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Procedura : 2004/2254(INI)
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Testi presentati :

A6-0013/2006

Discussioni :

PV 13/03/2006 - 18
CRE 13/03/2006 - 18

Votazioni :

PV 14/03/2006 - 11.2
Dichiarazioni di voto

Testi approvati :

P6_TA(2006)0077

Resoconto integrale delle discussioni
Martedì 14 marzo 2006 - Strasburgo Edizione GU

12. Dichiarazioni di voto
Processo verbale
  

– Relazione Kauppi (A6-0050/2006)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’eccellente relazione della collega, onorevole Kauppi, sulla proposta di modifica della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il capitale delle società per azioni.

In considerazione dell’ampio ventaglio di situazioni differenti che gli operatori economici devono affrontare, si impone con urgenza la necessità di semplificare i metodi di salvaguardia e di modificazione del capitale sociale delle società per azioni, pur tutelando i diritti degli azionisti e dei creditori. Nell’estendere le riflessioni che sono all’origine di tali sviluppi legislativi, diviene necessario, a mio avviso, impegnarsi in un dibattito politico più ampio che miri, soprattutto per quanto riguarda le persone fisiche o giuridiche non residenti nell’Unione europea, a regolamentare l’accesso, diretto o indiretto, al capitale delle società che operano sul mercato interno europeo.

 
  
  

– Relazione Gröner, Sartori (A6-0043/2006)

 
  
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  Frank Vanhecke (NI).(NL) Signor Presidente, vorrei chiarire che ho deciso di votare contro la relazione Gröner non perché sia contrario all’uguaglianza di genere, anzi, ma perché la relazione e l’Istituto per l’uguaglianza di genere cui essa fa riferimento sono tipici esempi di quella soffocante moda del politicamente corretto che sta gradualmente stendendo la sua cappa su tutta l’Europa.

La Carta dei diritti fondamentali, documento ispirato a una filosofia di sinistra politicamente corretta e applicato da un non meno politicamente corretto ufficio per i diritti fondamentali, è un prodotto della medesima ideologia, come le quote per l’occupazione e altre misure contenute nella defunta ma sempre incombente Costituzione europea.

Vi chiedo quindi di ignorare tali questioni e di occuparvi dei temi davvero importanti, ossia il diritto delle donne a occupare gli stessi posti di lavoro degli uomini e a ricevere uguale salario a parità di lavoro; su questo siamo tutti d’accordo. Tutto il resto non è altro che mera correttezza politica.

 
  
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  Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, vorrei ribadire che sono assolutamente convinta della necessità di tutelare i diritti umani di uomini e donne, ma mi chiedo se questo specifico testo serva veramente a tutelare tali diritti, o piuttosto a proteggere la sussidiarietà degli Stati membri su questi temi.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Abbiamo votato a favore perché consideriamo importante creare un Istituto europeo per l’uguaglianza di genere; è fondamentale però – desidero sottolinearlo – che tale Istituto non si limiti al compito, comunque importante, di produrre studi, analisi e statistiche.

E’ opportuno invece che esso sviluppi il dialogo e la cooperazione con le ONG e gli organismi che si occupano specificamente di pari opportunità a livello nazionale ed europeo e nei paesi terzi; occorre inoltre che l’Istituto sostenga misure volte a eliminare le discriminazioni.

E’ altresì necessario che l’Istituto analizzi e accompagni la progressiva integrazione della dimensione della parità di genere in tutte le politiche e nel processo di bilancio dell’Unione europea; ciò vale soprattutto per la valutazione dell’impatto su uomini e donne delle pertinenti politiche comunitarie e nazionali, secondo le proposte da noi avanzate ma purtroppo non approvate.

Auspichiamo infine che venga stanziato un adeguato finanziamento comunitario, e che nella nomina del futuro Consiglio di amministrazione prevalga il buon senso.

 
  
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  Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. (SV) La relazione propone la costituzione di un nuovo Istituto europeo per l’uguaglianza di genere.

In sostanza, la Lista di giugno ritiene che i temi dell’uguaglianza debbano godere di un’altissima priorità; infatti la parità di trattamento per uomini e donne è un requisito che tutti i paesi dell’Unione europea devono rispettare. Ciò non significa, tuttavia, che l’UE debba allestire un nuovo apparato burocratico a tal fine. La Svezia ha registrato progressi eccezionali per ciò che riguarda l’uguaglianza e la Lista di giugno è convinta che questo tipo di attività debba rientrare tra le competenze nazionali. Un Istituto europeo per l’uguaglianza di genere comporterebbe maggiore burocrazia e minore efficienza.

E’ dal basso, nei singoli Stati membri, che si deve ingaggiare la lotta per l’uguaglianza, e non dall’alto a opera di burocrati nominati a livello europeo, se vogliamo che i cittadini di entrambi i generi vi prendano parte. Eurostat potrà occuparsi dell’analisi comparativa dei dati statistici in questo settore.

Abbiamo quindi deciso di votare contro l’intera relazione.

 
  
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  Timothy Kirkhope (PPE-DE), per iscritto. – (EN) Io e i miei colleghi conservatori britannici siamo convinti sostenitori delle pari opportunità in seno alla società. Crediamo che sia gli uomini che le donne debbano svolgere senza ostacoli il loro ruolo nella vita delle nazioni e in altro ambito; ci opponiamo a ogni discriminazione basata sul genere.

Oggi, però, abbiamo votato contro questa relazione in quanto non approviamo la proliferazione di nuove agenzie e istituti dell’Unione europea, destinati unicamente ad accrescere gli oneri per i contribuenti e a estendere ancor più gli apparati burocratici, senza recare alcun sicuro vantaggio ai cittadini che dovrebbero esserne i teorici beneficiari. Creando un Istituto separato, destinato a occuparsi esclusivamente di questo problema, si rischia la ghettizzazione; l’Istituto stesso, infatti, rimarrebbe esposto a gruppi di pressione monotematici, e probabilmente verrebbe ignorato ed emarginato. Il problema della parità di genere va affrontato nel quadro di un approccio globale ai diritti fondamentali.

 
  
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  Christa Klaß (PPE-DE), per iscritto. (DE) La Commissione europea ha annunciato la costituzione dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere prima che il Parlamento europeo portasse a termine la propria relazione in materia; non è una procedura metodologicamente corretta. Oggi noi votiamo su questo tema, e in tali questioni la voce del Parlamento ha la sua importanza.

Si prevede la creazione di un Istituto dotato di un bilancio di 54,5 milioni di euro, cui sarà affidato il compito specifico di monitorare le pari opportunità tra donne e uomini tramite la pubblicazione di statistiche e relazioni. Già l’anno scorso, tuttavia, per motivi pratici e finanziari il Parlamento europeo ha formulato una raccomandazione in base alla quale l’Istituto per l’uguaglianza di genere dovrebbe entrare a far parte dell’Agenzia europea per i diritti umani. Per poter intervenire efficacemente sul terreno della parità di genere è necessario un ventaglio più ampio di azioni e risorse, che attualmente non è però disponibile. E’ quindi da preferire l’idea originaria, che prevedeva la fusione delle due agenzie in un’unica Agenzia per i diritti fondamentali.

E’ per questo motivo che ho presentato l’emendamento n. 73. Respingere la proposta di formare un Istituto indipendente per l’uguaglianza di genere non significa assolutamente opporsi alla politica per le donne. I fondi disponibili vanno piuttosto investiti nell’istruzione delle donne; è questo il primo passo verso l’uguaglianza. Anche nel quadro del dibattito odierno sullo snellimento della burocrazia in Europa, la creazione di un’altra agenzia non è ragionevole, né facile da far comprendere ai cittadini. Quindi, non ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. – (DE) Da più di quarant’anni mi batto per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere.

Non mi si può quindi certo rimproverare di essere sorda a questa richiesta.

Mi interrogo tuttavia sulla necessità di costituire un Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, in quanto molto tempo è trascorso dal momento in cui, più di dieci anni fa, fu avanzata l’idea di creare un tale Istituto e le priorità in base alle quali distribuire in modo più efficace lo scarso denaro disponibile sono oggi ben diverse.

