Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0025/2006), presentata dall’onorevole Brok, a nome della commissione per gli affari esteri, sul documento 2005 di strategia per l’allargamento della Commissione (2005/2206(INI)).
Elmar Brok (PPE-DE) , relatore. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, signora Presidente in carica del Consiglio, fino a oggi l’allargamento dell’Unione europea è stato l’aspetto più ricco di risultati della politica estera comunitaria, in quanto ha rappresentato un modo per ampliare l’area di stabilità e pace in Europa, nonché per far progredire la causa della pace, della libertà, dei diritti umani e dello Stato di diritto. Si tratta di un punto importante, che non dobbiamo perdere di vista né ora né in futuro.
Tuttavia, dobbiamo anche prendere atto che la stabilità è un obiettivo realizzabile soltanto se l’Unione europea è sufficientemente forte da sviluppare la capacità di far fronte a tali compiti; per tale motivo, ad esempio, la Costituzione ha rappresentato un tentativo retroattivo di rendere effettivamente fattibile l’aggiunta di dieci nuovi Stati membri in termini sia di Istituzioni sia di obiettivi coinvolti, e la ragione delle nostre attuali difficoltà risiede nella fase di stallo in cui versa il processo di ratifica.
Occorre inoltre rendersi conto del fatto che la capacità dell’Unione di accogliere nuovi membri è uno degli aspetti essenziali dei criteri di Copenaghen, benché vi siano ragioni fondate alla base del carattere puramente dichiarativo di tale capacità. Quando raggiungeremo l’interfaccia che emergerà dopo l’adesione di Bulgaria e Romania, tale concetto dovrà comunque essere rimesso in discussione e ridefinito. Per tale ragione chiediamo alla Commissione di chiarire entro la fine dell’anno che cosa si intende con capacità di assorbimento dell’Unione europea in tale contesto, e ciò ci consentirà di sfruttare tale strumento. Ciò che la rende straordinariamente importante è il fatto che si tratta di una questione non soltanto costituzionale, bensì che riguarda altre problematiche correlate alla capacità finanziaria dell’Unione europea e ad altri aspetti.
Ritengo inoltre che occorra chiarire in quale misura l’Unione europea sia in grado di accogliere nuovi membri in modo tale che ciò possa influire in ultima analisi sulla decisione “sì o no?”. La possibilità di un ingresso nell’UE deve essere prospettata non solo ai paesi che hanno già avviato i negoziati di adesione, che sono candidati o ai quali è stata promessa una candidatura dopo Salonicco – una promessa, ci tengo a sottolinearlo per fugare dubbi precedenti e per chiarire la questione, che non può essere ritirata – bensì deve costituire anche un incentivo per le riforme interne estremamente necessarie in paesi quali l’Ucraina, in Stati europei attualmente sottoposti a un regime dittatoriale e che hanno bisogno di una tale prospettiva se devono continuare a rivolgere lo sguardo verso l’Occidente.
A tal fine, la politica di vicinato da sola non è sufficiente. In alcuni casi, i paesi stessi o l’Unione europea hanno difficoltà a coniugare tale politica con la prospettiva dell’adesione a pieno titolo, in quanto in molti casi sono necessari non meno di quindici anni per realizzare tale obiettivo. Se tale progetto vuole essere credibile, occorre una via di mezzo tra le due, che consenta a tali paesi di avere la prospettiva della piena adesione senza essere sottoposti a pressioni poco realistiche di poterla conseguire immediatamente.
Tale possibilità dovrebbe essere aperta a tutti gli Stati che attualmente non fanno parte dell’Unione europea. Vorrei sottolineare ancora una volta che questa potrebbe essere la fase finale per paesi quali la Norvegia – che fa anche parte della Convenzione di Schengen – che dovessero prendere tale decisione sulla base della loro partecipazione allo Spazio economico europeo. Se mi si consente di utilizzare il termine di “Spazio economico europeo plus”, ritengo che si possa fare molta strada con un progetto multilaterale di questo tipo nel campo del mercato interno, della politica interna e di sicurezza, della politica ambientale e di molti altri ambiti.
Potrebbe tuttavia rappresentare anche una fase intermedia. Se gli Stati che oggi, dopo Salonicco, intravedono la prospettiva di un’adesione – quali ad esempio i paesi dei Balcani occidentali, con prospettive di sviluppo tra loro diverse – dovessero decidere di utilizzarla quale passo intermedio prima dell’adesione a pieno titolo, ciò che è stato loro promesso a Salonicco continuerebbe comunque a essere sensato. E’ su tale base che possiamo raggiungere un nuovo livello di flessibilità, rendendo credibile tale prospettiva, perché le cose possono succedere all’improvviso senza che siano necessari quindici anni di negoziati, per poi dover esprimere un “sì” o un “no”.
Mi rendo conto che in alcuni paesi l’allargamento implica una consultazione popolare e pertanto non possiamo sapere se avrà luogo la ratifica. Ciò significa che vogliamo tentare di non adottare semplicemente una strategia del “tutto o niente”, bensì di creare un modo per offrire a tali paesi prospettive credibili, salvando e promuovendo nel contempo il progetto politico rappresentato dall’Unione europea.
(Applausi)
Ursula Plassnik, Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, desidero ringraziare la vostra Assemblea e il presidente della commissione per gli affari esteri per l’esaustiva relazione sul documento 2005 di strategia della Commissione. Il tema in questione è oggetto di dibattiti costanti in seno al Consiglio, non da ultimo in riferimento alle decisioni pratiche che dobbiamo prendere. In linea con quanto riferito, nella riunione “Gymnich” abbiamo dato vita a un dibattito approfondito e di qualità sull’argomento, che non si è ancora esaurito. Ritengo che sia un punto decisamente essenziale, in quanto astenersi da un dibattito suscita sospetti nell’opinione pubblica, e noi dobbiamo adoperarci al fine di rafforzare la familiarità del pubblico europeo col progetto europeo nel suo complesso, e allo scopo di creare più fiducia e chiarezza. Si tratta di una delle questioni che più mi stanno a cuore nella mia qualità di Presidente in carica, ed è per tale ragione che accolgo con favore il dibattito attualmente in corso.
L’esigenza di assicurarci il sostegno pubblico a favore del processo di allargamento ci obbliga a migliorare il flusso di informazioni e la nostra attività di pubbliche relazioni, e contemporaneamente a spiegare meglio le singole fasi. Dobbiamo semplicemente dire con chiarezza che saremo precisi e cauti e che, pur non agendo precipitosamente, non faremo nemmeno in modo di frenare arbitrariamente il processo. Si tratta di una considerazione essenziale per me.
Non voglia il Cielo che, introducendo tale concetto di “capacità di assimilazione”, imponiamo un ostacolo aggiuntivo e arbitrario; al contrario, si tratta di prendere personalmente consapevolezza e di sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti di certe verità fondamentali cruciali ed evidenti. Ogni passo del processo di allargamento, ogni nuova adesione richiede due partecipanti, uno dei quali è l’Unione europea, e l’altro il paese che ne vuole entrare a far parte.
Vogliamo prepararci alle prossime adesioni con il maggior impegno possibile. Anche in tal senso Salisburgo ha rappresentato a mio parere un traguardo importante, perché era essenziale rivolgere lo sguardo ai tre anni passati e alle misure concrete future: tale occasione ci ha consentito di chiarire meglio la nostra attuale posizione e la nostra effettiva preparazione, a livello interno o estero. Possiamo inoltre contare sulla consapevolezza che ci deriva dalla competenza da noi acquisita in occasione dell’ultimo allargamento, e dobbiamo essere risoluti nell’applicare anche nei confronti del partenariato la nostra conoscenza della trasformazione.
Come già ribadito nel dibattito precedente, anche la responsabilità locale mette in luce gli standard europei che, seppur equi, devono essere rispettati rigorosamente, come indubbiamente chiarito nella relazione della Commissione del novembre 2005.
In questa discussione dovremmo tuttavia anche essere onesti sulle aspettative che i cittadini nutrono nei confronti dell’Unione europea, soprattutto sulle attese di coloro che nell’Unione vivono. Meritiamo la chiarezza reciproca, e solo noi possiamo garantirla. Non dobbiamo firmare assegni senza avere il capitale per coprirli.
Chiedo inoltre un approccio meno omologato a ogni singolo paese: dobbiamo infatti adottare un atteggiamento onesto nei confronti di ciascuna di tali nazioni, e ciò deve essere una certezza. Nel dibattito in corso, la Presidenza presterà pertanto particolare attenzione ai contributi provenienti dalla vostra Assemblea.
Vorrei ora descrivervi in breve le decisioni effettive su cui stiamo lavorando. La prima riguarda la Romania e la Bulgaria: a tale proposito le relazioni sono incoraggianti e abbiamo già un obiettivo di adesione fissato per il 1° gennaio 2007, seppure con la possibilità che venga rinviato di un anno. Sono stati avviati i negoziati di adesione di Turchia e Croazia; il segnale di inizio è stato lanciato ufficialmente il 3 ottobre dello scorso anno. Siamo attualmente impegnati nel processo di analisi dell’acquis comunitario. Noi, la Presidenza, abbiamo scritto a Croazia e Turchia invitandole a definire la loro posizione negoziale sul primo capitolo, “Ricerca e sviluppo”.
Condividiamo il parere della vostra Assemblea che occorra un progresso continuo nell’adempimento di tutti i criteri politici ed economici e nella realizzazione dei diritti fondamentali, dello Stato di diritto e della democrazia. Per quanto riguarda la Turchia, la Presidenza ha accolto con favore la risoluzione del caso Orhan Pamuk e, in occasione della riunione della troika tenutasi recentemente a Vienna, ha dichiarato apertamente di attendersi che i processi tuttora in corso ai sensi dell’articolo 301 del codice penale turco vengano gestiti in maniera analoga oppure che la legge venga addirittura modificata.
Anche noi stiamo seguendo con attenzione l’attuazione del protocollo di Ankara, e faremo in modo che quest’anno gli organi competenti provvedano a rivederlo, in conformità alla dichiarazione del Consiglio del 21 settembre 2005.
Reputiamo altrettanto importante l’avvio del partenariato di adesione con la Croazia, e abbiamo espresso il nostro plauso nei confronti dell’iniziativa del Primo Ministro croato di garantire una cooperazione incondizionata con il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia e il proseguimento della medesima. Condividiamo l’opinione della vostra Assemblea secondo cui la Croazia sta contribuendo maggiormente alla cooperazione regionale, ma sono necessari ulteriori sforzi.
Sul tema dei Balcani occidentali ho detto tutto quello che c’era da dire. Anche la strategia del Consiglio volta a ottenere la piena collaborazione di Serbia e Montenegro con il Tribunale internazionale per i crimini di guerra è chiara, e abbiamo trasmesso un segnale molto chiaro in tal senso nella nostra ultima riunione. Appoggiamo il lavoro dell’inviato speciale dell’ONU per il Kosovo, Martti Ahtisaari, e riteniamo che l’Unione europea, grazie all’intervento del proprio delegato speciale Javier Solana, sia in grado di fornire un contributo, in maniera straordinariamente positiva e diplomatica, per raggiungere un accordo sulle condizioni per il referendum del 21 maggio.
