per affrontare in modo efficace questo problema, dobbiamo attuare un’attività di previsione attraverso la valutazione dei rischi, la prevenzione, l’educazione e l’informazione del pubblico.

Con la creazione di ECHO nel 1992, con il programma DIPECHO nel 1996 e con il Fondo di solidarietà nel 2002, l’Unione europea ha fatto della prevenzione e degli aiuti di emergenza una priorità assoluta. Nel 2005 si è anche deciso di creare una struttura di coordinamento europea che potesse contare su un corpo di volontari per l’aiuto umanitario.

La Commissione propone di istituire un nuovo meccanismo di preparazione e di intervento rapido per i casi di emergenze particolarmente gravi per il periodo 2007-2013: si tratta di una proposta che naturalmente accogliamo con grande favore. Si dovrebbe tuttavia rettificare la base giuridica indicata per tale meccanismo e fare riferimento all’articolo 174, che prevede la codecisione; inoltre si dovrebbe ampliare il campo di applicazione delle misure preventive in modo da comprendere la protezione civile nei paesi terzi e l’inquinamento marino. Infine, il bilancio previsto per il meccanismo in questione dovrebbe essere tale da assicurare la massima efficacia degli aiuti di emergenza sia in termini di flessibilità che di rapidità di intervento e una maggiore visibilità della solidarietà comunitaria sia all’interno che all’esterno dell’Unione.

 
  
  

Allegato – Posizione della Commissione

Relazione Papadimoulis (A6-0027/2006)

Sono lieto di comunicare che la Commissione può accogliere pienamente, in parte o in linea di principio 52 emendamenti. Tali emendamenti sono i nn. 1, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 16, 17, 18, 23, 24, 25, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 43, 44, 45, 47, 48, 49, 50, 51, 52, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 66, 67, 68, 69, 70, 73 e 75.

La Commissione respinge gli emendamenti nn. 2, 3, 4, 13, 14, 15, 19, 20, 21, 22, 26, 27, 35, 42, 46, 53, 54, 63, 64, 65, 71, 72 e 74.

 
  

(1) Cfr. Allegato: “Posizione della Commissione”.


21. Strategia comunitaria sul mercurio (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0044/2006), presentata dall’onorevole Marios Matsakis a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, sulla strategia comunitaria sul mercurio [2005/2050/(INI)].

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE), relatore. – (EN) Signor Presidente, desidero in primo luogo ringraziare tutti i relatori ombra per la collaborazione estremamente costruttiva che mi hanno offerto nella preparazione di questa relazione. Ringrazio anche tutti coloro che hanno presentato emendamenti e si accingono a partecipare al dibattito su questo documento strategico.

Il mercurio e le sue componenti sono altamente tossici per l’uomo, per la flora e la fauna selvatiche. Immesso nell’ambiente, il mercurio si trasforma in metilmercurio – la forma più tossica –, supera agevolmente la barriera cerebrale e può causare gravi danni neurologici. Esso supera rapidamente anche la barriera placentare, con possibili conseguenze per lo sviluppo neurologico del feto. Il mercurio costituisce una minaccia globale in quanto percorre lunghe distanze sospeso nell’atmosfera, attraversa i confini nazionali e contamina le riserve alimentari europee e globali in maniera così grave da rappresentare un rischio tangibile per la salute umana.

Dal momento che l’Unione europea è il massimo esportatore mondiale di mercurio, è assolutamente necessario dal punto di vista economico, morale e politico che l’UE assuma un ruolo guida nella gestione dei rischi globali posti dal mercurio. L’azione dell’Unione europea, al pari dell’impegno internazionale, è indispensabile per la tutela della salute umana e dell’ambiente. La strategia comunitaria sul mercurio, grazie al suo approccio globale, rappresenta quindi un importante contributo nella gestione di questa minaccia globale.

In termini generali la relazione accoglie con favore la comunicazione della Commissione ed evidenzia l’approccio globale adottato, che mira a ridurre e ad eliminare gradualmente le emissioni, l’offerta e la domanda di mercurio a livello europeo, nonché a gestire le eccedenze di mercurio e a proteggere contro l’esposizione alla sostanza.

In particolare, questa strategia si occupa di problemi come l’attuazione di un efficace divieto di esportazione e di un sistema di stoccaggio sicuro; l’introduzione di valori limite di emissione di mercurio da impianti di combustione e da altre attività correlate; il divieto di impiegare il mercurio, quando ciò sia possibile, nelle apparecchiature di misurazione e controllo; la raccolta e il trattamento dei rifiuti di mercurio; la diffusione di informazioni adeguate e il monitoraggio dei gruppi di popolazione a rischio; e infine il sostegno e la promozione di un’azione concordata a livello internazionale per affrontare la minaccia rappresentata dal mercurio.

E’ degna di nota la raccomandazione di vietare l’uso del mercurio nella produzione di vaccini, ove sia disponibile un’alternativa adeguata e più sicura; analogamente, vale la pena di sottolineare che gli strumenti di importanza storica sono esclusi dalla strategia.

Per quanto riguarda i 13 emendamenti finali che vi sono stati sottoposti, sono propenso a sostenere gli emendamenti nn. 3, 4, 7, 9, 10, 11, e 12. Particolarmente significativo mi sembra l’emendamento n. 10, che sostanzialmente reintroduce il mio originale articolo 17 sugli amalgami dentali; su questo punto vorrei fare le seguenti osservazioni.

In sostanza l’articolo 17 chiede alla Commissione di avanzare, entro la fine del 2007, proposte intese a limitare – non a vietare immediatamente – l’utilizzo del mercurio negli amalgami dentali; ciò in quanto è assolutamente inaccettabile, a mio avviso, continuare a introdurre nella bocca dei pazienti una sostanza potenzialmente tossica quando esistono alternative più sicure. In realtà molti dentisti – compreso il mio – hanno già abbandonato da molto tempo l’uso di amalgami contenenti mercurio, dal momento che le alternative moderne – cioè gli amalgami bianchi – sono più estetici e più sicuri, oltre ad avere lo stesso costo. Vi esorto quindi a votare a favore dell’emendamento n. 10.

Ringrazio ancora una volta tutti coloro che hanno contribuito a questa relazione.

(Applausi)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. VIDAL-QUADRAS ROCA
Vicepresidente

 
  
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  Stavros Dimas, Μembro della Commissione. (EL) Signor Presidente, onorevoli deputati, esordirò esprimendo il mio apprezzamento per l’ottimo lavoro svolto con la relazione oggetto del dibattito odierno. In particolare, desidero ringraziare l’onorevole Matsakis per il contributo straordinariamente costruttivo e sostanziale apportato.

Commenterò brevemente le finalità e i principali obiettivi della strategia sul mercurio. La strategia è essenzialmente volta a ridurre i livelli di mercurio nell’ambiente e l’esposizione umana al mercurio, soprattutto il metilmercurio contenuto nel pesce. Il mercurio e i suoi componenti sono estremamente tossici per gli esseri umani, gli ecosistemi e la fauna selvatica. In alti dosaggi questa sostanza può rivelarsi fatale per l’uomo e, anche a dosaggi relativamente bassi, può avere gravi ripercussioni sulla salute umana.

La strategia prevede i sei obiettivi seguenti: riduzione delle emissioni di mercurio; riduzione delle quantità disponibili di mercurio limitandone l’offerta e la domanda; soluzione dell’annoso problema della limitazione delle eccedenze e delle scorte di mercurio per i prodotti che vengono ancora utilizzati o che sono stati recentemente stoccati, al fine di evitare l’esposizione al mercurio; sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui problemi provocati dal mercurio e dal suo utilizzo laddove non esistano alternative e, infine, sostegno e promozione di azioni internazionali per affrontare il problema del mercurio.

Nel corso degli ultimi decenni, a livello comunitario sono state intraprese diverse azioni per affrontare il problema del mercurio e ridurne le emissioni e l’utilizzo, nonché per limitare l’esposizione a questa sostanza. Allo stesso tempo, però, tutto ciò che è stato fatto finora non è sufficiente; dobbiamo fare molto di più. Nella fase preparatoria della strategia, la Commissione ha rivolto particolare attenzione all’individuazione degli aspetti più importanti e irrisolti del problema del mercurio e ai settori in cui l’Unione europea potrebbe adottare nuove misure.

I principali settori in esame per i quali si propone di agire nel breve periodo sono i seguenti: l’offerta di mercurio al mercato e le esportazioni di mercurio, le eccedenze di mercurio prodotte dall’industria dei cloro-alcali, l’uso del mercurio negli strumenti di misurazione e controllo e le emissioni di mercurio generate dalla combustione di carbone. Non dobbiamo dimenticare che ci vorranno decenni per risolvere il problema del mercurio una volta per tutte. I livelli odierni sono dovuti alle emissioni di mercurio del passato, e ci vorrà molto tempo prima che tali livelli si stabilizzino, anche in assenza di nuove emissioni di mercurio.