Avendo più di 50 milioni di euro da spendere a favore delle pari opportunità tra donne e uomini, posso immaginare un modo migliore di utilizzarli che la creazione di un Istituto i cui compiti e competenze si sovrappongono a quelli di organismi già esistenti a livello nazionale, europeo e mondiale.

Se esamino questa shopping list – gli 85 emendamenti presentati in fondo non sono altro – provo una forte preoccupazione per i costi che comporterebbe questo complicato giocattolo per femministe dalle idee sorpassate.

Sostengo l’emendamento che ricorda come il nostro Parlamento abbia già deciso che questo Istituto debba entrare a far parte dell’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione europea; ciò servirebbe per lo meno a limitare i danni.

Considerando le numerose assurdità che contiene e l’assenza di qualsiasi prospettiva finanziaria, non posso sostenere oggi questa relazione.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Giudico positivamente la relazione, e in particolare il tentativo di istituire un organismo indipendente che si occupi specificamente delle tematiche di genere. Apprezzo l’idea di un organismo che tratti esclusivamente le tematiche di genere, in quanto ciò garantisce che l’obiettivo della parità di genere – nei termini in cui lo definiscono i Trattati – non verrà scavalcato da alcuna altra politica antidiscriminatoria a livello di Unione europea.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il controllo quasi poliziesco delle opinioni e l’adozione pressoché definitiva del pensiero unico hanno trasformato dibattiti seri e importanti che affrontano questioni urgenti in esercizi di professione di fede su alcune politiche. E’ il caso delle cosiddette “politiche di genere”.

Dal riconoscimento della necessità di una società più equilibrata, con una distribuzione dei compiti tra uomini e donne più adatta ai tempi attuali e tale da garantire una maggiore libertà di scelta, si passa molto spesso all’imposizione di politiche che dovrebbero garantire la realizzazione di tali obiettivi.

Come se ci fossero aree politiche in cui le divergenze sui metodi e sui modelli sono impossibili: su questo si basa, in sintesi, la mia prima obiezione all’idea di un Istituto europeo per l’uguaglianza di genere. Il fatto di difendere, come ho detto poc’anzi, la necessità di un maggiore equilibrio nell’organizzazione delle nostre società, non mi spinge a sostenere la creazione di tale Istituto.

La burocratizzazione della libertà non mi sembra il metodo più opportuno; il fine non sempre giustifica i mezzi. D’altro canto, la proliferazione di “agenzie” e “istituti” non mi sembra il modello migliore per organizzare le Istituzioni comunitarie.

 
  
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  Reinhard Rack (PPE-DE), per iscritto. – (DE) Noi, deputati del partito popolare austriaco al Parlamento europeo, siamo favorevoli all’uguaglianza di genere e anche a una politica attiva in questo campo. Affidare la gestione di questo problema alla progettata Agenzia europea dei diritti umani costituisce perciò, a nostro parere, un segnale positivo, che corrobora la nostra posizione tendente a considerare le questioni inerenti all’uguaglianza di genere come uno dei compiti più importanti dell’Agenzia, conformemente alla risoluzione del Parlamento europeo del 26 maggio 2006 sulla relazione Kinga Gal.

Siamo tuttavia contrari alla creazione di ulteriori organismi indipendenti, che finirebbero per provocare la proliferazione di una nuova e costosa burocrazia; dal momento che la questione dei finanziamenti è ancora del tutto aperta, respingiamo pure l’incerto impegno finanziario, previsto intorno ai 52 milioni di euro.

 
  
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  Carl Schlyter (Verts/ALE), per iscritto. (SV) L’Unione europea è afflitta da un eccessivo proliferare di enti e agenzie; nonostante questo, voterò a favore della realizzazione dell’Istituto. Dal punto di vista dell’uguaglianza di genere la situazione è disastrosa, come dimostrano in particolare le norme ormai obsolete sul congedo parentale, l’inesistenza di un’educazione alla parità di genere, la carente legislazione e il fatto che l’83 per cento delle posizioni dirigenziali siano occupate da uomini. Potrebbe quindi essere opportuno investire alcuni milioni di euro per cercare di migliorare la situazione attraverso un istituto che integri l’organismo già attivo nella lotta contro le discriminazioni nei confronti delle minoranze. Potrebbe addirittura essere ragionevole l’idea di un istituto che si opponga alle discriminazioni perpetrate a danno della maggioranza, ossia delle donne.

 
  
  

– Relazione Papadimoulis (A6-0027/2006)

 
  
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  Liam Aylward (UEN), per iscritto. – (EN) Questa relazione è veramente ottima. Nell’Unione europea e nel mondo, la realtà ci ha messo bruscamente di fronte allo scatenarsi sempre più frequente di terribili calamità naturali. Negli ultimi 15 mesi, ad esempio, abbiamo assistito al disastroso tsunami che ha colpito l’Asia, ai cicloni tropicali che si sono abbattuti sulla Louisiana e il Mississippi, alle inondazioni che hanno devastato Romania, Bulgaria, Svizzera, Austria, Germania e Francia, alla grave siccità che ha tormentato la Spagna e il Portogallo, e agli incendi che in Portogallo hanno distrutto quasi 180 000 ettari di foreste. E’ evidente che le calamità naturali costituiscono una minaccia globale, che esige risposte globali.

Accolgo quindi con favore la proposta di regolamento del Consiglio e la relazione del Parlamento europeo che si imperniano specificamente sul concetto di prevenzione per l’elaborazione di una risposta dell’Unione europea alle calamità naturali. Da ogni punto di vista, la prevenzione è un’essenziale modalità di risposta alle calamità naturali, e sono lieto che il concetto di prevenzione abbia trovato posto nella relazione.

Sono d’accordo pure sul fatto che l’articolo 175, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea rappresenti una base giuridica più chiara, e sostengo il relatore.

Aderisco alla tesi per cui la dottrina di protezione civile dell’Unione europea deve fondarsi su approccio di tipo bottom up; penso inoltre che la responsabilità primaria delle attività di protezione civile debba ricadere sugli Stati membri.

 
  
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  Johannes Blokland (IND/DEM), per iscritto. – (NL) L’Unione Cristiana-SGP non può approvare la raccomandazione al Consiglio che istituisce uno strumento di risposta rapida e preparazione alle emergenze gravi. In particolare, siamo contrari a mutare la base giuridica, ad ampliare il campo d’azione di questo strumento per consentire il finanziamento di misure preventive e ad aumentare il bilancio.

Ci opponiamo in particolare al mutamento della base giuridica, dal momento che in precedenti voti analoghi il Parlamento aveva già deciso che l’articolo 308 era l’unica base giuridica corretta. Allargare artificiosamente la definizione dell’articolo 175 del Trattato, per far rientrare questo strumento nel suo ambito, non è una procedura opportuna; si può interpretare solo come una posizione assunta a maggioranza dal Parlamento per estendere la propria influenza a temi che in base al Trattato non dovrebbero rientrare nelle sue competenze.

Inoltre, le conseguenze finanziarie dell’impiego delle squadre d’intervento non vanno regolamentate da uno strumento comunitario, in quanto si tratta piuttosto di una questione di solidarietà fra i vari paesi.

 
  
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  David Casa (PPE-DE), per iscritto. – (MT) Benché sul problema delle risposte rapide a emergenze gravi siano stati compiuti grandi progressi, mi sembra purtroppo che molto resti ancora da fare; c’è bisogno quindi di uno sforzo collettivo, in maniera da acquisire la migliore preparazione possibile per evitare tali disastri.

Tutti concordiamo, penso, sul fatto che impegnandoci a operare per prevenire calamità di dimensioni nazionali risparmieremo ai nostri paesi e all’Unione europea gli enormi costi che attualmente dobbiamo sostenere a causa della nostra politica odierna.

Dobbiamo essere pronti a investire denaro e risorse umane nello svolgimento di uno studio che indichi chiaramente – o ancor meglio valuti – località e regioni che più rischiano di essere investite da calamità.

In tal modo saremo pronti a qualsiasi eventualità possa presentarsi e, come ho già sottolineato, non solo risparmieremmo molti milioni, ma compiremmo anche il nostro dovere morale di proteggere la vita delle potenziali vittime di tali catastrofi.