(Applausi)
Olli Rehn , Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, visto che è ancora presente, vorrei congratularmi con l’onorevole Brok per questa importante relazione. Come ha giustamente rilevato, l’allargamento rappresenta effettivamente uno degli strumenti politici più potenti a disposizione dell’UE per perseguire la pace e la prosperità, la libertà e la democrazia. L’allargamento a est del 2004 ha sigillato la riunificazione pacifica tra l’Europa occidentale e orientale. La nostra energia è ora rivolta all’unificazione pacifica dell’Europa sudorientale. Il nostro processo di adesione graduale e gestito con prudenza si basa su tre principi chiave.
In primo luogo, abbiamo consolidato la nostra agenda per l’allargamento. Significa che dobbiamo essere prudenti prima di assumere nuovi impegni, ma allo stesso modo dobbiamo attenerci alle promesse prioritarie da noi formulate ai paesi candidati o ai potenziali candidati le cui procedure sono già in corso. La nostra agenda consolidata per l’allargamento riguarda precipuamente l’Europa sudorientale: Bulgaria e Romania, Turchia e Croazia, e gli altri paesi dei Balcani occidentali.
In secondo luogo, applichiamo una condizionalità rigorosa. Se affiancata da una prospettiva di adesione credibile, la condizionalità funziona. Ha contribuito a trasformare i paesi dell’Europa centrale in moderne democrazie. Più di recente, ha ispirato riforme coraggiose e radicali in Turchia, e in modo crescente anche nei Balcani occidentali. Ciò è dimostrato anche da alcuni importanti eventi recenti: il generale Ante Gotovina è infatti dietro le sbarre a L’Aia mentre lo scrittore Orhan Pamuk è libero di esprimere le proprie opinioni.
La politica di allargamento e la politica di vicinato si completano a vicenda. Inoltre, la Commissione è disposta ad approfondire e a migliorare qualitativamente la cooperazione con i nostri partner confinanti una volta che saranno state adeguatamente affrontate le priorità principali dei piani d’azione attuali.
Nel contempo, dovremmo evitare le trappole insite in un dibattito eccessivamente astratto sui confini definitivi dell’Europa. Poiché ora disponiamo di un’agenda consolidata per l’allargamento, una discussione teorica – ad esempio se l’Ucraina debba o meno aderire all’Unione europea – non gioverebbe né a noi né agli ucraini, ora che sono in gioco l’orientamento futuro e lo sviluppo democratico del paese.
Il ritmo dell’allargamento deve indubbiamente tener conto della capacità di assimilazione dell’UE. La Commissione ha sempre sostenuto tale posizione. L’allargamento consiste nella condivisione di un progetto sulla base di principi, politiche e istituzioni comuni. L’Unione deve garantire di poter mantenere la propria capacità di azione e decisione in base a un equilibrio ragionevole all’interno delle proprie Istituzioni, rispettando i limiti di bilancio e attuando politiche comuni che funzionino bene e realizzino i fini per i quali sono state concepite.
Per più di tre decenni l’UE ha assorbito con ottimi risultati un insieme molto eterogeneo di paesi, come possiamo ad esempio constatare osservando la composizione di quest’Assemblea, in particolar modo il Presidente che vigila su questo dibattito e il Commissario competente. Sviluppando le proprie politiche e Istituzioni, l’Unione ha reagito efficacemente alle nuove circostanze, quali la caduta delle dittature, il collasso del comunismo e l’emergere della globalizzazione economica. L’allargamento si è dimostrato un ottimo ammortizzatore per l’Europa.
In terzo luogo, occorre migliorare la comunicazione. La relazione chiede giustamente una strategia per la comunicazione, e di fatto un ampio sostegno pubblico è essenziale per tutto ciò che fa l’Unione, compreso l’allargamento. Mi affido al sostegno politico e finanziario del Parlamento per lo svolgimento di un dibattito informato sull’allargamento.
Per concludere, il consolidamento si è rivelato necessario per evitare di mettere a dura prova i nostri impegni di allargamento. Non dobbiamo tuttavia dimenticare il nostro interesse strategico: sarebbe immensamente irresponsabile scompaginare un processo prezioso che sta contribuendo alla creazione di partner solidi ed efficaci nelle aree più instabili d’Europa. Se dovessimo vacillare sulla prospettiva europea dei Balcani occidentali, intaccheremmo seriamente la nostra presenza benefica, la nostra influenza politica e il nostro impatto, proprio nel momento in cui la regione inaugura un periodo difficile di trattative sullo status del Kosovo.
La prospettiva comunitaria è la chiave di una soluzione sostenibile per il Kosovo e di uno sviluppo democratico in Serbia e nel resto della regione. Sono le basi su cui poggia un futuro pacifico e riformista della regione. Pertanto, per il bene dell’Europa, non scuotiamo tali fondamenta, e assicuriamoci che l’edificio ancora fragile dei Balcani non si sgretoli ai nostri piedi, nel nostro stesso cortile di casa!
(Applausi)
Giorgos Dimitrakopoulos , a nome del gruppo PPE-DE. – (EL) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, vorrei iniziare ringraziando il relatore e presidente della commissione per gli affari esteri, onorevole Brok, per la sua importante relazione e, nel contempo, desidero congratularmi con lei, signora Presidente in carica del Consiglio, per l’interesse e la risolutezza di cui sta dando prova, in qualità sia di ministro austriaco per gli Affari esteri sia di Presidente in carica del Consiglio, per quanto riguarda la questione dei Balcani. Mi congratulo anche con il Commissario per la comunicazione completa ed esauriente della Commissione che ha sottoposto alla nostra attenzione.
Vorrei soffermarmi molto brevemente sui seguenti punti.
In primo luogo, è giusta l’idea centrale su cui si fonda la relazione Brok, vale a dire l’importanza delle prospettive europee di numerosi paesi, la maggior parte dei quali si trova nei Balcani. Nel contempo, i paragrafi 5, 9 e 10 della relazione, se considerati nel loro complesso, forniscono il punto di riferimento sulla base del quale l’Unione europea prende ora in considerazione i futuri allargamenti.
Per quanto riguarda la Turchia, desidero esprimere il mio sostegno alla prospettiva europea di questo paese, tuttavia ritengo, come è stato giustamente osservato, che dobbiamo concentrarci in primo luogo sulla questione del Protocollo di Ankara. Solo il Protocollo – ripeto, solo il Protocollo – deve essere ratificato, non la dichiarazione unilaterale e, ovviamente, la questione dell’aggiornamento del quadro giuridico entro il quale opera il paese.
Per quel che concerne il Kosovo, concordo sul fatto che durante i negoziati occorra prestare attenzione allo status finale, ma è anche necessario prepararci a come applicare la decisione assunta in merito allo status definitivo del paese.
Per quanto riguarda la ex Repubblica jugoslava di Macedonia, attualmente gode dello status di paese candidato, e fin qui nessuna obiezione, ma proprio questa sua condizione implica diritti e doveri, uno dei quali consiste nel dare prova di un atteggiamento costruttivo nel dialogo con la Grecia, in modo da risolvere l’ultima questione ancora in sospeso, quella del nome.
Infine, in merito alla Serbia, convengo sulla necessità e sul fatto che la cooperazione della Serbia con il Tribunale dell’Aia rappresenti un obbligo, ma ciò fa parte di una serie di criteri che la Serbia deve soddisfare, e vorrei che facessimo attenzione a non “croatizzare” il caso della Serbia. Anche lei ha un’opinione personale in proposito, signora Ministro.
Jan Marinus Wiersma , a nome del gruppo PSE. – (NL) Signor Presidente, nel proprio documento la Commissione non usa mezzi termini: benché non preveda nuove tornate di allargamento con l’adesione contemporanea di un ampio numero di paesi, nel contempo sostiene – e a ragione, secondo me – che l’Unione europea è e sarà un’organizzazione che rimane aperta ad accogliere nuovi membri, seppure a determinate condizioni. Benché l’adesione dei dieci nuovi membri nel 2004 sia stata coronata dal successo, non tutti i cittadini concordano su ciò. Occorre pertanto uno sforzo ulteriore per pubblicizzare tale processo andato a buon fine.
A nome del gruppo, posso dire che sosteniamo a grandi linee la relazione Brok, che ringrazio per gli interessanti lavori preparatori in cui siamo stati coinvolti negli ultimi mesi. I socialdemocratici sono decisamente a favore dell’attenzione ulteriore che viene devoluta al criterio della capacità di assorbimento. Lo stallo in cui versa la ratifica della Costituzione svolge un ruolo importante in tal senso. In assenza di riforme interne, sarà difficile guidare efficacemente l’adesione di nuovi Stati membri.
Come espresso in occasione di precedenti risoluzioni, siamo del parere che il Trattato di Nizza non costituisca una base per prendere nuove decisioni sull’adesione. Occorre tuttavia maggiore chiarezza sul concetto di capacità di assorbimento come è stato espresso nei criteri di Copenaghen, e la relazione rivolge opportunamente l’attenzione anche a questo aspetto.
Vorrei cogliere l’occasione per illustrare il punto di vista dei socialdemocratici circa la possibile adesione di vari paesi. Per quanto riguarda i nostri vicini orientali Ucraina e Moldova, ritengo che non sia il momento adatto di discutere la loro adesione. Dovremmo invece investire nella cooperazione concreta. Abbiamo siglato piani d’azione con tali paesi, e dovremmo tentare di portarli efficacemente a termine.
Relativamente ai Balcani, appoggiamo la posizione del Consiglio. In linea di principio, i paesi dei Balcani occidentali hanno la prospettiva di un’adesione, anche se scaglionata. Per quanto riguarda la Turchia, noi personalmente proseguiremo lungo il percorso già scelto. Siamo in procinto di avviare un processo che durerà molti anni, ed è estremamente importante attenersi fermamente alle promesse, ma anche alle condizioni che abbiamo delineato a tale proposito.
Sempre per restare sul tema dei Balcani, vorrei aggiungere che mentre l’importanza vitale dei criteri di Copenaghen è per noi fuori discussione, il gruppo socialista al Parlamento europeo continua ad attribuire una notevole rilevanza alla cooperazione con il Tribunale per l’ex Jugoslavia come criterio di massima. Ritengo inoltre – e se ne è discusso molto – che la cooperazione regionale possa offrire un contributo degno di nota al riavvicinamento di tali paesi all’Unione.
Infine – e sto per menzionare il punto verosimilmente più importante della discussione – la relazione accenna alla possibilità di creare un nuovo quadro multilaterale per i paesi europei non ancora membri dell’Unione. Per alcuni paesi potrebbe rappresentare l’alternativa all’adesione, mentre per altri potrebbe essere una fase intermedia prima dell’ingresso. Per Ucraina e Moldova, ad esempio, una struttura del genere potrebbe rappresentare un passo successivo interessante, mentre per i paesi già riconosciuti quali potenziali membri porrei l’accento sul fatto che si tratta di un’opzione e non di un obbligo.