Desidero inoltre sottolineare l’importanza di un’azione internazionale congiunta, correlata alle iniziative in corso di adozione a livello di Unione europea. Il mercurio è un inquinante globale e la Commissione intende organizzare una conferenza internazionale a Bruxelles il 26 e il 27 ottobre prossimi per consolidare la spinta già esistente in questo settore a livello internazionale.

Concluderò ringraziando ancora una volta l’onorevole Matsakis e l’intero Parlamento per il loro lavoro; ribadisco quindi il mio impegno a favorire politiche europee ancora più rigorose, per garantire una maggiore tutela della salute e dell’ambiente.

 
  
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  Martin Callanan, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, desidero ringraziare l’onorevole Matsakis per tutto l’impegno che ha dedicato a questa relazione. L’esito delle votazioni svoltesi in seno alla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare è una relazione che costituisce la prima fase di un approccio coerente al problema del mercurio e alla definitiva riduzione dei livelli di mercurio nell’ambiente. Ciò va a riconoscimento del lavoro svolto dall’onorevole Matsakis.

Il gruppo PPE-DE ha presentato due emendamenti alla relazione adottata in commissione. Uno di tali emendamenti – quello concernente gli strumenti di misurazione tradizionali come i barometri – consentirebbe a un ridottissimo numero di persone che, nell’Unione europea, si occupano della riparazione, della manutenzione e del riciclaggio dei barometri, di continuare ad operare in condizioni rigorosamente controllate. Un divieto significherebbe la condanna a morte della fabbricazione artigianale di barometri, ossia di una tradizione che risale a più di 400 anni fa, quando comparvero i primi barometri a mercurio. Se queste aziende saranno costrette a chiudere, chi possiede un barometro non avrà modo di farlo riparare e finirà probabilmente per sbarazzarsene gettandolo nella spazzatura, a danno di tutti.

Sono assolutamente favorevole a un intervento legislativo che protegga i cittadini da una sostanza fortemente tossica come il mercurio; tuttavia, il nostro approccio ai problemi ambientali dev’essere proporzionato ed equilibrato.

Un divieto totale sarebbe a mio avviso una risposta sproporzionata. In Europa i fabbricanti di barometri sono ben pochi, sanno perfettamente come lavorare con il mercurio in condizioni di sicurezza, conoscono i rischi che esso può comportare e hanno le competenze necessarie per ridurre l’inquinamento che questo metallo provoca. Opportune avvertenze sulla sicurezza del prodotto, unite a un sistema di licenze per gli impianti, permetterebbero di controllare e monitorare l’utilizzo del mercurio; i cittadini potrebbero così continuare a usare i propri barometri, come fanno da secoli, senza pericoli per l’ambiente o la salute.

Il secondo emendamento riguarda gli impianti dell’industria dei cloro-alcali a cella di mercurio. Credo che altri colleghi ne parleranno in seguito.

 
  
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  María Sornosa Martínez, a nome del gruppo PSE. – (ES) Signor Presidente, condividiamo gli obiettivi dell’onorevole Matsakis: sia l’eliminazione delle emissioni di mercurio su scala europea, sia il divieto delle esportazioni di mercurio. Questo metallo e i suoi componenti sono infatti altamente tossici per gli esseri umani e per l’ambiente, come già si è detto in questa sede.

Benché l’Unione europea sia la principale esportatrice di mercurio al mondo, e quindi un divieto imposto alle sue esportazioni sia destinato a rallentare notevolmente il commercio e a ridurre le riserve mondiali del metallo, lancio un appello al Consiglio affinché l’UE, in occasione di riunioni e attività internazionali, stipuli accordi internazionali e avvii progetti con paesi terzi – soprattutto in materia di trasferimento di tecnologia – per affrontare il problema della contaminazione causata dal mercurio. In questo quadro sarebbe auspicabile l’adozione di misure giuridiche vincolanti a livello internazionale.

Invito inoltre la Commissione a sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica, organizzando campagne d’informazione sui rischi sanitari derivanti dall’esposizione al mercurio nonché sui problemi ambientali che questa sostanza può provocare; temo infatti che i cittadini non siano sufficientemente informati sulla sua tossicità.

C’è un altro aspetto che giudico molto preoccupante: alludo all’uso del mercurio nei vaccini sotto forma di thimerosal, che potrebbe rivelarsi nocivo per la salute umana. Dobbiamo ricordare che alcuni paesi, come la Danimarca, non lo impiegano nei vaccini per bambini già dal 1992.

Sono lieta che le conclusioni del Consiglio riconoscano i problemi ambientali e sociali derivanti dalla chiusura delle miniere di mercurio rimaste attive per lungo tempo ad Almadén, oltre alla possibilità di utilizzare le miniere di Almadén per lo stoccaggio sicuro delle scorte di mercurio metallico esistenti e del mercurio metallico sottoprodotto dall’industria in tutta Europa, ma in nessun caso dei suoi residui, sfruttando in tal modo le infrastrutture, la manodopera e le competenze tecnologiche locali.

Non mi resta che ringraziare il relatore e tutti i relatori ombra, poiché hanno compiuto un lavoro davvero eccellente.

 
  
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  Carl Schlyter, a nome del gruppo Verts/ALE.(SV) Ringrazio l’onorevole Matsakis per l’esemplare lavoro che ha svolto in veste di relatore.

Già nel 1990, quando fu pronunciata la decisione PARCOM, si stabilì che l’industria dei cloro-alcali avrebbe progressivamente eliminato il mercurio entro il 2010. Ora dobbiamo emanare un divieto sulle esportazioni che entri in vigore prima di quella data, perché altrimenti l’industria dei cloro-alcali, che detiene i maggiori stock di mercurio in Europa, ne esporterà quantità enormi. Quindi, è importante vietare le esportazioni prima del 2010.

Ci preoccupiamo della sicurezza dei depositi, ma attualmente la seconda maggiore riserva di mercurio nella società è situata a dieci centimetri dal nostro cervello. La prima otturazione dentale priva di amalgama mi fu applicata 21 anni fa, ed è ancora lì: la sua qualità è assolutamente eccellente. In Svezia, appena lo 0,05 per cento delle otturazioni applicate a bambini e ragazzi contiene amalgama, mentre il dato corrispondente per gli adulti si colloca al 2 per cento; inoltre, si tratta di cifre in costante calo. L’Ispettorato svedese per i prodotti chimici ha dimostrato che la necessità di eliminare il mercurio dipende soprattutto da motivi ambientali e di salute pubblica; d’altra parte, esistono valide alternative a questo metallo. Si può osservare che i tre quarti dei rifiuti di mercurio derivano dagli amalgami, e la maggior parte viene prodotta negli ambulatori dentistici. Ciò significa che le otturazioni contenenti amalgama costituiscono la percentuale di gran lunga maggiore dei rifiuti di mercurio che finiscono nella rete fognaria. Per risolvere questi problemi vi invito quindi a votare a favore dell’emendamento n. 10 da me presentato. La ringrazio ancora una volta, onorevole Matsakis, per il suo costruttivo lavoro.

 
  
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  Adamos Adamou, a nome del gruppo GUE/NGL. – (EL) Signor Presidente, desidero anzitutto congratularmi con l’onorevole Matsakis e ringraziarlo per la sua relazione; egli è riuscito a inserire in questa proposta di risoluzione le opinioni di tutti i colleghi.

Nonostante gli elementi positivi contenuti nel documento, a nostro avviso sarebbe stato possibile e doveroso rafforzare ulteriormente la strategia comunitaria sul mercurio. Riteniamo che il divieto sulle esportazioni di mercurio dai paesi dell’Unione europea sarebbe dovuto entrare in vigore non più tardi del 2008, e non entro il 2010, come ha sostenuto la maggioranza in sede di commissione parlamentare.

Insistiamo inoltre sull’importanza di stabilire un regime di eccezioni più severo per quanto riguarda tale divieto; in particolare, le eccezioni dovrebbero applicarsi solo qualora non siano disponibili alternative adeguate.

Ci sembra inoltre molto opportuno che, per aiutare i paesi in via di sviluppo a eliminare il mercurio, l’Unione europea fornisca loro non solo assistenza tecnica, ma anche finanziaria.