Dovremmo quindi fornire una direzione politica, tramite la quale ogni paese possa confidare nell’aiuto dell’Unione per varare progetti che migliorino il livello di vita delle popolazioni delle regioni ove più facilmente possono presentarsi problemi di vaste dimensioni.

A mio avviso prevenire è meglio che curare; dobbiamo quindi concentrare le nostre energie per essere pronti ad affrontare qualsiasi eventualità.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Le recenti catastrofi naturali – le inondazioni, la grave siccità e gli incendi forestali – che si sono abbattute non soltanto sui paesi all’interno dell’Unione europea ma anche su quelli al di là dei suoi confini, come ad esempio lo tsunami in Asia e i cicloni negli Stati Uniti, dimostrano l’importanza di meccanismi efficaci di protezione civile.

Lo strumento di risposta rapida e preparazione alle emergenze gravi proposto dalla Commissione intende rafforzare la capacità di risposta dell’Unione europea nell’ambito del meccanismo di protezione civile e massimizzare l’assistenza in termini di risposta rapida e preparazione alle emergenze gravi. Non si parla però di prevenzione. Riteniamo quindi importante l’approvazione di questa relazione, che attribuisce priorità a tale aspetto e ne propone l’inclusione nell’ambito di applicazione di tale strumento.

Rimarchiamo inoltre le proposte concernenti la gestione integrata delle risorse naturali e ambientali, che include la gestione delle foreste, delle zone particolarmente soggette a inondazioni, delle zone umide e di altri ecosistemi fragili, nonché la valutazione dei rischi nelle zone urbane. Accogliamo con favore la particolare attenzione riservata alle regioni isolate e ultraperiferiche, a una migliore informazione e sensibilizzazione delle popolazioni nonché a una maggiore e migliore formazione professionale.

 
  
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  Duarte Freitas (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il testo proposto dalla Commissione offre concrete prospettive nell’ambito della protezione civile a livello europeo. Le misure e le azioni mediante le quali è possibile attivare questo strumento renderanno assai più agevole la preparazione e la risposta in situazioni di crisi.

Con gli emendamenti presentati in Parlamento, la prevenzione di tali fenomeni trova un suo posto in questo strumento, che sembra essenziale nella lotta per la concretizzazione di obiettivi importanti come la protezione delle popolazioni, dell’ambiente e dei beni.

In un paese come il Portogallo, che anno dopo anno viene colpito da incendi forestali e siccità che lasciano segni indelebili, questa proposta consentirà la formazione di personale specializzato e l’istituzione di meccanismi di preparazione, nonché la condivisione di attrezzature e migliori prassi con paesi più evoluti in questo settore.

Concordo quindi con la relazione dell’onorevole Papadimoulis e con i relativi emendamenti al testo della Commissione.

 
  
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  Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. (SV) Parecchie buone ragioni invitano i governi degli Stati membri a conferire priorità alle misure che possono ridurre il rischio di calamità naturali. Ci chiediamo tuttavia se in quest’ambito all’Unione europea spetti davvero il ruolo preminente che il Parlamento vorrebbe attribuirle. Tra l’altro, il Parlamento europeo desidera:

– che l’Unione europea svolga un ruolo attivo nella prevenzione di catastrofi come le gravi siccità che hanno colpito Spagna e Portogallo, o gli incendi scoppiati in paesi dell’Europa meridionale;

– che l’Unione europea venga coinvolta nella risposta a calamità che si verifichino al di fuori dei suoi confini, per esempio tramite l’intervento della protezione civile;

– che il bilancio per uno strumento di risposta rapida e preparazione venga incrementato di 105 milioni di euro (in aggiunta alla cifra proposta dalla Commissione) per il periodo 2007-2013.

A nostro avviso, agire in caso di catastrofi naturali è in primo luogo compito di ogni Stato membro. Parecchie forme di calamità naturali (ad esempio siccità e incendi) sono ricorrenti e si possono prevedere. Per ogni Stato membro dovrebbe essere sicuramente possibile attuare investimenti che riducano al minimo il rischio di questo tipo di calamità.

Cosa ancor più importante, le Nazioni Unite hanno già messo a punto un sistema di assistenza per i paesi colpiti da catastrofi e gravi incidenti. Gli Stati membri potrebbero ricorrere a tale sistema, anziché sviluppare una struttura parallela, e rischiare così una superflua duplicazione degli sforzi. In base a tale ragionamento abbiamo deciso di votare contro la relazione.

 
  
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  Françoise Grossetête (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore di questo regolamento.

Accolgo con molta soddisfazione il rafforzamento dei meccanismi di protezione civile dell’Unione europea nei casi di emergenza. Questo strumento di risposta comunitaria dev’essere visibile, coordinato ed estremamente tempestivo, per vincere la corsa contro il tempo che segue ogni calamità naturale. Per garantire il successo di questi interventi è necessaria una cooperazione perfetta tra i diversi soggetti interessati.

Con gli emendamenti che ho presentato, ho cercato di sottolineare l’aspetto preventivo; infatti, è importante sapere come reagire a una calamità, ma è ancora più importante sapere come evitarla. La prevenzione rappresenta un elemento fondamentale per la riduzione dei rischi. Per esempio, gli incendi sono molto spesso di origine umana. Un altro non trascurabile strumento di prevenzione è il richiamo alla vigilanza associato a esaustive informazioni sulle sanzioni.

D’altra parte, prima di elaborare specifici piani d’azione, abbiamo bisogno di un preciso inventario delle risorse umane e dei materiali disponibili; tale inventario dovrà essere realizzato dalla Commissione europea in cooperazione con gli Stati membri.

Infine, la responsabilità primaria delle attività di protezione civile deve ricadere sugli Stati membri; questi meccanismi comunitari devono integrare le politiche realizzate dalle autorità nazionali, regionali o locali.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Siamo naturalmente favorevoli alle proposte formulate nella relazione per introdurre e la dimensione della prevenzione e attribuirvi la priorità nell’ambito di tale strumento come fattore fondamentale della riduzione dei rischi di calamità naturali, nonché per valorizzare il ruolo delle Nazioni Unite nella gestione delle emergenze e degli aiuti alle popolazioni, e infine per tutelare la salute pubblica e il patrimonio culturale.

Tuttavia, il dibattito sulla solidarietà tra i vari paesi in caso di calamità contribuisce ugualmente a evidenziare – se non addirittura a denunciare – l’inaccettabile spreco di risorse inghiottite dalla corsa agli armamenti e dalla militarizzazione delle relazioni internazionali di cui sono protagoniste le principali potenze capitalistiche, con gli Stati Uniti che ne rappresentano il principale promotore.

Utilizzando le colossali risorse finanziarie della militarizzazione e della guerra, che cosa non sarebbe possibile realizzare a favore della prevenzione, del soccorso e della risposta immediata, nonché del recupero delle regioni colpite dalle catastrofi?

Quante sofferenze, quanto spreco di risorse economiche, sociali e ambientali e quante perdite di vite umane si potrebbero evitare con una politica improntata alla distensione delle relazioni internazionali, alla risoluzione pacifica dei conflitti, al disarmo e all’effettiva cooperazione reciprocamente vantaggiosa tra paesi e popoli?

 
  
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  Caroline Jackson (PPE-DE), per iscritto. – (EN) I conservatori britannici aderiscono all’opinione secondo cui nel caso di gravi emergenze è opportuno che gli Stati membri, in una manifestazione di solidarietà europea, contribuiscano collettivamente tramite il bilancio dell’Unione europea agli sforzi di uno o più Stati membri. Voteremo quindi a favore della relazione nel suo complesso. Non sosteniamo però le proposte di modifica della base giuridica, né l’idea di estendere la risposta alle emergenze al di là dei confini dell’Unione europea, né l’incremento del bilancio. Se la risposta dovesse applicarsi su scala mondiale, nessun ragionevole bilancio dell’Unione europea sarebbe sufficiente a finanziarla. Il Parlamento non deve far balenare speranze che l’Unione europea si rifiuterà poi di esaudire.