La questione è formulata chiaramente in questi termini anche nella relazione Brok. E’ una soluzione per cui tali paesi potrebbero optare se lo giudicassero utile. Non è un’alternativa alla prospettiva di adesione. Si applica alla Turchia così come ai paesi balcanici. Voglio sottolineare che questa è la nostra interpretazione del paragrafo 10 del progetto di risoluzione. E’ in questi termini, e non in altri, che noi della commissione per gli affari esteri abbiamo raggiunto un accordo con il relatore.
Cecilia Malmström , a nome del gruppo ALDE. – (SV) Signor Presidente, l’allargamento rappresenta il più grande coronamento della politica di cooperazione europea. L’unificazione di Oriente e Occidente nel maggio 2004 ha segnato la fine della divisione dell’Europa e ha mostrato il potere del sogno di un’Europa unita basata sulla democrazia, il libero commercio e il rispetto per lo Stato di diritto. L’adesione all’Unione è stato l’incentivo che ha aiutato le forze potenti della riforma nelle ex dittature comuniste. La prospettiva di un ingresso nell’Unione è anche immensamente importante per i negoziati e le riforme in Turchia e nei paesi balcanici. In tali regioni, l’UE dispone di riserve incredibili di ciò che viene definito il potere soft, che contribuisce a creare un’Europa più stabile e democratica. Noi del mio gruppo riteniamo che sia importante, come sancito dal Trattato, tenere aperta la porta dell’allargamento. Ovviamente i criteri vanno applicati, e la capacità dell’UE di accogliere nuovi paesi è una considerazione basilare. Tuttavia, occorrono cambiamenti a livello interno e l’avvio di un dibattito sull’allargamento che non miri a colpevolizzarlo.
Sono al corrente del fatto che in molti paesi è in corso un dibattito e serpeggiano timori a proposito del ritmo serrato dell’allargamento dell’Unione e degli sviluppi che potrebbero scaturirne. Tale dibattito va condotto in maniera rispettosa e diretta, ma dobbiamo anche avere il coraggio di difendere i vantaggi dell’allargamento e di richiamare l’attenzione su di essi. In tale contesto, il dibattito sul protezionismo economico è estremamente preoccupante. Abbiamo una responsabilità nei confronti dei paesi vicini. Le nostre promesse ai paesi balcanici e alla Turchia vanno mantenute. Sono loro a stabilire il ritmo, e noi dobbiamo fare il possibile per accelerare le cose. Dobbiamo inoltre tenere la porta aperta per accogliere altri paesi quali l’Ucraina e forse, un giorno, anche la Bielorussia, benché al momento la situazione del paese sia estremamente critica. La speranza di entrare nell’UE è la forza che tiene in vita l’opposizione e le forze della democrazia in tali nazioni.
Per tale motivo ci opponiamo alla definizione dei confini geografici dell’Europa. Il Parlamento ha conferito slancio all’allargamento e, un anno fa, eravamo nell’Aula di Bruxelles, con le nostre sciarpe arancione al collo, ad applaudire il Presidente Yushchenko. Abbiamo adottato una risoluzione in cui ci siamo soffermati sulle prospettive di adesione dell’Ucraina. E’ un obiettivo, e forse remoto. Come ha detto l’onorevole Brok, il popolo ucraino è sospeso tra la democrazia e la dittatura. Se fissassimo i confini dell’Europa, dal punto di vista di quel popolo sarebbe come vedersi sbattere la porta in faccia. Sarebbe un errore di portata storica.
Invece di introdurre nuovi concetti quali gli accordi multilaterali, dovremmo – come ha osservato anche il Commissario Rehn – cogliere l’opportunità di personalizzare la strategia di vicinato a seconda dei potenziali Stati membri e di dotarla di una forma concreta. Presentare nuovi concetti che non abbiamo discusso a dovere e dei quali ignoriamo le implicazioni non sembra una mossa molto produttiva al momento.
(Applausi da vari banchi)
Joost Lagendijk , a nome del gruppo Verts/ALE. – (NL) Signor Presidente, in seno alla commissione per gli affari esteri il mio gruppo ha votato a favore della relazione Brok per due ragioni. Riteniamo che sia necessario definire più puntualmente il concetto di capacità di assorbimento. Si tratta di un concetto che va di moda ed è molto versatile, a cui è possibile associare tutto ciò che si vuole, e ciò significa che occorre trovare una risposta alla questione dei confini geografici, in quanto non la possiamo più eludere.
Condividiamo il parere secondo cui l’Unione si debba impegnare a riflettere su uno stadio intermedio tra adesione a pieno titolo e vicinato, nell’interesse di quei paesi che non dispongono ancora di una prospettiva di adesione. Non mi riferisco quindi alla Turchia o ai Balcani occidentali, bensì all’Ucraina, alla Moldova o alla Bielorussia. Devo ammettere che il mio gruppo e io siamo rimasti profondamente delusi, e francamente anche molto contrariati, nel vedere che nei giorni immediatamente precedenti l’odierno dibattito i mass media hanno travisato le parole della relazione in modo controproducente per molti punti centrali.
Se si leggono le notizie diffuse poco prima del presente dibattito, la conclusione che se ne ricava è la necessità di creare uno stadio intermedio per paesi quali la Turchia e i Balcani occidentali. Siamo onesti: non è una coincidenza che ciò corrisponda guarda caso all’opinione del relatore, che non ha mai avuto alcuna intenzione di dissimularla. L’onorevole Brok è sempre stato contrario all’apertura dei negoziati con la Turchia e, dopo la bocciatura della Costituzione, è divenuto via via più scettico nei confronti della prospettiva di adesione dei Balcani occidentali. Il relatore ha tutti i diritti di avere tale opinione, che però non coincide con quella della maggioranza della commissione per gli affari esteri. Per di più, non corrisponde nemmeno al contenuto della sua relazione.
Al relatore converrebbe esprimere con chiarezza il contenuto della relazione al di fuori di quest’Aula senza confonderlo con le sue opinioni personali. Nella relazione il Parlamento ribadisce di non voler interferire con la prospettiva di adesione della Turchia e dei Balcani occidentali e afferma che i passi intermedi costituirebbero un’opzione per tali paesi solamente se decidessero a favore di tale soluzione. Tutti sanno benissimo, me compreso, che i paesi dei Balcani occidentali e la Turchia non vogliono percorrere tale via; vogliono la piena adesione. Smettiamola di creare ambiguità in quest’Assemblea ma, soprattutto, al di fuori di quest’Aula.
Erik Meijer , a nome del gruppo GUE/NGL. – (NL) Signor Presidente, fino a poco tempo fa un allargamento rapido e di ampia portata veniva considerato un enorme passo avanti, e una mossa meritevole di sostegno universale. Veniva visto alla stregua della riunificazione d’Europa e della vittoria dell’Occidente nella guerra fredda. Dopo l’allargamento su vasta scala del 2004, il clima è mutato radicalmente. L’opinione pubblica nei vecchi Stati membri non percepisce tale allargamento come un processo riuscito, soprattutto in seguito al crescente sfruttamento delle disparità che sussistono tra i paesi con retribuzioni elevate e quelli con bassi livelli salariali.
Anche i politici stanno prendendo le distanze. Tale mutamento si percepisce nella relazione sulla strategia per l’allargamento, oggetto del dibattito odierno. Si richiama l’attenzione sulla capacità di assorbimento dell’UE, sui suoi confini esterni, sui costi che l’allargamento comporta e sui problemi amministrativi riconducibili all’assenza di una Costituzione europea. Di conseguenza, Romania e Bulgaria saranno presumibilmente gli ultimi paesi a cui sarà concesso di aderire nel breve termine. Gli altri Stati europei dovranno accontentarsi della politica di vicinato. Persino per i paesi che sono già stati selezionati come candidati, non è stata stabilita alcuna data di adesione.
In tutti i Balcani occidentali, nei paesi riconosciuti come negli Stati federali o nei protettorati che lottano per l’indipendenza, dove vivono gruppi di persone che parlano lingue diverse e praticano confessioni religiose diverse e che, negli anni ’90, erano ai ferri corti, l’opinione pubblica si attende i miracoli di un rapido processo di adesione all’Unione europea. L’UE sfrutta tali aspettative per esigere riforme e, in tal modo, dà luogo a ingerenze profonde nelle scelte amministrative compiute in tali paesi.
Al momento l’UE non vuole l’allargamento, ma ambisce a esercitare un’influenza al di fuori dei propri confini. Per questo in Bosnia-Erzegovina vige ora un sistema fiscale che nessuno aveva richiesto, e l’autonomia regionale garantita nell’accordo di Dayton viene via via ridimensionata. Stando alle affissioni propagandistiche, è merito della presenza militare dell’Unione se questo paese sta per aderire all’Unione europea. L’opinione pubblica in Montenegro e Kosovo, aree in cui quattro anni fa, parallelamente ai 12 Stati membri, è stato introdotto l’euro quale valuta legale, dà per scontato che i propri paesi verranno ammessi a breve nell’Unione in qualità di Stati indipendenti, mentre la popolazione di lingua ungherese della Vojvodina si aspetta di essere tutelata dal predominio slavo.
Finora le azioni dell’UE hanno deluso tali popoli. Non abbiamo di meglio da offrire a questi paesi dei Balcani occidentali che non l’invito a formare un mercato comune nel territorio della ex Jugoslavia e ad adeguare il loro governo e la loro economia ai nostri desideri, senza poter entrare nell’Unione prima del 2020? Il mio gruppo non riesce a mostrare troppo entusiasmo per tale proposta.
Tuttavia, riconosciamo che tale testo ci consente di sottolineare che l’imminente referendum indetto in Montenegro dovrà essere preso sul serio, e che il conflitto sull’utilizzo del nome “Macedonia” andrebbe risolto celermente nell’ambito di un’efficace consultazione tra la Grecia e il paese confinante a nord. Un altro aspetto positivo è che in Kosovo dovrà essere individuata quanto prima una soluzione che concili le esigenze della vasta maggioranza albanese e delle minoranze serbe e rom.
Bastiaan Belder , a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, è difficile conciliare l’ipernazionalismo, noto anche col nome di sciovinismo, con l’adesione all’Unione europea, e ciò vale naturalmente anche per i paesi candidati. Purtroppo, uno di tali paesi candidati è estremamente sciovinista: mi riferisco alla Turchia, che è già oggetto di molte dispute.
Nello scenario attuale, ho due domande che vorrei rivolgere al Commissario Rehn. E’ vera l’informazione che mi è stata trasmessa ieri sera da un esperto secondo cui la posizione delle chiese cristiane in Turchia si è visibilmente deteriorata?
Alla luce di tale notizia, l’omicidio del sacerdote italiano Andrea Santoro, avvenuto il 5 febbraio nel porto di Trabzon, non è un caso isolato. Un tentato omicidio identico a questo è stato perpetrato di recente nella città di Mersin, e alle chiese vengono indirizzate telefonate minatorie o minacce dirette persino dalle pagine dei giornali. A tale proposito, secondo il vicario anglicano Ian Sherwood, attivo a Istanbul, l’élite turca considera intellettualmente inaccettabile, se non potenzialmente criminale, la diffusione della letteratura cristiana in turco. Signor Commissario, come si riconcilia tutto ciò con la libertà religiosa in Turchia? Per quanto ne so, non è stato compiuto alcun progresso relativamente a questo aspetto importante dei criteri politici di Copenaghen.