 
  
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  Kathy Sinnott, a nome del gruppo IND/DEM.(EN) Signor Presidente, esordirò congratulandomi con la Commissione per avere deciso di eliminare il mercurio, una decisione per cui i tempi erano ormai maturi; siamo infatti consapevoli della pericolosità del mercurio da molto tempo. Vorrei quindi congratularmi con l’onorevole Matsakis per la sua eccellente relazione, che riesce a far meglio della Commissione, soprattutto additando alla Commissione stessa uno degli impieghi del mercurio attualmente più pericolosi: il thimerosal, ossia il mercurio iniettato direttamente con farmaci di uso comune come i vaccini per l’influenza. Da quando il mercurio è stato eliminato dai vaccini per bambini in California, si continua a registrare un aumento dei casi di autismo ma, per la prima volta da 20 anni, il tasso di incremento si è ridotto in maniera significativa. Signor Commissario, qualora si rendesse necessaria la vaccinazione contro l’influenza aviaria, la prego di fare in modo che il vaccino sia privo di mercurio.

C’è un’altra fonte di mercurio che vi chiedo di eliminare; il governo irlandese inquina l’approvvigionamento idrico nazionale con acido esafluorosilicico, un prodotto di rifiuto dell’industria dei fertilizzanti artificiali che, oltre al mercurio, contiene altre tossine come piombo, arsenico, berillio, vanadio, cadmio, silicone e radionuclidi. Vi prego di affrontare questo problema.

 
  
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  Thomas Ulmer (PPE-DE). (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, ringrazio in primo luogo l’onorevole Matsakis per il clima di valida, costruttiva e aperta collaborazione che ha contraddistinto la stesura di questa relazione. Si tratta di un documento che anticipa la legislazione, e in questo caso noi indichiamo una direzione, ma non fissiamo un itinerario definitivo: i provvedimenti legislativi dovranno venire in seguito.

E’ universalmente noto che il mercurio è una sostanza altamente tossica; questo è già un motivo sufficiente per ritirarlo dalla circolazione. I due obiettivi che prevedono il divieto di esportazione dal 2010, nonché uno stoccaggio sicuro del mercurio ritirato dalla circolazione, costituiscono perciò due prime importanti indicazioni della direzione da seguire. In questo campo è inoltre evidente che occorre introdurre il principio di sostituzione, che è tanto più importante in quanto il mercurio non è biodegradabile e quindi rimane in circolazione in eterno. Tramite la catena alimentare, ogni microgrammo di mercurio continuerà a penetrare nell’organismo umano. Già oggi gli abitanti delle regioni costiere, che si nutrono abitualmente di pesce, hanno nell’organismo un contenuto di mercurio superiore ai valori limite consentiti. Purtroppo, per il momento non si può fare nulla per modificare la situazione né si possono trarre conseguenze dirette da un suo eventuale cambiamento; in termini di medicina ambientale, si impone però la necessità di un divieto assoluto.

Ritengo per ora insoddisfacente anche la formulazione relativa agli amalgami dentali, i quali sono sempre considerati una sospetta concausa di numerose malattie, tra cui menzionerò a titolo di esempio le deficienze immunitarie, la tiroidite di Hashimoto, il morbo di Alzheimer, la sclerosi multipla, la sclerosi laterale amiotrofica e i danni al feto nel grembo materno. Benché il parere degli esperti in materia non sia unanime, la tendenza e il rischio si profilano in maniera inequivocabile. Quindi, prima di effettuare esperimenti su esseri viventi, occorre dare priorità al principio di precauzione e prevenzione. Non raccomanderò ai pazienti a me affidati amalgami e altri prodotti contenenti mercurio, e mi batterò per far ritirare dalla circolazione il mercurio stesso, il più ampiamente e rapidamente possibile.

 
  
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  Gyula Hegyi (PSE).(EN) Signor Presidente, in linea generale concordo con l’onorevole Matsakis e la sua ottima relazione. La commissione parlamentare ha accolto tutti gli emendamenti che ho presentato, e adesso vorrei illustrarne brevemente i contenuti.

In questo campo l’informazione dell’opinione pubblica è cruciale; tutti devono comprendere i rischi sanitari e ambientali del mercurio. Poiché l’inquinamento non si ferma alle frontiere, dobbiamo indurre i paesi confinanti con l’Unione europea ad attuare la nostra politica rigorosa in materia di mercurio. Lo strumento che ci viene offerto dalla politica europea di prossimità e partenariato è essenziale per incoraggiare quei paesi ad avviare le iniziative più opportune in campo ambientale. Lo stesso vale per l’etichettatura dell’oro estratto senza utilizzare il mercurio, sia all’interno che all’esterno dell’Unione europea.

Con la mia ultima ma non per questo meno importante osservazione, vorrei esortare l’Unione europea ad assumere un atteggiamento cauto per quanto riguarda gli amalgami dentali. E’ necessario evitare i rischi concreti, ma dobbiamo concedere più tempo alla ricerca e all’analisi dei dati scientifici. Credo che in questo momento l’imposizione di un divieto totale sarebbe una misura troppo drastica.

 
  
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  María del Pilar Ayuso González (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, desidero anzitutto congratularmi con l’onorevole Matsakis e con i relatori ombra per l’ottimo lavoro che hanno compiuto.

Il mercurio è una sostanza tossica che nuoce alla salute; la Commissione propone pertanto di procedere a uno stoccaggio sicuro di questo metallo, nonché di ridurne contemporaneamente l’utilizzo e di porre fine alla sua commercializzazione. Tuttavia, come giustamente si osserva al punto 9 della comunicazione, vi sono ancora molte carenze nella conoscenza della problematica del mercurio per quel che riguarda i suoi effetti sulla salute umana, le sue modalità di spostamento o di ritenzione nell’ambiente, la sua tossicità e la sensibilità degli ecosistemi.

A mio avviso indagare su tale questione è un’urgente priorità, ed è altrettanto importante che le decisioni siano prese sulla base di conoscenze scientifiche e non di semplici congetture, talvolta allarmistiche, amplificate dai media.

D’altra parte, signor Commissario, l’unica regione europea che produce mercurio – benché le sue miniere siano ormai chiuse – è quella di Almadén. Questa regione ha conosciuto in passato una grande prosperità grazie al mercurio che si estraeva dalle sue miniere fin dall’epoca romana; ora, invece, sempre a causa del mercurio, è una zona depressa. Occorre quindi compensarla per mezzo di infrastrutture, misure e aiuti specifici che siano in grado di alleviare parzialmente gli effetti delle misure più generali. Ed è proprio in questa regione che, tra le altre cose, si dovrà effettuare lo stoccaggio sicuro del mercurio liquido che verrà ritirato dal mercato.

L’industria dei cloro-alcali ha firmato un accordo che prevede di eliminare completamente l’utilizzo del mercurio entro il 2020; quest’accordo va rispettato e si deve controllare la sua applicazione.

A titolo di curiosità, desidero semplicemente osservare che io ho vissuto nella regione di Almadén, ho tenuto molte volte il mercurio tra le mani, e mi sono stati applicati amalgami dentali al mercurio, che poi ho sostituito per ragioni estetiche. Posso assicurarvi che non ho mai avuto problemi di salute, come non ne hanno le persone, gli animali e le piante che vivono in quella regione; infatti, come ben sanno i tossicologi, il veleno sta nella dose.

 
  
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  Miguel Angel Martínez Martínez (PSE). (ES) Signor Presidente, signor Commissario, desidero congratularmi con l’onorevole Matsakis per la relazione e il progetto di risoluzione che ha presentato alla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare; ringrazio anche i colleghi di questa commissione per i contributi con cui hanno migliorato il testo che ora discutiamo.

Per più di 22 anni sono stato deputato al parlamento spagnolo per la provincia di Ciudad Real, dove si trovano Almadén e le sue miniere, dalle quali da più di venti secoli proviene la maggior parte del mercurio estratto in Europa e nel mondo.

Questa regione ha già attraversato un profondo processo di diversificazione, e sarà colpita ancora una volta dai divieti imposti dalla strategia comunitaria sul mercurio in merito alla produzione e all’esportazione di tale metallo.

Il processo con cui è stata elaborata la relazione dell’onorevole Matsakis è stato seguito con interesse ad Almadén e nell’intera regione. Il testo della risoluzione che approveremo domani corrisponde alle aspettative dei miei connazionali, poiché raccomanda all’Unione europea di adottare adeguate misure di compensazione per garantire la ripresa sociale ed economica di quei territori.

Con altrettanto favore è stata accolta l’idea – qui ribadita più volte – che proprio ad Almadén si effettui lo stoccaggio del mercurio metallico previsto dalla strategia comunitaria, perché questa località può fornire l’esperienza, la tecnologia e la manodopera necessarie a gestire tale stoccaggio con le debite garanzie.

Colgo l’occasione, signor Commissario, per invitarla a visitare Almadén insieme all’onorevole Matsakis e a me; potrà ammirare l’incantevole bellezza del paesaggio, ricevere la calorosa accoglienza degli abitanti e avvertire l’entusiasmo europeo che li spinge a progredire.

Onorevoli colleghi, vi ringrazio per la comprensione e la solidarietà.