 
  
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  Diamanto Manolakou (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) I fatti dimostrano che le classi popolari più povere sono le prime vittime della carenza, spesso criminale, di misure adeguate che le tutelino dalle calamità naturali.

La terribile inondazione di New Orleans che ha causato la morte di migliaia di persone, anche se vi era la capacità e la possibilità di prendere misure preventive. Per contro, a Cuba, ove vige un generale sistema governativo di prevenzione e protezione, non si sono registrate vittime.

In tal senso, sono necessarie misure preventive a protezione della salute e dell’ambiente, di cui è responsabile solo il governo e non certo le ONG; naturalmente, occorre anche fornire risorse adeguate.

La proposta della Commissione ignora la questione della prevenzione, poiché se l’affrontasse dovrebbe anche occuparsi delle motivazioni sociali ed economiche che provocano o inaspriscono le conseguenze; dovrebbe anche fornire le necessarie risorse, che sono ancora inadeguate.

E’ curioso notare, però, che tra le emergenze che rendono indispensabile la solidarietà comunitaria contro le catastrofi naturali, industriali e tecnologiche si includa anche la solidarietà contro le azioni terroristiche. Così l’articolo più ripugnante della “Costituzione europea”, concernente la solidarietà in caso di azioni terroristiche, è rientrato dalla porta di servizio. Infatti, come sappiamo, la definizione del terrorismo è elastica e viene adattata alle circostanze dal capitale eurounificato e utilizzata principalmente come arma contro i movimenti popolari di massa che lottano contro la politica repressiva e antipopolare dell’Unione europea e dei governi.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) L’Unione europea ha reagito in maniera positiva e solidale alle richieste di aiuto degli Stati membri che hanno dovuto affrontare gravi emergenze. Detto questo, le ultime drammatiche calamità, come la grave siccità e gli incendi forestali che hanno colpito il Portogallo e la Spagna, hanno dimostrato che il rafforzamento del meccanismo comunitario di protezione civile deve diventare una priorità immediata prima che si verifichino nuove emergenze.

Il testo in esame migliora sensibilmente la proposta della Commissione sull’estensione dell’ambito di applicazione del regolamento e sull’aumento dei finanziamenti a favore delle azioni di prevenzione, preparazione e assistenza in caso di calamità.

Cresce l’importanza dell’inquinamento marino, quindi dobbiamo riconoscere che i paesi costieri, da soli, non possono affrontare un’emergenza ambientale provocata da fuoriuscite di petrolio su larga scala che raggiungano le loro coste.

Siamo ancora un’Unione aperta, dotata di politiche di solidarietà internazionale. Dobbiamo agire, nei limiti delle nostre possibilità, quando gli altri popoli sono colpiti da gravi emergenze, senza dimenticare che la cosa più importante è il rafforzamento dell’aiuto reciproco tra gli Stati membri dell’Unione.

Per concludere: con tali misure potremo rispondere nel modo più adeguato alle richieste d’aiuto, e quindi ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Carl Schlyter (Verts/ALE), per iscritto. – (SV) I paesi dell’Unione europea devono allestire strutture di assistenza reciproca per l’eventualità di incendi forestali e altre calamità naturali. Si tratta dei tipici settori in cui il coordinamento internazionale è costruttivo e necessario. Il Parlamento intende pure mutare la base giuridica, aumentando in tal modo la possibilità che la società civile faccia sentire la sua voce.

Voterò quindi a favore di questa proposta, benché mi sia trovato in minoranza nell’oppormi all’inserimento nella proposta stessa del riferimento agli attacchi terroristici. Tali attacchi a mio avviso sono di natura totalmente differente dalle altre calamità; quindi per proteggerci da essi occorrono metodi del tutto differenti, che non devono rientrare nei finanziamenti di questo fondo. In caso di terrorismo è necessario un tipo di intervento diverso, e questo strumento deve estendersi solo agli aspetti puramente civili di tale intervento, come per esempio la ricostruzione dopo un attacco.

Il terrorismo colpisce soprattutto i paesi che hanno una politica estera coloniale. Anziché mutare tale politica, come sarebbe più giusto, questi paesi cercano invece di esportarla, con tutte le sue conseguenze, in tutti gli Stati membri dell’Unione europea. Dal momento che solo una percentuale irrisoria di questo fondo verrà utilizzato a tale scopo, la proposta rimane accettabile.

 
  
  

– Relazione Hamon (A6-0022/2006)

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’FMI è una delle istituzioni di Bretton Woods che, come la Banca mondiale e il GATT/OMC, ha contribuito a radicare lo sviluppo disuguale tra il centro e i limiti esterni del mondo capitalista. Ciò ha aiutato a liberalizzare lo scambio di beni e servizi e ha promosso la prevalente ideologia neoliberale che, tra l’altro, propugna la riduzione del ruolo dello Stato, le privatizzazioni e un mercato del lavoro più flessibile, tutti elementi che costituiscono la cosiddetta “strategia di Lisbona”.

I piani di adeguamento strutturale sono un tentativo di ciò che viene considerato come l’adattamento delle economie dei paesi del sud alla cosiddetta economia di mercato e della concorrenza, in base alla quale i mercati di questi paesi saranno aperti agli investimenti esteri e vi saranno introdotti quei modelli di specializzazione economica che favoriscono il centro. Le disastrose conseguenze economiche e sociali di questi piani sono ben note. Anche la tanto lodata stabilizzazione cui dichiarano di mirare non si verifica. Inoltre, il sistema monetario internazionale sta diventando più instabile e le crisi si verificano con maggiore frequenza.

Ciò di cui abbiamo bisogno è un diverso sistema monetario, con l’ONU al centro, basato sul vantaggio reciproco e sulla promozione dello sviluppo. La riforma dell’FMI, anche se fosse fondata su un maggiore coinvolgimento dei paesi in via di sviluppo, fatto che non corrisponde alla realtà, non ne modifica la natura. Per questo motivo ci siamo astenuti.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Accolgo con favore questa relazione che favorisce lo stretto coordinamento tra gli Stati membri nel quadro dei negoziati in seno all’FMI. Poiché non viene riconosciuto nessun blocco rappresentativo dell’UE, con poteri delegati dagli Stati membri, è essenziale che i singoli Stati membri continuino a rappresentare se stessi nell’FMI. Ci sono molte questioni importanti, come lo sviluppo, per le quali sono necessarie molte voci per far passare un messaggio.

 
  
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  Claude Moraes (PSE), per iscritto. (EN) Sono lieto che ci sia uno stretto coordinamento tra gli Stati membri durante i negoziati in seno all’FMI. Ritengo che, in assenza del pieno riconoscimento di un blocco rappresentativo dell’UE, con poteri delegati dagli Stati membri, i singoli Stati membri debbano continuare a rappresentare se stessi nell’FMI, così come avviene in molte altre organizzazioni internazionali, come ad esempio l’ONU. Ci sono molte questioni importanti, come lo sviluppo, che hanno bisogno di molte voci per far passare un messaggio.

 
  
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  Peter Skinner (PSE), per iscritto. (EN) L’EPLP accoglie con favore lo stretto coordinamento tra gli Stati membri durante i negoziati in seno all’FMI. Ritiene, infatti, che, in mancanza del pieno riconoscimento di un blocco rappresentativo dell’UE, con poteri delegati dagli Stati membri, i singoli Stati membri debbano continuare a rappresentare se stessi nell’FMI, così come avviene in molte altre organizzazioni internazionali, come ad esempio l’ONU. Ci sono molte questioni importanti, come lo sviluppo, che necessitano di molte voci per far passare un messaggio. Ridurre la voce dell’UE a una sola in alcune circostanze può avere un effetto significativo sul peso dell’opinione internazionale.

 
  
  

– Relazione Hutchinson (A6-0013/2006)

 
  
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  Oldřich Vlasák (PPE-DE).(CS) Signor Presidente, onorevoli colleghi, permettetemi di spiegare perché ho votato contro questa relazione. Si tratta di una relazione superflua, non equilibrata e non basata su risultati reali, bensì solo su presunzioni che non sono corroborate da fatti. Una proroga del termine di protezione da cinque a sette anni è inaccettabile e va contro il principio della libera circolazione. Se continuiamo ad approvare nuovi regolamenti, anziché eliminare le restrizioni riguardanti le imprese e aprire il mercato del lavoro e dei servizi, non aiuteremo l’economia dell’UE, ma, al contrario, la renderemo ancora più stagnante.