Ieri sera mi è capitato di appurare che Trabzon si trova nella cosiddetta valle dei lupi. “La valle dei lupi” è anche il titolo di un film di produzione turca che trasuda sciovinismo, nel vero senso del termine, e che è noto per essere radicalmente anticristiano, antisemita, antiamericano e anticurdo. E’ già un enorme successo di botteghino in Turchia, e ha suscitato il plauso entusiasta dell’entourage più stretto del Primo Ministro Erdogan e del Presidente del parlamento turco.
Vorrei chiedere al signor Commissario se con il Primo Ministro Erdogan e il Ministro Gul ha già affrontato il tema dello sciovinismo turco, che è totalmente incompatibile con i valori europei.
Konrad Szymański , a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, è molto importante che la relazione prodotta dall’onorevole Elmar Brok ci abbia fornito oggi l’opportunità di parlare dell’allargamento.
Dobbiamo sicuramente rafforzare la politica di vicinato e ci occorre un nuovo rapporto più serio tra l’Unione e i paesi con cui quest’ultima condivide i confini. Fino ad ora la politica di vicinato non si è dimostrata uno strumento sufficiente. Ciò è stato comprovato dal fatto che, nel corso della sua attuazione, i paesi da essa interessati hanno attraversato periodi di crisi e destabilizzazione su larga scala.
Le nuove forme di cooperazione proposte nella relazione non possono tuttavia chiudere la porta alle adesioni. Oggi dobbiamo essere consapevoli che se non offriamo ai paesi limitrofi orientali la prospettiva dell’adesione, i nostri appelli a favore di democrazia, economia di mercato e rispetto dei diritti umani cadranno nel vuoto. Se non verrà loro offerta per lo meno la prospettiva di un’adesione in un lontano futuro, tali paesi rientreranno nella sfera dell’influenza russa, con tutto ciò che questo comporta in termini di democrazia e di diritti umani.
Tuttavia, nella medesima relazione emergono e si rafforzano opinioni sull’allargamento in termini di capacità di assorbimento. Tale termine non è mai stato definito con chiarezza e oggi non rappresenta null’altro che un pretesto apparentemente intelligente, una spiegazione a buon mercato per tirarsi indietro dal processo di allargamento. Se la capacità di assorbimento deve basarsi sull’accettazione della Costituzione, l’impressione che si ricava è che gli autori del testo in questione vogliano indubbiamente chiudere la porta in faccia a tutti. Il Trattato, nella versione in cui lo conosciamo oggi, non potrà mai sopravvivere.
Imporre alla Commissione europea di definire i confini dell’Unione è un errore. Susciterà solamente discussioni politiche imbarazzanti di stampo geografico e indebolirà sicuramente l’influenza esercitata dall’Unione sui processi di democratizzazione, stabilizzazione e rafforzamento della politica a favore dell’Occidente nei paesi limitrofi. Questo Parlamento è spesso stato paladino del processo di integrazione. Ha stabilito obiettivi ambiziosi. Oggi, questo stesso Parlamento si sta dimostrando un organo estremamente conservatore e passivo. Nasce spontanea la domanda: perché?
Philip Claeys (NI). – (NL) Signor Presidente, vorrei richiamare la vostra attenzione su alcune imperfezioni e contraddizioni contenute nella relazione sulla Turchia. La relazione enumera un tale catalogo di problemi di fondo che viene da chiedersi sconcertati perché non si sia ancora giunti all’unica conclusione logica possibile, vale a dire che l’avvio dei negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione europea è stato di per sé un errore colossale.
Come ha testé spiegato nel dettaglio l’onorevole Belder, sussistono violazioni dei diritti delle minoranze nazionali e religiose. La tortura continua a essere praticata senza ritegno e, ai sensi dell’articolo 310 del codice penale, per citarne soltanto uno, la libertà di parola e di stampa non possono essere garantite. Inoltre, la Turchia non ottempera palesemente agli obblighi che le spettano in relazione all’unione doganale. Le navi e gli aerei ciprioti non hanno ancora il permesso di accedere al territorio turco.
Nelle ultime settimane abbiamo inoltre assistito all’acuirsi della tensione tra le autorità turche e determinati gruppi di etnia curda. Il comandante in seconda dell’esercito turco, nientemeno, è accusato di aver architettato un bombardamento la cui responsabilità doveva essere attribuita ai curdi. Alcuni militari considerano tale atto d’accusa alla stregua di una manovra orchestrata dal governo, che vorrebbe destabilizzare il generale in questione a causa del suo atteggiamento nei confronti del fondamentalismo islamico.
In alcuni ambienti si ventila persino la possibilità di un nuovo colpo di Stato militare, nel caso in cui la situazione dovesse subire un’ulteriore escalation.
Occorre ammettere che il futuro non è poi così roseo, e questo in un paese che aspira a entrare nell’Unione europea tra pochi anni. Dovremmo dire la verità e ammettere che è assolutamente insensato. La relazione ci ricorda a ragione che tra i criteri di Copenaghen figura la nostra capacità di assorbimento. Questa base da sola sarebbe sufficiente per revocare la nostra decisione di avviare i negoziati con la Turchia.
Doris Pack (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, signora Presidente in carica del Consiglio, in qualità di presidente della delegazione per l’Europa sudorientale, appoggio incondizionatamente ciò che afferma la relazione Brok a proposito di ogni singolo paese e delle richieste che vengono avanzate. Ciascuna nazione ha i propri problemi specifici e deve essere giudicata sulla base dei risultati raggiunti; di conseguenza, sarebbe decisamente auspicabile prendere in considerazione l’ipotesi di un’adesione tempestiva della Croazia. Ciò trasmetterebbe un segnale importante di stabilizzazione all’intera regione, in quanto i traguardi raggiunti dalla Croazia nella sfera sia politica sia economica non sono in alcun modo inferiori a quelli dei due paesi di prossima adesione.
Tuttavia, adesso che ci avviamo alla chiusura del dibattito, vorrei sollevare un punto, un concetto che non traspare apertamente dalla relazione Brok e che invece assume maggiore rilevanza nei mass media pubblici. Mi riferisco alle presunte modifiche della strategia per l’allargamento. Nessuno risponde alla domanda sui confini dell’Unione europea. Lo stesso Commissario Rehn ha ribadito che si tratta di una domanda cui va data una risposta, ed è proprio questo che suscita la preoccupazione dei cittadini. La mia opinione personale è che con l’adesione di Bulgaria, Romania e dei paesi dei Balcani occidentali l’UE raggiungerà i propri limiti. Per tutti gli altri paesi abbiamo elaborato il nuovo strumento della politica di vicinato e dobbiamo iniziare ad affrontarlo seriamente. I negoziati precipitosi con la Turchia sono stati la goccia che ha fatto traboccare il vaso in termini di insicurezza e disorientamento dei cittadini.
Sosteniamo da dieci anni che non ci dev’essere alcun allargamento senza una riforma istituzionale dell’UE, tuttavia il Consiglio non ha iniziato a prendere in considerazione tale necessità fino a dopo l’ultimo allargamento, e siamo stati tutti penalizzati per questo dai risultati dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi. Tuttavia, se su quella base dovessimo concludere che non devono essere permesse ulteriori adesioni, le conseguenze sarebbero fatali. Dobbiamo affrettarci a mettere mano agli strumenti necessari previsti naturalmente dalla Costituzione e a utilizzarli per ripristinare la nostra capacità di accogliere nuovi membri. Se non vogliamo compromettere quello che fino ad oggi è stato il nostro grande impegno nei confronti dei Balcani, dobbiamo essere coerenti e risoluti nel continuare ad avvicinare tali paesi all’UE.
Accolgo con entusiasmo ciò che hanno affermato sul tema sia il Commissario Rehn sia la Presidente in carica Plassnik. A tutte queste nazioni era stata giustamente promessa l’adesione all’UE a condizione che avessero soddisfatto i criteri. Ciò era e continua a essere un motore importante di cambiamento nell’era successiva ai conflitti terribili che hanno dilaniato la ex Jugoslavia e alla dittatura di Ever Hoxha in Albania. E’ evidente a chiunque osservi razionalmente la cartina geografica che questa regione si trova nel cuore dell’UE. La sua stabilità è anche la nostra stabilità. Negli anni ’90 abbiamo vissuto e sofferto tutti la situazione opposta, tuttavia temo – e posso dire alla Presidente in carica del Consiglio che la vaghezza e l’imprecisione di ciò che è stato dichiarato a Salisburgo giustificano questa mia paura – che certi europei abbiano intenzione di piantare in asso per la seconda volta gli Stati dell’Europa sudorientale, e noi non possiamo permetterlo.
Helmut Kuhne (PSE). – (DE) Signor Presidente, accolgo con favore il cambiamento di prospettiva che emerge dalla relazione dell’onorevole Brok. I nostri dibattiti non possono più riguardare la nostra preferenza per un paese o per un altro; è invece tempo di rispondere alla domanda relativa al tipo di sistema politico che l’Unione europea si può effettivamente permettere se deve diventare in grado di prendere decisioni e di tradurle in pratica. Da tale questione fondamentale dipendono tutte le altre.
Per tale ragione la nostra prossima mossa dev’essere il chiarimento di determinati termini che finora non sono stati mai definiti. I criteri di Copenaghen fanno riferimento al concetto di “capacità di assorbimento”, ma non lo definiscono. Dal mio punto di vista, va per lo meno tenuto conto degli accordi politici e istituzionali sanciti nella Costituzione.
Ho seguito con attenzione le parole del signor Commissario, al quale chiedo di correggermi se sbaglio, ma non l’ho sentito soffermarsi su tale tema. Nella decisione sul criterio relativo alla capacità di assimilazione è insita una potenziale fonte di dissenso tra noi e la Commissione. Tra i criteri importanti figurano il fatto che l’Unione europea dovrebbe essere finanziata in modo tale da avere un futuro sostenibile ed essere accettata dalle persone che vivono nel suo territorio. Se dobbiamo parlare di credibilità, tale credibilità e i criteri che possono essere adeguatamente applicati alla capacità di assimilazione impongono che nel futuro più prossimo non debba essere possibile autorizzare l’adesione di altri paesi dopo la Bulgaria e la Romania. La credibilità va oltre la promessa di accogliere i cittadini in un momento non ben precisato; riguarda la definizione accurata delle condizioni alle quali tale adesione può avvenire, e ciò significa che dobbiamo essere più precisi su concetti quali “prospettiva di allargamento” o “prospettiva di adesione”.
Dobbiamo avere ben chiaro in mente che la convinzione che l’adesione di un paese possa risolvere le tensioni e i problemi di sicurezza interna è sbagliata. Tali tensioni e problemi devono essere affrontati prima dell’avvio dei negoziati di adesione.