 
  
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  Stavros Dimas, Membro della Commissione. – (EL) Signor Presidente, il suo invito è naturalmente gradito. Vorrei in primo luogo ringraziarvi tutti per le vostre costruttive osservazioni. Il contributo del Parlamento europeo è estremamente importante, e solo una stretta cooperazione con le Istituzioni consentirà all’Unione europea di affrontare in maniera efficace gli effetti negativi del mercurio sulla salute umana e sull’ambiente. Sono quindi lieto del sostegno che avete manifestato nella relazione nonché negli interventi sulla strategia.

Noto con particolare soddisfazione che il Parlamento condivide le nostre opinioni in merito alle principali azioni della strategia sul mercurio. Ciò rappresenta una base molto solida per l’adozione di nuove misure specifiche miranti all’applicazione della strategia; tali misure sono già in fase di preparazione.

Per risparmiare tempo mi limiterò a qualche breve osservazione sui punti sollevati dall’onorevole Callanan. Le ripercussioni ambientali del mercurio sono ancora importanti, ed esistono soluzioni alternative adeguate. Analogamente, i piccoli produttori non hanno problemi di adattamento, e per tale motivo anche la Commissione ha proposto di vietare l’uso del mercurio in questi strumenti di misurazione. Quanto poi agli amalgami dentali, la Commissione inviterà il gruppo di lavoro medico competente a studiare nuove misure, e richiederà inoltre il parere del comitato scientifico in merito ai pericoli per la salute e l’ambiente.

Concludo ringraziando ancora una volta il Parlamento, e soprattutto l’onorevole Matsakis, per la posizione particolarmente positiva assunta in merito alla strategia. La Commissione desidera continuare quest’eccezionale cooperazione con il Parlamento su un tema particolarmente serio come questo.

 
  
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  Presidente. La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani alle 11.30.

 

22. Libera circolazione dei lavoratori e periodi di transizione (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca ora, come ultimo punto odierno, l’interrogazione orale (O-0013/2006 – B6-0012/2006) degli onorevoli István Szent-Iványi, Graham Watson e Ignasi Guardans Cambó, a nome del gruppo ALDE, alla Commissione, sulla libera circolazione dei lavoratori e periodi di transizione.

 
  
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  István Szent-Iványi (ALDE), autore. – (HU) Signor Presidente, quest’anno è stato proclamato l’Anno europeo della mobilità dei lavoratori. Entro il 30 aprile, ogni Stato membro deve decidere se aprire il proprio mercato del lavoro oppure no. Da tale decisione sapremo se questo sarà effettivamente l’Anno della mobilità dei lavoratori o solamente una sua parodia. Non possiamo tollerare una situazione in cui i lavoratori dei nuovi Stati membri continuano ad essere, sul mercato del lavoro, soggetti di seconda o addirittura terza categoria.

La libera circolazione delle persone è una delle quattro libertà fondamentali, una delle idee fondamentali dell’Unione europea. In occasione del Vertice di marzo, i capi di Stato e di governo europei discuteranno del processo di Lisbona. Il processo di Lisbona è però condannato al fallimento se non riusciremo a creare un mercato del lavoro unitario e flessibile; e quest’obiettivo non si può raggiungere senza liberalizzazione e libertà del mercato del lavoro.

La Commissione ha recentemente pubblicato una valutazione che ha chiaramente dimostrato come i timori e le ansietà che ancora persistono nei vecchi Stati membri siano infondati. Per molto tempo si è temuto un massiccio afflusso di forza lavoro nel Regno Unito, nella Repubblica d’Irlanda e in Svezia, ossia nei tre paesi che avevano aperto il proprio mercato del lavoro. Questo non è affatto avvenuto; contro ogni aspettativa, in questi paesi il tasso di disoccupazione non è cresciuto.

All’opposto, il “lavoro nero” è diminuito, le entrate pubbliche sono aumentate e la competitività delle imprese è migliorata. Il lavoro illegale è invece ancora cospicuo nei paesi che continuano ad applicare restrizioni al mercato del lavoro. Ciò ha indotto la Commissione a concludere in maniera inequivocabile che da questo processo sono usciti vincitori i paesi che hanno liberalizzato la circolazione della forza lavoro proveniente dai nuovi Stati membri.

Finora mi sono soffermato sul fatto che sul mercato del lavoro i cittadini di seconda categoria sono quelli dei nuovi Stati membri. Dopo il 23 gennaio, però, da un certo punto di vista essi sono diventati addirittura cittadini di terza categoria; in quella data, infatti, è entrata in vigore la direttiva in base alla quale l’Unione europea concede diritto di lavoro e residenza ai cittadini di paesi terzi legalmente residenti nel territorio dell’Unione da almeno cinque anni. Questo non è certo un problema per noi, ma significa che persino i cittadini di questi paesi saranno avvantaggiati rispetto ai lavoratori provenienti dai nuovi Stati membri.

Chiedo quindi al Commissario: come pensa di risolvere questo problema? Come far sì che i lavoratori dei nuovi Stati membri non debbano sentirsi, sul mercato del lavoro, cittadini di terza categoria? A questo punto desidero congratularmi per la decisione presa da Finlandia, Spagna e Portogallo; si tratta di decisioni molto positive per la liberalizzazione della forza lavoro, ma attendiamo ancora che la Francia, i Paesi Bassi e il Belgio si uniscano a questo processo e liberalizzino il proprio mercato del lavoro, dal momento che ciò è nell’interesse di tutti.

 
  
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  Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione. (EN) Signor Presidente, il trattato di adesione offre un approccio ricco di sfumature e soluzioni, che consente di applicare sia la direttiva sui residenti di lungo periodo che gli accordi transitori per la libera circolazione dei lavoratori garantendo la piena compatibilità giuridica. Consentitemi di illustrare questo punto nei dettagli.

In primo luogo, c’è la questione del primo accesso al mercato del lavoro. In questo caso, secondo quanto previsto dal trattato di adesione, in qualsiasi periodo in cui uno dei vecchi Stati membri applichi misure transitorie, per quanto riguarda il mercato del lavoro si deve dare la preferenza ai cittadini dei nuovi Stati membri rispetto ai cittadini dei paesi terzi.

In secondo luogo, vi è la questione dei cittadini dei nuovi Stati membri che sono già residenti in uno dei vecchi Stati membri. Anche in questo caso, secondo il trattato di adesione i cittadini dei nuovi Stati membri che già risiedono e lavorano in uno Stato membro che applichi misure transitorie non devono essere trattati in maniera più restrittiva dei cittadini di paesi terzi che risiedono e lavorano in quello Stato membro. Di conseguenza, se ai sensi della direttiva a un cittadino di un paese terzo è già stato riconosciuto lo status di residente di lungo periodo, il trattato di adesione opera in modo tale da garantire che il vecchio Stato membro tratti i cittadini dei nuovi Stati membri, che sono già legalmente residenti e lavorano nei territori in questione, almeno secondo gli standard garantiti dalla direttiva – comprendendo quindi il diritto di libero accesso al mercato del lavoro.

Lo stesso principio vale per il terzo caso previsto dalla direttiva: la circolazione di residenti di lungo periodo tra Stati membri. Qui la norma è la seguente: i lavoratori di un paese terzo che sono residenti di lungo periodo in uno dei nuovi Stati membri non hanno diritto a un trattamento più favorevole dei cittadini di quello Stato. In altre parole, nel caso di mobilità verso un secondo Stato membro, uno dei vecchi Stati membri non può concedere libero accesso al proprio mercato del lavoro a un residente di lungo periodo che sia cittadino di un paese terzo qualora lo stesso libero accesso non sia consentito ai cittadini di un nuovo Stato membro. Lo stesso vale per situazioni equivalenti che vengano a crearsi tra due dei vecchi Stati membri. In entrambi i casi di mobilità fra Stati membri, se il cittadino di un nuovo Stato membro nonché il residente di lungo periodo sono soggetti a misure nazionali come un permesso di lavoro, la preferenza comunitaria opera a favore del cittadino del nuovo Stato membro, che è un cittadino europeo.

Ne consegue perciò che è possibile riconciliare i diritti garantiti dalla direttiva con le disposizioni del Trattato. Non è necessario presentare alcuna proposta per cambiare le norme, perché è impossibile avere un trattamento meno favorevole per i cittadini dei nuovi Stati membri dell’Unione europea.

La Commissione conviene tuttavia sulla necessità di offrire migliori informazioni agli Stati membri per chiarire la questione, ed è mia intenzione farlo inviando a tutti gli Stati membri una lettera che definisca chiaramente le norme esistenti.