 
  
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  Jan Andersson, Anna Hedh, Ewa Hedkvist Petersen, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto. – (SV) Sui punti principali, noi socialdemocratici svedesi siamo favorevoli alla relazione dell’onorevole Hutchinson, ma abbiamo la seguente opinione sulle delocalizzazioni. Non crediamo che le risorse dell’UE debbano essere utilizzate per spostare la produzione perché, in pratica, ciò significa che si sposta disoccupazione e che i lavoratori in regioni diverse vengono posti in competizione tra di loro. Tuttavia, non riteniamo che tutte le delocalizzazioni siano necessariamente sbagliate. Deve essere possibile delocalizzare le imprese se vogliamo che si sviluppino. Maggiori conoscenze e capacità in una regione o in un paese possono rendere necessarie le delocalizzazioni se la regione deve potersi sviluppare.

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della relazione sulle delocalizzazioni nel contesto dello sviluppo regionale perché essa è fondamentale per rassicurare i cittadini europei del fatto che l’Unione europea è una fonte di soluzioni di fronte ai profondi cambiamenti economici e sociali di oggi, e non la causa dei problemi.

La gravità delle questioni economiche e sociali legate alle delocalizzazioni richiede una politica europea forte, al fine di conciliare i necessari cambiamenti con l’obiettivo di coesione. Desidero sottolineare con grande soddisfazione la richiesta che mira a ottenere in futuro informazioni obiettive sul fenomeno delle delocalizzazioni. Queste informazioni saranno indispensabili per noi, soprattutto nel quadro dei negoziati in seno all’Organizzazione mondiale del commercio relativi ai settori economici molto esposti a tali cambiamenti, che possono essere anche molto brutali. Era anche urgente chiarire il regime degli aiuti europei rispetto alle delocalizzazioni, creando un collegamento tra l’aiuto e l’obbligo di produrre sul territorio dell’Unione europea.

Infine, accolgo con favore la richiesta di introdurre clausole sociali nei trattati internazionali, sulla base delle convenzioni prioritarie dell’Organizzazione internazionale del lavoro.

 
  
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  Brigitte Douay (PSE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della relazione Hutchinson sulle delocalizzazioni nel contesto dello sviluppo regionale dopo avere partecipato ai dibattiti in seno alla commissione competente e dopo avere presentato alcuni emendamenti.

Questa relazione propone di evitare che i Fondi strutturali favoriscano misure che contribuiscono alle delocalizzazioni che nelle nostri regioni comportano elevati costi sociali.

Prevede la creazione di una strategia europea di lotta contro le delocalizzazioni e la creazione di un Osservatorio europeo delle delocalizzazioni per misurare l’effettivo impatto degli aiuti europei sulle delocalizzazioni.

Non si tratta assolutamente di ritornare a un’economia amministrata, né di nuocere alla concorrenza libera e leale, che è il fondamento del mercato comune. Non si tratta nemmeno di controllare tutte le imprese, né di ostacolare lo sviluppo dei nuovi Stati membri. E’ importante tuttavia ricordare che i Fondi strutturali devono essere strumenti di sviluppo e di coesione sociale e non armi per una guerra tra le nostre regioni. Infatti esistono ancora, anche nei paesi più ricchi dell’Unione europea, regioni povere dove i lavoratori assistono disperati alla scomparsa del loro posto di lavoro, spesso restando senza possibilità di riqualificazione.

 
  
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  Lena Ek e Cecilia Malmström (ALDE), per iscritto. (SV) Un mondo ancora più globalizzato crea nuove esigenze. Presenta nuovi problemi da affrontare e dà vita a nuove opportunità da sfruttare al meglio. Oggi il Parlamento europeo vota sulla relazione di iniziativa dell’onorevole Hutchinson sulle delocalizzazioni nel contesto dello sviluppo regionale. Abbiamo deciso di votare contro la relazione perché riteniamo che non affronti nel modo giusto il problema della delocalizzazione delle imprese.

Siamo d’accordo sul fatto che non ci sia alcuna giustificazione per il fatto che le risorse dell’UE, ad esempio i Fondi strutturali, vengano utilizzate per finanziare migliori condizioni competitive per le imprese europee che poco dopo decidono di trasferire le loro attività al di fuori dell’UE. Tuttavia, né lo Stato né le autorità comunitarie devono intervenire per controllare come le imprese gestiscono le loro attività e per decidere cosa è necessario per impedire alle imprese di prendere decisioni razionali che permettano loro di sopravvivere.

Non creeremo la piena occupazione aumentando il ruolo dello Stato. La creeremo facilitando la vita alle imprese e agevolando nuovi investimenti sul mercato privato. Pertanto, non possiamo nemmeno votare a favore di un’ulteriore limitazione degli spostamenti delle imprese sul mercato interno, come propone la relazione. Per superare i problemi e gestire le delocalizzazioni in un mercato globalizzato, ci serve un punto di partenza diverso da questa nuova tendenza basata sul patriottismo economico.

 
  
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  Anne Ferreira (PSE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Hutchinson sulle delocalizzazioni, che sottolinea l’urgenza da parte dell’UE di tenere conto della gravità degli effetti delle delocalizzazioni delle imprese sulle persone e sulle regioni.

Si deve fare luce sull’evoluzione di questo fenomeno e sulle sue conseguenze, cosa che sarà possibile con un osservatorio.

Il tutto deve però basarsi su un quadro normativo più restrittivo in seno all’UE, con l’inclusione di clausole sociali e ambientali negli scambi commerciali internazionali.

L’interesse dei lavoratori e il mantenimento dell’occupazione devono essere al centro delle nostre preoccupazioni politiche. Ciò è indispensabile per realizzare gli obiettivi della piena occupazione e della strategia di Lisbona fissati nel 2000, che non potranno essere conseguiti in mancanza di una politica industriale europea.

 
  
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  Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. (SV) Questa relazione, che si colloca al di fuori della procedura legislativa, si occupa di un tema importante. Tuttavia, avremmo dovuto formulare i problemi relativi a tale questione in modo diverso.

Pensiamo che la delocalizzazioni delle imprese in paesi terzi al di fuori dell’UE sia un argomento nel quale non possiamo interferire. In genere sono le considerazioni di mercato a dover determinare la collocazione definitiva delle imprese nel mondo. In questo contesto, gli Stati membri dell’UE si possono impegnare per competere quando si tratta, ad esempio, di offrire conoscenze, competenze e stabilità.

Per quanto riguarda la delocalizzazione delle imprese all’interno dell’UE, dobbiamo occuparci del problema derivante dal fatto che i singoli Stati membri integrano gli aiuti strutturali comunitari con agevolazioni fiscali discriminatorie e aiuti di Stato. Ciò è successo nel 2002 quando venne chiusa un’impresa produttrice di pneumatici a Gislaved e la società interessata, la Continental, investì in un’impresa produttrice di pneumatici nel Portogallo settentrionale. Che una cosa simile possa accadere nel mercato interno dell’UE per noi è un grave problema.

Nella motivazione il relatore afferma anche che potrebbe essere istituito un Osservatorio europeo delle delocalizzazioni. Invece di creare un nuovo organismo di controllo dovremmo assegnare alla Commissione il compito di controllare le chiusure delle imprese come conseguenza delle ristrutturazioni e di sistemi fiscali discriminatori.

Per questo motivo scegliamo di votare contro la relazione. Riteniamo che la questione sia importante in linea di principio, ma avremmo voluto una risoluzione con una diversa impostazione.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La risoluzione adottata dal Parlamento sulla delocalizzazione delle imprese era l’unica possibile perché, respingendo gli emendamenti che abbiamo presentato, l’accordo di compromesso tra le forze politiche dominanti, cioè i socialdemocratici e la destra, non ha consentito di ottenere una risoluzione di più ampio respiro. Le nostre proposte erano quelle di seguito indicate.