PRESIDENZA DELL’ON. ONESTA Vicepresidente
Annemie Neyts-Uyttebroeck (ALDE). – (NL) Signor Presidente, signora Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, onorevoli colleghi, la relazione Brok pone interrogativi pertinenti e ne fornisce le risposte, anche se non concordo con ognuna di esse. Rispecchia inoltre anche i dubbi di molti riguardo a eventuali ulteriori allargamenti. Per questo viene attribuita un’enorme importanza alla capacità di assorbimento che, se la relazione dovesse essere approvata senza alcun emendamento, acquisirebbe anche una dimensione geografica.
Condivido il parere della maggioranza dei membri del mio gruppo secondo cui la capacità di assorbimento non richiede alcuna demarcazione geografica preliminare per essere tradotta in realtà, poiché la linea di demarcazione dell’Unione sarà in primo luogo politica – non che ciò sia più semplice. Ciò che conta di più è che l’UE mantenga le promesse fatte in materia di allargamento, e soprattutto per quanto riguarda i paesi dei Balcani occidentali. Benché gli Stati in questione siano ancora molto lontani da una possibile adesione, è giunto il momento di definire accordi concreti in materia e persino di presentare un calendario. Va da sé che è necessario soddisfare tutti i criteri, in particolare quelli politici.
Se non sbaglio, è esattamente quello che ha detto la Presidente in carica del Consiglio nella sua risposta. A mio parere la vaghezza sulla data definitiva di adesione non può che ritardare la soddisfazione dei criteri, in quanto tale incertezza verrebbe addotta come pretesto, il che non gioverebbe a nessuno.
Cem Özdemir (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la presente relazione chiede una delimitazione dei confini geografici dell’Unione europea e una definizione della sua natura. Alcuni democratico-cristiani, ma anche qualche socialdemocratico, si stanno guardando intorno per individuare alternative all’adesione all’Unione europea. Vorrei ricordare all’Assemblea che qualche anno fa politologi e analisti non si sarebbero mai immaginati che un giorno la cortina di ferro sarebbe scomparsa. E invece è successo, e non possiamo che gioirne. Faccio appello all’Assemblea affinché sia prudente nel prevedere cosa diventerà l’Unione europea tra venti, trenta o quarant’anni, quando la maggior parte di noi avrà da tempo cessato di condurre una vita politica attiva. Ritengo che ciò converrebbe a tutti, viste le previsioni errate formulate dalla maggior parte di noi riguardo ciò che sarebbe successo nel 1989.
L’altro aspetto che vorrei sollevare è che tutti parlano della necessità di attuare il Protocollo di Ankara, e a ragione, ma ciò che va aggiunto è il fatto che anche la Turchia e la parte nord di Cipro sono favorevoli a una soluzione, e noi abbiamo fatto determinate promesse. Va applicata l’antica massima “pacta sunt servanda”, e ciò significa che occorre porre fine all’isolamento della parte settentrionale dell’isola, come ha promesso l’Unione europea.
All’onorevole Brok vorrei dire che auspicherei che Helmut Kohl non comparisse solamente nei libri di storia, bensì potesse anche, di tanto in tanto, svolgere un ruolo nell’elaborare la politica europea della CDU.
Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, il mio gruppo politico non voterà a favore della relazione Brok, principalmente per i seguenti motivi:
La relazione, in particolar modo il paragrafo 10 con la sua deliberata astrusità, formula una duplice strategia. Lascia aperta la porta sul retro affinché le prospettive di adesione si trasformino in una formula di rapporto speciale, una soluzione che entusiasma i democratico-cristiani tedeschi. Il punto sul Kosovo, con la sua formulazione confusa, riflette la tortuosità dei discorsi interni all’Unione e la tendenza al graduale disimpegno rispetto alle condizioni espresse con chiarezza nella risoluzione 1244 dell’ONU.
Il mio gruppo politico ribadisce l’esigenza che la Turchia attui i requisiti stabiliti in base a un calendario specifico, a partire dall’adozione fedele, e senza violazioni, del Protocollo di Ankara.
Infine, il mio gruppo politico appoggia tra gli altri l’emendamento n. 19 concernente una risoluzione reciprocamente accettabile del problema relativo al nome della ex Repubblica jugoslava di Macedonia, e l’emendamento n. 4 rivisto su Cipro.
Georgios Karatzaferis (IND/DEM). – (EL) Signor Presidente, il primo tema su cui dobbiamo discutere è: dove finisce l’Europa? Non sappiamo più dove si trova l’Europa: abbiamo raggiunto Diabakir, ma se domani gli americani ci dicessero che l’Iraq deve entrare in Europa per ragioni di equilibrio, ci estenderemmo fino all’Oceano Indiano? E’ questo il problema. Chi decide chi far entrare in Europa? Fino a poco tempo fa escludevamo la Croazia. Il procuratore, la signora Carla del Ponte, era contraria, poi l’Austria ha fatto pressione e la Croazia è ora candidata. E’ questa la volontà politica dell’Europa? Ovviamente non è molto intelligente essere costretti a dire ai nostri amici turchi che non devono insultare il Presidente del Parlamento europeo. Non è molto intelligente da parte nostra portare loro 139 milioni di euro nelle aree occupate mentre loro bersagliano i membri del Parlamento europeo con uova e sassi. Devono cambiare atteggiamento, non soltanto un articolo della loro costituzione. Non si meritano questo trattamento speciale. Non possono minacciare uno Stato europeo con la guerra, con un casus belli, mentre noi discutiamo della loro adesione. Non possono riconoscere un governo che è stato legittimato dagli altri 24? Non sono formulazioni logiche.
Ciò mi porta a parlare della ex Repubblica jugoslava di Macedonia che, ovviamente, esige un nome. Posso ricordarvi che, quando avete fatto domanda di adesione all’ONU come Repubblica germanica d’Austria, la Germania – che a quei tempi era appena stata sconfitta – ha opposto il veto e voi avete aderito col nome di Austria? Posso ricordarvi che i bretoni non hanno permesso alla Gran Bretagna di aderire a causa del nome della loro regione – Bretagna – e hanno costretto i britannici a entrare col nome di Regno Unito? E quindi perché non ci dovreste sostenere, quando abbiamo una storia lunga 3 000 anni in comune con la Macedonia?
Perché non chiamiamo le cose col loro nome? Perché dopo tanto non abbiamo ancora una politica indipendente e dobbiamo seguire il gioco americano di indisporre la Russia acquisendo i suoi paesi satellite e aprendo un fronte con l’Iran e così via? L’Europa quando deciderà finalmente – ecco la questione cruciale – che l’America non è un suo tutore? Non ci occorrono tutori per sviluppare le nostre iniziative.
Inese Vaidere (UEN). – (LV) Onorevoli colleghi, l’allargamento dell’Unione europea fino ad oggi si è dimostrato una formula efficace, in quanto ha incoraggiato riforme in molti Stati ampliando l’area della pace, della stabilità e dello Stato di diritto in Europa.
Un ulteriore allargamento dell’Unione europea è necessario, ma dovremo individuare nuovi meccanismi e sistemi che consentano all’Unione di uscire dalla situazione di stallo in cui versa la sua capacità attuale di assorbire nuovi paesi. Definendo criteri precisi, la Commissione europea deve sicuramente sviluppare tale concetto di capacità di assorbimento. Oltre alla possibilità di un’adesione a pieno titolo, dobbiamo anche offrire svariate forme di cooperazione multilaterale e di partenariato con i paesi che, almeno nel breve termine, non saranno in grado di aderire all’Unione europea. Su questo punto vorrei esprimere il mio pieno accordo con quanto affermato dall’onorevole Brok. Potrebbe essere un modo per avvicinare alla via delle riforme e ai valori europei la Turchia, l’Ucraina e i Balcani, ad esempio, e in futuro anche altri paesi.
Ryszard Czarnecki (NI). – (PL) Signor Presidente, è un’illusione che l’Unione possa diventare forte e competitiva senza ulteriori allargamenti. Un’altra illusione è la convinzione che l’Unione possa estendere i propri confini all’infinito, per esempio consentendo alla Russia di aderire all’UE.
Limitiamoci semplicemente a considerare le priorità quando si tratta di allargamento. Dopo Romania e Bulgaria, che dovrebbero accedere all’Unione nel 2007 e non nel 2008, dovrebbe essere il turno dei paesi dell’Europa sudorientale. Dopo Croazia e Macedonia, dovremmo aprire un’altra serie di porte a Serbia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Kosovo e Albania. E’ questo il percorso logico da seguire. E’ una questione di strategia e anche di maggiore sicurezza nel Vecchio Continente. In ultima analisi si rivelerà vantaggioso da un punto di vista economico, in quanto spenderemo meno ampliando l’Unione ai prossimi Stati balcanici che non versando denaro nelle casse senza fondo della preadesione dei Balcani. La pacificazione dei conflitti permanenti in questa parte d’Europa costa di più che non ammettere questi Stati in Europa e costringerli pertanto a seguire le regole del gioco comunitarie in ambito politico ed economico.
Non dobbiamo temere di espandere l’Unione con l’adesione dei pochi Stati prossimi all’ingresso. So che tale timore è divenuto in un certo senso “di moda”. Si rivela particolarmente utile durante le campagne elettorali che si stanno susseguendo l’una dopo l’altra nei vari Stati membri. Se vogliamo che l’Unione sia economicamente più efficace e non accumuli ritardi nei confronti di America e Asia, si deve abolire progressivamente la divisione del continente in due parti: l’Europa di serie A, o in altre parole l’Unione europea, e l’Europa di serie B, cioè tutte le nazioni che non sono parte dell’Unione. La storia ha anche dimostrato che un’Unione che si amplia è un’Unione più sicura. L’invito ad accedere ai negoziati, anche in assenza di prospettive di adesione all’Unione nell’immediato futuro, è come la bandierina che viene sollevata per segnare la partenza di una corsa automobilistica. I piloti devono avere un obiettivo a cui puntare, devono sapere dov’è la linea del traguardo. A quel punto potranno fare molta strada, superare molte curve e persino risolvere i problemi al motore. Ciò che importa, tuttavia, è mettere in moto le ruote dell’adesione.
La proposta di risoluzione del Parlamento evidenzia a ragione il fatto che è proprio questo incentivo che ha sostenuto le riforme in Turchia, in Croazia e nei paesi dei Balcani occidentali. Tuttavia, l’allargamento ha un prezzo elevato, soprattutto nel breve termine, ma è un investimento redditizio nel lungo periodo.
Jacek Emil Saryusz-Wolski (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, accolgo con favore la relazione complessivamente positiva dell’onorevole Brok. Approvo il coraggio con cui riconosce il fatto che i Balcani occidentali dovrebbero essere parte integrante dell’Unione europea in futuro. Sono convinto che i nostri impegni vadano rispettati; non possiamo chiudere la porta in faccia a quei paesi a cui era stata offerta una prospettiva di adesione o a quegli Stati che si meritano tale prospettiva in futuro in virtù delle disposizioni del Trattato sull’Unione europea.