 
  
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  Csaba Őry, a nome del gruppo PPE-DE. – (HU) Signor Presidente, alla Commissione è stata presentata un’interrogazione orale, che riguarda il problema della libertà di circolazione dei lavoratori provenienti dai nuovi Stati membri; in cui si chiede se, all’interno dei quadri normativi attuali, alcuni gruppi di cittadini di paesi terzi non si trovino in una posizione di notevole vantaggio rispetto ai cittadini dei nuovi Stati membri, per quanto riguarda la circolazione tra gli Stati membri a fini lavorativi. Se così fosse si tratterebbe di una situazione chiaramente iniqua che noi dovremmo correggere, per evitare qualsiasi violazione del principio di preferenza sancito dalla clausola sullo status quo contenuta nel trattato di adesione.

Tuttavia, l’articolo 21 della direttiva 2003/109/CE stabilisce che i cittadini di paesi terzi che abbiano ottenuto permessi di soggiorno di lungo periodo in un secondo Stato membro, debbano avere accesso al mercato del lavoro. L’espressione “debbano avere” va interpretata nel senso che la concessione di un permesso di lavoro non può essere negata se le persone interessate hanno già ottenuto un permesso di soggiorno di lungo periodo.

Di conseguenza, un permesso di soggiorno emesso in un secondo Stato membro include praticamente il permesso di lavoro. Ciò significa che se le aziende dello Stato di destinazione sono disposte ad accettarli, i cittadini di paesi non appartenenti all’UE provenienti da un altro Stato membro hanno accesso automatico e illimitato al mercato del lavoro, mentre per i cittadini dei nuovi Stati membri l’accesso è indubbiamente limitato e soggetto a restrizioni.

Ovviamente, dobbiamo accogliere con favore un provvedimento teso ad aumentare la mobilità e a rendere più flessibile e più unitario il mercato del lavoro. E’ questo l’evidente obiettivo della direttiva 2003/109/CE, ma dobbiamo considerare con attenzione anche la concatenazione logica. Personalmente, apprezzo l’argomentazione che ho udito dal Commissario, e vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che ci serve qualche cosa di più impegnativo di una lettera: ci serve un regolamento procedurale di qualche tipo, che chiarisca esattamente l’iter da seguire qualora un cittadino di un paese terzo e un cittadino dell’Unione europea si trovino in situazione competitiva. Intendo dire che ci occorre una guida più precisa e dettagliata, ed è proprio questo che mi attendo dalla Commissione europea.

 
  
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  Alejandro Cercas, a nome del gruppo PSE. – (ES) Signor Presidente, signor Commissario, senza nulla togliere alle risposte richieste dalle circostanze, o alle varie interpretazioni della direttiva, credo che questa sia anche una buona occasione per far sentire la propria voce; e io voglio unire la mia a quella di chi ritiene che il problema non si risolverà fino a quando non avremo posto fine, una volta per tutte, a questo periodo transitorio. Auspichiamo che tale periodo abbia a cessare al più presto; in tal modo noi europei saremo tutti uguali e disporremo, con la mobilità dei lavoratori, di un importante strumento per accrescere la competitività e l’occupazione e costruire l’Unione europea.

Mi unisco quindi a quanti invocano una politica delle porte aperte da attuare il più rapidamente possibile; in questo senso reputo molto importante – anzi, come spagnolo me ne rallegro – l’abolizione delle restrizioni vigenti nel periodo transitorio, annunciata dal governo del mio paese.

Abbiamo agito in questo senso, signor Commissario, perché siamo un paese con una certa esperienza – siamo un paese di immigrazione e un paese di emigrazione. Inoltre, in questi due anni è emersa una volta di più con evidenza la necessità di abolire queste restrizioni imposte dall’Europa dei Quindici ai paesi dell’Europa centrale e orientale: per motivi di giustizia e solidarietà ma anche per motivi di razionalità e senso comune, oggi più che mai, in quest’anno della mobilità.

In primo luogo dobbiamo esaminare la situazione sotto il profilo della giustizia e della solidarietà. Anche noi spagnoli abbiamo dovuto sottoporci a un periodo transitorio di sette anni; ci siamo sentiti umiliati e discriminati da un ingiustificato pregiudizio, poiché è chiaramente emerso che buona parte di quei discorsi razzisti e xenofobi erano frutto di equivoci. Non c’è stata alcuna valanga di lavoratori. I lavoratori spagnoli non hanno mai creato problemi nei paesi di accoglienza; al contrario.

In questi ultimi due anni abbiamo visto che è accaduto altrettanto per i lavoratori dei nuovi Stati membri : non solo essi non creano problemi, ma anzi risolvono carenze di manodopera, migliorando le proprie qualifiche e rafforzando il concetto globale di Europa.

Chiedo quindi, signor Commissario, che lo studio redatto dalla Commissione europea induca altri paesi ad abolire le restrizioni e venga il giorno in cui l’Europa sia veramente l’Europa di tutti i cittadini europei e tutti i lavoratori europei abbiano i medesimi diritti: per una questione di coerenza, perché ciò favorisce la mobilità e perché l’Europa ha bisogno di mobilità per vincere la battaglia della produttività e della competitività nei confronti degli Stati Uniti.

E’ necessario quindi creare questo grande mercato di cittadini liberi, privo di problemi, che ci permetterà di migliorare la nostra competitività, le nostre capacità e la vita dei nostri cittadini; oltre a risolvere i problemi concreti, signor Commissario, per abolire queste barriere bisogna cercare di avere una visione del futuro.

 
  
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  Sophia in’ t Veld, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Signor Presidente, aderisco senza riserve all’intervento del precedente oratore, e auguro oggi per la terza volta la buona sera al Commissario Frattini. E’ superfluo spiegare perché i cittadini dei nuovi paesi devono avere accesso al mercato del lavoro; bisogna piuttosto spiegare il contrario. Sono i paesi che continuano a proteggere i loro mercati che devono spiegare perché continuano a negare i diritti fondamentali a persone che sono cittadini a pieno titolo dell’Unione europea. Inoltre, com’è ovvio, togliere queste restrizioni sarebbe anche economicamente saggio.

L’economia europea e il mercato del lavoro hanno bisogno di persone. Se noi, nell’Unione europea e nel suo mercato interno, vogliamo competere con i grandi mercati al di fuori dell’Europa, avremo bisogno di lavoratori dinamici, giovani, dotati di un’adeguata formazione e anche disposti alla mobilità. Questo è sempre stato un obiettivo dell’Unione europea, e perciò non ha alcun senso sigillare i mercati del lavoro. E’ poi illusorio pensare che queste restrizioni impediscano ai lavoratori dell’Europa orientale di giungere nei nostri paesi, poiché essi sono tra noi già da molto tempo, anche se nei nostri paesi vengono sfruttati da datori di lavoro disonesti e vivono in condizioni degradanti – cosa che personalmente considero vergognosa.

Motivazioni economiche, di diritti civili e di solidarietà impongono quindi di eliminare tali restrizioni. Da olandese, sono quindi lieta che i Paesi Bassi intendano probabilmente agire in tal senso – sembra per lo meno che vi sia una maggioranza favorevole – e nell’Anno della mobilità invito tutti gli Stati membri a fare altrettanto.

 
  
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  Elisabeth Schroedter, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, quello in corso nei paesi che vogliono prorogare le disposizioni transitorie non è altro che la parvenza di un dibattito e, tra questi paesi, figura ovviamente anche la Germania. E’ facile guadagnare popolarità dipingendo ai cittadini una realtà illusoria, e soprattutto facendo credere che le norme di transizione possano proteggere il mercato del lavoro. In realtà è vero il contrario: le disposizioni transitorie non fermano i lavoratori migranti. Essi non possono allacciare rapporti di lavoro regolari, e quindi non rimane loro altra via che l’illegalità.

Nelle regioni di confine della Germania orientale, da cui provengo, il mercato nero e il falso lavoro autonomo hanno conosciuto un massiccio incremento, incoraggiato proprio dalle disposizioni transitorie. La pressione per un aumento dei salari diviene in tal modo molto più forte. Contrariamente a quanto avviene per i rapporti di lavoro legali, per quelli illegali i controlli non sono possibili. Per i lavoratori ciò significa sfruttamento e discriminazione.

In Europa abbiamo bisogno di un mercato del lavoro ordinato, dotato di norme minime e fondato su un chiaro principio di base: stesso salario per lo stesso lavoro nello stesso luogo. Le disposizioni transitorie non fanno che rimandare le riforme e gli sforzi di cui vi è urgente necessità e, peggio ancora, preparano verbalmente il terreno al populismo di destra, pregiudicando soprattutto l’ideale europeo. Come tedesca invito quindi a non prorogare le disposizioni transitorie, ma ad aprire il mercato anche in Germania, in modo tale che l’esistenza di condizioni adeguate diventi la norma.

 
  
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  John Whittaker, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, il principale punto debole della costruzione europea sta nel fatto che quando gli Stati membri percepiscono che sono in gioco gli interessi nazionali, cominciano a muoversi e ad agire individualmente; così funziona la politica, indipendentemente da qualsiasi promessa di solidarietà e da qualunque obbligo previsto dai Trattati.