– Sottolineare che, in molti casi, l’obiettivo delle delocalizzazioni di imprese è quello di trarre il massimo profitto, garantirsi condizioni fiscali più vantaggiose e sostegno finanziario, e sfruttare manodopera a basso costo privata di ogni diritto.

– Sottolineare il fatto che le delocalizzazioni fanno parte della liberalizzazione del commercio a livello mondiale e della deregolamentazione del mercato del lavoro, sotto l’egida dell’Organizzazione mondiale del commercio.

– Creare un quadro giuridico normativo che si occupi, tra gli altri, dei seguenti aspetti: la definizione contrattuale di un periodo minimo di sette anni, la garanzia di un’occupazione stabile e duratura e dello sviluppo economico regionale, l’applicazione di sanzioni in caso di mancato rispetto degli obblighi contrattuali (restituzione degli aiuti erogati e divieto di ricevere altri aiuti comunitari) e la protezione dei lavoratori, mantenendoli informati e garantendone il giusto coinvolgimento, anche attraverso il diritto di voto.

– Redigere una comunicazione annuale sulle delocalizzazioni e il loro impatto.

Speriamo, comunque, che quanto votato oggi venga perlomeno attuato.

 
  
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  Marine Le Pen (NI), per iscritto. (FR) Chiedendo la restituzione degli aiuti europei concessi alle imprese che delocalizzano le loro attività, la relazione dell’onorevole Hutchinson riprende una delle proposte avanzate nell’Île de France, in occasione delle elezioni regionali, dal Front national a proposito delle sovvenzioni del consiglio regionale.

Le Istituzioni europee stanno iniziando a rendersi conto delle conseguenze economiche e sociali delle loro scelte politiche: molte delle nostre imprese sono state costrette a delocalizzare le loro attività perché l’abbattimento delle frontiere le ha messe in competizione con produttori che sono soggetti a oneri salariali estremamente bassi.

Per proteggere le nostre economie da questo dumping sociale e per preservare il nostro modello sociale, dobbiamo applicare una politica diversa: ripristinare le frontiere e rendere le nostre imprese più competitive, finanziando i sistemi di previdenza sociale con un’aliquota IVA sociale che andrebbe a sostituire i contributi. A tal fine i governi nazionali devono mantenere la sovranità in materia fiscale.

Queste sono solo alcune misure economiche e sociali di buon senso che potrebbero essere applicate non dall’attuale Europa di Bruxelles, rinnegata dai francesi lo scorso anno, ma da un’Europa di nazioni libere e sovrane.

 
  
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  Toine Manders (ALDE), per iscritto. – (NL) La delegazione del VVD ha deciso di votare contro la relazione Hutchinson sulle delocalizzazioni nel contesto dello sviluppo regionale perché tale documento appoggia apertamente la proposta della Commissione di istituire un fondo per la globalizzazione, al quale il VVD si oppone fermamente poiché questo tipo di intervento di Stato è in contrasto con il mercato interno. La politica sociale è un ambito di competenza dei soli Stati membri. Inoltre, esiste già un sistema europeo che prevede possibilità per la riqualificazione dei lavoratori: infatti, gli attuali Fondi strutturali forniscono agli Stati membri sostegno finanziario per la formazione e riqualificazione dei cittadini. La relazione Hutchinson prevede anche una serie di misure burocratiche superflue che limitano la libertà di stabilimento e fanno perdere slancio al mercato interno.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Sono favorevole a questa relazione sulla delocalizzazione nel contesto dello sviluppo regionale. In virtù del principio del partenariato, è responsabilità degli Stati membri e della Commissione negare la partecipazione ai Fondi strutturali a quelle imprese che, dopo avere ricevuto gli aiuti dell’Unione europea, trasferiscono la loro attività in un altro Stato membro o in un paese terzo nei sette anni successivi all’erogazione degli aiuti.

A tale proposito è indispensabile che l’UE determini una strategia europea per combattere le delocalizzazioni, in coordinamento con gli Stati membri, e che istituisca un Osservatorio europeo delle delocalizzazioni per analizzare, valutare, garantire un seguito e avanzare proposte concrete sugli accordi a lungo termine nel settore dell’occupazione e dello sviluppo locale.

Considerato l’aumento delle regioni colpite dall’effetto statistico in Scozia, oggi più che mai è importante prendere misure concrete che garantiscano che i fondi stanziati vengano spesi in modo efficace e rispettino la durata dell’intero periodo di programmazione.

 
  
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  Jean-Claude Martinez (NI), per iscritto. (FR) Era evidente che la creazione di un mercato unico tra 25 Stati con costi salariali, sociali e fiscali molto diversi avrebbe comportatola delocalizzazione delle imprese verso i paesi con costi di produzione più bassi, ed è proprio ciò che si è verificato. I dieci nuovi Stati attirano le imprese della “vecchia Europa” e anche imprese degli Stati Uniti con sede in Messico.

Ancora più scioccante è il fatto che questi Stati offrono condizioni fiscali allettanti, facendo poi pagare le infrastrutture sanitarie, sociali, stradali e di altro tipo ai paesi occidentali che, aumentando il proprio onere fiscale per finanziare i dieci nuovi Stati membri, peggiorano i loro problemi produttivi.

Per le delocalizzazioni al di fuori dell’Unione esiste una soluzione di fondo. Dobbiamo inventare dazi doganali di nuova tecnologia con tre caratteristiche. Devono essere modulabili in funzione della differenza fra i costi di produzione dei due paesi in questione. Devono essere rimborsabili: il dazio doganale a carico dell’esportatore diventerebbe un “credito d’imposta” detraibile acquistando sull’economia dell’importatore. In altre parole, il dazio doganale offrirebbe all’esportatore un diritto di prelievo sull’economia dell’importatore, che costituirebbe una situazione “win-win” per il commercio internazionale.

Infine, tali dazi sarebbero riscattabili nel momento in cui l’importatore volesse concedere un vantaggio all’esportatore. Il credito doganale diventerebbe in questo modo un “matching credit” come quelli già previsti dal diritto fiscale internazionale.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il mio parere favorevole alla relazione si basa essenzialmente sulla diagnosi mentre, secondo me, la medicina prescritta segue una strada che si è rivelata essere un grande insuccesso.

In questo contesto, nonostante queste obiezioni, condivido l’idea espressa nella relazione secondo la quale troppo spesso ci occupiamo delle delocalizzazioni quando sono già avvenute. Ciò mi colpisce, non solo perché è di scarsa utilità, ma anche perché è indicativo della terribile incapacità di anticipare le situazioni. Ritengo dunque che dovrebbero essere presentate alcune misure legislative al fine di prevenire l’abuso dei fondi pubblici e di proibire l’uso degli aiuti pubblici quando gli organismi privati non sono gestiti con un adeguato senso di responsabilità.

Ciononostante, penso che alcune forme di delocalizzazione siano inevitabili. Penso anche che questo dibattito non si sarebbe potuto svolgere senza tenere conto del bilancio complessivo, inclusi gli alti e i bassi. In altre parole, oltre a tutti i posti di lavoro che sono andati persi a causa dell’apertura dei mercati, nell’equazione dobbiamo anche calcolare i posti di lavoro che sono stati creati, per non parlare dei vantaggi per i consumatori. E’ vero che dobbiamo evitare che prevalga la legge della giungla, ma al tempo stesso non dobbiamo bandire una cosa che è necessaria. Al contrario, dovremmo tentare di trarne il massimo beneficio.