Non ripetiamo tuttavia gli errori passati. Dobbiamo essere preparati per l’allargamento. In primissimo luogo dobbiamo stanziare i finanziamenti. Dobbiamo anche preparare i nostri cittadini alla prospettiva di allargamento spiegandone i grandi vantaggi. Dobbiamo smettere di fare degli allargamenti passati e futuri il capro espiatorio dei nostri problemi interni, soprattutto nazionali, e della nostra inattività.
Nel prepararci all’allargamento dobbiamo essere rigorosi, aderire alla condizionalità, essere franchi con i nostri partner. Cerchiamo tuttavia di non essere eccessivamente dogmatici. E’ perfettamente fattibile aprire le porte alla Croazia senza la Costituzione. E’ sufficiente introdurre i necessari adeguamenti nel trattato di adesione. La Croazia non dovrebbe essere una vittima o un ostaggio a causa delle nostre difficoltà relative alla Costituzione.
Accolgo con favore l’aspetto innovativo e il coraggio espressi nella relazione. Potremmo prendere in considerazione l’idea dei passi intermedi nel cammino verso l’adesione a condizione che non fossero permanenti – passi intermedi sì, ma non in sostituzione dell’adesione. Diverse considerazioni non dovrebbero essere utilizzate come alibi per non agire o per chiudere la porta in faccia a paesi che un giorno meriteranno l’adesione, come l’Ucraina. I confini dell’Unione sono già definiti dal Trattato sull’Unione europea, che sancisce che “ogni Stato europeo, che rispetti i principi ...”, eccetera.
Per concludere, consentitemi di ribadire che l’allargamento è una delle politiche dell’Unione maggiormente coronate dal successo e pertanto dovremmo sfruttarne il potenziale per costruire un’Unione forte, sicura e influente, fedele ai propri valori di solidarietà, democrazia e apertura.
Józef Pinior (PSE). – (PL) Signor Presidente, vorrei porre l’accento sulla particolare responsabilità che spetta all’Unione europea di creare una comunità di Stati, nazioni e cittadini nel continente europeo basata sulla pace, la democrazia liberale, i diritti umani, l’economia di mercato e lo Stato di diritto.
Tuttavia, oggi dobbiamo capire se l’Unione europea è in grado di sostenere ulteriori allargamenti e di aprire veramente le porte, e nel contempo dobbiamo definire il carattere dell’Unione europea, compresi i confini geografici.
La capacità di assorbimento è attualmente complicata dalla fase di stallo in cui si trova il processo di ratifica del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa e dagli ostacoli che si frappongono a un’integrazione politica e strategica più profonda dei 25 Stati membri dell’Unione europea. Nel contempo, nei prossimi anni le Istituzioni dell’Unione europea devono attuare strategie di allargamento basate su termini definiti in maniera rigorosa che tengano conto degli obblighi dell’Unione europea verso la Turchia, la Croazia e gli Stati dei Balcani occidentali. L’Unione europea dovrebbe anche elaborare una prospettiva europea a lungo termine in relazione ai paesi dell’Europa orientale, e dell’Ucraina in particolare.
Alexander Lambsdorff (ALDE). – (EN) Signor Presidente, onorevoli colleghi, quando discutiamo dell’allargamento parliamo in sostanza di come intendiamo l’Unione europea. Riteniamo che sia un mezzo per realizzare un fine o la vediamo come un’entità politica a se stante? Vogliamo un’OSCE del libero commercio per stabilizzare paesi limitrofi problematici, o vogliamo un’unione politica che abbia la facoltà di agire sulla base delle proprie leggi? La relazione Brok è un documento positivo, nel senso che cambia veramente la prospettiva a favore della seconda opzione.
Di noi politici in generale si dice che non siamo capaci di esprimere elogi, eppure l’onorevole Kuhne della SPD è appena intervenuto sulla base di un documento eccellente adottato dai socialdemocratici tedeschi, e la cosa assolutamente mirabile a tale proposito è che definisce la posizione della SPD sull’allargamento.
E’ vero che, per quanto riguarda Romania e Bulgaria, le decisioni sono già state prese, ma dobbiamo prendere in considerazione la possibilità di trattarle separatamente se i loro risultati lo giustificheranno. Non sono i mezzi a essere cruciali, bensì i fini. E’ senza dubbio possibile che i negoziati con la Turchia producano un esito diverso dalla piena adesione, ed ecco la frase chiave: “Non accetteremo più il progressivo allentamento dei criteri di adesione”, affermano i socialdemocratici tedeschi e noi democratici liberi tedeschi concordiamo al cento per cento.
Viene definita anche la capacità di assimilazione; in tal senso, il problema maggiore è che la capacità dell’Unione europea di assorbire nuovi membri dipende in parte dall’accettazione di massima dei cittadini degli Stati membri. Ritengo che tale aspetto sia cruciale se vogliamo che il pubblico ci segua. Se vogliamo che continuino a essere buoni cittadini fedeli all’Unione europea dovremo tenere conto dei loro desideri.
Tatjana Ždanoka (Verts/ALE). – (EN) Signor Presidente, apprezzo molto il riferimento che viene fatto nella relazione Brok alla necessità di rispettare i diritti e le libertà fondamentali, soprattutto i diritti delle minoranze in Turchia, in Croazia e nei paesi dei Balcani occidentali.
Mentre discutevamo della domanda di adesione della Turchia all’Unione, ho esortato la Commissione a non ripetere gli errori commessi al momento dell’adesione del mio paese, la Lettonia, nel non aver sfruttato tale processo per promuovere i diritti delle minoranze. Il gruppo dell’Alleanza libera europea ha chiesto alle Istituzioni europee di esortare il governo turco a migliorare la sua politica nei confronti delle minoranze etniche, religiose e linguistiche. Purtroppo, non abbiamo assistito ad alcun progresso in questo senso e, in particolare, in Kurdistan si continuano a uccidere cittadini innocenti. Due settimane fa sono stati uccisi i genitori di Derwich Ferho, importante difensore dei diritti umani e presidente dell’Istituto curdo con sede a Bruxelles. In base alle indicazioni, c’è stato il coinvolgimento di forze speciali turche. Sono a favore di ulteriori allargamenti, ma soltanto se basati rigorosamente sui criteri di Copenaghen.
Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, per quanto riguarda il paragrafo 29 della relazione, la decisione del Consiglio di bloccare gli aiuti finanziari ai turcociprioti è stato uno sviluppo nella giusta direzione, per il quale desidero ringraziare la signora Ministro.
Per quanto riguarda la questione del commercio, può essere tuttora affrontata nel quadro del recente accordo sulle discussioni relative a un pacchetto di misure volte a rafforzare la fiducia. Nella loro dichiarazione congiunta dopo la riunione di Parigi, il segretario generale dell’ONU e il Presidente Papadopoulos hanno dichiarato, tra l’altro, che se si potessero compiere progressi nell’ulteriore disimpegno delle forze armate, nella demilitarizzazione dell’isola, nello sminamento completo di Cipro e nella questione di Famagusta, ciò sarebbe utile per tutti gli interessati e migliorerebbe l’atmosfera per i colloqui futuri.
In particolare, eventuali progressi nella questione di Famagusta potrebbero tradursi in miglioramenti in campo commerciale. Siamo tutti a conoscenza della proposta in tal senso del governo di Cipro, secondo cui la restituzione di Famagusta ai legittimi residenti e la riapertura del porto di Famagusta potrebbero risolvere la questione degli scambi da e verso le aree occupate. Purtroppo però la Turchia e la leadership turcocipriota non hanno ancora assunto una posizione su tale questione.
Roger Knapman (IND/DEM). – (EN) Signor Presidente, in primo luogo il nostro incauto relatore esprime compiacimento per il fatto che il documento di strategia della Commissione “preveda un’Unione rivolta verso l’esterno”. In realtà non intende dire un’Unione rivolta verso l’esterno, bensì un’Unione che si espande e non, a quanto pare, un periodo di riflessione dopo i referendum olandese e francese – niente affatto! Tali consultazioni hanno detto “no”, in particolar modo alla Turchia. Il risultato di tutto ciò è un maggiore accentramento e nel contempo una più ampia espansione al fine di ottenere un tutto ingestibile, e questo nella settimana in cui alla Germania è stata fatta presente la necessità di risistemare l’assetto economico! Invece che inviare enormi quantità di denaro in Europa orientale, dovrebbero piuttosto assicurarsi di non pregiudicare la prosperità dell’Europa nel suo complesso.
In questo periodo va di moda fingere che esista una lunga coda di paesi desiderosi di entrare qui. Il fatto è che i paesi balcanici si sono appena lasciati alle spalle un’organizzazione prepotente, burocratica e corrotta chiamata Jugoslavia, e non desiderano aderire a un’organizzazione con caratteristiche analoghe semplicemente per la loro salute. La verità è che vogliono soldi. Vogliono ancora più soldi. Quello che non dovrebbero fare nei paesi balcanici è cedere la propria sovranità come se fosse merce di scambio, altrimenti resteranno profondamente delusi. Temo che li attendano grandi delusioni.
Hans-Peter Martin (NI). – (DE) Signor Presidente, mi rivolgo ai membri del gruppo socialista al Parlamento europeo, in particolare a quelli di Germania e Austria: complimenti! Invece che comportarvi come fate di solito e utilizzare il populismo come una mazza – il termine l’ho mutuato da voi – con cui colpire i vostri ex leader di partito o i candidati di rilievo, stavolta la mazza ve la siete data in testa da soli. E’ in corso una presa di coscienza progressiva di ciò che affermano gli elettori, delle cifre economiche reali e, si auspica, ciò porterà a una maggiore comprensione. I dibattiti in corso da parecchi anni nel vostro gruppo hanno prodotto un documento con cui possiamo effettivamente intraprendere qualcosa.
Ottimo lavoro, onorevole Kuhne! Cambiamento di prospettiva, aspettative di adesione, capacità di assorbimento – è di questo che si tratta esattamente. C’è motivo di speranza, perché quello che sostenete potrebbe farvi ottenere il sostegno di una maggioranza non solo tra i vostri elettori, ma anche in tutta Europa. Con una prospettiva specifica, le cose possono andare avanti, cosa che invece non accadrà se continueremo a menare il can per l’aia come abbiamo fatto finora.
Camiel Eurlings (PPE-DE). – (NL) Signor Presidente, gli allargamenti hanno giovato all’Unione europea, non solo alla popolazione dei paesi appena entrati, bensì anche agli abitanti dei paesi già membri, non c’è dubbio.
Durante il referendum la sensazione dominante nel mio paese è stata la paura di essere sopraffatti da un’ondata di idraulici polacchi. La realtà è diversa: dal più recente allargamento a tali paesi, i Paesi Bassi hanno tratto un profitto di 2 miliardi di euro annui. Sono proprio le persone che hanno sempre sostenuto tale allargamento che devono trasmettere questo dato in proposito, e al contempo non devono perdere di vista l’equilibrio tra allargamento e approfondimento, in quanto tale equilibrio al momento è precario. Il Trattato di Nizza non andava bene per 25 paesi, e certamente non sarà sufficiente quando a breve si uniranno a noi altri due paesi, vale a dire Romania e Bulgaria. A mio parere, sarebbe utile impegnarci per prima cosa a rimettere in sesto la nostra situazione interna mediante un nuovo trattato prima di accogliere altri due paesi. Dovremmo impegnarci spontaneamente in tal senso.