Nello specifico si lamenta l’assenza di parità di trattamento per i lavoratori di paesi terzi che varcano le frontiere dell’Unione; d’altro canto, si registra altresì l’assenza di un libero mercato nel settore dei servizi, e di un’applicazione uniforme per quanto riguarda il diritto dell’Unione europea. Forse l’esempio più lampante di norme violate sta proprio nel Patto di stabilità, e sappiamo che, in mancanza di una disciplina di bilancio, la valuta dell’euro non durerà a lungo.

Ogni volta che uno Stato infrange una norma chiediamo alla Commissione di fare qualcosa; ma la Commissione non può fare granché, e non credo che l’invito all’informazione lanciato dal Commissario Frattini sarà di grande aiuto. Se la Commissione richiede parità di trattamento per i lavoratori, alcune nazioni si limiteranno a opporsi, o comunque, se verranno convinte ad aderire a tale richiesta, troveranno facilmente il modo per sottrarsi all’impegno preso.

 
  
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  Adam Jerzy Bielan, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, la situazione che ci troviamo ad affrontare dal 1° gennaio di quest’anno è paradossale. Da un lato i vecchi Stati membri, i cosiddetti Quindici, devono garantire ai residenti di lungo periodo un trattamento identico a quello riservato ai propri cittadini per quanto riguarda l’accesso al mercato del lavoro; dall’altro, parecchi di questi stessi paesi approfittano delle disposizioni del trattato di adesione e continuano a vietare la libera circolazione dei lavoratori provenienti dai dieci nuovi Stati membri. Questa situazione contrasta con le disposizioni sancite dal suddetto trattato di adesione, in base al quale i cittadini dell’Unione europea hanno la precedenza sui cittadini di paesi terzi nell’accesso al mercato del lavoro. Il problema si sarebbe potuto risolvere rinunciando al periodo transitorio previsto per l’impiego di cittadini dei nuovi Stati membri nel mercato del lavoro della vecchia Unione. Purtroppo, solo tre Stati membri – Irlanda, Svezia e Regno Unito – hanno aperto il proprio mercato del lavoro con il 1° maggio 2004; altri due – Spagna e Portogallo – hanno annunciato che faranno altrettanto dal 1° maggio di quest’anno. Purtroppo, in gran parte degli altri paesi è prevalso il timore del previsto afflusso di manodopera straniera a buon mercato, con la conseguente perdita di posti di lavoro; l’onorevole Schroedter ha menzionato a questo proposito il caso della Germania. Questi timori sono del tutto infondati. Le statistiche della Commissione europea dimostrano che in quasi tutti i paesi il numero di cittadini dei nuovi Stati membri che ha trovato lavoro è rimasto praticamente stabile prima e dopo l’allargamento. Con l’eccezione dell’Austria, il numero di lavoratori occupati provenienti dai 10 nuovi Stati membri non ha oltrepassato l’1 per cento della popolazione economicamente attiva. In nessuno Stato membro dell’Unione l’afflusso di lavoratori dai nuovi Stati membri ha fatto perdere il lavoro ai cittadini del luogo: i nuovi arrivati hanno occupato posti di lavoro nuovi, oppure posti in precedenza vacanti.

Signor Presidente, dobbiamo comprendere che l’economia degli Stati Uniti continuerà a superare la nostra in termini di competitività, se in Europa non aumenteremo la mobilità della forza lavoro. Nell’Unione europea la disoccupazione è attualmente superiore all’8 per cento, ma in alcuni settori si registra comunque carenza di manodopera; allo stesso tempo, non tutti gli europei possono muoversi liberamente alla ricerca di un lavoro. Purtroppo è molto probabile che gran parte del mercato del lavoro dell’Unione europea rimanga sbarrata ai cittadini dei nuovi Stati membri per altri cinque anni. In tale situazione è essenziale che la Commissione europea agisca per eliminare le contraddizioni della legislazione dell’Unione, estendendo la libertà di circolazione dei lavoratori.

 
  
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  Jacek Protasiewicz (PPE-DE). (PL) Signor Presidente, ricordo che quasi due anni fa, dopo lo storico allargamento dell’Unione europea, presi la parola in quest’Aula per invitare i governi della cosiddetta vecchia Unione a mostrare audacia e a rinunciare ai periodi transitori; li esortai ad aprire il proprio mercato del lavoro ai cittadini dei nuovi Stati membri. Purtroppo, solo tre Stati membri ebbero allora il coraggio di aprire il proprio mercato del lavoro: Regno Unito, Irlanda e Svezia. Gli altri 12 Stati membri cedettero alle paure o forse anche alle pressioni della propria opinione pubblica, ed eressero barricate contro il possibile afflusso di lavoratori dai nuovi Stati membri, soprattutto dall’Europa centrale e orientale. Quali conclusioni si possono trarre dopo due anni? E’ chiaro che a ricavare il massimo beneficio sono stati proprio quei paesi che allora osarono aprire il proprio mercato del lavoro.

La comunicazione della Commissione europea pubblicata circa un mese fa – a febbraio, se non erro – afferma con estrema chiarezza che nei paesi che hanno deciso di aprire il proprio mercato del lavoro la disoccupazione non è aumentata; non si sono neppure aggravati i problemi sociali. E’ accaduto piuttosto il contrario: l’economia ha accelerato il passo, e sono cresciute le entrate fiscali. Sono questi i benefici derivanti dall’applicazione pratica di uno dei principi fondamentali del Trattato; è un principio che si potrebbe forse considerare il più fondamentale di tutti. E’ una delle basi su cui è costruita l’Unione, e dobbiamo fare ogni sforzo per applicarlo in tutti i 25 Stati membri.

Alla vigilia della scadenza del primo periodo transitorio, rilevo con soddisfazione che alcuni altri governi stanno vagliando l’ipotesi di aprire il proprio mercato del lavoro. Va però osservato che nella situazione attuale si tratta comunque di una minoranza dei vecchi Quindici. Siamo di fronte a un problema serio, e desidero quindi formulare il seguente appello: quando, in un prossimo futuro, prenderemo la parola per discutere sulla risoluzione del Parlamento, dovremo fermamente invitare i governi degli Stati membri a non limitarsi a prendere in considerazione l’apertura del proprio mercato del lavoro ed esortarli a procedere verso un’apertura completa, che consenta la libera circolazione dei lavoratori.

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi (PSE). (HU) Signor Presidente, voglio ringraziare il collega István Szent-Iványi per aver iscritto ancora una volta quest’argomento all’ordine del giorno; è un tema importante non solo per gli Stati membri, ma per tutta l’Europa. Ringrazio inoltre il Commissario Vladimír Špidla, il quale ha presentato un’ottima relazione di sintesi, che presenta un quadro preciso e veritiero dei processi che hanno contraddistinto il mercato del lavoro nel periodo trascorso.

L’Ungheria e gli altri nuovi Stati membri si pongono l’obiettivo di eliminare tutti gli impedimenti giuridici e amministrativi che attualmente ostacolano la libertà di circolazione dei lavoratori nell’Unione europea. Vogliamo essere cittadini dell’Unione su un piede di parità. L’apertura del mercato del lavoro e la libertà di circolazione dei lavoratori non sono un regalo o un favore, bensì una decisione ragionevole da parte dei nove vecchi Stati membri, che avrebbe effetti positivi per tutti i cittadini dell’Unione europea.

E’ in gioco la competitività dell’Unione. Mi auguro che i nove vecchi Stati membri rimanenti se ne rendano conto, e che, nell’aprile del 2006, al termine del periodo transitorio di due anni, essi prendano una decisione favorevole, unendosi a Finlandia, Spagna e Portogallo, che stanno aprendo il proprio mercato ora.

Dobbiamo ringraziare il Regno Unito, la Repubblica d’Irlanda e la Svezia, che hanno aperto il proprio mercato per primi. Questa misura ha notevolmente avvantaggiato tali paesi. Nella Repubblica d’Irlanda il tasso di disoccupazione è sceso negli ultimi due anni, in parte anche per gli effetti positivi indotti dai lavoratori dei nuovi Stati membri; nel Regno Unito l’afflusso di lavoratori ha contribuito alla crescita economica e alla competitività. Di conseguenza, accuse e paure legate all’immigrazione di massa e al dumping sociale sono semplicemente infondate.

Ringraziamo di cuore Finlandia, Spagna e Portogallo, che hanno annunciato l’intenzione di aprire a loro volta il proprio mercato del lavoro.