 
  
  

– Relazione Matsakis (A6-0044/2006)

 
  
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  Milan Gaľa (PPE-DE). (SK) Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi sono astenuto dalla votazione sulla relazione Matsakis sulla strategia comunitaria sul mercurio proposta dalla Commissione e vorrei spiegare perché. Come formazione sono dentista e so che gli emendamenti concernenti il divieto immediato degli amalgami in odontoiatria non sono realizzabili, soprattutto nei nuovi Stati membri, in primo luogo per motivi economici. Poiché le otturazioni dentali con materiali diversi dagli amalgami sono tre volte più costose, esse costituirebbero un onere irragionevole per le compagnie di assicurazione sanitaria. Al contempo, le prove degli effetti nocivi dell’amalgama sono poco chiare e incomplete. Indubbiamente dobbiamo migliorare lo smaltimento dei resti di amalgama negli studi odontoiatrici, ma non dovremmo vietare ai dentisti l’uso del mercurio. Ritengo inoltre che spetti agli Stati membri la competenza per quanto riguarda la legislazione in materia. Questa opinione è condivisa dall’Associazione dei dentisti slovacchi e per questo motivo ho votato contro la relazione.

 
  
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  Johannes Blokland (IND/DEM), per iscritto. – (NL) Anche se possono appoggiare la proposta di risoluzione sulla strategia comunitaria sul mercurio, i deputati dell’Unione Cristiana e dell’SGP vorrebbero aggiungere che le deroghe al divieto del mercurio nelle attrezzature di misurazione e controllo dovrebbero rimanere possibili.

Una di queste deroghe dovrebbe applicarsi alla produzione dei tradizionali barometri a mercurio, così come indicato nel testo della risoluzione approvata. La quantità utilizzata per la produzione è minima e i rischi ambientali, poiché il mercurio è contenuto nel vetro, è relativamente basso.

Varie piccole imprese nell’UE vivono della produzione di questi barometri e, in mancanza di alternative adeguate, dovrebbero chiudere se venisse introdotto un divieto assoluto. Riteniamo che la produzione di questo patrimonio europeo debba poter continuare in un ambiente controllato.

 
  
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  Duarte Freitas (PPE-DE), per iscritto. – (PT) L’obiettivo di questa proposta della Commissione è quello di colmare le lacune e di proporre una strategia europea per i prossimi anni per la produzione e l’uso del mercurio in Europa.

Tra i vari punti importanti citati nella relazione ci sono la fine delle esportazioni di mercurio e la fine dell’uso del mercurio negli apparecchi di misurazione e negli amalgami dentali, i controlli delle emissioni e gli studi degli effetti del mercurio nei vaccini, azione, questa, che potrebbe portare enormi benefici per la salute pubblica.

L’autorizzazione prevista dall’emendamento n. 2 tutela le attività dei piccoli produttori in circostanze controllate, le esposizioni nei musei, i barometri tradizionali e articoli di valore storico. L’emendamento n. 6 introduce il termine per le restrizioni alle esportazioni. Ciò si potrebbe rivelare una mossa affrettata e potrebbe danneggiare l’Europa, favorendo solo i paesi terzi esportatori di mercurio.

Appoggio la proposta della Commissione e il contenuto essenziale della relazione Matsakis.

 
  
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  Hélène Goudin, Nils Lundgren e Lars Wohlin (IND/DEM), per iscritto. (SV) La Lista di giugno appoggia la proposta di adottare misure per ridurre ed eliminare progressivamente le emissioni di mercurio. Si tratta di una questione ambientale transfrontaliera che giustifica un’azione congiunta e coordinata. Per questo motivo abbiamo deciso di votare a favore della relazione in esame.

Tuttavia abbiamo le nostre opinioni su alcuni punti della proposta del Parlamento europeo. Riteniamo, ad esempio, che gli Stati membri siano pienamente capaci di organizzare autonomamente campagne informative sui rischi per la salute derivanti dall’esposizione al mercurio. Inoltre, pensiamo che sia principalmente compito degli Stati membri, piuttosto che dell’UE, affrontare le conseguenze sociali della chiusura delle miniere di mercurio.

 
  
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  Françoise Grossetête (PPE-DE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore di questo testo.

Dobbiamo avere una strategia comunitaria decisa sul mercurio. Fatta questa premessa, essere decisi significa essere realisti.

Il mertiolato, che contiene mercurio, è utilizzato come conservante in alcuni medicinali, tra cui anche i vaccini. Esiste circa un milione di dosi di vaccini per i quali il mertiolato rientra nel processo produttivo a fini di decontaminazione. Ciò rappresenta lo 0,0000003 per cento del mercurio utilizzato ogni anno in Europa.

Inoltre, considerato l’impatto estremamente positivo della vaccinazione sulla salute pubblica, anche per i paesi in via di sviluppo, l’imposizione immediata di un divieto di questo prodotto nei vaccini sarebbe ingiustificata.

E’ auspicabile, invece, incoraggiare la ricerca di metodi alternativi per ridurre o eliminare in futuro l’uso del mertiolato.

Vorrei inoltre rammentare che, conformemente alla normativa farmaceutica, i produttori devono dimostrare che i loro prodotti non danneggiano l’ambiente.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Accolgo con favore questa relazione sulla strategia comunitaria proposta per affrontare l’impatto del mercurio sull’ambiente e sugli esseri umani. Il mercurio è una sostanza altamente tossica ed è fondamentale ricorrere a prove scientifiche per stabilire quando può essere utilizzato in modo sicuro e quando deve essere vietato. Esorto la Commissione a presentare con urgenza i risultati della sua indagine.

 
  
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  Linda McAvan (PSE), per iscritto. (EN) Gli eurodeputati laburisti sono favorevoli alla strategia proposta dalla Commissione per controllare il mercurio. Il mercurio è una sostanza altamente tossica che deve essere soggetta a controlli severi. Tuttavia, riteniamo che si debbano introdurre divieti o restrizioni solo dopo essersi consultati con le parti interessate e dopo avere effettuato un’approfondita valutazione d’impatto delle conseguenze, lasciando al settore il tempo sufficiente per adeguarsi ai cambiamenti.

 
  
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  Claude Moraes (PSE), per iscritto. (EN) Ho votato in questo modo sulla relazione Matsakis relativa alla strategia proposta dalla Commissione per affrontare il problema del mercurio emesso nell’ambiente perché la Commissione ha individuato i settori che intende analizzare ulteriormente prima di raccomandare normative o azioni comunitarie. Personalmente ritengo che il mercurio sia una sostanza altamente tossica e appoggio la strategia della Commissione e la valutazione d’impatto.

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. (FR) Con l’approvazione questo martedì della relazione del collega Marios Matsakis sulla strategia comunitaria sul mercurio, il Parlamento europeo lancia un segnale forte alla comunità internazionale: le sostanze chimiche più tossiche devono essere rigorosamente regolamentate e l’Europa a 25 dà l’esempio vietandone rapidamente l’esportazione.

E’ questo il trattamento che in futuro sarà riservato al mercurio, un metallo pesante tossico per gli esseri umani e gli ecosistemi di cui l’Europa è il principale esportatore al mondo.

In particolare, sono lieta che sia stato adottato il paragrafo 17 che propone di limitare entro la fine del 2007 l’uso del mercurio negli amalgami dentali. Il Parlamento conferma in questo modo il voto del 25 gennaio 2005 sulla mia relazione concernente il piano d’azione europeo per l’ambiente e la salute che, al punto 6, proponeva l’uso di alternative più sicure rispetto al mercurio impiegato negli amalgami dentali. E’ stato il buon senso a prevalere. L’esposizione umana deve essere limitata al minimo. Per questo motivo è fondamentale che l’Unione europea trovi rapidamente una soluzione per il trattamento delle 12 000 tonnellate di rifiuti di mercurio che verranno prodotti nei prossimi quindici anni dall’industria del cloro e della soda.

 
  
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  Karin Scheele (PSE), per iscritto. (DE) Il mercurio e i suoi composti sono altamente tossici per gli esseri umani, gli ecosistemi e gli animali. Il mercurio è stato classificato come sostanza chimica molto pericolosa ai sensi della direttiva quadro sulle acque, e ritarda i processi microbiologici nel suolo.

Il mercurio è una sostanza persistente e nell’ambiente si può trasformare in una sostanza denominata metilmercurio che ha ripercussioni estremamente negative sulla salute umana.

Gli amalgami dentali, che vengono liberati durante interventi dentistici e cremazioni, sono una fonte importante di emissioni di mercurio.

E’ pertanto necessario che i rifiuti degli amalgami dentali vengono smaltiti in modo opportuno.