In secondo luogo, è importante che i nostri paesi limitrofi non aspettino che l’Unione europea porti a termine i propri compiti interni prima di avviare il processo di approfondimento con una sorta di partenariato. Se vogliono diventare membri veri, e se l’Europa sembra essere in grado di accoglierli, il passo successivo per tali paesi potrebbe essere un avvicinamento all’adesione.
Tale relazione non intacca i diritti dei paesi candidati ad avere tale status al momento, e desidero che ciò sia detto con chiarezza. Tale credibilità deve tuttavia andare di pari passo con il nostro considerare credibili i criteri. Ciò significa, e la Presidente Plassnik lo ha giustamente rilevato, che la Turchia deve controllare la libertà di parola, per il bene non solo di questo scrittore, ma anche degli altri; significa inoltre che va garantita la libertà di religione e anche che occorre compiere progressi per quanto riguarda Cipro.
Accogliamo con favore l’accordo Age Package, ma sarebbe magnifico – e spero che il signor Commissario ne stia prendendo atto – se la Turchia potesse essere convinta a ratificare e attuare il Protocollo. Come intende conseguire tale chiarezza, signor Commissario? Poiché una volta fatto ciò, verranno realizzati molti progressi anche in relazione alla stessa Cipro. In tal senso sono pienamente a favore dell’emendamento n. 4, in cui l’Assemblea ribadisce ancora una volta la volontà di compiere il proprio dovere per il bene dei cittadini sia della parte sud sia della parte nord dell’isola.
Richard Howitt (PSE). – (EN) Signor Presidente, l’allargamento è la storia più fortunata d’Europa, che ha diffuso e diffonderà stabilità, sicurezza, ricchezza e democrazia nel nostro continente. Tuttavia, nel momento in cui l’opinione della maggioranza in sette Stati membri, il mio compreso, è contraria ad allargamenti futuri, è tempo di proporre la questione alla cittadinanza e confrontarsi con coloro che tentano di bloccare il progresso; è tempo di respingere l’opinione di coloro che persino in questa risoluzione cercano di utilizzare espressioni quali “possibilità operative” o “ridefinizione dei confini” per compromettere gli impegni già assunti dall’Unione; è tempo di affrontare coloro che, come i conservatori britannici, affermano che l’Europa deve scegliere tra ampliamento e approfondimento – noi no; è tempo di fronteggiare l’estrema destra, che alimenta di proposito i timori secondo cui le nuove migrazioni minacciano i posti di lavoro e il sostentamento dei cittadini, quando i fatti dimostrano il contrario; è tempo di esporre coloro che, persino in questa risoluzione, accolgono con favore i progressi della Croazia ma non quelli della Turchia; è tempo di riconoscere che le popolazioni di maggioranza musulmana in Macedonia, Bosnia e Albania condividono anch’esse un destino europeo, ed è tempo di sottolineare che una pausa di riflessione sulla Costituzione non può essere un pretesto per rifiutare per principio ogni nuovo allargamento.
István Szent-Iványi (ALDE). – (HU) Signor Presidente, l’integrazione regionale nei Balcani occidentali rappresenta un elemento cruciale della strategia di allargamento della Commissione. Tale tentativo è sensato, in quanto incoraggia la cooperazione e l’assunzione di responsabilità, e comporta anche vantaggi economici.
Tuttavia, non è giusto imporre un’unità economica o politica non voluta dai diretti interessati, o che di per sé non è fattibile. Sarebbe molto più sensato procedere all’allargamento del CEFTA già esistente, come proposto dal governo croato, in quanto si è già dimostrato un esempio di cooperazione positiva e proficua, ed è in tale formula che andrebbero coinvolti gli Stati balcanici.
La vera garanzia di stabilità nei Balcani occidentali è la promessa autentica di integrazione europea. In tal senso, è molto preoccupante che, stando alla proposta del Consiglio, i paesi interessati non riceveranno sostegni finanziari adeguati in futuro, e l’anno prossimo e negli anni a venire potranno contare su un sostegno inferiore a quello ricevuto finora. Ciò mette in dubbio la credibilità dell’intero processo di adesione. Esigiamo pertanto un incremento considerevole dei fondi disponibili.
In terzo luogo, quando valutiamo ciascun paese, dobbiamo considerarne i risultati individuali, e non deve essere ammesso nessun tipo di valutazione complessiva o in blocco, in quanto tali paesi devono mostrare la loro maturità singolarmente.
La Croazia si è impegnata molto al fine di diventare membro dell’Unione europea quanto prima. Dobbiamo riconoscere tali sforzi, poiché la Croazia merita una conclusione positiva e quanto mai tempestiva dei negoziati.
Laima Liucija Andrikienė (PPE-DE). – (LT) Vorrei innanzi tutto ringraziare l’onorevole Brok per la sua relazione molto costruttiva e razionale. Sono certa che se l’Unione europea fosse sempre in grado di formulare la propria posizione su tutte le questioni come nel caso in questione, godrebbe di un appoggio e di una comprensione maggiore presso i cittadini. Vorrei soffermarmi sulla sezione della relazione che riguarda la Turchia. Sono del tutto d’accordo sul fatto che la strategia di espansione dell’Unione europea ha sicuramente incoraggiato le riforme democratiche, politiche e di altro genere in Turchia e negli altri Stati citati nella risoluzione. E’ tuttavia altrettanto importante notare che, per citare le parole esatte, “sebbene il processo di transizione politica della Turchia sia ancora in corso, il ritmo di cambiamento è rallentato nel 2005 e l’attuazione delle riforme rimane non omogenea”. E’ la stessa risposta che ho ricevuto ieri dal Commissario Rehn alla mia interrogazione orale concernente l’attuazione della risoluzione del Parlamento europeo sull’avvio dei negoziati con la Turchia. Ciò viene menzionato anche nel progetto di risoluzione che abbiamo dibattuto oggi, vale a dire che il ritmo delle riforme in Turchia nel 2005 non solo è stato insufficiente, ma ha anche subito un rallentamento. Ciò potrebbe essere interpretato come un’impreparazione da parte della Turchia all’attuazione delle riforme che la avvicinerebbero all’Unione europea, oppure persino come una mancata disponibilità del paese a impegnarsi nei confronti di obblighi basilari o di una eventuale adesione.
Condivido inoltre il rammarico espresso nella relazione dell’onorevole Brok e nella risoluzione a proposito della dichiarazione unilaterale rilasciata dalla Turchia al momento della firma del Protocollo aggiuntivo all’accordo di Ankara. Ritengo che sia necessario ricordare alla Turchia che il riconoscimento di tutti i paesi membri dell’Unione europea è una componente essenziale del processo di adesione.
Ciò che sto per dire non è nella relazione, ne sono consapevole, tuttavia sono certa che gli atti di genocidio commessi contro la nazione armena 90 anni fa dovrebbero essere riconosciuti dalla Turchia ai massimi livelli, in quanto tale gesto più di qualsiasi altro sarebbe un segnale del fatto che la posizione della Turchia, persino nei confronti di tali dolorosi eventi del passato, è in sintonia con lo spirito dei criteri di Copenaghen.
Csaba Sándor Tabajdi (PSE). – (HU) Signor Presidente, la relazione Brok non definisce nulla di concreto rispetto alle minoranze etniche. L’Unione europea utilizza spesso due pesi e due misure o addirittura tre quando richiede e si aspetta qualcosa di completamente diverso da due paesi candidati, mentre raramente esige spiegazioni dai propri Stati membri su questioni che concernono le minoranze etniche.
In seguito a un’insurrezione armata, agli albanesi che risiedono in Macedonia è stata concessa un’autonomia amministrativa e persino territoriale amplissima, mentre nel caso della Romania l’Unione europea non preme per l’autonomia territoriale a favore di quasi un milione di ungheresi che vivono nel territorio degli Székely. L’Unione europea ha promesso l’indipendenza al Kosovo, ma per quanto riguarda la Vojvodina non raccomanda nemmeno l’autonomia che era stata negata da Milošević.
Vi invito a sostenere gli emendamenti ungheresi volti a preservare il carattere multietnico della Vojvodina, la protezione delle minoranze e l’ampliamento dell’autonomia provinciale. Il Commissario Olli Rehn sa benissimo che senza autonomia non c’è alcuna soluzione per i finlandesi di lingua svedese in Finlandia, e nemmeno per i curdi che vivono in Turchia.
Panagiotis Beglitis (PSE). – (EL) Signor Presidente, dobbiamo essere molto franchi e accettare che la strategia per l’allargamento non è la ragione alla base dell’attuale crisi istituzionale dell’Unione europea. Tuttavia, quale obiettivo strategico, l’allargamento può rappresentare il capro espiatorio del ristagno collettivo europeo e ciò andrebbe evitato, a mio parere. In questo contesto, assume una particolare rilevanza il messaggio lanciato dalla Presidenza austriaca e la riunione dei ministri degli Esteri a Salisburgo concernente l’obiettivo finale dell’integrazione dei paesi dei Balcani occidentali nell’Unione europea. Siamo a favore dell’integrazione dei paesi e contrari ai rapporti speciali.
Da questo punto di vista, la Commissione dovrebbe accelerare la presentazione della proposta per la concessione di visti di ingresso ai cittadini dei paesi balcanici. La questione è profondamente politica, non burocratica. L’ambiguità dell’Unione europea sul Kosovo è motivo di preoccupazione. L’assenza di una politica comunitaria comune eserciterà conseguenze negative.
Infine, per quanto riguarda Cipro, ritengo che sia giunto il momento di intraprendere iniziative politiche volte a creare la necessaria osmosi politica e sociale a livello di società civile tra i grecociprioti e i turcociprioti. All’Unione europea spetta il ruolo di elemento catalizzatore.
Marianne Mikko (PSE). – (ET) Onorevoli colleghi, il relatore, onorevole Brok, ha svolto un lavoro minuzioso nell’indicare ai paesi dei Balcani occidentali la via che conduce all’Unione europea.
Nella mia veste di capo della delegazione moldova è tuttavia mio dovere ricordare a tutti noi che ci sono due paesi ancor più vicini al centro d’Europa che necessitano della promessa di adesione all’Unione europea tanto quanto i paesi balcanici e la Turchia.
Il Parlamento europeo ha espresso chiaramente il proprio sostegno a favore delle aspirazioni di Ucraina e Moldova a divenire paesi candidati all’adesione. La Moldova sta compiendo sforzi enormi a tal fine già da due anni.
Anche l’Ucraina ha recentemente manifestato il desiderio di divenire un paese europeo. L’ho percepito chiaramente in occasione della mia visita in Ucraina la scorsa settimana.
Mi delude tuttavia l’enfasi eccessiva che la relazione pone sul quarto criterio di Copenaghen. Nel contempo, concordo con Elmar Brok sul fatto che la Commissione europea dovrebbe definire quanto prima la natura della capacità di assorbimento, che non dovrebbe rappresentare un pretesto vago per respingere i paesi che ambiscono ad accedere all’Unione europea.