E’ una vera e propria ipocrisia che i nove vecchi Stati membri, i quali non eliminano le restrizioni, consentano l’ingresso di manodopera da paesi non appartenenti all’Unione europea, rifiutando però l’accesso ai lavoratori dei nuovi Stati membri. Benché l’ora sia tarda, devo polemizzare con il Commissario Frattini; ciò che egli ha detto vale solo per i paesi che hanno aperto il proprio mercato del lavoro. In quei paesi è effettivamente possibile dare la precedenza ai lavoratori dei nuovi Stati membri rispetto ai lavoratori di paesi terzi. Viceversa, nei paesi che non hanno aperto il proprio mercato del lavoro, il problema non si pone neppure. Di conseguenza, l’apertura dei mercati del lavoro è una questione di principio, di competitività e di eliminazione delle discriminazioni, oltre che di uguaglianza tra i quindici vecchi Stati membri e i dieci nuovi arrivati.

 
  
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  Šarūnas Birutis (ALDE). (LT) Che altro posso aggiungere agli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto? La libertà di circolazione delle persone è una delle libertà fondamentali, garantita, anche se per ora solo verbalmente, dal diritto della Comunità europea. I nuovi Stati membri si attendono che i vecchi membri dell’Unione europea aprano al più presto i propri mercati del lavoro ai nuovi arrivati, nella convinzione che anche i vecchi membri non ne trarranno che benefici; resta però diritto sovrano di ognuno dei vecchi Stati membri compiere tale scelta prima che ciò diventi effettivamente obbligatorio. Secondo le statistiche della Commissione europea, l’afflusso di manodopera dai nuovi paesi non ha assunto le dimensioni che si paventavano; dall’ammissione di lavoratori dei nuovi Stati membri Regno Unito, Irlanda e Svezia hanno ricavato solo vantaggi. Dobbiamo congratularci con diversi Stati che hanno deciso di aprire il proprio mercato del lavoro ai nuovi membri dell’Unione europea a partire da maggio; la libertà di circolazione della manodopera, la liberalizzazione del mercato dei servizi e altre misure contribuiranno alla competitività dell’Unione europea ma, ancor più, accresceranno la fiducia dei cittadini nell’appartenenza all’Unione europea. La chiarezza o l’ambiguità di una situazione complessa determinano il grado di fiducia nell’Unione europea. A mio avviso, gli Stati membri dell’Unione devono prendere misure per abolire immediatamente le restrizioni discriminatorie al lavoro legale, subite dai cittadini della Lituania e degli altri nuovi Stati membri. In tal modo questi ultimi godrebbero veramente dei propri diritti e avrebbero l’opportunità di pagare legalmente le imposte. Occorre spezzare gli stereotipi di una mentalità antiquata e comprendere che la libertà e una sana concorrenza sono per l’Europa il motore del progresso.

 
  
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  Konrad Szimański (UEN). (PL) Signor Presidente, la semplice e amara verità è che i vecchi Stati membri erano più che felici di aprire i mercati nei casi in cui detenevano un vantaggio competitivo, per esempio per quel che riguarda la libera circolazione dei capitali. Rilevo invece che quando erano i nuovi Stati membri a trovarsi in vantaggio competitivo, i mercati sono rimasti chiusi: la direttiva sui servizi ne costituisce un esempio, e il mercato del lavoro potrebbe esserne un altro.

Dal 23 gennaio, con l’applicazione definitiva della direttiva sui residenti, la situazione dell’accesso al mercato del lavoro da parte dei cittadini di paesi terzi può essere addirittura migliore di quella dei cittadini dei paesi che hanno recentemente aderito all’Unione. Le sue spiegazioni mi sono sembrate interessanti, signor Commissario, ma non mi hanno convinto; penso che il Parlamento dovrebbe ricevere maggiori informazioni sull’argomento. Tutto ciò contrasta palesemente con le disposizioni contenute nei trattati di adesione. Vale la pena di far notare ancora una volta all’Assemblea che nessuno dei paesi che hanno aperto il proprio mercato del lavoro ha registrato un aumento della disoccupazione o un inasprimento di altri problemi sociali, come per esempio le frodi in materia di sovvenzioni; al contrario, la forza lavoro meno costosa proveniente dai nuovi Stati membri ha dato nuova linfa all’economia. A due anni di distanza possiamo affermare inequivocabilmente che queste restrizioni non hanno giustificazioni economiche.

Secondo i progetti della Commissione, questo è l’Anno europeo della mobilità dei lavoratori. Va sottolineato che la scarsa mobilità dei lavoratori è connessa anche alla mancata apertura del mercato del lavoro in gran parte degli Stati membri; se gli Stati membri si ostineranno a tenere ingiustificatamente chiusi i propri mercati del lavoro, il 2006 rischierà di passare alla storia come l’Anno dell’ipocrisia europea, e non come l’Anno europeo della mobilità dei lavoratori.

 
  
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  Othmar Karas (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, sono lieto che si tenga questo dibattito perché non sono tra coloro che vogliono risolvere la questione distinguendo tra vincitori e vinti e contrapponendo i vecchi Stati membri ai nuovi; noi viviamo in una Comunità.

E’ estremamente importante affermare a chiare lettere che le quattro libertà figurano tra i diritti fondamentali dell’Unione europea, che annovera tra i suoi principi il divieto di discriminazione. Le quattro libertà sono il fulcro del mercato interno, che realizzandole si trasforma in un mercato dalla dimensione comune. Questi principi costituiscono gli obiettivi politici dell’Unione europea; sono chiarissimi e sono l’elemento che ci unisce. Dobbiamo attuarli al più presto; se non lo abbiamo ancora fatto è perché nei nostri paesi le condizioni politiche generali non coincidono: sono diversi i salari, la legislazione sociale e fiscale, il diritto del lavoro. Abbiamo 19 milioni di disoccupati, abbiamo tassi di crescita differenti, più alti – grazie a Dio – nei nuovi che nei vecchi Stati membri. Questo suscita nei cittadini timori e inquietudine. Anche nel mio paese, che ha il confine esterno più lungo con i nuovi Stati membri, cresce il numero degli occupati provenienti da questi nuovi Stati membri.

Tuttavia, dobbiamo esaminare i Trattati e il diritto comunitario per venire incontro alle inquietudini e ai timori dei cittadini. Non vogliamo costruire una barriera, ma predisporre una transizione accettabile. Non è questo però il nostro obiettivo; il nostro obiettivo è quello di realizzare le quattro libertà, mettere a tacere i timori e cercare insieme soluzioni comuni. Dobbiamo trovare un’intesa comune e non palleggiarci colpe e responsabilità.

 
  
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  Harald Ettl (PSE). (DE) Signor Presidente, anche se trovare un’intesa qualche volta è difficile a causa delle nostre differenze linguistiche, in seno al Parlamento europeo ha comunque un senso discutere, modificare e valutare le relazioni della Commissione europea nelle competenti commissioni parlamentari; per questo problema è competente la commissione per l’occupazione e gli affari sociali, ma il presente dibattito e la relativa interrogazione ne stanno anticipando le decisioni. Mi sembra una cosa davvero ingiustificata; avrà forse qualche motivazione, ma io la ritengo ingiustificata.

Una premessa: la comunicazione della Commissione, che deve contribuire a eliminare il periodo transitorio relativo alla libertà di circolazione dei lavoratori, mi sembra carente dal punto di vista del contenuto nonché – nella forma in cui ci viene presentata – non ancora convincente da quello economico. Gli autori dell’odierna interrogazione, che parlano di una situazione di svantaggio dei cittadini dei dieci nuovi Stati membri nei confronti dei cittadini di paesi terzi, non valutano correttamente la situazione reale. Sta di fatto che in Germania, tra le persone provenienti dai dieci nuovi Stati membri, si registra una quota di occupati superiore del 3 per cento rispetto ai cittadini dei paesi terzi; in Austria questa differenza si colloca al 6 per cento; nel Regno Unito e in Irlanda lo squilibrio a favore dei dieci nuovi Stati membri è ancora più vistoso. Inoltre, avendo a disposizione i dati di un solo anno dopo l’adesione, non è possibile fare previsioni fondate sullo sviluppo a medio e lungo termine del mercato del lavoro, come invece cerca di fare la Commissione.

La conclusione finale della comunicazione, secondo cui l’apertura del mercato del lavoro avrebbe effetti positivi sulla crescita economica e l’occupazione, in rapporto al periodo esaminato è semplicemente falsa. Nel 2005 la crescita economica nell’Unione europea a 25 è stata nettamente più bassa che nel 2004; ciò vale particolarmente per il Regno Unito, dove la diminuzione ha toccato l’1,4 per cento e si è registrata un’immigrazione dieci volte maggiore di quella prevista dal governo britannico. Contrariamente agli anni precedenti, la disoccupazione non è diminuita o quasi. Chiedo quindi alla Commissione di predisporre al più presto l’elaborazione di uno studio che analizzi in maniera oggettiva i flussi migratori dei lavoratori e tutti i fenomeni connessi.