L’uso del mercurio negli amalgami dentali è una questione scottante. Dobbiamo appoggiare l’idea di verificare tutti i potenziali pericoli derivanti dall’uso del mercurio negli amalgami dentali. In base ai risultati delle analisi dovranno essere intraprese le azioni necessarie.

 
  
  

– Relazione Paasilinna (A6-0036/2006)

 
  
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  Nina Škottová (PPE-DE).(CS) Signor Presidente, onorevoli colleghi, permettetemi di esprimere qualche osservazione a guisa di dichiarazione di voto per spiegare perché ho votato contro la relazione dell’onorevole Paasilinna su un modello europeo di società dell’informazione per la crescita e l’occupazione. L’obiettivo del progetto 2010 include l’innovazione e gli investimenti nella ricerca. Sono rimasta sorpresa scoprendo che la relazione non affronta la questione della ricerca in modo più dettagliato, senza prestare l’attenzione che tale questione merita. La ricerca è citata solo relativamente al sostegno per la ricerca nelle singole tecnologie.

D’altro canto, comunque, la ricerca, in ogni ambito delle attività umane, suscita l’esigenza di tecnologie dell’informazione e della comunicazione. E’ esattamente questo aspetto di feedback che secondo me manca nella relazione, sebbene possa essere uno dei motori della crescita economica e della creazione di posti di lavoro nel quadro della strategia di Lisbona. Il rapido riferimento al settimo programma quadro non è proporzionato all’importanza del programma per la crescita e l’occupazione. Le competenze professionali nelle tecnologie digitali sono ormai considerate fondamentali e dobbiamo svilupparle nel quadro dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI).(DE) Signor Presidente, eccoci qui a cercare nuovi modi per rendere tutto più digitale. L’idea è che le biblioteche digitali e le cartine stradali, i passaporti biometrici e il governo elettronico faranno miracoli. Il fatto che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione rappresentino il 40 per cento della crescita economica è impressionante.

Tuttavia, di fronte a questa euforia per le nuove tecnologie non possiamo dimenticare la realtà. Anche se ci sono incoraggianti segnali di crescita nel settore digitale, saranno più i posti di lavoro eliminati che quelli creati. Infatti il settore dell’alta tecnologia è particolarmente mobile, si sposta negli Stati membri orientali e poi, a tempo debito, in paesi come l’India e la Cina.

Ancora una volta i sogni dell’UE di una macchina per la creazione di posti di lavoro non si realizzeranno, ma è positivo constatare che le piccole e medie imprese tendono sempre più a migliorare le loro attrezzature, con l’obiettivo di diventare più produttive e competitive e di aprire nuovi mercati. Sono proprio queste piccole e medie imprese quelle a cui dovremo dare un maggiore aiuto.

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore di questa relazione su un modello europeo di società dell’informazione per la crescita e l’occupazione perché ritengo che l’accesso alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione sia una condizione necessaria allo sviluppo economico e al progresso sociale. L’uso di queste tecnologie concerne quasi tutti i settori tecnici, amministrativi, commerciali, culturali, sociali, sanitari, e così via. E’ indispensabile che tutti i cittadini dell’Unione europea godano di pari opportunità in termini di accesso a queste tecnologie, e ciò a un costo che corrisponda al normale prezzo di mercato. Accolgo con favore l’idea di colmare il divario digitale ed è opportuno ricordare che l’Unione europea ha perso un’occasione non applicando una politica coerente per quanto riguarda le licenze per la telefonia mobile di terza generazione, cioè l’UMTS (Universal Mobile Telecommunications System), che sono state messe all’asta dagli Stati membri a condizioni deplorevoli rispetto alle possibilità offerte da queste tecnologie in termini di coerenza politica. Non dovremo ripetere questo errore. Sostengo senza riserve la necessità di investire a favore della ricerca e dell’innovazione in queste tecnologie che sono importanti catalizzatori della competitività, della crescita e dell’occupazione.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Siamo delusi perché gli emendamenti presentati dal nostro gruppo, il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea, non sono stati approvati. I nostri emendamenti miravano a garantire il libero accesso alla tecnologia e alla conoscenza, la libera circolazione e lo scambio delle conoscenze, e a rafforzare il ruolo della proprietà intellettuale in relazione alla libera circolazione e alla diffusione del sapere. Altrimenti, si rischia che la società basata sulla conoscenza sia limitata a una élite.

La relazione appoggia la costante politica di liberalizzazione e l’uso delle comunicazioni al fine di trasmettere “le idee e i valori europei”, in altre parole vuole trasformare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) nell’ennesimo strumento di propaganda dell’UE.

Sebbene la relazione si riferisca al ruolo delle TIC nella promozione della coesione sociale e territoriale e avverta che la nuova tecnologia può contribuire ad acuire l’esclusione sociale, non sviluppa questa argomentazione e non presenta nessuna proposta per prevenire questa evoluzione.

Ci siamo astenuti a causa delle contraddizioni contenute nella relazione.

 
  
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  Marian Harkin (ALDE), per iscritto. – (EN) Appoggio in gran parte la relazione Paasilinna e riconosco pienamente il contributo significativo che le TIC possono dare alla realizzazione degli obiettivi di Lisbona. Tuttavia, sono contraria alla creazione di un’imposta sulle imprese consolidata e comune poiché ritengo che si debba applicare il principio di sussidiarietà e che le decisioni in materia fiscale debbano essere prese a livello nazionale.

 
  
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  Sérgio Marques (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Desidero congratularmi con l’onorevole Paasilinna per la sua relazione importante e tempestiva su una società europea dell’informazione per la crescita e l’occupazione, che gode del mio appoggio totale. In particolare, accolgo con favore la rapida adozione del settimo programma quadro di ricerca e del programma per la competitività e l’innovazione (2007-2013), che mirano entrambi a fornire le adeguate risorse finanziarie a favore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) in quanto forze motrici di competitività, crescita e occupazione.

Questi due programmi aiuteranno a sviluppare lo spirito imprenditoriale e una cultura dell’imprenditorialità nell’UE, che sono fondamentali per lo sviluppo regionale, poiché pongono fine “all’isolamento digitale” e appoggiano le PMI nello sviluppo di progetti innovativi.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore questa relazione che è stata presentata nel giugno 2005 per favorire la crescita e l’occupazione nei settori della società dell’informazione e dei mezzi d’informazione.

La relazione contiene tre obiettivi prioritari. Innanzi tutto la promozione di uno spazio dell’informazione senza frontiere, in secondo luogo l’innovazione tramite gli investimenti e la ricerca e in terzo luogo l’accesso alle TIC per tutti in ogni punto dell’UE.

Nonostante le preoccupazioni di un’ulteriore regolamentazione, sono incoraggiato dal fatto che i2010 comporterà vantaggi per tutti i cittadini aiutando a colmare il divario digitale e a ridurre gli squilibri sociali e regionali.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) La relazione contiene due idee fondamentali che mi hanno indotto a votare a favore, pur avendo qualche obiezione da muovere riguardo ad altri aspetti affrontati nel testo.

Da un lato, ritengo che sia estremamente importante rendersi conto del fatto che, per quanto riguarda le nuove tecnologie, quasi tutto quanto si dice è ormai superato. Non sappiamo come sarà il futuro, sappiamo solo che si evolverà rapidamente e sarà nuovo. Di conseguenza, l’obiettivo di questo regolamento dovrebbe essere, da un lato, l’apertura dei mercati alla concorrenza e, dall’altro, l’incentivazione degli investimenti nell’innovazione. L’economia europea sarà competitiva solo se sarà trainata dall’innovazione e solo se diventerà un’economia del prossimo futuro e non del presente.

Fatta questa premessa, condivido la preoccupazione nutrita in merito alle questioni della privacy e della sicurezza informatica. La società che si sta creando rischia di diventare una società sotto controllo costante e ciò sarà una grande tragedia moderna in termini di libertà pubbliche.

Infine, riconosciamo che l’innovazione, in particolare le nuove tecnologie, ha reso possibile la rivoluzione democratica nelle società moderne, e questo fatto deve essere accolto con favore, mantenuto e incoraggiato.

 
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