Dal Vertice di Salonicco del 2003, la nostra unione è stata riformata; sono gli stessi risultati eccellenti conseguiti dai paesi che hanno rispettato i criteri di Copenaghen. In futuro i potenziali paesi candidati devono essere valutati sulla base di criteri trasparenti.
L’espansione deve continuare, perché l’Europa ha bisogno della stabilità come dell’aria che respira.
Ursula Plassnik , Presidente in carica del Consiglio. – (DE) Signor Presidente, sono grata di questo dibattito entusiasmante e sicuramente acceso, che anche il Consiglio giudicherà importante.
Onorevoli deputati, provengo da un paese che, stando alle cifre e ai dati disponibili, ha beneficiato considerevolmente dell’ultimo allargamento eppure, nonostante ciò, la posizione diffusa nei confronti sia dell’Unione europea stessa sia dell’allargamento è molto critica, per cui consentitemi di esprimere qualche considerazione personale sull’argomento.
Non ci sarà nessuna Europa senza frontiere; “L’Europe sans frontières n’existera pas” – eppure l’Europa è sempre stata un progetto politico. Per tale ragione, per le decisioni politiche che dobbiamo prendere sarà totalmente inutile far ricorso a geografi, storici o strumenti di misura; a decidere su tali questioni sarà la volontà comune di coloro che condividono tale comunità di valori e leggi, vale a dire noi e – come accade di regola nelle democrazie – il popolo in prima persona. E quindi da dove cominciamo adesso? Il 3 ottobre dello scorso anno abbiamo obiettivamente assistito all’assunzione di decisioni politiche con implicazioni di ampio respiro; ciò che ci attende – che attende cioè il Consiglio e la Commissione con i nostri partner di tutto il mondo – è un periodo di impegno sereno per risolvere tali questioni.
Vorrei solamente esprimere tre ulteriori considerazioni sulle questioni geografiche nei Balcani: di che cosa si tratta in buona sostanza? Su che cosa stiamo lavorando? Secondo me stiamo lavorando sull’Europa quale progetto di pace, sulla sua riunificazione, sul superamento della divisione tra Oriente e Occidente, sul risanamento delle fratture create dal comunismo. E’ intollerabile che i Balcani debbano essere confinati in un qualche terra di nessuno europea; dobbiamo ribadire ancora una volta con chiarezza dove sta il valore aggiunto per noi, per i nostri popoli e per le popolazioni dei Balcani – un valore aggiunto fatto di Stato di diritto, di sicurezza e di opportunità economiche.
Se posso passare al tema Turchia, a cui hanno fatto riferimento molti onorevoli colleghi, nel processo attualmente in corso la Commissione e il Consiglio stanno esaminando non solo i risultati conseguiti dalla Turchia nel processo di riforma, ma anche – in maniera decisamente specifica e diretta – ciò che rimane ancora da fare in aree quali la libertà religiosa e di parola. Ce ne siamo occupati in occasione della riunione della troika.
Consentitemi di esprimere un parere sull’Ucraina. La signora Commissario Ferrero-Waldner e io abbiamo partecipato di recente a una missione della troika in Ucraina, e vi posso trasmettere il medesimo messaggio che ho già espresso in quell’occasione, vale a dire che l’Europa, l’Unione europea, vorrebbe che l’Ucraina diventasse un paese stabile, con fiducia in se stesso e di successo, ma soprattutto un paese che affronta il compito della trasformazione e lo fa con determinazione. La politica europea di vicinato e il piano d’azione che verrà rivisto per la prima volta sotto la Presidenza austriaca ci forniscono una serie di strumenti positivi e appropriati. Esiste inoltre un potenziale considerevole per conseguire risultati quali un accordo più profondo che potrebbe in futuro contemplare un ampio accordo di libero scambio.
Olli Rehn , Membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, vorrei comunicarvi innanzi tutto qualche notizia dell’ultima ora: le decisioni della fine del 2005 hanno creato un quadro politico solido per la nostra politica di allargamento relativa al periodo dal 2006 al 2010, e in alcuni casi anche oltre. Ad esempio, i negoziati di adesione con la Turchia dureranno verosimilmente 10-15 anni. Non mi aspetto che nessuno metta seriamente in discussione gli impegni già assunti nell’Europa sudorientale, in quanto costituisce veramente una questione di sicurezza e stabilità il poter promuovere la pace, la democrazia e la ricchezza in questa regione particolarmente sensibile.
Abbiamo ora a disposizione un’agenda per l’allargamento consolidata e sufficientemente impegnativa. Il treno dell’allargamento non è un treno ad alta velocità, né un Eurostar; è un treno normale, in alcuni casi persino un locale, ma la cosa più importante è che il treno si sta muovendo, è in corsa e sta pertanto trasformando i paesi che si trovano nelle immediate vicinanze dell’Unione europea.
Per quanto riguarda i confini dell’Europa, la Commissione agisce sulla base dell’articolo 49 del Trattato che istituisce l’Unione europea, che sancisce che tutti i paesi europei che rispettino e applichino i valori europei della democrazia, dei diritti umani, dello Stato di diritto e delle libertà fondamentali possono presentare domanda di adesione all’Unione. Ciò non significa che tutti i paesi europei devono inoltrare tale domanda o che l’UE deve accettare qualsiasi paese; significa tuttavia che non è sensato chiudere per sempre le porte tracciando una linea sulla cartina per delimitare una volta per tutte l’Europa, un aspetto che danneggerebbe seriamente le nostre possibilità di esercitare un’influenza benefica e un potere strategico sui paesi limitrofi.
Nel contempo, benché non siano ancora stati stabiliti confini definitivi per l’Unione, l’UE sta sviluppando altre forme di partenariato e cooperazione con i nostri paesi confinanti, ad esempio sotto forma di politica europea di vicinato, che può essere ulteriormente sviluppata e potenziata.
Sono stati espressi alcuni commenti e sollevati punti concernenti la capacità di assorbimento. Vorrei fornire una breve panoramica storica. Tale concetto è stato menzionato espressamente per la prima volta a Copenaghen nel 1993, quando il Consiglio europeo ha dichiarato che la capacità dell’Unione di assorbire nuovi membri pur mantenendo l’accento sull’integrazione europea è anch’essa una considerazione importante nell’interesse generale sia dell’Unione sia dei paesi candidati. Tale concetto e le sue conseguenze sono state esaminate regolarmente dalla Commissione.
Nell’Agenda 2000 – e sono lieto di farvi riferimento, in quanto sono stato membro del gruppo direttivo dell’Agenda 2000, adottata nel 1997 – la Commissione ha esaminato l’impatto dell’adesione sui paesi dell’Europa centrale e orientale da due angolazioni: il suo impatto sulle politiche comunitarie quali la politica agricola o regionale e le sue conseguenze in termini di bilancio. Di conseguenza, tale attività ha portato alla definizione di parametri cruciali nei negoziati successivi, nelle decisioni del marzo 1999 al Vertice di Berlino e nel 2003, quando ai paesi dell’Europa centrale e orientale è stato concesso di aderire all’Unione europea. Ciò ha agevolato l’adesione dell’UE-10 e, tramite ciò, siamo riusciti a mettere insieme efficacemente la missione storica di riunificare il continente europeo e di occuparci delle conseguenze pratiche, anch’esse fonte di preoccupazione per i cittadini di oggi.
In un secondo momento abbiamo esaminato tale concetto nel corso dei negoziati di adesione, e in particolare in alcuni capitoli, quali la libera circolazione delle persone, e i capitoli finanziari; più di recente, la Commissione ha anche approfondito tale tema nel documento sulle questioni del 2004, relativo alle problematiche derivanti dalla prospettiva di un’adesione della Turchia.
Raccomanderei tale documento dell’ottobre 2004 a tutti i deputati al Parlamento europeo. E’ una lettura tuttora utile, che delinea in maniera puntuale le ampie conseguenze di un’eventuale adesione turca all’Unione qualora tale paese dovesse un giorno soddisfare tutti i criteri di adesione.
L’aumento della capacità costituisce pertanto un concetto importante, a cui si è fatto riferimento anche nel quadro dei negoziati per la Turchia e la Croazia. Vi assicuro che tale concetto è il filo conduttore di tutti i nostri negoziati, oltre che un principio guida del nostro documento strategico dello scorso novembre. Basiamo il nostro lavoro su tale concetto, ed è una considerazione molto importante.
Infine, per quanto riguarda ciò che ha affermato l’onorevole Eurlings sull’approfondimento e l’ampliamento, appartengo allo schieramento che sostiene che l’approfondimento dell’integrazione politica sia indispensabile per rendere più efficiente e democratica l’Unione europea. Dobbiamo far funzionare meglio l’Unione: questo era ed è lo scopo della Costituzione. Ci occorre pertanto un dibattito costituzionale e, col tempo – prima piuttosto che poi – dovremo decidere come riformare le nostre strutture per renderle più efficaci e democratiche, per consentire all’Unione europea di avere maggiore voce in capitolo nelle relazioni esterne, nella politica estera e di sicurezza comune e nel garantire la sicurezza dei cittadini rispetto alla criminalità e al terrorismo internazionali.
Sono compiti che riguardano il futuro più immediato, e non lontano – non tra 10 o 15 anni, ad esempio, quando la Turchia potrebbe essere in grado di aderire – per il bene dell’Europa, e devono essere assolti già nell’Unione europea a 25 o 27 Stati membri. Pertanto, invece che parlare di capacità di assorbimento, io preferirei soffermarmi sulla capacità di funzionamento dell’Unione europea, in modo da garantire un servizio migliore ai nostri cittadini in termini sia di politiche sia di Istituzioni.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, giovedì, alle 12.00.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del Regolamento)
Cristiana Muscardini (UEN). – La relazione dell’onorevole Brok è esauriente e completa per quanto riguarda l’attuale stato dell’allargamento e prende in considerazione paesi che indubbiamente stanno mettendo in atto apprezzabili sforzi per raggiungere gli obiettivi politici ed economici richiesti per l’ingresso nell’Unione europea.
In particolare siamo d’accordo con l’invito rivolto alla Croazia di “risolvere i problemi bilaterali che riguardano le proprietà”, ma notiamo con rammarico che non si fa alcun cenno ai problemi che riguardano l’adeguamento della legislazione di quel Paese per quanto riguarda l’accesso al mercato immobiliare da parte di cittadini comunitari e specificatamente per gli italiani e gli esuli giuliani e dalmati. A nessun cittadino dell’UE può essere precluso l’insediamento in uno Stato membro e l’accesso al mercato immobiliare.
Giustificare il divieto con l’applicazione del principio di reciprocità non é sufficiente per affermare oggi che la Croazia soddisfa tutti i requisiti per essere candidabile ad un futuro ingresso nell’Unione. Partendo dal mancato rispetto di un principio di libertà, ormai acquisito in tutti gli Stati membri, noi, pur votando a favore della relazione, chiediamo che si inviti la Croazia a colmare questa grave lacuna che, se si prolunga, ci impedirà di accoglierne l’adesione.