Questo non sarebbe positivo solamente per la Commissione, ma favorirebbe anche la prosecuzione di un dialogo proficuo. Vorrei aggiungere che una rapida riduzione dei periodi transitori – che io stesso mi auguro – deve però poggiare su una lucida visione d’insieme e su valide misure accompagnatorie, come per esempio la revisione della direttiva sul distacco dei lavoratori. Questo sarebbe utile a tutti, consentirebbe a una delle parti di fugare paure e inquietudini, e consentirebbe a entrambe le parti in grado di dialogare in maniera più proficua. Una discussione come quella odierna mi sembra invece semplicemente sbagliata.

 
  
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  Danutė Budreikaitė (ALDE). (LT) Sono passati due anni dall’inizio dell’ultima fase dell’allargamento, e la prima parte del periodo transitorio di sette anni sta per concludersi; i vecchi Stati membri devono decidere se prorogare oppure abolire il periodo transitorio. Il Regno Unito, l’Irlanda e la Svezia hanno aperto immediatamente il proprio mercato e ne hanno tratto vantaggio, incoraggiando contemporaneamente i nuovi Stati membri a considerare la propria forza lavoro in una prospettiva diversa e a valutarla meglio. Il mercato del lavoro dell’Unione europea a 15 non è stato sommerso dalla manodopera dei nuovi Stati membri, e l’espansione ha incoraggiato l’emersione del lavoro illegale. Nessun periodo transitorio fermerà una persona che vuol partire, e la libertà di circolazione è un valore fondamentale della Comunità europea. Il 26 gennaio è entrata in vigore una direttiva del Consiglio che consente ai cittadini di paesi terzi residenti da cinque anni nell’Unione europea di circolare liberamente per venire a studiare, lavorare o semplicemente a vivere in qualsiasi paese dell’Unione. Perché il Consiglio ha adottato una direttiva che è discriminatoria nei confronti dei nuovi Stati membri? Perché un’opposizione così estesa al ripristino della giustizia? Apprendiamo con soddisfazione che Finlandia, Spagna e Portogallo intendono rinunciare al periodo transitorio. Austria e Germania hanno dato inizio all’introduzione dei periodi transitori. I risultati di questi due anni stanno a dimostrare che i nuovi Stati membri non rappresentano alcuna minaccia. Esorto l’Austria e gli Stati membri rimanenti a rinunciare al discriminatorio periodo di transizione e ad abbandonare questa discriminatoria immagine dei nuovi Stati membri.

 
  
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  Toomas Hendrik Ilves (PSE). (ET) Vorrei porre una domanda più vasta: perché i nuovi Stati membri hanno la sensazione che una frattura sempre più profonda li separi dai vecchi Stati membri?

Inizierò ricordando la direttiva sui servizi. Si temeva che i nuovi Stati membri avrebbero iniziato a offrire servizi di qualità migliore di quelli disponibili nei vecchi Stati membri, e questo ha bloccato l’applicazione di uno dei diritti europei fondamentali, che per cinquant’anni è esistito solo sulla carta. Si è insinuato in maniera offensiva che la circolazione dei servizi costituirebbe un dumping sociale, ed è stata evocata la leggendaria figura del plombier polonais, l’idraulico polacco, per terrorizzare i cittadini dei vecchi Stati membri. Questa retorica, umiliante per i nuovi Stati membri, ha lasciato nei loro cittadini l’impressione di non potersi considerare esseri umani. Non si è trattato però di un conflitto tra destra e sinistra, e tra i vecchi Stati membri si è fatto presto a trovare un compromesso: alcuni di essi hanno difeso le proprie grandi imprese, mentre altri hanno protetto i propri sindacati. Ma l’Europa orientale aveva aperto i propri mercati ben prima di aderire all’Unione europea, e di conseguenza le grandi imprese dei vecchi Stati membri hanno semplicemente acquistato aziende nell’Europa orientale per anni, senza le limitazioni imposte da una direttiva sui servizi. Costoro sono venuti a fare acquisti sul nostro mercato, ma quando è giunto il nostro turno abbiamo trovato la porta chiusa. A pagare il prezzo di questa situazione sono le piccole imprese e i cittadini dei nuovi Stati membri, ma anche i consumatori dei vecchi Stati membri.

In secondo luogo, a causa delle limitazioni alla libera circolazione dei lavoratori i nuovi europei diventano cittadini di seconda categoria; alcuni cittadini dell’Unione europea hanno il diritto di spostarsi liberamente, mentre ad altri tale diritto è negato, a motivo della loro cittadinanza. Nell’Unione il neoprotezionismo limita i diritti civili dei cittadini dei nuovi Stati membri, spesso servendosi di una retorica xenofoba, come abbiamo notato nel dibattito sulla direttiva sui servizi. Nonostante la chiusura del mercato del lavoro, da anni i vecchi Stati membri scelgono disinvoltamente i lavoratori di cui hanno bisogno: per esempio medici, infermieri e specialisti di tecnologia dell’informazione. Contro questi lavoratori non si usa l’offensiva etichetta del dumping, poiché la loro assunzione spesso è addirittura finanziata da sovvenzioni statali.

In terzo luogo, abbiamo assistito ora all’applicazione di una direttiva in base alla quale chi non possiede la cittadinanza, ma è residente in uno Stato membro dell’Unione europea da almeno cinque anni, ha diritto alla libertà di circolazione, mentre i cittadini dei nuovi Stati membri dell’Unione non godono di tale diritto. Quale conclusione possiamo trarne? I cittadini dei nuovi Stati membri non sono cittadini di seconda, ma di terza categoria.

La mia domanda è questa: come intende agire l’Europa per evitare che questo protezionismo inaccettabile e questa palese discriminazione spezzino l’unità che l’Europa ha appena riconquistato?

 
  
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  Vladimír Maňka (PSE). (SK) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, ho letto con interesse la relazione della Commissione datata 8 febbraio, che indica chiaramente gli effetti positivi che la mobilità dei lavoratori ha prodotto nell’Unione europea. I lavoratori immigrati hanno contribuito a rimediare alle carenze del mercato del lavoro, hanno incrementato la forza lavoro qualificata nell’UE, hanno ridotto il potenziale di lavoro illegale e nel complesso hanno contribuito a migliorare l’efficienza in Europa.

Un mese fa abbiamo discusso e approvato in prima lettura una relazione sull’apertura del mercato dei servizi nell’Unione europea. Menziono la direttiva sui servizi perché è possibile che arrivi a riguardare da vicino la libera circolazione dei lavoratori; si arriverebbe a un momento critico se, da un lato, entrasse in vigore la direttiva sui servizi, e, dall’altro, un paese si ostinasse contemporaneamente a impedire la libera circolazione dei lavoratori. Ciò ostacolerebbe i lavoratori intenzionati a cambiare datore di lavoro, anche se da tale cambiamento potrebbero trarre vantaggio non solo i lavoratori, ma anche il paese di destinazione. Un paese può evitare questo rischio cancellando il periodo di transizione.

Onorevoli colleghi, di per sé la libera circolazione dei lavoratori non è naturalmente una soluzione per mantenere in vita il modello sociale di uno Stato; un modello inefficiente non può sopravvivere di fronte al peggioramento del deficit delle finanze pubbliche causato dalla globalizzazione, dai mutamenti tecnologici e dall’invecchiamento della popolazione. Tuttavia, la libera circolazione dei lavoratori non è neppure – e del resto non può essere – la causa di questi problemi. La legislazione europea non può imporre agli Stati membri di mantenere o abolire il periodo di transizione; questi stessi Stati, tuttavia, devono prendere ogni misura necessaria per combattere le cause dei propri problemi economici. In tal modo, considereranno la libera circolazione dei lavoratori come un vantaggio e non come una minaccia.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

Dichiarazione scritta (articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Jules Maaten (ALDE). (NL) Il gruppo VVD al Parlamento europeo ritiene che i “vecchi” Stati membri dovrebbero abolire le restrizioni attualmente imposte ai lavoratori dei nuovi Stati membri. Tutti i paesi europei ricavano benefici economici dall’apertura delle frontiere. Nei Paesi Bassi, ad esempio, abbiamo carenza di manodopera nei settori metallurgico, ortofrutticolo, agricolo e sanitario; nel Regno Unito, in Irlanda e in Svezia la politica delle porte aperte è stata coronata da successo. Se apriamo la porta d’ingresso, potremo almeno controllare chi entra, invece di essere costretti ad agitarci freneticamente per allontanare dalla porta di servizio gli immigranti illegali; tentativo che tra l’altro si è rivelato impossibile, poiché ogni anno notiamo che in particolare i lavori stagionali vengono svolti da manodopera illegale.

 

23. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale

24. Chiusura della seduta
  

(La seduta termina alle 22.15)

 

25. Chiusura della sessione annuale
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  Presidente. – Dichiaro interrotta la sessione 2005-2006 del Parlamento europeo.

 
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